The Witness

di theGan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Zero ***
Capitolo 2: *** Uno ***
Capitolo 3: *** Due ***
Capitolo 4: *** Tre.1 memorie ***
Capitolo 5: *** Tre.2 stesso posto, stessa ora ***



Capitolo 1
*** Zero ***


Ordinanza 94.3

  • I mutanti non sono esseri umani e non godono dei diritti di questi
  • Tutti i mutanti devono essere registrati e marchiati e rispondere alle direttive di Zero Tolerance
  • Tutti i mutanti considerati utili per la società avranno l’idoneità alla riproduzione in forma controllata, gli altri saranno sterilizzati
  • Tutti i mutanti che si arrenderanno senza opporre resistenza verranno giudicati dalla Corte Suprema di Zero Tolerance: chi resisterà sarà terminato

INOLTRE

  • Il trattamento di un mutante viene lasciato alla discrezione del proprietario umano
  • I proprietari di mutanti dovranno sempre agire nei confronti di questi facendo riferimento alla loro natura e senza elevarli allo stato di esseri umani

Ai ribelli sarà applicata tolleranza zero

ALL HAIL BASTION



 
 
 
L’aria dello scantinato era satura di muffa e cibo in scatola stantio, le pareti gonfie di umidità scaricavano nel sistema di areazione un puzzo di marcio che finiva per insinuarsi nei vestiti e sotto le ossa.
- L’hai trovata?
Fece scivolare una mano sul lungo impermeabile accarezzando in modo eloquente un rigonfiamento all’altezza del torace. Il compagno grugnì attorno al sigaro spento e mezzo smangiucchiato.
- Uhmpf! Sarà meglio. Non so che diavolo di grilli ti passino per quella testa per andarti a ficcare in mezzo alle linee nemiche a recuperare un fondo di bottiglia.
Sorrise e si passò una mano tra i capelli che, ostinati, gli cadevano davanti al viso. Aveva bisogno di una doccia e di un nuovo taglio.
- Sta attento, Logan… quando parli così sembra quasi che tu ti sia preoccupato per me.
- Per te?!- sbottò Wolverine tra il disgustato ed il risentito – Manco morto, cocco, ma se ci restassi secco Jubes non la smetterebbe di menarmela ed ho fin troppe preoccupazioni per mettermi anche a fare da balia.
- E dove sarebbe la differenza rispetto al solito scusa?
Al nome della ragazza si sciolse un po’ della tensione accumulata attorno agli occhi dell’anziano mutante, Logan sempre immortale, sempre uguale a se stesso, parve ringiovanire di dieci anni. Il suo tono burbero suonava quasi affettuoso ora.
- Vedi di tenere da conto la pellaccia, Cajun, Sarai pure inutile, ma per quanto tu sia inutile, marmocchio, vali sempre più di niente.
Remy Lebeau non era più un ragazzino, forse non lo era mai stato per davvero, aveva quasi trentasette anni ed almeno il doppio di quell’età a riflettersi nei suoi occhi. Aveva visto troppa morte per una vita sola ed ora si trovava a suo agio solo tra i morti. Qualche cosa quel giorno di dodici anni fa si era irrimediabilmente spezzato dentro di lui.
- Nà, cher, ti preoccupi troppo… avevo Rogue a guardarmi le spalle ed Anna Marie è meglio del sistema di sorveglianza del Baxter Building. Vero, chérie?
La bocca di Logan si torse su se stessa come se qualcuno vi avesse ficcato a forza qualcosa di acido ed amaro. Il Wolverine ingoiò la sbobba con un rumore doloroso e gli piantò addosso due occhi tristi ed attenti come a volergli vivisezionare il cervello.
- Rogue eh…
Il filo teso tra i loro sguardi si mantenne per diversi secondi, Logan parve soddisfatto di quello che aveva trovato perché continuò.
- Bhè… allora è tutto a posto, salutamela quando la vedi.
- Perché non lo fai tu stesso? Dopotutto è proprio dietro di te.
Logan sussultò e con un brusco gesto diretto alle sue spalle uscì dalla stanza.
Remy osservò il volto di Rogue accompagnare la dipartita del leader del Fronte Liberazione Mutante con smorfie decisamente poco educate, ma molto buffe. Non era invecchiata di un giorno, gli anni e le sofferenze avessero mantenuto la sua pelle giovane e liscia.
A livello razionale era perfettamente consapevole che Anna Marie era morta dodici anni prima, ma di fatto sua moglie in quel momento lo stava guardando dall’altro lato della stanza con dolore misto ad affetto.
Tutto era cominciato sette anni fa durante la disastrosa evacuazione di quell’asilo. Stavano mettendo al sicuro i primi bambini quando le Sentinelle avevano attaccato. Era stata una carneficina. Remy era rimasto indietro a fare da scudo alla ritirata di Maggot e Sarah. Mentre il sangue di decine di bambini mutanti si coagulava attorno alle sue caviglie, era sceso in campo Bastion in persona.
Aveva resistito una manciata di minuti, poi i suoi occhi si erano chiusi sul mondo e riaperti sull’oscurità della prigione. Le settimane avevano cominciato ad assottigliarsi fino a confondersi nel vuoto riempito dalle sue urla.
I cuccioli telepati di Bastion non erano riusciti a farlo parlare, le promesse di ricchezza e libertà non erano riuscite a farlo parlare, il dolore e la tortura non erano riusciti a farlo parlare. Ma tutto era diventato troppo.
Troppo. Troppo. Semplicemente troppo come un impasto lasciato a lievitare.
Avrebbe finito per parlare. Era inevitabile. Quindi sarebbe stato meglio morire al più presto.
Rogue era apparsa per la prima volta quella notte.
- Ssh, ssh, dolcezza… ssh, ssh… va tutto bene… ci sono io qui con te.
Quel fantasma, partorito da una mente intorpidita da droghe e antibiotici, gli aveva dato la forza di resistere ancora quelle tre settimane che lo avevano separato dal blitz nel carcere dei suoi vecchi compagni.
Qualcuno, forse lo stesso Logan, lo aveva raccolto dal pavimento metallico della cella e preso tra le proprie braccia come si fa con i giocattoli rotti. Non ne era sicuro. L’unica cosa che era riuscito a sentire era la voce di Anna Maria che gli sussurrava piano
- Ssh, ssh, dolcezza, fai il bravo… bravo dolcezza… bravo mio coraggioso soldatino.
Si era aggrappato a lei con la disperazione di un condannato a morte e non l’aveva più lasciata.
All’inizio gli altri avevano creduto parlasse da solo. Ci era voluto parecchio tempo per farli capire che non si era del tutto ammattito: stava semplicemente parlando con Rogue. La defunta Rogue, sottoterra da almeno cinque anni.
Jubilee lo aveva fissato stralunata, ma il suo commento poco lusinghiero era stato interrotto da una gomitata di Logan.
Logan lo aveva fissato a lungo con un’intensità che lo aveva fatto sentire tutto strano. Si era trattato di una specie di test (il primo di molti) e, dentro di sé, aveva compreso che se lo avesse fallito sarebbe stata la sua fine. Logan aveva annuito tra sé, come a segnare una decisione presa.
Jubilee lo aveva studiato con curiosità e, dopo aver borbottato qualcosa sulla “solidarietà tra chi parla coi fantasmi”, gli aveva chiesto come stava Rogue.
Col passare del tempo Rogue era diventata una presenza fissa nelle loro vite, Jubilee le chiedeva questo e quell’altro: se nell’aldilà si stava bene, come stavano Tempesta e gli altri, se sapeva qualche cosa dei suoi genitori. Così che, quando un giorno lo aveva visto entrare con un anello al dito e cedendo alla sua raffica di domande le aveva risposto che aveva sposato Anna Maria, l’adolescente si era limitata a fare loro le congratulazioni come se la cosa fosse del tutto logica.
Remy sapeva. Sapeva perfettamente che nulla di tutto ciò era reale (tanto per cominciare la Rogue fantasma era molto più gentile rispetto alla sua controparte in carne ed ossa), ma se questa finzione serviva a dargli la forza necessaria per andare avanti, allora che male c’era?
Logan pareva dello stesso avviso ed era proprio quella consapevolezza che cercava nel suo sguardo ogni volta che la presenza del fantasma si faceva troppo ingombrante. Come leader non poteva permettersi nel proprio branco un cane sciolto suonato come un’intera orchestra di flauti traversi.
Quando, immancabilmente, sarebbe giunto il giorno in cui avesse sbragato, Logan lo avrebbe abbattuto come si fa coi cavalli feriti. Remy gli era un po’ grato per questo.
Con una smorfia tastò il rigonfiamento del cappotto, per assicurarsi che la gemma fosse ancora al suo posto. C’era.
Non era certo del motivo per cui fosse così importante. Suo padre le aveva dato la caccia per più di due vite ed ora che ne aveva ereditato il fardello, aveva portato a compimento la sua volontà con l’eleganza e la precisione che lo contraddistinguevano.
La Principessa Passeggera.
Più leggenda che tesoro. Non c’era dubbio che Logan pensasse che fosse impazzito. Si era messo a dare la caccia alle fate con una guerra in corso.
Solo che le fate si erano poi rivelate reali e forse ora sarebbero state al loro fianco.
Ritrasse la mano con un sospiro un po’ forzato. Non sapeva esattamente chi stesse cercando di prendere in giro. La gemma era stato un suo ghiribizzo personale, una questione più d’orgoglio che di pratica. Non sarebbe stata di alcuna utilità, né avrebbe giocato alcun ruolo in quella guerra.
Ancora non sapeva quanto si stava sbagliando.
Seguì Logan nell’altra stanza. Quest’ultima era un salone ottagonale con quattro uscite cieche che portavano ad altrettanti magazzini di armi e provviste. Sei fari al neon piazzati sul soffitto riempivano la stanza di una luce intensa e verdognola.
L’atmosfera in cui si muoveva il Fronte Liberazione Mutante era surreale ed attutita come da giganteschi cuscinetti di ovatta. Uomini e donne percorrevano lo spazio con falcate lunghe ed a scatti. Sembrava di muoversi sottacqua col costante terrore di finire la propria scorta di ossigeno.
L’infermeria (se così poteva definirsi) occupava la parte più luminosa della sala e riempiva l’aria di grida e puzzo di morte.
Mentre era a Lipsia con Rogue a recuperare la Principessa Passeggera, Sarah era rimasta ferita durante il raid nel campo di concentramento per mutanti ed umani indesiderati in Nebraska.
La sua coscienza, che aveva stranamente la voce di Logan, continuava a rimproverargli che se fosse rimasto invece di andare in cerca di favole, forse, ci sarebbe stato lui e non Marrow su quel lettino. Per Remy sarebbe stato un esito decisamente più accettabile.
I capelli rosa acceso della ragazza contrastavano dolorosamente coi toni grigi di federe e lenzuola, accentuando il pallore spettrale assunto dalla carnagione olivastra. Il petto si alzava ed abbassava con regolarità, battendo il ritmo della vita che prosegue.
Non riusciva a distogliere lo sguardo da quel prodigio di scienza e magia primordiale.
- La prognosi?
Gracchiò infine con una voce roca che sorprese persino se stesso. Il vuoto soppesò le parole prima di rispondergli.
- E’ stata fortunata. Due centimetri più giù e la lama le avrebbe reciso un’arteria. Cinque giorni massimo e pregheremo perché qualcosa ce la rispedisca lunga e distesa.
La voce della dottoressa Cecilia Reyes era brusca come sempre, ma anche calda ed accogliente, sapeva di casa insomma.
Avevano trovato Cecilia quasi subito, ma c’erano volute quattro settimane e la promulgazione degli Atti di Intolleranza, prima che la donna si unisse alla loro squadra sgangherata. E che squadra!
Del massacro della Scuola erano rimasti solo i pochi che quel giorno, si erano trovati da un’altra parte. Vale a dire tre persone: Jubilee, Logan e Remy.
Dei team satellite X-Force, X-Factor, Excalibur, non avevano avuto notizie che molto più tardi, dopo che la sonda di Reed Richards era riuscita a forare il grande buio delle comunicazioni del satellite Atlas di Bastion.
Cable era morto, Kitty catturata e la Frost era sparita nel nulla (si diceva che avesse portato i suoi studenti al sicuro in qualche isola tropicale e da lì stesse aspettando l’esito del conflitto).
I protocolli di Xavier erano stati la loro pista, o meglio, il salvagente a cui si erano disperatamente aggrappati per stare a galla.
Si trattava di due liste. La prima elencava ordinatamente tutti i mutanti identificati da Cerebro nel corso degli ultimi quindici anni. La seconda il modo per ucciderli.
E nelle mani di Bastion avrebbero rappresentato la falce ed il martello per l’annichilimento della razza mutante. Jean, l’ultima a morire e doppiamente martire per questo, si era assicurata nei suoi ultimi istanti di vita che l’androide non li trovasse mai e scolpendoli per sempre nella mente dell’uomo che amava.
Logan era diventato il loro archivio vivente, per un po’ almeno, prima che il peso di una tale quantità di dati lo costringesse a spartire la conoscenza tra gli altri due sopravissuti.
Attualmente Remy includeva tutti i nomi dalla N alla Z e per quei nomi era stato torturato fino a scambiare un pezzetto della propria anima per il fantasma della donna che aveva amato.
A Remy, Cecilia Reyes piaceva.
Non aveva mai avuto molto amore per i dottori, ma per lei aveva fatto un’eccezione. Aspra e dura come se la sua colazione ogni mattina consistesse in un mattone cosparso di limone, difendeva dietro la barricata del sarcasmo e del cinismo, un animo buono e premuroso. Era diventata la mamma segreta di almeno una dozzina di reclute negli ultimi sei anni. Forse, un po’ anche la sua.
Rogue, stranamente, spariva sempre quando era in compagnia di Cecilia. Remy aveva da tempo stabilito di non domandarsi mai il perché.
- Hai trovato quello che cercavi?
La voce calda e leggermente nasale della dottoressa lo distrasse dalle sue rimuginazioni.
Aveva trovato quello che cercava? Aveva trovato una pietra, preziosa, sì, ma fredda e vuota come i suoi morti. Il suo sguardo cadde sulle mani di Cecilia che, nel frattempo, si erano timidamente posate sulle sue. Non erano i morti che stava cercando, ma il caldo abbraccio dei vivi.
Sottrasse la mano con uno scatto e fece quello che, da sempre, gli riusciva meglio: mentì.
- Sì. Ho avuto qualche problema con le coordinate a causa del movimento orbitale e dell’inclinazione dell’asse terrestre, ma poi grazie a Rogue siamo arrivati appena in tempo, vero chérie?
Al momento Anna Maria non era presente, ma la dottoressa Reyes non poteva (e doveva) saperlo.
Codardo. Sussurrava una insistente vocina nella sua testa.
Cecilia ritornò in sé con un movimento brusco e batté in ritirata dietro le sue barricate.
Codardo, codardo e doppiamente codardo.
Chi l’avrebbe sentita poi Rogue più tardi?
Anche ad Anna Maria piaceva la dottoressa Reyes.
- Bhè… allora, se c’era Rogue… Remy accidenti sei un uomo, dovresti smetterla di fare affidamento solo su tua moglie!- sbottò con quel tono burbero che lo metteva sempre, stranamente, a suo agio e pronunciò quella dannata frase – Se continui così guarda che alla fine ti lascerà!
L’intento era buono, ma quelle parole, riuscirono a superare la fitta corazza di Remy e gli si piantarono nel petto come un pugno, facendogli perdere l’equilibrio ed uscire tutta l’aria in un singolo colpo.
- Non! Lei non mi lascerà mai! Non parlare di lei… non parlare di noi, come se ci conoscessi, come se… se ne avessi il diritto… Io non permetterò mai che se ne vada!
Aveva urlato. Erano cinque anni che non lo faceva, pensava di aver dimenticato come farlo.
Le pupille di Cecilia si erano allargate come due piattini da tè, nel salone era sceso un silenzio irreale: più di due dozzine di sguardi gli si erano piantati addosso. Logan lo osservava attento, mordicchiando il sigaro spento con aria feroce. Si sentiva svuotato, ma non più leggero.
Gli occhi di Cecilia erano leggermente appannati e lo guardavano dal basso.
Perché dal basso? Era caduta? La concatenazione logica dei suoi pensieri proseguì con orrore crescente. L’ho spinta io?
Fece un passo indietro, il suo piede incontrò un oggetto duro e cilindrico con un rumore sordo. La sedia. Giusto. Era seduto ed alle parole di Cecilia si era alzato di scatto facendo cadere la sedia e, a quanto pareva, Cecilia. E’ colpa mia.
Lo colse come un senso di vertigine.
E’ colpa mia.
A Westchester una casa era piena di cadaveri. Perché li avevano lasciati lì?
I pezzi di Robert marcivano sparsi sul campo da pallacanestro, una gamba, chissà perché, aveva deciso di concludere il suo viaggio fra i rami di una siepe. Forse aveva cercato di ricomporsi nella sua forma ghiacciata, prima che gli attivassero il campo di soppressione attorno. Il campo di soppressione. Il fiore all’occhiello di Zero Tolerance, ancora oggi i migliori cervelli di Bastion lavoravano giorno e notte per espandere l’influsso dei vecchi collari genoshiani di qualche metro.
Con Hank non avevano voluto correre rischi: l’avevano decapitato. Buon vecchio Hank che parlava sempre troppo di scienza e poco di uomini e che quando aveva visto le cicatrici sulla sua schiena l’aveva guardato con due occhi grandi, grandi e non aveva detto niente. Psylocke.
Perché Betsy era tornata dall’Inghilterra? Perché non era rimasta dove l’influenza del suo cognome avrebbe potuto proteggerla da quei porci?
Jean.
Jean non l’avevano trovata, così come Scott e tanti altri. Nessuno ne aveva più avuto notizie. Logan era certo che almeno lei fosse morta. Lo aveva sentito nella testa.
Ororo era stata quasi fortunata. Doveva essere stata in volo quando le avevano sparato col soppressore. Chissà con quale orrore aveva riconosciuto l’arma del suo amato Forge fare fuoco una seconda volta contro di lei. Aveva volato fino alla fine e poi il suo collo si era spezzato con un rumore secco. Non era tornata adulta che da poche settimane e lui le aveva chiesto cosa si provasse a volare, lei gli aveva sorriso e risposto: “E’ molto simile al cadere”. La sua saggia Tempestina. Un bellissimo cigno nero aggraziato anche nella morte.
La sua Anna… (“Non!” gridava una voce nella sua testa “Non andare lì…”).
Anna Maria non era stato lo spettacolo peggiore (quel primato era spettato a Bobby). La sua invulnerabilità doveva averla protetta quel tanto che bastava, prima che un cecchino le spaccasse il cuore a metà, centrando, con un solo colpo, due cuori. Remy si domandava quando qualcuno si sarebbe deciso ad aprirlo in due ed ad estrarre quel dannato proiettile testardamente incastrato.
Cecilia era a terra. Forse l’aveva spinta lui. Tutti lo fissavano.
I medici di Bastion lo fissavano dall’alto del loro intonso camice bianco, come si guarda una rumorosa cavia, c’era una curiosità malevola in quegli occhi. Quelli di Sinistro avevano brillato, mentre la sua voce metallica aveva bisbigliato attraverso denti lucidi ed appuntiti: “Niente anestesia”.
Le sue mani erano sporche di sangue per quanto le unghie si erano conficcate in profondità quando si era intestardito a non urlare (poi aveva finito per dargli quella soddisfazione comunque).
Le sue mani erano sporche di sangue ed i tunnel dipinti di rosso e riempiti di grida. Una bambina si aggrappava al suo braccio come se fosse stato il polo nord di una bussola rotta. Sarah. Era colpa sua.
Cecilia era a terra.
Il sapore acre della bile gli riempì la bocca ed un filo tirato gli scoppiò nel petto con un tonfo sordo.
Girò sui suoi tacchi e corse via dalla sala come se avesse tutti i diavoli dell’Apocalisse al suo inseguimento. Il che, in effetti, non era molto lontano dal vero.
Percorse i corridoi grigi del labirinto metallico e, giunto a destinazione, si chiuse alle spalle la porta della sua stanza. Si assicurò che i quattordici lucchetti fossero al loro posto e saldamente sigillati e si lasciò ricadere con un sibilo contro la porta. Nella camera (se così si poteva definire quel ripostiglio dove ci stava si e no una lampada ed un letto) c’era già da un pezzo Rogue ad aspettarlo. L’espressione sul suo viso non prometteva niente di buono.
Prendendosi la testa tra le mani, Remy iniziò piano ad auto commiserarsi.
- Adesso Logan penserà che sono completamente andato.
- E avrebbe ragione!- tuonò Rogue, facendolo sussultare (era troppo sperare che non lo avesse sentito)- Certo che ti ho sentito, dolcezza! Non provare a cambiare argomento…. sbottare contro Cecilia a quel modo!
Remy si sentì in dovere di difendersi.
- Non volevo farlo! E’ che lei ha iniziato a dire tutte quelle cose e…- la sua lingua cercava disperatamente le parole adatte (che strano… chi l’avrebbe mai detto che un giorno la lingua sciolta si sarebbe ingarbugliata?)- Non volevo farla cadere.
La sua conclusione aveva lo stesso sapore amaro della sconfitta. Logan sarebbe arrivato da un momento all’altro a tagliarli la gola (e gli avrebbe tagliato la gola, perché quello era il modo più rapido per uccidere qualcuno, glielo aveva visto fare centinaia di volte per cui ne era sicuro). Avrebbe detto qualcosa tipo “Mi dispiace cocco” e zachete, sarebbe finita. Finalmente.
Remy aspettava di sentire il rumore dei passi risuonare nel corridoio quasi con trepidazione.
- Codardo.
La voce di Rogue lo rimproverò da dentro la sua testa. Non osò incontrare il suo sguardo per paura di trovare in quegli occhi, soltanto il suo riflesso.
- Sarebbe poi così terribile lasciarmi andare e provare a vivere di nuovo una volta tanto?
Le sue difese attualmente avevano la stessa consistenza del burro fuso ed i toni pacati ed ipnotici di sua moglie penetrarono come una granata.
- Ho bisogno di te!
Era imbarazzante come la sua voce sembrasse un piagnucoloso pigolio. Dove era finito il Remy Lebeau ammaliatore e sicuro di sé? Il mascalzone dalla parlantina veloce e soave? Il rubacuori, il ladro gentiluomo, l’uomo a cui piace vivere pericolosamente e non sentirsi mai legato?
Dove erano finite tutte le sue maschere? Dove gli erano cadute? Come poteva affrontare il mondo scoprendosi così nudo, scoperto, vulnerabile?
- E ti sei mai domandato, tanto per cambiare, di cosa ho bisogno io invece?
Arrestò la sua catena di autoflagellazione con un gesto rapido come si fa con le macchine in corsa. Il contraccolpo del freno lo lasciò interdetto. Di che cosa aveva bisogno Rogue? Francamente, da quando era ricomparsa nella sua vita, non ci aveva mai pensato.
Intuendo quello che gli stava passando nel cervello, la giovane donna si chinò e, prendendogli la testa tra le mani, lo costrinse ad incontrare i suoi occhi.
- Ho bisogno che mi lasci andare, dolcezza.
Anna Maria voleva lasciarlo. Dentro di sé l’aveva sempre saputo, ma si era testardamente rifiutato di riconoscere la realtà.
- Ti sto trattenendo qui, non è vero chérie?
Rogue non rispose, ma i suoi occhi verdi si appannarono di un velo che la luce artificiale fece brillare una singola volta. Era davvero Anna Maria dopotutto. E cos’era oggi quel giorno in cui faceva piangere tutte le donne che amava?!
Amava. Donne. Plurale. Ops.
Rogue sorrise.
- Vedi, dolcezza, non sono mica quel genere di moglie che se ne va lasciando il marito tutto da solo…
Remy scosse la testa e sistemò, dolcemente, dietro un orecchio, una ciocca dei capelli castani di lei.
- Non… non l’ho mai pensato, chérie…
- Sarà meglio!- rispose Rogue ed appoggiò una guancia sulla sua spalla, abbandonandosi al suo tepore –Sono una donna seria e responsabile, io.
- Di chi stiamo parlando di nuovo, pardon?
Rogue gli dette una gomitata senza convinzione e si posizionò meglio nell’incavo delle sue braccia (si incastrava alla perfezione) mormorando uno “Scemo” e ricordandosi di respirare (non le serviva, ma Remy era sempre più a suo agio quando si ricordava di farlo).
I minuti si allungarono, distendendosi placidamente nel silenzio scandito dal ritmo dei loro respiri.
- Ho fatto cadere Cecilia.
- Scemo…- Rogue non si era mossa dalla sua posizione, perché la sua voce si posò direttamente sul suo collo in una carezza gelida – Non l’hai mica spinta tu, è caduta da sola… quando ti sei alzato così improvvisamente, lei ha fatto un passo indietro, ha appoggiato male il piede ed è caduta a terra… tutta da sola.
Remy chiuse gli occhi, si riempì le narici dell’odore dei suoi capelli (mandorla, uhmm…) e contò fino a dieci.
Meno male. Non era stata colpa sua. Almeno in senso stretto. Non si sarebbe mai perdonato se l’avesse spinta.
- Come fai a dirlo con tanta sicurezza se neanche eri lì?
Remy sentì, più che vedere, il sorriso di Rogue farsi strada sul suo viso.
- Scemo, io sono sempre con te anche quando non mi vedi.
Non disse niente, ma circondò con le sue braccia l’esile corpo del fantasma e strinse forte.
- Me lo prometti?
Rogue depositò un bacio sulla sua guancia (da quando era un fantasma non aveva più paura di toccarlo), sapeva stranamente di sale e di bagnato.
- Sempre.
Remy annuì una sola volta e lo spettro, così come era apparso, svanì.
Non si faceva illusioni.
Non è che di colpo gli fosse stata restituita la sanità mentale (e chi ha bisogno della sanità mentale al giorno d’oggi. No grazie, messere, vi rinuncio volentieri).
Aveva perso il conto dei loro addii strappalacrime quando avevano raggiunto la settantina.
Lo spettro, per sua somma gioia e disappunto, finiva puntualmente per riapparire.
Non che gli dispiacesse, in fondo, ma dentro di sé sentiva che fino a quando Rogue non fosse del tutto scomparsa sarebbe rimasto arenato nella vita: incapace di tornare indietro o proseguire in avanti.
Si passò una manica della camicia sul viso ed attorno agli occhi a mo’ di fazzoletto. Non era del tutto certo che le lacrime di poco prima fossero state di Rogue e non sue. Fece scorrere le dita tra i capelli nel tentativo di darsi un contegno (o rendersi quantomeno presentabile). Raccolse la sua maschera da terra, sganciò l’ultimo dei quattordici lucchetti e si trovò faccia a faccia col muso di Logan.
Wolverine lo studiò a lungo, passando oltre i vestiti un po’ troppo grandi e penzolanti e soffermandosi sul suo volto ancora sfatto dal pianto (dopo un’attenta analisi era stato costretto ad ammettere, con somma vergogna, che le lacrime erano state effettivamente sue). Dopo secondi lunghi due vite, Logan, sempre scrutandolo con due occhi troppo attenti ed azzurri, disse:
- Facciamoci un drink.
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Non aveva contemplato che la cosa potesse risolversi così: con Logan che prima lo trascinava a scusarsi (cosa che avrebbe fatto benissimo anche da solo… solo, ecco, magari… diciamo il giorno dopo) con Cecilia che sbraitava qualche cosa sui Cajun molesti, ma stranamente accomodante e poi alla caffetteria del Fronte Liberazione (soprannominato ironicamente da Wolverine “Il punto Stark”).
Quando dopo tre shot di vodka, quattro bottiglie di birra e due bicchieri di gin gli animi si erano fatti più sereni e le lingue più loquaci, Logan aveva asserito con la risolutezza di chi si accinge a sparare una profonda massima nell’inconsapevolezza di star citando un popolare orco cinematografico:
- Meglio fuori che dentro.
La Reyes, che per qualche motivo che centrava con un risarcimento spirituale in forma di superalcolici, li aveva seguiti fin lì, aveva annuito in maniera convinta ed aggiunto:
- Che il diavolo ti porti se non è vero! Posso curare le ferite del corpo, ma se queste si inzuccano nelle teste delle persone, mi dici tu come io, da chirurgo, possa fare?!
Ed era andata avanti così, sostenendo che avrebbe presentato al più presto possibile un richiamo formale.
- Formale ti dico!
Era sembrata particolarmente affezionata alla parola.
A volte Cecilia gli ricordava il dottor McCoy di Star Trek, tanto che a Remy non sarebbe parso strano se ad un certo punto la donna si fosse rivolta alla sfortunata vittima (cioè il barista di turno) ed avesse ordinato birra romulana.
Il pensiero lo fece prima sorridere, poi iniziare a ridacchiare apertamente tra sé. I suoi due compagni lo guardarono per un paio di secondi senza capire, poi, attribuendo la sua improvvisa ilarità all’influenza dell’alcol, scossero le spalle e decisero di berci su.



