Istinto di sopravvivenza

di Gan_HOPE326
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A un battito d'ali da casa ***
Capitolo 2: *** Un orribile sapore amaro ***
Capitolo 3: *** Odiare sè stessi più di ogni altra cosa ***
Capitolo 4: *** Quel che bisogna proteggere ***
Capitolo 5: *** Talvolta Dio parla agli uomini ***



Capitolo 1
*** A un battito d'ali da casa ***


Istinto di sopravvivenza

Istinto di sopravvivenza

di Gan_HOPE326

 

Altre fiction dello stesso autore: “Un Raggio di Sole”, “Un giorno da scagnozzi”, “Dragonball – A legend dies”.

Questa fanfic si ambienta nel periodo in cui Gohan si allena sull’isola deserta con Piccolo, circa sei mesi prima che Vegeta arrivi sulla Terra. E’ un storia che riprende con maggiore approfondimento alcuni temi già accennati nell’anime, e soprattutto che racconta un momento fondamentale nella nascita del legame profondo che, negli anni, legherà sempre il figlio di Goku e quello del Grande Mago Piccolo. Ho cercato di renderla molto emozionante, quasi ‘shockante’, ma non per questo OOC, anzi, spero proprio di avere descritto bene soprattutto Gohan. Una piccola nota: la storia era stata concepita come one-shot, poi è cresciuta un poco ed ha finito per diventare una piccola fanfic a capitoli, che comunque saranno solo quattro. Un grazie particolare a lilly81 (spero che tu possa leggerlo di persona), perché la sua storia “Gravity Room” mi ha dato quell’umore giusto, un po’ malinconico, grazie al quale è nata questa “Istinto di sopravvivenza”. A tutti: buona lettura e commentate numerosi!

 

Capitolo 1 – A un battito d’ali da casa

 

Anche nei momenti più neri basta davvero poco per ritrovare la serenità.

Dopo un’intera giornata di allenamento massacrante, una lotta senza mai fine né vincitore con il suo nuovo maestro, Gohan, al tramonto del sole, si sentiva solo e consumato, gli sembrava di essere un vecchio arnese che implorava di essere gettato via. Quando si sentiva così, Gohan non poteva evitare di pensare alla casa che lo aspettava, lontano, oltre il mare, e alla mamma che gli raccontava le favole prima di dormire, che gli rimboccava le coperte del letto, ma questi ricordi gli erano resi ancora più dolorosi dalla vista della sabbia e delle rocce che adesso erano il suo nuovo letto, la sua nuova casa.

Gohan aveva imparato a dimenticare il più possibile tutto ciò ed a vivere immerso in quel duro presente in cui doveva combattere per mangiare e per non essere mangiato; tuttavia, ancora, nelle sere più malinconiche, quando il vento soffiava il proprio disprezzo per tutti gli esseri viventi spazzando quelle terre aride, un ricordo di vaga tenerezza e una morbidezza rosa ed indefinibile che portava con sé l’odore di casa bussavano al suo cuore.

Nessun bambino di quattro anni può rinunciare all’affetto, che desidera ricevere e donare in ugual misura, e il piccolo Sayan non faceva eccezione. Nella solitudine di quell’isola sperduta come un miracolo di colore e di suono, un giorno gli era venuto incontro un uccellino dal piumaggio variopinto che cinguettava con insolita dolcezza: sorridendo, il piccolo Gohan l’aveva accolto tra le proprie mani, l’aveva accudito e preso con sé. Così, quando si sentiva solo e sfinito dopo l’ennesima lotta con Piccolo, che ormai  da quasi un mese lo allenava personalmente, si sdraiava sulla sabbia, chiudeva gli occhi e si abbandonava al melodioso canto di Kirù, che dalla gabbietta di legno che il bambino gli aveva costruito intrecciava note sempre diverse. Grazie all’incantesimo dei suoi gorgheggi, lo scirocco sabbioso diventava una dolce brezza di primavera; la nuda e fredda terra, un soffice cuscino; il tocco dell’erba che carezzava la sua guancia, le labbra profumate della mamma che veniva a dargli il bacio della buonanotte.

