Mud Angels - Angeli Sporchi

di Glirel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue - Part I - Evanna's birth ***
Capitolo 2: *** Prologue - Part II - Uriel's birth ***
Capitolo 3: *** Chapter I - The beginning of dreams. ***
Capitolo 4: *** Chapter II - Alone ***
Capitolo 5: *** Chapter III - Noise ***
Capitolo 6: *** Chapter IV - Alive ***



Capitolo 1
*** Prologue - Part I - Evanna's birth ***


10 anni. 
Aveva 10 anni quando morì, lasciandosi alle spalle una breve vita d’affetti e amicizia. Quando lo trovarono aveva appena abbandonato le sue spoglie mortali e non si capacitava di quel che gli stava accadendo. Non era un fantasma, ma non era più umano. Lo avevano trovato in un angolo buio, in lacrime, e ora lo stavano portando in un luogo sconosciuto. L’unica cosa cui riusciva a pensare erano quegli occhi. Occhi blu come il cielo notturno, profondi come una fossa oceanica e accesi come le stelle. Gli occhi di sua sorella, così diversi dai suoi, di un verde scuro come le fronde dei pini, gli mancavano più della sua stessa vita.


Saamuel continuò a spiarla di nascosto anche quando non fu più un essere materiale. Non si ricordava nulla della sua vita passata, e si era dunque dimenticato chi lei fosse. Ma nonostante tutto, sentiva che il sentimento che provava nei suoi confronti fosse sbagliato. 
Ora erano passati decenni dalla morte di lei, ma non l'aveva ancora rivista nell'altro luogo. Se n'era andata in un giorno qualunque, per un incidente qualunque. Azrael se l'era portata via che era ancora giovane ed innocente. Era certo che l'avrebbe rivista a breve, ma forse era troppo pura per risiedere nel suo stesso Cielo. Tuttavia, egli non aveva mai smesso di cercare occhi simili a quelli della ragazza in ogni bambina che fosse nata, tentando di ritrovarla e continuar a seguirla, magari in un incarnazione. Non voleva perderla per nessuna ragione. 

E poi accadde. Altri secoli erano trascorsi, quando il suo cuore finalmente esultò, e in un batter d'ali Saamuel vide una bimba dagli occhi di cielo diventare grande. Non era una reincarnazione, ma d’altro canto anche lei era divenuta bellissima. Non era la sua pelle color ebano, il suo fisico aggraziato e il modo in cui vestiva che l’affascinavano. Gli occhi di lei gli ricordavano un tempo di cui non aveva memoria. L’innata malinconia degli angeli non lasciava spazio ai ricordi felici della vita mortale.

