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Risveglio
La
ragazza avanzò guardandosi attorno, estasiata. “Hai proprio una bella casa”
disse, con un tono piuttosto rilassato.
Rigel
la squadrò. Nella sua testa si stava ancora chiedendo perché l’avesse fatta
entrare. Forse per quelle poche e semplici parole uscite sofferte dalle sue
labbra?
Sono
umana.
Forse
sperava che, oltre ad essere umana, fosse anche affidabile. Buttò un’occhiata a
Freya, accanto ai suoi piedi. Neppure lei sembrava tranquilla fino in fondo. Per
trovare sicurezza, Rigel sfiorò con le dita la pistola.
La
ragazza seguì con gli occhi il suo braccio, fino ad arrivare all’arma. Sorrise.
“Rilassati, non ho intenzione di farti del male. In più sono completamente
disarmata, quindi sarebbe un duello impari”. Alzò le sopracciglia, lo fissò.
Rigel
ingoiò la saliva amara.
“Non
mi hai detto come ti chiami”.
“Rigel”.
“Rigel”,
ripeté lei, un sorrisetto compiaciuto sulle labbra, “io sono Bion”.
Restarono
distanti, guardandosi fisso negli occhi. Finché l’attenzione di Bion non fu
attratta da un cesto di frutta colorata sul bancone della cucina. I suoi occhi
famelici si spostarono su Rigel.
“Posso?”
Lui
incrociò le braccia sul petto. Tenne lo sguardo a terra, un’espressione tra lo
scocciato e l’incerto.
Senza
attendere oltre, Bion afferrò una mela. Iniziò a morsicarla, vorace.
Rigel
alzò un sopracciglio, si lasciò cadere sul divano, la pistola che pendeva lungo
un fianco. Freya gli si accucciò accanto e lui iniziò ad accarezzarle il pelo
rosso; la lince fece le fusa.
“È
davvero bella. È una razza rara”, disse Bion, guardando Freya.
“È
unica”, lo sguardo d’affetto di Rigel verso l’animale era senza prezzo. Bion
percepì il sentimento a distanza.
“Mi
piacerebbe sapere perché quelle persone ti cercavano, là fuori” esordì lui,
cogliendo l’occasione per entrare nell’argomento.
Bion
era a pochi morsi dal finire la mela. Si sedette su una poltrona e osservò la
superficie verde della mela, rigirandosela tra le dita. “Non sono del tutto
sicura di potermi fidare di te”, lanciò un’occhiata alla pistola.
Rigel
socchiuse le labbra. “Non ne saremmo mai sicuri, entrambi”.
La
ragazza fu alquanto stupita quando Rigel lasciò la presa sulla pistola e la fece
scivolare sui cuscini, spingendola dall’altra parte del divano.
“Così
va meglio?” le chiese, incrociando le braccia sul petto.
Lei
sorrise. Cercò i suoi occhi, prima di parlare. “Sono scappata da una base
militare. Volevano farmi degli esperimenti credo, forse trasformarmi in un
Sostituto”.
Rigel
aggrottò le sopracciglia e si fece più attento.
I
Sostituti erano esseri umani cui era stata tolta la vita e per così dire
“rigenerati”, riportati a vivere grazie a fili metallici che scorrevano sotto
la loro pelle. Avevano un aspetto all'apparenza umano, ma erano molto più
vicini ai robot. Avevano pensieri e provavano emozioni, ma non erano
comparabili a quelle umane, ne erano solo una copia venuta piuttosto male.
Rigel
era consapevole che i Sostituti erano ormai la maggioranza su Hestla, e la sua
solitudine di tutti quegli anni lo aveva convinto che lui fosse l’unico essere
umano rimasto. Ma si sbagliava.
