Leggende del Mondo Emerso - L'Assassina e il Tiranno

di Aesir
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: ADDIO, MAESTRO ***
Capitolo 2: *** Scena Prima (I): SUL CIGLIO DELLA STRADA ***
Capitolo 3: *** Scena Seconda (II): I VOLTI DI MAKRAT ***
Capitolo 4: *** Scena Terza (III): DUBHE NON DIMENTICA ***
Capitolo 5: *** Scena Quarta (IV): LA SPIRA DEL SOLE ***
Capitolo 6: *** Scena Quinta (V): DICIOTTO ***
Capitolo 7: *** Scena Sesta (VI): UN SENSO DI MERAVIGLIA ***
Capitolo 8: *** Scena Settima (VII): ASTER - L'ORIGINE DEL MALE ***
Capitolo 9: *** Scena Ottava (VIII): ASTER - IL SANTUARIO DELLE TENEBRE ***
Capitolo 10: *** Scena Nona (IX): ASTER – IL TRONO DELLA FOLLIA ***
Capitolo 11: *** Scena Decima (X): LIMITE ***



Capitolo 1
*** Prologo: ADDIO, MAESTRO ***


“[...] in quel selvaggio abisso,
grembo della Natura e, forse, tomba,
che non è mare o sponda, aria né fuoco
ma lor cause pregnanti in sé commiste
confusamente, in una lotta eterna,
se il Fattore Possente non costringe
queste oscure materie a farsi mondi,
nell’abisso selvaggio, cauto, Satana
sostava sull’orlo dell’inferno, e vide,
e ponderò il viaggio […]”

- John Milton, Paradise Lost, Book Two


Prologo: ADDIO, MAESTRO

 

 

 

 

Nothing left to fear, l'Cie
Cradled in eternity
Shore of sands, your fate awaits
Oh surrender in the light.

- Matsue Hamauzu, Dust to Dust (Final Fantasy XIII)

 

Maestro,

non so perchè ti sto scrivendo questa lettera. Probabilmente, se ci fossi tu qui, mi diresti che sono una sciocca ragazzina. E probabilmente avresti anche ragione. Ma, vedi, non c'è un motivo particolare che mi spinge a scriverti. Semplicemente, sento il bisogno di farlo.
Anche se la lettera che mi avevi lasciato sarà dissolta, ormai, nelle Terre Ignote, anche se il tuo stesso corpo probabilmente non esisterà più, tu sei sempre con me. Il pugnale, quello che era il tuo, è legato al mio fianco, e resterà lì. Nel fodero, possibilmente.
Ma non sono stata capace di mantenere ciò che mi hai fatto giurare nella lettera. Ho ucciso ancor, Maestro, ma, devi credermi, non è stata colpa mai. Ho scoperto di avere dentro di m un mostro, una Bestia assetata di sangue che prendeva possesso di me e mi portava a compiere delle orrende stragi. Ma il colpo peggiore è giunto quando ho scoperto che quella maledizione non era qualcosa di estraneo, bensì era una parte della mia anima, indissolubilmente legata a me. La Gilda mi ha ingannata. Pur di salvarmi dal destino che mi attendeva - un'orribile morte in balia della Bestia - sono venuta meno alle mie promesse, e mi sono unita a loro. Questo finchè un giovane mago di nome Lonerin non mi ha rivelato che in realtà un sigillo, il genere di incantesimo che liberava la mia maledizione, non poteva essere curato con le pozioni che la Setta mi somministrava, ma che poteva essere sciolto solo dal mago che l'aveva impresso. La Gilda mi stava prendendo per il culo, in altre parole. Questo mi ha dato la forza di fuggire.
Siamo scappati e abbiamo raggiunto il Consiglio delle Acque, e lì, per provare la mia buona fede, dato che sospettavano di me – e chi poteva dargliene torto – ho deciso di accompagnare Lonerin nelle Terre Ignote per cercare il mago Sennar. Ti ricordi quanto leggevo e rileggevo le sue avventure? Beh, l'ho anche conosciuto di persona. Cosa che adesso, in rapporto a chi mi sta affianco, non mi pare così straordinaria. Ma allora mi sembrava incredibile, incontrare una leggenda vivente. Comunque, dopo aver affrontato innumerevoli pericoli nelle Terre Ignote ed essere dovuta ricorrere alla Bestia per uccidere una dannata bastarda di nome Rekla... suppongo che questo nome ti dirà qualcosa... abbiamo finalmente incontrato il mago. È ben diverso da come l'avevo immaginato. Per cominciare, era vecchio, e, vabbè, questo avrei dovuto aspettarmelo. Ma la maniera in cui parlava, era totalmente diversa. Si è rassegnato, e ha smesso di lottare. Si era, mi correggo. In ogni caso, e questa era la parte che mi interessava, mi ha rivelato che se volevo liberarmi del sigillo dovevo uccidere l'uomo a cui la maledizione era originariamente destinata. Ossia Dohor.
Sono partita per la Terra del Sole in compagnia di una maga chiamata Theana; era la ragazza di Lonerin e si era convinta che fra di noi ci fosse stato qualcosa; e chissà, magari anche aveva ragione, ma anche se fosse stato così, era finito ancora prima di iniziare. L'ho fatto con lui, è vero, ma mi sono resa conto che stavo sbagliando nel momento stesso in cui mi sono trovata nuda in sua presenza. Certo non potevo più tirarmi indietro. Divagazioni cretine. Dato che purtroppo dopo un po' il mio corpo si assuefaceva alle pozioni per tenere a bada la Bestia, Theana mi propose un rito alternativo, che però, come controindicazione, mi spossò e indebolì i miei sensi. E questo ci costò la cattura e la vendita come schiave, da parte di un mio ex -amico, fra l'altro. Verrò a fargli visita, uno di questi giorni, e se ne pentirà amaramente.

Comunque, fummo liberate da Learco, ossia l'erede al trono della Terra del Sole, e durante il viaggio mi innamorai di lui. Mi sono innamorata del figlio dell'uomo che dovevo uccidere!
Mentre cercavo il documento che mi serviva per liberarmi della Bestia, lui mi scoprì. Finimmo per rivelarci i reciproci sentimenti, finimmo per amarci. E come le più belle cose, durò troppo poco. Forse, col senno di poi, fu meglio. Ma vado con ordine. Fuggimmo, una notte, quando mi accorsi che il complotto per eliminare Dohor – al quale Learco aveva preso parte solo per la mia salvezza – era stato scoperto. E durante la fuga iniziarono i primi dubbi sul nostro rapporto. Cos'avrei dovuto fare? Uccidere il re, salvarmi e farmi odiare in eterno, oppure godermi il suo amore finchè potevo? Lo sai come sono fatta, Maestro. Io sono sempre andata avanti. Scelsi la prima opzione. Ma il mio piano fallì, commisi un tragico errore, e Learco mi morì fra le braccia.
Trascorsi una settimana in preda all'incoscienza, sull'orlo della follia. Poi mi ripresi. Come ho sempre fatto. Andai nella Terra del Mare, nella casa dove abitavamo. Consumarmi, volevo. Poi accadde. Era una notte buia e tempestosa, e bussò alla mia porta. Non avevo mai visto un ragazzo così bello. Era suppergiù della mia età, aveva la pelle chiarissima, diafana quasi, una bocca stupenda, i capelli blu come la notte e soprattutto gli occhi verdi. E, giuro, quel verde non l'avevo mai visto da nessun'altra parte. Era l'essenza stessa di quel colore. Ma c'era qualcosa di più: negli occhi di Learco, avevo visto i tuoi. Ma nei suoi occhi ho visto i miei. Tu hai vissuto nella Casa e hai capito di chi sto parlando. Non aveva dodici anni, bensì diciassette, ma non potevano esserci dubbi, anche perchè l'ho visto veramente com'era da bambino, in una sfera di vetro nella quale la Gilda aveva racchiuso il suo spirito. Sto divagando. Dicevo, all'inizio ero decisamente diffidente. Qualcosa premeva nel mio cuore, qualcosa che non capivo, e questo mi spaventava. Solo dopo - ed è un
dopo decisamente relativo, dato che sto parlando di meno di un'ora - mi accorsi che era solo il sentimento con cui rifiutavo di riconoscere l'amore che stava sbocciando dentro di me. Perchè lui mi ha raccontato la sua storia, e io sono crollata. Letteralmente. Gli ho riversato addosso tutta la mia essenza, gli ho aperto me stessa. Non l'avevo mai fatto con nessuno. L'ho baciato. È stato stupendo.
Siamo finiti a letto insieme, alla fine. Mi imbarazza un po' a scriverlo, ma mi avevi detto di vivere e, beh, la vita è fatta anche di questo, no?
È stato come se avessi cercato qualcuno come Aster per tutta la vita, per accorgermene solo quando l'avevo trovato. È stato accettare quello che sono, amarlo, è stato comprendere che io non sarò mai come gli altri esseri umani. In un certo senso, è stato come guardarmi allo specchio.
Dopo... dopo, praticamente, mi ha rivelato d star svolgendo una missione che, in caso di successo, avrebbe portato all'eliminazione degli dei del Mondo Emerso. Quegli dei che mi hanno portato via tutto, mi hanno usata come un trastullo, per poi gettarmi via quando non li avevo divertiti più. La mia vendetta. E poi, in quel momento gli avrei detto di sì a qualunque cosa. E anche adesso. Ovunque andrà, lo seguirò, perchè i nostri destini sono insolubilmente legati, e perchè lo amo.
La prima conseguenza della scelta che ho fatto, è stata l'immortalità. Non ci vedremo più, Maestro, ma non ho rimpianti nel dirlo. La lettera che mi hai scritto è da qualche parte nelle Terre Ignote, polvere da molto tempo, ormai, ma il tuo pugnale è legato al mio fianco e ci resterà per sempre.
La seconda conseguenza, è stata la creazione di una creatura che mi servisse come cavalcatura. Le tenebre che sono in me l'hanno generata, è l'espressione di me stessa, e come tale ubbidisce come una mano o un piede. L'ho chiamata Veritas.
Dopo un breve periodo trascorso per conoscerci meglio, la nostra missione ha avuto inizio, con esisti ambigui: siamo riusciti ad avere la meglio su Phenor divinità volta all'acqua, ma i rischi corsi ci hanno fatto accuratamente riflettere; abbiamo deciso che avremmo tentato di nuovo una cosa simile solo se avessimo avuto l'assoluta certezza di vincere. Dopo un'accurata ricerca nella biblioteca della Rocca, abbiamo trovato i segni di un artefatto magico, custodito in un luogo posto oltre il grande Deserto, tanto antico che di esso si è perso perfino il nome. Custodiva quest'oggetto, l'Uruboros, o lama stregata, una creatura serpentiforme. Si è detta disposta a darcelo, ma c'era una prova da superare. Ho dovuto di nuovo affrontare la Bestia, quel lato oscuro di me che faccio di tutto per sopprimere e dimenticare, ma che è sempre pronto a riafferrarmi. Non è stato facile, ma ce l'ho fatta.

Dopo un altro scontro con le divinità, stavolta facilmente vinto, io e Aster abbiamo ricevuto l'invito al matrimonio tra Lonerin e Theana, i due maghi che mi avevano aiutato nella mia missione. Ho ballato, per la prima volta in vita mia, con il sorriso sulle labbra e i capelli - che sono lunghi come quando vivevo con te, del taglio della Gilda non rimane traccia – sciolti sulle spalle. Stava andando tutto bene, ma io sono Dubhe. Non esiste la pace, al mio fianco.
I soliti dei si erano impossessati del corpo di Nihal, la mezzelfo che aveva salvato il Mondo Emerso. Sono riuscita a scacciare le divinità, ma non ad impedire il suicidio di Nihal quando seppe di aver causato, seppur involontariamente, la morte di Sennar. Perchè io sono Dubhe. La morte non mi ha voluta, quando sarei dovuta morire, e adesso la mia vita si è cristallizzata nel darla agli altri...

Dubhe sbuffò.
Stupida, si disse. Come poteva una persona introversa come lei sperare di trasmettere le sue impressioni su un pezzo di carta?
Rilesse ciò che aveva scritto: semplicemente orrendo.
La sua mano accartocciò con un movimento rapido il foglio, assaporandone il crepitio, e lo gettò nel caminetto.
Fu una fottuta soddisfazione il divampare del fuoco, fu dannatamente appagante vedere quella maledetta pergamena sfrigolare, i suoi bordi accartocciarsi e le fiamme diventare blu mentre li consumavano, le parole svanire come ombre d'inchiostro allo spuntar del sole, e l'intera lettera trasformarsi in cenere.

Di quella pira, l'orrendo fuoco/ tutte le fibre m'arse, avvampò/ empi spegnetelo, o ch'io fra poco/ col sangue vostro lo spegnerò*”, canticchiò divertita, nonostante i toni macabri dell'aria, stiracchiandosi, e andando verso ad Aster.
Fallimento?”
Su tutti i fronti. Chissenefrega, ci sei tu, quando voglio parlare. Non ti ho mai nascosto nulla, e non vedo perchè dovrei iniziare a farlo adesso. È stata un'idea cretina, quella di mettermi a scrivere.”
Quel fallimento la irritava. Non le piaceva lasciare a metà un lavoro iniziato, per esperienza personale sapeva che arrivava sempre il momento di pentirsene. Ma quel foglio carbonizzato non la stupiva particolarmente; non era per natura una ragazza loquace, tendeva ad esprimere sé stessa più con gli atteggiamenti che con le parole. Abitudine, forse. Perchè mentire con il corpo era molto più difficile che mentire con la voce.
Fletté il busto: “Vado a farmi un bagno”, annunciò.
Aster annuì.


____________________________________________________________________-
* Giuseppe Verdi, Il Trovatore

NdAesir: come mia tradizione, vi avverto che eventuali citazioni interne al fanverse (quindi dai libri delle Cronache/Guerre/Leggende) NON saranno segnalate, ma lo saranno quelle esterne al fanverse (quindi per esempio da Alien... anche se non riesco ad immaginare che potrebbe c'entrare ^ ^) Le citazioni interne al fanverse saranno utilizzate in situazioni più o meno analoghe a quelle "ufficiali": invito eventuali lettori a scovarle tutte.
Buona lettura! 

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Capitolo 2
*** Scena Prima (I): SUL CIGLIO DELLA STRADA ***


Scena Prima (I): SUL CIGLIO DELLA STRADA

 

Crimson after crimson sways
Beyond dreams
When we met, fate begins to turn
A secret that no one else knows,
We're falling deeper and deeper and can't go back anymore
Even if we cast away our sin, absolutely

-
sigla diVampire Knight*

Alzò gli occhi e guardò il cielo.
Sì, il cielo.
Lo continuava a chiamarlo così, anche se sapeva che il cielo vero e proprio era centinaia di metri sopra di lei, al di fuori di quella bolla di vetro che era la sua casa. Aveva provato a dimenticare, si era gettata con tutta sé stessa nella politica, gioendo ogni volta che uno dei Nuovi riusciva ad ottenere un ruolo in quella Zalenia che stava lentamente cambiando. Ma, era più forte di lei, non poteva fare a meno di alzare gli occhi, e guardare quei piccoli vortici che si scontravano sulla superficie della bolla di vetro in cui viveva. Era azzurro come il cielo, il mare, ma non ne era che una patetica imitazione. Anzi, sentiva che neanche il colore era quello giusto, che se doveva essere azzurro, allora doveva avere la stessa sfumatura dei suoi occhi. E in quei momenti si sentiva le labbra umide di quell’unico bacio che si erano scambiati. Ce n’erano stati altri, dopo, ma sapeva fin troppo bene che l’unica volta in cui lui l’aveva davvero amata, era stata proprio quella in cui, spaventata, l’aveva rifiutato.
Quando un uomo bacia una donna così, vuol dire che la ama. Ti ho detto di andare via, di tornare da
lei, solo perché volevo che tu fossi felice. Ma lei è morta, da vent’anni, ormai. Dovrei odiarti, perché mi hai fatta innamorare, mi hai fatta attendere come una stupida illusa per tutti questi anni, mi hai tolto la possibilità di amare qualcun altro, perché non sono stata capace di dimenticarti. Ho provato scordarti nel mio lavoro presso il conte, ho provato a lavarti vi con altri abbracci. E invece… Hai detto che sono importante per te, hai detto che per te sono sempre rimasta la ragazza ferma sul ciglio della strada, di quella strada che non hai avuto il coraggio di prendere. Adesso puoi farlo, ti prego! Torna da me, Sennar, io ti amerò per sempre!
Una singola lacrima le scivolò lungo la guancia, andando a cadere sul suo corpetto e stampandovi una piccola macchia circolare. Se tutta la sua vita era stata un tentativo di dimenticarlo, allora essa non aveva ragione di essere. Aveva sentito dire una volta che le azioni sono svincolate dagli ideali che le muovono. Forse era così, di sicuro tutti i Nuovi la vedevano come una benefattrice, e non come una donna terribilmente sola che si era buttata anima e corpo nel lavoro per dimenticare. E, ancora di più, aveva dovuto fare la generosa, lei, gli aveva fatto promettere di essere felice accanto alla donna che amava davvero…

Contessa?”, chiamò uno dei suoi attendenti, interrompendo i suoi pensieri. Lei si voltò, ricomponendosi. Era una donna esile, che, nonostante l’età avanzata, manteneva ancora nei tratti del volto qualcosa di infantile. I suoi capelli, a differenza del candore totale della maggior parte degli abitanti del Mondo Sommerso, presentavano numerose ciocche grigie, un tratto che una volta sarebbe stato una vergogna, ma che ora ostentava con orgoglio, perché era il segno della sua posizione: la prima Nuova a diventare contessa.
Sì?”, rispose.
Ci sono due persone che chiedono di vedervi.”
Ebbene, falli passare.”
Ehm… il fatto è che sono… sono di Sopra…”
Cosa?! Falli passare!”

Parvero cristallizzarsi nell’aria, illuminati dalla luce fredda che filtrava dalle finestre, rimbalzando sulle pareti candide. Le sentinelle si erano disposte sull’attenti, ma una voce cortese ma fredda le gelò laddove stavano: “Fossi in voi riporrei le vostre armi. Non vi servirebbero, anche qualora si giungesse ad uno scontro.” A parlare era stata una ragazza. Si muoveva con scioltezza, e i suoi piedi, poggiati con noncurante accuratezza l’uno dietro l’altro, non producevano alcun suono quando toccavano il terreno. Magra e minuta, tanto che probabilmente non pesava più di cinquanta chili, indossava vestiti da uomo, in toni scuri: una casacca, le cui maniche erano infilate dentro le protezioni di metallo che le coprivano gli avambracci, un corpetto, pantaloni lunghi e aderenti e stivali alti fino al ginocchio; dietro la schiena c’erano i foderi di due spade curve, alla cintura quello di un pugnale, sul petto i coltelli da lancio; un mantello le avvolgeva le spalle esili, e un cappuccio era calato sul viso, coprendone gli occhi e la parte superiore di un volto ovale, da ragazzina, mentre qualche ciuffo di capelli castani sfuggiva dai bordi del tessuto; le labbra erano atteggiate in un sorriso di circostanza, che però, la donna vide, quando si tirò indietro il cappuccio, che non si estendeva, e non aveva neanche la pretesa di farlo, agli occhi grigi, che conservavano uno sguardo tormentato e vagamente triste.
Il ragazzo che stava accanto a lei manteneva la stessa bellezza dolente. Era vestito con una tunica da mago, coperta di fregi, e sul ventre si apriva il disegno di un grande occhio blu. Ed era semplicemente troppo bello per essere reale. I suoi capelli blu notte, lunghi e lisci, la delicatezza dei lineamenti e della pelle alabastrina, le orecchie a punta ne facevano una figura inconsueta e stupenda, ma i suoi occhi verdi erano sconvolgenti. Traboccavano di una vita piena di dolore, esattamente come quelli della ragazza, e gli davano un aspetto molto più adulto di quanto non dovesse essere. Entrambi possedevano una bellezza diafana e innaturale, come se appartenessero a quel mondo solo per metà, e fossero pronti a partire in qualsiasi momento per tornare alle stelle da cui dovevano provenire due esseri di tale splendore. E allo stesso tempo erano impenetrabili. I loro volti erano impassibili, ed era praticamente impossibile dire che cosa potesse essere celato dietro a quelle due paia di occhi così straordinari.

Gradiremmo parlare in privato.” Le parole giunsero inaspettate, ma non del tutto inattese. La donna soppesò accuratamente il rischio: che fosse un artificioso complotto per eliminarla suonava quantomeno improbabile, inoltre se davvero venivano da Sopra, magari avrebbero potuto dirle qualcosa di Sennar…
Fuori”, disse con voce pacata, rivolta alle sentinelle.
Ma… contessa…”
Mi avete sentito? Fuori!” Le guardie si ritrassero, spaventate da quell’ordine improvviso più di quanto non volessero dare a vedere: lei era nota per il suo carattere benevolo. Educatamente, i due si fecero da parte per lasciar uscire gli uomini armati.
La contessa Ondine di Sakana?”, chiese la ragazza, quando la porta si richiuse alle loro spalle. Aveva una bella voce, oltre a tutto. Calma e misurata, fredda.
Sì, sono io”, rispose automaticamente la donna. “Posso chiedervi come siete giunti fin qui? È pur vero che non vigono più le leggi dei tempi della Grande Guerra, ma le nostre strade sono trafficate e controllate, e fatico a credere che due persone che provengono da Sopra come voi non diano nell’occhio.”
Forse”, osservò la giovane, “abbiamo preceduto gli araldi che dovevano annunciare il nostro arrivo. Sì, dev’essere così.”
A Ondine occorse un attimo per metabolizzare quella risposta. “Chi siete?”

Due servitori della Morte. Come tutti, fra l’altro.” Le parve un commento inconsueto, sebbene non del tutto fuori luogo.
Parlate sempre per enigmi?”, indagò, dopo quella risposta sibillina.
Talvolta.” La fanciulla sembrava divertita.
Ondine si prese un momento per riflettere.
Va bene, si disse. Ricominciamo dall’inizio. “Perdonatemi. Sono davvero un’ospite irriguardosa. Sedetevi. Posso sapere i vostri nomi?”
La ragazza declinò l’offerta delle sedie con un cenno. “Io sono Dubhe della Terra del Sole. Possiamo darci del tu?”

Dubhe? La ragazza inseguita dai sicari della Gilda?” Non riuscì a trattenersi.
E questa come lo sa?
, s’irrigidì la ladra, ma subito dopo si rilassò: “Te l’ha detto Ido?”
Sì. Ah, e dammi pure del tu, sì.”
Questa è la mia storia, in effetti. Ma sono successe un po’ di cose, negli ultimi tempi. Non indifferente il fatto che la Setta degli Assassini non esista più, e il tempio di Thenaar sia stato raso al suolo dalle fondamenta.”
E chi è il tuo compagno, che finora non ha parlato.”
Ci siamo.
Il ragazzo aprì appena le labbra perfette, e disse con voce tranquilla.
Io sono Aster della Terra della Notte.”

Dubhe, leggermente in disparte, rivisse il momento in cui aveva visto per la prima volta il Tiranno. Non era altro che un bambino, ma quale orrore le aveva ispirato la sua innocenza, la sua apparente disperazione!
rimase ferma nel silenzio perfetto di quel luogo pervaso da un misticismo insano, da un’adorazione blasfema. Era quello lo spirito richiamato dall’ignoto? Quella l’anima che aspettava il corpo di un mezzelfo?
Si avvicinò tremante, guardò nel globo. All’inizio le sembrò del tutto informe, niente più di una sfera fluida e lattescente. Quando però i suoi occhi si furono abituati a quella luce pallida, intravide il segreto di quell’oggetto. C’era un volto che vorticava nel suo centro, un volto dai contorni indefiniti, che sembrava quasi sofferente. Confuso ma riconoscibile. Era del tutto identico alle statue disseminate ovunque per la Casa.
Dubhe si portò la mano al volto, indietreggiò. Il bambino parve guardarla con occhi liquidi, e il suo sguardo non era iroso, non esprimeva potenza. Era solo triste, oltre ogni dire…

Col senno di poi, si vergognava delle sue reazioni di allora. Aveva giudicato Aster esattamente come gli abitanti di Selva l’aveva giudicata un’assassina. Che stupida che era stata. Non avrebbe mai immaginato, allora, che quel mezzelfo che le incuteva tanto timore sarebbe diventato un giorno il suo ragazzo. Eppure, avrebbe dovuto vedere nella sua tristezza i riflesso dei suoi sentimenti, la muta supplica che portava. Chissà, magari le cose sarebbero andate in maniera diversa. Riportò l’attenzione al presente, a Zalenia…

Aster? Quell’Aster?”, esclamò Ondine.
Quell’Aster, Aster il Tiranno”, replicò con fermezza il ragazzo.
È un po’ difficile credere che siate - Dubhe notò il ritorno alla seconda persona plurale - qui dentro, e così tranquillo, ora. Insomma, siete il Tiranno! Avete ammazzato più persone che chiunque altro nella storia!”
Mia madre mi diceva sempre di essere il migliore in qualunque cosa facessi”, sorrise amaramente lui.
Ondine… non fermarti alle apparenze”, disse la ladra. Suonava molto come un ordine vero e proprio.
La contessa fece scorrere lo sguardo da lui a lei. “Perdonatemi, ma mi sfugge qualcosa. Che cosa ci fa il presunto Messia della Gilda con la persona che per quel che ne so più di tutte dovrebbe rifuggire gli Assassini?”
I due si scambiarono un’occhiata. Sospirarono. “Cominci tu, o comincio io?”

Comincio io.”
D’accordo, eventualmente intervengo se c’è qualcosa da aggiungere.”
Quello che tratteggiarono in circa un’ora fu un resoconto degli eventi di oltre un secolo, dall’ascesa al potere di Aster, del cui dominio fu fornita un’inedita visione ‘dalla parte del cattivo’, alla sua caduta, per poi spiegare la nascita della Gilda e le sue motivazioni, concludendo con un riassunto dei diciotto anni di vita di Dubhe. Si prodigarono di dettagli nei passaggi solitamente evitati dai libri, mentre furono di comune accordo taciuti Uruboros, Altri Dei,
Necronomicon e cose analoghe. Meno gente ne era a conoscenza, meglio era. Alcuni momenti furono… particolari. Per esempio quando Ondine chiese a Dubhe quale fosse il suo lavoro. La ragazza a quella domanda aveva distolto lo sguardo: “Sono una ladra. E una spia. E un’assassina.”
E di rara abilità, aveva commentato l’ex Tiranno. Lei aveva abbassato ancora di più gli occhi: “Non è certo cosa di cui mi vanti, questa…”

Il bisogno di certezze spinge gli uomini a gesti estremi, e quando trovano qualcosa in cui aver fede, non permettono neppure alla morte di contraddirli”, concluse il mezzelfo, quando tutto il discorso fu finito, a mo’ di explicit.
Oh. Che razza di storia”, commentò Ondine.
Già.”
Come faccio a sapere che è la verità?”, chiese, colta dal dubbio.
Sotto i suoi occhi stupiti, lo sguardo di Dubhe si indurì, la posa s’irrigidì di colpo, e la voce le uscì dalle labbra fredda e tagliente: “Ti paiamo persone che raccontano frottole?”, sibilò.

No”, dovette ammettere la contessa.
La ragazza si rilassò, e addirittura le sue labbra s’incurvarono appena in un sorriso sincero. Merce rara, sul suo volto serio. “Ti ringrazio. Sai, sono state dette tante cose, e alcune di queste potranno anche essere vere, ma Aster è una brava persona, lo giuro sulla mia stessa vita. E in ogni caso, la verità è un’illusione. L’unica verità che ognuno di noi può conoscere, dall’inizio alla fine della vita, è che nessuna verità può essere conosciuta, solo le storie che noi immaginiamo siano vere, le storie che sono talmente credibili da riuscire ad ingannare sé stesse. E tutte mentono. Sei tu che devi scegliere a quali bugie credere.”
Ondine colse lo scambio di occhiate che intercorse fra i due, e finalmente, come i pezzi di un rompicapo che all’improvviso vanno al loro posto, capì ciò che li occhi le dicevano da tanto tempo, ma il cervello non riusciva a recepire: “Sei la ragazza del Tiranno?”, chiese, incredula.

Sono la ragazza di Aster, sì”, corresse Dubhe in tono fermo. “Lo amo, come si può amare solo la persona che è lo specchio del proprio più profondo rimpianto. Ho sentito le sue lacrime nelle mie, e lui ha sentito le mie lacrime nelle su, e penso che questo sia ancora più intimo di un bacio, ancora di più di andare a letto assieme. Ma non è solo questo. Quando conosci davvero qualcuno, quando arrivi a vedere il mondo con i suoi occhi e a pensare con la sua mente, non puoi odiarlo. O forse, semplicemente non puoi conoscere sul serio qualcuno finchè non hai smesso di odiarlo. Lo odiavo anch’io, una volta. Perché non lo conoscevo. Una volta che si è assaggiata la perfezione dei sentimenti, non vi si può rinunciare.” Appariva così decisa nella sua affermazione, così sicura nella sua certezza, che la donna non se la sentì di discutere. I suoi gelidi occhi grigi dicevano: non mettermi alla prova,Ondine. Perderesti.
Sei molto saggia, per essere una ragazza che ha a malapena raggiunto la soglia dell’età adulta”, osservò.
I saggi non sono tali perché non fanno errori. Sono saggi perché rimediano ai loro errori non appena se ne accorgono. E, tanto per chiudere, una brava persona non lo è perché non ha mai causato dolore agli altri. Lo è perché si sforza di trattarli meglio che può, e ha la consapevolezza di farlo. E io, personalmente, non ho dubbi che Aster lo sia.”
La contessa non riuscì a trovare falle in quella logica: si rivolse perciò al mezzelfo: ”Quindi non credi più che questo mondo vada spazzato via?”
Aster sospirò: “No, credo ancora che questo mondo sia dannato, e che non riuscirà mai a salvarsi. Ho visto abbastanza della natura umana per poter affermare con certezza che le cose non cambieranno mai. Anche se fossi riuscito nella mia impresa, chi garantisce che qualsiasi nuova razza si sarebbe - forse - creata non avrebbe ripetuto gli stessi identici errori? Alla fine, il problema è sempre questo. Il senso della nostra esistenza supera il tempo della vita.” Chiuse gli occhi, e quando riprese a parlare, Ondine ebbe la chiara impressione che non si stesse rivolgendo a lei, né forse a nessun altro. La sua voce sembrava giungere da molto, molto lontano: “
Il mio nome è Aster, re dei re. Guardatele le mie opere, o voi potenti, e piangete. Niente qui resta.”*
Riaprì gli occhi, e tornò a parlare normalmente: “Però ho smesso di vedere solo il lato negativo del mondo. Forse perché ho trovato sulla mia strada una persona come me, una persona che non avrei potuto corrompere e rovinare, perché veniva dallo stesso abisso nel quale avevo trascorso la mia vita. L’ho amata quando l’ho vista la prima volta, nei sotterranei della Casa, attraverso il contenitore dove aleggiava la mia anima. Lei sa di cosa dico, quando parlo di disperazione e sofferenza, lei è così simile a me che non sarei capace di farle del male, più di quanto non ne farei a me stesso. Ha conosciuto l’orrore dell’uccidere, ma le sue mani sono immacolate. Questa persona si chiama Dubhe, e adesso Dubhe è diventata tutta la mia vita.”
La chiamata in causa chinò il capo, con le guance che le si tingevano leggermente di rosso. Il mezzelfo se ne accorse: “Arrossisci anche, adesso?”, la prese in giro gentilmente.
Il volto della ladra salì di un’altra sfumatura. “Sì, arrossisco”, mormorò, “perché ti voglio bene.”
Ondine li guardò con un pizzico di invidia.
Io e Sennar avremmo potuto essere così…
L’assassina si voltò a guardarla. Sospirò. “C’è un’altra cosa che devi sapere, che finora ti abbiamo taciuto.”
Lo disse talmente a bassa voce che all’inizio la contessa pensò di aver sentito male: “Sennar è morto.”
Ma Dubhe non dovette ripetere. La donna sentì le lacrime che cominciavano a scenderle lungo le guance, ma senza singhiozzi. Forse troppi anni passati a soffrire in silenzio l’avevano resa incapace di piangere davvero. Eppure si sentiva solo più confusa. I due non facevano niente, non sprecavano parole per consolarla, non le si facevano vicini e quello che riuscì a provare fu una muta gratitudine per il loro silenzio e la loro compostezza.
Li vide scambiarsi un’occhiata, vide la mano di Aster serrarsi nervosamente attorno a quella di Dubhe e, inconsciamente, seppe che non era finita. Si preparò al colpo di grazia.

Ha detto che ti ama, che ti ha sempre amata. Che avrebbe voluto mille volte prendere una nave e venire da te, ma che non ne ha mai trovato il coraggio… che avrebbe voluto mille volte, aver avuto il coraggio di tornare indietro, di sollevare fra le braccia quella ragazza sul ciglio della strada e di dirle che la amava.”
Ondine abbassò lo sguardo. “Grazie…”
Dubhe sorrise appena: “Di nulla.”
Si voltarono, dirigendosi verso la porta. “Aspettate!”
L’assassina e il Tiranno si fermarono, senza però girarsi. “Sì?”, chiese lei.

