- Sai sensei?
Sai chiuse gli occhi. Si era seduto
sotto quell’albero con
l’album da disegno, nella speranza di essere lasciato in pace
per un po’.
Invece Yoshi non aveva alcuna intenzione di lanciare kunai contro un
albero
come tutti i bambini in età da Accademia si contentavano di
fare.
Alzò gli occhi verso il
ragazzino, resistendo alla
tentazione di guardare il cielo e sopprimendo automaticamente
un’espressione
esasperata, emozione che aveva imparato a conoscere da quando la Radice
si era
sciolta e le sue eccitanti missioni assassine e di spionaggio erano
terminate.
Ok, non che sentisse veramente l’eccitazione, ma almeno non
sapeva cosa fossero
la noia e la frustrazione. Eseguire missioni di livello D invece era
proprio
così: noioso e frustrante.
Fare da babysitter a un ragazzino col
moccio al naso non era
cosa da lui. Prima di tutto lui apparteneva alla squadra speciale, non
era un
misero genin, inoltre era palesemente inadatto al ruolo. Naruto era la
persona giusta, per
questo genere di missioni. Lui
era sempre un po’ infantile, si sarebbe divertito a giocare
con quel bambino,
gli avrebbe insegnato delle cose.
Sai no. Sai non sapeva come
comportarsi, si sentiva quasi in
imbarazzo, cosa assurda, dato che era l’adulto della
situazione e doveva
ostentare sicurezza.
- Cosa c’è,
Yoshi?
Yoshi gonfiò le guance. Ci
risiamo, pensò Sai, fa i
capricci. Ma perché il padre del ragazzino non aveva scelto
Naruto, come ninja
a cui appioppare il figlio? Un attimo, lo sapeva.
Era stato Yoshi a insistere. L’aveva visto
animare i disegni e ne era rimasto entusiasta.
Peccato che non si era affatto
contentato di quegli uccelli
di inchiostro che per la cronaca ancora svolazzavano lì
attorno. No, Yoshi
voleva ben altro.
- Perché non mi insegni a
far vivere i disegni?
Appunto. Puntava un po’
troppo in alto, che diamine, non
sapeva ancora creare una copia illusoria di sé stesso!
- Mi dispiace, Yoshi-kun –
disse stancamente l’artista – non
è esattamente una tecnica da principianti.
- Non sono un principiante! Io
disegno bene, sono il più
bravo della classe!
Ahi! Aveva sbagliato parola, lo stava
facendo innervosire!
Si morse la lingua.
- Intendo dire che per animare i
disegni occorre saper
controllare il flusso del chackra, in modo da mescolarlo
all’inchiostro.
Rimase un po’ in silenzio,
poi decise che sarebbe stata
buona politica adularlo.
- Sei bravo a disegnare, un giorno
potrai animare anche tu
le immagini, ma ora è troppo presto.
Quel complimento parve rasserenare
appena il bambino.
- Ma allora facciamo qualcosa di
divertente!- disse
mettendosi a braccia conserte.
Sai lo guardò pensieroso.
- Perché non disegniamo
quell’albero?
Yoshi non sembrò molto
entusiasta della risposta.
***
- Così non va, Sai.
Sai alzò le sopracciglia,
sorpreso e dispiaciuto. Non era da
lui svolgere malamente le missioni, anche quelle più noiose.
- Prego? Ho forse sbagliato qualcosa?
Tsunade lo guardò a lungo,
come per assicurarsi che non la
stesse prendendo in giro. Ma Sai era serissimo, oltre che completamente
incapace di scherzare in quel modo.
- E me lo chiedi anche? La missione
consisteva
nell’intrattenere il figlio di quel farmacista e di farlo
divertire fino al suo
ritorno.
- E non l’ho fatto? Abbiamo
disegnato. A lui piace
disegnare.
Tsunade alzò gli occhi al
cielo.
- Come puoi essere sempre
così insensibile rispetto alle
emozioni altrui? Non ti sei accorto che quel ragazzino era tediato dalla cosa? Potevi fargli fare
qualcos’altro… fargli
provare ad animare le immagini come fai tu.
Sai aggrottò le
sopracciglia e sentì un pizzicore alla gola,
sensazione che aveva imparato ad associare alla rabbia e
all’irritazione.
- La mia tecnica è di
livello C. Non è alta, ma non è di
sicuro al livello di un bambino dell’accademia.
- Ma certo che non lo è!-
Tsunade abbassò i fogli che stava
ordinando – e di sicuro non sarebbe mai riuscito a cavare un
ragno dal buco, ma
l’avresti tenuto occupato per un sacco di tempo senza
annoiarlo!
- Non capisco perché
dovevo dargli false speranze.
- Non si tratta di false speranze,
Sai. Si tratta di
renderlo felicemente impegnato per qualche ora, tutto qui –
l’hokage si
appoggiò allo schienale della poltrona – comunque
ora vai pure. Davvero non
capisco come a Genzo sia saltato in mente di affidare a te suo figlio.
