Patisserie française
fragolottina's time
oh! ma quante siete nelle scorso capitolo...
non sapete quanto mi è dispiaciuto rimandare tanto la
pubblicazione del capitolo e quindi anche la risposta alle vostre
recensioni... cmq ora sono qui e per un po' dovrei stare tranquilla e
scrivere!
che poi - se qualcuno ha sbirciato il mio journal lo sa - ero
frustratissima perchè tutto il cap ce lo avevo in mente, ma non
potevo proprio permettermi di rubare tempo allo studio...
perciò, ahimé, scusate!
buona lettura...
CAPITOLO 5
Autocombustione spontanea
Rimango a guardare il mio riflesso nello specchio del bagno di Daniele. So che ora dovrei chiamarlo il mio specchio del mio bagno, ma questa casetta non è ancora mia, probabilmente perché la stanza è ancora popolata da scatoloni.
Prendo la
spazzola e me la passo sul lato destro dei capelli, ripromettendomi di
non andare al ‘Black Star’ stasera dopo il lavoro, ma di
rimanere diligentemente a casa a disfare i bagagli; quasi sussulto
quando raggiungo la fine, però sorrido voltando il viso da una
parte all’altra. Non ricordo l’ultima volta che ho avuto i
capelli tanto corti, li ho tenuti lunghi fino a metà schiena
credo da dopo il diploma, limitandomi ad una spuntatina di tanto in
tanto. Ora mi arrivano a malapena alle spalle, dritti e lucidi, quasi
neri, forse mi piacciono di più così. Ammetto, di aver
dubitato delle doti di coiffeur di Tiziana per un momento ed invece ha
fatto davvero un buon lavoro.
«Che ne pensi?» domando a Daniele raggiungendolo nella zona giorno.
Lui mi lancia
un’occhiata veloce, mentre si allaccia le scarpe. «Ti
stanno bene. Perché ti ha obbligato?» mi domanda
dimenticando di menzionare il soggetto della frase, ma, infondo, chi
altri potrebbe seriamente farsi dei problemi per la mia acconciatura?
«Beh…» inizio, tornando in bagno a mettermi il
mascara, tutto il resto si può anche saltare, ma il mascara
è sacro. «avevamo fatto un patto.»
«La stai prendendo sul serio questa cosa del conquistarti i suoi favori.» commenta, dal divano.
Mi fermo e guardo il mio riflesso negli occhi, quanto la stai prendendo sul serio, Veronica?
«Mi conviene non trovi?»
«Immagino di sì.» risponde senza eccessivo
interesse. «Però sei la prima che arriva a tagliarsi i
capelli.»
Perché la stai prendendo così sul serio, Veronica?
«Magari resisterò più di tre mesi.» sdrammatizzo, ridacchiando stranamente nervosa.
Lo sento
ridere. «Lo spero.» pausa. «Vuoi venire in macchina
con me?» mi invita gentile. «Se vuoi ti aspetto.»
«Non preoccuparti.» mi siedo sulla tavoletta del water.
«Ok, a dopo.»
Lo sento
chiudere il portone, mentre io resto lì con il tubetto di
mascara in mano a riflettere, senza raggiungere conclusioni molto
incoraggianti.
Eleonora è davanti al
bancone a parlare con Daniele. Questo vuol dire che sono in ritardo a
livelli inimmaginabili. Questo vuol dire che Pierre avrà una
crisi isterica… che ottimo modo per iniziare la giornata.
«Oddio!» esclamo nel panico. «Che ore sono?»
La Bernardi
studia il proprio orologio mescolando un cappuccino. «Le cinque e
tre quarti, Vero…» si volta a guardarmi e si blocca.
«Ehilà…» annuisce compiaciuta.
«Qualcuno ha fatto un cambio di look molto azzeccato!»
Sorrido
arrossendo. «Grazie.» borbotto un po’ imbarazzata,
non dovrei, ma ho qualche problema con i complimenti molto calorosi.
«Ha già minacciato di farmi licenziare?»
Daniele ridacchia e si stringe nelle spalle. «Solo un paio di volte.»
Mi sfugge un’imprecazione poco signorile, ora chi lo sente tutto il giorno?
«Allora, ti sei sistemata bene nell’appartamento?» mi
domanda Eleonora rilassata, mentre io sono tutta presa a cercare dentro
di me il coraggio di entrare in cucina: mi lancerà una teglia?
Mi farà a pezzi e mi infilerà nel suo forno miracoloso?
