My love's a drunkard. di Pwhore (/viewuser.php?uid=112194)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1. ***
Le
tre di notte.
Gerard
stava facendo davvero tardi quella sera.
Frank
si strinse le ginocchia al petto, cingendole con le braccia tatuate.
Era in pensiero, come al solito, e come al solito sperava che quella
sera sarebbe stata l'ultima. Sperava invano, ma questo lo sapeva. Lo
sapeva, eccome se lo sapeva, ma continuava a sperare e a credere in
Gerard, sera dopo sera, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana.
La speranza era una delle poche cose che non gli mancava, di questo si
può starne certi. E così, come tutte le sere, era
seduto sul portico ad
aspettare il ritorno del moro, nonostante il freddo pungente di fine
novembre e l'aria umida che saliva dalla terra. Sospirò e si
accese una
sigaretta, sfregandosi le mani nel vano tentativo di riscaldarsi un po'
e tornando a guardare la strada. Gerard era un alcolizzato da anni,
ormai, ma Frank sperava sempre di non doverlo vedere attraversare
l'uscio della loro villetta e andare in qualche locale a spassarsela.
Sperava che il moro capisse quanto si stesse facendo male e che
decidesse di smettere, anche se sapeva che non sarebbe mai successo.
Quella sera però, si sentiva strano. Aveva uno strano
presentimento,
tuttavia non sapeva dire se fosse positivo o negativo, così
decise di
non badarci. Aspettò in silenzio per un'altra mezz'ora, poi
tornò in
casa e si preparò un caffè. Sorseggiandolo,
uscì sul portico e si
sedette sulle scale, lo sguardo perso all'orizzonte. Gli parve di
sentire qualcosa in lontananza e allungò l'orecchio,
speranzoso. Il
rombo di un motore si avvicinava, insieme a una forte musica a palla, e
Frank si trovò, suo malgrado, a sorridere. Si
alzò in piedi e andò a
posare la tazza nel lavandino, poi si appoggiò all'uscio
della porta e
si mise ad aspettare. Il rumore si faceva pian piano crescente e il
ragazzo cominciò a percepire delle risate, in mezzo a tutto
quel
casino. Deglutì, mentre un'auto blu carica di gente urlante
si fermava
davanti al suo vialetto. Non si era ancora abituato agli amici di
Gerard, nonostante li vedesse ogni sera, così non
avanzò finché dal
veicolo non scese il moro, ridacchiante e con in mano una bottiglia. Il
cantante salutò la comitiva e con passo insicuro
salì le scalette che
portavano al portico. Fissò Frank con occhi vacui, poi
lanciò lontano
la bottiglia di birra e abbozzò un sorriso. L'altro,
però, non ricambiò
il sorriso e si limitò a farlo entrare, senza spiccicar
parola. Quindi
si sedette sul divano e continuò col silenzio, la faccia che
non
traspariva alcuna emozione. Gerard deglutì, sentendosi molto
a disagio
e desiderando di essere ancora al bar. Abbassò lo sguardo
sulle scarpe
nere e tacque.
-
Mi hai aspettato ancora? - domandò in un sussurro,
voltandosi poi a guardare Frank.
Lui
sospirò a fondo, annuendo, poi si alzò e
andò dal moro.
-
Perché non smetti? - chiese, le sopracciglia arcuate in una
smorfia
addolorata e gli occhi scuri velati di malinconia. Gerard
voltò la
testa, infastidito.
-
Ne abbiamo già parlato, Frank; non è una cosa che
posso fare così, puf,
da un giorno all'altro - rispose acidamente. - E poi ci ho
già provato,
ricordi? -
-
Quello non era provare - ribadì il più basso. -
Hai solo messo della
grappa nella brocca dell'acqua, pretendendo di non aver toccato alcol
per più di ventiquattr'ore -. Il moro roteò gli
occhi, buttando la
testa all'indietro.
-
Gee, ti prego, non farti questo - mormorò.
-
Cazzo, Frank, sembri mia madre! - sbuffò il cantante. - Che
diavolo ti
frega se mi piace ammazzarmi così? Lasciami in pace, Cristo
santo -
esclamò. Il chitarrista tacque, ferito, ma sostenne lo
sguardo
dell'altro.
-
Pensavo t'interessasse conoscere il mio parere - ribatté.
