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Nota doverosa di inizio capitolo:
Eccoci dunque al terzo e ultimo capitolo di questa storia. Come al solito
ringrazio chi ha avuto la santa pazienza di leggere e recensire, e apprezzare il
mio/i miei personaggi, a chi si è affezionato a me, al mio modo di scrivere, o
al mio Sirius almeno un pochetto. La psicologia di Sirius è una cosa che mi
rende molto fiera.
Ora, una nota esplicativa abbastanza importante. Dai
commenti ho notato che molti/e sono rimasti spiazzati/e dal comportamento di
James. E’ sembrato troppo buono, forse, troppo poco umano (in fondo lo dice
anche il mio Sirius, chiunque si sarebbe incavolato almeno un po’). O dall’altro
lato troppo comprensivo del disagio di Sirius. Ecco, quello che mi preme far
capire è che non è così. Ma lascio la parola a Nykyo (che ringrazio da
morire per il suo appoggio e la sua immensa sopportazione – anzi, sua e di
boll11 – perché da betare sono veramente fastidiosa! XDD) che nella sua
recensione l’ha delineato molto bene e in poche parole! ^^
“James (non lo amo, ma sarò
obiettiva) è perfetto. James è la persona normale, sana, ancora integra, che è
curiosa di superare i limiti, ma non i propri, quelli altrui. A lui manca
l'autolesionismo di Sirius. Lui non è tarato, sa di esistere, si basta. Può
spingere il pedale dell'acceleratore, ma non spingerà mai il bottone
dell'autodistruzione, mentre Sirius quel bottone lo sta prendendo a martellate
da un pezzo.”
Invito gli interessati, se desiderano approfondire, a leggere il
mio commento a Ny in cui affronto l’argomento più nel dettaglio. Grazie per
l’attenzione, non vi tedio oltre e vi lascio alla fic. ^^
Un bacio a tutti.
Twinstar
LO
SMISTAMENTO
2 settembre
1972
Due porte.
Ecco quanto si frapponeva tra lo
studente e la libertà.
Una che dava sull’interno,
piuttosto modesta: semplice, spartana, con un grosso lucchetto di ferro mezzo
arrugginito forzabile tramite un banalissimo Alohomora.
L’altra, che dava sull’esterno,
decisamente più ostica; enorme, imponente, di metallo e legno finemente
lavorati, talmente gonfia di protezioni di varia natura, conosciute e non, che
un qualsiasi Incantesimo di Apertura scagliatovi contro aveva come unico effetto
quello di rimbalzare malamente addosso al malcapitato proiettandolo a molti
metri di distanza.
Tra di esse solo pochi metri di
spazio in cui stare fermi ad aspettare che venisse chiusa la prima e aperta la
seconda.
Misure precauzionali introdotte
quell’anno per la nostra sicurezza, dicevano: l’impressione però era che
temessero fughe in massa di studenti, neanche fossimo stati prigionieri di
guerra.
Non mi piaceva affatto
quell’idea di costrizione.
Nessuna meraviglia che avessi
cominciato a cercare delle vie d’uscita da quel confino.
C’erano dei passaggi segreti,
nel castello. Quest’estate Andromeda, ritenutici degni, ne aveva rivelati un
paio a me e a mio fratello tra quelli che utilizzava al tempo per incontrarsi di
nascosto coi suoi ragazzi, perché ne facessimo un buon uso; ce n’era ad esempio
uno che, passando per l’infermeria, portava a uno dei cortili posteriori, e poi
un altro, nascosto dietro un arazzo nel corridoio del sesto piano, che dava
sulle serre.
Non avendo una ragazza, né
avendo intenzione di averne a meno di trovarmi con una bacchetta puntata alla
tempia, posti di quel genere erano totalmente inutili per me, ma la loro mera
esistenza dava adito a riflessioni decisamente più intriganti.
Tanto per cominciare la certezza
che non potessero essere gli unici: dovevano esistere un’infinità di passaggi
segreti, più o meno celati alla vista, talmente numerosi che nemmeno i quattro
fondatori sarebbero riusciti a ricordarli con precisione.
Qualcuno di essi avrebbe pur
dovuto rappresentare una via di fuga verso l’esterno.
Io volevo trovarle tutte quante.
James naturalmente era rimasto
folgorato dall’idea.
Gliel’avevo proposto la sera
prima, un po’ come una sfida, conscio del fatto che sarebbe bastato quello a
farne un mio valido alleato. Del resto, da solo non sarei riuscito a combinare
granché.
Lui l’aveva trovato divertente.
Così ogni sera, dopo cena fino
al coprifuoco delle nove, avevamo deciso di gironzolare per il castello alla
ricerca di stranezze architettoniche che avrebbero potuto celare qualcosa allo
sguardo.
Avevo trascinato anche Remus in
quella storia.
Quando avevamo deciso di
cominciare era stato subito chiaro che sarebbe stato molto più saggio agire in
coppia, per vari motivi, primo tra tutte la mia assoluta incapacità di fare
attenzione, di notare i particolari. Io e James, però, non andavamo mai in
ricognizione insieme, eravamo troppo sospetti.
Per qualche inspiegabile motivo
quando qualcuno ci scorgeva insieme a bighellonare per il castello, anche se con
l’aria più innocente del mondo, diventava immediatamente sospettoso e si teneva
alla larga da noi due, o peggio ancora chiamava qualche insegnante prima che si
potesse fare alcunché. Ci si renderà conto che lavorare in quelle condizioni era
decisamente impensabile.
Nemmeno con Peter era stato
possibile, benché si fosse offerto subito, entusiasta. Quel ragazzo era pieno di
buone intenzioni, ma anche terribilmente incapace.
Quel dannato fifone squittiva di
terrore ogni volta che incrociavamo lo sguardo di qualcuno: una volta si era
addirittura inginocchiato in lacrime ai piedi del preside Silente implorando
pietà solo perché, al suo passaggio, aveva sorriso sornione. Era stato fortunato
di essersi trovato in compagnia di James che sopportava bonariamente quelle
idiozie facendone al massimo il tema di irresistibili, dissacranti prese in
giro. Io l’avrei riempito di calci nel sedere.
Così, dopo un primo momento di
frustrazione mi era venuta l’idea geniale di portarmi dietro l’Innocentino, di
renderlo partecipe dei nostri piani anche se ogni volta era una ben dura lotta
schiodarlo dai libri di scuola. Sembrava voler passare il minor tempo possibile
con noi, al punto da entrare in dormitorio solo per riposarci (e a volte neanche
di quell’onore ci degnava). Come se avesse potuto trovare in tutta la scuola una
compagnia migliore della nostra, figuriamoci.
Alla fine, però, la mia
insistenza aveva avuto la meglio.
