"Nella
Terra dei Mille Laghi"
Uscendo
dalla stanza la prima cosa che i suoi occhi misero a fuoco furono un
paio di
natiche femminili, tonde e sode, perfette e ambrate che le passarono
davanti
nella loro gloriosa nudità.
«Ah,
eccoti! Buongiorno bella addormentata! Sei sveglia? Ti ho preparato il
caffè,
my Darling!» - disse la proprietaria delle natiche con voce
trillante,
gironzolando seminuda con indosso solo un microscopico asciugamano
fucsia
acceso.
Piccole
gocce d'acqua ancora brillavano sulla schiena, segno che era appena
uscita
dalla doccia e da lì provenivano i gorgheggi che l'avevano
svegliata poco prima.
«Umpfh.»
- mugugnò dirigendosi rigidamente alla macchinetta del
caffè.
«Prego!»-
rispose ridendo Nur.
Nur
era abituata al suo umore funereo mattiniero; la divertiva un mondo il
fatto
che lei invece non carburasse prima di mezz'ora dal momento in cui si
alzava
dal letto.
Nur
che era sempre piena di energie e di vita, che faceva mille cose in una
sola
giornata, che aveva l'agenda piena di impegni, che non stava mai ferma.
Si
stancava solo a guardarla: Nur era una hostess, quasi sempre in viaggio.
Quando
trovasse il tempo per vedere gli amici che si era fatta in pochissime
settimane
al contrario di lei che invece, viveva lì da tre anni e le
persone con cui
comunicava si contavano sulle dita di una mano, era ancora da capire.
Di
solito quando tornava a casa restava due giorni e poi ripartiva.
Quarantotto
ore durante le quali Nur riusciva a fare quello che per lei era
impensabile
anche in una settimana intera.
Negli
ultimi sei mesi le sue visite erano state sempre più rade:
oltre che vitale era
anche corteggiatissima e gli uomini le morivano dietro.
Tutti.
Indistintamente.
E
come poteva essere altrimenti?
Era
una donna stupenda: trent'anni ma ne dimostrava a stento
ventitré.
Alta,
con gambe chilometriche e affusolate, vita sottile e seni alti tondi e
perfetti: se non fosse che l'adorava senza remore l'avrebbe presa
volentieri a
calci sui denti.
Di
origini arabe, era stata adottata da una facoltosa coppia inglese,
borghesi e
ricchi; non avrebbe avuto bisogno certo di lavorare ma, come le aveva
spiegato
con semplicità quella volta in cui le aveva chiesto
perché facesse la hostess,
un lavoro sì affascinante ma decisamente stressante, le
aveva risposto:
«Sono
stata solo fortunata: nel mio Paese d'origine ci sono costantemente
guerre, le
donne sono costrette ad una vita che io non potrei neanche concepire,
sono una
“miracolata”! E sono grata ai miei genitori
adottivi per tutto ciò che mi hanno
dato, ma non farò la mantenuta solo perché posso
permettermelo, e poi non
riesco a rimanere ferma nello stesso posto per molto tempo.
Voglio
la mia libertà. Voglio viaggiare, conoscere posti nuovi,
gente nuova, voglio
assaggiare le pietanze del posto.
Voglio
nuotare in tutti i mari del mondo e vedere mille tramonti diversi.
Voglio amare
mille uomini e farmi amare da loro, voglio tutto dalla vita! È
sbagliato?».
No,
non lo era.
Ammirava
la sua forza, la sua tenacia e il suo costante buon'umore, che non era
affatto
finto.
Era
chiaro che scaturiva da una positività che aveva dentro, un
sole che aveva e
riusciva a scaldare chi la circondava.
Anche
lei.
«Oh,non-essere-noiosa!
Tu-e-il-tuo-fortissimo-e-imbevibile-caffè-ristretto-italiano-fatto-con-la-moka-perché-il-vero-caffè-è-solo-quello-fatto-con-la-caffettiera-napoletana-e-con-rigoroso-caffè-macinato-ovviamente-caffè-italiano.»
«Hai
finito?» - borbottò Lou, alzando un sopracciglio.
Con
aria di sfida prese dallo scaffale la SUA moka caricandola con il SUO
caffè
macinato che i familiari le mandavano dall'Italia e la mise sul fuoco,
appoggiandosi al bancone per guardare la sua coinquilina che
volteggiava per la
stanza, prendendo da questa o quella borsa un paio di calze, un jeans,
un
reggiseno e lanciandoli disordinatamente sul divano verde.
«Quello
che tu chiami caffè non è che brodaglia... e non
chiamarmi Lucia.» - aggiunse
minacciosa.
«È
il tuo nome! È
bello e ha lo stesso significato del mio: LUCE. Quindi è
bello! - decretò girandosi a guardarla divertita –
Ok, Lou! Va meglio? - si
piazzò davanti alla finestra guardando fuori, con aria
contrariata - Ma no, che
disdetta! Sta iniziando a nevicare! Non è
possibile!» – strepitò ad alta voce,
dimenandosi.
I
suoi conoscenti e amici lì in Finlandia all’inizio
storpiavano il suo nome in “Lùcciiaa”,
allungando le vocali o
mettendo l’accento su quelle sbagliate, per cui avevano
iniziato a chiamarla
Lou, e lei si era abituata ad essere Lou, tornando ad essere Lucia, o
Lù, solo
quando era in Italia.
«La
pianti di agitarti davanti a quella finestra? Finirai per perdere
quello
straccetto che usi per telo da doccia e rimarrai con le poppe al
vento... farai
venire un coccolone ai vicini, così. E chiameranno la
buoncostume che arresterà
me, perché tu nel frattempo, sarai già volata
via! E inoltre vorrei farti
notare che siamo in Finlandia, non in California. Ovvio che nevichi a
marzo.»
«Uff,
sono tutti dei vecchi bacucchi noiosi e mosci... tranne “Il
Principe della Torre» - disse sognante.
Spiaccicò il viso sul vetro per sbirciare in direzione del
soggetto del suo ciarlare. - Davvero non l'hai mai visto di persona? Ma
abita a 200 metri in linea d'aria da qui, com'è possibile?
Voglio dire, io non ci sono quasi mai ed è normale che non
riesca a vederlo, ma tu che sei sempre qui, non esci mai o quasi, se
non per andare al lavoro o per fare la spesa, non l'hai mai incrociato?