Viveva tutto il giorno nel deserto, Gohan, ma la sera, finalmente, tornava a casa.

 

E poi cambiò tutto.

 

-         Cos’è quella roba? – sibilò Piccolo, intravedendo la gabbia.

 Gohan gli rispose fiducioso che lì ci teneva il suo uccellino Kirù. Non vedeva assolutamente niente di male in questo: perché il suo maestro avrebbe dovuto prendersela?

-         Noi siamo qui per allenarci, non per accudire animaletti indifesi! - era stata la risposta adirata.

Gohan non sapeva che dire. Riuscì solo a balbettare:

-         Ma Kirù è mio amico… io gli voglio bene!

-         Se davvero gli volessi bene – disse allora Piccolo – lo lasceresti libero di fare la sua vita, e tu penseresti alla tua. Nessuno migliora in una gabbia, lo vedi da solo. Tu stesso hai imparato di più in sei mesi da solo qui che in anni trascorsi a casa con la mammina ad oziare. Questa è la legge della vita, Gohan. Bisogna combattere per sopravvivere, il tuo amato Kirù contro i predatori, tu contro i Sayan. Chi vince vive, perché merita di farlo. Chi perde non è importante.

A Gohan questa ramanzina era piaciuta poco, e decise di ribattere, radunando tutto il proprio coraggio:

-         Tu dici sempre che devi conquistare il mondo ed uccidere mio padre. Cosa ne sai della legge della vita? Sai solo fare del male!

Ma Piccolo non si fece certo zittire, anzi. Più minaccioso e infuriato che mai, afferrò Gohan per il colletto, lo sollevò all’altezza dei propri occhi e gli parlò scandendo bene ogni sillaba:

-         Tu non hai idea di quanto io conosca questa legge, Gohan. Possiedo in me tutti i ricordi di mio padre, e ti posso assicurare che la gente fa cose terribili quando è messa alle strette. Infliggigli abbastanza dolore, e chiunque può diventare uno spietato assassino interessato solo alla propria vita. Persino tuo padre, Gohan. Tu lo credi solo un uomo buono e gentile, vero? – Piccolo sogghignò – Bene, io ricordo ogni momento del giorno in cui il Grande Mago Piccolo fu ucciso da lui, e ti giuro che anche se Goku, allora, era solo un ragazzino, negli occhi aveva un odio ed una furia demoniaci. Avrebbe voluto graziare persino suo fratello Radisc, ma con mio padre non esitò un attimo, fu solo spietato, deciso ad ucciderlo al costo della propria vita, e nient’altro. LO VOLEVA MORTO, GOHAN. Rifletti bene su questo: anche tu potresti diventare così, con il giusto stimolo. Persino il tuo Kirù potrebbe. Perciò abbandona questi sogni, ed entra nella realtà. Siamo ognuno per conto nostro. Preoccupati di te stesso, e dimentica tutti gli altri.

Detto questo, lasciò cadere  terra Gohan, che sbalordito e spaventato lo fissava con occhi sgranati. Dopo avergli rivolto un’ultima occhiata, Piccolo si voltò e si alzò in volo. Il bambino, invece, che risentiva della stanchezza di una giornata di allenamenti, fu sopraffatto dal sonno, e dormì profondamente per molte ore.

 

 

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Capitolo 2
*** Un orribile sapore amaro ***


Capitolo 2 – Un orribile sapore amaro

Capitolo 2 – Un orribile sapore amaro

 

Il mattino seguente, Gohan fu sorpreso da una novità inaspettata. Piccolo se n’era andato, l’aveva lasciato completamente solo. Possibile che si fosse risentito così tanto per la faccenda della sera prima? Oppure aveva deciso che il bambino era troppo debole, ed aveva rinunciato ad allenarlo? Bene, importava poco. Gohan era contento di essere di nuovo solo, o meglio, di stare soltanto con il suo uccellino. Sopportava a stento quel maestro troppo severo, addirittura crudele, che non faceva che malmenarlo tutto il giorno. Ora doveva di nuovo badare a stesso, come aveva già fatto per sei mesi, ma era perfettamente in grado di riuscirci. Gli sarebbe bastato lavorare un po’ ogni giorno per costruirsi una barca, una zattera, lasciare l’isola deserta e tornare a casa, senza quell’aguzzino tra i piedi. Fischiettando un motivetto, finalmente di ottimo umore, Gohan si avviò verso la foresta con la gabbia di Kirù sotto braccio, alla ricerca di qualcosa da mangiare. Le cose cominciavano a girare per il verso giusto, e l’incubo degli allenamenti massacranti gli sembrava ormai lontano.