-
Se volessi conoscere il tuo parere, mi basterebbe dare ascolto al mio
fottuto medico per una volta! - esclamò Gerard. L'alcol che
aveva in
corpo lo faceva arrabbiare facilmente, lo sapeva bene, ma non
sopportava che il suo ragazzo si permettesse di parlargli
così. Aveva
vent'anni, cazzo, sapeva come gestire la sua vita, e Frank non poteva
dirgli cosa fare.
Frank
tacque e sentì le lacrime riempirgli gli occhi. Non
sopportava lo
sguardo duro del moro quando litigavano, si sentiva trafiggere ogni
volta che dalla bocca dell'altro uscivano parole di sfida e voleva solo
che non dovesse essere lì a parlargli in quel modo.
-
Gerard, per piacere.. - sussurrò, interrompendosi a
metà frase.
-
Per piacere cosa, Frank?! Per piacere soffri come un cane e abbandona
l'unica cosa che ti fa star davvero bene? Perpiacere dimentica l'alcol
e passa il resto dei tuoi giorni annoiato, sofferente e incazzato? Per
piacere un cazzo, Frankie! -
Il
ragazzo rimase in silenzio.
-
E rispondimi qualche volta, porca miseria! Mi sembra di parlare con un
muro, cazzo, non col mio fidanzato! - si arrabbiò l'altro,
sbattendo il
pugno sul muro. - Vaffanculo Frank, sei tu il motivo per cui bevo! -
sibilò, dandogli una spinta e sbattendosi la porta alle
spalle.
Il
chitarrista rimase lì, immobile, per quelle che a lui
sembrarono ore.
Le lacrime scorrevano copiose lungo il suo bel volto, e i tremiti
scuotevano il suo corpo magro. Si portò le mani al viso e si
spostò i
capelli dalla faccia, singhiozzando. Litigava spesso con Gerard, ma ci
stava sempre malissimo e se ne pentiva ogni volta. Si alzò
in piedi,
tremante, e si avviò verso la cucina.
“Quel
che ha detto Gerard non è vero. Non lo pensa
realmente” si disse, distendendo i nervi.
“Era
ubriaco fradicio, è ovvio che non ci stesse con la
testa” aggiunse,
cercando di auto-convincersi. Respirò a fondo un paio di
volte,
asciugandosi il viso dalle lacrime.
“Però,
in fondo ha ragione, non faccio altro che stressarlo,
ultimamente..” si
rabbuiò. “Non gli do abbastanza supporto, sono
sempre lì a infastidirlo
e a chiedergli di smetterla di bere. Cazzo, faccio schifo. Pretendo
sempre che lui si comporti bene, quando io in prima persona sono una
spina nel fianco..” si disse, facendo una smorfia e
sentendosi un
terribile ipocrita. Imprecò e si lasciò scivolare
a terra, socchiudendo
gli occhi. Si raggomitolò su se stesso come un riccio e
decise che,
appena fosse tornato a casa, avrebbe chiesto scusa a Gerard per tutte
le volte in cui si era comportato da stronzo con lui. Sorrise all'idea
e si acquattò nel buio, aspettando il ritorno del moro.
Gerard's POV:
Forse
sono stato troppo duro con Frank, ma, cazzo, che cosa pretende? Sa che
bere è l'unica cosa che mi fa davvero dimenticare i
problemi, che mi fa
tirare avanti, perché deve togliermi anche questo? Per lui
ho lasciato
stare le droghe - e, cazzo, che sofferenza è stato smettere.
Avrò dato
di matto almeno quaranta volte in una sola mattinata, è
stata una delle
esperienze più dure della mia vita, e lui lo sa, lo sa eccome. Dio solo
conosce tutti i sacrifici che ho fatto per lui, ma perché,
perché lui non riesce a capirlo? “E'
per il tuo bene, Gerard”. Per il mio bene stocazzo! Quello
che ci
soffre sono io, non lui. E chi se ne frega del mio fegato, sono ricco,
me ne farò trapiantare uno nuovo. Come se bastasse questo a
fermarmi!
Dio, certe volte vorrei solo bere fino a sparire. Fanculo lui, la band,
la mia vita, tutti. Già, non mi farebbe mica schifo come
cosa, morire e
ricominciare tutto da capo, magari senza diventare il figlio che
nessuna madre vorrebbe. Sarebbe bello, sì, ma non fa per me.
