Carys

di Carys
(/viewuser.php?uid=713)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'angelo di Avrigue ***
Capitolo 2: *** Castelli di rabbia ***
Capitolo 3: *** Autunno ***



Capitolo 1
*** L'angelo di Avrigue ***


Nuova pagina 1

A chi non teme il dubbio

a chi si chiede i perché

senza stancarsi a costo

di soffrire e di morire

A chi si pone il dilemma

di dare la vita o negarla

Questa breve fanfiction

è dedicata da un’angelo

della speranza a tutti coloro

che non perdono mai la fede

a costo di patire.

 

 

L’ANGELO DI AVRIGUE

 

 

“ L’albero a cui tendevi

La pargoletta mano,

Il verde melograno

Dà bei vermigli fior,

 

Nel muto orto solingo

Rinverdi tutto or ora

E giugno lo ristora

Di luce e di calor.

 

Tu fior de la mia pianta

Percossa e inaridita,

Tu de l’inutil la vita

Estremo unico fior,

 

Se ne la terra fredda,

Sei ne la terra negra;

Né il sol più ti rallegra

Né ti risveglia amor.”

 

(G. Carducci, Pianto antico)

 

Una luce radente spianava il mare e lo sollevava nelle insenature; anche al largo esso si alzava sino a cozzare contro il cielo.Un altro mare, d’ombra, scendeva dalle catene rocciose.

Scese verso il mare , per i greppi arcuati e brulli, dominati dalla Pila del Corvo, una grande pietra concava che raccoglieva pioggia e rugiade.

Cominciò a percorrere la strada sassosa. La neve aveva svecchiato il cielo e nell’inverno tornato mite le “vedove celesti” oscillavano al sole su pietre e chiazze di brina. Si chinò per coglierle.Con una mano si tenne i capelli.C’era un vento leggero che splendeva sul mare.

Raggiunse la rocca. A fatica lo sguardo si distraeva dal mare per posarsi su quella piccola lastra di marmo. Gli alberi, se il suo sguardo potesse fermarvisi ,sarebbero di nuovo un austero approdo in confronto a quel mare alto e muto come un cielo. Una zona rugosa e chiara ha morsicati confini che si sciolgono e si ripristinano in un richiamo interminabile. Il mare ossessiona chi lo guarda troppo a lungo, proprio per il suo sciogliersi nell’eterno e nel nulla.

Abbassò ancora una volta lo sguardo e lasciò il mare al suo abisso. In vano le intemperie si erano accanite su quelle parole, perché esse ancora troppo nitide bruciavano su quella lapide …

 

 

- Avevo visto una povera capinera chiusa in gabbia: era timida,triste,malaticcia;ci guardava con occhio spaventato; si rifuggiava in un angolo della sua gabbia, e allorchè udiva il canto allegro degli altri uccelletti che cinguettavano sul verde del prato o nell’azzurro del cielo, li seguiva con uno sguardo che avrebbe potuto dirsi pieno di lagrime.Ma non osava ribellarsi , non osava tentare di rompere il fil di ferro che la teneva carcerata, la povera prigioniera. Eppure i suoi custodi, le volevano bene, cari bimbi che si trastullavano col suo dolore e le pagavano la sua malinconia con miche di pane e con parole gentili.La povera capinera cercava di rassegnarsi, la meschinella; non era cattiva; non voleva rimprovelarli neanche con il suo dolore, poiché tentava di beccare tristamente quel miglio e quelle miche di pane ; ma non poteva inghiottirle: dopo due giorni chinò la testa sotto l’ala e l’indomani fu trovata morta nella sua prigione.-

Un falco girava nel cielo, si spingeva fin sul mare.L’uliveto soprano stava aggrappato a un pendio ripidissimo, come come una grande farfalla dalle ali polverose.Più in basso altri uliveti  e altri massi scendevano già nell’ombra del crepuscolo, mostrando una bellezza senza pulviscolo, triste e quasi funebre. Al di là del ritano, sulla sponda di un terrazzo, due girasoli piegavano la testa nelle grandi foglie già secche. Il bosco di ulivi era inchiodato da un vento inquieto.Più lontano la collina di  Avrigue era avvolta da una luce minore. Quel mondo che raccoglieva i suoi affetti se ne andava.Non tutto,gran parte.Restavano dei solchi, delle trame a suggerire la sua scomparsa.Rami d’ulivo, tetti e profili di colli evocavano nella sera la presenza della terra. Si, essa non era diversa dal mare, ridotta a incisioni quasi argentee.

