Try again, Roy
Titolo: Try again,
Roy
Autore: My
Pride
Fandom: FullMetal
Alchemist
Tipologia: One-shot
[
3150 parole fiumidiparole ]
Personaggi: Roy
Mustang, Edward Elric, Cedric Berk, Jason Mustang
Tabella/Prompt: Animali
› 02. Coniglio
Genere: Generale,
Sentimentale,
Fluff
Rating: Giallo
/ Arancione
Avvertimenti: Shounen
ai ; What if?
FULLMETAL ALCHEMIST © 2002Hiromu Arakawa/SQUARE ENIX. All
Rights Reserved.
Un
piacevole dormiveglia si era impossessato di me, quella
mattina.
Ero adagiato fra i cuscini, con una
voglia
d’alzarmi pari
allo zero. La sera addietro ero praticamente crollato addormentato fra
le braccia del mio compagno, dopo un’estenuante lotta su chi
avrebbe dovuto
comandare quel gioco a cui avevamo dato poi vita. Alla fine ci eravamo
ritrovati chi sopra chi sotto,
cambiando anche i ruoli senza nemmeno accorgercene pienamente. E adesso
ne pagavo le conseguenze. Ero stanco e assonnato, con in dosso
nient’altro che me
stesso e il lenzuolo a coprirmi mentre un leggero e piacevole
venticello
entrava dalla finestra socchiusa.
Quasi inconsciamente andai a strofinarmi
l’occhio
cieco,
lasciando poi ricadere la mano sul materasso con un piccolo sbuffo. Mi
girai su un fianco, infischiandomene delle coperte che
erano scivolate un po’ via, allungando un braccio per far
vagare
a tentoni la mano,
alla ricerca della mia benda. Non trovandola lasciai perdere, aprendo
di poco l’occhio
destro. Vedevo tutto sfocato, come sempre. Sbadigliai sonoramente
aspettando che la mia vista si
abituasse, voltandomi frattanto nella direzione del mio compagno, con
l’intenzione d’abbracciarlo. Peccato,
però, che
trovai solo il materasso. Sbuffai ancora, tornando a chiudere
l’occhio con fare sconsolato. Avevo quasi sperato in una
bella
mattinata movimentata quanto la sera prima, e
invece probabilmente si trovava già in cucina o in un altro
punto di casa a
fare chissà cosa. Anche di giovedì mattina, con
tanto che
avevamo tre o
quattro giorni di ferie pagate, trovava sempre un pretesto per
svignarsela. E il che era strano, visto che il primo pigrone era lui.
Forse il tutto si poteva benissimo spiegare dalla presenza
di due piccole pesti in casa.
Lasciai perdere e abbandonai i miei
pensieri,
affondando il viso nel cuscino mentre mi stendevo a pancia in
giù sul
materasso, nascosto solo da un lembo del lenzuolo. Potevo permettermi
altri cinque minuti, in fondo. Quasi fui colto da un’altra
ondata
di sonno che in un primo
momento decisi di ignorare. Ma poi mi riaddormentai, e anche
saporitamente. Mi accorsi di averlo fatto solo quando sentii un
movimento
ben poco silenzioso nella stanza che mi fece risvegliare ancora una
volta. Alzai ancora assonnato e infastidito il viso, sentendo i
capelli incollati alla fronte sul lato che avevo schiacciato contro il
cuscino. In un primo momento pensai che fosse Edward e che stesse
prendendo un qualche vestito dall’armadio, data
l’altezza
della figura. Ma quando la misi meglio a fuoco, notando poi
l’avvicinarsi
d’un’altra, mi trattenni dallo spalancare la bocca
dallo
stupore ed inveire
contro di loro. Ormai era diventata un’abitudine per quel
ragazzo
stabilirsi
a casa nostra. Come minimo, una settimana sì e una no. Non
vedevo l’ora che si iscrivessero entrambi a quella
benedetta Accademia Militare. In fondo mancava soltanto... un anno? Era una vita.
«Che diavolo cercate nel mio
armadio, voi
due?»
sbottai con voce ancora impastata dal sonno, vedendoli sussultare
appena. Un sorriso spavaldo si disegnò, però,
sulle
labbra di uno dei
due quando si voltarono in simultanea, ognuno con una camicia
sottobraccio. Ora che li guardavo meglio, sembravano tutti in
ghingheri. Forse un po’ troppo in ghingheri, per un semplice
giovedì. E poi... da quando Jason era così alto?