Ingoiò
la saliva e fissò intensamente le labbra di Bion che si muovevano, mentre gli
raccontava tutto quello che le era successo alla base militare. Era come se per
un momento la sua testa si scollegasse dal resto e tornasse indietro a sette
anni prima, a quel terribile giorno in cui era tornato a casa e dei suoi
genitori non ce n’era più traccia. Rapiti, probabilmente uccisi e da quello che
ne sapeva trasformati in Sostituti. Da quel momento, da quando aveva quindici
anni, era stato costretto a dire addio alla sua fanciullezza e preoccuparsi di
ogni cosa, dalla più inutile alla più importante. Si era dedicato a fare
ricerche per trovare chi li avesse presi, ma non era mai riuscito a trovare
risposte alle sue domande. Si era sentito terribilmente solo per tanti anni, ma
poi aveva trovato Freya, per caso, nella foresta, e il primo sguardo che si
erano scambiati aveva dato inizio a una così forte amicizia che non aveva mai
provato e nemmeno immaginato di stringere con un essere umano.
“Mi
stai ascoltando?”
Rigel
si riscosse dai suoi pensieri e guardò Bion.
“Scusa,
mi sono distratto...”
Bion
rimase impassibile. Chinò la testa di lato e si alzò dalla poltrona.
“Così
sei una fuggitiva” continuò Rigel, massaggiandosi la fronte con le dita.
“In
realtà c’è molto di più”, Bion iniziò a camminare per la stanza; le pistole che
ciondolavano sui suoi fianchi. “Mia sorella è stata rapita da un pazzo di nome
Sycor. Non l’ho mai incontrato né visto, ma in giro si dice sia lui l’inventore
dei Sostituti, il folle che sta dietro quest’ atrocità di uccidere esseri umani
per trasformarli in agglomerati di metallo. Molti dicono anche che sia
immortale, che abbia vissuto una vita tre volte più lunga di qualsiasi altro.
Ma non m’importa. Mia sorella è stata rapita, e chissà cosa starà passando in
questo momento. Ogni giorno, ogni ora che passo lontano da lei mi uccide sempre
di più. Devo trovarla, è l’unica ragione di vita che mi rimane”.
Rigel
alzò lo sguardo su di lei. Le sue parole sincere avevano attirato la sua
attenzione.
Bion
ricambiò l’occhiata. “Tu invece, sembra che non abbia più qualcosa per cui
vivere”, buttò lì.
Lui
socchiuse le labbra, ma non gli uscì niente. Sostenere il suo sguardo, per
qualche ragione così sapiente, gli fu difficile. Fissò il pavimento di legno,
con il tappeto finemente disegnato. Deglutì a fatica.
“Mi
dispiace per quello che stavi per fare, davvero. Non è una cosa nuova vedere
persone che compiono gesti del genere di questi tempi. E io ne ho visti fin
troppi. Amici, anche solo conoscenti. Sì, tutti erano soltanto Sostituti, ma
questo non vuol dire che non mi fossero cari”.
“Mi
dispiace”, disse Rigel.
Freya,
accucciata sul divano al suo fianco, dormiva tranquilla.
Bion
si rimise seduta sulla poltrona, si sporse in avanti e lo fissò. “Ma sembra che
tu non abbia mai conosciuto persone a cui hai voluto bene”, lo esaminò.
“Che
ne vuoi sapere tu, nemmeno mi conosci”.
Bion
alzò un sopracciglio e sospirò. Si alzò in piedi di nuovo e fece il giro del
divano. “Ad ogni modo, domani intendo partire per cercare mia sorella e avrò
bisogno di armi. Molte armi. Magari puoi darmene un po’ delle tue…”
A
quelle parole Rigel si riscosse e alzò il capo. Assunse un’espressione
scettica. “Cosa ti fa pensare che io abbia delle armi?” aguzzò lo sguardo.
“Immagino
che quella porta non dia su uno sgabuzzino impolverato e pieno di scope,
giusto?”, ribatté Bion, indicando una porta di legno a muro, sulla parete
sinistra della stanza. Era chiusa con un catenaccio e in ottime condizioni.
Rigel
sorrise. “Tu non prenderai le mie armi”, mosse la mano verso Freya, facendo
finta di accarezzarla; era così ad un passo dalla pistola posata sul cuscino.
Bion
non si lasciò sfuggire al movimento. “Allora vieni con me, così non sarò io a prenderle”.