Nel locale il solito gruppo di giovani stranieri radunati intorno alla stufa.Uomini e donne,vestiti di palandrane e frangiati giubotti, parlavano poco e sottovoce.

Remus si rivolse nuovamente al cameriere che da dietro il bancone attraverso la finestra esplorava la sommità della rupe.

- E tu paragoni una fanciulla ancora bambina ad una capinera?-

Remus seguì le parole e lo sguardo del locandiere. La sommità della rupe era irta di pietre e infestata da erbacce. Un rosmarino oscillava su un masso al centro del pianoro, un masso che inspiegabilmente i contadini chiamavano Palla del diavolo. Li accanto in un alone di morte e scossa dal vento ,una giovane donna soffocava in mano un mazzo di “vedove celesti” .

- E’ stata esclusa dalla vita, ha subito una dolorosa esperienza “umana”-

L’uomo posò il boccale e lo strofinaccio tornando a guardare il non più giovane mago nei suoi occhi scuri.

- Che legame aveva con quella donna?- chiese ad un certo punto ammiccando alla rocca

- Di speranza e silenzio.- rispose in un sussurro Remus tornando a contemplere la rupe illuminata solo dal dolore in quella notte senza stelle.

________________________________________________________________________________

 

“Silvia, rimembri ancora

Quel tempo della tua vita mortale,

Quando beltà splendea

Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,

[…]

Sedevi, assai contenta

Di quel vago avvenir che in mente avevi.

Era il maggio odoroso:e tu solevi

Così menare il giorno.

[…]

Porgea gli orecchi al suon della tua voce”

 

(G. Leopardi, A Silvia)

 

L’inchiostro bagnava quei fogli immacolati come le lascrime rigavano il pallido volto dell’uomo.

Le parole si inseguivano e velavano la sua mente in quell’addio che profumava di pergamena.

 

Stannotte ho saputo che non c’eri più: una goccia di vita scappata dal nulla. Me ne stavo con gli occhi spalancati nel buio e d’un tratto, in quel buio, s’è acceso un lampo di certezza: non c’eri più. Te n’eri andata.E’ stato come sentirsi colpire da un coltello in pieno petto. Mi si è fermato il cuore. E quando ha ripreso a battere con tonfi sordi, cannonate di sbalordimento, mi sono accorto di precipitare in un pozzo dove tutto era incerto e terrorizzante. Ora eccomi qui , chiuso a chiave dentro una paura che mi bagna il volto, i capelli, i pensieri. E in essa mi perdo. Tu non ci sei più.

 

La neve scendeva lenta per il cielo cinereo. I suoni di vita non salivano più dalla città. Dalla torre le ore suonano lamentose per l’aria. E le anime indomabili affollano la mente annebbiando i sensi.

Nell’ombra l’umo guardava il cielo rivolgendovi una silenziosa preghiera.

-         Prega per noi angelo di Avrigue …-

 

CINQUE ANNI PRIMA

 

“La nebbia a gl’irti colli

Piovviginando sale

E sotto il maestrale

Urla e biancheggia il mar “

 

(G.Carducci, San Martino)

 

Il sole batteva di sbieco sulla chiesa e sul crinale. Il canto bruno, l’aspro fruscio che precede il mistral, s’andava estendendo.Nei pressi dell’Annunciata la brezza si fece più tesa. E in quell’aria trovarono il pastore su un greppo sopra il sentiero. Stava in piedi con una mano aggrappata al bastone appeso alla spalla, dormiglioso e tranquillaccio come certi mari. Era la sua ora di riposo ma quando lo salutarono egli scese con un solo passo falcato sul sentiero a stringere le mani.

- Vi monda Hagrid ?- disse con un forte accento provenzale tipico di quella zona delle alpi.

- Si, siamo venuti per il rifugio che le è stato promesso- disse con fare solenne Moody indicando la giovane ragazza che placidamente dormiva fra le braccia di Remus.

- Dove sone altri ? – chiese accigliato il pastore mentre il cane al tintinnio del gregge cominciava ad abbaiare.

