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Lista capitoli: Capitolo 1: *** A un battito d'ali da casa *** Capitolo 2: *** Un orribile sapore amaro *** Capitolo 3: *** Odiare sè stessi più di ogni altra cosa *** Capitolo 4: *** Quel che bisogna proteggere *** Capitolo 5: *** Talvolta Dio parla agli uomini ***
Altre fiction dello stesso autore: “Un Raggio di
Sole”, “Un giorno da scagnozzi”, “Dragonball – A legenddies”.
Questa fanfic si ambienta
nel periodo in cui Gohan si allena sull’isola deserta
con Piccolo, circa sei mesi prima che Vegeta arrivi
sulla Terra. E’ un storia che riprende con maggiore
approfondimento alcuni temi già accennati nell’anime, e soprattutto che
racconta un momento fondamentale nella nascita del legame profondo che, negli
anni, legherà sempre il figlio di Goku e quello del
Grande Mago Piccolo. Ho cercato di renderla molto emozionante, quasi
‘shockante’, ma non per questo OOC, anzi, spero
proprio di avere descritto bene soprattutto Gohan.
Una piccola nota: la storia era stata concepita come one-shot,
poi è cresciuta un poco ed ha finito per diventare una piccola fanfic a capitoli, che comunque
saranno solo quattro. Un grazie particolare a lilly81 (spero che tu possa
leggerlo di persona), perché la sua storia “Gravity
Room” mi ha dato quell’umore giusto, un po’
malinconico, grazie al quale è nata questa “Istinto di
sopravvivenza”. A tutti: buona lettura e commentate numerosi!
Capitolo 1 – A
un battito d’ali da casa
Anche nei
momenti più neri basta davvero poco per ritrovare la serenità.
Dopo
un’intera giornata di allenamento massacrante, una
lotta senza mai fine né vincitore con il suo nuovo maestro, Gohan,
al tramonto del sole, si sentiva solo e consumato, gli sembrava di essere un
vecchio arnese che implorava di essere gettato via. Quando si sentiva così, Gohan non poteva evitare di pensare alla casa che lo
aspettava, lontano, oltre il mare, e alla mamma che gli raccontava le favole
prima di dormire, che gli rimboccava le coperte del letto, ma
questi ricordi gli erano resi ancora più dolorosi dalla vista della sabbia e
delle rocce che adesso erano il suo nuovo letto, la sua nuova casa.
Gohan
aveva imparato a dimenticare il più possibile tutto ciò ed a vivere immerso in
quel duro presente in cui doveva combattere per mangiare e per non essere
mangiato; tuttavia, ancora, nelle sere più malinconiche, quando il vento
soffiava il proprio disprezzo per tutti gli esseri viventi spazzando quelle
terre aride, un ricordo di vaga tenerezza e una morbidezza rosa ed indefinibile
che portava con sé l’odore di casa bussavano al suo
cuore.
Nessun
bambino di quattro anni può rinunciare all’affetto, che desidera ricevere e
donare in ugual misura, e il piccolo Sayan non faceva eccezione. Nella solitudine di quell’isola sperduta come un miracolo di colore e di suono,
un giorno gli era venuto incontro un uccellino dal piumaggio variopinto che
cinguettava con insolita dolcezza: sorridendo, il piccolo Gohan
l’aveva accolto tra le proprie mani, l’aveva accudito e preso con sé. Così,
quando si sentiva solo e sfinito dopo l’ennesima lotta con Piccolo, che ormaida quasi un mese lo
allenava personalmente, si sdraiava sulla sabbia, chiudeva gli occhi e si
abbandonava al melodioso canto di Kirù, che dalla
gabbietta di legno che il bambino gli aveva costruito intrecciava note sempre
diverse. Grazie all’incantesimo dei suoi gorgheggi, lo
scirocco sabbioso diventava una dolce brezza di primavera; la nuda e fredda
terra, un soffice cuscino; il tocco dell’erba che carezzava la sua guancia, le
labbra profumate della mamma che veniva a dargli il bacio della buonanotte.
Viveva
tutto il giorno nel deserto, Gohan, ma la sera,
finalmente, tornava a casa.
