My scary savior
Crocefisso
Mello
seguiva la ragazza passo dopo passo, mantenendosi a debita distanza per non far
sentire la propria presenza. Tuttavia, notò che la giovane camminava spedita,
con la testa dritta davanti a sé, muovendo le gambe in modo automatico: non
voltava mai il capo di lato per guardare una vetrina o un passante che le
lanciava qualche apprezzamento. Probabilmente avrebbe anche potuto camminarle
attaccato come un’ombra fino ad alitarle direttamente sul collo e lei non se ne
sarebbe accorta.
Possibile che fosse sprofondata in un simile stato
di shock vedendolo solamente per strada? Mello non
riusciva a spiegarselo in alcun modo. Il comportamento della ragazza era stato
assurdo, insensato.
In sella alla sua moto, fermo al semaforo, l’aveva
vista chiaramente attraverso il vetro oscurato del casco mentre lo stava
osservando con un certo interesse. Poi, qualcosa era scattato in lei, così,
all’improvviso ed era fuggita a gambe levate. A Mello
erano bastati quei pochi secondi per riconoscerla subito: Sayu
Yagami, la figlia del defunto Soichiro
Yagami.
Ricordava bene quell’uomo. Una persona retta e
integerrima, guidata da un profondo senso della giustizia e del dovere, nonché
da uno smisurato amore paterno. Non avrebbe mai voluto ucciderlo, il mondo
aveva bisogno di uomini come lui, ma il ragazzo non aveva avuto scelta: era la
spietata legge della giungla.
Vide la giovane dirigersi senza esitazioni verso una
chiesa, salire i gradini che conducevano alla maestosa porta di legno e sparire
oltre la soglia come se fosse stata inghiottita da un’altra dimensione.
Perplesso, Mello rimase
fuori ad osservare l’imponente struttura in stile moderno. Non riusciva a
trovare alcun nesso tra tutti quegli eventi. Fu la curiosità a spingerlo ad
andare avanti per risolvere quel mistero. In realtà aveva ben altro da fare:
indagare su Kira per battere Near,
come sempre, ma sapeva che se avesse voltato le spalle a quell’enigma, la sua
mente vi sarebbe tornata continuamente, distogliendo la sua concentrazione da
cose molto più importanti.
Decise quindi di entrare a sua volta nella chiesa.
Non intinse le dita nell’acquasantiera, né si fece il segno della croce: benché
fosse cristiano, non aveva mai condiviso il potere che la Chiesa esercitava sui
fedeli facendosi scudo con la Bibbia, la fede e l’ingenuità del popolo. Non
sarebbe certo stato un Padre Nostro in più a salvarlo dall’Inferno o un Ave
Maria in meno per farlo condannare.
Vide Sayu sedersi alla
quarta fila di panche dall’altare. Lui rimase vicino all’ingresso, in piedi,
appoggiato ad una colonna bianca con le mani in tasca.
Il luogo non presentava l’opulenza tipica delle
chiese europee, ricche di ori, marmi pregiati e dipinti ultrasecolari. Non
c’era da stupirsi, in fondo, considerando che la religione del Giappone non era
certo il cristianesimo e quelle chiese erano sorte solo in epoca moderna, come
segno di apertura mentale del popolo nipponico ad altre razze e culture.
Due donne anziane erano inginocchiate sulla prima
panca, facendo scivolare tra le dita le perle di un rosario ad ogni preghiera pronunciata.
Un’altra invece si era accomodata sulla penultima panca, evidentemente troppo
debole alle ginocchia per genuflettersi.
Mello
non poteva vedere cosa stesse facendo Sayu di
preciso, ma non sembrava intenta a pregare. Tirò fuori dalla borsa un piccolo
quaderno e una matita, se li poggiò in grembo ed iniziò a scrivere o disegnare
qualcosa. Probabilmente era la seconda ipotesi, dato che, regolarmente, sollevava la testa per guardare il crocefisso che aleggiava
sull’altare, sostenuto da fili in acciaio tanto sottili da sembrare invisibili.
Trascorsero i minuti, scanditi solo dai bisbigli
delle pie donne che recitavano i loro rosari senza sosta. Una cantilena
dall’effetto soporifero che più di una volta aveva persuaso Mello
ad andare via. Stava solo perdendo tempo dietro quella ragazza. I loro destini
avevano preso strade diverse dopo essersi incrociati per pochi giorni. Non vi
era alcuna utilità in tutto quello, ma il corpo non voleva obbedire ai comandi
della mente.
