Maledetti. Due fratelli, un'amica ...

di FannyHarris
(/viewuser.php?uid=135935)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: Scappa. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: folle. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3: Alexander Calo. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: Scappa. ***


Capitolo 1: Scappa.

“Presa!” Una giovanissima ragazza dai capelli tagliati corti, ribelli e biondi, fece uno scatto di corsa, e, presa una mela e il guadagno della giornata, si allontanò velocemente, con un sorriso furbo stampato sulle labbra.

“Mi hanno derubato! Prendetela! Maledetta furfante!” Un uomo sulla sessantina, grosso e che, visto il suo peso, non poteva di certo correre dietro a quella lepre, urlò con tutto il fiato che aveva in gola. Aveva le gote arrossate, per quanto era furioso. La gente accorse numerosa, ma era troppo tardi: la giovane dai capelli d’oro e gli occhi di ghiaccio era sparita già da un bel pezzo. I presenti si guardarono tutt’intorno, scossi e stupiti da tale velocità.

Molti di essi si dovettero stropicciare gli occhi più di una volta, per accertarsi che quel che era successo era vero. “Basta! Non si può andare avanti così! Sono anni che questi due maledetti furfanti ci derubano. Dobbiamo fare qualcosa per liberarcene.” Esclamò il più deciso della folla, che aveva già stabilito il da farsi. La massa, come fossero tante pecorelle smarrite, seguirono il loro pastore nel suo folle disegno.

“No. State attenti, ragazzi.” Sussurrò alla brezza serale una bambina, che da lontano aveva osservato la scena, sentendo un groppo alla gola, e sul punto di piangere a dirotto.

“Allora, caro fratellino, sono stata brava questa volta?” La bionda, dopo una lunga corsa, si era avviata per un fitto bosco, inalando a polmoni aperti l’aria fresca di quel posto così lontano dalla città, così incontaminato, le regalava. 

Era giunta sino ad una modesta grotta, e all’entrata aveva incrociato un ragazzo che ben conosceva. Era buio, ma alla bella non serviva la luce per riconoscere il gemello. Questi se ne stava in piedi, e, da quanto la ragazza ebbe intuito, doveva avere un’espressione corrucciata e le braccia conserte. Brutto segno, infatti ella sapeva che ciò significava che era arrabbiato o preoccupato.

Nell’animo della maggiore prese sopravvento un senso di angoscia, misto a tristezza. Non aveva mai litigato con l’unico essere umano che voleva avere vicino, e l’idea la faceva stare male. Si avvicinò a passi lenti, sul volto era dipinta una smorfia di disappunto e preoccupazione.

“Perché non mi rispondi?!” Chiese ad un certo punto, strattonando il gemello per le braccia, questo non si mosse, suscitando nella bionda un moto di rabbia. “Fratello mio, rispondimi!” Esclamò con le lacrime agli occhi, cadendo sulle ginocchia a terra.

Non avevano nemmeno un nome, e non ne sentivano la necessità. La società imponeva nome e cognome alla gente, ma loro non ne facevano parte. Erano solo due fratelli, e a tal modo si chiamavano quelle rare volte che vi era l’esigenza. Non avevano bisogno di sprecare molte parole, si capivano con un semplicissimo sguardo.

“Scappa, scappa, più lontano che puoi.” L’ammonimento, appena percettibile all’udito, venne colto subito dalla bionda, che osservò l’ombra del gemello con aria smarrita. Era la prima volta che succedeva qualcosa di simile e lei non capiva nulla circa cosa accadesse.

In quel momento i passi di un’esile bambina riecheggiarono come quelli di mille uomini, e dal suono i due capirono che si stava avvicinando. Erano ancora nella stessa posizione di prima, lei inginocchiata a terra e lui in piedi, con gli occhi chiari persi in chissà che punto. Ma la giovane dai capelli d’oro, alzato lo sguardo, vide la luna piena, che illuminava una parte del volto del gemello. 

Il sangue nelle sue vene ghiacciò. Il corvino sembrava perso nei suoi pensieri, e subito lei capì che stava per cadere qualcosa di orribile.

 Il moro era poco più giovane, ma da sempre il suo protettore, ed ella intese perfettamente che lui aveva percepito il pericolo prima di lei, e le chiedeva di andare, per salvarsi. Ma la bella dagli occhi cerulei era determinata a coraggiosa, non si sarebbe arresa e non sarebbe scappata come una codarda. Questa volta sarebbe stata lei a proteggere il suo amato fratello.

“Ragazzi, ascoltatemi, dovete scappare, la città vi sta dando la caccia … Mi mancherete …” Una bambina dai capelli rossi, lunghi e folti, sbucò dalla fitta boscaglia, e per prima cosa andò ad abbracciare colei che si era appena alzata in piedi, e osservava qualsiasi cosa con terrore. Non voglio morire. Maledetti.