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Capitolo 2
*** Uno ***




Il giorno dopo solo Cecilia parve subire i postumi di una colossale sbornia. Remy se la trovò piantata di fronte alla porta alle primi luci dell’alba, o del pomeriggio, o di sera tardi (era dannatamente difficile distinguere la notte dal giorno in quel complesso a settanta metri sottoterra) con due occhi iniettati di sangue e talmente dilatati da far spavento.
Remy non si poté trattenere (era solo umano dopotutto) e scoppiò a riderle in faccia. Amava vivere pericolosamente.
Il cipiglio della Reyes faceva presagire un futuro di dolore senza fine ed una lenta, agonizzante, morte.
- Ti odio.
- Aww, grazie chérie… anche io ti trovo in splendida forma oggi. Andiamo a mangiare?
Alla sua innocente proposta il colorito di Cecilia assunse una tonalità verdognola.
- Come diavolo si fa a pensare a mangiare in un momento simile?!
Remy cercò di non dare troppo peso alle parole sdrucciolate di una donna in prognosi riservata da sbronza, ma non poté fare a meno di chiedersi se, mentre stava dormendo, fosse successo qualche cosa di grave. Probabilmente no. Wolverine l’avrebbe sbattuto fuori dal letto a calci altrimenti.
- Giuro, non so chi è peggio tra te e quel caprone di Logan, siete irrimediabili… oggi arriva Jubilation e tutto quello a cui riuscite a pensare è mangiare o scolarvi una birra!
Pensiero flash: quando aveva menzionato la birra? Doveva averlo fatto Logan.
Secondo pensiero: JUBES!
Cecilia alzò un sopracciglio e lo osservò con aria critica, il colorito verdognolo retrocedeva in misura della possibilità di coglierlo in fallo.
- Te n’eri dimenticato.
Non era una domanda. Punto. Dannazione.
Okay se n’era dimenticato, ma non sopportava che qualcuno se ne fosse accorto e glielo facesse notare.
- Non… diciamo che mi era sfuggito momentaneamente.
- Diciamo pure che te n’eri dimenticato. Punto.
Mise il broncio, sperando che sembrasse adorabile e non lo facesse apparire un totale rincoglionito, e piantò in faccia alla Reyes i suoi migliori occhi supplici da Gatto con gli Stivali.
Cecilia trasalì visibilmente di fronte a quell’irresistibile attacco incrociato e si ritirò dallo scontro con le guancie accese di rosso. Vittoria.
- Muoviti, è in caffetteria con Logan… è appena arrivata, se ti sbrighi la raggiungi prima che capisca di avere un fratello maggiore indecente.
Banzai! Le schioccò sulla guancia un bacio di ringraziamento.
- Sei la mia salvezza, chérie… merci beaucoup.
E trotterellò giù per il corridoio con una rapidità da far invidia a Northstar.
Così non fece in tempo a vedere Cecilia accarezzarsi con una mano la guancia e sorridere stupidamente.
Raggiunse la caffetteria (che poi era anche il bar del pericolante complesso) situata al piano inferiore saltando gli scalini a due, a due. Si trattava della parte più vecchia e fragile della struttura. Per dirla breve: in caffetteria erano vietate le risse.
In realtà le risse erano vietate. Punto. Ma, poiché l’autorità posta a sovrintendere il rispetto di queste regole (cioè Logan) era anche quella che finiva per sgarrarle continuamente, avevano deciso di applicare le severe norme restrittive al solo ambiente della mensa/caffetteria/bar/punto ristoro che dir si voglia. Strettamente per ragioni di salute pubblica.
Lo stanzone era un cerchio stilizzato dal soffitto leggermente convesso. Heather (prima di morire insieme a metà di Alpha Flight nella strage di Toronto) gli aveva spiegato che era stato, un tempo, la stanza dei giochi (cioè il laboratorio) del marito Guardian. L’attuale occupazione del locale era, agli occhi di Remy, decisamente più produttiva.
Lunghi tavoli in metallo e compensato punteggiavano l’intera estensione della sala come tante piccole costellazioni opache, su cui spiccavano due banconi in acciaio ed alluminio. Il primo, più grande e leggermente a sinistra, era quello della mensa vera e propria e dava su un locale più piccolo e stranamente areato che avevano quindi adibito a cucina. Il secondo per quanto si affacciasse timidamente rispetto all’invadente ed ingombrante controparte, era sempre affollato ed, al momento, era occupato dalle sue due persone preferite in assoluto: Jubilee ed il barista. Barista che per puro caso oggi coincideva con Logan.
Non sapeva dire di cosa la giovane mutante asiatica stesse animatamente discutendo col suo surrogato paterno, ma doveva essere qualche cosa di particolarmente buffo, perché Jubilee stava ridendo e lo stesso Logan pareva divertito. A Wolverine bastava la sola presenza di Jubilee per ricordare come si faceva a sorridere.
La ragazzina non si accorse della presenza del ladro se non quando, dopo esserle scivolato dietro senza fare alcun rumore, aveva preso a picchiettarle delicatamente una spalla. Un lampo di riconoscimento e Remy si era trovato lungo e disteso con le braccia piene di una bomba Lee innescata.
- REMYYYY!!! Grosso idiota, dov’eri sparito?! Ti ho cercato, tipo, tutta la mattina!
Appena arrivata, eh?! Cecilia lo avrebbe sentito più tardi.
- Calma, calma, petit, che non sono più così giovane, il tuo amico Logan qui…- e fece un cenno verso lo scorbutico facente funzioni di barista -si dimentica sempre che è il solo del gruppo ad avere un fattore di guarigione.
Jubilee gli fece la linguaccia.
- Dhè, razza di un Robin Hood dei poveri, guarda che non mi incanti, so benissimo che l’unico motivo per cui il fattore di guarigione del vecchio è stato utile ieri è stato per smaltire i postumi della sbornia.
Gli occhi di Remy guizzarono su Logan, occupato ad asciugare i bicchieri ed a fare lo gnorri. Doppio tradimento! Jubilee stava tenendo il broncio.
- Desolé, petit. Perché per rifarci del tempo perduto non mi racconti cosa hai combinato in questi ultimi mesi?
Pandora con quel suo maledetto vaso era stata decisamente più cauta. Le chiacchiere dell’effervescente asiatica lo sommersero come un fiume in piena. Al quinto “praticamente”, Remy decise di abbandonarsi al suo (ahimè) triste fato.
Jubilation Lee non era più una ragazzina da tanto tempo: gli anni erano trascorsi per tutti (per alcuni in modo più inclemente che per altri) ed ora lei ne aveva circa ventisei. Sembrava ancora la tredicenne energica, rozza ed un po’ fragile, che Logan aveva recuperato da chissà dove una vita prima. Non che il suo aspetto non fosse cambiato: per quanto la bassa statura potesse trarre in inganno, Jubes non poteva più passare per un’adolescente. Neanche da lontano.
Il carattere era una questione completamente diversa. Quel giorno di dodici anni prima aveva sconvolto qualche cosa negli ingranaggi ed ora le lancette erano sempre in ritardo rispetto all’orologio biologico.
A volte si domandava se interpretasse la versione femminile di Peter Pan solo per conservare la sanità mentale sua e di Logan.
Jubilee era diventata il centro del loro piccolo universo, l’ancora che li legava saldamente a terra. Spesso si chiedeva cosa sarebbe stato di loro se l’avessero perduta.
- Ah, come sta Rogue?
Jubilee aveva la stessa delicatezza di un toro alla carica per gli argomenti sensibili, ma Remy capiva il perchè di quella domanda.
Jubilee aveva bisogno di legami. Odiava e temeva lo sradicamento, quel senso di vuoto che sostituisce possibilità al numero delle certezze. Anna Maria era, in questo senso, il ponte su quello che non c’era più non solo per lui, ma anche per lei. Forse, persino un po’ per Logan.
- Aah petit, sono proprio pessimo… finisco sempre per farla arrabbiare… Comunque è proprio qui a due passi da te, dice che Bobby ti saluta e che Hank ha apprezzato la tua ode al tacos… secondo lui dovresti tentare la strada poetica.
Jubilee arrossì ed iniziò amichevolmente a chiacchierare di “cose da donna” (quindi non origliate razza di due vecchi maniaci) con lo spazio vuoto tra la sedia ed il bancone.
Sapevano perfettamente entrambi che Rogue al momento non era lì, ma la messa in scena rassicurava tutti e due. Non avrebbe lasciato andare Anna Maria finché la sua presenza fosse servita a restituire a quella ragazzina un po’ del suo paradiso perduto.
Logan gli allungò un caffè nero, forte, lui avrebbe preferito una cioccolata calda e lo disse ad alta voce. Wolverine grugnì, Jubilee scosse la testa.
- E invece mo’ ti pigli questo caffè e ti dai una svegliata, cocco! C’e una riunione che ci aspetta e voglio la tua faccia da sberle ben sveglia, chiaro?!
- Hail, mon capitain!
Parodiò il saluto militare, batté coi tacchi una volta da seduto e strizzò un occhio a Jubilee. La ragazza, rabbuiatesi alle parole dell’orso canadese, sorrise e gli tirò una gomitata nelle costole (ahi… ma che le avevano dato da mangiare in Inghilterra?).
Ad un ringhio basso e cavernoso di Wolverine si decise a tracannare tutto il caffè in un colpo (che schifo, ma dove lo avevano rubato quei pivellini?) ed ancora bollente, tanto che gli bruciò la gola lasciando al suo passaggio una piacevole sensazione di calore. 
Logan sorrise storto attorno i confini del suo sigaro ed appoggiò il grembiule sul tavolo del banco. Remy scansò con scaltrezza una delle sue cosiddette “pacche amichevoli” (“amichevoli” perché se eri fortunato si limitavano a dislocarti una spalla) e, prendendo sotto braccio la ridacchiante Jubilee, si diresse, insieme agli altri due, verso la Stanza della Guerra.
La sensazione di calore continuava ad espandersi nel petto.
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La Stanza della Guerra prendeva il suo nome da un’ispirazione improvvisa di Logan che, come tutte le ispirazioni improvvise del canadese, aveva finito per rivelarsi disastrosa.
Il pensiero a monte (strano a dirsi) non era stato del tutto stupido: da X-Men si erano allenati nella Stanza del Pericolo, ma ora che quel pericolo era diventato la loro realtà, pareva più logico definirsi come un perenne stato di guerra.
Il parallelo ci sarebbe anche stato, se Jubilee non gli avesse prontamente ricordato che anche gli X-Men avevano avuto una Stanza della Guerra dove discutere di piani e strategie.
Logan era rimasto col dito per aria, sospeso a metà di uno sproloquio, interdetto, poi aveva dolorosamente schiantato la mano sul tavolo e stabilito: il nome resta.
Nessuno, allora, aveva trovato niente da ridire, le cose poi però erano andate in modo leggermente diverso. La Stanza della Guerra era diventata il luogo dove si annunciavano le morti dei compagni, si elencava il numero dei dispersi in azione e venivano decise le missioni suicide.
All’interno del Fronte Liberazione il soprannome era cambiato in Stanza della Morte.
Remy trovava quest’ultimo più azzeccato. Ogni volta che entrava nella sala ottagonale tappezzata da articoli di giornale e dalle foto degli amici scomparsi, non poteva fare a meno di levare il cappello in saluto e notare con macabra soddisfazione che la Morte stessa era la loro inquilina.
Ai tarocchi però, aveva sempre preferito le carte da poker.
Il salone era già affollato. Almeno una decina di persone sedevano ai tavoli. Northstar e Magma erano in piedi: uno davanti alla porta, l’altra intenta a camminare nervosamente avanti e indietro lasciando nella sua scia, piccole scintille di fuoco. Remy sperò che la stanza fosse ignifuga, altrimenti sai che palle avrebbe tirato poi Logan a tutti.
Jean-Paul salutò il loro arrivo sollevando un sopracciglio, la cicatrice che correva dalla sua tempia destra allo zigomo sinistro accompagnò il movimento.
- Hey Cajun, hai finito di stuprare la lingua francese?
- Hey Jean-Paul, ha chiamato Gene Roddenberry: ha detto che vuole le orecchie da vulcaniano indietro.
Il canadese sorrise storto. Si conoscevano da quasi dieci anni ormai e se c’era una persona che aveva creduto non ce l’avrebbe fatta, quella era stata Beaubier. Non dopo Aurora perlomeno.
Si erano trasferiti in Canada abbastanza presto. Con gli Stati Uniti trasformati nel Regime di Bastion era sembrata a tutti la scelta più logica. Alpha Flight era stata un aiuto insostituibile durante quei mesi in cui la preoccupazione più pressante era stata espatriare e metter al sicuro il maggior numero di mutanti possibile.
Poi c’era stata Toronto ed anche il Canada era caduto.
Avevano provato a resistere, dopo Washington quella era stata la più grande battaglia del loro tempo, ma come in tutte le grandi battaglie il loro maggior risultato era stato il numero delle vittime.
Johnny Storm era sopravvissuto all’attacco al Baxter Building per spegnersi tra le braccia di sua sorella due anni più tardi, Kurt era morto, portando con sé un altro pezzetto dei loro cuori.
E pensare che per un momento la vittoria era parsa inevitabile, con Thor in testa ed i Vendicatori al loro fianco (Cap era morto a Washington e Stark… meglio non parlare di Stark). L’ordine era stato ripristinato.
Poi Bastion aveva premuto il pulsante ed il satellite Atlas era diventato una specie di Morte Nera. Thor era stato fritto sul posto, di lui non era rimasto che il martello. Il ponte dell’arcobaleno era stato distrutto insieme ad ogni contatto con Asgard. Non ci sarebbero stati padri divini infuriati a venire in loro soccorso o, almeno, in cerca di vendetta.
Erano morti viventi, tutti loro, abbastanza bravi ed insignificanti da passare sotto il radar di Bastion e pungerlo quanto più possibile là dove non batte il sole. Ma gli androidi hanno natiche di ferro e le api sono dei piccoli soldatini suicidi che, una volta persa la loro unica arma, non possono fare altro che accasciarsi e morire. Avevano perso ad ogni attacco, ad ogni colpo ad ogni vittoria. Quanti mutanti rimanevano nel mondo? O meglio, quanti X-Men, quanti eroi addestrati ed in grado di formare una mediocre resistenza erano rimasti? Oltre le persone radunate in quella stanza, probabilmente solo un centinaio. Non sarebbero mai stati abbastanza.
- Smettetela di tubare come due piccioncini, cocchi, e filate a sedere.
Logan grugnì attorno al suo sigaro. I brusii concitati che erano esplosi nella stanza al loro arrivo si stemperarono in un nervoso silenzio, Non era mai un buon segno.
Magma si morse le labbra, piccole scintille accesero l’aria di rosso, Logan andò dritto verso di lei e le appoggiò una mano sulla spala.
- Siediti cocca.
Amara annuì rigidamente, gli occhi azzurri del canadese seguirono ogni suo gesto. Rabbuiati.
Per quanto le apparenze potessero trarre in inganno, Magma col tempo era diventata un epicentro di calma per tutti loro. La sua regalità, il contatto con la madre terra, l’amore per l’insegnamento, avevano fatto della giovane brasiliana una nuova Tempesta. Solo più giovane, più incostante e soprattutto viva.
Era strano vederla tanto agitata. L’ultima volta che Remy l’aveva vista così era stato a Parigi, quando gli studenti erano stati attaccati da un gruppo di Sentinelle. Non c’erano state vittime, ma non si era trattato di fortuna. Magma scatenata era una potenza con cui era sconsigliabile avere a che fare.
- Amara, rapporto!
Tuonò Logan dopo che tutti ebbero preso posto. Jubilee sedeva al suo fianco destro, Remy all’altro.
La ragazza trasalì ingoiando l’aria un paio di volte a vuoto, il volto leggermente pallido. Shan le accarezzò discretamente una mano tremante, Amara incrociò il suo sguardo, abbozzò un leggero sorriso e si alzò in piedi.
- Durante la missione di recupero a Delta State della giovane mutante Idie Okonkwo, nome in codice Oya, io ed il mio gruppo siamo stati attaccati da un gruppo di Sentinelle Mark3.
Mormorii. Le Sentinelle Mark3 erano l’ultimo grido dell’arsenale tecnologico di Zero Tolerance.  Androidi creati da corpi di mutanti per dare la caccia ai mutanti (Rachel li aveva soprannominati, non senza un pizzico di macabro umorismo “i segugi”).
- A…abbiamo provato a fermarli e di guadagnare il tempo necessario perché Wiccan aprisse un portale, ma…Logan…avevano Sam…
Brividi di indignazione percorsero la sala come una corrente elettrica ad alto voltaggio.
Cannonball era stato, fino all’anno prima, uno dei loro leader più carismatici. Lui e Dani avevano trasformato a forza di sudore e sangue i vecchi Nuovi Mutanti in un team di “docenti senza frontiere” specializzato nell’addestramento e nel recupero delle giovani generazioni. Poi Bastion lo aveva catturato ed il peso del comando era ricaduto su Dani ed Amara. Lo credevano tutti morto da tempo. La realtà era sempre un gancio allo stomaco alla speranza.
- Sam…
Jubilee sussurrò il nome del fantasma tra labbra strette. Logan non disse nulla, ma sul suo volto si dipinse un’espressione feroce. Quando parlò la sua voce era calma.
- Che cosa è successo dopo, Amara?
Cercava di essere rassicurante. Non gli riusciva molto. Certe persone sono più tagliate per bestemmiare in turco che per ammaliare con toni suadenti (ecco perché di solito era Logan quello dei discorsi di incoraggiamento e Remy quello a fare le condoglianze). Lo sforzo, tuttavia, era comunque apprezzabile.
Le mani di Amara si serrarono attorno alle sue spalle come un artiglio. Gli sguardi dei presenti erano fissi su di lei in un caleidoscopio di curiosità, compassione ed orrore.
- Ho ordinato a Billy di aspettare…volevo provare a farlo ragionare…a vedere se…
- Non si può ragionare con una Sentinella.
Tagliò corto Northstar seccamente. Amara si avventò su di lui con odio.
- E tu che ne sai?! Eh?! E’ già successo… e Sam è ben più forte di una qualsiasi insignificante poliziottina indiana.
- Non osare insultare Karima di fronte a me!
- Una Sentinella Omega!
- Una compagna!
- SILENZIO!
E silenzio fu. Immediatamente.
Stranamente, questa volta, i responsabili non erano stati i toni soavi di Logan (lo avrebbe voluto, ma era stato anticipato). Jubilee era in piedi, le mani strette nei due pugni che un momento prima si erano schiantati sul lungo tavolo rettangolare facendo vibrare il metallo come l’eco di un diapason.
Ohi, ohi… Fare arrabbiare Logan era una pessima idea, ma fare arrabbiare Jubilee era cosa assolutamente da evitare. Il senso di colpa successivo tendeva ad ucciderti.
- Smettetela. Dovreste essere amici… e questo non riguarda nessuno di voi due… riguarda Sam…
La voce le si ruppe. Jubilee e Cannonball erano diventati amici con straordinaria rapidità. Complice la vicinanza d’età (anche se Jubes si ostinava a soprannominarlo “cariatide” per quei a mala pena cinque anni che li separavano), complice il carattere semplice e schietto del ragazzo del Kentucky, complice l’influenza esercitata su entrambi da Paige… i due ragazzi erano diventati inseparabili.
Poi Sam si era innamorato di Dani ed il cuore di Jubilee si era un po’ spezzato.
Ma non aveva smesso di volergli bene. Non aveva smesso di voler bene ad entrambi.
Il cuore di Jubilee era abbastanza grande da saper accettare senza distruggere e Sam ne avrebbe sempre occupato una delle parti più nobili.
Remy poteva solo immaginare che genere di pensieri giocassero a rincorrersi nella testa della ragazza; avrebbe voluto allungare una mano verso di lei e stringerla forte, ma l’ingombrante presenza di Logan gli impediva qualsiasi movimento. Forse era meglio così.
Per un attimo Jubilee sembrò sul punto di aggiungere qualche cosa, poi la ragazza si morse le labbra e con un gesto doloroso tornò a sedere. Logan permise al silenzio di protrarsi ancora per qualche istante, poi decise che era giunto il momento di far ragionare le due parti (altrimenti note, nella versione edulcorata, come “zucche dure”). La sua voce, quando parlò, era greve.
- Northstar, seduto e buono. Vuoi intervenire? Allora risparmiaci i tuoi inutili commenti per la fine della riunione, non abbiamo bisogno di altro acido.
Jean-Paul storse le labbra, ma non disse niente. Sorprendentemente era abbastanza maturo per sapere quando combattere e quando tacere. Per quanto suonasse strano, voleva bene ad Amara e per un’amicizia poteva sopportare anche una botta al proprio ego. Appena, appena. Logan lasciò il suo sguardo piantato su di lui, poi, apparentemente soddisfatto, spostò la propria attenzione su Amara.
- E tu, Magma… Non voglio più sentirti dire anche solo una mezza, anche solo per sbaglio su Karima Shapandar. Non sarà stata una mutante, ma ha combattuto per noi con più coraggio di tanti presunti Vendicatori. Non è stata lei a chiedere a quei bastardi di Zero Tolerance di violentarla nel corpo e nell’anima. Non è stata lei a chiedere di diventare una Sentinella, ma ha avuto la forza di combattere e vincere contro la sua programmazione… una forza d’animo che dovremmo prendere tutti ad esempio.
Per qualche ragione gli occhi di Logan saettarono su di lui. Remy non ricordava di averlo mai sentito parlare tanto tutto di seguito (bhè… se non contava la sua ode alla birra… ma quella volta era quasi certo fosse ubriaco, alla faccia del fattore di guarigione). Poi com’era avvenuto, quell’istante passò. Remy poteva sentire il freddo del bisturi della memoria conficcarsi alla base della sua scatola cranica.
- E comunque,- continuò il canadese dopo essersi assicurato che il messaggio fosse stato recepito da tutti (ma proprio da tutti)- le Sentinelle Omega sono diverse dai modelli successivi. Le nostre teste d’uovo… - Shan tossicchiò criticamente, Logan si sbrigò a correggere il tiro. - Volevo dire, i nostri telepati (cavolo, cocca, non è il caso di essere così suscettibili) hanno determinato che nelle Mark1 e nelle Mark2 la personalità viene del tutto azzerata durante il processo di mutazione. Non sono più persone: sono macchine. Non hanno un’anima. Non si può ragionare con loro. Possono solo essere distrutte.
Quelle parole costavano a Logan. Nessuno in quella stanza sapeva veramente quanto, tranne lui e Jubilee. Remy era stato presente quel giorno, aveva visto il volto di Logan contorcersi dalla sorpresa e dall’orrore quando a Vienna aveva riconosciuto in una Sentinella Mark2 il volto di Melita.
Sentinelle. Era quella la fine di tutti gli uomini “indesiderati” dal regime: gay, pacifisti, attivisti, giornalisti e tutti coloro che semplicemente di fronte alla scelta avevano risposto “no”.
Ciò che restava di Melita era esploso, quel giorno, in uno sfolgorio di energia cinetica. Logan gli era saltato alla gola, artigli sguainati e volto stravolto. Orbite smarrite avevano incontrato occhi pieni di gelida risoluzione e Wolverine era tornato dolorosamente in sé. L’aveva persino ringraziato, quella sera, davanti ad una bottiglia di whisky scadente. Ringraziato per avergli risparmiato di uccidere di nuovo con le sue mani qualcuno che aveva amato.
Nessuno di loro poteva più permettere ai sentimenti di avere peso in battaglia. Se volevano vincere contro le Sentinelle, dovevano diventare macchine omicide a loro volta.
Non sempre era facile, alle volte era più difficile che in altre, ma non c’era altro modo.
- Ehm… se posso…
Rahne alzò timidamente una mano, neanche fossero stati a scuola. Era strano vederla prendere parola, durante le riunioni si limitava quasi sempre ad ascoltare ed annuire.
Probabilmente fu questo a spingere Logan, con un cenno d’assenso, ad invitare la giovane mutante a continuare.
- Ciò che ha detto, signor Logan, è molto giusto, ma…-Rahne era l’unica in tutto il Fronte Liberazione a chiamarlo ancora “signor Logan”, il che era buffo e stranamente triste -ma quello che ha detto vale solo per le Sentinelle Mark1 e Mark2.
Trascorse un silenzio imbarazzato. Logan la fissò duramente, Jean-Paul alzò un sopracciglio, Remy temeva dove volesse andare a parare.
- Le Sentinelle Mark3 sono l’evoluzione delle Mark2.
Sottolineò Northstar, del tutto dimentico dell’ammonimento di poco prima. A volte l’ovvio doveva venire sottolineato da qualcuno. Nel loro mondo frenetico, spesso ci si dimenticava di come le cose potessero essere semplici (non naturali, non c’era nulla di naturale quando si parlava di Sentinelle). Rahne pareva leggermente frustrata, il suo accento irlandese si fece più marcato, ma proseguì con voce ferma.
- Lo so, ma è la prima volta che creano delle Sentinelle dai mutanti…ecco… lady Moira diceva sempre che alcune parti del nostro cervello sono strutturate diversamente da quelle degli umani… perché devono gestire i nostri poteri, controllarli…diceva… quindi non sarebbe possibile che… diciamo… anche la trasformazione in Sentinella funzioni in modo diverso?
Remy guardò la giovane mutante con occhi nuovi. Non era il solo. Metà degli occupanti della stanza sembrava condividere la sua stessa idea. L’altra metà, invece, era troppo intenta a rimuginare sulle implicazioni. Era possibile.
No. Non era solo possibile: era probabile.
Una probabilità di uno su cento, d’accordo, ma sempre più di quello che avevano avuto fino a quel momento. Cioè: un bel niente.
Logan non fu né il primo né l’ultimo a riprendersi dall’oceano di possibilità che quella singola, tenue, speranza aveva spalancato nei loro cuori, ma fu il primo a parlare.
- Cos’è successo dopo, Amara?
La voce gracchiante del canadese li riportò tutti, bruscamente, alla realtà. Al qui ed all’ora. Sam.
Magma sembrò, per un attimo, spaesata dalla domanda (e non era la sola del resto), chiuse gli occhi, organizzò i suoi pensieri, contò mentalmente fino a cinque e li riaprì, nuovamente in controllo, nuovamente leader.
- Ho ordinato a Rahne di proteggere Idie e coprire Wiccan mentre si teneva pronto con il portale. Io, nel frattempo, avrei tenuto a bada le altre sentinelle e Shan sarebbe entrata nella mente di Sam.
Molti annuirono nel generale consenso scaturito alle parole della ragazza. Anche quando coinvolta emotivamente, Magma restava una guida sicura a cui fare riferimento in battaglia.
Remy trattenne il fiato, poco distante da lui sentì Jubilee fare lo stesso. C’era qualcosa nel tono di Amara che suggeriva che la faccenda non finisse lì (tanto per il fatto che Sam non era con loro e da come ne parlavano sembrava che non l’avessero nemmeno distrutto). C’era qualcos’altro di ben più solido e grave dietro a quella riunione improvvisa. Qualche cosa che non era sicuro gli sarebbe piaciuto.
Amara, ignara (genuinamente o volontariamente) del loro stato d’animo, proseguì.
- Shan ha preso il controllo del corpo di Sam, quindi, sì.. le Sentinelle Mark3 hanno ancora un lato umano- i suoi occhi infuocati si fissarono su Jean-Paul, il canadese alzò un sopracciglio, per nulla impressionato – Nel caos della battaglia non è riuscita a mantenere una presa salda sulla sua mente, ma prima che ci ritirassimo attraverso il portale di Billy è riuscita a vedere alcune cose...
- Che genere di cose?
Logan la interruppe rudemente. Non gli piacevano le allusioni. Non gli erano mai piaciute.
Separare con chiarezza il bianco dal nero in un mondo fatto di sfumature di grigio era da sempre il compito di un buon leader.
Amara non disse niente, ma spostò eloquentemente la sua attenzione sulla figura seduta alla propria destra.
- Che genere di cose?
La voce di Logan era meno dura questa volta. Shan tendeva ad ispirare il meglio nelle persone.
La ragazza guardò prima verso Amara, poi, dopo aver compreso con uno sguardo l’intera sala, fissò la sua attenzione sul solo Logan.
- Molte cose… la mente delle Sentinelle è diversa dalla nostre: ci sono nanniti e circuiti ed elettricità… non si può avere un quadro chiaro… per la verità è più un susseguirsi di frammenti di immagini…e dolore…tanto, tanto dolore…
La voce di Shan si spezzò leggermente, nessuno osò dire niente. La maggior parte di loro poteva solo immaginare che genere di incubo avesse dovuto affrontare la telepate. Sam era uno dei suoi migliori amici da sempre.
- Ho visto quando l’hanno catturato…ho visto Bastion…Dio, Logan… che cosa non gli ha fatto quel bastardo..
Remy strinse violentemente le mani a pugno, le nocche diventarono bianche, piccole gocce rosse fecero capolino attraverso dita serrate. Sapeva fin troppo bene cosa gli potevano aver fatto. Dio, Sam…
- Alla fine ho visto…ho visto dove l’hanno portato. So dove l’hanno trasformato in una Sentinella!
Un’altra scarica elettrica, questa volta di eccitazione, e tutti erano in piedi, gli occhi larghi quanto palline da biliardo.
L’ubicazione di una delle “fabbriche” di Bastion? Era oro puro.
- E’ ad Alamogordo. Si è nascosto sotto il nostro naso per tutto questo tempo.
Avevano un nome! Avevano finalmente un obbiettivo su cui puntare e fare fuoco. Era troppo bello.
Troppo bello per essere vero.
Non erano mai stati fortunati. Perché proprio quando avevano tra le loro file una telepate esperta (in possessioni, ma non in sonde mentali) gli avevano mandato contro Sam? Le Sentinelle Mark3, a quanto pareva, dovevano ancora essere perfezionate. Perché correre il rischio?
Fino ad allora Zero Tolerance era stata straordinariamente prudente nelle sue mosse. Per l’eventuale danno morale? Erano macchine cosa ne capivano di amore o amicizia?
E Sam aveva, casualmente, nella sua testolina di latta proprio le informazioni che loro stavano cercando da anni… Informazioni per cui tanti di loro erano morti. Informazioni per cui tanti di loro erano disposti a morire.
No, la fortuna non era mai stata dalla loro.
Logan parve condividere il suo scetticismo. Il rischio di marciare dentro una trappola era troppo alto.
- Alamogordo, eh… interessante… davvero dannatamente interessante, cocca… contatteremo Rachel e le diremo di fare un nuovo screen alle Sentinelle Mark3 appena possibile, quando e se ci confermerà queste informazioni, organizzeremo un’incursione e raderemo al suolo quei bastardi.
Shan si agitò sulla sedia. Magma e Rahne si stavano trattenendo a malapena dallo scoppiare ad urlare in faccia al loro leader. Le “fabbriche” non stavano a lungo ferme in un posto (era cosa nota) per questo era così dannatamente difficile rintracciarle. Se avessero lasciato trascorrere troppo tempo, avrebbero perso tutto.
- Ma, Logan… tu non capisci…
Logan capiva. Capiva benissimo, ma come leader non poteva permettersi di farlo. I sentimenti personali non potevano e non dovevano mettere a repentaglio la sicurezza di tutti. Nemmeno se si trattava di Sam. Cannonball avrebbe voluto così comunque.
Saltò fuori che, invece, Logan, non aveva davvero capito un tubo.
- No, Logan… tu davvero non capisci… sono stata nella sua mente… ho visto chi altro tengono prigioniero lì…
Logan era stufo di sentirsi dare dell’ignorante da tutti quanti (anche se poi si era trattato solo di Shan). Non era da leader, ma, soprattutto, non era da Wolverine. Stava giusto (Shan o no) per dare voce al suo disappunto, quando la ragazza pronunciò quattro paroline magiche e qualsiasi commento pungente gli morì sulle labbra.
- Logan… ho visto Scott.
Jubilee trasalì, Remy si sporse in avanti, Jean-Paul scattò in piedi.
Logan azzannò il suo sigaro. Metà cadde a terra, il rumore risuonò nel silenzio.
La stanza esplose.
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Definire cosa Scott Summers significasse per ognuno di loro era un’impresa difficile.
Molti nel Fronte Liberazione non l’avevano nemmeno mai visto. La stessa Cecilia lo conosceva solo attraverso i racconti pseudo-epici imbastiti alla bell’e meglio da Gambit e Jubilee (sempre più eroici e buffi rispetto alla realtà) ed alle foto ingiallite appese nella Stanza della Guerra.
Per tutti loro Scott Summers era più di un uomo. Era un simbolo.
Il primo X-Men, il pupillo di Xavier, il primo leader… il marito di Jean Grey, la donna che dalla tomba ancora dettava le loro azioni e lasciava Logan a bottiglie di whisky condite da canzoni blues e rimpianti.
Scott Summers nel cui mito venivano svezzate le giovani reclute, perché è sempre più semplice crescere nell’adorazione di un capo morto che di uno vivo.
Scott Summers morto eroicamente durante l’attacco di Bastion alla Scuola.
Scott Summers il cui cadavere non era mai stato trovato.
Scott Summers che, a quanto pareva, era da dodici anni nelle mani del loro peggior nemico, nell’attesa (era già troppo tardi?) di essere trasformato in una Sentinella.
- Contattate Rachel… andiamo a trovare quei bastardi.
 