Lo
ricordavo più basso. Sbattei la palpebra perplesso, vedendo
l’altro idiota
sorridere a sua volta.
«Ben svegliato, Signor
Mustang», mi
salutò
Cedric, ma sentii risuonare una
nota quasi ironica e furba nel tono della sua voce. Quei due non me la
raccontavano giusta. Ne stavano sicuramente architettando una delle
loro di prima
mattina.
«‘Giorno,
‘Ka-san»,
fece a sua volta Jason, ridacchiando
un po’.
Aye, ne stavano pensando una delle loro.
Cercai di pensare
positivo - per quanto risultasse impossibile - mentre mi strofinavo
ancora una
volta l’occhio, tirandomi su il lenzuolo per coprirmi alla
bell’e meglio mentre
nascondevo anche la cicatrice con la frangetta, spostandomela un
po’ su quel
lato. Ancora non mi andava che si vedesse. Eravamo a fine agosto ormai
ed era passato un bel po’ da
quando era successo, però dovevo ancora farci meglio i
conti.
Già era tanto se toglievo la benda di notte. Decidendo di
non
pensarci oltre, li guardai, osservando il
loro vestiario. Indossavano entrambi un pantalone per le grandi
occasioni di colore nero, con
tanto d’un paio di scarpe classiche del medesimo colore.
Jason si
era persino ravvivato i capelli all’indietro,
fermandoli con del gel. Combinato a quel modo, ricordava vagamente me
un paio d’anni
prima. Beh... forse un po’ di più, d’un
paio
d’anni prima. «Allora, volete spiegarmi che
cercate?»
domandai nuovamente,
attendendo una risposta.
Si guardarono fra loro, come a chiedere
conferma negli occhi
dell’altro. Poi scrollarono le spalle in
simultanea, e fu
Jason a
parlare. «Ci servivano due camicie», rispose
semplicemente, come se
quello spiegasse tutto. Invece non spiegava un bel niente. In primis,
erano in camera nostra
a scavare nel mio armadio.
Come seconda cosa, invece, il resto della stanza non era poi
così presentabile. E nemmeno io, bisognava aggiungere.
«Di camicie ne hai,
Jaz», gli tenni
presente in tono
ironico, cercando
con la coda dell’occhio i miei boxer e la mia benda,
rimpiangendo
però di non
poter tenere quei due sotto controllo per far questo in
tranquillità. Mi toccò difatti distogliere di
poco lo
sguardo, non
trovando purtroppo ciò che cercavo. L’intimo
probabilmente
era stato raccattato da Ed e messo a
lavare. Ma la benda non la trovavo da nessuna parte. Sentii quei due
tossicchiare, e li vidi, quando mi voltai,
richiudere l’armadio senza aver però posato le mie
camicie. Le mie preferite, tra l’altro. Quelle che indossavo
per
le grandi occasioni. «Con quelle non andate da nessuna
parte», feci, indicandole.
Le osservarono a loro volta, con
espressioni sorprese.
Strano,
perché avrei dovuto esserlo io. «La prego, Signor
Mustang,
ci servono solo per questa volta»,
attaccò Cedric, assumendo quel cipiglio supplicante che era
solito usare quel
degenerato di mio figlio.
Subito si aggiunse una seconda vocina,
angelica come non
mai. «Dai, ‘Ka-san, vogliamo fare bella
figura», rincarò la dose Jason, sbattendo le
ciglia graziosamente. Quei due mi preoccupavano sempre di
più. Bella figura con chi?
Incrociai le braccia al petto,
squadrandoli, non prima di
essermi ancora una volta sistemato le lenzuola sulle parti basse. Non
mi andava di ritrovarmi di nuovo nudo davanti a quei due
idioti. «Spiegatemi a che vi servono e forse ve le faccio
indossare»,
misi a condizione.
Si guardarono ancora una volta, come se stessero valutando
la mia proposta. Poi, sistemandosi meglio la camicia sottobraccio,
Jason si
grattò la testa, quasi pensoso. «Ieri sera abbiamo
adocchiato due ragazze», cominciò. E solo da
quelle parole
già prevedevo guai. Tanti guai, avrei osato dire.