Non era una particolare
predisposizione nei suoi confronti, la mia, anzi (lo trovavo un tipo decisamente
scialbo), ma semplicemente la scelta più logica: il ragazzo, a dispetto della
noia che emanava con la semplice presenza, aveva un sangue freddo invidiabile,
l’ammirevole qualità di tenere la bocca chiusa a meno che non fosse strettamente
necessario, e soprattutto quella faccia angelica da bravo ragazzo che tediava
me, che procurava ripetuti orgasmi ai professori e che, soprattutto, in quei
casi si rivelava immensamente utile. Quando ero con lui, tra le altre cose,
assumevo sempre l’aria contrita di chi sta ricevendo una strigliata.
Ottimo.
La prima sera toccava a noi
andare in avanscoperta: ci si era messi d’accordo per partire “dal basso” e
andare in direzione dell’aula di pozioni, giù nelle segrete, in un punto in cui
avevamo notato il pomeriggio stesso una parete dall’aria decisamente sospetta.
Le gambe però (e quelle assurde scale) mi avevano trascinato invece al corridoio
del terzo piano e Remus, docile come sempre, mi aveva seguito senza un fiato.
Tanto qualcosa l’avremmo trovato
di sicuro, me lo diceva l’istinto. Remus invece si era dimostrato tacitamente
scettico, ma non aveva obiettato. A lui non importava dove si andasse, purché si
tornasse in fretta.
Naturalmente, nell’atto pratico
avevo finito col controllare nicchie, sollevare cornici e palpare pareti lungo
tutto il corridoio sotto lo sguardo indolente del mio compare (perché non
esisteva che mi desse una mano, proprio come coi compiti di scuola, anche se tra
noi due era decisamente quello più attento ai particolari) fino a farmi
diventare le mani nere senza rinvenire un emerito nulla.
Volsi lo sguardo in direzione
della scalinata, detergendomi il sudore dalla fronte con un gesto meccanico.
Nemmeno mi avvidi delle lunghe ditate scure impresse nella pelle. Remus non
prestava la benché minima attenzione né a me né tantomeno ai due lati del
corridoio, nel caso in cui fosse arrivata gente (che razza di palo!): se ne
stava a fissare incantato la statua di un’orrida strega gobba a grandezza
naturale, facendo scorrere pigramente, curioso, le dita contro la superficie
compatta, saggiandone la consistenza e le imperfezioni in ogni suo centimetro,
nello sguardo una viva curiosità. Da come se la palpeggiava avrei detto che
quella vecchiaccia fosse il suo tipo ideale.
Chissà che idiozia da secchione
aveva trovato.
Non mi preoccupai di reprimere
uno sbadiglio spalancando la bocca fino al massimo consentito dalla mascella.
Mi ero stufato.
“Qui non c’è niente.”, avevo
sentenziato ficcandomi le mani nelle tasche e facendo per avviarmi in direzione
della torre del Grifondoro. “Torniamocene in dormitorio, così mi fai copiare il
tema di Trasfigurazione.”, azzardai con un mezzo sorriso, non troppo convinto
delle mie stesse parole.
“Non contarci.”, mi era stato
risposto con aria altrettanto annoiata.
Ma me l’aspettavo. L’avevo detto
al solo scopo di irritarlo. Lui d’altro canto faceva lo stesso con me. Era un
tacito gioco, il nostro, deciso di comune accordo.
Azzardai qualche passo in
direzione della scalinata per poi girarmi nuovamente nella sua direzione,
cercando di capire cosa avesse intenzione di fare. Niente di veloce, a quanto
pareva.
Rimasi con le mani in mano,
intrecciate sullo stomaco, puntellando le spalle contro il muro, e lo osservai
voltare il palmo verso il viso e scrutarsi i polpastrelli luridi con aria
critica: arricciò le labbra in una smorfia disgustata, dopodichè si strofinò
distrattamente le dita contro il lembo della veste, prima di afferrare
saldamente la bacchetta e azzardare un paio di colpetti contro la pietra. Era
come estraniato dalla realtà, come se fosse solo. A quanto pareva non aveva
alcuna intenzione di seguirmi.
Non che mi interessasse di
fargli da balia, ovviamente (benché desse l’aria di un tipo decisamente
bisognoso di aiuto, con quelle occhiaie scure a cerchiargli perennemente le
orbite e il pallore della pelle), ma l’idea di essere ignorato a tal modo da uno
come lui era, dal mio punto di vista, decisamente seccante.
“Lupin, torniamo dagli altri.”,
ordinai con piglio deciso.
La mano che teneva la bacchetta,
dopo un primo momento di incertezza sul da farsi, rinfoderò l’arma tra le pieghe
della veste (anche se avevo l’aritmantica certezza che per un istante avesse
seriamente ponderato l’ipotesi di Schiantarmi se non fosse stato così ligio alle
regole) e mi si avvicinò a passi lenti e calcolati, non senza gettare un’ultima
occhiata da sopra la spalla.
Ci incamminammo poi spalla a
spalla per le scale.
“Cos’hai trovato di interessante
vicino a quella brutta statua?”, domandai dopo un paio di gradini, incapace di
trattenere l’infantile curiosità che mi contraddistingueva.
“Niente che ti riguardi.”
“Dimmelo lo stesso.”
“Scordatelo.”
Alle mie pressanti insistenze
sollevò gli occhi al cielo fissandomi poi con uno sguardo esasperato e dai denti
fuoriuscì uno sbuffo acuto, quasi un sibilo di serpe. “Santo Merlino, Black,
sembra che tu ne faccia una vera e propria missione del tuo essere
insopportabile.” Si passò una mano tra i capelli, stizzito, tirandosi indietro
la frangia troppo lunga con un gesto scostante nella sua meccanicità, e non
potei fare a meno di notare nel più totale disinteresse, nel breve istante in
cui la stoffa della veste si era sollevata sull’avambraccio, un’impietosa
cicatrice scarlatta a percorrergli l’arto superiore in lunghezza. “Perché non
vai a scocciare tuo fratello, tanto per cambiare?”
Mi fermai di colpo, voltandomi
nella sua direzione con gli occhi accesi: ma lui era lì, con lo sguardo mogio e
discreto fisso sul mio viso, in un atteggiamento non di sfida, quanto piuttosto
di pacato rispetto, e di placido interesse e curiosità, e come avrei potuto
rimproverarlo di qualcosa?
Improvvisamente mi venne da
ridere.
Gettai la testa all’indietro
abbandonandomi a una risata rumorosa, sguaiata, folle, che mi scosse da capo a
piedi al punto che dovetti reggermi allo spesso corrimano di pietra per non
perdere l’equilibrio.
Ridevo, e ridevo ancora, fin
quasi a spremermi le lacrime dagli occhi, mentre Remus mi fissava perplesso, la
nuca leggermente piegata di lato, non sapendo come interpretare la mia reazione.
Comprensibile, in un certo senso.
Anche a me, del resto,
quell’allegria pareva in qualche modo immotivata.
“Non sprecherò di certo il mio
tempo con quell’idiota di Regrettulus!”, ululai divertito, e il suono di quel
crudele, infantile nomignolo che io stesso avevo affibbiato a mio fratello
quando eravamo più piccoli ad echeggiare nel corridoio deserto fece scattare in
me qualcosa di nuovo e in qualche modo malinconico nella sua insipidezza.