“Ehi, Roxane! Sei tu. Vattene. Ce ne stiamo andando, ma sta attenta ti prego,  un giorno tornerò e verrai con noi, te lo prometto.” Le bisbigliò nell’orecchio, sollevando alla piccola il morale. Anche se, in cuor suo, si sentiva persa, quasi certa che forse non sarebbe riuscita a mantenere la promessa. Osservò il fratello che aveva assunto un’espressione più distesa e cordiale.

“Fa come ti ha appena detto mia sorella. Va’ via. Torneremo presto.” Disse con tono di voce amichevole, e col sorriso stampato sulle rosee labbra.  Roxane sciolse l’abbraccio e corse incontro al corvino, salutandolo con un caloroso abbraccio. Egli si chinò e portò via le lacrime che aveva agli occhi, sorridendole sincero. “Dai.” Le sussurrò. La rossa si mise sull’attenti, e si allontanò, voltandosi più di una volta, e sentendo le lacrime premere per uscire ancora. Le trattenne; infatti i suoi due amici le avevano insegnato a non piangere sempre a ogni difficoltà.

Grazie a loro aveva imparato ad essere forte, prima era un’orfana che si piagnucolava di ogni cosa, ma dal giorno in cui i suoi occhi verdi cangiante avevano incrociato quelli di ghiaccio dei due gemelli la sua vita era cambiata radicalmente …

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2: folle. ***


Capitolo 2

I tre passavano spesso le giornate in compagnia, e, a dispetto delle dicerie, lei trovava che i due non fossero affatto efferati e senza cuore, anzi … erano stati quasi dei genitori per lei. Roxane sapeva che anche loro erano orfani come lei e proprio questo li aveva indotti a raccoglierla dalla strada e aiutarla a vivere meglio.

Erano giovanissimi, ma malgrado ciò erano molto più maturi dei loro coetanei; avevano già conosciuto le sofferenze della vita al di fuori della dolce e rassicurante casa paterna, non avevano mai conosciuto i genitori e non avevano avuto una famiglia vera e propria  … se l’erano sempre cavata da soli, facendo  ogni qualvolta affidamento l’una sull’altro e viceversa, loro due erano una famiglia a parte.

Roxane rimaneva sempre stupita dalla loro immediata intesa, ecco cosa la escludeva un po’. I due si capivano al volo, senza bisogno di parole mentre lei no, aveva sempre di fronte una barriera.

Benché queste prime difficoltà, aveva vissuto benissimo assieme a loro, e sapere che rischiavano la vita la faceva soffrire moltissimo.

La rossa era ormai molto lontana, e gli alberi frondosi le nascondevano alla vista i gemelli dagli occhi di ghiaccio, come li chiamava sempre lei. Sentì una morsa allo stomaco, aveva un bruttissimo presentimento.

Le tenebre avvolsero le sue giovani e fragili membra , e la piccola cadde a terra, priva di sensi: il trambusto e le emozioni della giornata presero il sopravvento; era troppo piccola per riuscire ad essere tanto forte quanto lo erano i suoi due più grandi amici.

Un fascio di luce rischiarò quel punto della strada, illuminandolo a giorno, e l’unica cosa che riecheggiò nell’aria fu una risata diabolica. “Ma eccoti.” Una mano rugosa e molto forte raccolse una ciocca dei suoi bei capelli color cremisi. In seguito fu portata via, lontano da quel posto, che purtroppo non avrebbe rivisto mai più.

“Allora, sei riuscito a trovarla?” Due ombre parlavano tra di loro, a voce bassa e completamente avvolti nelle tenebre della notte, portatrice di segreti oscuri.

“Sì, ricordati quello di cui abbiamo parlato però.” Bisbigliò l’altra, consegnando la bambina, ma tenendosi per sé la ciocca di capelli. Non era tanto stolto da seguire ciecamente gli ordini di quel folle.

I due spettri sinistri si dileguarono quando la fenice iniziò a far capolino, portando pace e luce; come gli spiriti notturni, occulti e malvagi, che agiscono solo in presenza delle tenebre.

----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

“Buongiorno dottore. Buone notizie?” Un uomo abbastanza vecchio, che aveva il volto circondato da lunghi capelli bianchi e una folta barba dello stesso colore, si alzò in piedi, ricevendo con un  sorriso da pubbliche relazioni il suo ospite. Questi era ancora immerso nell’ombra, e aspettò interminabili minuti prima di iniziare ad avanzare verso il sindaco.

“Salve gente. Cari cittadini, a breve avrete la pace che da anni agognate ardentemente. Ecco qui la loro complice.” Era ancora avvolto nelle tenebre, quando la sua mano destra si porse in avanti, venendo così colpita dall’intensa luce del sole che penetrava nell’aula dalle ampie vetrate. L’uomo misterioso sentì che gli bruciava immensamente, lui non agiva mai alla luce di quella maledetta fenice.