È inaudito!»- continuò
d'un fiato.
“Il
Principe della Torre” altri non era che il famoso
cantante degli H.I.M., Ville Valo, che abitava nello stesso quartiere,
nella famosa torre gotica che attirava in ogni periodo dell'anno, orde
di fan esagitate e pronte a fare pazzie pur di vederlo.
Normale
che
lui non si facesse vedere: a quanto pare non era un tipo molto
socievole e lo dimostrava il fatto che davanti alla sua abitazione, sul
cancello e nei dintorni, c'erano cartelli che invitavano a non
avvicinarsi.
Lei in
tre
anni, da quando viveva nello stesso calmo e bellissimo quartiere, non
lo aveva mai visto; ok che non era stata molto
“presente” anche lei, era stata distratta da altro,
pensò ingoiando a vuoto il solito groppo in gola. E come
diceva Nur, non era una donna mondana e non usciva se non strettamente
necessario.
«Ti
ho già detto tante volte che non l'ho mai visto, neanche da
lontano. So che esiste perché di sera le finestre sono
illuminate, per il resto potrebbe essere benissimo una leggenda.» -
rispose
distratta, prese una tazzina dal mobile inspirando voluttuosamente
l'aroma del
caffè che iniziava a salire su per la caffettiera.
«Oh,
è un tipo così affascinante, misterioso e mi
piacerebbe conoscerlo!» - disse
piano Nur, guardando sempre verso la soffitta, forse con la speranza
che ne potesse
intravedere l'abitante.
«Puoi
provare ad andare a suonare alla sua porta così come sei
adesso: sono quasi
sicura che ti aprirebbe, sai?» - ribatté Lou,
spegnendo la fiamma sotto la
macchinetta, versando l’espresso nella tazzina che prese tra
le mani cercando
di scaldarsele con il poco liquido bollente che vi era dentro.
Si
avvicinò alla sua amica, guardando il cielo carico di neve
sorridendo tra sé.
«Uhm...
sì, sono sicura anche io che mi aprirebbe! - rise
compiaciuta – Oh, fatti dare
un abbraccio: mi sembra un secolo che non ci vediamo!» -
proruppe poi buttandole
le braccia al collo con enfasi, rischiando di ustionare entrambe con la
bevanda
ancora bollente e le stampò un bacio sulla guancia.
«Ehi!
Attenta...» - si lamentò fiaccamente Lou,
sorridendo dolce, prendendosi
l'abbraccio e il bacio.
Nur
era vulcanica in tutto; anche nel dimostrare il suo affetto agli altri.
Era
un donna fisica: toccava costantemente chi le era di fronte e se questi
erano
maschi la cosa quasi mai generava fastidio; prendeva le mani
dell'interlocutore
tra le sue, sfiorandone il braccio, o dando pacche sulle spalle.
Nur
era così.
E
Lou amava anche questo calore che sapeva dare, al contrario di quanto
facesse
lei.
Nur
si fermò, fissandola intensamente, analizzandole le
occhiaie, la faccia stanca
e dal colorito spento, le labbra tirate, gli occhi bordati di rosso.
«Brutto
sogno, eh?» - mormorò carezzandole la guancia con
delicatezza.
Si
scostò impercettibilmente chinando la testa, deglutendo a
vuoto.
«Come
sempre. Sto bene. Ho solo dormito poco e lavorato fino a tardi... -
mormorò
indicando con un cenno il quadro che era appoggiato al cavalletto
– Dovrei
consegnarlo per questo fine settimana ma sono indietro... non so se ce
la
faccio.»
«L'ho
visto appena sono entrata, è bellissimo... come tutti i tuoi
lavori! Riposati e
vedrai che ce la farai a finirlo, Lou... - esitò un momento,
restando in
silenzio per qualche istante, poi continuò, vedendo che
l'altra si era girata a
guardarla per indurla a proseguire - Non è tornato alla
carica, vero? Perché se
così fosse gli spacco la faccia stavolta! Giuro!»-
disse alzando la voce.
«No,
non è tornato. - mormorò Lou – Ti
dispiace se non ne parliamo? Non oggi,
almeno...»
«Ok,
come vuoi tesoro, ma se quel gran figlio di... di… torna,
devi dirmelo! Lo
strozzo con le mie mani!» - concluse tornando ad abbracciarla
e carezzarle la
schiena con vigore.
«Ok!
- ridacchiò Lou, tornando a rilassarsi - Sarai avvisata, ma
dubito fortemente
che avrà il coraggio di farsi vedere di nuovo dopo lo
spavento che gli hai
fatto prendere l'ultima volta!» - replicò a bassa
voce.
Il
ricordo della sceneggiata che Nur aveva fatto al suo ormai
definitivamente ex,
era stata memorabile.
Era
stata sul punto di temere davvero per lui e la sua
incolumità: non era raro che
Nur andasse in escandescenze, ma non l’aveva vista
così arrabbiata e
aggressiva, con nessuno, mai.
Si
era trasferita in
Finlandia con il suo fidanzato tre anni prima, durante l'estate.
Non
aveva amato subito quel paese: tutt'altro.
Faticava
ad ingranare con un modo di fare completamente diverso da quello cui
era
abituata in Italia.
Gli
italiani casinisti, disordinati, allegri, vocianti.
E
lei li amava per questo, anche se non seguiva propriamente le
“tradizioni”.
Era
sempre stata timida e di solito tendeva a rimanere in ombra rispetto
alle sue
amiche e così era stato anche con il suo brillante
fidanzato.
Aveva
conosciuto Andrea durante il primo anno di Università: lei
frequentava
l'Accademia di Belle Arti a Roma e lui, con scarso profitto la
facoltà di
giurisprudenza.
Era
un bellissimo ragazzo: oltre il metro e ottanta, muscoloso e scattante,
occhi
neri e profondi, con lunghe ciglia, labbra ferme e virili, sorriso da
malandrino sotto una schiera di perfetti denti bianchi.
Pericoloso,
si era detta la prima volta che lo aveva visto, restando palesemente a
bocca
aperta e sconvolta dalla sua abbagliante perfezione.
Come
quella di Nur, anche la famiglia di Andrea era ricca, per cui invece
che
studiare cercando di laurearsi il prima possibile, non faceva che
passare da
una festa all'altra.
Da
una donna all'altra.
