My universe will never be the same
~ 1°_ Just a joke ~
La
soddisfazione che stava provando in quel momento, il sentire il potere che
scorreva nelle sue vene come fosse sangue, il sorrisetto superiore che restava
stampato sul viso come marchio della sua essenza: Sebastian Smythe non era mai
apparso tanto raggiante mentre camminava per i corridoi della Dalton con fare
maestro nonostante stesse in quella scuola da meno tempo della maggior parte
dei ragazzi che incontrava.
La certezza
di avere la partita nelle sue mani e di sapere precisamente quale sarebbe stata
la prossima mossa degli avversari gli dava una tranquillità superiore che gli
sia addiceva in maniera quasi inquietante.
Con fare
degno del red carpet di una delle più importanti
stelle della serata, il nuovo capitano dei Warblers entrò nella biblioteca
della scuola, tracolla in spalla ed un macchiato appena preso alla caffetteria
dell'istituto – al “Lima Bean” era stato troppo l'entusiasmo per potersi
ricordare una simile sciocchezza.
Si sedette al
primo tavolo libero e tirò fuori il libro di trigonometria ed un quadernino su
cui svolgere gli esercizi assegnati – non che ne avesse bisogno, lui: la
matematica non era mai stata un problema, ma anzi si era sempre vantato di
capirla al primo colpo e di saperla applicare con facilità. Insomma era un po'
come organizzare le proprie mosse in uno dei piani che di solito architettava
per vincere: una serie di incognite che andavano risolte e poi i calcoli
andavano da sé in modo prevedibile e scontato. La matematica era scontata:
c'era la possibilità di una sola soluzione e lui di solito la conosceva sempre
prima degli altri.
Per questo,
quando una mano sbatté con forza sul suo tavolino, alzò uno sguardo
praticamente annoiato su quelli che il suo campo visivo individuò come Jeff,
Nick e Thad. Non ne fu sorpreso ed era certo del motivo per cui erano
lì.
Che
diavolo c'è che non va in te? anticipò mentalmente.
«Che diavolo
c'è che non va in te?», chiese furioso Thad.
Oh, quanto
era scontato! Forse era quasi meglio la matematica. Sospirò in modo teatrale e
fece una smorfia esasperata.
Come ti è
saltato in testa di continuare questa farsa con le Nuove Direzioni?
«Come ti è
saltato in testa di continuare questa farsa con le Nuove Direzioni? È
già stato sufficiente il casino che hai fatto con Blaine», continuò Jeff con lo
stesso tono.
Wow. Elemento
inatteso: sentimentalismo. Non si sarebbe mai abituato a quel soffice, roseo,
ammasso zuccheroso che avevano tutti lì, al posto di un normale cuore. Perché
anche lui aveva un cuore, sia chiaro, ma ringraziando in cielo non così.
«Quanto sono
pettegoli quelli! Lo avete saputo prima da loro che da me» si lamentò.
«Questa non è
di certo una gara a chi sparge prima la voce, Sebastian! E con le tue continue
macchinazioni stai solo infangando il nome del Warblers!».
Il diretto
interessato scattò in piedi, stizzito: ne aveva abbastanza di tutta
quell'ingratitudine! Lui stava solo cercando di assicurarsi quella vittoria e
se per farlo avrebbe dovuto mettere i bastoni fra le ruote a due o tre dei
coristi avversari, di certo non si sarebbe tirato indietro: il fine giustifica
i mezzi, no? E ad ogni modo, loro avrebbero dovuto sostenerlo in quanto
capitano, senza fiatare.
«Invece di
starvene qui a lamentarvi come poppanti, dovreste mostrare un briciolo di
riconoscenza per quello che sto facendo!».
«Cioè, per
cosa? Illuminami, Sebastian, per cosa dovremmo ringraziarti?», gridò Nick che
finora aveva cercato di mantenere la sua solita calma e compostezza «Per aver
quasi accecato uno dei nostri amici? Per averci coinvolti in questa specie di
guerra fredda con le Nuove direzioni? O per l'ultima idiozia che hai
fatto e che ha di nuovo messo a rischio la nostra credibilità e il nostro
onore?».