A quelle parole Sai sentì
una fitta al cuore, e capì di
sentirsi ferito. Uscì dall’ufficio di Tsunade in
fretta.
***
Driiiin!
Naruto si rigirò sul letto.
Driiiin!
Sbuffò e nascose la testa
sotto il cuscino.
Driiin!
Driiiin!
Driiin!
- E piantala, ‘tebayo-
imprecò fiocamente, rigirandosi di
nuovo.
-
Perché non apri?
- Perché sto
dormend… SAI! - Si tirò su di scatto -Non ti
hanno insegnato a usare la porta?
L’artista era comodamente
seduto sul davanzale della sua
finestra. Maledizione. Sapeva che avrebbe dovuto chiudere, lo sapeva!
- Certo che me l’hanno
insegnato!- aveva un’espressione così
innocente che se Naruto non fosse stato sicuro che era autentica, gli
avrebbe
allungato un pugno – ma tu non hai aperto!
- Se non ho aperto avevo i miei
motivi- mugugnò il biondo.
- Per esempio?- volle sapere
l’altro.
- Per esempio sono
sfinito, sono distrutto, non voglio essere disturbato e voglio dormire.
- Sono già le sette del
mattino.
- Sono solo
le
sette del mattino, baka. Per una volta che non abbiamo missioni e posso
dormire
fino a tardi!
- Non ti facevo così
posapiano. Non avere missioni non è un
buon motivo per oziare.
Naruto gonfiò le guance in
un modo che ricordava molto
Yoshi. Nessuno aveva mai osato definirlo posapiano! Era semplicemente
normale!
Anzi, a dirla tutta, era iperattivo. Solo che quel giorno voleva
godersi un po’
di meritato riposo, era forse un crimine?
Aprì la bocca per dirgli
tutte queste cose, ma non gli
vennero le parole. Cambiò argomento a suo vantaggio.
- Piuttosto tu, Sai. Non avevi una
missione, ieri? Com’è
andata?- sogghignò, sapeva benissimo che probabilmente era
stata un disastro.
Sai infatti si incupì
appena – è proprio di questo che
voglio parlarti. Posso entrare?
- Eh, ormai,
‘tebayo…
***
- Non ci credo.
Erano seduti sul divano, Naruto con
una ciotola di ramen
istantaneo in mano. Sai aveva stranamente rifiutato la colazione.
- Davvero lo hai costretto a
disegnare alberi per quattro
ore?
- Non l’ho costretto
– si difese Sai – a lui piace
disegnare.
- Ma alberi!
- E anche qualche cespuglio.
- Ma che divertente!- disse il biondo
sarcastico – cespugli!
Allora cambia tutto! Ma che concezione hai del divertimento?
Sai scrollò le spalle.
- In che senso, divertimento? Io per
passare il tempo
disegno, dipingo, faccio calligrafia. Dopo spesso sono soddisfatto,
tutto qui.
- Non fai altro?- Naruto
aggrottò le sopracciglia.
- Altro cosa?
- Non lo so. Non esci con gli amici?
L’artista chinò
il viso e arrossì appena.
- Sai benissimo che tu e Sakura siete
gli unici amici che
ho.
Il biondo si morse la lingua,
dispiaciuto. Aveva detto una
cosa ben poco sensibile, lo sapeva.
- Scusa, mi era… passato
di mente.
Sai
rispose con
un’alzata di spalle – non è importante.
- Sì che lo è!-
saltò su Naruto – è importantissimo!
Disegnare sarà piacevole e ti lascerà
soddisfatto, ma divertirsi è una cosa
diversa. Non so cosa possa farti divertire, ma sono sicuro che uscire
con degli
amici è divertente!
- Cosa si fa in queste uscite?- volle
sapere Sai,
incuriosito.
- Beh, si va a mangiare qualcosa, si
ride, si scherza, si
chiacchiera. Cose così.
- Non so se ne sono capace
– Sai strinse le labbra – non
credo proprio, anzi. Finirebbe come con Yoshi, annoierei chi mi sta
vicino
senza neanche rendermene conto. Sono completamente incapace di leggere
l’animo
altrui, sono… freddo.
Naruto tacque per qualche secondo,
dispiaciuto per l’amico.
Era vero, era molto goffo nelle interazioni sociali, però
era anche vero che
stava facendo progressi. Sapeva riconoscere quando provava emozioni,
anche se
ancora non sapeva leggerle bene negli altri.
- Non devi dire così
– mormorò Naruto – stai migliorando.
- Davvero?- Sai alzò
appena la testa. Il suo viso in genere
inespressivo adesso esprimeva tristezza, ed era quasi commuovente.
- Davvero- Naruto gli mise una mano
sulla spalla. Voleva
dirgli tante cose, voleva rincuorarlo ma non gli venivano le parole,
così
decise che sarebbe stato il suo corpo a parlare per lui, forse
così Sai avrebbe
capito meglio.
- Non dire a nessuno che lo sto
facendo- borbottò, e prima
che Sai potesse chiedergli “fare cosa?” lo
abbracciò.