E
proprio ad una di quelle famose feste lei lo aveva conosciuto.
A
quei tempi era così diversa dalla persona che era diventata.
Curiosa
del mondo e della nuova condizione di libertà che aveva, ora
che conviveva con
altri ragazzi, rispetto a quando invece abitava ancora con la sua
famiglia - che
consisteva nel padre, la madre e i due fratelli più piccoli
di lei: la classica
famiglia italiana da pubblicità - era stata trascinata nel
vortice delle feste
che organizzavano di continuo le varie facoltà.
Con
i suoi coinquilini Simone e Mara, come lei in Accademia, era un correre
sempre
di qua e di là.
Aveva
incontrato Simone ad una lezione di orientamento i primi giorni; lui
l'aveva
individuata subito nell'aula affollata e surriscaldata.
Le
si era avvicinato sorridendo e con un sospiro si era lasciato cadere
sulla
sedia accanto alla sua, sbottando ed esordendo con voce alta : «Santo
cielo, perché non
aprono un po' quelle finestre? Qui dentro si muore di caldo e per il
cattivo
odore che aleggia...» - poi aveva allungato una mano elegante
e liscia,
prendendo quella di Lou senza attendere che lei gliela tendesse,
stringendogliela con vigore.
«Ciao,
io sono Simone. Sai che hai i capelli più fantastici che io
abbia mai visto?
Sono
stupefacenti... è il tuo colore naturale vero? Posso? -
aveva continuato prendendole
un lungo ricciolo tra le dita – Sono davvero belli... sembri
una di quelle
fatine dei libri illustrati che leggevo da piccolo!»
Lou
era rimasta senza parole e lievemente sbalordita dalla sua parlantina,
come se
la conoscesse da una vita. Le si
rivolgeva in maniera semplice e
naturale; doveva essere abituato a fare amicizia con
facilità al contrario di
lei.
Affascinata
dalla sua bellezza elegante ed eterea era arrossita e aveva mormorato
un “sì”
imbarazzato prima di ricambiare la stretta di mano con un sorriso,
sbirciando
timida i perfetti capelli biondo scuro, gli occhi grigi e il fisico
asciutto e
scattante del ragazzo che le sorrideva divertito.
«Oh...
anche le fossette! Sei vera?!» - aveva esclamato lui ridendo,
avvicinandosi al
suo viso per esaminarla meglio, facendola arrossire fino alla orecchie.
“Ci
sta provando per caso?!”.
No,
non ci stava
provando e lo avrebbe capito esattamente due minuti dopo quando
entrò un
ragazzo e Simone commentò con un’espressione
colorita il suo didietro.
Probabilmente
aveva
intuito che era affascinata da lui e aveva voluto subito mettere in
chiaro come
stavano le cose, senza essere maleducato e prima che potessero
fraintendersi.
Questo
gli fece
guadagnare stima eterna agli occhi di Lou che rispose ridendo al suo
commento
altrettanto coloritamente, improvvisamente rilassata.
Era
iniziata
così la
loro amicizia.
Era
venuto spontaneo
cercare casa insieme. Non c’era stato bisogno di parlarne tra
di loro:
semplicemente avevano iniziato a sfogliare i giornali di annunci ed
elencare
cosa ognuno volesse nell'appartamento dei lori sogni.
Lou
si era appoggiata
alla sua voglia di vivere e alla sicurezza con cui si muoveva in ogni
ambiente.
Sembrava
che cadesse
sempre in piedi, che avesse sempre successo in tutti i progetti in cui
si
lanciava, fosse anche il più strampalato.
Avevano
trovato il
loro
appartamento un po' fuori dal centro; avrebbero dovuto fare un lungo
percorso
in metropolitana per arrivare ogni mattina in accademia ma se n'erano
innamorati subito, convinti anche dal prezzo che il locatore aveva
proposto
loro. La casa poteva ospitare anche una terza persona, così
avevano affisso un
foglio con i loro numeri di telefono e i requisiti del probabile futuro
coinquilino nella bacheca degli annunci messa a disposizione
dell'accademia.
Aveva
riso fino alle
lacrime quando aveva visto il foglio preparato da Simone.
“Cercasi
coinquilino/a (meglio se maschio, preferibilmente alto, moro,
palestrato e
ricco. Molto ricco.) dotato di senso di humour, amante del rosso e
delle
paillettes (sappiate che le metterò ovunque: anche nel
frigo, quindi siete
avvisati!).
Non
siamo interessati
a
gente che ha mazze infilate su per il … ( a meno che non sia
la mia...).
Per
informazioni
chiamate ore pasti e non prima delle 9.00 del mattino,
perché potrei anche
mandarvi a quel paese!”
«Magari
la
storia della
mazza è meglio evitarla!» –
rantolò Lou tra le risate.
«Uhm...
-
aveva risposto
Simone con aria seria – Naaa: meglio che sappiano subito in
che guaio si vanno
a cacciare!»
Due
giorni dopo il
telefono di Simone squillò esattamente alle 9.02 e una voce
pacata e seria di
donna - con sommo dolore di lui - diceva di essere interessata alla
convivenza
e presero appuntamento per conoscersi quel pomeriggio, in un bar del
centro.
Mara
li aspettava in
piedi, tesa e seria, davanti al bar che avevano scelto.
I
capelli neri,
liscissimi e tagliati corti sotto le orecchie, con una corta frangia
sul viso
ovale e due occhi nerissimi, la bocca carnosa leggermente larga per il
suo viso
minuto, magra e alta, quasi allampanata; era vestita di verde scuro,
con un
basco sulla testa e un cappotto un po' fuori stagione, dal momento che
faceva
ancora abbastanza caldo, una gonna corta sopra calze scure, coprenti e
basse
ballerine nere.
Nel
complesso
sembrava
un'istitutrice francese a metà fra gli anni ‘20 e
‘60 in libera uscita nel
giorno di paga.
Simone
guardò Lou con
gli occhi che luccicavano.
«La
teniamo?! - chiese a
bassa voce mentre si avvicinavano – Dai adottiamola! Ti
prego, ti prego, ti prego!»
Lou
ridacchiò sotto i
baffi.
Nelle
successive due
ore
ebbero modo di costatare che Mara, non solo era dotata di humour, che
variava spesso
in humour nero, ma che aveva anche un “Senso
Spiccato Per i Glitter e le
Paillettes”.