Rimase lì, immobile, come un guardiano pronto ad
intervenire in caso di pericolo. Fu persino tentato di avvicinarsi a lei per
sbirciare quello che stava facendo, ma non sarebbe stata un’azione saggia, specie in un
luogo di culto come quello che, per quanto si trattasse solo di un edificio come
un altro per Mello, comunque riusciva ad incutere un
certo rispetto, merito delle orazioni delle anziane devote.
Infine, dopo un’attesa che pareva essere durata
secoli, la ragazza ripose il quaderno e la matita nella borsa, si alzò e, dopo
essersi segnata, si incamminò verso l’uscita. Ma lì davanti c’era Mello, una figura ammantata di nero impossibile da non
vedere sullo sfondo bianco delle pareti.
Come era accaduto per strada, la scena sembrò
ripetersi, quasi si trattasse di un nastro riavvolto al punto di partenza e
fatto ripartire: solo lo scenario era cambiato, ma gli occhi sbarrati e
l’espressione di puro terrore che si dipinse sul volto di Sayu
erano identici.
La ragazza si bloccò sul posto. Tremava come se si
trovasse nuda in una tundra ghiacciata.
Mello
non poté non notare il suo turbamento e questa volta non le avrebbe permesso di
fuggire senza ottenere una minima spiegazione. Era illogico quel terrore nei
suoi confronti, specialmente dopo quello che era successo nel covo sotterraneo
dove era rimasta prigioniera… dopo quello che lui aveva fatto per lei.
La vide indietreggiare, in evidente stato di panico.
Uno, due, tre passi. Camminava a ritroso lentamente, come se si trovasse
davanti ad un pericoloso predatore e ogni movimento brusco avrebbe potuto far
scattare la bestia. Probabilmente avrebbe gridato se non avesse avuto rispetto
per il luogo in cui si trovava.
Mello
avanzò, ma non appena la gamba destra si allungò in avanti, lei scattò,
dirigendosi a passo svelto verso una porta laterale che solo in quel momento il
ragazzo notò. Mandando all’aria ogni forma di deferenza, iniziò a correre per
raggiungerla, una scena che attirò immediatamente l’attenzione delle anziane
interrompendo le loro preghiere al Signore.
In poche falcate, Mello
raggiunse la porta da cui Sayu si era defilata. La
vide correre a perdifiato sul marciapiede, in procinto di attraversare la
strada per mettere quanti più metri di distanza tra lei e la sua nemesi.
La luce verde del semaforo dei pedoni si spense,
lasciando la scena a quella rossa raffigurante un omino stilizzato fermo sul
posto. Sayu non lo notò. La sua vista era limitata,
come se avesse indossato dei paraocchi che le impedissero di vedere a destra e a
sinistra. La sua mente cercava solo un percorso sgombro di ostacoli e persone,
in modo da avere la strada libera per correre senza freni: se si fosse fermata
sarebbe stata la fine per lei.
Abbandonò il marciapiede per attraversare la strada,
ma il suono di un clacson la riportò bruscamente alla realtà. Il suo campo
visivo si ampliò e davanti agli occhi si materializzarono i fari di una
macchina che puntavano dritto su di lei, come gli occhi di un felino che balzi
addosso ad una preda. Si fermò, quasi ipnotizzata da quel bagliore, terrorizzata
da ciò che stava per accadere.
Finiva dunque così?
Improvvisamente le mancò il terreno sotto i piedi. I
secondi si dilatarono. Il clacson suonò di nuovo, così vicino da assordarla. Lo spostamento d’aria provocato dalla macchina in corsa le schiaffeggiò
la pelle. E un calore, stranamente familiare, l’avvolse prima che potesse
impattare sull’asfalto.
Qualcuno l’aveva protetta, facendole scudo per
impedire che si facesse male. Non riuscì a vedere il volto del suo salvatore.
Quella overdose di emozioni le mandò in tilt il cervello. I sensi lentamente si
affievolirono e, prima di svenire, avvertì un intenso profumo di cioccolato
saturarle le narici: dentro di sé sapeva che era un odore di cui si poteva
fidare e cullata da quel dolce effluvio si rilassò, consapevole di essere al
sicuro.
I
curiosi che si erano accalcati intorno ai due giovani, sopravvissuti per
miracolo ad un terribile incidente (le anziane donne uscite dalla chiesa
avevano più volte ribadito il concetto indicando proprio l’edificio di fronte
alla strada), avevano insistito per chiamare un’ambulanza e farli portare
entrambi all’ospedale più vicino. Ma Mello era stato
irremovibile: non servivano medici, solo un po’ di riposo. Era bastata una
telefonata a Matt e subito l’amico era andato a prenderlo con la macchina,
salvandolo così dalla folla di persone che insistevano per prestar loro i primi,
inutili soccorsi.
