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Lo so, lo
so... anche stavolta avevo detto che avrei cercato di fare in fretta, e anche
stavolta sono passati dei mesi. Non so più cosa dire per scusarmi, quindi dico
solo che spero che sia valsa la pena di aspettare tanto! Come sempre, ogni tipo
di commento è molto ben accettato e sentitamente sollecitato.
Buona lettura...
Meduseld
(Il
Palazzo d’Oro)
“The world is indeed full of peril and in it there are many dark places.
But still there is much that is fair. And though in all lands, love is now
mingled with grief, it still grows, perhaps, the greater”*
[J.R.R. Tolkien]
*
Il mondo è davvero pieno di pericoli e vi sono molti luoghi oscuri. / Eppure vi
sono ancora molte cose belle. E nonostante in tutte le terre, l’amore sia ora /
mischiato al dolore, esso germoglia, forse, ancora più forte. (traduzione mia)
I raggi obliqui di un sole appena sorto facevano brillare come pietre di rara
bellezza le piccole gocce, che costellavano verdi e rigogliosi steli d’erba
ormai quasi estiva, distesi a perdita d’occhio, come un mare di fili silenziosi
tra le ampie valli insinuate fra i colli, che prendevano ormai il posto delle
montagne nebbiose. Il terreno, morbido sotto gli zoccoli delle fiere
cavalcature, sembrava abbracciare ogni loro rapido passo, attutendone i suoni in
quel mattino primaverile, come se un Vala dal tenero cuore avesse
improvvisamente messo le ali alle bestie ormai stanche.
Le chiare acque dell’Acquaneve scintillavano di vita cristallina, serpeggiando
fra le colline ed inoltrandosi svelte e leggiadre nella più ampia delle valli
che si aprivano di fronte ai loro occhi, correndo a circondare con il loro
allegro sciabordio un colle, la cui sommità pareva risplendere del medesimo oro
del sole mattutino. Gli occhi di Dean si strinsero fino a divenire due fessure
mentre cercava di scrutare di fronte a sé, oltre l’abbaglio dei primi chiari
raggi del giorno, l’imponente delinearsi di quello che appariva come un palazzo
d’oro, circondato di alte mura e abbracciato dalle proprie case come un padre
circondato dalle piccole braccia dei propri figli.
La testa del ramingo quasi ciondolava per la stanchezza del lungo viaggio, che
aveva affrontato insieme ai due amici. Da quando avevano lasciato le sicure sale
di Caras Galadhon non avevano più conosciuto la piacevolezza di un letto comodo,
e neppure la consolazione di un’intera notte di sonno. Mano a mano che si
spingevano a sud, le strade divenivano sempre più pericolose, ed era necessario
vegliare costantemente. E come se questo non fosse stato sufficiente, Dean si
sentiva braccato dalle immagini che aveva scorto nello specchio di Pamela: non
poteva riposare tranquillo per un’intera notte, sapendo quali cupi giorni
attendevano la Terra di Mezzo, e a quale tremulo filo era appesa la speranza. Il
giovane volto, spaccato da una ferita di morte, che aveva visto nello specchio
perseguitava tutti i suoi sogni, e si stagliava nitido e minaccioso contro le
sue palpebre chiuse, ogni volta che fermava il loro viaggio per riposare: per
non cadere da cavallo a causa della stanchezza, per non uccidere la sua stessa
cavalcatura con una corsa troppo sfrenata ed inutile. Sentiva il bisogno
impellente di raggiungere Rohan immediatamente, e porre il proprio corpo fra il
volto di quella ragazza e l’arma che l’avrebbe uccisa, e allo stesso tempo una
voce cupa sul fondo della sua anima gli diceva che tutto sarebbe stato inutile,
che non sarebbe riuscito a salvare nessuno, proprio come non era riuscito a
salvare Castiel dalle fiamme e dall’ombra.
Dean tirò le redini d’improvviso, e il suo cavallo dal manto nero si impennò
leggermente, protestando per il brusco comando e sbuffando sonoramente, quando
Bobby fermò la propria cavalcatura solo a poche leghe di distanza dal palazzo
d’oro, che avevano scorto brillare in lontananza alcuni minuti prima.
