Warbler to Warbler

di Joey Potter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Like being in love to feel for the first time ***
Capitolo 2: *** A girl like that ***
Capitolo 3: *** I know you ***
Capitolo 4: *** Wednesday at Woody’s ***
Capitolo 5: *** Under the March sun ***
Capitolo 6: *** Names ***
Capitolo 7: *** Future tense ***



Capitolo 1
*** Like being in love to feel for the first time ***


Titolo: Like being in love to feel for the first time
Fandom:Glee
Personaggi:Sebastian Smythe/Blaine Anderson
Genere: (vagamente) angst; introspettivo
Rating:PG-15 (ma solo perché Sebastian è un bimbo un po’ volgare e leggermente fissato col sesso)
Avvertimenti:slash; one-sided (più o meno. Cioè, per me non lo è affatto ma sembra lo sia perché Sebbie è un cretino); Missing Moment spoiler 3x11 (ma non credo nemmeno sia spoiler, ormai)
Note:1) Scritta per il primo giorno della meravigliosa Seblaine!week, con il prompt “first time”
2)Titoletto rubato a una strofa di “First time” dei Lifehouse perché è Glee e le canzoni non sono mai messe lì a caso (sebbene i RIB tendano a dimenticarsene)
3) La seguente si ambienta durante la notte post Michael-battaglia-Usignoli-versus-Percorsi. Vedrete Blaine zompettarsene allegramente (?) senza benda perché Sebastian non sa quanto effettivamente il suo gesto sia stato idiota e deleterio per Blaine-sono-un-hobbit-e-mi-becco-le-granite-in-faccia-Anderson.
 
 
 

Tutta per Ilaria, che mi ha plottato amorevolmente una trama che io ho poi smerdato reso discutibilmente.
Ancora tanto amore per te (e loro, of course)

 
 
 
 

Like being in love to feel for the first time

 
Quella non è esattamente la prima volta che Sebastian sogna Blaine Anderson – un culo del genere  è senza alcun dubbio destinato a popolare le sue notti bagnate, è proprio una necessità, deve affollare le notti fatte di gemiti, immagini sfocate ed erezioni mattutine – ma ha sicuramente altri primati, oltre a quello d’essere la volta in cui sogna Blaine con le mutande addosso.
Quella è la prima volta che Sebastian sogna Blaine Anderson con quei suoi orribili e inquietanti papillon fuori moda dannatamente teneri e sexy ­– no, un attimo. Dannatamente sexy. E teneri. Prima il sesso, poi il resto, semmai ci sia dell’altro, è così che funziona, è così che Sebastian funziona – e quell’insieme di improbabili vestiti, è vero, ma è anche la prima volta che Sebastian sogna Blaine Anderson decisamente incazzato e forse persino ferito dal suo stupido, immaturo comportamento.
Quella è la prima volta che Sebastian non riesce a sminuire le proprie azioni, inventando una bugia qualsiasi che sopprima i vaghi sensi di colpa.
Quella è la prima volta che Sebastian si sente una merda completa.


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Lima Bean è avvolto dalla consueta confusione della pausa pranzo persino nel suo sogno, e centinaia di adolescenti affollano la caffetteria e spintonano per un cappuccino, mentre le inutili e ripetitive chiacchiere delle ragazzine impegnate a spettegolare arrivano alle sue orecchie come ovattate.
Sebastian tamburella nervosamente i polpastrelli contro la tazza del caffè ormai vuota, scrutando di tanto in tanto nella folla e medita, con sempre maggiore insistenza, di alzarsi dalla sedia e correre via lontano, lontano da quel posto, lontano dalle proprie responsabilità, lontano da quella leggera ansia che gli agita lo stomaco, lontano dalle parole che sta masticando da ore – da quella mattina, da quando ha deciso di alzarsi dal suo letto, saltare le lezioni e aspettare Blaine in quella caffetteria – e che si sono incastrate nella sua gola graffiandola senza pietà, vuole correre via lontano da quell’improvvisa voglia di piangere e vomitare e poi piangere di nuovo e dopo vomitare ancora e magari nel frattempo urlare.
« Blaine ». Non gli esce molto bene, quel nome. È come se la bocca fosse improvvisamente impastata, o forse è semplicemente il suo essere una merda – le merde non parlano, le merde non hanno una bocca, le merde non implorano come invece sta facendo lui.
« Blaine » riprova dopo essersi schiarito la voce, e questa volta il suono è leggermente più deciso, o almeno riesce nell’intento di farlo voltare, in coda alla cassa.
Quando finalmente ottiene quel contatto visivo, Sebastian non è sollevato e, anzi, il senso di nausea si acuisce e le dita devono aggrapparsi al tavolino per impedirgli di scappare sul serio perché gli occhi di Blaine sono pieni di odio, di fastidio, di nervosismo.
Ma non è quello a turbarlo, in fondo si aspettava quella reazione e, anche se non riesce ad ammetterlo senza che la sua gola non raschi, sa di meritarsela; il fatto è, però, che tra la rabbia e l’irritazione, Sebastian scorge la delusione, e quello è un sentimento così inconsueto e così doloroso e lui non sa assolutamente come affrontarlo o cosa farci, sa solo che sporca i lineamenti di Blaine in un modo che no, proprio non gli piace.

« Blaine » sussurra ancora, ma l’altro distoglie lo sguardo e lo ignora.
Ed è allora che smette di pensare, smette di rigirarsi tra le mani l’orgoglio e lo raggiunge; attraversa la sala con pochi passi e lo sorprende alle spalle, guadagnandosi un insulto a mezza voce.
Vorrebbe esordire con una battuta, o qualcosa di figo, o qualcosa che semplicemente stemperi quella tensione, ma tutto ciò riesce a produrre è un monocorde « Ciao ».
Blaine gli punta addosso di nuovo quell’espressione; « Io non voglio parlarti, Sebastian » dice, e la sua voce non è mai stata così roca, nemmeno nei suoi sogni più articolati, nemmeno tra le carezze più lascive.
« Allora ascoltami » lo prega e neanche se ne accorge per vergognarsene.
Blaine non replica, si limita a porgere al barista una banconota e Sebastian pensa che potrebbe essere un invito, un’occasione, pensa che dovrebbe sbrigarsi, parlare in quel momento, sputargli quelle dannate scuse, ma apre la bocca inutilmente, perché le corde vocali sembrano non funzionare.
Anche quando Blaine si incammina verso l’uscita, con un caffè in mano e Sebastian al seguito, rimane zitto, incapace di rifilargli quel discorso provato e riprovato nel silenzio della sua testa.
Raggiungono presto la porta del locale e sospirano quasi all’unisono, in maniera completamente diversa.
« Volevo credere in te » Sebastian raggela quando sente quella frase. Non lo guarda, eppure può vedere quella sua smorfia di ira ed amarezza, e non sa, davvero non sa, cosa gli faccia di più male.
« Scusa » urla ad una porta che si chiude.
 