«Si,
abbastanza.» borbotto sedendomi sullo sgabello. Ho deciso di
aspettare, sono troppo codarda e se ha minacciato di licenziarmi due
volte ci sarà anche una terza. «Anche se sto pensando di
ridipingere le pareti di un colore più soft…»
lancio un’occhiata a Daniele. «sempre che non ti dia
fastidio.» aggiungo visto che il padrone di casa è pur
sempre lui.
Ma il mio
amabile padrone di casa si stringe nelle spalle con noncuranza servendo
una tazza di cappuccino anche a me. «Nessun problema, fai
pure.» mi appunto mentalmente di trovare un imbianchino.
«Come è andata ieri la prova del nove con Robespierre?» mi domanda Eleonora.
Una tragedia?
Una carneficina?
«Ha
bocciato la mia crostata su tutti i fronti.» ammetto, sentendomi
un po’ stupida a farlo. Potrei mentire, no? Dirle che secondo
Pierre c’erano delle cose da migliorare ma che, in totale, non
l’ha trovata male. Infondo, Eleonora, anche se si mostra carina e
disponibile quasi come una sorella maggiore, è pur sempre il mio
capo; ma non riesco a non dirle la verità, è stata
incoraggiante con me, mi ha confortato dai giudizi troppo acidi di
Monsieur ‘io sono un pasticcere e tu no’ Mureau, sarei
davvero una persona orribile se la ricambiassi con una bugia.
«È stato lì a masticare non so quanto per dirmi che
era un disastro.» concludo a capo chino, versando una bustina di
zucchero nel mio cappuccino.
Quando alzo lo sguardo sia Daniele che Eleonora mi stanno fissando ad occhi sgranati, che ho detto?!
«Vuoi
dire che ha assaggiato quello che hai preparato?» mi domanda
Eleonora alla ricerca di delucidazioni, è così sorpresa
che la sua voce raggiunge una nota quasi stridula, rispetto al suo
solito tono pacato.
Sbatto le palpebre perplessa. «Perché non avrebbe dovuto?»
Eleonora
salta giù dallo sgabello e viene ad abbracciarmi. «Oh,
ragazza mia, quanto ti voglio bene!»
Io fisso
Daniele che sorride da sopra la sua spalla con un misto di sorpresa
e… beh, ammetto che c’è anche una puntina di paura.
Alla fine sollevo la braccia per ricambiare la sua stretta, ma con
meno calore.
La Bernardi
si allontana un pochino, ma continua a tenermi le mani sulle spalle.
«Sei la prima con cui lo fa, questo significa che per quanto
sbuffi, soffi e si lamenti tu gli piaci e ti vuole tenere.»
Sgrano gli occhi, accidenti, ora sì che sono incredula.
«Davvero?» domando.
«Qu’est-ce que vous faites?»
La mia domanda rimarrà senza risposta.
«Non
sei qui per fare pubbliche relazioni, Veronica!» mi sgrida,
sembra il mio professore di chimica – bastardissimo –
all’università.
Sospiro
scendendo di mala voglia. «Eccomi, sto arrivando.» cerco di
calmarlo, il mio scarso entusiasmo è proporzionale alla sua
scarsa tranquillità.
«Muoviti.» dice a me, scostandosi poco dalla porta della
cucina per farmi passare. «E vous non distraetela.»
continua rivolto ad Eleonora e Daniele. Il capo sarà pure lei,
ma è lui a dettare legge qui dentro.
Mi chiudo
dentro il ripostiglio della Bernardi ed inizio a svestirmi per
cambiarmi, almeno oggi sono sola qua dentro, forse dovrei fare sempre
cinque minuti tattici di ritardo, in modo da garantirmi un po’ di
privacy. Mi lancio un’occhiata alle spalle, dove di solito
c’è Pierre mezzo nudo… rido sotto i baffi: no,
meglio essere puntuali.
«Sei
nuda?» domanda ‘il diavolo cucina biscotti’. Sono
davvero stata così ingenua da parlare di privacy? Che sciocca
ragazza sono.
«Quasi, dammi un minuto.»
«Non puoi tardare e metterti a fare conversazione con Nora.» esclama irritato.
Sospiro. «Mi voleva parlare, è lei che firma il mio stipendio.»
«Chiacchiere da fammes, ci voleva un uomo.»
«Stronzo misogino.» borbotto.
«Sei mia.»
Mi fermo con
i pantaloni da abbottonare e fisso la porta per qualche secondo.