 
 

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Melita è l'attuale fidanzata di Wolverine; anche se mi riferisco temporalmente ai fumetti degli anni '90 inserirò anche elementi dei numeri più recenti ^.^
Un grazie mille a Elisabet J Hansen, a Linny ed a May90 (a cui ho rotto le scatole a mille parlandogli di questo nuovo progetto folle) per le recensioni :)

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Capitolo 3
*** Due ***


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Il vecchio rinsecchito sogghignava. Il deserto sbatteva aria ruvida e secca contro ossa stanche.
Era tempo.
Aveva dimenticato cosa significasse l’attesa, troppo affogata nei fantasmi del suo passato e dei suoi morti. Il brivido dell’anticipazione gli saliva al petto con una fragorosa risata.
Non esistevano novità, solo l’inevitabile.
Le lancette erano ferme. Era il momento di caricare l’orologio. Peccato che si fosse rotto il quadrante. I frammenti di vetro erano tutti tra le sue mani e gli tagliavano le dita. Il sangue ricadeva sulla sabbia impregnandola del puzzo di cadavere. La risata lo scuoteva, spossandolo come la vela maestra di una nave nel mezzo di una tempesta.
Aveva abbandonato i vestiti di sartoria, quei completi che aveva continuato ad odiare soprattutto da quando era diventato una persona rispettabile. I suoi stracci gli penzolavano dalle spalle, troppo larghi per quel corpo tutto fatto di ossa, muscoli e rimpianti.
L’energia che scuoteva il burattino, ora burattinaio, era la stessa che permeava l’aria, saturandola di cariche di elettricità statica.
Erano un tutt’uno: il vecchio e l’energia del mondo.
Passato, presente e futuro. Il tempo era movimento e lui era movimento. Non era sempre stato così, ma era tutto quello che ora conosceva. Le informazioni erano state tutto nella sua vecchia vita. Ora che le aveva tutte non gli era rimasto più niente. Era dannatamente ironico, quindi rise.
Aveva smesso di essere l’epitome della salute mentale già da tempo, ma non era pazzo. La sapeva solo più lunga degli altri. Era vecchio. Paurosamente, dolorosamente vecchio. Era sopravvissuto a tutti. Li aveva visti cadere uno ad uno come tanti bravi soldatini di stagno. Non era rimasto che lui. Che pessimo affare per il mondo. Rise.
Le cariche statiche illuminavano il deserto di luci stroboscopiche. Sembrava un’aurora boreale.
Le guerre nucleari avevano appiattito le mappe geografiche e trasformato l’intero pianeta in una landa uniforme.
Ricordava il sapore degli alberi e dell’aria umida e densa che si respirava di sera lungo le rive del Mississippi in estate. Favole.
Favole raccontate ai bambini per farli addormentare. Favole scritte nei libri di storia. Favole perché il mondo in cinquanta anni non poteva essere diventato così sbagliato.
La grande ironia della storia umana. Non si impara dai propri errori, perché non sono mai avvenuti. E la voce dei testimoni si perde nell’aria elettrica.
Non erano radiazioni. No. Non era stato un fenomeno atmosferico a richiamarlo quel giorno in quel luogo. Quel momento era stato ineluttabile sin da quando aveva spedito la Principessa Passeggera nel passato. Il loop avrebbe dovuto concludersi tra poco, portando con sé il suo ospite nella rete.
L’energia era visibile ad occhio nudo ora, correva lungo le pareti del cielo staccando al suo passaggio frammenti di nuvole. Il vecchio allungò una mano. Il flusso si aprì attorno a lui.
Non dovette cercare a lungo. Sapeva esattamente dove guardare. Le sue dita si strinsero attorno ad un braccio ed il vecchio tirò. La porta si richiuse attorno a loro.
Erano di nuovo nel deserto. Accanto al vecchio il corpo accasciato del gigante ansimava.
Il Testimone si concesse un momento per studiare la figura prostrata del suo figlioccio. Gli mancava un braccio, il tempo era stato inclemente per tutti e due. Sogghignò.
-Bentornato Lucas.
Avevano un sacco di lavoro da fare.
#

- Ma ti sei impazzito di brutto?!
Rachel Grey, come non amarla?
- No, cocca ed adesso ascoltami e fa quello che ti dico.
La voce di Wolverine era un ringhio basso e pericoloso. Parlare con la rossa lo sfiniva ogni volta e non solo perché era identica a Jean. Il carattere esplosivo di Rachel era una minaccia al suo autocontrollo.
- Col cavolo “cocco”, ti rendi conto di quello che mi stai chiedendo?
- E tu ti rendi conto di chi stiamo parlando?!                                                                       
I toni si facevano sempre più accesi. Remy, in disparte, iniziò a pianificare una ritirata strategica.
- Sì. Scott. Mio padre Scott. Il simbolo degli X-Men Scott. Scott Summers. Scooot… l’ho capito alla quindicesima volta che me l’hai ripetuto.
Logan stava perdendo la pazienza.
- Allora capirai benissimo che…
- Sì! Dannazione è mio padre Logan, mica il tuo!
Rachel era arrabbiata, i suoi occhi erano lucidi e si mordicchiava rabbiosamente le labbra.
- Dio solo sa quanto vorrei fare qualcosa… ma, Logan dobbiamo saperne di più prima, non possiamo ficcarci così in una trappola.
E chi l’avrebbe mai detto che un giorno Rachel Grey sarebbe diventata la voce della saggezza?
Impulsiva, salace ed emotiva, l’erede del vasto casato Summers aveva imparato con gli anni a pensare prima di agire. L’etichetta e le pubbliche relazioni, tuttavia, erano lezioni che aveva saltato a piè pari.
Remy trattenne uno sbadiglio, le conversazioni sul piano astrale tendevano a sfinirlo e lì si stava andando avanti da ore. In realtà la sua solidarietà andava tutta a Rachel. Dopotutto cosa si sarebbe dovuto aspettare Logan? Che mobilitasse ciò che rimaneva di Excalibur e venisse lì con tutto il suo team sulla base di informazioni quasi certamente false, tanto per farsi ammazzare?
Logan non stava ragionando lucidamente. Il legame speciale che esisteva da sempre tra lui, Jean e Scott stava oscurando il suo giudizio. Stava lasciando che dei sentimenti personali prendessero il sopravvento sulle sue azioni.
Se si fosse trattato di qualcun altro (tranne che per la stessa Jean o per Chuck) non avrebbe reagito così. Se si fosse trattato di Tempesta o di Rogue, forse sarebbe stato lui quello intento ad urlare a distanza di chilometri nel cervello di Rachel (la telepatia aveva i suoi lati negativi).
Non c’era spazio per Logan ora. Al Fronte Liberazione occorreva Wolverine.
- Mi dispiace Logan, non sai quanto…
C’era un che di fragile nella voce di Rachel, un qualcosa che chiedeva solo di essere spezzato. Le avevano fatto male. Logan le aveva scaricato addosso tutto il suo dolore insieme alla responsabilità di uccidere con un “no” la speranza di salvare suo padre.
Davvero un brutto momento per essere un X-Men. Logan tornò finalmente in sé.
- Lascia perdere cocca… colpa mia.
Okay. Logan che chiedeva scusa? (anche se per amor di cronaca non aveva detto proprio “scusa”, ma ammettere di essere in torto era già un grande passo per lui). Ora Remy le aveva viste proprio tutte.
Rachel annuì distrattamente, la sua proiezione astrale ondeggiò come un disturbo televisivo, la telepate era troppo immersa nei suoi pensieri per mantenere solido l’ambiente circostante.
- Dieci giorni.
- Eh?
Non era la risposta più dignitosa che Logan avesse mai dato, ma certamente una tra le più eloquenti.
- Dieci giorni- ripeté la rossa. –Il tempo necessario per verificare le tue informazioni, mettere al sicuro i nostri civili ed organizzare un piano d’azione.
Logan sorrise storto (Dio…amava quella ragazza) e si tastò camicia e pantaloni alla ricerca di un sigaro. Non trovandolo, grugnì infastidito e si ficcò una mano in tasca.
- Dieci giorni, eh… mi sta bene cocca.
Rachel fece l’occhiolino a Remy: Logan era un grosso orsacchiotto prevedibile, era così dannatamente facile farlo contento. Remy le strizzò l’occhio di rimando, ma la sua testa era a mille miglia di distanza.
Dieci giorni.
Sarebbero bastati? Potevano essere, a seconda dei casi, troppi o troppo pochi.
Vincere o perdere, vivere o morire era affidato ad una scommessa. Pensò a Cecilia.
Aveva sempre amato vivere pericolosamente, piroettando sul filo del rasoio, ma si era tagliato troppo e troppo a fondo ormai per giocare ad ignorare le conseguenze.
Non gli importava di morire tra dieci giorni, sarebbe stato un sollievo in verità. No. Pensava alle persone che amava e che si sarebbe lasciato indietro (era forse un sintomo di maturità… ahi… iniziava a ragionare davvero come un vecchio).
Se né lui, né Logan fossero tornati vivi, cosa ne sarebbe stato di Jubilee?
Era in gamba, ma era troppo giovane per essere schiacciata dal peso del comando.
Cosa ne sarebbe stato del Fronte Liberazione? E di Excalibur, se avessero perso Rachel?
Non rimanevano più molte telepati al mondo, senza di loro la rete di comunicazioni della Resistenza sarebbe definitivamente saltata.
Sacrificare la regina nella speranza di recuperare un re? Gli scacchi (così simili al poker) erano da sempre il suo tipo di gioco.
- Jubilee sta bene? Come ha preso la notizia di Sam?
Terminate le chiacchiere ufficiali, si passava a parlare dell’unica cosa che veramente contasse: loro.
Remy si sentì investito della responsabilità di rispondere (anche perché Logan era al momento occupato a grugnire qualcosa di inintelligibile).
- Mais oui, chérie… ah, a proposito, cosa le avete dato in Inghilterra? Giuro che ci è mancato poco che la petit stendesse amichevolmente con un abbraccio questo povero Cajun.
Rachel rise. La bomba “Sam” era stata efficacemente disinnescata. Più punti stella per lui.
- Non è che ci voglia poi molto, ora come ora, Lebeau… sei praticamente uno scheletro vestito! Ehi cos’è? Non ti danno più la jambalaya al Fronte Liberazione?
Rise anche lui.
- Non, ma dovresti vedere come si preoccupa Logan… mi ricorda tanto la mia vecchia Tante Mattie, a volte temo che mi leghi ad una sedia e mi ficchi un imbuto in gola per obbligarmi a ingoiare a forza.
Logan borbottò qualcosa di pericolosamente simile a: “Prova ancora a paragonarmi alla tua tata che vedi dove te lo ficco quell’imbuto”. Remy decise di ignorarlo. Parole, parole… Can che abbaia non morde e le minacce di Logan non passavano mai per le vie di fatto… bhè… quasi sempre. Remy decise, saggiamente, di non compromettere troppo la sua quotidiana dose di fortuna.
- Per la verità, chérie, nell’ultimo mese sono stato impegnato in una missione a Lipsia, dietro le linee nemiche si fa fatica a trovare qualcosa da sgranocchiare.
- A Lipsia?! E che diavolo ci sei andato a fare a Lipsia?
Logan grugnì la sua approvazione. Remy si esibì nel migliore sorriso misterioso del suo repertorio.
- Affari di famiglia.
- Cioè rubare qualche cosa.
- Ah… chérie, mi ferisci.
- Non si insulta un ladro se lo si accusa di fare il proprio mestiere.
Remy sorrise.
- Touché.
La proiezione astrale di Rachel incrociò le braccia e lo squadrò con aria scettica.
- Se eri a Lipsia, perché non hai fatto un salto a trovarci? Ci avrebbe fatto piacere…
- Un salto piuttosto lungo, petit, diciamo che vi avrebbero fatto piacere due braccia in più.
La ragazza sorrise furbescamente.
- Touché! Ah… non vedo il fantasma qui attorno, hai finalmente deciso di crescere e liberartene?
Il buon umore di Remy si arrestò come un cervo davanti alle luci di un camion in autostrada. Qualche cosa di viscido ed amaro gli si andò a conficcare a metà della gola, lasciandolo boccheggiante. Il piano astrale era una realtà dominata dalla mente e dalla volontà dei presenti. Da quando Rogue era riapparsa nella sua vita non aveva mai mancato di far sentire, in quel luogo, la sua presenza. Dov’era? Perché non c’era da nessuna parte?
Logan lo giudicò come il momento buono per intervenire. Remy gliene fu immensamente grato, a volte Rachel era troppo rossa persino per lui.
- Lasciamo perdere queste sciocchezze… piuttosto come sta Hope, cocca?
Rachel sorrise alla menzione della sorellina. Hope Summers era nata sotto una stella fortunata. Vero, i suoi genitori erano morti prima che potesse compiere i tre anni, ma se quel giorno non si fosse trovata a casa dei nonni materni, a quest’ora non sarebbe più stata tra loro da tempo. Oggi era invece un’arzilla quindicenne con gli occhi verdi ed i capelli di fuoco della mamma che si divertiva a riempire di inutili preoccupazioni la sorella maggiore. D’altronde non era forse questa la missione principale dei secondogeniti? Remy lo sapeva per esperienza: quante volte aveva fatto correre il povero Henri…
- Sta benissimo, la sto aiutando a gestire i suoi poteri, ma è una vera peste. Mi sa che tra qualche anno sarà una telepate migliore di me.
- Qualche segno della forza Fenice?
Logan oggi non ammetteva sconti. Rachel sollevò un sopracciglio, per nulla impressionata.
- Niet. Completa ed assoluta calma piatta da quando i suoi poteri si sono manifestati per la prima volta… Dio, Logan, quanto sei pedante… ti preoccupi troppo!
Gli anni avrebbero poi rivelato come, invece, nessuno di loro si fosse preoccupato abbastanza.
- Mi preoccupo il giusto, cocca. Dani chiede per quando tempo hai ancora intenzione di tenere sotto sequestro le sue studenti.
Rachel aggrottò le sopracciglia e si esibì in un mezzo broncio.
- Si tratta pur sempre della mia sorellina… e di una telepate!- si affrettò ad aggiungere di fronte al progressivo corrucciarsi della fronte di Logan – Rimango io la più qualificata per seguirla nel suo addestramento e vorrei proprio vederti cercare di staccare Haven da Hope. Quelle due sono inseparabili.
Logan alzò gli occhi al cielo e fu costretto a capitolare.
Haven Spalding e Hope Summers erano come il pane tostato ed il burro di arachidi: una combinazione vincente.
- D’accordo tienitele tu…ma facci attenzione e soprattutto vedi di rispedirle a Dani tra dieci giorni, la base in Antartide rimane quella più sicura.
Rachel annuì, la menzione al countdown che li separava dalla corsa al massacro la fece ritornare, improvvisamente, sobria.
- Certo, Logan… c’è altro?
Il canadese si passò pensosamente una mano sulla barba non fatta.
- Per la verità sì… Haven continua ancora a copiare i poteri di Hope invece che lavorare sui suoi?
Rachel scrollò le spalle, la cosa non sembrava né a lei né a Remy particolarmente rilevante. Se i poteri della ragazzina le permettevano di imitare quelli altrui, che male c’era se si divertiva un po’ con quelli della sua migliore amica? Almeno lei, al contrario di quanto era stato per Rogue, pareva averli sotto controllo.
- Sì e allora? Dove vuoi arrivare con questo?
Logan scosse la testa come per scacciare un pensiero improvviso.
- A niente… piuttosto, avete ancora dei sigari lì?
Rachel sorrise, sembrava un gatto davanti ad un succulento topolino.
- Sì…
Logan gonfiò le guance, completamente soddisfatto di sé, sembrava potesse già sentirne il sapore.
- Allora,  per quando vi manderò su Wiccan vedi di procurartene un po’ cocca, tra dieci giorni ci sarà, in ogni caso, da celebrare.
Una vittoria o un funerale. Logan aveva preferito non specificare.
Rachel sogghignò un “agli ordini” e sparì.
Le luci morbide ed il guazzabuglio di colori freddi e caldi del piano astrale svanì insieme a lei, lasciando Remy e Logan un po’ più soli nello squallido stanzino del complesso sotterraneo.
- Dieci giorni, eh…
Mormorò il canadese perso nel suo mondo, poi si voltò ed incrociò il suo sguardo.
- Muovi il culo, Cajun, abbiamo un sacco di lavoro da fare.
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Avevano un sacco di lavoro da fare. Era l’eufemismo del secolo.
Organizzare i team, mettere al sicuro i loro dati ed i civili, prepararsi psicologicamente ad una lunga conversazione con Dani (quella ragazza metteva in soggezione persino Wolverine), assicurarsi che il personale medico fosse preparato a gestire l’eventuale emergenza (Cecilia li aveva mandati a fanculo a quel punto), verificare le coordinate di trasporto (Billy…sia resa grazia all’esistenza di Billy), eccetera, eccetera, eccetera…
Ogni momento c’era qualcosa di nuovo da fare, qualcuno da chiamare, qualcun altro contro cui bestemmiare. La base si era trasformata in una fucina di caos organizzato. Persone correvano per i lunghi corridoi in metallo a tutte le ore, se qualcuno, troppo stanco per continuare a quei ritmi, osava fermarsi anche solo per prendere fiato, anche solo per un momento si trovava Logan addosso: “Si batte la fiacca, eh cocco… vuoi che te lo dia io un valido motivo per stare giù sdraiato? Magari per sempre….”
E, puff, si ritornava a correre. Cosa non si otteneva con le buone maniere.
Insomma avevano le mani già abbastanza piene così, senza bisogno di quella chiamata.
Uno dei vecchi contatti di Remy era riuscito a procurargli la planimetria della base di Alamogordo
(si riesce a recuperare di tutto quando si sa dove cercare ed a chi chiedere), il ladro e Logan erano giusti impegnati a consultarla quando Sarah aveva fatto irruzione nella Stanza della Guerra.
Cecilia era sempre la solita pessimista… altro che cinque giorni di prognosi, per rimettere Marrow al mondo ne erano bastati solo tre. Sarah aveva le guance rosse ed il fiatone ed insisteva che una vecchiaccia vestita di pelle gli era entrata nella testa ed insisteva perché lui la richiamasse.
Remy aveva sospirato, arruffato i capelli rosa di Sarah ed avvisato Logan che sarebbe sparito per un paio d’ore. Wolverine aveva grugnito qualche cosa sul fatto di andare pure al diavolo e poi (a voce bassa)  aveva aggiunto: “buonanotte e salutameli”.
Un bicchiere di latte sintetico caldo e centoventi pecore al sicuro dentro il loro ovile dopo e Remy si trovava faccia a faccia con Corriere.
Jack Gavin non era invecchiato di un giorno ma, dopotutto, qualche vantaggio nell’avere il controllo assoluto su ogni cellula del proprio corpo doveva pur esserci.
- ‘giorno Lebeau, ce ne hai messo ad addormentarti.
- Bonjour, cher, sempre pappa e ciccia con Fonty vedo.
Corriere si passo una mano tra i capelli ed alzò gli occhi al cielo.
- Non nominare quella vecchia aguzzina ti prego, se non mi servisse per comunicare farei volentieri a meno della sua fastidiosa presenza, lo sai che l’ultima volta ha…
- Senti, senti…- interruppe le recriminazioni una voce vellutata - e così  sarei solo il tuo centralino, eh? Signorino col complesso di Edipo…
Fontanelle, la camminatrice dei sogni, difatti, non poteva essere troppo lontana. Gloria era invecchiata (troppo e male), non bastavano il trucco pesante e gli abiti aderenti per nasconderlo. Ma non bisognava lasciarsi trarre in inganno: anche con i capelli completamente bianchi, quella donna poteva prenderti a calci nel sedere.
- Avevi detto che non ne avresti parlato a nessuno! Che razza di psicanalista sei?!
- Una che lavora senza licenza e che morde se provocata. Remy, tesoro, quanti vestiti… perché non rallegri la mia giornata con un bel sogno in cui indossi solo un perizoma?
Gloria gli fece l’occhiolino e soffiò un bacio in sua direzione, Remy sorrise.
- Spiacente, chérie, già impegnato…- sollevò eloquentemente la mano con la fede - Ed ammetto che siete uno spettacolo affascinante, ma anche se starei ore a sentirvi bisticciare come una coppia di sposini novelli, al momento sono parecchio occupato, quindi, se non vi dispiace venire al sodo…
Jack scostò violentemente il braccio che la donna gli aveva dolorosamente calato sulla spalla quando l’argomento matrimonio era stato sfiorato. Era il momento di parlare d’affari ed in quello era lui il vero professionista.
- Okay, Lebeau. Dimmi, hai fatto arrabbiare qualche giapponese di recente?
Remy pensò a Yukio. Non la vedeva da almeno sette anni. Aveva sentito di vendette gustate fredde, ma quello sarebbe stato francamente ridicolo (e la pazienza non era tra le migliori doti della ninja). Scosse la testa, Corriere lo osservò scettico (perché la gente era sempre convinta che gli stesse mentendo?).
- Bhè… ed allora mi spieghi perché un certo signor Ogawa insiste tanto per vederti al più presto?
Gli occhi di Remy, alla menzione di quel nome, si assottigliarono in due fessure rosse e calcolatrici. Quasi non sentì Fontanelle commentare: “Oooh Remy, sei proprio un ragazzaccio… stiamo giocando di nuovo con tipi pericolosi, eh”.
Ogawa sensei. Il vecchio Patriarca della Loggia dei Ladri di Tokyo. Cosa poteva volere da lui?
Quando Remy aveva compiuto diciotto anni ed il suo matrimonio con Belladonna si era concluso nel disastro che era stato, non aveva ancora conseguito il suo marchio di Mastro Ladro.
Era tra le più giovani promesse della Loggia, ma ufficialmente era ancora un signor nessuno. I tre anni successivi lo videro porre rimedio a quell’incresciosa situazione.
Si era trattato di un periodo fatto più di ombre che di luci (Spat…) e conclusosi in un tunnel tra il sangue fresco e le urla. Prima di Sabertooth, prima di Sinistro, prima che i suoi dannati poteri decidessero di andare fuori controllo, c’era stato il Giappone.
Quando si erano incontrati per la prima volta Satsu Ogawa era già vecchio. Molti credevano che non fosse mai stato un bambino e che fosse venuto al mondo così, con il volto segnato dalle rughe e dagli anni e dove era difficile trovare qualcosa che non fosse spigoloso o tagliente.
Era stato odio a prima vista.
Forse era stato per il suo giapponese scadente (ma sempre meglio del suo inglese) o per la sua reputazione di combina guai o forse per quell’incidente avvenuto a Londra l’anno prima con Yukio… insomma, per farla breve il loro rapporto non era stato propriamente un letto di rose.
Dall’esatto momento in cui aveva chiesto asilo alla Loggia di Tokyo, l’anziano Patriarca l’aveva messo sotto alla grande. Allenamento, arti marziali, studio della lingua e delle ultime novità nel campo dell’elettronica (ricordava ancora con orrore quelle dannate griglie a raggi laser), lavori domestici e lavori di precisione (l’ikebana aveva fatto sorprendentemente miracoli per la sua propensione a gettarsi a testa bassa nella mischia senza prima riflettere su “cosa” stava per fare) e persino lezioni di strategia applicata (il go non gli era molto piaciuto, ma era stato costretto a rivalutarlo dopo lunghe partite con Logan). Si alzava ogni giorno alle quattro del mattino per crollare nel letto all’una inoltrata (quando gli andava bene). Era in credito di sonno da allora.
In quel periodo, infinitamente lungo per essere durato solo sei mesi, aveva dimenticato cosa significasse la fatica, perché gli era stata impressa in ogni ossa. Ed aveva finito per guadagnare il suo titolo di Mastro Ladro. Sembrava una vita fa.
Che cosa poteva volere un tipo come Ogawa da lui ora?
Era passata almeno una quindicina d’anni da quando il vecchio Patriarca era andato in pensione, lasciando l’incarico e la guida della Loggia alle incapaci mani del suo successore. La faccenda di Shirow era stata solo la punta dell’iceberg della sua stupidità. A quel punto avrebbero fatto quasi meglio ad appuntare Yukio come nuovo Patriarca… Matriarca… E Yukio era una ninja folle con tendenze vagamente suicide e dipendete dal brivido del pericolo. Ciò la diceva lunga sulla sua opinione personale sull’attuale Loggia dei Ladri di Tokyo.
Takumi aveva fatto di nuovo qualche cavolata ed ora toccava lui correre a rimediare?
Doveva trattarsi di una cosa davvero grossa, altrimenti non avrebbero coinvolto Ogawa.
Finalmente si decise ad incrociare lo sguardo di Corriere e, per una volta, rispose in tutta sincerità.
- Non ne ho la più pallida idea.
Jack alzò gli occhi al cielo (stava diventando un’abitudine) e dopo aver mormorato qualcosa tipo “sapevo che avresti detto così…” gli allungò un foglietto. C’erano scritti un luogo ed una data.
Remy lo studiò per qualche secondo, il volto progressivamente più cupo.
- Non posso.
- Come scusa?
Corriere distolse di scatto la sua attenzione dalle sue unghie (molto curate per altro), stupito.
- Ho detto che non posso… meglio se vai a fare un esame audiometrico, cher
- “Cher” a tua nonna e l’avevo capito la prima volta, mister sarcasmo
Remy sorrise storto.
- E allora perché me l’hai chiesto?
- Oh… non provare a fare quel giochetto con me, Lebeau – il volto di Remy era atteggiato ad un perfetto “chi, io?”, Corriere non era affatto impressionato – Ecco! Esattamente quel giochetto… non attacca con me Lebeau, per tua norma e regola quando fai l’innocentino se più inquietante che tenero, sappilo. L’ho capito che non puoi, quello che voglio sapere è “perché”.
Fontanelle, intanto, si stava facendo tranquillamente i fatti suoi in un angolo del suo subconscio dove, a quanto pareva, c’era della tequila.
Remy incontrò lo sguardo di Jack con una sorta di freddezza.
- La mia famiglia ha bisogno di me qui, ora.
Corriere lo studiò per qualche secondo.
- Lo sai che se hanno scomodato noi, c’è sicuramente qualcosa di dannatamente importante sotto, vero?!
Remy non distolse lo sguardo.
- Oui.
Jack, dopo un attimo di esitazione, scrollò le spalle.
- Okay… l’importante è che tu lo sappia, uomo avvisato… io il mio compito l’ho fatto… ci si vede Lebeau… Fontanelle!!!
Gloria alzò distrattamente gli occhi dal suo drink.
- Mica sono il tuo taxi, signorino “ho smesso di farmela a letto a dodici anni”.
- FONTANELLE! Ricorda da chi viene il tuo stipendio!
La donna studiò l’oliva del suo martini e l’ingoiò con un rumore soddisfatto.
- Da tuo padre, giusto?
- ARGH!
Remy rise. Avrebbe dovuto portarli al cabaret, o magari venderli a qualche circo. Forse non li avrebbe più rivisti. Gli sarebbero mancati, in fondo. Ma proprio in fondo.
Il sogno stava già svanendo, la luce invadeva ogni cosa disfacendo pareti e ricordi. Corriere si voltò all’ultimo momento, un sorriso amaro ed uno sguardo un po’ triste.
- In gamba, Remy.
Remy si svegliò. Il biglietto di Corriere gli bruciava in tasca.
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Ad esattamente nove miglia e 123 chilometri ad ovest dalla base canadese del Fronte Liberazione Mutanti, Jack Gavin si precipitò in bagno in cerca di un’aspirina. Le comunicazioni oniriche lo lasciavano sempre spossato e con un gran mal di testa.
Tornò in camera da letto con un due bicchieri: un’acqua tonica ed una vodka liscia.
Sorseggiò la sua bibita gassata e passò l’altra all’ospite attualmente stravaccata sul suo costoso divano.
- Sta per succedere qualche cosa di grosso, eh?!
La sua non era una domanda e Gloria non gli rispose, ma si scolò il contenuto del suo bicchiere in un’unica sorsata.
Forse quella sarebbe stata l’ultima volta in cui avrebbe visto Remy Lebeau vivo.
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- Sei un idiota Logan! Ecco cosa sei!
- Ho detto di no, cocca, e no rimane! E’ chiaro?!
- Ma potrei esservi utile..
- Quanto un pugno sui denti… ho detto di no!
Remy aveva passato l’ultima mezz’ora a giocherellare col foglietto lasciatogli da Corriere. Aveva seguito la progressiva escalation di quella sfida a chi ha più aria nei polmoni da sprecare, dalla sicurezza di una porta socchiusa. Fissava la maniglia della Stanza della Guerra valutando se lasciarsi coinvolgere o meno: nelle baruffe tra Logan e Jubilee era meglio non entrarci. Tendevano a rivoltartisi contro ed a morderti il sedere. Fortunatamente non sempre in senso letterale.
Questa volta era doppiamente convinto di rimanere in compagnia dei fatti suoi, l’oggetto della disputa era fin troppo chiaro ed era un campo minato.
- Ti ho detto e stradetto che è solo per personale addestrato.
- Io sono addestrata!
- Jubilee…
- Fanculo Logan, mi hai addestrata tu!
Ohi, ohi… un punto per la piccola. Remy decise per una volta di dare ascolto a quella piccola saggia vocina nella sua testa ed iniziare ad allontanarsi prudentemente.
- Oh, vedi di moderare i toni, cocca… e non importa quanto tu sia addestrata: sei troppo piccola!
Jubilee sputò per terra. Nell’impossibilità di lavare quell’onta col sangue, la saliva avrebbe dovuto essere sufficiente.
- Piccola?! Billy e Sarah sono più giovani di me… e loro non sono “piccoli” abbastanza per te?!
La vena sulla tempia destra di Logan era lì, lì dallo scoppiare.
- Marrow è una Morlock e Wiccan è un fottuto stregone, smettila di strillare come un’oca in calore ed usa il cervello una dannata volta!
- E tu per una volta smettila di proteggermi! Tanto hai sempre fatto schifo a farlo!
Jubilee si bloccò piegata a metà sul tavolo in metallo, il respiro affannoso. Una buona parte di quel veleno cattivo che si era accumulato e compresso nel suo stomaco negli ultimi mesi era uscito con uno schiocco di frusta. Si sentiva svuotata.
Gli occhi di Logan si erano fatti freddi.
- Abbiamo finito qui… fila a fare le valige, Dani ti aspetta in Antartide per domani mattina.
Jubilee strizzò dolorosamente gli occhi, ricacciando indietro le lacrime di frustrazione che le erano salite in gola. Un secondo dopo e con un rumore strozzato (pericolosamente simile ad un singhiozzo) sorpassava di corsa Remy e spariva lungo il corridoio in acciaio.
I secondi si protrassero in minuti, poi la voce di Logan tuonò.
- Lebeau! So che sei lì! Muoviti ad entrare che il tempo non si è mica fermato per il tuo pisolino di bellezza!
Con un sospiro Remy appoggiò una mano sulla maniglia e si preparò mentalmente al massacro.
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Jubilee partì il giorno dopo insieme agli altri profughi del complesso. Non salutò nessuno, ma mentre la luce azzurra del portale di Wiccan si chiudeva attorno a loro, si voltò e li fissò a lungo. Forse per stamparsi nel cervello i loro volti.
Una precauzione inutile.
Remy quella mattina davanti ai pancake bruciati di Cecilia ed alle guance arrossate e sporche di cenere della donna, aveva deciso che questa volta non sarebbe morto nessuno. Non più. Li avrebbe protetti tutti. Sorrise. Forse era così che si sentiva sempre Logan prima di una battaglia.
Il giorno dopo arrivò Rachel con metà Excalibur al seguito.
Il duo canadese (cioè Jean-Paul e Logan) si sbrigò a far sentire subito le proprie proteste. Si erano aspettati molti più uomini… la collaborazione tra le due squadre partiva già male.
Rachel aveva incassato gli insulti con un sopracciglio alzato, Pete Wisdom era stato molto meno diplomatico.
- Non potevo certo lasciare sguarnito il fronte inglese.
Aveva replicato la rossa. Ed aveva ragione. Era la cosa più logica, avrebbero dovuto prevederlo.
- Chi hai lasciato a capo della banda? Meggan?
Rachel aveva scosso la testa e lanciato a Wolverine un’occhiata eloquente.
- Sage.
Logan aveva sorriso, o meglio, la sua bocca si era contorta in una specie di ghigno.
- Buona scelta.
Le discussioni non erano finite lì. Si sa far collaborare due X-team è l’incubo peggiore di ogni buon leader. Vecchie inimicizie e nuovi dissapori tendono a fermentare sotto lo spettro della morte incombente in una combinazione esplosiva. Le risse erano il menù quotidiano e si attendeva il giorno della missione quasi con impazienza. Tutto pur di liberarsi dei fastidiosi nuovi inquilini. La convivenza è alla base della distruzione di ogni tipo di rapporto.
Remy ricordava con nostalgia i bei tempi in cui dopo una bella scazzottata iniziale si andava d’amore e d’accordo. Okay, forse era un’esagerazione, ma almeno non ci si saltava al collo ogni santa volta! Aveva espresso quel pensiero ad alta voce a Logan quella sera davanti ad un boccale di birra. Logan aveva riso di gusto: “Si vede che tu non c’eri con Alpha Flight, cocco”. Remy sapeva delle tensioni passate tra i due gruppi, ma erano in Canada da così tanto tempo in quella base fornita proprio da quel team con cui avevano avuto tanti problemi, da farle sembrare infinitamente lontane.
Le antipatie, però, erano dure a morire. O almeno, così sembrava dagli sguardi glaciali che Jean-Paul lanciava a Rachel ogni volta che, per sbaglio, finivano per incrociarsi nei corridoi.
Ma Jean-Paul non era mai un buon termine di paragone. Nessuno sapeva serbare rancore come il canadese… bè…a parte Wolverine. Doveva essere una cosa dei canadesi. Strano a dirsi dai loro alci, le marmotte ed i capelli a castoro. Le apparenze (sì, sì) ingannano.
Dalla planimetria della fabbrica erano riusciti a delimitare le zone “calde” da colpire: il magazzino, le celle ed i laboratori. Avevano bisogno di sapere il più possibile sul processo di trasformazione in Sentinella se volevano sperare di invertirlo. Jeffries era stato stranamente ottimista: “Portatemi uno di quegli affari, che ci penso io…vedrete”. Madison dopo la morte di Heather e di mezza Alpha Flight non era più stato lo stesso scienziato attivo e propositivo di prima. Quel repentino cambio di atteggiamento poteva essere stato (o non essere stato) in parte causato dalle minacce di lenta ed agonizzante morte mosse da Jean-Paul. O forse si era trattato di semplice solidarietà tra vecchi commilitoni.
Tre squadre avrebbero attaccato simultaneamente su tre fronti in modo da non perdere il fattore sorpresa. Il rischio che i dati venissero distrutti era troppo alto.
Avevano un solo teleporta. Wiccan era uno dei migliori, anche dopo che Zero Tolerance aveva distrutto tutti i maggiori siti magici del pianeta ed i poteri degli stregoni erano drammaticamente diminuiti (Narya era morta quattro anni prima proprio per quello). Non avrebbe potuto trasportare più di un gruppo alla volta. Mantenere la sua sicurezza sarebbe stato cruciale. Non solo perché altrimenti Teddy avrebbe poi fatto il culo a strisce a tutti quanti, ma soprattutto perché avrebbe rappresentato la loro unica via d’uscita.
Anche se il BlackBird non fosse stato ad arrugginire sul fondo di Alkali Lake, non avrebbero comunque potuto superare la rigida contraerea di Bastion. Le Sentinelle erano riuscite ad abbattere persino l’eliveivolo dello Shield quando Nick Fury aveva deciso di averne abbastanza.
La loro strategia negli ultimi sette anni era stata una vera e propria guerriglia fatta di continui mordi e fuggi. Da tempo le figure chiave della Resistenza erano diventate i telepati ed i teleporta.
Se i primi rappresentavano l’intelligence e le comunicazioni, i secondi divenivano assolutamente indispensabili per le missioni sul campo. Per quanto increscioso fosse stato l’incidente con Magik qualche anno prima, almeno oggi Dani aveva a disposizione una teleporta tra i suoi studenti. Pixie non era stata molto convinta dello scambio, ma d’altronde un pezzo d’anima in più o in meno che differenza vuoi che faccia? I teleporta morivano come mosche. Le Sentinelle (per quanto si cercasse di affermare il contrario) non erano stupide. Il loro mezzo di trasporto e fuga era sempre il primo ad essere colpito. Praticamente essere un teleporta significava indossare un grosso bersaglio con sopra scritto “Ti prego, uccidimi”. Per quanto i tuoi compagni facessero di tutto per proteggerti, rimaneva un lavoro ad alto rischio. Era solo uno dei motivi per cui erano fortunati ad avere Billy.
Calmo, testardo, risoluto, Wiccan sapeva fare gioco di squadra. Intelligente senza essere invadente (e qui Northstar avrebbe dovuto incominciare a prendere appunti) sapeva, nonostante la giovane età, farsi valere in ogni discussione. La consapevolezza di poter morire ad ogni missione, ad ogni minimo errore, ad ogni colpo di sfortuna, lo spaventava, ma nascondeva la sua paura dietro al coraggio con cui ogni mattina si alzava e continuava a combattere. A nessuno dei rifugiati veniva chiesto di essere un eroe. Alcuni lo sono e basta.
In sintesi: Wiccan era un grande, ma non immortale e se l’avessero fatto fuori sarebbe stati tutti nella merda. Non sarebbero potuti più uscire.
Avrebbero venduto cara la pelle e probabilmente portato mezza fabbrica via con loro. Sarebbe stata una morte dannatamente eroica, ma comunque uno scambio inaccettabile. La protezione di Wiccan doveva rappresentare la loro priorità.
Gli inibitori di poteri erano un problema.
Se le Sentinelle avessero attivato i campi di soppressione, poco avrebbe contato l’incolumità di Billy, sarebbero stati fottuti comunque. Si stavano consapevolmente cacciando in una gigantesca trappola. Avrebbero fatto la fine dei topi.
No.
Gli inibitori potevano essere distrutti, i campi di soppressione disinseriti, i poteri ripristinati, la via di fuga garantita. Questa volta non sarebbe morto nessuno. Bobby. Hank. Betsy. Tempestina. Rogue. Non avrebbe perso più niente.
Lui, Jean-Paul e Prodigy sarebbero stati il primo team a sbarcare. Billy avrebbe tentato un trasporto a distanza ed alla cieca. Ergo: non sarebbe venuto con loro. Ergo: sarebbe stato infinitamente più rischioso. Remy sperava tanto di non finire in una parete. Non proprio la morte eroica che si era sempre immaginato.
Avrebbero dovuto essere silenziosi e veloci (niente esplosioni a meno che non fosse stato strettamente necessario) per recuperare dai laboratori quanti più dati possibile. Dani (dopo molte lamentele) gli aveva prestato Prodigy. Per quanto Remy fosse un discreto hacker, non era uno scienziato e non avrebbe saputo cosa cercare. Sarebbe stato meglio per tutti loro se si fossero portati direttamente Jeffries, ma, anche se fossero riusciti a staccarlo dal suo laboratorio, non sarebbe stato giusto. E neanche tanto intelligente. Con Forge morto e con Stark che era quello che era, Jeffries era l’unico inventore/tecnico/geometra/un po’ di tutto che gli fosse rimasto. Non potevano permettersi di perderlo.
Logan avrebbe guidato la squadra d’assalto insieme a Magma. Il loro compito sarebbe stato fare quello che gli riusciva meglio, cioè distruggere ogni cosa nel loro raggio visivo, in modo da attirare l’attenzione su di sé e guadagnare abbastanza tempo perché Rachel ed il suo team trovassero e liberassero Scott e gli altri prigionieri.
Sarah (dopo aver rotto talmente tanto le scatole a Logan da riuscire a farsi includere nella squadra), Rahne e Domino sarebbero state esclusivamente deputate alla protezione di Wiccan.
I tre team avrebbero dovuto agire come un solo corpo ed essere rapidi e letali. Il nemico non avrebbe nemmeno avuto il tempo di capire cosa l’aveva colpito.
Gli inibitori di poteri continuavano ad essere un problema. Quindi Remy aveva anche un’altra missione: trovare il centro di comando e distruggerlo. Gli inibitori ed i campi di soppressione potevano essere considerati alla stregua di un fastidioso sistema d’allarme e, da che mondo è mondo, non c’era antifurto capace di resistergli. Non c’era, semplicemente, partita.
Logan gli aveva affidato quell’incarico con un’espressione grave, la bocca raccolta su se stessa ed attorno al suo nuovo sigaro. Sapeva di starlo mandando allo sbaraglio. Era segno di quanto si fidasse di lui (e/o delle sue doti di ladro), ma significava anche che non avrebbe avuto copertura e che, se le cose avessero preso una brutta piega (come di solito le cose tendevano a prendere), sarebbe stato lasciato solo. Essere fatto di nuovo prigioniero da Bastion? Remy avrebbe preferito morire prima. Ma c’era solo una cosa che sarebbe stata ancora peggio: che qualcuno fosse fatto prigioniero al posto suo.
Aveva sorriso, ringraziato Logan ed accettato l’incarico. Il canadese non aveva detto niente, ma quattro ore dopo gli aveva portato una cioccolata calda. Troppo prevedibile.
Solo diciassette ore li separavano dalla corsa al massacro. I preparativi erano terminati ed ognuno aveva deciso di spendere il proprio tempo come voleva. Billy e Teddy si erano imboscati da qualche parte, Rachel (dopo una lunga conferenza telepatica con la sorellina) aveva afferrato Wisdom per la cravatta e seguito il loro esempio. Jean-Paul aveva porto il ramoscello d’ulivo ad Amara (cioè le aveva offerto da bere) ed ora i due, sotto la sorveglianza di Shan (astemia), erano impegnati ad affogare i dispiaceri nell’alcool puro (meno male che il metabolismo del velocista avrebbe provveduto a smaltire la sbornia in tempi rapidi). Rahne pregava. Sarah affilava le ossa. Logan dormiva. Da solo o in compagnia dei suoi spettri. Remy non riusciva a trovare il suo.
Forse per questo, forse per qualche altra ragione, ora si trovava in piedi a fissare una porta chiusa. Non avrebbe saputo dire per quanto fosse rimasto lì, fermo prigioniero dell’esitazione. Ore? Minuti? Infine trovò la sua risposta. Bussò.
- Un attimo…- un rumore di chiavistello dopo e la porta si aprì. – Chi… Lebeau! Cosa ci fai qui?
Cecilia Reyes aveva i capelli in disordine, al camice da medico aveva preferito la t-shirt grossa il doppio di lei con la faccia di Elmo in cui sembrava scomparire ogni volta che non c’era un’emergenza (gliel’aveva regalata lui quando lei, davanti ad un caffè, gli aveva raccontato di quando era bambina e di come “Il mondo di Elmo” le tenesse compagnia quando era sola). Aveva le occhiaie ed il volto assonnato. Forse stava per andare a letto. Remy resistette all’impulso di sistemarle dietro all’orecchio una ciocca ribelle.
Cecilia lo stava fissando forse in attesa di una risposta che non sarebbe mai arrivata. Remy incrociò il suo sguardo e lo sostenne a lungo.
Cecilia apparve confusa, poi stupita, poi ancora più confusa. Dopo un minuto lungo quanto una vita e mordicchiandosi il labbro inferiore, lo invitò ad entrare.