“Avevo sentito parlare di uomini capaci di far
cadere le donne ai propri piedi, ma non immaginavo che tu fossi uno di quelli!”
Matt amava sempre scherzare e non era riuscito a trattenersi dal fare un po’ di
umorismo nel vedere la ragazza svenuta sul sedile posteriore.
“Non potevo portarla all’ospedale, troppe rogne con
i documenti poi” aveva risposto Mello ad una domanda
che non gli era stata posta.
“E non potevi lasciare che l’ambulanza portasse via
solo lei?”
“Diciamo che abbiamo un conto in sospeso.”
Matt, dopo averli accompagnati all’appartamento che
avevano adibito a momentaneo centro operativo, era uscito per continuare a
spiare Misa Amane per conto di Mello,
lasciando il complice solo con Sayu.
Mentre la giovane dormiva profondamente, Mello ne approfittò per guardare il misterioso quaderno che
le aveva visto in mano dentro la chiesa. Lo sfogliò con attenzione, pagina dopo
pagina, da prima lentamente per assimilarne al meglio il contenuto, poi sempre
più veloce rendendosi conto che i fogli erano ingombri di crocefissi, alcuni
stilizzati, altri più elaborati.
Si soffermò in particolar modo su di uno, prese la
croce pendente dal proprio rosario e l’affiancò al disegno, constatandone così la
discreta somiglianza. Sayu aveva disegnato proprio il
suo rosario, più di una volta in effetti, ma ancora Mello
non riusciva a comprendere il significato di quelle riproduzioni. Si fermò
all’ultima pagina dove la ragazza aveva riportato il crocefisso presente nella
chiesa. Notò che il tratto del disegno era incerto, tremolante, esattamente
come quello delle prime pagine, quasi la ragazza avesse avuto paura di
raffigurare su carta quell’immagine.
La fissò a lungo. Il suo viso era sereno, come se
stesse dormendo sul letto di casa sua, tra le proprie confortevoli lenzuola: il
pericolo scampato di un paio d’ore prima sembrava essere stato del tutto
cancellato dal suo volto.
La vide sbattere leggermente le palpebre e il
respiro diventò più intenso: si stava svegliando.
Il ragazzo si appoggiò allo schienale della poltrona
consunta. Meglio non fare troppo rumore, pensò: avrebbe potuto spaventarla eccessivamente
e ciò non era conciliabile con i suoi propositi di avere risposte.
Sayu
socchiuse appena gli occhi. La penombra della stanza aiutò le pupille ad
adattarsi alla debole luce senza traumi. La mente era vuota. Tutto ciò che
sapeva era di trovarsi in un letto, al caldo, al sicuro e quindi, per logica, a
casa sua. Poi affiorò l’immagine del suo rapitore in chiesa, ma lei non lo
classificava come un ricordo: per Sayu si era
trattato solo di un brutto sogno, uno dei tanti, ma questa volta più chiaro e
nitido.
Guardò il soffitto per una manciata di secondi, poi
voltò la testa verso la finestra. Una finestra?, si domandò. Camera sua aveva
un bel balcone che si affacciava sul giardinetto davanti casa e le tende non
erano certo rovinate e strappate in più punti. Ripescò dalla mente i fotogrammi
di quello che era successo prima di addormentarsi, premendo l’immaginario
pulsante di riavvolgimento della bobina mnemonica: la chiesa, il ragazzo con il
rosario vestito di nero, la fuga, la macchina e poi… il profumo del cioccolato.
Sì, quello lo ricordava ed era strano perché i sogni non producevano odori,
eppure lei era certa di averlo sentito e se ne era così sicura voleva dire solo
una cosa: che quello non era stato un sogno ma la realtà e lei non si trovava
nella sua camera.
Si alzò di scatto facendo scivolare le coperte lungo
il busto, ma se ne pentì subito dopo a causa dell’eccessivo afflusso di sangue
che come un fiume in piena le aveva inondato il cervello. Ebbe un capogiro, ma
non volle ristendersi sul materasso, quasi avesse paura fosse cosparso di chiodi
e vetri rotti.
Tutto ciò avvenne in poco meno di dieci secondi e
prima ancora che Sayu potesse esplorare con lo
sguardo il resto della stanza, una voce alla sua sinistra la spaventò, dandole
così la definitiva conferma dei suoi terribili sospetti. No, non era a casa sua
e questa volta non ci sarebbe stato suo padre a salvarla.
