Stelle
filanti
-Prologo-
La ragazza stava preparando le ultime cose per
andarsene per sempre da quell’orfanotrofio che
l’aveva ospitata dalla sua nascita: infatti, pochi giorni
prima era arrivato un uomo con delle cicatrici in volto, più
precisamente sulla guancia destra e sulla fronte, dicendo di essere il
padre adottivo. Non si fidava tanto di quell’uomo, ma
d’altronde era l’occasione buona per potersi
trovare un posto nella società.
Lei si chiamava Irene e a poche settimane avrebbe compiuto diciassette
anni; indossava degli occhiali spessi e grossi e aveva dei capelli
lunghi e scuri, ma poco curati, perché non le importava
tanto dell’aspetto: voleva solo proteggersi dal mondo
esterno, e pensava che rendendosi brutta ci sarebbe riuscita.
Cercando nell’armadio le ultime cose, aveva trovato un
piccolo coniglietto che le avevano regalato i suoi pochi amici per il
suo nono compleanno, e che lei aveva conservato con tanta cura: lo
abbracciò come se stesse salutando qualcuno prima di partire
e lo mise nella piccola valigia che stava di fronte a lei.
Nonostante tutto, le dispiaceva molto lasciare quel posto che
l’aveva vista crescere, e le suore che l’avevano
gentilmente accolta quando era solo un piccolo dolce fagotto.
-Irene… Sei pronta? Lucius ha chiamato e ha detto che
arriverà a momenti per prenderti: ha detto che vuole
trovarti pronta.- disse con voce dolce la suora avvicinandosi
lentamente verso la porta.
Senza girarsi, Irene rispose:
-Sì, sono quasi pronta… Se devo essere sincera
con lei, però, ho paura di quell’uomo…-
La suora non rispose, ma continuò a guardarla, indaffarata
con la valigia che non si chiudeva. Quindi si avvicinò e
sussurrò:
-Lascia fare a me.-
E come se avesse fatto qualche magia, riuscì a chiuderla:
non si può dire che la ragazza non la guardò
stupita.
-Tieni. Adesso sei pronta. E non ti preoccupare, andrà tutto
bene.- disse sempre con fare dolce la suora. –Io vado di
là.-
Irene rimase di nuovo sola nella sua, ancora per poco, camera.
Aprì un cassetto del comodino e ne uscì una
specie di agendina, o meglio dire diario: in questo appuntava tutti i
suoi pensieri, i suoi sogni e ciò che le succedeva
giornalmente.
Lo mise nella borsa che le avevano regalato le suore recentemente e
uscì dalle mura che le avevano sempre tenuto compagnia; nei
momenti di tristezza erano stati gli unici a vederla piangere, e nei
momenti di felicità gli unici a vederla gioire.
Camminando per il corridoio ebbe l’occasione di incontrare
per l’ultima volta lo sguardo irato dei propri compagni,
gelosi per il fatto che lei stesse andando a vivere in un'altra casa e
loro no. Arrivata alla porta, si sedette sugli scalini, in attesa che
l’uomo venisse a prenderla e portarla con sé in un
mondo tutto nuovo. Stava lasciando alle spalle tutta la sua vita
vissuta fino a quel momento, e non sapeva che sarebbe cambiata
radicalmente da lì a poco. Una leggera brezza le accarezzava
i capelli: chiuse gli occhi e si lasciò trasportare dalla
tranquillità che regnava in quel momento.
Un’anziana suora la raggiunse, e senza dire niente le si
sedette accanto:
-E così te ne vai, eh?-
La ragazza sobbalzò di poco e poi disse con lo sguardo perso
nel vuoto:
-Sì…-
All’improvviso si sentì un clacson suonare. Irene
sentì il suolo mancare da sotto i suoi piedi: non era poi
tanto sicura di voler cambiare le sue abitudini e il suo stile di vita.
Si alzò e salutò la suora, la quale non riusciva
più a parlare: le parole le erano morte alla gola, le doleva
molto dover salutare una ragazza così tenera e simpatica
come lei. Allora si separarono.
Irene si stava dirigendo verso una nuova vita, verso una nuova casa, e
quello che la spaventava era che non sapeva dove né
perché stesse andando via da lì.
Appena arrivò davanti la portiera della Porsche,
l’uomo uscì: le incuteva paura, forse per via
delle cicatrici, forse per via della statura, ma fatto sta che non si
sentiva a proprio agio; la suora, invece, continuava a guardarla da
lontano con gli occhi pieni di lacrime, ma non ne fece cadere nemmeno
una.
Egli prese la valigia e la caricò nel cofano di dietro della
macchina; dopodiché invitò la ragazza a entrare,
e poi entrò lui. Mise in moto e partirono; ci fu un periodo
di silenzio che sembrò interminabile, poi l’uomo
cominciò a parlare:
-Tu dovresti essere Irene, giusto? Io sono Lucius.-
Lei annuì leggermente; poi posò lo sguardo
sull’asfalto, guardandolo come se non avesse mai visto niente
di simile, ma d’altro canto era la prima volta che andava in
quella città ancora a lei sconosciuta.
-Sei mai stata a Los Angeles?- chiese Lucius, e Irene, per risposta
scosse la testa.
-Sei una ragazza di poche parole, eh?- continuò
l’uomo, ma lei non rispose.
Dopo pochi minuti la macchina si fermò, e Lucius fece cenno
a Irene di scendere; lei rimase pochi istanti a pensare: non credeva
che quella sarebbe stata la sua casa per il resto della sua
vita…
****
Angolo
autrice:
Buonasera
a tutti ^.^
Come
va?
Allora:
innanzitutto inizio dicendo che voglio dedicare questa storia a niobe88
sul forum di Efp (onigiri su Efp) perché è grazie
a lei che è nata.
Poi
finisco dicendo che mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, se
è di vostro gradimento o se c’è
qualcosa da migliorare. :)
Comunque
sia ci vediamo al prossimo capitolo ^.^
|