Per un attimo
il Warbler rimase in silenzio, contemplando mentalmente tutte le azioni che
erano state menzionate. Avrebbe dovuto sentirsi in colpa? Beh... sarebbe stato
un peccato se un bocconcino tanto carino come Blaine avesse perso un occhio, ma
cavolo, quante volte avrebbe dovuto ripetere che la granita era per Kurt e che
non voleva accecare l’ex-Warbler?. E per il resto... faceva semplicemente parte
del pacchetto “mettersi contro Sebastian Smythe”, quindi non c'era
perfettamente nulla di cui dovesse pentirsi. Ne andava invece fiero:
stava facendo un ottimo lavoro ed ormai era quasi certo che la partita fosse
conclusa. Ovviamente a suo favore.
«Sapete una
cosa? Siete una noia. Più della matematica» sbuffò, alzandosi e riponendo libri
nella borsa a tracolla «Mi ringrazierete quando avremo il trofeo del primo premio
e la possibilità di andare a New York» fece superiore e si incamminò con il suo
macchiato ancora intatto: gli era passata la voglia di studiare e soprattutto sapeva
che sarebbe stato pressoché impossibile
staccarsi di dosso quei tre e la loro filippica moraleggiante.
Oh, no. Che
non si dica che Sebastian Smythe stava fuggendo! Più che altro cercava di
preservare la sua salute mentale e quella era una cosa più che giusta.
«Non è altro
che uno scherzo per te, giusto? Noi
non siamo altro che uno scherzo per te»
La voce di
Thad, tanto ferma, solenne bloccò il
Warbler che era ormai arrivato alla porta.
«Ma sai cosa?
Non vorrei essere nei tuoi panni quando ti renderai conto che lo scherzo
finisce» concluse.
Per un attimo
Sebastian rimase fermo, la mente che tentava di riflettere sul significato di
quelle parole, sul perché sembravano
averlo colpito, quasi inconsciamente, fin nel profondo – dove solitamente non
permetteva che arrivassero. Poi si costrinse a smettere di pensare.
«Bravo, Harwood! Devo dire che le tue parole sono quasi commoventi.
E che pathos: ho i brividi» lo schernì – senza ammettere a se stesso che forse
aveva detto quelle cose solo perché la sua testa lasciasse perdere le parole
del suo compagno di stanza.
Poi uscì, il
solito sorriso beffardo sul volto e l’animo calmo – almeno in superficie.
***
«Direi...
direi che sei stato fenomenale», sentenziò Kurt, non appena la musica si
concluse e Blaine lo raggiunse.
Alcune
goccioline di sudore gli bagnavano la fronte ed aveva ancora l'espressione concentrata
che lo aveva accompagnato per tutta la performance. Kurt si chiese cosa lo
stesse turbando – o meglio, quello lo sapeva, ma avrebbe voluto che gliene
parlasse, che si sfogasse con lui al di là della canzone. Ma Blaine se ne stava
lì, di fronte a lui, senza dar parvenza di voler accennare alla rabbia che si
portava dentro.
«Vinceremo»,
cercò allora di rassicurarlo, alzandosi «al di là di tutte le macchinazioni che
ci sono contro di noi, vinceremo. Perché lo meritiamo».
Blaine lo
abbraccio stretto, con un bisogno che Kurt non aveva capito fino in fondo.
«Qualunque
cosa faccia, riesce ad irritarmi. È pazzesco!», sussurrò rabbioso sulla spalla
del suo ragazzo, evitando anche solo di ripetersi in mente quel nome, perché
non avrebbe portato che altra rabbia «Guarda ora che si è inventato! Minacciare
Rachel e Finn in questo modo!».
Kurt lo
strinse più forte: sapeva quanto tutta quella faccenda lo stesse turbando –
dopotutto, nonostante l’intervento fosse andato bene, di certo non si era
ancora del tutto liberato dal trauma per quello che era successo.
«Quello che
mi chiedo è…» riprese senza lasciarlo «prepara i suoi piani malefici di
notte?».
Blaine si
scostò da lui sorpreso: ci scherzava su?
«Intendo…
sai, me lo immagino: chino nel suo antro buio, con fogli e quadernini pieni di
calcoli e schemi».
Per qualche
istante, il moro lo guardò, scorgendo il suo sorriso. Stava provando a farlo
ridere: in un attimo, semplicemente standogli accanto, lo aveva calmato e fatto
sentire meglio. Non avrebbe mai smesso di sorprendersi di quanto Kurt fosse
speciale, di quanto lo facesse stare bene.
