Introduzione:
è la prima
volta che pubblico in questo fandom, finora ho sempre e solo scritto e
recensito nella sezione di Dragon Ball. Mi sono appassionata a Loveless
recentemente, e mi ha incuriosito molto la natura del rapporto tra
Soubi (che
adoro) e Seimei, a mio parere di morboso amore non corrisposto, e anche
la
figura di Kio, nel mio modo di vedere innamorato di Soubi. Comunque
questa è la
mia visione, spero di non essere andata OOC con i personaggi, anche se
comunque
di Seimei si sa davvero poco e Soubi è abbastanza, come dire..
indecifrabile.
Comunque, spero vi piaccia, e ci tengo a precisare che io adoro i cani,
quindi
una delle frasi finali non è da intendersi in senso dispregiativo verso
di
loro.
La fiction
è situata
prima dell’anime e del manga, e la parte centrale in corsivo
è un
flashback di Soubi, mentre le frasi in corsivo qua e là
sono momenti e
parole che ho voluto evidenziare in qualche modo.
Ci tengo a
precisare che
Soubi non ha alcuna colpa nella situazione iniziale, la storia è
appunto
paradossale per questo motivo.
Buona
lettura, attendo
un vostro parere! Grazie! :D
ND
Chou [Farfalla]
I suoi
occhi blu e
incredibilmente intensi stillavano lente e copiose lacrime, calde e
brucianti
sulle guance rese contuse e bluastre dalla violenza, mentre le sue
spalle,
leggermente incurvate in avanti, si contraevano ritmicamente in spasmi
privi di
alcun rumore.
Sedeva sul
pavimento, le
gambe piegate contro il petto nel tentativo di placare i brividi che
scuotevano
il suo corpo esile, la cui schiena nuda e segnata da smisurate
cicatrici era
coperta soltanto da lisci e sparsi capelli color cenere.
Il suo
modo di piangere era
silenzioso e impercettibile: deboli singhiozzi gli spezzavano il
respiro
irregolare e sconvolto, producendo soltanto un tenue suono
inavvertibile.
Come per
gli altri
aspetti della sua persona, Soubi non dava alcuna importanza al proprio
dolore.
Non voleva essere consolato, perché dentro di lui albergava l’intima
convinzione di meritare tutto
quello
che gli veniva fatto; non amava affatto la commiserazione, raramente
permetteva
alle persone di scorgere i suoi reali sentimenti. Il pianto non era
altro che
uno sfogo momentaneo della propria debolezza, della propria
frustrazione,
inaccessibile e celato agli altri.
Malamente
raggomitolato
a terra, con le punte dei piedi nudi che sfioravano i bordi di una tela
ruvida
e intatta, Soubi aveva un solo pensiero fisso in testa, che gli
stringeva
pericolosamente il cuore in una morsa dolorosa e pulsante.
Il labbro
inferiore,
turgido e spaccato da un aggressivo schiaffo che gli aveva arrossato e
illividito il viso, stillava rare gocce purpuree che una volta cadute
sulla
tela, si addensavano in nitide e scandite chiazze circolari. Non
percepiva alcuna
sensazione, temprato alla sofferenza fino allo spasimo, e nemmeno si
accorgeva
del sangue che gli impastava la bocca intridendola di uno strano e
familiare
sapore aspro e metallico. Le lacrime stesse, salate e abbondanti,
bagnavano
quella superficie, mischiandosi al liquido scarlatto e donandogli
particolari
sfumature rosate.
Con
mani tremanti afferrò un pennello e trasformò quelle umide macchie
frutto della
sua sofferenza in splendide farfalle dai contorni incerti e abbozzati,
le cui
ali si diradavano nel candore accecante della tela.
Kio, pur
distante dalla
sua figura per diversi metri, scorgeva nitidamente il tremore delle sue
membra.
Rientrato a casa all’improvviso, aveva notato la porta della sua camera
appena
socchiusa, e percependo solo uno strano e opprimente silenzio aveva
pensato che
dormisse, ricredendosi una volta che lo aveva visto lì, raccolto a
terra e di
spalle, stringente tra le mani qualcosa di indefinito.