«Solo che sono due tipe fru
fru, non so se ha
presente»,
riprese per lui il discorso Cedric, facendo un eloquente gesto con la
mano
sinistra, roteando quindi il polso. Oh, eccome se avevo presente donne
simili. Tutte snob e chic, buone per una scopata ma non per starci
insieme a vita. Se eri ricco, riuscivi a mantenerle. Se avevi uno
stipendio un po’ agiato, alla fine restavi a
culo in aria. Ti spennavano e adieu.
Scossi la testa e tornai sdraiato,
liquidandoli con un gesto
della mano. «Lasciatele stare due tipe
così», li istruii,
sbadigliando. «Meglio perderle che trovarle».
«...disse l’uomo che
ne frequenta un
altro»,
ironizzò Jason,
guadagnandoci da me un’occhiataccia quando alzai di poco il
viso.
Sebbene non vedesse nulla di strano nella relazione che
avevamo io e Edward, non condivideva a pieno le nostre scelte e i
nostri gusti, per metterla su quel piano. E forse non gli avrei dato
torto, se fossi stato l’uomo
di... beh, di quasi vent’anni prima.
«Andate fuori, se non volete
che vi
abbrustolisca», li minacciai, riuscendo solo
a farli ridere un po’. Non serviva più a niente
usare quella tattica. Tanto sapevano che aprivo
il fuoco solo in presenza di Maes.
«Ah, Signor
Mustang», mi
richiamò la voce di
Cedric, e a
malapena li vidi che avevano rimesso a posto le mie camice e si erano
diretti
alla porta per andare ciondolando altrove. Probabilmente li avevo
convinti a lasciar perdere. Però, stavolta, gli vidi reggere
qualcosa di familiare. Quella non era la
mia... «L’abbiamo trovata accanto alla
porta»,
riprese, sventolando
come se nulla fosse la benda prima di lanciarmela verso il letto.
«Insieme a
quelli». Indicò Jason, che indicava a sua volta
qualcos’altro. E stavolta mi ritrovai ad arrossire
violentemente. Non tanto per i boxer raggomitolati sul
pavimento.
Ma più per quello che era in bella mostra sopra di essi,
abbandonato lì senza pudore. Io ancora mi domandavo come
avessero fatto a finire laggiù,
figurarsi.
«E la prossima volta vi
consiglio un luogo
più appartato o
di comprare per noi degli appositi tappi per le orecchie»,
continuò a sua volta
Jason, stringendosi nelle spalle tranquillamente. «Sentivamo
tutto identico e
preciso».
Se ero arrossito, adesso ero sicuro che
il colore del mio
viso tendesse al violaceo. Quei
due grandissimi...! «Fuori
di qui!» tuonai, ormai livido per la vergogna. Eseguirono
sì il mio ordine,
ma ridendo come due matti. Persino dal corridoio riuscivo ancora a
sentirli. Non era poi una cosa così allettante, quella che
ero
appena venuto a sapere. Tra me e Edward, la sera addietro, gridolini e
ansiti si
erano sprecati. E ci eravamo dimenticati che la camera di Jason non
distava
poi tanto dalla nostra. Che razza di situazione...
Sconsolato, mi infilai nuovamente la
benda, scansando via la
frangetta prima di liberarmi anche delle lenzuola e poggiare i piedi
oltre il
materasso. Scavai nel cassetto alla ricerca di un paio di boxer puliti,
infilandomeli svelto. Una volta alla soglia, poi, rimasi lì
impalato, indeciso se
incamminarmi in corridoio solo con quelli indosso o meno. Gettai appena
uno sguardo al groviglio che stava lì
accumulato, storcendo un po’ il viso in una smorfia
tutt’altro che contenta. Avrei dovuto pensarci la sera prima,
o
forse avrei dovuto pensarci adesso. Ma poi me ne infischiai,
dirigendomi in cucina. E per mia fortuna, vi trovai solo Edward a
trafficare con i
fornelli. Aleggiava un buon profumo di caffè.
