Warnings:
Pre-serie,
Spoiler 3x03, Angst, Violenza.
Word
Count: 9507
(FDP)
N/A:
OMG,
da dove inizio? XD Ah, ecco: Different
Seasons è una raccolta di
novelle di Stephen King (che è quanto di più
vicino ad un dio io
abbia mai avuto), e l'idea di prenderla ad ispirazione mi è
venuta
nel momento esatto in cui ho visto che le date riportate sul diario
di Stefan (quelle che tra l'altro trovate all'inizio di ogni
capitolo) coincidevano perfettamente con le quattro stagioni (okay,
una me la sono creata io, ma credo che il Rippah non se ne
avrà
troppo a male).
Dunque
questa storia ce l'ho in mente da quando ho visto l'episodio 3x03, ma
per qualche motivo ho continuato a rimuginarci sopra per mesi prima
di scriverla, perché mi aspettavo sempre qualche
informazione in
più, che però non è arrivata mai 'XD
Non che la cosa mi sorprenda
troppo, ci hanno fatto già la grazia di farci vedere Lexi un
altro
paio di volte, quindi io ringrazio, incasso e porto a casa.
Come
conseguenza, però, ho dovuto inventarmi di sana pianta molte
cose: i
luoghi prima di tutto, e poi il background che gli autori non ci
hanno mai dato come si deve, in particolar modo quello di Lexi. Per
la sua storia ho ripreso quella contenuta in Stefan's diaries:
Bloodlust, e l'ho adattata un po' come volevo io, giusto
perché sì
XD
Per
il resto, beh, queste sono ovviamente tutte speculazioni personali.
Il rapporto tra questi due mi ha sempre interessata moltissimo e
siccome dubito fortemente che in futuro ci verrà svelato
nella sua
interezza, ho deciso di spiegarmelo da sola (gioie del mestiere di
fanwriter, già XD).
Scritta
per la missione #1 del COW-T
@ maridichallenge,
prompt Anni.
Different
Seasons
#1
─
Hope Springs Eternal
Chicago,
Aprile 1922.
“Lexi
found me last night, dragged
me
off the train tracks.
Thinks
she can make
me care again.”
L'appartamento
è
completamente al buio da giorni, forse addirittura da settimane. Le
finestre sono sbarrate, le tende tirate, il disordine regna sovrano
ovunque. L'odore di polvere e sangue rappreso impregna l'aria come
fumo solido e denso, nauseabondo per qualunque essere umano. Da
quando gli unici due orologi della stanza sono stati lanciati
rispettivamente contro un muro e dentro il camino, nessun tipo di
rumore risuona tra quelle pareti, se non un respiro talmente lieve
che lo stesso proprietario fa fatica ad udirlo.
Il
vampiro giace
pesantemente sul letto disfatto, il corpo nudo avvolto per
metà
nelle lenzuola sporche, la testa adagiata nell'incavo tra due
cuscini, e un braccio penzoloni nel vuoto. Il comodino e il pavimento
lì vicini sono cosparsi di bottiglie: molte sono ridotte in
pezzi,
alcune sono già vuote, altre sono state semplicemente
lasciate lì a
sgocciolare a poco a poco il loro contenuto sul pavimento.
L'unico
vero movimento
presente nella stanza è quello di due occhi verdi,
indistinguibili
tra quell'ammasso pesante di ombre, ma comunque ben spalancati e
intenti a scrutare il soffitto con la tipica attenzione dettata dalla
noia: si soffermano quindi su ogni crepa, ogni anfratto, ogni filo di
ragnatela che penzola, ormai abbandonato, nel buio circostante.
Un
istinto affinato
attraverso gli anni lo avverte che tra poche ore sarà il
crepuscolo,
e un brivido leggero gli percorre la spina dorsale. È un
brivido di
eccitazione e di attesa: tra poco sarà di nuovo tempo di
caccia. Non
sa per quale motivo nell'ultimo periodo si costringa sempre ad
aspettare la notte per cacciare, dal momento che un limite del genere
non gli è mai stato imposto da nessuno. Forse un retaggio
atavico
della sua razza che ha improvvisamente deciso di tornare alla
ribalta. Forse è solo che quella città, come un
po' tutte le altre,
è molto più bella di notte.
