Honey, if you stay I'll
be forgiven.
Una vita che pretende così tanto,
divento così
debole.
Un amore che pretende
così tanto,
non riesco a parlare.
L’aveva visto giacere al suo fianco, sveglio e per nulla
spaventato. Aveva sentito quella che avrebbe osato definire eccitazione
crescere fino a riempire la stanza, fino a diventare troppa per essere
contenuta in essa e immobilizzarlo nella sua posizione supina,
atterrirlo e costringerlo a fissare gli occhi sul soffitto bianco,
accompagnandolo attraverso lunghe notti insonni e silenziose.
L’aveva visto giacere al suo fianco, addormentato o, forse,
morto. Aveva sentito il terrore invaderlo in tutto il suo essere, era
stato il campo di quella sanguinolenta battaglia combattuta tra la sua
parte razionale e quella irrazionale, aveva subìto i colpi
inflitti dall'una e dall'altra parte, una masochistica scelta che
rasentava, ostentandolo, l'altruismo.
Dov’è il
tuo cuore?
Forse non lo amava come si diceva. Forse non voleva salvarlo
perché ci teneva a lui. Avrebbe dovuto lasciarlo andare,
prima o poi, ne era consapevole. Non c’era nulla che potesse
dire per convincerlo a restare, nulla che potesse fare. Tanto meno
avrebbe mai potuto cambiare ciò che era successo.
«Mi
stai dicendo che ti sei scopato un altro?»
«Sì.»
«Ah... Okay.»
Dov’è il
tuo cuore?
Si era sentito una merda, quando gliel’aveva detto. Gli ci
era voluto un gran sforzo prima di convincersi, ed un gran coraggio per
riuscire a vocalizzare la sua colpa. Ma il peso del suo sbaglio gravava
troppo sulle sue spalle, non poteva sperare di portarsi quel segreto
nella tomba. Piuttosto, ci sarebbe stato trascinato da esso. E comunque
non l’aveva percepita come un errore, quella notte. Era
stato, anzi, uno sfogo liberatorio, qualcosa di cui sentiva il bisogno
da tempo, senza tuttavia sapere che fosse di questo che si trattava. Ma
per quanto questo gli suonasse male, ciò che proprio non
riusciva a comprendere e mandare giù era stata la reazione
di Takanori, che aveva risolto la faccenda con un’alzata di
spalle ed era subito tornato a dare le sue attenzioni al cellulare.
Sostanzialmente, il danno fu dovuto a questo.
«Tutto
qui?»
«Cosa dovrei dire, scusa?»
Esitò un attimo, troppo confuso dalla situazione.
«Be’, non lo so. Qualcosa!»
«Cosa,
Rei’, cosa??
Non ho niente da dire!»
«Oh, bene!»
Aveva preso a guardarlo con espressione torva, le sopracciglia inarcate
ed un mezzo sorriso in volto che, però, scomparve subito.
«Non ci provare.», l’aveva in seguito
ammonito, severo.
«A fare che?»
«A fare l’offeso!»
«Perché mai non dovrei?»
«Ti ricordo che sei tu
quello che mi ha tradito, dovrei essere io quello offeso,
semmai!»
«Appunto!»
Era evidente che qualcosa tra i due non andasse. Il tradimento fu solo
una dimostrazione che la loro alchimia si era disciolta in un qualche
elemento troppo instabile, diventando una mina vagante e mortalmente
pericolosa. Quella sera, quella confessione, portò ad una
lite furibonda, tremenda. Parole volarono come cacciabombardieri,
rumorose, minacciose,
sganciando colpe dall'una e dall'altra parte. Più che dar
l’impressione di voler rompere, diedero
l’impressione di voler rompersi,
mandarsi in mille pezzi in un’autodistruttiva esplosione di
coppia. E, come se i vocaboli non fossero sufficienti, come se il far
saltare in aria i loro cuori non fosse già abbastanza,
passarono a quello che era stato il loro nido d’amore, quello
che era diventata la tana del lupo, e presero a lanciarsi addosso
qualunque cosa capitasse loro sotto mano.
