Salve
a tutti! Questa storia sarà una Alex/Michael e
inizierà direttamente dalla
prima puntata della prima stagione come potete vedere ma
sarà AU. Nikita
infatti non sarà la protagonista ma la storia
girerà tutta intorno ad Alex.
Nikita non sarà l’agente ribelle, scappata dalla
Divisione dopo che il suo
fidanzato è stato ucciso, avrà un ruolo
totalmente diverso e non apparirà per
un po’ di tempo. Sarà dalla parte dei buoni
però, non preoccupatevi! Alex invece
non sarà la recluta
doppiogiochista che è nel telefilm, almeno non
all’inizio. Non sa ancora che la
Divisione ha ucciso la sua famiglia, non sa nemmeno che la Divisione
esiste
sino al momento in cui viene reclutata. Sarà solo quando si
troverà dentro la
Divisione che inizierà a scoprire come sono veramente andate
le cose la notte
in cui suo padre è stato ucciso.
Il pairing principale è Michael/Alex ma con probabili 'momenti' in futuro tra Alex e Owen, Alex e Ryan, Alex e Birkoff(come succede con Nikita nel telefilm) ma soprattutto tra Alex e Sean(perchè sono una coppia nel telefilm, o almeno lo erano). Owen finirà probabilmente con Nikita comunque.
Ho
quotato direttamente dal Pilot, quindi riconoscerete molte delle
battute. Per
ora non ci sono molte differenze dalla storia originale ma ben presto
le cose
cambieranno. Spero vi piaccia!
Prologo
Detroit,
Michigan.
“Muoviti.”
Alex non riusciva a mascherare il
nervosismo, le mani che stringevano il fucile erano madide di sudore e
la sua
presa non era ferma come sarebbe dovuta essere. Ancora non riusciva a
credere
di essere caduta così in basso. Era arrivata persino a
rapinare delle farmacie pur
di farsi. Che fine aveva fatto la ragazzina felice che faceva
escursioni in
mezzo al bosco con suo padre? Guardatela adesso invece, si vergognava
di ciò
che era diventata ma non poteva farci niente. Tutto era cambiato da
quella
notte, quando l’incendio nella villa era scoppiato e suo
padre era stato ucciso
da quegli uomini col passamontagna. Qualcuno, non sapeva chi,
l’aveva salvata,
tirandola fuori da lì ma non era servito a niente. Gli anni
successivi a quella
notte erano un incubo che non riusciva a cancellare dalla mente e ora,
anche se
le cose andavano un po’ meglio, era sempre schiava delle
droghe che tanti anni
fa la costringevano a prendere.
Cercò
di scacciare quei pensieri e di tornare alla
situazione attuale. Osservò il suo ragazzo per un attimo,
stando attenta che i
tre ostaggi inginocchiati a terra non si muovessero dalle loro
posizioni. Ronnie
stava riempiendo velocemente di scatole di medicinali le due sacche
nere che
aveva tra le braccia.
“Dai
sbrigati.” Alex si rigirò velocemente verso gli
ostaggi ma nessuno si era mosso, tornò così ad
osservare Ronnie, il fucile che
stringeva tra le mani ora leggermente abbassato verso il pavimento.
Fu un attimo,
una questione di secondi e uno dei tre
ostaggi si alzò e cercò di aggrappare il fucile,
il minuto dopo uno sparo e
l’uomo cadeva a terra morto. La maschera che indossava venne
schizzata di
sangue ma erano i suoi vestiti che avevano ricevuto il danno peggiore.
L’aveva
ucciso, certo senza volerlo, il colpo era partito senza che lei avesse
intenzione di sparare, ma l’uomo era morto ugualmente, per
mano sua.
Aveva voglia di
gridare, di svegliarsi da quell’incubo
ma era tutto vero. Una drogata e ora anche un’assassina.
“Perdonami papa”.
Diventare un’assassina era l’ultima cosa che
avrebbe voluto. Troppo tardi ora.