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Amo profondamente i fumetti Marvel e proprio per questo mi sento in dovere di fare una piccola precisazione. A volte potreste trovare alcuni elementi apparentemente in netto contrasto con la continuity (ad esempio in questo capitolo il riferimento ai genitori di Hope), ma (a meno che non si tratti di errori genuini) vi chiedo di avere fiducia in me e di aspettare la fine di questa storia, vi posso assicurare che ogni cosa sarà spiegata a tempo debito.
Ultimo appunto. Corriere e Fontanelle sono due personaggi apparsi all’interno della serie dedicata a Gambit di Fabian Nicieza (così come la Principessa Passeggera e Shirow) ed è stata una morte descrivere Gloria… soprattutto a causa di una sfortunata omonimia che ha fatto simpaticamente scoppiare a ridere mia sorella. Billy Kaplan (Wiccan) e Teddy Altman (Hulkling) sono due componenti dei Giovani Vendicatori. Yukio è una ladra giapponese amica di Tempesta ed ex amante di Wolverine famosa per un rapporto burrascoso con Gambit (il citato incidente londinese è solo uno degli esempi). Madison Jeffries (attualmente sulle X-testate) è un ex componente di Alpha Flight (famoso soprattutto per un flirt con Heather Hudson, un atteggiamento critico per le tendenze ninfomani di Aurora e per aver creato l’armatura di Box). L’antipatia di Jean-Paul nei confronti di Rachel è motivata dallo speciale Guerre ad Asgard: la persona offesa in questo caso era stata Aurora, ma tra fratello e sorella si finisce per condividere anche il risentimento. La Meggan citata è la moglie di Capitan Bretagna (visto che poi nomino Pixie, Megan Gwynn, mi sono poi resa conto del possibile equivoco). Il flirt (storia d’amore?) tra Cecilia Reyes e Remy è motivato dalla piega recentemente presa dai due sulle testate americane sceneggiate da Marjorie Liu (X-23 ed ora Astonishing X-Men). Purtroppo sono ancora inedite in Italia.
Riguardo al cognome Spalding… i più nerd sicuramente inizieranno a sospettare qualche cosa ;)
Detto questo, mi inchino ai coraggiosi che sono giunti fino a qui, ringrazio chi vorrà lasciare un segno del proprio passaggio con un commento e mi auguro di rivedervi tutti al prossimo capitolo.
theGan.
 
PS: ovviamente ringrazio Linny per le belle parole
  

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Capitolo 4
*** Tre.1 memorie ***


 

Logan e Rachel erano stati i primi ad arrivare. Remy si era presentato in anticipo di un’ora ed aveva trovato la sala gremita. La tensione tende a fare brutti scherzi ed a portarti a correre verso quello da cui vorresti più scappare.
Shan stava chiacchierando con Rahne in un angolo del salone, la giovane licantropa si era sfilata la collana col crocifisso e la porgeva alla vietnamita. Per quanto alcune delle loro convinzioni le allontanassero, le due rimanevano amiche inseparabili. Amara osservava la scena in disparte e con un sorriso un po’ strano.
L’aria era soffocante.
Logan aveva deciso di sacrificare uno dei suoi preziosi sigari e di consacrarlo alla buona riuscita della missione. Un gesto un po’ scaramantico che servì a rendere l’atmosfera irrespirabile per ragioni completamente diverse.
Pete Wisdom azzannava una sigaretta, giocherellando con l’accendino la cui fiamma si accendeva e spegneva a regolare intermittenza nell’aria spessa. Stava osservando Rachel. La rossa era impegnata con gli spazzamente.
Spazzamente. Non un termine molto scientifico in verità. Jubilee aveva rivendicato l’invenzione del termine con una soddisfazione un po’ macabra che serviva a nascondere il comune risentimento per un procedimento invasivo quanto necessario.
La Resistenza aveva informazioni da proteggere. Poche e guadagnate in cambio del sangue e di una sorte peggiore della morte. Si trattava di liste di nomi (mutanti e membri della resistenza umana), ma soprattutto di coordinate. L’occhio del satellite di Bastion entrava dappertutto, ma esistevano ancora luoghi che quel Grande Fratello non era riuscito a penetrare. Tra questi c’erano stati un tempo i tunnel dei Morlock e la vecchia sede del Club Infernale di Parigi, poi Maggot era stato catturato ed Atlas aveva rovesciato la propria furia su di loro insieme al fuoco di mille inferni. Japhet non era un codardo, ma Bastion aveva dei metodi fin troppo persuasivi. E poi c’erano i suoi telepati. Essere catturati vivi era un rischio. Se ne erano resi conto tutti dolorosamente troppo tardi. A Parigi avevano rischiato il peggio. Non si poteva più affidare la sicurezza ad una scommessa. Così erano nati gli spazzamente.
Ogni informazione ritenuta sensibile veniva cancellata dalla mente dei presenti per la durata della missione. Quando possibile veniva reintegrata in un secondo momento, ma non era raro che venisse irrimediabilmente distrutta (soprattutto quando moriva il telepate responsabile).
Lo spazzamente era un rischio ed a nessuno piaceva che qualcuno rovistasse liberamente nel proprio cervello.
Jean-Paul sembrava condividere il sentimento comune, giudicando dalla sua espressione, ma forse si trattava della sua semplice avversione per la rossa. Rachel era inginocchiata di fronte a lui, i palmi delle mani rivolti alle tempie del velocista. Le loro fronti si sfiorarono ancora per qualche secondo, poi la telepate rivolse le sue attenzioni a Shan.
Billy sedeva in un angolo, Teddy gli stava bisbigliando qualche cosa in un orecchio, le mani strette l’una nell’altra a suggellare una promessa. I teleporta erano gli unici a salvarsi dagli spazzamente (dopotutto era indispensabile che almeno loro sapessero dove andare). Remy si trovò per più di una ragione ad invidiarlo.
Non vedeva Cecilia da nessuna parte.
Qualcuno tamburellò sulla sua spalla. Remy si voltò di scatto. Incontrò lo sguardo di Rachel con una sorta di delusione. Strano. Non avrebbe dovuto sorprenderlo, ma il leggero senso di vuoto che si era fatto largo nel suo stomaco la pensava diversamente.
- Hey, Lebeau.
Remy sorrise. Era una smorfia tirata ed amara.
- Pronta al grand tour, chérie?
Rachel non disse niente ed allungò le mani. La pressione divenne insopportabile. Mille punte d’acciaio affondarono nella sua scatola cranica. Una volta Charles aveva commentato che entrare nella sua testa era come cercare di affogare un cobra in una botte d’olio. Un’esperienza parecchio spiacevole per entrambe le parti. Remy si costrinse ad abbassare le sue naturali barriere. Tanto valeva rendere la cosa più sopportabile a tutti e due. Sentì il calore della lama farsi largo attraverso il metallo fuso e poi per qualche beato secondo più niente. Il vuoto si fece largo da un punto scuro del suo cervello e lo ingoiò.
#
Le aveva comprato un mazzo di rose. Rogue le aveva guardate con scetticismo ed aveva alzato un sopracciglio.
- Cos’hai da farti perdonare questa volta?
Aveva sorriso e si era finto offeso, portandosi una mano al cuore.
- Ah, mi ferisci,chérie.
Anna Marie aveva borbottato qualche cosa di poco comprensibile e per niente lusinghiero, lui per tutta risposta, aveva approfittato della sua distrazione per baciarle i capelli. Le guance di Rogue si erano tinte di rosso per un misto di imbarazzo e sorpresa ed aveva cercato di divincolarsi dal suo abbraccio.
- Razza di un idiota… avresti potuto toccarmi!
Aveva sorriso ed appoggiato la fronte nella conca tra il collo e la spalla destra di lei. Anna si preoccupava sempre troppo per tutti e due.

#Osmoloda. Carpazi. Base della Nuova Confraternita dei Mutanti.#

 

Era da almeno sette anni che a Westchester non nevicava così tanto durante il Natale, almeno stando a quello che dicevano Charles e Scott. Se Tempesta in quel momento non fosse stata a New York con Jean avrebbe pensato che dietro ci fosse stato il suo zampino. La neve ricopriva ogni cosa, confondendola in un mantello soffice e bianco.
Jubilee aveva sequestrato Logan per il loro ormai tradizionale appuntamento con la replica di “Die Hard”. Remy era fermamente intenzionato ad imboscarsi nella Sala Comune con Bobby ed Hank e passare la serata della Vigilia in compagnia di “Star Trek: la vendetta di Khan” ed un bel sacco formato famiglia di pop corn. Rogue aveva per lui altri programmi. Così si era trovato a cedere a malincuore il suo posto al più anziano dei fratelli Summers (Jean lo aveva graziato dall’assistere al balletto, preferendo dividere quella raffinata forma di supplizio con Ororo) ed a seguire la sua fidanzata part time. A volte si domandava quale fosse il suo posto in quella relazione. Quell’incertezza lo accompagnava lasciandolo sospeso ogni volta tra quello che desiderava e quello a cui avrebbe dovuto rinunciare. Erano due spiriti liberi, ma in maniera opposta. Vivevano nel momento, ma se da un lato lui avrebbe voluto trasformarlo in una vita, per Rogue sarebbe stato come fermarsi e smettere di volare. Avevano idee molto diverse anche sul significato di volare.
Era stato così strano. Anna lo aveva trascinato attraverso due piani di scale fino a raggiungere la privacy del solarium di Ororo. Mentre il profumo delle camelie e delle ginestre gli invadeva i polmoni, Rogue gli fece scivolare un pacchetto tra le dita. La carta regalo era gibbosa, spiegazzata e tenuta insieme da decisamente troppo scotch. Anna doveva averlo fatto con le sue mani. Remy, solo per questo, impiegò una doppia cura per estrarne il contenuto. Si trattava di un volume spesso, quadrato e con una copertina di un bel cuoio marrone. Un album.
Aveva cercato lo sguardo di Rogue che aveva evitato il suo con le guance rese rosse da una soddisfazione mista ad imbarazzo. Remy aveva sfogliato le pagine di fine filigrana con mani quasi timide. Fotografie. Fotografie di loro due.
La partita di basket, il viaggio in carrozza in cui Anna aveva cercato di rivelargli il suo vero nome, il loro primo anniversario, gli X-Men… ce n’erano persino di una piccola Rogue (inconfondibile con quel ciuffetto bianco e l’espressione imbronciata) seduta su un’altalena e di lui insieme ad Henri e Mercy (doveva aver complottato con Jean-Luc o, più probabilmente, con Tante Mattie, alle sue spalle). All’ultima fotografia seguivano infinite pagine bianche. Aveva guardato Rogue con un’espressione strana a metà tra la commozione e la meraviglia. Anna aveva incrociato il suo sguardo e un qualcosa di caldo si era insaccato nel suo stomaco. Non c’era incertezza nella sua voce quando gli disse:
- I bei momenti non mi bastano, voglio una vita.


#Antartide. 86° 06' di latitudine sud e 40° 58' di longitudine est. Polo Sud Magnetico.
Sede dei Nuovi Mutanti e rifugio della Resistenza.#


Una zona felice. Doveva concentrarsi sulla sua zona felice.
L’odore dei biscotti alla cannella di Tante Mattie al mattino e l’umidità del Mississippi che dolcemente ti penetra nelle ossa.
Esilio, non avrebbe mai più rivisto New Orleans e la sua famiglia.
Henri che con un sorriso goffo gli insegnava a ballare il valzer, mentre i suoi piedi di bambino continuavano ostinatamente a schiacciare i suoi.
Suo fratello era morto. Un cecchino gli aveva spaccato la testa in due davanti ai suoi occhi.
La sua Tempestina. Le labbra di Jean quando le aveva rubato un bacio nella Stanza del Pericolo. Rogue che durante la vigilia di Natale gli sussurrava all’orecchio il suo vero nome insieme alla promessa di un per sempre.
Morte. Morte. Tutte morte.
I cani di Bastion premevano, graffiavano, penetravano, ispezionavano con i loro bisturi e le loro macchine e lui non poteva fare altro che urlare.

# Briston, Norfolk, Regno Unito.
L’attuale base di Excalibur si nasconde all’interno del suo sistema fognario.#


Aveva aperto gli occhi su un volto sconosciuto. Sentiva gli aghi premere contro la sua pelle e rovesciare nelle sue vene le droghe che lo avrebbero stordito e reso inerme. Le luci al neon erano dolorosamente bianche. Si scoprì libero per la prima volta dopo settimane. L’attesa di un battito e le sue mani corsero al collo della sconosciuta. Non più. Non sarebbe stato una cavia mai più. Strinse.
Due robuste braccia lo afferrarono da dietro e lo costrinsero ad abbandonare la presa tra le urla ed i calci. Panico. Il suo cervello era invaso da una nebbia scura che penetrava più a fondo ad ogni respiro, premendo, soffocando. Aveva bisogno di aria, di correre, di uscire. Poi la vide.
Anna Marie era al suo fianco, aveva allungato le braccia e preso la sua testa tra le mani con una delicatezza innaturale. Stava sussurrando qualche cosa piano, come si fa con le bestie ferite. Un’altra voce più bassa e maschile stava urlando nelle sue orecchie.
- Cristo, Lebeau torna in te!
Lo conosceva. Anche la dottoressa che ora era in piedi e si massaggiava lentamente il collo gli era stranamente famigliare. Incontrò gli occhi di Rogue e sostenne il suo sguardo a lungo, come se in quel verde avesse potuto trovare tutte le risposte del mondo.
- Calmati- gli stava dicendo. – Calmati, dolcezza, sei tra amici ora.
Non era un trucco. Anna non gli avrebbe mai mentito. Dov’era?
La stretta attorno alle sue spalle diminuì e Remy lasciò che il suo corpo vi si abbandonasse senza resistenze.
- Va tutto bene, cocco… calmati, sei tra amici.
Sì. Conosceva quella voce. Apparteneva al ricordo di una vita fa. Aggrottò le sopracciglia e cercò il volto del suo carceriere. Incontrò lineamenti duri, ruvidi e preoccupati. Gli ricordavano l’odore della benzina e di serate passate a discutere davanti ad una birra.
Logan?
Dovette averlo detto ad alta voce, perché l’uomo sorrise.
- Bentornato, cocco.