“Edoras, dimora dei signori dei cavalli.” Annunciò con la sua voce piena,
indicando con la punta del suo bastone l’altura che si ergeva proprio di fronte
a loro.
“Avevo sentito parlare di Meduseld, il palazzo d’oro dei Rohirrim, ma non
credevo che gli uomini fossero in grado di costruire qualcosa di così bello”
commentò Sam, fermandosi alla sinistra di Dean e puntando uno sguardo ammirato
verso la cittadella.
“Aspetta di posare gli occhi sulla città bianca di Gondor prima di giudicare di
cosa gli uomini sono capaci, Sam” lo ammonì Bobby, burbero ma sorridente “I
Rohirrim sono gente valorosa ed orgogliosa. Tenete le vostre armi nel fodero e
badate alle vostre lingue, quando passeremo oltre le porte del palazzo d’oro, o
sarà la sua regina a rimettervi al vostro posto” aggiunse lo stregone con uno
strano sorriso, prima di tornare a spronare il suo cavallo grigio, gettandosi
giù per il leggero declivio di fronte a loro, pronto a raggiungere la strada che
saliva serpeggiante verso le mura di Edoras.
Dean fece appena in tempo ad intercettare lo sguardo perplesso di Sam, prima che
anche lui riprendesse la cavalcata con un scrollata di spalle. Il ramingo si
fermò ancora solo un secondo, con gli occhi fissi sul palazzo d’oro, che
risplendeva in bagliori accecanti, cercando di non vedere in quelle luci
risplendenti il riflesso del fuoco che avrebbe divorato quelle terre e tutti i
suoi abitanti di lì a poco.
~~~
Le strade di Edoras erano un unico, ininterrotto via vai di persone, cariche di
borse e sacchi, cibo ed abiti appallottolati. I bambini venivano sbatacchiati
qui e là da madri indaffarate che non avevano tempo di dar retta alle loro
proteste, né tanto meno di rincorrerli per chissà quali sentieri, se avessero
decisero di lasciarli andare a giocare da soli; gli uomini confabulavano tra
loro o trattavano a voce alta per il prezzo di chissà quale merce; mentre carri,
cavalli e pony erano allineati davanti alle case, con le bisacce assicurate alle
cinghi, mezze piene, aperte ed in attesa di essere colmate del tutto. Tutta
quella gente si stava preparando ad un viaggio, ad un lungo viaggio che portava
solamente verso la paura. Dean poteva leggere l’apprensione sul viso di ogni
madre e ragazza, negli occhi sfuggenti di ogni uomo o bambino. Erano corsi ad
avvisare i signori dei cavalli del pericolo imminente, ma questa nazione stava
già facendo i bagagli per fuggire.
Davanti ai grandi portoni di Meduseld, quelli che parevano gli unici due uomini
immobili della città attendevano silenziosamente i visitatori nelle loro
armature leggere di cuoio. Solo gli elmi erano di metallo, e ornati da una lunga
chioma di crini chiari che apparivano come la criniera di un destriero. Le lance
dei due soldati scattarono all’unisono quando Bobby si avvicinò alle porte,
poggiandosi più pesantemente del solito al suo bastone.
“Chiedo udienza alla signora del Mark. Sarà felice di vedermi in queste ore
oscure” annunciò con la sua voce roca lo stregone, fissando alternativamente gli
occhi chiari sui due giovani volti delle guardie.
“Non potete accedere al palazzo d’oro armati” replicò il giovane sulla destra,
che aveva il volto di un ragazzo che aveva appena imparato a tenere in mano un
rasoio, e gli occhi, di un marrone chiaro che pareva quasi giallo, puntati sulle
due figure alle spalle dello stregone, i cui volti erano nascosti dall’ombra dei
propri cappucci.
