Once Upon A Time.

di northernlight
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. ***
Capitolo 2: *** II. ***
Capitolo 3: *** III. ***
Capitolo 4: *** IV. ***
Capitolo 5: *** V. ***
Capitolo 6: *** VI. ***
Capitolo 7: *** VII. ***
Capitolo 8: *** VIII. ***
Capitolo 9: *** IX. ***
Capitolo 10: *** X. ***
Capitolo 11: *** XI. ***
Capitolo 12: *** XII. ***
Capitolo 13: *** XIII. ***
Capitolo 14: *** XIV. ***
Capitolo 15: *** XV. ***
Capitolo 16: *** XVI. ***
Capitolo 17: *** XVII. ***
Capitolo 18: *** XVIII. ***
Capitolo 19: *** XIX. ***
Capitolo 20: *** XX. ***



Capitolo 1
*** I. ***


   
 Once upon a time.
 


I.
Ero in ritardassimo anche quella mattina. Avevo un appuntamento in redazione per l’assegnazione degli incarichi settimanali e poi sarei dovuta andare a fare il turno in biblioteca. Dovevo essere fuori di casa da ben dieci minuti. Mi vestii in fretta: maglia, calze, gonna e stivali. Borsa, sigarette, cellulare, chiavi e via. Ero a Londra solo da un paio di mesi, ero partita per lasciarmi tutto alle spalle, tutta la mia vecchia vita e avevo trovato due ottimi lavori che rispecchiavano le mie due più grandi passioni: il giornalismo e la lettura. Il lavoro in redazione mi piaceva molto, mi dava la possibilità di conoscere tanta gente nuova, tanti scrittori, artisti e musicisti. Infatti avevo casa piena di regali da parte loro, un’infinità di libri e di cd. Avevo preso casa poco lontano dalla zona di Camden e per andare a lavoro dovevo attraversarla. Camden era la mia seconda casa, la conoscevo bene e avevo trovato dei piccoli fantastici posti dove passare il tempo e fare acquisti: un negozio di musica che vendeva vinili e cd a prezzi stracciatissimi, un negozietto minuscolo di roba usata e una caffetteria meravigliosa che si chiamava Milkaffee. Non avendo fatto colazione appena attraversai il quartiere, il magnifico odore di dolci e caffè invase le mie narici. Decisi di entrare e prendere velocemente qualcosa che avrei mangiato per strada.

“Un cappuccino con caramello e un cupcake alla vaniglia” dissi scorrendo rapidamente il menù. Pagai e uscì. Il mio cellulare iniziò a squillare e vibrare e chiunque fosse aveva fretta di parlare con me. Sapevo già chi era: Josh, il caporedattore, mi aspettava per la riunione. Avendo entrambe le mani piene, cercai alla buona di recuperare il telefono dalla borsa.

“Cavolo, cavolo, cavolo! È la volta buona che mi licenziano se non rispon-…”
Non terminai mai quella frase perché mi schiantai contro qualcosa, o meglio, qualcosa si schiantò contro di me. Io e la mia colazione volammo sul marciapiede.

“Ma cosa cavolo…?” cercai di dire mentre tentavo di alzarmi, provando a insultare gelidamente la cosa che mi si era abbattuta contro. Poi guardai meglio. La cosa era un ragazzo in tenuta da jogging forse sulla trentina, alto circa 1.80, capelli bruni scompigliati e due intensi occhi marroni. Aveva qualcosa di familiare, ma non riuscivo a capire cosa.

“Oddio, scusa! Stavo correndo e avevo la musica altissima e… e… stai bene?” balbettava aiutandomi a rimettermi in piedi.

“Io sto bene” borbottai mentre mi prendeva per il gomito per aiutarmi a rimettermi in piedi “ma la mia colazione no e sono ancora più in ritardo di prima. Proprio ora dovevi decidere di abbattermi?”
Il ragazzo aveva l’aria veramente dispiaciuta e mi pentì subito per avergli risposto così male.

“Vabbè, dai, non importa. Niente di rotto, nessun danno” aggiunsi un po’ più gentile poco dopo.

“Beh, sì, nessun danno a parte la colazione deceduta” disse finendo la frase che mentalmente avevo formulato “quindi, vorrei riparare offrendoti una nuova colazione in una caffetteria proprio qui vicino. Si chiama Milkaffee ed è deliziosa!”

“È proprio da lì che vengo e ora devo andare, sono in ritardassimo.”
Driiiiin. Driiiiin. Il cellulare era finito fuori dalla borsa, corsi a raccattarlo e risposi.

“Scusa…devo rispondere”  dissi al ragazzo. Mi allontanai per avere un po’ di privacy.

“Sì, Josh, scusami, ho avuto un imprevisto e sarò lì tra poco! Eh? Come? Avete già finito la riunione? Oh, no. Ma io volevo l’intervista letteraria, non quella musicale. Va bene, dai. Chi è che devo intervistare? Ah, i Coldplay e come mai mi date artisti importanti? Ah, Michael è malato. Dov’è che devo andare? Perfetto, mandami la troupe lì per le 10:30, devo fare prima un salto in biblioteca a sistemare i turni. Okay, ciao!” Chiusi la telefonata e tornai dalla cosa borbottando tra me e me.

“Oh, sì, i Coldplay. Sì, vabbè e pure a ‘sto giro mi sono persa l’intervista letteraria, dannazione.”
Mi voltai poiché qualcosa mi picchiettò la spalla. Era l’attentatore pazzo.

“Sei ancora tu. Dimmi” dissi bruscamente recuperando altre cose cadute per terra durante lo scontro.

“Scusa, non ho potuto fare a meno di sentire la tua telefonata. Hai detto Coldplay, per caso?”

“Sì, ho detto Coldplay. Hai presente? Lavoro per  una rivista che tratta le varie forme di arte e mi è toccata l’intervista musicale, sfortunatamente.”

“Ah, no, perché…” iniziò a dire lui.

“Senti, ora devo proprio andare” lo interruppi “per la colazione non importa, m’è passata la fame.”
Andai via lasciandolo lì sul marciapiede a fissarmi. 

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Capitolo 2
*** II. ***



II.

Arrivata in biblioteca chiamai Katy a sostituirmi e corsi a documentarmi meglio sui Coldplay. Li conoscevo – chi non li conosceva – a molto genericamente. Musicalmente parlando avevo sentito sì e no un paio di album e mi piacevano anche se non mi entusiasmavano moltissimo. Personalmente parlando, non sapevo chi fossero gli altri membri della band a parte il loro frontman. Prima di iniziare la ricerca, il cellulare mi squillò ancora: dall’altro capo del telefono c’era di nuovo Josh che mi informava allegramente che l’intervista era stata spostata dalle 10.30 alle 8.45, ovvero di lì a dieci minuti scarsi.

Perfetto, niente tempo per documentarmi’ pensai. Afferrai nuovamente cappotto e borsa, salutai Katy e ripartì verso Camden. Josh mi mandò un sms con l’indirizzo della cosiddetta Bakery,  il covo dei Coldplay, dove si sarebbe tenuta l’intervista. Alla Bakery c’era tutta la troupe più qualche fan fuori che sperava di vederli e alcuni di loro urlavano come dei dannati.

Mamma mia” pensai bussando alla porta “ma cosa diavolo vi urlate?
La porta si aprì e mi voltai prima di finire mentalmente la frase.

“TU?!” quasi urlai.
La porta aperta mi mostrò l’ultima persona che mi sarei aspettata di vedere: l’attentatore pazzo di poche ore prima.

“Che diavolo ci fai qui?!” dissi esterrefatta. Lui sorrise, anzi, quasi stava soffocando dalle risate.

“Prego, accomodatevi” disse sempre ridendo a me e alla troupe.

“Cosa diavolo ci fai qui?!”dissi ancora una volta.

“Piacere, Guy Rupert Berryman, bassista e cori dei Coldplay” si presentò dandomi la mano.

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Capitolo 3
*** III. ***


III.

“Oddio, che figura di merda assurda! “ sussurrai tutto d’un fiato, viola in viso. Tutti mi guardavano come se fossi pazza. Tutti tranne Guy che continuava a ridere come un folle. Decisi di prendere in mano la situazione.

“Oh, bene” dissi scuotendo la testa come per fare spazio nei miei pensieri “facciamo questa intervista, su.”
Chris Martin, leader del gruppo, si presentò e mi presentò il resto della band e ci fece fare il giro della Bakery. Era un posto magnifico, regnava una pace assoluta: l’ambiente era molto rilassante, la pace dei sensi veniva servita su un piatto d’argento. Le pareti erano colorate, decorate con tanti graffiti e tag vari. Anche le foto facevano parte integrante dei muri della Bakery: Beatles, Dylan, Buckley e via discorrendo. L’intervista fu molto tranquilla e divertente. Loro erano meravigliosi: scherzavano, ridevano e rispondevano  alle mie domande sul loro quinto lavoro, Mylo Xyloto. Improvvisamente Guy, che aveva parlato poco durante l’intervista, chiese ai suoi amici se avessero voglia di suonare qualcosa in mia presenza.

“Ottima idea!” ribatté Chris sorridendo.

“Hai qualche richiesta in particolare?” chiese Will Champion, il batterista. Panico. Non ero molto ferrata su tutta la loro discografia ed ero imbarazzata, non mi andava di essere banale e chiedere una delle loro canzoni più famose. Ma non ci fu bisogno di aprir bocca poiché Guy parlò per me, non so se per salvarmi da quella situazione o per altri motivi a me sconosciuti.

“Niente richieste, facciamo See You Soon” disse guardandomi molto intensamente. Conoscevo quella canzone, l’avevo sentita un po’ di volte ma sentirla così, nuda e cruda, fu un’esperienza ultraterrena. Li guardai uno ad uno. Sembravano circondati da una sorta di luce che partiva da Chris e si allargava a tutti gli altri. Jonny, il chitarrista, con il suo inseparabile cappellino, sorrideva poco ed era così concentrato sulla sua chitarra tanto da avere la fronte aggrottata; Will era un omone davvero imponente ma emanava simpatia e dolcezza ovunque e in quella occasione accompagnava Chris con un’altra chitarra acustica e infine c’era Guy, con il suo basso tra le mani che pizzicava le corde con estrema precisione. Era l’unico dei quattro a non avermi minimamente prestato attenzione durante l’esecuzione del brano. Quando tutto finì, ero come in trance e non mi ero nemmeno accorta che la canzone era dolcemente terminata. Mi svegliai quando Chris, mi toccò la spalla.