Rigel
sorrise di nuovo, sarcastico. “Perché mai dovrei venire con te?”
“Sono
sicura che se sapessi certe cose cambieresti idea”.
Tutto
quel mistero a Rigel non piaceva neanche un po’. Si stava forse inventando
tutto solo per convincerlo a seguirla, e magari indurlo in una trappola? Perché
voleva che andasse con lei? Cos’è che sapeva e che non voleva dirgli? Quella
faccenda incominciava a dargli la nausea, stava diventando solo una perdita di
tempo.
“Non
ti sei mai chiesto dove possono aver portato i tuoi genitori? Potrebbero essere
ancora vivi, e sperare ogni giorno di poterti rivedere. Ma tu te ne stai qui,
stravaccato su un divano, pensando al suicidio come unica soluzione per la tua
vita insulsa. È ora che ti riscatti, che trovi qualcosa per cui valga la pena
combattere”.
Rigel
sbarrò gli occhi e un moto di rabbia gli attraversò lo sguardo. “Tu cosa ne sai
dei miei genitori?”, sbraitò.
“Non
è una cosa tanto misteriosa. Molti ne parlano giù al villaggio. Capitavo spesso
da quelle parti prima di essere rapita, soprattutto nei giorni di mercato. La
gente è curiosa e informata su tutto. È facile passare accanto a qualcuno e
origliare ciò che stanno dicendo”.
Rigel
la scrutò intensamente, mentre la sua collera si affievoliva. In qualche modo
era riuscita a dissuaderlo, anche se c’era qualcosa in lei che non lo avrebbe
mai convinto del tutto. Non gli aveva detto tutto, e probabilmente la verità
era nascosta sotto fiumi di bugie.
Ma
una cosa era certa e Rigel la sapeva: la sua vita era inutile, ed era perfino arrivato
al punto di voler farla finita. Forse in quello Bion aveva ragione, forse era
davvero il momento di riscattarsi, di provare qualcosa che lo facesse sentire
vivo. Eppure tutti gli anni che aveva passato cercando i suoi genitori invano
avevano radicato l’idea in lui che non c’era più speranza, che ormai li aveva
persi per sempre.
“Li
ho cercati tanto, ma non ho avuto successo, cosa credi che me lo farà avere
questa volta?” Rigel la guardò insistente, pretendendo una risposta
soddisfacente.
“Forse
non hai cercato nel posto giusto”, tagliò corto Bion.
Si
slacciò la cerniera della tuta nera che indossava, sotto lo sguardo confuso del
ragazzo. Estrasse dal fianco un foglio di carta, piegato in più parti, che
portava appiccicato alla pelle, sul ventre. Rigel la guardò esterrefatto.
“È
il posto più sicuro che ho trovato”, commentò lei con un mezzo sorriso. Si
sedette sul divano, accanto a Rigel e iniziò ad aprire il foglietto, fino a
tenere tra le mani qualcosa che somigliava a una mappa, disegnata a matita. Era
enorme e recava scritte e indicazioni accanto a corridoi, strettoie, vie e
passaggi segreti.
“Che
cos’è?” chiese Rigel, meravigliato.
“La
base di Sycor”, il tono di voce di Bion tradiva un certo orgoglio.
Rigel
capì dal suo sguardo che quella mappa l’aveva disegnata lei, ed era evidente
che ne andava fiera.
Da
quello che sapeva, Sycor viveva in una zona strettamente riservata e
salvaguardata. Si diceva che nessuno non autorizzato fosse mai riuscito a
entrarvi e uscirvi vivo. Rigel sapeva che la gente era abituata a esagerare, ma
di certo il più famigerato scienziato del mondo non se ne stava tranquillo in
una casetta aperta al pubblico. In un certo senso si sentì complice
dell’orgoglio di Bion, e fu fiero del suo lavoro. Fissò i suoi occhi brillanti finché
non fu lei a distogliere lo sguardo.
Avrebbe
voluto chiederle come aveva fatto, ma si rese conto che non era importante
saperlo, e indagare troppo nelle faccende altrui non era mai stato il suo
forte.