- Non sono sopravvissuti al viaggio e noi necessitiamo di riparo. – rispose una voce decisa alle spalle di Remus. – Ci hanno attaccato  durante lo sbarco in Normandia, credono morti anche noi, è per questo che siamo riusciti a giungere fin qui.-

Il pastore sembro riflettere, poi si avvicinò ad Hermione e le indicò con il bastone i roseti dell’Annunciata che fremevano sotto il vento. Anche Moody si volse a guardare mentre il pastore riprendeva a salire verso i monti. Le tre figure cominciarono a percorrere lo stretto sentiero. I mantelli ingombravano i tre maghi e Remus cominciava a sentire il peso del corpo esanime della fanciulla.Ci volle un’ora per arrivare al passo dell’Annunciata. Lassù il vento scuoteva ulivi e pini. A occidente le terrazze finivano ne vallone sotto le rocce biancastre del confine. Il vallone era tortuoso, tra picchi dove il cielo lameggiava. Il sole illuminava una devastazione: le morte case dell “Comba”, abbandonato borgo di Avrigue, e ulivi scheletriti. Quello era il loro rifugio.

 

- Esiste sensazione più squisita di quella risvegliata dall’odore delle foglie autunnali che bruciano?-

- Non saprei, Carys- rispose Remus vacuo guardando la giovane ragazza correre per il sentiero tortuoso.

- Per me, niente evoca memorie più dolci dei giorni che se ne vanno-

- Come può renderti felice un’addio?- chiese il mago prendendo la rosa canina che la giovane gli stava porgendo

- La mia vita è fatta di addii. Ho dovuto dire addio alla mia famiglia, ai miei amici, all’Inghilterra, alle persone che della mia salvezza avevano fatto una ragione di vita. Un giorno dovrò dire addio anche a te , a Hermione, a Moody e ad … Avrigue. -

- Non ti raggiungeranno- ma lei come se non avesse udito quelle parole proseguì

- E’ felice la convinzione che il tempo metta un sigillo di pace a tutto ciò che se ne va…-

Remus in quell’istante vide l’ombra fatale avvolgere la ragazza. Le colombe quella sera avrebbero spiccato l’ultimo volo.

 

 

La brezza di mezzogiorno illuminava gli ulivi nuvolosi. In lontananza appriva il serro roccioso nella marea di costoni.

Arrivati a quel punto della passeggiata Remus si apettava sempre che Carys lo trascinasse in un’estenuante corsa fino a casa, ma ciò non accadeva più da circa due anni.

Vive però erano ancora le ultime parole di Carys quelle che aveva pronunciato con la morte negli occhi mentre veniva uccisa da una maledizione senza perdono scagliata dall’Oscuro Signore.

Le immagini si accavallavano nella mente di Remus. Il corpo straziato di Moody, il pianto disperato di Hermione che implorava pietà e quella voce, un tempo limpida e ridente che soffocata dal dolore diceva :

 

Il cammino interiore è simile al lavoro che una volta facevano gli uomini per accendere il fuoco. Si batte e si ribatte una pietra contro l’altra, senza stancarsi, finchè scocca la scintilla.Per nascere il fuoco ha bisogno di legno ma per divampare deva aspettare il vento. Cercate dunque sempre il fuoco nella vostra vita, attendete il vento, perché senza fuoco e senza vento i nostri giorni non sono molto diversi da una mediocre prigionia

 

Poi un lampo verde aveva portato il silenzio e il corpo inerme di Carys si era accasciato al suolo.

Uccisa dall’amore che portava come nome, dall’amore proibito da cui era nata. Legata per la vita alla vita. Destinata ad una vita fatta di addi fino all’estremo saluto. Con lei se ne andava l’ultima speranza di trovare l’arma in grado di fermare Voldemort, con lei se ne andava la fede e la speranza. Ma a che prezzo  aveva dato luce al popolo dei maghi ?Aveva vissuto imprigionata, divenedo angelo di una terra che non le apparteneva. Tormentata da una vita di sogni e visioni di quell’arma invincibile : la seconda profezia. Ma vent’anni della sua vita non erano bastati, vent’anni di sofferenza non erano serviti. E nella certezza di averla uccisa loro stessi, Hermione e Remus erano rimasti ad Avrigue, ultimo suo rifugio. E ora riposava su quella rocca, ricordata solo con quelle parole:

 

Carys Mary Riddle

1988 – 2009

Morta d’amore.