Scoppiò a
ridere, quasi più del dovuto – in fondo la battuta non era poi così esilarante
– ma ne sentiva il bisogno, doveva liberarsi almeno di una parte di tutta
quell’irritazione e ridere con Kurt era fin troppo facile. Lo strinse a sé,
senza perdersi la leggera sorpresa del suo ragazzo.
«Grazie… Io…
ti amo così tanto».
Kurt
semplicemente lo strinse a sé con maggiore forza e rimasero così per un po’,
prima di accorgersi di non essere soli sul palco. Si voltarono, staccandosi,
per scorgere un imbarazzatissimo Finn che, appena all’entrata dell’auditorium,
a testa basta, si torturava le scarpe pestandosele, senza sapere che fare.
Blaine
sorrise, prendendo la mano dell’altro per un istante e poi facendo qualche
passo verso il nuovo arrivato.
«Come ti
senti, Finn?», chiese inclinando un po’ la testa.
Il più alto
scrollò le spalle senza rispondere. Come si sentiva? Non ne aveva la minima
idea! Insomma, non sapeva neanche come prendere una cosa del genere: tutto, tutto si sarebbe immaginato che potesse
accadergli, ma non una cosa del genere. Era… irritato, tremendamente irritato.
Ok, era furioso. E deluso. Per Rachel, per quello che aveva detto. E… confuso.
Sbuffò,
sedendosi sconsolato a bordo del palco e lasciando che gambe e braccia come
senza forze. Kurt lanciò uno sguardo incerto al suo ragazzo che fu eloquente e
chiaro nel dirgli che avrebbe dovuto parlare a suo fratello. Lui annuì e gli si
sedette accanto.
«Ehi… con me
puoi parlarne, lo sai…», tentò, ma Finn non si mosse, né diede segno di averlo
sentito.
Come avrebbe
potuto parlare con suo fratello se lui per primo non sapeva cosa dire o anche
solo che cosa pensare? Forse stava esagerando a prendersela in quel modo?
Forse, dopotutto, non era così grave e per passare le Regionali occorreva fare
questo sacrificio? Perdere la faccia e reputazione? In fondo, peggio di così
non poteva stare, no? Continuava ad essere abbastanza sfigato e – riflettendoci
– non è che avesse una qualche reputazione da salvare, in fondo…
Allora forse
Rachel…
«Posso
sentire gli ingranaggi del tuo cervellino sforzarsi a tal punto da bloccare
tutto per un sovraccarico. Ne parli?».
Stavolta il
più alto si voltò verso suo fratello, accorgendosi subito che aveva assunto
l’espressione tipica da in-un-modo-o-nell’altro-parlerai-quindi-perché-soffrire-inutilmente? e che quindi non aveva scampo.
«Ho
esagerato? Intendo… nel reagire così al ricatto e alle parole di Rachel…»,
chiese incerto.
«Affatto.
Credo sia il minimo che potessi fare: insomma, è una situazione assurda! E per
Rachel… beh… sai com’è fatta…».
Kurt davvero
non sapeva in che modo giustificare le parole dell’amica, né se volesse davvero
farlo. Era stata egoista… ed era più che normale che Finn si sentisse così.
«Dovrei
essermi abituato ai suoi modi da prima donna, al fatto che la sua reputazione e
il suo successo vengono prima di tutto e tutti,
che io non…».
La voce gli
si bloccò in gola – o meglio la fermò non appena si accorse che avrebbe tremato
da un momento all’altro e no, non avrebbe fatto la figura del piagnucolone:
aveva imparato da tempo che non c’era nulla di sbagliato nel piangere, ma di
certo non lo avrebbe fatto adesso…
Una mano si
posò sulla sua spalla, ma non proveniva dal lato di Kurt. Alzando la testa vide
Blaine che lo osservava serio, ma con un accenno di sorriso sulle labbra.
«Rachel non
lo pensa, non davvero… è stato istintivo, ma sono certo che non intendesse
offenderti o ferirti. Insomma, lei ti ama, sei la cosa più importante e non
credo tu non ne sia consapevole…»
Finn guardò
il ragazzo quasi sorpreso da quelle belle parole: non che lo credesse capace di
dirle – anzi, era risaputo che Blaine fosse una ragazzo socievole e simpatico
con tutti e lui stesso aveva potuto testare quanto grande fosse la sua bontà –
ma sentirsi dire quelle cose su Rachel era stato… illuminante. Era andato via,
senza discutere con lei, senza lasciarsi spiegare perché avesse detto proprio
quelle cose. Dovevano parlarsi.