Che gusto
c'è a vivere come Frank? Cos'è la salute in
confronto al divertimento e
alla spensieratezza? Molto meglio essere malato e felice che sano e
grigio, dico bene? E anche se sbaglio, chissene frega, è la
mia vita e
voglio sbagliare come mi pare, non come vuole lui. Stasera non torno a
casa. Che venga pure a cercarmi, passerò la notte a bere e
non c'è
niente che possa fare per fermarmi.
Alle sei e mezza Frank
aprì gli occhi. Sbatté le palpebre velocemente,
cercando di mettere a
fuoco il luogo che lo circondava, e si portò una mano al
volto. Si era
addormentato nell'angolo, gli occhi ancora gonfi di pianto e i capelli
scompigliati. In casa aleggiava l'odore di Gerard, e il ragazzo
sentì
correre un brivido lungo la schiena nel realizzare che proveniva dalla
sua felpa. Era uscito a maniche corte. Alle tre del mattino.
Scattò in
piedi, sebbene la schiena gli facesse un male cane, e
agguantò
l'indumento. Si lavò la faccia, indossò una
maglietta pulita e corse
fuori, dopo aver controllato che il moro non fosse in casa. Anche se il
ragazzo non voleva vederlo, si sentiva tremendamente in ansia, come se
potesse essere successo qualcosa, e non riusciva a togliersi dalla
mente l'immagine del fidanzato con la bottiglia alla mano.
Mise in moto
la macchina e guidò fino in città, guardandosi
attorno di continuo, in
caso Gerard si fosse fermato prima di arrivare a casa. “Andiamo,
Frank, probabilmente ti stai immaginando tutto e non è
successo niente,” si disse.
“Sai
quante volte l'hai fatto, ormai”. Si tranquillizzò
un po' e parcheggiò
la vettura davanti al bar che Gerard era solito frequentare, sperando
fosse lì. Scese dall'auto in silenzio e bussò due
volte sulla porta,
poi la socchiuse e lanciò un'occhiata dentro. Vista l'ora
era
particolarmente vuoto, così il ragazzo decise di entrare e
cercare Gee
per bene. Camminò fino al bagno e, non sentendo alcun
rumore, aprì la
porta. Il vetro dello specchio era opaco di vapore e ricoperto di
goccioline, quindi qualcuno l'aveva usato recentemente. Frank s
sentì
più sollevato, suo malgrado, e chiamò il
fidanzato a media voce. Non
sentendo risposta, attese un altro po' e poi uscì, andandolo
a cercare
da qualche altra parte. I juke-box erano vuoti, e i suoi passi
risuonavano sul pavimento sporco. Oltrepassò un mucchio di
cocci rotti
e raggiunse i divanetti, piegandosi leggermente in avanti per vedere se
c'era qualcuno. Effettivamente qualcuno c'era, ma nessuno della
comitiva di Gerard o che comunque potesse conoscerlo. Decise di
lasciarlo dormire in pace e si diresse verso l'uscita, ormai stufo
dell'odore acre della birra mischiato a quello forte del vino.
Arricciò
il naso e si chiuse la porta alle spalle, sentendosi subito
più
rilassato. C'era qualcosa in quel posto che gli metteva ansia, fin da
quando aveva cominciato a vedere il moro come più di un
amico. Certo,
ne era passato di tempo dall'ultima volta che aveva messo piede
lì
dentro, ma non ne aveva mai davvero sentito la mancanza e avrebbe
preferito tenersene alla larga ancora per un po'.
“Bene,
Frankie, dove si va ora?” si chiese. “Spremiti
il cervello, prima lo trovi e meglio è”. Rimase
fermo a rimuginare
qualche minuto, poi girò a destra e inforcò la
prima strada che trovò,
infilandosi poi in un vicolo buio e stretto. Da quelle parti c'era una
taverna, ne era sicuro, e i prezzi non erano poi così alti.