C’è qualcosa di strano in voi, l’ho percepito quando vi ho visti la prima volta… chi siete, veramente? Cosa state cercando di fare?”
Dubhe voltò appena il capo: “Se giochi secondo le regole, non ti sogneresti mai di infrangerle. Ma io non ho voglia di giocare secondo le regole. E quando queste si fanno troppo pressanti, e t’ingabbiano, e t’incasellano, e t’infilano a forza in un’esistenza che detesti con tutta te stessa, l’unico modo per sfuggirle è mettere fine al gioco. Mettere fine a
tutti i giochi. Perché quando i giochi finiscono, nessuna regola vale più.***”
Sospirò e accennò ad Aster: “Stiamo cercando di creare un mondo in cui non ci sia posto per persone come noi due.”
Poi strinse la mano al mezzelfo, e semplicemente scomparvero.
Svanirono come ombre alla luce del giorno, come spettri che camminano al confine fra il mondo dei vivi e quello dei morti.

Andiamo fuori, ho bisogno di prendere un po’ d’aria.”
Le parole della ladra erano giunte all’orecchio di Aster non del tutto inaspettate. Adesso erano lì, seduti sulla terrazza della Rocca, avvolti stretti nei mantelli per proteggersi dal freddo, mentre il sole tramontava nel deserto, tingendolo di colori strani e meravigliosi.

Quando si è tristi”, azzardò il mezzelfo ad un certo punto, “si amano molto i tramonti.”****
Questo commento non provocò alcuna reazione.

Avevo inventato una formula”, continuò, “Magia Proibita, è vero, ma che me ne importava? Era l’unica cosa che riusciva a darmi un po’ di pace – che mi permetteva di rivivere una scena tutte le volte che volevo. Un giorno mi sono seduto proprio qui, e ho visto il tramonto per quarantasette volte di seguito.”****
Finalmente Dubhe distolse lo sguardo dall’orizzonte e si voltò a guardarlo. “Eri molto triste, il giorno delle quarantasette volte?”****
All’improvviso, quando il sole pareva ormai spento, ci fu un unico, splendente lampo di un verde accecante, e per un momento la Grande Terra parve ritornare alla rigogliosità di un tempo.

C’è una leggenda che narra che questa luce sia portatrice di un messaggio degli elfi, il loro ultimo messaggio al mondo, consegnato dal Sole affinché solo chi è puro possa vederlo.”
Dubhe sorrise cupamente: “Tutte le volte che sono passata per di qua, e per quanto ogni volta avessi le mani più sporche di sangue della precedente, il raggio verde è stato qui ad aspettarmi.”

Lo so. Come so che si vede solo qui perché l’aria è limpida e non inquinata dalle attività dell’uomo o dall’umidità. Però certe volte mi viene da pensare che forse è stato messo qui proprio perché noi due lo vedessimo, e che questo sia lo scopo della sua esistenza. Lo capisci, cosa voglio dire?”
La ladra chinò il capo. Lo capiva, sì.

Lo conosco quello sguardo. Cosa c’è?”, le chiese il mezzelfo.
Io? Niente…”, tentò lei. Poi vuotò il sacco: era inutile mentire, perché il ragazzo la conosceva meglio di sé stesso. “Sono così ovvia? Davvero, non è niente. Le solite, sciocche riflessioni sul passato e sulla nostra missione…”
Tacque. Fissò Aster. Il suo sguardo passò si lineamenti delicati, sulla pelle alabastrina, sulle eleganti e sottili orecchie a punta che emergevano dai soffici capelli blu notte. Quando poi si posò sulle labbra leggermente dischiuse, che pur pallide spiccavano sull’incarnato chiarissimo, non si spostò più.
Che bocca da baciare, pensò. Si sforzò di guardare ancora più in alto, perché sapeva cosa vi avrebbe trovato.
I suoi grandi, luminosi occhi verdi la ipnotizzavano. Né nel Mondo Emerso, né nella foresta delle Terre Ignote aveva scorto così tante sfumature di verde. La ragione le diceva che occhi del genere non potevano esistere, ma invece esistevano, eccome se esistevano, e cosa ancora più importante, erano suoi, suoi com’era il ragazzo stupendo che li portava. Aster era davvero bellissimo, in una maniera struggente e delicata che lo univa indissolubilmente a lei. Non riusciva a staccargli gli occhi di dosso.
Io… io lo desidero…

Ogni qualvolta che si sentiva accesa da quel sentimento che li portava a soddisfare le loro voglie, era sempre stato il mezzelfo a cercarla, e mai il contrario, anche quando era lei a sentire quel bisogno. Adesso, voleva, almeno per una volta, essere lei a chiederglielo. Sorrise, un po’ imbarazzata. Si aspettava che da un momento all’altro il mezzelfo le domandasse se si sentisse bene, e invece lui taceva. Si limitava a guardarla. In attesa, capì. E fu proprio la consapevolezza del fatto che lui sapeva, e che aveva cercato anche quella volta di fare il possibile perché lei assecondasse i propri desideri, quella stupidaggine che in quel momento le appariva così importante, che le diede il coraggio di chiedere.
Aster… tu… mi vuoi?”, domandò, esitante e rossa in viso.
Il ragazzo le posò le mani a coppa sulla curva del seno e la strinse a sé, le poggiò il capo nell’incavo della spalla, per poi girarlo appena, quel tanto che bastava a baciarle la pelle morbida del collo. La sua mano afferrò delicatamente il ciuffo con cui terminava la treccia e lo usò per solleticarla sotto la gola, facendola sorridere. Le prese il volto fra le mani, piano, e le posò un bacio sulle labbra. Fu dolce, tanto, tanto dolce.

Sì…”, le giunse sussurrata la risposta.
La ladra gli strinse la mano fra le sue, e se la premette sul petto: “Ascolta il mio cuore, Aster. Lo senti?”
Lo sentiva. Batteva frenetico, come le ali di un uccellino intrappolato nella gabbia delle costole. La sua voce era morbida e gentile, così diversa dalla sua usuale freddezza. Senza bisogno di controllare, sapeva che le sue guance si erano tinte di rosso. Bastava che lui sfiorasse il suo corpo per farle quell’effetto?
Non aveva importanza.
Niente
aveva più importanza.
È tuo”, gli sussurrò, appoggiandosi contro di lui.
Lasciò che Aster la prendesse in braccio, e iniziasse a salire le rampe di scale. Quando però superarono il piano dove abitualmente dormivano, Dubhe tirò su la testa. “Dove stiamo andando?”

In soffitta”, sorrise lui.
L'assassina s'accigliò appena: “Non sapevo che la Rocca avesse una soffitta.”

È ovvio. Tutte le dimore cupe e tenebrose ne hanno una.”
Ehi, Aster… sono quattordici anni… quasi quindici… che ho imparato a camminare…”
Tranquilla, non è che pesi così tanto…”

Quando finalmente il mezzelfo la depositò al suolo, la ragazza si guardò intorno. Pavimento in legno, soffitto spiovente, travi a vista. Soffitta.
Va bene, avevi ragione.” Tamburellò con il piede sul pavimento: “Non è un po’ scomodo?”
Non così…” Aster allungò la mano e le slacciò il fermaglio che teneva legato il mantello, drappeggiandolo con cura per terra.
Dallo sguardo che hai… quant’è che volevi farmi una cosa del genere?”
Un lieve tintinnio, e il laccio di cuoio scivolò per terra. Un dito si insinuò nella treccia, separandole i capelli, lentamente, dolcemente, finche la morbida chioma castana non le ricadde sulle spalle, e da lì lungo la schiena. Un bacio la raggiunse dietro all’orecchio. “Mmmh… troppo per quantificarlo…”
Il mezzelfo si distese accanto a lei. La casacca da mago si abbassava in corrispondenza dell’occhio blu che vi era disegnato, e le braccia che emergevano dalle maniche erano forti, ma sottili e nervose. Al di sotto di quella veste, si indovinava il corpo magro e dinoccolato di Aster. Dubhe sorrise: quello era il ragazzo che amava.
La ragazza si tirò su, bilanciandosi sui talloni. Slegò i foderi delle spade e quello del pugnale, si tolse le cinture dei coltelli da lancio, depositò a terra la faretra e l’arco, mise da parte il sacchetto che conteneva la cerbottana e i dardi, poggiò a terra con cura la scatola piena di sonniferi e veleni mortali. Come al solito, l’ex Tiranno rimase stupefatto dall’arsenale che l’assassina si portava addosso. Lei raccolse tutti quegli oggetti per metterli da parte. Una mano guizzò per raccogliere un coltello che stava scivolando fuori dalla sua guaina e lo posò di nuovo in cima al mucchio. Dubhe si voltò per ringraziarlo, ma non vide nessuno. Appoggiò con cura le armi da un lato, e si guardò intorno. “Aster?”
Un bacio la raggiunse alla nuca, poi sull’orecchio. “Sei così bella…” La ladra si voltò, infilandogli le mani sotto alla casacca, sfilandogliela e rispondendo alle effusioni. Quelle del mezzelfo, invece, dopo averle accarezzato a lungo la schiena e le scapole, ben evidenti anche sotto gli strati di tessuto, stavano indugiando sui suoi fianchi da… qualche secondo.
Troppo, per gli standard di Dubhe.
Cercò di usare quella parte razionale della sua mente che ancora era in funzione per capirne il motivo, poi, quando ci arrivò, le venne da ridere per la sua semplicità.

Aster”, disse, staccandosi da lui. Il ragazzo la guardò: “Va tutto bene?”
”Sì. Aster, questo è l’altro corpetto. Per togliermelo, devi slacciare il legaccio più in basso, ricordi?”
Non l’avesse mai detto! La mano del mezzelfo, dal fianco, prese ad accarezzarle il fondo dei calzoni: “Non così in basso”, mugolò la ladra.
”A me va benissimo…”
La ragazza sorrise e si infilò un dito nella fibbia della cintura, slacciandola piano: “E così… non è meglio?”
In quel momento il legaccio venne nel modo giusto, e il corpetto venne liberto. L'ex Tiranno non si limitò ad aprirlo, e lasciare che le cadesse di dosso, ma accompagnò con una dolcezza che era solo sua l'abito giù dalle sue spalle esili e lungo i fianchi. Non c'era mai nulla di brusco nei suoi movimenti quando la toccava, anzi. Fu una delicatezza senza pari, quella che le piegò le braccia per sfilarle la casacca, che adagiò al suolo. Dubhe era lì, in ginocchio, gli occhi chiusi, come un gatto che fa le fusa, solo sentendo le dita sottili sfiorarle il corpo. Aster si chinò su di lei e le baciò l'ansa della gola, e scese lungo il suo collo, seguendo il sangue che scorreva appena sotto la sua pelle, e poi tornò su a ripetere il tragitto, quasi avesse scordato un bacio e non gli venisse in mente quale, mentre con le amni cercava il tepore del suo petto. Poi rimase un momento a contemplarla nella sottoveste trasparente di garza bianca. L’abito si gonfiava sotto le forme minute dei suoi seni, accentuati dallo spasmodico alzarsi e abbassarsi del suo petto, alla ricerca di un'aria che sembrava non bastarle mai, seguiva i contorni della gabbia toracica e poi si abbassava in corrispondenza del ventre snello, fino ad incontrare la sagoma del bacino, lasciando qualche centimetro di pelle scoperta fra l’orlo della sottoveste e i pantaloni di pelle che Dubhe indossava. Le clavicole e la base del collo erano rimasti improvvisamente esposti, ma non fecero a tempo a raffreddarsi che un bacio del ragazzo provvide a scaldarli. “Ma quanto, quanto carina sei, vestita così…”, le sussurrò, insinuante.

Svestita così, prego. Questi me li tengo?”, chiese Dubhe, tirandosi i guanti con i denti.
Se questo è il tuo desiderio…”
La ladra lo guardò e deglutì. Il mezzelfo era nudo, completamente. Il corpo magro e la carnagione diafana trasmetteva un’idea di estrema delicatezza. Allungò una mano e gli accarezzò la spalla, poi da lì percorse il torace nervoso e il ventre piatto. Lui la lasciava fare, con un sorriso sulle labbra. “Sei proprio carino anche tu”, gli sussurrò Dubhe, sentendo le parole che lottavano per farsi strada nel tumulto che la vista del corpo del ragazzo suscitava dentro di lei, e uscirle dalla bocca, arrossendo mentre glielo diceva. Gli si fece più vicina, sedendosi sulle sue gambe. Gli poggiò le mani dietro alle scapole, e gli baciò la pelle liscia e vellutata, prima sul petto, poi sotto la gola. In breve tempo i suoi gesti si fecero più sicuri e più vogliosi. Lo strinse a sé, schiacciandosi addosso a lui, così che il ragazzo potesse assaporare il suo corpo come lei si stava godendo il suo.
Cadde sulla schiena, tirandoselo dietro. Alzò lo sguardo e lo vide incombere sopra di lei, bello come nient'altro al mondo.

Ultimi desideri?”, ansimò Aster.
Dubhe se lo tirò addosso: “Cos'altro dovrei desiderare?”
Le mani del mezzelfo le accarezzarono le ossa sporgenti del bacino, ben evidenti anche sotto il vestito leggero che indossava, tracciando con le sue dita esili una serie di circoli senza né capo né fine sulla superficie morbida della sua pancia. Seguirono una serie di baci sul collo e, senza sapere come, la ragazza si ritrovò con il volto di Aster premuto contro il seno, mentre la mano di lei era affondata nei suoi soffici capelli di un blu profondo come la notte limpida che regnava fuori di lì. Poi il mezzelfo si spostò, immergendo il viso nel castano dei capelli della ladra. Ne prese una ciocca fra le labbra, inspirandone lentamente il profumo.
Le circondò la vita, poggiando una mano sulla schiena, l’altra sull’addome: “Dei…”, sussurrò. “Sei così sottile…”

Questo perché tu hai le mani sottili”, sbuffò lei, ma si vedeva che era notevolmente soddisfatta di piacergli.
No, perché questo corpo ti rappresenta benissimo per quella che sei… perché questa sei tu… la persona migliore... che io abbia mai conosciuto…”
“…Dubhe…” Suonava come una musica celeste, come un coro di angeli… quanto, quanto bello era il suo nome, pronunciato dalla persona che amava!
Sì, Aster?”
Un respiro lieve lieve nell’orecchio. La sua bocca le sfiorò il lobo, e le parole giunsero come carezze: “Sei perfetta… perfetta… perfetta… e io ti amo…”
Vorrei poter tornare vergine per perderla di nuovo con te.
Glielo disse e il mezzelfo si strinse a lei con un sorriso e le ripetè
sei perfetta, mentre i pantaloni le scivolavano lungo le gambe snelle.
Di colpo, senza alcun preavviso, Aster si scostò dal suo corpo e le prese con gentilezza la sinistra, stringendola nella sua mano e se la portò al volto, senza smettere di accarezzargliela. La giovane assassina chiuse gli occhi al sentire il suo fiato caldo inumidirle la cute, e le sue dite fresche che le sfioravano più e più volte la pelle della mano. Lui le carezzò il palmo con la bocca, le baciò le falangi una ad una, le passò la lingua sui solchi delle nocche e sfiorò la lieve peluria del dorso con le labbra. Le risalì piano il braccio, finchè non giunse all’incavo del gomito, dove le tracciò i contorni del sigillo, prima con l’indice, poi con la lingua.
Lei sobbalzò, e il mezzelfo si scostò leggermente: “Tutto a posto?”, le chiese. Era bellissima, con la pelle pallida in netto contrasto con il mantello scuro, il castano della chioma e quell’abito sottile, che bagnato di sudore le aderiva alle morbide curve del corpo. Dubhe scosse la testa, un gesto dolcissimo che la fece apparire per un attimo la bambina che era stata. I capelli le finirono sugli occhi, e lasciò che lui glieli scostasse con le dita. Sorrise, come un’adolescente qualsiasi alla prima notte. “Sì… è solo che è… - allungò la mano e sfiorò il simbolo sul braccio del mago - ...strano. Non ho detto spiacevole, soltanto… beh, strano.” Aster le sorrise di rimando: era una ragazza senza veli, diretta, e in fondo gli piaceva anche per quello. Le poggiò un bacio al centro del sigillo, poi tornò ad accarezzarle la mano. La ladra lo strinse a sé in un abbraccio, tremando appena, e le mani del ragazzo furono rapide a scivolare sotto quell’ultimo, sottile indumento che indossava, passando sopra alle costole sporgenti e stringendosi alla carne morbida.

Giaci con me, e lava mia la mia sofferenza. Prendimi, e fammi dimenticare ciò che sono stata. Diventa parte di me, e cancella tutti i miei ricordi, quei ricordi che possono portarci solo del male. Su, rimetti insieme il mio cuore disgregato dal fato, e poi poggia la tua testa sul mio corpo e tienimi stretta a te. È ciò che voglio, è tutto ciò di cui ho bisogno. Amami, Aster, amami e non lasciarmi mai andare, perché sei tutta la mia vita e altro io non possiedo.
Aster! Sei mio! Ti amo!

Se quelle frasi le avesse bisbigliate, pronunciate oppure urlate, o se magari, delineate nella sua mente, non avessero mai lasciato la sua bocca, non avrebbe saputo dirlo neanche lei.
Si strinse più forte al mezzelfo.
In fondo, faceva tanta differenza?

Quelle parole sussurrate che le dicevano ti amo. La dolcezza delle sue mani che le accarezzavano la schiena. Il calore della sua stretta e del suo respiro sul collo. La morbidezza delle sue labbra sulla pelle. Il sapore dei suoi baci nella bocca, e ovunque.
Due smeraldi riflessi negli occhi, un nome sulle labbra, il cuore in tumulto. Morire e rinascere, in un ciclo senza fine. Dubhe chiuse gli occhi e si abbandonò, l’inferno della sua mente dimenticato, e di nuovo in paradiso.

E ne volle ancora.
E ancora, e ancora, e ancora…

_______________________________________________________________
*Non l'ho messa in lingua originale per favorire la comprensione. Basta che scriviate su youtube "vampire knight sigla iniziale"
** Percy Bisshe Shelley, Ozymandias (nell'originale è ovviamente My name is Ozymandias, king of kings: Look on my works, ye Mighty, and despair! Nothing beside remains
***
Per l'ennesima volta, ispirato a Il gioco di Ender di Orson Scott Card
**** Naturalmente Il piccolo principe

Giuro che i buoni propositi di non far combinare loro niente c'erano tutti. però erano lì che mi guardavano e ho pensato: "Massì, con la vita che hanno avuto, concediamogli un po' di svago..."
Così è nata la breve storia di come finiscono a letto Dubhe e Aster.
Per i prossimi capitoli, temo dovrete aspettare. li ho pronti tutti fino al 5, ma vorrei scrivere un po' e vedere come si evolve la situazione prima di postarli.
Saluti a tutti i lettori - anche da parte dei due di cui sopra ^ ^

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Capitolo 3
*** Scena Seconda (II): I VOLTI DI MAKRAT ***


Scena Seconda (II): I VOLTI DI MAKRAT

 

Destroy this city of delusion
- Muse,
City of Delusion

Sbrigati! Sta crollando tutto, qui!” Quasi a sottolineare le sue parole, una grondaia assurdamente sporgente si staccò e precipitò al suolo, finalmente vittima delle leggi della gravità.
Ci sto provando… Ahi! Credo di essermi slogato una caviglia!”
Non riesci a guarirti con la magia?”
L’ho esaurita!”
Un cornicione si sgretolò dinnanzi ai loro occhi, compiendo in pochi secondi il lavoro di millenni.

Dannazione, e io da qui non posso fare niente! Pensi di farcela ad issarti a forza di braccia?”
Penso di sì… anzi, devo.”
Una corda scivolò al suo fianco.
Si arrampicò. Una mano dopo l’altra.

Forza, Aster, ancora poche spanne!” La sua voce tradiva la disperazione.
Le mani gli bruciavano come se avesse maneggiato del materiale ardente, la presa si faceva sempre più difficile… sarebbe scivolato…

Dai, ci sei quasi!”
All’improvviso avvertì un fortissimo strattone ai capelli.

Scusa!”, esclamò la ladra, tirandolo oltre il bordo del cornicione. Aster sforzò le braccia e superò la sporgenza, poi si accasciò sulla sabbia, incapace di fare alcunché. Un lieve tonfo gli annunciò che Dubhe aveva fatto altrettanto. Con una parola lei gli guarì la caviglia.
Grazie”, le disse a fatica.
La ragazza lo guardò, ansante. Le mani le bruciavano, laddove la corda le aveva sfregate, si sentiva gli addominali a pezzi, per lo sforzo di stare prostrata al suolo per issare il peso del mezzelfo, da come le formicolavano aveva seri dubbi che le gambe fossero in grado di reggere il suo peso, e nessuna voglia di sperimentarlo, e quanto ai muscoli delle braccia, il dolore doveva essere tanto grande che il suo corpo rifiutava semplicemente di quantificarlo, facendole percepire semplicemente una sorta di indolenzimento generale. Ma era un’illusione: sapeva benissimo che la mattina seguente avrebbe pagato con gli interessi. Con un certo sforzo, aprì la mano, lasciando svolazzare sulla sabbia un ciocca di capelli blu notte, che si sparsero sul terreno come frammenti di cielo caduti in terra. “Di... nulla...”, riuscì ad articolare dopo un paio di respiri profondi.
Rimasero per un po’ in silenzio, incapaci di dire o fare alcunché, finchè la ladra non riprese: “Fammi…”
Fu costretta ad interrompersi a causa di una fitta all’addome che la fece piegare in due, gli occhi sbarrati e lacrimanti. Con una smorfia si passò una mano sul ventre dorante. “Fammi vedere le mani”, boccheggiò infine. Aster, sorpreso, si limitò a tendergliele senza domandarsi il perché. La ragazza trasalì: “Perché non me le hai fatte vedere prima?”, esclamò.
I palmi erano attraversati da una linea esangue, mentre tutt’intorno la carne era coperta di piaghe che stillavano sangue. Il liquido rosso gli scorreva in sottili rivoli lungo i polsi, e aveva già macchiato la casacca e creato una piccola pozza per terra. Dubhe non attese neanche la risposta, e lo guarì come aveva fatto per la caviglia. Poi gli posò un bacio su ciascuno dei palmi. “Per sopportare il dolore”, gli mormorò.
Aster sorrise: ogni occasione era buona, per scroccare un bacio alla bella ladra.
Dopo un po’, quasi di comune accordo, si tirarono entrambi in piedi, gemendo e ondeggiando come se fossero stati ubriachi. Erano stanchissimi e i muscoli gli facevano un male da morire, ma non sembravano feriti gravemente.

Questa volta c’è mancato poco”, osservò Dubhe. Il mezzelfo annuì: non potevano morire, certo, ma la prospettiva di rimanere sepolti per chissà quanto sotto cumuli di macerie non era molto allettante. Le passò una borraccia, che la ladra aprì, bevendone una buona metà e versandosene il resto in testa, inzuppandosi per bene i capelli e i vestiti. Aster, compreso il ragionamento dell'assassina, la imitò. Il silenzio fra i due riprese, mentre erano persi nelle loro riflessioni.
Avrei dovuto pensarci, cazzo!”, sbottò la ragazza all'improvviso.
Pensare a cosa?”, chiese Aster, colto di sprovvista.
Che un edificio basato sulla magia, una volta che la fonte che la sosteneva fosse venuta meno, avrebbe seguito un uguale destino. Avevo davanti agli occhi l’esempio della Rocca…”
Scosse la testa: “Cretina che non sono altro.”

Non potevi certo prevederlo.”
Avrei dovuto”, mugugnò lei, scontenta.
Aster scelse di tacere. Aveva imparato, dalla sua frequentazione della ragazza, che era inutile cercare di abbattere le muraglie che erigeva attorno a sé quando si metteva in testa qualcosa. Sarebbe bastato aspettare un poco, e sarebbe venuta lei stessa a far capolino timidamente alla porta.
Dubhe chinò il capo e si strofinò la mano sulla bocca, in muta riflessione. Il mezzelfo seguì affascinato la punta dell’indice, che abbassava leggermente il labbro inferiore ad ogni passaggio.
Quant’è carina…, pensò. Avrebbe voluto baciare quelle labbra così morbide e invitanti, sentirla ricambiare con passione e cancellarle le inquietudini dal volto… ma sfruttò tutto il suo autocontrollo per trattenersi. La conosceva abbastanza bene per sapere cos’avrebbe apprezzato di più, e in quel momento era lasciarla tranquilla così che si rendesse conto di non avere colpa alcuna. Mentre il profumo fresco del suo corpo gli riempiva le narici, gli sembrava quasi di vedere le rotelle nella sua testa girare, vagliando una ad una le possibilità. Chissà se riuscirò ma a dare la pace a questa testolina inquieta, si chiese.
Infine la ragazza sollevò il capo, scostandosi i capelli dagli occhi: “No, non avrei potuto prevederlo”, ammise.
Sorrise timidamente e strinse una delle mani del ragazzo nella sua.

Rimasero lì, mano nella mano, ad osservare davanti a loro, mentre si disfacevano le rovine del tempio di Thoolan, il Tempo.

I suoi piedi poggiavano senza rumore al suolo, un mantello nero le ondeggiava sulle spalle e il cappuccio alzato celava il suo volto ai passanti.
Casa.
Dubhe represse con stizza quella sensazione. Casa era la Grande Terra, casa era la Rocca, casa era il cuore di Aster che batteva contro il suo orecchio. Eppure era lì che era iniziata tutta la storia, era lì che aveva compito quel fatidico furto e si era trovata maledetta, era lì che si era consumato il suo amore per Learco. Era il luogo in cui aveva a lungo sognato un’esistenza normale, una vita come le tante che aveva spiato durante le sue indagini. Nella sua solitudine,
indagare era diventato un modo per sognare la vita, per vederla e sfiorarla almeno per un attimo. Si sentiva come un essere del sottosuolo, che poteva intravedere le attività degli uomini solo attraverso le fessure del pavimento. Quante volte, quando dentro di sé si era sentita profondamente stanca, aveva sognato di svegliarsi sempre nello stesso letto, trovarsi un uomo da amare, e smettere di condurre un’esistenza senza scopo e braccata. Normalità. Ma si era trattata di un’illusione, Quella non poteva essere la sua vita, e quella non poteva essere lei. Lei era diversa, e lo sarebbe sempre stata. Anche da bambina, prima che iniziasse tutto, lo era stata. Ricordava d’aver sentito, una notte che si era svegliata, sua madre discutere con suo padre, dirgli che percepiva qualcosa nella figlia, qualcosa che non comprendeva, ma che si sarebbe coagulato di lì a non molto, quando la tragedia avrebbe distrutto le loro vite. Era curioso, però, che i suo sogni, a modo loro, si fossero avverati. La normalità poteva essere solo accanto ad una persona altrettanto diversa.
Aster.
Serrò gli occhi scuri e sentì una mano stringerle comprensiva la spalla. Quando li riaprì, era tutto passato. La Terra del Sole si apriva sotto i loro occhi in tutta la sua magnificenza. Era un luogo opulento, e sembrava amare dar sfoggio della propria ricchezza. Ogni città era organizzata attorno ad un imponente palazzo, che si apriva sulla piazza deputata al mercato, l’unico spazio aperto che quelle città intricate in un dedalo di viuzze si concedesse. Ovunque, lussuosi palazzi, stucchi dorati, statue, fontane, botteghe. E tutto questo si condensava in Makrat, l’opulenta capitale, che sembrava essersi data l’obiettivo di risultare la più sfarzosa fra le città del Mondo Emerso. L’altra faccia della medaglia la si vedeva nelle periferie, dove sorgevano i sobborghi deputati alla residenza dei poveri. Lì c’erano le abitazioni degli sconfitti della guerra, dei profughi delle Otto Terre che avevano perso tutto, in quei trentacinque anni di dominazione. Esseri di tutte le razze, e soprattutto fammin. Fammin, i mostri combattenti creati dal Tiranno, o i loro discendenti. Creature che un tempo avevano fatto tremare quelle stesse persone che ora li guardavano con disprezzo. Fammin che ora si chiedevano se non fosse stato meglio durante la Grande Guerra, quando bisognava soltanto uccidere e il mondo era immensamente più semplice. Perché, legati con la magia al loro creatore, erano stati concepiti con il solo scopo di uccidere. Dopo la caduta del mezzelfo, i erano rifugiati, impauriti, spaesati e soprattutto consapevoli di sé, nella Terra dei Giorni, dove Nihal era andata personalmente a rassicurarli, concedendo loro la terra che era stata dei suoi avi.
Cinque anni, era durata la pace! Poi era arrivato Dohor, che con i suoi intrighi era riuscito ad impadronirsi delle loro case, e a nulla erano valsi gli sforzi dello gnomo Ido e della regina Aires per aiutarli. Si erano trovati profughi, disprezzati da tutti; pochi erano riusciti a ritagliarsi qualche umile occupazione quale poteva essere la manutenzione della carrucole di Barahar. In quell’umiliazione, dopo anni e anni, era apparsa lei. Una ragazzina triste e tormentata, ammantata di nero, che percorreva quei vicoli con aria disperata, un nome a fior di labbra:
Maestro. Quella giovane era in qualche modo profondamente diversa da tutti gli altri. Non i disprezzava, né li compativa. Piuttosto, sembrava cercare in loro un palliativo per un dolore troppo grande, un dolore che forse nessuno sarebbe mai riuscito a capire; e la razza dei fammin non riusciva a sentirsi umiliata da lei, perché quando cappuccio le scivolava sulle spalle, quando si chinava, e mostrava i suoi occhi grigi, vi leggevano un dolore che somigliava fin troppo al loro.
E alcuni avevano visto le statue, di quella nuova eroina che si diceva fosse grande quanto Nihal o forse anche di più, ma, forse, abituati com’erano alla loro condizione, si erano lasciati scivolare la cosa addosso, senza farvi caso. Ma la riconobbero, la ragazza, Dubhe era il suo nome, quando ricomparve dopo un anno, in compagnia di un mezzelfo che mostrava il suo stesso sguardo triste, e disse che potevano ritornare nella Terra dei Giorni, che erano stati adibiti degli spazi per loro, vicino alle sorgenti e ai luoghi fertili, e abbandonarono ben volentieri i loro miseri giacigli, sotto gli sguardi adirati di chi aveva fatto fortuna sulla loro schiavitù, e che ora se li vedeva scivolare sotto il naso, perché Dubhe e Aster avevano giurato di sgozzare personalmente chiunque abusasse ancora di loro.
Partirono, portando con sé la promessa di erigere una statua a quell’eroina, quando si fossero stabiliti nella loro nuova città. E sorse davvero quella statua, la più grande di tutte quelle costruite fino ad allora, alta più di quaranta piedi. La raffigurava avvolta nel suo mantello, come l’avevano vista tante volte, mentre si chinava, sul volto lo stesso sorriso disperato e allo stesso tempo incoraggiante, carico di promesse, di illusioni, in verità, allora, di un futuro migliore. Gli occhi erano uguali, due pozzi pieni di malinconia, di quella dolce tristezza che sembrava contraddistinguerla. Una ladra, un’assassina e allo stesso tempo una ragazzina disperata. E accanto a lei stava Aster, a braccia spalancate, in una posa che – età permettendo – avrebbe ricordato le molte statue raffigurate nel Tempio di Thennar, se non fosse stato per un dettaglio, che il passante non avrebbe notato ma che all’osservatore attento non sarebbe sfuggito: sorrideva.
Sotto, incise nel basamento, le parole che Dubhe e quel mezzelfo carico di rimpianti, venuto a scusarsi per il proprio passato, avevano pronunciato in quell’occasione, ricordate da un vecchio fammin dal pelo ormai grigio argento, quando avevano chiesto perché facessero questo per loro:
Non siamo fatti per condividere l’odio ma l’amore.*
Alcuni dissero di aver visto delle lacrime imperlare gli occhi grigi di Dubhe, quando aveva alzato gli occhi per guardare la statua, ma, se fosse la verità o meno, nessuno poteva confermarlo. Corsero però voci che le messi dei fammin fossero sempre abbondanti, i loro animali godessero di ottima salute, e che le malattie svanissero nottetempo. Anche questa, tuttavia, poteva essere una diceria senza fondamento.
In fondo, il Mondo Emerso è pieno di storie, ma nessuna era altrettanto grande di quella che stavano scrivendo Dubhe e Aster, intingendo la penna nella loro sofferenza e nella loro gioia, nel loro dolore e nel loro amore.

Odio Makrat”, sibilò fra i denti la ladra.
Ti capisco”, sospirò il ragazzo, accanto a lei.
I contrasti non avrebbero potuto essere più evidenti. A poche centinaia di metri dai primi, seppur periferici, edifici principeschi, la strada non era altro che un vicolo angusto e maleodorante. Le case erano baracche fatiscenti con il legno impregnato d’acqua, oppure alla meglio grossi casolari popolari dalla vernice scrostata, che sembravano prigioni. Due ragazzine vestite di broccato, dame di corte, forse, passarono, guardandosi disgustate intorno, ma gli occhi gelidi dell’assassina le trafissero con talmente tanto disprezzo che si allontanarono in fretta, coprendosi i volti con i ventagli e sentendosi profondamente colpevoli, anche senza capirne il motivo preciso. C'era qualcosa in quello sguardo che faceva venir voglia di girare al largo dalla sua proprietaria. O forse, chissà, era quella divisa nera, non nascosta ma ostentata. Un'ombra che camminava alla luce del giorno.

Non c’è niente da dire”, sbottò Dubhe. “Certa gente si merita proprio di essere derubata.”
Quanto rari erano i benestanti, tanti erano i mendici. Ce n’erano ovunque, che si avvicinavano ai passanti, supplicandoli di dar loro qualcosa. Il più delle volte erano ignorati, ma non era raro che venissero scacciati a calci. Per terra, aggirato o scavalcato dai passanti che lo trovavano sulla loro strada, stava il sudario lercio di uno dei tanti poveri che non potevano permettersi un servizio funebre adeguato. Aster sentì la mano della ragazza serrarsi sul suo braccio: “No è necessario che guardi, se non vuoi…”, le sussurrò, ma lei non distolse gli occhi. “E invece bisogna guardare”, rispose, atona. “Perché queste sono le ultime scintille di vita che restano in questa Terra.”