Bobby si voltò immediatamente, facendo loro un gesto brusco accompagnato da un
grugnito eloquente, quindi slegò la spada che teneva egli stesso alla cintura e
tornò poi a poggiarsi pesantemente al proprio bastone, in attesa. Sam tolse dai
foderi due lunghi pugnali elfici, depositandoli nel sacco che la guardia teneva
aperto di fronte a lui, ma esitò quando dovette lasciare anche il proprio arco e
le frecce. Dean abbandonò il proprio pugnale ed il proprio arco, mentre alla
strana occhiata che il soldato lanciò al fodero vuoto della sua spada, posò la
mano su di esso come per nasconderlo, replicando “Ho perduto la mia spada nelle
miniere di Moria”
Quasi vero. Pensò tra sé, mentre sentiva distintamente, nel fagotto che teneva
legato alla schiena, il peso dei frammenti della spada di Colt, che aveva tolto
dal fodero e nascosto in quel sacco per chissà quale motivo. Si era detto che
era per nasconderla ad occhi indiscreti, ma qualcosa, dentro di lui, gli diceva
che era stato piuttosto per nasconderla ai propri occhi. Il solo vedere, ogni
volta, l’impugnatura di quella vecchia spada inutilizzabile, bastava a fargli
stringere le viscere in una morsa dolorosa.
Il giovane, con il sacco delle armi in mano, fissò il bastone cui si poggiava
Bobby con fare eloquente, ma prima che potesse aprire bocca, lo stregone lo
anticipò: “Non vorrai privare un vecchio del suo sostegno per camminare?”
c’era una nota sospesa fra l’infastidito e l’ironico nella voce dell’Istari,
quando pronunciò la parola ‘vecchio’, ma nessuno parve farvi troppo caso.
Le due guardie si scambiarono un’occhiata perplessa ma, alla fine, quello che
sembrava il più vecchio dei due, si strinse nelle spalle e si voltò finalmente
per spingere i battenti della porta del palazzo d’oro.
La grande sala che accolse i tre viandanti era immersa da una penombra,
interrotta solo dalle lame di luce che penetravano sporadiche dalle poche
finestre volte ad oriente, mentre nell’enorme focolare brillava un fuoco che
appariva perpetuo, da quanto le pareti s’erano fatte nere intorno ad esso. Il
grigio freddo della pietra di cui le pareti erano composte era interrotto, qui e
là, da preziosi intagli d’oro, e rune d’ogni tipo ornavano il pavimento sotto i
piedi dei tre amici. Anche le possenti colonne, che sostenevano il basso
soffitto del grande salone, non erano solamente colonne, ma sculture le
impreziosivano, incrostate e rilucenti d’oro, mentre fili dorati tessevano
perfino gli arazzi che in più punti adornavano le pareti.
I tre viaggiatori avanzarono nella grande sala, gli occhi impressionati dallo
sfarzo semplice ma imponente di quel palazzo, eppure ancora le menti fisse nei
loro propositi e l’attenzione puntata soprattutto sul grande trono che si
ergeva, solitario e vacante, sopra tre gradini, sul fondo della sala. Lo
stendardo dei cavalieri di Rohan faceva bella mostra di sé alle spalle del
trono, ma nessun Re sedeva su di esso ad attendere i propri ospiti, e solo Bobby
non ne sembrava sorpreso.
“Ricordavo che l’educazione fosse tenuta in maggior conto nella sale del Palazzo
d’oro, evidentemente non ricordavo poi tanto bene” borbottò la voce burbera
dello stregone ad un sala vuota, come stesse parlando allo stendardo di fronte
ai suoi occhi chiari.
“L’educazione è per gli ospiti graditi, non per chi arriva sempre solo a portare
disgrazia” commentò una voce calma e melliflua, mentre una minuta figura di
donna emergeva dalle ombre alla destra dei tre compagni.
Un lungo abito bianco, stretto sui fianchi da una pesante cintura d’anelli
d’oro, e coperto in parte, sulle spalle, da un leggero manto nero, vestiva la
piccola figura che avanzava con passi tranquilli per andare a posizionarsi tra
il piccolo gruppo ed il trono ancora vuoto.
“Bobby Corvotempesta, dovrebbero chiamare questo stregone. Il malaugurio è un
cattivo ospite!”
annunciò di nuovo, con un sorrisetto trionfante sulle labbra carnose, ed una
scintilla di sfida negli occhi scuri.
“Non sono venuto a parlare con chi tenta da tempo di versare veleno
nell’orecchio di una vecchia amica, quindi togliti dalla mia vista prima che
perda la pazienza, Ruby Vermilingua”
tuonò Bobby, senza cedere d’un passo la propria posizione, ma anzi sostenendo
senza il minimo timore lo sguardo della giovane donna “Vengo in questo luogo con
notizie e con consigli. Sarà quindi il caso che la Signora del Mark non si
faccia attendere oltre” riprese, riportando il proprio sguardo determinato
sull’arazzo che permaneva immobile e silenzioso alle spalle del trono.