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Quella non è esattamente la prima volta che Sebastian sogna Blaine Anderson – seriamente, un culo del genere ti rimane inciso negli occhi già dalla prima volta che lo vedi, come potrebbe non sognare tutte le santissime notti di percorrerne ogni centimetro, di baciarlo, di accarezzarlo, di stringerlo tra le mani con ardore e reverenza – ma ha sicuramente altri primati, oltre ad essere la volta in cui sogna Blaine con le mutande addosso.
Quella è la prima volta che Sebastian sogna Blaine Anderson scivolargli via dalle dita, per colpa del suo stupido, immaturo comportamento.
Quella è la prima volta che Sebastian si sveglia sconvolto e sudato in un modo che con la gradevolezza dei sogni erotici non c’entra affatto; è la prima che avverte la gola bruciare di qualcosa che potrebbe facilmente chiamare disperazione, se solo riuscisse ad accettarne le implicazioni che questa si porta dietro.
Quando spalanca gli occhi spaventati e confusi, l’unica cosa che vede è il soffitto della propria camera da letto, ma la voce di Blaine gli rimbomba ancora nella testa, là dove i suoi insulti si mescolano ai propri.
Afferra il cellulare sotto il cuscino, in un gesto dettato dall’abitudine.
Il display segna le tre del mattino, prima che il pollice di Sebastian riporti la schermata rimasta in memoria.


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Messaggi -> Bozze ->
 
To Blaine
21.30
Non era per te. Non doveva… cazzo, non doveva succedere questo. Era… Doveva… Il tuo ragaz… Perché cazzo ti sei messo in mezzo?
 
To Blaine
22.50
Lo so, non mi credi, ma mi dispiace veramente. Stai bene, giusto? Insomma, urlavi così forte e sembrava… Blaine, io non…
 
To Blaine
23.16
Blaine, mi dispiace.
 
To Blaine
23.28
Sono un coglione.
 
To Blaine
00.12
Ho distrutto l’unica possibilità che avevo, giusto?
 
To Blaine
00.34
Blaine, mi dispiace, sono un coglione, ti giuro che non volevo, davvero, non volevo.
 
To Blaine
00.35
Scusa.



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Si morde le labbra con indecisione, prima di premere qualsiasi altro tasto. Rimane lì, sospeso nel dubbio a cercare di fare la cosa giusta.
« Volevo credere in te » la voce di Blaine risuona nelle sue orecchie.
Il polpastrello di Sebastian scorre deciso.
 
Messaggi -> Bozze ->
 
Nessun messaggio.
 
Quella è la prima volta che Sebastian si sente una merda completa.

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Capitolo 2
*** A girl like that ***


Titolo: A girl like that
Fandom: Glee
Personaggi: Sebastian Smythe(/Blaine Anderson); Jeff  Sterling
Genere: generale
Rating: PG-13 (= giallo, perché Sebbie è un pochetto scurrile anche in versione ragazza)
Avvertimenti: femslash, genderswap, flashfic,
Note: 1) Scritta per la seconda giornata della Seblaine!week, col prompt “Cisgender!Seblaine”, e per la mia tabellina AU @ auverse, con il prompt "genderbender".
2) Visto che amo complicarmi la vita, il genderbender l’ho inteso come globale e generale. Così Blaine è rimasto Blaine perché il nome Blaine è unisex, ma indossa una gonna e non porta quei suoi orribili pantaloni troppo corti, Sebastian è diventato Sebastienne perché quella è la versione femminile (e francese) del suo nome, Jeff è diventato Jephrey e ha guadagnato pure quattro battute perché mi serviva una spalla per Sebbie e lui nella mia versione “Lei” aveva dei capelli troppo fighi (ignorate Sebbie, i capelli di Jeph sono fighissimi), e la Dalton è rimasta Dalton ma ha tra le sue file solo balde giovani fanciulle e i Warblers sono diventati le Warblers, con tanto di blazer. Ah, c’è un leggero riferimento Niff (Nick/Jeff).
3) Per questioni di tempo (sono già in ritardo di un giorno, maledetto esame di geografia, sgrunt!), la cosetta non è Betata. Quindi se notate errori/orrori segnalatemeli pure, grazie!
 
 

A girl like that

 
 
 
 
Sebastienne sbadiglia scocciata, senza nemmeno curarsi di coprire la bocca con una mano.
Ora, non è che Jephrey sia una ragazza antipatica. Okay, ha quel taglio di capelli assurdo e un po’ troppo da inizi degli anni 2000 e anche un po’ troppo da lesbica – sul serio, un caschetto bicolore, nero e biondo?! Andiamo, è talmente fuori moda che osservarlo fa quasi male agli occhi! – ma insomma, è simpatica, gentile, a volte persino divertente. Jephrey Sterling è una cara ragazza, se si tralascia il suo scarso gusto estetico.
Il fatto è che Jephrey è anche estremamente, mortalmente, incessantemente logorroica: sono ore che assilla Sebastienne con una valanga di chiacchiere, inutili e soprattutto non richieste, sulla storia di quella loro scuola da Uptown girls e di quel loro coro – le Warblers, una manciata di ragazzine in blazer, blazer sì!, che sgambettano e canticchiano canzoni pop, e Sebastienne già le adora, già si sente a casa, tra i loro acuti – e davvero, non ne può più.
« E Blaine, Blaine è… meravigliosa. La migliore solista che le Warblers abbiano mai avuto! » sta dicendo Jephrey e se solo fosse possibile avrebbe le pupille a forma di cuore.
Quel comportamento, quell’affetto, la colpiscono e si forza di soffocare un altro sbadiglio: per un breve istante smette di fantasticare sull’ultima ragazza adocchiata allo Scandals, l’unico locale gay di quel buco di cittadina, e torna a rivolgere una leggera attenzione a Jeph.
« Blaine chi? » Domanda sinceramente incuriosita e l’altra la fulmina con un’occhiata indignata e ferita, come se avesse insultato i suoi capelli o Nicky.
« Blaine Anderson » risponde piccata, indicando a Seb le numerose foto che affollano quella Sala dei Trofei dove si trovano.
Scruta con attenzione la ragazza in questione, al centro di tutti quegli scatti: è piccola, estremamente minuta, i capelli neri raccolti in un ordinato chignon e sul volto un sorriso pericolosamente contagioso. « Però, belle tette! » commenta con un ghigno sul volto.
Jeph le tira una gomitata e ha su quel suo noiosissimo sguardo da “Non provarci, Smythe”, al quale non può rispondere che con una risata.
« Blaine Anderson, eh? Sembra interessante » e lo è davvero. Una ragazza del genere, con quell’aria così stuzzicante, da timida scolaretta, e quel dannato sorriso inebriante, è maledettamente interessante, tanto che Sebastienne non riesce a smettere di fissarla.
« Guarda che non hai speranze, Sebbie » replica Jephrey, alzando gli occhi al cielo « si è trasferita al McKinley ad inizio anno. Un vero peccato per tutte noi »
A quelle parole l’entusiasmo di Sebastienne si riduce drasticamente.
« Già, un vero peccato. Peccato essermela persa » dice, la mente già parzialmente distratta da altre chiacchiere superflue dell’amica.