Non è cambiato nulla dai miei tempi…”
Dubhe rise amaramente, ma il mezzelfo sapeva che non ce l’aveva con lui: “Certo, cosa credevi? Il volto delle vittime è sempre lo stesso, ovunque. È l’essenza di questo mondo, prendere ciò che c’è di buono e corromperlo irreparabilmente. Questa è la Terra del Sole: lucida fuori, marcia dentro.”
Al centro della strada - anche se era un gran complimento definirla tale - scorreva un rivolo di acqua putrida e piena di liquami, sulla quale cavavano da un punto all’altro grosse mosche nere. L’aria era impregnata di un fetore nauseabondo: mucchi di rifiuti che si decomponevano, vivai di intere generazioni di striscianti e repellenti creature, ma anche poveri alimenti che venivano cucinati e panni sporchi appesi ad asciugare. Poi c’era un odore forte e penetrante, acido, differente dagli altri: proveniva da una conceria. Dall’edificio uscivano i lamenti dei servi costretti a immergere le mani nelle sostanze ustionanti.

Dovrebbero costruire mura più spesse”, osservò alla compagna una donna di mezza età vestita con abiti assurdamente sfarzosi: dovevano essere entrambe mogli di mercanti arricchitisi tanto da comprarsi un titolo nobiliare.
Aster soffocò un gemito mentre le unghie di Dubhe gli si conficcavano nel braccio, ed era certo al cento per cento che, anche se non la vedeva, l’altra mano della ladra s’era serrata attorno all’elsa della spada o del pugnale, e che stava facendo uno sforzo tremendo per trattenersi dallo sguainare l’arma e fare un massacro. I suoi occhi grigi seguirono le due donne finchè non scomparvero dal suo campo visivo, ignare di quanto fossero andate vicine a fare una morte orrenda.
Solo allora si tranquillizzò. Rilassò la presa e sobbalzò nel vedere le proprie unghie macchiate di sangue. Con una mossa fulminea tirò su la manica della casacca del ragazzo e ne scoprì il braccio, rivelando cinque piccoli segni rossi.

Aster!”, esclamò. “Perché non mi hai fermata?”
Non mi hai fatto male”, minimizzò lui.
Non è vero. Non sei bravo a mentire”, s’imbronciò Dubhe.
Questo perché tu sei troppo brava a leggere nell’anima delle persone.”
Ah, sì? E allora perché non riesco a leggere nella mia?”, chiese lei, con uno sguardo triste.
Ci sono io, per questo.”
Lei si prese un momento per riflettere: “Sì, hai ragione. Io… non so cosa mi sia preso. Non è da me perdere le staffe in quel modo.”
Aster sorrise: aveva più volte ammirato la straordinaria lucidità dell’assassina anche nelle situazioni più disperate. “E questo tu lo chiami ‘perdere le staffe’? Beh, mettiamola così: io avevo una bella Formula Proibita pronta ad uscirmi di bocca, un incantesimo che avrebbe distrutto completamente questa città di delusione - tranne noi due, ovviamente - e giuro che l’avrei usato, se tu non mi avessi così provvidenzialmente piantato le unghie nel braccio. Come vedi, non sei la sola a dover lottare contro certe pulsioni.”

No”, ammise Dubhe. “Ma giuro che qualcuno pagherà per tutto questo.”

Il vociare confuso li raggiunse prima di ogni altra cosa. La ragazza fu fulminea: afferrò il mezzelfo per un braccio e lo tirò in un vicolo. Gli calò meglio il cappuccio sul volto, controllando che fosse completamente coperto, e fece altrettanto con sé stessa. Aster ricordò perché alla giovane ladra piacessero tanto quei mantelli: con un gesto potevano scomparirvi dentro.
Mi ero dimenticata che di là non passiamo. Oggi c’è mercato”, sibilò lei.
Non dovrebbe essere un problema”, osservò l’ex Tiranno. “Siamo coperti e non dovrebbero riconoscerci.”
Certo, come no. Tu con i capelli blu e io con il mio viso in ogni piazza.”
Pensavo ti piacessero i miei capelli”, si finse offeso Aster.
Dubhe addolcì il tono. “Certo che mi piacciono. È solo che ti rendono un po’ riconoscibile.”

Devi insegnarmi a renderti invisibile come fai tu.”
Me l’hai già chiesto, e ti ripeto che non so come si faccia. È una cosa che mi accade spontaneamente.”
Ovviamente, i due non stavano parlando di vera invisibilità. No, quella che la ladra sapeva mettere in pratica era più che altro una specie di abilità mimetica. Calandosi il cappuccio sul volto, stringendosi nel mantello e camminando fra la folla, Dubhe sapeva rendersi così insignificante agli occhi dei passanti che la maggior parte di loro la dimenticavano dopo averla vista, e il resto ne serbava un ricordo confuso. Certo, da quando le sue statue erano apparse un po’ ovunque, la cosa si era fatta un pochino più difficile, ma non impossibile.

Aspetta”, si bloccò la ragazza, un dito sulle labbra. “Mi sa che stiamo parlando di due cose diverse. Ci siamo fraintesi a vicenda, Aster: ho detto che non si passa, nel senso letterale del termine.”
Ah”, commentò il mezzelfo. “Ho capito. E dunque?”
Nei vicoli”, spiegò lei. “Faremo in un attimo.”

Il ragazzo diede un’occhiata a Dubhe. Appollaiata su una sedia, le ginocchia tirate al petto, stretta nel mantello, sembrava un doccione di un edificio gotico. Era notevole, il suo sforzo di mantenersi distaccata, eppure tutti, in quella stanza, le tenevano gli occhi nervosamente puntati addosso.
Senso di colpa
, si disse Aster. L’unica persona che sembravano temere di più della giovane ladra era lui stesso. Eccezion fatta per il giovane reggente, un lontano cugino di un ramo cadetto della famiglia reale, che aveva una casuale, seppur spiacevole, rassomiglianza con Learco. Dallo sguardo del ragazzino, perché più di altro non era, sembrava convinto che Dubhe fosse sul punto di alzarsi e farsi un sol boccone di lui.
Il mezzelfo scambiò un’occhiata con la ragazza:
è così che gli idioti razionalizzano la loro stupidità a loro stessi?, sembrava chiedersi il suo sguardo.
Discorsi vuoti, che nemmeno ascoltavano. La loro meschinità, il loro ostentato distacco dalla plebe, li nauseavano. Quando decise che avevano parlato abbastanza, Aster si alzò - facendo correre occhiate terrorizzate fra i presenti - ed espose in tono forzatamente calmo e pacato tutto ciò che in quella città in particolare, e in quella Terra in generale, non andava, con il sottinteso obbligo di porvi rimedio. Poi si sedette. Subito i membri del consiglio ricominciarono a discutere, sparando proposte su proposte, tutte incentrate ad ottenere il massimo risultato con il minimo danno per loro. Il mezzelfo sibilò freddamente di
piantarla di dire cazzate.
A quel punto il reggente parve ricordarsi il motivo per cui era stato messo sul trono e tentò una pallida obiezione, zittita dalla lama del pugnale di Dubhe che si fermò ad un soffio dalla sua carotide.

Siete disgustosi.” Le parole le cadevano dalle labbra come rami morti da un albero, come qualcosa di inerte, privo di emozione, che si abbatteva con un rumore secco. “Così schifosamente preoccupati del vostro cazzo di privilegi che non riuscite a vedere la miseria fuori dalla vostra maledetta reggia dorata. Sapete cosa vi dico?” Fece scorrere uno sguardo lungo ognuno dei presenti - tranne il mezzelfo, ovvio -, nel quale si leggeva tutto il disprezzo che provava per loro. “Andate a farvi fottere”, sputò.
Si alzò bruscamente e fece per allontanarsi dalla sala, accompagnata da Aster.

Aspettate!”, esclamò il reggente, posandole una mano sulla spalla.
Grosso errore.

Non…” Le dita di Dubhe si chiusero con una presa ferrea attorno al suo polso.
“…mi…” Il braccio del ragazzo venne torto bruscamente.
“…toccare.” Il biondino atterrò con violenza sul tavolo.
Sibilò la ladra, e poi uscì a grandi passi dalla stanza.

Ehi, non che voglia trattenerti, ma sei proprio convinta di volerlo fare?”
Lei scrollò le spalle: “Probabilmente non servirà a nulla, lo so in principio, però almeno potrò dire di averci provato. Era nauseante. Io… io
sento di dover fare qualcosa.”
L’atteggiamento di Dubhe sarebbe parso strano ai più. Lei, che non si era mai preoccupata del Mondo Emerso, e che continuava tuttora ad affermare il suo disinteresse, all’improvviso sembrava aver a cuore qualcosa che non fosse solo il binomio ‘io e Aster”. Lui invece la capiva, così come aveva capito il suo interessamento per i fammin. Qualcosa di cui non sapeva il motivo, ma che sentiva che andava fatto.
Nato nel vizio, morto nel supplizio. Nato nel peccato, a entrare sia invitato
.
Speriamo funzioni, invece, dai. Non ti farei passeggiare a vuoto sui tetti come una gatta, sennò.”
Stavolta la ladra sorrise: “Allora spero anch’io che mi vada bene.”
Si alzò dal letto: “Mi passi il mantello e le borse?”, chiese.

Certo.” Anche Aster si tirò in piedi, sollevò il manto nero e glielo drappeggiò sulle spalle, baciandole la nuca prima di alzarle il cappuccio. “Stai attenta, mi raccomando.”
Certo che sto attenta. Tu, piuttosto, non stare in pensiero per me.”
Si mise il tascapane a tracolla e si avvicinò alla finestra. Non era molto grande, ma per la corporatura minuta della ragazza sarebbe stata sufficiente. La spalancò, sgusciò sul davanzale, e da lì, con uno scatto della schiena, raggiunse il tetto.
Mentre si issava per uscire, dalla borsa di Dubhe uscì un leggero tintinnio.
Aster sogghignò.

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* Sofocle, Antigone

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Capitolo 4
*** Scena Terza (III): DUBHE NON DIMENTICA ***


Scena Terza (III): DUBHE NON DIMENTICA

 

I can't go on living this way
and I can't go back the way I came
Shamed of this fear that I will never find

a way to heal my soul

- Evanescence, My Heart is Broken

Per favore”, gli aveva chiesto. Si trovavano sulla soglia di una grotta, poco fuori dalla città. Il luogo dove per due anni Dubhe aveva dimorato. La ragazza era da poco riemersa dall’acqua gelida della Fonte Scura, e i suoi capelli erano ancora umidi e gocciolanti: “È una cosa che voglio fare da sola. Mi lasci?”
Aster aveva sorriso a quelle parole: “Se senti che è una cosa che devi fare – e lo capisco benissimo – e che non ti sarai data pace finchè non l’avrai fatta – e capisco anche questo -, non vedo perché non dovresti. Mi sono lasciato andare anch’io a questi sentimenti, sapevo che… per così dire, moralmente… non era giusto, ma non me n’è importato. Comprendo quindi senza problemi le tue necessità. Chi mai ci può essere a dirci che ciò che facciamo è sbagliato? Ogni essere umano deve essere responsabile delle sue azioni, dopotutto.”

Già.” La voce della ladra era carica di astio, ma il mezzelfo sapeva che non era indirizzato a lui. E se non ne avesse conosciuto il destinatario, gli sarebbe bastato seguire lo sguardo gelido di Dubhe: la ragazza aveva estratto il pugnale, conficcandolo in una mappa del Mondo Emerso.
Terra del Sole.
Un villaggio.
Selva.

L’uomo imprecò. Diventava sempre più difficile. All’inizio il reggente si era comportato in tutto e per tutto come il suo predecessore, e per un po’ le cose erano andate bene, ma da quando tutti i membri del Consiglio si erano svegliati con un pugnale sul cuscino, tutto in seguito ad una seduta il cui contenuto non era mai stato divulgato, aveva improvvisamente deciso di promuovere leggi repressive e intensificare i controlli, con lo zelo di chi sa di aver mancato un dovere. Così, di punto in bianco. Adesso era costretto ad agire nottetempo come un contrabbandiere, e a pagare i suoi compaesani perché tenessero il becco chiuso, con conseguente calo dei guadagni. Tutto per colpa di due individui che avevano dichiarato il suo lavoro fuori legge. Andava molto meglio quando c’era Dohor, pensò l’uomo. Il re non aveva mai avuto nulla in contrario al mercato di schiavi.
Andiamo, Renni, è ora”, lo chiamò una voce.
Arrivo”, rispose distrattamente.

Schiavo proveniente dalla Terra delle Rocce, in ottime condizioni, a trecento carole!
Il palco non era altro che una rozza costruzione in legno, che si affacciava sulla piccola piazza. Il battitore non doveva nemmeno alzare troppo la voce per farsi udire dalla piccola folla.
All’improvviso un rumore li azzittì tutti quanti.
Thud.
Un battito ritmato e possente.
Thud.
Un’enorme sagoma oscurò la luna.

Draghi!”
Una voce ruppe il silenzio innaturale. Fu il pandemonio. Corpi che si accalcavano, cercando di scavalcare i propri simili per garantirsi la salvezza.
La creatura passò ancora sopra di loro e, traslucide alla luce della luna, mise in mostra le sue grandi ali piumate. Un barile di olio si rovesciò sul palco, e da un braciere urtato cadde qualche scintilla. Ovviamente, in un istante preso tutto fuoco.
E il falò non fece altro che aumentare la confusione. Dei, per fortuna le catene degli schiavi erano abbastanza spesse da impedire loro di liberarsi e scappare!
Thud.
La bestia alata si posò dietro alla costruzione in fiamme, e scrutò la folla di volti terrorizzati con i suoi occhi arancioni. Quando si posarono su Renni, quelle braci ardenti non si spostarono più. La viverna sibilò, schiudendo appena le fauci letali. Davanti a lei, sovrastando tutti quanti dalla sua altezza sul palco, una sagoma femminile lo guardava con occhi se possibili ancora più infuocati di quelli dell’animale. Era vestita di nero, e alla luce delle fiamme il suo volto pallido riluceva come avorio. Sembrava un demone venuto dall’inferno, e in quel momento Renni seppe che era venuto per lui. Il suo sesto senso l’aveva avvertito che il tempo degli affari felici era finito quando il principe Learco aveva comprato quelle due schiave.
Peccato che lui non avesse mai imparato a dargli ascolto.
La figura continuava a fissarlo impassibile.

Bastardo”, ringhiò.

Renni parve ritrovarsi in quell’attimo, come se l’insulto in qualche modo l’avesse riportato alla realtà: “Perché, signorina, mi insultate?”
La ladra faticava a riconoscere in quella palla di lardo il ragazzino smilzo che aveva giocato con lei, ma di sicuro l’uomo era lo stesso di qualche mese prima. E comunque, quella nocetta stridula e untuosa, specie quando strisciava per compiacere i potenti, era rimasta la stessa.

Lo sai benissimo il perché, bastardo.”
Molto saggiamente - era l’istinto di sopravvivenza degli animali, si disse lei - accusò l’insulto senza replicare.

Io… credo di non capire. Chi siete voi?”
Una ladra, un’assassina. La regina della Grande Terra. E una che hai venduto per cinquemila carole.”
Continuo a…”
L’ha ammazzato! L’ha ammazzato!”, squittì lei in falsetto. Poi continuò, fredda e spietata: “Dì un po’, Renni, come ci si sente a vedersi sbattuti in faccia i propri peccati?”
L’uomo impallidì visibilmente.
Un lampo di comprensione passò nei suoi occhi.

No… non è possibile… tu… tu non puoi essere… Dubhe!

E perché no, di grazia?”, chiese la ladra, saltando e atterrando davanti a lui, il mantello che le si gonfiava dietro alle spalle come le ali di un pipistrello, scostato così da fargli ammirare l’arsenale che portava addosso. Ciascuna di quelle armi garantiva una morte pressoché istantanea, e soprattutto certa. Se quella figura nera avesse avuto una grossa falce in mano e un teschio per volto, Renni non ne sarebbe stato più terrorizzato.
Io…”
Parlare non serve.”
Scusami…”
Scusarsi nemmeno.”
Ero un bambino…”
Dubhe abbassò il tono di voce: “Anch’io ero una bambina… o lo hai scordato?”
Mentre continuava ad implorare, a cercare almeno di parlare con la sua vecchia compagna di giochi, Renni continuava freneticamente a tenere d’occhio lo spazio dietro di lei.
Eddai… un altro pochino…
Se pensava di poter fregare quella che era la più micidiale di tutte le assassine mai esistite con un trucco idiota, rimase gravemente deluso. La ragazza ruotò su sé stessa, le mani rigide, il corpo teso, il mantello che le svolazzava dietro la coda che si mosse seguendo l’arco del corpo. Gli sprovveduti che avevano provato ad arrivarle alle spalle non erano uomini addestrati, e non ebbero scampo. Si chinò a guardarli. Il primo era un volto anonimo, il tipico uomo della Terra del Sole. Era fuori combattimento. Il secondo lo riconobbe fin troppo bene. Si agitava ancora debolmente. “Ah, Mathon”, salutò, noncurante. “Mi piacevi, sai?”, e gli calò la mano di taglio sulla tempia, spedendolo nel mondo dei sogni.
Renni aveva gli occhi spalancati: “Li hai uccisi…”

No.” Lo prese per il colletto: “Adesso io parlerò e tu starai ad ascoltare, va bene? E se non ti va bene fa lo stesso.”
Lui annuì debolmente.

Hai tramato ai danni della mia persona. Due volte, se consideriamo lo scherzetto che mi hai preparato. Io sono la regina della Grande Terra, e una delle due massime autorità di questo mondo. Se non mi credi, posso chiamare l’altra così che confermi. Quello che hai commesso si chiama alto tradimento. E la pena è la morte.”
Lui le cadde in ginocchio davanti: “Vuoi uccidermi?”
Quella nocetta stridula e untuosa, come le dava sui nervi! Dubhe alzò le spade. Una parte di lei avrebbe voluto dire sprezzante di sì, calarle, ridere selvaggiamente e porre fine a quella miserabile vita con le sue mani. Ma un'altra parte la tratteneva. Era buffo. Aveva sognato a lungo di trovarsi quel cane bastardo sotto alle mani, fantasticando su che fine fargli fare. Adesso che aveva davvero la possibilità di vendicarsi, esitava. Era colpa della voce, di quella schifosa voce da porcellino che aveva imitato così sadicamente.
L’hai ammazzato, l’hai ammazzato. La ragazza odiava le persone come lui, che costruivano la loro vita sulla pelle delle altre. Ai suoi occhi, ucciderlo sarebbe stato un atto di giustizia. Un colpo di spada, il più possibile doloroso, squartarlo come una bestia e lasciare il cadavere ai corvi. Eppure, se l’avesse trafitto, avrebbe dovuto dopo fare i conti con sé stessa. Forse che non avrebbe avuto ragione, in quel caso, a darle dell’assassina? No, più ci pensava, più l’idea di ucciderlo si allontanava dalla sua mente. In fondo, c’erano altri modi per farlo pagare. E, così, sarebbe rimasto in vita per godersi tutta la punizione che gli avrebbe riservato, invece di un clemente colpo di spada. L’hai ammazzato, l’hai ammazzato, strillò il Renni – bambino nella sua mente. Taci!, gli intimò rabbiosamente lei. Non c’è niente che mi farebbe più piacere che tagliarti la gola e vederti annegare nel tuo sangue, ma ucciderti non cambierà ciò che hai fatto. Ucciderti non cambierà ciò che ho fatto.
Però merita di morire,
sussurrò suadente un'altra voce, una voce che Dubhe ben conosceva: quella della Bestia.
Se lo merita. Oh, eccome se se lo merita. Ma sono così tanti fra i vivi che meriterebbero la morte. E parecchi che sono morti avrebbero meritato di vivere. Sono in grado di dargliela forse?
Tornò dentro di se a rivolgersi a Renni:
No, tu vivrai, ma soffrirai, oh se ti farò soffrire…
Abbassò le spade e le rinfoderò, rigida. “Non spreco le mie lame su un bastardo come te.”

Grazie, grazie…” L’uomo le si gettò ai piedi, baciandole un lembo del mantello. Dubhe, disgustata, sentì la rabbia ribollirle dentro e la decisione venire meno. Meglio spicciarsi, si disse, prima che questo verme trovi il modo di farsi ammazzare comunque.
Gli sferrò un calcio, violento, che lo mandò all’indietro con la bocca sanguinante. Un paio di denti caddero per terra: “Non insudiciarmi le vesti, bestia.”
Lui annuì con convinzione: “Sì, sì, sono un miserabile e vivo solo per la misericordia di…”

Taci! Dovrei darti in pasto a Veritas, se non sapessi che puoi solo fargli male. No…”
Si guardò intorno. I cittadini e gli acquirenti sembravano svaniti nel nulla, ma sapeva che probabilmente non erano lontani. Dalla tenda, degli occhi la sbirciavano impauriti.

Liberate gli schiavi!”, ordinò. Nessuno si mosse.
Liberate gli schiavi”, ripetè, “e forse forse non vi faccio appiccare tutti quanti!”
La minaccia ebbe effetto: una chiave scattò, aprendo le catene. Uomini e donne si guardarono, increduli. “Andate”, ordinò lei. “E se qualcuno osa fermarvi, ditegli il nome di Dubhe della Terra del Sole.”
Non se lo fecero ripetere due volte.

Quando furono spariti, la ragazza rivolse di nuovo l’attenzione a Renni. “Vieni”, ordinò.
Si incamminò per le vie della città. Formavano una strana coppia, una ragazza magra che camminava dritta come un fuso, silenziosa e letale, e un grassone che le strisciava intorno. I ripetuti “Dove stai andando?”, con crescente dose di panico, ricevettero solo la sibillina risposta: “Dove mi pare.”
Dubhe si fermò davanti alla casa di Renni: “Guarda guarda, ti tratti bene, figlio di puttana…”
Sguainò le spade e abbatté la porta con pochi colpi, quindi entrò bruscamente, senza badare a cosa fracassasse nel frattempo, e si guardò intorno, tallonata dal mercante di schiavi, sempre più terrorizzato. “Che cosa fai?”, le chiese.

Ciò che voglio.”
L’addestramento di ladra le fu utile: non ci mise praticamente nulla a trovare la botola nascosta. La sfondò anch’essa, e, spinto dentro l’uomo, atterrò con grazia acanto ad un baule. “Ma che carino”, osservò, ironica, prima di sputargli con la consueta freddezza: “Mi devi la vita, cane, quindi questo mi appartiene di diritto.”
Alzò la testa, come ad ascoltare un suono lontano, e Renni urlò quando la grande viverna scoperchiò il tetto della casa con i possenti artigli. La creatura alata guardò negli occhi Dubhe, e parve annuire quando la ragazza le disse: “In piazza”. Spiccò il volo, alzando turbini di polvere fra le rovine delle macerie.
L'assassina indicò il baule. “Ehi, bastardo, muoviti.”
Un po’ sollevando, un po’ trascinando, un po’ assestando calci a quel relitto umano perché facesse la sua parte, il pesante oggetto fu trasportato al centro del paese e issato su ciò che restava del palco. Il dragone era giù lì.
Con un colpo di spada, la ladra fracassò i cardini, poi sollevò con fare melodrammatico una manciata di monete.

Veritas”, ordinò, facendosi da parte.
La viverna, persa la parvenza d'aspetto di animale reale e tornata alla forma di oscurità condensata, chinò il capo, e dalle sue fauci eruttarono lingue di fuoco bianco, che arrivarono a sfiorare l’oro, l’argento e il rame, incendiando il legno, e trasformando quelle preziose monete in un blocco indistinto e variegato. “No, no!” Renni urlò disperato, come se lo stessero scuoiando vivo, o come se a bruciare fosse la sua famiglia.
La ragazza inclinò il capo. “No? Ancora protesti?”

Sono i guadagni di una vita!!!”
Guadagni di una vita fatta su quella di altri esseri umani”, replicò Dubhe, mentre sentiva l'ira montarle nel petto.
Ti sbagli!”, supplicò Renni. Farneticava. “Io non ho speculato su di loro. Questi uomini e queste donne che sono arrivati fra le mie braccia... io li ho salvati, ecco! Sì, sì, li ho salvati!”
L'assassina ebbe un conato di vomito: “Salvati? E come, di grazia?”

Profughi... persone che avevano perso tutto! Sarebbero morti di stento in ogni caso! Io ho dato loro un luogo dove vivere, anche se in servitù, ho restituito loro una famiglia... li ho salvati!”
Trai profitto dalla guerra, dalle vite spezzate.”
No, no!” Campionato nazionale di arrampicata sugli specchi. “Io voglio solo il meglio per loro, faccio sì che vengano trattati bene, me ne assicuro...”
Questo fu troppo. Un lampo color rubino offuscò per un attimo i suoi occhi grigi e il pugnale le si materializzò in mano ancora prima di pensarci. “Sei un uomo morto, Renni. Ucciso dalla mia lama, ma ancora di più da te stesso. Che tu possa capirlo, nel luogo dove andrai. Muori.”
L'ultima parola fu sottolineata da un ampio fendente del pugnale. La gola si aprì come il bocciolo di un fiore, rivelando il proprio cuore vermiglio e sporcando i guanti e le braccia della ladra del liquido vitale.
Dubhe rimase impassibile a guardare la pozza di sangue che si allargava sotto l'uomo che era stata il suo amico. Sibilò. Un sorriso amaro le increspava le labbra.
Ti sbagli, Nihal. Io non sono una brava persona.
E poi:
ho ucciso ancora. Il mio destino.
Senza bisogno di ordini espliciti, la grande viverna si dissolse, tornando ad essere niente più che un'ombra negli occhi inquieti della ragazza. Poi questa si voltò e, fra gli sguardi stupiti, si incamminò a grandi passi, avviandosi verso la cinta muraria e le porte di quella città in cui aveva giurato che non avrebbe mai più fatto ritorno.

Trovò il mezzelfo seduto ad aspettarla. Se si sorprese di vederla con le lacrime agli occhi, non lo diede a vedere. Si limitò ad alzarsi e abbracciarla. “Sciocchina, perché piangi?”
Lo sapeva, in verità. Piangeva per sé stessa. Ma pensava che chiederglielo l’avrebbe fatta sentire meglio: “Non hai fatto quello che dovevi?”
Lei gli si strinse addosso, e fu solo quando si fu un poco calmata che sussurrò, eludendo la prima domanda: “Sì… ma è come se non fosse abbastanza.”
Aster la strinse più forte, comprendendo che, un’altra volta, la ragazza si era scelta la strada più difficile.
Nel cielo, una miriade di lucine li fissavano, impassibili. “Non lo è mai”, le mormorò.
La ladra inspirò a fondo l’aria fresca della notte, per schiarirsi la testa, e si sciolse dall’abbraccio. “È tardi”, osservò. “Stiamo qui, stanotte, partiremo domani.”
Aster annuì.

Lungo la spiaggia che le nuvole infrangono
I soli gemelli tramontano nel lago
Le ombre s’allungano
     A Carcosa

Strana è la notte dove sorgono stelle nere
E strane lune orbitano nei cieli
Ma ancor più strana è la
     Perduta Carcosa

Canto che le Iadi dovrebbero intonare
Laddove ondeggia il mantello del Re
Che tu muoia inascoltato nella
     Oscura Carcosa

Canto del mio animo, la mia voce è morta
Muori dunque, ineseguito, e le lacrime non versate
possano asciugarsi e morire nella
     Perduta Carcosa*

Dubhe spalancò gli occhi. Per un attimo ritrovarsi in quel luogo le aveva fatto temere, irrazionalmente, di essersi inventata tutto, che quei nove anni non fossero mai esistiti. Era un pensiero intollerabile, e per questo aveva aperto gli occhi. Le bastò uno sguardo per confermare a sé stessa di essere la ragazza diciassettenne di sempre. Si sentiva un po’ imbarazzata per quella paura. Rotolò di fianco, aspettandosi di incontrare il corpo di Aster, ma non ci fu nulla ad arrestare il suo movimento. Si fermò pancia all’aria e sentì qualcosa crepitarle sotto la schiena. Spalancò gli occhi. Allungò una mano, raccogliendo un foglio, leggermente stropicciato:

Ciao bellissima,
sono andato a riempire le borracce al torrente. Non stare in pensiero.

E sotto, scarabocchiata a mo’ di firma, una stella.

Dubhe si alzò, e si guardò intorno. Desiderò subito di non averlo mai fatto. L’inquietudine, il solito dolore sottile che si annidava in profondità dentro di lei, che le faceva sentire la mente stanca e il cuore pesante, premeva per uscire alla luce. Serrò gli occhi, ma ormai il paesaggio si era impresso nella sua mente. Si appoggiò contro un albero e lasciò che la schiena le scivolasse lungo il tronco, che le graffiasse la pelle esposta. Cadde al suolo e si raggomitolò ai piedi della pianta, stringendosi le ginocchia fra le braccia. Premette la schiena contro la dura corteccia e inspirò a fondo più volte, riempiendosi i polmoni dell’odore intenso del bosco e cercando di calmarsi.
Non posso mettermi a piangere come una bambina spaventata… non due volte nel giro di ventiquattro ore. Accidenti, non è da me! Si sentiva malissimo: lo stomaco le si contraeva violento nell’addome, minacciando di farle rigettare quel poco che conteneva, la testa le sembrava stretta in una morsa e il cuore le martellava selvaggiamente nel petto, trasmettendole una sensazione di estrema debolezza. Certo, dovevi prevederlo, stupida, si disse, cinicamente. Non è forse la vita un eterno circolo, alla cui fine ti ritrovi esattamente al punto di partenza?
Odiava quei luoghi, eppure allo stesso tempo provava un senso di struggente appartenenza. Il sentimento che si era sforzata di reprimere quando era tornata nella Terra del Sole ricominciava a strisciare ai margini del suo animo. Era tutto ciò che aveva no? Dolori, rimpianti e…
Basta! Non pensare a... ad altro! La sua mano corse al cappuccio, per calarselo sul volto. Era sempre stato così. Gli altri bambini, quando avevano paura, cercavano la luce. Lei il buio più fitto. La sua mano avrebbe trovato il tessuto, e con questo sarebbe arrivata quell'oscurità benedetta, avrebbe fatto svanire i contorni delle cose e tutto sarebbe diventato indistinto. E lei sarebbe stata in pace. Ma un rametto si spezzò con uno scricchiolio e qualcuno fu più veloce di lei. Il mantello scese sul suo viso, e assieme a lui le tenebre che bramava. In un altro momento si sarebbe accorta ben prima della presenza, ma in quel momento non gliene importava proprio niente. Lasciò che la sollevasse, stringendola fra le sue braccia, facendole poggiare il capo su un petto magro che conosceva bene, e si concesse finalmente di piangere.
Si sforzò di trattenere le lacrime - quanto le avrebbe odiate se le avessero solcato le guance! - o almeno di soffocare i singhiozzi, ma semplicemente non ce la fece. Abbiamo tutti un punto di rottura, e lei il suo l’aveva abbondantemente oltrepassato.
Il suo corpo contro la sua guancia era caldo e rassicurante e sapeva di quel profumo di notte d’estate che la faceva sentire al sicuro. Il suo era un sentore che evocava tutte quelle notti che avevano trascorso assieme, momenti in cui per la sofferenza semplicemente non c’era posto. Aster non la mollò un momento, tenendola stretta a sé, cullandola con dolcezza, con gli occhi chiusi e il naso immerso nei suoi capelli, facendole capire nella maniera più semplice del mondo di non essere più sola in balia del dolore, e ben presto Dubhe si calmò, tranquillizzata dal suo abbraccio e dal battito del suo cuore. No, si disse, aveva anche qualcos’altro, oltre ai suoi rimpianti, e questo le diede forza; e poi era abituata al dolore, ormai. Si strappò in fretta le lacrime dalle guance, vergognandosi profondamente per la propria debolezza.
Ancora, si disse amareggiata. Si spostò, e fece una smorfia quando il sangue ricominciò dolorosamente a scorrere. Per essere stata seduta così scomoda tanto tempo, le cosce, il sedere e la schiena erano completamente insensibili.
Va meglio?”, le chiese il mezzelfo. La sua voce era dolce e la guardava con profonda tristezza.
La ragazza si limitò ad annuire. Era a disagio: odiava mostrare la propria debolezza, lei che a prezzo di grandi sacrifici si era sforzata di diventare forte, di diventare insensibile.