Sorrise appena. Era come abbracciare
un manichino. Sai era
sorpreso e tutto rigido. E poi era freddo.
- Rilassati. Non ti faccio male, no?
- Non è questo –
disse l’artista, con voce appena incerta e
un po’ tremante. Si rilassò appena contro di lui,
facendo un respiro profondo,
poi con numerose esitazioni cinse a sua volta il corpo di Naruto fra le
braccia.
- V-va bene così?-
domandò.
- Sìì-
sbuffò il biondino – non sei sotto esame. Calmati
un
po’, il cuore ti batte fortissimo. E scommetto che in faccia
sei rosso come un
peperone.
- E che vuol dire?
- Vuol dire che sei imbarazzato,
scemo. Anche io sono
imbarazzato, per la cronaca. Abbracciare un altro ragazzo è
una cosa da gay,
quindi se lo dici a qualcuno giuro che ti ammazzo, ‘tebayo.
- Se non ti piace perché
lo fai?
- Non ho detto che non mi piace. Ho
detto che non si fa e
che non si deve sapere in giro.
- E perché non si fa?
- Sai, fai una cosa, per una
volta… stai zitto.
***
Per Sai i minuti passavano
lentissimi, ma ancora non aveva
voglia di staccarsi dall’abbraccio di Naruto. Non
più, perlomeno. Sulle prime
la sua reazione era stata di rigetto ed era stato lì
lì per scappare, ma adesso
trovava che fosse una sensazione bellissima.
Una sensazione calda.
- Sei caldo- mormorò
l’artista, cambiando posizione e
poggiando la testa sul torace del compagno di squadra.
- Certo. Io sono sempre caldo.
Cioè, accaldato. No! Aspetta…
- Ho capito, ho capito –
chissà perché era così agitato
– io
invece sono freddo.
- Ora non tanto- Naruto gli
sfiorò le braccia – e non mi
sembra più di stringere una bambola di porcellana.
Sai sorvolò su quella
strana similitudine e gli infilò la
mano sotto la maglietta.
- Hey, che fai?- chiese
l’altro, ritraendosi appena.
- Niente. Volevo sentire se sei caldo
anche qui.
- Sono caldo ovunque, è
normale.
- No, c’è sempre
una parte più fredda- dissentì
l’artista –
e una più calda.
Gli sollevò la maglietta e
Naruto lo lasciò fare,
sospirando, evidentemente confuso da quello che stava passando per la
testa
dell’artista. Tanto ormai la situazione era ambigua di per
sé, da quando gli
era saltata in testa l’idea di abbracciarlo. Bastava che
nessuno li vedesse, e
che non… cioè, era evidente che Sai era ingenuo e
non voleva certo fare il
malizioso.
- Cosa è?-
domandò indicando il tatuaggio a spirale che
aveva attorno all’ombelico.
- Oh, è il sigillo della
volpe a nove code che mi ha fatto
Yondaime- disse con leggerezza.
Sai lo guardò in silenzio.
- Posso toccarlo? O ti dà
fastidio?
- Se proprio ci tieni.
Sai fissò quello strano
tatuaggio a lungo, poi, dopo diverse
esitazioni, posò un dito proprio nella spirale
più esterna, dove iniziava. Era
vagamente rialzato rispetto alla pelle, come un lungo ed elaborato
graffio.
Seguì il disegno,
affascinato, muovendo il dito a spirale,
lentamente, sempre più vicino all’ombelico.
Sentiva il respiro di Naruto farsi un
po’ più pesante, e la
pancia che andava su e giù sotto la sua mano. Sperava che
quel gesto non avesse
in qualche modo risvegliato la volpe a nove code.
Si fermò quando
l’indice raggiunse l’ombelico e vi
affondò
appena.
Naruto emise una sorta di ansimo
simile ad un gemito, e Sai
si voltò a guardarlo. Si aspettava che avesse gli occhi
rossi e i canini
lunghi, ma era quello di sempre, solo le sue iridi sembravano essersi
scurite,
ed erano liquide.
Continuava a respirare profondamente,
le labbra socchiuse, e
lo fissava.
- Ho fatto qualcosa che non va?-
domandò l’artista.
Naruto fece lentamente segno di no
con la testa, senza
distogliere lo sguardo dai suoi occhi.
Sentì la sua mano bollente
all’inizio della schiena, dove la
pelle era scoperta, e si inarcò con un gemito sorpreso.
- Naruto…?- si rese conto
che il viso del biondo era a pochi
millimetri dal suo, e i loro nasi si toccavano.
Senza volerlo la mano che era
impegnata a esplorare il
tatuaggio scese e incontrò qualcosa di molto duro.
Il biondo sobbalzò e si
tirò su.
- Scusa- disse, rosso in viso
– ma credo di… dover andare a
casa.
Detto ciò prese dalla
sedia la giacca arancione e uscì
dall’appartamento, sbattendo la porta.
Sai si strinse nelle spalle e si
appoggiò allo schienale del
divano, aspettando che tornasse.
Chissà
quando si
sarebbe reso conto che era quella, casa sua.
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