Eternamente ricordata come “Angelo di Avrigue”.

Trovi pace nei nostri ricordi.

________________________________________________________________________________

 

In quel lembo di Ponente vicino alla Francia Hermione rivolgeva il suo sguardo verso il nord. L’Inghilterra sembrava distante anni luce, eppure c’era solo un lenzuolo di terra a separarla da essa. Li il mondo dei maghi andava in pezzi. Ora che Voldemort non temeva più nulla l’anarchia avrebbe preso il sopravvento. Molto probabilmente Hogwarts era già un lontano ricordo e le lettere che fino a qualche anno prima Draco si ostinava a spedire a Carys avevano subito la stessa sorte.

Una lacrima rigò il volto, ormai indurito dal dolore, della ragazza. Orami aveva perso tutto ciò che amava e tutto ciò in cui credeva.

La domenica lasciava a casa Remus nella sua disperazione e si spingeva in paese, per la Messa grande.Quando la solitudine le stringeva il cuore, saliva sulla rocca a parlare con Carys. Il resto del suo tempo lo consumava in una liturgia di abitudini che riuscivano a difenderla dall’apatia. Ogni tanto nelle giornate di vento, scendeva fino al mare e passava ore a guardarlo, giacchè, disegnato sull’acqua, le pareva di vedere l’inspiegabile spettacolo, lieve, che era sta la sua vita.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Castelli di rabbia ***


Nuova pagina 2

A chi vaga nella

solitudine della sua casa

A chi sa disobbedire

alle tacite leggi della borghesia.

 

 

 

CASTELLI DI RABBIA

 

 

 

L’uomo guardò la scacchiera.

A fatica si distinguevano le pedine bianche da quelle nere.

Il tempo aveva annerito ogni cosa.

La sua anima, la sua casa, la sua preziosa scacchiera.

Prese la regina e la rigirò fra le sue dita.

Abbozzò un malsano sorriso.

Era ora di cominciare la partita.

Posò la pedina.

Fece la sua prima mossa …

 

***

 

“Esiste qualcosa di più terribile di un ritorno che non riesce a compiersi?”

Lo sguardo, alle parole della ragazza, cominciò a vagare fra l’erba e le scorse subito.

Le tre pietre tombali sul pendio che guardava la brughiera: quella di mezzo, grigia e quasi sepolta sotto l’erica, la tomba di Tom; quella di Body, che l’erba e il muschio crescente ai suoi piedi cominciavano appena a inverdire, e infine quella di Mary, ancor nuda.

Mi indugiai fra di esse, sotto quel benigno cielo: guardavo le farfalle notturne svolazzanti sull’erica e le campanule, ascoltavo il soffice vento frusciante tra la verdura, e mi domandavo stupito come mai qualcuno potesse fantasticare d’inquieti sonni, per coloro che dormivano in quella terra tranquilla.

“Ora sono insieme”

“ E’ l’unica cosa che ci può dare conforto?”

“Noi abbiamo bisogno di conforto?”

“Io li conoscevo appena, mentre…”

“Io li ho conosciuti solo attraverso i miei ricordi confusi, loro per me sono sempre stati i personaggi di una storia che prendeva vita solo fra le pagine del mio libro…”

“Ma loro sono esistiti, per te… anche se per poco”

“Devo molto a loro “

“Gli devi una vita..”

“La loro ?”

“La tua.”

Harry , pronunciando quelle ultime parole, si voltò verso la ragazza. I capelli mossi dal vento, gli occhi lucidi e la mano saladamente ancorata alla spalla destra. Harry si morse il labbro inferiore, mentre la cicatrice bruciava ancora…

 

***

 

Cara, dolce, angelica Carys,

  Abbi cura di te. Ogni volta in cui crescendo, avrai voglia di cambiare le cose sbagliate in cose giuste, ricordati che la prima rivoluzione da fare è quella dentro se stessi, la prima e la più importante. Lottare per un’idea senza avere un’idea di sé è una delle cose più pericolose che si possa fare. Ogni volta che ti sentirai smarrita, confusa, pensa agli alberi, ricordati del loro modo di crescere. Ricordati che un albero con molta chioma e poche radici viene sradicato al primo colpo di vento, mentre un albero con molte radici e poca chioma la linfa scorre a stento.Radici e chioma devono crescere in egual misura, devi stare nelle cose e starci sopra, solo così potrai offrire ombra e riparo, solo così alla stagione giusta potrai coprirti di fiori e frutti.

