#2
- Summer of
Corruption
Detroit,
Giugno 1924.
“Lexi's driving me
crazy. More animal blood, more misery.”
Il
caldo è soffocante,
molto più di quanto dovrebbe ragionevolmente essere
all'inizio
dell'estate, e perfino le mosche che ronzano tutt'intorno alla
stanza, grosse e pesanti, sono così stordite dalla
temperatura
inaspettata da non riuscire nemmeno a volare come si deve.
L'appartamento
in cui
lui e Lexi si sono trasferiti è una specie di seminterrato,
poco più
di una cantina, in realtà. Un buco di cemento arroventato,
spoglio
di qualsiasi decorazione non strettamente necessaria e appena appena
vivibile per dei vampiri, figuriamoci quindi per degli esseri umani.
Lexi dice che è il posto migliore per passare inosservati
tra le
centinaia e centinaia di persone che affollano Detroit dopo il boom
dell'immigrazione. A Stefan sembra semplicemente una tana per topi.
Le
loro opinioni non
sono mai state così contrastanti su qualcosa come lo sono su
quel
luogo (eccettuato ovviamente un paio di piccole cose, tipo il senso
dell'esistenza di un vampiro e il rispetto della vita umana.
Pochezze, davvero).
Già
dal primo giorno,
Stefan ha riservato a quella città un odio profondo, che
fino a quel
momento ha dedicato a davvero ben poche cose, considerato il lungo
corso della sua vita. A Lexi invece Detroit piace molto. Non lo dice
mai esplicitamente, ma Stefan vede come le si illuminano gli occhi
quando torna a casa, quando parla della gente che ha incontrato,
delle cose che ha visto.
Ai
suoi occhi
quell'agglomerato umano di varie razze in guerra tra loro non
è
altro che un grosso ristorante a cielo aperto, ma questo alla sua
compagna non può dirlo. Non che lei non lo intuisca da sola,
ovviamente, ma perlomeno evitano di discuterne. Cortesia: la prima
regola della convivenza. Non sempre la rispettano. Anzi.
Il
problema è che
Stefan non capisce perché mai dovrebbe prendersi la briga di
mostrarsi ─
o perfino
essere! ─,
ancora umano,
dato che non lo è più da ormai sessant'anni e il
cambiamento non
gli dispiace affatto, gli sembra anzi una miglioria, checché
ne
pensi al proposito Lexi. C'è anche da dire che quel periodo
non
aiuta affatto le tesi della sua amica: l'umanità non sta
mostrando
la sua faccia migliore, e perfino lei è costretta ad
ammetterlo.
Discutono
spesso su
questa cosa, a volte anche violentemente. Parlano della guerra appena
finita e di quella che nelle strade è soltanto all'inizio,
parlano
dell'Europa, della politica, delle nuove scoperte scientifiche, degli
ultimi film esposti al cinematografo. Di qualsiasi cosa, insomma.
Lexi
non gli permette
di uscire, ma in cambio gli racconta storie, gli porta giornali, gli
riferisce notizie e pettegolezzi, cerca di farlo ridere. E gli
procura il sangue, ovviamente. Da quanto Stefan è riuscito a
capire,
è riuscita a soggiogare il macellaio del quartiere, ed
è lì che si
procura, giorno dopo giorno, quella robaccia orribile che il vampiro
è costretto a cacciarsi giù per la gola per
calmare i crampi della
fame.
Stefan
pensa spesso di
mandare tutto al diavolo, di voltare le spalle a Lexi e cambiare
città, Paese, o perfino continente, di ricominciare tutto
daccapo.
Poi si rende conto che non c'è proprio nulla da
ricominciare, che in
fondo le cose vanno meglio rispetto a due anni prima, e che Lexi ha
ragione quando dice che andranno ancora meglio con il tempo, che se
ce l'ha fatta una volta può farlo ancora.
A
volte quelle parole
riescono veramente a confortarlo e a dargli speranza. Altre volte ha
solo voglia di gridare a Lexi che sono tutte stronzate, che
c'è un
motivo se continua a ricascare sempre nello stesso baratro, che lei
dovrebbe smettere di cercare di salvarlo e piantargli piuttosto un
pezzo di legno nel petto. A trattenerlo è solo l'idea della
sua
risata davanti a quelle affermazioni. Non crede di poter sopportare
una cosa del genere.
