Titolo: Blindness
– sensi
Autore: L.A.D.L.
Disclaimer: i
personaggi di Shaman King non mi appartengono, perché altrimenti Yoh e Anna si sarebbero sicuramente
baciati. Tutti i diritti riservati. Shaman King è una creazione di H.
Takei. La fanfic non è a scopo di lucro.
Pairing: YohxAnna
Genere:
drammatico, dolce, malinconico, romantico.
Segnalazioni:
one-shot, lieto fine!
Note: Mi pareva
che postare solo Veleno Scarlatto fosse poco. E poi avevo voglia di scrivere
una bella shot. L’idea mi è venuta quando a scuola ho
avuto un calo di pressione, con conseguente perdita momentanea della vista.
Hope you’ll like it.
Blindness – sensi
Brutto tempo, quel giorno.
Lei avanzava lentamente per il
corridoio, la mano destra appoggiata sulla parete in
legno, che immobile pareva sostenerla con tutto il suo fragile e piccolo peso.
Anna Kyoyama era piccola e
carina, ma sapeva sfoderare una tale grinta nell’aggredire un avversario che
pochi potevano vantarsi d’essere sopravvissuti alla sua furia.
Ad ogni modo, lei camminava lungo
il corridoio per raggiungere il salone d’allenamento.
Voleva afferrare una katana,
sentirla fra le mani, percepire chiaramente ogni più piccola venatura di quel legno così scuro e perfetto, provare l’incredibile
sensazione di avere il potere nelle mani e di poterlo dominare con relativa
semplicità.
Il legno, pensò, doveva essersi
scurito ulteriormente, poiché esposto alla luce del sole; Yoh si era allenato
duramente, in quegli ultimi mesi.
Lei non avrebbe
dovuto accorgersene. Lui aveva cercato di tenerla lontano da tutto
quello che poteva anche minimamente essere considerato pericoloso: coltelli,
katane, i più semplici lavori domestici.
Ma i suoi sensi avevano fatto il
resto, aprendole un mondo che prima
le era stato sempre precluso: l’aria che si scontrava col viso bagnato di
sudore, il calore del fuoco sotto l’epidermide, la sensazione della terra umida
sotto i piedi bagnati.
- Anna!! – come chiamato, Yoh
“Shaman King” Asakura si palesò all’inizio del corridoio, preannunciato da un
rocambolesco suono di passi concitati. – Cosa fai qui? –
Lei alzò pragmaticamente un
sopracciglio perfettamente disegnato che lentamente scomparve sotto la lunga
frangia color miele, a contorno di un ghigno blandamente divertito o forse solo
molto, molto esasperato. Pareva che tutta la sua pazienza fosse confluita in
quell’unica occasione per evitarle una magra e derisoria figura
davanti agli occhi di tutti gli amici del suo fidanzato.
Staccò la mano dalla parete,
artigliandola. – Mi facevano male le gambe, e così mi sono alzata. –
Lo sentì avvicinarsi, piano. –
Hai sbagliato strada, se volevi andare in cucina. Ti ricordi? Appena scesa
dalle scale, bisogna girare subito a destra, altrimenti si prende la strada per
andare fino al –
- Fino al salone, si. In effetti,
è proprio lì che stavo andando. –
Anna Kyoyama alzò la testa che
era rimasta leggermente china e spalancò gli occhi. – Credi forse che perché –
- Non è necessario, Anna. – le
disse dolcemente lui, posandole una mano sul viso. I suoi polsi, la sua stessa
essenza, tutto Yoh Asakura tremava.
- Oh si, si
che lo è. – e lo guardò negli occhi, o perlomeno dove presumeva che lui avesse
gli occhi. Magari, negli ultimi tempi, era pure cresciuto in altezza. I suoi
occhi, che un tempo avevano riflesso ogni immagine di questo mondo, erano
spenti.
Li iridi di Anna Kyoyama erano di
uno sconfortante grigio uniforme.
- Non ti risparmierò, Hao. –
aveva concluso Yoh Asakura stringendo la sua arma nel pungo
della mano sinistra. – Io ti ucciderò, ponendo fine a tutto ciò. Per sempre. –
Il gemello aveva sorriso
brevemente. Con quella smorfia sua particolare, di chi progetta qualcosa e non
vede l’ora di mostrarlo. – IO ti ucciderò, fratello. –
E poi si erano lanciati l’uno
contro l’altro, fondendosi in un’unica reale figura. Anna Kyoyama teneva gli
occhi piantati su di loro, non riuscendo nemmeno a scorgere il suo fidanzato;
il suo cuore batteva all’impazzata.
Poi una piccola luce, sempre più
luminosa e forte, che andava crescendo fra i due.
E aveva urlato con tutte le sue
forze. – Yoh, scansalo! –
Come tanti anni prima, con l’oni,
durante quella pazzesca giornata sul Monte Osore,
quando l’aveva visto per la prima volta.
In contrapposizione alla forte luce, poi c’era stato solo il buio.