“Vieni con una ben strana compagnia, a portare le tue notizie” commentò Ruby,
avvicinandosi di un passo a Sam, che stava alla destra di Bobby, il volto ancora
in buona parte coperto dal cappuccio del proprio grigio mantello elfico “Cosa
fanno un ramingo e un Elfo in giro per le terre del Mark, insieme ad uno
stregone? Io voglio solo il bene della mia Signora, è mio dovere diffidare di
chi giunge a queste porte pretendendo di dare ordini” insinuò con la propria
voce fintamente cordiale, nascondendo una nota di ironia dietro il proprio
sorriso.
Bobby tornò immediatamente a puntare il proprio sguardo di ghiaccio verso la
ragazza, che era ora abbastanza vicina da essere a portata di braccio per i tre
viandanti. Lo stregone sembrò soppesare freddamente la sua minuta figura ancora
per alcuni lunghi istanti, prima di tornare finalmente ad ergersi in tutta la
propria statura, senza più fingere di appoggiarsi al bastone che teneva nella
destra, per levare poi quello stesso braccio, puntando minacciosamente quello
che aveva chiamato il suo sostegno verso Ruby.
“Se vuoi fare il bene della tua Signora fatti da parte, o perlomeno taci! La tua
lingua avvelenata non è fatta per le sue orecchie, né per le nostre, dovresti
averlo capito ormai” sbottò infine lo stregone, e per un attimo parve che avesse
intenzione di colpire la ragazza con il proprio bastone.
Sam stava puntando uno sguardo stupefatto sul volto dello stregone,
completamente sconvolto dal fatto che egli fosse pronto a colpire una ragazza
che appariva indifesa, oltre che intenta a fare al meglio possibile quello che
evidentemente era la sua mansione nel palazzo, ma in quel momento un’altra voce
irruppe nella sala silenziosa, fendendo l’aria carica di tensione con un ordine
perentorio.
“Ferma la tua mano Bobby, vecchio pazzo!”
I due ‘quasi fratelli’ impiegarono alcuni lunghi secondi per capire da dove
provenisse la voce che aveva apparentemente sventato l’aggressione dello
stregone, mentre Bobby sembrava sapere esattamente dove guardare: i suoi occhi
non avevano mai smesso di tenere d’occhio lo stendardo, che appariva ora
scostato di lato dalla mano della donna che era apparsa dietro di esso. Il volto
della Signora era decisamente femminile, così come i suoi lunghi capelli
castani, lasciati sciolti sulle spalle, ma il seno prominente si intuiva
solamente, nascosto sotto la pesante cotta che completava il militaresco
vestiario maschile che avvolgeva il suo corpo maturo. Una maglia verde spuntava
dalla ferrea cotta, coprendole le braccia ed in parte le gambe, che erano
infilate in un paio di pantaloni scuri e pesanti stivali di cuoio marrone. Una
grossa cintura pendeva, un po’ storta, sul lato sinistro, ove era appesantito da
un fodero con la sua lama. Sul petto, faceva bella mostra di sé il cavallo
bianco dei Rohirrim.
“Pensi davvero che colpirei chiunque, perfino questa creatura, nella tua casa e
senza il tuo permesso” replicò Bobby, sorridendo con un misto di compiacimento
ed irritazione che rendeva la sua espressione quantomeno buffa.
Ruby rispose solo con una smorfia veloce al commento dello stregone, ma mentre
si allontanava discretamente, tornando a rintanarsi nelle ombre, i suoi occhi
scuri erano fissi sull’alta figura dell’Elfo che era parso così indignato dal
comportamento dell’Istari.
“Penso che faresti qualunque cosa per attirare la mia attenzione ed indurmi a
fare come vuoi tu” ribatté a tono la strana dama, mentre si portava davanti al
trono sedendo quindi al suo legittimo posto “Su una cosa Ruby aveva ragione,
però, porti con te una strana compagnia questa volta. Non mi presenti i tuoi
amici?” i penetranti occhi nocciola della Signora di Rohan si puntarono
alternativamente su Sam e Dean, per poi tornare, le sopracciglia corrugate,
sullo stregone al centro, un sorriso a metà sulla bocca sottile, in attesa.