E poi
cambiò tutto.
-Cos’è
quella roba? – sibilò Piccolo, intravedendo la gabbia.
Gohan gli rispose
fiducioso che lì ci teneva il suo uccellino Kirù. Non
vedeva assolutamente niente di male in questo: perché il suo maestro avrebbe
dovuto prendersela?
-Noi
siamo qui per allenarci, non per accudire animaletti indifesi! - era stata la
risposta adirata.
Gohan non
sapeva che dire. Riuscì solo a balbettare:
-MaKirù è mio amico… io gli voglio bene!
-Se davvero gli volessi bene – disse allora Piccolo – lo lasceresti libero
di fare la sua vita, e tu penseresti alla tua. Nessuno migliora
in una gabbia, lo vedi da solo. Tu stesso hai imparato di più in sei
mesi da solo qui che in anni trascorsi a casa con la mammina
ad oziare. Questa è la legge della vita, Gohan.
Bisogna combattere per sopravvivere, il tuo amato Kirù
contro i predatori, tu contro i Sayan. Chi vince
vive, perché merita di farlo. Chi perde non è importante.
A Gohan questa ramanzina era piaciuta poco,
e decise di ribattere, radunando tutto il proprio coraggio:
-Tu
dici sempre che devi conquistare il mondo ed uccidere mio padre. Cosa ne sai della legge della vita? Sai solo fare del male!
Ma Piccolo
non si fece certo zittire, anzi. Più minaccioso e infuriato che mai, afferrò Gohan per il colletto, lo sollevò all’altezza dei propri
occhi e gli parlò scandendo bene ogni sillaba:
-Tu
non hai idea di quanto io conosca questa legge, Gohan. Possiedo in me tutti i ricordi di mio padre, e ti
posso assicurare che la gente fa cose terribili quando
è messa alle strette. Infliggigli abbastanza dolore, e chiunque può diventare
uno spietato assassino interessato solo alla propria vita. Persino tuo padre, Gohan. Tu lo credi solo un uomo buono e gentile, vero? –
Piccolo sogghignò – Bene, io ricordo ogni momento del giorno in cui il Grande
Mago Piccolo fu ucciso da lui, e ti giuro che anche se
Goku, allora, era solo un ragazzino, negli occhi
aveva un odio ed una furia demoniaci. Avrebbe voluto graziare persino suo
fratello Radisc, ma con mio padre non esitò un
attimo, fu solo spietato, deciso ad ucciderlo al costo
della propria vita, e nient’altro. LO VOLEVA MORTO, GOHAN. Rifletti bene su
questo: anche tu potresti diventare così, con il giusto stimolo. Persino il tuo
Kirù potrebbe. Perciò
abbandona questi sogni, ed entra nella realtà. Siamo ognuno
per conto nostro. Preoccupati di te stesso, e dimentica tutti gli altri.
Detto
questo, lasciò cadereterra
Gohan, che sbalordito e spaventato lo fissava con
occhi sgranati. Dopo avergli rivolto un’ultima occhiata, Piccolo si voltò e si
alzò in volo. Il bambino, invece, che risentiva della stanchezza di una
giornata di allenamenti, fu sopraffatto dal sonno, e
dormì profondamente per molte ore.
Il mattino
seguente, Gohan fu sorpreso da una novità inaspettata. Piccolo se n’era andato,
l’aveva lasciato completamente solo. Possibile che si fosse risentito così tanto per la faccenda della sera prima? Oppure aveva deciso che il bambino era troppo debole, ed
aveva rinunciato ad allenarlo? Bene, importava poco. Gohan era contento di
essere di nuovo solo, o meglio, di stare soltanto con il suo uccellino.
Sopportava a stento quel maestro troppo severo, addirittura crudele, che non
faceva che malmenarlo tutto il giorno. Ora doveva di nuovo badare a sé stesso, come aveva già fatto per sei mesi, ma era
perfettamente in grado di riuscirci. Gli sarebbe bastato lavorare un po’ ogni
giorno per costruirsi una barca, una zattera, lasciare l’isola deserta e
tornare a casa, senza quell’aguzzino tra i piedi.