Non era la
prima volta
che sentiva Soubi piangere. Con il tempo aveva imparato a distinguere
il debole
rumore dei suoi singhiozzi, normalmente soffocati all’interno della sua
stanza
rigorosamente chiusa a chiave. Avrebbe tanto voluto avvicinarsi e
abbracciarlo,
perché sentiva un profondo senso di affetto nei suoi confronti, e ogni
volta
che lo vedeva in quello stato aveva l’irrefrenabile istinto di sfondare
quella
dannata porta per stringerlo finalmente a sé, per tentare anche invano
di farlo
stare meglio, lenendo le sue inquietudini più nascoste e profonde.
Ma,
immancabilmente, si
limitava a vegliare la sua porta, pregando in silenzio che la sua
sofferenza
smettesse, sperando di vederlo uscire da un momento all’altro, di nuovo
pacato
e serio come sempre.
Aveva
tentato
innumerevoli volte di venire a conoscenza del motivo della sua
frequente
disperazione, ma nella maggior parte dei
casi le uniche risposte che trovava erano un impenetrabile silenzio e
il livore
che macchiava il suo corpo: Soubi si limitava a scuotere la
testa e a non
dire niente, escludendolo così dalla propria vita e dai propri
sentimenti.
*
La verità
era una sola: non
era abbastanza per lui.
Non
sarebbe mai stato abbastanza.
Se la sua
esistenza non
serviva a quello scopo, allora che senso aveva per lui vivere?
Se non
riusciva a
soddisfare la persona alla quale dedicava tutta la propria anima, il
proprio
corpo, tutto se stesso, che cosa avrebbe dovuto e potuto fare
altrimenti?
Era sempre
stato
disposto ad accettare qualsiasi punizione, qualsiasi sofferenza,
qualsiasi tortura,
ma la sola eventualità di staccarsi da lui era insopportabile e
lancinante.
-
E’ solo colpa tua se abbiamo perso. – sibilò velenoso Seimei, gli occhi
scuri e
furenti, concentrati sulla figura di spalle di fronte a lui. Lo fissava
come se
desiderasse ucciderlo con le proprie mani, tentando di scavare la sua
pelle con
lo sguardo, incandescente dalla intensa brama di ferirlo.
Soubi
non rispose, immobile. Percepiva gli occhi di Seimei su di sé, e l’odio
palpabile nella sua voce gli aveva provocato brividi in tutto il corpo.
La paura
sempre crescente indusse
le sue membra a
tremare: Seimei odiava perdere e ogni volta che succedeva addossava
sempre la
colpa al compagno, ritenuto l’unica causa della loro momentanea
inferiorità,
punendolo spietatamente e scaricando così su di lui ogni responsabilità.
-
Girati immediatamente. – ordinò il Sacrificio, mentre l’astio nelle sue
parole
aumentava di tono. Il suo sguardo nero e profondo trafisse
letteralmente gli
occhi blu e spaventati del Combattente.
-
Non vali niente, Soubi. – sussurrò avvicinandosi a lui, dosando i passi
e
accorciando la distanza fra loro con estrema lentezza, godendosi il suo
terrore
e desideroso di fargli pagare ogni singola catena luminosa che si era
avvinghiata intorno al suo collo. – Non sei alla mia altezza. –
La
sua mano destra si infranse con una ferocia disumana sulle sue guance
più e più
volte, rompendogli un labbro e annerendo quella pelle nivea e delicata
con una
crudeltà usuale e non nuova. Soubi non mosse un muscolo, limitandosi a
socchiudere
gli occhi lucidi e disperati, ignorando ogni sensazione proveniente dal
suo
corpo, che ormai gli sembrava lontano e insensibile.
-
Sei solo un oggetto inutile! Mi fai pena! – continuava ad inveire
Seimei,
sempre più adirato, scagliandolo a terra con una spinta improvvisa e
avventandosi su di lui come un animale, picchiandolo atrocemente.