Bobby esitò solo un secondo, quindi sospirando si voltò prima da un lato e poi
dall’altro, facendo loro cenno di lasciar cadere i propri cappucci, per rivelare
i loro volti solo in parte celati.
“Mia Signora, ti presento Dean di Nùmenor, erede di Gondor, e Samuel di Gran
Burrone, figlio maggiore di Sire John il Mezzelfo” lo stregone fermò un attimo
le proprie parole, lasciando che i nomi che aveva pronunciato arrivassero e
sedimentassero nella coscienza della dama che li aveva appena uditi, quindi
rivolgendosi ai propri compagni aggiunse “Ragazzi, questa è Ellen di Rohan,
Signora del Mark”
“Mi correggo, non viaggi con strani compagni, ma con nomi importanti” le
sopracciglia della regina si erano inarcate nell’udire i nomi che Bobby aveva
pronunciato, ma se i suoi occhi avevano osservato con curiosità il bel volto e
le puntute orecchie dell’Elfo, si erano poi fermati con insistenza sullo sguardo
verde del giovane ramingo, che pareva imbarazzato nel sostenere
quell’attenzione.
“Mentre tu… per quale motivo ti tieni affianco al trono quella specie di
diabolico pinguino?” domandò Bobby, con la voce roca colma di infastidito
risentimento, facendo saettare i propri occhi chiari verso l’angolo in penombra
dove ancora la ragazza si celava, sorvegliando ogni loro mossa.
La risposta della regina fu però preceduta dal mezzo commento di Dean, che Sam
non riuscì a fermare in tempo. “Pingu…che?” domandò senza pensare a dove si
trovava, o a chi aveva di fronte, dando semplicemente una gomitata nel fianco
dello stregone, suo vecchio amico. Solo quando Sam gli strinse il braccio
abbastanza forte da fargli male, e Bobby il Grigio si voltò per riservargli la
sua migliore occhiata fulminante per poi alzare gli occhi al cielo, come si
farebbe con un bambino particolarmente indisciplinato, Dean si rese conto che
forse avrebbe fatto meglio a tacere.
La regina Ellen osservò tutta la scena con un sorriso divertito sulle labbra,
che sparì, facendo ricomparire un’espressione dura e risoluta, che sembrava non
voler concedere nulla al suo interlocutore, quando Bobby tornò a rivolgere a lei
la sua attenzione.
“Perché ha sempre le migliori informazioni, prima degli altri. E perché dà buoni
consigli al momento giusto, cosa che non si può dire di te, vecchio vagabondo in
grigio” era la seconda volta che la regina lo appellava con tanta disinvoltura,
e sebbene Dean non avesse mai sentito Bobby parlare di lei, aveva ora
l’impressione che non solo si conoscessero da lungo tempo, ma anche che si
conoscessero estremamente bene.
“I consigli non sempre sono buoni come sembrano. Sono qui per…” ricominciò a
parlare lo stregone, ma la regina lo interruppe con un gesto della mano,
levandosi dal trono e scendendo i pochi gradini sotto di esso per avvicinarsi ai
suoi tre ospiti.
“Tu sei venuto per dirmi che un esercito di uomini e orchi marcia in direzione
dei miei confini, ma io ne sono già stata informata” annunciò la regina,
fermandosi direttamente di fronte allo stregone, guardandolo dritto negli occhi,
alla sua stessa altezza.
“Uomini e orchi?” domandò d’istinto lo stregone, corrugando la fronte in
un’espressione più preoccupata che sorpresa.
“Vedo che le tue preziose informazioni non sono poi tanto dettagliate” commentò
la regina con un sospiro, per poi proseguire, spostando il proprio sguardo
nuovamente sul giovane volto del ramingo “Una volta Rohan e Gondor erano amici
ed alleati, ma ora il Sovrintendente manda le sue scintillanti armature contro
di noi. Forse l’erede al trono di Minas Tirith è qui per fermarli?”