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Capitolo 3
*** I know you ***


Titolo: I know you
Fandom: Glee
Personaggi: Sebastian Smythe/Blaine Anderson
Genere: generale, sentimentale, commedia
Rating: PG-15 (=giallo/arancio)
Avvertimenti: slash; future!fic; vago lime
Note: 1) Scritta per la terza giornata della Seblaine!Week col prompt “I know you”, e per la mia Seblaine!tabellina col prompt “papillon”.
2) Come al solito, non è betata perché sono di corsissima e spero sia priva di errori/orrori ma ne dubito altamente, quindi se notate segnalate!
 


I know you



 
« Io ti conosco » esordì Sebastian, la testa incastrata nell’incavo del suo collo e le mani impegnate ad accarezzargli l’addome nudo e lievemente sudato.
Blaine aggrottò le sopracciglia e sbatté le palpebre guardandolo confuso, il  respiro ancora affannato dall’orgasmo che l’aveva travolto solo qualche minuto prima.
« Sebastian » replicò, ma prima di continuare dovette fermarsi per riprendere fiato, ingoiare la saliva un paio di volte e ritrovare un briciolo di connessione tra il proprio cervello e le proprie corde vocali. « So che per te dev’essere sconvolgente, fare sesso con qualcuno non conosciuto solo dieci minuti prima tra un paio di Mojito e delle Drag Queen ».
« Non mi piacciono i Mojito, preferisco una Pign
a Colada » la voce divertita di Sebastian gli arrivò da qualche punto non ben precisato, tra i suoi fianchi e il sedere, e lo inondò di nuovi brividi.
« Ma voglio dire… » riprese staccando le labbra dalla sua pelle e guadagnandosi un gemito di protesta da Blaine « … ti conosco. Io ti conosco davvero, ti conosco di già ».
« Uhm, è qualcosa del tipo “ehi, bel maschione, non ci siamo già visti da qualche parte?” Mi aspettavo qualcosa di più originale da lei, signor Smythe! »
Sebastian ridacchiò contro il suo stomaco e morse i contorni del suo ombelico.
« Avevo intenzione di parlarti di anime gemelle e spiriti affini, ma se vuoi saltare quella parte romantica e zuccherosa e tornare subito a fare sesso selvaggio non è affatto un problema. Dammi solo due secondi per rispolverare il dizionario dei termini volgari, sai, quelli che trovi tanto eccitanti, credo di aver finito i sinonimi con l’ultima scopata ».
Blaine gli diede un debole ceffone sulla schiena, e buttò indietro la testa quando l’altro cominciò a giocherellare con i suoi capezzoli.
« Stai dicendo… » le parole gli morirono in gola, così allontanò la bocca di Sebastian dal suo petto « … stai dicendo che ci siamo già incontrati da qualche parte? Aspetta! Allora eri tu, quell'antipatico bambino coi dentoni che a Disneyland Paris mi ha rubato il palloncino di Minni! »
Sebastian si accoccolò col mento sui suoi pettorali e lo guardò divertito. « Nah, altro dentone. Io rubavo solo quelli a forma di Topolino » disse; poi finse di pensarci su un attimo e tramutò il volto in un’espressione sbalordita « Minni? Sul serio, Blaine? Dio, quanto sei gay! »
« Oh, suona come un’offesa profondamente convincente, detta da uno che fino a dieci minuti fa aveva il mio cazzo in bocca »
« Touchè! » ammise teatrale, e ricadde rumorosamente nella parte vuota del letto, sulle coperte stropicciate.
« Ehi, ma io mi ricordo di te! » riprese quel gioco e allungò una mano verso i capelli di Blaine, disordinati, troppo lunghi e leggermente mossi. « Sì, una volta ho incontrato un ragazzino vestito in modo orribile, aveva un papillon rosso e ascoltava solo musica pop! »
Blaine si avventò sulla sua bocca, baciandolo con foga e solleticandogli il viso con i ricci. Quando fu a corto d’aria si staccò dalle sue labbra, lasciando le fronti a contatto e quei capelli improbabili a circondarlo.
Cercò qualcosa sotto il cuscino e, trovato quel pezzo di stoffa, lo sventolò sfacciatamente davanti agli occhi del compagno, lucidi di risate e desiderio, e poi disse: « Quindi è per questo che il papillon rosso è un accessorio irrinunciabile nelle tue fantasie erotiche? »
Sebastian non si mostrò colpito e riprese a baciarlo, liberando bruscamente le mani di Blaine per intrecciare le dita con le sue e mormorò: « Devo essermi innamorato di te dalla prima volta che ti ho visto. In quel parco giochi e con quel cravattino orrendo. »
« Quindi è stata Minni? E io che credevo fosse tutto merito del mio gran bel culo! » commentò Blaine, guidandolo verso il proprio sedere, la bocca impegnata a sorridere e baciargli il collo.
Sebastian non si disturbò a rispondergli con le parole.