 

L’allegria del bambino, però, svanì presto. Dopo aver oltrepassato le formazioni rocciose che lo separavano dalla zona più lussureggiante dell’isola, infatti, Gohan scoprì che il paesaggio era completamente diverso da come lo ricordava. Alberi, erba, cespugli, tutto era carbonizzato, probabilmente devastato da un incendio. Dal terreno si levavano ancora tenui fili di fumo, e anche gli animali dovevano essere scappati tutti. Istantaneamente, si rese conto che la situazione era ben diversa dal previsto.

Senza vegetazione né fauna era impossibile trovare da mangiare in quel luogo sperduto, e l’isola rischiava di diventare un vero inferno, del tutto inospitale ed inadatta alla vita. Tuttavia, per sua fortuna, il sangue dei Sayan che gli scorreva in corpo avrebbe dato a Gohan il coraggio di andare avanti in qualunque difficoltà; così non si perse d’animo e decise di affrontare a testa alta le peggiori avversità. Ne sarebbe uscito, di questo era sicuro. Quel giorno, rovistando tra le ceneri lasciate dall’incendio, Gohan trovò un paio di lucertole già arrostite dal fuoco e persino un po’ di granaglie per Kirù. Dopo un frugale pasto, accompagnato dall’acqua della fonte vicina (almeno quella non mancava!), il bambino si addormentò, come tutte le sere, al suono del canto del suo piccolo amico.

 

Dopo pochi giorni, Gohan aveva completamente rinunciato all’idea di costruire una zattera con cui andarsene e restava fermo il più possibile per risparmiare le forze. La fame era cresciuta, era diventata un mostro che lo aggrediva con assalti continui, ferendolo ed indebolendolo a sorpresa nei modi più inaspettati. Una dopo l’altra, le membra di Gohan lo tradivano e lo abbandonavano; gli occhi si appannavano, le mani cadevano preda di tremori improvvisi, persino respirare, a tratti, diventava inaspettatamente difficile. La cosa peggiore, però, era sentire i pensieri fuggire via e farsi offuscati e confusi, come se lo stomaco, vuoto di cibo, avesse deciso di digerire quelli per avere qualcosa da fare. Come si può perdere a tal punto stessi, il proprio spirito, che dovrebbe essere la parte più vera e incorruttibile di un uomo, solo per i capricci di un corpo rimasto a secco di carburante? Eppure, era quello che stava succedendo a Gohan: la fame lo aveva reso più istintivo, selvatico, non riusciva più a concentrarsi su nulla, e nei pochi momenti di lucidità non faceva che vergognarsi di ciò che era diventato. Incapace persino di ricordare il volto di sua madre, poco a poco scivolava nell’inerzia più totale, un torpore figlio della sua ormai perenne debolezza. Più si indeboliva, più tempo trascorreva sdraiato, lo sguardo perso nel vuoto, nell’umida grotta che s’era scelto come rifugio; più tempo trascorreva sdraiato, meno speranze aveva di trovare cibo sull’isola, ammesso che ce ne fosse; e meno cibo trovava, più si indeboliva.

E Kirù? Kirù, chiuso ancora nella sua gabbietta, deperiva anch’esso a vista d’occhio, nonostante si accontentasse di razioni ben più misere di quelle di cui avrebbe avuto bisogno il suo padrone. Nei primi tempi Gohan era riuscito a procurargli qualche semino per tentare di tenerlo in forma, ma poi aveva finito per lasciarlo a stesso. Ora l’uccellino restava tutto il giorno nella grotta, e il suo canto si era fatto flebile e roco.