Simone
quasi si era
gettato
ai suoi piedi in estasi quando disse che era una fan di Cher e
Madonna.
Faceva
la commessa
part
time in un negozio di articoli di belle arti e questo la fece
immediatamente
salire in cima nella loro classifica dei possibili candidati.
Senza
pensarci su
oltre
decisero con una breve occhiata complice tra loro, che non avrebbero
visto
altri e che Mara sarebbe stata con loro.
«È
destino... e io ci
credo al destino! Non appena vi ho visto – disse Simone con
una faccia da
bambino monello – ho capito che eravate le uniche donne con
cui voglio dividere
il mio bagno, il mio letto e la mia crema idratante!»
Così
era
iniziata.
Al
mattino era una
lotta
continua a chi dovesse usare per primo il bagno, uno, piccolo e con lo
scaldabagno elettrico, per cui soltanto colui o colei che si svegliava
all’alba
godeva di una doccia calda dall'inizio alla fine.
I
primi diciotto mesi
erano stati scanditi da una sola cosa: affetto, risate, notti insonni
passate a
preparare tavole, disegni, sommersi tra fogli, colori, tazze di
tè e caffè,
briciole di biscotti ovunque.
Dopo
qualche mese era
arrivato un nuovo coinquilino: Natale, un soffice, panciuto gatto
rosso.
Lo
avevano trovato la
notte della vigilia di Natale ovviamente: da qui il nome innocuo,
scelto a
furor di popolo dopo una lotta all'ultimo sangue con quello che invece
aveva
suggerito Simone, un tantino eretico perfino per Mara, Messia.
Se
chiudeva gli occhi
poteva ancora sentire l'odore di quella vecchia casa, con gli interni
rivestiti
di carta da parati degli anni '50, scura, marrone e orrenda; le vecchie
lampade
che un tempo dovevano esser state a olio o roba del genere, sostituite
poi da
lampadine; il bagno con la vasca e il lavandino che si otturava ogni
settimana;
la cucina stretta e lunga, con gli elettrodomestici disposti lungo una
sola
parete, addossati l'uno all'altro.
Il
“frigorifero dei
puffi” come lo chiamava Simone, così piccolo che
erano costretti a dividerne i
tre spazi e il congelatore, litigando fino allo sfinimento anche per i
millimetri che uno aveva in più o in meno rispetto
all'altro.
Il
tinello con
l'eterna
perdita che di notte sembrava un rintocco di campana nel silenzio
assoluto.
La
sala da pranzo,
l'unico spazio grande rispetto al resto, dove avevano deciso
di spostare tutti i mobili lungo il muro per poter lavorare meglio; le
due
camere da letto. Lou divideva la sua con Simone, mentre Mara
aveva preteso
la singola con il matrimoniale per ospitare il suo ragazzo ogni volta
che lui
avesse potuto raggiungerla, cosa che si ripeteva più o meno
un volta al
mese.
Quel
letto
matrimoniale
che puntualmente, per il resto dei giorni e delle notti del mese
diventava
anche il loro e fungeva da tavolo al mattino per la colazione o la sera
mentre
guardavano la tv con enormi ciotole di pop corn, col risultato che il
mattino
dopo sembrava essere stato vittima del passaggio degli Unni.
Era
stato bello.
Spensierato.
Si
ritrovava spesso a
desiderare di poter tornare indietro per rivivere anche solo una di
quelle
giornate con loro.
Poi
era arrivato
Andrea.
Era
apparso a fine
serata in una noiosissima festa, con una bionda mozzafiato appesa al
braccio,
imbronciata, truccatissima, con addosso un vestito che poco lasciava
all'immaginazione, rosso e tempestato di lustrini ovunque.
«OH-MIO-DIO!»
- aveva
urlato Simone non appena i due erano apparsi.
«Ragazze,
abbiamo
trovato il copri lampada che cercavamo!» - disse facendo con
un segno con la
testa verso la ragazza bionda.
Lou
e Mara si erano
girate per vedere cosa diavolo andasse blaterando ed erano scoppiate a
ridere;
conoscevano bene la fissa di Simone per le paillettes e i colori
sgargianti.
Da
stilista quale
aspirava a diventare ed artista pazzoide quale invece era, esasperava
tutto ciò
che faceva o diceva; come quel pomeriggio in cui si era messo in testa
di
togliere i vecchi copri lampada della casa e sostituirli con “qualcosa
di
rosso, brillante appariscente e totalmente, assolutamente kitsch!”.
«Ho
trovato
la mia
Musa!- continuava a ripetere fissando platealmente la coppia - devo
assolutamente
chiederle di darmi l'indirizzo del negozio dove ha comprato quella
roba!».
«La
vuoi
finire di
indicarli e guardare come un maniaco verso di loro?! –
sibilò Mara, cercando di
reprimere la risata – non vedi che lui ci sta guardando? Non
vorrai mica finire
per picchiarti con uno del genere? Ti ridurrebbe ad una
cotoletta!».
«Voi
non
capite! Io DEVO
AVERE quel vestito a tutti i costi, dovessi anche strapparlo, - Orrore!
Dio non
voglia!- di dosso a quella!» - replicò con aria
teatrale agitando le mani e
portandosele al cuore con aria sognante.
Lou
lo
adorava.
Anche
lei
tornò a
guardare verso la coppia e il sorriso le si spense sulle labbra quando
si
accorse che lui, non solo li aveva notati ma si stava dirigendo
velocemente
verso loro tre con un' espressione
per niente rassicurante.
«Ehm...
ragazzi, lui sta
venendo qui!» - annaspò concitata, cercando invano
di dissimulare con un’aria
innocente di aver allertato gli altri due, che invece, si voltarono
simultaneamente come un sol uomo per vedere l'avanzata, non si poteva
chiamarla
altrimenti, del ragazzo.
«Porca
di
quella vacca!
Simone, stavolta ti prendi un bel pugno sul naso e dopo ti meno anche
io: ci
fai sempre finire nei guai con questo tuo modo di fare!» -
aveva bisbigliato
stridula Mara diventando rossa di rabbia fino alla radice dei
capelli.
Simone
al contrario,
era
rimasto calmo e sorridente.