Fischiettando un motivetto, finalmente di ottimo
umore, Gohan si avviò verso la foresta con la gabbia di Kirù
sotto braccio, alla ricerca di qualcosa da mangiare. Le cose cominciavano a
girare per il verso giusto, e l’incubo degli allenamenti massacranti gli
sembrava ormai lontano.
L’allegria
del bambino, però, svanì presto. Dopo aver oltrepassato le formazioni rocciose
che lo separavano dalla zona più lussureggiante dell’isola, infatti, Gohan
scoprì che il paesaggio era completamente diverso da come lo ricordava. Alberi,
erba, cespugli, tutto era carbonizzato, probabilmente devastato da un incendio.
Dal terreno si levavano ancora tenui fili di fumo, e anche gli animali dovevano
essere scappati tutti. Istantaneamente, si rese conto che la situazione era ben
diversa dal previsto.
Senza
vegetazione né fauna era impossibile trovare da mangiare in quel luogo
sperduto, e l’isola rischiava di diventare un vero inferno, del tutto inospitale
ed inadatta alla vita. Tuttavia, per sua fortuna, il sangue
dei Sayan che gli scorreva in corpo avrebbe dato a Gohan il coraggio di andare
avanti in qualunque difficoltà; così non si perse d’animo e decise di
affrontare a testa alta le peggiori avversità. Ne sarebbe
uscito, di questo era sicuro. Quel giorno, rovistando tra le ceneri
lasciate dall’incendio, Gohan trovò un paio di lucertole già arrostite dal
fuoco e persino un po’ di granaglie per Kirù. Dopo un
frugale pasto, accompagnato dall’acqua della fonte vicina (almeno quella non
mancava!), il bambino si addormentò, come tutte le sere, al suono del canto del
suo piccolo amico.
Dopo pochi
giorni, Gohan aveva completamente rinunciato all’idea di costruire una zattera
con cui andarsene e restava fermo il più possibile per
risparmiare le forze. La fame era cresciuta, era diventata un
mostro che lo aggrediva con assalti continui, ferendolo ed indebolendolo a
sorpresa nei modi più inaspettati. Una dopo l’altra, le membra di Gohan lo
tradivano e lo abbandonavano; gli occhi si appannavano, le mani cadevano preda
di tremori improvvisi, persino respirare, a tratti, diventava inaspettatamente
difficile. La cosa peggiore, però, era sentire i pensieri fuggire via e farsi
offuscati e confusi, come se lo stomaco, vuoto di cibo, avesse
deciso di digerire quelli per avere qualcosa da fare. Come si può
perdere a tal punto sé stessi, il proprio spirito, che
dovrebbe essere la parte più vera e incorruttibile di un uomo, solo per i
capricci di un corpo rimasto a secco di carburante? Eppure,
era quello che stava succedendo a Gohan: la fame lo aveva reso più istintivo,
selvatico, non riusciva più a concentrarsi su nulla, e nei pochi momenti di
lucidità non faceva che vergognarsi di ciò che era diventato. Incapace persino
di ricordare il volto di sua madre, poco a poco scivolava nell’inerzia più
totale, un torpore figlio della sua ormai perenne debolezza. Più si indeboliva, più tempo trascorreva sdraiato, lo sguardo
perso nel vuoto, nell’umida grotta che s’era scelto come rifugio; più tempo
trascorreva sdraiato, meno speranze aveva di trovare cibo sull’isola, ammesso
che ce ne fosse; e meno cibo trovava, più si indeboliva.
EKirù? Kirù, chiuso ancora nella
sua gabbietta, deperiva anch’esso a vista d’occhio, nonostante si accontentasse
di razioni ben più misere di quelle di cui avrebbe avuto bisogno il suo
padrone. Nei primi tempi Gohan era riuscito a procurargli qualche semino per
tentare di tenerlo in forma, ma poi aveva finito per lasciarlo a sé stesso. Ora l’uccellino restava tutto il giorno nella
grotta, e il suo canto si era fatto flebile e roco.