Non sapeva come si era ritrovato fra le sue braccia, in quella notte piovosa. Sapeva soltanto di essersi avvicinato troppo. L'aveva vista su una grande strada buia, popolata di altre ragazze quasi del tutto svestite, alcune con lo stesso sguardo malinconico, altre sfacciate ed irriverenti. Richiamata da una di quelle, stava attraversando le corsie per raggiungerla, quando una macchina aveva improvvisamente svoltato una curva piombandole addosso. Senza riflettere sulle conseguenze del suo atto, si era precipitato a trarla, esangue, dai rottami dell'auto, tra lo stupore che le sue immense ali avevano provocato nella piccola folla di prostitute che si erano avvicinate per soccorrere la compagna. L'aveva portata in una cascina e l'aveva guarita, e poi era rimasto a contemplarla dormire.
Quando vide che si stava svegliando, tentò di nascondersi, ma gli occhi di lei lo raggiunsero prima che potesse muovere un muscolo. Ancor prima di accorgersi di quello che stava facendo, lui le si era avvicinato, fino a trovarsi a pochi centimetri dal suo viso. L’unica cosa che sembrava capire era che voleva vedere quanto profondi fossero quegli occhi blu. Poi la ragazza fece qualcosa di strano: come rapito da un sogno, Saamuel sentì le labbra di lei sulle sue, e al solo tocco un piacevole calore pervase le sue membra. Poi il corpo di lei lo sfiorò e il calore divenne più intenso, inebriandogli i sensi, facendo sì che si perdesse in quel tocco morbido; portò le mani a carezzarle la schiena, per sentire la sua pelle sotto la propria, e la sentì rabbrividire. Spaventato, si ritrasse: non voleva farle del male in alcun modo. Ma lei lo guardò supplichevole: era tristezza, quella che le leggeva in volto? O forse rimpianto? O, ancora, desiderio. Desiderio di essere amata, toccata dolcemente, non come facevano i bruti che doveva soddisfare ogni giorno. Iniziò ad avvicinarsi, svestendosi piano. Completamente nuda, Saamuel poté osservare il suo corpo aggraziato, la pelle scura che rifletteva i raggi della luna piena. Si avvicinò al suo salvatore, ne slacciò la veste candida che ricadde morbidamente ai suoi piedi. Saamuel non provava vergogna, nell’altro luogo era abituato alla sua nudità. Ma stare accanto a quella ragazza lo metteva a disagio, non era normale. Come per rispondere al dubbio di lui, la giovane gli sfiorò i capelli, e lui chiuse gli occhi, scosso da un fremito che non aveva mai provato. Gentilmente la ragazza lo guidò, gli permise di entrare in lei. Poi ansiti e gemiti si confusero, e per lungo tempo i due rimasero avvinghiati l’uno all’altra, bisognosi del contatto tra i loro corpi, bisognosi di quegli sguardi intensi, per poi sprofondare tra le braccia di Morfeo insieme, ancora stretti nell’ultimo abbraccio.
 
                                              
 
 
 
 
 

Angolino Autrice (Autrice??)
Salve a tutti, gente! Sono alla mia prima storia, che mi frulla in testa da un po' e alla quale penso soprattutto di notte, prima di appisolarmi.
Scriverò sotto "ispirazione", quindi ci metterò un po' ad aggiornare, anche perché non so ancora come seguire la trama che ho in mente...
Recensite, sia che vi piaccia, sia che vi faccia schifo:

le critiche, se educate, sono sempre ben accette ^^

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Capitolo 2
*** Prologue - Part II - Uriel's birth ***


Lilith ebbe pochi attimi per riflettere su quello che le era accaduto: un'autovettura, una di quelle che da poco circolavano sulle strade in pietra battuta, aveva sbandato e l'aveva investita, incastrandola tra le lamiere e il muro scrostato di una casa.
Sentì il ferro nella carne, ma non riusciva a provare dolore. Notò che le sue gambe erano separate dal resto del corpo dal bacino in giù. Distolse lo sguardo, aveva la nausea. Ansimava, e il suo cuore batteva forte contro il petto, come se lottasse per uscire dalla cavità toracica; poi, all'improvviso, aveva rallentato spaventosamente. Le sembrò addirittura che volesse fermarsi del tutto.
Per pochi secondi, che a lei sembrarono ere, le si annebbiò la vista... e poi una mano gentile le sfiorò il viso, ridestandola. Un uomo imponente le si stagliava davanti, la candida veste che gli cingeva la vita e spiccava, in contrasto con la pelle scura e le immense ali nere bordate d'argento. Gli occhi blu si soffermarono su ogni dettaglio di quella figura, e mentre Azrael la conduceva tra le fitte e soffici nuvole, un torpore sovrannaturale si impadronì delle sue membra, e fece sì che cadesse in un sonno profondo.