Di colpo smisi di ridere, e le
iridi seminascoste dietro le ciglia ignorarono l’espressione senz’altro pregna
di significati sul volto del mio compagno di scorribande e si fissarono
incantate sulla punta delle mie scarpe impolverate, le labbra raggelate in una
smorfia obliqua, incerta.
Tornammo insieme ai dormitori
senza più scambiarci una parola.
L’idea di essermi fatto
raggiungere dai pensieri e dai ricordi mi aveva irritato.
Una notte di fine agosto avevo
avuto un risveglio cupo e tumultuoso per un incubo dai contorni indefiniti, con
una innaturale sensazione di gelo sulle guance congestionate da un leggero
raffreddore estivo che mi aveva costretto a letto per tutta la giornata. Subito
avevo aguzzato gli occhi ancora sopiti nel buio alla mia sinistra, come facevo
sempre appena sveglio, alla ricerca della sagoma familiare di mio fratello a
rigonfiare le lenzuola, ma per quanto mi sforzassi non riuscivo a vedere nel
giaciglio accanto al mio nessuna traccia di presenza umana.
Il cuscino pareva gonfio,
intonso.
La coperta azzurra piatta e
innaturalmente tesa.
Non era una novità svegliarmi da
solo in una stanza vuota, la notte, e in quei momenti mi sentivo non inquieto,
quanto piuttosto sollevato. Le assenze notturne di Regulus erano uno dei punti
fermi su cui poggiavano le fondamenta della mia esistenza. Con la testa ancora
un po’ annebbiata dal sonno e dai rimasugli di febbre ipotizzavo dove mai fosse
potuto andare a quell’ora tarda.
Forse non riuscendo a dormire
era andato in giro a bighellonare per i corridoi deserti alla ricerca di qualche
occasione per giocare qualche nuovo tiro ai parenti in occasione della festa di
fidanzamento di nostra cugina Bellatrix che si sarebbe tenuta lì proprio
l’indomani. Forse era in cucina a rubacchiare dalla credenza in alto un paio di
quei Biscotti della Fortuna che ci aveva portato lo zio Alphard dal suo ultimo
viaggio in Cina. A dispetto del nome non portavano affatto fortuna, la loro
unica qualità era donare il buonumore per un giorno intero, e secondo lo zio
nostra madre ne avrebbe avuto un gran bisogno. Oppure, congettura decisamente
meno verosimile, non aveva in mente nulla di losco ed era semplicemente andato
in bagno in preda ad irrimandabili esigenze.
Un anelito di brezza, un soffio
appena, mi scorse fresco e umido giù per la spina dorsale assieme al sudore
bollente che m’impregnava la pelle, in un contrasto energico che mi provocò un
improvviso sussulto.
Quel deficiente di mio fratello,
fregandosene bellamente del mio malore, doveva aver aperto la finestra non
riuscendo a sopportare il caldo afoso dell’estate inoltrata. Adesso però lui non
c’era e io stavo tremando di freddo.
Imprecai a fior di labbra
stringendo la bocca in una linea esangue, perché nostra madre non voleva che
usassimo certe parole e quell’idiota di Kreacher era sempre dietro a qualche
parete a farsi i cazzi degli altri.
Mi volsi dall’altra parte
allungando un braccio verso il comodino per accendere una candela di modo tale
che mi rischiarasse la strada fino alla finestra, ma mi resi conto che la stanza
era già impregnata della luce liquida e azzurrina della notte. Una luna tonda e
piena pendeva a metà strada tra l’orizzonte e la cima del cielo, gocciolando
latte nelle cime degli alberi del viale e sui tetti puntuti e lucidi di pioggia
delle case attigue. E lì, davanti alla finestra spalancata, con le dita dei
piedi nudi poggiate su un corto sgabello di legno per raggiungere il cornicione
coi gomiti, la sagoma scura di mio fratello a voltarmi le spalle accogliendo su
di sé quei tiepidi raggi. Aggrottai le sopracciglia, infastidito. Aveva indosso
solo i pantaloni del pigiama leggero, e la pelle d’oca a sollevargli impietosa
la pelle della schiena.
Si prenderà un malanno e poi
darà la colpa a me.
Anche se a lui non importava di
malato bastavo io in casa.
“Regulus… Chiudi la finestra.”,
lo chiamai incerto, assonnato, e sull’ultima sillaba sentii la voce incrinarsi,
piegata in una supplica rauca. Così non sembravo stanco, ma moribondo, e quel
che peggio immensamente lagnoso. Ma non riuscivo a strappare alla mia gola altro
tono di voce. La malattia era uno stato d’essere che mi distruggeva, benché
detestassi pozioni medicamentose di qualsiasi genere, cosa che mi portava a
restare indisposto molto più del normale.
Regulus era rimasto immobile,
assorto, a fissare il cielo stellato come se vedesse scritto in quel puntini di
luce il senso della vita: era come se avessi parlato all’aria, e quel che forse
mi parve paradossalmente più strano fu il fatto che non me n’ero stupito neanche
un po’.
Non ero mai riuscito ad imporre
la mia supremazia di fratello maggiore con Regulus. Naturale, pensavo, dal
momento che non potendo né volendo, per indole, star dietro a quel suo animo
indisciplinato non vedeva in me una figura d’autorità. Io non lo seguivo in
continuazione nelle sue pazzie come mia cugina Andromeda.
Non frenavo le sue folli corse
come nostra madre.
Fluttuavo a metà strada tra i
due estremi.
Quindi, per lui non esistevo.
Sospirai stizzito, scotendo la
testa.
“Che stai facendo?”, domandai
con voce più ferma.
Lo vidi sussultare quasi
impercettibilmente come se solo in quell’istante si fosse accorto della mia
presenza nella stanza, con fare che avrei potuto definire solo teatrale dal
momento che sapevo che stava solo simulando l’atto della sorpresa, per poi
voltarsi nella mia direzione con un gesto secco che fece saltellare le corte
ciocche scure della testa riccia sulla fronte e le orecchie. La luce lunare gli
colpiva la faccia e le spalle nude come una secchiata d’argento.
“Hai un aspetto orribile,
Siri.”, sentenziò serio posandomi addosso il suo sguardo critico: sui miei occhi
gonfi, il naso arrossato e gocciolante, la pelle sudata. Ero pienamente
consapevole di non essere al massimo dello splendore, ma anche se non era
piacevole sentirselo rimarcare la cosa che più mi urtava era l’uso di quel
nomignolo sciocco che mi avevano affibbiato le mie cugine.
Mi asciugai il naso contro la
manica del pigiama.
“Sono malato, idiota, che
aspetto dovrei avere secondo te?”
Per tutta risposta sulle labbra
comparve un sogghigno divertito.