Avrebbe
voluto sentirlo implorare pietà, supplicare sull’orlo delle lacrime di
smettere
quella violenza, avvinghiato alle sue ginocchia e con la voce tremante,
per
sentire forte e chiaro dentro di sé quel senso orgasmico di potere e
sopraffazione, ma le uniche reazioni di Soubi erano brevi e disconnessi
gemiti
di dolore, soffocati nel tremore delle sue labbra, mentre le sue
palpebre si
appannavano nell’osservare con una commistione di paura e tristezza la
figura
di Seimei.
Seimei
era il suo dio, la sua parola era legge.
Se
Seimei diceva che la colpa era di Soubi, Soubi non poteva che essere
d’accordo
con lui:
non
avrebbe mai né voluto né osato contraddire la persona che era tutto per
lui,
che rappresentava il suo intero mondo. Anche in quel momento, il
Combattente
non faceva altro che sentirsi colpevole di una qualche mancanza che,
seppur non
riusciva ad individuare, doveva certamente esserci stata.
Aveva
sbagliato in qualcosa. Meritava dunque una punizione.
-
Mi sono decisamente stufato di te. Mi cercherò un altro Combattente. –
esordì con
un tono divertito, mentre gli occhi gli scintillavano di una maligna e
provocante malizia, godendosi l’improvviso smarrimento in quelli di
Soubi,
spalancati e dalle sfumature rossastre. Le sue mani smisero di
picchiarlo, godendo
intimamente dall’effetto
che quelle
semplici parole avevano avuto su di lui.
-
No.. No...Ti prego.. – le sue parole impastate dall’ansia erano colme
d’angoscia. Alcune rare lacrime cominciarono a solcargli lentamente il
volto,
ormai sconvolto e irriconoscibile dalla disperazione. Nel tentativo di
nasconderle, afferrò le spalle del Sacrificio, schizzate del suo stesso
sangue,
aggrappandovisi, come a volerlo trattenere a sé.
Essere
abbandonato da Seimei.
Non
riusciva nemmeno a pensare all’idea di una vita lontano da lui. Una
sensazione
di freddo e solitudine si insinuò dentro di lui, portando le sue mani a
tremare
terribilmente, ancora strette compulsivamente alle scapole del compagno.
-
Mi fai pena. – come coltellate le sue parole lo attraversarono. Seimei
alzò le
sopracciglia, visibilmente disgustato, e si staccò bruscamente da lui,
lanciandogli solamente un’occhiata di puro disprezzo. Cominciò a
camminare e se
ne andò senza più voltarsi.
-
Perdonami. – mormorò Soubi in un ansito spezzato, notando le sue spalle
diventare sempre più lontane e sfocate nelle sue iridi umide e
malinconiche.
Nel
ripercorrere con
maniacale precisione gli eventi accaduti poco prima, i suoi singhiozzi
aumentarono di intensità e in breve tempo si ritrovò scosso da violente
convulsioni che gli serravano la gola e il respiro.
Una
sensazione di
soffocamento, di asfissia, di profondo e indistinguibile oblio.
Una vita senza Seimei.
Panico,
solitudine,
paura, ansia, smarrimento nell’abisso.
I
suoi occhi non distinguevano più la tela, le mura della stanza, i
contorni
stessi del proprio corpo. Solo una profonda e tetra notte dell’anima,
dominata
dall’offuscamento, dalla divorante mancanza.
Lontano da
lui non
poteva, non riusciva, non voleva esistere.
Si portò
istintivamente
le mani al collo, come a volersi liberare da quelle tenebre che per
quanto
immateriali, lo laceravano dall’interno, e le strinse spasmodicamente,
affondando inconsciamente le dita in quella ampia e sofferta cicatrice.
Si
accasciò a terra,
crollando sulla tela appena asciutta.
Kio non
poteva
sopportare una simile visione. Voleva davvero bene a Soubi e nonostante
sapesse
che desiderava rimanere solo in quel certo genere di momenti, decise di
intervenire comunque. Simili eventi accadevano sempre più spesso, e per
una
volta che non vi era una porta chiusa a chiave a separarlo da lui,
voleva
approfittare dell’occasione per fargli sentire la sua presenza.