«Un po’ meno di così.» gli ricordo, sono io a
decidere di chi sono e so per certo che non ho mai scelto di essere sua.
«Sei la mia aiutante pasticcera, tra queste mura sei mia.» ribadisce.
Mi chiedo che senso possa avere discutere con una persona così.
Finisco di
prepararmi, poi apro la porta dello studio, trovandomelo davanti. Il
cuore mi saltella in petto, ma fingo indifferenza dopo aver deglutito
un groppo di panico, ma un panico denso come la melassa, dolce come la
vaniglia, quasi piacevole. «Non hai tutti i tuoi tortini che ti
aspettano?» gli domando, possibile che non abbia altro da fare se
non gli appostamenti a me?
Apre le bocca
per parlare, ma poi si ferma. «Hai tagliato i capelli.»
dice facendo un passo indietro, tutto il suo viso è una maschera
di stupore.
Lo supero
annoiata e mi avvicino al lavandino per lavarmi le mani e recuperare un
paio di guanti in lattice. «Avevamo fatto un patto, no?»
che lui non mi ha ricordato di rispettare e che forse non si aspettava
che rispettassi, ma che incomprensibilmente ho deciso di onorare.
Guardo la
pila di teglie accanto a me e cerco il burro, armandomi di santa
pazienza e rassegnandomi ad un’altra giornata noiosa ed inutile.
«Nel
terzo cassetto a destra ci sono gli stampini per i biscotti.» mi
fermo con un guanto infilato ed uno no e mi volto ad osservarlo, sta
riempiendo dei bignè senza prestarmi troppa attenzione.
«In ogni teglia ce ne vanno venti, il mattarello dovrebbe essere
con gli stampini e sul piano di lavoro c’è la guida per lo
spessore.»
Scuoto la testa. «Perché ho tagliato i capelli?»
Lui solleva
il viso e mi fissa, i suoi occhi mi entrano dentro, scombussolano il
mio mondo e ne riescono. «Perché stamattina somigli
più ad una pasticcera che ad una biologa.» torna al suo
lavoro, ma non mi sfugge il suo sorriso divertito. «Continua
così e fra tre anni potrei farteli anche glassare.»
Che senso dell’umorismo distorto…
Recupero
quello che mi ha detto e mi posiziono dietro di lui. «Non
dovresti maltrattarmi, sai?» lo minaccio. «Potrei baciarti
di nuovo.» gli ricordo arrossendo, perché ho tirato fuori
di mia spontanea volontà questo discorso è un mistero.
Lo sento ridere. «Quello non era un bacio, i baci sono umidi.»
Mi mordo le
labbra e sistemo al guida – una barretta di plastica da
posizionare sotto il mattarello per essere sicuri che la pasta non sia
né più spessa né più sottile di quella
– ed inizio a lavorare. «Ah no? E che cos’era?»
«Questo dovresti saperlo tu.»
«Ho sempre pensato che quando due labbra si toccano è un bacio.»
«Significa che sei una frana a baciare...» fa un passo
indietro appoggiandosi alla mia schiena ed allungandosi sulla mia
spalla per lanciarmi un’occhiata. «oltre che a fare
crostate.» ho la sua guancia ad una soffio dalla mia.
Rispondo alla sua occhiata indispettita e me lo scrollo di dosso, ma continuo a sorridere ed arrossire.
Apro il mio nuovo armadio ed
inizio a posizionarci tutti i vestiti che, da brava ragazza
lungimirante quale sono, ho messo negli scatoloni già provvisti
di grucce. Matteo mi ha mandato un messaggio dicendomi che avrebbe
fatto un salto al ‘Black Star’ questa sera e che sperava di
trovarmi lì, temo che avrà una delusione, prima di qual
si voglia svago devo finire questo trasloco, soprattutto perché
praticamente non ho più niente da mettere. Ad un eventuale primo
appuntamento non posso presentarmi né con una tuta né con
la divisa della ‘Pâtisserie française’.
Una volta
sistemate le stampelle, apro la scatolone che ero sicura contenesse le
magliette, ma che scopro pieno fino all’orlo di scarpe… e
dove sono finite le magliette?