Ad
ogni modo, Bion interruppe il flusso dei suoi pensieri prima che potesse
formulare qualsiasi parola, e iniziò a indicargli e spiegargli i luoghi
contrassegnati sulla mappa.
“Ci
sei mai stata?” Rigel la guardò fisso negli occhi.
Bion
socchiuse le labbra. “Una volta, ma poi mi hanno catturato e rinchiusa nella
base militare da cui sono scappata stanotte”.
Rigel
era sorpreso. “Vuoi dire che ci sei stata da poco?”
La
ragazza si aprì in una risata. “Sette mesi fa”, lo guardò, studiando la sua
reazione.
Lui
ricambiò lo sguardo. Era incredibile che fosse stata tutto quel tempo
prigioniera in mano al nemico. Chissà quali pensieri le avevano attraversato la
testa durante la prigionia. E come si era sentita, privata della sua libertà.
“Se
c’è una cosa che ho capito, Rigel, è mai sottovalutare il tuo nemico,
soprattutto se si parla di Sycor”.
Rigel
notò un lampo di terrore attraversarle lo sguardo. Era evidente che fosse rimasta
impaurita e provata da quell’esperienza.
“Sette
mesi e non sono riusciti a trasformarti in un Sostituto?”
Bion
abbassò la testa, e divenne pensierosa. “Ci sono andati vicini a uccidermi. Non
so se conosci il procedimento, ma non è breve come potrebbe sembrare. Ci
vogliono giorni ed è molto dispendioso di uomini e denaro. È per questo che
Sycor ha concentrato le attrezzature e i macchinari necessari solo in alcune delle
sue basi militari, sono le più importanti e sono note come i Poli. Su tutta la
superficie di Hestla, finora sono stati creati soltanto quattro Poli”, Bion
girò la mappa che aveva tra le mani, rivelando una lieve ma visibile marcatura
dei confini di Hestla, le città principali, la morfologia e i punti
fondamentali del suo territorio. Con un carboncino rosso erano state marcate
quattro croci, che contrassegnavano quattro punti, quasi a formare un rombo.
“Queste
che vedi corrispondono alla posizione dei quattro Poli”, Bion indicò i segni
rossi. “Quando mi hanno catturato, sono stata trasportata da una base
all’altra. Mi hanno fatto controlli in laboratorio, e poi mi hanno sbattuto in
una cella. Non so che cosa avessi che non andava, ma mi hanno trattato come un
esemplare difettoso. Ad ogni modo, qualunque imperfezione abbiano trovato in
me, gli devo la vita”.
Rigel
annuì. “Sei certa che indichino i luoghi esatti?” domandò facendo un cenno
verso la mappa con i segni rossi.
“Ho
visitato tante di quelle basi militari che ormai non tengo più il conto.
Fidati, se non sono esatti, ci vanno vicino”, sorrise, per spezzare la tensione.
Tuttavia c’era un tono amaro nella sua voce.
“Uno
dei quattro Poli, il maggiore, è questo a Sud e corrisponde a Nallav, città
dove si trova la dimora di Sycor e della sua famiglia. È qui che tutto è
elevato al massimo. È qui che c’è la più alta concentrazione di Sostituti di
Hestla. La popolazione sta letteralmente traboccando. Quando sono stata lì,
sette mesi fa, mi è sembrato di vivere in un altro mondo. Ci sono guardie e
militari a ogni angolo. Ogni via della città è asmatica, compressa di persone,
traffico, puzzo e grida. Passare inosservati può essere facile in un posto del
genere, ma il problema è che hanno dei sistemi elevatissimi che rilevano la
presenza di umani soltanto camminando per la strada.
Io
non lo sapevo, e così mi hanno catturato. Ma sono riuscita a rubare delle
informazioni fondamentali che mi hanno aiutato a completare la mappa”, guardò
Rigel, che questa volta la ascoltava affascinato. Restò in attesa che lei
continuasse e Bion capì perfettamente cosa gli premeva sapere. “Il resto l’ho
ricavato da vecchi tomi, mappe e indicazioni che ho saccheggiato qua e là,
soprattutto durante le mie incursioni nelle basi militari del territorio”.