Si
avvicinò lentamente
alle sue spalle, sollevando il corpo tremante dell’amico e
abbracciandolo
affettuosamente, prendendogli delicatamente la testa e portandosela sul
petto,
accarezzandogli i capelli fini e setosi. Soubi non si ribellò a quella
dolce
stretta, abbandonandosi contro di lui e socchiudendo per un attimo gli
occhi
arrossati e gonfi di lacrime, lasciando che il calore lo avvolgesse,
placando
lievemente i suoi brividi.
Kio gli
girò con
attenzione il viso per poterlo guardare, e nel notare le sue labbra
innaturalmente scarlatte si incupì improvvisamente, notando
immediatamente che
sia sul suo viso che sul suo corpo erano presenti numerosi lividi.
- Ti ha
picchiato di
nuovo, non è così? – la sua voce, in un istante diventata irata e colma
di
collera, ruppe il silenzio, mentre un impeto oscuro si impadroniva di
lui.
Odiava Seimei con tutto se stesso, ma soprattutto il modo in cui
riusciva a
ridurre Soubi senza farsi il minimo scrupolo di coscienza.
- Avanti,
dimmelo, è
stato Seimei, vero? – continuò, furioso, tentando di bloccare i suoi
occhi
sfuggenti nei propri.
Soubi
scosse la testa
lievemente, mentre si allontanava dalle sue braccia calde e accoglienti.
- Voglio
rimanere solo.
– singhiozzò in un debole sussurro, alzandosi sulle gambe instabili e
vacillanti.
*
Soubi si
coricò,
infilandosi sotto le coperte, nella speranza di ritrovare nel sonno un
momentaneo sollievo dal dolore che gli attanagliava il petto e l’anima.
Il suo
letto aveva un lato contro il muro, e proprio su quello si addossò,
facendovi
aderire la fronte accaldata.
Seimei.
Il solo
pensiero di lui,
di averlo deluso, di non essere più suo,
lo fece piangere senza più alcun ritegno per intere ore, mentre
stringeva fra
le dita doloranti le lenzuola chiare e fresche in modo compulsivo,
invocando e
sussurrando instancabilmente il suo nome, bagnando il cuscino di
lacrime, mentre
il crepuscolo arrossava il cielo, facendo calare nella stanza una tenue
penombra.
Solo a
notte inoltrata,
ormai sfinito dal pianto prolungato, si addormentò.
Kio vegliò
sulla sua
porta fino a quando non sentì i suoi singhiozzi diradarsi lentamente
per poi
spegnersi nel sonno. A quel punto, troppo sconvolto per dormire, si era
recò in
cucina per bere qualcosa di caldo, nel tentativo di placare l’angoscia
e il
dispiacere.
*
Nel giro
di poche ore,
uno strano rumore risuonò nella casa buia e silenziosa.
Una chiave
che girava
nella serratura, aprendo la porta d’ingresso.
Kio si
inquietò
terribilmente a quel suono: erano entrambi in casa e, che lui sapesse,
nessuno
possedeva le loro chiavi di casa. Un orribile presentimento si fece
strada
nella sua mente: poteva essere soltanto lui.
Un moto di orrore gli fece spalancare gli occhi chiari, e la curiosità
lo spinse
nell’atrio, dove si trovò davanti il bersaglio prediletto del suo odio,
della
sua invidia, del suo disprezzo: Seimei.
- Che cosa
diavolo vuoi?
Vattene immediatamente! – gli intimò, tentando di non mostrarsi
impaurito, ma
parandosi davanti a lui con tutta la fierezza e l’autorità di cui era
capace. Se
Soubi non era in grado di difendersi da solo, allora lo doveva fare
lui. Non
poteva permettere a quell’essere crudele e spietato di portargli
lentamente via
il suo migliore amico, colui che segretamente amava, colui che poco a
poco
stava sfiorendo, lentamente
prosciugato a causa di tutti i supplizi e le sofferenze patite.
Lo vedeva
continuamente
crogiolarsi nelle sue inquietudini: non vedeva da molto tempo agitarsi
in
quello sguardo blu estremamente enigmatico qualcosa di diverso dal
timore e
dalla malinconia.
Seimei
rise di gusto,
considerando la sua scortesia come uno scherzo, scansandolo
deliberatamente e
dirigendosi verso la camera del compagno.