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Capitolo 4
*** Wednesday at Woody’s ***


Titolo: Wednesday at Woody’s
Fandom: Glee – crossover con Queer as folk USA
Personaggi: Sebastian Smythe(/Blaine Anderson); Brian Kinney/Justin Taylor; Emmett Honeycutt; Michael Novotky; Ted Schmidt
Genere: commedia
Rating: PG-13
Avvertimenti: crossover, AU, slash di fondo, Brian Kinney e Sebastian Kinney-Taylor (e sì, è un avvertimento. Un enorme avvertimento)
Note: 1) Scritta per la quarta giornata della Seblaine!week, col prompt “crossover” e per la mia tabellina AU @ auverse, con lo stesso prompt. Sono in ritardo di un giorno ma a) ho avuto una giornata orripilante e quindi non potete odiarmi ma solo coccolarmi perché ne ho bisogno e vi faccio i puppy!eyes di Blaine e ai puppy!eyes di Blaine non si resiste b) ho finalmente dato quel dannato esame che mi ha rallentata, quindi gli ultimi giorni dovrebbero arrivare puntuali
2) Quanto mi sono divertita, quanto! E quanto ho perso neuroni dietro a Sebbie e Brian! Stupidi bro-Sebbie e papà-Rage, già da soli sono argh, insieme sono semplicemente troppo per il mio povero cervellino e il mio povero cuore e le mie povere ovaie (l’incest è stato già sdoganato con il Wincest, non facciamoci troppi problemi). No, seriamente: è una cosetta così ma è stata una fatica assurda. Nel complesso, però, mi sono divertita troppo, quindi spero tanto sia decente e che faccia divertire anche voi!
3) Il contesto di tutto ciò è piuttosto vago. Sicuramente post 5x13 di Queer as folk e post 3x11 di Glee, con un Sebastian Kinney-Taylor e un Blaine fidanzato con Kurt e granitizzato da Sebastian.
4) Non è betata perché i miei Beta mi hanno abbandonata e io sono sempre senza tempo. Quindi, come al solito, se notare scempi segnalatemeli pure!
 
 
 
 

Tutta per Aika, anche se non è la smut che le dovevo.

 
 
 

Wednesday at Woody’s

 
 
 
Sebastian sapeva di fare uno sbaglio, nello scegliere di passare la serata in quel locale: c’erano troppe persone che lo conoscevano, sarebbe stato un tormento, sfuggire alle loro chiacchiere inutili e riuscire a scoparsi qualche bel ragazzo.
Il problema, però, era che Liberty Avenue prima delle undici e mezzo di sera – e nei mercoledì, specialmente negli odiosi mercoledì – si tingeva di una noia mortale. Così Woody’s – quel vecchio bar che era stato un po’ la sua culla – rappresentava l’unica valida alternativa all’andare a dormire come tutti gli adolescenti che hanno lezione il giovedì mattina alle nove.
Certo, in verità di alternativa ne aveva anche un’altra: questa era chiassosa e colorata, aveva il nome di 'Liberty Diner' e la voce impicciona e affettuosa di sua nonna Debbie e no, grazie, meglio rischiare di veder pomiciare i suoi genitori, che sicuramente dovevano essere lì da qualche parte, impegnati ad esplorarsi le cavità orali a vicenda – e probabilmente non solo quel tipo di cavità.
« Sebastian ».
Si voltò automaticamente verso il perentorio richiamo, un sorrisetto furbo già piazzato sul volto.
Quella scena era talmente familiare che i protagonisti del dialogo ormai si limitavano a ripetere le solite battute. Lui sembrava l’unico a trovare divertente tutto quel teatrino.
« Sì, zio Emmett? » cantilenò con aria innocente, ignorando completamente il tipo che era appena uscito dal bagno con lui – gli aveva regalato un appagante dopocena – e che tentava di lasciargli il proprio numero di telefono.
« Farai la fine di tuo padre » non sembrava una minaccia, più una predizione.
« Oh. Quale dei due? » chiese sinceramente interessato.
« Oddio, sarà terribile in entrambi i casi » commentò Michael, mentre Ted annuiva con aria mesta, poco lontano dai tre.
Sebastian ridacchiò divertito, prima che la voce di Brian Kinney li richiamasse tutti.
« Ehi, mocciosetto! Ti va una partita? » Sebastian alzò gli occhi al cielo con aria scocciata ma si avvicinò al tavolo da biliardo, seguito dagli altri.
« Parlavo con il ragazzo, non con le sue tenere ziette ». Li squadrò a lungo, salvo poi decidere di lasciar perdere e tollerare la presenza di quei ficcanaso dei suoi amici.
« Allora, Dawson, come vanno le cose giù al Creek? »
Ecco, Sebastian sapeva di fare uno sbaglio, nello scegliere di passare la serata in quel locale. Quella frase significava: “chiacchiere sulla tua vita sentimentale”, che a sua volta implicava: “niente sesso con gli sconosciuti per dieci minuti, rispondi”.
« Seriamente, papà. Dawson’s Creek è vecchio. Anzi, oserei classificarlo come ‘primitivo’, avrà l’età di papà Justin. Potresti anche cambiare battuta, chiamarmi Damon e chiedermi quanti colli abbia morso stanotte » replicò Sebastian, rubando una crocchetta dalle mani di Ted che si era seduto sugli sgabelli vicini e tentava di finire la propria cena.
Brian ghignò nella sua direzione, prima di spaccare con un colpo secco e sicuro.
« Oh, sei figlio di tuo padre, Sebbie caro, sono sicuro che saranno stati parecchi ».
Sebastian rispose con un occhiolino mentre gli altri borbottavano i loro soliti commenti sul sangue e i geni.
« E uhm, non sei ancora riuscito a fartelo? Quel nanetto che si veste in modo orribile, dico » chiese Brian con apparente nonchalance mentre mandava in buca la prima palla.
Il volto di Sebastian si oscurò bruscamente « Quel suo urticante fidanzatino… »
« Chi, faccia-da-checca? Dio, ma non ti insegnato niente, figliolo? Devi… »
« No! » la mano di Justin spuntò dal nulla, intercettò il colpo di Brian e frenò la palla rossa dall’andare in buca.
« Ehi, Sunshine, vattene a brillare da un’altra parte. Stiamo… »
« Ti proibisco di intontirlo con le tue stronzate. Smettila di plagiarlo, Brian! » indicò il figlio, che ne aveva approfittato per agguantare la birra di suo padre e tentare di rimorchiare a distanza un ragazzo seduto ai tavoli.
« Tu gli hai passato i tuoi splendenti geni da stalker, dovrò pur riequilibrare le cose! Già è cresciuto in mezzo a quel branco di checche… » e lanciò un’occhiata assassina ai loro amici, guadagnandosene una simile in risposta.
Justin non rispose ma recuperò uno sgabello e vi scivolò sopra; poi si allungò verso Sebastian e riprese la sua birra, sillabandogli “sei troppo giovane” e ricevendo in risposta “tu a diciassette anni sei salito in macchina con Brian Kinney”.
« Hai provato a scusarti? Per quella granita, dico, hai provato a chiedergli scusa? » gli domandò Justin, ignorando il resto, visibilmente risentito dal precedente scambio di parole col figlio.
« Cristo, papà! No, non parlerò della mia vita sentimentale con te! E vale per entrambi! » li fissò alternativamente, con uno sguardo minaccioso che inspiegabilmente ricordava Debbie.
« Vedi? Ha detto “vita sentimentale”, hai già fatto troppi danni, Sunshine! » strepitò Brian nello stesso momento in cui Justin gli urlava: « Lo vedi? È diventato allergico ai sentimenti, come te! » e Sebastian scoppiava a ridere, perché erano davvero la cosa più dolce e ridicola del mondo.
« Se preferivi una lesbica stucchevole, potevi chiedere che Mikey ci donasse i suoi ovuli » rincarò Brian.
« Ehi, vaffanculo! » si difese Michael, schiaffeggiandogli debolmente il braccio.
« Non adesso, Mikey, c’è il ragazzino! » ghignò Brian.
« Tzè, come se cambiasse davvero qualcosa » si intromise Sebastian, e colpì la palla rigata con la stecca.
« Ah, spero davvero che Blaine abbia anche solo un quarto della mia forza psicofisica, con voi Kinney. Siete… » ma nessuno seppe cosa fossero – anche se tutti in quel locale avrebbero saputo come completare la frase, riuscendo persino a non ripetersi – perché Brian gli si avventò contro, baciandolo con foga e bloccandolo al muro
« Dio, prendetevi una camera! » commentò Ted, mentre Emmett si limitava ad alzare gli occhi al cielo e Michael rideva divertito.
Sebastian sapeva di fare uno sbaglio, nello scegliere di passare la serata in quel locale: le domande, le scopate perse, l'imbarazzo in cui tutti loro riuscivano a metterlo. Eppure non avrebbe mai rinunciato a quei mercoledì da Woody's.