“Hai
visitato ogni angolo di Hestla, insomma” commentò Rigel.
“Sì,
da quando ho facoltà di camminare”.
Rigel
la fissò ammirato. Era davvero incredibile quanto avesse viaggiato. Hestla
aveva una superficie piuttosto estesa, e comprendeva diverse regioni, con
morfologie del territorio diverse. A nord c’era una lunghissima catena
montuosa, mentre a est e a ovest era bagnata dall’oceano. Era di forma
massiccia, un blocco compatto su cui si alternava ogni varietà possibile di
territorio. Rigel era sempre rimasto nei pressi di casa sua, nella foresta di
Ismene, a nord-est. Era lì che aveva vissuto tutta la sua vita e non aveva mai
viaggiato, almeno non al di fuori dei confini della foresta. All’improvviso si
sentì sciocco e incompetente accanto a Bion. Da lei trasparivano tutto il suo
sapere, la sua forza di volontà e la determinazione. Era di poco più giovane di
lui, ma molto più esperta sul mondo, molto più forte.
Quei
pensieri per un momento spaventarono Rigel e lo demoralizzarono. Fu come se la
sua inutile vita gli passasse veloce davanti agli occhi, e non ci fu niente che
attirò la sua attenzione. Era stata solo un susseguirsi di eventi scialbi,
monotoni. Ingoiò la saliva. Pensarci lo rendeva triste.
Bion
lo riscosse dai suoi pensieri. Gli picchiettò su una spalla e gli indicò Freya.
“È
normale che faccia così?” gli chiese spaventata.
Rigel
spostò lo sguardo sulla lince rossa. Era davanti a loro, la coda ritta, le
fauci spalancate e un’espressione aggressiva negli occhi dorati. Il verso della
lince è un suono riconoscibile e molto acuto. Freya era solita miagolare
sonoramente in situazioni normali. Rigel ricordò una volta quando si persero
nella foresta e Freya iniziò a produrre un suono così acuto che rimbombava
contro ogni fusto e ogni chioma. Era come se la foresta cantasse con lei,
animata dal suo miagolio. Non fu difficile ritrovarla quella volta.
Eppure,
ora, Freya non emetteva alcun suono. Poteva significare soltanto una cosa:
c’era qualcuno che non avrebbe dovuto udire il suo richiamo.
Rigel
formulò il pensiero nel giro di pochi secondi, afferrò la pistola posata sul
cuscino al suo fianco e prese Bion per un braccio. Fulmineo, spense la luce
accesa delle candele sul tavolino e si rifugiò dietro al divano, Bion accanto.
Ora
che Freya aveva fatto il suo dovere, si andò a rintanare tra la boscaglia,
compiendo un salto silenzioso fuori dalla finestra e fu inghiottita
dall’oscurità. Bion fu sul punto di avvertire Rigel che la lince era scappata,
ma lui le mise una mano sulle labbra e la zittì con un gesto della mano.
Lui
stesso aveva visto Freya scomparire eppure era rimasto tranquillo. Bion si
chiese come tutta quell’intesa tra uomo e animale fosse possibile. Come sapeva
una lince che qualcuno stava arrivando e come poteva capire di non fare rumore,
per non essere intercettata? E poi come poteva Rigel essere certo che sarebbe
tornata, dopo essersene andata via nella foresta?
Era
qualcosa che forse non avrebbe mai compreso.
L’intuizione
di Freya fu giusta. Il silenzio dell’oscurità fu interrotto dallo scalpiccio di
robusti stivali sul pavimento di legno.
“Fa
silenzio idiota, ti farai scoprire” disse una voce, in seguito ad uno scricchiolio.
Rigel
continuò a tenere la mano sulla bocca di Bion, mentre con l’altra impugnava la
pistola, pronto all’attacco. Dovevano essere almeno due, ma non era da escludere
che fossero molti di più. Rigel si rese conto ben presto che il rifugio dietro
al divano non era stata un’idea geniale, poiché non erano perfettamente
nascosti e ben presto sarebbero stati scoperti.