Il primo suo pensiero, non appena capì di essere morta, fu al fratellino che aveva perso a 13 anni, quando lui ne aveva appena 10. Lo avrebbe incontrato? Sperava di sì. Ma più il tempo passava nell’altro luogo, più si convinceva del fatto che con ogni probabilità non lo avrebbe più rivisto. Riteneva improbabile che fosse stato dato in pasto ai demòni, era troppo piccolo perché avesse potuto meritarselo. Più probabilmente, risiedeva semplicemente in un Cielo diverso. Ma allora perché non cercarla? Lui doveva senza dubbio avere più esperienza, doveva sapere come muoversi. Un dubbio atroce la divorava: e se il fratello avesse perso ogni memoria?
Lilith d’altronde non ricordava nulla, ma non aveva dimenticato Saamuel. E ciò la colmava di tristezza e muta disperazione.



Di rado capitava che gli Angeli si mostrassero agli Umani, e ancor più raramente accadeva che si intromettessero nel loro destino. Non vi era alcuna legge che impediva di farlo, ma era come un tacito accordo, un patto che nessuno osava rompere, temendo le conseguenze.
Eppure Lilith, di fatto, non si era mai mostrata ad uno di essi. Lei non aveva mai fatto qualcosa che intralciasse il fato dell’uomo cui ormai faceva visita ogni notte, né lui l’aveva mai vista. Si trattava di un giovane, cieco dalla nascita, e dall’animo estremamente nobile e sensibile. Era solo, ma sorrideva alla vita nonostante le avversità. La prima volta che lo aveva notato, ne era rimasta tanto colpita che aveva deciso di avvicinarsi per scrutare quelle tracce di felicità attraverso gli occhi dell’uomo, chiari e profondi come non ne aveva mai visti prima d’allora, nonostante fosse cieco.
« Puoi nasconderti quanto ti pare, Essere, ma riesco a percepirti» sussurrò una notte l’uomo.
Lilith si era accucciata ai piedi del suo letto per contemplarlo nel sonno. Non sussultò quando lo sentì mormorare, sapeva che prima o poi l’avrebbe scoperta. Tutti gli umani, alla lunga, percepiscono una presenza, quando essa li accompagna per più di un breve periodo.
« Cosa… Cosa sei? » le mormorò lui, alzandosi a sedere e, guidato dai propri sensi, cercando di sfiorarle una guancia.
« Sono un Angelo » gli rispose lei.
« Hai una bella voce, Angelo… »
« Il mio nome è Lilith » gli disse, e nel farlo si scostò appena dal quel tocco leggero e gentile.
Le mani si ritrassero lentamente. L’uomo si risistemò sul letto, pronto a dormire, ma Lillith non voleva rinunciare alla conversazione.
« Ti ho osservato, Umano. Qual è il motivo della tua felicità? » gli domandò, cauta. A differenza degli altri Esseri, lei non provava malinconia, ma la piena felicità le era estranea.
« Sono vivo » rispose l’uomo, « e se Dio mi ha privato della vista, mi ha comunque dato molto di cui essere felice ».
« E di cosa si tratta? Sei come tutti gli Uomini: mortale, peccatore, imperfetto » ribatté l’Angelo.
« Mi ha dato la Musica. Ed esistono altri Linguaggi, che tu dovresti comprendere, Angelo ».
« Il mio nome è Lilith »
« Tu mi hai chiamato Umano. Io sono Sean ».
« È un bel nome. Vuol dire Dono di Dio ». Lilith ne fu commossa: quell’uomo aveva davvero qualcosa di speciale.
« Davvero? Be’, allora puoi notare che ho ragione nel dire che Qualcuno mi ha dato doni di cui esser fiero. Ad esempio, ho un protettore » Sean le sorrise.
« Io non sono un Protettore. Non sono un comune Angelo Custode. Non so ancora cosa sono… »
« Vorrà dire che scoprirai il tuo Destino, un giorno » ribatté lui. « E se scoprirai che non sei destinata a proteggermi, te ne andrai? » C’era un filo di rimpianto nella sua voce roca.
« No.. Io… Non lo so » rispose lei, confusa e nervosa.
« Non voglio che te ne vada… Mi sei di conforto ». L’uomo continuava a sorriderle e lei non sapeva cosa pensare, cosa dire.
Gli sfiorò una guancia con la mano.
« Non me ne andrò » e ne era sicura. Qualunque fosse il suo Destino, non lo avrebbe mai lasciato solo.