Probabilmente avvertendo la mia presenza
si girò,
regalandomi
uno di quei sorrisi strafottenti che tanto amavo. «Alla
buon’ora», sghignazzò, prendendo due
tazzine.
«Pensavo
dormissi tutto il giorno».
Borbottai tra me e me senza dar peso
alla sua nota ironica,
avvicinandomi per togliergli la tazza ormai riempita dalle mani.
«Quei due?» chiesi in risposta, sorseggiando piano
il mio
caffé dopo aver soffiato. Si poggiò contro il
lavandino
soffiando a sua volta, alzando
il viso verso di me.
«Appena usciti», mi
informò,
bevendo anche lui un sorso. «Sembravano parecchio
divertiti».
«E ci credo», feci
sarcastico,
allontanando la tazza dalle
labbra.
«C’è il
tuo zampino, per
caso?» mi domandò velatamente divertito,
sollevando
appena un angolo della bocca in un sorriso derisorio.
«Il tuo, direi»,
quasi sbottai.
«Hai dimenticato di gettare
un palloncino».
Inarcò finemente un
sopracciglio, assumendo
un’aria
pensosa. Distolse poi lo sguardo altrove come se si stesse
concentrando, accarezzandosi le labbra con la punta delle dita della
mano
libera mentre quella d’acciaio reggeva la tazza di
caffè.
Scoppiò a ridere d’un tratto, quasi rischiando di
rovesciarselo
addosso.
«Guarda che io non ci trovo
nulla da
ridere...» borbottai ancora, come a
volerglielo tenere presente. Ma ci guadagnai soltanto
un’altra sonora risata e una bella
pacca su una spalla. Così forte che quasi cadde anche a me
il caffè, con il
rischio d’un bagno fuori programma.
«Ehi, io li gonfio e
tu li butti no?» sghignazzò di rimando,
cercando di
finire di bere senza
ridere. E fu un’impresa abbastanza ardua, visto che ogni
volta
che
mi lanciava un’occhiata si ritrovava a dar vita ad un nuovo
sbuffo d’ilarità. Decisi di non badargli oltre
prendendo
il pacco di biscotti
dalla credenza, andando ad accomodarmi. Trovai solo quelli mezzi rotti
che come suo solito Jason non
mangiava. Era un vizio che gli era rimasto, quello. Voleva solo i
biscotti sani,
lui. Consumai la mia colazione in silenzio, seguendo solo di
tanto in tanto con la coda dell’occhio i movimenti di Edward,
affaccendato per
la cucina mentre sghignazzava ancora un po’. E rideva anche
quando cercava d’intavolare un discorso. Era davvero un caso
perso. Sparì solo per poco andando in corridoio, comparendo
con
l’oggetto della sua ilarità subito dopo. Lo tenne
ben in
alto per farmelo osservare, facendomi poi
una linguaccia prima di sbarazzarsene. Lo odiavo, quando faceva
così.
«Eliminata la prova del
delitto, oh
mio Generale», mi prese in giro, avvicinandosi al tavolo
della
cucina per
farmi scansare un po’, in modo da potersi sedere a cavalcioni
sulle mie gambe. E con il misero indumento che indossavo, non potevo
nascondere nulla se fosse stato richiesto. Mugolai un po’
quando
mi sfiorò i capezzoli con i pollici,
pressando apposta quello d’acciaio per farmi penetrare a
fondo il
freddo nella
pelle. Quel piccolo...
Si chinò poi un po’
verso di me,
alitandomi
nell’orecchio. «Ti dirò la
verità, quei cosi
sono scomodi», sussurrò,
ridacchiando un po’, spostandosi con lentezza estenuante
verso il
viso. «Preferisco
non avere restrizioni». Mi sfiorò la cicatrice al
fianco e
baciò la benda, forse
aspettando una mia reazione. E quest’ultima non
tardò ad
arrivare, lasciandomi sfuggire
un piccolo mugolio. «Allora, Generale?» mi chiese,
e non
resistetti.
Mi ritrovai ad alzarmi in piedi sentendo
appena una piccola
esclamazione sorpresa, chino poi su di lui disteso sul tavolo della
cucina. Il pacco di biscotti era caduto a terra, e solo per miracolo
non era successa la stessa cosa anche alla tazzina di caffè,
in
bilico. «Se li trovi scomodi vorrà dire
che ci
daremo al sesso
selvaggio», feci in risposta, ricevendo una piccola
occhiataccia
indispettita da quelle iridi dorate.