- Non
osare avvicinarti
a lui! Mi sembra che per oggi tu abbia già fatto abbastanza! – urlò
amaramente
il ragazzo, tentando di scalfire quegli occhi neri e impalpabili,
ribollenti di
una strana determinazione. Aveva anche lui, come tutti, una terribile
paura di
Seimei, noto per la sua spietatezza e crudeltà, ma non doveva darglielo
a
vedere.
- Soubi è mio. – sibilò Seimei, scandendo bene le
parole con aria di sfida e schiudendo le labbra in un sorriso di
incredibile
malizia e scherno. Voleva proprio vedere fino a che livello quello
sciocco
idealista poteva arrivare, perché, nella realtà, nessuno poteva opporsi
a lui e
ai suoi incredibili poteri.
- Perché
lo hai
picchiato ancora? Che cosa ti ha fatto di male? – si ostinò a
chiedergli,
completamente incredulo di fronte al fatto che una persona potesse
essere tanto
malvagia e provocare consapevolmente dolore agli altri, specialmente a
chi lo
ama. Nonostante non lo avesse mai detto esplicitamente, Kio era
perfettamente
consapevole del fatto che Soubi fosse morbosamente innamorato di Seimei
e
desiderasse quindi solo di proteggerlo e rimanere al suo fianco,
indipendentemente dai terrificanti trattamenti ricevuti.
- Non sono
affari che ti
riguardano. Non mi risulta che tu sia importante per Soubi. Del resto,
io sono tutto per Soubi. – rise
Seimei,
divertendosi ad umiliarlo, abbassando il suo ruolo a quello di una
nullità
senza alcuna voce in capitolo. Provava un mal celato divertimento
nell’offendere e mortificare gli altri, e quel ragazzo era una vittima
decisamente soddisfacente, nel suo essere così pateticamente
affezionato all’oggetto preferito delle sue
torture.
- Non è
vero! Non
azzardarti a dire cose del genere perché tu non sai niente! – strillò,
ormai
fuori controllo, afferrando temerariamente il suo braccio già teso
verso la
porta della camera di Soubi. Non temeva più niente, adesso. Quel mostro
senza
scrupoli non doveva e non poteva arrischiarsi a giudicare il suo
rapporto con
l’amico, certamente più vero e autentico.
- Toglimi
quella mano di
dosso, altrimenti ti uccido. – sibilò Seimei, improvvisamente serio,
stemperando quegli occhi chiari nei propri, intensi e neri,
profondamente
atroci ed agghiaccianti.
Un brivido
di freddo
attraversò il corpo di Kio, intimamente combattuto. Alla fine, vinto
dalla
consapevolezza che la persona di fronte a lui non si sarebbe fatta
alcun problema
nello spezzare la sua giovane vita, lasciò il suo braccio, sentendosi
un
codardo e abbassando irrimediabilmente lo sguardo. Dunque, non riusciva
a
difenderlo. Si arrabbiò con se stesso per essere così debole e
insicuro, al
punto da non riuscire a proteggere una delle persone che amava di più
al mondo
dalla violenza gratuita di quell’individuo.
- Soubi è
soltanto mio, e io faccio di lui tutto quello che voglio. – dichiarò
Seimei, appagato e compiaciuto del suo silenzio, riaprendo il sorriso
enigmatico e sibillino.
*
Una mano
gli accarezzava
le guance livide, vagando sui suoi zigomi pronunciati, sfiorandogli le
palpebre
turgide e arrossate, percorrendo i suoi lineamenti sottili e delicati
con una
lentezza quasi esasperante.
Soubi si
svegliò,
rimanendo immobile nel buio per godere di quelle inusuali tenerezze.
Non era
certo di
conoscere il proprietario di quel tocco, probabilmente stava ancora
sognando e
non valeva la pena di interrogarsi su di un’identità che poteva anche
non esistere
affatto, ma aveva un qualcosa di terribilmente familiare e conosciuto.
Quelle
dita fredde e
lisce continuarono a toccarlo, fermandosi poi sul labbro spaccato e
ancora
sanguinante, schiudendolo leggermente e cominciando a torturarlo
adagio,
provocandogli un leggero e strano dolore.