E quando poi davanti a te si apriranno tante strade e non saprai quale prendere, non imboccarne una a caso ma siediti e apetta. Rspira con la profondità fiduciosa con cui hai respirato il giorno in cui sei venuta al mondo, senza farti distrarre da nulla, apetta e aspetta ancora. Stai ferma, in silenzio, e ascolta il tuo cuore. Quando poi ti parla, alzati e va dove lui ti porta.

                                 Con infinito amore,

Body, Mary e Tom

 

 

“Sembra impossibile che l’abbiano scritta per me tutti insieme.”

“Erano lontani ma non ancora divisi”

“Si sono riuniti un’ultima volta solo per me.”

“Per te si sono riunite molte genti.”

“Non so se merito tanto…”

La pioggia scendeva lieve sulla brughiera. La torre del castello si elevava in mezzo alla nebbia oscura e imponente. Il ticchettio incessante sulle vetrate distrassero Carys dalla sua lettura.

“Non mi sento speciale”

“Neanche io mi sentivo speciale una volta. “ Harry portò istintivamente le dita sulla cicatrice.

“Io ho sempre saputo invece, sono stata educata solo per questo, ma come posso uccidere una persona che scriveva cose colme di tanta speranza.” Disse Carys stringendosi la lettera ingiallita al petto.

“Il Tom che scrisse quella lettera non esiste più. E’ solo un ricordo.E’ solo il personaggio di un racconto.” Harry avanzò verso la libreria e ne astrasse un volume molto spesso rilegato di pelle rossa. Su di esso brillava in lettere dorate il titolo: Castelli di rabbia.

“Non era invenzione.” Carys prese il libro dalle mani di Harry e poi proseguì “Ciò che scrivevo era tutto vero. Era la visone offuscata del mio passato, del loro passato…”

 

***

 

La regina e la torre.

L’uomo li guardò.

Sospirò profondamente.

Una lieve coltre di nebbia uscì dalle sue labbra.

Il freddo era insopportabile.

La casa era troppo vecchia.

Ma la sua partita era importante.

E fece la sua seconda mossa.

 

***

 

Carys si sedette e chiuse gli occhi.

Dall’altra parte del mondo , un uomo anziano faceva la stessa cosa davanti ad una scacchiera annerita.

 

***

 

TRE ANNI PRIMA

 

La piuma scorreva rapida sulla carta immacolata. Gli occhi di una giovanissima ragazza scorrevano su di essa  concentrati e impensieriti. Accanto a lei un altro centinaio di fogli di pergamena scritti fitti fitti erano disordinatamente  adagiati su di una sedia.

Body, Mary, Tom.

Quei nomi apparivano più di una volta su quelle pagine.

Quei nomi erano i personaggi di un libro.

Quel libro era una storia.

Ma quella storia era reale.

E questo nessuno lo sapeva.

A pochi passi da quella situazione un uomo e una donna giocavano a scacchi.

“Ci siamo anche noi nel tuo racconto ‘” disse con fastidiosa ironia il non più giovanissimo distinto signore.

“Voi non fate parte di questa realtà, non ancora perlomeno.” Rispose la ragazzina senza distogliere la sua concentrazione dallo scritto.

“George non importunarla. “ disse con voce stridula la donna mentre faceva la sua mossa.

“George non importunarla, George non disturbarla, George non fargli pesare il fatto che ha avuto…” ma l’uomo non fece in tempo a finire la fase. La giovane ragazza si era alzata di scatto.

“ George,potresti cercare di farla finita”disse questa con una mal riuscita imitazione dell’uomo.

Lui la guardò contrariato. Lei prese i suoi fogli e uscì dalla stanza facendo sbattere l’imponente portone della sala.

“ Non dovresti comportarti così con lei!” disse la donna quasi sussurrando

“Non mi piace quella ragazza, non mi è mai piaciuta dal giorno in cui l’hai portata qui. Ci porterà un sacco di guai. Lui verrà a cercarla.”