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Capitolo 5
*** Under the March sun ***


Titolo: Under the March sun
Fandom: Glee
Personaggi: Blaine Anderson/Sebastian Smythe
Genere: generale, sentimentale
Rating: PG-15
Avvertimenti: AU!College; slash
Note: 1) Scritta per il quinto giorno della Seblaine!week, con il prompt "AU".
2) Niente Beta neanche questa volta, perché sono in ritardo di un giorno e voglio postare il sesto giorno in tempo, visto che è la one-shot alla quale tengo di più.
Quindi, al solito: se notare errori/orrori segnalatemeli pure e non inorridite troppo!
 
 
 
 

Under the March sun

 
 
 
 
Una chitarra, un quaderno dove scrivere note e parole in una grafia frettolosa, sconnessa ed ispirata: questa era la sua tenuta da parco, nei pomeriggi rischiarati dal tiepido sole di marzo.
Blaine Anderson, al primo anno dell’Ohio Univeristy, un cesto di capelli disordinati – tanto quanto il suo estro creativo – e un sogno sui polpastrelli che pizzicavano le corde in modo discreto, sedeva scompostamente sempre sulla solita panchina, quella più isolata, quella di fronte a una delle fontanelle del parco.
 
Accadeva regolarmente e, tutte le volte, verso le quattro: un paio di pantaloncini blu scuri e una t-shirt a righe diagonali rosse e blu – o blu e rosse? – entravano nel suo campo visivo, perché quella era la tenuta da parco di Sebastian Smythe, in quegli stessi pomeriggi sotto il sole di marzo.
Corti e ordinati capelli chiari, muscoli fin troppo ipnotici, che si modellavano con la corsa nella quale era abitualmente impegnato, aveva sempre un sorriso sfacciato, e lo rivolgeva a Blaine con impudenza, fermandosi per bere alla fontana.
 
E puntualmente, Blaine sbagliava nota per seguire quella figura, perdeva il filo dei propri pensieri e si ritrovava a scarabocchiare parole più confuse del solito, sotto il ghigno divertito dell’altro, che gli lanciava sguardi allusivi e si chinava per bere in un modo dannatamente osceno ed eccitante. 
Si limitavano a scrutarsi da lontano, tornando in fretta a concentrarsi sulle proprie attività ma era una consuetudine preziosa, in qualche modo rassicurante, serena.
 
Ovviamente non durò molto.
 