“Ehi, stai bene? Non stai per piangere, vero?” mi guardò preoccupatissimo. Effettivamente stavo per piangere sul serio dato che avevo i lucciconi agli occhi. Lo guardai a bocca aperta e, con voce sottilissima, riuscì solo a dire un debole: “siete meravigliosi. Non ho parole, ragazzi.”

“Quando fai qualcosa con passione e quando vuoi raggiungere un obiettivo, dai sempre il massimo e fai di tutto per arrivarci” disse Guy con un tono molto inquietante tanto che anche i suoi amici lo guardarono un po’ straniti.

“Bene, ragazzi, è stato veramente un piacere. L’intervista verrà pubblicata venerdì col prossimo numero. Phil o anche voi stessi potete selezionare le foto da pubblicare e vi lascio il mio bigliettino da visita” dissi porgendolo a Chris “quindi, se dovesse esserci qualcosa che non va, contattatemi senza proble-…”
Fui improvvisamente interrotta da una luce abbagliante: un flash seguito dal rumore di un otturatore invase la stanza. Mi girai e di fronte a me, trovai Guy con in mano la sua macchina fotografica che mi scattava una foto.

“Scusa” sussurrò facendo spallucce “faccio sempre una foto a chi viene ad intervistarci.”
Gli altri tre risero e confermarono la cosa. Dopo questo delizioso siparietto, era arrivata l’ora di andare.

“È stato un piacere anche per noi. Non ci capitano molti giornalisti competenti e quando ne vediamo uno, sappiamo riconoscerne il talento e tu farai strada, ragazza!” disse Jonny dolcemente poggiandomi una mano sulla spalla mentre Will mi porgeva una copia autografata di Mylo Xyloto. Guy non c’era, perciò salutai i tre rimasti e uscì dalla Bakery.

Cosa diavolo era successo nelle ultime due ore e mezzo?’ chiesi a me stessa appena la porta si chiuse alle mie spalle.

 

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Capitolo 4
*** IV. ***


IV.

“Amico, non avrai mai quel biglietto da visita!” urlò Jonny a pieni polmoni dopo essersi assicurato che la ragazza fosse andata via. Gli altri tre avevano già capito quali erano le intenzioni di Guy e, come previsto, lo trovarono nella camera oscura pronto a sviluppare la foto che aveva fatto alla giovane giornalista qualche minuto prima.

“Sssh, state zitti” sibilò di rimando, concentratissimo sulla foto.

“Devi raccontarci cos’è successo” ribatté Will tirandogli contro delle palline di carta. Da basso si sentì la voce di Chris che diceva: “tanto è un idiota! Non gli caverete una sola parola di bocca. Quasi quasi chiamo lei per sapere…”

“Oh, no, non oseresti farlo Christopher Anthony John Martin” disse minaccioso “due minuti e vi racconto, dannazione!”
Finì di sviluppare la foto e raggiunse gli altri al tavolo dove stavano strimpellando qualcosa ognuno per i fatti suoi.

“Vi odio” disse Guy, si sedette tirando un bicchiere di carta addosso a Chris.

“Idiota, sputa il rospo” lo stuzzicò quest’ultimo. Sbuffando Guy raccontò tutto ai suoi tre amici.

“Tenero, è innamorato” aggiunse Jonny.

“Non è vero, non sono innamorato” rispose il bassista. L’unico che non sembrava particolarmente entusiasta della cosa, era Chris.

“Amico, cosa pensi di fare? Ti piace sul serio?” disse serio il cantante.

“Sì, boh, no. Non lo so. So solo che le devo la colazione che le ho ucciso stamattina.”

“Ma Joanna…” iniziò Chris.

“Ma Joanna niente, Chris. Ho bisogno della mia vita e lei è un capitolo chiuso anche se c’è Nico di mezzo” quasi urlò Guy battendo il pugno sul tavolo. Quando tiravano in mezzo la sua ex moglie s’irritava sempre. Perché dovevano farlo? Ormai erano separati, basta, fine della storia.

“Hai ragione, Guy, scusami. Cosa pensi di fare allora?” chiese Chris ancora una volta.

“Oh, lo vedrete”  disse il bassista sorridendo, perso nei suoi pensieri.

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Capitolo 5
*** V. ***


V.

Finalmente sabato, niente interviste e niente turni in biblioteca’ pensai stiracchiandomi a letto. Quel giorno avrei dato solo una rapida occhiata all’articolo che avevo scritto sui Coldplay per il venerdì successivo e poi, dopo averlo spedito a Josh, non avrei fatto niente per tutto il giorno. Andai in cucina a prepararmi la colazione e mentre l’acqua per il tè bolliva, mi trascinai a prendere la posta e il giornale e poggiai tutto sul tavolo. Ripescai la mia copia autografata di Mylo Xyloto dalla borsa e misi il disco nello stereo. Una successione di suoni, forse proveniente da uno xilofono, invase la cucina e ne rimasi piacevolmente sorpresa. La prima traccia mi mise subito di buon umore ed erano solo le otto di mattina. Preparai il tè e misi a fare dei toast e nel frattempo esaminai il booklet dell’album; appena vidi Guy, il mio stomaco si contorse senza motivo, reduce forse della vergogna del giorno precedente. Scossi la testa e misi via il booklet prendendo la posta ed il giornale. La bolletta della luce, quella del telefono e una cartolina dei miei genitori che stavano girando il mondo e che mi scrivevano dalla Grecia. Presi il giornale e lo aprì e mi cadde in grembo una busta bianca. La rigirai tra le mani e notai che non vi era scritto nessun mittente, c’era solo il mio nome scritto a mano in una calligrafia frettolosa e sottile. Incuriosita, aprì la lettera e quello che vidi mi lasciò stupefatta. Nella busta c’era una foto – una mia foto – in cui subito riconobbi la Bakery, me stessa e tre membri dei Coldplay. Ne mancava uno, quello che mi aveva scattato la foto, Guy. Girai la foto e sul retro vidi che c’era scritto qualcosa:

Sono un serial killer di muffin e bicchieroni di brodaglie bollenti, perciò passerò a prenderti  sabato mattina alle otto e quarantacinque per ripagare il mio debito. Ovviamente, non accetto un no come risposta anche perché non puoi rifiutare qualcuno che viene a farti visita. Niente di impegnativo..”

Era semplicemente firmato Guy.

Ma cosa diavolo voleva ancora? Mamma mia, che noia. Forse sarebbe meglio concedergli di ripagare il debito sennò non mi si scolla più’ pensai. Un po’ stralunata finì di trangugiare la mia colazione, quando il mio sguardo cadde casualmente sull’orologio: erano le otto e trenta. Realizzai improvvisamente che quel folle sarebbe arrivato tra quindici minuti ed io ero ancora tranquillamente in pigiama che mi abbuffavo di cibo. Ennesima scena di isteria e panico in meno di quarantott’ ore. Il mio pensiero corse subito a cosa avrei indossato. Passai in rassegna tutto il mio armadio e, in meno di dieci secondi, la mia camera era un macello. Niente di impegnativo, niente di impegnativo, niente di impegnativo. Dovevo muovermi e perciò optai per un blue jeans skinny, sopra ci avrei messo una maglia bianca a manica corta e un cardigan nero. Stivaletti color cuoio come la borsa. Passai ai capelli, li raccolsi in una morbida coda dietro la testa lasciando libera qualche ciocca davanti; poi mi lavai il viso e passai solo un filo di matita nera sugli occhi . L’improvviso suono del campanello mi fece sobbalzare.

“Cavolo, è arrivato!” borbottai a denti stretti. Finì di mettere il mascara, spensi lo stereo e corsi ad aprire. Arrivata davanti alla porta mi calmai e cercai di respirare normalmente. Probabilmente avevo il viso sconvolto perché appena aprì la porta e lui mi vide, scoppiò a ridere e questo, ovviamente, contribuì a peggiorare il mio umore.

“Ciao” dissi abbastanza seccata.

“Ciao!” cinguettò allegramente lui “guarda che avrei aspettato anche tutto il giorno se non fossi venuta ad aprire, non c’era bisogno di correre. Allora, esci tu o entro io?”
Alle volte sapeva essere davvero irritante, per quel poco che ci avevo parlato.

“Entra. Prendo le ultime cose e possiamo andare” dissi. Guy entrò e, nel passarmi accanto, mi si avvicinò e mi sussurrò all’orecchio: “però le guance rosse ti donano, sai?” e proseguì verso la mia cucina. Io ero pietrificata. Balbettai qualche cavolata senza senso e tornai in bagno a riprendere fiato prima di collassare; con calma mi risistemai il trucco e tornai in cucina.

“Bene” dissi battendo le mani “possiamo andare.”
Lo trovai in piedi davanti alla mia libreria con la testa piegata di lato per leggere i titoli dei libri.

“È stupefacente vedere dove possa portare la passione per qualcosa. Deduco che ti piaccia leggere” disse continuando a darmi le spalle.

“Sì, mi piace molto leggere e lavoro anche in una piccola biblioteca. Possiamo andare? Ho fatto i salti mortali per essere pronta in tempo!”

“Ai suoi ordini, capitano! Andiamo!” disse mettendomi le mani sulle spalle. Feci appena in tempo a prendere il cappotto ed i guanti, che mi spinse fuori chiudendo la porta dietro di sé.

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Capitolo 6
*** VI. ***


VI.

Passeggiammo per strada entrambi con le mani infilate io nel mio cappotto grigio e lui nelle tasche della sua giacca di pelle. L’aria fredda mi pizzicava le guance bollenti.