Io… Dubhe, mi dispiace… me l’avevi anche descritto, il luogo, ma era tardi, ieri sera, eravamo tutti e due stanchi e…”
Aster, non hai niente da rimproverarti. Non è colpa di nessuno, è che per me questo è un luogo di dolore.”
I suoi grandi occhi erano colmi di disperazione: “Io vivo in mezzo alla morte. Quel giorno non ho ucciso solo Gornar. Li ho uccisi tutti, i miei amici, i miei genitori, gli abitanti di Selva, tutti quanti. Ho ucciso me stessa. La Dubhe morì quel giorno, e qui giacciono le spoglie della bambina che ero. Qui ho costruito le muraglie della mia prigione, e quel che è peggio è che non ho speranze di evadere. In questo luogo, io sono prigioniera di me stessa.”
Sospirò: “Senti...” Gli prese la mano e se la passò sulle palme, sul lato interno dei gomiti e sulla fronte. In tutti e sette i luoghi, la pelle era liscia e perfetta. “Sono i punti dove i fanatici della Gilda erano marchiati. Far sparire quei segni è una delle prime cose che ho fatto, quando ho scoperto di possedere la magia. Io non sono mai stata e non sarò mai una Vittoriosa. Eppure, tutto in questo luogo mi grida: Assassina! Assassina!”
Tese la mano, e quando Aster gli porse la sua la strinse delicatamente, come una bambina: “Vieni.”
Mentre camminavano indicava i vari luoghi via via che parlava: “Di là liberai con mio padre una lepre che era rimasta bloccata nella trappola di un cacciatore. Fra quei cespugli, invece, mi nascosi per un giorno intero da mia madre… mi aveva fatta infuriare. In quella buca c’era il luogo dove riponevamo i ‘tesori’ che trovavamo… e lì…”
Indicò un pietra in riva ad un torrente. Era bianca, ma lei la vedeva macchiata di sangue e sarebbe sempre rimasta tale. Deglutì. “Lì è dove accadde.”
Con sua sorpresa la sua voce non tremò, e non pianse.
Forse sono davvero più forte di quanto non creda.
Sospirò, e una punta della disperazione che provava dovette trasparire dal suo volto, perché Aster le ripetè: “Mi dispiace.”

Non è colpa tua, amore mio. Devo riuscire ad andare avanti.”
Come hai sempre fatto.”
Come ho sempre fatto”, ripetè, e nel dirlo rabbrividì. “Devo imparare a fare la pace con il rimpianto.” Il suo volto aveva assunto una smorfia, mentre diceva queste parole, e dal tono si capiva che in fondo non ci credeva nemmeno lei.
E pensi che si possibile che questo accada soltanto dicendolo?”
Un sorriso triste apparve sul volto della ragazza: “No…”

Dubhe, quante volte te lo devo dire? Non c’è niente di male nell’essere deboli, talvolta, e ti giuro che tu lo sei molto meno di quanto sembri credere.”
Lei tornò ad abbracciarlo: “Come fai a leggere così bene in me? Come fai a vedere nei miei occhi come se fossero porte aperte, fino alle profondità del mio cuore, dove non c’era altro che una landa desolata prima che arrivassi tu?”, gli mormorò. “Ti odio”, aggiunse, ma il tono della sua voce contraddiceva a tal punto le sue parole che tanto valeva che avesse detto
ti amo.
Il ragazzo le sollevò il mento fra le dita: “Ti voglio bene anch’io, piccola mia. Per favore, dunque, smettila di cercare di essere forte ad ogni costo, d’accordo?”

Non guardarmi con pietà! Non osare farlo!”, scattò lei, mordendosi le labbra un istante dopo.
Non lo sto facendo”, ripose semplicemente Aster. “Lo so fin troppo bene, quanto ti è intollerabile.”
Io non sono una qualsiasi persona da salvare, hai capito? Questo dolore me lo sono meritato, stilla per stilla.”
Il mezzelfo non rispose, e la tirò a sé. Stava tremando, la ragazza. Era allo stremo e ormai sragionava. “Aster... perdonami... non volevo...”

Perdonata...”, le sussurrò lui, riuscendo a strapparle un timido sorriso. La tenne a lungo e la ladra si godette ogni istante di quell'intimo contatto fra loro due. Queste mani che mi stringono hanno cancellato un intero popolo dalla faccia del Mondo Emerso, ne hanno assoggettati innumerevoli altri, hanno compiuto gesta terribili... eppure io sono a casa. E lo so il perchè. Aster è come me, mi comprende come nessun altro può fare, e... e soprattutto, mi ama. E io amo lui.
Dubhe... il passato... è semplicemente passato, lo capisci?”
Lei annuì, il capo poggiato sul suo petto, mentre respirava freneticamente l'odore della sua pelle, come se fosse stato aria pura e lei stesse annegando.

E… Dubhe?”
Sì?”
Le parole che seguirono furono totalmente inaspettate per la ragazza: “Fammi un favore. Finisci di versare le tue lacrime. Quant’è che non lo fai? Fallo, ti prego. Fallo per me.”
Lei lo guardò, con gli occhi lucidi, lo abbracciò con disperazione e si lasciò andare. Nel momento stesso in cui aveva sentito la sua voce aveva capito che quello che le diceva poteva essere solo il meglio per lei. La prima lacrima le scese sulla guancia e fino all’angolo della bocca, senza neppure un singhiozzo, tracciando una linea sulla sua pelle chiara. Per un attimo si illuse di aver ancora il controllo, e si sforzò di trattenere i singhiozzi, ma poi semplicemente si arrese e smise di combattere, e si accontentò di affondare il volto nella casacca di Aster e di lasciare che il suo profumo la inebriasse, di vedere il mondo sfocato attraverso il velo delle lacrime e di assaggiare il loro sapore salato quando le scivolavano fino alle labbra, mentre le dita di Aster gliele asciugavano una ad una. Il pianto si fece violento e disperato.
Non contò il tempo in cui stette lì, cullata dalle sue braccia, mentre i suoni della natura erano coperti dalla sua voce che le mormorava frasi su frasi. E non ne avrebbe saputa ricordare neanche una, di quelle parole che lui le disse, ma andava bene così, e non importava. Il loro scopo aveva fine l’istante stesso in cui venivano pronunciate, mentre le toglievano pian piano il dolore di dosso e arginavano la piena che sembrava traboccare dal profondo del suo cuore

Non lo so… non so più nulla… mi pare veramente impossibile… di essere qui… e di riuscire a… a vivere, semplicemente… mi sembra così sbagliato… e nel contempo soffro a stare così… mi sembra… d’aver gettato via tutto ciò in cui credevo… e… e sono felice… qui accanto a te… ma non mi sembra giusto… non mi sembra possibile che io sia felice, qui… e mi vergogno così tanto… sia di essere felice sia… di aver vergogna di questo… e di star a piangere così…”
L'indice sottile di Aster le si posò sulle labbra. “Ssst…”, le sussurrò il mezzelfo. “Non hai nulla da vergognarti… Stai piangendo per una buona ragione… Va tutto bene, Dubhe, va tutto bene… io ti amo e sono qui con te…”

Sta’… zitto…”, gemette la ragazza, ma se ne pentì nel momento stesso in cui lo diceva, e questo la fece stare solo ancora più male. Le sembrava inconcepibile aver offeso l’unica persona che le fosse accanto, in quel momento. “Scusami… scusami…”, sussurrò.
Lui le accarezzò i capelli. “Stai tranquilla… non preoccuparti… Sai… quando ti sento così... così piena di dolore, mi fai quasi paura. Non so come raggiungerti, e ho il terrore di sbagliare qualcosa, di compromettere il nostro rapporto con una stupidaggine. Se anche io usassi tutta la mia vita per il tuo bene, non avrei rimpianti. Anch’io ho bisogno di te, amore mio, ho bisogno di te almeno quanto tu ne hai di me. Sei l’unica cosa buona che mi sia mai capitata, in questa vita… Mi guardi con quegli occhi, d l'unica cosa a cui riesco a pensare è a come potrei darti anche solo un attimo di felicità... è che sei bella, Dubhe, tanto, troppo bella...”
Le poggiò la testa sulla spalla.
La ragazza sollevò il capo. Fra le lacrime, sorrideva: “Così, mi devi raggiungere. Aster, suonerò scontata, ma davvero, se non ci fossi tu con me...”
Si fermò. “Morirei, credo. Mi lascerei andare. Come stavo facendo prima che bussassi alla mia porta. Tornerei a vivere al momento, a mettere un passo davanti all'altro. Ma non potrei mai reggere come ho fatto prima. Tu mi sei entrato nel sangue, hai inondato la mia mente, e io non voglio, non posso, cancellarti via, mai, in nessun modo. Sì, morirei. Aster, senza di te, io non esisto.”
Il mezzelfo ripensò a quando l’aveva abbracciata la prima volta. Lui solo l’aveva capito, che quella disperazione che aveva mostrato la giovane ladra nell’amarlo, quella ricerca disperata della sua persona, era un dono grandissimo, il più grande che lei potesse fargli. Perché Dubhe aveva imparato a proteggere il proprio cuore con le unghie e con i denti. Ciò che la rendeva sé stessa, la sua identità, per quanto fragile e tormentata, era l’unica cosa che il destino non fosse mai riuscito a strapparle via. E quindi, aveva capito davvero quanto lei gli volesse bene quando gli aveva aperto i cancelli della sua anima, gli aveva permesso di vagare nei suoi pensieri ed si era donata animo a corpo a lui. E quell’insolito patto si era rinnovato, giorno dopo giorno, finchè in poco tempo loro due si erano legati così saldamente da essere impossibili da dividere.
La guardò negli occhi, quei grandi, meravigliosi occhi pieni di gioia e di tristezza, di speranze e di rimpianti, e ognuno in quello sguardo lesse il riflesso del suo.
Fu un solo istante, in cui il grigio si specchiò nel verde e il verde si specchiò nel grigio, e poi il blu e il castano si incontrarono, le loro bocche si unirono, e i loro cuori pulsarono allo stesso ritmo.
Non c’era bisogno di parole, per dire
ti amo.

Dubhe si sciolse esitante dall’abbraccio. Fece per parlare, ma il mezzelfo la precedette.
No, non è finita”, bisbigliò, e in quel momento la giovane ladra non ebbe più dubbi sulla sua facoltà di saper leggere nella sua anima, più in profondità di quanto lei stessa non osasse spingersi.
Non è finita”, riprese Aster. “Ma bisogna credere che lo sia.”
Sulle labbra dell’assassina danzava l’ombra di un sorriso. Un sorriso tremulo ed esitante, ma pur sempre un sorriso. Era bellissima quando aveva quell’aria di disperata speranza, e il ragazzo non sapeva resistere all’istinto di stringerla accanto a se, farle capire che la proteggeva e dirle che le sarebbe stata sempre accanto. E così fece.
Dubhe fece per tirarsi indietro: “Io… Aster, sei davvero un tesoro a starmi accanto quando mi sento così. Non capisco cosa ci provi in me, in un'assassina... e lo so, che sono una ragazza difficile... che sono insopportabile, a momenti…”, mormorò con un filo di voce.
Lui le fece cenno di tacere: “Lo faccio con piacere, invece. Dubhe, il tuo turbamento è una cosa normalissima. Sei umana anche tu. Mi stupirei piuttosto se fossi in grado di restare fredda e impassibile mentre il passato ti tormenta in questo modo. Non sei una statua, e ti amo anche per questo. Comunque, tu sei l'unica persona che, quando ho guardato nei suoi occhi, mi ha restituito il riflesso dei miei. Sì, sei una ragazzina difficile - e qui sorrisero entrambi - però se non fosse così, non saresti tu. E se non fossi tu... come potrei amarti come ti sto amando?”
La ragazza chinò il capo, mordendosi nervosamente un labbro. “Grazie in ogni caso, allora.”
Abbozzò un sorriso, che le riuscì un pelino meglio dei precedenti. I suoi occhi si erano schiariti come il cielo estivo dopo un temporale, anche se erano ancora arrossati dal pianto. Dalle spalle rilassate e dallo sguardo calmo tranquillo, Aster capì senza problemi che, psicologicamente parlando, la Dubhe che gli stava accanto era una persona più tranquilla e fiduciosa rispetto a quella di poco prima.

Non ne valeva la pena.”
Di piangere?”
Di cercare di nasconderti. Tutti piangono.”
Io detesto piangere. Se avessi iniziato, da bambina, non avrei smesso più. E dire che sono riuscita a sopprimere i miei sentimenti per nove anni...”
Anche imparare a piangere è un modo di crescere, Dubhe.** Io ho ripreso a farlo quando ti ho conosciuta, sai? È così che funziona. Alcuni devono smettere, altri devono cominciare.”
La ladra annuì. Aster aveva ragione, come sempre. Era confortante sapere che c'era qualcuno che aveva percorso la sua stessa strada e che poteva guidarla nelle difficoltà. Se poi quel qualcuno è anche il ragazzo che amo...
Guardò per un po' il torrente, tenendo la testa ostinatamente girata nel lato opposto rispetto a dove c’era la pietra bianca. “Ho bisogno di farmi un bagno”, annunciò, in tono volutamente neutro. “Controlla che non ci sia nessuno nei dintorni, per favore.” Il mezzelfo ubbidì, e non riuscì a trattenere un sorriso. Dubhe era troppo forte per restare caduta al suolo e non rialzarsi. Lei non era fatta per le rapide scorciatoie. Non era una vittima. Lo era stata, un tempo, e aveva giurato a sé stessa che non sarebbe successo mai più. Qualcuno l'aveva violentata, allora, era passato sopra alla sua esistenza e quando aveva finito di divertirsi l'aveva gettata via come un giocattolo rotto.
Ma lei non era più una bambina indifesa.
Dubhe era una ladra, e un'assassina, e una guerriera.
E la ragazza di Aster.
Un giorno quel qualcuno avrebbe pagato.

Terminò l’incantesimo di ricerca e si voltò verso di lei: “Nessuno. Solo animali.”
La ragazza annuì. “Ok. Grazie.”
Si slacciò la cintura, poi si sfilò in fretta i vestiti, appendendoli al ramo di un albero. Il mantello svolazzante aveva un’aria vagamente spettrale, ma non ci badò. Entrò rapida nel torrente e chiuse gli occhi. Faceva freddissimo, e l’acqua era gelida, ma a cosa serve l’immortalità se non se ne approfittava in situazioni come quella? Girò il capo, inzuppandosi i capelli, poi si uncinò con le mani al greto, attendendo il momento in cui il freddo, che le pungeva la pelle come un milione di spilli, si sarebbe fatto quasi insopportabile e per poi trasformarsi in quell’assurdo tepore che tanto le piaceva. Quando questo giunse, semplicemente poggiò la testa sulla riva e smise di pensare, a tutto e a tutti, concentrandosi semplicemente sul mezzelfo accanto a lei. I suoi muscoli contratti lentamente si sciolsero. Le mani di Aster presero ad accarezzarle la schiena, e quella dolce sensazione si fondeva perfettamente con tutto il resto.
Credette d'essersi addormentata, e forse era davvero così. Il ragazzo la stava ancora accarezzando. Quando ritenne di averne avuto abbastanza - anche se per lei le coccole di Aster valevano più dell’oro - e ormai aveva la pelle delle mani e dei piedi raggrinzita per la permanenza in acqua, fece forza sulle braccia e si tirò su. Subito il mezzelfo accorse e l’avvolse nel mantello. Normalmente Dubhe gli avrebbe scherzosamente intimato di non essere stupido, ricordandogli che un po’ di freddo non aveva mai ucciso nessuno, ma ora aveva disperato bisogno di quel contatto. Era riemersa dalla palude, ma non si trovava ancora sul terreno solido. Aster parve capire e, dopo averla imbacuccata per benino nel mantello, compreso il cappuccio calato sul volto, le mise un braccio attorno alle spalle e la strinse al suo fianco.
Dubhe gli poggiò la testa sulla spalla: “Aster? Ho bisogno del tuo parere su una cosa...”

Dimmi.”
Secondo te... l'amore mi sta rendendo più debole? Una volta, non sarei mai scoppiata a piangere in questo modo, e comunque, se anche così fosse stato, non avrei voluto che tu mi vedessi. Adesso... io...”
No. Dubhe, tu sei una delle persone più forti che io abbia mai conosciuto.” Poggiò il volto sui suoi capelli. “Se ti ho capita bene...”
Ed è così”, lo interruppe lei.
...allora tu adesso hai questi... chiamiamoli 'crolli'... perchè per la prima volta in vita tua ti puoi davvero sfogare. Stai buttando fuori anni e anni di tensione accumulata e repressa, ma non c'è nulla di anormale in tutto ciò. Ti ricordi com'ero io, la prima notte alla Rocca?”
Lei annuì. Non avrebbe mai dimenticato l'intimità che avevano sperimentato quella sera, seduti sul trono di cristallo nero, a specchiarsi l'una negli occhi dell'altro e confessarsi reciprocamente le rispettive disperazioni.

Ecco. Dubhe, l'unica differenza fra me e te è che io ho avuto quarant'anni per fare la pace con quella che è stata la mia vita, mentre tu sei... uscita solo adesso dall'inferno, ma, si tratta solo questo. Un giorno sarai libera anche tu. E io ti starò accanto finchè non verrà quel giorno, e continuerò a starti accanto dopo che sarà venuto. Anche se libera, la mia vita era vuota, lo capisci? Ci sei voluta tu, per riempirla. Non sarei nulla, senza di te.”
Grazie. Ti dico grazie, perchè non ho altro modo di farti capire quanto le tue parole mi abbiano fatto bene.” Dubhe lasciò che la mano di Aster le scostasse i capelli che ricadevano sugli occhi, e quando lui le prese il volto fra le mani, non si oppose. Si lasciò baciare, a lungo e teneramente. Era incerta se aprire gli occhi, per controllare se ciò che sentiva corrispondesse al vero, o tenerli chiusi per goderselo meglio. Fu la seconda opzione a prevalere, e solo quando Aster si staccò li aprì, languidamente, quasi si stesse risvegliando da un lungo sonno. “Ti amo” sussurrò, e alle sue parole fece eco un secondo bacio. Quando anche quello ebbe fine e i due si separarono, la ragazza si sentiva decisamente meglio: “Piuttosto, dì a qualcuno che ho pianto in questa maniera, e giuro che morirai ancor prima di avere il tempo di pentirtene”, cercò di sdrammatizzare con un sorrisetto tirato.
Il mezzelfo la abbracciò più forte. Come tante persona che avevano avuto una vita dura - e Aster includeva all'elenco sé stesso - Dubhe aveva una forte propensione al sarcasmo. Era un meccanismo di difesa: senza di quello, o si andava fuori di testa, o si finiva depressi a morte per colpa della malvagità e della perversione umana che costituivano le cause fondanti della suddetta vita dura.
Quindi se faceva la spiritosa era un buon segno. Significava che l’altra Dubhe era tornata.

Ne sono sicuro”, mormorò.

_____________________________________________________

* Chambers R.W., The King in Yellow
**Francesco Dimistri, Alice nel paese della vaporità

Ho diciott'anni! Evviva!
*Aster e Dubhe cantano "Tanti auguri a te"*


 

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Capitolo 5
*** Scena Quarta (IV): LA SPIRA DEL SOLE ***


Scena Quarta (IV): LA SPIRA DEL SOLE

 

I believe that dreams are sacred
take my darkest fears and play them
like a lullaby
like a reason why
like a play of my obsessions
make me understand the lesson
so I'll find myself

so I won't be lost again

- Evanescence, All That I'm Living For

Le dita sciolsero in fretta i legacci del corsetto. Il vestito dalle pallide tinte pastello si afflosciò al suolo. La gonna, sfilata bruscamente, venne calpestata senza alcun rispetto per il delicato tessuto. Come una fenice, da quegli abiti emerse Dubhe, nera come la morte e quasi altrettanto tetra. Gli occhi timidamente abbassati, le labbra atteggiate ad un sorriso pudico, le mani congiunte in grembo, i capelli del colore del grano da ragazzina angelica, i passi delicati e timorosi sparirono, sostituite dal volto serio, dai movimenti scattanti, dalla consueta treccia castana. E soprattutto dai grandi, tormentati occhi grigi, troppo spesso impegnati a scrutare non davanti, ma dentro di lei. Le sue armi la salutarono come vecchie amiche, il manto nero le scivolò sulle spalle come la veste talare di un sacerdote. Sorrise, accogliendo con gioia il ritorno di sé stessa. E dal sorriso con cui le rispose, anche Aster doveva esserne parecchio contento.
Rispiegami un po’ com’è possibile che io abbia avuto quest’idea assurda”, chiese la ladra, sbuffando.
Vediamo… teoricamente tu stessa hai affermato, testuali parole, di essere stanca che tutti si voltassero quando passavi. E questo travestimento è stato perfetto, lasciatelo dire. Eri irriconoscibile.”
Mmmh. Fortuna che è finita”, commentò Dubhe, poco convinta.
Lanciò una lunga occhiata divertita ad Aster: ”Spero che nel frattempo tu non ti fossi innamorata di quella specie di damigella cretina e senza una goccia di sangue nelle vene”, osservò, sarcastica come sempre.

Mai!”, protestò il mezzelfo, soddisfatto di ritrovare anche quel tratto della personalità della ragazza. Gli Antichi sapevano quanto le era mancata, sepolta quei sì, mio signore, no, mio signore e subito, mio signore. Allungò una mano e le carezzò la treccia morbida che le ricadeva lungo la schiena: “E poi, è un dato di fatto, mi piaci troppo castana.”
Dubhe si concesse per un po’ le sue coccole - aveva sentito anche lei la loro assenza - poi con gentilezza si scostò e incitò: “Forza, dai, dobbiamo montare la tenda. Farà freddo fra poco.”

Aster non riusciva a dormire. La tenda in cui giaceva era vuota, ma non era questo che lo preoccupava. Sapeva che l’assassina, prima di una missione, era solita riposare molto poco. In più, quella era la notte che precedeva immediatamente lo scontro, e sapeva che, freddo o non freddo, la ragazza doveva essere immersa in un torrente. Attraverso la tela, la vide accovacciarsi sull’erba, immobile, e meditare. A volte le invidiava la voce calma e lo sguardo sereno che manteneva proprio nei momenti cruciali della loro crociata. Dubhe affrontava ogni prova come se si stesse preparando per andare a morire, e così riusciva a mantenersi tranquilla. Sono già morta. E una ragazza morta non ha paura di nulla. Riusciva a sentirla sussurrare, là fuori. Sentiva anche la sua paura, e lo sforzo che stava compiendo per non corrergli fra le braccia. Non voleva darli preoccupazione. Dubhe aveva cercato di tenere lontani da sé i sentimenti per tutta la vita, e ora proprio all’amore si appoggiava per tirare avanti.
Aster si distese sulla schiena, ripensando ad uno dei precedenti santuari.
Sarephen, o dell’odio degli uomini
, era scritto sulla porta. E l’odio aveva affrontato. In tutta la sua vita, non credeva di aver detestato nessuno di più di quel maledetto gnomo che gli era apparso davanti. Lui era il responsabile di tutti i suoi tormenti, lui gli aveva strappato Reis, lui l’aveva trasformato nel Tiranno. Vero, senza di lui, non avrebbe mai conosciuto Dubhe, ma la cosa era marginale, dato che di certo quello non era stato il proposito di Oren. Si era sentito invadere dalla rabbia, aveva cominciato a recitare la stessa Formula Proibita con cui l’aveva già ucciso una volta… quando una mano si era posata sul suo braccio. Si era voltato, sorpreso, incontrando gli occhi grigi della giovane ladra. “Ti amo”, gli aveva detto Dubhe, e gli aveva posato un bacio sulle labbra. Aster aveva capito. Aveva evocato una lama innaturale dall’avambraccio e aveva trafitto lo gnomo. Un colpo solo, letale, e, a suo modo, clemente.
Aveva depositato il cadavere al suolo. “
In pace requiescat”, aveva mormorato.* Quando si era girato di nuovo verso di lei, la ragazza semplicemente aveva piantato i suo occhi grigi nei suoi e gli aveva sorriso.
A quel punto si erano ritrovati entrambi in acqua e inzuppati fino alle ossa. Avevano riso, iniziando a schizzarsi come bambini. Erano salvi ed erano insieme, il resto non era importante. Quando furono stanchi, si erano presi per mano e avevano pronunciato l’Incantesimo del Volare.
Una in meno.

Perchè continuano ad agire così stupidamente?, si erano chiesti varie volte. Non c'era niente di nuovo. Gli dei sembravano adottare sempre la medesima, scaduta tattica. E perchè non avrebbero dovuto farlo? Erano mere espressioni di emozioni umane, neanche vere divinità come il nome avrebbe dovuto indicare. Forme concretizzatesi grazie alla magia, vulnerabili come e più di loro, se solo lo volevano. Dipendenti dalla volubilità della specie a loro sottoposte, perchè, per quanto effimere, quelle stesse creature potevano provare i sentimenti che a loro erano preclusi e che dovevano assorbire per nutrirsi.
'Fanculo,
pensò Aster. Saranno anche dei, ma che dei? Dei di seconda categoria, dei inutili, se questo Mondo Emerso è il risultato della loro azione. Pezzi di scarto, un mondo che si nutre del dolore di chi lo lo abita, vampiri che succhiano le emozioni per poter vivere. Se gli esseri mortali non provassero emozioni, non esisterebbero neanche gli dei. Dei perversi, che alleviano la loro inutilità facendo scontrare le pedine fra di loro, guidando il ciclo di Sheireen e Marvash come meglio credono, permettendo che un ragazzo e una ragazza abbiano da patire tutto il male possibile, che si debbano scontrare confusamente, in una lotta eterna, se... costringono... queste oscure materie...
Aster scivolò nel sonno.

La ragazza faceva correre la mano sopra alla spada. Sentiva l’aria gelida della notte circondarla, avvolgendola nel suo manto ma, sebbene facesse davvero freddo, non fece alcuno sforzo per scaldarsi. Avrebbe potuto accendere un fuoco, se l’avesse desiderato. Invece non mosse un muscolo, a parte continuare ad accarezzare la lama. Si passò le due spade davanti agli occhi. Normalmente era solita riflettere davanti al suo pugnale, ma, chissà perché, stavolta le sue dita si erano serrate d’istinto sulle else gemelle che portava strette ai fianchi. Era strano impugnare quelle ami e saperle istintivamente usare, lei che la spada l'aveva sempre detestata: il Maestro diceva che non era un'arma da assassina. E adesso si rigirava quelle lame fra le mani, come a cercare in loro una sicurezza che in sé non provava. Eppure, avrebbe dovuto essere tranquilla. Non poteva morire, l’aveva sperimentato parecchie volte. Provò a calmarsi com’era solita fare, a chiudere gli occhi e a rallentare il respiro, eppure ancora qualcosa la disturbava.
Le lame erano nere, l'idea stessa del nero, di una tinta che non è definibile come un colore quanto piuttosto come cimitero di tutti gli altri. Il vetro dalle sfumature violacee riluceva alla luce della luna, mentre l liquido rosso scivolava a riempire e svuotare sempre aree diverse, ogni volta che lei le muoveva. Era come essere fissata dagli occhi de Grande Cthulhu, come li ricordava troppo bene, senza espressione, uno sguardo eterno in cui si fondevano tutto e nulla. Cthulhu non era il mala, perchè persino il male per essere tale deve possedere una certa vitalità. Era colui che stringeva in mano la medaglia della quale bene e male erano le due facce. E ricordando lo sguardo di quella statua, Dubhe si perse nelle sue riflessioni.
Sono già morta. E una ragazza morta non ha paura di nulla
, si ripeteva come un mantra. Ma no, non era paura di morire. Almeno non credeva. Lei non aveva mai temuto la morte, anzi, per lungo tempo l’aveva attesa come un’amica. Paura di perdere Aster, allora? Sì, ma sapeva quanto stupido fosse il suo cruccio in questo caso. Il mezzelfo condivideva la su immortalità, e non c’era nulla sulla faccia del Mondo Emerso che fosse in grado di nuocere a loro due o al loro rapporto. Riusciva quasi a sentire fisicamente le catene che la li legavano indissolubilmente. E allora, che cos’era quello strano sentimento che le inquietava l’animo?
Chiuse gli occhi, provando a ripercorrere gli ultimi eventi, uno ala volta. E lo trovò. Quella mattina, al villaggio. Bambini che giocavano, correvano e scherzavano. Un piccolo litigio accanto ad un torrente. Si era sentita straziare il cuore nel petto quando l’aveva visto, le era sembrato che il mondo fosse sul punto di crollarle in testa. Fortuna che un eventuale svenimento sarebbe stato in linea con il personaggio che interpretava. Ma poi aveva visto i piccoli, apparentemente dimentichi delle loro beghe, correre via e prendere ad inseguirsi fra le case. E qualcos’altro l’aveva lacerata dentro. Un senso di inaspettata
invidia. Quante cose lei non aveva mai fatto, e non avrebbe mai potuto fare!
Si era sentita abbracciare senza una sola parola. Però, si era detta, ci rinunciava volentieri, se quello era il compenso. Rischiando di tradirsi, aveva lasciato andare il suo capo contro il corpo di Aster. Una misera damigella e un potente come il mezzelfo. Beh, che quei villici pensassero ciò che gli pareva. Lui la stringeva protettivo, e questo era tutto ciò che le importava.
Tornò al presente, contemplò la causa del suo turbamento e, accettatala, fu capace di metterlo da parte. I suoi pensieri, ora calmi, tornarono all’indomani. Sì, ora lo vedeva con chiarezza, aveva paura. Paura di fallire, paura che qualcosa andasse storto. Paura che, nonostante tutto, accadesse qualcosa - un nodo d’apprensione le strinse lo stomaco - ad Aster. O anche a lei, oramai, se ne rendeva conto. Si può avere paura di morire solo quando si ha qualcosa per cui vivere. E adesso aveva paura per sé stessa.
Sei una stupida,
si rimproverò.
La comprensione del motivo della sua angoscia l’aiutò a superarla. Osservò la lama svasata delle spade. Le aveva usate, più e più volte, ma neanche una dentellatura interrompeva il filo, neanche un graffio intaccava la superficie nera. Aster le aveva detto di aver provato ad analizzare il materiale di cui era composta, senza esito. DI sicuro, nonostante la somiglianza praticamente perfetta,
non era cristallo nero. “Un materiale incredibilmente duro. Non c’è nulla che non riesca a tagliare, compreso il cristallo nero.” E a giudicare da com’era dentellata la lama della spada di Nihal dopo lo scontro fra le due, di sicuro doveva essere così. Il mezzelfo aveva avuto la premura di imporre un incantesimo sulla sua spada - lungo e difficile e che lo lasciò spossato - per evitare che venisse danneggiata durante gli allenamenti. La ladra aveva fatto la sua parte, imponendo alla realtà di fare in modo che l’arma di Aster non si spezzasse. Dubhe sollevò le due lame, mettendole fra i suoi occhi e la luna, osservando il cambio di colore fra le due spade sovrapposte, da sole e il semplice cielo notturno, e come il filo scomponesse la luce dell’astro. Riprese poi a passarsele fra le mani, facendo compiere al liquido che circolava al loro interno delicati arabeschi. Poi le abbassò; sconfitta. Il disagio non se ne andava del tutto; per quanto potesse essere diventata in grado di usarle, quelle armi non erano parte di lei, fra le sue mani suonavano nella maniera sbagliata. Non aveva mai dimenticato quel desiderio di usarle che aveva provato al prima volta che se le era sentite in mano, un sentimento così estraneo a lei che ancora oggi si sentiva fortemente a disagio, pensandoci.
Sospirò:
quando arriverò alla Rocca le sostituirò con qualcos'altro. Qualcosa di meno vistoso, possibilmente.
Rincuorata da quel pensiero, si ripetè che quelle spade non doveva farsele piacere per forza, che erano uno strumento e così sarebbero rimaste. Non c'era niente da fare, non sentiva la stessa intesa che c'era fra lei e il pugnale, l'arco, il coltello, la cerbottana e il laccio. Quelle erano le sue armi, non la spada. Almeno non doveva allenarcisi, le sapeva usare istintivamente, e questo le rendeva più sopportabili. Magari due armi nuove e anonime, che non portassero costantemente impresso il marchio del suo compito, sarebbe riuscita... beh, non a farsele piacere, ma almeno ad ignorarle. Con la mente tranquilla, temporaneamente rasserenatasi sapendo che il problema si sarebbe risolto di lì a breve, riuscì a trovare la pace e la consapevolezza che il giorno dopo sarebbe andato tutto bene, e, rientrata nella tenda, posò il capo sulla spalla del mezzelfo assopito. Il suo braccio le circondò la vita e la ragazza sorrise, e con quel sorriso sulle labbra sprofondò anche lei in un dolce sonno.

I suoi piedi si poggiarono sulla neve appena caduta. Un vento gelido la sferzava: sembrava che anche la natura avesse deciso di schierarsi contro di loro. Un’altra folata, che portava con sé tutto il gelo invernale che in alta montagna diventava ancora più rigido, le fece cadere il cappuccio, rivelando il suo volto pallido e serio. I suoi profondi occhi grigi ardevano come braci nelle cavità oculari. Aster la raggiunse, poggiandole le mani sulle spalle. “Dubhe, che cosa c’è?”, le chiese.
Lei chinò il capo. Quando sospirò, il respiro si condensò in una nuvoletta che le danzò davanti al volto: “Niente”, rispose.
Il mezzelfo le sollevò il mento con le dita: “Riprova”, le suggerì, fra il preoccupato e il canzonatorio, riuscendo a strapparle un timido sorriso. “Stai bene?”

No”, sussurrò la ladra, mesta. “Ma non importa. Lo sai anche tu, che sono fatta così. Stai tranquillo. Fisicamente, va tutto bene.”
No, che non va tutto bene.” Si era fermato, e il suo tono era serio.
Però non c’è niente che uno di noi due possa fare.”
Lui le sfiorò la guancia con la punta delle dita, un gesto timido, quasi da adolescente qualsiasi.

Dubhe…”
La ragazza si era appena voltata: “Dimmi, Aster.”

Avrai sempre quello sguardo quando sei preoccupata? Dai, sorridi. Anche solo un po’ va bene…”
In reazione a quelle parole, volontario o no, un timido sorriso apparve sulle labbra dell’assassina.

Ecco. Sei così bella…”
Ma i suoi occhi restavano pieni di ombre.
Così bella e così triste...

Dubhe?”
Mmmh?”
Ci credi negli Altri Dei?”
La ragazza lo fissò, confusa dalla domanda: “Se intendi chiedermi se li ritengo le mie divinità, allora no, io non mi inchino davanti a nessuno. Se invece mi stai domandando se esistono o no... beh, certo che sì. Tu ne sei la prova vivente.”