 

Un giorno, come sempre in preda all’indolenza e all’apatia, un po’ più affamato e un po’ meno lucido del solito, Gohan aprì la rozza porticina della gabbia e raccolse il piccolo Kirù nelle mani messe a coppa. Lo tenne a lungo davanti agli occhi, fissandolo con uno sguardo vuoto, e prese a sfiorarlo leggermente; in un lampo di coscienza capì con orrore cosa stava per fare, già le lacrime gli salivano agli occhi, eppure non poteva impedirlo, non poteva fermare quelle mani, quelle mani che ora si muovevano da sole, il tocco carezzevole divenne una stretta, sempre più dura, sempre più atroce, inutilmente Kirù si divincolava, quelle dita premevano ancora e ancora, finchè le ossa non scricchiolarono, quell’esserino smise di muoversi, restò solo un pezzo di carne che Gohan si cacciò in bocca vorace, con tutte le piume ed il becco, come fanno i gatti, e lo masticava e piangeva, piangeva a dirotto, ora.

Piangeva perché capiva di essere diventato un mostro come Piccolo e Radisc, crudele, inutilmente crudele. Man mano che inghiottiva le carni di quello che era stato un suo amico si rendeva conto che non era servito, che non era cambiato niente, la fame era la stessa di prima, Kirù non gli aveva lasciato nulla, nulla se non un orribile sapore amaro che si sarebbe portato in bocca per sempre.

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Odiare sè stessi più di ogni altra cosa ***


Capitolo 3 – Odiare sé stessi più di ogni altra cosa

Capitolo 3 – Odiare stessi più di ogni altra cosa

 

La notte fu nera e senza sogni. Quando finalmente, baciato dai primi raggi del sole, Gohan si svegliò, fu immediatamente colpito da un odore che nelle sue condizioni gli parve quello della gioia stessa. Profumo di frutta, di pesce fresco, il caldo odore del latte appena munto, l’aroma robusto della carne arrostita. Aprì gli occhi e si vide davanti una quantità incredibile di tutte queste delizie, e altre ancora, ammucchiate l’una sull’altra. Ce n’era abbastanza di che ripagarlo non solo di una settimana, ma addirittura di un mese di digiuno. Naturalmente il bambino divorò tutto nel giro di pochi minuti, per poi gettarsi sazio a terra a pancia all’aria. Se c’è una battaglia che un Sayan non può mai perdere, è quella contro una tavola imbandita!

Con il cibo, però, Gohan aveva anche riguadagnato la propria lucidità mentale, e presto la vista di una misera gabbietta vuota lo riportò al ricordo dell’atrocità che aveva compiuto la sera prima. Fu preso dallo sconforto e dall’orrore di stesso, e le lacrime rigarono le sue guance una volta ancora. A riscuoterlo dalla malinconia fu una voce aspra e severa:

-         Direi che ti sei rifocillato abbastanza da tornare in forze, moccioso. E’ il momento di allenarsi. Abbiamo ancora cinque mesi di tempo.

Piccolo si ergeva su Gohan, sprezzante. Le sue parole avevano colpito molto profondamente il figlio di Goku, facendogli comprendere tutto in un istante.

 

Era stato lui!

 

Era stato quel maledetto demonio verde a distruggere la foresta, a causare la carestia, tutto perché avvenisse ciò che era avvenuto la sera prima!

 

Per dimostrare che AVEVA RAGIONE!

 

“…la gente fa cose terribili quando è messa alle strette…”

 

L’urlo di Gohan esplose con tutta la sua rabbia  facendo tremare l’intera isola:

-         SI, AVEVI RAGIONE, BRUTTO MOSTRO! ORA VEDRAI QUALI COSE TERRIBILI POSSO FARE!

E si lanciò contro Piccolo, che ebbe appena il tempo di mettersi in guardia.

Un pugno lo colpì in pieno volto, sbattendolo a tre metri di distanza.

Gohan si gettò di nuovo in avanti, gli occhi iniettati di sangue, la bocca aperta in un grido bestiale; uno, due, tre colpi, prese a massacrare sistematicamente il suo avversario. Piccolo non riusciva a reagire, completamente incapace di cogliere addirittura i movimenti del bambino, che saltava fuori dal nulla e di nuovo scompariva. La sua forza poteva aumentare così tanto, quando si infuriava?