Un giorno,
come sempre in preda all’indolenza e all’apatia, un po’ più affamato e un po’
meno lucido del solito, Gohan aprì la rozza porticina della gabbia e raccolse
il piccolo Kirù nelle mani messe a coppa. Lo tenne a
lungo davanti agli occhi, fissandolo con uno sguardo vuoto, e prese a sfiorarlo
leggermente; in un lampo di coscienza capì con orrore cosa stava per fare, già
le lacrime gli salivano agli occhi, eppure non poteva impedirlo, non poteva fermare quelle mani, quelle mani che ora si muovevano
da sole, il tocco carezzevole divenne una stretta, sempre più dura, sempre più
atroce, inutilmente Kirù si divincolava, quelle dita
premevano ancora e ancora, finchè le ossa non scricchiolarono,
quell’esserino smise di muoversi, restò solo un pezzo
di carne che Gohan si cacciò in bocca vorace, con tutte le piume ed il becco,
come fanno i gatti, e lo masticava e piangeva, piangeva a dirotto, ora.
Piangeva
perché capiva di essere diventato un mostro come Piccolo e Radisc,
crudele, inutilmente crudele. Man mano che inghiottiva
le carni di quello che era stato un suo amico si rendeva conto che non era
servito, che non era cambiato niente, la fame era la
stessa di prima, Kirù non gli aveva lasciato nulla,
nulla se non un orribile sapore amaro che si sarebbe portato in bocca per
sempre.
Capitolo 3 *** Odiare sè stessi più di ogni altra cosa ***
Capitolo 3 – Odiare sé stessi più di ogni altra cosa
Capitolo 3 – Odiare sé stessi più di ogni altra cosa
La notte fu
nera e senza sogni. Quando finalmente, baciato dai
primi raggi del sole, Gohan si svegliò, fu immediatamente colpito da un odore
che nelle sue condizioni gli parve quello della gioia stessa. Profumo di frutta, di pesce fresco, il caldo odore del latte appena
munto, l’aroma robusto della carne arrostita. Aprì gli occhi e si vide
davanti una quantità incredibile di tutte queste delizie, e altre ancora,
ammucchiate l’una sull’altra. Ce n’era abbastanza di che ripagarlo non solo di
una settimana, ma addirittura di un mese di digiuno. Naturalmente il bambino divorò tutto nel giro di pochi minuti, per poi gettarsi sazio
a terra a pancia all’aria. Se c’è una battaglia che un
Sayan non può mai perdere, è quella contro una tavola imbandita!
Con il
cibo, però, Gohan aveva anche riguadagnato la propria lucidità mentale, e
presto la vista di una misera gabbietta vuota lo riportò
al ricordo dell’atrocità che aveva compiuto la sera prima. Fu preso dallo sconforto
e dall’orrore di sé stesso, e le lacrime rigarono le
sue guance una volta ancora. A riscuoterlo dalla malinconia fu una voce aspra e
severa:
-Direi che ti sei rifocillato abbastanza da tornare in forze, moccioso. E’ il
momento di allenarsi. Abbiamo ancora cinque mesi di tempo.
Piccolo si
ergeva su Gohan, sprezzante. Le sue parole avevano colpito molto profondamente
il figlio di Goku, facendogli comprendere tutto in un istante.
Era stato
lui!
Era stato
quel maledetto demonio verde a distruggere la foresta, a causare la carestia,
tutto perché avvenisse ciò che era avvenuto la sera
prima!
Per
dimostrare che AVEVA RAGIONE!
“…la gente
fa cose terribili quando è messa alle strette…”
L’urlo di
Gohan esplose con tutta la sua rabbiafacendo tremare l’intera isola:
-SI,
AVEVI RAGIONE, BRUTTO MOSTRO! ORA VEDRAI QUALI COSE TERRIBILI POSSO FARE!
E si
lanciò contro Piccolo, che ebbe appena il tempo di mettersi in guardia.
Un pugno lo
colpì in pieno volto, sbattendolo a tre metri di distanza.
Gohan si
gettò di nuovo in avanti, gli occhi iniettati di sangue, la bocca aperta in un
grido bestiale; uno, due, tre colpi, prese a
massacrare sistematicamente il suo avversario. Piccolo non riusciva a reagire,
completamente incapace di cogliere addirittura i movimenti del bambino, che
saltava fuori dal nulla e di nuovo scompariva. La sua
forza poteva aumentare così tanto, quando si
infuriava?