Passarono altre notti parlando e sussurrandosi segreti e ammissioni. Si conobbero, e Lilith dimenticò il precetto secondo il quale era una sconsideratezza mostrarsi agli uomini. E l’Angelo e l’Umano scoprirono di provare gli stessi sentimenti, avere gli stessi timori ed essere parte della stessa grande Opera.
E si amarono.
Lilith fece visita per più di un anno a quella casa, tutte le volte rannicchiata ai piedi di quel letto ad ascoltare l’uomo parlare e poi dormire, il respiro regolare e il volto sereno, prima di concepire una bambina. Rimase con lei un altro anno, e poi sparì, richiamata da Forze che non conosceva, in uno dei Cieli più alti e luminosi, attendendo il momento di rivedere sua figlia.









Spazio Autrice-alle-prime-armi

Ebbene sì, sono tornata! Non ho ricevuto alcun commento alla prima parte del prologo però, e mi dispiace:
ragazzi, volete capire che, vi piaccia o vi dispiaccia, avete il sacrosanto dovere di darmi consigli??
Anche solo per dirmi di smettere se non vi va di leggere altre schifezze ^^
Ogni commento è bene accetto, purchè sia educato

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Capitolo 3
*** Chapter I - The beginning of dreams. ***


Si risvegliò osservando un soffitto bianco e poco illuminato.
Probabilmente Nate aveva lasciato il suo portatile acceso, e la flebile luce del computer illuminava le pareti candide decorate da ghirigori verdi. Lui dormiva placido sulla scomoda poltrona, che aveva attrezzato di cuscini e coperte per la notte in ospedale.
Uriel tentò di ricordare il sogno che l’aveva svegliata. Ricordava solo fasci di luce accecante che circondavano una donna  pallida ma bella, i lunghi capelli corvini che le cingevano le spalle, gli occhi luminosi e blu come il cielo stellato. La donna le sorrideva, ma lei era sicura di non averla mai incontrata prima, nonostante avesse un’aria familiare. Avrebbe chiesto a suo padre se qualche sua zia deceduta potesse somigliare a quella descrizione.
La ragazza si sistemò sul letto, raccogliendo il computer dell’amico dai piedi del suo giaciglio.
Da quanto tempo si trovava in quell’ospedale? Aveva perso il conto di tutti i controlli e gli esami che le avevano fatto. In lei non c’era nulla che non andasse, se non fosse stato per un aneurisma cerebrale pronto a spegnerle il cervello da un momento all’altro. Non c’era da scherzare, ovviamente, ma non riusciva a sopportare l’idea di starsene chiusa tra quelle quattro mura quando la vita, al di fuori, scorreva come sempre. I suoi amici si recavano alle lezioni in università e le portavano ogni giorno gli appunti, ma non era come andare con loro, stare con loro tra i banchi e ascoltare l’insegnante di turno parlare di neuropatie, infezioni, lesioni permanenti ai danni del cervello e metodi per interventi.
"Buffo", pensò, "è come se i miei colleghi abbiano la possibilità osservarmi, come se fossi un esperimento in laboratorio".
Scacciò via quel pensiero scomodo e tornò a concentrarsi sul monitor. Nate stava preparando la sua tesi, coadiuvato da lei e da Evanna, amica in comune e già tirocinante. Erano un bel trio: la studentessa motivata dai problemi del padre cieco e dalle sue amnesie, lo studente un po’ imbranato, ma in gamba, e la bella e affascinante tirocinante dai capelli scuri, gli occhi verdi e la battuta pronta. A dire il vero, Evanna le incuteva timore in certi casi, quasi fosse un personaggio oscuro e per questo ancora più affascinante. Ma per il resto, avrebbero potuto essere sorelle: simili nell’aspetto e simili anche nei sentimenti e nel modo di viverli, avevano un’affinità particolare, come se potessero effettivamente leggere l’una il cuore dell’altra. L’unica differenza tra di loro pareva essere il colore degli occhi.
 