Gettò con non curanza un esile corpicino a terra, davanti a sé. Non fiatò e non si scompose più di tanto.

Al contrario i presenti guardarono la bambina, dai capelli rossi tutti scompigliati, con orrore misto a spavento. “ Ma è solo una bambina! Che le ha fatto?” Domandò a voce alta uno degli uomini nella sala, avvicinandosi a quella fragile creatura, con una smorfia di ribrezzo dipinta sul volto.

Il sangue non impiegò molto tempo a spandersi e a macchiare il pavimento di un rosso scuro, stesso colore della chioma della bambina.

“Non la toccare.” L’ammonì una voce severa, facendo bloccare il magnanimo di scatto. Gli altri non osavano fiatare e muoversi; erano paralizzati. 

“Avete detto che vi sareste fidati, e che l’importante era trovare i due furfanti. Ieri eravate d’accordo, o sbaglio?” Domandò con tono di voce sadico lo spettro dalle fattezze di un uomo di mezza età.

“Ma non pensavamo che avrebbe adottato maniere così brutali!” Esclamò in preda alla furia colui che aveva mostrato più coraggio di tutti. Era giovane e portava i capelli di media lunghezza, colorati di un dolce castano scuro.

“Zitto. Be’, non voleva dirmi nulla. Ma non preoccupatevi tanto, non è ancora morta.” Sibilò quello che, se il giorno prima si era presentato come un angelo portatore di libertà e pace, ora pareva aver preso la forma di un demone, portatore di morte.

A conferma delle sue parole Roxane tossì leggermente, nonostante fosse ancora senza sensi.

“Bene, posso anche andare.” La luce inondò un uomo dalle iridi di un colore cangiante dal castano al rosseggiante, suscitando un moto di terrore nell’animo di tutti.

 “Non permettetevi di fare nulla senza consultarmi, mi sono spiegato?” Puntò gli occhi sui presenti, indagandoli e penetrandoli sin dentro le viscere, uno per uno. Nessuno avrebbe fiatato o contestato, tenevano troppo alla vita. Persino il più impavido sentì una morsa allo stomaco che bloccava la sua volontà di agire.

Si prese la bambina, ancora sanguinante, e la portò via, pronto a compiere il suo malvagio disegno.

Allora, noto con molto dispiacere che pare che questa fanfic non abbia riscosso molto gradimento, anzi per niente, però Fanny non demorde J Spero che questo vi piaccia * incrocia le dita *

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3: Alexander Calo. ***


Capitolo 3

“Allora, Gelo, dov’è la mia ricompensa? Sono stato chiaro, no?” Un uomo sulla trentina, dai capelli lunghi e biondi, era seduto ai piedi di una roccia, situata nel bel mezzo di un deserto infinito. L’aria che si respirava era gelata e pungente; infatti era scesa la notte, e in simili posti la temperatura calava sino a raggiungere anche i meno sessanta gradi.

Alexander Calo, giovane scienziato, molto promettente nel campo della robotica, percepiva il freddo  intenso sulla levigata pelle, come tanti aghi spessi ed aguzzi che lo trafiggevano in ogni angolo del suo corpo, senza sosta e pietà. Le iridi nere si volsero sulla figura che aveva di fronte, ispezionandola furentemente e maliziosamente, nascondendo il dolore che provava a causa di quelle temperature inumane.

“Caro Alexander, sei stato chiarissimo. Ti ringrazio per essere riuscito a prendere la bambina. Ma prima, voglio tutti i dettagli.” Una folta chioma canuta ondeggiò candidamente, sospinta dal lieve vento gelido che soffiava. L’uomo fece qualche passo in direzione del più giovane, che, con gli occhi contratti, lo seguiva in ogni suo movimento.

“Che vuoi sapere?” Domandò secco, senza troppi giri di parole e ulteriori misteri.

“Ti ha visto qualcuno? E sai a chi mi riferisco.” Anche lo scienziato più famoso, fu molto poco eloquente e socievole.  Durante la giornata precedente si era presentato su mentite spoglie agli occhi della città, terrorizzando i cittadini talmente tanto che ora erano divenuti i suoi burattini e lui il loro capo. Alexander capì subito a chi si riferisse e fece un cenno di dissenso con la testa, rasserenando anche Gelo.

“Ora dammi quello che mi spetta.” Vibrò solenne la voce del giovane scienziato, esortando severamente l’uomo dalla chioma canuta.

“Aspetta, aspetta, non avere fretta. Dammi la ciocca.” Il Dott. Gelo si fece più vicino, inchiodando i suoi occhi fiammeggianti a quelli tenebrosi di Alexander. Quest’ultimo arretrò indeciso e preoccupato, meravigliato da tali parole. “Non so di che parli.” Provò a dire, fingendosi sicuro delle sue affermazioni.