Non
più così
bella, però.
Quel
pensiero lo colpisce all'improvviso, come un getto di acqua fredda, e
il vampiro aggrotta le sopracciglia, lievemente alterato. Da qualche
tempo ─
non sa di preciso da quanto, ma potrebbe essere più o meno a
partire
dal momento in cui ha deciso di sbarrare le finestre e fare di quella
casa poco più che una tana ─,
una strana sensazione continua a grattare appena sotto la superficie
della sua coscienza. Non sa bene come identificarla, se non come una
mancanza.
Mancanza
di cosa
o di chi
non
saprebbe proprio dire, però sì, la sensazione gli
sembra più o
meno quella.
E
gli capita di
provarla soprattutto quando si trova a girovagare da solo per i
quartieri periferici di Chicago, tra quei locali segreti che con il
passare del tempo diminuiscono a vista d'occhio a causa dei controlli
sempre più assidui e precisi della polizia. Non che la cosa
lo turbi
particolarmente: per lui non esiste alcun tipo di proibizionismo, e
l'idea di qualcuno che cerchi di arrestarlo non gli provoca alcuna
reazione, se non forse un sorriso sarcastico.
Resta
il fatto che
all'improvviso la solitudine è diventata un peso opprimente,
e
Stefan non capisce perché. È arrivato a Chicago
da solo, e ci ha
vissuto da solo fino a quel momento senza alcun problema (anche Damon
è lì in città, a dire il vero. Stefan
lo sa perché gli ambienti
interessanti da frequentare si contano sulle dita di una mano, e
anche se non si sono mai incrociati personalmente, la presenza di suo
fratello raramente passa inosservata. Per fortuna l'idea di una
rimpatriata non è passata per la testa di nessuno dei due).
Non
riesce a spiegarsi,
quindi, il motivo per cui a volte si ritrova ad ordinare due drink
invece che uno. O perché, certe sere, il suo sguardo inizia
a vagare
nervosamente per il locale, in cerca di una donna bionda che balla da
sola tra la folla ─ non gli sono mai nemmeno piaciute
particolarmente, le bionde. Se non come cena. O pranzo. O colazione.
Sul cibo difficilmente fa preferenze.
È
uno dei motivi per
cui non è più tornato al locale di Gloria dopo
quella strana notte
in cui la polizia vi ha fatto irruzione. Lì quel genere di
stranezze
sono ancora più frequenti, tanto che anche solo pensare a
quel posto
gli fa puntualmente venire il mal di testa.
Il
vampiro si volta su
di un fianco, verso il punto in cui, se le imposte non fossero
così
rigidamente serrate, potrebbe vedere il sole cominciare il suo lento
declino alle spalle della città. È affamato ed
è stanco,
nonostante non abbia nessuna ragione di essere né l'una
né l'altra
cosa: non sono passate che una decina di ore da quando ha abbandonato
una graziosa ragazza in un vicolo del centro, e da quel momento non
ha fatto altro che starsene sdraiato su quel letto, incapace di
dormire o di pensare, perso semplicemente a fissare il vuoto.
Non
più così
bella, quella città.
Non
più così
eccitanti, le sue notti.
Non
più.
Stefan
si alza a sedere
e si rimette in piedi con uno scatto rapido, sentendo improvvisamente
il bisogno di uscire da quel tugurio. Le lenzuola gli scivolano via
di dosso mentre si allontana dal letto e il vetro si infrange sotto i
suoi piedi nudi, aprendo ferite che guariscono meno di un istante
più
tardi.
Esita
sulla porta del
bagno per qualche momento, aspettando che i suoi occhi si abituino
alla luce penetrante delle lampade elettriche, poi apre il rubinetto
della vasca e rimane ad osservare il gettito fumante fino a quando il
livello dell'acqua raggiunge il massimo consentito.
Rimane
dentro la vasca
per ore, con gli occhi chiusi e la mente completamente vuota di
qualsiasi pensiero, decidendosi ad uscire solo quando l'acqua ─
tinta ormai di una leggera sfumatura di rosso ─, non diventa
abbastanza fredda da dargli fastidio.