“Allora” esordì Guy “prima che corressi ad aprire la porta e spegnessi lo stereo, stavi ascoltando Mylo Xyloto, vero?”

“Sì, avevo voglia di qualcosa di nuovo e mi sono ricordata del vostro album.”

“Allora?”

“Allora cosa?”

“Eh, che te ne pare? Impressioni del primo ascolto?”

“Boh, non so, non conosco molto di voi però rispetto al vostro – uhm – standard? È totalmente diverso, però mi piace. È nuovo, fresco, frizzante. Hurts Like Heaven mi piace tantissimo, su quella traccia la voce di Chris è divina così come le entrate di Jonny e la sua chitarra.”
Svoltammo nella strada della caffetteria, ancora qualche metro e saremmo arrivati.

“Poveri noi bassisti, non ci si fila nessuno” ironizzò.

“Dovevi cambiare mestiere, allora, o suonare altro.”

“Povera piccola ingenua” disse maliziosamente “mi fa piacere che tu non conosca niente di noi.”
Lo guardai accigliata, infatti non riuscivo a capire cosa volesse dire.

Che idiota’ fu l’unica cosa che riuscì a pensare in quel momento. Passò qualche secondo di interminabile silenzio e mi costrinsi a parlare.

“Devo dirtelo, Guy” proseguii “mi sembri molto a tuo agio a girare per la città nonostante la tua popolarità. Voi star di solito non girate con delle guardie del corpo enormi?”

“Ma io non sono una star. Conduco una vita normalissima, sono solo il bassista dei Coldplay” disse tra una risata e l’altra per poi fare innocentemente spallucce. Eravamo arrivati, lui mi aprì la porta e mi fece entrare.

“Prego, madame, si accomodi.”
Lo fulminai con lo sguardo e lui scoppiò a ridere. Ci sedemmo accanto ad una vetrata che dava su un delizioso giardino coloratissimo e attendemmo la ragazza delle ordinazioni. Io presi l’ennesimo earl grey della giornata nel giro di un’oretta e lui un cappuccino al caramello.

“Ah e anche un muffin” aggiunse lui “il più grasso, grosso, calorico e colorato muffin che avete a disposizione. Per lei” aggiunse infine indicandomi. La ragazza delle ordinazioni sembrava molto confusa e continuava a fissarlo, probabilmente stava cercando di capire dove avesse già visto quel ragazzo, perciò decisi di ironizzare sulla cosa quando lei andò via.

“Hai fatto colpo, eh?” balbettai sorridendo.

“Probabilmente sta solo cercando di capire dov’è che può avermi visto. Te l’ho detto, non mi si fila nessuno. In genere sono poche le persone che mi fermano per strada, oltretutto è sabato mattina presto, anche i paparazzi hanno una vita… spero!”
Le nostre ordinazioni arrivarono. Il muffin era coperto da glassa verde ed era davvero enorme.

“Di solito è Chris a catalizzare l’attenzione su di se” disse Guy proseguendo il discorso di prima.

“E ti dispiace? Cioè, ti dispiace che l’attenzione sia solo su di lui?” dissi zuccherando il mio tè.

“No, assolutamente. Mi trovo in una posizione abbastanza buona, cioè faccio parte di una delle migliori band del mondo – modestamente – e al contempo riesco anche a mantenere un certo anonimato. Chris, poi… lui catalizza tutto su di se perché non vuole appesantirci anche con queste cose. Adora essere sotto pressione, è abituato e quando è in questa situazione dà il meglio di sé cosa che il resto della band non riesce a fare.”
Lo osservai mentre zuccherava il suo cappuccino mentre io restavo zitta ad ascoltarlo.

“Come vedi, non tutti mi riconoscono” sussurrò mentre altra gente ci passava accanto “e ti ringrazio per aver scelto un tavolo così nascosto dagli altri.”
Solo allora mi accorsi che avevamo un separé attorno.

“Sinceramente non l’ho scelto di proposito, avevo totalmente dimenticato di essere in compagnia del bassista dei Coldplay” sussurrai in risposta.

“Perché sussurriamo come due ladri?” disse sorridendo. Scoppiai a ridere come una stupida. Era piacevole stare in sua compagnia, tutto sommato, ed era molto interessante. Nell’arco di poco tempo la nostra discussione toccò vari argomenti: musica, letteratura, tecnologia e anche la comune passione del viaggiare. Dopo di che rimanemmo un attimo in silenzio. Ognuno guardava la sua tazza senza dire niente. Ma non era un silenzio imbarazzante, anzi, era un silenzio dolce, riflessivo in cui ognuno era racchiuso in sé stesso. Poi fu lui a rompere il ghiaccio.

“Oh, a proposito, stavo per dimenticarlo” disse come se si fosse svegliato da un sonno profondo “martedì è il compleanno di Ava, la prima figlia di Will e Marianne, e volevo chiederti se ti andasse di venire alla festa che le hanno organizzato. Non è niente di che, ecco, ha organizzato tutto Gwyneth e perciò il tutto si svolgerà nella loro casa nelle zone di Belsize Park.”
Rimasi senza parole, non sapevo che dire: un quasi perfetto sconosciuto stava davvero invitandomi alla festa di compleanno di una bambina a casa di due star famosissime? Probabilmente avevo sul volto un’espressione da ebete totale, perché lui mi toccò lievemente la mano che stringeva la tazza.

“Ehi, stai bene? Non ti ho mica chiesto di fare una rapina” disse in tono triste “ecco perché sussurravamo prima…”

“No no, è solo che, beh, non capita tutti i giorni un invito del genere e… e non so cosa dirti! Non saprei come comportarmi, cosa indossare, cosa… cosa…”
Mi afflosciai sulla sedia senza parole. Guy rimescolò ancora una volta il suo cappuccino come se stesse ripescando le parole.
“Beh, capisco che tu sia un po’ spaventata della cosa dato che alla fine nemmeno ci conosciamo ma vorrei che tu capissi che prima di essere quello che siamo, eravamo banali studenti senza una vita sociale. Ecco e lo siamo ancora, nel senso, al di fuori del palco siamo persone normalissime” disse scegliendo con cura le parole “e per quanto riguarda il ‘oddio, cosa mi metto?’, beh, guardati, sei perfetta con un jeans e una maglia e non hai bisogno di altro.”
Mentre diceva queste cose mi guardava in viso e io, terribilmente imbarazzata, distolsi lo sguardo sul cielo nuvoloso fuori dalla vetrata.

“Mmh, questo silenzio lo prendo per un sì, vero?”  ironizzò visto che continuai a restare in silenzio. Sbuffai e sorrisi.

“Sai che quando ti ci metti sei veramente insopportabile? E va bene, vengo!”
Presi dalla borsa la mia agendina rossa e gli chiesi di segnarmi l’indirizzo e l’orario in modo da potermi regolare con i miei impegni.

“Non c’è bisogno. Su questo non ci sono problemi, passerò a prenderti io personalmente” disse sogghignando “alle ventuno e trenta precise.”

“Sei odioso” aggiunsi imbronciata.

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Capitolo 7
*** VII. ***


VII.

Finimmo di mangiare e, ovviamente come aveva promesso, pagò lui lasciando anche la mancia alla nostra cameriera. Tornammo nella gelida aria londinese, stava anche per piovere. Mi riaccompagnò a casa, sulla porta eravamo entrambi molto imbarazzati e perciò sviai l’argomento sulla festa di Ava.

“Oddio, aspetta. Devo portare un regalo, giusto? Cosa potrei mai regalare ad una bambina che probabilmente ha già tutto quello che vuole?”
Il mio tono iniziava ad essere nervoso.

“Ma dai, stai tranquilla e poi non è vero che Ava ha tutto. Va bene l’essere famosi e tutto ma ci sono dei limiti. Ti direi volentieri di unirti al mio regalo, ma non mi sembra il caso.”

“No no, tranquillo, qualcosa mi inventerò. Bene, credo sia ora di andare, alle dod-…”

“Punta sulla semplicità. Punta su te stessa” mi interruppe “scusami ma ora devo andare, il sabato a mezzogiorno e qualcosa Phil ci vuole tutti riuniti per sistemare il programma per la settimana prossima. Passo a prenderti martedì e stai tranquilla.”
Mi si avvicinò come se volesse darmi un bacio sulla guancia, ma evidentemente ci ripensò e indietreggiò. Balbettò un altro saluto distratto e andò via con le mani in tasca. Lo osservai allontanarsi senza voltarsi a guardarmi, il volto teso e lo sguardo dritto davanti a sé. Quando rinsavì, corsi subito in casa poggiando le spalle alla porta col cervello confuso. Cosa voleva quel tizio da me? E soprattutto: cosa diavolo avrei regalato ad una bambina che forse in casa aveva già il mondo?

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Capitolo 8
*** VIII. ***


VIII.

Il resto del weekend passò tranquillamente tra lettura, musica e lunghe passeggiate. Il lunedì andai in redazione anche se non avevo lavori da svolgere o interviste e articoli da scrivere, poi mi spettava il turno in biblioteca dove dovevo mettere in ordine alfabetico una valanga di libri arrivati da poco. Finì più o meno per le diciotto e decisi di fare un giro in centro per provare ad allentare la tensione e magari per dare un’occhiata ai negozi visto che dovevo ancora prendere il regalo per Ava. Le strade erano un po’ affollate da chi staccava da lavoro, affollate come la mia testa. Cosa avrei potuto regalarle? Giocattoli? No, sicuramente ne aveva già un sacco. Continuai a guardarmi attorno disperata. Vestiti? No, troppo personali e soggettivi. Avrei dovuto regalarle qualcosa di semplice ma che facesse effetto pur essendo impersonale. Passai distrattamente dalla vetrina di uno store di Swarovski e una meraviglioso ciondolo a forma di fiocco di neve azzurrino quasi bianco e luccicava tantissimo. Era piccino, delicato e sobrio e me lo vedevo perfettamente al collo di una bimba anche se non sapevo com’era fatta. Entrai per comprarlo e in più comprai per me un bellissimo ciondolo a forma di stella di un giallo intensissimo. Senza accorgermene s’era fatto tardissimo e decisi di cenare fuori, un pezzo di pizza veloce e poi a casa. Poco prima di addormentarmi pensai solo che il giorno dopo sarebbe stato un giorno intensissimo, chissà come sarebbe finita quella festa.