E Gohan
continuava a colpire, ora con i calci; afferrò una gamba di Piccolo, che era stato gettato a mezz’aria, e con uno strappo netto gliela
staccò dal resto del corpo. Il suo maestro urlò di dolore, ma fu un urlo
inascoltato. Non c’era limite all’ira del piccolo Sayan, che continuava ad
infierire sul suo nemico, eppure non era soddisfatto. Più di Piccolo, Gohan
odiava sé stesso, ora, per la debolezza che l’aveva
fatto cedere in quel gioco perverso. Se lì davanti, a terra,
invece di un corpo verde ormai irriconoscibile ed intriso di sangue violaceo,
avesse avuto il proprio gemello, una copia identica, avrebbe raddoppiato i
colpi, triplicato la crudeltà. Era alla fine, ormai. Gohan capì che il
prossimo attacco sarebbe stato quello fatale e si fermò a prendere fiato, a
gustarsi quel momento inebriante in cui un guerriero troneggia sull’avversario
sconfitto, pronto ad infliggere il colpo di grazia, quell’uomo
inginocchiato a terra è solo nelle sue mani, vita o
morte, e il guerriero sa di essere come Dio per lui.
Piccolo era
ridotto davvero male ma, pescando dal profondo del
proprio corpo, riuscì a trovare chissà dove la forza per mormorare poche
parole.
-Uccidimi
ora, Gohan – disse – e io morirò tranquillo. So che se
mostrerai questa forza anche contro i Sayan, la vittoria sarà nostra. Conserva
nel cuore la tua giusta ira, e sii pronto a liberarla quando sarà necessario.
A Gohan in
quel momento non importava nulla dei Sayan. Non gli importava
nulla di suo padre, che, morto Piccolo, senza le Sfere del Drago non sarebbe
più tornato in vita. Non gli importava nulla, soprattutto, di qualunque cosa avesse da dire quel bastardo verdastro.
Levò in alto
la mano e si preparò a colpire.
Terzo capitolo della drammatica avventura di Gohan
alla scoperta della dura legge dell’istinto di
sopravvivenza… scusatemi se aggiorno un po’ in ritardo, probabilmente il
prossimo capitolo arriverà verso martedì-mercoledì, perché al momento sono
piuttosto impegnato con un progetto per l’università, così devo lavorarci
parecchio su. Per non parlare del formattone che
dovrò infliggere al mio PC il prima possibile per eliminare un paio di ospitino indesiderati… Mi hanno fatto piacere i vostri
commenti positivi, grazie a jija, Randa, Yokari 90, Hotaru_Tomoe e Caro!
Ero sicuro che il capitolo 2 avrebbe colpito nel segno, e scommetto
che questo non sarà da meno. Ah, avevo annunciato all’inizio che i capitoli
sarebbero stati solo quattro. Sto considerando la possibilità di dividere
l’ultimo capitolo, piuttosto lungo, in due capitoli
separati, quindi è probabile che il prossimo aggiornamento non sarà l’ultimo.
Ciao a tutti!
La morte
tardava ad arrivare per Piccolo, che ormai la attendeva come inesorabile.
Perché non voglio colpirlo?
Gohan era
insanguinato e furioso, tremante di rabbia, un angelo della vendetta pronto a
compiere la propria missione.
Ma la sua
mano restava in alto.
Perché ho PIETA’ di lui?