E data la loro natura, credi che siano onnipotenti?”
Lei fece spallucce: “Non ne ho mai avuto la prova contraria, quindi suppongo di sì.”

Quindi, se sono onnipotenti, possono anche creare un mondo come lo desiderano loro, no?”
Dubhe sbuffò: “Mi pare ovvio.”

Quindi possiamo supporre che in questo momento possano creare un mondo uguale identico al nostro, giusto?”
Non capisco dove tu voglia andare a parare, ma sì.”
E se creassero un mondo uguale al nostro, potrebbero esserci anche i suoi abitanti, con una memoria storica già definita...”
Che cos'è la memoria storica?”
Praticamente significa una memoria con i ricordi già in essa.”
Ok... Ah, ho capito dove stai andando a parare.”
Dubhe abbassò gli occhi e quando li sollevò di nuovo le brillavano.

Grazie, Aster. Mi hai fatto meglio di quanto tu non creda... forse... anche se mi conosci così bene... comunque grazie. Ho capito.”
Si fermò e si leccò le labbra un momento: “Forse…”, iniziò timidamente. Le sue guance avevano assunto una sfumatura di rosso assolutamente adorabile.
Affanculo la missione. “Mi dai un bacio?”
Aster la tirò a sé e fece come lei gli aveva chiesto. “Meglio?”, le chiese poi.
La ragazza annuì. Il gelo che la proteggeva era tornato, e aveva portato con sé la freddezza di cui aveva bisogno. Respirò a fondo, concentrandosi su sé stessa, finchè non le parve di poter percepire ogni stilla del fluido che le scorreva nelle vene, caldo al tatto, ma ghiacciato, lo sapeva. E così stava bene.
Le ombre che le offuscavano gli occhi si erano dissolte.

Meglio. Grazie.”

Camminavano su quel pavimento lastricato d’oro, senza che le loro calzature producessero alcun rumore. Si muovevano lentamente, attenti, guardandosi intorno. Un minimo dettaglio poteva salvar loro la vita. Quel posto dava sui nervi. Ricordava troppo Makrat, opprimente nel suo splendore. Dubhe, totalmente insensibile alla magnificenza del posto, osservava con sguardo calcolatore gli ordini di colonne delle navate. Se si giungesse ad uno scontro, riflettè, logica e fredda come al solito, sarebbero un ostacolo non indifferente. Ma potrebbero costituire anche un buon riparo. Mmmh…
Fra le statue c'era quella di una fanciulla, vestita di un peplo, con in mano una lancia e una saetta. La giovane ladra ebbe un fremito. Continuò a guardare la statua, cercando di capire cosa ci fosse in lei che la infastidiva così tanto, quando riconobbe il familiare formicolio al braccio.
Ma all’improvviso, una melodia ruppe il silenzio e lei sobbalzò, stupita, rimproverandosi aspramente per quella mancanza di attenzione. Anche Aster aguzzò le orecchie a punta: l’aria aveva iniziato a riempirsi di una specie di canto, declamato dalla voce di una fanciulla. Era in elfico, ma i due lo comprendevano perfettamente, un'altra abilità acquisita dopo il patto che avevano stipulato.

Luce, mia luce,
Dovè la mia luce?
Lombra lha avvolta
Nel suo tenebroso seno lha accolta.
Sole, mio sole,
Dovè andato il mio sole?
La notte lha rubato
Nel buio profondo lha agguantato.
Vita, mia vita,
Dov’è la mia vita?

Dalle mie dita è fuggita
Come un fiore tra i rovi è appassita

Dubhe fu svelta a tirare Aster dietro una colonna. “Ci siamo”, sibilò. La luce si stava cristallizzando in una sagoma. Non appena fu riconoscibile, la ladra sentì la rabbia salirle nel petto. Tu. Represse a forza l'ira, lasciando che fossero solo il gelo e la lucidità a guidarla in quel momento prossimo alla battaglia, ma l'irritazione per quella figura restava. Quanto, quanto aveva odiato quel volto delicato, spruzzato di efelidi, quei ricci biondi, quello sguardo vivace! Cavarle gli occhi con le unghie, strapparle quei maledetti capelli, spellare quel dannato volto da ragazzina innocente, squartarle la gola a morsi così che non potesse più ripetere le sue fottute ipocrisie, ecco cos’avrebbe voluto.
Troia…”, sibilò. Si voltò verso Aster, piantò i suoi occhi grigi in quelli smeraldini di lui. Il ragazzo si perse in quello sguardo: come fa ad esserci così tanto odio nel tuo sguardo, Dubhe, e come fai ad essere nel contempo tu così perfetta e così pura? Non conosceva la risposta, sentiva solo che era... ingiusto, ecco, che negli occhi bellissimi di quella ragazza covasse tanto disprezzo. Provò un moto d'ira nei confronti di quella figura che aveva intravisto solo di sfuggita: per aver fatto provare simili sentimenti a Dubhe, chiunque essa fosse, semplicemente non era degna di vivere. La voce dell'assassina, fredda e dura come raramente l'aveva sentita, lo riscosse: “Qualunque cosa accada, con lei me la vedo da sola, hai capito?”
Il mezzelfo fece cenno d'aver capito. “Sappi però che se ti vedrò nei guai interverrò, che tu lo voglia o meno.”
Dubhe annuì brusca: ”Sta bene.”
Girò il capo e tornò a concentrare la sua attenzione sulla figura che si agitava sotto la cupola, probabilmente, pensò, cercando di capire che cosa ci facesse lì. Gli dei non avevano bisogno di mettere il loro zampino: quella puttana la odiava già abbastanza di suo.
Uscì dal suo ricovero, stagliandosi in controluce, affinchè la sua nemica potesse vederla bene così come la vedeva lei.

Rekla”, sputò con astio.

La Vittoriosa si voltò. Un ghigno parve disegnarsi sul suo volto di porcellana: “Dubhe.”
Sì, sono proprio io. Dimmi, che sono curiosa, cosa si prova a venir fatta a pezzettini?”, la irrise.
La bionda strinse i pugni. Troppo facile, pensò la ladra, di quel passo non si sarebbe neanche divertita a sfotterla come aveva previsto. Altre due battutine, e avrebbe avuto praticamente la bava alla bocca. “Thenaar mi saprà ricompensare del mio sacrificio, non temere.”

Sei sempre stupida e fanatica come ti ricordavo”, replicò beffarda la ragazza. “La Gilda non esiste più, Yeshol ha fatto una fine mille volte peggiore della morte e il culto del tuo Dio Nero è stato cancellato dalla faccia del Mondo Emerso.”
Ma Thenaar è ancora con me! E anche tu, Dubhe, anche se lo neghi, sei anche tu una creatura di Thenaar! Sei un’assassina! Non osar dire che non è vero!”
Sì, sono un’assassina. Ma non sono una Vittoriosa. Guarda me, e guarda cosa sei tu. Io non sono più la ragazzina debole che avevate soggiogato nella Setta. Ho fatto cose che gli uomini neanche immaginano. Non hai neppure la minima idea di che genere di sangue abbia macchiato le mie armi. E qual è stata invece la tua vita, a parte inchinarti e blaterare idiozie?”
Qualunque fosse stata la risposta, fu cancellata da un ruggito di rabbia. Rekla le balzò addosso come un animale ferito, con un pugnale in una mano e una spada nell’altra. Senza scomporsi, Dubhe sguainò le lame gemelle e parò i colpi, per poi contrattaccare. Le quattro lame si scambiavano colpi ad una velocità sovrannaturale. La Vittoriosa calò un fendente, e le due sciabole della ladra furono pronte ad intercettarlo. Poi toccò a lei colpire, e un largo strappo si disegnò nel mantello dell’Assassina.

Non mi hai fatto niente”, sputò Rekla.
Dubhe non si degnò nemmeno di replicare. Il suo core batteva calmo nel petto, scandendo i movimenti delle sue armi. La sua concentrazione era assoluta. Ad ogni battito corrispondeva una parola.
Aster. Aster. Aster.
Ma quel nome, anzichè distrarla, semmai aumentava la sua concentrazione. Dubhe non era mai stata così determinata. Mosse le due spade parallelamente, e sfiorarono il corpo della donna, ad un paio di centimetri di distanza. “C’è mancato poco”, osservò questa, ma neanche stavolta la ragazza la degnò di una risposta. All’improvviso, a Rekla parve di vedere uno spiraglio nelle difese della nemica. Affondò la spada: “Non mi mancherà mai la forza di servire il mio dio!”, esultò. Poi si accorse di una cosa. La giovane non era a terra sanguinante, stringendosi una ferita mortale, no. Le due lame che impugnava avevano intrappolato la sua spada in un morsa letale.

No”, mormorò l’Assassina.
Sei patetica,
pensò Dubhe. Hai il nome di Thenaar sulle labbra, ma dov’è il tuo dio, adesso? Poi torse bruscamente le sciabole, e l’arma che Rekla impugnava le si frantumò fra le mani. La Vittoriosa gridò di rabbia e le si scagliò addosso, puntandole contro la daga. Le lame della ladra sibilarono, attraversando l’aria e mozzandole di netto la mano. Stavolta l’urlo che si alzò fu di dolore. L’Assassina la guardò furente, stringendosi il moncherino. Le restava una cosa da fare. Prese lo slancio e saltò addosso alla sua nemica a mani nude.
Dubhe accettò la sua scelta. E mentre la donna le balzava contro, tese la spada e la inchiodò alla parete, trafiggendola e infilandole la lama nel petto fino all’elsa.

Rekla sputò un fiotto di sangue. La ladra ringuainò la seconda spada e le strinse la mano libera attorno al collo. Estrasse dal suo corpo l’arma con cui l’aveva infilzata e rimise anche quella nel fodero. Prese il pugnale. La donna perdeva molto sangue, ma la cosa non le interessava. Sarebbe stato ben altro che l’emorragia ad ucciderla.
La Vittoriosa sogghignava: “Non ne sei capace, stronza.”
Questo commento la fece davvero arrabbiare, perché era capacissima di ammazzarla, e lo sapevano entrambe. L'aveva già fatto, in fin dei conti. La questione era un’altra.
Vuoi sbatterla nella stessa cenere in cui ha gettato te. Vuoi vederla soffrire come ti ha fatto soffrire. Vuoi vederla supplicare pietà, e poi negargliela.
Gli occhi di Dubhe passavano in un lampo confuso dal grigio, ad un rosso rubino, tanto scuro da sembrare nero, per poi tornare grigi. La ragazza serrò e rilassò la presa sul pugnale e si passò la lingua sulle labbra, nervosamente.
Vuoi tagliarle la gola, e contare quattro minuti di agonia. Vuoi godere del suo sangue e danzare nel suo dolore. Vuoi tutto ciò che rifiuti, ma che dentro di te in fondo brami.
Si deterse la fronte imperlata di sudore con la mano con cui reggeva il pugnale.
Vuoi ammazzarla nella maniera peggiore possibile
.
La ladra scosse la testa, ma quella voce non se ne andava.
E allora io avrò vinto.

Rekla credette di avere un’allucinazione, perché altro non poteva essere. Dietro alle spalle di Dubhe, era apparso un ragazzo stupendo. Non vide i suoi capelli blu, la pelle alabastrina, le orecchie a punta. Quelli furono dettagli che apparvero ad una seconda occhiata. Ma la prima impressione venne dai suoi grandi occhi verdi, gli stessi occhi sotto i quali aveva pregato per quarant’anni.
Aster”, mormorò.
Il mezzelfo la squadrò con freddezza, quasi disgustato. “Sì, Aster.”
Poi posò la mano sulla spalla della ladra, e si chinò a bisbigliare al suo orecchio, a voce talmente bassa che solo lei lo sentì: “Dubhe. Mi senti? Ti amo.”
La ragazza spalancò gli occhi.
Rekla sogghignò: “Non riesci a far nulla. Va' all'inferno, puttana.”

Ci sono già stata”, rispose fredda la ladra, e calò il pugnale.

Il corpo cadde per terra con un tonfo. Dubhe aprì gli occhi e si arrischiò a guardare. Aveva trafitto la sua nemica al cuore. Aveva avuto l’occasione di vendicarsi per tutto ciò che aveva fatto. Nessuna tortura sarebbe stata troppo crudele per una persona che le aveva inflitto tanto dolore. Ma non l'aveva fatto. Si avvicinò al cadavere, ed estrasse il pugnale.
Io non sono come te, maledetta.”
Si rialzò, puntellandosi sulle braccia e traendo un profondo respiro: “Siamo tutti mortali.”
Vacillò, sentendo la vista che le si appannava. Chiuse e riaprì gli occhi per schiarirsela.
”Tutto bene?”, le chiese gentilmente il mezzelfo.
La ragazza annuì piano: “Sì, io…” S’interruppe bruscamente, e piegandosi in due, rigettò il contenuto del suo stomaco sul pavimento dorato. Si asciugò la bocca con la mano: “No”, disse amaramente.

Sai che ti capisco.”
Aster le passò una borraccia per sciacquarsi la bocca. Nel frattempo, diede un’occhiata alla sala. “Mi presti le spade?”, chiese. Dubhe, confusa, gliele porse senza domandare il perché. Il mezzelfo camminò a grandi passi fino alla statua che già la ladra aveva notato in precedenza. Le si fermò davanti e calò bruscamente le spade. La scultura d’oro oscillò e cadde a terra, divisa diagonalmente. Il raggio di luce che danzava nella sala scomparve.
Aster tirò fuori il talismano e lo osservò, soddisfatto. La pietra gialla aveva assunto un colore grigio opaco e spento. Sorrise.
Passò accanto alla ragazza e le restituì le spade. “Grazie.”
Lei le prese senza un commento. Si portò una mano al volto, ma la vide rossa di sangue e sentì un secondo conato di vomito salirle su per la gola. Deglutì e allontanò l'arto dal viso, disgustata e allo stesso tempo imbarazzata. “Odio uccidere, eppure è la cosa che so far meglio”, mormorò. A fatica si alzò e indicò con il capo il corpo di Rekla.

La mia mamma mi diceva sempre che non esistono i mostri… non quelli veri… invece ci sono”, disse con un filo di voce. Si fermò, e riprese con un tono ancora più basso: “Perché dicono sempre queste cose ai bambini?”
Aster la prese per le spalle e incontrò il suo sguardo. Gli occhi tormentati di Dubhe lo supplicavano. La verità, chiedevano, nulla di più. E lui gliel’avrebbe detta, costasse quel che costasse: “Perché nella maggior parte dei casi, è vero”, mormorò.**

____________________________________________________
*Alla Assassin's Creed
* Aliens

A quanto pare sono vivo, e Dubhe e Aster anche.
Qui sotto c'è Dubhe, più o meno come è nel racconto (fatta con il programma di creazione del personaggio di Dragon Age e le mod Pineappletree Vibrant Colours, Bidelle Cosmetics e More Hairstyles.

http://image.forumfree.it/4/5/3/7/6/6/9/1339598759.jpg

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Capitolo 6
*** Scena Quinta (V): DICIOTTO ***


Scena Quinta (V): DICIOTTO

 

Long lost words, whisper slowly, to me
Still can't find what keeps me here
When all this time I've been so hollow, inside
I know your still there

- Evanescence,
Haunted

Lode a Shevraar, lode al Signore del fulmine e della spada, creatore e distruttore, padrone dell’eterno ciclo della vita, lode. Nel suo nome io, Heiral, mi accingo a narrare dei suoi figli prediletti, di come giungano al mondo e di come il Dio si serva di loro. Possa il Dio ispirare le mie parole e condurmi con successo alla fine dell’impresa...

Cazzate!”, sbuffò Dubhe, chiudendo di scatto il volume.
Si alzò, sentendo le gambe indolenzite protestare per la posizione in cui era stata costretta così a lungo e, guardando la luce che filtrava dalle vetrate, si
stupì di quanto tempo fosse trascorso. Gettò il libro sopra una pila di suo simili, e scavalcò una pila di testi di mitologia elfica. Prima di conoscerlo, Dubhe non avrebbe mai sospettato che il Tiranno potesse avere interessi tanto innocui. Quella biblioteca, la più ricca di tutto il Mondo Emerso, era strapiena di tomi rari, scritti in lingue antiche, autografi o addirittura libri che si supponeva fossero andati perduti con il tempo. Sembrava non ci fosse argomento al quale il mezzelfo non si fosse interessato. Indugiò un momento dalle parti degli scaffali di botanica, indecisa se concedersi un po’ di lettura disinteressata, ma era davvero stanca morta. Rimandò. Come faceva da tanto tempo a quella parte. Neanche tanto tempo prima, non avrebbe resistito alla tentazione di sfilare un volume da quegli scaffali. La conoscenza le piaceva, imparare l’affascinava. Ora, invece, si voltò, con un sospiro, e lasciò la biblioteca.
Dopo aver salito le rampe di scale, si tolse il mantello – senza il quale si sentiva nuda – e si gettò nel letto ancora vestita. “Dubhe”, bofonchiò Aster, accendendo con la magia un globo di fredda luce azzurra, “ma lo sai che ore sono? Sei sicura di non essere una vampira?”

Non mettertici a dire stupidaggini anche tu”, tentò di rispondere la ragazza, ma uno sbadiglio la interruppe a metà frase. Il mezzelfo si tirò su e la guardò meglio: i suoi occhi grigi e bellissimi erano arrossati per la fatica e la stanchezza, il suo volto era tirato e aveva un aspetto pallido ed emaciato. “Basta”, le sussurrò, accarezzandole i capelli. “Da domani ti prendi una vacanza, hai capito?”
D’accordo”, mormorò Dubhe, infilandosi sotto le lenzuola. In quel momento gli avrebbe detto sì a qualunque cosa. Tese le braccia: “Dai, vieni qui.”
Aster acconsentì di buon grado, e la abbracciò, deponendola nel cuscino soffice: “Ti stai consumando. Dimagrisci a vista d’occhio”, osservò, sentendole le costole delinearsi sotto le mani. “Credimi, hai proprio bisogno di staccare per un po’”, le mormorò affettuosamente.
Ma Dubhe non sentì queste sue ultime parole, sprofondata com’era, sfinita, in un sonno senza sogni.

Il mondo le apparve fuori fuoco per un momento, mentre apriva gli occhi e subito batteva le palpebre, confusa. C’era qualcosa che non andava, qualcosa che non riusciva ad individuare. Mezza addormentata, la sua mente impiegò alcuni istanti a connettere del tutto. Poi capì. La luce. La stanza era inondata di luce. Scattò in piedi, all'improvviso completamente lucida.
Aster”, esclamò. “Che ore sono?”
Le undici passate da poco…”
COSA?!”
La ragazza si guardò intorno freneticamente, accorgendosi solo in quel momento di avere i capelli sciolti e soprattutto di essere in biancheria intima. Arrossì appena: “I miei vestiti…?”, chiese.

Te li ho tolti io ieri sera, non preoccuparti. Quando sei crollata a letto, non ti eri neanche spogliata, perciò ho pensato che potessero darti fastidio.”
La ladra accettò la spiegazione con un cenno, e si guardò intorno. “Beh… ho perso praticamente mezza giornata… è meglio che mi metta al lavoro…”

Dubhe… ti ricordi che cosa ti ho detto ieri sera?”
Cosa?” Le ci volle un attimo per fare mente locale. “Ah. Vero…”
E, comunque, oggi non ti permetterei di muovere un dito in ogni caso.”
Perché?”, lo fissò confusa lei.
Che giorno è oggi?”
La ragazza continuava a guardarlo, sempre più confusa: “Che giorno dovrebbe essere?”
Aggrottò la fronte, provando a ricordare, ma per quanto si sforzasse, non le veniva in mente nulla. “Niente. Aster, che giorno è?”
Il mezzelfo sorrise e la abbracciò: “Buon compleanno, Dubhe!”
Lei sgranò gli occhi: “No! Stai dicendo sul serio?”
Il ragazzo annuì, e sorrise: “Non mi dirai che te l’eri dimenticata?”

Davvero. Sul serio, io…”
Aster gettò la testa all’indietro e scoppiò a ridere. “Sei incredibile!”
La guardò, notando il suo sorriso lieve, gli occhi che scintillavano divertiti e le guance tinte appena appena di rosso. “Ti ho mai detto che sei bellissima?”
SI alzò, e le porse un involto che avevo preso dai piedi del letto: “Tanti auguri!”
”Oh, Aster! Non dovevi, davvero…!”

Dovevo, sì. Sei o non sei la mia ragazza?”
Lei rise: “Direi che lo sono, in effetti.”

Beh, cos’aspetti? Dai, aprilo!”
Le dita della ladra sciolsero lentamente il nastro, aprirono con delicatezza la carta, e, quando scoprirono il contenuto, si intravide qualcosa di verde. Guardò Aster interrogativa, e lui le fece cenno di andare avanti. Le sue dita sfiorarono una superficie morbida: tessuto. Incuriosita, eliminò la carta e svolse l’oggetto, rivelando un lungo abito verde foresta, con gli orli di merletto bianco. Dubhe sentì distintamente il cuore mancarle un battito. “Te lo provi?”, sorrise lui.
Come in trance, la ragazza si alzò e indossò il vestito, aggiustando rapidamente i vari passanti e legacci. Il tessuto era davvero morbido come sembrava, e le frusciava addosso. Era… piacevole… sentirselo contro la pelle. Abbassò lo sguardo, osservandosi. Sembrava andare bene.
Il mezzelfo le porse lo specchio e lei, dopo aver preso un respiro profondo, osò guardarsi. Non era la prima volta che si vedeva in abiti femminili, e il vestito, nonostante la sua indubbia bellezza, era qualcosa di abbastanza semplice, ma, chissà come, si sentiva…
diversa. Si concentrò sulla propria immagine. Le spalle e le braccia erano nude, il seno minuto era stretto nel corsetto, la stoffa le avvolgeva la vita sottile, e dietro di lei lo spacco le lasciava scoperta buona parte della schiena. I suoi bei capelli castani scivolavano sul verde intenso, creando un contrasto che era difficile ignorare. Il colore era intonato anche con quello degli occhi. Non era un abito per celare la sua identità, per nasconderla, ma piuttosto un modo per arricchirla e circondarla di nuove sfumature che forse, da sola, non avrebbe mai notato.
E Dubhe si trovò carina, davvero.

Sono bella…”, mormorò, quasi incredula.
Lo sei sempre”, le sussurrò Aster, abbracciandola.
Dubhe sorrise timidamente e gli baciò le labbra: “Grazie.”
Il ragazzo la scostò un attimo e la squadrò con sguardo critico. La scollatura evidenziava le clavicole, che interrompevano la linea morbida nel collo, incavandosi appena. Ricordò le sensazioni che dava seguirne il contorno con le labbra, ad occhi chiusi, e fremette inconsciamente. Ma era qualcos’altro che aveva attirato la sua attenzione: “Aspetta.”
Prese da un armadio i vestiti della ladra, dove li aveva riposti. Era una sensazione strana, quella che aveva sentito nel guardarla: un senso di… inadeguatezza, l’avrebbe definita. Come se ci fosse stato qualcosa di… sbagliato. Seppure bellissima, quella ragazza che aveva davanti era… diversa dalla sua Dubhe. Sollevò il mantello nero. “Posso?”, le chiese.
La giovane lo guardò negli occhi e annuì. Come sempre, aveva capito. Aster le drappeggiò l’ampio manto dietro alla schiena, andando a coprirle le spalle. Lasciò abbassato il cappuccio, perché i capelli lucidi di Dubhe erano uno spettacolo che meritava di essere ammirato nella sua completezza. Le allacciò il fermaglio sul collo e la voltò: “Adesso, guardati di nuovo.”
La ragazza ubbidì. Un flash. Passato e presente si univano in un caleidoscopio, in quell’immagine che la guardava. Una ladra, un assassina e una regina.
Sono io?, si chiese, stupita. Ma gli occhi non lasciavano dubbi. Si osservò: come sempre, Aster aveva avuto ragione. Il mantello nero la completava stranamente, elevandola al di sopra della normalità. A lungo non aveva voluto vedere la propria bellezza, ma ora era costretta a riconoscerla. Non avrebbe potuto fare altrimenti. Avvicinò il volto allo specchio. I suoi occhi grigi le restituirono lo sguardo. Era la prima volta che se li osservava così attentamente. Percepì la rapida interruzione di un battito delle ciglia, il dilatarsi della pupilla, le pagliuzze più scure che si irraggiavano nell’iride. Trovò il colore davvero bellissimo, sembravano due opali. Capì cosa intendesse Aster quando le diceva che sarebbero bastati i suoi occhi per fargli perdere la testa, anche senza tutto il resto. Si sorrise, timida. Nel suo sguardo c’era sempre quella nota malinconica e inquieta. La accettò come tale, e se ne sentì rincuorata. Era lei, dopotutto.
Le piaceva l'impenetrabilità di quegli occhi grigi: nessuno, tranne il mezzelfo, riusciva mai a capire se fosse felice, arrabbiata, oppure semplicemente stanca. Per chiunque altro, lei era
ghiaccio. Un grigio che poteva essere il nulla e ogni cosa, mutevole e sfuggente come lei, con l'unica costante della freddezza. Il semplice risultato di aver passato la vita ad imparare, a costo di grandi sacrifici, ad essere forte, ad essere insensibile.
Era così… strano. Ebbe la netta sensazione che riconoscere la propria debolezza in qualche modo la sollevasse da essa. In un istante capì le parole che Aster le aveva rivolto dopo che lei aveva affrontato Gloriar: significava capire chi era lei, e poi capire che non era più la stessa persona. Significava che aveva fatto un errore, e che quell’errore l’aveva cambiata, e che nel farglielo capire lui le aveva dato la certezza che non avrebbe rifatto lo stesso sbaglio, perché adesso era già un’altra, una persona meno spaventata, una persona capace di affrontare il dolore in sé e negli altri.
Se non sono la ragazzina piena di paura che si sentiva l’anima dilaniata a metà e non aveva idea di cosa fare, allora chi sono?
Ci pensò su un attimo, senza risultato. Stava per rinunciarvi, forse era già abbastanza sapere che non era più quella di un tempo, quando lo capì. Lo aveva detto lei stessa ad Ondine:
sono la ragazza di Aster.
E comprese anche che era l’amore che provava per lui ad averla cambiata, ad averla plasmata in una persona nuova, ad averla
completata.
Iniziò a spogliarsi, pian piano.

Cosa c’è?”, le chiese il mezzelfo, incuriosito.
Dubhe voltò la testa e gli sorrise: “Una volta mi hai detto che un giorno mi sarei resa conto di essere libera, ti ricordi?”
Lui annuì. “Beh, penso che questo giorno sia arrivato.”

Davvero?”, sorrise il ragazzo.
La ladra fece cenno di sì: “Davvero. Mi sento ancora… inquieta, triste, insomma, lo sai. Però… però quando sono qui con te, è come se non me ne importasse. È questa la libertà?”

Sì. Cioè, credo di sì. Ma… non lo so. Non dici di dipendere comunque da me?”
Aster, io dipenderei da te in ogni caso. Mi appartieni, e io ti appartengo. Non è una questione di debolezza o no, io ho bisogno di te anche solo per respirare e per vivere. Se c’è una cosa che ho imparato in questi diciotto… diciannove anni passati sul Mondo Emerso, è che è impossibile non essere controllati da nessuno. Però posso scegliere di essere controllata da chi mi vuole bene.”*
Dubhe…”, sussurrò il mezzelfo. “Lo sa che mi hai appena detto una cosa bellissima?”
Lei annuì piano. “Adesso, aiutami, per favore. Ho voglia di… controllare se sono... cambiata, ho voglia di sapere come vedo il mio corpo… ora. Voglio vedermi come chi si vede la prima volta…”
Aster le sorrise, e le andò accanto. “Chiudi gli occhi, allora.”
L’assassina ubbidì e per sicurezza si voltò, sentendo il tessuto morbido scorrere via. Al permesso, riaprì gli occhi e voltò il capo, scrutandosi al si sopra delle spalle. Il suo sguardo passò sul fisico scolpito dalla danza delle armi che durava da dieci… undici anni ormai. Scostò i lunghi capelli, mostrando la pelle pallida, seguì le scapole, che sporgevano come un paio d'ali, dividendo la chioma castana, quindi il saliscendi della colonna vertebrale, laddove le dentellature erano ben evidenti, poi scese fino ai glutei sodi. Prese un respiro e si volò, davanti alla figura nuda riflessa nello specchio, lasciando i capelli che aveva trattenuto. Un corpo sottile e nervoso, il corpo di un’assassina. Era magra, forse troppo, ma in fondo si piaceva così. Da sotto il seno minuto, con i capezzoli appena più scuri della pelle circostante, le costole affioravano leggermente, ad ogni respiro rompendo il gioco di ombre che scivolava sul suo corpo; l’addome piatto si tendeva all’indietro, disegnandole appena il profilo della muscolatura morbida, le gambe erano lunghe e snelle a furia di correre e arrampicarsi su tetti con un'agilità che poco aveva di umano. Si accarezzò le braccia tornite, sentendo i muscoli sottili ed elastici che si tendevano sotto il velo della pelle. La sua mano passò sul sigillo, e per un momento la Dubhe fuggita dalla Gilda si chiese perché non pulsasse e come mai la Bestia fosse così tranquilla. Poi sorrise e ne segnò i contorni con le dita. Il simbolo della sua prigionia era diventato quello della sua libertà.
Sopra le spalle sottili, l’incunearsi delle clavicole e il collo esile, stava quel volto dolce e infantile, quel volto da ragazzina, quella bocca ben disegnata, quei capelli castani che scendevano a ciuffi ai lati del viso, e poi giù, sulla nuca e fino quasi alla vita, e soprattutto quei bellissimi occhi grigi e malinconici.

Attenta a non innamorarti di te stessa”, l’avvertì scherzosamente Aster. “Fossi in te, non ci penserei due volte.”
Dubhe sobbalzò.

Allora, ti trovi cambiata?”, proseguì il mezzelfo.
Forse.” Si buttò di schiena sul letto, invitandolo con un cenno a fare altrettanto. “Da bambina non ho mai pensato di essere carina. Un tempo, neanche troppo lontano, il mio era un mondo fin troppo concreto, in cui contava solo la sopravvivenza e la vita era puro mangiare, bere e respirare. La mia vita era un' infinità, immutabile notte, ferma nel suo momento più cupo, perchè solo al buio sarei stata sicura, sarei stata protetta. L'oscurità mi ha dato una casa quando non ne avevo nessuna, mi ha dato di che vivere quando ero sperduta. Questo prima che una notte tu bussassi alla mia porta.”
Da bambina non hai mai pensato di essere carina? I ricordi ti giocano strani scherzi.”
La ladra scosse la testa, e la frangetta le finì come al solito sugli occhi: “No. Voglio dire, il corpo e il viso sono gli stessi. Cioè, sono cresciuta da quand’ero bambina, sono diventata una ragazza, ma in fondo sono ancora io. Ah, no, aspetta, non è così. Della bambina che ero un tempo, non è rimasto proprio nulla. È dell’apprendista assassina che sto parlando, o della ragazzina che viveva di furti a Makrat. Sì, adesso ci siamo. Ti dicevo, sarò cambiata forse un po’ da allora, ma non credo così tanto. Solo che..”

Solo che una volta non sapevi cosa fosse la bellezza.”
Ehi, come fai a saperlo? Giù le zampe dalla mia testa, Tiranno che non sei altro!”
Aster rise assieme a lei: “No, è quello che ho provato io quando ti ho vista da quella boccia per pesci in cui mi avevano infilato nella Casa. Allora, la mia anima aveva soggiornato così a lungo nel corpo di un bambino, che non potevo capire a fondo il sentimento che provavo… non all’inizio, almeno. Ma sappi mi piacevi già da allora. I tuoi occhi, Dubhe. Gli occhi sono rimasti gli stessi di quand'eri bambina, sono ancora innocenti, ancora si stupiscono della crudeltà di questo mondo.”

Davvero? Grazie… per me, quando ti ho visto davvero - e il ragazzo capì cosa intendeva dire - dopo che mi hai parlato, è stato… indescrivibile. Prima la mia bellezza – il fatto che gli altri mi trovassero bella – era inutile, fastidiosa, addirittura. Ora devo dire di no, perchè ha uno scopo se questo scopo è donarla a te.”
Lo stesso per me.” Il mezzelfo si stiracchiò. “Ti aiuto a rivestirti, ti dispiace? Scusa, ma sei troppo carina, vestita così.”
Dubhe sorrise, quasi timidamente, con una lieve sfumatura che saliva a colorare le sue guance. Si voltò di schiena per permettergli di allacciare i vari passanti. La mano del ragazzo, prima di occuparsi del corsetto, scesero piano lungo la colonna vertebrale della ladra, strappandole un brivido.