Guy andò a letto tardi quella sera. Stranamente era davvero nervoso e nemmeno suonare riusciva a calmarlo. Ma doveva ammetterlo, quella strana e buffa ragazza stava occupando la sua mente da quando le si era abbattuto contro. Non era un buon segno. O sì? Si rigirò ancora qualche volta nel letto poi spense la luce e provò a dormire.

 

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Capitolo 9
*** IX. ***



 
IX.

Un intenso suono prolungato simile a quello di un allarme o, peggio ancora, a quello di una sveglia, si fece lentamente strada nelle mie orecchi e nella mia testa già dolorante di per sé.

Ugh, ma perché la sveglia sta suonando?’ pensai mentre a tentoni cercavo di spegnerla. La presi e mi accorsi che non era lei a suonare. Oddio, era la porta!

Chi diavolo è alle sette e quaranta di mattina e a inizio settimana poi?
Non aspettavo nessuno e non avevo voglia di andare ad aprire, ma il soggetto dietro la porta continuava a insistere e quindi magari era urgente. Mi alzai di corsa, infilai la vestaglia e andai ad aprire. Davanti a me c’era un ragazzo, un fattorino per la precisione, vestito di arancio che teneva in mano una scatola quadrata bianca e lilla.

“Sì?” dissi socchiudendo gli occhi per la troppa luce.

“Buongiorno! Devo consegnare questo pacco al 3872 di Terrace Road” lesse da un foglietto poggiato sulla scatola. Non avevo idea di cosa potesse essere, non avevo acquistato niente e tantomeno nessuno mi aveva avvisato che mi avrebbe mandato qualcosa.

“Signorina, si sente bene?” disse il fattorino preoccupato scrutandomi attentamente. Mi accorsi che lo stavo guardando con un’espressione vuota dipinta sul viso e mi costrinsi a rispondergli.

“Sì, mi scusi, sto bene. Devo firmare qualcosa?”

“Non si preoccupi! Sì, deve mettermi una firma qui e una qui” mi indicò due punti su un foglio. Firmai, presi il pacco, salutai il fattorino e corsi in casa. Poggiai il colorato presente sul tavolo e rimasi lì a fissarlo immobile come se improvvisamente potesse mettersi a saltare e a ballare. Lentamente un delizioso profumo di caffè si spanse nell’aria e la curiosità mi spinse ad aprirlo. Dentro il pacco c’era un enorme caffè americano, che scoprì essere aromatizzato alla vaniglia, e una fetta di cheescake ai frutti di bosco. Nascosto dal bicchierone di caffè c’era un biglietto di cui riconobbi subito la scrittura:

“Prendi la giornata libera tutta per te e stai tranquilla. Stasera sarai meravigliosa. Ah, ormai ci sto prendendo l’abitudine ad essere la tua colazione! Buona giornata. Guy.”

Quella sorpresa mi lasciò piacevolmente stupita anche se mi stava palesemente mettendo all’ingrasso. Consumata la colazione un senso di panico si impossessò di me. Non avevo ancora deciso cosa mettere, come sistemare i capelli. Stavo andando nel panico, perciò decisi di rimettermi a letto e dormire ancora un po’. Quel po’ si trasformò in un bel po’ di ore. Mi risvegliai attorno alle quindici e trenta con il mal di testa ancora al suo posto. Visto che mancavano ancora parecchie ore, presi un libro di poesie, mi preparai un tè ai frutti rossi e mi lanciai sul divano a leggere. Persi un po’ di ore così finché, attorno alle sei, decisi che era ora di iniziare a prepararmi. Riempì la vasca da bagno, accesi qualche candela e mi rilassai così per un’oretta circa. Non avevo nessuna voglia di prepararmi e sistemarmi pensando di dover stare di fronte a una serie di persone famose e meravigliose. Mi guardai allo specchio chiedendomi cosa diavolo mi passasse per la testa ma ormai l’avevo promesso a Guy e dovevo farlo. Andai in camera, fissai immobile il mio armadio e riflettei su cosa avrei potuto mettere: i jeans erano troppo banali e una gonna forse era troppo volgare. Scavando, trovai un vestitino blu scuro con una fantasia a fiorellini di un azzurrino chiaro ed era perfetto. Ci avrei abbinato delle calze color carne e un paio di scarpe blu col tacco alto. Prima di vestirmi, mi sistemai i capelli: li asciugai a testa in giù per lasciarli mossi e poi passai al trucco, un leggero strato di cipria, matita e mascara nero agli occhi e un velo di rossetto rosso scarlatto sulle labbra e poi tornai in camera a vestirmi. Sembravo essere in orario, erano le ventuno e un quarto. Avevo un quarto d’ora da impiegare, possibilmente senza morire. Mi sedetti al tavolo in cucina e continuai a leggere il libro di poesia del pomeriggio. Mi piaceva casa mia quando c’era tutto quel silenzio anche se in quel momento mi metteva ansia. Tre tocchi alla porta d’ingresso aumentarono la mia preoccupazione facendomi sobbalzare e salire il cuore in gola: erano le ventuno e trenta, doveva essere lui per forza. Con calma estrema andai ad aprire la porta. Lui era di spalle e si voltò improvvisamente e mi sorrise.

“C-ciao” provai a dire.

“Ciao a te!” cinguettò lui allegramente sorridendo poi mi guardò e disse: “stessa divisa vedo.”
Effettivamente eravamo vestiti entrambi con gli stessi colori. Lui aveva dei pantaloni blu, molto scuri, e una camicia a quadri di diverse tonalità di blu e bianco. Le scarpe erano di tela bianca e aveva una giacca leggera, sempre blu scuro e una sciarpa di tessuto morbido.

“Ah, per i colori… pensavo che anche tu indossassi un vestitino e scarpe col tacco!” ironizzai cercando di sdrammatizzare e ci riuscì dato che lui mi sorrise e mi fece una linguaccia.

“Dai, su. Entra! Prendo la borsa e andiamo!”
Improvvisamente mi ricordai del regalo di Ava e anche della mia collana che avrei indossato quella sera. Presi le buste, una la infilai in borsa e l’altra l’aprì tirando fuori il ciondolo a forma di stella. Guy era lì che curiosava tra le mie foto, quindi andai allo specchio e iniziai a litigare con la catenina e i capelli cercando di agganciare la chiusura della collana. Dovevo essermi lasciata sfuggire qualche lamento perché lui improvvisamente si materializzò dietro di me.

“Dai, lascia stare. Ti do una mano” disse ridendo. Mi spostò i capelli e nel farlo mi toccò la spalla nuda coperta solo dalla spallina del vestito. Probabilmente sarei svenuta se non fossi riuscita a controllarmi, odiavo essere così debole. Gli passai i due capi della collana e lui li agganciò.

Look at the stars, look how they shine for you” mi sussurrò canticchiando all’orecchio.

“Hey, questa la conosco” dissi quasi senza fiato. La sua risata riempì lo spazio lasciato vuoto dalle parole.

“Vedo che qualcuno ha fatto i compiti a casa.”

“Stupido!” mi girai a dargli una piccola spinta. Mi infilai il cardigan e lui mi aiutò a mettere il cappotto.

“Grazie” biascicai imbarazzata. Eravamo pronti, chiusi la porta d’ingresso e ci incamminammo verso la sua auto.

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Capitolo 10
*** X. ***


X.
La sua macchina era parcheggiata nel vialetto di casa mia, una macchina nera e tirata a lucido ma non avevo idea del modello.

“Prego, signorina.”
Guy mi aprì la portiera dell’auto e lo ringraziai nuovamente ancora viola in viso. Salì e partimmo.

“Chris e Gwyneth abitano accanto Belsize Park, non è lontanissimo ma non ti avrei mai fatto fare tutta la strada a piedi. Soprattutto con quei trampoli” disse guardandomi le scarpe “ma come diavolo fate? Mah, donne!”

“Dai, non sono poi così alte” borbottai.

“Mah” ripeté “donne!”
I restanti venti minuti di viaggio passarono tra una chiacchiera e l’altra. Voleva sapere di me: cosa facevo oltre alla biblioteca e alla rivista, da dove venivo, se avevo fratelli o sorelle. Stavo iniziando a sentirmi a mio agio a parlare con lui anche se ero ancora molto nervosa. Nonostante fossimo arrivati, restammo a parlare in macchina finché non ci accorgemmo che eravamo abbastanza in ritardo.

“Okay, andiamo!” disse Guy guardandomi.

“Ugh” mi lamentai “rimarrei volentieri tutta la serata in macchina mangiando hamburger e patatine.”

“Per quanto la tua proposta sia deliziosamente allettante, devo declinare. Perciò, su, scendiamo” balbettò lui. Venne nuovamente ad aprirmi nuovamente la portiera dell’auto e mi diede la mano per aiutarmi a scendere. Il posto era bellissimo, ovviamente, eravamo davanti ad una casa tipicamente inglese su tre piani con un bel giardinetto davanti dove c’erano dei palloncini rosa per l’occasione. Percorremmo il vialetto e Guy mi mise un braccio attorno alle spalle. Arrivati alla porta, stava per suonare il campanello quando tirò indietro la mano fermandosi.

“Ascolta” iniziò a dire “so che sei agitata anche se non riesco bene a capire perché. L’unica cosa che vorrei è che tu mi vedessi questa festa come un semplice ritrovo tra amici al compleanno di una bimba. Nulla più. Okay?”

“O-okay, ci proverò. il fatto è che non sono abituata a stare con persone che non conosco. Io sto sempre tra libri e musica e quadri e ancora libri.”
Siccome stavo gesticolando moltissimo con le mani, lui me le afferrò improvvisamente, bloccandomi.

“Non ti lascerò cadere, tranquilla. Anche perché se cadessi con quelle scarpe, ti romperesti l’osso del collo” scherzò mentre suonava il campanello.