E Gohan continuava a colpire, ora con i calci; afferrò una gamba di Piccolo, che era stato gettato a mezz’aria, e con uno strappo netto gliela staccò dal resto del corpo. Il suo maestro urlò di dolore, ma fu un urlo inascoltato. Non c’era limite all’ira del piccolo Sayan, che continuava ad infierire sul suo nemico, eppure non era soddisfatto. Più di Piccolo, Gohan odiava stesso, ora, per la debolezza che l’aveva fatto cedere in quel gioco perverso. Se lì davanti, a terra, invece di un corpo verde ormai irriconoscibile ed intriso di sangue violaceo, avesse avuto il proprio gemello, una copia identica, avrebbe raddoppiato i colpi, triplicato la crudeltà. Era alla fine, ormai. Gohan capì che il prossimo attacco sarebbe stato quello fatale e si fermò a prendere fiato, a gustarsi quel momento inebriante in cui un guerriero troneggia sull’avversario sconfitto, pronto ad infliggere il colpo di grazia, quell’uomo inginocchiato a terra è solo nelle sue mani, vita o morte, e il guerriero sa di essere come Dio per lui.

Piccolo era ridotto davvero male ma, pescando dal profondo del proprio corpo, riuscì a trovare chissà dove la forza per mormorare poche parole.

-         Uccidimi ora, Gohan – disse – e io morirò tranquillo. So che se mostrerai questa forza anche contro i Sayan, la vittoria sarà nostra. Conserva nel cuore la tua giusta ira, e sii pronto a liberarla quando sarà necessario.

A Gohan in quel momento non importava nulla dei Sayan. Non gli importava nulla di suo padre, che, morto Piccolo, senza le Sfere del Drago non sarebbe più tornato in vita. Non gli importava nulla, soprattutto, di qualunque cosa avesse da dire quel bastardo verdastro.

Levò in alto la mano e si preparò a colpire.

 

Terzo capitolo della drammatica avventura di Gohan alla scoperta della dura legge dell’istinto di sopravvivenza… scusatemi se aggiorno un po’ in ritardo, probabilmente il prossimo capitolo arriverà verso martedì-mercoledì, perché al momento sono piuttosto impegnato con un progetto per l’università, così devo lavorarci parecchio su. Per non parlare del formattone che dovrò infliggere al mio PC il prima possibile per eliminare un paio di ospitino indesiderati… Mi hanno fatto piacere i vostri commenti positivi, grazie a jija, Randa, Yokari 90, Hotaru_Tomoe e Caro! Ero sicuro che il capitolo 2 avrebbe colpito nel segno, e scommetto che questo non sarà da meno. Ah, avevo annunciato all’inizio che i capitoli sarebbero stati solo quattro. Sto considerando la possibilità di dividere l’ultimo capitolo, piuttosto lungo, in due capitoli separati, quindi è probabile che il prossimo aggiornamento non sarà l’ultimo. Ciao a tutti!     

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Capitolo 4
*** Quel che bisogna proteggere ***


Capitolo 4 – Quel che bisogna proteggere

Capitolo 4 – Quel che bisogna proteggere

 

Perché non ci riesco?

 

La morte tardava ad arrivare per Piccolo, che ormai la attendeva come inesorabile.

 

Perché non voglio colpirlo?

 

Gohan era insanguinato e furioso, tremante di rabbia, un angelo della vendetta pronto a compiere la propria missione.

Ma la sua mano restava in alto.

 

Perché ho PIETA’ di lui?