Dean si irrigidì sotto lo sguardo duro, seppure non accusatore, della regina, e
la sua mente andò istintivamente all’inutile lama che portava nel fagotto sulle
proprie spalle, e subito di seguito a quel compagno che aveva perso lungo la via
di questo assurdo viaggio. Lui avrebbe saputo consigliargli cosa dire, come
comportarsi, lui avrebbe saputo ridargli la speranza che aveva perduto
nell’abisso di Moria. Ma Moria lo aveva inghiottito, e ora doveva percorrere da
solo questa strada, trovando da solo le parole, la forza, la speranza. Il
ramingo aprì la bocca per replicare, ma la mano di Bobby sul petto lo bloccò.
“Dean è qui per lottare al tuo fianco, per offrire tutto l’aiuto di cui sarà
capace, sperando che poi potrai aiutarlo nella sua guerra per la riconquista di
ciò che suo. Sai bene che Crowley si è seduto su quel trono con l’omicidio e con
l’inganno…” nuovamente, la regina lo interruppe, senza neppure darsi la pena di
alzare la mano per zittirlo.
“Io so solo quello che tu vuoi dirmi, Bobby!” lo attaccò con voce perentoria,
voltandosi per tornare al proprio trono “Per questo sono andata a cercare
altrove consigli ed informazioni. Ho già preso i provvedimenti che sono
necessari: la mia gente sta raccogliendo le proprie cose e le proprie forze, è
pronta a partire e combattere. Le possenti mura del fosso di Helm ci hanno
salvato in passato, lo faranno ancora” illustrò la regina, tornando a posare il
proprio sguardo sui tre compagni, mentre poggiava una mano sul proprio alto
trono, come traendo dal legno stesso la propria autorità.
“Questa è una follia” sentenziò Bobby, borbottando la sua indignazione mentre
tornava a poggiarsi al suo bastone con un sospiro, pronto ad una lunga
battaglia.
~~~
La notte era calata rapidamente, o almeno così era parso a Dean, mentre sedeva
sul muretto di pietra che costeggiava la stretta strada che incideva il lato
della collina, poco più in basso delle possenti mura del palazzo d’oro. A quanto
ne sapeva, Bobby era ancora all’interno, a discutere con Ellen sulla sua
decisione di andare a rintanarsi al fosso di Helm. Personalmente, pensava che lo
stregone avesse ragione: la forza di Rohan era nei suoi cavalieri, chiuderli in
una fortezza poteva essere controproducente, sarebbe stato molto meglio condurli
in campo aperto a cogliere di sorpresa l’esercito che marciava verso di loro. Ma
lui era sempre stato più propenso all’azione che alla strategia e, in fondo, per
quando continuassero a chiamarlo erede al trono di Gondor, lui non era che un
ramingo, e non aveva voglia di essere considerato niente di più, al momento.
A fianco a lui, sulla superficie irregolare delle pietre del muretto, era posato
l’involto in cui erano conservati i frammenti della leggendaria spada di Colt.
Aveva fatto molta strada, e aveva perso un amico… un compagno… il filo dei suoi
pensieri si incagliò sull’immagine del volto sempre pacato e serio dell’Elfo che
era stato per lui prima un mentore, quasi un fratello, poi un amico, e poi
qualcosa di tanto intenso che non riusciva a dargli un nome. Era come uno
scoglio sul quale la sua mente naufragava continuamente, come il punto dolente
che la lingua continua ad andare a torturare nella bocca, come traesse un
qualche sadico piacere nel seguitare a rinnovare quella sofferenza.
Sentì gli occhi iniziare a bruciare della pena che aveva nel cuore, e li chiuse
un secondo per poi spalancarli nell’oscura aria notturna, lasciando che fosse la
sua fresca carezza ad asciugarli e resistendo all’impulso di lanciare lontano da
sé quel piccolo sacchetto di cuoio ripieno d’acciaio, quando la sua mano vi si
posò casualmente sopra. Abbassò lo sguardo quando fu sicuro che nessuna goccia
indesiderata se ne sarebbe staccata, e prese tra le mani l’involto. Aprì il
laccio che lo avvolgeva stretto e scostò il drappo scuro, per rivelare l’acciaio
lucente, che malgrado i lunghi anni e l’oblio, riusciva ancora a rilucere della
sua egregia fattura anche nella luce incerta della luna. Passò prima le dita
sull’elsa, semplice ma elegante, e il suo dito si tinse di una goccia di rosso
quando ne accarezzò il filo: quella lama non avrebbe mai perso la sua
affilatura, eppure era ancora solo un inutile ammasso d’acciaio. Non sapeva che
farsene di quel peso che continuava a portare sulla schiena, così come non
sapeva che farsene del nome e del titolo che Bobby gli aveva scaricato sulle
spalle. Avrebbe voluto tornare a casa, solo che la sua casa era scomparsa tra le
fiamme e l’ombra.