Era solito
andarci con la sua prima cotta, quando era ancora al liceo, e ci aveva
romanticamente portato anche Gerard, sebbene con lui fosse stato un
pasto meno.. usuale. Sorrise tra se e se e scosse la testa, nel
ripensarci. Era stato tanto tempo prima, quando il moro era ancora
imbarazzato dal farsi vedere in pubblico con lui in vesti di fidanzati,
quando ancora temeva l'opinione degli altri e quello che avrebbero
potuto pensare. A lui non era mai davvero importato, anzi, avrebbe
voluto che tutti sapessero che Frank Iero, la femminuccia sfigata senza
amici, era riuscito a far innamorare di lui Gerard Way, il grande
frontman dei My Chemical Romance. Era una grande conquista per lui,
soprattutto perché i suoi sentimenti per il moro aumentavano
giorno
dopo giorno, e giorno dopo giorno si ritrovava a pensare a cosa avrebbe
fatto senza di lui. Ogni volta era costretto a constatare che, in
effetti, dipendeva completamente dalle sue labbra e dai suoi sorrisi
allegri, dai suoi capelli scompigliati e dai suoi occhi marroni.
Dipendeva da lui e da quello che era, non c'erano dubbi. Per questo
trovava difficile accettare il fatto che bevesse, che spendesse
più
tempo con le bottiglie che con lui. Si stava uccidendo lentamente e
sembrava non rendersene conto, e questo uccideva Frank dall'interno,
anche se più che insistere non poteva fare molto. Rispettava
il volere
dell'altro e non si azzardava neanche a iscriverlo a un corso di
riabilitazione, sarebbe dovuto essere un qualcosa che voleva lui
stesso, non che gli veniva imposto dall'esterno, per quanto fosse
doloroso vederlo fare così.
Scosse la testa per scacciare la
malinconia e accellerò il passo. Si fermò davanti
alla porta, indeciso
sull'aprirla o meno, così abbassò lo sguardo. Una
foto di Gerard,
seguita dalla frase, "non accetto in questo locale'', torreggiava in
mezzo agli adesivi e alle locandine. Rise sotto i baffi, domandandosi
se ancora si ricordavano con precisione quello che aveva combinato, e
decise di cercare da un'altra parte. D'altronde la città non
era una
metropoli, anzi, ci avrebbe messo qualche ora al massimo, per trovarlo.
Scivolò fuori dal vicolo e si ritrovò in una
piazzetta grigia con una
fontana in mezzo. Si avvicinò e prese un po' d'acqua tra le
mani,
schizzandosela in faccia per svegliarsi. Rabbrividì e si
asciugò il
viso con la manica della giacca, interrompendo un principio di
sbadiglio. Si guardò attorno e si diresse verso il parco con
passo
incerto, chiedendosi se il ragazzo andrebbe mai in mezzo alla natura.
Si addentrò un po' per le stradine alberate, senza
allontanarsi troppo
dall'uscita, e respirò a fondo. Un attimo prima di girare i
tacchi e
tornare a cercarlo nei pub, si voltò e lo vide.
- Gerard! - esclamò sgranando gli occhi. Gli corse incontro,
preoccupato, e s'inginocchiò verso di lui.
-
Ehy, ciao, stai bene? - sussurrò, stringendolo fra le
braccia. - Scusa
per ieri sera, non volevo farti arrabbiare. Sono un coglione, scusa -
Alzò
lo sguardo verso il suo viso, ritraendo il volto e rilasciandolo
dall'abbraccio. Okay che era arrabbiato, ma rispondere non gli costava
niente.
- Gerard? - mormorò, dandogli un buffetto sulla spalla. -
Ehy, mi senti? -
Scosse il ragazzo, prima delicatamente poi con più forza, ma
quello continuò a non aprire gli occhi.
- Gerard, mi stai facendo preoccupare - cominciò. - Se
è uno scherzo, ti giuro che non mi sto divertendo affatto -
Aspettò
qualche secondo, l'ansia che aumentava coi battiti del suo cuore, poi
cominciò a tremare. Cercò il cellulare in tasca e
lo tirò fuori,
digitando il numero delle emergenze con gesti impacciati e meccanici.
Si portò l'apparecchio al viso e farfugliò la sua
posizione a qualcuno,
pregandolo di far presto. Mise il telefono accanto alle sue ginocchia e
strinse il fidanzato a se, inondando il suo petto di lacrime e
sentendosi aprire una voragine sotto ai piedi.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2. ***
Coma
etilico.
Fino
a pochi giorni prima quella parola non significava niente per lui,
neanche si ricordava della sua esistenza, e ora aveva segnato il suo
destino per sempre.