 

Non ce n’ era ragione. Eppure, il bambino non voleva ucciderlo, non poteva, non ci riusciva proprio. La compassione non ha bisogno di un buon motivo. Gohan si era semplicemente reso conto che quello contro cui aveva sfogato tutto il suo odio non era altro che un essere vivente, come l’uccellino per cui aveva pianto tanto. Ridotto a strisciare a terra, mutilato e sanguinante, Piccolo non sembrava più un nemico odioso, e ucciderlo ora sarebbe stato solo un modo di ripetere la crudeltà della sera prima. A questa scintilla di umanità Gohan capì di doversi aggrappare con tutte le proprie forze, perché sarebbe stata l’unica cosa capace di trattenerlo dal diventare davvero un mostro. La bestia che si era risvegliata in lui si assopì nuovamente. Gohan prese in braccio il maestro morente e lo adagiò su un prato morbido. Poi andò a raccogliere un po’ d’acqua in una ciotola e lentamente, con pazienza, prese a lavargli le ferite, a fasciarle, a rinfrescargli la fronte bollente. Continuò così per ore, continuò così fino alla sera, mentre la fibra forte di Piccolo lottava ferocemente per trattenere la vita e riparare i danni subiti in combattimento, e infine Gohan si addormentò, stanco ma finalmente in pace con sé stesso, posando la testa sul petto verde del guerriero.

 

Di quella giornata di cure Piccolo non ebbe che una vaga percezione, sospeso com’era tra la vita e la morte.

Sebbene non avesse un’immagine nitida di ciò che accadeva intorno a lui, la sua mente era perfettamente lucida, e ciò che era avvenuto l’aveva segnata in modo persino più profondo di quanto non fosse avvenuto al suo corpo.

Per anni Piccolo, vendicatore demoniaco, non aveva prestato alcuna attenzione a ciò che gli esseri umani chiamavano bontà. Era convinto che solo l’interesse personale potesse muovere le azioni degli uomini, così come avveniva a lui. Tutti i cosiddetti eroi altro non erano che ipocriti che cercavano la stessa cosa che cercava lui, cioè potere e rispetto. Cosa facevano, in sostanza? Si accattivavano le simpatie della gente, si procuravano alleati chiamandoli “amici”, e giunti al dunque volevano solo vincere ed essere ammirati per la loro forza. In cosa si differivano da Piccolo, se non nel modo in cui perseguivano i medesimi obiettivi?

Gohan, però, era diverso. Non voleva combattere. Non andava orgoglioso della propria forza. Non cercava alleati potenti come amici, anzi, nonostante la sua stessa debolezza, si adoperava per proteggere esseri ancora più deboli di lui. Stando insieme a quel bambino, Piccolo aveva capito cosa fosse l’innocenza, e come qualcuno potesse desiderare il bene altrui persino più del proprio. Era una dote rara, e Piccolo si ritrovò a provare tenerezza per quel pesciolino che nuotava in un mondo di squali, dove si mangia o si viene mangiati: una simile bontà d’animo era contraria alla legge stessa della sopravvivenza, un tragico dono che portava con sé l’ineluttabile destino del martire, che cadrà invano nel tentativo di difendere qualcuno che forse nemmeno lo merita.

Piccolo avrebbe voluto preservare quell’innocenza, eppure si dava da fare per distruggerla, sottoponendola a prove feroci. Maledetti i Sayan e le battaglie che lo costringevano a trasformare un bambino tanto puro in una bestia assetata di sangue! Non poteva andare così. Se anche i nemici fossero stati sconfitti, la Terra salvata, a che sarebbe servito? Ciò che più di tutto si doveva difendere degli umani non era la loro vita materiale, era proprio quella capacità di avere compassione, quella innata bontà d’animo che diresti appartenga solo ai bambini e agli sciocchi e che Gohan rappresentava perfettamente. Quello stesso Gohan che ora dormiva esausto sul suo petto, dopo averlo curato per tutta la giornata. Piccolo riprese pienamente coscienza a notte fonda, e dopo aver spostato dolcemente la testa del bambino si alzò in piedi per sgranchire la gamba che intanto gli era ricresciuta. Sapeva con assoluta certezza cosa avrebbe dovuto fare ed elaborò brevemente un piano. Aveva però bisogno di due cose per realizzarlo, così si alzò in volo per andare a cercarle.