«Beh
ragazze non so voi,
ma io di conoscere questo dio dell'Olimpo non sono per niente
dispiaciuto!» –
con l’aria di un gatto che si leccava i baffi davanti ad una
ciotola di panna,
si sistemò il ciuffo biondo.
Quando
si
fermò davanti
a loro con le mani incrociate sul petto, con la camicia che gli si
tendeva sui
muscoli, tutti e tre si erano avvicinati compatti come per cercare
conforto e
forza nel gruppo: lui superava tutti loro di una buona testa e come
stazza
avrebbe potuto benissimo prenderli insieme e farne un unico fagotto
informe con
un solo braccio!
«C'è
qualche problema? -
aveva chiesto con voce profonda e fintamente calma – Ho
notato che abbiamo attirato
la vostra attenzione...» - lasciò volutamente la
frase in sospeso per creare
forse più tensione, aspettando che qualcuno di noi
proferisse parola.
Ma
tutti e tre erano
ammutoliti: ognuno di loro forse per motivi diversi.
Mara
era sinceramente
atterrita; le persone aggressive la mettevano a disagio.
Lei
che era sempre
morigerata e pacata, controllata e seria, aborriva chi le si rivolgeva
con toni
accesi reagendo con un silenzio mortificato.
Simone
probabilmente
stava pensando freneticamente a una balla credibile per non venire alle
mani
con “Conan”.
Lou
era pietrificata.
Non
appena lui si era
avvicinato aveva iniziato a sentire caldo e non per la paura.
Quando
le era
arrivato
davanti con lo sguardo minaccioso e le labbra contratte le si era
bloccato il
respiro.
Era
il ragazzo
più bello su cui avesse posato gli occhi: praticamente
perfetto,
una statua viva, ma fremente e nervosa.
Gli
aveva fissato il
viso tramortita dalla sua vicinanza e dal suo lieve profumo di muschio
che lei,
nonostante tutto, aveva sentito ancor prima che lui si
avvicinasse.
Si
era rivolto a
Simone
con aria arrogante mentre faceva scorrere lo sguardo sulle ragazze,
alzando un
sopracciglio mentre guardava Lou con aria distaccata e superiore, per
poi
tornare a guardare Simone, che rispose serafico e in maniera
volutamente
affettata ed esagerata.
«Scusaci
tanto “caro”,
non ho potuto rimanere totalmeeeente, assoluuutamente affascinato dalla
tua
compagna e dal suo fantaaaastico abito! Vedi io sono uno stilista... o
perlomeno aspiro a diventarlo e stavo dicendo alle mie amiche qui
presenti, Mara
e Lucia – continuò indicandole – come
dovrebbe essere una vera donna, per
attirare gli sguardi dei maschi. Volevo complimentarmi con lei e
chiederle
alcuni consigli: sono certo che ha un gusto incontestabile!»
- concluse con il
sorriso da paravento che sfoggiava quando voleva prendere in giro,
facendo
passare un insulto per complimento.
“Conan” si rilassò
impercettibilmente continuando ad avere un'aria
niente affatto amichevole.
«Capisco...
- non dava l’idea di capire e il fatto che fissasse Simone ad
occhi
socchiusi non faceva che dar loro conferma – beh, se vuoi
andare a chiederle
informazioni hai il mio permesso... - continuò con arroganza
– Io intanto faccio
amicizia con le tue amiche.» - rivolgendo un sorriso
accecante verso le due
ragazze che ora erano meno spaventate, ma decisamente a
disagio.
«Io
sono Andrea.» -
disse porgendo a Mara una mano vigorosa con le vene a vista sul dorso,
che lei
prese titubante.
«Mara.»
- rispose
freddamente, con la schiena rigida.
Non
le piaceva: era
chiaro come la luce del sole.
«E
tu? - spostando la
sua attenzione su di lei, fissandola con i suoi occhi nerissimi
-
Chi sei?»
«Lu...
- rispose con uno squittio, per poi schiarirsi la voce e sorridergli,
continuando tremante - Sono Lucia, piacere di conoscerti!»
“Magari
chiudi anche
la bocca prima che la bava ti coli sul vestito... ”
-
si disse
mentalmente, maledicendosi per aver bevuto due bicchierini di vodka che
ora la
rendevano molle e languida.
Quel
mix, insieme agli occhi di lui che non lasciavano scampo, stava
decisamente avendo un effetto che era inaspettato.
Mara
la guardava con
occhi quasi sgranati per la sorpresa: non era da lei, infatti, essere
così
svampita. Con un cenno della testa, le stava facendo segno di
tagliare
corto e lasciare che si allontanasse.
Lou
l'aveva ignorata continuando a fissare Andrea, senza riuscire a
staccarne
gli occhi dal viso, persa
nell’ebbrezza che le sue attenzioni la facevano
sentire bella per la prima
volta in vista sua.
*****
Si
riscosse dai pensieri
tornando a guardare Nur rassicurandola con un sorriso.
L'amica
la fissava
ansiosa con gli occhi nocciola ed enormi nel viso splendido.
Si
era ripromessa di
farle un ritratto fin dalla prima volta che l'aveva vista: il volto sembrava
porcellana color miele,
fine e delicato, occhi grandi a mandorla con ciglia che parevano finte, tanto erano lunghe e folte; zigomi
alti e un naso
piccolo e perfetto sopra una bocca piena e carnosa.
Sospirò davanti a tanta
perfezione e ancora di più davanti all'evidente
preoccupazione di lei.
«Sto
bene, credimi...
sono solo stanca. E tu mi hai svegliata con i tuoi gorgheggi; avevo
intenzione
di dormire fino a tardi, ma sei la solita egoista!»
«Oh,
cara, perdonami ma
avevo così tanta voglia di parlarti che non ho resistito:
perdonami,
perdonami... mi perdoni?!» - finse di battere le ciglia come
un cerbiatto in
attesa della sua risata, sentendosi molto soddisfatta quando questa
puntualmente arrivò.
«Piantala
di fare la
buffona, - ridacchiò Lou dandole una gomitata nel fianco
– ti perdono sempre
io.»
«Bene!
- disse Nur allegramente – che facciamo oggi? Ti va di fare
shopping nel
pomeriggio? E stasera c'è una festa, ci andiamo?!»
- sparò a raffica senza
fermarsi.
«Dai,
dai, dai, ti prego
non dire di no, voglio uscire e divertirmi con te, non stiamo mai
insieme e tu
sei sempre dentro la tua stanza a fare chissà cosa, dai,
dai, dai!»