Dean trasalì quando il freddo acciaio si posò alla sua gola, mentre un braccio
sottile ma forte gli circondava il collo e una mano gli si posava alla schiena,
sorvegliando senz’occhi ogni sua mossa.
“Chi sei? E cosa fai qui nell’ombra, a due passi dalla dimora dei signori del
Mark?” domandò una voce alle sue spalle, troppo sottile per essere quella di un
uomo.
“Riposo e guardo le stelle” replicò, insinuando l’ironia nella propria voce,
mentre, scivolando giù dal muretto, si appendeva al braccio che gli teneva
saldamente le spalle, abbastanza forte da allontanarlo dalla propria gola, e
quindi ruotava velocemente su se stesso, tenendo stretto nel pugno il giovane
polso e torcendolo fino ad indurlo a lasciar cadere la lama che aveva minacciato
la sua vita.
Quello che proprio non si aspettava, era che il suo aggressore scavalcasse
agevolmente il muretto, facendo sgusciare una mano più piccola e delicata di
quanto avesse pensato fra le sue dita, per poi attaccarlo con una ginocchiata lì
dove ogni uomo è più debole, e raccogliere la lama che aveva appena lasciato
cadere mentre lui tentava affannosamente di riprendersi dal colpo.
“Non è un buon posto per guardare le stelle questo, straniero.” Lo apostrofò
nuovamente la voce, leggermente affaticata, mentre tornava a puntargli la lama
alla gola, tenendosi però a discreta distanza.
“Qualsiasi Elfo ti risponderebbe pân sad nardh maer an tiri in elenath
(ogni luogo è buono per guardare le stelle)” rispose Dean, rimettendosi in
posizione eretta, mentre constatava che la fitta sorda che sentiva nel petto al
solo usare i suoni della lingua della sua infanzia era molto peggiore di
qualunque colpo potesse infliggergli il suo aggressore. I suoi occhi verdi
cercarono di penetrare l’ombra per vedere il volto di chi lo aveva appena
colpito, ma il cappuccio che portava sul capo nascondeva gran parte del suo
viso, sebbene ancora potesse riconoscere che doveva trattarsi di un ragazzino, a
giudicare dalla linea dolce del mento.
Il ragazzo parve esitare, quando sentì i suoni della lingua degli Elfi, che
molto evidentemente aveva riconosciuto, pur senza comprenderne il significato.
Il pugnale che era ancora puntato al suo petto si abbassò di poco, mentre
l’aggressore sembrava studiarlo con diffidenza.
“Spero che tu non mi abbia appena insultato, straniero” lo canzonò infine la
giovane voce proveniente dalla penombra del cappuccio “Parli la lingua degli
Elfi, ma a meno che la mia vista non sia ingannata da un sortilegio, non sei uno
di loro. Chi sei straniero? e perché stai da solo fuori dalla porta della mia
casa?” domandò ancora, e quando sporse di poco la testa verso di lui, Dean poté
cogliere un lampo dei suoi occhi attenti e prudenti al tempo stesso.
“Sono un ospite del palazzo d’oro, e se quella è la tua casa, mi chiedo, come
puoi non saperlo?” ribatté Dean prontamente, indicando con un gesto noncurante
del capo la massiccia sagoma di Meduseld, mentre ancora stringeva i denti per
non cedere alle ultime ondate di dolore che gli provenivano dall’inguine,
gentile dono del suo interlocutore.