Non ce n’
era ragione. Eppure, il bambino non voleva ucciderlo,
non poteva, non ci riusciva proprio. La compassione non ha bisogno di un buon
motivo. Gohan si era semplicemente reso conto che quello contro cui aveva sfogato tutto il suo odio non era altro che un
essere vivente, come l’uccellino per cui aveva pianto tanto. Ridotto a
strisciare a terra, mutilato e sanguinante, Piccolo non sembrava più un nemico
odioso, e ucciderlo ora sarebbe stato solo un modo di
ripetere la crudeltà della sera prima. A questa scintilla di umanità
Gohan capì di doversi aggrappare con tutte le proprie forze, perché sarebbe
stata l’unica cosa capace di trattenerlo dal diventare davvero un mostro. La
bestia che si era risvegliata in lui si assopì
nuovamente. Gohan prese in braccio il maestro morente e lo adagiò su un prato
morbido. Poi andò a raccogliere un po’ d’acqua in una ciotola e lentamente, con
pazienza, prese a lavargli le ferite, a fasciarle, a rinfrescargli la fronte
bollente. Continuò così per ore, continuò così fino alla
sera, mentre la fibra forte di Piccolo lottava ferocemente per trattenere la
vita e riparare i danni subiti in combattimento, e infine Gohan si addormentò,
stanco ma finalmente in pace con sé stesso, posando la testa sul petto verde
del guerriero.
Di quella giornata di cure Piccolo non ebbe che una vaga percezione, sospeso com’era
tra la vita e la morte.
Sebbene
non avesse un’immagine nitida di ciò che accadeva intorno a lui, la sua mente
era perfettamente lucida, e ciò che era avvenuto l’aveva segnata in modo
persino più profondo di quanto non fosse avvenuto al suo corpo.
Per anni Piccolo, vendicatore demoniaco, non aveva prestato alcuna attenzione a ciò che
gli esseri umani chiamavano bontà. Era convinto che solo l’interesse personale
potesse muovere le azioni degli uomini, così come avveniva a lui. Tutti i
cosiddetti eroi altro non erano che ipocriti che
cercavano la stessa cosa che cercava lui, cioè potere e rispetto. Cosa facevano, in sostanza? Si accattivavano le simpatie
della gente, si procuravano alleati chiamandoli “amici”, e giunti al dunque
volevano solo vincere ed essere ammirati per la loro forza. In cosa si
differivano da Piccolo, se non nel modo in cui perseguivano i medesimi
obiettivi?
Gohan,
però, era diverso. Non voleva combattere. Non andava orgoglioso della propria
forza. Non cercava alleati potenti come amici, anzi, nonostante la sua stessa
debolezza, si adoperava per proteggere esseri ancora più deboli di lui. Stando
insieme a quel bambino, Piccolo aveva capito cosa fosse l’innocenza, e come
qualcuno potesse desiderare il bene altrui persino più
del proprio. Era una dote rara, e Piccolo si ritrovò a provare tenerezza per
quel pesciolino che nuotava in un mondo di squali, dove si mangia o si viene mangiati: una simile bontà d’animo era contraria alla
legge stessa della sopravvivenza, un tragico dono che portava con sé
l’ineluttabile destino del martire, che cadrà invano nel tentativo di difendere
qualcuno che forse nemmeno lo merita.
Piccolo
avrebbe voluto preservare quell’innocenza, eppure si dava da fare per distruggerla, sottoponendola a prove
feroci. Maledetti i Sayan e le battaglie che lo
costringevano a trasformare un bambino tanto puro in una bestia assetata di
sangue! Non poteva andare così. Se anche i nemici
fossero stati sconfitti, la
Terra salvata, a che sarebbe servito? Ciò che più di tutto si
doveva difendere degli umani non era la loro vita
materiale, era proprio quella capacità di avere compassione, quella innata
bontà d’animo che diresti appartenga solo ai bambini e agli sciocchi e che
Gohan rappresentava perfettamente. Quello stesso Gohan che
ora dormiva esausto sul suo petto, dopo averlo curato per tutta la giornata.
Piccolo riprese pienamente coscienza a notte fonda, e dopo aver spostato
dolcemente la testa del bambino si alzò in piedi per sgranchire la gamba che
intanto gli era ricresciuta. Sapeva con assoluta certezza cosa avrebbe dovuto
fare ed elaborò brevemente un piano. Aveva però
bisogno di due cose per realizzarlo, così si alzò in volo per andare a
cercarle.