«Grazie,
Blaine», fece risoluto, alzandosi e sorridendo «E grazie anche a te, Kurt», poi
uscì velocemente, alla ricerca della sua ragazza.
I due ragazzi
tornarono vicini, sorridendosi lievemente.
«Sai»,
interruppe quel silenzio Blaine «Credo che dovremmo parlare con Sebastian» e
Kurt notò che non era scattato nervosamente come si sarebbe aspettato a quel
nome «E credo anche di sapere chi dovremmo portare con noi…», concluse il più
basso.
L’altro lo
guardò con fare interrogativo, per poi seguirlo fuori.
***
«Tu come lo
hai saputo?».
«Ormai la
notizia è ovunque, Nick».
«Ma… ma è
vivo, no?».
«Sì, è vivo –
il padre è arrivato in tempo – ma questo non toglie che quello che ha fatto…
Insomma, è una cosa tremenda…».
Il vocio dei
Warblers nella sala comune si interruppe bruscamente quando Sebastian entrò
nella stanza con la sua solita altezzosità falsamente mascherata. Per un attimo
il nuovo arrivato guardò tutti, sorpreso dall’improvviso silenzio e gli altri
risposero al suo sguardo con incertezza a dirla tutta forse anche immotivata.
«E allora?
Che succede?», chiese, stranamente innervosito da quegli sguardi puntati su di
lui pur non avendoli richiesti.
Jeff guardò
prima Nick, poi quelli che gli erano più vicini, indeciso sul da farsi. Nessuno
di loro era certo del perché stesse avendo tanta esitazione nel comunicare
anche a lui la notizia… eppure la sala restava in silenzio.
Insomma, non
era una bella cosa da dire… e poi quel ragazzo era gay e lo era anche
Sebastian… e magari – che ne potevano sapere loro? – finiva che quei due si
conoscevano e loro ci avrebbero fatto una pessima figura ad informarlo in modo
tanto leggero di una simile notizia… E poi, e poi, e poi…
«Un ragazzo…
un ragazzo ha tentato di suicidarsi. È sopravvissuto, ma è in ospedale», si
decise alla fine a parlare uno dei ragazzi e per un attimo la mancanza di un
sostanziale cambiamento nell’espressione di Sebastian, fece sperar loro che la
cosa gli fosse più o meno indifferente.
«Era… è gay. Hanno cominciato ad insultarlo ed
infastidirlo… non ha retto» azzardò ancora uno di loro, stavolta però guadagnandosi
un’istintiva occhiataccia da parte di Thad: certo, Smythe poteva anche essere
uno stronzo – e lo era, uno davvero bravo – ma l’indelicatezza di quelle parole
era a prescindere eccessiva.
Il nuovo Warbler sussultò appena, ma non si
scompose: non era certamente la prima volta che gli capitava di sentire
qualcosa del genere e sicuramente non avrebbe fatto una scenata per–
«Si chiama
David Karofky».
Sebastian non
si rese conto di quale delle voci presenti in sala avesse detto quel nome – non
importava. Sgranò gli occhi e sussultò, stavolta visibilmente. David Karofsky. Conosceva quel nome. Lo
conosceva…
«Quindi… cosa deve fare un ragazzo per piacerti?»
«Tu, piacere ad un ragazzo? Ma per favore…»
«Perché? Che cos’ho che non va?»
«Per prima cosa, sei circa 50 chili in
sovrappeso. Smettila di farti la ceretta alle sopracciglia, sembri Liberace. In definitiva... semplicemente resta nello
stanzino, amico»
Improvvisamente
sentì l’aria nella stanza mancargli, come se l’avessero risucchiata e stesse
respirando a vuoto. Si maledisse: quanta debolezza tutta in un solo istante!
Avrebbe decisamente attirato l’attenzione di tutti i presenti… Già li
immaginava: “Che ti succede?” “Stai
male?” “È per quel ragazzo?” e poi sarebbero arrivate le scuse di chi aveva
parlato e…
No, era
troppo. Si sentiva male e non ne capiva il perché – in quelle condizioni di
certo non avrebbe avuto la forza di affrontare tutte quelle domande e gli
sguardi di pietà.