“Mio caro ragazzo…”, cominciò,
sollevando con fare saccente l’indice e chiuse gli occhi tirandosi indietro una
ciocca di capelli immaginaria, in una superba imitazione di nostra madre che mio
malgrado mi fece sollevare verso l’alto un angolo della bocca, nella patetica
imitazione di un sorriso. “Un vero Black sa sempre come presentarsi al meglio,
con grazia, eleganza e fascino, in qualunque occasione si presenti, sia essa il
matrimonio più lieto o il giorno del proprio trapasso…”
Alzai gli occhi al cielo mentre
Regulus continuava a sciorinarmi addosso un discorso di cui conoscevo pause e
virgole, anche se detto con quell’aria cretina sembrava quasi divertente.
Quella era una delle lezioni
preferite di nostra madre: di quelle che, in quanto erede, mi toccava sorbire
ogni giorno affinché venissi “consapevolizzato”. Era importante per lei che
venissi a conoscenza fin dalla più tenera età del mio ruolo, che dovessi sapere
da subito cosa ci si aspettasse da me. Regulus non era obbligato ad ascoltarli
ma restava lo stesso, seduto al tavolo della sala da pranzo con le gambe a
ciondoloni sulla sedia e il mento poggiato tra le mani a sopportare quelle
lagne. E poi me le riproponeva nei momenti più impensati, solo per farmi
dispetto.
Inutile voltare la testa o
chiudere gli occhi, invocare mentalmente un alito di vento a spazzar via i
pensieri. Quelle parole mi si erano talmente incastrate nel cervello da non
poter più fare a meno di ascoltarle.
Accolsi con sollievo la
decisione di Regulus di tacere, un minuto dopo o poco più. Lo osservai con
curiosità assumere un’aria meditabonda portandosi l’indice e il pollice della
mano destra al mento. Poi sollevò la nuca per fissarmi dritto negli occhi, le
iridi azzurro pallido a risaltare contro la pelle inscurita dalle ombre definite
della notte, e aggiunse, con aria insolitamente seria:
“Fratello, mi sa tanto che ti
hanno adottato.”
Proprio non riusciva a fare a
meno di quelle malignità.
“Va’ a dormire se non vuoi che
ti prenda a sculacciate!”, minacciai artigliando le lenzuola con le unghie fino
a sentirmi tremare il tessuto nei palmi, pronto a scostarle per mettere in atto
le mie promesse, e fu con una certa soddisfazione che lo vidi tentare
istintivamente un passo all’indietro, contro la parete. Non gli avevo mai alzato
una mano addosso, ma sapeva che ero perfettamente in grado di dargli una
battuta.
Ero più grande e più forte di
lui, dopotutto.
“E chiudi quella finestra, sto
gelando!”
“Non posso.”, sbottò con quel
tono stridulo e cocciuto che ne rivelava l’effettiva giovane età a dispetto del
suo atteggiarsi alla vita ironico e distaccato. Indicò col dito la luna piena.
“Sto cercando dei licantropi.”
“Che stupido.”, gemetti affranto
abbandonandomi contro il cuscino, il dorso della mano a coprirmi teatralmente la
fronte in un moto di spossatezza mentale totalizzante. “Non ci sono licantropi a
Londra. Non in questa zona. Il Ministero non permette certo che quelle bestiacce
girino per le strade in mezzo ai Babbani.”
Incrociò le braccia. “Bella ha
detto di sì.”
“Bella è pazza!”
Nelle mie parole era molto,
troppo udibile mio malgrado, una sottile ma inconfondibile nota di isteria
infantile. Questo perché da piccolo, a causa di quelle storielle paurose che
vengono raccontate ai bambini per non far dare loro fastidio, mi era stata
inculcato un terrore feroce verso i lupi mannari, al punto che persino molti
anni dopo l’arrivo alle spalle di Remus, con quel suo passo sottile e il respiro
lento, controllato, mi avrebbe fatto sobbalzare come una molla.
Regulus sembrò trovare la mia
reazione estremamente divertente nella sua prevedibilità e cominciò a scuotere
le spalle in una placida risatina. “Probabilmente hai ragione, non ci sono…”
replicò rivolto alla strada, gli occhi attenti ad ogni ombra fugace della notte,
e io sapevo benissimo che non ne era affatto convinto, che lo diceva solo per
non umiliarmi più di quanto non fosse necessario al suo dileggio. “Ma te la
immagini la faccia della mamma se vedesse uno di noi due in compagnia di quegli
animali?” Lanciò un’occhiata fugace oltre la spalla, godendosi l’espressione
senza dubbio eloquente sul mio viso smunto. La stavo immaginando veramente, la
faccia della mamma. “Non ti viene la tentazione di andar fuori a vedere?”, mi
chiese con fare birbante.
Poi piegò le labbra in uno dei
sorrisi che mi rapivano.
Quando accantonava
quell’infantile, subdola malizia che a noi Black veniva inculcata nel sangue
assieme al nutrimento materno (veniva da chiedersi dove fosse andata perduta la
mia, dal momento che non ero mai stato l’uomo delle sfumature) Regulus aveva un
modo di ridere delizioso. Tra il timido e lo sfrontato, come se non riuscisse
mai a decidersi tra l’abbandonarsi alla contentezza e il tirarsi indietro. Il
mio sorriso ha sempre dato adito a pochi dubbi.
Sfrontato e basta.
A volte irritante, o minaccioso,
ma niente di più.
Nulla nel mio comportamento che
mi tornasse davvero utile nel momento in cui si necessitava di istigare negli
altri una qualche forma di perdono o perlomeno di simpatia. Regulus era diverso,
a lui si perdonava sempre tutto, non importava quanto la combinasse grossa; se
rovinava la festa di fidanzamento della cugina o riempiva la caraffa del vino di
Pozione Lassativa il giorno dell’arrivo dei nonni.
Per lui era sempre pronto
l’indulto.
L’ultima volta che avevo alzato
la voce mi era arrivato uno schiaffo. Non mi ero mai spiegato come fosse
possibile questa differenza di trattamento. E in quel momento, con la luce della
luna a impregnare la notte e col suo sorriso ancora caldo nella testa, la
curiosità aveva preso il sopravvento e le mie labbra si erano mosse da sole nel
formulare quella domanda che mi premeva nel petto da una vita.
“Come fai, Regulus?”
Mio fratello mi aveva fissato
inarcando un sopracciglio sottile con fare perplesso. “Salto giù dalla finestra
e mi arrampico per la grondaia.”, disse. “L’ho fatto altre volte.”
Scossi la testa, sogghignando
tristemente e pensando a tutte le volte che l’avevo visto sparire oltre il
cornicione e correre per la strada, per poi tornare solo all’alba, un istante
prima che Kreacher entrasse in camera con la colazione.
Non era decisamente quello che
intendevo.
“Tu non hai mai paura di farti
cancellare dall’arazzo di famiglia?”
“Perché, tu sì?”, aveva
replicato divertito.
Io però non avevo risposto.
Non lo sapevo.
E all’improvviso avevo la testa
così confusa…
I pensieri mi giravano attorno
come boccini impazziti.
Premetti la guancia
incandescente contro la federa del cuscino, e mi lasciai sfuggire un mugolio
indistinto.
