- Ed eccoci di nuovo
insieme per le ultime notizie dal mondo magico.
Ancora nessuna traccia
dell’Indesiderabile n°1, ricercato da mesi
perché presumibilmente coinvolto nella morte di Albus
Silente. La taglia sulla testa di Harry Potter è aumentata e
attualmente ammonta a 15.000 galeoni…
Arthur Weasley si girò con un sonoro grugnito, cercando a
tentoni la bacchetta per spegnere quella dannata radiosveglia.
- Silencio.
- Grazie Molly.
Sua moglie aveva spento la sveglia ma continuava a stringere forte la
bacchetta, un’espressione tra il furioso e il disperato sul
volto. Arthur l’abbracciò forte:
- È così ingiusto- sospirò lei tra le
sue braccia.
- Lo so, Molly- le sussurrò tra i capelli.
- Sono solo dei ragazzi e mezzo mondo magico insegue loro invece di
quei farabutti che sono i veri colpevoli.- aggiunse lei - Loro hanno
ucciso Silente, loro causano questa guerra, questa disperazione. Harry
li combatte da quando è nato, ma ormai hanno vinto loro. E
lui, Ron, Hermione… caro, sono così preoccupata.
- Ascoltami- le disse con fermezza Arthur, sciogliendo
l’abbraccio per poterla guardare negli occhi. - Harry e i
ragazzi stanno bene, se li avessero presi l’avremmo saputo.
Sono ancora da qualche parte là fuori a combattere questa
guerra, perché non è finita. I Mangiamorte non
hanno vinto e lo sai bene anche tu. Noi stiamo ancora combattendo, Ron
e Harry stanno ancora lottando e nessuno di noi si arrenderà.
- Non so proprio come tu faccia a lavorare ogni giorno al Ministero,
gomito a gomito con quegli esseri ignobili, e mantenere lo stesso la
speranza.
- Proprio perché lavoro al Ministero, insieme a loro, so che
la guerra non è finita. Per ogni Mangiamorte ci sono almeno
tre uomini fedeli a Harry Potter, che come noi aspettano.
Arthur guardò la moglie e vide che non era ancora convinta,
ma non aveva più parole di conforto da offrirle;
così si limitò a baciarla:
- Ti amo, Molly - le disse poi mentre si alzava e usciva dalla stanza.
Dal bagno Arthur Weasley udì la moglie tirare su col naso,
poi le molle del letto cigolarono e sentì i suoi passi
allontanarsi.
Chiuse gli occhi e, mentre il magirasoio lo radeva, restò in
ascolto dei familiari rumori domestici.
Sapeva con precisione cosa stava facendo sua moglie.
Poteva quasi vederla mentre scendeva le scale piano, poi sempre
più veloce fino ad arrivare correndo in cucina, attirata
dalle voci dei ragazzi o dal ticchettio di un gufo portatore di notizie
contro la finestra. La vedeva bloccarsi delusa in mezzo alla stanza
vuota e silenziosa poi farsi forza e cominciare a preparare la
colazione.
Arthur sapeva che mentre lui era a lavoro Molly si stremava, cercando
di tenersi sempre occupata per non pensare; spesso non mangiava
neanche. Si fermava solo quando era completamente sfinita, e solo per
il tempo necessario per scrivere a Ginny e ai gemelli.
Lei non gliel’aveva mai detto, ma non era necessario: erano
sposati da più di vent’anni; ormai Arthur
conosceva sua moglie.
E poi George gli aveva rivelato che la madre scriveva loro tutti i
giorni, sempre la stessa lettera:
“State bene?
Mi raccomando fate attenzione. Vi voglio bene”
Il leggero bruciore del dopobarba sulle guance lo strappò
alle sue riflessioni e il grido proveniente dal suo orologio gli
ricordò che era in ritardo.
Finì di prepararsi in un lampo e corse giù in
cucina.
- Mi dispiace tesoro- disse a Molly rifiutando il caffè che
lei gli stava porgendo - sono in ritardo. Ti amo.-
E dopo un frettoloso bacio sulla guancia uscì dalla Tana e
si Smaterializzò.
Dopo essere passato attraverso l’inutile e macchinoso nuovo
ingresso, Arthur si trovò nel cupo atrio.