La mia decisione, alla fine, l’ho
presa. A qualcuno piacerà, a qualcuno no, ma come potete vedere ci vorrà ancora
un capitolo prima della conclusione. Ringrazio tutti
quanti, un saluto a sonsimo e Mia, mi fa piacere
ritrovarvi, e sono lieto che la storia vi piaccia. X
Mia: ci terrei molto a ricevere il tuo commento anche su un’altra storia che ho pubblicato in questo periodo, la one-shot
originale “Un raggio di Sole”.Te lo
dico perché ti so appassionata di tematiche
mitologiche, e in quella storia io mi ispiro proprio ad alcuni ‘topoi’ dei miti antichi. E’ una storia che amo
particolarmente e che, a causa della sezione in cui si trova, è stata un po’
trascurata… Spero che nessuno se la prenda per questa
digressione, torno subito al nostro argomento. Il prossimo aggiornamento sarà
fra qualche giorno, per fortuna ho risolto ogni problema col PC, quindi ora filerà tutto liscio. Una curiosità: avete notato che, a
poche righe dall’inizio, ho lasciato uno spazio di troppo tra “Non ce n’ “ e “era
bisogno”? Bene, non è un caso: se lo scrivo senza spazio, Word
va in crash! E’ una cosa abbastanza paradossale a sentirsi… Provate anche voi:
chissà se è solo la mia copia o se è un bug generale!
Dio si era ritirato nelle proprie stanze
e, nella quiete metafisica del Santuario, Popo
scivolava con passo impercettibile nei lunghi corridoi, ispezionando
ancora una volta quel luogo sacro in lungo e in largo. In
realtà, visto che il palazzo era del tutto inaccessibile ai comuni mortali,
simili controlli avevano ben poca utilità. Nessuno era mai entrato lì
dentro senza che Dio avesse esplicitamente acconsentito al suo arrivo. L’ultimo
a farlo era stato Son Goku, e prima di lui erano passati secoli da quando qualcuno aveva avuto successo nell’impresa;
eppure, Popo non riusciva a darsi pace. C’era
nell’aria come il vago sentore della presenza di un’entità ostile. Nonostante
questi sospetti, l’assistente di Dio fu comunque
sorpreso quando udì un fragore di vetro infranto provenire da una stanza in
disparte dove erano custoditi i flaconi più preziosi e magici del Santuario. Si
precipitò laggiù alla massima velocità di cui era capace, eppure la trovò
vuota. Che lui sapesse, sulla Terra vi era una sola
persona, oltre a Dio, capace di superarlo in velocità. Sul pavimento della
stanza erano sparsi i cocci di alcune delle bottiglie che erano ammucchiate
intorno in ordine sparso. Popo cercò di raccattare un
po’ quella roba, salvare il salvabile, e si accorse che una boccetta era
scomparsa. Era l’ “Acqua miracolosa della rinascita e
della vita”, che restituiva vitalità e vigore ai vegetali più rinsecchiti e
accelerava la crescita dei germogli fino a farli diventare veri e propri alberi
nel giro di poche ore al più. Non aveva alcun effetto sugli esseri umani o
sugli animali. Quindi, se il ladro era colui chePopo immaginava, che cosa se ne poteva fare di quella
pozione?
Per la terza volta nel giro di pochi giorni Gohan, svegliandosi,
dovette prendere atto di un incredibile cambiamento nel mondo che lo
circondava. Niente più sterpi secchi e bruciati, l’isola era tornata uguale a
com’era prima. Come era successo? Solo un miracolo
avrebbe potuto restituire l’aspetto originario a quella terra ormai del tutto
inaridita. Eppure, la foresta era di nuovo rigogliosa,
il cibo abbondante. E un familiare cinguettio
rallegrava l’atmosfera…
-KIRU’!
Nella gabbietta c’era un uccellino perfettamente identicoa quello che vi aveva abitato fino a due giorni
prima: il suo canto squillante non poteva essere che l’espressione della pura
gioia di essere vivo, VIVO! KIRU’
ERA VIVO!!
-Avanti, moccioso, basta
girarsi i pollici, abbiamo del lavoro da fare!
Persino sentire la voce imperiosa di Piccolo parve un
sollievo a Gohan. Il guerriero stava bene, aveva tutte
e due le gambe. Non era davvero successo niente? Il bambino si guardò intorno
spaurito. Non poteva per caso essere un nuovo inganno, un altro crudele test?