Mi gettò però le
braccia al collo,
assumendo un’aria di
superiorità. «Non esagerare, adesso», mi
ammonì, in tono severo. «Non mi
sono scordato dell’ultima volta».
Vacillai un po’, a quelle parole, quasi abbandonando la
voglia, ma annuii piano. Quella era una cosa che era meglio non
ripetere. «Aye scusami, parlavo a
sproposito»,
mormorai,
sentendo l’attimo di complicità sfumare. Ma lui
riaccese
la passione attirandomi a sé, consumando
quel bacio insieme all’ossigeno. Mi poggiò un dito
sulle
labbra, scuotendo di poco la testa.
«Non aggiungere altro e datti
da fare»,
liquidò la questione, tornando a
cingermi il collo con le braccia per attirarmi ancora una volta verso
di lui. Mentre le labbra lottavano mi sistemai meglio fra le sue
gambe, che aveva ora aperto poggiando i piedi sul bordo del tavolo per
sorreggere il proprio peso. Una mia mano vagò a sciogliergli
l’alta coda, lasciando che
i capelli si spargessero come tanti raggi dorati sulla superficie
legnosa. Mugugnò il suo disappunto mentre mi spingevo di
più verso di
lui, in modo di avvicinare maggiormente le nostre intimità,
una
più vogliosa
dell’altra. Un rivoletto di saliva gli colò
all’angolo della bocca
quando ci separammo, e quasi mi parve inarcare la schiena quando
intensificai
il contatto, sentendolo gemere. Le sue mani artigliarono la
mia
schiena nuda, e la sinistra
affondò le unghie.
«Muoviti invece di farmi
impazzire, brutto
stronzo!»
esclamò
fuori di sé. Oh aye, ora sì che era pronto. Stavo
quasi
per ribattere che ecco due schiamazzi familiari
sul pianerottolo, prima che si sentisse lo scatto della serratura e il
loro
vociare nel corridoio. Entrarono in cucina trovandoci così,
eroticamente distesi su
quel tavolo. Dapprima perplessi, alla fine spalancarono la bocca. Non
tanto per come ci avevano trovati. Ma forse per altro.
«Ma che schifo, non anche in
cucina!»
esclamò difatti Jason,
storcendo il viso in una smorfia. «Ma siete peggio dei
conigli, voi
due!»
Proprio un bell'animale, aveva scelto.
Quasi glielo avrei
fatto notare, se non fossi stato
impegnato -Come Edward, d’altronde- a
darmi un’aria composta e sistemata una volta tornato nella
giusta posizione.
«Ne ho viste di coppie con una
passione
inesauribile, ma voi
le battete tutte», trovò il lusso di dire Cedric,
anche lui forse un tantino
sulle sue. «I miei complimenti».
Non sapevo se fosse detto con sarcasmo o
meno. O addirittura
una
presa in giro. Ma non volli indagare. «Filate a mettervi
qualcosa
per la casa», ribatté il mio compagno,
visibilmente
innervosito. «Non vi voglio a tavola con i vestiti che usate
per
uscire». Indicò la soglia con il dito
d’acciaio,
imponendogli di
muoversi. Stranamente non se lo fecero ripetere, sparendo di gran
carriera in corridoio. Si notava parecchio che era incazzato, allora.
Le sue iridi dorate si appuntarono su di me, prima che
traesse un sospiro. «Beh, meglio adesso che
dopo»,
ironizzò, dirigendosi nuovamente ai
fornelli. «Pensa
invece se fossero arrivati mentre eri già andato in
buca».
In realtà non ci volevo
assolutamente
pensare. Non era poi il massimo farsi beccare da quei due con la
tipica espressione del piacere in volto. «Prima o poi
cambierò le serrature», feci in risposta,
promettendolo più a me stesso che a lui.
Gli scappò una risatina
mentre riempiva la
pentola
d’acqua. «E’ cresciuto
scassinatore grazie a te,
credo servirà a poco», volle
screditarmi, mettendola poi sul fuoco. «Ma come si dice,
meglio
prevenire che
curare».