Decido
vigliaccamente che è ora di una pausa, perché ho i piedi
a pezzi. Magari fare dolci non è stancante quanto tirare su un
palazzo di dieci piani, ma stare qualcosa come undici ore in piedi
è in ogni caso faticoso; forse ha ragione Pierre starsene in un
laboratorio a sbirciare dentro ad un microscopio potrebbe essere
davvero più leggero. Ripenso anche alla proposta di mia madre di
darmi una mano a sistemare tutto, in uno slancio di autonomia le avevo
risposto di no, ma forse un aiutino mi serve davvero. So che lei vuole
venire qui soltanto per conoscere il mio coinquilino ed accertarsi che
non sia un mio fidanzato che le ho tenuto nascosto – mia madre
capisce sempre con chi ho un tresca in ballo – ma questa volta
non ho niente da nascondere, tanto vale far sentire tranquilla anche
lei.
Mi dirigo
pigramente in cucina alla ricerca di qualcosa di rilassante da bere,
per poi mettermi a letto, fingendo di ignorare Pierre stravaccato sul
divano che digita parole sul suo portatile. In realtà è
impossibile ignorarlo, perché è bello come il sole.
«Moi aussi, s’il vuos plaît.»
Sospiro. «Cosa?»
«Quello
che prendi tu.» gli lancio un’occhiata stupita, trattandosi
di lui è quasi una dichiarazione d’amore.
Recupero un
barattolo di camomilla solubile dal mio sportello e ne verso un
cucchiaino in due bicchieri, magari gli da una calmata e magari la da
anche a me.
«Daniele è uscito?» domando aggiungendo acqua
tiepida, perché ad un certo punto avevo sentito la porta
chiudersi ed evidentemente non è stato Pierre ad andarsene.
«Ah-ah.»
Siamo di nuovo soli, quindi…
Oh, ti prego, Tiziana, Sam o chiunque altro non fatemi fare figuracce… altre figuracce.
Prendo i due
bicchieri e lo raggiungo sul divano, lui mi aspetta con la mano
sollevata ed il palmo aperto. «Merci.» mi ringrazia ancora
prima che glielo abbia consegnato, senza staccare gli occhi dallo
schermo. Ma io appoggio entrambe le camomille sul tavolinetto da
caffè davanti a noi e gli afferro la mano per studiarla;
è la stessa che si è scottato ieri, voglio quantificare
il danno ora che non è più arrossata e gonfia. Non
è un bello spettacolo, si è formata la vescica, ma
ammetto che non è nemmeno la bruciatura peggiore che io abbia
mai visto.
Sbuffa. «Te l’ho detto che non è niente, vrais?»
«Oui.» rispondo ridacchiando e porgendogli infine il suo
bicchiere di camomilla; mi stringo nelle spalle recuperando anche il
mio. «Ma visto che è colpa mia volevo controllare.»
gli spiego.
Lui mi studia
appoggiando la testa all’indietro sullo schienale del divano e
chiude il suo netbook. «Sembri stravolta, sai?»
Sospiro,
ammetto che ingenuamente per una manciata di secondi ho davvero pensato
che potesse dirmi qualcosa di gentile. «Nemmeno tu sei gran
ché.» mento spudoratamente.
Poso le
labbra sul bordo di vetro senza bere, sto riflettendo ed annusando
l’odore dolce e rassicurante della camomilla, confidando nelle
sue qualità terapeutiche. Sto cercando di quantificare il mio
livello di consapevolezza del gomito di lui contro il mio, del
ginocchio suo, scomposto, sbracato, che tocca la mia coscia giunta in
modo fin troppo rigido. In una scala da uno a dieci in cui uno è
‘non me ne accorgo nemmeno’ e due ‘brucia’, io
sono sul venti: autocombustione spontanea. Ingoio un lungo sorso alla
ricerca della calma promessa sulla confezione.
«Come mai non sei più uscita?» mi domanda di punto in bianco.
Scuoto la testa rassegnata e sospiro. «Te lo ha detto Daniele?» sbadiglio.
«Oui, non è il ragazzo a cui hai dato buca anche ieri?» chiede ancora.
«Magari
è un altro.» ribatto, curiosa di sapere da quando si
interessa della mia vita fuori dalla cucina.
«Non sei quel tipo di ragazza.» dice scuotendo la testa.
Poso la
camomilla, che si sta rivelando inutile - manderò una lettera di
lamentele all’industria che la produce - e mi stringo un cuscino
in grembo, mentre mi lascio cadere contro il bracciolo con la schiena.
«E che tipo di ragazza sarei, sentiamo.» tra me e lui ora
ci sono le mie gambe ripiegate, le guardiamo tutti e due e forse mi
sbaglio, ma mi sa che stiamo anche pensando le stesse cose.