Un
sottile alito di
vento fa scricchiolare dolcemente la porta, lasciata aperta
nell'inutile tentativo di rinfrescare l'aria, e Stefan si volta a
fissare il riquadro incorniciato dagli infissi di legno marcio. Tutto
ciò che riesce a vedere, considerato il dislivello tra la
casa e la
superficie, è un pezzetto di cielo, azzurrissimo e sgombro
di
nuvole, e sotto di esso una striscia di strada, color grigio
impolverato e quasi altrettanto sgombra di esseri umani. Quasi.
Sul
marciapiede di
fronte a quello dove si affaccia la porta del seminterrato, infatti,
una ragazzina si è fermata a riposare all'ombra di un albero
e si
guarda intorno con aria stanca e annoiata. Ha la fronte sudata, le
mani sporche di terra, e il vestito leggero le aderisce alla pelle in
un modo che molti riterrebbero al limite dello scandaloso. Sotto il
braccio porta un cesto pieno di frutta, e con la mano libera si
sventola lentamente il volto con il cappello.
I
loro sguardi si
incrociano nonostante i diversi metri di distanza, come naturalmente
attirati l'uno dall'altro. Lì dall'altra parte della strada
lei
sorride, un sorriso candido e ingenuo che Stefan ricambia per
riflesso, pur senza alcuna ingenuità né candore.
Non
è niente di che,
pensa intanto, solo una ragazzina di strada che cerca di mettere
insieme i soldi della cena. Probabilmente un'orfana, oppure una delle
prime figlie di una nidiata troppo numerosa di bambini. In entrambi i
casi, una persona che non verrà pianta troppo e la cui
scomparsa non
farà molto rumore.
Nel
momento stesso in
cui quei pensieri emergono dal suo subconscio per palesarsi ad un
livello più cosciente, Stefan scuote violentemente la testa,
disgustato da se stesso. Si alza in piedi e si avvia verso la porta,
intenzionato a sbattergliela in faccia. Ma ormai è troppo
tardi.
«Una
pesca, signore?»,
domanda la ragazzina, affacciandosi timidamente nello specchio
dell'entrata. Stefan la osserva dal basso, costernato. Vorrebbe dire
di no, ma non ci riesce. Il suo sguardo si perde lungo la linea del
collo di lei, seguendo una goccia di sudore che vi scivola a rilento,
fino a perdersi tra l'incavo dei seni appena accennati.
«Ho
anche delle belle
mele, signore», continua lei con allegria, mentre il vampiro
diventa
dolorosamente conscio del rumore del suo piccolo cuore che batte ad
un ritmo lento e regolare, a così pochi metri da lui. I
pensieri si
accavalcano confusamente nella sua mente mentre i morsi della fame
gli attanagliano ogni singolo muscolo del petto.
«Signore?»,
lo
richiama la ragazzina, ora con tono preoccupato.
«Va'
via», cerca di
dirle Stefan, ma il suono strozzato che esce dalle sue labbra
è
intraducibile persino a lui stesso. Lei fa l'enorme errore di
scendere un paio di scalini, avvicinandoglisi per controllare che
stia bene.
Prima
ancora che riesca
a prendere una decisione razionale, Stefan sente il proprio volto
cambiare, le zanne crescere fino ad affondare nel labbro inferiore,
le vene intorno agli occhi ingrossarsi pericolosamente.
Mi
dispiace.
La
ragazzina urla.
Stefan scatta istintivamente verso di lei. Lexi arriva al momento
giusto, come sempre. O quasi.
Il
silenzio nella
stanza è oppressivo quasi come il sole di mezzogiorno, che
è
riuscito a trovare lo spiraglio dell'unica finestra presente nella
stanza e ora gli brucia crudelmente una guancia. Lexi non dice nulla,
ma ogni suo gesto e sguardo emanano furia e delusione. Se la
disapprovazione fosse materia tangibile, ora mezza città ne
sarebbe
invasa.
Stefan
cerca di
allungare le braccia, indolenzite dalla scomoda posizione a cui sono
costrette, ma le corde gli stringono i polsi troppo forte per
concedergli qualsiasi tipo di movimento. L'idea di fare fisicamente
del male a Lexi gli ripugna, ma in quel momento non può fare
a meno
di accarezzarla, e se non fosse legato probabilmente non ci
penserebbe due volte ad avventarsi su di lei, pur sapendo che
potrebbe batterlo senza difficoltà.