“Sei bravo a sdrammatizzare, eh?”

“Ho dovuto imparare tempo fa per alleggerire le cose negative nella band” aggiunse lui. Mentre attendevamo qualcuno che ci aprisse la porta, Guy sospirò pensieroso perso chissà dove.

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Capitolo 11
*** XI. ***


XI.
Dopo un paio di minuti vennero ad aprirci: era Chris, il padrone di casa. Se non l’avessi già visto sarei svenuta sul colpo per quanto era bello ed era strano vederlo vestito normalmente senza la solita divisa di scena. Come immaginavo, lui non era affatto sorpreso di vedermi lì perché probabilmente Guy aveva preventivamente avvisato i suoi amici della mia presenza.

“Oh, finalmente! Stavo iniziando a preoccuparmi” esordì Chris lanciando uno sguardo furtivo a Guy che alzò le spalle come se non gli importasse niente

“Ciao, cara,è un piacere rivederti” aggiunse poi allegro baciandomi le guance “prego, accomodati, vieni di là che ti presento gli altri.”

Ero imbarazzata e stupita da tanta familiarità e calore. Da quando ero a Londra non mi ero fatta tantissimi amici e mi mancava casa mia e frequentavo comunque poche persone, questo nuovo contatto col genere umano mi stordiva un po’. La casa era meravigliosa, non c’era una cosa fuori posto ed era tutto perfetto, lindo e lucidato. L’arredamento era abbastanza sobrio: moderno alternato al classico, colore predominante era sicuramente il bianco spezzato da accessori rossi o neri. Ci trovavamo in un bel corridoio arredato da quadri molto colorati. Chris ci guidò su per le scale dove giungemmo in un salottino che si affacciava sulla strada opposta a quella da cui eravamo arrivati, attraverso una enorme finestra.

“Oh, eccoli!!”
Mi venne incontro un sorridentissimo Jonny che aveva in braccio un bimbo biondo e riccioluto con degli enormi ed immensi occhioni verdi.

“Pensavo che Guy ti avesse rapita” disse scoccandomi un bacio sulla guancia “lui è Jonah, il più piccolo dei miei figli.”
Il bimbo mi mise una mano sulla guancia e poi tornò a guardare altrove.

“Oddio, Jonny, ma è bellissimo, complimenti a te e tua moglie” dissi tendendo la mano verso il bimbo che adesso era impegnato a togliere il cappellino a suo padre.

“Dove diavolo eri, Guy? Sei sempre il solito!”
Una voce femminile improvvisamente invase la stanza

“Ricordami di non affidarti mai la mia vit-...” disse la voce prima di interrompersi. Mi girai e al centro della stanza c’era Gwyneth e cavolo se era bellissima, lì erano tutti bellissimi e perfetti e la mia autostima iniziava a precipitare.

“Buonasera” salutai educatamente sorridendole.

“Guy, perché non mi hai avvisata che avresti portato qualcuno? Cara, che maleducata che sono…”
Mi venne incontro e mi baciò sulle guance anche lei.

“Benvenuta, io sono Gwyneth.”
Guy intervenne e mi presentò meglio alla padrona di casa meravigliosamente avvolta in un tubino rosa pallido.

“Oh, guardalo, è arrivato finalmente! Amico, Ava vuole il suo regalo, muoviti!”.
Will fece irruzione nella stanza seguito da una donna e una bambina con una coroncina viola in testa che corse verso Guy chiamandolo zio. Will mi salutò e mi presentò sua moglie Marianne, che mi guardava diffidente e che aveva in braccio un bimbo piccolissimo presentatomi come Rex, uno dei loro gemelli.

“Ciao” disse lei freddamente tendendomi la mano. Will mi si avvicinò tenendo in braccio Ava.

“Ecco la nostra festeggiata. Ava, lei è un’amica di zio Guy che è venuta qui per festeggiare il tuo compleanno.”
La piccola mi salutò timidamente per poi nascondere il viso tra le enormi braccia del padre. Tutti nella stanza scoppiarono a ridere. Gwyneth propose di trasferirci tutti in un’altra stanza dov’era stata organizzata la festa. Tutti annuimmo. Sentii distrattamente Chris accennare a Gwyneth della presenza, nell’altra stanza, di un’altra persona. Il cantante sembrava preoccupato.

“Sssh, tranquillo. Prima o poi dovrà farci i conti” disse l’attrice sorridendo. Lui le baciò la spalla nuda e la seguì tenendola per mano. A parte la dolcezza della scena, stavo ripensando alle parole di Chris mentre andavamo verso quella che era una stanza tutta decorata in rosa: una camera bellissima tutta circondata da specchi dove campeggiava una enorme scritta di buon compleanno. Nella stanza riecheggiavano le note di una musichetta dolce e il chiacchiericcio delle persone presenti. Jonny mi portò a conoscere sua moglie Chloe che reggeva in braccio sua figlia più grande, Violet. Guy era sempre dietro di me, perciò mi voltai a guardarlo e notai che lui mi guardava di rimando. Mi sorrise e dovetti poggiarmi ad una sedia per non cadere. Mi venne incontro.

“Hai già dato il tuo regalo ad Ava? Sono curioso di vederlo.”

“Ah, giusto, stavo per dimenticarmene. Lei starà sicuramente giocando con gli altri bambini, meglio darlo a Will e Marianne.”

“Vieni, andiamo” disse e fece una cosa che mai mi sarei aspettata: mi prese per mano. La sua mano era calda e mi teneva con una forza molto delicata che mi faceva quasi scottare la pelle al contatto. Raggiungemmo Will e sua moglie che erano in un’altra stanza.

“Ehi, ragazzi, come va?” disse il batterista porgendo a Guy e me un bicchiere di champagne.

“Ehm, bene, Will. Senti, ho preso un piccolo regalo per Ava. Sinceramente non sapevo che prenderle però appena l’ho visto mi è piaciuto così tanto che ho dovuto comprarlo” gli porsi la bustina del regalo.

“Ma non dovevi. Sei stata davvero carina!”
Nel frattempo Marianne iniziò a spacchettare il regalo e mi ringraziò nuovamente. Improvvisamente nella stanza si levò un urletto.

Papààà!”
Guy si girò di scatto. Una piccola bimba con due guancine rotonde e rossissime gli corse incontro. Senza lasciarmi andare la mano la prese in braccio al volo e gli stampò un bacio sulla guancia.

Papà?’ pensai stranita ‘no, forse ho sentito male io…
 Evidentemente avevo un punto interrogativo stampato in fronte perché lui mi guardò e mi spiegò.

“Lei è Nico, mia figlia” sorrise un po’ preoccupato. Anche lei mi sussurrò un timido saluto e si strinse più forte al collo di suo padre. La presa attorno alla mia mano si fece più forte quando sulla porta comparve una donna che somigliava pericolosamente a Nico.

“Guarda chi c’è.” disse entrando in stanza e parlando con strafottenza, era piuttosto bella nel suo vestito rosso.

“Ciao, non mi aspettavo di trovarti qui” grugnì Guy in evidente imbarazzo.

La donna si avvicinò a noi e fissando la mia mano nella mano di Guy si prodigò in una smorfia di disgusto. Ci furono secondi di imbarazzante silenzio anche attorno a noi, sembravano esser passate ore, al che Guy si decise a parlare e mi presentò la donna.

“Lei invece è Joanna, mia moglie.”

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Capitolo 12
*** XII. ***


XII.

Ero pietrificata. Gli altri si erano avvicinati a noi: Gwyneth e Chris erano accanto a Guy, Marianne accanto a Joanna e Jonny si avvicinò a me e mi mise una mano sulla spalla. Decisi di non mostrarmi sconvolta dalla cosa quindi mi stampai in faccia un falsissimo sorriso a trentadue denti e le tesi la mano.

“Ciao, è un piacere conoscerti. Ho intervistato i ragazzi qualche giorno fa.”
Lei non ricambiò la mia stretta di mano.

“Ah, quindi sei cosa? Una giornalista? Peccato, pensavo fossi l’ennesima puttanella che Guy si era portato a casa.”

“Jo, smettila” sibilò Guy tra i denti mettendo Nico a terra che venne portata via da Chloe chiamata lì da un cenno di Jonny.

“Ha ragione, Guy” intervenne Marianne. Mi stavo irritando molto. Per natura non ero molto litigiosa o violenta ed ero abituata a non rispondere agli insulti, ma nessuno poteva darmi della puttanella e passarla liscia.

“Tesoro, ma cosa stai dicendo?” si intromise Will stupito rivolto a sua moglie.

“No, Marianne, è tutto okay. So già che non è una giornalista e non c’è bisogno che qualcuno mi difenda.”

“Jo, smettila, o io…” sussurrò Guy che mi lasciò la mano e fece un passo verso di lei stringendo i pugni.

“Ehi, Guy, amico, sta’ tranquillo. Non ne vale la pena, la conosci” gli disse Chris mettendosi tra lui e Joanna.

“Ma non ho intenzione di fare niente. Deve solo andarsene.”

“O tu cosa, Guy?” gli si avvicinò sfidandolo con uno sguardo duro e provocatorio.

“Vabbè, ho capito, credo sia ora di andare prima che la leonessa inizi a mordere l’aria” intervenni io infine. Joanna sibilava tra i denti e Guy mi guardava stupito. Prima di uscire mi rivolsi agli altri.

“Scusate per tutto questo, non volevo che accadesse. Grazie Will, Marianne e Gwyneth e ancora auguri per Ava.”

Con lo sguardo cercai Jonny che mi sorrise incoraggiante. Dovevo uscire da lì, o probabilmente avrei sfogato la rabbia piangendo. Mi voltai e scesi le scale, chiusi la porta d’ingresso silenziosamente e inspirai a fondo.

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Capitolo 13
*** XIII. ***


XIII.