« Ciao! » un pomeriggio Sebastian lo sorprese alla spalle e, anche se la dinamica era completamente diversa – erano appena le tre del pomeriggio, indossava una canotta bianca, aveva fatto un percorso diverso e, soprattutto, gli stava rivolgendo parola – gli colorava il volto il suo solito enorme sorriso.
« C-c-ciao? » balbettò Blaine in visibile imbarazzo.
« Mi dispiace averti privato della giornaliera visione del mio spettacolare sedere » disse Sebastian, e alle sue parole aggiunse un occhiolino sfacciato « ma non volevo interrompere la tua canzone ».
Prese posto sul lato libero della panchina, senza aspettare di essere invitato a farlo; aveva il viso e i capelli bagnati d’acqua, e piccole gocce scendevano a bagnarli la canotta.
Blaine si rese conto di essersi incantato a fissarlo – con la bocca lievemente spalancata – solo quando gli arrivò alle orecchie il suono di uno sghignazzo. Arrossì brutalmente e distolse veloce lo sguardo, puntandolo sul proprio quaderno aperto accanto al suo ginocchio.
« Ehm… » biascicò « … Blaine Anderson »
« Sebastian Smythe » si presentò l’altro, con quel suo tono mellifluo e lieve.
Blaine si mordicchiò le labbra, cercando di pensare a qualcosa da dire che non fosse stupido o un disperato invito a scopare lì, su quella panchina, riparati dai rami degli alberi vicini.
« Uhm, sei… sei del primo anno? » tentò, indicando con la testa il Campus alle loro spalle.
« Sembro uno del primo anno? » ed era una risposta tranquilla, sì, magari leggermente intrisa di sarcasmo, ma non gli sarebbe dovuta suonare così provocante.
« Ehm… »
Sebastian ignorò i suoi biascichii, e si allungò verso il quaderno, cercando di leggervi.
« Ehi, no! » protestò Blaine.
Non che fosse particolarmente geloso della propria arte, anzi, cercava di ottenere visibilità per sé e le sue canzoni, e che uno sconosciuto frugasse tra le sue bozze non lo indisponeva più di tanto.
« Ah, sei uno di quelli, uno di quei poeti vergognosi e pieni d’insana umiltà, capisco » lo prese in giro Sebastian, riuscendo comunque ad evitare le braccia di Blaine che si affannavano a riprendere il quaderno. « Non è necessario, sai? Nel complesso era una bella melodia, soprattutto… »
« Stai gocciolando, lo bagnerai! » piagnucolò Blaine, cercando di incenerirlo con lo sguardo. « Sei... sei bagn… » ma lo sguardo si bloccò sui muscoli del suo collo, su quei nei che avrebbe voluto unire con una linea immaginaria, tracciandola con le dita o magari con la punta della lingua e…
« Hai una scrittura orribile! »
Ritornò bruscamente alla realtà grazie alla gentile osservazione del ragazzo.
« Cosa? Non è vero! »
Un breve sospiro ironico fu l’unica risposta che ottenne, visto che Sebastian era totalmente concentrato a decifrare i suoi scarabocchi.
« Sai… forse… » cominciò, dopo un’attenta analisi e « posso? » domandò, indicando la matita ancora tra le mani di Blaine, il quale si ritrovò ad annuire ancor prima di capire la domanda.
Sebastian aggiunse qualche correzione, con una calligrafia chiara, efficiente, ordinata; Blaine si meravigliò come quei suggerimenti – piuttosto invadenti e presuntuosi, è vero, ma in qualche modo non si aspettava niente di diverso, da quel tipo – fossero stranamente giusti. La nota, la parola, il tassello mancante che si incastrava perfettamente e senza alcuno sforzo con tutti gli altri.
« Oh, beh, grazie per il tuo prezioso contributo » disse, cercando di inserirvi tutto la causticità necessaria.
Sebastian non parve notare il sarcasmo e continuò a scrivere ridacchiando, lanciando di tanto in tanto delle occhiate divertite a Blaine.
« Ma… quello cos’è? » chiese questi, indicando una nota più piccola, aggiunta al centro della pagina.
« Il mio numero di telefono! » fu la risposta ghignante, e Blaine si ritrovò a ridere insieme a quello spudorato, bellissimo ragazzo.

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Capitolo 6
*** Names ***


Titolo: Names
Fandom: Glee
Personaggi: Blaine Anderson/Sebastian Smythe
Genere: flugst, il mio adorato flugst
Rating: PG-13
Avvertimenti: slash, un po’ di sadness e fin troppo fluff
Note: 1) Scritta per il sesto giorno della Seblaine!Week, con il prompt “Family Day”, e per la mia Seblaine!tabella, con il prompt “soprannomi”.
2) Voglio tanto bene a questa one-shot: è stata scritta una settimana fa, non appena sono stati resi noti i prompt della week. È una shot importante per me, davvero molto molto importante. Non mi capita mai di piangere mentre scrivo, neppure se uccido qualcuno dei protagonisti (o li faccio soffrire tanto tanto), eppure questa volta mi sono dovuta fermare, respirare, asciugarmi le lacrime e respirare ancora. Non perché sia chissà cosa, semplicemente conteneva qualcosa di particolare che mi ha colpita sul personale. Quindi spero davvero di essere riuscita a dare forma a tutte le parole che vorticavano nella mia testa.
 
 


Names

 
 