Uriel trascorse altri mesi distesa sul letto d’ospedale, a studiare o ad osservare il soffitto, imparando a riconoscere ogni grinza nell’intonaco, ogni piccola crepa, ogni difetto o singolo dettaglio, tanto che scoprì che quella parete così familiare non era affatto monotona. E la permanenza così prolungata la indusse a temere che il suo aneurisma non fosse il solo difetto del suo corpo.
Spesso fingeva di dormire per ascoltare le conversazioni preoccupate di chi le faceva visita. Nate da un po’ di tempo trascorreva tutte le notti lì, e a nulla erano valse le preghiere di Sean di tornare a casa, a riposare decentemente prima della laurea. Evanna aveva poco tempo, ma faceva il possibile per tenerle compagnia.
 
Riuscì ad ottenere il permesso di allontanarsi per la laurea di Nate, e poi di incontrare periodicamente il professore che l’aiutava con la tesi. Conseguì persino la laurea, e in quel giorno di festa nemmeno il mal ti testa costante la distolse da pensieri felici di vita e carriera, di sogni realizzati e tanta strada ancora da percorrere.
 
Ma andava peggiorando, e lo sapeva bene. Il suo corpo non rispondeva più alla sua mente, e in poco tempo si ritrovò paralizzata, il corpo spezzato ma il cervello ancora attivo.
L’organo che l’aveva tradita resisteva più a lungo delle membra ormai stanche.









E rieccomi... Inizia la storia! O finisce? O boh!
Ancora 0 commenti, ma capisco che sia difficile commentare se ancora non si è entrati nel vivo delle vicende...
Beh, almeno fatemi sapere come scrivo! Una recensione non ha mai guastato nessuno ^^
Baci, Glirel 

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Capitolo 4
*** Chapter II - Alone ***


  
Evanna ascoltava distrattamente l’insegnante sbraitare per l’ennesima volta il corretto procedimento per effettuare una intubazione. Ormai era in grado di mettere in pratica la delicata manovra ad occhi chiusi, dopo mesi di prova. Sbuffò infastidita e tentò di concentrarsi, ma proprio non ce la faceva. Benché cercasse di mostrare forza e risolutezza, era sempre più preoccupata per Uriel.
Non la vedeva da una settimana, era stata troppo assorbita dalle lezioni e dai turni che era costretta a seguire in quanto tirocinante. Eppure, i due distaccamenti ospedalieri erano vicini, molto vicini tra di loro.
Perché non le aveva fatto visita? Perché cercava ogni volta di evitarla? “Perché è in ospedale da un anno, moribonda da quasi un mese. Non. Posso. Affezionarmi. Troppo” pensò, tralasciando il fatto che fosse già particolarmente legata alla ragazza. Già, a volte era come se si conoscessero da sempre. Erano così simili! Tutti le scambiavano per sorelle, era una cosa che non sapeva davvero spiegarsi.

Ad un tratto un lampo di consapevolezza la fulminò. E se… ? Era impossibile, eppure…

Evanna ricordava perfettamente i problemi che aveva avuto da bambina. Quel principio d’infarto a soli sette anni, il coma che ne era seguito, durato mesi, e poi il risveglio. Aveva visto un uomo, meraviglioso e avvolto da una strana luce. Accecante, ma strana. E quel sorriso, vagamente beffardo... Non aveva idea di chi fosse, ma di una cosa era certa: i loro occhi erano del tutto identici, di un verde brillante e scuro.