L’aria fredda mi pizzicava il viso e già sentivo le lacrime scendere ma dovevo trattenerle per forza anche a costo di rompermi qualche costola per lo sforzo. Sul viale che costeggiava casa Martin trovai delle panchine abbastanza illuminate e decisi di sedermi. Dovevo riprendermi, dovevo essere calma e lucida e ragionare e chiarirmi le idee. Guy aveva una moglie e aveva una figlia. Persa nei miei pensieri mi accorsi all’improvviso di un rumore di passi venire verso di me anche se non vedevo nessuno. Ero pronta a sfilarmi le scarpe e schiaffarle contro l’aggressore e correre via. Inaspettatamente mi si parò davanti Chris.

“Oddio, Chris! Non farlo mai più. Ma hai un passato da serial killer? Che colpo!” dissi tirando un sospiro di sollievo. Lui rise e non so perché, la sua risata così calda mi fece sentire a casa, al sicuro e protetta.

“Sapevo di trovarti ancora qui. Non mi sembri una che molla facilmente o sbaglio?”
Non risposi, rimasi in silenzio a giocherellare con la tracolla della mia borsa.

“Senti, per quanto possa servire, per Joanna… ecco, non prendertela. Lei è così anche se non è una valida motivazione per aver detto quello che ha detto.”

“Ma no, Chris, figurati. Non è quello il problema. Anzi, non so nemmeno se effettivamente ci sia un problema. Conosco Guy da pochissimo, conosco voi da pochissimo. Questi giorni la mia vita ha subìto una forte accelerazione in avanti e… e a me le bugie non piacciono, solo questo. Non so cosa siamo io e Guy, né cosa saremo, però abbiamo parlato molto di noi, di cosa ci piace e di cosa facciamo e lui non mi ha parlato di sua moglie e di sua figlia.”

“Ma magari l’avrebbe fatto più avanti, non pensi? Alla fine, come hai detto tu, vi conoscete da poco, no? Magari non voleva appesantirti con determinate situazioni.”

“Sì, forse è così, ma infatti non gli rimprovero nulla. Io odio le bugie, solo quello.”

“Lo so, ma…” iniziò a dire Chris ma venne interrotto da una voce.

“Tecnicamente Joanna è la mia ex moglie” disse Guy comparso non si sa da dove “non siamo ancora legalmente divorziati ma non viviamo più insieme né siamo ancora una coppia.”

 

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Capitolo 14
*** XIV. ***


XIV.

Guy ci aveva raggiunti, era senza cappotto e tremava per il freddo con le mani infilate nelle tasche dei jeans. Chris si alzò, mi diede un bacio sulla guancia e fuggì via senza dire niente, dando solo una pacca sulla spalla di Guy quando gli passò accanto.

“Ti verrà una polmonite. Torna dentro” dissi seccata a Guy che venne a sedersi accanto a me.

“Non ti preoccupare. Ho altro di importante da fare.”

“Mmh, cioè?”

“Parlare con te, scema.”

“E di cosa devi parlarmi?”

“Di quello che non ti ho detto e soprattutto dovrei e vorrei scusarmi con te.”

“Ma non c’è bisogno, Guy, davvero…”

“Non mi sembra che non ci sia bisogno da come sei fuggita. Avevo paura che cadessi e rotolassi via per tutto il vialetto” cercò di sdrammatizzare facendomi ridere e la tensione un po’ si allentò

“Menomale che c’è stato Chris a correrti dietro.”

“Sì, che poi mi è arrivato alle spalle di soppiatto che per poco non mi veniva un infarto.”

“Io dico sempre che ha un passato da serial killer quando fa così. È inquietante” sussurrò guardando il cielo tirando un lungo sospiro.

“Ho detto anche io la stessa cosa, che coincidenza” lo guardai a bocca aperta con aria stupita ma lui sembrò non darmi retta.

“Dovevo parlare con Joanna una volta per tutte, sennò sarei venuto io.”

“E com’è andata con lei?”

“Ma niente, come vuoi che vada. Sono cinque anni che siamo in questa situazione e lei è sempre così, non cambierà mai, anzi, se possibile sta anche peggiorando. Io ho amato tanto Joanna tanto da sposarla e da avere una bimba meravigliosa con lei.”

“Nico le somiglia un sacco però ha il tuo sorriso e i tuoi occhi.”

“Sì, lo so, ma la dolcezza l’ha presa dalla mamma.”

“Oddio, se quella era dolcezza non oso immaginare la rabbia! Per qualche istante ho avuto paura che ti desse una botta in testa con la clava, mi cavasse gli occhi e ti portasse via in una grotta!”

“Tu non conosci Joanna, questo è il suo malato ed esagerato modo per dimostrare che tiene ancora a qualcuno ed è questo che ci ha fatto separare.”
Entrambi restammo in silenzio. Non sapevo cosa dire ma, come sempre, ci pensò lui a rompere il silenzio.

“Ci siamo conosciuti al college, una sera in un pub dopo i primi concerti della band. Forse era il ’98 o ’99, non ricordo precisamente. Io avevo lasciato ingegneria per continuare a fare musica anche se lavoravo in un pub, mentre lei stava finendo la laurea in psicologia e alla fine ce l’ha fatta. Abbiamo iniziato ad uscire seriamente qualche anno dopo fino a sposarci nel 2004. Tutto andava bene, era tutto bellissimo ed avevo tutto quello che un uomo potesse sognare: un lavoro fantastico e una moglie che ti amava per quello che eri e non per quello che avevi e poi, nel settembre del 2006,è nata Nico.”

Tossì molto forte perciò mi tolsi la sciarpa e gliela misi attorno al collo.

“Ma…” disse lui provando a togliersela.

“Ssh, sta’ zitto e continua.”

“Okay, dicevo di Nico. Nico è l’unico essere femminile che mi abbia mai cambiato la vita ed è così bellina e così innocente che sono rimasto con Joanna un altro anno dopo la sua nascita per non privarla dell’affetto di sua madre. Poi non ho più retto, era diventata insopportabile, era gelosa di qualsiasi persona mi si avvicinasse, mi seguiva ovunque, mi controllava.”

“Quando si parla di dolcezza...”
Rise di nuovo e poi continuò.

“Abbiamo deciso di separarci nel 2007. Ecco, io non ti ho parlato di lei perché per me non è più importante. L’ho amata sì, questo non lo nego, resterà una parte importante della mia vita e avrei parlato di Nico un po’ più avanti ma, come dire, se devo iniziare qualcosa con qualcuno, vorrei che non ci fosse la sua ombra.”
L’ultima frase mi colpì come uno schiaffo in pieno viso.

“No, aspetta. Cosa significa se devi iniziare qualcosa con qualcuno?”

“Dai, devo sul serio spiegarti? Non sono bravo con le parole.”
Gli risposi con una leggera alzata di spalle. Cadde un silenzio assurdo tanto che si poteva sentire la musica provenire dalla festa di Ava. Guy mi guardava dritta negli occhi, improvvisamente alzò una mano verso il mio ciondolo a forma di stella sfiorandolo leggermente con la punta delle dita. Sentivo il viso in fiamme nonostante il freddo iniziasse ad aumentare. La sua mano si posò poi sul mio viso, sulla mia guancia, dolcemente, come se avesse paura di farmi male. Avevo voglia di abbandonarmi completamente dentro quella morbida morsa ma c’era  qualcosa di sbagliato in tutto ciò ma non volevo, non riuscivo a staccarmi dalla sua mano. Guy si stava lentamente avvicinando a me senza staccare la mano dal mio viso: era talmente vicino che potevo sentire il suo profumo, talmente vicino che riuscivo a distinguere singolarmente le ciglia che circondavano i suoi meravigliosi occhi scuri. Era così vicino da poter sentire il fresco odore del suo alito. Istintivamente entrambi chiudemmo gli occhi, le sue labbra finalmente si posarono sulle mie.

No!” urlai all’improvviso facendolo sobbalzare.

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Capitolo 15
*** XV. ***


XV.

“Cosa c’è?” disse Guy guardandosi attorno spaventato.

“No! Niente, ehm, devo andare… non posso, è tardi” mentì guardando altrove, se l’avessi guardato negli occhi non sarei riuscita a sostenere quell’amara bugia. Lui era lì in silenzio, ferito e rifiutato.

“Ti accompagno a casa in macchina” disse come svegliandosi da un coma profondo.

“No, tranquillo, tanto è vicino, vado a piedi. Ci vediamo o ci sentiamo, non lo so” lo salutai correndo via. Lui rimase lì, sulla panchina a guardarmi fuggire, fuggire dal suo bacio, dalle sue mani calde, da tutti i nostri “e se…” che nessuno aveva il coraggio di dire. Impotente, impassibile e probabilmente deluso. Camminavo in fretta, non c’era nessuno per strada improvvisamente il suono di un fischio mi raggiunse.

“Ehi!” disse la voce a cui apparteneva quel suono. Accelerai il passo senza fermarmi,  sentivo qualcuno corrermi dietro e il mio cuore rischiava il collasso. Poi la voce parlò di nuovo, più vicina:  “dai, che non ho più 12 anni, fermati!”
Solo allora riconobbi che quella voce apparteneva a Jonny.

“Jonny, pure tu? Ma cos’è, prima di diventare musicisti avete frequentato un corso di assassini? È il secondo infarto questa sera.”
Jonny mi guardò con aria interrogativa.

“Niente, Jonny, lascia stare. Comunque, perché mi inseguivi?”

“Niente” disse lui prendendo fiato “dalla finestra ti ho vista andare via da Guy e ho pensato che non avessi accettato il suo passaggio. Perciò ti riaccompagno io a casa, se ti va.”

“Oh, che gentile. Grazie! Accetto volentieri, anche se non sarò di ottima compagnia.”
Camminammo per un po’ in silenzio poi aggiunsi: “non capisco come mai siete tutti così gentili con me.”

“Posso solo dirti che ci sei piaciuta sin dall’inizio e siamo contenti che Guy ti abbia invitata alla festa di Ava, la tua presenza ci ha fatto molto piacere e non darti colpe per quello che è successo. Noi siamo abituati a Joanna e non è colpa tua. Solo… non prendertela con Guy, quello che ha fatto l’ha fatto sicuramente in buona fede e non per farti del male.”