#Montagne rocciose canadesi. Snow Dome. Confine tra l’Alberta e la Columbia Britannica.
Attuale e principale sede del Fronte Liberazione Mutanti.#


Il calore della fronte di Rachel abbandonò la sua, lasciandolo un po’ più solo e freddo nell’affollato salone metallico. Non incrociò lo sguardo della rossa né lei cercò il suo. Remy odiava gli spazzamente. In questo era secondo, forse, solo a Logan. Ma entrambi avevano da tempo imparato l’arte di piegare le esigenze personali a madama necessità. In quei tempi erano costretti a farlo un po’ tutti. Gli spazzamente riaprivano ferite, mai davvero chiuse, e ci spalmavano in allegria un po’ di sale sopra. Quei tour guidati nel suo cervello lo lasciavano frastornato e sempre più povero di qualche cosa. Si portò una mano alla tempia destra. Era impossibile cancellare con precisione un frammento di memoria in una mente sfuggevole come la sua. Qualche cosa di prezioso finiva ogni volta per andare perduto. Amava Rachel con tutto il suo cuore, ma voleva lei e gli altri telepati lontani dal suo cervello. I suoi ricordi erano l’unica cosa per cui valesse ancora la pena di vivere. Non voleva nessuno a farci casino.
Logan marciò al suo fianco e gli calò pesantemente una mano sulla spalla.
- Pronto?
Remy si trovò suo malgrado a sorridere.
- Se dico di “no” cambia qualcosa?
Il canadese strinse la presa e lo costrinse ad incontrare il suo sguardo.
- Sì. Se non te la senti, non obbligo nessuno io, ma ho bisogno di te.
C’era sincerità in quegli occhi stanchi di seppellire amici e compagni. Una sincerità che lo lasciò per un attimo sconcertato. Logan faceva sul serio. Remy sorrise. Nonostante artigli e reputazione il canadese era un tozzo di pane.
- Oh, mon ami, guarda che così mi fai arrossire…non ti preoccupare, so che hai bisogno che qualcuno tenga la tua artigliata manina.
Logan grugnì e gli rifilò una spallata. Ahi. Remy strizzò gli occhi e cercò di mantenere un contegno virile. Ahi.
- Cristo Logan!
Il canadese non disse niente e sorrise storto. Un attimo dopo aggrottava le sopracciglia ed annusava eloquentemente l’aria. Ahi alla terza. Quell’espressione non portava mai a niente di buono. Logan lo fissò. Scettico.
- Vedi di non fare casino, cocco.
Remy alzò un sopracciglio e sfoderò uno dei suoi migliori sorrisi sornioni.
- Allora mi sa che hai scelto la persona sbagliata, non?
Logan portò una mano al sigaro acceso e ne inalò pensosamente l’aroma insieme al fumo. Nei suoi occhi si era accesa una luce contemplativa.
- Cecilia Reyes è una gran donna.
Remy sospirò.
- Qualcuno dovrebbe farti notare, prima o poi, che quella cosa che fai quando annusi la gente è altamente inquietante,cher…- una pausa. – Lo so.
Il canadese annuì.
- Merita di meglio.
- Lo so.
Stettero così a lungo, nella compagnia reciproca del loro silenzio. Remy ne approfittò per accendersi una delle quattordici sigarette che aveva recuperato dalle incustodite tasche di Pete Wisdom lo scorso pomeriggio (davvero qualcuno avrebbe dovuto insegnare a quel damerino inglese ad avere maggiore cura delle sue cose). Wisdom avrebbe dovuto ringraziarlo: il fumo, dopotutto, uccide.
Le luci al neon diffondevano la loro luce fosforescente sui volti degli invitati a quell’insolita danza. Uno ad uno prendevano il loro posto. Jean-Paul aspettava che Prodigy finisse di complottare a mezza voce con Jeffries. Domino e Sarah erano già al fianco di Wiccan. Teddy aveva salutato il suo fidanzato con un bacio a fior di labbra e la promessa di non morire (come se certe cose potessero essere promesse così alla leggera) ed aveva raggiunto Amara. Erano pronti. O almeno credevano, ragionevolmente, di esserlo. Rachel si avvicinò a loro e Logan gli strizzò nuovamente la spalla, come a voler sottolineare un concetto. Remy sorrise, gli fece l’occhiolino e raggiunse Northstar, David e Billy. Era il momento del discorso. Non se lo sarebbe perso per niente al mondo. Capitava troppo raramente di vedere Wolverine sulle spine.
L’irsuto canadese aspettò che tutti fossero al loro posto e che Rachel fosse al suo fianco.
- Non credo ci sia bisogno di molte parole, cocchi. Qui siamo tutti gente addestrata ed anche se sulla maturità di qualcuno avrei qualcosa da ridire…- e qui per qualche ragione Logan si sentì in dovere di lanciare un’eloquente occhiata in sua direzione (ma dico) – Sappiamo tutti i rischi a cui andiamo incontro e quindi non mi sembra il caso di stare qui a rompervi le palle. Sono dannatamente orgoglioso di ognuno di voi e sarà un onore per me morire al vostro fianco, gentaglia.
Il suo sguardo si posò su ognuno di loro. Più velocemente sui membri di Excalibur, per piantarsi nelle facce di chi aveva conosciuto personalmente e più a lungo. Shan, Amara, Northstar, Rahne. Incontrò anche quello azzurro di Domino con una certa tenerezza (Logan, che mi combini).
- Ma non sarà questo il giorno. Oggi non ci saranno funerali, è chiaro?! Perché faremo il culo a Bastion ed alla sua fabbrica di tostapane! E lo faremo per Kurt, per Sam, per Johnny e per tutti quelli che ci hanno portato via quei fottuti bastardi. Questa notte risuonerà delle loro urla. Vi voglio carichi, vi voglio pronti e soprattutto vi voglio vivi per festeggiare. E’ chiaro?!
Il boato echeggiò attraverso le parete, facendo vibrare i muri. La stanza intera era la loro grancassa. Oggi tutti loro erano leoni. Una scarica elettrica attraversava ognuno di loro partendo dalle ginocchia ed unendosi in quella pulsante energia collettiva che faceva battere il cuore della sala di acciaio. Al di là delle squadre. Al di là delle antipatie o degli screzi personali, per la prima volta erano davvero compagni. Era anche ora. Non c’è niente di meglio che la promessa di un po’ di sangue e distruzione e la minaccia di una lenta, agonizzante morte per fare cominciare a ragionare le persone. Niente più Excalibur o Fronte di Resistenza o Nuovi X-Men. Questa volta Bastion avrebbe avuto a che fare con un bel po’ di mutanti incazzati.
Gli occhi verdi di Rachel brillavano del fuoco di mille braci.
- Per Scott.
Disse semplicemente. E la stanza esplose di nuove grida.
Buffo. Solo una manciata di persone lo avevano conosciuto. Doveva essere quello il potere dei simboli.
Incontrò il sopracciglio sollevato di Logan e capì che era tempo. E va bene. Basta con gli indugi. Il suo team doveva essere il primo a sbarcare. Fece un gesto a Northstar ed a Prodigy e si piazzò con aria sicura (tutta di facciata) di fronte a Billy.
Lo stregone li guardò uno ad uno. Sembrava più teso lui di tutti loro messi assieme. Remy e David gli sorrisero incoraggianti.
- Okay… allora, vediamo… siete pronti?
Jean-Paul alzò gli occhi al cielo.
- Sapristi, ragazzo. Non balbettare e vediamo di darci una mossa.
Northstar. Ah, sempre così delicato, dolce e comprensivo. Un perfetto gentleman. Billy annuì ed iniziò a recitare.
-LaboratoriAlamogordoNuovoMessicoLaboratoriAlamogordoNuovoMessicoLaboratori…
L’aria si accese di mille scintille di energia statica. Sembrava quasi che la terra stessa pulsasse. Da qualche parte iniziò a soffiare un vento la cui intensità cresceva e cresceva a dismisura. Una specie di tornado che, partendo dai loro piedi, saliva ed avvolgeva i loro corpi in un abbraccio freddo ed elettrico.
- LaboratoriAlamogordoNuovoMessicoLaboratoriAlamogordoNuovoMessicoLaboratori…
I contorni della stanza si facevano più indistinti ora. Come se stesse osservando il mondo attraverso le lenti di un presbite. Tutto si faceva sfuocato in quell’energia viva e ruvida che tingeva il mondo di sfumature di azzurro.
- LaboratoriAlamogordoNuovoMessicoLaboratoriAlamogordoNuovoMessicoLaboratori…
Il blu era quasi accecante ora. Un movimento improvviso attirò la periferia del suo sguardo. Remy strizzò gli occhi in due fessure. La luce bruciava iridi e sclera. Cecilia. Era venuta a dirgli addio. Gentile da parte sua.
- LaboratoriAlamogordoNuovoMessicoLaboratoriAlamogordoNuovoMessicoLaboratori…
Billy doveva decisamente lavorare ad un’altra formula per i suoi incantesimi di trasporto. Quella lagna gli si stava scolpendo nel cervello. Avrebbe passato il resto dei prossimi due mesi a canticchiarla sotto la doccia (contando di sopravvivere, chiaro). Chiuse gli occhi. Una sensazione di freddo si agganciò al suo stomaco, lo strizzò come un artiglio e tirò. Lo strattone gli fece mancare l’aria. Il vuoto si aprì sotto i suoi piedi. Giusto il tempo per giurare a dita incrociate che non si sarebbe più lamentato della pedanteria dello stregone ed era in caduta libera.
- LaboratoriAlamogordoNuovoMessicoLaboratoriAlamogordoNuovoMessicoLaboratori…
La voce moriva alle sue spalle. Remy incrociò le dita e sperò tanto di non finire in una parete.
#
Non finì in una parete. E questo di per sé era già un fatto molto positivo. In compenso si trovò lungo e disteso con la faccia premuta contro qualche cosa di sorprendentemente caldo. Il tempo di realizzare che sì era vivo e che sì, tutti gli organi erano ancora al suo posto (mosse un paio di volte le dita dei piedi, giusto per sicurezza) e si rese anche conto di trovarsi in una posizione estremamente sconveniente.
- Rapporto?
Gracchiò non appena ebbe aria sufficiente per farlo. Prima le cose importanti.
- Merde. Je déteste la magie.
Remy tentò di scastrarsi senza molto successo dalla sua attuale posizione ed incontrò il volto stravolto di Jean-Paul con un sorriso un po’ maligno.
- Oh, cher… non dirmi che è piaciuto solo a me.
Le sopracciglia di Northstar si avvicinarono pericolosamente a formare un angolo retto. Che bello, stavaper esplodere. Il velocista si divincolò nel tentativo di levarsi il cajun molesto di dosso. Remy dalla sua posizione a cavalcioni dello sfortunato compagno, scoppiò a ridere di gusto.
- Fanculo, Lebeau…
- Prima tu, cher.
- Ehmm, ehmm…
I due aspiranti adulti dellasala si voltaronodi scatto verso la sorgente dell’intrusione. Raggelati. Prodigy li stava fissando con una combinazione di meraviglia, orrore e frustrazione (e forse giusto, giusto una punticina di disgusto). Praticamente la reazione che si ha di solito quando si contemplano le bestie esotiche di qualche circo.
- Signor Lebeau, signor Beaubier. Non sarebbe il caso di procedere con la missione ?
Una rapida occhiata intorno. Stanza bianca, luce asettica, ordinato caos di cavi e schermi fluorescenti. La realtà della situazione gli crollò addosso.
Oh. I due mutanti presumibelmente maturi ed adulti ed a capo di quella spedizione si disistricarono dalla loro attuale posizione con un certo malcelato imbarazzo. Remy si augurò che i suoi informatori non gli avessero tirato un bidone e che nei laboratori il sistema di allarme fosse davvero disinserito.
Oh bhè. Doveva essere così. Altrimenti a quest’ora si sarebbero già ritrovati tutta Zero Tolerance addosso con il casino che avevano fatto. A meno che Bastion non avesse un senso dell’umorismo perverso ed ora le Sentinelle non fossero appostate dietro una di quelle porte pronte a fare “Bu bu settete”.
Okay, Lebeau. Basta con le cazzate e concentrati.
- Puoi ricavare qualcosa da questi terminali, David?
Il giovane prodigio stava già eseguendo l’ordine di Northstar e calando sulle tastiere. Le mani di Remy lo agguantarono per i polsi.
- Calma, calma petit, non si può mai sapere cosa ci sia collegato a questi arnesi…
Gli occhi di David si allargarono come due palle da biliardo attraverso la barriera dei suoi occhiali. Jean-Paul sollevò un sopracciglio.
- Mi era sembrato di capire che i laboratori non fossero sorvegliati.
Remy annuì. Aveva già studiato e memorizzato i dintorni. La stanza era un lungo parallelepipedo bianco e grigio. Quattro porte si aprivano su tre lati, mentre uno rimaneva cieco. Contro quella parete giacevano addossati macchinari di varia foggia sul cui scopo preferiva non indagare. Da un rapido confronto mentale con la planimetria stampata nel suo cervello, si trovavano con buona probabilità al terzo piano interrato del complesso. Quasi certamente in uno dei sette laboratori destinati alla raccolta ed all’analisi di tessuti e campioni mutanti. Raccolta. Remy si costrinse a non vagare troppo a lungo con lo sguardo sui quei lunghi tavoli in acciaio o sulle loro cinghie o sugli strumenti che popolavano i loro dintorni. Doveva rimanere lucido. In controllo. Non era il momento per perdersi nel viale dei ricordi.
Quattro porte. Avrebbero dovuto essercene tre. Ce n’era una in più. La cosa iniziava a puzzare. Meglio procedere con prudenza.
- Northstar sta vicino a Prodigy.
Il canadese annuì, ma avrebbe preferito sbuffare. Tutto della sua espressione diceva chiaramente “ma no, genio, non ci sarei mai arrivato da solo”. Lavorare con Jean-Paul era sempre un piacere.
Secondo la planimetria dell’edificio al piano inferiore, precisamente sotto di loro, si trovava il cuore del complesso: il terminale di archiviazione. I dati che gli occorrevano dovevano trovarsi per forza lì. Al diavolo. Sarebbe stato troppo chiedere che per una volta Billy avesse azzeccato le coordinate al primo colpo. Oh bhè… con quella planimetria leggermente datata era già qualcosa che non fossero finiti in una parete o faccia a faccia con una Sentinella. Ottimismo! Avrebbe potuto andare molto (ma molto) peggio. Ed ora iniziavano i guai. Dovevano essere più che rapidi: Logan e Rachel li avevano concesso appena una mezz’ora prima di arrivare e cominciare a fare casino. Erano ancora troppo distanti dal loro obbiettivo.
Avrebbe potuto usare i propri poteri e scavare un buco in modo da accedere direttamente al piano inferiore o ordinare a Northstar di prendere il ragazzo e dare una dimostrazione di quella velocità di cui si vantava tanto. Ma l’esplosione avrebbe fatto troppo rumore ed attirato un tipo di attenzione che sarebbe stato preferibile evitare. Al contrario, se Jean-Paul avesse trovato resistenza sul suo cammino si sarebbe trovato del tutto solo (Prodigy non prevedeva nel suo arsenale particolari capacità offensive).
Negli anni a venire Remy avrebbe ripercorso ogni istante di quella maledetta giornata passo, passo, ma non sarebbe riuscito a trovare, sulla base di quelle premesse, un’alternativa soddisfacente a quello che sarebbe stato il loro piano d’azione.
- Statemi vicino mes braves e preghiamo che le Sentinelle di Bastion siano troppo occupate a confrontarsi le carrozzerie.
La discesa fu estenuante. Il lungo corridoio metallico si snodava di fronte a loro, portando con sé le promesse degli orrori dell’inferno dantesco. Cavi di rame e plastica punteggiavano le pareti tappezzate di lastre di spesso metallo in una specie di danza blasfema. Stavano penetrando nel cuore pulsante di quel complesso. Aguzzando le orecchie si potevano sentire i battiti del mostro metallico scandire il tempo che li separava dalla fine. Procedevano con cautela. Ogni minimo rumore, anche immaginario, li faceva bruscamente arrestare e cercare rifugio nella santità di un’ombra. Per poi riprendere la loro silenziosa marcia verso il cervello meccanico con ancora più dubbi e più suscettibili di un gatto a cui è stata appena pestata la coda. Le scale erano vicine. Le lancette dell’orologio mentale di Remy ticchettavano inesorabili. Era frustrante. Essere sempre nell’attesa di un attacco, temere ad ogni istante di essere sorpresi a ficcare il becco nelle cose altrui. Oh. Normalmente quello sarebbe stato il pane e la cena di Capodanno per un ladro come lui, ma la corsa di quel brivido piacevole lungo la sua spina dorsale era arrestata dalla prigione dei flashback e dalla consapevolezza di non essere solo, questa volta, in quel casino. Aveva Jean-Paul e David al suo fianco a cui badare. Non ci potevano essere errori. Non se li poteva permettere. La loro sicurezza era affidata alle sue scaltre mani. Poveri. Erano davvero messi male.
Remy non era mai stato un buon giocatore di squadra. Era un lupo solitario, ma diverso da Logan. Aveva passato l’infanzia troppo lontano dal suo branco ed ora da adulto gli riusciva impossibile integrarsi. Avrebbe preferito aver solo la responsabilità della sua pellaccia in quei corridoi freddi e caldi. David e Jean-Paul erano, tutto sommato, una raffinata palla al piede.
Un rumore ed un’ombra li fecero arrestare a catena e trovare rifugio dentro la prima porta. Grosso errore. La stanza non era vuota, ma era come se lo fosse. L’odore della carne bruciata colpì le loro narici come un pugno allo stomaco. Fuori il corridoio risuonava di lenti, regolari, passi metallici. Remy si concentrò su quelli e sul modo in cui si erano pericolosamente interrotti, piuttosto che sul trasalire dei propri compagni di squadra. Non poteva permetterselo.
Sentinella. Passo leggero. Probabilmente una vecchia Mark1 ancora in funzione. Forse la utilizzavano per lucidare i pavimenti (davvero buffa come immagine mentale). Qualunque fosse stato il suo incarico, non gli andava per niente a genio e che si fosse fermata proprio davanti alla loro porta. Trattenne il respiro ed afferrò saldamente le spalle dei propri compagni costringendoli a fare lo stesso ed arretrare ancora di qualche passo. Il tempo di un secondo e la luce azzurra del bioscanner iniziò a filtrare attraverso le fessure della porta chiusa. La penombra si illuminò. Un attimo prima in quel raggio c’erano stati i loro piedi. Merda. C’era mancato poco.
Incontrò lo sguardo di Jean-Paul e si portò una mano davanti alla bocca. Il velocista annuì e tese le orecchie in ascolto. Dopo un’attesa lunga minuti e riempita dai battiti frenetici dei loro cuori, la luce fosforescente si ritirò. Un attimo dopo il rumore metallico dei passi della Sentinella riprese e svanì lungo il corridoio. Pericolo scampato. Era ora di riprendere la marcia. Restava loro solo un quarto d’ora e le scale erano vicine.
- So… Sofia?
La voce di David era un pigolare appena percettibile. Dannazione. Avrebbe preferito evitarlo. Remy fece l’errore di girarsi.
Sofia Mantega era stata una delle migliore studentesse di Dani. Secondo Cannonball aveva tutte le qualità necessarie per diventare un leader straordinario. Disponibile, decisa, caparbia, generosa. Tanto da tornare in Venezuela durante i primi bombardamenti per assicurarsi che suo padre ed il suo vecchio maggiordomo fossero al sicuro. Non avevano avuto sue notizie da allora.
Il corpo che prima era stato umano era bruciato dai lombi in giù. Piastre metalliche erano visibili sotto la pelle dove il sangue rappreso aveva lasciato il posto ad un sottile strato di pus. Cavi partivano da ogni orifizio e da tagli trasversali su braccia e gambe come i tentacoli di una gigantesca piovra. Aghi spessi un dito pompavano un liquido verdastro dove un tempo aveva battuto un cuore. Gli occhi bianchi della Sentinella Mark3 erano privi di orbita e fissavano il soffitto vuoto, la bocca raccolta in una specie di grido.
Doppia merda. Dovevano portare via David da lì. Fece un cenno a Jean-Paul, ma l’attenzione del velocista era concentrata su tutt’altro al momento. Gli occhi azzurri erano pericolosamente umidi e sottili, non c’era che l’esile filo del proprio autocontrollo a fermare Northstar dal rovesciarsi su macchine e computer con una furia distruttiva peggiore di quella di Hulk. Sofia era stata una delle sue studentesse migliori.
Remy aveva visto di peggio (e poi non poteva permettersi di vomitare). Il canadese si riprese dall’incantesimo in cui quella macabra apparizione li aveva gettatiti.
- Andiamo garçon, non c’è niente da vedere qui.
Per quanto il suo francese fosse molto migliore del creolo bastardizzato di Remy, Jean-Paul raramente si concedeva simili cadute linguistiche (a meno che non servissero ad escludere la gente o a relegarla ad un gradino più basso). Ciò testimoniava più di tanto altro, quanto fosse sconvolto.
Remy si domandò se le informazioni che stavano cercando non si fossero trovate proprio in quella stanza. Sarebbe stato assai più conveniente per tutti se si fossero fermati lì, senza proseguire ulteriormente (senza dubbio più salutare). Avrebbero risparmiato tempo ed avrebbero evitato il rischio di altri incontri ravvicinati del terzo tipo come quello di prima (le Sentinelle che cazzeggiano in giro, sono più pericolose di quelle appostate ai propri posti di guardia).
Una vera pacchia.
Peccato li costringesse a far lavorare un ragazzo di poco più di vent’anni accanto al cadavere della propria migliore amica. Oh e nessuno assicurava loro che avrebbero trovato lì i dati che gli servivano. Se, una volta inserite, le informazioni venivano inviate direttamente al cervello centrale per l’archiviazione, la loro si sarebbe rivelata solo una crudele perdita di tempo. Oltretutto non era mai troppo sicuro lavorare fianco a fianco con una Sentinella. Sofia sembrava spenta, ma Remy preferiva non rimanere per vederla svegliare. Dovevano andare via. Possibilmente di corsa. Prima di subito sarebbe stato meglio.
Jean-Paul, facendo rara mostra di empatia e calore umano, aveva estratto le mani di David da quelle altrettanto gelide della Sentinella Mark3 ed aveva preso posto di fianco a Remy, continuando a mormorare le più disparate sciocchezze francesi all’orecchio del ragazzo.
Un’intesa di sguardi e dopo una manciata di secondi, stavano nuovamente strisciando lungo il corridoio. Raggiunsero le scale senza ulteriori incidenti. Scesero gli scalini a due, a due, facendo attenzione ad attutire i loro passi. La bocca dell’inferno spalancò le sue fauci e loro si lasciarono ingoiare.
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Rachel Grey era nervosa. Da quando il primo team era sbarcato venti minuti prima, non aveva smesso di passeggiare avanti ed indietro per un secondo. Presto o tardi i suoi piedi avrebbero lasciato il solco. “Qui camminò Rachel Grey, Fenice, Signora dei Mutanti”… sarebbe suonato bene su una targa. Aveva ricontrollato fino alla nausea insieme a Logan ogni dettaglio. Tutto doveva essere perfetto. Comunicazioni radio (nel caso gli inibitori avessero messo la telepatia fuori uso), pistole cariche, orologi sincronizzati. Quello che però le serviva maggiormente al momento era un sacchetto per il vomito. La tensione le stava facendo prudere le mani. Aveva bisogno di fare qualche cosa ed al più presto. Dannazione. Avrebbe preferito esserci lei in prima linea allo sbaraglio: quell’attesa la stava uccidendo.
Non era mai buona norma per un capo mostrarsi nervoso prima di una possibile spedizione suicida (o prima di una missione, punto), ma i membri di Excalibur ormai avevano fatto il callo agli umori volatili della rossa. Per quanto riguardava quelli del Fronte di Resistenza invece… oh bhè, tanto facevano più riferimento a Wolverine che a lei.
Cinque minuti prima Shan (benedetta ragazza) le aveva portato un bicchiere di camomilla. L’aveva ringraziata con una punta di sorpresa e si era scoperta, non per la prima volta, felice di avere la vietnamita come compagna in quell’assurdo viaggio. Papà…
Il bicchiere di plastica le si accartocciò tra le dita. Tra meno di un’ora avrebbe rivisto Scott Summers. O quello che ne restava.
La prima volta in cui l’aveva incontrato in quel passato così diverso dal suo futuro, non aveva avuto il coraggio di dirgli il suo nome. Aveva aspettato tanto e troppo a lungo. Non si era fatta convincere dagli incoraggiamenti di Kitty o del Professore. Era stata così terrorizzata dallo sfiorare quel sogno per paura che le si sfaldasse tra le dita. Aveva odiato Nathan. La sua nascita le aveva fatto conoscere l’orrore di una realtà di cui non sarebbe mai stata parte. Non uno dei suoi momenti migliori, ma, dopotutto, a quel tempo indossava ancora i panni della straniera, della pellegrina di passaggio in quel mondo così nuovo e così terribilmente famigliare. Quando suo padre aveva sposato sua madre ed era nata Hope, aveva sentito di appartenere per la prima volta a qualcosa. Si assomigliavano così tanto lei e la sua sorellina che forse (ma proprio forse)…
Aveva cominciato a credere di aver portato con sé un pezzetto del proprio futuro.
Sarebbe stato meglio morire prima.
Non c’era che morte, sangue e dolore ora e Rachel non poteva smettere di pensare che forse era colpa sua. Non si gioca con il tempo. Non è qualche cosa che una prestigiatrice come lei era in grado di controllare. E’ più di un trucco e nessuno può prevedere cosa la risacca porti nella sua rete.
Ancora un’ora e la sua sorellina avrebbe potuto conoscere suo padre. Era tutto ciò che contava. Sarebbero state al suo fianco e lo avrebbero aiutato a riprendersi da qualsiasi cosa gli avesse fatto quel bastardo di Bastion. I Summers erano dei combattenti. E, soprattutto, una famiglia.
Aspettami papà, sto arrivando.
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- Okay… questo è molto strano.
Il centro del cervello meccanico era… un cervello. Letteralmente. Tutto grigiastro (non rosa come si vede nei cartoni animati), molliccio e sospeso in una massa gelatinosa verde. Urgh. Che schifo.
David era già all’opera sui terminali.
- Ti prego dimmi che quello non è il cervello di Charles Xavier.
- Non è il cervello di Charles Xavier.
Okay. Fiù. Mai stato tanto felice in vita sua di sentire la voce sarcastica di Northstar. Se Bastion avesse avuto il cervello del più potente telepate del mondo tra le sue grinfie, non sarebbe rimasto altro da fare che pregare.
David allontanò il volto dagli schermi fluorescenti e si passò una mano sopra gli occhi stanchi.
- Per caso conoscete una telepate chiamata No-Girl?
I volti di Jean-Paul e Remy si colorarono della stessa espressione: orrore puro.
Oh cacca pupù.
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- Rachel, sei pronta? Tocca a noi.
Pete Wisdom. Se qualcuno dieci anni prima le avesse parlato del posto speciale che quel mariuolo inglese avrebbe occupato nel suo cuore, gli sarebbe scoppiata a ridere in faccia. Ma Kitty era sparita, Kurt era morto e niente era stato più lo stesso. Neppure Lockheed. Ora il draghetto e la spia andavano d’accordo almeno sul lutto. Rachel si sporse in avanti e grattò la testolina del drago viola.
- Ciao, piccolino.
Lockheed dall’alto della spalla di Wisdom soffiò cenere e vapore con aria beata.
- Quanto a te…
La giovane leader di Excalibur reclamò le labbra dell’ex agente segreto in un bacio appassionato.
- Vedi di stare attento.
- Non lo sono sempre?
- Fai il bravo.
- Non lo faccio sempre?
Rachel alzò gli occhi al cielo e piantò l’indice della mano destra esattamente tra gli occhi della spia.
- Ti tengo d’occhio.
Wisdom sorrise. Gli occhiali scuri scivolarono lungo il naso acuminato, rivelando due occhi marroni e divertiti.
- Non lo fai sempre?
Rachel, per tutta risposta, gli scoccò un altro bacio sulla guancia.
- Sei impossibile.
L’ex agente del governo britannico le prese una mano e vi piantò un bacio a sua volta.
- Ci provo.
- Ahem. Piccioncini, vogliamo smetterla di tubare e vedere di darci una mossa, eh?!
Logan. Vincitore per quattro anni consecutivi del premio “impiccione dell’anno”. Davvero, il canadese sembrava spuntare a sproposito esattamente in quelle situazioni in cui era meno richiesto. Insopportabile. Specialmente quando, come in questo caso, aveva ragione.
Strinse la mano di Pete e gli ficcò una giocosa pacca sul sedere. Sua proprietà e guai a chi gliela toccava.
- Arrivo, arrivo… non è il caso di essere così suscettibili solo perché tu non hai nessuno da sbaciucchiare.
Risatine. Logan alzò un sopracciglio.
- Questo lo dici tu, cocca.
Domino accovacciata al fianco di Wiccan era impegnata a controllare il carrello delle proprie pistole, ma trovò ugualmente il tempo per strizzargli l’occhio e sorridere. Neena avrebbe avuto molto da spiegarle più tardi.
Fece un cenno a Shan e si accomodò al suo fianco. Uno ad uno tutti i membri di quella sgangherata banda di aspiranti suicidi si disposero in cerchio attorno a Wiccan.
Logan grugnì e spense il suo sigaro.
- Quando vuoi, cocco.
Il ragazzo annuì, lanciò una rapida occhiata rassicurante a Teddy ed iniziò a salmodiare.
- MagazzinisecondopianoalaestAlamogordoNuovoMessicoMagazzinisecondopianoAlamogordoN..
Nella luce azzurra Rachel trovò la mano di Wisdom e strinse.
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Martha Johansson era una telepate. Una abbastanza dotata in verità, almeno se stavano a quanto i protocolli di Xavier dicevano di lei. Ora era un cervello fluttuante.
Un cervello fluttuante che, molto probabilmente, li avrebbe spediti tutti quanti al creatore. Se non sono questi i casi della vita.
Una telepate. Dannazione. Non avrebbe potuto immaginare un sistema d’allarme più insidioso. O più pericoloso. Lui aveva i suoi naturali attenuatori alla telepatia, ma Jean-Paul e David…
Bastion a quest’ora sapeva di loro, come minimo. No. Era molto peggio. Sapeva chi stava per arrivare e dove e loro non avevano nessun mezzo per avvisare i loro compagni. Merda! Sapeva che quel piano sarebbe stato un totale fallimento fin da quando Logan aveva iniziato ad annuire ad ogni sua proposta ed ad essere così dannatamente accondiscendente.
- Ehmm, scusate…
Calmati Lebeau, niente panico.
- Jean-Paul…- il velocista scattò prontamente in sua direzione. – Prendi David e corri ai magazzini del secondo piano. Avverti gli altri non appena ti sarà possibile.
Northstar apparve stranamente indeciso. Prodigy continuava a balbettare qualche cosa di irrilevante.
- Scusate, ma credo proprio che…
- E tu?
Proprio adesso Jean-Paul doveva incominciare a fare il sentimentale?!
- Io niente. Prendi il ragazzo e muoviti. Logan e gli altri stanno per marciare in una dannata trappola!
David si schiarì la voce.
- A questo proposito vorrei dire che…
- COSA C’E’?!
Le voci di Northstar e Remy tuonarono all’unisono in un tripudio di accento e slang francesi. Prodigy, invece di apparire giustamente castigato, si limitò a sollevare un sopracciglio.
- Forse vi farà piacere sapere che mentre vi stavate facendo prendere dal panico, ho scollegato il cervello di No-Girl dal sistema di archiviazione principale.
Remy e Jean-Paul sbatterono un paio di volte le palpebre stupidamente. David scrollò le spalle per niente impressionato.
- Significa che Martha è dalla nostra parte, ora.
Prodigy si passò distrattamente una mano tra i capelli neri e poi, come se gli fosse sovvenuto qualcosa all’improvviso, aggiunse con una voce talmente piena di sé da poter galleggiare.
- Ah! E a proposito… Martha dice “ciao”.
Oh.
OH!
Remy si trovò suo malgrado a salutare con una mano il cervello fluttuante; non sapeva esattamente come, ma era certo che Martha stesse ricambiando il suo saluto (i cervelli possono sorridere? sapeva dei gatti, ma i cervelli?!).
D’accordo… questo era stato imprevisto, ma (per una volta) non del tutto spiacevole.