«Oddio,
fermati un
attimo! Mi sento già stanca... per lo shopping si
può fare ma scordati la
festa. Non se ne parla. - confermò il tutto fissandola negli
occhi senza
sorridere con aria seria – E non c'è occhio
languido che tenga a farmi cambiare
idea.» - aggiunse, prima che l’ amica iniziasse con
i suoi trucchetti.
«Ok,
che barba che sei!
Devi pur uscire ogni tanto, vedere gente, socializzare! La conosci
questa
parola?» - iniziò a borbottare sbuffando e
lanciando sul divano il microscopico
telo, rimanendo nuda, e bellissima, rovistando in cerca di qualcosa nel
trolley
che aveva portato con sé.
«Ho
una cosa per te, direttamente da Pariiiiiiiis! Aprilo!»
Tutta
felice le porse il
pacco elegante, piatto e sottile, con un fiocco viola sulla confezione,
sedendosi come se nulla fosse sul divano così, nuda
com'era.
La
fissò per due secondi
pensando che non si sarebbe mai abituata alla sua naturale e
così disarmante
sfacciataggine.
«Nur,
mi imbarazzano i
regali... Io
non ti regalo mai
niente e tu sei sempre così generosa con me –
mormorò pensando al suo armadio
pieno di vestiti e pensierini che Nur le aveva portato dai suoi viaggi,
molte
delle quali costose e griffate – perché ti
dis...»
«Oh,
aprilo e non
parlare! - la interruppe Nur mozzando la sua frase a metà
– Su, su, su!»
Contagiata
dal suo
entusiasmo, scartò il pacco facendo attenzione a non
rovinare lo splendido nastro
di seta viola che chiudeva la confezione.
All'interno
di una
scatola bianca c'era una sottoveste color lilla, il suo colore
preferito
insieme al verde, lucida e sottile, leggera come un velo; questa era
coordinata
con un cardigan di lana sottilissima che lei temette fosse cachemire,
di un
colore melanzana, con una sottile cintura fatta dello stesso morbido e
prezioso
materiale, entrambi erano lunghi fin sotto il ginocchio.
Erano
stupendi.
Si
voltò verso Nur con
occhi che volevano essere severi, ma si rimangiò tutto
quello che voleva dirle
quando vide l'espressione gioiosa di lei, con gli occhi che le
brillavano come
una bimba.
Sembrava
che il regalo
l'avesse ricevuto lei e non il contrario.
«È
bellissimo, Nur! Ma
ti sarà costa...»- iniziò non riuscendo
a trattenersi dal dire, subito
interrotta dall'abbraccio di Nur, che felice di aver colto nel segno,
disse: -
«Ah-Ah-Ah-! Niente sensi di colpa: appena l'ho visto,
lì nella vetrina della
Chanel ho pensato che ti sarebbe stato d'incanto, con i colori della
tua pelle
e i capelli chiari che hai! Dai, provalo! Vediamo come ti
sta!»
"Chanel?"
Era
impazzita!
Ma
non disse niente
perché non sarebbe stato utile... accarezzò con
la mano la stoffa sensuale e
liscia.
«Grazie
Nur, davvero, è
stupendo... Ma vorrei fare prima una doccia, ok?» - disse
sbadigliando.
«Tesoro,
io penso che dovresti tornare a letto per riposarti ancora un po',
mentre io vado a sbrigare delle faccende: spero di tornare per ora di
pranzo.
Giapponese? Cinese? Pizza? - chiese guardandola da sopra la spalla
– O mi
cucinerai quella tua favolosa pasta al pomodoro?!» - aggiunse
speranzosa.
Lou
rise di gusto.
«Ti
farò la pasta...
niente di tutto ciò oggi! Magari stasera... Ti meriti una
ricompensa per questa
meraviglia!»
«Oh,
dormi sempre con
quella orribile maglietta enorme e sformata e ho pensato che ogni tanto
volessi
coccolarti con qualcosa di morbido e caldo... - disse Nur con
noncuranza –
anche se io spererei che dormissi con niente addosso e che a scaldarti
ci fosse
un uomo...» - lasciò cadere lì la frase
in sospeso.
«Magari
fra dieci anni,
ok? E che hai contro la mia maglietta?» - ribatté
divertita Lou, infilando un
dito in uno dei tanti buchi della t-shirt grigio smorto che indossava.
«Davvero,
ho bisogno di
riposare ancora un po' o nel pomeriggio non reggerò
assolutamente il tuo ritmo
e non ce la farò a correrti dietro per negozi... a
più tardi, Nur!» – continuò
dirigendosi con uno sbadiglio verso la camera da letto e salutandola
con la
mano.
«Riposati,
eh? Perché ho
voglia di spese folli oggi! Yeah!»
Nur
guardò con affetto
la sua principessa dai chiari capelli leonini avviarsi stanca verso la
stanza;
avrebbe voluto poter restare più tempo con lei, starle
accanto e non lasciarla
sola in quella casa, in quel posto triste, ma che stranamente Lou amava
tanto.
La
malinconica aria
della Finlandia le si addiceva e lei la rassicurava di essere felice
lì, ma gli
ultimi due anni non erano stati tranquilli e felici per Lou.
Pensò con rabbia
ad Andrea e chiuse stizzita con furia la lampo del trolley fucsia.
Quell'uomo
odioso e
crudele che aveva fatto a pezzi la vita di Lou, i suoi sogni e la
fiducia in se
stessa.
Aveva
giurato che non gli avrebbe permesso di farle del male, ma Lou era ancora
succube di lui, anche se lo negava e ne era ancora innamorata forse. In
vita
sua aveva conosciuto tanti uomini, ma mai le era capitato di incontrare
qualcuno di così bello eppure così crudele allo
stesso tempo come Andrea.
Non
aveva avuto nessuno
scrupolo a provarci anche con lei nei primi tempi in cui vivevano
insieme e
puntualmente, lui si presentava sempre a casa loro quando Lou era al
lavoro.
Se
solo fosse stata più
ingenua o avesse voluto meno bene a Lou e non avesse visto in che stato
l'aveva
ridotta, ci sarebbe cascata con tutte le scarpe. Al contrario di quanto
la
maggior parte della gente pensasse, nonostante la sua aria sempre
spensierata e
svampita, era una persona molto attenta e raramente si faceva
fregare.
