Lo
ammetto, questa storia è un
po’ strana. Sì,
probabilmente qualcuno
rimarrà sconvolto dalla mia depravazione (perché
SI, ci stavo pensando da
quando è uscito AGOS!) nonostante per
dei limiti che mi sono stati imposti non
c’è assolutamente niente di vagamente
rosso (ringraziate xD). Però
è una
crack. E in un fandom dove giustamente
regna la canonica coppia Watson/Sherlock (perché OVVIAMENTE
Sherlock sta
sotto!!) mi sento un po’ un’anticonformista a
pubblicare questa fic xD che poi
secondo me è verosimile pure questa… *shipperebbe
Sherlock anche con un sasso*
Bene,
che dire, non voglio
anticiparvi altro, quindi… buona lettura, sì.
Sono
contenta di essere tornata.
Storia
partecipante al CRACK
CONTEST di Addy J
Lupin à http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=10068726
LA
PRIMA SCELTA
“Non
credevo avrebbe accettato il
mio invito”.
Sherlock
Holmes, il più famoso
detective di Londra, è in piedi di fronte a me, con indosso
un prevedibile
completo elegante, come il luogo prevede.
“Falso.
Sapeva benissimo che lo
avrei fatto, altrimenti non si sarebbe scomodato per farmi
chiamare” stira le
labbra in un sorriso sarcastico, posando la mano sullo schienale della
sua
sedia. “Posso?”.
“Prego,
si accomodi”.
La
osservo mentre finge
indifferenza, Signor Holmes, mentre osserva nei minimi dettagli quello
che ci
circonda, credendo di non essere visto. Ma noi due siamo uguali, non mi
può
nascondere niente.
Niente.
La
mia mente riesce a seguire
perfettamente il filo logico dei suoi pensieri, facendomi essere sempre
un
passo avanti a lei.
Mi
piace questa situazione, sa?
“In
fede mia” esordisce,
scorrendo velocemente il menù con gli occhi scuri ed
attenti, “Non capisco
perché il Napoleone del crimine mi abbia invitato ad una
cena così intima, per
di più nel mio ristorante preferito”.
In
realtà lo sa benissimo,
vero? Me lo ha
chiesto solo per
osservare la mia reazione, per dedurre i fatti, quella
verità che cerca così
assiduamente nei miei gesti, nelle mie microespressioni, magari nella
speranza di
un qualche riflesso incondizionato, pur sapendo benissimo che sono un
ottimo
giocatore di poker. Proprio
come lei,
del resto.
“E’
dunque sua abitudine
accettare inviti da degli sconosciuti, Signor Holmes?”
inclino la testa, ed
ammetto che provo un certo piacere nel prenderla in giro.
“A
volte. In verità ho accettato
solo perché il Royal è notoriamente il mio
ristorante preferito” non trova
niente di meglio con cui ribattere, punto sul vivo.
Ovviamente
sapevo che lei è un
assiduo cliente , normalmente in coppia col Dott. Watson, o
più raramente con
suo fratello, per questo ho deciso di incontrarla qui.
Premuroso
da parte mia volerla
mettere a suo agio, non trova?
“Per
quanto mi riguarda” dico,
non distogliendo lo sguardo da lei neanche per un istante,
“Desideravo invitarla
perché lei ha davvero attirato la mia attenzione”.
“Per
aver sventato il suo
attentato, intende?”
Sarcasmo. Una delle sue armi
preferite, a volte perfino
più affilata di una lama.
“Veramente
intendevo per la sua
intelligenza” sorrido di fronte a quel guizzo di orgoglio che
le attraversa lo
sguardo solo per un istante, e che ovviamente non riesce a sfuggirmi.
“E’ la
prima volta che posso considerare qualcuno un mio pari”.
“Dovrei
sentirmi lusingato,
professore?”