L'incapacità
di
muoversi, tuttavia, non pregiudica quella di riflettere. O di
parlare. Ci sono molti modi per ferire una persona, e le parole non
sono affatto la meno efficace: Stefan lo ha imparato fin da bambino,
grazie ai modi taglienti di suo padre.
«Tutto
questo non ha
senso, Lexi. Se non è stata quella ragazzina sarà
un'altra. Se non
è successo oggi succederà domani, o tra due anni.
Perché non lasci
perdere e basta?»
Lexi
gli dà le spalle,
intenta a sistemare in una ciotola colorata la frutta che la sua
mancata vittima ha lasciato cadere nella sua fuga disperata. Fuga che
si è conclusa poco dopo, ovviamente, dato che non le si
poteva certo
permettere di gridare al resto della città che
c'è un vampiro
affamato tenuto prigioniero in una cantina dei quartieri popolari.
«Non
appena ti sarai
ricordato di non essere un animale in trappola ma un essere
senziente, con una mente e dei sentimenti, capirai da solo
perché
non lascio perdere. Siamo ancora a metà lavoro, Stefan.
Anche se
pensavo che ormai avessi acquistato più controllo, devo
ammetterlo»,
replica seccamente la vampira, continuando ad impilare le mele in una
piramide perfetta.
«Non
ho mai avuto
controllo, lo sai. È proprio questo il problema,
no?», sospira
Stefan, abbandonandosi contro il materasso e cercando una posizione
quanto più possibile comoda, considerate le circostanze.
Lexi
si volta
finalmente a guardarlo, l'espressione dura addolcita da una sfumatura
di compassione che Stefan non è sicuro di gradire molto.
Sempre meno
doloroso di un paletto nello stomaco, certo, ma anche decisamente
più
difficile da incassare.
«Questo
è un problema
che posso aiutarti a risolvere», risponde Lexi, conciliante.
«Ti
riporterò sulla giusta via, Stefan. Che ti piaccia o
meno»
Stefan
ribatte con una
risatina sdegnosa, poi piega appena la testa di lato e fissa il suo
sguardo in quello di lei. Le riserva la stessa occhiata che di solito
rivolge alle sue vittime, e il suo sorriso si accentua visibilmente
quando lei mostra di esserne innervosita.
«Non
sarebbe più facile il contrario?», le chiede
allora Stefan, con un
tono più suadente che veramente serio. «Non
sarebbe più facile se
invece di cercare di fare di me un vampiro civilizzato non fossi tu a
lasciarti corrompere, Lexi? Ci divertiremmo molto di
più», le
assicura, tendendosi in avanti il più possibile, fino quasi
a
lacerarsi la pelle dei polsi ancora incatenati.
Dal
volto della vampira sparisce subito qualsiasi traccia di simpatia o
comprensione, e torna l'espressione accigliata e delusa.
«La
mia idea di divertimento è molto diversa da quella che hai
in mente
tu», risponde duramente lei, lanciandogli uno sguardo di
chiaro
avvertimento. Non le piacciono quei discorsi, Stefan lo sa. Forse
è
per questo che lo divertono tanto.
«Oh,
lo so», continua quindi, sempre sorridendo, ma le sue labbra
assumono una piega decisamente più crudele. «La
tua idea di
divertimento è imitare gli esseri umani, fingere di essere
una di
loro, comportarti come pensi che si comporterebbero loro con te, se
dovessi mai ritrovarti alla loro mercé. Povera
illusa»
«Smettila,
Stefan», gli ordina Lexi, e l'aria si carica ancora di
più di
tensione ora che anche lei riesce a stento a trattenere il proprio
istinto violento, che probabilmente le sta suggerendo di sbattergli
la testa contro il muro fino a farci un buco.
Stefan,
com'era ovvio, non smette affatto. Anzi, decide di rincarare.
«La
tua idea di divertimento è passare anni interi in compagnia
di
persone che non ti vogliono, cercando di convincerle a guardarti come
esempio perché non hai nient'altro a cui aggrapparti. Io
sarò anche
un mostro, Lexi, ma tu sei un essere decisamente più
patetico»,
continua con un ghigno.
Più
veloce di un battito di ciglia, Lexi attraversa la stanza e gli
pianta un paletto al centro del petto, calcando con forza per fargli
più male possibile. Ma il dolore non serve a niente questa
volta.