“Non agitarti” disse Mello
in tono piatto e fermo.
Sayu
si voltò verso di lui. I suoi occhi furono subito attratti dal rosario che gli
pendeva dal collo e d’istinto indietreggiò verso la parete a cui il letto era
addossato: si sentiva in trappola, eppure il muro che le copriva le spalle le
dava un insensato conforto e una blanda sicurezza.
“No, no. Perché di nuovo?”
Era in evidente stato di shock e Mello
restò immobile. Ogni suo movimento avrebbe potuto provocare una reazione
indesiderata della ragazza. Era chiaro cosa stesse pensando Sayu,
ma lei non avrebbe dovuto reagire così alla sua vista: non dopo quello che
aveva fatto per lei, in ben due occasioni.
“Non sei stata rapita. Al contrario, ti ho salvato
la vita: stavi per farti investire.”
Sayu
iniziò a tremare. Voleva afferrare la coperta e coprirsi con quella per godere
di un illusorio senso di protezione, ma non osava compiere alcun gesto per
timore di contrariare il suo carnefice. Lui l’aveva salvata e probabilmente era
vero, ma la ragazza non pensava che lo avesse fatto per puro altruismo, ma solo
perché gli serviva viva, niente di più. Non disse nulla, ogni parola avrebbe
potuto peggiorare la sua già preoccupante situazione.
Mello
prese il quaderno rimasto aperto sulle gambe e solo in quel momento Sayu lo notò. Il ragazzo lo sollevò per mostrarle due
pagine a caso e chiese: “Perché hai disegnato tutte queste croci?”. Non ottenne
alcuna risposta e provò ad essere più specifico. Abbassò il quaderno e prese il
proprio rosario, lo sollevò all’altezza del viso e il crocefisso all’estremità
oscillò come l’orologio di un ipnotizzatore. Dopo quattro oscillazioni si fermò
e Mello pose il suo secondo quesito. “Perché hai
disegnato questo?”
Sayu
era combattuta interiormente. Se non avesse risposto il suo rapitore si sarebbe
certamente infuriato e chissà a quali indicibili torture l’avrebbe sottoposta
per cavarle di bocca ciò che voleva sapere. Se invece avesse dato una
spiegazione a quei disegni, forse questa non sarebbe stata gradita al ragazzo
che aveva davanti e anche in quel caso Sayu non osava
immaginare cosa le avrebbe fatto. Non si chiese perché mai il suo quaderno e la
sua paura per le croci suscitasse la curiosità del suo sequestratore: era
troppo occupata ad aver paura per rifletterci.
“Rispondimi!” Mello stava
iniziando a perdere la pazienza, per non parlare del tempo prezioso che stava
sprecando dietro quella ragazzina quando aveva cose molto più importanti di cui
occuparsi: per esempio, definire meglio i dettagli del rapimento di Takada.
“E’ una… terapia” disse titubante Sayu.
Le sue parole suscitarono la curiosità di Mello. “Terapia per cosa?”
Il tono di voce dello sconosciuto si era ammorbidito
dopo aver dato la prima risposta. Dedusse quindi che il silenzio sarebbe stato
dannoso per lei, ma doveva fare attenzione a ciò che diceva. “Staurofobia.”
“Paura delle croci? E perché ti terrorizzano e in
particolare perché questo rosario ti terrorizza?” Mello
sapeva che il rosario era solo un oggetto di identificazione: la ragazza non
aveva paura del suo girocollo ma di lui.
“Per quello che successe la prima volta. Con il
buio, l’unica cosa che riuscii a vedere era quel rosario. E ogni volta che vedo
quella forma da qualche parte mi sento mancare.” La ragazza si rannicchiò su se
stessa, probabilmente temeva che le sue frasi avrebbero provocato una reazione
violenta da parte di Mello.
Invece lui restò impassibile, il suo volto era una
maschera di freddezza. “Credi che io sia l’uomo che voleva violentarti?”
L’ultima parola ebbe l’effetto di una stilettata di
ghiaccio nel cuore di Sayu. Aveva cercato di
reprimere quel ricordo, ma ora il suo rapitore lo stavo portando alla luce con
spietatezza. Cosa avrebbe dovuto rispondere a quella domanda così diretta? Tacque.
“Il tuo silenzio lo conferma” rispose per lei Mello. Chiuse il quaderno, si chinò per prendere la borsa
della ragazza afflosciata ai suoi piedi e lo ripose all’interno. Si alzò, e a
quel movimento Sayu desiderò con tutta se stessa di
fondersi con il muro dietro di lei, trasformare i suoi muscoli in mattoni, il
suo sangue in malta e la sua pelle in intonaco.