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Nel mistero che è la continuity Marvel è molto probabile che tra qualche tempo ciò che viene detto in questa storia verrà clamorosamente smentito. Il capitolo finale è già scritto (marzo 2012) e spero possa resistere ad eccessivi scossoni.
Ed ora mi immagino Logan vestito come Aragorn… ed inizio a pensare a Northstar, Gambit e Prodigy come un terzetto comico.

Un sentito ringraziamento a Linny (grazie mille per avermi fatto notare quegli errori) ed a DawnArgento21 che è stata così carina da venirmi a salutare attraverso DA. Infine a tutti i coraggiosi che mi stanno seguendo silenziosamente in questa avventura.


David Alleyene (Prodigy) giovane membro dei Nuovi Mutanti di ultima generazione (così come la compagna Sofia Mantega ) ha il potere di assorbire qualsiasi conoscenza attraverso la semplice vicinanza (ad esempio: passo vicino al docente di Letterature Comparate ed automaticamente imparo tutto ciò che sa dei romanzi russi). Pete Wisdom agente segreto del governo inglese, membro di Excalibur ed ex fidanzato di Kitty Pride. Lockeed è il draghetto viola di proprietà della ragazza, durante la relazione con Wisdom aveva sviluppato per lui una particolare avversione. Martha Johansson (No-Girl) è una delle invenzioni di Grant Morrison: è una telepate particolarmente dotata il cui cervello è stato forzatamente rimosso dal corpo e posizionato in una teca (simile ad una boccia per pesci) capace di mantenerlo (anche se nel fumetto è rosa).
Mi sono resa conto di aver sempre chiamato Shan/Shani e Sarah/Sara, chiedo scusa per l’inconveniente, ho corretto.

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Capitolo 5
*** Tre.2 stesso posto, stessa ora ***