Alza gli
occhi sul mio viso. «Il tipo che si innamora giovane, si sposa
perché non ha bisogno di cercare ancora e fa quattro
figli.» non dico niente perché da come mi guarda mi sento
autorizzata a pensare che sia una specie di complimento, comunque
quest’uomo ha dei problemi seri con le frasi gentili. «Cosa
te lo ha impedito?»
Ok, basta.
«Ho conosciuto Laura.»
Lui sgrana gli occhi e, per tutti gli angeli del paradiso, arrossisce. «Come hai fatto?»
Ridacchio sadicamente. «Il locale dove lavora è del fidanzato della mia migliore amica.»
«Sam?» domanda per conferma.
Annuisco e mi
faccio più vicina a lui, ho trovato il tallone di Achille di
Pierre. «Dai, racconta.» lo pungolo stringendomi le
ginocchia al petto.
«Ci siamo conosciuti, ci siamo piaciuti, baci, sesso etc. e ci siamo lasciati.»
Metto su il broncio. «Che racconto deludente!» commento.
Lui scrolla le spalle guardandomi. «Tutto le storie d’amore sono così.»
Appoggio il
mento sulle ginocchia un po’ imbronciata, so di avere
ventiquattro anni, che il mio primo vero fidanzamento è stato un
disastro, che soltanto dopo un anno e tre mesi ho iniziato a pensare di
ricominciare a frequentare un ragazzo, eppure io ancora credo in quella
favola del ‘vissero per sempre felici e contenti’. Non mi
piace sentirmi sbattere in faccia il sogno infranto, nemmeno se sei il
pasticcere francese più chiacchierato.
Lui sbuffa
fingendosi irritato, ma in realtà sembra piuttosto divertito, ed
alza gli occhi al cielo, prima di passarmi un braccio sotto i polpacci
ripiegati ed abbracciarli. «Tu es comme une fille.» ma
stavolta non c’è quella nota seccata nella sua voce.
Lo studio
tirando indietro la testa, agitata da quella vicinanza improvvisa e
realizzo una cosa incredibile. «Fuori dalla cucina sei quasi
simpatico, sai?»
Si stringe nelle spalle. «Il lavoro è lavoro.»
«Devo
ridipingere la camera.» inizio senza avere davvero coscienza di
quello che sto per dire. «Mi aiuti mercoledì
prossimo?»
Lo fisso negli occhi ed ho quasi paura di un rifiuto, nemmeno gli avessi chiesto di sposarmi!
«Oui.» dice semplicemente lui.
Sorrido perché non c’è niente di cui avere paura.
Il giorno dopo sono arrivata
puntuale al lavoro e sono qui con le mie formine ad intagliare
biscotti. Pierre alle mie spalle sta facendo una torta di compleanno a
tema ‘Fragolina Dolcecuore’, Eleonora gira per il locale
con l’auricolare all’orecchio per contattare tutti i
fornitori e Daniele si sente canticchiare dal bar. Canta ‘Teenage
Dream’ di Katy Perry perché era la stessa canzone che
fischiettavo io mentre mi vestivo. No, non gli è sfuggito
affatto che alle cinque, dopo aver dormito poche ore e prima di andare
a lavoro, fischiettassi tutta contenta, ma si è limitato a
scrutarmi divertito senza indagare oltre.
Insomma, oggi mi sembra quasi di essere una persona normale, che fa un lavoro normale con colleghi normali.
Almeno finché Eleonora non sputa fuori un: «Ehi, ragazzina! Non si può stare qui!»
Mi volto
distogliendo l’attenzione dai miei biscotti giusto il tempo per
vedere una ragazza bionda tuffarsi in lacrime tra le braccia di Pierre.
Lui rimane per un secondo senza fiato, poi la stringe a sua volta con
tanta intensità da farmi pensare che siano anni che non si
vedono, anni che lui ha passato pensando a lei soltanto. La sento
singhiozzare, farfugliando parole in francese immagino, le mani
aggrappate alla sua schiena al suo camicie.
Le bacia i
capelli ad occhi chiusi, completamente ed inconfondibilmente perso; io
deglutisco un groppo di qualcosa a cui non voglio dare un nome, prima
di leggere sulle sua labbra un nome: «Claire.»
sono malefica tanto a lasciarvi così, eh?
dai però devo pur incentivare la vostra voglia di continuare a leggermi...
cmq, chi sarà questa Claire?
vi dico solo che si vedranno delle belle!
spero di trovarvi ancora qui nonostante la luuunga attesa!
alla prossima...
baci
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