“Sirius, a volte viene il
sospetto che tu non appartenga a questa realtà, o che sia stato tenuto rinchiuso
ad Azkaban fino adesso…” La voce di Regulus era impietosamente dura e fredda
contro le pareti doloranti della mia testa, eppure berciata suo malgrado di
un’insolita, temperata dolcezza. Doveva essersi accorto, se non del disagio che
le sue parole mi avevano causato, del peggioramento improvviso del mio stato di
salute causato dal freddo preso a causa sua, perché aveva chiuso la finestra
cercando di fare il minor rumore possibile e mi si era avvicinato,
inginocchiandomisi accanto.
Presi una nota mentale
dell’avvenimento.
Era necessario fare pietà a mio
fratello per farmi ascoltare.
“Sei più grande di me, sei il
primogenito, e ancora non hai capito come funzionano le cose in questa casa.”,
cantilenava come una nenia con quella vocetta infantile ridotta ad un soffio che
continuava a incalzarmi con il sapore dolciastro di un tenero bacio, mentre la
sua mano fresca saliva a scostarmi dalla fronte una ciocca di capelli fradicia
di sudore. “Tutti quei discorsi che devi sorbirti ogni giorno e che tu ti
rifiuti di ascoltare dicono solo una cosa: che finché non oltrepassiamo il
limite noi Black possiamo permetterci tutte le sciocche pazzie che vogliamo.”
Ma dov’era quel dannato limite?
Fino a dove ci si poteva
spingere?
Il silenzio e l’incoscienza mi
agguantarono come avrebbe fatto quel grosso cane nella casa di fronte alla
nostra, per la vita, e mi trascinarono lontano dilaniandomi la pelle con le loro
zanne a uncino. E lì in quella casa, tra i parenti, o nel buio di una stanza che
in quel momento era davvero solo mia, stavo come un fantasma che c’era e non
c’era.
Nella famiglia Black, del resto,
funziona così.
Gli errori non si pagano.
Più semplicemente, si
cancellano.
Finalmente, spinto dalla noia
ignava di quelle rare serate pigre ed indolenti in cui non ci veniva in mente
assolutamente niente da fare, ero riuscito ad addormentarmi ad un orario
abbastanza decente, ma il mio sonno era talmente leggero da intrecciarsi con
l’insulsa, statica realtà che mi circondava, negandomi la consolazione di un
oblio concreto.
Alla mia sinistra avvertivo
l’indistinto scricchiolio della punta della piuma d’oca sbrecciata di Remus che
si imprimeva sulla pergamena spessa in maniera così totale da vedermelo nella
testa, lussuriosamente spaparanzato sul letto a baldacchino con l’immancabile
libro di turno sul cuscino a fare da base al foglio: le labbra leggermente
dischiuse, le sopracciglia folte color miele, una delle quali scheggiate da uno
spacco trasversale, a suggerire una capacità di concentrazione quasi dolorosa,
tutto intento a ricopiare degli appunti di chissà che materia con quella sua
scrittura fine e minuscola da ragazzina oppure, forse, impegnato a scrivere
l’ennesima missiva alla madre malata. Mi ero sempre domandato cos’avessero da
dirsi di tanto interessante da sentire il bisogno di scriversi ogni settimana.
Ma erano affari suoi.
Come sempre del resto.
A destra mi giungeva
l’inconfondibile, basso e costante russare di Peter, e mi parve impossibile non
provare un moto di indicibile invidia nei confronti di una persona che riusciva
ad abbandonarsi tanto interamente ad un sonno ristoratore. Del resto, se c’era
una persona in grado di fare del sonno una vera e propria componente base
dell’esistenza, questo era proprio Peter. Anche se poi con tutti quei rumori
rendeva impossibile il sonno a noialtri.
Un sospiro giunse dalle parti
della finestra. Era James che contemplava melanconico la sagoma del campo di
Quidditch che nereggiava contro la notte argentata. La sua era diventata una
vera e propria ossessione da quando l’anno prima, il giorno in cui per
togliermelo dai piedi l’avevo praticamente obbligato a prender parte alle
selezioni della squadra in qualità di Cercatore, era stato tacciato di profonda
incompetenza ed escluso senza possibilità di ricorso. Era stata anche una
conclusione della vicenda piuttosto scontata dal momento che, miope com’era,
riusciva a malapena a trovarsi la scopa sotto alle chiappe, figurarsi un
boccino, ma lui l’aveva presa su un piano personale e da quel momento aveva
deciso che il sogno della sua vita era sempre stato fare il Cacciatore, e che
solo lui avrebbe potuto portare la “sua” squadra alla vittoria, se solo gliene
avessero dato la possibilità.
La realtà si intrecciava col
sogno e col ricordo di una figura impettita seduta lontana, su uno sgabello di
legno malfermo: la luce orgogliosa nello sguardo impavido e il viso teso nella
mia direzione in attesa di qualcosa di inesplicabile, il sorriso sicuro e
quell’elegante cappio verdeargento ben annodato al collo.
Mi svegliai di soprassalto con
un sussulto ma senza sollevare le ciglia, col corpo che, contravvenendo agli
ordini perentori della mente, cocciutamente rifiutava di svincolarsi totalmente
a quei pensieri. Le parole che avevo detto la sera precedente a James, sibilate
amaramente con un ghigno perfido nel momento in cui il Cappello Parlante aveva
pronunciato la sua sentenza, mi risuonavano ancora nella testa.
Ora spaventosamente vacue nella
loro giustezza.
“Serpeverde è il luogo adatto
per gente come lui.”, avevo sentenziato.
Eppure, per un breve,
infinitesimo istante avevo davvero sperato che non lo fosse.
Ma avrei dovuto saperlo.
Del resto aveva imparato presto
a destreggiarsi, il piccolo Regulus.
Io sono sempre andato avanti a
tentoni nella vita, arrancando a fatica, spingendomi sempre avanti di un poco
alla volta, come il neonato che azzarda i primi passi incerti. Mio fratello, al
contrario, fin dall’inizio della sua esistenza ha inceduto sicuro nei confini
che gli erano stati imposti dal credo di famiglia e dalle imposizioni sociali
con una naturalezza che sconvolgeva la mente.
Il carattere, poi, crescendo era
decisamente maturato, ma me n’ero accorto solo una volta tornato a casa,
all’inizio delle vacanze estive. Andava somigliando sempre più a nostra madre:
benché con me mantenesse sempre quell’atteggiamento di strana, contrastata
complicità che ci aveva caratterizzati da sempre si era fatto freddo, un po’
taciturno, a tratti placidamente scostante, e aveva abbandonato quel vizio
infantile di mettere il broncio come le bimbe chiudendosi in un cocciuto
silenzio quando le cose non andavano alla sua maniera.
Non l’avevo più visto combinare
pazzie.
Non glielo permettevano, mi
aveva detto quella notte in un cui, con mio totale stupore dal momento che non
avevamo sentito il bisogno di simili manifestazioni d’affetto neppure quando
eravamo molto piccoli, era venuto a cercare il mio abbraccio sotto le coperte in
seguito a un incubo.