Si sporse in avanti, accarezzando la mano di
Gerard con tocco leggero. I dottori erano positivi, si sarebbe ripreso
presto, ma al ragazzo bruciava che i motivi per cui il suo fidanzato si
trovava in una stanza d'ospedale erano la sua gelosia e la sua
apprensività. Non riusciva a non incolparsi di tutto, a
credere che
fossero solo i cattivi vizi di Gee, la sua ossessione per lo spingersi
sempre oltre e la sua spensieratezza eccessiva ad aver fatto
sì che il
ragazzo sprofondasse in coma. Aveva bisogno di qualcuno da incolpare, e
chi più si adattava a quel ruolo se non lui stesso?
-
Hey, Gee, come va? Ti senti meglio? - sussurrò. Prese la sua
mano tra le sue e la baciò dolcemente, accarezzandola.
-
I dottori dicono che ti stai riprendendo velocemente, che sei forte.
Spero davvero che non mentano, mi manca averti fra i piedi -
scherzò.
- Sai.. - s'interruppe per un attimo, respirando a fondo e radunando le
parole con aria affranta.
-
Ora che non ci sei mi sto rendendo conto di tutti i miei errori, delle
stronzate che ho fatto. Avevi ragione tu, non sono io che devo decidere
per te, ma devi essere in grado di fare le tue scelte senza che ti stia
costantemente col fiato sul collo. Scusa, mi dispiace. Però
devi
ammettere che non avevo tutti i torti, quando ti dicevo che stavi
esagerando con l'alcool - disse, poi abbozzò un sorriso.
L'ansia aveva
ancora il controllo su di lui, ma voleva assolutamente alleviare la
tensione che aleggiava dentro quella stanza. Lo faceva sentire
oppresso, come se ci fosse qualcosa a impedirgli di respirare, e quel
qualcosa probabilmente era la vista di Gerard. Era sdraiato sul letto,
incosciente, ma non era attaccato al respiratore, e questo, avevano
detto i medici, era un buon segno.
- Sai, honey, dicono che il tuo
cervello non sia rimasto danneggiato. E' per questo che puoi ancora
respirare da te, e probabilmente nel giro di poco tempo riuscirai anche
a parlare di nuovo, senza contare che ora le tue canzoni avranno
qualcosa di nuovo da raccontare - sorrise.
- E poi, dai, poteva
andarci peggio. Potevi ingurgitare qualche litro in più e
rimanere così
per sempre. In quel caso, non so davvero cos'avrei fatto - ammise.
-
Ti amo, Gerard. Scusa se non te lo dimostro abbastanza -
mormorò.
Rimase in silenzio, le parole che echeggiavano e lottavano nella sua
mente. Lo amava, già, ma tutto quello che faceva era
opprimerlo e
riempirlo di divieti, solo che non se n'era mai reso conto. Si prese la
parte alta del naso tra le dita e sospirò a fondo,
ricacciando indietro
le lacrime. Sì, era decisamente colpa sua. Aveva ragione
Gerard, era
lui il motivo per cui lui beveva. Era una merda.
Si alzò
silenziosamente in piedi e si appoggiò allo stipite della
porta,
voltandosi per guardare meglio quella squallida stanza
d'ospedale.
-
Sarebbe successo se non ci fossi stato io? - chiese al nulla, in un
sussurro appena udibile. Guardò ancora il ragazzo, riverso
sul letto
senza alcuna espressione sul volto. Sembrava un sonno qualunque,
normale; e invece era una prigione orribile in cui lui stesso lo aveva
rinchiuso, dopo anni di tentativi impercettibili e mai notati. Era
difficile pensare che non fosse colpa sua, qualunque cosa in quella
stanza lo accusava e scherniva la sua preoccupazione.
''E' colpa
tua,'' dicevano gli oggetti. ''Sei stato tu a fargli questo. Se non ci
fossi stato sarebbe stato meglio per tutti, soprattutto per Gerard!''
Frank si circondò lo stomaco con le braccia, trattenendo un
conato di vomito.
Era vero,
era tutto vero.
La causa di tutto era lui e solo lui.
Le sue allucinazioni avevano ragione.
Annaspò
per garantire un po' d'aria ai suoi polmoni doloranti, ma la sua bocca
era impastata dal senso di colpa e dalle troppe lacrime, e non riusciva
a respirare bene. Si lasciò scivolare sul pavimento e si
abbracciò le
gambe, affondando il viso nelle ginocchia tremanti.
Era come se la
notizia l'avesse appena colpito, come se avesse appena realizzato che
il suo fidanzato era in coma e che non stava semplicemente dormendo.
