Questa è la
prima storia che scrivo su "Il Pianeta del Tesoro" e sono piuttosto
contenta di esserci riuscita, essendo il mio film Disney preferito e
trovando ingiusto il fatto che sia così
sottovalutato.
Come dice l'introduzione, mi sono ispirata alla scena dell'abbandono
del padre di Jim e ho provato a descrivere la drammaticità
di quel momento che, tutte le volte, mi fa stringere il
cuore e salire le lacrime agli occhi. T^T
Il titolo sarebbe
"Verso l'irraggiungibile" in inglese.
Spero possa piacervi! :)
Toward
the unreachable
Il
rumore secco di una porta che sbatteva lo svegliò di
soprassalto. Il
sole, sorto da poco, bagnava di un colore aranciato il cielo
brumoso.
Jim
si scostò le coperte di dosso, sgranando gli occhi.
Osservò attraverso la
finestra aperta la sagoma che si allontanava per il sentiero roccioso
che
conduceva al molo. Lì,
in attesa, il
profilo di un veliero si stagliava tra le ombre rosate delle nuvole,
pronto a
partire in qualsiasi momento.
No, si disse, non
può essere vero.
Si
precipitò fuori dalla stanza, l’angoscia che lo
attanagliava in una morsa
opprimente; divorò le scale fino ad arrivare al piano terra,
dove trovò sua
madre seduta a uno dei tavoli della locanda, le spalle scosse da
tremiti. Sapeva
che stava piangendo e che avrebbe dovuto tentare di consolarla, ma
prima che
potesse fermarle le sue gambe lo avevano già condotto
all’esterno, immobilizzandolo
poi sull’uscio.
Allora
lo vide e, in un moto di incredula afflizione, realizzò.
Aveva
già lo sguardo appannato di lacrime quando si
lanciò in quella corsa disperata,
in pigiama e col cuore in gola che, straziato, singhiozzava
furiosamente.
Ignorò
il dolore delle pietre che strusciavano sotto la pianta dei piedi nudi
e
continuò a tenere gli occhi incollati a quella schiena
persino quando, saltando
un paio di gradini frettolosamente, finì faccia a terra. Si
rialzò
immediatamente e, senza alcun indugio, ricominciò
quell’inseguimento che,
nonostante sentisse fosse completamente inutile, non voleva - non poteva - abbandonare.
Perché? Si chiedeva, smarrito,
mentre
pregava di arrivare in tempo. Perché?
Gridava a squarciagola il suo animo, lacerato.
Perché?!
Lui, in tutto ciò, non si
voltò
neanche una volta, non lo ritenne degno di nota.
Eppure
la presenza di Jim alle sue spalle era più che tangibile;
nonostante non
riuscisse a emettere un solo fiato per chiamarlo e attirare la sua
attenzione,
la consistenza del suo affanno - per quello scapicollarsi inaudito - e
del suo
struggimento era così spessa da poter essere quasi visibile.
Ma come era
sempre stato durante quei dodici anni, pareva che agli occhi del padre
lui
fosse invisibile.
Quando
arrivò alla fine del vecchio molo, il braccio allungato per
afferrarlo, le
iridi brillanti spalancate, la nave era già salpata.
Non
era
stato abbastanza veloce.
In
quell’istante, proprio quello in cui aveva avuto la conferma
del suo insuccesso,
dalla sua gola stava sgorgando una parola, un appellativo affettuoso
destinato
a morire prima di venire al mondo, soppresso dalla sofferenza
dilaniante che lo
stava schiacciando irreversibilmente.
Fra
le
sue dita c’era solo vento, si rese conto, in bilico sulle
assi storte, col sole
alle sue spalle che lo sbeffeggiava illuminando perfettamente
l’imbarcazione
che si allontanava, fino a scomparire come un miraggio nella nebbia
davanti ai
suoi occhi ancora disorientati, incapaci di farsi una ragione di
ciò a cui
avevano appena assistito.
Quasi
sperava di vederlo tornare indietro, o di svegliarsi per davvero da
quello che doveva essere solo un
tremendo incubo.
Invece
era
tutto vero: Jim era solo, la mano tesa nell’infinito, verso
qualcosa di
irraggiungibile.
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