A quelle parole, pronunciate con
la più innocente sincerità senza biasimi di sorta, le spalle mi si erano
incurvate sotto il peso di un insopprimibile senso di colpa e avevo sentito il
bisogno, per la prima e ultima volta nella mia vita, di scusarmi con lui.
Scusarmi davvero. Sapevo che mia madre non mi avrebbe mai perdonato.
Non poteva.
Nemmeno volevo che lo facesse,
perché non era da lei che cercavo il perdono. Ma Regulus le meritava quelle
scuse.
Per tutta risposta, contro ogni
mia aspettativa, mi derise proprio come faceva sempre. Perché non avrei dovuto
credermi il centro supremo dell’universo, né delle scelte educative di mamma e
papà. Perchè sarebbe dovuto crescere in ogni caso, dal momento che era si era
stufato di cercare i licantropi fuori dalla finestra.
Quello fu l’equivalente della
più sentita delle assoluzioni.
Ma io non sono Regulus, e non lo
sono mai stato.
Io non indulgo nemmeno con me
stesso.
Semplicemente, distolgo lo
sguardo.
Come il giorno in cui Regulus,
prima ancora che volgersi a quelli che sarebbero diventati i suoi compagni di
casa, prima ancora di specchiarsi nel gelido orgoglio screziato di sollievo di
Narcissa, incatenò i suoi occhi nelle mie palpebre serrate, e in quel gesto di
rifiuto non vi trovammo altro che una domanda.
Com’è potuto accadere?
D’improvviso mi parve tutto
molto buffo.
Ironico.
Preso da un irrefrenabile
istinto mi abbandonai ad una risata solitaria, muta, che in un attimo si tramutò
in cascata silenziosa, pioggia dissennata che mi sconquassò il corpo come una
tempesta.
James sospirava ancora alla
finestra, il naso e i polpastrelli a premere contro il vetro come se potesse
passarvi attraverso per un miracolo del desiderio.
Peter continuava a russare.
Remus fu il solo ad accorgersi
di quella mia desolazione. Sdraiato su un fianco nel letto accanto al mio, nella
mia direzione, con le tende a baldacchino spalancate ad accogliere la luce della
notte sulle pagine di un libro dall’aria decisamente importante trafugato dalla
Sezione Proibita della biblioteca, taceva. Troppo preso dalla lettura per
alzarsi, si limitò a fissarmi con occhiate fugaci, gli occhi indifferenti ma
anche sbalorditi.
Perché i singhiozzi senza voce
sono come lampi senza tuoni.
Qualcosa di mutilo e sgraziato.
FINE
Commenti di fine capitolo
Doverosi, direi a questo punto.
Bene, la storia si conclude qui.
Si conclude così, in maniera volutamente castrante e inconcludente. Perché lo
sappiamo tutti come continuerà, lo sappiamo tutti che questa non è la fine e una
morte ma un inizio e una “rinascita” di Sirius, perché mi piace pensare che quel
pianto di Sirius sancisca un lasciarsi tutto alle spalle. Per cui, dire altro
sarebbe risultato veramente troppo. E se proprio non riesce a piacervi questo
finale, apprezzate almeno che l’ho conclusa, questa storia! XD
Ah, si necessita di una noticina in più: mi ha fatto giustamente notare Rik Bisini un paio di cose che necessitano giustamente di una breve spiegazione (magari son cose che io do per scontato perchè sono l'autrice! XDDD): allora, innanzitutto si chiede come da questo Regulus, di questa storia possa uscire fuori il Mangiamorte che tradisce Voldemort. Io la spiegazione ce l'ho pure, ma ci sarebbe da scrivere una fic intera e la fic nn parla di Regulus. Per cui, può darsi che scriverò una fic sull'argomento e ne rimarrete sorpresi! ^_-
Dubbio numero due, la fine frettolosa. Ammetto che in un'altra fan fic avrei visto questo esser frettolosa come un mio limite, una mia voglia di sbrigarmela in fretta (d'altronde, mica sono Pigra con la P maiuscola per niete! XDD), ma in questa la vedo come un traguardo raggiunto. E spiego: l'elemento castrante e inconcludente per cui ero sicura (ho i testimoni! XD) che questo finale non sarebbe piaciuto a tutti erano dovuti proprio a cose come questa. ^^ Il fatto è che è una cosa che si sente e c'è per tutta la storia questa realizzazione. E' nei non detti, tra le righe. Lo sa anche Sirius che c'è, è parte di lui. Per questo la realizzazione arriva così, di punto in bianco, coem la cosa più normale del mondo.
Naturalmente ringrazio da morire Rik per avermi permesso di cogliere l'occasione a spiegarmi su questi punti. ^^
Ne approfitto per ringraziare sentitamente chiunque abbia avuto il buon cuore
non solo di leggere (ma anche quello merita un plauso! XD) questa umile trilogia
(E che san George – Lucas – abbia pietà della nostra anima blasfema), ma anche
di apprezzarla.
Piccola nota esplicativa sul capitolo: il Regretto (da cui
REGrettULUS, il nomignolo che Sirius affibbia al suo fratellino. Mi
piace inventarmi i nomignoli anche se sono stupidi! *.* ma non si nota, noooooh!
XD) è il rammarico, il rincrescimento. Viene anche utilizzato per indicare i
lamenti che si indirizzano ai morti e per esteso è sinonimo anche di lamento, di
piagnisteo. In pratica non è un nomignolo molto lusinghiero quello che Sirius dà
a suo fratello.
Lasciando un commento naturalmente farete la mia
gioia sempiterna. ^^
Passiamo ora ai commenti individuali.
Kar: Ora io mi chiedo, sinceramente, come fai a leggere fic di un fandom
che non conosci! XD No, sul serio, immagino me a leggere una fic di (nome a
caso) Lost, che non ho mai visto in vita mia se non tramite i racconti
entusiastici di Boll, sarebbe frustrante da matti! XDDD A parte che non ci
capirei niente e mi perderei ¾ delle cose. Insomma, non so se ammirare il fatto
che leggi comunque o pensare “ma perché lo fa?” XDDD
Nel dubbio, propendo per una placida incertezza silenziosa! XD Anzi, no,
aggiungo che mio marito è felicissimo di essere trattato così da me, lui si
diverte a leggere le mie storie perché è come se leggesse la vita sfigata di
qualcun altro, e poi si sente di buonumore per un po’ di sbattipancia. : P Le
parolacce sono una triste necessità, mi devo sverginare da esse, in genere le
evito come la peste anche dove ci vorrebbe un bel sanpetronio. Si fa quel che si
può con la graforrea! XDDDD
Alexia: Azz, e io adesso sono tutta vogliosa di sapere COSA non vuoi/volevi
spoilerare (di Regulus I suppose, o forse di James visto che il commento in cui
facevi riferimento allo spoiler era quello per il capitolo 1), io spero di
saperlo nel commento a questo capitolo. Lo sai che le tue recensioni mi fanno
sbavare perché in poche parole riesci a dare una pennellata chiara e netta ai
miei personaggi, manco li avessi scritti tu. Le frasi finali in cui dipingi
Sirius (tra le altre cose fai anche capire che la sua visione egocentrica
dell’universo lo spinge naturalmente a filtrare la realtà attraverso il suo
giudizio) sono da sturbo, è ufficioso! Uffa, sono un po’ invidiosa di questa
capacità, sai quante pagine mi risparmierei se avessi le tue doti di sintesi? XD
Che dire sul tuo commento (anzi, sui tuoi commenti)?