Eppure, quel risveglio, avvenuto in circostanze misteriose, dato il coma vegetativo, non avrebbe reso felice nessuno. Quando finalmente aveva ripreso la cognizione del tempo e dello spazio, era stata trascinata di nuovo nel vortice della disperazione quando aveva scoperto della morte di sua madre.  L’unico suo familiare in vita, l’unica persona che le fosse mai stata accanto. Perché Evanna incuteva timore a chiunque non fosse abbastanza forte da tenerle testa, non permetteva agli altri di avvicinarsi.

Tutto prima di conoscere Nate e Uriel.  Aveva visto in Uriel se stessa, per l’infanzia priva della presenza di uno dei genitori e per la cecità del padre, che di fatto l’aveva resa autonoma già da piccola, e sin dal principio aveva constatato che fosse più forte di quanto Uriel stessa credesse.
Ne aveva passate così tante… Proprio come lei.
E se in fondo avessero avuto qualcos’altro in comunque, oltre all’incredibile somiglianza fisica?

In fondo alla stanza, una lampadina esplose. Evanna si riscosse dai suoi pensieri e rilassò la mano che aveva appena contratto, guardandosi intorno con aria circospetta.
Non era facile avvicinarsi a lei. Non lasciava che nessuno lo facesse perché doveva nascondere la sua vera natura.


Rincasò tardi, come sempre, con un vago tanfo d’alcol sui vestiti. Non era sola. Il ragazzo la sbatté contro la porta chiusa, continuando a baciarla con foga, incollando il proprio corpo al suo. Sentiva la sua eccitazione premere contro la gamba fasciata dai jeans aderenti, la sua mano fredda contro il suo collo caldo scendeva a sfiorarle i fianchi, cingendoli con forza. Intrecciò le gambe al suo bacino, tirandogli una ciocca di capelli mentre le loro lingue danzavano e lei gli sbottonava la camicia. Come diavolo si chiamava? Emanuel forse? Poco le importava, non era sola e non voleva pensare. Con velocità sorprendente lo portò fino alla camera da letto, spingendolo contro un mobile e lasciando poi che lui invertisse le posizioni, sedendosi sul legno e scendendo a baciargli il collo. Non era sola. Non era sola, e tanto le bastava.


Oh sì, sono ancora qui!
Chiedo scusa per l'incredibile assenza a chiunque importi, 
con la speranza di tornare a scrivere più di prima e meglio.
Ho fatto un po' di esperienza, e credo di essere migliorata, anche solo un po' (:
La mia convinzione (seppur debole) nasce dal fatto che ho finalmente terminato questo capitolo,
e sì, sarà anche il più breve, ma almeno sono riuscita a completarlo :
per me, dopo mesi di blocco, vuol dire tanto! 
Non mi aspetto recensioni, sono ancora praticamente a zero con la storia,
ma spero di ritrovare l'ispirazinoe ed entrare presto nel vivo.
Detto questo, tante cose belle,
fiori, dolci e caramelle!
                                   Glirel


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Capitolo 5
*** Chapter III - Noise ***


Bip. Bip. Bip.
I secondi passavano lenti. Respirava a fatica.
Bip. Bip. Bip.
Sentì un formicolio alle dita delle mani e dei piedi, poi le braccia e le gambe intorpidirsi.
Bip. Bip. Bip.
Il macchinario era ancora acceso accanto a lei, poteva udirne distintamente il suono fastidioso rimbombarle nelle orecchie.
Bip.
Prolungato, come quella specie di sirena, quell’allarme che sentì scattare sopra la propria testa.
Uriel aprì gli occhi per un istante. Poi le palpebre tremarono, cedettero. Il pulsante che aveva attirato infermieri e medici le scivolò dalle dita. E poi fu buio.
 