« Blaine è un nome di origine irlandese, vero? »
La voce di Sebastian gli arriva da qualche punto imprecisato sopra la sua testa, tra quei ricci dove ha affondato le dita, e lo scuote dal piacevole torpore del post orgasmo.
Blaine aggrotta le sopracciglia in un’espressione di curiosità e sorpresa, e si volta a guardarlo. Sebastian ha lo sguardo concentrato verso il soffitto e un’aria pensierosa.
« Uhm… boh. Tipo » risponde vago, guadagnandosi un sorriso divertito. Si gira sulla pancia ed incastra le gambe tra quelle di Sebastian, che non lascia i suoi capelli nemmeno durante quel movimento « Credo di sì. Mamma ha un nome irlandese, o forse scozzese, come tutta la sua famiglia ».
Allunga le mani verso il petto di Sebastian e lo accarezza pigramente.
« Uh. Mi piacerebbe che… » comincia questi, ma poi improvvisamente si blocca, si morde le labbra e guarda il soffitto con maggiore interesse « …insomma, mi piacerebbe mantenere la tradizione. Per, per nostr.. ‘iglio », le ultime parole gli rimangono incastrate in gola e Sebastian tossisce rumorosamente, prima di arrossire e continuare a fissare ostinatamente il soffitto.
« Per cosa?! » chiede Blaine, con un tono di voce decisamente elevato.
« Non per “cosa”, Blaine » Sebastian finalmente lo guarda, anche se con un vago senso d’oltraggio « Figlio, nostro figlio » ripete più chiaro, diventando sempre più rosso in viso ma senza perdere quell’aria offesa.
« Sei incinto? »
« Deficiente » ride Sebastian. Poi torna serio e riprende a scrutare il soffitto ed accarezzare i riccioli di Blaine.
È strano, vedere Sebastian triste. Sebastian non si mostra mai triste, si nasconde sempre dietro una maschera di spavalderia e superiorità, anche dopo tutti quegli anni, anche con lui.
« Sì » è la risposta di Blaine ed è il turno di Sebastian, di voltarsi confuso e incuriosito.
« Cosa? » domanda, le dita che accarezzano dolcemente la sua nuca.
« Lo saremo, Seb. Saremo dei buoni padri. O meglio, tu lo sarai, io ci proverò. Ma comunque… ce la faremo ».
Sembra quasi che gli occhi di Sebastian si riempiano di lacrime, alle sue parole. Blaine se le ripete nella mente, come a soppesarle in ritardo, le controlla una ad una con attenzione perché sarebbe assurdo, perché Sebastian non può piangere, Blaine non l’ha mai visto piangere.
« Come puoi… come fai a… come puoi esserne sicuro? » anche la sua voce sembra tremare, e Blaine non ha mai sentito così fragile nemmeno quella.
È un suono orribile, decide. È un suono che stride su quel viso in genere così allegro e sfrontato.
È un suono che non vuole sentire mai più.
Gli bacia la pelle sotto gli occhi, piano. Struscia le labbra sulle sue guancie, morde il suo mento con dolcezza, cerca di rassicurarlo con gesti dettati dalla famigliarità che ha con quel corpo; cerca di prepararlo a quello che sta per dire, al discorso che stanno per affrontare.
Solo quando lo sente rilassarsi sotto il suo tocco, parla: « Sappiamo com’è. Sappiamo com’è soffrire a causa di un cattivo padre. Non ripeteremo i loro stessi errori. Sicuramente faremo qualche cavolata, probabilmente ci beccheremo le porte sbattute in faccia, gli insulti, i pianti adolescenziali ma… non li… lo sai, non lo faremo ».
Si deve fermare, perché adesso è la sua voce, a tremare.
« Questa sera… » sussurra Sebastian, e Blaine sa che il nocciolo della questione – e il motivo per lo sguardo serio e triste di Sebastian e dell’intera conversazione – risiede proprio nella cena che hanno concluso solo due ore prima.
Nessuno dei due sperava realmente che quella cena tra consuoceri – fatta per annunciare il loro matrimonio, per presentare i rispettivi genitori, per cominciare ad essere una vera famiglia – andasse bene. Eppure i silenzi imbarazzati di Cooper, i commenti acidi del padre di Sebastian, gli scoppi d’ira del padre di Blaine, le accuse della madre di Sebastian, i pianti della madre di Blaine, i piatti rotti da Sebastian e la porta sbattuta da Blaine erano stati troppo, da sopportare. Si erano sentiti stanchi, avviliti, umiliati. Così erano tornati in fretta a casa, per rintanarsi nel loro letto e cercare di allontanare quel dolore stringendosi l’un l’altro.
« Lascia stare questa sera » e forse la frase di Blaine è rivolta a se stesso, più che a Sebastian.
« Lascia stare le nostre famiglie, Sebastian. Loro non sono noi ».
Sebastian lo abbraccia, portandolo a sdraiarsi sulla schiena, seppellisce il volto nell’incavo del suo collo e rimane in silenzio, limitandosi a respirare sulla sua pelle. Stinge ancora i suoi capelli tra le mani, quasi siano l’unico appiglio al quale aggrapparsi.
« Quindi uhm, a che nome pensavi? » è difficile ingoiare il groppo che sente in gola, ma una volta cominciato a sorridere, tutto diventa più facile.
Sebastian strofina le palpebre chiuse contro il suo collo, bagnandolo leggermente.
« Non so » la voce esce dalla sua bocca solo dopo qualche secondo e fa ancora quel suono orribile, quello che Blaine odia «  mi piacciono i nomi importanti, sai, quelli un po’ tradizionali e antichi… »
Blaine si concentra sulle sue parole tremolanti, per evitare di pensare che Sebastian stia piangendo sul serio.
« A me piace Benedict » dice, anche se non sa nemmeno se sia vero.
« Oh, no. Ti prego, no. Benedict… ti rendi conto di quanto lo prenderanno in giro a scuola? Pensa ai soprannomi che inventeranno! » Sebastian ci prova, ci prova a schiarirsi la voce e far finta di stare bene.
« Ehi, hai detto “tradizionali”! Benedict è un nome tradizionale e non vedo come potrebbero prendere in giro, non… »
« C’era questo ragazzo, Benedict. Alle scuole medie. Gli avevano dato un soprannome… »
Blaine tossisce teatralmente, ritrovando lentamente il sorriso.
« Che? » domanda Sebastian, stando al gioco e fingendo di non capire.
« Avevano? Un gruppetto di piccoli bulletti arroganti, immagino »
« Okay, gli avevo… » concede.
« Ma che stronzo! »
« “Benny dick”. E uhm, c’era anche del resto, legato al cognome e a quello che “Benny dick” faceva ma… »
« Eri un mostro. E non capisco come potessero dare retta a te, con quei dentoni… » avverte il sorriso di Sebastian affacciarsi timidamente sul suo volto, lo sente solleticargli la clavicola.
« Ehi, hobbit! Attento a quello che dici o puoi dire addio al secondo round di sesso estremo e appagante! » scherza, anche se il tono vivace è palesemente forzato.
« Ti amo » gli dice Blaine, tornando serio solo per un attimo; Sebastian lo abbraccia più forte.
« E come potresti non farlo? » si gira guardarlo e ghigna – un po’ a fatica – nel suo consueto modo di dirgli “anch’io”.

 

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Ha gli occhi di Sebastian: il suo stesso verde intenso e dolce, la stessa forma sottile e decisa, lo stesso sguardo sicuro ed attento.
« Ciao, Connor! » soffia Blaine commosso, guardando suo figlio da dietro il vetro della Nursery.
Sebastian è accanto a lui, il viso che guarda nella stessa direzione del suo. Lo sta abbracciando con foga e piange, e ride, e gli bacia quel cumolo di ricci che ha martoriato per tutte le ore del travaglio, cercando sostegno.
« Ciao, Connor! » grida Sebastian, guardando suo figlio da dietro il vetro della Nursery.

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Capitolo 7
*** Future tense ***


Titolo: Future tense
Fandom: Glee
Personaggi: Blaine Anderson/Sebastian Smythe
Genere: generale; sentimentale
Rating: PG-15
Avvertimenti: slash; future!fic; one-shot
Note: 1) Scritta per il settimo (ed ultimo, sigh!) giorno della Seblaine!Week, con il prompt “Future!Seblaine”, e per la mia Seblaine!tabella, con il prompt “appartamento”.
2) Okay, questa cosetta doveva essere tutt’altra cosa. Poi oggi pomeriggio ho cancellato la mezza one-shot che avevo scritto e bon, mi è venuta fuori la seguente.
Probabilmente avrà un seguito – che si chiamerà long!future!fic e che vedrà altro Seblaine e del Furt e altri pairing strani.
 
 
 
 

Dedicata alle meravigliose ragazze del gruppo Seblaine;
tanto amore per voi, splendori.