Che come al solito mi spiazza piacevolmente.
Perché punti sempre sulle cose giuste! XD
Quella frase: “è interessante, perché non gli viene naturalmente [fare lo
stronzo]” è pura estasi. Perché è vero, è proprio così. Al di l delle parole che
usa per farcelo sapere in tutti i modi. Ecco, io penso che il punto da te
sollevato sul fatto che sia James a dare un’identità a Sirius (la sua, come
annoti sempre più giustamente tu) sia abbastanza pregnante anche in luce di
questo episodio. Ma non dico niente, non voglio spoilerare! XDDD Da questo punto
di vista il mio James tu sia stata una delle poche persone ad aver veramente
compreso il mio James.
Per il resto, arrossisco come una pupattola di fronte ai complimenti che vengono
da una scrittrice straordinaria come te.
Nykyo: Sperando che il commento di questo capitolo non ti dia problemi (azz,
ma non lo faccio apposta a fare i capitoli difficili da recensire per te! T_T
Non ho il Dono di altre persone!!! XD), chiacchieriamo un po’ dal momento che
cosa dovrei dirti?
Hai fatto un’analisi perfetta! XD
Non c’è bisogno che dica che su James ci hai preso TOTALMENTE, ti ho già
incensata abbastanza nelle note di inizio capitolo. XDD Poi ti abitui troppo ai
complimenti, basta! XD Che dire, paradossalmente proprio perché tu non lo
sopporti ti sei avvicinata più di tutti alla mia visione del personaggio in
questa storia (ma un po’ in linea generale a dire il vero). Perché a volerlo
vedere obiettivamente è vero. James è una persona fondamentalmente normale nel
suo essere infame. Vuole trasgredire ma per gioco, non per effettivo “bisogno”.
Lui è felice della sua vita e di quello che è, per cui perché rovinarsi? Al
tempo stesso però c’è la voglia di spingersi oltre, di osare. O d ivedere fin
dove si può osare. Ed ecco Sirius. Ora, io naturalmente non dico che sia SOLO
questo, che sia un’amicizia ipocrita la loro. Si volevano bene. Ma c’è anche
questo, nel mezzo, altrimenti mai nella vita secondo la mia modesta visione
delle cose Sirius e James si sarebbero mai potuti trovare, dal momento che sono
due portati per carattere a primeggiare su CHIUNQUE.
Su Sirius, che dovrei dirti, che sbagli?
Ma non sbagli per niente! T.T
In niente.
Io per prima sono del parere (e qui la maggior parte delle fan di sirius vorrà
le mie chiappe su un vassoio) che Sirius e Severus siano in fondo in fondo due
facce della stessa medaglia. Molto simili per certi aspetti, profondamente
diversi in altri (naturalmente, altrimenti avremmo due gemelli! XDDDD). Come
dici tu la differenza sostanziale sta nel fatot che Sirius, checché ne dica
Walburga, è un Black fino al midollo. Severus no, ma questo non è
necessariamente un male se essere Black significa essere come il mio Sirius. ^^
Questo volevo esprimere, questo tu hai colto (e detto da una pitonica, che
soddisfazione, permettimi! XD). Ma anche se così non fosse non poteri mai
offendermi per una simile frase, perché so quanto ami Severus e so quanto per te
significhi dare a Sirius questo appellativo. ^^
Un appunto. Quando tu mi chiedi “possibile che nessuno senta il suo grido di
aiuto?” a me, non so perché, viene subito in mente Neville. Neville lo stupido,
Neville l’ignorato. Neville che più di Harry meriterebbe affetto da chi gli sta
intorno, Neville che non lo ottiene. Per cui mi viene da risponderti “sì, è
tremendamente possibile, ed è reale.”
Ehehehehe, sì, so come ci si sente a leggere qualcosa su un personaggio che
proprio non si vorrebbe vedere nemmeno col lanternino e trovarsi ad adorarlo. Lo
so maledettamente bene, brutta Pitonica impenitente!!! XDDDD
Infine, arrossisco per i complimenti ma segretamente godo.
Grazie a te per le soddisfazioni che mi dai, come beta e come scrittrice! ^^
Starliam:
Uuuuh hai commentato veramente! XD Basta, ora mi sento in colpa per il mio
rifiuto infantile di non leggere le tue soltanto i virtù della coppia (io non
sono cosìììì è che mi disegnanooo) appena il tempo me lo concederà devo
assolutamente. In fondo ho fatto trenta leggendo le fic di Boll e Ny, facciamo
31 e leggiamoci quelle con Piton e Harry, che cavolo! XDDD Tanto poi se la
sofferenza sarà troppa ho sempre il jolly (la traduzione lily/james) da
affrontare! ^_- L’idea di far vedere i Malandrini quando ancora non sono
Malandrini mi solletica da un pezzo, ne avevo un’altra in cantiere ma la
tematica mi affascina molto!!!! *ç* Anche se TEMO che, come Harry, Ron ed
Hermione, CASUALMENTE in realtà abbiano diviso lo stesso vagone dell’Espreso di
Hogwarts!!!! XD Massimo rispetto per le idee dell’autrice, ma preferisco la mia
versione, è pù realistica! XD Detto questo, ti ringrazio un sacco per i
complimenti. Difficile in effetti che tu avessi potuto leggere una mia fic,
operiamo in ambiti troppo diversi (veramente opposti! XD), ma in virtù di questo
apprezzo veramente moltissimo i tuoi complimenti!
Anachan:
Stavolta non ci finisce nella m****, Sirius, apprezza lo sforzo, perché in
realtà dovevo fargli fare ben di peggio, poi ho pesato a te che dovevi disegnare
e mi sono trattenuta! XDDDD Heheheheeh ooooh, l’hai notato che c’era Remus in
sto capitolo. Brava, brava, non era facilissimo, è un acceno veramente infimo
(come poi infimi sono tutti gli altri per Sirius)! ^.^ Un po’ di Wolfstar ce
l’ha solo che non è molto dolce. Diciamo che in questa fic tra le righe ci sono
le MIE basi supreme del perché li vedo così bene insieme anche se secondo me si
odiano. \(^.^)/ Hooray! Hehehehe ma povero Peter, sono stata cattiva con tutti
io per lui provo molto affetto (giuro, mi fa tenerezza in qualche modo, anche se
è un infame! XD). Ah, e il mio Sirius non è che l’ho fatto schizzato forte.
E’ schizzato forte! XD
MoMo: Dal tuo commento entusiastico mi pare di intuire che forse hai una
passione per Sirius? XDDDD Hehehehe, personalmente ti capisco, anche se ammetto
che QUESTO Sirius (cioè di questa fic) averlo accanto deve trasformare la vita
in un lungo lento suicidio premeditato! XDDD Insomma, obiettivamente, che
pazienza che bisognerebbe avere! XDDD A parte quello, io ti ringrazio da morire
per i complimenti (oddio, diventare scrittrice proprio no, c’è gente che
decisamente lo meriterebbe più di me! ^^).