“Perché da giorni sono occupata altrove, ad aiutare la mia gente nei
preparativi” replicò la voce, scontrosa, mentre una piccola mano andava
finalmente a scostare il cappuccio, lasciandolo cadere sulle spalle e rivelando
una lunga chioma di capelli biondi e un viso inequivocabilmente femminile, che
fece sobbalzare Dean quando riconobbe in quei lineamenti armoniosi e giovani, i
medesimi che aveva veduto nello specchio di Pamela, spaccati da un’orrenda e
funerea ferita “Sono Jo, figlia di Ellen di Rohan, adesso vuoi dirmi il tuo nome
straniero… e magari anche cosa facevi qui al buio con una spada rotta in
grembo?” proseguì la ragazza, gettando un’occhiata perplessa ai frammenti della
spada, che ora giacevano tra l’erba bassa, sfuggiti almeno in parte alla loro
protezione di cuoio.
Dean represse l’impulso di chinarsi immediatamente a raccoglierli, per
rimetterli al sicuro nella loro sacca: certo un gesto del genere avrebbe
attirato l’attenzione su di essi, ed era proprio ciò che intendeva evitare.
“Sono Dean…” il giovane ramingo esitò, incerto sul nome da dare, poi gettò una
nuova, fugace occhiata ai pezzi sparsi della spada di Colt e proseguì “Dùnedain
del Nord. Sono arrivato qui insieme a Bobby il Grigio e a Samuel di Gran
Burrone, perché ci sono giunte notizie di guerra imminente” spiegò mantenendosi
sul vago, pensando che avrebbe dovuto pensarci qualcun altro a spiegare anche a
questa ragazza chi egli fosse, se proprio questo doveva accadere “Ma non credevo
che le fanciulle di sangue reale si aggirassero nella notte a custodire le mura
del proprio palazzo” aggiunse quindi, con un mezzo sorriso ad inarcargli le
labbra, mentre osservava finalmente lo strano abbigliamento della ragazza.
Jo indossava un abito azzurro di lana grezza, non certo un tipo di vestiario
adatto ad un principessa, il pesante mantello che portava sulle spalle sembrava
più conoscono ad un cavaliere che ad una fanciulla, mentre ai piedi si intuivano
un paio di vecchi stivali. Alla vita della ragazza si intravedeva una grossa
cintura di cuoio, ove erano infilate alcune scarselle chiuse da modeste fibbie
di metallo, insieme al fodero del pugnale che ancora teneva nella mano, e ad una
spada ancora riposta al suo posto.
“Le donne di Rohan non sono del tipo che fuggono a rintanarsi davanti alla
battaglia. Noi combattiamo al fianco dei nostri uomini, o ci gettiamo di fronte
ai loro corpi morti per proteggere la nostra terra” la ragazza tornò a stringere
con più forza la preziosa elsa della sua corta lama, e la levò nuovamente contro
il ramingo, mentre nei suoi occhi brillava la luce della battaglia “Non temo né
morte né dolore” affermò quindi con fierezza, mentre Dean estraeva veloce la
propria lama, per incontrare quella della dama.
Il giovane ramingo fece roteare il braccio, e le due lame lo seguirono
all’unisono strisciando una contro l’altra accompagnata dal loro stridere
metallico, finché il movimento non le tolse di mezzo, inducendo entrambi ad
abbassarle, al proprio fianco.
“Cosa temi, mia signora?” chiese allora Dean, il sorriso più largo sulle sue
labbra, affascinato suo malgrado da questa fanciulla che pareva poco più di una
bambina ma parlava con la forza che molti uomini non avrebbero mai avuto.
“La gabbia” replicò immediatamente la ragazza, e il suo viso delicatamente ovale
si illuminò di una regale risoluzione mentre rispondeva, la schiena dritta e la
testa alta “Stare dietro le sbarre finché l’abitudine e la vecchiaia le
accettino, e ogni occasione di valore sia diventata un ricordo o un desiderio”
Mentre Jo di Rohan ancora finiva di pronunciare quelle parole, Dean non poté
impedirsi di pensare che questa ragazza gli piaceva. Ammirava la sua forza, e la
determinazione che trapelava dal suo sguardo ogni volta che parlava. Era, certo,
una compagna che avrebbe voluto avere al suo fianco nelle battaglie a cui stava
andando incontro e, solo per un secondo, la sua mente smise di impigliarsi con
dolorosa insistenza su di una macchia di blu che spariva inghiottita dalle
fiamme.
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