 
 
 

Future tense

 
 
 
 
La sua storia con Kurt era finita un pomeriggio d’aprile, dopo troppi silenzi, qualche litigio e una discreta quantità di lacrime piante da entrambi.
Non c’erano stati tradimenti o accuse o colpe; c’era stata tristezza, e poi rassegnazione, e poi moderata quiete, e qualche sorriso di cortesia, nella speranza di non perdere almeno l’amicizia che aveva preceduto quel forte amore nel quale tutti e due avevano creduto davvero.
Blaine non aveva cominciato subito ad uscire con Sebastian, non in quel senso, e il ragazzo non aveva fatto pressioni, pur non rinunciando a tentare di circuirlo scherzosamente con battute allusive e occhiate maliziose. Sì, i loro incontri al Caffè erano diventati giornalieri e duravano fino a quando i baristi non perdevano la pazienza e li cacciavano gentilmente da Lima Bean, ma ecco, non c’erano state cene o baci o appuntamenti o scopate.
Poi, un mattino di giugno, Blaine era stato colto dal sospetto che la prima mossa toccasse a lui. Sebastian era esuberante, determinato, spontaneo, divertente; era anche narcisista, rompiscatole, snob e sfacciato – e lo era molto, davvero troppo – ma aveva quel fottuto sorrisetto costantemente stampato sul viso, quel fottuto sorrisetto irresistibile, che oscurava i suoi difetti nella somma finale.
Lo faceva sentire così ridicolo e desiderato e giovane e carico di sogni.
Resosi conto di quanto lo volesse, Blaine aveva agito. Si era presentato alla Dalton e l’aveva baciato nell’ingresso della scuola, tenero e rosso d’imbarazzo.
Avevano fatto l’amore una sera di fine luglio, tra l’afa e le zanzare, nell’enorme e accogliente camera di Sebastian, dopo che il padre di questi gli aveva comunicato l’ordine perentorio di lasciar perdere sterili sogni di gloria e canto e di accettare quel posto all’Ohio University, studiare legge, laurearsi in fretta e magari smetterla di far finta di essere gay, trovare una bella ragazza di buona famiglia e sposarsela. Ovviamente poteva scegliere di seguire una strada diversa e costruirsi un futuro con le proprie mani, modellandolo come creta, ma in quello sfortunato caso, il signor Smythe non avrebbe provveduto al suo sostegno economico.
Ne era seguito l’anno più difficile e faticoso delle loro vite.
Sebastian macinava chilometri ogni sera, per tornare a Lima stanco e abbattuto da degli studi e una vita che odiava anche solo perché impostagli, e Blaine lo raggiungeva allo scoccare di ogni venerdì pomeriggio, tentando di portarsi dietro tutta l’allegria e la spensieratezza che potevano risollevare il morale di entrambi.
A volte uscivano con Nick e Jeff, oppure con Thad e gli altri ragazzi della Dalton – nella quale Blaine si stava diplomando – e solo raramente con i compagni di College di Sebastian; finivano per improvvisare canti corali nei centri commerciali, o per rintanarsi in un cinema a mangiare popcorn con film improbabili in sottofondo, o per poltrire sulle panchine del parco, sperando che quelle piccole cose potessero bastare per rendere quei mesi più sopportabili. Spesso non lo facevano.
Per il loro anniversario, tre mesi prima della data della partenza di Blaine per la NYADA, Sebastian gli aveva mostrato una cartina della Califonia e « Andiamo? » aveva detto, e « Andiamo » aveva risposto lui, per poi sbottonargli i jeans e scivolare in ginocchio.
Così avevano passato l’estate tra le spiagge di Malibù e il parco dello Yosemite, tra il SeaWorld di San Diego e i ristoranti di pesce di Newport, percorrendo la costa a bordo di una sgangherata Chevrolet presa a noleggio. Si erano allontanati da Los Angeles prima di potersene innamorare definitivamente, ma non erano stati altrettanto rapidi con San Francisco.
Quella città era speciale, l’avevano capito dal tramonto spettacolare che li aveva accolti appena vi avevano messo piede; le luci notturne del Bay Bridge, la folla multietnica che si muoveva attorno ai teatri di Union Square, i colorati e pittoreschi tram che transitavano per le vie, i profumi dei fiori dell’enorme parco di Golden Gate, tutto gli sembrava così bello e così completo.
Così, una notte di agosto, Blaine aveva scrutato per ore la città dall’alto della finestra del loro albergo e « Rimaniamo? » aveva chiesto, con gli occhi pieni della magia dei colori e del senso di libertà che impregnava Castro Street e « Rimaniamo» aveva detto Sebastian, prima di baciargli il collo e sfilargli la maglia del pigiama.
Avevano cercato un appartamento – per loro due e per il labrador nero che aveva preso al canile e chiamato con il nome della loro vecchia Accademia, perché la protezione di quel posto mancava tremendamente ad entrambi – e quella si era rivelata un’esperienza spaventosa.
Là dove Blaine cercava la semplicità, guardando al loro sfornito portafoglio, Sebastian cercava l’agiatezza, guardando all’abitudine con cui era cresciuto; Blaine voleva circondarsi di teatri e parchi, Sebastian di locali mondani e musei.
Dopo un litigio più acceso degli altri, dove erano volati insulti e recriminazioni, Sebastian si era zittito di colpo, l’aveva guardato con il suo consueto sguardo famelico e l’aveva trascinato sul letto della loro stanza, con ben poca grazia.
« Non puoi pensare di risolvere tutto sempre col sesso » l’aveva accusato Blaine mentre l’altro era già impegnato a spogliarlo con foga.
« No, ma provarci è così piacevole! » aveva replicato Sebastian ed erano scoppiati a ridere insieme e poi Blaine l’aveva baciato, forte.
« Restiamo a Castro? » aveva poi chiesto, quando si erano allontanati a corto di fiato.
« Restiamo a Castro » aveva risposto Sebastian, e il futuro aveva smesso di fare paura.
 
 
 
 
 
 
 
Note finali:
 
1) La Ohio University è nella città di Columbus, la quale dista più o meno due ore di macchina da Lima (fonte: l’eternamente amato google maps); per questo credo possa essere verosimile l'andare e tornarne di Sebastian dal Campus a Lima.
 
2) I luoghi visitati da Blaine e Sebastian in California sono tutti reali ed esistenti, così come quelli di San Franciso;
 
3) Castro street è il quartiere gay di San Francisco. Sì, quello di Milk. Sì, io lo amo (sia Milk che il quartiere). Ho scelto quel particolare quartiere  pur odiando i "ghetti". Il punto è che per qualcuno come Blaine, che viene dalla provincia e che è sempre stato costretto a "nascondersi" o a rivelarsi a piccole dosi, un quartiere come Castro fa la differenza. Io l'ho inteso e lo intendo come un punto di riscatto, ecco.

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