Specialmente
da un uomo.
Si
avvicinò alla cucina
versandosi in una tazzina pulita il resto del caffè rimasto
nella moka e
sorrise trovandolo ancora caldo, pensando che non ci fosse nulla come
l'amicizia a scaldarti il cuore.
E
quella con Lou era calda quanto quel caffè forte e scuro e
aromatico.
*****
«Non
verrò più con te a
fare shopping per il resto dell'anno!» - sbottò
Lou posando le buste che aveva
in mano per terra accanto all'ingresso e lanciandosi sfinita sul divano
a
braccia aperte.
«Sei
una palla, Lou! Hai
comprato
quel
bellissimo paio di jeans che volevi da mesi, o
no? E
quel maglione nero ti sta d'incanto, così come quel
vestitino delizioso al 75%
che ti fa sembrare...» - iniziò la sua solfa
bruscamente interrotta da
Lou.
«Nur!
Hai passato
quarantacinque minuti nel camerino di quel negozio e non hai comprato
nulla!
Avevo i piedi come due zampogne per aspettarti, con tutto il resto
della roba
addosso: ho sudato come un maiale lì dentro, per non parlare
delle occhiate
omicide che i commessi lanciavano a me! Se avessero potuto sbatterci a
calci
fuori quando hai detto che quello che avevi provato non era di tuo
gusto, lo
avrebbero fatto! E anch’io se fossi stata al loro posto! Sei
odiosa quando
provi qualcosa, lo sai? Voglio dire: hai un fisico perfetto... eppure
ti trovi
mille difetti! Giuro che ti odio!» - si lamentò
Lou d'un fiato, sfilandosi gli
stivali dai piedi doloranti.
«Io
cerco la perfezione,
mia cara! Quella roba non mi valorizzava e mi rendeva
sciatta.» - ribatté
l'altra con tono accondiscendente come sempre faceva quando parlavano
di moda,
cosa che faceva infuriare Lou. Aveva smesso di bisticciare da tempo con
la sua
amica sulla moda: non avrebbero mai trovato un punto in comune in
quello.
Così
come Lou era
anonima, normale, quasi banale nel suo modo di vestire, di regola
sempre di
nero o blu o viola, tanto Nur era appariscente.
E
la sua amica poteva
permetterselo: qualsiasi cosa indossasse la rendeva perfetta e
bellissima, così
come il corto, per non dire microscopico vestito bianco che aveva
comprato e
che avrebbe indossato quella sera alla festa.
Festa
alla quale aveva
invano, cercato di convincerla a partecipare per tutto il
pomeriggio.
Non
sarebbe andata, soprattutto dopo il tour de force cui l'aveva appena
sottoposta la sua amica.
«Sei
ridicola! Tu sei
perfetta anche con una semplice t-shirt e dei jeans.» - la
riprese Lou e lo
pensava sul serio.
«Preferirei
che restassi
a casa a fare quattro chiacchiere con me... sei appena tornata e
già sei piena
di impegni fuori casa... - si lamentò – Non ti sei
neanche riposata da quando
sei arrivata: come pensi di restare viva?»
Nur
si bloccò per un
istante con il vestito a mezz'aria e la guardò,
attenta.
«Devo
andare anche per
ragioni di lavoro, Lou: vorrei cambiare compagnia e trovarne una
locale, così
da poter avere più tempo da passare a casa e l'invito mi
è stato fatto proprio
da quelle persone che mi presenteranno a chi poi dovrà
assumermi. Non guardarmi
con quella faccia! - s'inalberò vedendo l'aria scettica di
Lou – Ho inviato
regolare domanda, ma se mi presento di persona e in maniere casuale e
informale, magari gli resto impressa! Smettila di guardarmi
così, mi fai
sentire come se stessi giocando sporco!»
«Non
ho detto nulla... -
mormorò piano l'altra – Stavo solo pensando che
forse hai ragione, ma sul fatto
che gli rimarrai impressa non ho dubbi! Specie se ti presenti con
quell'abito.»
- continuò acida.
«Magari
è una donna e il
mio piano andrà in fumo, ma almeno sarò stata ad
una festa! - concluse Nur
divertita all'idea di sedurre una donna. - Mi trucchi tu,
vero?» - chiese senza
aspettare risposta, sicura che sarebbe stato un sì, prima di
scomparire nella
sua stanza da letto.
«Ok...
ma starai zitta
senza intrometterti come sempre! Gli artisti vanno lasciati liberi di
creare!»
- le urlò dietro Lou.
«I
miei sono consigli!»
- urlò a sua volta, l'altra.
«Per
quanto riguarda
l'altra cosa... anche a me manchi e mi mancano le nostre serate insieme
a
guardare i film e a parlare... - disse Nur tornando in salotto con una
maglia
lunga color carta da zucchero, simile a quella viola che le aveva
regalato
quella mattina – Che ne dici di questa se la metto sopra il
vestito? Solo nel
caso fosse donna!» - continuò ridendo,
strizzandole l'occhio.
«Dico
che è un'ottima
idea, dal momento che sta nevicando da questa mattina,
c’è un freddo cane e
vuoi evitare di prenderti un accidenti»
Passarono
il resto delle
due ore successive a cenare sedute sul pavimento, con una pizza
comprata per
strada, appoggiate allo schienale del divano, a ridere delle
disavventure di
Nur al lavoro, dello stuart che le faceva una corte serrata, del pilota
sposato
con cui aveva una storia infuocata e segretissima, dei posti nuovi che
aveva visitato.
A
Lou sembrava di essere
con lei a vivere quegli aneddoti, paga in qualche modo di viaggiare con
la sua
amica, anche se di fatto, non si spostava da casa da molto, troppo
tempo.
Quando
Nur fu pronta per
uscire, Lou soddisfatta del suo capolavoro la rimirò ancora
una volta prima di
augurarle buon divertimento; l'altra le lanciò un bacio con
la punta delle dita
chiudendosi dietro la porta lasciando una nuvola di profumo costoso
nell'aria.
*****
Come
ogni sera Lou si
concesse un lungo bagno caldo.
Ringraziava
il cielo
ogni giorno da quando avevano trovato quell'appartamento che
nonostante fosse
sprovvisto del bidet (ricordava ancora il suo sconcerto quando,
entrando in
bagno quella prima volta, non lo aveva trovato)
avesse sia
la doccia che la vasca.