«Lui è un male
incurabile»,
feci sarcastico,
facendolo
ridere ancora un po’. Lo aiutai a cucinare infischiandomene
se
fossi solo in
mutande, sentendo vagamente le chiacchiere di Jason e Cedric provenire
dal
salotto dove probabilmente si erano rifugiati per confabulare tra loro
come
al solito. Quando fu pronto li chiamammo, e ci misero un po’
per
accomodarsi. Restii dal farlo, probabilmente, dopo la scena che avevano
visto. Però mangiammo in tranquillità, anche se
poi
dovemmo subirci
ancora una volta le loro battute sui conigli e sulla loro riproduzione.
Ci toccava, secondo loro. E lasciai correre anche per tutto il resto
della giornata,
avendo pace solo la sera. Quelle due pesti ci avevano dato un taglio,
finalmente.
Mi stavo adesso apprestando a prendere
dei vestiti per farmi
una doccia rinfrescante, ma quando entrai in bagno lo trovai
già
occupato. A quanto sembrava Edward mi aveva preceduto, però
sorrisi
con soddisfazione. Potevo rifarmi, magari. «Ed?» lo
chiamai non curante, non ottenendo risposta. Già
stava
cominciando a stuzzicarmi, bene. La cosa si prospettava parecchio
interessante.
Mi avviai quindi tranquillo al lavandino
cominciando a
togliermi la benda, guardando appena dallo specchio la tenda della
doccia. Sorrisi ancora un po’, concentrandomi poi sul mio
occhio.
«Che ne diresti di riprendere quel nostro discorsetto
interrotto?» continuai,
tamponandomi un po’ le cicatrici al viso con
dell’acqua
calda per ammorbidirle. Anche quest’operazione era meglio
eseguirla prima d’ogni
cosa. «Però stasera comando io», imposi
subito,
liberandomi
della canotta che avevo indossato durante il pomeriggio. Edward ormai
era diventato bravissimo, nulla da dire. Ma seguire i suoi ritmi,
spesso, era davvero estenuante. «E invece del
solito
missionario
potremmo provare altro.» continuai distrattamente,
pronto a
liberarmi
anche dei boxer per seguirlo sotto la doccia e cominciare lì
i
preliminari. Ma mi bloccai quando lo vidi sulla soglia del bagno, a
sbattere perplesso le palpebre.
«Con chi parlavi?»
mi chiese, stranito.
E io lo ero
più di lui. Guardai la tenda della doccia, dietro la quale
l’acqua era
ancora aperta. Se Edward era davanti a me... chi c’era
lì
sotto?
Nemmeno il tempo di dirlo che la
capoccia in questione
sbucò
dal tendaggio della doccia, con le guance un po’ arrossate ma
tranquillo. E quando vidi il volto di Cedric spalancai la bocca per lo
stupore. Ancor più quando, ironico, disse, «Sono
lusingato, Signor Mustang, ma io ho altre tendenze».
_Note inconcludenti dell'autrice
Erano secoli che non
postavo qualcosa in questa sezione che comprendesse la coppia Roy/Ed
Questa storia in verità è un bel po' vecchiotta,
solo che
l'ho trovata ripulendo il pc - cosa non si trova su questo ridicolo
pezzo di plastica e circuiti! - e, spinta da un'insana nostalgia
provocatami anche a causa delle role con la nipotola, ho deciso di
cogliere la palla al balzo e di postare questa vecchissima storia.
Si può benissimo notare, infatti, la presenza di una o due
personcine che i vecchi lettori - sappiate che vi mando un saluto
grande come il mondo - hanno imparato a conoscere bene negli scorsi
anni. Sto parlando di Jason e Ced, i quali mi mancavano un casino, lo
ammetto. Anzi, mi mancava tremendamente il fandom, e non mi ero resa
conto di quanto potesse mancarmi fino a questo momento.
Ecco, sto anche cominciando a straparlare, si vede che sono piuttosto
emozionata... comunque sia, questa raccolta sarà composta da
dieci piccoli capitoli, e spero tantissimo che l'amore per il Roy/Ed vi
spinga a seguirla.
Commenti e
critiche sono ben accetti.
Alla
prossima.
♥
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Farai felici milioni di
scrittori.
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