“Non riesco a capire perché ci sono rimasta così male per non avermi detto di lei e di Nico, Jonny.”

“Beh, non ti sei chiesta se magari Guy ti piace?”
Mi girai a guardarlo a bocca aperta. I nostri sguardi si incrociarono e quegli immensi occhi verdi e quel sorriso dolcissimo mi rassicurarono.

“No, Jonny, non credo. O non so, non voglio saperlo, però oggi mi è piaciuto stare con lui, parlarci, parlargli di me. Mi sentivo a mio agio.”

“Ma…” mi esortò il chitarrista.

“Ma non so. Ci siamo incontrati, anzi, scontrati per caso e io non credo in queste cose, sai, le coincidenze, il Fato, un segno del destino. Però so solo che prima di entrare in casa non volevo scendere da quella macchina.”

“E non credi che questo significhi qualcosa?”
Nel frattempo eravamo arrivati a casa mia, infilai le chiavi nella toppa prendendo tempo per la risposta.

“Jonny, non so, davvero” dissi sconsolata “comunque sia, sei stato gentilissimo. Grazie mille per avermi riaccompagnata a casa.”

“Ma figurati, cara. Spero di rivederti presto” mi abbracciò forte forte e aspettò che fossi entrata in casa. Chiusi la porta alle mie spalle e feci per togliermi la sciarpa.

Dove l’ho lasciata?’ pensai notando in quel momento l’assenza della stoffa ‘oh, no…
Solo allora ricordai di averla messa al collo di Guy poco prima per proteggerlo dal freddo.

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Capitolo 16
*** XVI. ***


XVI.

Guy non era ancora rientrato in casa, le sue cose erano ancora lì perciò Chris prese la giacca dell’amico e decise di tornare alla panchina dove li aveva lasciati per vedere se era tutto okay. Arrivato lì trovo Guy da solo, seduto sulla panchina che fumava guardando le stelle.

“Ehi, amico” gli disse porgendogli la giacca “copriti, ti prego, stai diventando blu dal freddo.”

“Grazie, Chris. Avrei finito questa e sarei rientrato” rispose tenendo la sigaretta tra le labbra e infilandosi la giacca.

“Com’è andata?” si informò il cantante.

“È andata nel senso che è fuggita a casa, Chris.”

“Che le hai fatto?”

“Io?! Ma non ho fatto niente! Perché devo per forza aver fatto qualcosa?” provò a giustificarsi il bassista.

“Guy…” disse Chris in tono di rimprovero.

“E va bene! Ho provato a baciarla, è così sbagliato? Mi piace, è sveglia, intelligente, le piace la musica e l’arte e la letteratura. È bellissima, così dolce e delicata, perché non dovrei volerla baciare?”

“Beh, ma ti sei assicurato che anche lei voglia, idiota?”

“Ah” constatò triste Guy.

“Ecco, visto? Non puoi partire in quarta e sbatterla al muro e infilarle la lingua in bocca.”

“Ma non ho fatto così, per chi mi hai preso?” replicò stizzito.

“No, però vi piacete e siete stupidi a sprecare queste opportunità” intervenne Jonny tornato lì dopo averla riaccompagnata a casa.

“E tu da dove sbuchi?” dissero in coro Chris e Guy.

“Niente, sono andato a fare una rapina” ironizzò Jonny facendo spallucce “l’ho accompagnata a casa, sveglioni, vi pare che la lascio da sola a quest’ora della notte?”

“Non ha voluto il mio passaggio. Ho pensato che lasciarla andare sarebbe stata la cosa migliore” si giustificò Guy.

“Sì, così domani mattina avremmo letto di una ragazza violentata e fatta a pezzi e gettata in un fiume” pensò Chris.

“Christopher!” urlò stupito Guy.

“Sì, vabbè, basta divagare. Trova una soluzione, Guy” aggiunse Jonny.

“Okay, ma avete finito di rimproverarmi? Sembrate due fottutissime suocere” disse Guy gettando via la sigaretta e muovendo le mani verso il cielo.

“No, siamo tuoi amici” iniziò a dire Chris guardando Jonny “e magari un parere dall’esterno può esserti utile.”

“Giusto” confermò Jonny “su, cosa hai intenzione di fare?”

“Ma non lo so!” disse Guy con tono esasperato portandosi una mano tra i capelli e scendendo sul collo. Solo in quel momento notò la presenza di un tessuto che non gli era famigliare.

“Oh…” aggiunse il bassista accorgendosi di avere una sciarpa che non gli apparteneva.

“Oh… oh? Cosa cazzo vuol dire ‘oh’?!” chiese Chris.

‘Oh’ significa si è dimenticata di riprendersi la sua sciarpa” disse Guy togliendosela dal collo sorridendo.

“Perfetto, ora hai un motivo sicuro per rivederla. Quella sciarpa è così bella e morbida” osservò Jonny. Gli altri due lo guardarono malissimo.

“Che c’è? È bellissima sul serio.”

“Sì, vabbè, il prossimo passo è farci una recensione di una sfilata, Jon? Io vi lascio, vado a vedere se c’è ancora un po’ di gelato che m’è venuta voglia” disse Chris incamminandosi verso casa “e non fate zozzerie voi due da soli!”

“Idiota!” gli urlarono dietro entrambi mentre si chiudeva la porta di casa alle spalle.

“Jonny, io vado a casa, saluteresti e ringrazieresti gli altri da parte mia?” disse Guy.

“Certo, amico, nessun problema. Ci vediamo domani in studio!”
Jonny gli diede una pacca sulla spalla e tornò dentro mentre Guy saliva in macchina e andava a casa. Stravolto arrivò al suo appartamento e si infilò subito a letto anche se non riusciva a dormire, i suoi pensieri erano un flusso continuo, uno scorrere senza limiti. Aveva sete, si alzò per andare in cucina a bere e passando dall’ingresso trovò su un mobiletto la sciarpa di lei, la prese e la portò a letto con sé. Il suo profumo l’avvolse, inspirava lentamente ripercorrendo tutto quello che avevano fatto e si erano detti. Avrebbe rimediato, lo promise a sé stesso. Poco dopo si addormentò con un dolce sorriso sulle labbra e con quel profumo nelle ossa.

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Capitolo 17
*** XVII. ***


XVII.

Il giorno dopo quei deliziosi siparietti, ripresi a lavorare tranquillamente come se niente fosse successo. Il tempo avrebbe guarito tutto, il tempo avrebbe cancellato tutto anche se mi rimaneva ancora un po’ di amaro in bocca, una sensazione che non riuscivo a spiegare. Da quella notte sulla panchina passarono due mesi e mezzo. Ogni tanto pensavo a lui, ogni tanto avevo voglia di correre alla Bakery e di trascinarlo a fare l’ennesima colazione insieme, ma poi tornavo in me e pensavo che se avesse avuto voglia di sentirmi il modo per contattarmi l’avrebbe trovato, come mi ha contattata la prima volta quando mi aveva mandato la foto. Rimpiangevo soprattutto la mia sciarpa, era un regalo cui tenevo molto e volevo riprendermela.  In quei due mesi avevo pensato molto a come fare, magari potevo limitarmi a contattare uno degli altri membri ma sicuramente loro poi avrebbero parlato con Guy e ci avrei fatto la pessima figura della ragazza immatura che ha paura di affrontare i problemi. Quindi un sabato mattina mi svegliai di buon ora, mi preparai con calma, mi vestii molto semplicemente e mi incamminai verso la Bakery. Stranamente quel giorno c’era il sole e si stava parecchio bene, mi piaceva la sensazione del sole sulla pelle dopo quei mesi di pioggia interminabile. La speranza che quel giorno non avrebbe piovuto mi diede un po’ più di sicurezza. Arrivai lì che per strada non c’era quasi nessuno, la Londra silenziosa del sabato mattina era un sogno. Erano quasi le nove e mezza, suonai nella speranza che dentro ci fosse qualcuno.

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Capitolo 18
*** XVIII. ***


XVIII.

Attesi qualche minuto visto che era mattina presto e sicuramente non c’era nessuno. Stavo per andare via quando sentì il rumore della serratura e della porta che si apriva, mi girai e mi trovai davanti Jonny.

“Sei tu! Ciao, cara. Entra, per favore” disse stringendomi come se fossi una delle sue migliori amiche che non vedeva da anni.

“Ciao anche a te, Jonny” risposi ricambiando l’abbraccio.

“Vieni, vieni! Scusa, sono da solo e ho approfittato per stare in studio e strimpellare qualcosa, avevo le cuffie e non ho sentito bene il campanello.”
Mi fece salire le scale per portarmi in studio.

“Non ti preoccupare. Comunque, come stai? È una vita che non ci vediamo.”

“Io? Tutto bene, Chloe e i bambini anche, non mi lamento, stiamo riprendendo lentamente a inserirci nel giro del tour quindi tra poco ricominceremo a spostarci ovunque. E tu, che mi racconti?”
Mi fece accomodare in studio su un divano di pelle rossa, non ero mai stata in quella parte della Bakery.

“Io tutto bene, lavoro come sempre, i turni in biblioteca sono sempre quelli. Finalmente sono riuscita a farmi assegnare le interviste letterarie.”

“Oh, quindi non verrai più a farci le interviste?” mi guardò rattristato.

“Ma no, tranquillo, al massimo chiederò di mandare sempre me da voi quando bisogna scrivere sui Coldplay. Pff, come fareste voi a farvi intervistare senza di me? Sareste muti come pesci” scherzai. E Jonny rise poi continuai: “Gli altri come stanno? I bimbi?”

“Tutti bene, cara, tutti bene. Ma posso chiederti come mai sei qui? Immagino sia per Guy” mi guardò con aria molto sospettosa come se cercasse di leggermi dentro.

“Sì, è per Guy, in realtà è per la sciarpa che gli ho messo al collo la sera della festa di Ava ma anche perché abbiamo alcune cose in sospeso di cui dobbiamo parlare, o almeno, di cui io devo parlargli visto che in tutto questo tempo non si è fatto sentire perciò immagino che non gli importi molto.”
Entrambi rimanemmo in silenzio.