“Si,
dovrebbe”
Sin
dal primo momento in cui le
nostre strade si sono incontrate ho capito che c’è
qualcosa di diverso in lei,
Signor Holmes. Lei ha qualcosa che gli altri non hanno:
capacità di
ragionamento.
È
astuto, ha sempre calcolato
tutto nei minimi dettagli, tenendomi testa, facendomi divertire.
Ho
cercato subito informazioni su
di lei, rimanendo affascinato dalla sua mente, dalle sue deduzioni
fuori dal
comune, dalle sue indagini che portano sempre, innegabilmente, a me.
Mi
stuzzica l’idea di avere
finalmente un avversario degno di questo nome, che non mi fa annoiare,
con cui
posso giocare alla pari, ma ancora di più il fatto che lei
sia così
ossessionato da me.
Per
prima cosa mi sono premurato
di togliere di mezzo la sua unica distrazione, quella insulsa donna che
sembrava avere tutto quell’ascendente su di lei; Irene Adler.
Ladra
internazionale, scaltra per essere una donna, ma lei merita di meglio,
Holmes.
E
io potrei offrirle tutto ciò
che più desidera.
Quello
scontro mentale infinito
che la attira così tanto e che le ha fatto accettare il mio
invito.
“Desiderate
ordinare, signori?”
chiede un cameriere giovane, probabilmente ai suoi primi mesi di lavoro
a
giudicare dal leggero tremore delle mani, sintomo dell’ancora
presente
nervosismo, una piccola macchia di vino sul polsino leggermente
consunto della
camicia, appartenuta ovviamente al suo predecessore, considerata la
taglia.
“Si,
grazie”.
“La
trovo un uomo molto
affascinante, Holmes” ammetto, attratto dal suo
comportamento, dalle sue
frecciatine sagaci, dalla sua voglia di sapere.
“Io
purtroppo non posso dire la
stessa cosa di lei. Ho trovato piuttosto azzardata la sua scelta di
invitarmi
qui e…”
“Il
mio era solo un invito,
l’azzardo è stato suo,
accettandolo” la
interrompo mentre regge il mio sguardo, ed ha il grande pregio di
essere la
prima persona dopo tanto tempo ad avere il coraggio di farlo.
È una continua
sorpresa, Holmes.
“Volevo
capire con chi ho a che
fare” ammette.
“E
c’è riuscito?”
“Perfettamente. Adesso sarà un
vero piacere batterla al suo
stesso gioco”
Tutte
queste sue vane speranze mi
fanno sorridere.
“Crede
davvero di riuscirci?”
domando, mentre faccio cenno al cameriere
di portarci un’altra bottiglia di vino.
“Si”.
La
voce è ferma, priva di dubbi.
Quello
che non sa, Mr.
Holmes, è
che anche io ho capito molte
cose di lei: vuole fermarmi. Ad ogni costo, è disposto a
tutto pur di
riuscirci. Questa sarà la sua rovina, lo sa?
In
fondo mi dispiacerà spezzare
tutte le sue ambizioni, anche se ho già in mente come
distruggerla.
Emotivamente.
Fisicamente.
Completamente.
Una
mente come la sua è più unica
che rara, mi divertirò molto, fino alla fine.
“Dopo
averla conosciuta di
persona, c’è una cosa che mi
chiedo…” lascio in sospeso la frase, attirando la
sua attenzione. È così piacevole.
“Perché il Dott. Watson ha preferito le
attenzioni di una semplice istitutrice a quelle di un genio come
lei?”.
La
vedo smarrirsi, lo sguardo
perso di chi sa di essere stato colto sul fatto. Di rischiare tutto.
Sì Sherlock, io lo so.
E
non riesco a comprenderlo.
“Per
me lei sarebbe sempre la
prima scelta”
Come
potrebbe non esserlo? Lei ha
tutto quello che serve.
Rimane
in silenzio, ed ammetto
che è gratificante essere riuscito a toglierle tutte le
parole, sa?
“L’ho
forse turbata?” domando,
attirando un suo sguardo indecifrabile.