I
capelli scuri legati in una coda di Bion gli solleticarono il mento, quando lei
si distese contro il suo petto. Rigel le tolse la mano dalla bocca e aggrottò
le sopracciglia, confuso. Non capiva cosa stesse facendo, e per un momento gli
balenò il pensiero che fosse tutta una montatura e che fosse arrivato il
momento in cui anche lei, come tanti altri lo tradisse. Si trovò a disagio, non
sapeva cosa fare, la testa viaggiava troppo in mezzo a pensieri negativi, e lui
aveva perso ogni concentrazione.
I
due Sostituti si avvicinavano sempre di più e uno di loro fece scattare il
mitra. Bion era a un soffio dal pavimento, e in quella posizione era alquanto
difficile che potesse scattare in piedi e scappare. Così facendo aveva
costretto Rigel ha scostarsi da lei, e quindi ad allontanarsi dallo schienale
del divano e rendersi più visibile al nemico.
Il
ragazzo teneva gli occhi puntati su Bion, ed era pronto a ogni eventualità, la
pistola in mano.
Tutto
si svolse in una frazione di secondo. Bion si era allungata per afferrare una
mitragliatrice posta sotto il divano, la estrasse e con una velocità
impressionante ruotò il suo corpo passando da una posizione supina a una prona,
fece leva con una mano e con entrambe le gambe per alzarsi in piedi, mentre con
l’altra mano puntò la mitragliatrice dritta alla testa del Sostituto che ora li
aveva visti e stava per sparare.
Una
raffica di proiettili gli bucò la fronte e quello cadde all’indietro, senza il
minimo spargimento di sangue.
Rigel,
che aveva osservato la scena dalla sua posizione, scattò in piedi e senza
perdere tempo sparò al secondo Sostituto, ferendogli il petto. Rimase
interdetto quando quello incassò il colpo e lo guardò sogghignando con sguardo
vittorioso. Era ancora vivo, ancora in piedi e si mosse a grandi falcate nella
loro direzione.
Rigel
sparò di nuovo, ma la sua mira divenne disordinata, il Sostituto si muoveva in
modo scombussolato, il busto e le gambe serpeggiavano a destra e a sinistra.
Alzò l’arma e preparò il colpo, che avrebbe trovato spazio tra i polmoni di
Rigel, se Bion non fosse saltata in piedi tra i due e non avesse sparato
diretta in mezzo alla fronte del Sostituto.
Al
rumore assordante delle cartucce scartate seguì un silenzio immane, frammezzato
dal tonfo del corpo del semi-robot che cadde a terra, spaccando il vetro del
tavolino.
Bion
calò la mitragliatrice e si voltò. Rigel stava dietro di lei, la pistola ancora
puntata e il volto in un misto tra lo stupore, la rabbia e lo sconcerto.
Abbassò l’arma, ancora stretta tra le dita e accennò un sorriso a Bion.
“Mira
alla fronte per ucciderli. Ti sarà utile saperlo la prossima volta” fu tutto
ciò che lei disse, alzò il braccio e si appoggiò l’arma sulla spalla. Si
sentiva molto più a suo agio armata che disarmata.
Rigel
non aveva mai ucciso nessuno. Ancora una volta si sentì inferiore a lei, come
uno scolaretto impertinente che pensa di sapere tutto, ma poi si deve
confrontare con la maestra molto più saggia ed esperta. Odiava sentirsi così.
“Immagino
debba ringraziarti un’altra volta”, disse alle spalle di Bion.
Lei
si era avvicinata ai due corpi, e si era chinata per esaminarli. Appoggiò la
mitragliatrice a terra, e sfilò un coltellino dallo stivale. Alzò il braccio di
uno dei Sostituti e praticò una piccola incisione in senso verticale, seguendo
quella che negli umani era la linea naturale delle vene. Aprì con le dita i
lembi della carne dura, non una goccia di sangue uscì. Dentro, un agglomerato
di fili di metallo scoppiettavano, come quando c’era un corto circuito. Bion
chiamò Rigel, che la raggiunse e si chinò dall’altra parte del semi-robot.