Scattò verso
l’uscita come se ne andasse della sua vita e non sentendo nulla, sperò quasi
che quella sua fuga – Miseria! Fuggiva?
– non avesse destato alcuna reazione.
Dio, l’improvvisa debolezza ora ti rende
anche stupido?, si chiese rabbioso, non appena riconobbe la voce di Thad
che lo rincorreva. Che diavolo voleva ora Harwood da
lui? Da quando si preoccupava per lui?
«Sebastian,
aspetta! Stai male? Sei sbiancato, fermati un secondo e riprendi fiato!», gli
stava continuando a gridare il compagno di camera, in un modo che gli dava sui
nervi quasi quanto la sua reazione alla notizia del tentato suicidio.
Si voltò di
scatto per rispondergli a tono, quando si accorse che aveva il fiato corto – e
sarebbe stato sciocco dire che fosse a causa dell’improvviso passo veloce con
cui si stava allontanando. Sospirò e provò a respirare con calma, senza però
perdere il suo nervosismo.
«Stammi a
sentire, Harwood: non ho idea di quando ti abbiano
promosso a mia balia, ma ti assicuro che se ti troverò ancora dietro di me la
prossima volta che mi girerò, non mi farò problemi a stenderti con un pugno»,
fece minaccioso.
Thad restò
per un istante spiazzato da tanta rabbia, ma non si fece da parte.
«Sei
impallidito di colpo… Sicuro di stare bene? Conoscevi quel ragazzo…?»,
insistette.
Sebastian
stava per perdere il controllo: si sentiva fremere – no, non avrebbe detto che
stava tremando – e se quello stupido
fosse andato avanti così, a breve non avrebbe risposto delle sue azioni.
«Harwood. Lasciami. In. Pace», scandì, prima di girare i
tacchi e andarsene.
Thad restò a
guardarlo, senza capire che diavolo fosse successo: non aveva mai visto
Sebastian in quello stato e la cosa – per quanto non volesse ammetterlo – lo
inquietava e rattristava nel
profondo. Ma gli aveva detto di starne fuori e lui lo avrebbe fatto: in fondo,
che diavolo aveva da spartire lui con l’ultimo arrivato? Il fatto che fossero
compagni di stanza non significava nulla, considerato anche che passavano la
maggior parte del tempo ad insultarsi e il restante semplicemente ad ignorarsi.
«Lascialo
stare», gli si accostò Trent «Magari vuole solo stare
da solo per un po’».
Annuì,
tornando con lui nella sala comune. Quando vi entrò, capì come doveva essersi
sentito Sebastian: tutti gli sguardi erano puntati su di lui con così tanta
insistenza che si sentì tremendamente a disagio. Cosa volevano adesso? Di certo
non era una novità il fatto che litigasse con Smythe…
La cosa lo
infastidiva – più del dovuto.
«Pensavamo…»,
si fece avanti Nick «Sia Kurt che Blaine conoscono questo Karofsky. Kurt
particolarmente bene… Forse sarebbe il caso di fare una telefonata, giusto per
chiedere come stanno…».
Sottinteso:
non è che puoi chiamarli tu, Thad caro?
Il ragazzo
sospirò: l’inquietudine che gli si era insidiata in petto alla vista di Sebastian,
rischiava seriamente di aumentare, ma pensandoci si sarebbe sentito ancora più
in colpa a non chiamarli, considerato che era a conoscenza delle loro
implicazioni.
Si sedette su
uno dei divanetti e prese il cellulare, scorrendo con velocità la rubrica alla
ricerca del numero del suo amico. Quando l’ebbe trovato, avviò la chiamata e
attese che qualcuno rispondesse.
La vibrazione
del cellulare sulla scrivania, fece sussultare Blaine lasciandolo per qualche
istante indeciso sull’alzarsi o meno per rispondere. Kurt era tra le sue
braccia – entrambi semidistesi sul letto della camera di quest’ultimo – ed
aveva appena smesso di tremare: non voleva lasciarlo, ma la vibrazione
insisteva e dopo qualche altro istante, il riccio sospirò con un sorriso verso
il suo ragazzo e si alzò per prenderlo e tornare velocemente sul letto.
«Pronto?»,
sussurrò, quasi non volesse disturbare Kurt che, rimessa la testa sulla sua
spalla, aveva chiuso gli occhi.