“ Non crederai mica alle dicerie della gente”

“Lui è ancora vivo. Quegli uomini incappucciati …. E’ lui che li guida.Lui la vuole.”

“George, “lui” è morto.”

“ No cara Mary. Lui è ancora su questa terra , non so come ha fatto e ne il perché. L’unica cosa certa è che ha paura di quella pazzoide dalla memoria corta, e la vuole morta.”

“ Carys non è pazza.”

“No, poverina hai ragione.” Disse quest’ultimo con falsa gentilezza.

“Come ti sentiresti tu se avessero sterminato la tua famiglia, se avessi perso la memoria in modo irrecuperabile e fossi stato portato a vivere in un castello lontano da tutto e da tutti con tua zia, di cui ovviamente non ti ricordi niente, e il suo insopportabile marito ??”

“Non ha perso la memoria del tutto. Come spieghi il libro che sta scrivendo?”

“Lei non ricorda, ha delle visioni sul suo passato, ma non sa che si tratta di quest’ultimo. Lei scrive il racconto di persone che secondo lei non sono mai esistite. Non può neanche lontanamente immaginare che sta scrivendo la storia mia e dei miei fratelli.”

“E come le spieghi le visioni? No, non dire nulla, te lo spiego io. Il tuo adorato fratello maggiore è ancora vivo. E’ stato lui a sterminare la famiglia di Body. Tutto per arrivare a Carys. Lui vuole conquistare il mondo dei maghi e sa perfettamente che la ragazzina è l’unica che con il suo potere divinatorio può fermarlo. Se lei formula la seconda profezia e scopre l’unica arma in grado di fermarlo per lui sarà la fine. Tuo fratello continua d avvicinarsi e mette in confusione i poteri di Carys, che invece di vedere il futuro vede il vostro passato.”

“ E’ incosapevole del fatto che Body, Mary e Tom siete veramente tu e i tuoi fratelli ma soprattutto inconsapevole del fatto che Tom, il bravo e dolce ragazzo del suo racconto è in verità suo zio e che vuole ucciderla”

“Non credo Tom capace..”

“Lui non è il Tom che conoscevi, il potere gli ha dato alla testa”

“ Mi sembra ieri che prima di morire aveva chiesto a Body di fargli cullare Carys un’ultima volta” le lacrime cominciavano a rigare il volto della donna.

“ Tom è veramente morto. Quello che noi temiamo si chiama Voldemort…”

 

***

L’uomo prese il cavallo.

Il muso era scheggiato.

Era diventato grigio.

Fu posato anch’esso sulla scacchiera.

La terza mossa era fondamentale.

Si stava avvicinando.

Lo sentiva.

Aveva imparato a conoscere quell’atmosfera.

 

***

 

“Mi sembra ancora di vederli sai.” Disse improvvisamente Carys guardando Harry sedersi accanto ad una tavolino.

“Loro si sedevano sempre dove sei tu adesso e giocavano a scacchi per ore”

La pioggia continuava a cadere sui campi di erica.

“Zio George diceva sempre che la vita è come una partita a scacchi e bisogna sapere giocarla. Quando mi trasferii qui lo credevo un’orco.”

“Chi?” chiese Harry come risvegliandosi da un torpore

“Mio zio. Non gli andavo molto a genio. Ma non era cattivo.Per colpa mia si era trovato coinvolto in qualcosa più grande di lui”

“Non ti devi sentire incolpa”

“E’ come se li avessi uccisi io.”

“Ma non è così”

“Li ha comunque uccisi una persona con cui condivido un legame di sangue.”

 

***

 

DICIASSETTE ANNI PRIMA

 

La luna si scostò dal cielo e fece spazio al sole. L’alba investì i popoli e le genti. I cani ulularono, gli uccelli cantarono. La nebbia ovunque si dissolse. La neve ovunque si sciolse. Il gelo dell’incomprensione scomparve finchè fu di nuovo notte. La luna tornò in cielo e il freddo tornò a popolare le terre, mentre il pianto di una neonata riempiva un castello immerso nella brughiera e tre fratelli si abbracciavano. Allora il sole sorse di nuovo e tutti seppero che qualcosa quella notte era accaduto e in quell’abbraccio fraterno qualcuno l’avrebbe temuto.