 

La mia decisione, alla fine, l’ho presa. A qualcuno piacerà, a qualcuno no, ma come potete vedere ci vorrà ancora un capitolo prima della conclusione. Ringrazio tutti quanti, un saluto a sonsimo e Mia, mi fa piacere ritrovarvi, e sono lieto che la storia vi piaccia. X Mia: ci terrei molto a ricevere il tuo commento anche su un’altra storia che ho pubblicato in questo periodo, la one-shot originale “Un raggio di Sole”.  Te lo dico perché ti so appassionata di tematiche mitologiche, e in quella storia io mi ispiro proprio ad alcuni ‘topoi’ dei miti antichi. E’ una storia che amo particolarmente e che, a causa della sezione in cui si trova, è stata un po’ trascurata… Spero che nessuno se la prenda per questa digressione, torno subito al nostro argomento. Il prossimo aggiornamento sarà fra qualche giorno, per fortuna ho risolto ogni problema col PC, quindi ora filerà tutto liscio. Una curiosità: avete notato che, a poche righe dall’inizio, ho lasciato uno spazio di troppo tra “Non ce n’ “ e “era bisogno”? Bene, non è un caso: se lo scrivo senza spazio, Word va in crash! E’ una cosa abbastanza paradossale a sentirsi… Provate anche voi: chissà se è solo la mia copia o se è un bug generale!

 

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Capitolo 5
*** Talvolta Dio parla agli uomini ***


Capitolo 5 – Talvolta Dio parla agli uomini

Capitolo 5 – Talvolta Dio parla agli uomini

 

Dio si era ritirato nelle proprie stanze e, nella quiete metafisica del Santuario, Popo scivolava con passo impercettibile nei lunghi corridoi, ispezionando ancora una volta quel luogo sacro in lungo e in largo. In realtà, visto che il palazzo era del tutto inaccessibile ai comuni mortali, simili controlli avevano ben poca utilità. Nessuno era mai entrato lì dentro senza che Dio avesse esplicitamente acconsentito al suo arrivo. L’ultimo a farlo era stato Son Goku, e prima di lui erano passati secoli da quando qualcuno aveva avuto successo nell’impresa; eppure, Popo non riusciva a darsi pace. C’era nell’aria come il vago sentore della presenza di un’entità ostile. Nonostante questi sospetti, l’assistente di Dio fu comunque sorpreso quando udì un fragore di vetro infranto provenire da una stanza in disparte dove erano custoditi i flaconi più preziosi e magici del Santuario. Si precipitò laggiù alla massima velocità di cui era capace, eppure la trovò vuota. Che lui sapesse, sulla Terra vi era una sola persona, oltre a Dio, capace di superarlo in velocità. Sul pavimento della stanza erano sparsi i cocci di alcune delle bottiglie che erano ammucchiate intorno in ordine sparso. Popo cercò di raccattare un po’ quella roba, salvare il salvabile, e si accorse che una boccetta era scomparsa. Era l’ “Acqua miracolosa della rinascita e della vita”, che restituiva vitalità e vigore ai vegetali più rinsecchiti e accelerava la crescita dei germogli fino a farli diventare veri e propri alberi nel giro di poche ore al più. Non aveva alcun effetto sugli esseri umani o sugli animali. Quindi, se il ladro era colui che Popo immaginava, che cosa se ne poteva fare di quella pozione?

 

Per la terza volta nel giro di pochi giorni Gohan, svegliandosi, dovette prendere atto di un incredibile cambiamento nel mondo che lo circondava. Niente più sterpi secchi e bruciati, l’isola era tornata uguale a com’era prima. Come era successo? Solo un miracolo avrebbe potuto restituire l’aspetto originario a quella terra ormai del tutto inaridita. Eppure, la foresta era di nuovo rigogliosa, il cibo abbondante. E un familiare cinguettio rallegrava l’atmosfera…

-         KIRU’!

Nella gabbietta c’era un uccellino perfettamente identicoa quello che vi aveva abitato fino a due giorni prima: il suo canto squillante non poteva essere che l’espressione della pura gioia di essere vivo, VIVO! KIRU’ ERA VIVO!!

-         Avanti, moccioso, basta girarsi i pollici, abbiamo del lavoro da fare!  

Persino sentire la voce imperiosa di Piccolo parve un sollievo a Gohan. Il guerriero stava bene, aveva tutte e due le gambe. Non era davvero successo niente? Il bambino si guardò intorno spaurito. Non poteva per caso essere un nuovo inganno, un altro crudele test?