 
 
«Bambina mia, così fragile, così coraggiosa. » Una voce distante, un bagliore improvviso.
Accecata nonostante avesse gli occhi chiusi, Uriel strinse tra le mani qualcosa di umido e fresco. Erba? Erba e rugiada mattutina. Era notte fonda quando il suo cuore aveva cessato di battere, ne era certa.
«Sono morta? » chiese, ostentando un tono sicuro, nonostante le tremassero appena le mani.
«Solo se è quello che vuoi » le rispose la voce. Cautamente aprì gli occhi, guardandosi intorno.
Era seduta sull’erba fresca, accanto a lei un ruscello con una debole e bassa cascata. Il riflesso dei fiori danzava sull’acqua. All’improvviso si accorse di avere una sete terribile. Si avvicinò alla riva, allungando una mano per toccare lo specchio cristallino, sfiorandolo appena, con la punta delle dita, prima di berne. Prima che potesse farlo, qualcosa attirò la sua attenzione: il suo riflesso, uguale a lei com’era normale che fosse, aveva qualcosa di diverso. I capelli mossi erano più lunghi, più lucenti, come se splendessero di luce propria. Lo sguardo aveva una serenità che lei non conosceva, era più saggio, più profondo. Si accorse solo in quel momento di stare osservando la donna del sogno, che ora si trovava proprio alle sue spalle.
«Co-cosa intendi? » Balbettò confusa.
«Io sono Lilith » rispose la donna, sorridendo allo sguardo corrucciato della ragazza. «Uriel, tu hai un compito » aggiunse poi, senza inutili giri di parole, «un compito che nessuno può portare a termine, tranne te. E’ il tuo destino, ma hai la possibilità di scegliere. »
«Che cosa diavolo sei tu? » chiese Uriel, spostando lo sguardo dal riflesso per posarlo direttamente sulla donna. Ora che non era accecata dalla luce del sogno riusciva a vederla chiaramente, a notarne l’incredibile somiglianza… con lei stessa. Di fronte alla confusione che si poteva leggere sul suo viso, la donna sorrise nuovamente.
«Non l’hai ancora capito? No, ma certo. Cosa dovrebbe spingerti a pensare che l’essere che popola i tuoi sogni è un Angelo? » Chiese retorica, ma con voce dolce, la donna. Uriel scosse la testa, sorridendo sconfitta.
«E’ chiaro, devo essere morta. Oppure i farmaci mi hanno dato alla testa » borbottò, prendendosi il viso tra le mani.
«Non sei morta » ripeté Lilith. «E’ una tua scelta: tornare e affrontare quello che devi, o passare oltre. »
Uriel ridacchiò. «E io dovrei scegliere così, a scatola chiusa? Che succederebbe se tornassi? Cosa, se invece non lo facessi? Che tipo di “missione” dovrei portare a termine? » Chiese, ridendo ancora e scandendo sarcastica l’ultima frase.
«Questo io non posso dirtelo, né posso mostrarti cosa accadrà se deciderai di tornare. Uriel, tu sei un’ibrida. Tu discendi da un Angelo, ma sei anche figlia di un mortale. Non posso rivelarti il tuo destino, le tue scelte – questa e quelle che prenderai in futuro – condizioneranno lo svolgersi degli eventi. » L’Angelo terminò di parlare e sfiorò a sua volta l’acqua con la punta delle dita. «Se deciderai di tornare, avrai bisogno di questa » aggiunse poi, continuando a guardare il ruscello.
Uriel osservò tutto ciò che la circondava, mentre la mente lavorava frenetica. Voleva sapere, voleva conoscere. La stessa curiosità che da bambina la portava a divorare libri su libri la spingeva verso una e una sola decisione.
«Io… Io accetto » disse infine, dopo un tempo che le era parso un’eternità. «Voglio tornare. »
Avrebbe potuto giurare di aver visto una lacrima scendere sul volto della donna, per andare ad aggiungersi alle altre gocce d’acqua del piccolo fiume.
Lilith alzò le braccia. Uriel seguì il suo movimento con lo sguardo e alzò il volto, mentre l’acqua cadeva dalle mani della donna e le scendeva sul viso.
Bip.
Le mani dell’Angelo scesero a sfiorarle le guance. Erano calde, e fecero evaporare l’acqua non assorbita dalla sua pelle.
Bip.
Uriel riaprì gli occhi, guardando con sguardo stupito l’Essere sorriderle gentilmente, con amore.
Bip.
«Mamma » sussurrò piano, mentre l’immagine sbiadiva, i contorni si perdevano nel buio.
Bip.