 

***

 

La scacchiera ospitava silenziosa la partita.

Le pedine scorrevano senza far rumore.

L’unico suono era il respiro smorzato dell’uomo.

Nell’ombra la sua personale battaglia contro se stesso proseguiva.

Quella partita era importante.

Quella partita sarebbe stata l’ultima.

 

***

Ron ed Hermione entrarono nella stanza. Harry guardava davanti a se senza fissare un punto preciso. Carys si era addormentata stringendo il suo libro fra le mani.

Remus che li aveva raggiunti fece cenno di svegliarla.

“Che succende?” disse assonnata mentre Ron la squoteva.

“Dobbiamo andare.”

“ E dove andiamo?”

“ In Francia. Hagrid conosce un pastore della Provenza che può nasconderci.” Detto ciò Remus uscì dalla stanza seguito dai quattro ragazzi. Moody li attendeva vicino alla cancellata principale del castello. Era ora di fuggire. La carrozza partì per la strada sterrata mentre il castello diventava sempre più piccolo e così la rabbia che conteneva…

 

***

L’uomo strinse in una mano l’alfiere.

Lo posò sulla scacchiera.

La sua ultima partita era terminata.

E lui aveva perso….

“Dove sono diretti dunque.”

“In Normandia, vogliono raggiungere il sud della Francia.”

Detto ciò l’uomo abbassò lo sguardo e aspettò.

Aspettò la fine come la si aspetta tuuta la vita.

Poi un lampo di luce verde invase la stanza.

George cadde a terra.

Aveva perso la sua ultima partita.

Aveva perso la sua vita.

Aveva perso la sua piccola Carys.

 

 

“Se avessi capito allora che

la prima qualità dell’amore

è la forza gli eventi probabilmente

 si sarebbero svolti in modo diverso.”

 

(Susanna Tamaro,Va’ dove ti porta il cuore)

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Autunno ***


Nuova pagina 3

A chi  vive nella felice

convinzione che il tempo

metta un sigillo di pace

a tutto ciò che se ne và,

così come lo credeva

l’angelo di Avrigue.

 

AUTUNNO

 

 

“Mio eterno Autunno mia stagione mentale

Mani d’antichi amanti costellano il tuo suolo

Una sposa mi segue è la mia ombra fatale

Le colombe stasera spiccano l’ultimo volo.”

 

(Guillaume Apollinaire, Alcools)

 

L’autunno è sceso sul parco.Gli alberi non sono più alberi. Infinite gradazioni di tutti i rossi, di tutto l’oro, di tutto il fiammeggiare segreto, vinte dall’ombra e dal peso del passato. Come la tela dipinta di un fondale di teatro, si confondono con la fine del giorno. Ottobre, la parola è dolce da bere e triste come un vino di morte, ancora così ricca del profumo della vita. Foglie d’ambra del giardino, rossore di chioma immensa spiegata sul pavese del ricordo.

Nella penombra, un pavone blu di seta medievale s’allontana sul viale silenzioso.

Con mano febbrile abbassò la finestra del bovindo, e si voltò verso il divano perduto nell’ombra, dove i fiordalisi galleggiavano su uno stagno di seta fucsia.

-Il tuo silenzio non mi consola granchè in queste ore malinconiche-

Passò la mano distratta sullo strano animale, una palla di pelo da cui emergeva uno sguardo vago.

In controluce, la sera nascente sottolineava le infinite ragnatele sparse nella stanza, che frastagliavano i cassettoni intarsiati dell’alto soffitto, e gonfiavano i muri di veli impalpabilmente azzurri. Attraversò l’atrio, sostando a lungo davanti alle scale, lo sguardo inquieto rivolto ai piani.