- Abbiamo vinto, Anna. – aveva
esalato il suo ragazzo cadendo di fianco a lei. – Hao è morto. –
- Se abbiamo vinto, allora siamo
comunque morti. Lui ha distrutto il sole. – aveva detto lei, a bassa voce,
portandosi delicatamente una mano sul volto.
Yoh si era alzato di scatto,
voltandosi verso di lei. – Cosa? –
E li aveva visti.
“– Io ti ucciderò, ponendo fine a tutto ciò. Per sempre. –“
- Perché Hao ha posto fine alla
luce? –
- Anna… -
- Non ci sarà mai più luce. Sarà
buio per sempre. –
- Anna, i tuoi occhi. –
“– Hao è morto. – “
E con lui, tutti i nostri sogni.
Lui si sentiva colpevole, inutile
negarlo. C’era sempre stato, da quel giorno, un tarlo capace di roderlo
dall’interno, oltrepassando ogni barriera che lui potesse anche solo sperare di
elevare, incurante del dolore che andava provocando.
E il motivo per
cui non lo abbandonava, era perché lui non glielo permetteva.
Yoh Asakura pensava a quel dolore
come una necessaria espiazione per le sue colpe; perché se lui avesse pensato a
proteggerla, quel giorno, invece di farsi prendere dalla foga, forse lei avrebbe
potuto veder crescere loro figlio.
Hana. Hana che vuol dire fiore.
Il fiore preferito di Anna era
sempre stato la camelia.
“- Se avessimo
una figlia, io la chiamerò Tsubaki. Come il fiore che
amo osservare. –“
Il primogenito era stato Hana.
Poi era venuta anche Kaori.
Ma nessuna Tsubaki
Asakura aveva avuto il privilegio di dormire nel loro letto.
- Sono ceca, Yoh, non stupida. So
benissimo che questo corridoio porta al salone. Semplicemente avevo voglia di
sentire il profumo del legno, e di sfiorare una katana. – mormorò l’itako,
mantenendo lo sguardo appannato su quello del marito, perché ben sapeva quanto
questo lo facesse sentire in soggezione.
- D’accordo, non ti arrabbiare,
mi stavo solo preoccupando per te. Ma perché non mi hai chiamato, se volevi
andare lì? Ti ci avrei accompagnato volentieri. –
Lei chiuse improvvisamente gli
occhi, volgendo il capo verso la porta d’ingresso della Sala d’allenamento,
serrando contemporaneamente le labbra in una piccola smorfia d’indecisione. –
Perché…- disse, prendendo fiato e coraggio. – Perché ci sono cose che ero
solita fare da sola, prima. Non posso sentirti vicino per tutto il tempo della
mia vita, anche se non sono più in grado di vedere. –
Yoh buttò fuori l’aria tutto d’un
colpo, come se qualcuno gli avesse tirato una gomitata in pieno stomaco
improvvisamente, prendendolo alla sprovvista.
- Ah. – riuscì a dire.
- Perciò scusami, ma adesso vado.
–
E lo lasciò lì, in mezzo al
corridoio, intento a boccheggiare come solo un pesce rosso poteva fare,
incapace di dire altro. Vide la schiena ricoperta di fili d’oro ondeggianti
diventare sempre più piccola, fino a che, svoltato l’angolo, non la vide più.
Allora, solo allora, crollò a
terra.
Kaori “Onika” Asakura amava bearsi della
luce mattutina, ma detestava sentire sua madre parlare in quel tono: basso,
vibrante, atto a richiamare momenti del passato che non la riguardavano e mai
avrebbero potuto riguardarla.
Non capiva suo padre, con quei
tentativi di voler preservare la salute di sua madre: lei era perfettamente in
grado di gestire la sua vita, anche se privata della vista.
Anche lei l’aiutava, all’insaputa
di Yoh. Ogni volta in cui Anna necessitava di una katana, o di una passeggiata, Kaori
era ben lieta di aiutarla.
- Dimmi Kaori,
raccontami di quanto sei bella alla luce del sole. –
era solita dire sua madre, mentre camminavano. La bimba di soli sei anni si
gonfiava d’orgoglio, sentendosi chiamare così, e prendeva a parlare. – I miei
capelli sono lisci e lunghi, mamma, chiari come la
luce della luna. Persino più chiari dei tuoi. –
- Continua. –
- E i miei occhi hanno il colore
del ghiaccio più trasparente, azzurri come un cielo macchiato di nuvole. –
- Sai parlare bene, mia piccola Kaori. –
- Perché mi hai insegnato tu,
mamma. –
- Tu sei la figlia di un Oni, perché quegli occhi non possono appartenere a me, e
tanto meno a tuo padre. –
Kaori
stringeva ancora un po’ la mano della bellissima donna che era solita
accompagnare, alzando il mento. – Per questo a volte mi chiami Onika? –
- Certo, Onika.
Raccontami cosa vedi, bambina mia. –
- Vedo tanti estranei a girarsi
al tuo passaggio, mamma. –
- E cosa guardano, ora? –
- Guardano i tuoi occhi, mamma, e
subito abbassano i loro, perché non sanno resistere al loro fascinoso richiamo.