I vicini, sentendo le urla, chiamarono la polizia, che non
tardò molto ad arrivare. Uno dei due agenti, nel vederne
l’espressione di stupore, spiegò a Ryo che
c’era stata una segnalazione da parte di altri inquilini,
domandando poi se potevano cortesemente
entrare a dare un’occhiata. Per mancanza di prove
sufficienti, nessuno dei due fu portato alla stazione di polizia, ma i
due consigliarono loro caldamente di fare maggiore attenzione in
futuro, auspicando che una tale situazione non si ripetesse.
Quella notte Takanori andò a dormire da Yutaka, il quale,
l’indomani, si premurò di far da paciere. Non che
fosse riuscito a risolvere realmente
molto ma, se non altro, li aveva convinti a non buttare al vento quella
relazione che durava ormai da anni. Quella stessa settimana, poi, il
più piccolo aveva preso a vedere un medico che si presumeva
sarebbe riuscito a curare i suoi scatti d’ira, quegli stessi
che l’avevano portato a scagliare un vaso contro il suo
ragazzo.
Era passato qualche paio di settimane, dall’accaduto, e le sedute si erano tenute una volta ogni sette giorni per un
totale di cinque, fino ad ora; effettivamente Takanori appariva
molto più rilassato di quanto lui stesso era sempre stato
abituato a vedersi. La verità è che aveva
iniziato a imbottirsi di pasticche più o meno colorate,
più o meno efficaci, più o meno dannose, e il
problema non fu tanto la perdita di controllo, quanto la totale assenza
di esso, cosa che era sempre
stata presente nella sua vita. Vedendolo buttar
giù quelle che, per il suo modesto parere, sembravano fin
troppe pillole, Ryo cominciò a preoccuparsi, ma
c’è da specificare che, probabilmente, fu
più per paura di vedere la sua coscienza macchiarsi di sensi
di colpa, che non per amore dell’altro. Il vero campanello
d’allarme, tuttavia, si attivò
all’impressione - alla certezza
- che di sera in sera le pastiglie stessero aumentando.
«Taka,
non stai esagerando?»
«Che t'importa, lasciami fare!»
Vedeva nei suoi occhi che non aveva paura di morire. Sperava di
sbagliare a crede che fosse proprio quello che l’altro
voleva. Una mattina capitò persino che avesse
l’aria di uno che è deluso di ritrovarsi sveglio
nel suo letto.
«Vuoi
per caso lasciarci le penne?!»
«Sai che mi frega…»
Disinteressamento ed un’alzata di spalle. Ryo aveva preso a
preoccuparsi per due, doppiamente per se stesso. Non
avrebbe potuto sopportare i sensi di colpa, non voleva finire ammazzato
anche lui.
Lo vedeva giacere al suo fianco, sveglio e per nulla spaventato. Lo
vedeva giacere al suo fianco, addormentato o – e quel dubbio
non lo avrebbe abbandonato mai, se non alla fine - forse
già morto.
Un amore che pretende
così tanto,
divento debole.
DE’s:
Che storie, gente! Mi riferisco al fatto che ho litigato di brutto con
Nerone (il pc, nda) che, a quanto pare, è stufo delle
reituki angst – o, forse farei meglio a dire, rukeita?
– e odia i My Chemical Romance, che invece io adoro e che
ringrazio per avermi fornito l’ispirazione con la loro
“Famous Last Words”, su cui si basa più
o meno tutta la fic.
Ora, sostanzialmente mi sembra abbastanza comprensibile. Spero sia
chiaro che a Ruki non importa di morire così come, alla
fine, non importa nemmeno a Reita, il quale è semplicemente
preoccupato per “la sua immagine” – il
titolo fa riferimento al fatto che gli altri darebbero a lui e al suo
tradimento la colpa per il suicidio di Ruki, cosa di cui
finirebbe per convincersi e… Boh.
In ogni caso, dopo questa porcheria di note, vi ringrazio in caso siate
arrivate fin qui e specifico che se aveste l’impellente voglia
di farmi sapere che ne pensate, ne sarei lieta.
A presto, mi auspico, lol.
Read ya!
badspider.
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