Si
veste velocemente,
ma con precisione, ripetendo gesti imparati grazie al tempo e
all'esperienza, e come premio lo specchio gli rimanda l'immagine di
un gentiluomo, curato ed elegante come vuole la moda del momento.
Stefan cerca di sorridere a quella figura distinta, ma il massimo che
il suo riflesso gli concede è una smorfia sprezzante.
È difficile
prendere in giro se stessi.
Esce
sbattendosi la
porta alle spalle, e dietro di lui l'appartamento torna buio e
silenzioso come prima. È di nuovo impossibile, quindi,
notare le
tracce di rossetto sulle lenzuola, o i fini capelli biondi sparsi sui
cuscini. Alcune paillette luccicanti, palesemente strappate via da un
vestito da sera tolto troppo in fretta, si perdono tra i cocci di
bottiglie rotte, finendo per passare inosservate perfino agli occhi
attenti di un vampiro.
Ma
in fin dei conti, se
anche Stefan avesse notato tutte queste piccole cose, quei piccoli
ricordi materiali non sarebbero serviti a nulla, se non a rinsaldare
quella sensazione indefinita di perdita che già odia
così tanto.
La
notte scivola via
lentamente, così come i sottili rivoli di sangue agli angoli
della
sua bocca, che scorrono pian piano sulla sua pelle fino ad
accarezzargli il colletto, macchiandolo di un rosso reso quasi
indistinguibile dalla luce fioca dei lampioni stradali, che nel
frattempo, arrivate le prime ore del mattino, iniziano gradualmente
ad affievolirsi per poi spegnersi del tutto.
Stefan
si sente
magnificamente bene: le lunghe ore di veglia ormai ben lontane dai
suoi pensieri, sazio, con l'adrenalina ancora a mille e il cuore che
gli batte forte nel petto, pompando a ritmo folle quel sangue appena
rubato nelle sue vene. Quei pochi istanti immediatamente successivi
alla fine di una caccia sono quasi meglio della caccia stessa, o
almeno così gli sembra di credere in quel momento, con il
sapore
bollente del sangue ancora sulla lingua.
La
ragazza al suo
fianco, intanto, barcolla come se fosse tremendamente ubriaca. Il
vampiro la sostiene passandole un braccio intorno alla vita,
stringendola così vicina come potrebbe fare soltanto un
innamorato.
O un assassino. Lei balbetta parole sconnesse, preda sia dello shock
che della debolezza. Se non le spezza il collo subito, considera il
vampiro, ci sono forti probabilità che muoia comunque, e in
modo
molto più lento e doloroso.
Stefan
le accarezza la
gola con un dito, rimuginando sulla questione per qualche momento,
infine si decide a trascinarla sul marciapiede e a lasciarla
lì,
malamente distesa sull'asfalto freddo. È già
stata soggiogata a
dimenticarsi di lui, quindi non gli creerà problemi di alcun
genere
se anche dovesse sopravvivere. E non è un 'se' da
poco,
questo.
Un
attimo dopo, e senza
degnarla di un secondo sguardo, il vampiro le volta le spalle e si
dirige verso casa, abbandonandola così al suo destino.
Quando
arriva davanti
al palazzo è quasi l'alba e le strade sono ancora del tutto
deserte.
L'aria gelida gli pizzica appena la pelle: è molto
più fredda di
quanto dovrebbe essere in quella stagione, ma al contempo ha un che
di limpido e di pulito. Non gli dispiace affatto.
Si
accorge che qualcuno
è penetrato nel suo appartamento non appena i suoi occhi si
posano
sulla maniglia rotta. Sorride, un po' divertito e un po' infastidito,
chiedendosi perché diamine si prenda la briga di uscire,
visto che a
quanto pare il cibo preferisce auto-invitarsi a colazione.
Ladro
sfortunato,
pensa, spalancando la porta.
Ma
non è un ladro quello che si ritrova davanti. E se
c'è qualcuno di
sfortunato, lì in quella stanza, quel qualcuno è
probabilmente lui
stesso. O comunque lo diventerà a breve.