E sei ancora più bella quando arrossisci.”
Sì?”
Sì. Sembra che quelle ombre che ti porti sempre dentro agli occhi si diradino di colpo.”
Beh... grazie.”
Mentre lei terminava di scrollare l’abito per aggiustarselo addosso, Aster rotolò giù dal letto e le porse un pacchetto avvolto in carta velina. “Ops. Quasi mi dimenticavo. Apri.” Le fece l’occhiolino.
Lei lo fissò, stupita. Per la seconda volta, scartò l’oggetto. Quando la sottile carta semitrasparente venne rimossa, la ragazza rimase davvero senza fiato. Su una lastra di roccia chiara, circa una spanna per una spanna, stava impressa una libellula, stupenda, congelata nella morte chissà quanti milioni di anni prima. Era così perfetta che poteva distinguere le nervature delle ali e gli occhi sfaccettati. Sembrava sul punto di staccarsi dalla roccia e spiccare il volo, e dovette sforzarsi per imprimersi nella mente che invece ne era tutt’uno da molto più tempo di quanto non ne potesse immaginare.
Si voltò verso Aster: “Io… non ho parole. È bellissima. Grazie. Grazie davvero”, ripetè, come se fosse insoddisfatta delle limitazioni d’espressione di quella parola.
Fu quell’incapacità di trovare un termine con cui ringraziarlo, che fece capire al mezzelfo quanto avesse apprezzato il suo dono. “Di nulla”, le sorrise. “’Ti voglio bene’ va benissimo”, suggerì.
Dubhe appoggiò con cautela il fossile e gli gettò le braccia al collo: “Ti voglio bene, e ti amo, Aster.”
Vedendo come aveva maneggiato la libellula, con estrema attenzione, quasi temendo che un respiro la potesse spazzare via, si affrettò a rassicurarla: “Stai tranquilla, ho imposto un incantesimo sulla lastra. Neanche usando una lama di cristallo nero riusciresti a danneggiarla.”
La ladra sorrise e lo baciò: “Grazie, Aster. Di tutto.”

Non è finita”, rise lui. La prese per mano, e corsero fino ai bastioni della Rocca. Prima di uscire, le chiese: “Dubhe, ti fidi di me?”
La ragazza non ebbe neanche bisogno di pensarci: “Sì.”
Il mezzelfo mise una mano davanti agli occhi. “Bene, allora... Cammina in avanti, piano... non preoccuparti, ti sostengo io... brava... stai andando bene... adesso, tendi la mano davanti a te...”
Lo fece, e si sentì sotto le dita qualcosa di freddo.
Aster le scoprì gli occhi.

Neve!”, esclamò lei, stupita.
Contenta?”
Dubhe non rispose. Un fiocco candido le cadde esattamente sulla punta dell'indice. Lo avvicinò agli occhi.
Che cos'è la neve? Qualcosa di bianco. Qualcosa di puro. Ma che cosa vuol dire bianco? Che cosa vuol dire puro?
Qualcosa di estraneo a me... qualcosa che non mi appartiene.
E allora che cosa sono io? Qualcosa... che non è bianco... che non è puro.**
Qualcosa di rosso. Una Bestia.

Una mano si poggiò sulla sua spalla.
Stupida. Ora non più. Ora sono con te...
Alzò gli occhi al cielo. Nevicava. Nevicava sulla Rocca.
...e sono la tua ragazza.

Questo... tutto questo... è molto di più di quanto abbia mai potuto sperare in tutta la mia vita”, disse lentamente. Si guardò intorno: la Grande Terra coperta da un candido manto. Il bianco della neve, il nero del cristallo. “Nevicava ogni inverno, nella Terra del Sole. Ogni inverno tutto diventava bianco, ed ogni inverno eravamo fuori casa a giocare... E poi, la neve ha continuato a cadere, quasi una beffa al mio destino. Per due inverni vedendola l'ho odiata. Era il simbolo di quel mondo perduto che mi era precluso. Adesso...”
I suoi occhi scintillavano come stelle.
La Dubhe di una volta le ricordò cinicamente che di solito quando una cosa è troppo bella per essere vera, allora non è vera. Ma la Dubhe presente la zittì seccamente. Forse era un sogno, forse era un'illusione, ma, qualunque cosa fosse, era loro.
Si voltò, e baciò Aster.

Grazie! È il compleanno più bello della mia vita!”
Sono davvero libera.

______________________________________
* Ispirato a Orson Scott Card, "Il gioco di Ender"
** Ispirato alla mitica prima notte di Vampire Knight

Altro che armatura di Nihal! Capito, Ido? Aster sì che sa come si arriva al cuore di una ragazza! ^ ^
E lo spogliarello di dubhe era proprio necessario?! Sì, lo era ^ ^

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Capitolo 7
*** Scena Sesta (VI): UN SENSO DI MERAVIGLIA ***


Scena Sesta (VI): UN SENSO DI MERAVIGLIA

 

I took their smiles and I made them mine.
I sold my soul just to hide the light.
And now I see what I really am,
A thief a whore, and a liar

- Evanescence, Farther Away

I corni suonarono, il cielo infranse la sua grigia uniformità, solcato dalle sagome nere degli avidi uccelli che attendevano la fine del massacro per saziarsi. Fuori della Rocca, erano ammassati il variopinto esercito delle Terre Libere, e quello nero del Tiranno. Draghi di tutti i colori sciamavano per il cielo, disperdendo gli stormi dei rapaci. Una mezzelfo aveva pronunciato il suo discorso, aveva suscitato la speranza nel cuore degli uomini e degli gnomi che combattevano per la libertà. Era il ventuno dicembre, e tutti sapevano, consciamente o meno, che quel giorno si sarebbe deciso il destino del Mondo Emerso.
Le menti di tutti erano puntate in una preghiera silenziosa agli dei, perchè aiutassero e proteggessero in quel frangente... tranne due.
In una stanza della Rocca, in un letto, avvolti dalle lenzuola, giacevano due corpi ansimanti, madidi di sudore. Mai la loro mente avrebbe potuto essere più distante dagli dei. La pelle candida dei due quasi scintillava nell'opaca oscurità, mentre il loro respiro si regolarizzava. La ragazza sollevò la testa dal petto di lui. “Sembra che sia giunto il momento”, disse.

Di cosa ti preoccupi? È solo una sciocca ragazzina che gioca a fare la guerra. Non ha idea di cosa ci sia dietro a tutto ciò.”
La ragazza si era chinata, tornando a baciargli appassionatamente la bocca, poi si era tirata su, sorreggendosi con le braccia.”Dovresti aver imparato, a furia di frequentarmi, quanto può essere pericolosa una ragazzina. Specie una convinta di quello che fa.”
Era rotolata fino al bordo del letto, e si era avvolta in un mantello nero.

Dove stai andando?”
Lei aveva voltato il capo, guardandolo al di sopra della spalla, unendo i suoi occhi grigi a quelli verdi del ragazzo con una linea immaginaria.

Vado a uccidere quella mezzelfo, Aster.” Gli si era avvicinata e l'aveva baciato un'altra volta, sulla fronte. “Per te.”
Dubhe...”

Sì, Aster?”
Erano seduti nella sala del trono, rivolti verso i fiocchi bianchi che vorticavano fuori dalla vetrata, con lo sfondo del cielo plumbeo. Un silenzio ovattato copriva ogni cosa. Il mezzelfo aprì gli occhi.

Stavi chiamando il mio nome, va tutto bene?”, chiese la ladra. Il suo volto era a poca distanza da quello del ragazzo, così vicino che poteva distinguere le pagliuzze più scure nel grigio dell'iride.
Sì, non preoccuparti. Sogni...”
Incubi?”
Aster scosse la testa. “C'eri tu. Come poteva essere un incubo?”

Allora va tutto bene”, sorrise Dubhe.
Si guardò intorno. “Prima avevi l'aria di volermi parlare, ma poi hai scosso la testa dicendo che non era niente. C'è qualcosa che dovrei sapere?”

Ah, sì. Volevo chiederti se sei pronta così o se hai bisogno di prendere qualcosa...”
Mmmh...”, la ragazza sbadigliò. “Pronta così per cosa? Perchè dovrei essere pronta?”, chiese, confusa.
Il ragazzo sbuffò: “Dobbiamo andare a Laodamea; stamattina hanno rotto le scatole dal Consiglio delle Acque, pretendendo che passassimo lì... idioti... Non te l'ho detto prima perchè non volevo rovinarti il compleanno, ma... Guarda, ti avrei risparmiato volentieri questa seccatura, ma se si sono dati la briga di spedire ben cinque messaggi, dopo che ho cercato di far finta di non aver visto il primo...”

Ok, nessun problema”, sorrise l'assassina. “Stai tranquillo.”
Si alzò, stiracchiando il corpo snello, e gli tese una mano per aiutarlo a fare altrettanto.

Devo cambiarmi. La gente tende ad ascoltare di più una ragazza in pantaloni, vestita di nero e che tamburella le dita sull'elsa di una spada con l'aria di saperla usare.”
Aster annuì: “Quando sei pronta dimmelo.”
Si lasciò scivolare sul trono, chiudendo gli occhi e ascoltando il suono dei vari tessuti che lasciavano o ricoprivano il corpo di lei.

Ci sono.”
Va bene.”
Le ombre alle loro spalle si condensarono in due enormi sagome dagli occhi di brace accesa, composte di pura oscurità e i quali contorni sfumavano e si ricomponevano in continuazione, intrecciandosi, oscillando, serpeggiando come tenebrose lingue di fuoco, più compatte sui corpi ma in continuo mutamento lungo le ali. Dubhe si appoggiò con un sorriso soddisfatto al cranio crestato della sua viverna - grande abbastanza da inghiottire un essere umano con un solo morso - e si lasciò circondare dalle spirali delle ali. Per un attimo, creatura e ragazza apparvero molto simili.
Si drappeggiò il mantello nero sulle spalle, e lo stesso fece il mezzelfo. Andiamo.”
La ladra schioccò la lingua: “Spero per loro che abbiano un motivo molto serio per disturbarci...”
Non una sola goccia di ironia nelle sue parole.

I corridoi di marmo del palazzo sfilavano davanti agli occhi di Dubhe. Quanto era cambiata in quell'anno! Ora quel luogo non aveva il potere di impressionarla, tanto meno di metterla in soggezione come la prima volta che vi aveva messo piede. Anzi, quei marmi bianchi le apparivano scontati, addirittura, paragonati alla fredda e trasparente grazia del cristallo nero, un'inutile ostentazione. Ma era lei ad essere diversa. Non aveva più bisogno di nascondersi, non c'era nessuno a guardarla con sospetto, nessuno pronto ad accusarla di essere un'Assassina. Nessun sigillo pulsava sul suo braccio.
Eppure, quella che camminava silenziosamente, un piede davanti all'altro, senza che il minimo ticchettio tradisse la sua presenza, era Dubhe, nonostante tutto quello che poteva essere cambiato; quella mente inquieta che si agitava dietro la sua fronte era ancora piena di domande senza risposta. Ma adesso aveva qualcuno che, se le avesse poste avrebbe provato a rispondervi. Un corpo scivolava accanto al suo, capelli blu sfioravano i suoi castani. Sorrise.
La ladra che in fuga dalla Gilda era entrata in quello stesso posto non avrebbe mai pensato che di lì ad un anno vi sarebbe tornata con qualcuno che amava. Quella ragazza, per quanto cercasse di celarlo con mute illusioni, era certa che in breve tempo... non un mese, non due mesi, ma poco... sarebbe morta. Dubhe rabbrividì a quei pensieri. Sono stata molto fortunata...
Girò leggermente il capo a guardare Aster. A cosa stai pensando?
Non vedeva i suoi occhi, altrimenti vi avrebbe letto come un libro aperto. Poteva intuirlo, però.
Anche tu hai sofferto le mie stesse pene. Anche tu ti sei visto rifiutato, ti sei visto guardato con sospetto, semplicemente per quello che eri. Uomini che non hanno cercato di capire, ma stretti alle loro paure si sono soltanto permessi di giudicare e di disprezzare. Paure, sì, perchè gli esseri umani temono quelli come noi, che arrivano di notte a distruggere le loro vite, e temono ciò che non possono capire. E stretti ai loro timori non si accorgono di essere loro stessi gli artefici della loro rovina, loro stessi quelli che dovrebbero biasimare, perchè, in fondo, è merito loro, di persone che non seppero vedere, che siamo quelli che siamo. Io non ho rimpianti, e nemmeno tu. Lo leggo nei tuoi occhi, Aster, quegli occhi che mi guardano adoranti, quegli occhi dove mi sono vista riflessa, quegli occhi che capiscono ogni mio pensiero. E del parere degli esseri umani non c'importa più nulla.
Lasciò che il mezzelfo la superasse e quando le fu davanti lo abbracciò. Aster smise di camminare e li lasciò stringere dalle sue braccia, senza chiederle il motivo di quell'improvvisa dimostrazione di affetto. Quando lei si scostò le carezzò la testa, in un gesto affettuoso come sempre.
Dubhe sorrise.

La ladra si fermò, strofinandosi la fronte con la mano: “Che strano...”
Cosa?”
Lei scosse la testa, come sempre quando voleva scacciare un pensiero: “È difficile da spiegare. Ultimamente mi sento come se... come se la parte di Assassina che c'è in me mi stesse... lasciando. Non provo più gli stessi sentimenti di una volta, io... non so spiegarmi, l'ho detto. Mi esercito ogni giorno, vado avanti fino a stancarmi, lo sai, eppure ho come l'impressione di essere sempre fuori allenamento. Non riesco a cancellare la mia vita dalla mente, e non riesco a guardare oltre. Non voglio, ma sono bloccata in un maledetto passato.”

Non riesci a guardare oltre? Il nostro amore cos'è, allora?”
Non lo so... è che mi sembra così... naturale stare con te! Forse una parte di me si aspettava qualcosa di diverso da quando mi sono liberata della maledizione... di certo, un modo diverso. Non che provi dispiacere per la piega che hanno preso gli eventi, è che ho voltato la testa indietro è ho guardato la me stessa di un anno fa... chi, o cosa, sono io? Chi - che cosa - sono diventata? A volte mi sembra che l'unica soluzione sia bruciare, e che dalle mie ceneri rinasca una nuova Dubhe... eppure ho il terrore di farlo, di trasformarmi in qualcosa che mi è sconosciuto. Ho vissuto così a lungo con il mio dolore che ho paura di scoprire cosa diventerei senza di esso. E ho paura che questo cambiamento, questo guardarsi indietro, questo anno che è trascorso, sia il primo passo verso questo cambiamento... che sento di volere e di non volere, mi capisci?”
Non aver paura, Dubhe. Sei diventata ciò che sei sempre stata.”
Davvero? Mi sembra che tutto attorno a me resti fisso, l'unico orizzonte per determinare gli eventi, e che io sia spinta inesorabilmente a qualcosa di nuovo. Guardo quello che è diventato il mio mondo, e mi sembra solo una piccola parentesi, qualcosa destinato a finire. Ma io non voglio che finisca, Aster. E... e...”
E ho perso troppo...”, sussurrò il mezzelfo, “E ho perso troppo per andarmene di qui a mani vuote...”
Sì...”
E tutto ciò che ci siamo lasciati dietro... consumato... per scrivere una pagina della storia...”
Sì...”
Della nostra storia...”
Sì...”
Silenzio.

Sono una stupida.”
Aster si chinò e le strofinò il viso sul collo.
"Sei umana. È diverso.”

La porta era davanti a loro. E non avevano voglia di varcarla. Politica, politica e ancora politica. Ancora uomini che avrebbero cercato di manovrarli per i loro scopi; ancora persone che avrebbero fatto di tutto per far perdere loro le staffe, che avrebbero dovuto sforzarsi notevolmente per non insultare, o ancora preferibile dare una bella lezione seduta stante, del genere: deporli dal loro incarico, acciuffare il primo contadino che fosse passato e metterlo al loro posto, certi che di sicuro avrebbe fatto un lavoro migliore. Sicuramente non era il caso di generalizzare, lì dentro c'erano anche persone decenti, ma per la loro esperienza la maggior parte dei politici erano una cricca di omuccoli attaccati come patelle al loro potere. Si preannunciava una replica della scenata al palazzo di Makrat.
Un paio di minuti a fissare la porta, poi la ladra sbuffò, le braccia conserte sul petto: “Uffa, non ho voglia, accidenti!”

Facciamo un altro giro?”, propose Aster.
Sì, d'accordo.”
Camminarono entrambi in silenzio per un poco, poi Dubhe voltò la testa a guardare il ragazzo: “Aster?”

Sì?”
Posso farti una domanda?”
Certo.”
Ecco... non vorrei sembrare offensiva ma... perchè si dice mezzelfo e non mezzuomo?
Per una cosa del genere avevi paura di sembrare offensiva?” Aster le sorrise: “Non preoccuparti. Comunque, sai che non me lo sono mai chiesto?” Rimase a pensarci un attimo: “È perchè - disse lentamente - per gli umani essere mezzo elfo è parte di un insieme. Essere mezzo uomo è una menomazione.”*
La ladra annuì. “Non l'avevo considerata sotto questo punto di vista.”
Eppure il nervosismo che sentivano nell'aria non poteva essere dissipato con così poco e, inevitabilmente, si trovarono di nuovo di fronte a quella maledetta soglia.
Si scambiarono un'occhiata.
Aster sollevò un sopracciglio: “Prima le signorine, le brave ladre e le festeggiate.”
Sul volto di Dubhe apparve un pallido sorriso, che scoprì per un attimo i dentini bianchi.
Allungarono all'unisono la mano, sospingendo la porta e...

...e una piccola folla - Theana e Lonerin davanti a tutti - gridò “Sorpresa!”
Dubhe voltò di scatto il capo a guardare Aster, ma a giudicare dalla smorfia che gli era apparsa sul viso - stupore, per lo più, ma anche una punta di irritazione - era anche lui all'oscuro di tutto.
"Ch... che...?!”, ebbe il tempo di balbettare, prima che Theana la tirasse dentro: “Non stare così impalata!”, la prese in giro la maga.

Theana... io... cosa...?”, chiese la ladra, confusa più di prima.
Auguri!”
Grazie... no, aspetta un attimo! Stop! Spiegami cosa diavolo sta succedendo!”
Che la seduta era un tranello per attirarci qui, sta succedendo, e che ci siamo cascati...”, mormorò Aster al suo orecchio.
Questo l'avevo capito. Chi è il... il... ah, meglio che sta zitta!... che ha organizzato tutta questa farsa?”
Io!” Ido uscì dalla folla con un boccale di birra in mano. “Preditela pure con me...”
Non fece tempo a finire la frase che Dubhe l'afferrò per il bavero, sollevandolo all'altezza dei suoi occhi... il che significava circa venti centimetri in più dell'abituale altezza dello gnomo. “Qualche problema?”, chiese, notando il lampo omicida che era passato negli occhi della ragazza.

Io... mmmh... nulla”, disse lei. “Credimi, meglio che stia zitta prima di dire qualcosa di cui potrei pentirmi...”
Lo rimise al suolo e la prima cosa che Ido fece fu controllare il boccale di birra: fortunatamente, se n'era spanta pochissima. “Ma ne parliamo dopo”, sibilò la ladra, e si voltò a ricevere l'abbraccio di Theana.

Sai, non ricordo queste tendenze suicide quando combattevi per me”, fece Aster con aria disinvolta.
Lo gnomo sbuffò: “Si vede che le ho sviluppate a furia di insegnare a quella testa dura di Nihal.”

Può darsi. A me capiterebbe sicuramente, se dovessi insegnare a quella testa dura di Nihal.”
Mi stai prendendo in giro?”
Certo che sì. Ah, Ido?”
Eh?”
Ti conviene non provocare Dubhe. CI vuole parecchio per farla arrabbiare, ma quando accade è meglio non farsi trovare nei paraggi. Capito?”
Si voltò, facendo per allontanarsi nella piccola folla.

Ehi, Aster! Ma come fai a vivere con una così? Con il rischio che ti accoltelli da un momento all'altro...”
Il tono aveva voluto essere scherzoso, ma il mezzelfo lo prese sul serio: “Lei è tutto per me: è... è impossibile descrivere in altre parole, è un sogno a cui devo credere. Il giorno in cui Dubhe deciderà di piantarmi un pugnale fra le costole, non mi opporrò: se lei dovesse decidere di compiere una simile azione, significherebbe che non sarei più degno di starle accanto. E per me la morte è un'alternativa di gran lunga preferibile ad una vita senza Dubhe.” La mia Dubhe, aggiunse mentalmente.
Si voltò: “Ah, a proposito. Faccio le congratulazioni al tuo buonsenso per non aver fatto una cretinata simile con me. Ti avrei trasformato seduta stante in un ornitorinco”, proferì Aster, prima di dileguarsi con un sorriso da Gatto del Chesire.

Theana si guardò intorno. Dove accidenti era Dubhe? Alla fine la individuò: ferma sul balcone, a guardare il cielo, un bicchiere in mano da cui ogni tanto sorseggiava distrattamente, con l'aria di non sapere nemmeno cosa contenesse. Le si avvicinò e le circondò le spalle esili con un braccio. La ladra sussultò.
Ehi, Dubhe”, disse piano la ragazza.
La chiamata in causa voltò il capo, e Theana sussultò: Se di solito Dubhe era pallida, adesso appariva quasi cadaverica. “Come va il sigillo?”, le chiese senza pensarci. Subito si diede dell'idiota: ecco, adesso mi prenderà anche per matta.

Il...sigillo? Theana, tu, ti senti bene?”
La stava prendendo in giro, ovviamente, con quel sorrisetto lieve che lo dichiarava sfacciatamente.

Sì, certe volte sono cretina, vero?”
Molto meno di tanti altri. Comunque, non preoccuparti, sto bene. Ho solo avuto un leggero capogiro. Non sono fatta per stare in mezzo alla gente.” Dato che la maga non appariva convinta, aggiunse. “Fidati, se stessi davvero male, adesso sicuramente ci sarebbe Aster accanto a me.”
Non ti va proprio di divertirti, eh?”
Scusami, Theana. Non sei tu, davvero. Sei stata un tesoro a combinarmi tutto questo... è che - sospiro - io ho sempre detestato i ricevimenti e quant'al...”
Quando partecipavi a ricevimenti?”, le chiese la maga, incuriosita. Dubhe abbozzò un sorriso: “Talvolta è necessario conoscere l'ambiente delle proprie prede, sai. Cose così. Poi qualche nobile si trovava la cassaforte svuotata, e via dicendo. In ogni caso, mi rimane il ricordo di quelle noiosissime cene dove il massimo che si sentiva dire era Cosa pensa della situazione politica di tale?, Come va il mevcato di talaltra cosa? e Per cosa si usa la tevza fovchetta?. E io fuori dalla finestra a sorbirmi quelle cretinate, in attesa che si lasciassero sfuggire dettagli interessanti. Sono sicura che capisci da te cosa intendo per 'interessanti'. Rare volte, ero persino all'interno, camuffata fra i partecipanti. Oh, sa, mavchese tal-dei-tali, ho appena installato un nuovo sistema che pvoteggerà sicuvamente i miei gioielli... eccetera eccetera. Sicuvamente due ore più tardi i gioielli ce li avevo io. Rendo abbastanza l'idea?”
Theana, mezza soffocata dalle risate, fece cenno di sì.

Scusami per quella domanda sciocca, prima - disse - è che per un attimo mi è sembrato di essere tornata a Makrat... ti ricordi?”
Come potrei dimenticare?” La maga si morse la lingua. Learco. Accidenti. Eppure Dubhe sembrava non averci pensato affatto. La sua risposta era stata limpida, e priva di amarezza. È andata avanti. È felice, adesso, forse per la prima volta in vita sua, è davvero in pace.
Che strano...”, disse l'assassina. “Si potrebbe dire che fra di noi quella che è cambiata sei tu.” Fece un cenno al ventre ingrossato di Theana. “Ma in fondo sei ancora la ragazza che prega la sera e insegue la speranza...” Sorrise.
Oddio, ti ricordi anche quello?”
Eh! Devi fare attenzione a cosa dici, in mia presenza. Fra cinquant'anni sarei capacissima di venire a rinfacciartelo. E tu ti ricordi che cosa ti ho risposto?”
Mmmh... qualcosa sul fatto che a te non serviva né pregare né sperare?”
Giusto. E guarda dove sono arrivata!”
Scoppiarono a ridere insieme, come de ragazzine che si erano appena confidate un segreto.
Dubhe tornò seria: “E invece, quella che è cambiata sono io. Guardami. Il mio aspetto non cambierà, potranno passare anni e resterò la stessa. Ma dentro di me sono già cambiata. Aster mi ha cambiata. E, anche se non sono la persona migliore per fare quest'affermazione, oserei dire in meglio.”

Certo che sei cambiata in meglio. La Dubhe che conoscevo non sarebbe qui a sorridere, non mi avrebbe mai abbracciata, prima. Se ripenso a come ti vedevo, quasi mi sembra impossibile che tu sia diventata la mia migliore amica.”
La ragazza si irrigidì: “Cosa hai detto?”

Che mi sembra impossibile...”
Sì, ho capito. Dopo.”
...che sei la mia migliore amica?”
La maga si sentì in dovere di fornire una spiegazione.

Dubhe... ecco... io non sono esattamente un'ammiratrice di ciò che fai. In generale, quelli come te mi spaventano a morte. Ma... - e mise la mano sopra a quella della ladra - ma sei comunque la mia migliore amica, Dubhe. Dopo tutto quello che abbiamo passato, dopo tutte le volte che mi hai salvato la vita..."
Tu l'hai fatto altrettante volte con me...”
Non si fa così, fra amici?”
"Mmmh... è quasi assurdo..."
"Perchè? Cosa?"
"Theana, io sono una ladra. Vivo nell'ombra. è - sarebbe - normale che non avessi amici. Tu invece... è... strano... e... e piacevole - aggiunse a bassa voce - che tu mi giudichi la tua migliore amica."
E a quel punto Dubhe fece un gesto che sorprese oltremodo Theana: abbassò gli occhi, imbarazzata: “Grazie”, sussurrò, quasi inudibile.

La maga sorrise del suo atteggiamento impacciato. I momenti di serenità non erano sembrati sufficienti a cancellare l'eredità del suo passato – un passato di sangue, di stragi, di morti – e la ladra sembrava sempre in imbarazzo quando mostrava il suo affetto. Cosa che la rendeva ancora più adorabile. I suoi sorrisi, quei rari sorrisi che concedeva solo a chi voleva bene, erano sempre sinceri, e la maga sapeva che, nonostante la sua freddezza esteriore, in fondo al cuore Dubhe era una persona dolce e molto più affidabile di tante altre. Ma forse quella facciata gelida e spietata era mantenuta solo in pubblico. Theana sospettava con ragionevole sicurezza che, nell'intimità della Rocca, le cose fra Dubhe e Aster fossero ben diverse; questa tesi era ampiamente sostenuta dall'atteggiamento che la ragazza aveva con il mezzelfo. Che aveva sempre con lui, non importavano le circostanze o...
Lo sai, che in realtà il mio posto non è qui”, mormorò la ladra.
E dove, sennò?”
Là fuori. Nell'ombra di quei palazzi, nel buio della notte, con un pugnale in mano, sola e maledetta. È il mio destino, dopotutto. Gira sempre in cerchio...”
Stai... scherzando?”
La ladra la guardò e scosse la testa: “È la vita. È la mia vita.”

Sai una cosa, Dubhe?”
Sì?”
Penso che tu sia sempre stata così... così come sei adesso... in realtà. Ti.. ti mancava la possibilità di esprimerlo, prima.”
Una scrollata di quelle spalle strette: “Forse è come dici tu. Ma, vedi, Theana, devo tutto ad Aster. Anche se fossi stata davvero come tu dici, non sarebbe servito a nulla. Mi sarei nascosta per non vedere la luce, come sempre ho fatto: perchè io appartengo alla notte, e vi apparterrò per sempre. Sapermi libera? Una scomoda verità, in fondo. Cos'avrei fatto una volta salvata dalla Bestia? Non lo so. Mi sarei lasciata andare, senza più uno scopo, perchè era a quello che si riduceva la mia vita, ad un'eterna fuga, e una volta in salvo e senza più nulla da fuggire... Theana, gettami in una buca profonda e io farò il possibile e l'impossibile per uscire; ma una volta fuori mi guarderei intorno spaesata e probabilmente deciderei che in fondo la buca non era tanto male. Senza Aster, mi sarei persa nel mio dolore, senza di lui, tornerei a perdermi nel dolore. Puoi credere che stia esagerando, ma non è così. Io dipendo da lui, completamente, interamente, senza riserve. Senza Aster sono un guscio vuoto, sono... più che inutile, sono il fallimento di me stessa. Senza di lui sono persa e smarrita, sono una bambina da sola in mezzo ad un bosco.”
Chiuse gli occhi, e Theana comprese che stava pensando a Selva. Era una delle poche persone a conoscere tutta la storia... quasi tutta.

È cambiato tutto, in questi mesi. Tutto.”
Non ti sembra di esagerare un po'?”
Dubhe sorrise, sarcastica: “Guardami, Thena, e dimmi cosa pensi di me.”
La maga le diede un'occhiata. “Sei bella, Dubhe.”
Il lampo trionfante negli occhi della ladra le disse che aveva colto nel segno: “E... mi ricordi così, mesi fa?”

Non è che andassimo così d'accordo, insomma, è ovvio che il mio giudizio ha...”
No”, la bloccò Dubhe. “Mi ricordi così, mesi fa?”
No”, ammise Theana.
E sapresti dire con esattezza cos'è cambiato?”
Io... non saprei...”
La ladra sorrise. Chiuse una volta gli occhi e li riaprì un attimo dopo: “E adesso? Somiglio un po' di più alla ragazza che ha attraversato il Mondo Emerso con te, vero?”
Era cambiata, ma era impossibile dire cosa avesse un attimo prima che mancava il momento dopo. La dimensione degli occhi, la sagoma del naso, la pettinatura, la forma del volto... apparentemente era la stessa. Ma mancava qualcosa di indefinito, una specie di aura che la circondava appena qualche istante prima; Dubhe appariva una ragazza a suo modo graziosa, ma non una da far girare la testa al solo passaggio: era troppo magra, le guance erano leggermente incavate, la pelle pallida, l'aria vagamente malata. Gli occhi grigi sembravano gli stessi, ma avevano perso quella proprietà quasi ipnotica che Theana avrebbe giurato una caratteristica innata della ragazza. Dubhe battè nuovamente le palpebre, e il suo aspetto tornò quello consueto... ammesso che lo si potesse definire tale. “Il prezzo di modificare la realtà con la nostra sola presenza. Inconsciamente, Aster proietta su di me quello che lui vede e pensa, e dato che mi ama e che per lui sono bella, tutti quanti mi vedono bella. Simpatico, no? Pensa che è una cosa totalmente involontaria, ce ne siamo accorti per caso. Non ho intenzione di contrastarla, anche perchè non mi dà alcun fastidio, ma capisci l'influenza che incontrarlo ha avuto nella mia vita?”

Ed... è lo stesso con lui?”, chiese Theana, vagamente turbata dalla rivelazione.
Dubhe rise: “Chi lo sa? Più carino di quanto già non sia? Non penso di esserne capace. Oppure sì, ma io non sarei mai in grado di accorgermene. Da quando l'ho conosciuto, la mia vita è diventata solo Aster.”
Aveva gli occhi che scintillavano, e la maga pensò che in quel momento non avesse bisogno di strani incanti per sembrare bella.

L'amore è questo - continuò la ladra - una la fedele stella all'orizzonte che ti guida verso un porto sicuro.”** (Qualcosa di simile al budino al caramello, ndLeliana)
Davvero la pensi così? Sei dolce...”
Dubhe si voltò di scatto: “Aster! Da quant'è che stavi ascoltando?”
Il mezzelfo catturò fra le dita una ciocca dei capelli della ragazza e prese a giocherellarci: “Da un po...”

Oh, dev'essere stato divertente vedermi vuotare il sacco... comunque, sì, la penso così. Sei l'ultima cosa che vedo prima di addormentarmi e la prima che vedo quando mi sveglio. È bellissimo ed è... è giusto così.”
Grazie.”
“Dovrei essere io a ringraziarti.”
Si allungò, e lo baciò sulla bocca, poi lo trattenne per le spalle e continuò, con la bocca unita alla sua, a baciarlo con trasporto.
L'intera sala scoppiò in applausi frenetici.

Oh, accidenti, in cosa mi sono cacciata...”, sospirò Dubhe. “E per la seconda volta”, aggiunse, ricordando il matrimonio di Lonerin e Theana.
Aster si limitò a stringerla ancora: “Ti è dispiaciuto così tanto?”, la prese in giro.

Forse”, fece scherzosamente lei, incrociando le braccia sul petto, un sorrisetto malizioso sulle labbra.
Oh, così mi spezzi il cuore...”
Il mezzelfo fece apparire a mezz'aria un cuoricino rosso che pulsava. All'improvviso si fermò e cadde a terra, frantumandosi in mille pezzi come se fosse stato fatto di vetro – e con lo stesso rumore. Apparvero anche una minuscola scopa e una piccola paletta che muovendosi autonomamente rimossero i frammenti.***
La scena fu così comica che Dubhe non potè impedirsi di scoppiare a ridere.
Abbraccio Aster: “Ti amo, lo sai?”

Lo so.”

Non ti eri davvero accorta di me, prima?”
Ma no. Facevo un po' di scena, tutto qui.”
Certo. Hai visto? Non ti stai infiacchendo come pensavi, o non mi avresti sentito. Resti una perfetta Assassina. Nel corpo, ovvio, non nella mente.”
Lei annuì. “Ci andiamo a sedere sul ballatoio?”

D'accordo.”
La festa li aveva tenuti impegnati tutto il giorno. “E pensa cosa accadrà il 31”, aveva commentato Dubhe a mezza voce: era la data che, per il suo significato, avevano scelto come compleanno di Aster.

Dev'essere triste – aveva commentato in quell'occasione la ladra – perdere il proprio passato.”
Si appoggiarono sulla balaustra. Aster sospirò e ricacciò indietro i lunghi capelli blu. “Guarda. Sono passati quarant'anni, eppure sono le stesse stelle. E questo era il buio che ti copriva quando scivolavi nelle case.”

Erano anche le stelle della nostra infanzia, quelle che vedevi sempre nella Terra della Notte.”
Mmmh. Sai, in tutta la mia infanzia, non mi sono mai sentito un bambino. Mi sentivo una persona competa, la stessa persona che sono oggi. Non mi è mai sembrato di parlare in maniera infantile, non mi è mai sembrato che i miei pensieri e i miei desideri valessero meno dei pensieri e dei desideri di un adulto.”
Una voce piena di amarezza.