Ecco, ora sarebbe avvenuta quella violenza a cui era
riuscita miracolosamente a scampare la prima volta, in un modo che,
effettivamente, nemmeno lei che ne era stata la protagonista ricordava.
“Ti riporto a casa. Alzati!”
Quell’ordine generò una sensazione di déjà vu in Sayu, come se avesse già udito quel ragazzo dirle di
mettersi in piedi in un momento imprecisato del passato o di un sogno, chissà. E
c’era anche una risposta che lei aveva dato in quel ricordo sbiadito,
evanescente: “Non ci riesco” bisbigliò con voce flebile, non capendo se avesse
davvero pronunciato quelle parole o se le avesse solo immaginate.
“Cosa hai detto?”
“Nulla” si affrettò a rispondere lei, mettendosi in
piedi. La schiena ingobbita e la testa china.
Mello
non si premurò neanche di bendarla per tenere nascosto il proprio nascondiglio.
A cosa sarebbe servito, in fondo? Tra due giorni avrebbe rapito Takada e le probabilità di sopravvivere erano irrisorie. Inoltre,
la ragazza era così terrorizzata che certamente avrebbe dimenticato tutto e di
sicuro si sarebbe ben tenuta alla larga da quel posto sapendo che vi viveva il
suo aguzzino.
Prima di allontanarsi in macchina, Sayu riuscì a vedere la facciata dell’edificio da cui erano
usciti. C’era un’insegna, ma, sebbene alcune lettere si fossero staccate,
riuscì a decifrare il nome del negozio abbandonato che c’era prima: ‘Fas n ’ r ck’ ovvero ‘Fashion n’ rock’. Non gli era nuovo come nome
in quanto passava davanti alla nuova sede tutti i giorni mentre si recava all’università.
Scorse un manichino riverso a terra senza la gamba e il braccio sinistri, una
figura inquietante nella cornice della vetrina sporca e opaca. Il quartiere non
era dei più rassicuranti, il degrado invadeva le strade. Un posto di cui lei
ne conosceva a stento l’esistenza in quella grande città.
Il viaggio avvenne nel silenzio più assoluto. Sayu aveva gli occhi fissi sulla strada e non osava mai voltarsi
verso il guidatore, quasi che il suo sguardo avesse potuto suscitare qualche
reazione violenta. Tuttavia, da quella distanza così ravvicinata non poté a
fare a meno di inebriarsi del profumo del ragazzo. Sapeva di cioccolata e
ancora una volta quell’effluvio così dolce la fece sentire protetta. Come può
una persona con un odore così buono essere maligna?, si chiese senza trovare
risposta.
La strada di casa sua le parve un miraggio e non
scese dalla macchina fino a che non le fosse stato ordinato.
Mello
sembrò titubare. Voleva chiederle delle cose, ma sapeva che non avrebbe
ottenuto risposte soddisfacenti. Inoltre, la giovane, a causa dello shock
subito durante la prigionia mesi addietro, aveva un vuoto di memoria e questo
gli era stato chiaro nel momento in cui lei lo aveva additato come suo
potenziale stupratore.
“Se la cosa può consolarti” esordì lui, “da dopodomani
puoi stare certa che io non sarò più una minaccia per te.” Sayu,
stuzzicata nel suo lato più curioso, avrebbe voluto chiedere delucidazioni su
quella frase enigmatica ma lui concluse con un perentorio: “Scendi.”
La ragazza obbedì. Chiuse la portiera e si diresse
verso casa sua, girandosi solo una volta per verificare se la macchina rossa
con a bordo il ragazzo fosse ancora ferma a pochi metri dal cancello di casa. Sì,
Mello era rimasto ad osservarla fino a quando non
vide la sua esile figura scomparire dietro il muro che delimitava il
giardinetto.
Note dell’autrice
Io
non posso credere solo nel primo capitolo abbia ottenuto ben 9 recensioni *o*
Voglio dire, considerata la coppia non mi sarei mai aspettata un simile
interesse da parte dei lettori! Vi ringrazio, vi ringrazio infinitamente! Questo
secondo capitolo non so sinceramente se sia uscito bene o male, forse avrei
dovuto allungare un po’ il dialogo tra Mello e Sayu ma non sapevo proprio che farli dire :s Con i dialoghi litigo un po’! Bene, non mancate
di farmi sapere cosa ne pensate e ci vediamo al prossimo e ultimo capitolo di
questa minilong!
Questa fic partecipa alla challenge indetta da starhunter Vitii et Virtutis, i vizi e le virtù.
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