L’ho
messa con le spalle al muro?
L’ho
forse ferita, signor Holmes?
È stato per farle aprire gli occhi.
“La
cena finisce qui” commenta
lapidario, spingendo la sedia indietro sul pavimento pregiato.
Faccio
per alzarmi in piedi, ma
lei mi fa segno di rimanere seduto al mio posto.
“Non
si scomodi, non occorre” mi
gela con lo sguardo.
Cerca
nella tasca interna della
giacca i soldi per pagare il conto, e mi offende che lei mi creda un
uomo
simile.
“No,
faccio io” lascio le
sterline sul tavolo, anticipandola, richiamando con una mano il
cameriere.
“E
perché mai?”.
“Perché
è mio ospite. Non si
preoccupi, lei pagherà la prossima volta”.
“Non
ci sarà una prossima volta!”
sibila tra i denti, tagliente.
Non
ci crede neanche lei.
“Si,
invece”
E lo sai, Sherlock.
“E’
stato un piacere cenare con
lei, Sherlock”.
“E’
stato tutto suo”.
Falso.
Tutto
nel suo linguaggio del
corpo mi fa dedurre il contrario; la rigidità nelle spalle e
nei movimenti, i
passi veloci, il tic nervoso alle mani.
È
nervoso, Holmes?
Lo
spero proprio.
Inutile
dire che avevo già
previsto la sua reazione; sapevo che se ne sarebbe andato, offeso e
ferito,
sentendosi toccato sul suo unico punto debole e che sarebbe tornato a
casa.
Sapevo
che non avrebbe preso una
carrozza, non sarebbe stato logico da parte sua affrettarsi, privandosi
di un
maggiore tempo per pensare, e infatti non ha tradito le mie
aspettative,
camminando fino a Baker Street.
Però
dovrebbe sapere che le
strade di Londra non sono sicure dopo il calar del sole, Signor Holmes,
anche se
certamente lei sa come difendersi. E d’altro canto nessuno
oserebbe torcerle un
capello fino ad un mio ordine.
La
vedo entrare in casa e ammetto
di essere colpito dal suo autocontrollo, che le vieta di sbattere la
porta.
Ordino
al cocchiere di fermarsi,
proprio di fronte al 221B.
Non
è la prima volta che mi trovo
qui, e lei lo sa.
Proprio
come certamente sa che
l’ho seguita, aspettando una sua reazione, un suo gesto, un
segno.
La
immagino salire le scale,
l’immagine è talmente vivida che mi sembra quasi
di vederla davvero, di sentire
i gradini in legno scricchiolare sotto il suo peso.
Esita
sulla maniglia della sua
stanza, perso come mai si è sentito prima, e finisce col
rifugiarsi nell’unico
luogo che considera ancora una certezza, la camera adiacente alla sua,
quella
che veniva occupata dal Dott. Watson prima che se ne andasse. Prima che
scegliesse.
È
buia. È fredda.
È
vuota.
E
nonostante tutto è rimasto
tutto come allora, ci sono ancora i libri, le coperte, i bauli con gli
appunti,
alcuni fogli sparsi sulla scrivania.
Fa
vagare lo sguardo su tutto
questo, lo so.
La
solitudine è il peggiore dei
mali, vero Holmes?
So
che noterà quel particolare nuovo.
Contrastante.
Vedo
la finestra illuminarsi alla
fioca luce di una candela e sorrido. Come al solito lei non mi delude.
Sicuramente
ha già capito che ne
sono il mittente, ma la sua curiosità ha il sopravvento;
prende la lettera che
trova sul cuscino, indirizzata a lei soltanto, e se la rigira tra le
mani,
intuendo la tipologia della carta dal suo spessore, dalla filigrana
pregiata,
perché non può farne a meno,
ci sono
troppi dettagli di cui lei ha
bisogno.
La
apre.
Legge.
Adesso
sarò io la tua prima scelta.
THE END
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