Benché ormai avrebbe dovuto esserci abituato, non poteva
fare a meno di fermarsi ogni volta a osservare la statua che
troneggiava nell’ingresso.
La fontana dei Magici Fratelli non gli era mai piaciuta, la trovava
abbastanza vuota e ipocrita, eppure ora la rimpiangeva. Anche il vuoto
sarebbe stato preferibile a quell’agghiacciante ammasso di
corpi nudi schiacciati dai due maghi, terribili e spaventosi nella loro
bellezza.
- Problemi, Weasley?
Arthur si girò e vide Rookwood che lo fissava minaccioso;
scosse la testa ed entrò nell’ascensore.
È buffo come a volte siano proprio i piccoli dettagli,
quelli a cui normalmente non facciamo quasi caso, a rivelare in modo
più evidente i cambiamenti. Benché pieno,
l’ascensore era molto silenzioso; gli unici a parlare erano i
Mangiamorte e quelli che stavano dalla loro parte, gli altri impiegati
si fissavano in silenzio i piedi, timorosi anche di guardarsi attorno.
In quei tempi bui e pericolosi infatti uno sguardo era più
che sufficiente per ritrovarsi all’ultimo livello, o
direttamente ad Azkaban.
Ad Arthur tutto ciò non andava bene, ma non voleva mettere
nei guai i suoi colleghi; quindi stette buono e zitto anche lui, almeno
finché non si sentì toccare leggermente su una
spalla:
- Hai sentito di Dirk?
Non osò girarsi per vedere chi stava parlando, e si
limitò a scuotere la testa. Le ultime notizie che aveva
erano ormai vecchie, sapeva solo che era riuscito a scampare ad Azkaban
ed era in clandestina.
- L’hanno beccato. È morto.
Primo Livello: Ufficio
Auror, annunciò la fredda voce femminile.
L’interlocutore di Arthur scese, lasciandolo senza parole.
Dirk non era certo il primo che purtroppo faceva quella fine, eppure in
quel momento qualcosa scattò nel cervello di Arthur, come
una scossa elettrica che gli si propagò in tutto il corpo.
Voleva, doveva fare qualcosa. Non sapeva cosa ma sapeva che non sarebbe
potuto restare un minuto di più lì, con loro, a
far finta che andasse tutto bene.
Per un folle momento pensò di irrompere nelle aule
giudiziarie e liberare tutti, come avevano fatto mesi prima Ron, Harry
e Hermione, ma si rese conto subito che era un’idea folle.
Non ne sarebbe uscito vivo, senza contare che adesso la sicurezza
laggiù era triplicata.
Scese dall’ascensore e si diresse nel suo ufficio,
lasciandosi cadere pesantemente di fronte alla scrivania. Davanti a lui
c’era il posto vuoto di Perkins, arrestato due settimane
prima per essersi rifiutato di aiutare Dolohov in certe faccende.
Arthur si prese la testa tra le mani, mentre davanti a lui scorrevano i
volti: Perkins, Cresswell, tutti quei bambini che aveva visto a
settembre… e poi i suoi figli, Harry, Hermione, la sua amata
Molly.
Ormai non credeva più alle parole che le aveva detto la
mattina: come potevano vincere? Era vero che per ogni Mangiamorte
c’erano almeno tre uomini fedeli ad Harry Potter, ma erano
tutti troppo spaventati per fare qualcosa, paralizzati dalla paura e
dall’orrore.
E lui non era da meno; per quanto cercasse di farsi forza, stava
perdendo le speranze.
Proprio in quel momento la porta si spalancò e Jacobson
entrò correndo:
-Weasley, meno male che ti ho trovato, devi andartene!
-Cosa?!
-Hanno beccato tuo figlio in compagnia di Harry Potter, stanno venendo
a prendere te e il resto della tua famiglia; scappa, mettili al sicuro.
E corse di nuovo via.
Arthur rimase paralizzato per circa dieci secondi, poi balzò
in piedi.
Agitando appena la bacchetta spedì un Patronus dai gemelli e
fuggì via dal Ministero.
“Non è tutto perduto: nonostante la paura
c’è ancora chi lotta” pensò
mentre si Smaterializzava.
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