Soubi aprì
gli occhi
nelle tenebre, il cuore aveva cominciato a battergli affannosamente nel
petto,
ormai consapevole di chi sedeva sulla sponda opposta del letto. Si girò
gradualmente, tentando di riconoscere quella figura nell’ombra.
- Seimei..
– sospirò,
richiudendo gli occhi e rilassandosi contro quella mano, sentendo
qualcosa
dentro diventare più leggero. Dopotutto, se era nella sua camera da
letto in
piena notte significava che allora lo voleva ancora.
Doveva essere per forza così. Nuove e timide lacrime di
commozione lambirono le dita del Sacrificio, innaturalmente fredde e
prive di
turbamento.
- Alzati
immediatamente.
– ordinò Seimei, inflessibile, infastidito da quelle assurde e
inaspettate
gocce che avevano sfiorato la sua pelle insensibile, allontanandosi
repentinamente
dal suo viso e scostando bruscamente le coperte che avvolgevano il suo
corpo
seminudo, esile e ferito. Non c’era nemmeno una vaga ombra di rimorso
nei suoi
occhi scuri e indecifrabili.
Soubi si
sollevò di
colpo, percependo le proprie membra indolenzite ed ematomi scuri
pulsare sulla pelle
straordinariamente diafana e delicata, ma non disse nulla.
- Dobbiamo
combattere. –
lo informò il Sacrificio, mentre lo osservava infilarsi una camicia,
abbottonarne
i passanti e avvolgersi distrattamente una sciarpa intorno al collo.
L’emozione
riempì il
corpo e la mente di Soubi, decisamente rincuorato.
Allora lo
desiderava
ancora, non lo avrebbe lasciato solo, non avrebbe cercato un altro
Combattente,
ma gli avrebbe permesso di rimanere al suo fianco, come era nel più
profondo
dei suoi desideri; era stata un’orrida bugia dal sapore devastante,
che gli aveva letteralmente spezzato il cuore a metà, ma,
per fortuna, solo una sporca e inutile menzogna.
Il suoi
occhi blu e
intensi rilucevano di una strana emozione, e il barlume di conforto
dentro di
essi doveva essere talmente evidente da provocare le sguaiate risa di
Seimei,
estremamente divertito. Non poteva crederci: lo aveva picchiato a
sangue, lo
aveva insultato, gli aveva mentito al solo scopo di torturarlo e
ferirlo, e non
appena dissimulava un vago interesse nei suoi confronti, quell’essere scivolava di nuovo ai suoi piedi,
fedele e disponibile?
- Sei
davvero patetico,
Soubi. – rise, ambiguo, sciogliendosi in un ammaliante sorriso.
La
straordinaria
crudeltà di Seimei si vedeva in questi brevi e fuggevoli gesti: pur
consapevole
di essere amato completamente e totalmente da lui non aveva la benché
minima
pietà e considerazione dei suoi sentimenti. Si era recato nella sua
camera da
letto e lo aveva accarezzato per un senso di pena, derisione e mal
celata
commiserazione.
Soubi non
rispose alla
sua provocazione, e girandosi per aprire la porta indugiò per un
attimo, mentre
i suoi capelli morbidi e color cenere ondeggiavano ancora sulle sue
spalle.
- Grazie
per avermi perdonato. – mormorò
contro lo stipite,
con un tono di voce basso e sommesso,
stringendo
nervosamente le labbra e riducendo gli occhi in fessure scure e
malinconiche.
*
-
Distruggili, Soubi. –
ordinò Seimei, ormai stufo di combattere. La loro superiorità era
evidente, e
non aveva alcuna voglia di continuare in un’insensata lotta con degli
insulsi
mocciosi non al loro livello. Soubi annuì con la testa, agitato e allo
stesso
tempo inebriato dal suono della sua voce, deciso a soddisfare qualsiasi
suo
desiderio.
Innumerevoli,
indistinte, indefinite, meravigliose farfalle colore del cielo
scaturirono
dalle sue mani, librandosi intorno alla sua figura, spezzando le
tenebre del
sistema e cominciando a brillare di una strana e accecante luce; un
senso di
potere crescente invase le sue membra chiare, cariche di eccitazione
e di frenesia.