Per un attimo nessuno si mosse. Poi gli occhi di un centinaio di Sentinelle Mark2 si illuminarono in un sibilo rosso di sinapsi meccaniche.
- Tutti giù!
L’urlo di Amara si perse nella polvere metallica sollevata dalla prima salva. I proiettili come grossi confetti lucenti gridarono nell’aria conficcandosi sui muri, sulle macchine e nella spalla destra di Wolfsbane.
- RAHNE!
La voce di Shan ruppe le righe e raggiunse la compagna ferita. La giovane licantropa si accasciò a terra con il rumore sordo dei sacchi che cadono. Il tempo di un battito e Domino e Logan avevano aperto il fuoco di copertura.
Niente poteri. Merda. Cosa diavolo stava combinando Lebeau?
- Neena! – la mercenaria sollevò la testa incontrando gli occhi azzurri di Logan tra l’urlo di una Sentinella e la ricarica della sua glock. – Prendi Wiccan e la tua squadra e vattene da qui!
Domino parve sul punto di dire qualcosa (probabilmente d’altamente imbarazzante, chissà), poi annuì rigidamente e si affrettò a eseguire l’ordine. Avevano bisogno di maggiore copertura, dannazione.
- AMARA! Coprigli la ritirata!
La brasiliana dalla precaria protezione fornita da un tavolo ribaltato aveva già cominciato a creare un varco per la fuga prima che l’ordine fosse impartito. Brava ragazza.
Niente fattore di guarigione. Niente poteri ed un magazzino pieno di Sentinelle Mark2 incazzate. Billy doveva decisamente lavorare sui suoi incantesimi di trasporto. Doppia merda. Dovevano portare al più presto Wiccan fuori da lì. Incontrò lo sguardo di Rachel in un’intesa silenziosa.
- Excalibur con me!
La presenza della rossa era al contempo un balsamo ed una maledizione. Non si trattava solo del suo aspetto, ma tutto del suo carattere gli ricordava dolorosamente Jean e Scott. Molti vedendola urlare, bestemmiare e comportarsi generalmente come un buon padre di famiglia si auguri sua figlia non faccia mai, non sarebbero stati in grado di riconciliarla con l’immagine pragmatica e severa offerta da Summers e consorte. Logan la sapeva più lunga. Molti non avevano visto Fenice Nera devastare galassie o Scott imbrogliare a biliardo con la serenità di un baro professionista. Quella rossa tutto pepe era davvero la loro degna figlia e Logan guardandola non poteva fare a meno di ricordare cosa aveva perduto. La morte di Jean era una piaga sanguinante nel suo cuore, incapace di rimarginarsi con la medicina del tempo. Scott era vivo e lì da qualche parte. Niente più errori.
Rachel e Wisdom calarono sul fianco destro del nemico con la furia di una coppia di leoni ferita. Logan si trovò a ringraziare, non per la prima volta, che fossero dalla loro parte.
Il fuoco incrociato si protrasse a lungo. Impossibile dire per quanto. Secondi? Minuti?
Le sirene d’allarme urlavano nelle loro orecchie confondendosi nel rumore pneumatico del caos di proiettili, laser e scariche neurolettriche che colorava l’aria di scintille e spruzzi rossi. La reputazione delle loro divise in kevlar fu messa a rischio, ma riuscirono comunque ad aprirsi un varco.
- Logan?!
La voce di Rachel risuonò come una richiesta. Wolverine grugnì e fece saltare il braccio destro di una Sentinella. I lineamenti stravolti da cavi e placche metalliche una volta erano stati femminili. Forse era una madre, forse una giornalista, forse l’aveva persino conosciuta. Il sangue verde, miscuglio denso e grumoso di petrolio e benzene, schizzò sui muri e sul pavimento creando una polla scivolosa di liquido infiammabile. La Sentinella urlò in ricordo di un dolore tutto umano e corse al moncherino ferito. Logan le fece saltare la testa. Lo scoppio si perse nel rumore. Non era il momento per le esitazioni.
- Prendi i tuoi e lo stregone e muoviti, cocca!
Rachel e Domino dovevano andare. Dovevano proteggere Wiccan e trovare Summers. Non potevano rimanere a combattere al loro fianco. Dovevano lasciarli soli.
Rachel urlò qualcosa. Logan non capì cosa stesse dicendo. Un secondo dopo vide Shan correre nell’intervallo tra una ricarica e l’altra verso Rahne e passarle un braccio attorno alla vita. Sarah le raggiunse rotolando e facendosi strada attraverso cadaveri metallici aggrovigliati come ragni di acciaio. Una delle altre telepati inciampò su un braccio mozzato, quando gli artigli del moncherino si richiusero in uno spasmo attorno alla sua caviglia. Amara lo tranciò con uno dei suoi eleganti machete, approfittando della polvere sollevata dal caos per allontanare la ragazzina e spedirla dritta tra le braccia di Rachel. Quello che rimaneva delle Naiadi di Stepford era un problema di Excalibur non suo. La rossa aveva ordinato la ritirata. Teddy spaccò in due la testa metallica della Sentinella più vicina. Lo stigma rosso di un puntatore laser svanì come il ricordo di un incubo dalla fronte di Wiccan. Bravo ragazzo. Ottima mira. Avrebbe dovuto ricordarsi di offrirgli una birra se ne fossero usciti vivi.
Sarah e Shan si tuffarono nel varco appena aperto trascinando con loro l’infortunata Rahne. Domino coprì la loro ritirata con una salva rumorosa che si abbatté con uno schianto sollevando polvere verde e ferrosa dai martoriati incubi metallici.
Avevano bisogno di maggiore copertura e spazio di manovra. Un cenno di intesa dopo e Logan ed Amara uscivano dalle loro barricate improvvisate attirando decine di freddi occhi rossi su di loro.
- Logan!!!
Era la voce di Billy. Dannazione non aveva tempo per questo. Quando si sarebbe deciso quel ragazzo a crescere ed a capire che non erano eroi, ma soldati. Non tutte le vita sono uguali, alcune sono più importanti di altre. Deve essere difficile vedere i tuoi compagni sacrificarsi per te. Un proiettile fischiò vicino al suo orecchio destro, un altro lasciò sulla sua guancia una scia rossa e pungente. Di più. Doveva guadagnare tempo per Rachel e Billy.
Si appallottolò su se stesso e con uno slancio si abbatté sulla testa della prima Sentinella disponibile. Uno snikt dopo e sei artigli tranciarono il braccio alzato di quella al suo fianco. Logan si morse le labbra fino a cavare sangue. Dolore. Un dolore indescrivibile. Facevano male già di solito, senza fattore di guarigione attivo era ancora peggio. Sentiva l’adamantio mischiarsi al sangue e lentamente avvelenargli cuore e polmoni. Non poteva permettersi di fermarsi ora.
Con un grido precipitò addosso alle cavallette meccaniche. Quelle sfrigolarono di orrore e sorpresa quando una tonnellata di adamantio lanciato a tutta velocità si frappose tra loro ed il pavimento.
Giusto il tempo per osservare con la coda dell’occhio il cappotto di Rachel sparire attraverso il varco aperto dalle loro esplosioni ed un proiettile trovò la strada per il suo ginocchio sinistro.
Logan cadde con un rumore sordo. Sollevò due occhi enormi e stanchi ed incontrò quelli rossi, vivi e brillanti di una Sentinella. Questa era stata un uomo. Un vecchio, probabilmente: la barba era colorata di grigio, le striatura bianche una volta dovevano essere state candide su quel volto da Babbo Natale. Logan chiuse gli occhi. La Sentinella sollevò il braccio. Il contraccolpo della detonazione esplose nelle sue orecchie lasciandolo cieco e sordo.
#
- Dobbiamo tornare indietro!
Francamente nemmeno Rachel aveva tempo per questo.
- Dacci un taglio ragazzo, sono andati.
E Pete con loro. Li avevano lasciati indietro. Soppresse un singhiozzo. No, no, no. Non poteva permetterselo. Doveva rimanere concentrata anche per loro.
- Ma stavano arrivando i rinforzi… non ce la faranno mai senza poteri!
- LO SO, Billy!
Qualcosa di fiero ed ardente scivolò fuori dal corpo dello stregone lasciandolo curvo, il capo chino, le spalle abbassate ed infinitamente più vuoto. Sconfitto. Il senso di colpa era il peggiore. Erano finiti nel magazzino sbagliato. L’ala est del secondo piano avrebbe dovuto essere praticamente sgombra: solo vecchi depositi per macchinari e pezzi di scarto. Non ci sarebbero dovute essere Sentinelle ad aspettarli. Dov’erano finiti?
- Dove diavolo siamo…Neena!
Domino sollevò la testa, interrompendo a metà la sua fasciatura improvvisata sulla spalla di Wolfsbane. Shan prese il suo posto come infermiera con un sorriso incoraggiante. Neena si posizionò al suo fianco e studiò i dintorni con aria pensosa. Domino non era certo Sage e si erano allontanati di parecchio dal punto del loro tragico sbarco, per quanto la mercenaria fosse abile era comunque solo umana. Due sopracciglia nere si corrugarono sopra due occhi azzurri che saettarono lungo il vicino corridoio e sulle pareti dello stanzino in cui si erano fermati per riprendere fiato e ricucire i loro feriti.
- Secondo piano, sezione di storaggio dei macchinari e recupero scarti.- Domino incrociò il suo sguardo. – Ala est.
Gli occhi di Rachel si allargarono di orrore. Billy non aveva sbagliato, era la loro planimetria ad esserlo. Questo era decisamente peggio.
Un rumore stridulo come di un coro di gessetti spezzati. Rachel si voltò di scatto. Esme Cuckoo stava trafficando con le trasmittenti. La giovane telepate di Stepford incontrò il suo sguardo con un’espressione un po’ spaventata ed un po’ sbruffona.
- Contatto radio stabilito, signora.
Finalmente una buona notizia.
#
Qualcosa di bagnato e di drammaticamente puzzolente precipitò sul suo viso come una secchiata di acqua gelida. Logan aprì gli occhi. Il corpo della Sentinella Mark2 era in piedi e di fronte a lui, il puntatore laser di quel braccio metallico era, allo stesso tempo, freddo e caldo sulla sua fronte. La testa della Sentinella non c’era più. Una fontana di liquido verde rovesciava al suo posto una pioggia fatta di spruzzi verdi e densi. Il tempo di un secondo ed il corpo metallico si piegò su se stesso precipitando al suolo con il crack secco dei giocattoli rotti. Logan incontrò il volto di Teddy Altman sorridergli preoccupato da una distanza di dieci metri. Il fucile del ragazzo fumava ancora. Logan contro ogni ragione, si trovò a ridere.
- Devo decisamente offrirti da bere, cocco.
Amara e tre dei suoi avevano intanto creato una barricata servendosi dei cadaveri smembrati degli androidi. Logan e Teddy vi riparano dietro tuffandosi tra due file di laser.
- Dove sono Wisdom e gli altri?
Un’esplosione particolarmente assordante fece tremare la barricata sul lato sinistro sollevando una nube di polvere e rispondendo alla sua domanda.
Magma strinse i denti e si sistemò una benda improvvisata sull’avambraccio sinistro.
- Ho visto Wildchild e Skids andargli dietro. Credo siano ancora tutti vivi. Logan…- Amara incrociò il suo sguardo. – Logan, non possiamo restare qui. Siamo troppo scoperti.
Il canadese non disse niente e contemplò il suo ginocchio ferito. Il proiettile per fortuna era uscito senza fare troppi danni. Col suo fattore di guarigione sarebbe stato una robetta da niente. Solo che non ce l’aveva il suo fattore di guarigione adesso, dannazione! Amara aveva ragione: non potevano restare lì. Non senza poteri, non senza un riparo decente e sicuramente non con i rinforzi di quelle lattine in rotta di avvicinamento. Erano appena una ventina di uomini. Teddy era impegnato a svuotare il suo terzo caricatore sul primo pugno di Sentinelle disponibile. Logan grugnì. Bambini, soldati sì, ma bambini. E le loro pallottole non erano infinite.
Un rumore gracchiante di disturbo televisivo e la trasmittente in mano a Neal Sharra prese vita.
- Logan? Magma? Ci siete? Rispondete.
Rachel. Mai stato più felice in vita sua di sentire la voce della progenie di Summers.
- Qui Wolverine. Diavolo, cocca. State tutti bene?
Poteva sentire il sollievo nella voce di Rachel confondersi alle scariche statiche.
- Sì. Tutto bene. Wolfsbane è un po’ ammaccata, ma se la caverà.
Un qualche genere di granata gli rintronò l’orecchio sinistro. Non avevano il tempo per quelle chiacchiere da salotto.
- Dove ci ha spediti lo stregone, cocca?!
La voce di Rachel doveva stargli arrivando disturbata, altrimenti Logan avrebbe giurato che la rossa stesse esitando.
- E’ questo il problema, Logan. Siamo esattamente dove dovremmo essere.
Le sopracciglia del canadese si sollevarono impercettibilmente per poi riabbassarsi come due saracinesche su due occhi confusi. Al diavolo.
- Ricevuto, cocca. Wolverine chiude.
La voce stridente dell’apparecchio elettronico morì confondendosi nel sibilo dei proiettili e nel fragore delle detonazioni. Logan si sistemò uno degli auricolari di Jeffries all’orecchio ed afferrò per il polso Neal Sharra.
- Mettici online, ragazzo e vedi di contattarmi Lebeau.
Sottolineò ogni parola con una vigorosa stretta. Se Amara l’avesse visto si sarebbe arrabbiata parecchio: nessuno poteva permettersi di maltrattare il suo giocattolino. Il giovane indiano annuì. Un secondo dopo il piccolo microfono nero alloggiato nel suo padiglione sinistro venne alla vita con un bip acuto. Un lato delle labbra di Logan si piegò leggermente all’insù. Un’altra esplosione mandò in pezzi l’indebolito lato sinistro della loro barricata. Le schegge volanti di metallo fuso trovarono la loro strada per la schiena di Arclight. L’ex Marauder urlò e si accasciò a terra. Lo spettro di un sorriso morì sulle sue labbra, ora Logan era semplicemente arrabbiato.
Un cenno di Sharra gli confermò che la trasmissione era finalmente stabilita. Logan agguantò il proprio microfono e vi urlò dentro con tutte le sue forze.
- LEBEAU! DOVE CAZZO SEI?!
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- LEBEAU! DOVE CAZZO SEI?!
Remy Lebeau in quel momento si trovava attorcigliato nei condotti di ventilazione (non chiedete perché, aveva le sue ragioni) in una precaria posizione a cavallo tra la grata metallica ed il vuoto aperto sotto di lui.
La voce del canadese gli esplose nel cervello, facendo milk-shake dei suoi neuroni. Porca puttana Logan.
- Cher, credo che tu non abbia afferrato come funzionano questi cosi…
La prossima volta lo spegneva il comunicatore. Sicuro. I toni soavi di Logan gli avevano fatto scivolare il piede destro lasciandolo amichevolmente a sgambettare ad un centimetro e mezzo dalla griglia d’allarme. Dannazione. Niente distrazioni sul lavoro. Era un professionista serio lui.
- Lebeau! I fottuti inibitori sono ancora attivi! Cosa cazzo stai facendo?!
Remy atterrò tra due linee di laser con un rumore impercettibile che non sollevò neppure un granello di polvere. Cosa stava facendo? Studiò con uno sguardo scettico la fitta rete di sottili raggi rossi che si srotolava lungo il corridoio come una grossa ragnatela. Meno male che aveva lasciato il suo trench a casa. Ci era affezionato a quel vecchio spolverino e qui sarebbe diventato un bel groviera. Per non dire che avrebbe fatto partire tutta una serie di allarmi portandogli tutte le Sentinelle addosso. Però ora non aveva abbastanza spazio per accendino e sigarette. La vita è profondamente ingiusta.
- Lebeau?!
Remy trattenne un sospiro.
- Il ladro solitario che vi salva le chiappe, non? Cristo cher, devi dare ad un’artista il tempo perché operi la sua magia.
Una detonazione esplose nel suo orecchio attraverso le cariche statiche insieme ad una mezza bestemmia. Ma che…
- Logan, cosa state facendo? Non dovevate aspettare ad attaccare al mio segnale?!
Altre esplosioni e l’inconfondibile sibilare dei raggi termici delle Sentinelle infrangersi sull’acciaio come sul burro fuso. Logan grugnì nel ricevitore.
- Dillo allo stregone, cocco, o a quel bel tipo del tuo amico della planimetria… “gli affiderei la mia vita”, eh?!
Accidenti. Lapin aveva toppato. Di nuovo. Stava diventando un’abitudine, era già la seconda che gli combinava dopo la faccenda dell’ospedale a New Orleans. Doppio accidenti. Per un attimo aveva sperato che solo il suo team avesse avuto problemi tecnici con la planimetria. Fantastico, stava diventando peggio di un gioco della settimana enigmistica: trova le differenze. Solo che su quelle differenze loro si stavano giocando la vita. Avrebbe dovuto saperlo: le cose non sono mai semplici, quando sono già complicate, poi... A volte gli veniva proprio da chiedersi cosa diavolo gli fosse saltato in mente per indossare i proverbiali cappa e mantello. Era un ladro, non un eroe dannazione! Chuck e Tempestina dovevano avergli fatto il lavaggio del cervello.
Aveva lasciato Jean-Paul e David in compagnia della loro nuova cervellotica (no, non sei affatto divertente Lebeau) amica da qualche parte al piano superiore. Più che di Nimrod e MasterMold, Bastion sembrava il figlio illegittimo di una talpa: se questo affare scendeva ancora un po’ avrebbe fatto ciao, ciao a Lucifero in persona. Pensò a Sofia, alle celle, alle Sentinelle ed anche un po’ a se stesso. Sorrise. Le Diable Blanc. Forse stava solo tornando a casa.
- Touché, cher. Ora vedi di calmarti, da bravo, che se no ti scoppia una vena.
Remy studiò le luci intermittenti della ragnatela laser spostarsi ad intervalli regolari in una nuova posizione. Una parte della griglia era composta da semplici allarmi, un’altra da autentici laser capaci di friggerti le chiappe in un secondo. Meglio evitare. Chissà quanto Bastion spendeva ogni mese di bolletta. Forse era questo il motivo per cui le Sentinelle cercavano di dominare il mondo: elettricità gratis. Hooray!
Una voce femminile gli giunse attraverso i disturbi statici delle esplosioni, comprendo la poco educata replica di Logan. Amara. Un altro urlo, poi più niente. Doveva sbrigarsi.
- Dammi un quarto d’ora.
Il ladro alzò le braccia al cielo e dietro la testa fino a sentirne protestare i muscoli.
- Un quarto d’ora cocco?! Qui si muore!
Remy chiuse gli occhi. No, non era il momento per quello. Era un professionista. Era serio, concentrato e soprattutto freddo.
- Allora cercate di sopravvivere, cher. Gambit chiude.
- Bastard….
La replica di Logan morì con un click. Remy si risistemò il comunicatore nell’orecchio sinistro e fece qualcosa di cui si sarebbe più tardi pentito: spense le comunicazioni.
Respirò profondamente e si sgranchì i muscoli del collo, aveva bisogno di tornare in contatto col suo centro. Un secondo dopo ed era già nel vuoto.
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Jean-Paul Beaubier non era soddisfatto. Qualcuno avrebbe potuto giustamente replicare: quando mai Jean-Paul Beaubier lo era mai stato, ma questa sarebbe stata una domanda troppo privata ed a meno che non si desiderasse un viaggio di sola andata verso la terapia intensiva, quel qualcuno avrebbe fatto meglio a tacere.
Al canadese la situazione non piaceva. Non tanto perché Lebeau se n’era andato una ventina di minuti prima, lasciandolo a fare da balia ad un suo ex studente ed ad una telepate con gravi disturbi della personalità (No-Girl come nome in codice. Era uno scherzo?), no: Jean-Paul aveva un brutto presentimento. Una sensazione come di viscido che percorreva la sua spina dorsale, vertebra per vertebra, lasciando al suo passaggio uno spettro freddo ed una mente vuota. Una sensazione ormai famigliare, ma che non era mai stata così forte. Bhè. Tranne che per quella volta. Ricordava ancora l’arrivo degli X-Men (o meglio… di quello che ne restava) nel “fortino segreto” di Mac. Heather e Puck avevano fatto talmente tante feste a Logan da farla sembrare una riunione di famiglia. Quasi. Aurora era stata tra le prime a salutare quell’arrivo, forse ci aveva persino provato con Lebeau, o forse no ed era lui quello a partire sempre prevenuto. Dopotutto chi non sarebbe iperprotettivo nei confronti della propria sorellina miracolosamente ritrovata dopo una vita intera a credere di essere soli? Le tendenze apertamente ninfomani di Aurora non aiutavano di certo.
Dopo gli X-Men erano arrivati i Vendicatori, poi un mucchio di altra gente che non aveva mai visto prima e di cui nessuno sapeva quasi nulla eccetto per la comune propensione ad indossare completi eccessivamente aderenti (forse usavano tutti lo stesso sarto). Erano passati già dieci anni da Toronto, dieci anni da quando Heather gli era esplosa davanti agli occhi consumata dal raggio dello stramaledetto Atlas. Dieci anni da quando Aurora era morta. La cicatrice gli faceva ancora male. Il contraccolpo dell’esplosione che era stata la morte di Heather, di Thor e di un’altra mezza dozzina di persone del tutto ininfluenti lo aveva gettato a più di duecento metri di distanza. Era atterrato sulla neve e con il sapore del sangue tra i denti. Qualcosa lo aveva colpito durante quel volo, fratturandogli gambe e braccia e tagliandoli il volto; avrebbe saputo solo più tardi che si era trattato di ciò che restava della Cosa. Brutta morte per Benjamin Grimm. Quando aveva aperto gli occhi la prima cosa che era riuscito a vedere attraverso la patina di rosso era stata il volto di Aurora. Jeanne-Marie lo aveva fissato con due occhi tristi e preoccupati, mormorando qualche cosa che non riusciva a capire bene: la botta in testa era stata troppo forte. “Je suis désolé mon frère” continuava a ripetere “Je suis désolé”. Alla fine Jean-Paul aveva capito: sua sorella non sarebbe tornata indietro quel giorno. Il sibilo delle Sentinelle Omega aveva attraversato l’aria: la furia di Atlas era cessata ed ora le formichine erano venute a pulire il campo dalle ultime briciole. Aurora si frappose tra lui e l’onda. Aveva gridato, le aveva ingiunto di scappare, di correre, di volare via, di abbandonarlo. Sua sorella non l’aveva ascoltato. Era stata dannatamente eroica con il suo costume nero che non faceva vedere il sangue. Era rimasta in piedi senza fuggire, aveva abbattuto ogni nemico le si parasse davanti e resistito fino alla fine. I rinforzi l’avevano trovata in piedi grondare rosso sulla neve candida, Cloack li aveva avvolti entrambi nel suo mantello e Jean-Paul avrebbe tanto voluto urlargli che era troppo tardi, che sua sorella era già morta, ma la sua voce se n’era andata con lei. Jeanne-Marie era morta in piedi, per un istante quegli occhi azzurri avevano incontrato i suoi ed aveva sorriso trovando nella morte quella pace che l’aveva sempre elusa nella vita.
Non credeva sarebbe riuscito a sopravviverle. Per mesi non era stato che l’ombra di se stesso incapace di muoversi e di parlare; aveva assistito al cicatrizzarsi delle sue ferite con il distacco di un uomo che non ha più niente da perdere. Ricordava Logan provare ad aiutarlo, ma lo scorbutico leader degli X-Men non aveva né la pazienza né il tempo: troppe cose dipendevano da Wolverine e lui era semplicemente troppo stanco. L’insegnamento gli aveva dato quella scintilla che pensava di aver perduto ed anche se ora metà dei suoi studenti non c’erano più ed era tornato a vestire la calzamaglia dell’agente sul campo, sarebbe stato eternamente riconoscente a Dani per averlo restituito alla vita. Quella mattina aveva giurato a se stesso che avrebbe fatto di tutto per riportarle il suo Sam. Non gliene fregava niente di Ciclope. Summers non aveva mai fatto niente per lui se non strillare ordini mentre Alpha Flight risuolava gli X-Men alla grande, ma Cannonball era stato suo amico e Jean-Paul era davvero stufo di perderne.
Ma quella sensazione… C’era qualcosa che non andava. Prima Lebeau con la sua planimetria del cavolo, poi i problemi di David ad accedere ai terminali di archiviazione. Avevano ottenuto la collaborazione del cervello, certo, peccato che scollegando Martha dal sistema avevano cancellato anche i dati che la telepate aveva in memoria. Ora dovevano fare alla vecchia maniera: virus, password, tanta pazienza ed il tempo che non avevano più. E sperare che nel frattempo Martha avesse un altro di quei suoi flash e si ricordasse di nuovo qualcosa di utile come l’ubicazione della postazione di comando centrale. Era stata per tutti (tranne che per Lebeau) una vera sorpresa scoprire che il cervello di archiviazione ed il centro di comando non coincidessero in un’unica unità.
- Che si fa con gli inibitori allora?
Aveva chiesto a Lebeau. Il ladro aveva avuto la faccia tosta di sorridergli.
- Si trova il centro di comando e li si spegne, non?
Il bastardo lo sapeva.
- E’ questa allora?! E’ questa la missione segreta che ti ha affidato Logan?!
- Oui.
La sua era stata una domanda retorica. Quelle due teste calde gli avrebbero fatto venire un’ulcera.
- E mentre tu vai in giro a farti ammazzare io dovrei restare qui a fare la guardia al ragazzo, giusto?
Lebeau sorrise di nuovo.
- Oui. Il piano è più o meno questo, sì.
- Allora lasciami dire che questo piano è una c…
- SONO DENTRO!
La voce di Prodigy lo distrasse da quelle dei suoi ricordi. Si avvicinò al ragazzo osservando la sua espressione trasformarsi da soddisfatta a frustrata.
- O forse no…- David lasciò ricadere la testa sulla tastiera.- Al diavolo!
Non stavano facendo alcun progresso, ancora un po’ ed andavano in retromarcia. Jean-Paul gli appoggiò una mano sulla spalla e strinse.
- Forza ragazzo, dipende tutto da te.
David sorrise.
- Bel modo per non mettermi sotto pressione.
Northstar sollevò un sopracciglio e gli diede un’altra pacca sulla spalla, questa volta in modo meno amichevole.
- Vedi di darti una mossa.
David annuì e lo sguardo di Jean-Paul si mise a vagare sugli schermi fluorescenti dei terminali accesi. Forse era davvero tutto inutile.
“Signor Beaubier?”
Gli occhi di Jean-Paul si allargarono ed il velocista rispose a quell’assalto portandosi istintivamente le mani alla testa.
“Signor Beaubier, non si preoccupi, sono io: Martha”
Oh. Quindi la ragazzina poteva comunicare con qualcun altro e non solo attraverso Prodigy.
“Sì, signore. Solo che tra tutti voi mi era sembrato quello più maturo con cui avere a che fare”
Delizioso. Così aveva sentito tutto quello che gli era passato per la testa. Odiava i telepati.
- E quindi che cos’è successo ora per farti abbassare a parlare con me?
David lo guardò tutto strano, ovviamente non poteva sentire Martha. Al diavolo.
“Signore, non mi sembrava il caso di disturbare David mentre sta lavorando. Ah e non c’è bisogno che mi risponda ad alta voce, si può limitare a pensare, sempre che ne sia in grado.”
Saputella per essere un cervello, la piccola.
- E se io preferissi così?
“Ho buona ragione di ritenere che finirebbe per distrarre David in modo ancora peggiore”.
Punto.
“Grazie”.
Jean-Paul chiuse gli occhi e fece gesto a David di tornare al lavoro. Si massaggiò con una mano la collina tra gli occhi, strinse con due dita la base del suo naso ed il piano astrale si srotolò attorno a lui.
“D’accordo, qual è il problema”
La ragazzina pallida, coi capelli castani ed un vestitino giallo che era Martha Johansson sorrise timidamente, la proiezione mentale vibrò come un disturbo televisivo.
“Continuo a pensare a mister Lebeau”
Ossignore! Ti prego dimmi che non era questa la cosa urgente. Martha aggrottò le sopracciglia.
“Il suo volto mi è sembrato stranamente famigliare…”
Ah, era per questo. Jean-Paul si sentì un po’ sollevato: le cotte dei teenager gli facevano venire l’eritema.
“Ha fatto da cavia per gli scienziati di Bastion qualche anno fa, è probabile che la sua faccia da sberle ti sia famigliare”
Martha abbassò gli occhi e parve perplessa. Jean-Paul la osservò mordicchiarsi pensosamente il labbro inferiore, gli dispiaceva per lei: Bastion l’aveva privata del suo corpo e loro dei suoi ricordi. Doveva essere terribile sentirsi così disconnessa, non era difficile capire perché ora cercasse di appigliarsi ad ogni cosa famigliare. Una volta al Fronte le avrebbe fissato un appuntamento con Shan e chissà: magari Jeffries sarebbe stato anche in grado di darle un corpo tutto suo.
“Strano…”
Jean-Paul osservò la proiezione astrale oscillare, confondendosi col luminoso panorama circostante.
“Strano… i suoi occhi… non ricordo dati di Bastion a riguardo, solo un nome.”
Jean-Paul venne colto da uno strano senso di vertigine, il piano astrale si stava disfacendo attorno a lui, Martha non era in grado di mantenere a lungo quell’illusione.
- Quale nome?
Lo disse ad alta voce, non gli importava di sentirsi stupido. Il volto di Martha scomparve insieme ai frammenti di quel mondo racchiuso solo nella sua testa.
“Black womb.”
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Stava danzando. Un laser si ricalibrò a mezzo centimetro dal suo naso, Remy lasciò ricadere la schiena all’indietro, un altro scattò sulla sinistra e Remy si lanciò nel varco aperto alla sua destra. Passo doppio, la rete dei laser seguiva ogni suo movimento. Un valzer in cui uno dei due partner  cercava di pestare i piedi all’altro. Due raggi incrociati si inchinarono, il ladro si inserì tra di loro elegantemente. Un battito e scartava sulla sinistra. Un battito ed era in piedi su due dita. Un altro ancora e si avvitava nell’aria. Veloce, veloce, più veloce. Il ritmo era tutto e paurosamente incalzante, la coreografia doveva essere perfetta. Le maglie della rete si chiudevano attorno a lui, Remy si accucciò a terra, contò fino a tre di nuovo su due piedi e ruotò il bacino di sessanta gradi. Estrasse il bastone bo e lo utilizzò come sostegno per raggiungere il soffitto, l’intervallo di un secondo e rotolava a terra, schivava il laser alla sua destra e programmava la sua prossima mossa. Era solo a metà corridoio.
Un improvviso gettò di calore falcidiò l’aria dove prima si era trovato il suo orecchio. Piroettò come una mosca attraverso le maglie della ragnatela, i muscoli che urlavano e la mente beatamente vuota.
Si lanciò di nuovo in aria con un avvitamento che lo fece atterrare sul medio e l’indice della mano sinistra. Allungò i piedi in avanti tra due raggi orizzontali e si diede con le dita la spinta necessaria a portarlo al di là di quella gabbia mai ferma. Si abbassò fino ad essere parallelo al pavimento e lasciò un laser curioso sfiorargli la punta del naso. Il calore lo fece sorridere. Poteva già sentirsi in bocca il sapore del successo. Quindi iniziò a distrarsi.
Provocò i due rapidi laser in rotta di collisione con la sua faccia, con un sorriso di scherno. Aspettò l’ultimo secondo per scartare sulla destra e lanciarsi di nuovo con una capriola assolutamente non necessaria nell’aria. La sua playlist cerebrale si era messa a strimpellare a tutto volume “Cant’ touch this” e lui a canticchiarne le strofe a mezza voce. Un raggio saettò a due centimetri dal suo collo tentando e fallendo di decapitarlo. Rise e si piegò in avanti attraverso l’intervallo di due colonne perpendicolari. Appoggiò una mano al pavimento ed effettuò una verticale, prima di ripiombare a terra e poi di nuovo fendere l’aria.
La fine del corridoio era vicina. Remy si lanciò verso il varco apertosi sulla sua sinistra, senza notare il laser che rapidamente dal suo angolo cieco chiudeva su di lui. Era quasi fuori, quasi al sicuro, quando il dolore trovò la strada dalla caviglia destra al centro del suo cervello, esplodendo con la forza del tuono in uno stagno. Schizzi rossi spruzzarono il pavimento e incoronarono la ferita già cauterizzata. Essere feriti da raggi laser ad alta temperatura offriva i suoi vantaggi. Pochi, ma bisognava sempre guardare il lato positivo, non?!
Remy si raccolse su se stesso in posizione fetale, mordendosi le labbra e studiando la nuova cicatrice della sua raccolta personale. La ferita aveva scavato un solco profondo un centimetro. Non sembrava aver intaccato ossa o tagliato qualche tendine importante. Appoggiando una mano contro la parete di metallo provò a tirarsi su. Dieci secondi ed una mezza bestemmia in francese dopo ed era di nuovo in piedi. La caviglia faceva un male boia, ma sembrava intenzionata a fare il suo lavoro ed a reggerlo ancora per un po’. Solo che ora zoppicava come il dottor House, dannazione. Allungò il bastone bo e decise di servirsene (con una punta di imbarazzo) come appoggio per il resto del suo cammino fino al centro di comando. Meno male che secondo Martha il peggio doveva essere passato: niente più condotti d’areazione che cercano di mangiarti le chiappe o griglie laser abbastanza intelligenti per giocare a scacchi. Dannazione. Per fortuna i laser calibrati per sforacchiare ed uccidere, non erano collegati come i loro più miti colleghi al sistema d’allarme (a quanto pareva le due funzioni contemporaneamente tendevano a mandare in tilt il sistema) altrimenti ora sarebbe davvero stato nella cacca. Oh bhè. Che dire… stava invecchiando. Una decina di anni prima non si sarebbe fatto prendere così alla sprovvista. “Largo ai giovani”, come diceva sempre Cannonball. Un vero peccato che fosse morto. Sam gli era sempre stato simpatico, una volta lo aveva persino lasciato vincere a poker.
Qualcosa di freddo scivolò lungo il suo collo, cogliendolo alla sprovvista. Due labbra gonfie e viscide accarezzarono il suo orecchio sinistro sussurrando di cose che aveva perduto. Remy si voltò di scatto, il bastone bo calò sull’apparizione e fendette l’aria. Il corridoio era vuoto. Si portò una mano all’orecchio, il respiro affannato e gli occhi larghi come piattini da tè. Nulla. L’adrenalina doveva essergli andata al cervello. Si picchiò la fronte col palmo della mano nel tentativo di rimettere in quadro i suoi troppo fantasiosi neuroni. Concentrazione Lebeau, non lasciare che l’atmosfera di questo posto ti dia alla testa.
Parole. Remy si trovò controvoglia a fissare la parete grigia del lungo corridoio. C’era qualcosa lì, sotto quello strato di acciaio e calcestruzzo. Qualcosa di sconosciuto e tremendamente famigliare. Allungò una mano e ne percorse la superficie, questa sembrò prendere vita e pulsare dovunque il suo tocco esitasse più a lungo. Una scintilla partì dalle sue dita disegnando segni incomprensibili nell’aria rarefatta. Ma che…
Un battito di ciglia e due mani sottili, quasi trasparenti, urlarono attraverso la parete ed artigliarono il suo viso. Remy si risvegliò da quell’incantesimo con un urlo strozzato e rovinando malamente a terra. Di sedere. Ahi. Tamburi. Tamburi nelle orecchie. Il suo cuore scandiva un tempo forsennato acuendo ogni senso e spegnendo il cervello. Remy alzò lo sguardo, mentre il fiato usciva corto ed appannava l’aria improvvisamente più fredda. La parete era di nuovo vuota.
Oookay… questo era decisamente strano. Allungò una mano e la ritirò bruscamente indietro. Meglio evitare altre esperienze stile The Ring per oggi, per tutto il resto della vita sarebbe stato meglio, ma uno può essere ottimista solo quel tanto.
Non sapeva esattamente cosa fosse successo, ma aveva la strisciante sensazione che ci fosse qualcosa di sbagliato, qualcosa che mancava. Un corridoio. Mancava un corridoio. Non sapeva come o perché (la planimetria non aveva previsto quel piano del tutto), ma era sicuro che lì ce ne dovesse essere un altro. Ed un salone ed un laboratorio ed un giardino e delle vasche piene di bambini addormentati. La terra si sgretolò sotto ai suoi piedi e fu come se qualcuno gli avesse infilato un coltello rovente nel cervello. Remy si portò dolorosamente una mano alla tempia, le sue dita sfiorarono il comunicatore spento. Riaprì gli occhi ritornando bruscamente alla realtà. Una parete vuota ed uguale a tutte le altre rispose al suo sguardo. Dannazione.
Si tirò faticosamente in piedi ed accarezzò il comunicatore con un gesto nervoso. Logan e gli altri erano ancora bloccati da qualche parte sopra la sua testa e lui perdeva tempo a ciondolare tra i fantasmi immaginari della sua sbornia da adrenalina. Male Gambit. Molto male. Doveva sbrigarsi: il quarto d’ora che aveva promesso a Logan era agli sgoccioli e chi lo sentiva poi se no il canadese?! Uno schiavista bello e buono ecco cos’era. Zoppicando e recriminando tra sé, Remy si incamminò lungo il corridoio descrittogli da Martha, cercando di ignorare il freddo senso di vertigine che gli si era installato nel cervello.
Gli avvenimenti di quella giornata sarebbero tornati anni più tardi a perseguitarlo.
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Ci sono diversi modi per aprire una porta, pochi di essi prevedono averne effettivamente la chiave. Rachel di solito preferiva la telecinesi, in mancanza di poteri si accontentarono prima di un calcio (con conseguenze disastrose per le gambe di Billy) e poi degli esplosivi di Domino. Il lucchetto cedette con un rumore sordo di stantuffo per una detonazione che sollevò più polvere che altro. Neena studiò i suoi compagni indaffarati a coprirsi le orecchie con due mani con un sopracciglio sollevato: i veri professionisti non fanno mai rumore. Tranne Lebeau, ma questo solo perché la maggior parte delle volte il ladro era troppo preso dal suo ruolo di diversivo comico per impegnarsi sul serio.
Rachel le sorrise e con il suo aiuto fece scivolare la pesante porta di acciaio lungo i cardini elettrificati. Un’anticamera grigia si aprì davanti a loro con un getto d’aria fredda e pressurizzata. Le camere con le celle si trovavano poco più avanti. Si voltò verso Domino e Billy: era il momento di dividersi. Il teleporta e le sue solerti guardie del corpo non potevano allontanarsi troppo da Logan e gli altri: entrambe le squadre in caso d’emergenza dovevano trovarsi nelle condizioni di raggiungere la via d’uscita; era stato solo per una tragica circostanza che Billy e gli altri si erano trovati a seguirla. Rachel chiuse gli occhi e fece un gesto con la mano come a voler scacciare una mosca od un pensiero fastidioso. Certo che se gli inibitori si ostinavano a rimanere attivi tutte le loro precauzioni sarebbero servite a ben poco, anche la sua missione a ben pensarci non avrebbe avuto senso. No. Doveva fidarsi. Questa volta doveva affidare la sua vita e la buona riuscita della missione nelle mani di qualcun altro. Lebeau era in gamba e Logan garantiva per lui. Questa era tutta l’assicurazione di cui aveva bisogno. Con un cenno di intesa a Billy e Neena, richiamò attorno a sé la sua squadra e sprofondò nel ventre grigio dell’incubo.
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Oh. Salve. Il volto grigio della Sentinella Mark1 apparve da dietro l’angolo, gli occhi rossi si illuminarono in un modo quasi comico quando si trovarono faccia a faccia con uno zoppicante ladro. Remy maledisse la sua sfortuna, fece un cenno di saluto con la mano, notò gli scopettoni e la lucidatrice collocati accanto ai piedi dell’androide e si buttò di lato appena in tempo per evitare di essere investito da una scarica di energia sparata direttamente sul suo muso. Angoli. Dov’erano gli angoli o le porte dove nascondersi quando ne avevi bisogno?!
Uno sfrigolio seguito da un’esplosione e la parete al suo fianco si accartocciò come cartapesta bagnata. Remy rotolò lontano prima che il puzzo del metallo fuso potesse raggiungere le sue narici. Fece forza sui palmi delle sue mani e si diede la spinta per saltare in piedi, mentre una salva di proiettili faceva ciao alla posizione dove un attimo prima si era trovata la sua testa. Remy era in autopilota il che quando era in condizioni ottimali era di solito un bene, ora che la sua caviglia gli bestemmiava dietro ed il suo piede destro si ostinava a mancare l’appoggio, mica tanto. Non esattamente le condizioni ideali per caricare una Sentinella a testa bassa ed a tutta velocità. Soltanto Logan non avrebbe considerato quel piano del tutto cretino, ma di solito Logan aveva un fattore di guarigione a parargli il culo. Remy no. Il ladro aveva solo la sua velocità, la sua fortuna ed una buona dose di avventatezza. Remy sorrise ed allungò il bastone bo, la Sentinella lo guardò stupidamente. Un’estremità del bastone bo calò pesantemente al suolo, trasformandosi nel perno necessario al ladro per flettersi nell’aria e raggiungere le spalle dell’androide. La testa della Sentinella ruotò di trecentosessanta gradi come un incredulo gufo metallico, Remy senza esitazioni vi scaricò sopra l’intero caricatore della sua glock. Gli occhi rossi, larghi, luminosi e terrorizzati sfrigolarono ed esplosero in una confusione di scintille e metallo gracchiante. La Sentinella si piegò su se stessa, le sue braccia ebbero un ultimo spasimo, le dita si contrassero in un pugno, poi il corpo metallico ricadde a terra con un rumore stridente. Remy appoggiò la schiena contro la parete e cambiò il caricatore. Il suo sguardo vagò sul corridoio lucidato di fresco e sul corpo martoriato dai fori di proiettile e dai vecchi innesti degli upgrade. Doveva trattarsi della stessa Sentinella Mark1 che aveva trovato con Jean-Paul e David all’andata. Stava davvero facendo le pulizie. Non sapeva esattamente come sentirsi a riguardo (divertito? sorpreso? orripilato?). Chiuse gli occhi e provò a muovere il piede. Ahi. Porca puttana porca (con tutto il rispetto per le praticanti di quella nobile ed antica professione). Ahi. Serrò la mascella e si morse le labbra. Il suo scherzetto di prima gli sarebbe costato caro. Provò a spostare il peso sulla gamba destra che protestò e cedette, costringendolo ad aggrapparsi al muro liscio e poi ad appoggiarsi al bastone bo. Meraviglioso.
Chiuse gli occhi e li riaprì. Forza e coraggio Lebeau: devi solo mettere un piede davanti all’altro. O un bastone davanti ad un piede o viceversa o cosa diavolo vuoi, basta che ti muovi. Stancamente, lentamente e faticosamente iniziò la sua risalita.
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La prima cosa che la colpì fu l’odore, o meglio la sua mancanza. L’aria del braccio carcerario non era densa e colma degli odori acri ed intensi dei prigionieri in precarie condizioni igieniche (prova a non farti una doccia per un mese e vedrai che persino i topi si defileranno al tuo passaggio), piuttosto era rarefatta, asettica. Sembrava che qualcuno avesse sterilizzato quelle sale di recente. Rachel non si fece ingannare. Dietro quell’apparenza levigata e pulita, si nascondeva la mente scientifica di un pazzo. Quel posto le faceva paura. Un terrore saldamente alloggiato nel suo stomaco si fece strada dentro di lei insieme alla memoria di giorni di un futuro passato che ora era costretta a rivivere. Temeva di non sopravvivere al secondo giro della giostra.
Indra al suo fianco trattenne il fiato, Esme si arrestò sul posto, persino Shan si fermò portandosi una mano alla tempia. Rachel si voltò verso i suoi compagni, lo spettro di una domanda le scaldò la lingua prima di consumarsi nell’improvvisa esplosione delle sinapsi del suo cervello. Parole, frasi, sensazioni entrarono in lei svuotandola e rigirandola come un calzino messo ad asciugare. Un’eco martellante dentro e fuori da lei che la rovesciò sulle ginocchia e la riempì di una perversa euforia. I pensieri. Tutti i pensieri del mondo. Rachel sorrise ed asciugò col retro della mano il rivolo di sangue che le usciva dal naso. Gli inibitori erano andati. Fenice era risorta. Lebeau ce l’aveva fatta.