Le serate passate
a fare chiacchiere con Nur dentro la vasca piena di oli profumati e
schiuma che
debordava erano uno dei momenti che preferiva.
Si
rilassò contro il
bordo chiudendo gli occhi, inspirando il profumo di gardenia che si
sprigionava
in molecole minuscole a contatto con il caldo dell'acqua e del vapore.
Era
sfinita ma non avrebbe preso sonno, lo sapeva già.
Cercò
di rilassare i
muscoli con scarso successo; la schiena era un unico fascio di nervi
tesi e
doloranti.
Improvviso
come un flash
le tornò alla mente quando a farla rilassare con
un
massaggio erano le mani di Andrea.
Respirò
con il fiato
mozzo, furiosa con se stessa perché dopo tanto tempo il
ricordo di lui le
facesse sempre male, come una ferita sanguinante che stentava a
rimarginare.
Ferita
che lui aiutava a
non lasciar chiudere, dal momento che tornava ciclicamente alla carica,
nonostante non stessero più insieme da più di due
anni, ormai.
Quando
dopo la festa in
cui si erano conosciuti avevano iniziato a frequentarsi assiduamente
(con sommo
sgomento di tutti gli amici), era iniziato uno dei momenti
più belli e intensi
della sua vita.
Andrea
era sempre pieno di idee e iniziative, un vulcano attivo dall'inizio
della giornata fino a quando chiudeva gli occhi la sera. Totalmente
travolta
dalla sua personalità, aveva perso la testa per lui
immediatamente; era
completamente cotta.
Per
la prima volta aveva
conosciuto la passione travolgente verso qualcuno e ne era stata
risucchiata
fino a diventarne succube.
E
lui consapevole del
potere che aveva su di lei, ne aveva fatto quello che voleva.
Per
dieci anni.
Tanto
era durata la loro
relazione, lui era entrato ed uscito dalla sua esistenza come e quando
voleva.
Lasciandosi dietro sempre macerie dopo il suo passaggio.
Lou
aveva dolorosamente
preso atto che lui non era l'uomo adatto a lei, eppure non era mai
stata capace
di respingerlo ogni qual volta lui tornava: sapeva sempre come
prenderla, come
ammaliarla, come ferirla.
Per
anni era stata come
cera molle nelle sue mani.
Per
anni aveva tollerato
i mille tradimenti e bugie che era costretto a raccontare ogni volta
che
venivano a galla; ogni volta si era illusa di poterlo cambiare e
soddisfare con
il suo amore totalizzante; ogni volta era stata lei ad uscirne con il
cuore a
brandelli e l'anima pesta.
Con
un sospiro uscì
dalla vasca, dedicandosi qualche minuto di coccole cospargendosi con la
crema
corpo profumata che Nur aveva lasciato in bagno.
Poi
asciugò la massa di
capelli ricci che le ricaddero fino alla vita in una cascata voluminosa
e
lucente. L'unica cosa che le piacesse in lei; per il resto si trovava
alquanto
banale.
Studiandosi
allo
specchio, con i suoi occhi castano chiaro lievemente obliqui, la pelle
chiara,
il naso dritto ma con una piccolissima gobbetta, (ricordo di una parata
spettacolare di quando aveva dieci anni e si divertiva a giocare a
calcio non
capendoci granché, con i suoi due fratelli e con i ragazzi
del suo vicinato;
parata che le aveva procurato un immediato successo tra tutti quanti e
della
quale andava orgogliosa quasi quanto una cicatrice di guerra.),
la bocca piccola e
ben disegnata, il viso a forma di cuore.
Indossò
la sottana lilla
e la maglia che la accompagnava, lasciandole scivolare sul corpo come
una
carezza, stupita che tenesse caldo nonostante fosse così
sottile e lieve.
Si
preparò una tazza di
tisana rilassante alla melissa, spense tutte le luci della casa ad
eccezione
della lampada da terra e da rito si raggomitolò sul gatto
morto come ogni
sera.
Con
la
schiena premuta contro il
calorifero, con il libro che stava leggendo e la
lampadina da libro che ne illuminava solo le pagine, si immerse nella
lettura.
Il
libro era umoristico,
di una famosa attrice comica italiana.
Rise
di gusto alle
descrizioni sugli uomini che l’autrice faceva, delle varie
situazioni
tragicomiche che segnano il rapporto uomo-donna.
Prendere
la vita con
ironia anche quando tutto va storto, non è facile e non
è cosa da tutti: troppo
spesso ci si lascia andare al melodramma, piangendosi addosso... aveva
promesso
a se stessa che non si sarebbe mai più concessa il lusso di
lasciarvisi
andare.
Non
avrebbe permesso che
chi la amava, i suoi amici più cari raccogliessero ancora i
cocci.
Un
movimento impercettibile alla sua destra attirò la sua
attenzione e si girò,
guardando verso l'esterno.
«Uh!»
- esclamò sorpresa
quando vide un'ombra muoversi all'interno delle finestre dell'ultimo
piano
della famosa torre.
«Allora esiste davvero!»
Incuriosita fissò
intenta per qualche istante sperando di vederne l’abitante
misterioso, ma la
luce si spense e lei tornò a leggere.
******
Allora...
da dove inizio!?
Uno si chiederà se c'era bisogno dell'ennesima storia con
protagonista Ville Valo... ovviamente no!
Ma chi mi conosce sa che ormai, quest'omino è la mia
ossessione e gli HIM parte del mio quotidiano... ergo, dovevo sfogare
in qualche modo la mia follia.
Innanzitutto devo ringraziare di cuore le mie due Beta: Pulci Sara e
Cicci-Vivi che con ansia ( e minacce anche poco velate) attendono
sempre i nuovi capitoli e sospirano con me.
Poi le mie sorelle del cuore: tesò Nicoletta (della quale
già temo le recensioni folli AIUTO!!) e sistwer Valentina,
che mi hanno spronata a scrivere.
E
non posso dimenticare certo Connie, Elvira, Mariangela e la mia adorata
Oriana detta "Fenghera", che mi hanno incoraggiata a
continuare,
incuriosite
dallo stralcio di storia che avevano letto!
Spero
vi piaccia e non vi annoi... io ci ho provato! Buona lettura! H_T ;)
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