Non di fronte alla sua rabbia, che Stefan è contento di
essere
riuscito a suscitare fino a quel punto.
«Brutta
idea provocare chi ha il paletto dalla parte del manico, non
credi?»,
dice Lexi, con un tono che vorrebbe essere quanto più
distaccato
possibile, ma lui non si lascia ingannare.
Capisce
di averla ferita ─
ferita
profondamente, per giunta ─,
e per un attimo la soddisfazione è così forte che
il vampiro piega
indietro la testa e ride, ride così forte da farsi bruciare
la gola,
ride come potrebbe ridere qualcuno che stia perdendo il senno, ride
fino a piangere.
Quasi
nemmeno si accorge del modo in cui lei fa ruotare il pezzo di legno,
scavando a fondo nella carne, ancora e ancora, prima di costringersi
ad estrarlo completamente, ammettendo quindi la propria resa. Quando
diversi minuti più tardi Stefan riesce finalmente a
ricomporsi, Lexi
è già sparita, la porta è sbarrata e
il suo sangue continua a
riversarsi sulla maglietta, sulle lenzuola e sul letto, tingendo
tutto di un rosso vivo.
Lexi
sparisce per due giorni interi, e Stefan quasi si convince di essere
stato abbandonato lì a marcire per il resto
dell'eternità. La fame
gli fa dolere ogni singolo muscolo del corpo, e persino la
prospettiva della robaccia di scarto del macellaio di turno diventa
improvvisamente molto appetitosa. Non che abbia modo di procurarsela,
comunque. Ha provato infinite volte a liberarsi dalle corde, ma tutto
ciò che è riuscito ad ottenere è di
segarsi ancora più a fondo i
polsi, perdendo altro sangue, diventando quindi sempre più
debole.
Le
ore passano indolenti, ogni secondo un tormento eterno che Stefan non
ricorda di aver mai provato prima. Bugia, ovviamente, perché
in
realtà c'è già passato una volta, e sa
anche che peggiorerà di
parecchio prima di diventare anche solo lontanamente sopportabile.
Ma
intanto, immerso nella luminosità cocente di quella cantina,
impossibilitato a qualsiasi tipo di movimento, Stefan si trova
costretto a scendere a patti con se stesso.
Ripensa
alla ragazzina terrorizzata. Al volto deluso di Lexi, alla sua
espressione ferita di cui, per pochi secondi, è stato
così fiero.
Torna ancora più indietro nel tempo. Torna a Chicago, a
quella
sensazione di perdita affogata violentemente nel sangue. Facce e
nomi. Lettere incise su un muro. Vite spezzate in cambio di poche ore
di divertimento.
Il
caldo è una cappa quasi solida, intorno a lui. Il sangue ha
irrigidito i suoi vestiti, e ora li sente addosso pesanti e ruvidi.
La puzza lo disgusta fino alla nausea, la quantità indecente
di
mosche che gli ronzano vicino gli fa rivoltare lo stomaco. Se questo
non è il fondo, manca davvero poco prima di toccarlo,
considera tra
sé.
Le
notti sono più facile da gestire, sebbene non portino
comunque alcun
tipo di riposo. Il buio, perlomeno, riesce a nascondere un po' di
quell'orrore. Lexi è ormai il suo pensiero fisso. I suoi
occhi
addolorati diventano un'ossessione. Non ha mai voluto farle del male.
Non a lei. Forse nemmeno ad altri... perlomeno così era una
volta.
Sì, c'è stato un tempo in cui il dolore degli
altri lo feriva, e
provocarlo era davvero l'ultima cosa che avrebbe voluto fare.
E
non succedeva poi così tanto
tempo addietro.
Quando
Lexi torna ─
come lui in fondo sapeva che avrebbe fatto ─,
a Stefan sembra che siano passati anni interi.
Lei
rimane in piedi ai
bordi del letto e lo fissa dall'alto, con un'espressione
indecifrabile sul volto e una fiaschetta di sangue animale stretta
tra le dita. Stefan ne sente l'odore, ma non è su quello che
si
concentra.
«Mi
dispiace», sussurra all'amica, con una voce arrochita e
stanca.
Lexi
sorride.
«Bentornato»,
dice
solo, prima di sedersi al suo fianco.
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