«Ehi, Blaine», fece la voce familiare
del suo vecchio compagno della Dalton – a Blaine non sfuggì l’insicurezza di
quelle due parole.
«Thad, ciao!»,
lo salutò con una nota più colorita nella voce «È bello sentirti: come… come
va?».
L’ulteriore
esitazione nella risposta dell’amico, stavolta fece nascere qualche
preoccupazione in Blaine: non sapeva come avrebbe reagito a nuovi problemi –
Kurt così sconvolto era sufficiente…
«Mh, ce la caviamo».
Blaine egoisticamente tirò un istintivo sospiro di sollievo. «E a te come va?», volle sapere poi
l’amico.
Il ragazzo ci
rifletté un istante. Avrebbe dovuto raccontare loro tutto? Parlarne in presenza
di Kurt forse non era la mossa migliore e in definitiva non aveva motivo di
angustiare anche loro con una simile notizia, dato che, in ogni caso, non
conoscevano Karofsky.
«Emh… non male», mentì sentendo, tuttavia, che forse non
avrebbe dovuto…
Dall’altro
lato della chiamata, gli parve di sentire che Thad avesse sospirato con
pesantezza. Di nuovo l’allarme scattò nella sua testa: quella chiamata era
strana, ancora più se considerava chi lo aveva chiamato: Thad era raramente
angustiato e nonostante avesse aperto lui la comunicazione, sembrava non avesse
nulla da dire, considerati gli attimi che passavano, dopo le domande di
routine, nel silenzio scandito dai sospiri.
«Ehi, amico:
sicuro che vada tutto bene?», si decise a chiedere.
L’altro esitò
ancora a rispondere, ma prima che Blaine potesse continuare ad incitarlo,
rispose con tono stranamente stanco.
«Devo darti una notizia… e non è nulla di
buono».
Il riccio
cercò davvero di non farsi prendere dal panico dai pochi attimi di cui ebbe
bisogno l’amico per riprendere a parlare: strinse istintivamente a sé Kurt che
si destò, guardandolo negli occhi con curiosità.
«L’abbiamo saputo da poco qui alla Dalton…
e… Oh, Blaine, si tratta di Karofsky, il bullo che infastidiva Kurt. Dicono
abbia tentato il suicidio…».
Il riccio poteva
sentire chiaramente il disagio con cui Thad aveva dato la notizia e quasi ne
sorrise: era stato sempre un ragazzo a modo e dalla grande sensibilità.
«Oh, io… noi lo abbiamo saputo, sì», si affrettò
a dire, nonostante rendesse evidente la sua iniziale omissione – come si
aspettava, sentì Thad sospirare, stavolta sollevato.
«Come… come state?», esitò il ragazzo in
divisa, comunque preoccupato per l’impatto che una simile notizia aveva potuto
avere sui due – soprattutto su Kurt.
Blaine
sospirò, guardando il suo ragazzo e sfiorandogli con delicatezza una guancia.
«Noi… scossi.
Abbastanza scossi, Thad», confessò «Non è una cosa semplice… nonostante tutto».
Il Warbler
non sapeva più che dire e forse sarebbe stato inopportuno continuare, per
questo – sapendo che l’amico avrebbe capito – salutò con garbo e chiuse la
chiamata, riferendo ai compagni quel po’ che aveva saputo.
Dall’altro
lato, i due ragazzi restarono sul letto, Kurt accoccolato sul petto di Blaine e
questi che lo stringeva a sé con fare protettivo.
Ogni volta
che il primo sussurrava qualcosa di vagamente familiare a “è colpa mia”,
l’altro gli baciava i capelli. Aveva provato a spiegargli che non era vero, che
non poteva sapere cosa volesse in realtà Karofsky e che considerati i
precedenti nessuno avrebbe agito diversamente, ma Kurt non ne aveva voluto
sapere e continuava a colpevolizzarsi come un disco rotto. Allora Blaine aveva
capito che l’unica cosa da fare era stargli vicino e aspettare che si calmasse.
***
Tremo per il freddo. È solo il freddo. Il
freddo e nient’altro.
Sebastian non
sapeva da quanto stesse andando avanti con quella cantilena nella sua testa.
Era fuori, seduto su una panchina nel parco che precedeva la struttura della
Dalton, i gomiti poggiati sulle ginocchia ed il volto fra le mani.