Eppure lo sapeva, l'aveva sempre saputo -- Gerard era in coma dalle
cinque di mattina, e così sarebbe rimasto per tanti, tanti
giorni.
Non
sapeva spiegarsi neanche lui il perché, ma gli era caduto
improvvisamente il mondo addosso, e il colpo l'aveva preso dritto in
mezzo agli occhi.
Si raggomitolò su se stesso, piangente, e rimase immobile, a
mordersi le labbra e tranquillizzare il respiro.
E se Gerard non si fosse più svegliato?
E se ci avesse messo più di due settimane ad aprire gli
occhi?
Cos'avrebbe fatto lui, cos'avrebbe raccontato alla band?
L'avrebbero
accusato tutti di sicuro, gli avrebbero detto che non sapeva prendersi
cura neanche del suo ragazzo e gli avrebbero voltato le spalle con
disprezzo.
Sarebbero stati disgustati da lui, non avrebbero nemmeno
ascoltato le sue ragioni e l'avrebbero rimosso dalle loro vite senza
troppa fatica.
Si strinse le ginocchia, strizzando gli occhi fino a farsi male.
Non
era colpa sua, lui amava Gerard con tutto se stesso. Era la sua ragione
di vita, tutto ciò che faceva lo faceva per lui, solo per
lui.
Si portò le mani alla testa e la scosse, cercando di
cacciare tutta la tristezza che la velava.
Le parole cominciarono a prendere forma dentro la sua mente, a roteare
e urlargli contro frasi di odio e delusione.
-
Non è colpa mia, io.. io non volevo, volevo solo che stesse
bene -
singhiozzò. - Andatevene, andatevene via tutti! Io non
volevo, non
volevo -.
Scattò in piedi, la testa che gli girava e la nausea che
gli bruciava nel petto, e corse in corridoio, piangendo, sotto lo
sguardo incurante degli altri pazienti.
Perché proprio lui? Voleva solo il meglio per il suo
ragazzo, perché doveva sentirsi così?
Continuò a correre, gli occhi appannati e brucianti.
Va
bene, non era il fidanzato perfetto ed era colpa sua se Gerard era
all'ospedale, ma si sentiva già abbastanza in colpa senza il
suo
stupido subconscio.
Strinse i pugni, inforcando il corridoio di destra e strizzando le
palpebre fino a non vedere più niente.
- Ehy, attento, è pericoloso! - sentì qualcuno
urlargli contro.
"....Eh?"
Frank riaprì gli occhi di scatto, giusto in tempo per vedere
le rampe di scale davanti a lui.
Fu questione di secondi.
Cercò
di fermarsi, ma l'unico risultato fu inciampare rovinosamente sui suoi
stessi piedi, cadendo in avanti. Si portò le mani davanti al
volto per
proteggersi e chiuse gli occhi, poi il dolore e poi più
niente.
Gerard
si svegliò di soprassalto con un urlo, la fronte imperlata
di sudore.
Si voltò verso destra, ansimando, e cercò di
intravedere la figura
magra del suo ragazzo nella luce fioca del mattino. Chiuse e
riaprì gli
occhi, spostando la mano per sentire se c'era davvero. Con un sospiro
di sollievo, sentì le dita di Frank chiudersi attorno alle
sue, prima
che il fidanzato gliene baciasse il dorso.
- Hai fatto un brutto sogno, Gee? - gli domandò con voce
impastata dal sonno. Il moro annuì, abbracciandolo.
- Già. Tu eri me e... Domani vado a disintossicarmi - disse.
Frank gli baciò il mento, respirando silenziosamente.
- Sei sicuro? - mormorò, appoggiando la testa contro il
petto dell'altro. - Non voglio farti sentire in obbligo. -
- Sono sicuro. Ti amo - ripeté, accarezzando il viso del
più piccolo.
-
Ti amo anch'io - farfugliò quello, sbadigliando. Gee sorrise
e gli
scompigliò i capelli, poi gli baciò la fronte e
aspettò che si
addormentasse tra le sue braccia. A quel punto si alzò, si
avvicinò
alla finestra e guardò fuori, circondandosi la vita con le
braccia. Se
non fosse stato per quel sogno.. Si voltò verso il letto e
sorrise col
cuore. Caro piccolo Frankie, si era sempre preoccupato per lui, anche
se non se lo meritava.
- Da domani ti renderò fiero di me, Frank - sorrise. -
Stanne certo -.
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