Rachel si voltò con un sorriso soddisfatto verso i suoi compagni, trovandoli tutti a terra in differenti stati di arrabbiatura e confusione.
- Forza ragazzi, non è mica il momento per fare un pisolino!
Esme Cuckoo aggrottò le sopracciglia e si tirò faticosamente a sedere.
- Dillo alla tua telecinesi, genio.
Oh. Ecco perché erano a terra. Doveva aver involontariamente generato un’onda d’urto. Indra era caduto di faccia, Shan di sedere, i capelli biondi di Esme svettavano sulla sua testa come le punte di un porcospino. I loro poteri erano tornati. Rachel, invece di ammonire la giovane telepate, si trovò a ridere di gusto. Ce l’avevano fatta.
La sua mano corse all’orecchio sinistro alla ricerca del comunicatore. Era davvero un buon momento per festeggiare con Logan. Il contatto radio le rispose con cariche statiche. I suoi occhi si riempirono di un improvviso senso di orrore. Un malfunzionamento, oppure… Con la periferia del suo sguardo notò i sorrisi morire dai volti dei propri compagni e le loro mani correre a seguire il suo esempio.
- No…
La voce di Indra era un sussurro appena percettibile. L’espressione di Esme si chiuse come una saracinesca.
Oppure erano già tutti morti.
- Probabilmente la tua scarica telecinetica di poco prima ha messo i comunicatori fuori uso. – la voce pragmatica di Shan si fece largo attraverso l’abisso della sua disperazione trovando un appiglio a cui aggrapparsi. Si voltò verso la vietnamita, Shan la guardò con dolcezza, ma con determinazione e le appoggiò una mano sulla spalla. – Non c’è niente di cui preoccuparsi.
Fissò Shan come se la vedesse per la prima volta. Inspirò. Contò fino a cinque. Espirò. Andava tutto bene. Doveva crederci.
- Esme con me, Shan prova ad aggiustare la radio, Indra stalle vicino e coprila.
I due giovani mutanti annuirono, Shan, dopo un’ultima strizzata ed uno sguardo d’intesa, lasciò andare la sua spalla. Rachel le sorrise di nuovo calma, di nuovo in controllo.
- Muoviamoci.
Avanzarono in formazione serrata. Le mani di Esme si aggrappavano disperatamente al calcio della sua pistola, gli occhi di Rachel vagavano su tutto e niente. Finse di ignorare i suoi compagni trattenere il fiato o il modo in cui la loro voce tremava quando, con un soffio, dalle loro labbra sfuggiva un nome. Preferì non riconoscere i volti delle celle. A lei ne interessava solo uno.
Occhi vuoti, bianchi e turgidi seguivano la loro avanzata nel vortice della follia con espressione incolore. Rachel si domandò se quando avessero trovato Scott ci sarebbe stato ancora qualcosa da salvare.
- Sono spente?
Alle sue spalle sentì Shan annuire. Esme aggrottò le sopracciglia poco convinta.
- Allora perché sembrano non perdere d’occhio ogni nostro movimento?
Shan agitò il comunicatore, un gesto più di frustrazione che d’altro. Se fosse stata una persona meno calma (Rachel per esempio) probabilmente ora quel coso avrebbe fatto un viaggio di sola andata verso la parete più vicina. Quella stupida macchinetta continuava a rispondere ai suoi sforzi con cariche statiche.
- Sono programmate per orientarsi verso ogni fonte di calore disponibile entro il raggio di cento metri.
- Come i girasoli!
Per qualche ragione Indra aveva ritenuto quello il momento buono per offrire il proprio contributo. Esme sbuffò. Rachel si trovò, suo malgrado, a trattenere una risatina, le uscì uno strano verso strangolato. Bastion era un grosso fiorellone con tanto di corolla. Indra arrossì e Shan sorrise.
- Esatto Paras. Un po’ come i girasoli col sole.
Esme tirò su col naso e si aggiustò i capelli.
- Comunque sono inquietanti.
Nessuno disse più niente per un po’. Una cella seguiva l’altra, un volto familiare seguiva a tanti altri sconosciuti. Sembrava che non volessero finire mai e li portassero giù e sempre più giù fino a toccare il fondo di quel budello fatto della stessa sostanza degli incubi.
Rachel contò almeno un centinaio di Sentinelle Mark3 perfettamente funzionanti, ma erano gli altri ospiti del complesso ad attirare maggiormente la sua attenzione. I corpi dei prigionieri erano adagiati su lucidi lettini di metallo cromato. Le teste rasate fissavano il nulla del soffitto sopra di loro con un’espressione ancora più distante dello sguardo bianco delle Sentinelle spente. Alcuni erano legati ai letti con cinghie grigie spesse tre dita, altri no. Al loro posto su caviglie e polsi portavano le stigmate rosse e parzialmente cicatrizzate di una resistenza passata. Piccole macchine simili a compressori pompavano nelle loro vene una sostanza verdastra e densa. L’aria sterilizzata copriva quasi completamente l’odore della carbonizzazione. La carne rossa si confondeva al giallastro del pus attorno alle placche metalliche più fresche. Un’altra macchina scaricava nel sangue quelli che sembravano antibiotici. Il procedimento di “conversione” non avveniva lì. L’ambiente era troppo pulito e spoglio. Quello era solo il magazzino dove parcheggiare i corpi tra un’operazione e l’altra. Le sbarre elettrificate delle celle riempivano l’aria di riverberi azzurri. Rachel ingoiò la sensazione di vomito che si era fatta strada nella sua bocca e mantenne la mente fredda. Celle. Concentrati. Se gli scienziati di Bastion sentivano l’esigenza di rinchiudere le Mark3 in delle celle allora c’erano davvero ragioni per sperare. Un centinaio di Sentinelle Mark3 ed almeno il doppio di feriti in corso di mutazione. Li avrebbero portati via tutti. Bastion la prossima volta si sarebbe trovato di fronte ad un vero esercito. Prima avrebbero distrutto le sue fabbriche, poi i campi di concentramento, avrebbero ripulito l’Europa e poi avrebbero obliterato Atlas e le chiappe di Bastion dall’esistenza.
L’aria intorno a Rachel iniziò come a bruciare, gli occhi delle Sentinelle si spostarono su di lei con espressione incolore, mentre i suoi si riempirono di una furiosa determinazione. Esme, al suo fianco, arretrò prudentemente di qualche passo. Un rumore stridulo ed una voce disturbata e gracchiante la fecero bruscamente ritornare coi piedi per terra (letteralmente: stava levitando). La piccola mosca radiofonica tra le mani di Shan stava tornando alla vita.
- Bzzz… cocc…bzzz…ricev…dov… bzz… CRIST…
Logan. In un secondo Rachel era al fianco di Shan.
- Shan, riesci a stabilizzarlo?
La vietnamita aggrottò le sopracciglia, piccole gocce di sudore imperlavano la sua fronte.
- Ci sto provando…- girò le manopole della piccola radio che portava al suo fianco, il segnale continuava ad essere pesantemente disturbato.
- Logan? Logan qui è Shan, mi ricevete?
In lontananza potevano sentire l’inconfondibile silenzio che segue un’esplosione.
- Sha… qui Log… stat…bzz…ve siet…
Il contatto andava e veniva in un continuo fischiare di bib sempre più penetranti ed acuti. Qualcosa in una cella in fondo al corridoio attirò la periferia dello sguardo di Rachel. Gli occhi della rossa si dilatarono fino a che il nero della pupilla non prese il sopravvento sul verde. Fece ad Esme cenno di seguirla e sentì la sua voce distante ordinare a Shan di continuare coi tentativi. Un brivido la percorse lungo il collo ed il fiato iniziò ad accelerarsi per l’anticipazione. Era già lontana di parecchi passi, quando finalmente Shan centrò la frequenza giusta e la voce di Logan grugnì attraverso le cariche statiche.
- Poteri? Quali poteri cocca?
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Logan abbassò la testa e sentì il fischio della granata oltrepassarlo per detonare a venti metri da lui. Il contraccolpo dell’esplosione non lo spostò di un millimetro, ma, dopotutto, sono questi i vantaggi di uno scheletro d’adamantio. Agguantò il braccio ferito di Sharra ed utilizzò il cadavere dell’indiano come scudo. Avevano abbattuto la maggior parte delle Sentinelle che gli avevano lanciato contro, ma quelle continuavano ad arrivare ed arrivare. Le bastarde sembravano non finire mai, non come i loro proiettili che diminuivano in modo inversamente proporzionale ai loro morti. Una coppia di laser incrociati ad alta intensità aveva fatto saltare una delle loro barricate, un frammento volante aveva trovato la strada per la carotide di Sharra, spaccando un po’ più a fondo il cuore di Amara. Magma aveva urlato con voce irriconoscibile, i lineamenti stravolti, e si era gettata in mezzo alle Sentinelle in avvicinamento con la furia di un demone del Limbo. La polvere fumante l’aveva inghiottita. Logan non la vedeva da allora.
Da qualche minuto stava disperatamente tentando di ristabilire il contatto radio. Lebeau non rispondeva. Se quel bastardo aveva davvero spento il comunicatore come sospettava, una volta al fronte l’avrebbe scuoiato vivo. Jean-Paul l’aveva informato che gli inibitori nei laboratori sembravano essere inattivi, questo già dal loro arrivo. Logan aveva aggrottato le sopracciglia ed un secondo dopo gli aveva spedito giù Billy e la sua squadra. Arclight sentendolo aveva iniziato ad insultarlo, costringendolo a tirarle una sberla e ringhiare qualche minaccia. Allontanare Billy significava allontanare la loro via di fuga, ma con gli inibitori attivi erano spacciati comunque. Tanto valeva che almeno loro si salvassero. Il fatto che i laboratori fossero puliti lo lasciava perplesso.
Una decina di proiettili grossi come palline da ping pong si conficcarono a mezzo metro dalla sua testa. Logan abbandonò il cadavere di Sharra e, tenendo saldamente la piccola radio stretta nel suo pugno, ripiegò dietro la barriera eretta da Wisdom ed i suoi.
- Come va vecchio?
Logan grugnì.
- Hai visto Amara inglese?
Wisdom si raccolse in posizione fetale, un attimo dopo un raggio laser fendette l’aria dove un momento prima si era trovata la sua testa.
- No, il fumo è troppo denso…Sharra?
Logan raccolse le labbra a riccio e si rimise a trafficare con la radio.
- Morto.
La replica di Wisdom fu spezzata da un rumore gracchiante. Il comunicatore di Logan riprese vita.
- Rachel, cocca, mi ricevete? Dove siete?
Un rumore violento fece tremare la terra sotto ai suoi piedi. Logan alzò gli occhi giusto in tempo per vedere il corpo mutilato di Skids volare attraverso l’aria e venire trivellato da una salva di proiettili.
- CRISTO!
Una sottile pioggia di sangue ed il cadavere smembrato precipitò a terra nello stesso modo disordinato delle bambole. Sembrava che qualcuno avesse premuto un pulsante e tolto il sonoro al mondo.
- Logan?
Wolverine sbatté le palpebre. Tutto era silenzio. Da dove veniva quella voce?
- Logan… qui…Shan…bzz… mi ricev…
Il comunicatore pulsava tra le sue mani. Il sonoro tornò insieme alle percussioni degli spari. La voce di Shan aveva spezzato l’incantesimo.
- Shan! Qui Logan. State bene? Dove siete?
Altre cariche statiche gli giunsero insieme ad una voce concitata, strappandogli quasi un sospiro di sollievo. Wisdom rumoreggiava al suo fianco. Arclight li aveva raggiunti dietro alla barricata e stava ripagando la loro ospitalità facendo sistematicamente saltare braccia e teste alle Sentinelle più vicine. Un rumore stridulo e dopo qualche secondo la voce della vietnamita lo raggiunse in un gracchiare un po’ più nitido se non meno intenso.
- Stiamo tutti bene. Com’è da voi la situazione. Sono tornati a tutti i poteri?
Una granata penetrò attraverso la barriera, esplodendo di fianco al braccio di Arclight. La donna urlò e corse al suo braccio mozzato. Wisdom lanciò ogni sorta di maledizione ed aprì un fuoco di copertura. Attraverso la confusione dei feriti ed il rintocco degli spari, Logan trovò la forza per urlare.
- Poteri? Quali poteri cocca?
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Secondo le statistiche un uomo in media fa cilecca una volta su cinque. Remy Lebeau non conosceva il significato di quel termine. Non ci credete? Chiedete in giro. Ora di fronte al complesso alveare di cavi e pulsanti luminosi del centro di comando iniziava a capire cosa significasse sentirsi impotente. Ne aveva provate di tutte, gli aveva persino tirato un calcio per la frustrazione (si era ricordato solo più tardi e con sommo dolore della sua caviglia ferita). Niente. Non riusciva ad entrare. Avrebbe tanto voluto avere una sigaretta.
Aveva lanciato almeno dieci subroutine, ma nessuna sembrava intenzionata a fare breccia nel cervello meccanico. Senza il codice d’accesso generato dalle frequenze d’onda di una Sentinella le porte del sistema rimanevano chiuse. Bastion aveva davvero dei gran bei giocattolini. Si passò una mano tra i capelli e si diede mentalmente dell’idiota. Aveva bisogno, strano a dirsi, di una Sentinella e cosa aveva fatto quasi saltare a neanche trenta metri da lì?! Sperando, ovviamente, che i proiettili della sua glock gli avessero lasciato abbastanza da poter riutilizzare e che il sistema fosse compatibile con le Mark1. Meditando sull’importanza di riciclare sempre i propri rifiuti, Remy si precipitò per il corridoio da cui era venuto dimenticandosi quasi di zoppicare. Quasi.
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- Come sarebbe a dire che siete ancora senza poteri?!
Non era possibile. Doveva aver sicuramente capito male, queste trasmissioni erano piene di interferenze.
- Dimmelo tu, cocca. Il fattore di guarigione mi tornerebbe utile adesso.
Non aveva alcun senso. Shan e Rachel avrebbero potuto aspettare, ma Amara ed i suoi potevano morire nel frattempo. Disattivare gli inibitori della loro zona e ripristinare i loro poteri avrebbe dovuto rappresentare la priorità. Possibile che Lebeau (perché c’era di certo lui dietro a tutto questo, alla faccia del cospirare di Logan alle loro spalle) avesse preso una cantonata simile? I conti non tornavano. Il dubbio si installò come un piccolo parassita affamato nel suo cervello ed iniziò a rodere le sue certezze un tassello alla volta. Pensò a Sam, a quello che aveva visto nella sua mente ed a quel dolore basso, profondo e viscerale che aveva coperto ogni altra cosa. Quelle informazioni li avevano condotti lì. Lei li aveva condotti lì. Il tarlo continuava a riempirsi la pancia. L’aria iniziò a farsi irrespirabile.
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- Accesso consentito.
Se non avesse avuto in mano la testa mozzata di una Sentinella e la responsabilità di rappresentare una seria categoria di antichi professionisti, Remy avrebbe iniziato a fare la danza della felicità di Snoopy. Tutto sommato si trattene per la testa.
Dunque dov’era rimasto. Ah già. Le informazioni iniziarono a saettare sugli schermi luminosi. Tutte cose molto interessanti, ma di cui al momento non poteva importargli di meno. Doveva trovare le griglie di controllo. Non era certo di poter disinserire gli inibitori da lì, in quel caso avrebbe dovuto disattivarli zona per zona e manualmente. Un lavoraccio, ma soprattutto una faccenda lunga e lui di tempo non ne aveva più. I suoi neuroni avrebbero fatto meglio a darsi una mossa subito. Dopo minuti interminabili passati ad annaspare nel fango del codice binario, Remy fece jackpot. Trovati. Il ladro sorrise osservando i pannelli luminosi degli inibitori attivi. Ora doveva solo capire come spegnerli.
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- Wildchild sul fianco destro, Altman sul sinistro. Vediamo di dare un po’ di copertura all’inglese.
Wisdom era nei guai. Una Sentinella aveva pensato di abbattersi con tutto il suo metallico dolce peso sulla gamba destra dell’inglese, schiacciandolo e lasciandolo inerme al suolo. Al diavolo, persino quando le uccidevano quelle lattine continuavano a creare problemi.
L’aria iniziava a scaldarsi, la fronte di Logan e le sue ascelle erano madide di sudore, le continue scintille ed esplosioni avevano acceso il sangue verde delle Sentinelle, l’intera sala stava bruciando del calore di mille fuochi. Se andavano avanti così presto la loro preoccupazione più che i proiettili sarebbe diventata il fumo. Il laser di una Sentinella bruciò l’aria, Logan si abbassò, Teddy abbatté l’androide con la sua tipica precisione da cecchino. Wildchild preferiva stabilire coi suoi bersagli un contatto più fisico, un po’ come Logan: dopotutto a cosa servono artigli e fattore di guarigione se poi ti limiti a premere un grilletto?
Un gruppo di Sentinelle iniziò a staccarsi da quello principale ed a muoversi sulla loro destra. Maledizione. Si stavano facendo furbe, li volevano accerchiare. Logan non fu il solo ad accorgersene, almeno se il ringhio basso di Wildchild era da considerare un indizio.
- Kyle rimani qui e proteggi Wisdom.
Gli occhi del biondo più animale che uomo incrociarono i suoi, Wildchild scoprì i denti acuminati ed annuì. Usare il suo nome umano aveva sempre un effetto calmante sulla sua psiche frantumata.
Logan si lanciò sulla sua destra, artigli sguainati e cuore che pompava sangue ad una velocità folle. Le spie rosse dei puntatori laser delle Sentinelle si concentrarono su di lui. Logan scartò di lato ed intercettò il gruppetto che lentamente muoveva verso la propria morte. Tre artigli si insaccarono dentro ad un torace di metallo tranciando cavi e schizzando benzina verde tutt’attorno. Un’altra Sentinella chiuse sul suo lato sinistro, Logan liberò gli artigli dal petto della sua compagna e le ficcò un proiettile tra gli occhi. Le rimanenti cinque tentarono di accerchiarlo. Logan sorrise, quelle lattine non sapevano con chi avevano a che fare. La manciata di secondi seguente fu un vortice confuso di metallo, scintille, sangue, spruzzi verdi e grida. Alla fine solo Logan rimase in piedi. Il fiato gli usciva corto, le sue mani e le sue braccia erano una distesa di rosso, gli artigli scintillavano alle luci dei fuochi. Se avesse avuto un sigaro lo avrebbe acceso. Era sempre il migliore in quello che faceva. Troppo preso dall’euforia del momento, non si accorse del bip secco alle sue spalle che accompagnò lo stanco riaccendersi degli occhi della prima Sentinella abbattuta. Un attimo dopo un laser ad alta frequenza penetrò nel vuoto tra i suoi polmoni. Logan cadde a terra gli occhi azzurri spalancati a metà di un grido, una rosa rossa al posto del cuore.
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- Andate via. Trovatevi un riparo!
Wisdom urlava, il piede ancora bloccato da una tonnellata di acciaio semifuso. I suoi occhi non riuscivano ad abbandonare il cadavere di Logan. Teddy era fermo, immobile, a fissare il punto dove il canadese era caduto. Nessuno di loro riusciva a credere fosse davvero finita. Wildchild lanciò un grido più simile ad un ululato e partì alla carica delle Sentinelle che incuranti della loro tragedia personale continuavano ad arrivare.
Pete Wisdom non era mai stato un uomo di fede. Non credeva in Dio e certamente non credeva nell’uomo. Pete Wisdom era un uomo solo ed a lui stava bene così, grazie tante. Excalibur era stata un dannato veleno. Kitty Pride con la sua testardaggine, il suo carisma, la sua forza di volontà non aveva cambiato le sue idee: l’aveva costretto a credere. Il mondo è tutto uno schifo e gli uomini sono parassiti che infettano la Terra, ma da qualche parte, nascosto sotto strati e strati di odio, terriccio e fango c’è qualcosa di buon per cui vale la pena combattere. Appena una scintilla certo, a volte ancor di meno, ma innegabilmente c’è. Kitty era sparita, Bastion gli aveva rubato la sua scintilla ed anche se ora aveva Rachel, Wisdom non aveva più niente in cui credere. Un senso di nausea, seguito da uno di euforia e da un terribile cerchio alla testa iniziarono a mettere in discussione la sua personale posizione sull’esistenza di Dio.
I volti di tre Sentinelle chiusero sul suo, un attimo dopo i corpi metallici ricaddero trafitti da pugnali di pura energia. Le dita di Wisdom fumavano e brillavano di rosso. Vide il corpo di Teddy lentamente mutare e due ali aprirsi sulla sua schiena. La furia di Wildchild squassava le file delle Sentinelle, i proiettili si conficcavano nel corpo del mutante ed uscivano da ferite già richiuse. Un’onda d’urto si abbatté su un gruppo di Mark2, mentre gli occhi di Arclight, in piedi col moncherino del suo braccio mozzato in mano, brillavano di una furia omicida. La terra stessa iniziò a spaccarsi e tremare. Magma.
Teddy sollevò il pesante corpo metallico che bloccava Wisdom al suolo, come se si fosse trattato di gommapiuma, ma l’inglese era troppo impegnato per ringraziarlo. Stava fissando un punto un poco discosto da loro e sulla destra. Wisdom vide un piccolo energumeno alto un metro ed un tappo sollevarsi dalle macerie delle Sentinelle che aveva seppellito e, per la prima volta da quando era bambino, credette.
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- Voilà, non era poi così difficile, n’est pas?
Remy sorrise, un rivolo di sudore correva lungo la sua tempia. Si sgranchì le braccia e fece schioccare una per una le nocche di entrambe le mani. Era un fottuto genio.
Il ladro si concesse appena un momento per stiracchiarsi sulla sedia pienamente soddisfatto di se stesso. Perfetto. E con questo gli inibitori dei magazzini dell’ala est del secondo piano erano andati. Un attimo dopo era di nuovo al lavoro. Ora toccava agli altri piani. Un sorriso furbo e decisamente malvagio spaccò il suo viso da orecchia ad orecchia.
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Logan si portò una mano al petto, mentre la sua testa cercava di venire a patti con il caos. Sentì la terra tremare sotto i suoi piedi, ma non riuscì a capire se si trattasse solo della sua immaginazione. Forse finalmente era morto per davvero. Si guardò attorno, le sopracciglia sempre più aggrottate su un paio di occhi fuori fuoco. I cadaveri delle Sentinelle tutt’attorno, pozze di verde mischiate al rosso ed un odore nauseante che ti scendeva giù fin nelle ossa. Se questo era l’oltretomba, francamente faceva schifo. Bhè, tanto non aveva mai puntato molto sul paradiso. Uno scoppio lo fece rotolare a terra più per il rumore che per l’onda d’urto della detonazione. Da qualche parte qualcuno stava urlando il suo nome. La voce era confusa: le sue orecchie erano come piene d’ovatta. La sua bocca sapeva di sangue. Muscoli e nervi costruivano dighe all’interno del suo organismo e pulsavano nel tentativo di rimettere in moto il motore. Si sentiva stanco, prosciugato, ma soprattutto furioso. La nebbia nella sua testa iniziò a diradarsi e Logan si tirò su di scatto. Fu allora che la realtà della situazione precipitò su di lui come una pioggia d’acqua fresca. Il fattore di guarigione funzionava di nuovo. Oh.
Uno ad uno i tredici uomini dei venti partiti emersero dalle loro barricate e calarono sulle Sentinelle con la furia della tormenta durante l’inverno. Logan vide Amara trasfigurata nella sua forma di lava seminare ovunque morte e panico. Gli androidi si accartocciavano su se stessi, il metallo fuso riempiva l’aria di un profumo pungente e mai tanto benedetto. Logan rise, poi iniziò a tossire. Il fumo stava saturando l’aria. I fuochi prima minuti si stavano trasformando sotto la furia di Magma in un vero e proprio incendio. I polmoni di Logan erano ancora pieni di sangue ed il suo fattore di guarigione era al momento impegnato a fargli crescere un nuovo cuore per preoccuparsi anche di un suo eventuale soffocamento. Osservò Wildchild saltellare in giro beato, il calore del fuoco non lo spaventava. Non spaventava nemmeno Logan, strettamente parlando, ma era preoccupato per gli altri. Per quanto a Lebeau piacesse sostenere il contrario, si ricordava che non tutti possedevano un fattore di guarigione. Teddy Altman atterrò al suo fianco preoccupato per ragioni diverse.
- Wolverine come ti senti?
- Come ad uno a cui hanno spaccato il cuore in due, cosa ne dici cocco?!
Teddy accennò un sorriso.
- Eppure Neena non era nei paraggi.
Cosa diav… Oh. Molto astuto, davvero molto astuto. Logan ripagò Hulkling con una smorfia ed un grugnito.
- Dobbiamo contenere questi fuochi.
Teddy annuì. Un attimo dopo il sistema antincendio sparò schiuma su tutti i presenti. Logan rimase fermo, immobilizzato sul posto. Cercò negli occhi di Teddy una risposta per trovarli ancora più imbambolati dei suoi. Da quando le cose erano così facili?
- Billy…?
La voce di Teddy era un sussurro appena udibile sopra il fracasso. Logan si trovò a scuotere la testa. Non poteva trattarsi dello stregone, tanto per cominciare come faceva Wiccan a sapere del loro problema attuale? Logan aggrottò le sopracciglia, a ben pensarci perché il sistema antincendio non era partito prima visto che c’era?
Le sue domande trovarono risposta nel bip acuto che risuonò nel suo orecchio seguito dalle scariche statiche del comunicatore e da una voce decisamente arrogante.
- Salut, cher… ti sono mancato?
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- LEBEAU! Hai spento il tuo comunicatore?!
Gli urli di Logan erano un vero sollievo: senza fattore di guarigione e con quella propensione a gettarsi alla carica senza prima pensare… Era un miracolo che fosse ancora vivo. Per quanto la rassicurazione sulle capacità polmonari del suo irsuto amico gli facesse piacere ciò non toglieva che Logan avrebbe anche potuto mostrargli un po’ più di gratitudine.
Remy decise di lasciare correre, dopotutto questa volta il canadese aveva un pochettino ragione (ma proprio un pochettino): avrebbe dovuto ricordarsi prima di riaccendere il comunicatore, ma nessuno lo costringeva ad ammetterlo.
- Non cher, al quinto piano c’è poco campo.
- Quinto? Non ce n’erano quattro?!- Remy alzò gli occhi al cielo sarebbe stato troppo sperare che Logan gliene lasciasse correre mezza – Un’altra di quelle del tuo tizio della planimetria, eh?!
- Non c’è bisogno di rivangare, cher… vivi l’attimo.
Logan grugnì qualcosa di poco educato.
- Te lo do io l’attimo... vedi di riportare le chiappe ai laboratori, Rachel finisce la sua magia e ce ne andiamo tutti con Billy.
Remy si mordicchiò le labbra. Adesso veniva la parte difficile.
- Non posso, cher.
- Che cavolo vuol dire “non posso”, fila soldato è un ordine.
Ed ecco che come al solito quando le cose non andavano come voleva lui, Logan credeva di essere di nuovo in Vietnam.
- Non posso perché l’antivirus di Bastion è in evoluzione continua e se non lo tengo d’occhio rischia di eliminare la mia subroutine.
Il silenzio gli rispose dall’apparecchio insieme alle cariche statiche. Remy sospirò. Ecco perché insisteva sempre sulla necessità di parlare chiaro.
- Significa che se me ne vado, gli inibitori tornano attivi, cher.
Logan non gli rispose subito, sapeva cosa significava. Avrebbero dovuto lasciarlo lì e tentare al massimo un salvataggio dell’ultimo minuto. Remy non aveva rimpianti. Sapeva esattamente per cosa si era offerto volontario.
- Mando Northstar a prenderti quando abbiamo finito, cocco.
Remy sorrise.
- Merci.
I due mutanti rimasero ad ascoltare il filo del loro silenzio protrarsi. Se Remy avesse saputo cosa sarebbe successo nella mezz’ora successiva, forse avrebbe detto qualche cosa. Di stupido con molta probabilità. L’unica certezza è che fu Logan il primo a parlare.
- Toglimi una curiosità, cocco. Come mai il sistema antincendio non è partito prima?
- Perché i sistemi di mantenimento si spengono quando le Sentinelle entrano in modalità offensiva quindi, oui…- Remy sorrise. – Se avessimo aspettato ancora un po’ avreste finito l’aria. C’è altro?
Logan grugnì nel ricevitore.
- Se sei così bravo, allora mi spieghi perché hai disattivato gli inibitori delle celle prima dei nostri, eh cocco?!
Remy sbatté le palpebre. Cosa stava dicendo Logan?
- Ma cher… io ho disattivato prima i vostri.
La valanga era cominciata e loro non se n’erano accorti.
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La Sentinella Mark3 fissava immobile le scariche elettriche giocare a rincorrersi lungo le sbarre della sua cella. Non pensava a niente: era spenta. Dentro, in un punto particolarmente remoto del suo cervello dove i nanniti non erano riusciti ad entrare, la Sentinella stava urlando. La doppia palpebra retrattile in quarzo rubino copriva due occhi lattiginosi e stanchi. Il suo corpo era una coperta patchwork di piastre blu di metallo cromato. Cerniere dentellate in acciaio risalivano lungo il collo composto da tubi flessibili e ricadevano come pioggia lungo il petto. Dove un tempo aveva battuto un cuore era visibile una lunga placca triangolare rossa, sopra vi erano incisi il modello ed il numero di serie: Mark3 0094. Un numero e dietro tanti volti sconosciuti che gridavano vendetta. Nonostante le giunture delle dita, delle caviglie e dei polsi presentassero ancora cavi scoperti, la Sentinella Mark3 era una perfetta macchina di morte.
Rachel avrebbe riconosciuto il volto di Scott Summers ovunque.
Fenice trattenne il fiato ed allungò una mano, le sue dita accarezzarono l’aria ad un centimetro dalle sbarre elettriche ed a quattro dal volto di suo padre.
Rachel immaginò che la Sentinella l’avesse riconosciuta e che il suo sguardo non fosse concentrato su di lei a causa del suo calore corporeo. Il cuore della ragazza scandiva un ritmo frenetico, sembrava avesse dimenticato come si faceva a respirare, i suoi occhi dilatati si fecero progressivamente più umidi. Avrebbe potuto rimanere davanti a quella cella per il resto della sua vita e non accorgersene.
- Signora? Signora…
“SIGNORA!”
La voce telepatica di Esme Cuckoo si fece strada attraverso il vertiginoso caos esploso nel suo cervello, risvegliandola dal suo stato catatonico.
- Esme…- Rachel non riconobbe la sua voce, era qualcun altro a parlare, qualcuno di molto lontano. – Sii la mia ancora.
La ragazza non rispose, ma annuì severamente, il volto sobrio e senza traccia dell’abituale malizia. Esme Cuckoo, l’ultima delle Naiadi di Stepford, era al fianco di Fenice e, questa volta, non l’avrebbe lasciata cadere da sola.
Rachel chiuse gli occhi e sentì la forza della giovane telepate scorrere attraverso di lei e nel filo di Arianna strettamente annodato al suo polso. Un secondo dopo ed era di nuovo dentro e fuori da lei, al di là del mondo e nei pensieri di tutti: il piano astrale la richiamava a casa.
Il dolore si abbatté con un colpo di mazza l’istante successivo, facendola rovinare al suolo. Dita di acciaio le artigliarono il viso, le strapparono i vestiti e dilaniarono il suo corpo. “Carne”era un ululato, un sussurro, una preghiera incalzante e frenetica che la sommergeva, schiacciandola, ma Rachel era Fenice e del vortice di dolore confuso che le si agitava intorno, interessava solo un nome. Le fiamme lentamente avvilupparono il suo corpo e si espansero come un’onda nell’aria gettando quelle schegge infelici lontano, nei recessi più bui di quella fognatura in cui tutto finiva per marcire. Chiuse gli occhi ed allungò una mano, cercando nell’aria il sentiero per il nucleo pulsante della mente dell’uomo nella macchina. Ogni rumore, ogni odore divenne più intenso, fastidioso, ingombrante, poi, lentamente, svanì come il pubblico durante i titoli di coda, lasciando posto ad una sensazione pungente e dolorosa che si espandeva attraverso il suo palmo al resto del corpo e Fenice si lasciò trasportare.
La strada che si aprì sotto ai suoi piedi era una mulattiera fangosa compressa da palazzi di plastica e metallo i cui frammenti arrugginiti piovevano sibilando al suolo. Rachel alzò una barriera, lasciando che vi rimbalzassero addosso e lontano. I suoi piedi cominciarono a sprofondare. Il panorama mutò: non era più in una città, ma in una gigantesca palude d’acciaio, immersa fino alle ginocchia nella melma delle sabbie mobili. La terra la ingoiava con golosità, seppellendola un centimetro alla volta nel freddo abbraccio del metallo fuso. Rachel poteva vedere la strada che la separava dalla sua meta srotolarsi davanti a lei: un esile serpente luminoso carico di tentazioni e promesse. Il fango grigio e verde le era già arrivato alla cintola, quando Rachel si sollevò in volo. Un istante dopo il cielo si riempì di sibilanti rumori meccanici. Rachel salutò lo sciame di cavallette d’acciaio diretto contro di lei con un globo di fuoco che dalle sue dita si allargò a comprendere tutto il mondo in uno spettacolo terribile ed accecante. Le cavallette urlarono, accartocciandosi orribilmente su se stesse e ricaddero nel buio da cui erano state generate. C’era quasi. Le difese iniziarono a farsi meno scontate.
Il vuoto attorno si riempì di luci esili ed intermittenti sparpagliate come lentiggini. Per un attimo Rachel fu travolta da tanta bellezza, sentì il fiato mancarle e si accorse di essere nello spazio. Il tempo necessario per creare una bolla telecinetica attorno al suo corpo e le stelle smisero di esserle simpatiche. Le luci si trasformarono in scariche energetiche dirette a tutta velocità contro di lei, la sua barriera resse, ma quelle continuarono ad attaccare ed attaccare, finché con un rumore di risucchio si aprì la prima crepa. Rachel passò alla controffensiva, le stelle però erano molto più veloci delle sue fiamme. Le poche che riusciva a raggiungere invece di avvizzire, assorbivano il calore del suo fuoco diventando ancora più grandi e terribili. La sua bolla non poteva resistere a lungo e lei non poteva permettersi di fallire. Non ora, non quando la sua meta era così vicina da poterla toccare. Rachel sorrise, mentre i frammenti della sua barriera lentamente si sfaldavano e precipitavano nel vuoto. Il piano astrale era un mondo dominato dalla mente. Un attimo dopo era comodamente seduta sul ponte di comando di un’immaginaria Enterprise (una volta a casa Wisdom avrebbe dovuto rimangiarsi ogni commento sulla sua presunta mancanza di fantasia). Le luci rimbalzarono ed esplosero a contatto con gli schermi della nave spaziale. Dopo una serie di infruttuosi attacchi, appassirono nel buio ed un muro grigio, immenso, metallico ed impenetrabile apparve sugli schermi. La telepate sorrise malvagiamente.
- Fuoco, signor Sulu.
La parete esplose in coriandoli di luce impalpabile, l’Enterprise svanì e Rachel si trovò faccia a faccia con Scott Summers.
- Ciao, papà.
#
Martha Johansson era irrequieta. L’avevano disconnessa dal sistema d’archiviazione e restituita alla vita e non si era mai sentita così in trappola. Era stata parte di un sistema, aveva galleggiato sul mondo inconsapevole di sé, degli altri, del suo ruolo di ingranaggio. Aveva conosciuto solo silenzio e pace. Poi David l’aveva strappata dal suo utero metallico, gettandola nuda e vulnerabile in una vita che poteva osservare solo da un vetro appannato. Avrebbe voluto urlare ed era terribilmente grata a David per questo. Non aveva mai voluto fare del male a nessuno ed ora l’orrore e la violenza le scorrevano davanti nei fotogrammi di una pellicola cinematografica di cui era stata involontaria comparsa. Era solo un cervello conservato in una teca di vetro ed avrebbe fatto di tutto per aiutare.
Gambit era stato incredibilmente galante e cortese con lei quando era riuscita a ricordare l’ubicazione del centro di comando. Northstar, invece, non tanto. Il canadese l’aveva messa subito in soggezione, poi Martha aveva visto oltre la barriera di fredda indifferenza ed aveva trovato un cuore battere allo stesso ritmo di quello di David. Jean-Paul le piaceva, quindi aveva iniziato a prenderlo in giro. Ora, assistendo al progressivo corrucciarsi della sua fronte colorata dalla preoccupazione e dall’ansia, Martha decise di rendersi utile.
David era al quindicesimo tentativo di fare breccia nel sistema d’archivio, sfortunatamente per lui la sicurezza dei dati per Bastion era molto più importante di quella dell’edificio. Dopotutto a fare la guardia della base c’erano già le Sentinelle Mark2, quale cane da guardia migliore? David lanciò una nuova maledizione e Martha concentrò ogni singola cellula cerebrale su quell’informazione sfuggente a cui stava puntando.
“David?”
Il ragazzo, preso alla sprovvista, quasi cadde dalla sedia.
“David ce l’ho fatta, me ne sono ricordata! Il codice d’accesso d’emergenza è…”
Il ragazzo sorrise, i suoi occhi brillarono dietro le spesse lenti dei suoi occhiali. Martha non aveva bisogno di dire altro, le conoscenze della telepate scorrevano attraverso di lui. Un attimo dopo e martellava sui tasti.
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A Remy non piaceva essere preso alla sprovvista. Aveva sempre un asso nascosto nella manica, ma questa volta aveva lasciato il trench a casa e le informazioni sullo schermo del terminale lo coglievano impreparato.
- Logan, c’è stato un accesso al sistema di sicurezza alle 11 e 40- Remy trattenne il fiato. – Esattamente un minuto dopo l’arrivo mio e di Jean-Paul.
La voce del canadese era un sussurro appena udibile coperto dal rumore delle esplosioni e dal sospetto.
- Quando è stato l’ultimo accesso?
Le dita di Remy volarono sui tasti. I suoi occhi fissavano i numeri, mentre gli ingranaggi del suo cervello collegavano le informazioni e facevano muovere la sua lingua.
- L’ultimo accesso è di un quarto d’ora fa- la Sentinella Mark1 usciva dalla stanza… perché uno spazzino doveva avere il codice d’accesso dei sistemi di controllo? –Hanno disattivato loro gli inibitori delle celle.
Perché avevano fatto una cosa del genere? A meno che…
Gli occhi di Remy vagarono sulla superficie lucida, le sue mani battevano sulla tastiera un ritmo di terrore crescente. Quello che più temeva apparì e rispose al suo sguardo dallo schermo del terminale. Le sinapsi di Remy si incendiarono ed il suo volto si svuotò da ogni colore.
- Logan, dì a Rachel e Shan di allontanarsi da lì.
Il sistema di contenimento del braccio carcerario era stato compromesso.
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David osservò il fiume di dati aprirsi al suo passaggio. Il suo sguardo indugiò su cartelline dai nomi tremendamente famigliari. Lesse “Noriko Ashida” e decise di non proseguire oltre; non erano i fantasmi quello per cui era venuto. Inserì la pen drive e salvò tutto comunque. Abbandonate le proprie esitazioni non gli occorsero che pochi minuti per trovare i file per cui lui e Jean-Paul stavano rischiando la pelle. I dati sul processo di “conversione” delle Mark3 scintillarono sullo schermo e vennero ingoiati dal suo dispositivo. Un paragrafo insignificante immerso tra tanti altri attirò la sua attenzione, David lo lesse avidamente, poi ne lesse un altro ed un altro, aprì un’altra cartellina a cui ne seguirono decine. Il suo cervello connetteva a velocità folle quelle informazioni sparpagliate assemblandole in un quadro terribile.
- Signor Beaubier.
Il suo caposquadra abbandonò un’accesa discussione mentale con Martha e prese posto al suo fianco. Gli occhi di Northstar presero nota dei dati sconnessi e dell’espressione di puro orrore sul volto di David.
- Signor Beaubier, le Sentinelle Mark3 non sono dei prototipi: sono state completate più di tre mesi fa.
Completate? Un momento questo significa…
- Il processo di conversione è irreversibile.
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Tutto era iniziato con una semplice missione di recupero, una cosa secondaria, una telepate in squadra e nella confusione della battaglia una Sentinella Mark3 col volto del loro leader scomparso. Cannonbal, un amico, con tutte le informazioni necessarie a spingerli ad un attacco disperato. Due tra i maggiori leader della Resistenza presenti. Fenice, la figlia di Scott Summers. Gli inibitori soppressi nella zona delle celle. Le Sentinelle Mark3 create da corpi di mutanti. Le Mark3 sono state completate.
Il tempo si fermò, l’aria si cristallizzò attorno a loro, gli occhi di Jean-Paul si dilatarono, un soffio uscì dalle sue labbra socchiuse.
- E’ tutta una maledetta trappola.
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- Ciao, papà.
Scott Summers era esile, quasi impalpabile, i suoi occhi, coperti dal visore anche nella proiezione della sua mente, fissavano tutto e niente. Papà… Le salì in gola un che di duro ed amaro, mentre una strana euforia colpevole iniziava a bruciarle dentro. Non se n’era accorta, ma il retrogusto salato sulle sue labbra non era altro che il sapore delle sue lacrime. Papà…
Non vedeva il leader, il simbolo, il modello, la bandiera, vedeva solo suo padre. Ferito, schiacciato, annientato, distrutto, ma vivo.
Rachel si avvicinò con passo incerto, così anomalo per lei, all’apparizione, gli occhi fissi in quelli dell’altro fino a che le punte dei loro nasi non si sfiorarono. Stava piangendo, come piangono i bambini. Stava piangendo come quella volta, una vita prima, in cui si era svegliata dopo un incubo ed era corsa ad infilarsi nel lettone tra mamma e papà. Allungò una mano tremante e sfiorò quel volto mutilato.
- Papà…
La sua voce era un sussurro, una preghiera. Il ghiaccio lentamente si sciolse attorno agli occhi di Scott Summers.
- R…. Rachel?
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Il comunicatore di Shan impazzì nel suo orecchio quando due chiamate si sovrapposero l’una all’altra. Attraverso le urla sconnesse e concitate, Shan decifrò il messaggio che in cuor suo già sapeva. Gridò un ordine, Indra corse al suo fianco, Esme si voltò, Rachel era già troppo lontana.
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- R…Rachel?
Rachel sorrise mentre gli occhi le bruciavano e la mano sul volto di suo padre si bagnava di lacrime non sue. La voce di Scott era uno sforzo doloroso e terrorizzato.
- R…Rachel…sc…scappa.
Rachel lo guardò senza capire.
Poi vide solo rosso.
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Fuori dal piano astrale, nel freddo abbraccio delle carceri tra le urla di Esme e Shan il corpo decapitato di Rachel si inginocchiò e cadde.
La testa bruciata rotolò al suolo.
Le sbarre elettrificate delle celle scomparvero nell’aria sterilizzata. Gli occhi delle Sentinelle Mark3 si accesero di rosso.
Un centinaio di puntatori laser si fissarono su di loro.

 
 
 

 
 
 

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Scusate.
Alla faccia di mantenere i capitoli lunghi uguali, ma per fare una citazione famosa "I do what I want!"
Un ringraziamento alla simpaticissima DawnArgento21.

 

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