Guardò
davanti a sé, verso il compagno che ora le stava
di fronte. Non riusciva a distinguerne l’espressione per
colpa della maschera
che anche lui indossava. Tuttavia Ronnie non sembrava particolarmente
turbato
da questo ‘incidente’. Le droghe erano
l’unica cosa che gli interessava.
Passò una delle due borse ad Alex senza dire
una parola prima di scappare verso le scale.
La borsa in
mano ancora aperta, anche Alex si affrettò
a scappare ma inciampò proprio sul cadavere
dell’uomo che aveva ucciso. Le
scatole delle medicine si sparsero sul pavimento e si
affrettò a raccoglierle.
Ronnie si
girò un attimo per capire cosa l’avesse
fermata e poi guardò verso le porte in vetro
all’entrata. La polizia era quasi
dentro l’edificio. Un ultimo sguardo verso di lei e poi
Ronnie corse verso le
scale lasciandola lì.
“Fermo,
Polizia! Mani in Alto!” Gridò uno dei due
poliziotti una volta entrato. Alex continuò meccanicamente a
raccogliere le
medicine, sperando di riuscire a scappare anche se la situazione era
ormai
disperata.
Entrambi i
poliziotti l’afferrarono per le braccia e la
misero in piedi prima di sfilarle la maschera dal volto.
“E’
una ragazza.” Uno dei poliziotti affermò sorpreso.
Le misero le
manette ai polsi per poi portarla via. Solo
in quel momento si rese conto che la sua vita ora era davvero finita.
Carcere di
Massima
Sicurezza, Michigan
Michael aveva
visto numerose ragazze nella stessa
posizione di quella che ora osservava da attraverso le sbarre che
dividevano il
corridoio con le celle dall’entrata del penitenziario.
Ragazze finite, con una
vita difficile alle spalle, orfane e senza punti di riferimento che per
colpa
di scelte sbagliate si ritrovavano proprio dove la ragazza, Alex, era
adesso.
C’era stato un tempo, diversi anni fa, che credeva davvero di
fare la cosa
giusta, spingere queste ragazze verso un’altra vita, una vita
non scelta certo,
imposta, ma almeno una vita che credeva fosse migliore. Ora non era
più così
sicuro.
Tuttavia
ciò che pensava non aveva importanza, era il
suo lavoro e si doveva limitare ad eseguire gli ordini.
“Questa
và in isolamento. Occhio, è una che
morde.”
Sentì una guardia affermare malignamente.
“Avrai
tanti ammiratori qui.” Continuò con lo stesso
tono.
Proprio in quel
momento, probabilmente provocata dalle
parole beffarde della guardia, Alex iniziò a tirare pugni e
calci nella vana
speranza di riuscire a liberarsi e scappare. “E’
stato un incidente!”
Continuava a ripetere, gridando. “Non volevo ucciderlo.
Lasciatemi!”
Riuscì
a liberarsi per un attimo, prima che le guardie
la riafferrassero. Continuò a contorcersi ed ad urlare
mentre veniva trascinata
lungo il corridoio e portata verso la sua cella.
Sarebbe stata
perfetta per la nuova vita che gli stava
per offrire. E se si sentiva in colpa per quello che Alex sarebbe stata
costretta a fare per ‘servire il proprio Paese’,
cercò di non soffermarcisi a
lungo.
Quartier
Generale
della Divisione, Posizione Sconosciuta.
Alex si
risvegliò lentamente, gli occhi leggermente
aperti per contrastare la luce bianca e abbagliante che proveniva dal
soffitto
e dalla parete di fronte a lei. La sua vista era sfuocata ma
riuscì a
distinguere una sedia in metallo sulla sua sinistra. Si rese conto che
era
sdraiata su un letto, uno vero, non la brandina di un carcere. Si
alzò seduta
si soprassalto, la vista che iniziava a schiarirsi.