Soubi socchiuse le palpebre, vinto da quella strana energia abbagliante
alla
quale aveva dato vita.
Le
farfalle, bellissime
ma cariche di un dolore intrinseco, portatrici di sofferenza e
sconfitta, volavano
impazzite in ogni direzione, simili ad uno sciame di api spaventate.
Soubi
bruciava, ardeva di passione, d’amore per Seimei: si sentiva
andare a
fuoco, trafitto dai suoi occhi scuri e carichi di aspettativa;
l’esaudire le
sue richieste era per lui un qualcosa di dolce e soddisfacente, la cui
sola
idea lo faceva sentire finalmente completo e integro. Si
accarezzò la cicatrice sul collo, che lo marchiava di quel nome che
lo legava indissolubilmente a lui, in una connessione imprescindibile
dai
caratteri carnali e ossessivi, violenti e allucinati; era
incandescente,
pulsante, di uno strano dolore piacevole. Era il dolore malinconico e
nostalgico che contraddistingueva il suo rapporto con Seimei.
Questo
è il mio amore per te.
La sua
vicinanza,
terribile e attraente allo stesso tempo, fece vibrare di un autentico e
trascinante piacere tutto il suo corpo, teso per lo sforzo. Sentiva il
suo
sguardo profondo e ambiguo scrutarlo senza grazia, come a volerlo
spogliare,
asservendolo a se stesso in maniera inspiegabile e misteriosa.
Questa
volta non doveva deluderlo.
Non se lo
sarebbe mai perdonato.
Le
farfalle si fermarono
nel cielo, per poi trasformarsi in aghi di luce, taglienti e incisivi,
che si
lanciarono in picchiata verso gli avversari come lance di guerra; la
furia di
Soubi non risparmiò nessuno, la ferocia e il desiderio di compiacere
Seimei
erano più forti di qualsiasi pensiero razionale.
*
La
speranza di vedere
nei suoi occhi una sorta di apprezzamento, un barlume di orgoglio, di
rispetto,
di ammirazione, gli impedì di girarsi immediatamente verso di lui,
ancora alle
sue spalle. Quella era la sua più grande prova, quella che decretava se
poteva ritenersi
sereno, consapevole di aver fatto qualsiasi cosa in suo potere per
servirlo e
soddisfarlo.
- Sei
stato bravo,
Soubi. – ridacchiò Seimei, divertito e incuriosito dalla straordinaria
atrocità
con la quale si era accanito contro quei semplici nemici, nemmeno
particolarmente meritevoli.
Il
sorriso gli si allargò sul volto, equivoco ed incomprensibile, mostrando i
denti
candidi e regolari. Dunque
era questo
che poteva ottenere da lui: pur di farsi amare e apprezzare da Seimei,
Soubi
era disposto a qualsiasi cosa, qualsiasi crudeltà, qualsiasi gesto,
estraendo
una forza nascosta, rabbiosa, albergante nei meandri del proprio cuore
perennemente
contratto e nervoso. E questo, Seimei lo sapeva bene.
Mentre
incontrava i suoi
occhi talmente intensi da tendere all’indaco, li vide nuovamente
lucidi, ma
questa volta dalla commozione, nata da quelle semplici parole senza
significato, senza un reale intento di lodarlo, ma dette solo per
schernirlo,
per abbassarlo ulteriormente al livello di un banale schiavo dedito a
soddisfare le sue ambizioni. Soubi si sentiva scoppiare dall’emozione,
il suo
cuore si era alleggerito di un peso insostenibile, rilassandosi e
crogiolandosi
per un istante in un senso di pienezza, ripulita da quei terrori
insanguinati e
carichi di lacrime di disperazione, ricolmi di oblio e di morte.
- Grazie.
– rispose
Soubi, mentre le labbra gli tremavano visibilmente dal trasporto e dal
turbamento
e la sua voce si faceva roca e bassa, gorgogliante nella sua gola.
Il sorriso
di Seimei si
allargò ancora di più.
Era
proprio quello di cui aveva bisogno: di un cane, non di una persona.
*
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