“Vedi
questi fili interrotti e crepitanti? Significa che è morto, è fuori uso.
Soltanto un colpo sicuro al centro della fronte lo provoca. Nient’altro. È
quello il loro punto debole. È lì racchiuso il nucleo che li fa funzionare,
come per noi umani lo è qui” Bion allungò le dita fino a sfiorare Rigel
all’altezza del petto, lui sussultò, “dove c’è il cuore”.
Si
fissarono per un lungo istante, poi lei ritrasse la mano imbarazzata.
“Il
cuore in testa” commentò Rigel, ridacchiando.
Ma
Bion non rise. Lasciò cadere il braccio molle del Sostituto a terra e diede un
breve sguardo al suo volto, con una smorfia di tristezza. Era difficile pensare
a quegli esseri soltanto come a dei robot che dovevano essere uccisi. In
realtà, un tempo, anche loro erano stati umani, probabilmente con una famiglia,
dei figli. Nessuno le poteva dire se fosse stato una buona persona o meno. Ma
ormai dovevano solo essere eliminati, dovevano solo essere visti come robot
cattivi senza pietà. Eppure non erano completamente robot, infatti, erano
chiamati semi-robot, dal fatto che conservavano l’aspetto, i sentimenti e le
emozioni umane, sebbene in dosi molto minori.
“Come
facevi a sapere della mitragliatrice?” le domandò Rigel.
Si
voltò e fu come se i contorni del suo viso andassero delineandosi meglio mentre
lo guardava. Come se emergesse dai suoi pensieri e la facesse tornare
improvvisamente alla realtà. Sospirò e impugnò l’arma, lanciandogliela tra le
braccia. “È da quando sono arrivata che esamino la tua casa, non te ne sei
accorto?”
Rigel
sgranò gli occhi, ma cercò di assumere un’espressione calma.
“Ci
sono altre tre mitragliatrici appese al soffitto, dello stesso colore del legno
per essere camuffate meglio. Un fucile d’assalto nascosto nel porta ombrelli,
sette pistole automatiche sotto il bancone della cucina, una frusta camuffata
con il cordone per tirare le tende e… be’ penso che quel set fantastico di
coltelli non lo usi molto in cucina, o sbaglio?”
Rigel
era sicuro che la sua mandibola fosse scesa fino al pavimento. Era sempre più
impressionato dell’abilità di quella ragazza. Nel breve tempo che aveva
trascorso in casa sua aveva osservato ogni angolo così attentamente da scoprire
tutti i suoi nascondigli più astrusi. Era senza parole e per un attimo si
chiese cosa ne avesse fatto di lui, ora che sapeva tutti i suoi segreti.
“Dimenticavo
la porta a muro chiusa col catenaccio. Posso solo immaginare l’arsenale che
nascondi là dentro” Bion scrutò a lungo Rigel, mentre lui cercava di eludere il
suo sguardo. “Non è che mi faresti dare un’occhiata?”
Rigel
ingoiò la saliva. Era come al solito combattuto. Da una parte Bion gli aveva
salvato la vita due volte, sebbene lui non glielo aveva mai chiesto. Lo aveva
aiutato, gli aveva insegnato molte cose e aveva condiviso con lui la sua mappa,
parte della sua storia e molte sue conoscenze. Dall’altra parte, c’erano
indubbiamente cose che sapeva e che non gli aveva detto, cose su di lui. Si
chiedeva cosa l’avesse portata proprio a casa sua, e cosa la spingesse a
insistere per averlo come compagno di viaggio. Sembrava lo conoscesse da tempo
nonostante lui non l’avesse mai vista prima. Si rese conto che in ogni campo,
in ogni situazione lei si trovava sempre un passo avanti a lui.
