Alzò lo sguardo verso Kiriwar, sicuro di aver certamente
sentito male.
-Sei sordo?- ringhiò quello porgendogli con malo garbo il
coltello che gli aveva sequestrato tempo addietro.
Takeru lo prese, confuso, e rimase a fissare a lungo la lama lucente
così familiare, sua unica compagna, sua sola difesa contro i
mali di Toshima. Perché Kiriwar gliel’aveva
restituita?
A pensarci bene, poteva pugnalare lui e Gunji e poi darsela a gambe,
tornare finalmente libero da quei due pazzi assatanati, ritornare a
essere Takeru e non più Pochi o la stupida scimmietta da
compagnia di Kiriwar. Era un grosso azzardo, un’occasione
troppo ghiotta per non coglierla al volo.
-Allora?-
Strinse saldamente le dita lungo l’impugnatura
dell’arma e si soffermò a scrutare il proprio riflesso dritto
nell'occhio. Se da un lato metà della sua anima gridava
–Fallo!- l’altra metà scuoteva il capo.
Se solo avesse osato, si sarebbe ritrovato la sua stessa lama
conficcata nella trachea. Sgozzato come un maiale, una sorte che
preferiva evitare, anche se forse era molto meglio morire piuttosto che
fare da Cenerentola a quei due.
-Allora?-
Deglutì e tremò impercettibilmente per il sudore
gelido, strinse la presa sull’elsa del coltello e
guardò nuovamente Kiriwar, poi l’uomo steso a
terra che lo fissava supplice. Anche lui aveva trasgredito alle regole,
ma non sarebbe diventato un altro Pochi, un’altra scimmia
azzurra, a Kiriwar probabilmente non interessava neppure. Si
sentì sollevato a vedere la cosa da quella prospettiva. Se
non era finito sgozzato o pestato a morte da Mitsuko e gettato nel
primo cassonetto che capita, forse doveva qualcosa proprio a quel
bastardo con la cicatrice.
-Pooooochiiiii!- lo chiamò con voce cantilenante Gunji.
Si chinò su quel poveraccio, compatendolo.
“O io o lui.” Si disse “Preferisco
pensare a me.”
Un gemito acuto, non osò fissarlo negli occhi, non
osò guardarlo morire. Lo uccise, una pugnalata dritta al
cuore, per rendere il tutto più veloce.
“Tutti preferiscono pensare a se stessi.”
Il sangue gli imbrattava il viso pallido al chiarore lunare, una
visione spettrale. Carezzò distrattamente la croce di Yukari
e rimase a fissare l’asfalto.
Poteva fuggire, poteva ucciderli, aveva ancora l’arma in
mano, imbrattata di sangue caldo.
La mano di Kiriwar si serrò intorno al suo polso, ferma.
Lasciò cadere il coltello e sospirò.
Era un codardo, lo sapeva, ma era vivo e in quel momento era tutto
ciò che contava. Che importava se Kiriwar gli leccava via il
sangue da una guancia e Gunji dall’altra?
Che importanza avrebbe avuto se, una volta tornarti in quella topaia che
quei due osavano definire casa, l’avrebbero impalato fra i
loro sessi per festeggiare degnamente la riuscita del suo addestramento?
Aveva superato la prova, poteva vivere un altro giorno.
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