Tremava.
Leggermente, ma tremava. E non per il
freddo.
Nella testa
regnava il caos puro. Che cosa gli stava succedendo? Perché, perché si sentiva così… male? Non ne aveva alcun motivo! Mai
come questa volta, lui non aveva fatto nulla! Non c’entrava con quel suicidio,
non gli aveva detto di farlo, né lo aveva aiutato. E certamente non era una
cosa che avrebbe voluto che accadesse. Quindi, se il più delle volte non si
faceva scrupoli quando era coinvolto, perché adesso stava male?
Sai di esserci dentro. Non puoi negarlo.
Ma non era
così! Aveva detto quello che pensava, fine della storia! Era la verità, in
fondo: quel tipo non era bello, neanche lontanamente e lui non aveva fatto
altro che metterlo di fronte alla verità –
prima o poi se ne sarebbe accorto da solo, tanto valeva facilitargli le
cose.
Non ha tentato di suicidarsi per le mie
parole. Non sono stato io, continuò a ripetersi, ma le parole ripetute in
quel modo sembravano perdere consistenza di volta in volta, consumandosi.
In breve non
ne rimase nulla. Era colpa sua almeno quanto di tutti gli altri che lo avevano
insultato. Non si aspettava di certo che sarebbe finita così, ma ciò non
toglieva che fosse coinvolto.
«Non vorrei essere nei tuoi panni quando ti
renderai conto che lo scherzo finisce»
Sussultò. Le
parole di Thad gli vennero alla mente con violenza. Era questo che stava
succedendo? Lo scherzo era appena finito? Ma lui non voleva, maledizione! Non
voleva che finisse, non voleva sentirsi così male, così vulnerabile…
Sebastian si
strinse con forza la testa fra le mani. Non sapeva che fare e più cercava di
non pensarci, più finiva per ritrovarsi con quella scena davanti agli occhi: il
suicidio, che la sua immaginazione aveva ricostruito così bene, si sviluppava
davanti ai suoi occhi con crudeltà.
«Sei qui,
allora».
Quella voce
lo fece girare di scatto. Thad. Ancora Thad. Ma che diavolo voleva da lui? Da
quando si preoccupava per lui o semplicemente gli girava intorno? Insomma non
si erano mai sopportati ed ecco che ora non si scollava da lui?!
«Che diavolo
vuoi?», gli chiese senza alzare la testa.
«Non c’eri a
cena e allora mi sono chiesto dove fossi», spiegò.
«E da bravo
boy scout ti sei messo alla mia ricerca, i miei complimenti!», fece con
irritata ironia il nuovo Warblers.
«Qual è il tuo
problema?!», sbottò allora quello, improvvisamente innervosito
dall’atteggiamento talmente stronzo di Sebastian «Mi stavo preoccupando per te,
ma a quanto pare non serve, spreco il mio tempo!»
«Assolutamente!
E poi, ho da fare, quindi non seccarmi!» e con ciò, il più alto si alzò e si
avviò a grandi falcate verso l’entrata della scuola, lasciando Thad interdetto.
Sospirò:
perché si stava facendo tanti problemi per un tipo del genere? Non si erano mai
sopportati, perché tanti scrupoli? Sentiva di doverlo fare: cercarlo era stato
istintivo ed ora, stranamente, un simile comportamento da parte sua non lo
irritava.
Lo feriva.
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Ok, sono
approdata anche io alla Thadastian (o Thastian?). Non so come, quando o perché… so solo che un
giorno prima stavo bene (per quanto io possa stare bene) e il giorno dopo ero
in fissa con loro! Ovviamente il primo amore non si scorda mai, quindi ci sarà
anche del Klaine ♥ e chissà, altri xD
Tutto, come
spero si capisca, parte dal ricatto di Sebastian poco prima delle Regionali e
seguirà la vicenda del telefilm fino alle esibizioni, poi… vedrete! Ci andrò un
po’ pesante con gli avvenimenti (parte risata malefica) e spero davvero che
vogliate provare con me a seguire la vicenda!
Ringrazio la
mia controparte Pachelbel ♥ che pur non essendo
così in fissa con i due, mi ha sostenuto leggendo in anticipo tutto il cap ^^
Un grazie
anche a chiunque presterà attenzione ^^
A presto!
♥