Aster, tu mi hai insegnato che la felicità non è una vita senza dolore. È una vita dove il dolore è dispensato con il giusto prezzo. E qualche volta felicità significa semplicemente il giusto equilibrio della miseria.”
Non siamo mai stati tanto fortunati da questo punto di vista, vero?”
No.”
Ci fu silenzio fra i due per un po', poi Aster si voltò lentamente e guardò Dubhe negli occhi. “Fra i miei tesori più preziosi ci sono delle parole che non ho mai detto. Credo che sia il momento di farlo.”
Lei annuì.

Portaci a casa.”




____________________________________________
* I draghi del crepuscolo d'autunno
** Leliana, Dragon Age: Origins
*** Ispirata ad Alice nel paese della vaporità

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Capitolo 8
*** Scena Settima (VII): ASTER - L'ORIGINE DEL MALE ***


Scena Settima (VI): ASTER – L'ORIGINE DEL MALE

 

My passions, from that hapless hour,
Usurp'd a tyranny wich men
Have deam'd, since I have reachìd to power
My innate nature - be it so!
-
Edgar Allan Poe, Tamerlane

Il silenzio ammantava la rocca di cristallo nero. La neve che continuava a cadere, all'esterno, smorzava ogni suono. All'interno, in un caminetto, il fuoco scoppiettava, più per scena che per altro. Nessuno dei due occupanti della stanza ne aveva realmente bisogno per scaldarsi.
Su una poltrona di velluto nero, sedeva Aster, Aster della Terra della Notte, Aster il Tiranno. Dubhe era accoccolata fra le sue braccia, aveva appoggiato il capo sulla sua spalla.
La loro posa era identica a quella che avevano tenuto nel momento in cui il mezzelfo aveva detto alla ragazza della convocazione da parte del Consiglio delle Acque. Ma ben altri sentimenti li animavano ora. Nella sua mente tormentata, Aster rifletteva riordinava frasi ed episodi, si preparava a rivelare segreti della sua vita che nessun altro aveva udito prima. Non formule arcane, non antiche conoscenze ritenute perdute finchè lui non le aveva riscoperte. Semplici brani di una vita consumata dall'odio, di una vita che si apprestava a mostrare all'unica persona in grado di capire i recessi del suo animo disperato, che non li avrebbe ascoltati con orrore ma con comprensione.
E Dubhe? Dubhe attendeva. Non paziente, perchè questo avrebbe implicato un'aspettativa. Semplicemente era lì, e se Aster all'ultimo momento avesse deciso di tirarsi indietro, se avesse preferito, per l'irrazionale timore di un giudizio che dalla bocca della ladra non sarebbe uscito mai e poi mai, tacere, nulla sarebbe cambiato. Lei avrebbe continuato ad aspettare.
Alla fine il mezzelfo sorrise, la abbracciò più stretta e cominciò...

Aster guardò l'uomo che gli stava davanti. Ecco, era la fine. La fine di una lunga caccia. Anche l'uomo lo sapeva, e sotto il suo atteggiamento sprezzante il ragazzo poteva sentire la sua paura. Perchè lui era Aster della Terra della Notte, la stessa terra da cui quel vecchio l'aveva costretto a fuggire. Quello stesso vecchio per colpa dal quale sua madre era stata decapitata. Quello stesso vecchio che gli aveva fatto usare per la prima volta la Magia Proibita.
E lui allora chi era? Un ragazzino, un mezzelfo, disprezzato da tutti, a cui la sorte, forse per dono, forse per beffa, aveva destinato strani poteri. E chi era lui adesso? Aster della Terra della Notte, il mago più potente che si fosse mai visto nel Mondo Emerso.
Il ragazzo attese. Fu il vecchio – re Darlon, sì, ma per lui restava solo un miserabile vecchio, uno che faceva decapitare i soldati e impiccare i bambini – a parlare per primo. Fu un errore, e lo sapevano entambi. “Mi chiedo perchè il Consiglio abbia inviato te per questo compito, un ragazzino e ignorante di politica. E mio nemico giurato.”
Al sentire la voce, dentro di sé Aster fremette. Ma da tempo aveva imparato a contenere i sentimenti, a nascondere ciò che pensava, così dalla sua pelle cerea e dai suoi inquietanti occhi verdi non trasparì nulla.
Calmati, ciò che è successo in passato non ha importanza. Adesso sei un Consigliere.

Io rappresento il Consiglio dei Maghi, signore – disse rispettosamente – la mia persona non ha importanza. Non sono un vostro nemico.”
Non proseguì la frase ma il sottinteso era ovvio:
dunque perchè sostenete che io lo sia?

Nessuno fa ad un uomo quello che tu hai fatto a me senza un motivo.”
Poi, fu scendere lungo una china buia. Quando il re finalmente lasciò la stanza, Aster si asciugò le lacrime. Si rialzò lentamente.
Hai ragione, bastardo. Odio ammetterlo come odio te, ma hai ragione. Voglio la vendetta per quanto mi è accaduto, neanche per i miei simili. Stavo mentendo. Ma perchè l'ho fatto?
E poi: ma... 'perchè ho mentito?' o 'perchè voglio vendetta?'. È strano chiederselo. Voglio la sua morte come non ho voluto quella di nessun altro. Voglio la sua vita, in cambio di ciò che mi ha portato via, voglio saziare la bestia che in tutto questo tempo si è potuta nutrire soltanto dell'odio. È qui, nel mio cuore, è affamata e lo strazia per uscire. Eppure io stesso mi faccio propugnatore della pace. E infatti non l'ho ucciso. Volevo. Perchè non l'ho fatto? Perchè sono un Consigliere? Ma mai sono stato più lontano dal Consiglio dei Maghi.
Come possono essere conciliabili questi due pensieri, la pace e la vendetta? Come posso accettare tutto ciò?
Ma Aster non aveva la risposta a questa domanda.

Mentre usciva a passi lenti e si inoltrava nel bosco, congedando con un gesto le guardie, in lui cominciò a nascere un pensiero: Ecco, la ragione delle mie inquietudini. È chi detiene il potere, la causa della rovina di questo mondo. Magari Nammen ha sbagliato, a permettere alle Terre di tornare libere e scegliere ognuno i propri regnanti. No, di certo era in errore, basta vedere ciò che è successo alla Terra del Fuoco. Ma se non ci fosse più nessuno dei tanti re che si sono spartiti il Mondo Emerso?
Pensò al Consiglio dei Maghi: Uomini che più che servire vogliono solo un pezzo del potere. Un organo fossilizzatosi in sé stesso, popolato da miserabili la cui maggior preoccupazione è perdere la posizione che hanno ottenuto. Davvero era questo che mi immaginavo?
Sospirò. No, certo che no. Altrimenti non sarebbe mai entrato a farne parte. Nei suoi sogni, il Consiglio dei Maghi era composto da uomini saggi che facevano il possibile per aiutare il Mondo Emerso. Magari potevano non riuscire, ma quella era la loro principale preoccupazione. Adesso, c'erano solo lui e pochi altri, che dall'interno tentavano di realizzare il sogno della pace.
Perchè il Consiglio è finito così? Perchè è diviso fra le Otto Terre, e ciascuno vuole che la propria sua superiore e tragga vantaggi maggiori delle altre. La pace non è un bene per l'economia: la guerra fa scorrere flussi di denaro, abbatte potenti e ne innalza di nuovi, alimenta il commercio di armi e armature, l'estrazione mineraria, il commercio e il trasporto dei viveri e tutto ciò che ne consegue.
Otto regni sono sette di troppo, otto regnanti inutili. Quel di cui davvero avrebbe bisogno il Mondo Emerso è di un unico sovrano, un unico saggio che possa guidare e plasmare le anime degli uomini, che controlli a costo del proprio sacrificio il mondo intero e lo regga con giustizia. Governare dovrebbe voler dire servire, e detenere il potere esserne schiavo.

Scosse il capo. Sembrava facile, troppo facile.

Presenterò la cosa al Consiglio. É vero, la maggior parte di loro è marcia, ma c'è chi pensa al bene comune. Di certo ci sarà una persona, fra tutti gli abitanti delle Terre, che corrisponde al mio ideale, un uomo saggio e giusto che voglia assumersi il fardello di sacrificare sé stesso per servire gli altri.
Sorrise.
Forse può nascere qualcosa di buono da questo fallimento.

Inaccettabile, la definirono. Uno stolto, lo chiamarono, un despota che voleva piegare gli animi al suo volere.
Ma furono loro gli stolti.
Dimenticarono che Aster, almeno per metà, era un mezzelfo, e come tutti gli esponenti di quel popolo nato dall'unione fra gli elfi e gli umani, sapeva leggere nella mente. Un piccolo errore, ma non per questo privo di enormi conseguenze.
Infatti Aster, se prima lo sospettava, adesso percepiva pienamente il loro panico, vedeva che ciò che temevano in realtà era di perdere il loro potere.
Non disse nulla, sbattè la porta e uscì.

Hai pensato al suicidio, in quel momento?”
Mi si è affacciato per la mente, sì. Il problema è che sarei stato io a sparire, non tutto il resto. Qualcuno avrebbe pianto, qualcuno riso, ma nel complesso il Mondo Emerso se ne sarebbe fregato di me e della mia morte. Ma neanche così, non era un'alternativa accettabile. Il suicidio è l'unico mezzo con cui una persona impotente può nascondere agli altri il proprio peccato.
Lo scopo non è morire. E' coprire."
*
Nel tuo caso, l'avrebbero letto così, sì. Ma non sempre. Talvolta uccidersi può essere l'unico modo per porre fine ad un'esistenza che all'improvviso si è fatta impossibile da sostenere... ad una vita priva di significato...”
La sua vita si spense in un sussurrò. Aster sapeva che la ladra stava parlando di sé stessa, ma non della terribile maledizione che la possedeva e le aveva diverse volte impedito di portare a termine l'estremo gesto.
Dubhe aveva indugiato nel suicidio ben prima di scoprire che la Bestia non le consentiva di ammazzarsi. E aveva rinunciato, si era sottomessa e si era piegata a ciò che più detestava.

Fortuna che adesso ce l'ha, un senso, la mia vita”, mormorò lei, quasi ad intuire i suoi pensieri.
Continua...”

Camminò fino a lasciare il riparo del porticato, e il vento e la pioggia sferzavano il suo corpo esile. La tunica gli si stava attaccando addosso, e con il suo peso lo impacciava nei movimenti. Quasi non se ne accorse. Sapeva che oltre alla pioggia, il suo volto era bagnato di lacrime. Arriva sempre un momento in cui i sogni ci tradiscono. Si era ripetuto di non piangere, che quei bastardi non meritavano le sue lacrime, ma era stato solo capace di resistere fino a quando si era trovato all'esterno. Deriso, denigrato e disprezzato: non poteva permettersi di perdere anche quel poco di dignità che gli restava. Adesso, sotto la pioggia, nessuno poteva vederlo piangere, e ne approfittò per sfogarsi. Fu un pianto silenzioso, di singhiozzi soffocati con rabbia, perchè nessuno se ne accorgesse.
Ormai i suoi capelli erano inzuppati, ma non poteva importargliene di meno. Ammalarsi era l'ultimo dei suoi problemi. Qualcosa nel suo cuore si stava concretizzando. Qualcosa di troppo pericoloso per parlarne con nessuno. Quel giorno erano state gettate le radici di un futuro fatto di lacrime e di dolore. Confusamente, non si accorse che i suoi passi lo avevano fatto rientrare e lo stavano conducendo ai suoi alloggi. E quasi non notò la gnoma contro la quale praticamente andò a sbattere.

Aster!” esclamò Reis. “Sei tutto bagnato!”
Ciao”, rispose atono lui.
Ti senti bene?”, e senza attendere una risposta gli poggiò una mano sulla fronte.
Scotti. Vai dentro, ero venuta a trovarti.”
Ancora imbambolato, al ragazzo occorse qualche istante a fare mente locale e prendere le chiavi. Lasciò che la ragazza gli togliesse i vestiti e lo aiutasse a stendersi a letto. “Devi stare proprio male”, commentò, “non ti avevo mai visto ridotto così. Senti, io devo andare. Passo domani mattina a vedere se va meglio, d'accordo?”

D'accordo”, ripetè meccanicamente il mezzelfo, e la gnoma lo lasciò in pace.
E mentre sprofondava nel sonno e un sottile strato di ghiaccio iniziava a ricoprire il suo cuore - ghiaccio che avrebbe avuto bisogno di ottant'anni per sciogliersi - un'immagine si delineò nella sua mente, un'immagine che non avrebbe mai dimenticato: una grande rocca di cristallo nero e otto tentacoli protesi verso ognuna delle Terre...


_______________________________________________

* Da un romanzo di Orson Scott Card del ciclo di Ender Wiggin (Non mi ricordo quale, forse Il gioco di Ender)


Per piacere, leggete il racconto che ho scritto su Dragon Age: Origins, "La morte, il bardo e l'arcidemone": 
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1195837&i=1
Grazie!

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Capitolo 9
*** Scena Ottava (VIII): ASTER - IL SANTUARIO DELLE TENEBRE ***


Scena Ottava (VIII): ASTER – IL SANTUARIO DELLE TENEBRE

 

So blend the turrets and shadows there
That all seem pendulous in air,
While from a proud tower in the town
Death loks gigantically down

- Edgar Allan Poe, The City in the Sea

Aster si lasciò andare contro lo schienale della semplice sedia di legno, con un'espressione compiaciuta. Non un sorriso, perchè era molto che non sorrideva: gli sarebbe occorsa una vita intera per ricominciare a farlo.
Con un gesto automatico, estrasse la penna dal calamaio e ripulì il pennino su una pezzuola, prima di riporlo con cura. Davanti ai suoi occhi c'era lo schizzo di un progetto: otto tentatoli che si allungavano verso ciascuna delle Terre, e un'immensa torre centrale. Sarebbe sorta sul luogo di Nuova Enawar, il monumento al mondo che lo aveva scacciato, la beffa alle ideologie che lo avevano deriso, il mausoleo delle ipocrisie infrante. Un edificio che parlasse del suo sogno, meraviglioso e terribile com'era l'impresa stessa che si accingeva a compiere.
La Rocca.

Molto bene” disse Aster. “Avete fatto un ottimo lavoro.”
Gli architetti annuirono e si scambiarono uno sguardo, temendo cosa sarebbe successo. Forse il mezzelfo li avrebbe uccisi per preservare i segreti che la Rocca di cristallo nero custodiva? Certo, se fosse stato un qualsiasi signorotto desideroso di potere, avrebbe fatto così. Quegli uomini non potevano comprendere la grandezza del suo progetto, la maestosità del sacrificio che si sarebbe compiuto.
Intanto, nell'attesa che questo si fosse realizzato, certo Aster non era crudele. Non più di molti altri. Si limitò ad annebbiare le loro menti e far loro dimenticare gli ultimi giorni, lasciando al loro posto una foschia indistinta. E cancellò il suo aspetto, perchè si apprestava a diventare un'ombra, una leggenda, e più distante si fosse trovato dalla massa, meglio sarebbe stato. Soddisfatto, rispose alle loro confuse domande e li rispedì ognuno nel luogo da cui provenivano. Quindi entrò nella torre nera e sbarrò il portone dietro di sé.
Salì lentamente le scale, e ad attenderlo trovò solo il trono scolpito in un unico, maestoso pezzo di cristallo.
Si sedette.
Non c'erano servitori, non c'era anima viva, nella Rocca. Non ancora. C'erano soltanto lui, e l'immensità del grande piano che si spiegava dinnanzi ai sui occhi verdi. Fece scorrere piano lo sguardo sulle alte volte, spoglie e disadorne. Nessuna civiltà era mi stata testimone di una tale immensità: le più grandi città del Mondo Emerso avrebbero potuto essere racchiuse in quella gigantesca torre. La vastità di quell'ambiente testimoniava strutture formidabili, ma equilibrate con eleganza. Sembrava fosse stata la natura, e non la mano umana, a modellare quell'edificio.

L'ho vista finita, e mi è sembrato d'averla costruita io, nell'immaginazione. I miei sogni, pensò. Queste erano le dimore della mia mente, quando non avevo altro luogo in cui potesse rifugiarsi. Queste erano le case della mia infanzia, regni di spettri dall'inutile regnante...
Ho eretto un palazzo per i congelati, tutto di neve e di ghiaccio, e l'ho popolato di cristalli di neve sospesi in corridoi ibernati che riempivano con le loro tintinnanti cantilene.
Ho allestito una palude per gli annegati, in cui i bambini affogati navigavano pacificamente su foglie di ninfea, e potevano diventare amici delle rane e dei gigli d'acqua.
Ho acceso un falò per gli ustionati, grande e ruggente come l'incendio di un bosco e ondeggiante come un mare in tempesta...

...in cui gli spiriti potevano danzare sotto forma di fiamme guizzanti in preda ad un'estasi eterna e dimenticare le loro crudeli sofferenze.
Ho costruito una casa per coloro che si erano uccisi, la Locanda delle Lacrime, con pareti fatte di piogge eterne.
Infine ha preparato un asilo per quanti erano morti con le menti sconvolte. È diventato l'edificio più grande e splendido di tutti, dipinto di colori squillanti che non esistevano nella realtà, e retto da proprie leggi della natura: vi si poteva passeggiare sui soffitti, e il tempo vi scorreva a rovescio...”
Aster sorrise: “Ti ricordi, vero?”
Dubhe annuì: “Come potrei mai dimenticare? Erano anche i miei sogni, le mie illusioni. E non scorderò mai la nostra prima notte alla Rocca.”

Sai, prima di giungere al progetto attuale ne avevo presi in considerazione molti altri. Non è stata una scelta difficile: li ho scartati tutti. 'Non vanno bene', ricordo di aver pensato. Questi sono luoghi in cui potrei essere felice...”

...e non posso permettermi di esserlo. Non ci dev'essere altro per me di diverso dal compito che mi sono prefissato. Il mio unico e solo obiettivo, una disegno così grande che nessuno potrà vederlo nella sua integrità... tranne me. Questo è l'unico posto che mi appartenga e mi si addica. Freddo, oscura, inospitale, il rifugio per la mia anima straziata dalla crudeltà e dall'ottusità di questo mondo. Un luogo dove l'ombra sia talmente densa da avere sostanza, così da rinvigorire il mio spirito afflitto. Un luogo dove la vita si generi dalla morte, e la morte genera nuova vita.
Un luogo che costantemente mi ricordi il mio dolore, che lo acuisca, un luogo nel quale io non possa mai essere felice.
Aster è morto, adesso sono il Tiranno. È ora solo una questione di tempo, prima che io possa compiere l'atto finale e dissolvermi assieme a questo mondo corrotto. Attenderò.

Aster camminava per i corridoi della Rocca. Ne conosceva ogni stanza, ogni anfratto. Aveva letto ognuno dei libri dell'immensa biblioteca, e ne avrebbe saputo indicare a colpo sicuro la posizione. Erano passati anni, d'altronde, anni in cui il suo aspetto non era cambiato, anni trascorsi in solitudine a camminare sul nero pavimento di cristallo. In quel luogo, vi erano momenti in cui riusciva a scordare il suo passato. C'erano solo lui, e l'olocausto che stava per compiersi. C'era solo una stanza in cui non osava entrare, un luogo che lo respingeva e gli era intollerabile. Ogni giorno, la sua mano si posava sulla maniglia della porta, faceva per premerla, quindi sospirava e si allontanava.
Quella stanza era piena di specchi. Non erano le lastre deformanti che esibivano i saltimbanchi nelle fiere, non erano oggetti magici per vedere nello spazio o nel tempo. Erano semplici specchi. Ma Aster non li sopportava. Non sopportava la propria immagine riflessa, aveva la chiara consapevolezza di non assomigliarsi più, e per questo guardare il suo volto gli risultava intollerabile. Non poteva vedere i suoi occhi, e leggere al loro interno solo odio puro ed incondizionato, odio ardente che inceneriva ogni altra cosa.
Ma quello, quello era un gran giorno. I fammin, i mostri da lui creati, avevano attaccato la Terra dei Giorni, le principali città erano state rase al suolo dalle orrende creature. Aveva sentito dire che della capitale, Seferdi la Bianca, avevano voluto occuparsi gli umani.
Se questo era vero, non gli importava: non provava compassione per i suoi simili, alla razza tracotante che lo aveva bandito e che lui aveva ordinato fosse cancellata dal Mondo Emerso. Né si sentiva in colpa. Era il loro destino, lui non aveva fatto altro che compierlo. E non si sentiva solo: lo era sempre stato, fra la sua gente. Tanto, sarebbero morti tutti alla fine: i mezzelfi, le sue creature, i popoli liberi, i suoi schiavi...
Ma quel giorno sentiva qualcosa di più: una sorta di insoddisfazione nei confronti di sé stesso, una sottile vergogna per la propria codardia. Che cosa mai avrebbe potuto fare una sala di specchi a lui, Aster della Terra della Notte, Aster il Tiranno, al cui nome tutti quanti si torcevano per la paura?
Quando giunse davanti alla porta, premette la maniglia. Si aprì senza difficoltà, e per un attimo il mezzelfo ne fu stupito. Non avrebbe dovuto essere così, dopo tutto il tempo che non vi entrava. Le ragnatele pendevano come festoni, e gran parte degli specchi erano stati resi lattiginosi dalla polvere. Ne fu quasi contento: era un modo come l'altro per rimandare l'inevitabile. Si era avvicinato camminando pino, come quando voleva impressionare uno dei tanti che lo servivano.
Si allungò, e pulì con la manica della casacca uno degli specchi, il più vicino.
Chiuse gli occhi, contò fino tre, e si fissò.
Guardò i suoi stessi occhi, e si vide.
Guardò i suoi stessi occhi, e capì che era diventato altrettanto grande, forte e potente come si era ripromesso quel giorno lontano, quello in cui tutte le sue illusioni erano crollate.
Altrettanto solo.
Una parola appena sussurrata, seminascosta dietro un singhiozzo, e tutti gli specchi si infransero.
Lui neanche sentì il rumore.
Cadde in ginocchio.

Cos'hai fatto?
È ciò che volevi?
Cosa sei diventato?
La tua anima giace abbandonata...
Cammini di tua volontà, dal paradiso all'inferno...
Conosci davvero la tua strada in questa follia?
Le tue catene sono state infrante...
Non è ciò che volevi?
Hai sofferto così a lungo...
Queste cose... queste cose non cambieranno MAI...!
Lì, davanti alle schegge di vetro, Aster pianse.


______________________________________________________________
Per i riferimenti alle citazioni, vedere "Leggende del Mondo Emerso: La Strada di Dubhe", scena decima, comunque è "La città dei libri sognanti" di Walter Moers. L'ultima riflessione di Aster, invece, è ispirata alla canzone "A Demon's Fate" dei Within Temptation... devo scrivere prima o poi una song fic su Aster con questa base...

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Capitolo 10
*** Scena Nona (IX): ASTER – IL TRONO DELLA FOLLIA ***


Scena Nona (IX): ASTER – IL TRONO DELLA FOLLIA

 

Prophet!” said I “”thing of evil! - prophet still, if bird or devil!
By that Heaven that bends above us - by that God we both adore -
Tell this soul with sorrow laden if, within the distant Aidenn,
It shall clasp a saint maiden whom the angels name Leonore -
Clasp a rare and radiant maiden whom the angels name Leonore”
Quot the Raven: “Nevermore”

- Edgar Allan Poe, The Raven

Aster sospirò, prima di proseguire il suo racconto. “Una parte di me mi dice che tutto questo non è giusto”, mormorò. Non dovrei scaricare su di te i miei peccati, con l'unico scopo di sentirmi meglio, a danno fatto.” Sorrise, quasi scusandosi.
Dubhe era fra le sue braccia, il capo poggiato fra il collo e la spalla del mezzelfo, totalmente abbandonata. Uno spettatore occasionale avrebbe ritenuto più che offensiva quella posa, che sembrava ostentare un completo disinteresse. Non era così. Aster la conosceva abbastanza bene da capire che lei gli stava fornendo un'ancora di sostegno con il presente, un legame a cui aggrapparsi perchè i ricordi non lo sopraffacessero. Sono qui, e non ti lascio, stava dicendo il corpo di Dubhe. Via via che il racconto proseguiva, la mano del mezzelfo era salita ad accarezzarle la nuca, all'attaccatura dei capelli, passandosi a tratti fra le dita la chioma castana; alla ladra non serviva altro per sapere che il mago aveva compreso ciò che voleva dirgli.

Aster...”, rispose la ragazza. “Sei un cretino.” Ma da come pronunciò la parola, non suonava affatto come un insulto. Anzi, aveva una chiara sfumatura di tenerezza.
Quante volte io ti ho scaricato addosso il mio passato, e tu sei stato qui, a consolarmi, a dirmi che era tutto finito e che adesso l'unica cosa che contava era l'eternità, noi due insieme? Te la ricordi, la nostra prima notte qui, sul tetto della Rocca, com'ero ridotta quando sei venuto a portarmi da bere? Ti ricordi quant'ero disperata quando ci siamo incontrati le prima volta? E a Selva? Ogni volta che ho avuto bisogno di te, tu mi eri vicino, sempre nel momento in cui pensavo che sarebbe stato troppo difficile andare avanti ed ero sul punto di abbandonarmi alla disperazione. Se non te la senti di parlare, se all'improvviso non hai voglia... lascia stare. Aspetterò finchè non lo farai, se lo farai, altrimenti per me non avrà alcuna importanza. Queste parole che non hai mai detto possono restare impronunciate, appassire e morire. Non voglio che tu le condivida, non se il prezzo da pagare è la tua sofferenza.”
Aster sorrise: “Siamo fatti di vetro, noi due.”

No. Di vetro e di cristallo nero. Nessuno può mandarci in frantumi, tranne noi stessi.”
Sì. Come avrei voluto avere vicino qualcuno come te, quarant'anni fa...”
Sarei stata con te, dalla tua parte, come oggi...”
Dove sono andate a finire cautela e diffidenza?”
Dubhe fece un gesto teatrale con la mano, la chiuse e la aprì di colpo, come ad indicare l'improvvisa sparizione di qualcosa: “Ah, a farsi benedire, assieme a tante altre cose, da quando ti ho conosciuto. Lo sai, il fatto che tu quarant'anni fa avessi l'aspetto di un bambino per me non conta niente. Non è per questo che ti voglio bene.”

Lo so... ma almeno... almeno avrei avuto accanto qualcuno che mi voleva bene. E chissà quante cose non sarebbero accadute... e quante altre ne sarebbero successe... E invece, questa è la verità...”

Quando mi vedrà, capirà. Mi dispiace averla dovuta rapire, non avrei mai dovuto giungere a ciò, ma non c'era altra soluzione. Non posso restare diviso fra due destini: o lei, o il mio piano. Fra pochi minuti sarà qui, e la mia strada sarà decisa.
E Aster sospirò, perchè quella riflessione gli permetteva di tornare una statua di ghiaccio. Fra pochi minuti avrebbe avuto una strada da seguire, un percorso ben delineato, e non desiderava altro. Per lei era disposto a rinunciare a tutto, anche alla grandezza del suo progetto. Che si salvasse da solo, il Mondo Emerso!

Signore?”
Nascosto dai veli neri, Aster voltò impercettibilmente il capo. “Parla.”

La donna che mi avevate chiesto di recuperare è qui.”
Molto bene. Sei congedato.”
Signore.”
Passi che si allontanavano.
A far da sottofondo a questo dialogo, una terza voce che proferiva un misto tra minacce, scongiuri e imprecazioni.

Reis.”
La ragazza tirò su il capo. Era un bel viso, del genere sul quale si scrivono poesie e si sogna, anche se deturpato dal pianto e dal terrore. Fra le palpebre arrossate gli occhi azzurri scrutavano ansiosamente le velature nere. Quasi automaticamente, un mano salì ad aggiustare una ciocca bionda che era sfuggita all'acconciatura. Era cambiata, la ragazza che conosceva era sbocciata in una donna, ma era lo stesso bellissima come la ricordava.

Chi siete? Cosa volete da me?”
Vieni avanti.”
Reis scostò i tendaggi sottili, aprendo la vista al grande trono di cristallo nero. Si guardò intorno, finchè non vide l'alto scranno. Il suo occupante era in ombra, ma a giudicare dalla voce e dall'altezza, sembrava un ragazzino; inoltre a contornare le gambe fino agli stivali - l'unica parte di lui che riuscisse a distinguere chiaramente - c'era una tunica da mago. “C'è nessuno?”, chiese.

Solo io”, replicò Aster.
La donna focalizzò la sua attenzione sul ragazzino. Nonostante la stranezza della situazione che apriva numerosi interrogativi, non appariva particolarmente pericoloso. Tentò un approccio: “Senti, non so cosa ci fai qui, ma questa è la Rocca del Tiranno. Non è un bel posto. Se ci mettiamo insieme può anche darsi che riusciamo ad uscire di qui, che ne dici?”
La sagoma in ombra - ora la gnoma era pressoché certa che fosse un bambino - inclinò il capo. Reis pensò che sembrava un un po' triste. La sua voce si venò di un leggero fastidio: “Non sono poi tanto giovane come sembri credere. Un mago mi ha impresso un incantesimo, perciò per quanto io possa invecchiare questo sarò il mio aspetto fino alla morte.”

Ma è terribile! Cos'hai fatto per meritare una cosa del genere? Chi oserebbe commettere una simile nefandezza? È stato il Tiranno?”
Finalmente il bambino alzò la testa, uscendo alla luce, e scosse lentamente il capo. Aveva gli occhi grandi, verdi, luminosi e splendenti. Una lacrima scese lungo la sua guancia.
Dov'è che ho già visto quegli occhi?

Reis... davvero non mi riconosci?”
Chi dovresti essere?”
Probabilmente questa non era proprio la risposta che lui si aspettava, perchè distolse lo sguardo. “Non importa. Nessuno di importante.”

No, adesso pretendo di saperlo! Sono stata rapita, imprigionata e trascinata qui...”
Deinoforo ti ha forse fatto del male?”
Deinoforo?”
Il cavaliere con la corazza scarlatta che ti ha condotto qui. Ti ha forse fatto del male? Ti ha mai mancato di rispetto?”
No...”
Allora evita di accusare in questo modo. Non sei cambiata, in fondo.”
Senti, non ho la minima idea di cosa stia accadendo. Evidentemente il Tiranno per i suoi scopi ti ha dato un aspetto che ricorda... qualcuno che conoscevo. Tu parli come se mi conoscessi, ma quando mai ti ho visto prima d'ora?”
Questo dovette essere troppo, perchè il bambino la guardò di scatto negli occhi.

Reis... tu lo sai chi sono...!”
Se è uno scherzo non è affatto divertente...”
...sono Aster.”
La gnoma lo fissò per un attimo, incapace di proferire parola. Quando ci riuscì, la sua voce risuonava di rabbia.
Aster la lasciò sfogare; quando tacque per prendere fiato, si intromise. “Questo è quello che mi ha fatto tuo padre.”

Te lo meritavi, mostro!”
Il mezzelfo era scioccato da quel repentino cambio di atteggiamento: “Reis! Ti prego, non fermarti alle apparenze! Dicevi di amarmi, che non importava nient altro che l'amore che provavi per me...”

Questo prima che mio padre mi aprisse gli occhi! A me, sì, importava l'amore, ma tu cosa volevi da me, maledetto? Volevi solo la mia bellezza, e il potere che avresti ottenuto dalla mia posizione! Probabilmente a quel punto mi avresti gettata in strada come una puttana qualsiasi! Amore... Tu non sei un uomo, sei una bestia, queste cose non le puoi capire...”
Era più di quanto Aster potesse sopportare.

Portatela via!”, ordinò.

Il mezzelfo camminava avanti e indietro davanti alla porta. Fallo. Fallo, maledetto, e poi vattene, si ingiunse. Eppure c'era una forza che lo bloccava, che gli impediva di entrare. Quella forza era il non accettare la realtà, quella forza era una muta supplica alle infinite possibilità degli eventi. Quella forza si chiamava speranza.
Non posso averla persa del tutto, non può aver dimenticato tutto quello che abbiamo passato insieme...
Da dietro la porta di legno giunse una voce fioca. Parla nel sonno, pensò Aster, e per un attimo ne fu intenerito. Poi gli giunsero le parole: “Maledetto... bastardo... non mi avrai... mai...”
Il mezzelfo serrò i pugni ed entrò.
Non era una cella. Avrebbe voluto lasciarla nelle segrete, mezza smangiata dai topi, a contendersi il cibo con le migliaia di esserini che abitavano la Rocca assieme a lui, eppure non ne era stato capace. La amava troppo. Quindi Reis risedeva in una stanza, non particolarmente lussuosa, ma di certo comoda e funzionale. La porta si aprì senza un cigolio.
Aster si avvicinò alla ragazza addormentata. Il suo sguardo ne percorse per un attimo la figura, la memoria gli riportò alla mente com'era sentire quel corpo perfetto dischiudersi contro il suo, poi la realtà spazzò via brutalmente i ricordi. Nessuna donna l'avrebbe mai amato, nelle condizioni in cui era.
Il sonno era il momento ideale: la mente della gnoma non avrebbe lottato per proteggersi dall'intrusione. Oh, non sarebbe stato un problema neanche da sveglia, perchè lui era Aster della Terra della Notte, Aster il Tiranno, il mago più potente che fosse mai apparso sul Mondo Emerso. Tuttavia, non c'era nulla di male nel facilitarsi un compito che si apprestava ad essere tutt'altro che semplice.
Si chinò su Reis, e le poggiò una mano sulla fronte, rivolgendo una preghiera a chiunque fosse in ascolto:
ti prego, fa che sia rimasto in lei un po' dell'amore che provava per me...
Aster aveva pregato per l'ultima volta in vita sua.