Anna Mellory:
Grazie mille, sono molto felice di trovare un’altra persona che condivida questa
visione di Sirius. Il mio spavento più grande è che sia così diverso dal tipico
carattere di Sirius del fandom che la gente fatichi a vederlo come il Sirius
della Rowling! Commenti come questo mi fanno molto piacere, come anche i
complimenti, mi fanno arrossire. Grazie per aver letto, apprezzato e commentato
la mia storia! ^^
Lizzyluna:
*.* Wow. E’ poetica la tua recensione. Spero davvero di essere riuscita a
creare, come dici tu, un personaggio che sotto la scorza ha la sua luminosità,
la sua stella, accidenti! Perché il problema con personaggi come i miei (ne
prendo atto, tremendamente irritanti! XD D’altronde se non lo fosse non potrei
amarlo, è proprio vero che la donna è fondamentalmente masochista! XDDD), è che
fai fatica a far comprendere che alla fine quello che vuoi intendere non è che
questo tipo ha solo oscurità e che finge, ma che riesce a trovare quel fragile
baluginio che lo porta ad andare avanti. Veramente, grazie per la tua
recensione! ^^
Francesca Akira89:
Hehehehe, non c’è Remus? E secondo te chi è il secchione di poche parole a cui
Sirius chiede i compiti? ^_- Distrattona! XD No, scherzo, era sottile il
riferimento a Remus (volutamente sottile ma sarebbe un discorso molto complicato
da dire! XDDD). Sì io James me lo immagino con la voce un po’ nasale! XDDD Mi sa
da supponenza la voce nasale.
_Vale_: Cavolo, che dire di fronte alla tua recensione? Che sono profondamente
felice! Non so se tu dia all’espressione “uscire dal foglio” la stessa che gli
do io, per me è una cosa molto importante e molto seria. Per me quando un
personaggio “esce dal foglio” ha quella scintilla che gli può conferire solo una
persona che questo personaggio lo ama veramente. Quindi, non hai idea del
piacere che mi hai fatto con le tue parole (tu hai dovuto rivalutare Sirius, e
se la mia storia c’è riuscita almeno di quel pochetto sono onorata, per me è
proprio amore e venerazione estrema e totale per il personaggio! XDDD). E non ti
preoccupare per la lunghezza delle recensioni, per me non è importante che una
persona si sforzi di allungare la broda se proprio non gli viene da dire più di
un tot. ^^ Sul serio, non è che perché sono una logorroica persa allora apprezzo
solo le recensioni lunghe (schifo non mi fanno, però, specifichiamolo! XDDDD).
Si può benissimo esprimere tutto quello che si vuole in poche parole, se queste
sono quelle che servono. ^^ Non so se sarà una delusione, ma il balzo temporale
da me saggiamente adoprato m’ha risparmiato di spiegare come questi due
diventano amici dall’odio totale e supremo che provava Sirius! XDDD Cioè, c’è
scritto, ma molto tra le righe e lascia al lettore la libertà di pensarla come
vuole.
Hehehehe grazie per aver notato la mia nota sulla scopa, a me fare questi
particolari stupidi piace troppo, ci starei su delle ore solo per questo!!!! ^^
Un bacio anche a te.
Free: Grazie per i complimenti, Free, mi fanno molto piacere! X) (questo è
il faccino da “come sto fremendo di gioia, sìììì!” XDD). Che dire, che ora son
curiosa di vedere se anche il secondo capitolo e la fine ti troveranno
“adorante” nei confronti di Sirius (che perde la connotazione da uccelletto di
bosco e assume sfumature decisamente più tragiche) oppure se dovrò sudare
freddo! XDDDD Ciao e grazie ancora! ^^
Redistherose:
Mi fa MOLTO piacere la tua recensione, io sono felicissima quando una mia fic
induce un lettore a lasciarmi un segno del suo passaggio. Quando poi questo
segno è riflettuto e ponderato è un orgasmo in più! ^_- Su James mi sono
espressa nelle risposte a Ny e di inizio capitolo per cui qui non dico niente.
In linea generale è vero che in genere Potter senior sembra decisamente senza
cervello, ma credo sia normale quando una persona normale come lui (perché è
davvero normale, un normale ragazzino con una normale amorevole famiglia e un
normale carattere/psicologia) si trova a dover fare i conti con persone
decisamente non normali come sirius e remus (peter nemmeno lo sto a nominare,
lui è il più matto. Ma non abbiamo notizie sul suo background e non so se sia
normale come james o no! ^^ Suppongo abbia lui pure la sua bella dose di traumi!
XD). Su Sirius in un certo senso hai ragione e in un certo senso no. E’ vero che
cerca di farsi amare, e apprezzare, ma non dalla madre, quanto piuttosto da se
stesso. Ma questo è chiaro nel terzo capitolo, nel secondo era facilmente
fraintendibile, ho fatto apposta! XDDD Sono bastarda? Sì! XD Non sarai mica
sorpresa! ^_- Io con sti film di HP sto già ridendo come una matta, quindi Lewis
sarebbe il meno (e poi visto che mi piace da impazzire Fenrir non vedrei nemmeno
tanto male la scelta! XDDD). Argh, mettere Thewlis e Sirius nella stessa frase,
muoio!!!!! XDDDDDD Mi attaccherò alla canna del gas esilarante pensando ai
frementi baffetti di Remus e sognando di vederli sul viso di Fiennes! ^_-
Chii: Con calma a recensire, non c’è bisogno che si sforzi nessuno o che si
tiri fuori dalla gola le parole a viva forza. Quando te la sentirai io sarò
sempre lieta di ricevere una tua recensione (visto che sono così fighe!!!! *.*).
Lo so, anche a me dispiace di aver tagliato la scena della “maledizione del
dormitorio femminile”, ma avrebbe allungato la broda, ahime!!! XD Già Sirius è
abbastanza pipparolo di suo, allungare ulteriormente sarebbe stato da suicidio!
XDDD Su james ho spiegato tutto sopra, per cui non dovresti più avere dubbi a
riguardo! ^^ Da un certo punto di vista io credo che tu abbia afferrato
pienamente quello che Sirius è agli occhi degli altri. Sul serio, credo che sia
la prima volta che capita. ^^ E’ una descrizione perfetta, la tua, di quello che
Sirius vuole sembrare, è quello che poi obiettivamente vediamo. Nella realtà
invece è un personaggio fragile, molto “pitoniano”, come me l’hanno definito in
altra sede! XD E’, per dirla poeticamente, una stella che ancora non brilla.
E
che forse non brillerà mai se non di luce riflessa.
Chi può dirlo? Può darsi che mi sbagli! ^_-
Grazie mille per i complimenti, sorellina adorata, arrossisco! *.*
Prima o poi finirò tutte le mie fic, giuro e spergiuro! XD
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