Piccolo si accorse di questa esitazione
e si affrettò ad intervenire:
-Cosa succede? Troppo
addormentato per allenarsi? IN PIEDI!
-E’ che… - balbettò Gohan, cercando una
spiegazione razionale a tutto ciò che era accaduto – Ho fatto uno strano sogno…
c’eri tu, e poi…
-Un sogno, eh? – fece Piccolo, e già il suo
allievo si aspettava una tirata
sul
dovere vivere di realtà, non di fantasie inutili, o roba simile. Invece il guerriero pronunciò un discorso ben diverso.
-Dicono che talvolta Dio
parli agli uomini attraverso i sogni, Gohan. Può darsi che ciò che hai visto
nel sonno abbia un significato; devi cercarlo tu, e
farne tesoro. Più di questo non posso dirti. Ricorda solo che se vuoi
comprendere profondamente qualcosa, o qualcuno, devi
sforzarti di andare oltre le apparenze, e guardare alla sostanza.
Piccolo disse tutto questo rivolgendo le spalle al bambino,
nascondendosi dietro allo svolazzare del suo candido mantello. Nei rari momenti in cui abbandonava l’atteggiamento da duro,
sarcastico e perfido, con cui solitamente si rivolgeva agli altri, non riusciva
a parlare a viso aperto: aveva vergogna dei sentimenti che si sarebbero potuti
leggere nei suoi occhi. Alle sue parole seguì qualche
secondo di silenzio, poi Gohan esclamò:
-Sai? Nel sogno ti battevo in combattimento!
Al che l’altro si voltò con un ghigno stampato sulla faccia:
-Si vede che era proprio un sogno. Altrimenti non
ce l’avresti fatta neanche dopo cent’anni
di allenamento.
-Lo vedremo!
Gohan aveva riguadagnato la fiducia in sé
stesso ed era in preda ad un’irrefrenabile euforia da quando aveva scoperto che
l’incubo dei giorni precedenti non era, per l’appunto, nient’altro che questo.
Un incubo.
Si lanciò di corsa verso il maestro, pronto per iniziare
l’allenamento, ma poi si fermò bruscamente e tornò sui suoi passi, mormorando
che doveva fare una cosa importante. Prese in mano la
gabbietta di Kirù e ci armeggiò un poco. Dopo un
istante dai legni sfondati uscì l’uccellino, che Gohan lasciò libero di volare
via.
-Buona fortuna, Kirù! –
gli gridò dietro – Torna a trovarmi!
Accidenti,
con tutta la fatica che ci ho messo per catturarne uno tanto somigliante al
vecchio, quasi mi dispiace. Ma ha fatto bene così.
Piccolo osservava dall’alto in basso il suo allievo,
intimamente fiero di lui. Gohan lo raggiunse e si divertì a colpirlo di
sorpresa.
Gettato a terra,Piccolo alzò gli
occhi stupito da tanta audacia, solo per vedere il bambino aggrottare le
sopracciglia in una buffa smorfia e fargli il verso con un vocione
contraffatto:
-“Noi siamo qui per allenarci, non per accudire
animaletti indifesi!” – e scoppiò a ridere.
Anche Piccolo non riuscì a
trattenere un sorriso:
-Che disgraziato…
E lo colpì a sua volta
all’improvviso.
-Così non vale! – protestò Gohan, che era
ruzzolato a testa in giù – Ora ti faccio vedere io!
Pugno contro calcio, presto i due si trovarono
avvinghiati in una lotta senza respiro. L’allenamento della giornata era
cominciato. Sopra di loro, nel cielo, Kirù volava
sempre più in alto, intonando nuove note di felicità.
E siamo alla fine! Spero che questo
capitolo vi sia piaciuto, e ringrazio tutti quelli che
hanno letto la storia, quelli che l’hanno commentata e che mi hanno sostenuto.
Ancora non sono sicuro di cosa scriverò come prossima fanfic,
al momento attraverso una brutta crisi d’ispirazione. Può darsi anche che
aggiorni questo capitolo per rispondere ai vostri ultimi commenti, ancora non
so, dipende da quello che scriverete. Arrivederci a tutti!