No, non sono morta...
Chiedo venia a coloro che hanno seguito la storia e a chi ha recensito,
ma la scuola mi toglie il tempo anche di respirare e 
finora non ho avuto il tempo di aggiornare.
Ho già il capitolo successivo pronto, ma per gli altri sono ancora a niente D:
Beh, detto questo, buona lettura a chi ancora avesse voglia di seguire Uriel, Nate e Evanna ^^
Baci,
                                                                                                      Glirel

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Capitolo 6
*** Chapter IV - Alive ***


«Uno, due, tre, LIBERA! »
Lo staff stava ancora tentando di rianimare la giovane donna che giaceva inerme e immobile da più di un minuto. Le infermiere si scambiarono sguardi desolati: non c’era più nulla da fare per la ragazza che avevano avuto modo di conoscere nei mesi trascorsi a prendersi cura del suo corpo indebolito dalla malattia. Il tumore aveva vinto, l’aveva divorata. Aveva distrutto anche quella giovane vita.
 
«Che diavolo sta succedendo? » Urlò Evanna entrando nella sala d’attesa e quasi scontrandosi con l’infermiere che tentava di rassicurare Sean e Nate. Neanche si rese conto di trovarsi di fronte allo stesso ragazzo che aveva portato a casa la sera prima, non le importava. Sapeva solo che Uriel aveva avuto una crisi qualche minuto prima, e che i medici stavano tentando di rianimarla, per poi attuare un tentativo d’intervento provvisorio, volto a migliorare, seppur di poco, la situazione. Certo, solo se la ragazza fosse rimasta in vita. Al sol pensiero, Evanna nascose il viso tra le mani, accasciandosi su una sedia senza neanche chiedere ulteriori spiegazioni a Nate, che l’aveva chiamata comunicandole nervoso, in fretta e furia, dell’amica. Continuò a respirare a fatica, mentre un’infermiera entrava nella sala passandosi una mano sul viso, desolata. Per un attimo le mancò il fiato. La donna si avvicinò a Sean. Non le era mai parso tanto vulnerabile quanto in quel momento. Sembrava che il mondo stesse per crollare addosso ai tre della sala d’attesa, quando un urlo squarciò l’aria.
«Ma cosa diavolo… ? » Insieme, i cinque occupanti della saletta si mossero verso la stanza di Uriel.
Trovarono infermieri e medici riversi a terra accanto alle pareti, come travolti da un’onda d’urto.
Ma ciò che li lasciò ancora più sconfortati fu quello che videro accadere sul letto. Il corpo della ragazza era straziato da spasmi e convulsioni, come se stesse patendo un dolore incredibile. Nate corse a tenerle una mano, come se lei lo potesse sentire. Evanna rimase ad osservare la scena, incapace di muoversi o fare qualsiasi cosa che non fosse reggere Sean. Era certa che anche l’uomo avvertisse la strana energia che permeava quella stanza, emanata da una persona sola: Uriel. Uriel che urlava, Uriel che si agitava. Uriel che si bloccava all’improvviso, di nuovo inerte.

Bip.

Uriel che gettava la testa all’indietro, aprendo gli occhi di scatto e prendendo aria a pieni polmoni, come un affogato che ritrova finalmente la superficie, che riscopre la bellezza di immagazzinare aria nei polmoni.

Bip.

Uriel che respirava affannosamente, Uriel che si guardava intorno spaesata e si accasciava poi, nuovamente, sul letto, svenuta.

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