La stanza in
cui si trovava era circondata da pareti in
cemento ed era piuttosto spoglia, fatta eccezione per una scrivania e
un
comodino con due mensole sopra di esso.
“Ciao
Alex? Ti fai chiamare Alex giusto? Mai
Alexandra?” sentì provenire da una voce
all’interno della stanza.
Si rese conto
in quel momento che c’era un uomo con lei
nella stanza, poco più che trentenne, forse
trentadue-trentatre anni, castano,
con un po’ di barba, vestito in giacca e cravatta, molto
attraente ma con
un’aria fin troppo seria.
“E tu
chi sei? Che posto è questo?” Alex chiese a
metà
tra lo spaventato e il sospettoso.
“Ovviamente
non è una prigione. E non siamo nemmeno in
Michigan, anche se siamo gli unici a saperlo.” Alex lo
osservò avvinarsi alla
scrivania alla destra del suo letto e afferrare una cartella di metallo
per poi
aprirla. “Il primo Novembre, il medico del carcere ha
certificato la tua morte,
classificandola come suicidio.”
A quel punto si
avvicinò al suo letto. Alex continuò a
osservarlo, il suo viso che rifletteva la confusione che provava.
“Le
tue ceneri riposano qui.” Indicò con una mano la
foto di una cripta, di un cimitero non precisato, all’interno
della cartella
che aveva poggiato, aperta, ai piedi del letto. La pagina sulla destra
riportava invece la sua fedina penale.
“Mi
chiamo Michael e lavoro per il Governo, vogliamo
offrirti una seconda opportunità.”
Continuò, prendendo la sedia davanti alla
scrivania e sedendosi direttamente davanti a lei, ai piedi del letto
sulla
sinistra.
“Perché?
Perché a me?” Alex gli chiese ora più
spaventata che confusa.
“Beh,
perché sei una giovane e bella ragazza bianca,
senza legami affettivi e senza un passato. Quello in realtà
ci sarebbe ma è
difficile da ricostruire; ma quello che maggiormente ha attirato la
nostra
attenzione è come hai ammazzato un criminale che stavamo per
ammazzare noi.”
Alex a quel
punto si alzò di corsa dal letto e cercò di
scappare ma Michael le afferrò il polso, girandole la mano
verso il basso, impedendole
di muoversi.
“Si
chiamava Kyle e contrabbandava droga. Se ti alzi ti
spezzo il polso.”
“Io
non ho ucciso nessuno, è stato Ronnie.”
Cercò di
negare, alzando leggermente la testa e pregandolo con gli occhi di
lasciarla
andare.
“Non
mentire, abbiamo visto i video della sorveglianza,
e ascoltato le dichiarazioni dei due testimoni. Sappiamo come
è andata.
Sappiamo anche che è stato un incidente. Non preoccuparti
comunque, come ho
detto era un criminale e sarebbe morto in ogni caso.” A quel
punto le lasciò
andare il braccio e Alex tornò a risedersi sul letto,
raggomitolandosi con le
braccia che abbracciavano le gambe, le spalle appoggiate alla parete.
“Per
quanto riguarda il tuo compagno, è stato trovato
morto a pochi metri da casa. Overdose. Al suo funerale non
c’era nessuno.”
Alex
iniziò a piangere, i capelli bagnati di sudore e
non lavati, che le coprivano parte del viso.
“La
tua vita si è chiusa, Alex. Io te ne posso offrire
un’altra. Ma dovrai guadagnartela.”
“E
come faccio a guadagnarmela?” Chiese con voce
leggermente tremante.
“Addestrandoti.
A non sembrare una troietta strafatta
per esempio. Dovrai assumere una postura corretta, camminare come si
deve,
parlare educatamente.” Michael si alzò a quel
punto, bussando alla porta per
indicare che aveva finito e potevano aprire. “E imparare a
servire il tuo
Paese, invece che pensare solo a te stessa.” Si
girò un’ultima volta verso di
lei prima di uscire, la porta che si richiudeva dietro le sue spalle.
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