“Lo
so che non ti fidi di me, ma se avessi voluto ucciderti, non pensi che l’avrei
già fatto? Ti ho salvato la vita due volte, non sono un’assassina. Non ci
ricavo niente ad ammazzare la gente” Bion lo fissò intensamente e Rigel lesse
un fondo di verità nei suoi occhi verdi.
Alla
fine cedette e la condusse fino alla porta di ferro battuto. Si voltò a
guardarla, lei pareva non stare in sé stessa, poi sciolse il catenaccio e
abbassò la maniglia. Dentro al muro era incavato uno stretto spazio
rettangolare. Rigel tirò una cordicella che pendeva di lato e una lampadina
luminosa si accese sulle loro teste. Lo spettacolo era vasto e vario.
L’arsenale era formato da una miriade di armi differenti, fucili, mitra,
mitragliette, pistole automatiche, numerosi taser, una fionda, diverse catene
di ferro e perfino un lanciafiamme. Bion allungò le dita per sfiorare il calcio
di alcune pistole. Era tutto in perfetto stato, senza un filo di polvere.
“È
davvero impressionante. Dove hai trovato tutta questa roba?”
Rigel
fece finta di spolverare alcuni fucili con le dita. In realtà erano come
splendenti alla luce della lampadina.
“C’è
un sistema di aereazione sul soffitto. Si attiva ogni due ore e rinfresca un
po’ lo spazio, anche se tenuto chiuso. È fantastico, l’ha ideato mio nonno”.
Bion
emise un’esclamazione di meraviglia.
“È
stato mio nonno che ha iniziato a racimolarle. Aveva una vera e propria
passione per le armi. Con il passare del tempo sono andate in eredità a mio
padre e ora a me. Le tengo perché non saprei dove altro metterle, nelle mani
sbagliate possono essere letali. Non escludo che mi possano sempre tornare
utili, per autodifesa, anche se tutte queste non le userò mai. Preferisco
averne una con me”.
“Penso
che con due ti sentirai meglio” Bion prese una pistola automatica dallo
scaffale e gliela spinse contro il petto. Ne prese altre due per sé, diede
un’ultima occhiata a tutto il resto e girò i tacchi.
“Non
appesantiamoci troppo, ci rallenterebbe soltanto”.
Rigel
sospirò e la seguì fuori dallo stanzino. Chiuse la porta e la assicurò
accuratamente con il catenaccio.
“Se
ce n’erano altri a seguirli, non tarderanno ad arrivare. Dobbiamo andarcene il
prima possibile”.
Rigel
la guardò a bocca aperta. Era confuso da quella decisione repentina. Non aveva
intenzione di lasciare casa sua, o almeno non così velocemente e in piena
notte, senza un posto dove andare. Era convinto che lì sarebbero stati molto
più al sicuro che dispersi nel bosco. “Dovremmo restare invece, almeno finché
non si fa giorno. Saremmo di gran lunga una preda più facile se ci mettiamo a
gironzolare nella foresta, non credi? Sarebbe come gridare ‘siamo qui, venite a
prenderci!’ Ci troverebbero immediatamente”.
Bion
si lasciò sfuggire un sorriso. Chinò il capo e annuì. “Questa volta hai ragione
tu”.
Rigel,
finalmente, si sentì sollevato e rallegrato di aver fatto qualcosa di utile.
Con
un balzo, Freya atterrò in mezzo a loro, senza produrre il minimo rumore. Rigel
s’illuminò appena la vide e balzò a terra, stringendola a sé. Accarezzò il
morbido pelo e le diede un affettuoso bacio sul muso. “Ti aspettavo” le
sussurrò. Freya iniziò a fare le fusa, e quel suono riempì il silenzio,
cullandoli come una dolce melodia rilassante.
Bion
sentì i muscoli tesi della schiena sciogliersi, e finalmente poté prendere un
profondo respiro. Si lasciò cadere sul divano, e chiuse gli occhi. Per lei era
stata una lunghissima giornata, si poteva definire interminabile, come i lunghi
mesi che aveva passato prigioniera, trasportata da una base militare a un’altra
e finalmente il tanto meritato riposo era arrivato.