–
- E tu sai perché, Kaori? –
Anna si fermava, volgendo il viso
verso il calore del sole. – Lo sai, il perché? –
- No, mamma. –
- Perché i miei occhi creano
angoscia, sono come una continua ricerca di una presunta verità alla quale non
si potrà mai arrivare. Se tu sei figlia degli Oni, Kaori, io ne sono regina. Regina di un mondo di tenebre. –
- Ci sono le tenebre, dietro ai
tuoi occhi? –
- C’è molto, molto di più, Onika. –
La bambina reprimeva un brivido mentre ascoltava la madre abbassare man mano il tono
della voce, sempre più basso, sempre più flebile, fino a quando esso non
diventava quasi un sibilo disperato.
- Andiamo, mamma? –
- Si, sono stanca, torniamo a
casa, da tuo padre. –
- Kaori?
–
Lei voltò subito il capo verso la
porta spalancata del salone che dava sul portico, scattando in piedi. – Kaori? Sei qui? –
- Eccomi, mamma. –
- Ah, sei qui. – la donna si
voltò verso il suono, la mano sinistra saldamente poggiata sulla parete in legno scuro. – Mi daresti una katana,
adesso? –
- Balli ancora, madre? –
- Non smetterò mai. –
- Allora ti rimarrò a guardare,
perché sei bella quando giri intorno alla stanza. –
Anna scosse
il capo, smuovendo i capelli biondi e facendo precipitare la complessa
acconciatura. – Vai via, Onika. Per oggi, non puoi
restare. –
- Ma… -
- Kaori.
–
Kaori.
Il tono era di nuovo quello basso di quando lei era
arrabbiata, o scossa.
Era come se tutta la stanza
avesse vibrato al suono di quel nome, e fosse poi tornata normale, immobile
nella sua continua attesa.
- Si, vado. -
- Hao è morto. –
Hao è
morto, ma qual è il prezzo di questa vittoria?
Lei volteggiava furiosamente al
centro della Sala ormai senza più alcuno senso d’orientamento, scuotendo con
violenza la testa, e serrando gli occhi.
Da dietro la porta, Yoh l’osservava attento. Guardava la spada allinearsi al
suo fedele braccio sinistro, compagni di schiaffi ed avventure, per poi
ammirare il cerchio perfetto da lei prodotto in un volteggio.
C’era rabbia e sentimento, e
molta frustrazione, che lui quasi sentì presente, come un terzo corpo.
- Anna, i tuoi occhi. –
I miei occhi, si, che fine hanno
fatto i miei occhi neri come la peste? Dov’è il demonio che me li aveva
imprestati, tanto tempo fa?
Finalmente lei smise di danzare,
ansante, e si voltò verso di lui. Aveva percepito la sua presenza
ma, incredibilmente, non ne era stata affatto turbata.
Lo puntò con la spada in un gioco
di precisione millimetrica, e cosa più disarmante, lo puntò con gli occhi
spenti che per un attimo gli parvero quelli di un tempo.
Occhi neri dello stesso demonio
che aveva creato il male.
- Sei ceca, Anna. –
Sono ceca, si, ma so ancora
ballare, so odiare e ridere. So anche amare, non l’ho mai dimenticato.
Cosa mi importa se Lui si è
ripreso i miei occhi?
- Ti stavo aspettando. –
Yoh si
fermò sulla porta - Ma tu pensa, innamorato e pure
prevedibile. –
- Uno Shaman
King non deve mai essere prevedibile. – disse allora
lei, continuando a fissarlo.
- Eppure io sono entrambi. –
- Shaman
King e prevedibile? –
- No, Shaman
King e innamorato. – mormorò in un piccolo sorrisino.
Sorrise anche lei. – E pure
prevedibile. –
Lui deglutì un paio di volte, inclinando
il capo verso sinistra, e si sentì travolgere. – Pensavo che tu fossi debole,
ma sei più forte di me. –
- Sono sempre stata più forte di
te, Yoh. Nonostante fossi la
tua promessa sposa, non ti nascondo che anche io avrei voluto diventare ciò che
sei ora. –
- Non… -
- Ma sono ceca. E allora mi
sarebbe piaciuto essere la tua sposa, una volta per tutte. –
- Io…-
Anna Kyoyama mosse la spada
velocemente, arrivando a pochi centimetri dalla sua gola. – E tu, ancora una
volta, me lo stai impedendo. –
Gli lanciò una katana, avendo cura di reprimere un ghigno diabolico,
retaggio di un vecchio passato.
Che non sarebbe più tornato.
- Combatti. – lo esortò. –
Combatti con me, Yoh Asakura.
–
Ma lei era ancora li,
incrollabile, e si sentiva completa. – Combatti e cerca di sconfiggermi. Solo allora,
farò ciò che tu vorrai. –
E stando a come sappiamo sia finita questa storia, lui non la batté mai.
Owari.
Se non ve ne siete accorte,
aggiornata anche Veleno Scarlatto!
Kiss!!