Una forza insuperabile lo spinse sulla scala. Salì i gradini con lentezza ieratica. La sua sagoma un  po’ appesantita ritrovava nei momenti solenni come quello un’indiscutibile elganza. Con i capelli spettinati, lo sguardo perduto, conservava alle soglie della quarantina qualcosa dell’adolescente. Con un gesto rispettoso aprì una delle porte. La stanza debolmente illuminata da una stretta finestra aveva il suo silenzio particolare, più opprimente, più inquietante di tutti gli altri silenzi. La fine del giorno allungava sul parquet un’unica pennellata di luce, un riflesso magico di vetrata, fino al cavalletto aperto al centro della stanza. L’angelo era lì per sempre, gli ochhi per sempre chiusi, sotto l’influsso di una felicità o di un dolore ineffabili. Un’aura dorata di luce morente circondava la chioma fulva dispiegata. Con il capo piegato all’indietro, le labbra semichiuse ma così pallide, sembrava offrirsi alla morte, al sogno di un’eternità finalmente tranquilla. Un uccello le posava tra le mani un fiore bianco. Accanto a lei, come un sole dell’ombra, la meridiana segnava l’ultima ora che l’aveva benedetta, e non ferita. Incapace di sostenere la luce interiore di quegli occhi socchiusi si voltò e corse via.

Come un’annegato che riprende fiato sulla riva, aspirò delziosamente l’aria fredda avvolta di foschia che saliva dal Tamigi. Era la vita che ricominciava dopo quel viaggio al di là, la vita in quei viali invasi d’erba alta.La sera pareva scendere a malincuore.

Autunno.

Autunno spiegato contro il cielo , in rami intrecciati. Autunno sul terreno cosparso di foglie, e l’odore delle mele sotto la pioggia. Foglie scarlatte sui muri inpregnate di vita.Rami di foglie alla conquista delle finestre, lanciati verso il tetto. Foglie cadute, mischiate sulla terra ancora calda alle mani aperte mordorè delle foglie di platano, al rame finemente lanceolato degli aceri, dei castagni, al giallo vivo e dolcemente orlato delle foglie, e tutto era l’autunno: la morte del parco così bella da calpestare dolcemente, l’approsimarsi della fine in morente bellezza. Camminava come inebriato, i piedi nella malinconia frusciante, lo sguardo stanco smarrito nella luce calda, rassicurante, disperata. Com’era bello per quella sera immergersi nel fogliame a ogni istante più cupo, bere in vino d’autunno la danza d’oro della disperazione.

A poco a poco si perdeva camminando in quel fondale e nei suoi colori, e il parco scivolava nell’ombra come un altro se stesso. La vertigine del laudano si mescolava nella sua testa alla foschia della sera. Poi , altre nebbie salirono dentro di lui. Si accasciò su una panchina di pietra e cedette, le mani sugli occhi, al sogno-incubo che aveva evocato.

Una donna elegante lo urtò. Si guardarono, interdetti, l’uno e l’altro di colpo consapevoli che l’icontro non era un caso.

- So della tua malinconia, del tuo tormento, del mondo affascinante e torbido di cui le tue tele portano il segno.La mia vita sembra così liscia e chiara. E tuttavia sappi che non mi illudo. La parte migliore di me da tempo giace addormentata, nelle foglie d’autunno. Ho scelto la felicità, ma la sera, troppo spesso, penso al nostro angelo…-

- E se tutto questo fosse stato solo un gioco?- intervenne dolcemente- La vita non è nulla, i ruoli sono distribuiti in anticipo.-

- Mi resta questo sogno folle di raggiungere un giorno la trasparenza.-

- Per me, lo so già.Mi aspetta la notte.-

Le parole si fanno più rare, ormai parlano solo per se stessi. La nebbia corre a falde sull’erba rasa. Autunno il talento, l’amore, la solitudine, l’amicizia, e l’acre nostalgia per tutti gli impossibili. Autunno la sera che scende, che avvicina l’ombra e la luce. Autunno il passato, l’odore dolceamaro delle foglie cadute.Due figure in Hyde Park. Gli alberi hanno il loro colore. La nebbia li confonde nell’epilogo di una serie di rapporti incrociati tra anime tormentate che si cercano e si respingono, si attraggono e si lacerano a vicenda in una girandola di eventi cruciali e drammatici.

Hermione guardò la nebbia scendere sul Tamigi e con voce flebile disse – Guardami, sono ciò che avrebbe potuto essere.-

Remus abbassò gli occhi.

Nella penombra un pavone blu di seta medievale si allontanava sul viale silenzioso.

 

“Cos’è un amico?

Un’unica anima

che vive in due corpi.”

 

(Aristotele)

 

 

 

FINE

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=10000