Sobbalzò all'indietro, sopraffatto dalla forza dell'odio, della rabbia e della violenza emanati dalla donna, di un'intensità tale da perforare la sua mente e farlo sussultare per quelle fitte. Non si era mai imbattuto in una tale quantità di sentimenti violenti, neppure nei prigionieri che il boia torturava, convinto di fare piacere al suo padrone. Cercò in lungo e in largo, sottoponendosi a quel tormento, nella minima speranza di trovare una parte di lei che non fosse ancora corrotta.
Fu tutto inutile.
Arrivò addirittura a riversare in lei i suoi sentimenti, ma la mente della donna automaticamente li rifiutò, serrandosi su sé stessa.
Ormai della persona che aveva amato non era rimasto nulla.
Un corpo senz'anima.
Il mezzelfo si tirò bruscamente indietro, asciugandosi a forza gli occhi. Non poteva, non doveva meritare le sue lacrime, lei che l'aveva rinnegato così profondamente.
Quanto meno non sarebbe andata dire a nessuno del suo segreto: in uno sprazzo di buonsenso era riuscito a ripulirle la mente dalla sua immagine.
Sollevò il capo.
Aveva smesso di piangere.
Sul suo cuore era scesa una cortina di ghiaccio.

Questa è la lezione che mi hai insegnato, Reis, e sebbene tu detesti anche solo il pensiero di avermi dato qualcosa, io te ne sono grato. Ora non ho più dubbi, il mio cammino è spianato.
Il secondino si avvicinò, e Aster gli sorrise. Il genere di sorriso che faceva tremare gli uomini nel profondo. Era lo scintillio che gli appariva nelle iridi verdi. Quegli occhi! Come se gelassero chi li guardava... Erano gli occhi del dominatore, gli occhi del Tiranno!
*
Bene, ecco cosa devi fare...”
La sala del trono gli apparve più solitaria che mai, tagliata in due da una lama di luce che proveniva dalla finestra. Si fermò un istante presso la porta, sentendosi come i suoi sudditi, che là si attestavano quando venivano a chiedergli qualcosa.

Questa è la tua tomba, ma ti dà comunque il benvenuto.
E Aster sospirò, perchè adesso la strada era tutta in discesa.
Adesso poteva morire.

_______________________________________________________________
*
Ispirato a Lady Oscar

Sì, lo so sono tremendamente in ritardo, e questo capitolo non è neanche particolarmemte lungo. Avverto che potrebbe subire piccoli rimaneggiamenti in futuro. Il prossimo, chissà quando: vorrei iniziare anche una fiction su Dragon Age, e ne ho una su AVP che mi ronza in testa da un pezzo. In più non ho ben le idee chiare su come proseguire... accidenti. Fra ciò che ho previsto e il momento presente potrebbero accadere un milione di cose come nessuna. Vabbè. Con questo capitolo intantos i chiude la miniserie dedicata ad Aster.

Alla prossima!

 

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Capitolo 11
*** Scena Decima (X): LIMITE ***


Scena Decima (X): LIMITE

 

Why was I one of the chosen ones?
Until the fight I could not see
The magic and the strength of my power
It was beyond my wildest dreams

- Within Temptation, Dark Wings

Freddo. Faceva freddo, e nella prateria tirava un vento sferzante, che piegava gli steli secchi delle graminacee e si insinuava il gelo fino alle ossa, non importava quanti abiti portassero addosso. Dubhe rabbrividì e si tirò il cappuccio sul volto, cercando di ripararsi. I suoi piedi poggiavano sull'erba secca, senza un fruscio o un rametto spezzato. Neanche un rumore accompagnava il suo passaggio, perchè Dubhe, anche adesso che il suo passato avrebbe potuto essere archiviato, restava comunque un'assassina.
Siamo quasi arrivati”, la rassicurò Aster.
Mmmh. Fa schifo la Terra del Vento in questa stagione.”
Non c'eri mai stata?”
In pieno inverno, mai. Almeno non nevica.”
Non succede quasi mai da queste parti.”
A furia di camminare, erano giunti al confine della Grande Foresta... o meglio, di quello che ne restava. Nella nebbia si innalzavano i monconi dei tronchi. Le truppe che erano passate per la Terra del Vento - tanti, troppi eserciti per le risorse di quella piccola regione - avevano abbattuto gli alberi per accamparsi e riparare le loro armi, poi, finita la guerra, avevano finito il lavoro i contadini, in cerca di legna per scaldarsi o guadagnare qualche moneta, o nel bisogno di ampliare le scarse terre fertili di quella landa. Al resto avevano pensato gli incendi, che sulle erbe steppose e sui rami secchi e sulle erbe stoppose avevano trovato un facile territorio di propagazione. Aster si ritrovò a pensare che quel paesaggio fosse deprimente. Altro che la Grande Terra: erano in molti che la odiavano, invece a lui piaceva la fredda perfezione del cristallo nero. Quanto meno, Dubhe non l'aveva accusato nemmeno una volta di essere l'autore di quella devastazione, anzi, la cosa non sembrava minimamente passata per la mente. A parte le lamentele per il freddo, infatti, la ragazza era silenziosa. Persa nei suoi pensieri, ipotizzò il mezzelfo.
Tuttavia il vago senso di colpa – per cosa? Ero nel giusto! - non accennava a diminuire e, mentre il mantello si impigliava nell'ennesimo ramo secco, la su pazienza terminò: “Basta, ci fermiamo qui!”, sbottò.
Dubhe, ubbidiente, si appoggiò ad un tronco. “Ci attenderanno anche domani”, commentò con noncuranza.

Costruzioni mostruose, di nera pietra iridescente, in radure e spiazzi dove regna eterno il crepuscolo...
Ph‘nglui mglw’nafh Cthulhu R’lyeh wgah‘nagl fhtagn...
Strade interminabili che si snodano per foreste primeve, fiancheggiate da vegetali macchiati, increspati, squamati...
Ph‘nglui mglw’nafh Cthulhu R’lyeh wgah‘nagl fhtagn...
Il cielo del colore sbagliato, ma impossibile definire quello corretto...
Ph‘nglui mglw’nafh Cthulhu R’lyeh wgah‘nagl fhtagn...
Diverse le macchie della luna, diverse le costellazioni...
Ph‘nglui mglw’nafh Cthulhu R’lyeh wgah‘nagl fhtagn...
Una città in mezzo ai ghiacci, qualcosa di terribile annidato dentro di essa...
Ph‘nglui mglw’nafh Cthulhu R’lyeh wgah‘nagl fhtagn...
Un mare spumeggiante e primordiale, su cui si innalzavano, ad artigliare il cielo, guglie contorte ed enormi...
Ph‘nglui mglw’nafh Cthulhu R’lyeh wgah‘nagl fhtagn...
Le colonne logorate dal tempo, le finestre incrostate di sale...
Ph‘nglui mglw’nafh Cthulhu R’lyeh wgah‘nagl fhtagn...
Le torri inghirlandate di alghe, festonate dagli abitanti degli abissi...
Ph‘nglui mglw’nafh Cthulhu R’lyeh wgah‘nagl fhtagn...
La porta...! ...La porta che si apre...! Ia! Shub-Niggurath...! Il Nero Capro dei Boschi dalla Prole Innumerevole! Yog-Sothot...!Yog-Sothot è la chiave della porta, laddove le sfere si incontrano...! Ia! Cthulhu fhtagn...! Ph‘nglui mglw’nafh Cthulhu R’lyeh wgah‘nagl fhtagn!

Dubhe si svegliò, battendo gli occhi nella luce del mattino. Accanto a lei Aster si stava ridestando a sua volta, mormorando qualcosa. La ladra si mise in piedi, stiracchiandosi e avvertendo solo in quel momento di avere qualcosa impigliato nella treccia. Se l'era portata agli occhi, individuando il grosso scarabeo che camminava vicino alla punta, le zampette uncinate che di tanto in tanto si impigliavano. Sorrise appena: gli insetti e altre creature di tale natura non le davano fastidio, al contrario di quanto avveniva nella norma, fra le ragazze. Ma da quando Dubhe poteva definirsi una ragazza normale? Aveva visto ben di peggio che qualche insetto, nella vita.
Non ho niente contro di te - gli disse infatti la ladra - però non nei miei capelli, d'accordo?”
Staccò l'insetto e lo appoggiò ad un cespuglio, sul quale, dopo essersi guardato in giro, prese a caracollare, in eterna rotta di collisione con fili d'erba e zolle di terra.

È un kurdu”, le spiegò Aster.
Sì, lo so. Non vivevano solo nella Terra della Notte?”
In teoria, sì. Il mondo sta cambiando, a quanto pare...”
Mmmh...”
Dubhe si chinò, raccogliendo le spade che aveva negligentemente gettato via la sera prima, quindi spostò l'arco, il pugnale e i coltelli, ordinatamente riposti, e si sedette su un ceppo per infilarsi gli stivali.

Ti vedo pensierosa...”
La ladra scosse il capo. “Non è nulla. Sto... sto bene.”
Fece una smorfia: simili bugie non averebbero ingannato un bambino, e poi in compagnia di Aster il consueto disagio nel mostrarsi debole davanti a qualcuno semplicemente perdeva significato. “Non so perchè, il kurdu mi ha riportato alla mente le Terre Ignote, delle quali, come ben sai, non serbo un bel ricordo.”
Era un notevole eufemismo, pensò Aster. Persino lui aveva pensato che Dubhe gli stesse facendo uno scherzò di pessimo gusto, quando gli aveva raccontato quella storia. Non c'era da stupirsi che avesse tenuto all'oscuro tutti...

La notte non era mai silenziosa, nelle Terre Ignote. Il ciclo di vita e di morte non aveva mai fine, la natura continuava la sua marcia. Centinaia di creature morivano, altrettante ne venivano alla luce. Sopra a tutto, le stelle la fissavano impassibili. Erano l'unica cosa che non le fosse aliena, le stesse stelle che guardava nel Mondo Emerso.
Dubhe sospirò, e quel semplice gesto le strappò una fitta di dolore. Strinse i denti, ma una mugolio le uscì dalla bocca.

Ti ho sentita gemere. Ancora.” Nessuna sorpresa. Sapeva che era lì, a godersi la sua sofferenza, e questo gliela rendeva ancora più odiosa. Detestava sentirsi debole, e ora lo era, e per di più inerme, assieme ad una delle persone di cui più desiderava la morte.
Va' a farti fottere, Rekla.”
La donna rise, come se la ladra avesse fatto una battuta spiritosa. “Indicazione interessante, da una che non l'ha mai fatto in vita sua... o mi sbaglio?”
Se lo sguardo di Dubhe avesse potuto uccidere, Rekla sarebbe già stata morta e sepolta un centinaio di volte almeno. “Te ne frega così tanto della mia vita sessuale?”, sbottò, ancora più arrabbiata per come la conversazione stava prendendo una piega personale... piega che non le piaceva affatto. “Se sei venuta per ammazzarmi, sbrigati e falla finita.”
Rekla rise: “Ammazzarti? Noo, non ancora. Piuttosto...”
Sollevò il viso di Dubhe, mettendole una mano sotto il mento. Gli occhi grigi della ladra erano pieni di odio. Le sventolò davanti al naso un'ampollina. “La vuoi?”

Piantala di fare la santerellina, non incanti nessuno”, ringhio la ragazza, la voce arrochita dal dolore e dalla rabbia.
Oh, perchè dici così? Pensi che non te la darei? Tutt'altro.”
Dubhe sbuffò sonoramente. Poteva parlare a vanvera tutta la notte, se le faceva tanto piacere. Tanto lei stava così male che difficilmente avrebbe preso sonno.

Naturalmente - continuò Rekla - tutto ha un prezzo.”
Ti ho detto che non so che farmene della tua pozione”, sputò la ladra.
Una risata argentina: “Mi spiace, non sei nelle condizioni di contrattare alcunchè.”

Dimmi cosa vuoi, maledetta, e falla finita.”
Senti un po', Dubhe, sei comoda, legata così?”
La ragazza era bloccata supina per terra. L'altra ragione per cui non riusciva a prendere sonno, era abituata a dormire rannicchiata sul fianco. “Secondo te?”

Ti ho dato un'occhiata, alle piscine... non sei male come ragazza, lo sai?”
Co... cosa?!

E dato che tanto non hai niente da fare...”
Dubhe aveva gli occhi sbarrati.
Non ti sognar nemmeno... Ma la donna non parve accorgersene; si chinò su di lei, e prese a slacciarle il corpetto. La ladra si divincolò come una serpe, ma nella posizione in cui si trovava poteva fare ben poco. Quasi non sentì il suo corpo soffrente inviarle un migliaio di messaggi di protesta. Non starà facendo sul serio... oh, dei...
In breve tempo il busto della ragazza fu completamente denudato; Rekla si tirò indietro, osservandone la pelle chiara che si accapponava all'aria fresca della notte. Le passò l'indice sull'addome, che si contrasse immediatamente, poi le chiuse la mano a coppa sul seno minuto.

Confermo il precedente parere, non sei affatto male...”
La ladra era troppo sbigottita per proferire parola. Non che mancasse d'immaginazione, ma fra tutte le cose che Rekla poteva farle, a
quello non aveva pensato.
La donna calò sulla sua bocca un bavaglio, legandolo strettamente nonostante le sue disperate contorsioni. “Ti consiglio caldamente di respirare con il naso... se ce la fai.”
Dubhe mugolò qualcosa, gli occhi che fiammeggiavano. “E più ti agiti più sudi. Più sudi, e più sei attraente... ops, ma questo non dovevo dirtelo, giusto?”
Rise, e si chinò su di lei. Un istante prima che le sue labbra le sfiorassero il petto, la ladra la sentì dire: “E cerca di non farti venire un infarto... devi arrivare alla Casa viva, ricordi?”

Il resto... il resto non lo potrei raccontare, anche se volessi. Ne conservo solo ricordi sfuocati... come se la mia mente volesse proteggermi da ciò che è accaduto. E forse è meglio così, forse è meglio non scavare oltre in quella barriera... Quanto al dopo... non ne ha più fatto parola, e ovviamente, come immaginerai, non ero particolarmente ansiosa di tornare sull'argomento. Ma a giudicare dal suo comportamento nei giorni successivi, o si vergognava di quanto era accaduto... e immagino che fosse possibile, una come lei non dovrebbe voler andare a letto con una Perdente qualsiasi”, commentò sprezzante. “Oppure le mie prestazioni dovevano essere davvero deludenti, e anche questa è possibile dato che stavo facendo di tutto, nelle possibilità che mi erano concesse, per renderle la cosa il più difficile e sgradevole possibile.” Scosse la testa: “C'è una cosa però che non posso dimenticare, per quanto disgusto possa provare al ricordo. Non immagini, ma sensazioni... Aster, l'ho odiato. L'ho odiato con tutta me stessa. Credo sia stata l'esperienza peggiore della mia vita, a parte la Bestia, si intende, eppure... non riesco a negare, e non riesco a perdonarmi... che in certi momenti mi sia piaciuto...”
Gli si era rannicchiata contro, con un singhiozzo. Aster l'aveva stretta a sé: “Quella che sto per farti è una domanda un po' indelicata... parecchio indelicata, in effetti. Dubhe... dopo quell'... definiamolo episodio, d'accordo?... e prima di conoscermi, hai mai provato piacere facendo l'amore? Anche sapendo di essere con la persona sbagliata?”

Qualche volta”, ammise la ladra, tirando su con il naso. “Un poco. Ma...”
La natura è così... anche se odi una persona con tutta te stessa, a volte il corpo reagisce ugualmente. Non fartene una colpa... è finita, e, per quel che ricordo, le hai restituito ciò che hai passato con gli interessi, tant'è che adesso sei qui, e lei no.”
Questo è vero.” Dubhe sorrise, non un gran sorriso, a dir la verità, ma comunque un inizio. “Mi piacerebbe avere l'occasione di farci vedere insieme da lei, un giorno... intendo, giusto per divertirmi all'espressione che farebbe davanti alla feccia della feccia fidanzata con il suo presunto messia...”

È finita, lo sai”, le mormorò Aster, strofinandole la spalla.
Mmmh...”, fu la risposta, e il mezzelfo onestamente non seppe dire se si trattava di un assenso, di un diniego, o semplicemente di un mugolio buttato lì.
Ci pensò Dubhe a spianare i suoi dubbi, lasciandosi andare contro di lui e reclinando il capo. “Lo so”, mormorò. “Eppure è accaduto lo stesso, e non posso negarlo. Aster, riuscirò mai a perdonarmi? Riuscirò mai ad accettarlo?”
Il mezzelfo sospirò. Sarebbe stato facile dire 'sì', ma se l'avesse fatto si sarebbe giocato per sempre tutto ciò che la ladra provava per lui. “Non lo so”, le rispose invece. “Dirti di sperare o pregare è inutile, vero?”
Le labbra della ragazza non riuscirono a non piegarsi in un sorriso: “A me non serve né pregare né sperare.”

Allora non ti resta che attendere. Per questo, hai tempo in abbondanza.”
Sì, grazie a te.”
Aster le lanciò addosso una mela; la ladra non si scansò, limitandosi ad allungare la mano al momento giusto e afferrarla al volo: “Grazie”, mugolò con la bocca piena, riferendosi più al loro dialogo che al frutto.

Prego”, replicò Aster, che aveva compreso perfettamente di che cosa stesse parlando la ragazza. Prese dalla sacca un'altra mela e si sedette sul ceppo.
Per un po' lo sgranocchiare fu il rumore più forte che si sentì, poi Dubhe si alzò e spazzò via la polvere dal mantello: “Pronto?”
Aster gettò in aria il torsolo e lo incenerì un secondo prima che toccasse terra.

Pronto.”

Con il capo chino per proteggerlo dal gelo, Dubhe maledisse per l'ennesima volta quella prateria in particolare e la Terra del Vento in generale. Mentre stava commentando fra sé e sé una mano andò a poggiarsi sulla sua spalla e la ragazza alzò la testa di riflesso. Davanti a loro stava il tronco di un enorme albero, ornai il residuo di quello che doveva essere un tempo: la corteccia era marcia e irregolare, profondamente sfregiata dalle accette di soldati e contadini. Non ne restava che un moncone, alto a malapena un metro e mezzo, ma la circonferenza era tale che la ladra dubitava che lei e Aster sarebbero riusciti a circondarlo con le braccia.
Per terra, intrappolata fra le radici, c'era una foglia dorata, chissà come giunta fin lì. Con il sole forse avrebbe brillato, ma con la cappa di nubi che opprimeva il cielo la sua tinta era cupa e smorta. Seduto sul ceppo, quasi invisibile ad un'occhiata distratta, stava un piccolo essere, delle dimensioni di una mano, con i capelli verdi arruffati e grandi occhi completamente blu. Vestiva di un abito e delle scarpe ricavate da delle foglie secche, abbastanza incongruenti con la temperatura ambientale, e dalla sua schiena si spiegavano ali che ricordavano quelle di una libellula.
In un'unica, sciolta mossa, tranquilla e decisa, Dubhe afferrò con la destra l'elsa della spada e la sguainò; subito dopo, con un ritmo prestabilito, con la sinistra afferrò l'altra spada. Entrambe le mani brandivano con sicurezza le armi, pollici e indici rilasciati, le altre dita sempre più tese fino alla presa sicura dei mignoli. In un arco le due lame ruotarono, senza soluzione di continuità, e in uno sfavillare d'argento furono, parallele fra loro, puntate contro il folletto.
L'esserino non si mostrò sorpreso. Rassegnato, piuttosto. “Possiamo parlarne?”, chiese.
Senza cessare di tenerlo d'occhio, la ladra alzò un sopracciglio verso Aster, con fare interrogativo. Il mezzelfo le fece un brave cenno d'assenso, e Dubhe spostò il peso sulla gamba sinistra e abbassò la spada, senza però riporla.

Parla”, disse il ragazzo. “Ma non svolazzare. Seguire i folletti che svolazzano mi fa venire il mal di testa.”
Phos si alzò in volo, mantenendosi però ad un'altezza regolare, circa un metro e mezzo dal livello del suolo. “Avete fatto tutta questa strada per niente”, esordì.
Dubhe parve stupita, Aster si limitò a sospirare con fare rassegnato. Sentendolo, la ladra si voltò: “Quand'è che inizierai a dirmi queste cose?”, chiese, sarcastica.

Non ne ero del tutto sicuro, e dopotutto valeva la pena di controllare.”
Mmm... perdonato. Ma perchè?”
Lasciamocelo spiegare da lui.” Si rivolse al folletto.
Questo fece una capriola, per poi incontrare lo sguardo di Aster. “Ops. Niente acrobazie. Me l'ero dimenticato.”

Farai meglio a ricordartene, credimi”, gli suggerì Dubhe. “Ora, questa spiegazione...”
Dovete sapere che...”
Stringi.”
...gli elfi sono sempre stati relativamente pochi nella Terra del Vento. Quando, in seguito alle epidemie, il loro numero incominciò a decrescere, si dimenticarono di questo luogo e del santuario che qui sorgeva. L'essenza divina era legata agli elfi che la adoravano, così, quando partirono per le Terre Ignote, portarono con loro dei frammenti provenienti da tutti i santuari... tranne che da questo.”
Ed è per questo che Mawas è grigia?”, domandò Duhe, rivolgendosi al mezzelfo.
Lo sospettavo, ma me ne serviva la conferma diretta. Ciò spiega anche perchè il rituale che ha fatto Nihal non abbia avuto effetto.”
Ti ha fermato lo stesso.”
Un misero inconveniente di percorso, cucciola. Avrebbe anche dovuto disperdere il mio spirito dopo la morte, eppure eccomi qua, come se quarant'anni fa non fosse successo niente. Anzi – le carezzò la guancia – è meglio di allora, decisamente meglio.”
Si rivolse a Phos: “Molto bene, grazie del chiarimento. Dato che non sembri intenzionato a creare problemi...”

Posso chiederti un favore?”, chiese a bruciapelo il folletto.
Aster annuì, preso alla sprovvista.

La mia specie si è estinta, non ho più una casa né un santuario su cui vegliare.” Sfiorò con la manina la corteccia del ceppo. “Eppure mi trovo ancora qui, e resterò legato a questo posto per l'eternità. Vedrò generazioni intere annientarsi per guerre fratricide, poi ne vedrò nascere altre che altrettanto rapidamente cadranno nell'oblio...”
"Frena. Mi stai chiedendo di farla finita?”

In parola povere...”
Mi rifiuto!”, scattò Dubhe. Si voltò così in fretta che il mantello si impigliò fra gli sterpi; si liberò con uno strattone, per poi allontanarsi a grandi passi.
Scusa”, disse il mezzelfo a Phos, per poi lanciarsi all'inseguimento.
Dubhe! Dubhe, fermati, per la miseria!”
La ragazza si fermò, senza però voltarsi. Le tremavano le spalle, e Aster capì che si vergognava enormemente della propria reazione. Che avesse pianto? Continuava a dargli la schiena, ma la sua voce era flebile: “Non posso. Un conto è uccidere per autodifesa, lo capisco, ma questo? Sarei ciò che ho sempre rifiutato.”

Cosa credi, che io sia d'accordo? Non avrei mai il coraggio di guardarti negli occhi, dopo. Con la tua reazione mi hai solo anticipato. Ne discutiamo civilmente?”
D'accordo”, mormorò Dubhe, con un sospiro che le scosse le spalle esili. Aster la cinse con un braccio, come sempre quando la sapeva così vulnerabile. Almeno non aveva pianto, e questo rallegrò Aster, nei limiti della situazione.
Aiutami a sistemarmi, non voglio farmi vedere così. Non mi fido ancora.”
Nessun dubbio su questo. Per contare le persone di cui Dubhe si fidava le dita di una mano bastavano ed avanzavano.

Tornarono di fronte al folletto, seduto sul ceppo.
Mi chiedo se...”, iniziò Aster, fra sé e sé. I brani di un libro letto un'infinità di tempo prima gli fluttuavano davanti all'occhio della mente. Poi scosse la testa e si inginocchiò per portarsi all'altezza della creatura: “Ascoltami bene.” Tolse dall'imbracatura la spada nera: “La gemma che è incastonata nell'elsa è davvero una Lacrima di questo Padre della Foresta?”
Phos annuì.

E tu l'hai data a Nihal, giusto?”
Altro cenno d'assenso.
“E non c'è nessuna possibilità che, poniamo l'esempio, Livon l'abbia rotta lavorandola e l'abbia sostituita con un'altra goccia?”

Non mi risulta.”
Non mi interessa cosa ti risulta o meno. Puoi controllarlo?”
Sì, ma non vedo il motivo...”
Fallo.”
Il folletto sembrava non capire e anche Dubhe si era appoggiata al ceppo, guardandolo incuriosita.

Oh, al diavolo.”
Aster estrasse di colpo la spada e la gettò in aria. Un 'istante dopo era sospesa ad un metro da terra, circondata da un bagliore azzurrino. “Adesso possiamo parlare.” Aveva congiunto le dita e appoggiatovi sopra il mento, posa che secondo la ladra lo faceva somigliare ad una maestrina... comunque, data la situazione, si risparmiò la battuta. “La Lacrima che è incastonata nell'elsa costituisce ciò che gli elfi chiamano un ashkar, termine traducibile come catalizzatore. Secondo i testi elfici, si tratta di oggetti in grado di assorbire la magia e moltiplicarla. O almeno, questo è ciò a cui sono arrivati gli elfi – aggiunse con una punta di disprezzo – ma posso dimostrare che gli ashkar non si limitano a catalizzare la magia, ma ne conservano anche l'impronta. Questo luogo era pieno di magia, i suoi residui si avvertono ovunque. E la Lacrima è stata a contatto con una Consacrata, creature attorno alle quali succedono cose bizzarre, ma che tendono a lasciare una notevole impronta nel mondo che le circonda... e sulla realtà. Ma il legame si degrada esponenzialmente di secondo in secondo, quindi una certa rapidità sarebbe essenziale. La bolla in cui l'ho racchiusa rallenta il processo, ma non può arrestarlo. C'è un limite a tutto.” Aster congiunse le dita. “Da quella pietra si potrebbe, e sottolineo potrebbe, estrarre l'impronta di questo luogo e trasmetterla al mondo reale.”
Dubhe spalancò gli occhi: “Si può fare una cosa del genere?”

Quarant'anni fa, ti avrei detto di no, che era impossibile. Adesso... sono cambiate tante cose. Conoscessi a fondo questi poteri, potrei darti una risposta certa, ma per adesso mi azzarderei solo a dire che è possibile.”
Smettila di darti delle arie!”, lo prese in giro Dubhe dandogli un buffetto sulla guancia.
Non mi sto dando delle arie! È la pura e semplice verità”, protesto Aster.
E... che conseguenze avrebbe questo?”, domandò Phos, interrompendoli. Era rimasto immobile e pensieroso, un comportamento atipico per un folletto. D'altronde, un momento prima stava considerando il suicidio, ora gli veniva offerto addirittura ciò che gli era stato tolto.
Non ne ho idea”, gli rispose con sincerità il mezzelfo, cessando all'istante gli scherzi con la ladra. “Ma la domanda giusta da porsi è semmai un'altra. Vale la pena di tentare, a prescindere dalle possibili conseguenze e sapendo che potrebbe non esserci alcun riscontro?”
Il folletto abbassò lo sguardo. I suoi occhi privi di iride e pupilla rendevano difficile indovinarne i pensieri.

Sì”, disse alla fine, a bassa voce, quasi inudibile.
Bene”, replicò Aster. “Proverò.”Chiuse gli occhi e si mise a mormorare fra sé e sé. Dubhe non conosceva la magia, quindi non poteva comprendere esattamente in cosa consistesse il potere che era stato loro dato, lui sì. Quante variabili per un'unica capacità: quella di modificare la realtà che li circondava, lacerandone il velo e plasmandola a proprio piacimento. Aveva capito che l'Uruboros in realtà non era nulla di diverso da ciò che sembrava, un semplice braccialetto d'argento; sapeva che la “profezia” che avevano letto poteva essere stata piazzata lì ad arte qualche secondo prima del loro arrivo. Aveva letto il Necronomicon e i Manoscritti Pnakotici, il Re in Giallo e gli altri libri proibiti e maledetti. Conosceva – per quanto si possa dire di conoscerli – gli Dei Esterni, e, almeno in parte, supponeva di essere arrivato a comprenderne le motivazioni. E sapeva, cosa che probabilmente lo differenziava da tutti coloro che avevano pensato di trattare con gli Antichi prima d'ora, di essere quasi certamente in errore, perchè una mente umana, per quanto straordinaria, non poteva avvicinarsi oltre un certo limite ai misteri che circondavano i Grandi Antichi. Quindi la prudenza non lo abbandonava mai. In fondo, lui non ricercava un potere, non più; l'unica cosa che gli importasse davvero era la sua Dubhe. Per queste ragioni aveva deciso di tacerle tutte le sue riflessioni, in particolare quelle circa l'Uruboros e i limiti delle loro capacità: non voleva caricarla di altri pesi, lei che ancora stava combattendo la lotta contro il passato. Era più semplice che credesse che le sue facoltà derivavano da un oggetto e che non si ponesse troppe domande a riguardo; sapeva bene che Dubhe sarebbe stata capacissima di intrappolarsi da sola in una rete di dubbi su cosa era in grado e non era in grado di fare, con il risultato che, sminuendosi come faceva sempre, non sarebbe più riuscita a combinare assolutamente nulla.
Cosa poteva dire di sapere, lui, degli Altri Dei? Nulla. Poteva ipotizzare le loro ragioni, ammesso che avesse un qualche senso cercare di dare emozioni umane a creature che tali non erano, ma nulla di più. E sapeva di non potersi basar troppo sulle proprie intuizioni, perchè, impossibili da controllare quali erano, potevano condurlo in un vicolo cieco.
Ma porsi domande non serviva a nulla, infine, scoprirne la ragione era un'interesse puramente accademico, perchè nulla poteva negare la realtà dei fatti.
Nonostante tutti i suoi sforzi...

Non funziona.”

Due semplici parole, che si congelarono nell'aria come il respiro in una mattina d'inverno. Dubhe non si stupì. Aveva seriamente dubitato della fattibilità della cosa, e sapeva che, per quanto Aster fosse... dolce, adorabile, stupendo... competente, non era infallibile. Ma per il folletto non fu così. La speranza è un'emozione crudele: può sostenere nelle difficoltà, ma la sua delusione è molto più dolorosa della semplice constatazione del fallimento. Prima che la ragazza potesse solo pensare di allungare una mano per prenderlo al volo, Phos si sollevò dal suolo e, con l'agilità di una creatura capace naturalmente di volare, scese sulla lama sospesa.
Cadde.
Cadde dolcemente, come un fiore a cui viene reciso lo stelo.
Cadde senza gridare, senza far rumore.
Cadde, non ci fu sangue e si dissolse non appena toccò la punta della spada.
Cadde, e li lasciò lì, a guardarsi costernati.
*
Avrei dovuto girare la spada...”, mormorò Aster. Abbassò le mani, ormai inutili. Adesso le possibilità dell'impresa si erano allontanate per sempre, svanito il tramite che sentiva di necessitare per riportare nel mondo qualcosa che non era più. Così pensava il mezzelfo, e la realtà si adeguò di conseguenza.
Non è colpa tua. Non potevi prevederlo.”
Il ragazzo raccolse la spada e la ripose, gettandole un'occhiata mesta. “Già... forse è stato l'unico dono che poteva farci, toglierci la responsabilità di essere i suoi assassini.”
Sospirò.

Dannazione...!”

___________________________________________________
* Ovviamente ispirata a Il piccolo principe di
Antoine de Saint-Exupéry

Beh, rieccomi qui. In questo capitolo abbiamo avuto una drammatica rivelazione sul passato di Dubhe. Lo so che alcuni lo vedranno come uno stravolgimento, però secondo me la cosa è dev'essere accaduta, in Le due gerriere, quindi ce l'ho messo. Spiega anche perchè nella fiction Dubhe passi sopra con un'alzata di spalle la morte/trasfermiento estraplanare di Yeshol, per non pensarci più, mentre la figura di Rekla continui a tormentarla. Rating alzato, fatemi sapere se devo mettere altri avvertimenti.

A tutti coloro che leggono questa fiction: EFP segnala più di 2000 visite a questa storia, gradirei ricordarvi come lasciare una recensione non faccia mai male. Fra "preferiti" "ricordate" e "seguite" ci sono non meno di quindici persone, e la gran parte di queste non ha mai espresso la propria opinione, nemmeno un semplice "mi piace" più altre nove parole tanto per fare la recensione, cosa che non ruba più di due minuti. Questo è decisamente scoraggiante per me, e potrei decidere di sospendere/interrompere la pubblicazione. In tutta sincerità, detesto scrivere questo messaggio, però mi piacerebbe davvero sapere cosa pensate, e non solo quelle due-tre eroiche persone che mi seguono e recensiscono puntualmente dall'inizio. In particolare, gradirei sapere se vi piace l'iniziativa delle copertine, e se avete qualche suggerimento per quella di questa fiction (per vedere le altre andate nel messaggio che fa da titolo a "Leggende del Mondo Emerso - Il Sigillo della Morte" e "Leggende del Mondo Emerso - La Strada di Dubhe".
Aesir ringrazia per la comprensione, e promette che cercherà di aggiornare un po' più di frequente in futuro... sono all'ultimo anno del liceo, non vogliatemene male ma fra circa un mese sarò sotto esami. Detto ciò, ringrazio, saluto e che cali il sipario ^ ^

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