“Guy non è qui. Sinceramente non lo vediamo da un po’. In teoria dovrebbe essere a casa sua, non è partito, non aveva niente di importante da fare perciò se vuoi parlargli oggi, ti do il suo indirizzo e vai a trovarlo lì” disse sorridendomi.

“Perfetto… e io che speravo di trascinarlo a fare qualche colazione da qualche parte. Ma sì, va bene lo stesso, passerò dal Milkaffee e prenderò qualcosa per tutti e due” feci spallucce. Jonny si alzò e mi scrisse su un bigliettino l’indirizzo di Guy e me lo diede.

“Mi raccomando, non distruggetevi. Parlate con calma.”

“Lo spero, Jonny, lo spero” dissi prendendo il bigliettino “ora è meglio che vada, uno di questi giorni passo a salutarvi tutti. Quando vi trovo al completo?”

“Uhm, credo giovedì perché venerdì partiamo per la Francia” mi accompagnò all’ingresso “mi raccomando e non perderti!”
Risi. L’abbracciai e lo salutai e mi diressi al Milkaffee dove sorrisi ripensando al nostro primo scontro e poi alla colazione con la cameriera imbambolata. Scossi la testa, cancellai quei pensieri strani e presi due cappuccini al caramello e due fette di torta al cioccolato fondente che sapevo essere la sua preferita. Mi incamminai verso casa di Guy. Nel frattempo Jonny, solo soletto alla Bakery, stava facendo una telefonata.

“Ehi, amico, svegliati, alzati e vestiti e soprattutto corri qui a riprenderti la sciarpa blu che hai lasciato qualche giorno fa. Sta tornando a prendersela, l’ho mandata a casa tua.”
 

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Capitolo 19
*** XIX. ***



 
XIX.

Arrivai a casa di Guy senza troppe difficoltà sperando che il caffè non fosse diventato ghiaccio. Unica cosa negativa: il tempo si era nuvolato velocemente e di lì a poco sarebbe venuto giù un acquazzone. L’ingresso era libero, bisognava suonare solo una volta arrivati davanti alla porta di casa. Presi l’ascensore per raggiungere il quarto piano e chissà come mai mi aspettavo un lussuosissimo loft, invece dall’ingresso mi sembrava un appartamento abbastanza piccolo e sobrio. Suonai, dall’interno provenivano dei rumori strani come se qualcuno stesse lanciando roba un po’ ovunque. Mi veniva un po’ da ridere senza motivo, perciò continuai a suonare il campanello per mettergli più ansia e pressione finché dopo un paio di minuti venne ad aprirmi. Per poco la scatola della colazione non mi cadde. Venne ad aprirmi un Guy che sembrava appena sveglio, capelli spettinati, occhi socchiusi; venne ad aprirmi un Guy vestito solo con una maglia grigia a mezza manica e sotto solo boxer che sembrava non provare nessun imbarazzo a stare così davanti a me. Si stropicciò gli occhi.

“Oh, ehi. Ehm, ciao. Non ti aspettavo.”
Ero in evidentissimo imbarazzo.

“Ehm, ciao a te. Disturbo? Ti ho portato la colazione.”

“No no, figurati. Sono sveglio da un po’ anche se non sembra” sorrise “ti va di entrare?”

“Certo, non è che puoi fare colazione sul pianerottolo.”
Mi fece accomodare ed entrai in un grazioso appartamento molto moderno e sobrio, a primo impatto freddo a causa della monocromaticità dei colori, ma molto accogliente.

“Aspetteresti qui due secondi? Vado a mettermi qualcosa addosso” allargò le braccia come ad indicare la sua condizione semi nuda. Non riuscì ad evitare di squadrarlo dalla testa ai piedi, entrambi arrossimmo.

“N-n- no, f-figurati, vai.”

“Nel frattempo puoi toglierti il cappotto e metterlo sul divano.”
Mentre andava a vestirsi curiosai un po’ tra le sue cose come lui aveva fatto a casa mia. Scoprì un’immensa parete piena di vinili, ma tantissimi, di tutti i generi e di libri di tutte le grandezze e di tutti i colori. Toccai i loro dorsi con ammirazione, uno ad uno, con la punta delle dita. Improvvisamente due mani mi afferrarono i fianchi e cacciai fuori un urlo agghiacciante.

Argh!

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Capitolo 20
*** XX. ***


XX.

Dietro di me c’era Guy che rideva come uno stupido.

“Ma… ma… tu non sei normale! Mi hai fatto quasi venire un infarto!”
Continuò a ridere.

“Dai, vieni in cucina che così mangiamo questa benedetta colazione” disse lui. Prese la busta dalle mie mani e mi fece strada in una piccola cucina pulita e con una piccola veranda fuori.

“Prego, accomodati” mi invitò a sedermi.

“Grazie” sussurrai imbarazzata. Presi la busta e iniziai a tirar fuori la colazione.

“Okay, qui ci sono due bicchieroni di cappuccino al caramello e due fette di torta al cioccolato fondente.”

“È il mio preferito!” disse Guy sorpreso.

“Eh, lo so, m-me l’hai detto in macchina prima di andare alla festa di Ava” aggiunsi imbarazzata arrossendo violentemente. Il silenzio invase la stanza. L’argomento della festa pesava sulla testa di entrambi come una spada di Damocle pronta a cadere.

“Senti, a proposito di quella festa…” iniziò a dire lui. Io mi alzai ed uscì sulla piccola veranda. Non so, non ero pronta a sentire niente, non dopo quello che era quasi successo ma prima o poi avremmo dovuto affrontare quell’argomento. Mi poggiai al balcone della guardando lo scorrere del traffico sotto di noi, Guy mi raggiunse poco dopo e si poggio accanto a me.

“Ti prego, dobbiamo sistemare la cosa, non avrò pace.”

“Guy, ma non c’è niente da spiegare o da sistemare, è tutto okay.”

“No, cavolo, non è tutto okay. Tu sei fuggita via e io sono un dannato stupido, non doveva finire così.”

“Guy, senti, io sono venuta qui solo per riprendermi la sciarpa e non per altro, non per chiarire. Ti ho detto che non c’è niente da chiarire!”

“Ho capito.”
Mi prese per le spalle e mi girò in modo che fossimo faccia a faccia, mi prese le mani e mi guardò dritto negli occhi.

“Mettiamola così. Non sono uno che crede al destino però ho creduto sin dal primo momento nel nostro scontro. Faccio quella strada da quasi 7 anni allo stesso modo tutti i giorni quasi e non mi è mai successo di uccidere la colazione di qualcuno in quel modo, quindi l’ho preso come una specie di segno.”
Continuavamo a fissarci mentre attorno a noi iniziavano a sentirsi i tuoni dell’imminente temporale.

“Poi sei capitata alla Bakery tra capo e collo senza sapere chi fossimo, sei capitata lì con i tuoi morbidissimi e profumatissimi capelli.”
Prese una ciocca dei miei capelli tra le dita e li sfregò dolcemente.

“Sei capitata lì con le tue esili mani mentre scrivevi le nostre risposte alle tue domande, sei capitata lì con i tuoi occhi tondi e profondi che si guardavano attorno come se fossero in un mondo nuovo.”
Alcune gocce di pioggia iniziarono a cadere.

“Guy… Guy, torniamo dentro. Sta iniziando a diluviare.”

“Sssh, fammi finire. Tutte queste coincidenze – troppe coincidenze – per lasciare che tutto andasse perduto e perciò ne ho approfittato per invitarti alla festa di Ava e quando sono venuto a prenderti…”
La pioggia iniziava a cadere con più insistenza.

“… eri bellissima e mi mancava il fiato a vederti lì tutta rossa e imbarazzata, mai e poi mai ti avrei fatta cadere quella sera. Però poi è arrivato qualcuno a disturbare le nostre coincidenze mandando tutto all’aria.”
I nostri capelli erano ormai zuppi e i vestiti iniziavano ad essere pesanti a causa dell’acqua.

“E non so che altro dirti. So solo che Joanna non fa parte della mia vita da anni, so solo che te ne avrei parlato a tempo debito e so solo che ora nella mia vita. Voglio imparare a tenerti con me, a non lasciarti cadere, voglio imparare ad imparare da te, su quello che sai, sui libri e sulla tua musica.”
Prese una pausa e respirò profondamente e poi continuò.

“E voglio che tu mi conosca per quello che sono, lasciando fuori i Coldplay. E voglio imparare a non uccidere più colazioni altrui perché vorrei che l’unica colazione che io abbia mai ucciso sia quella che ci ha fatto incontrare.”
Sicuramente ero rossa in viso, sentivo le guance bruciare e non riuscivo più a trattenere le lacrime che si mescolavano con la pioggia.

“E vorrei… vorrei che tu dicessi qualcosa perché non so che altro dirti, o meglio, so cosa dirti ma in questo momento la mia testa è talmente piena di tutto che… che…”
In quel preciso istante lasciò andare le mie mani e mi prese il viso tra le sue, guardò le piccole gocce di pioggia miste a lacrime farsi strada sul mio volto, tra le ciglia, tra le labbra.

“Guy, io…” iniziai a dire.

“Sssh” mi zittì lui. E zittì definitivamente le mie labbra con un bacio: un bacio morbido e lento, un bacio bagnato da quella pioggia che ci aveva sorpresi all’improvviso, un bacio che sapeva di tutte quelle parole che non avevamo avuto il coraggio di dirci. Un bacio che non vedeva l’ora di essere dato, un bacio che non capiva perché aveva tardato tanto ad arrivare. Infinti baci con nessuno a interromperli. Unico testimone? Quel temporale che profumava d’estate. Un tonfo che proveniva dall’interno della casa ci riportò alla realtà, dal tavolo della cucina era caduta per terra la colazione. Io e Guy ci guardammo e sorridemmo, mi abbracciò e nascosi il viso nel suo collo.

“Beh, stavolta si trattava della nostra colazione, perciò sei perdonato” gli sussurrai mentre mi stringeva più forte.

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