“Dai, non farmi perdere la pazienza.” Il canuto porse in avanti la sua mano segnata dalla scienza, come in attesa di ricevere qualcosa.

Il biondo capì che era inutile fare finta di nulla, e quindi, estrasse dal suo camice bianco un becher di piccole dimensioni, contenente una ciocca di capelli rossa.  “Tieni. Ora dammi la mia ricompensa! Ho catturato la  bambina, sana e salva, i prescelti non l’hanno nemmeno notata, che altro vuoi da me?” Sbraitò furioso, mostrando con fare minaccioso il suo pugno destro, stretto a dovere.

Non ci fu nemmeno il tempo di batter ciglio che sentì sul collo qualcosa di freddo e appuntito, poggiato con violenza, ma non tanta da lacerare la pelle.

Un pugnale.

“Ora stai zitto e ascolta attentamente. Ti darò tutto quello che vuoi, ma ti sei dimenticato che ti avevo accennato dell’altro?” Gli sussurrò in un orecchio, portandogli alla memoria il suo primo incontro con quel folle.

“Buongiorno, lei sarebbe Alexander Calo, uno dei più promettenti scienziati. Piacere di fare la sua conoscenza.” Un uomo di circa cinquant’anni anni si sedette sulla sua sedia, nel suo laboratorio. Aveva un’espressione distesa e serena sul volto, nonostante gli ultimi scandali. Infatti, dopo la disfatta della Red Ribbon, si narrava che lo scienziato fosse morto, oppure disperso, ma comunque fuori dalla circolazione da anni. Alexander, per merito delle sue innumerevoli ricerche, era riuscito a trovare il dottore, e persino avere un colloquio con egli.

“Il piacere è tutto mio, sono onorato di fare la sua conoscenza.” Disse con tono di voce modesto, ma al contempo deciso.

“Bando alle ciance. Sei pronto?” Lo scienziato si alzò, dando le spalle al giovane, e si diresse verso una capsula bianca. “Qui c’è il mio ultimo androide. Ma non sono per nulla soddisfatto.” Sibilò abbattuto, con una punta di rabbia.

“Perché dottore?” Domandò con aria innocente, avvicinandosi per poter vedere quale fosse il contenuto.

“Non è ancora giunto il momento.” Lo interruppe bruscamente, allontanandolo dalla capsula contenente l’androide numero 16.

“Mi perdoni.” Affermò con sguardo chino, puntato a terra.

“Ho una missione importante per te.” Puntualizzò deciso il più anziano.

“Di che si tratta? Però sa, le ho già detto tutto di me, e le assicuro che nonostante la mia giovane età non sono uno sprovveduto. Voglio la mia ricompensa, dopo!” Esclamò risoluto e malizioso.

“Sì, non preoccuparti. Ma quando avrai finito, forse ce ne sarà un’altra, solo allora sarai libero. Ma ricorda, guai se qualcosa dovesse andare storto.”

 “Sì, me lo ricordo. Va bene, dimmi che devo fare.” Fiatò appena, visto che la morsa si faceva sempre più stretta e pericolosa al passare dei minuti, che parevano interminabili.

“Trova il punto esatto del loro nascondiglio. In teoria dovrebbero abitare in un piccolo appartamento che quei disgraziati del loro genitori avevano lasciato loro, ma ho potuto appurare che non ci sono quasi mai. Sono certo che hanno un nascondiglio segreto, dove architettano tutti i loro colpi.” Spiegò con gli occhi semichiusi, illuminati dalla fioca luce che emanava la piccola luna. Amava quell’ora della notte, amava il freddo, la razionalità … la scienza. Al contrario, Calo prediligeva il giorno, il caldo, la passionalità (ecco cosa, a dire di Gelo, gli impediva di affermarsi come scienziato) … l’etica in passato, infatti ora, spesso questa sua regola morale finiva per mancare dall’elenco, a causa della sete di potere.

“Chiedilo a quella povera disgraziata, no?” Sputò alterato e leggermente intimorito da quelle dure parole; in quel momento la presa si fece quasi nulla, e il pugnale fu lontano dal suo nudo collo.

“Non sono problemi tuoi. Ora muoviti.” Lo esortò severamente, fulminandolo con gli occhi tetri, nei quali brillava una luce sinistra.

Avrò la mia gloria, la notorietà … e tu, caro Dott. Gelo, cadrai, cadrai come un insetto. Manca molto poco.

Terzo capitolo :D Spero che vi sia piaciuto :D Lentamente sto spiegando tutto, un po’ di pazienza e tutto sarà più chiaro J Risponderò ad ogni dubbio e lo farò proseguendo con la fan fic :D Ringrazio Giambo e Rose :*

Grazieee :D

Fanny.

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=998438