«Salve,
Lexi», saluta Stefan, assottigliando gli occhi per
distinguerla
meglio tra le ombre. Non che ne abbia bisogno: riconoscerebbe il suo
profilo ovunque, inoltre ha imparato a distinguere la sua presenza da
quella di chiunque altro, così come si imparano a
riconoscere i
propri familiari dalla cadenza dei loro passi.
Lei
non gli presta attenzione, ma continua a muoversi silenziosamente nel
buio, come se stesse cercando qualcosa.
«Cosa
ci fai qui?», domanda il vampiro.
Uno
sbuffo ironico è la risposta che ottiene per prima.
«Lo sai perché
sono qui», aggiunge però Lexi subito dopo, tanto
per essere quanto
più chiara possibile.
L'altro
si limita ad annuire, pur non sapendo se lei possa vederlo o meno. La
sensazione di stanchezza torna di nuovo, prepotentemente, a prendere
possesso del suo corpo. Non la fame però. O almeno non
ancora. Ma
anche quella verrà presto.
Stefan
posa una spalla contro lo stipite della porta e continua ad osservare
la stanza buia, mentre la figura di Lexi si sposta verso le finestre.
«Non
ho bisogno del tuo aiuto», mormora sottovoce. Mente sapendo
di
mentire, ma non può farne a meno.
«Già
sentito», ribatte infatti lei, scostando bruscamente le
tende. Un
timido chiarore si infiltra tra le fessure del legno, cogliendo un
riflesso dei suoi lunghi capelli biondi.
Uno
scricchiolio sinistro, poi un rumore fragoroso di qualcosa che si
spacca in due e le finestre infine si aprono. Il primo sole del
mattino avviluppa Lexi in un alone chiaro, reso ancora più
brillante
dal pulviscolo che si solleva tutto intorno a lei.
Adesso
riescono finalmente a guardarsi negli occhi. Nessuno dei due
è
cambiato, eppure entrambi si trovano profondamente diversi.
«Non
ci riuscirai. Non questa volta», dice Stefan. A quelle parole
Lexi
alza gli occhi al cielo, con un'espressione che in un altro momento
potrebbe forse apparire comica.
«Oh,
smettila», sbotta di rimando, evidentemente spazientita.
«Cerca di
essere positivo! Non senti questo profumo? È
primavera!», esclama,
indicando la finestra spalancata e il mondo lì fuori, che
sta giusto
iniziando a svegliarsi.
Stefan
si limita ad alzare un sopracciglio.
«E
allora?», chiede.
Lei
sorride appena ed inizia ad avvicinarglisi. Il vampiro si
irrigidisce, pur cercando di non darlo a vedere. Tentativo inutile,
probabilmente, ma che deve comunque costringersi a fare.
«La
primavera è la stagione dell'eterna speranza»,
spiega Lexi, quando
è ormai a pochi passi da lui. «È bello
rivederti, Stefan»,
aggiunge poi, quasi con dolcezza, allungando una mano sia per
carezzargli una guancia sia per nascondere il movimento dell'altro
braccio.
Stefan
lo nota comunque, ma finge il contrario. Chiude gli occhi e sospira
pesantemente, rinunciando fin da subito ad opporre resistenza.
«Ti
arrenderai mai, Lexi?», bisbiglia soltanto.
Per
tutta risposta il paletto di legno lo trafigge appena sotto il
costato, penetrando in profondità attraverso la carne. Fa
male, ed
il dolore è una sensazione che non prova da parecchio tempo.
Si
consola pensando che è comunque meglio del sentire la
mancanza di
qualcosa che non ricorda, o che nemmeno sa se è davvero
esistita.
Lexi
lo afferra per le spalle, accompagnando la sua ovvia caduta, ed
intanto si china su di lui fino a sfiorargli il volto con le labbra.
«Mai»,
gli sussurra all'orecchio la sua bellissima e spietata migliore
amica, mentre lui si accascia debolmente tra le sue braccia.
E
Stefan sa che quella
è una promessa.
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