Piccolo si accorse di questa esitazione e si affrettò ad intervenire:

-         Cosa succede? Troppo addormentato per allenarsi? IN PIEDI!

-         E’ che… - balbettò Gohan, cercando una spiegazione razionale a tutto ciò che era accaduto – Ho fatto uno strano sogno… c’eri tu, e poi…

-         Un sogno, eh? – fece Piccolo, e già il suo allievo si aspettava una tirata

 sul dovere vivere di realtà, non di fantasie inutili, o roba simile. Invece il guerriero pronunciò un discorso ben diverso.

-         Dicono che talvolta Dio parli agli uomini attraverso i sogni, Gohan. Può darsi che ciò che hai visto nel sonno abbia un significato; devi cercarlo tu, e farne tesoro. Più di questo non posso dirti. Ricorda solo che se vuoi comprendere profondamente qualcosa, o qualcuno, devi sforzarti di andare oltre le apparenze, e guardare alla sostanza.

Piccolo disse tutto questo rivolgendo le spalle al bambino, nascondendosi dietro allo svolazzare del suo candido mantello. Nei rari momenti in cui abbandonava l’atteggiamento da duro, sarcastico e perfido, con cui solitamente si rivolgeva agli altri, non riusciva a parlare a viso aperto: aveva vergogna dei sentimenti che si sarebbero potuti leggere nei suoi occhi. Alle sue parole seguì qualche secondo di silenzio, poi Gohan esclamò:

-         Sai? Nel sogno ti battevo in combattimento!

Al che l’altro si voltò con un ghigno stampato sulla faccia:

-         Si vede che era proprio un sogno. Altrimenti non ce l’avresti fatta neanche dopo cent’anni di allenamento.

-         Lo vedremo!

Gohan aveva riguadagnato la fiducia in stesso ed era in preda ad un’irrefrenabile euforia da quando aveva scoperto che l’incubo dei giorni precedenti non era, per l’appunto, nient’altro che questo. Un incubo.

Si lanciò di corsa verso il maestro, pronto per iniziare l’allenamento, ma poi si fermò bruscamente e tornò sui suoi passi, mormorando che doveva fare una cosa importante. Prese in mano la gabbietta di Kirù e ci armeggiò un poco. Dopo un istante dai legni sfondati uscì l’uccellino, che Gohan lasciò libero di volare via.

-         Buona fortuna, Kirù! – gli gridò dietro – Torna a trovarmi!

Accidenti, con tutta la fatica che ci ho messo per catturarne uno tanto somigliante al vecchio, quasi mi dispiace. Ma ha fatto bene così.

Piccolo osservava dall’alto in basso il suo allievo, intimamente fiero di lui. Gohan lo raggiunse e si divertì a colpirlo di sorpresa.

Gettato a terra,Piccolo alzò gli occhi stupito da tanta audacia, solo per vedere il bambino aggrottare le sopracciglia in una buffa smorfia e fargli il verso con un vocione contraffatto:

-         “Noi siamo qui per allenarci, non per accudire animaletti indifesi!” – e scoppiò a ridere.

Anche Piccolo non riuscì a trattenere un sorriso:

-         Che disgraziato…

E lo colpì a sua volta all’improvviso.

-         Così non vale! – protestò Gohan, che era ruzzolato a testa in giù – Ora ti faccio vedere io!

Pugno contro calcio, presto i due si trovarono avvinghiati in una lotta senza respiro. L’allenamento della giornata era cominciato. Sopra di loro, nel cielo, Kirù volava sempre più in alto, intonando nuove note di felicità.

 

 

 

 

E siamo alla fine! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, e ringrazio tutti quelli che hanno letto la storia, quelli che l’hanno commentata e che mi hanno sostenuto. Ancora non sono sicuro di cosa scriverò come prossima fanfic, al momento attraverso una brutta crisi d’ispirazione. Può darsi anche che aggiorni questo capitolo per rispondere ai vostri ultimi commenti, ancora non so, dipende da quello che scriverete. Arrivederci a tutti!

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