Riflessi in uno schedario blu

di sistolina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sigle ***
Capitolo 2: *** DAP ***
Capitolo 3: *** Di cugine ninfomani e cari estinti ***
Capitolo 4: *** Sigarette francesi senza filtro ***
Capitolo 5: *** Clark Gable non beve J&B ***
Capitolo 6: *** Note mute di pianoforti inutili ***
Capitolo 7: *** Stelle danzanti su bombe inesplose ***



Capitolo 1
*** Sigle ***


A Giuls, perchè non c'è follia che io mi vergogni di condividere con lei...

 

Riflessi in uno schedario blu

Alla fine scegliete di marcire, di tirare le cuoia in uno squallido ospizio
ridotti a motivo di imbarazzo per gli stronzetti viziati
ed egoisti che avete figliato per rimpiazzarvi.
Scegliete un futuro, scegliete la vita.
Ma perché dovrei fare una cosa così?
Io ho scelto di non scegliere la vita, ho scelto qualcos'altro...
(Trainspotting)
 
 
“Osservo il pizzo della sua camicetta di chiffon oscillare, avanti e indietro, seguendolo con maniacale precisione: agli atti Iperattività, nel lungo autunno della mia prima elementare, Disturbo dell'Attenzione in terza media, quando per sbaglio ho quasi cavato un occhio a Miss Riddle, la gobba professoressa di latino, Sindrome Ossessivo Compulsiva nel 2000, quando c'era quella cosuccia del Millennium Bug, e il più tranquillo fra noi preparava il fucile da caccia per svaligiare supermercati.
C'è da dire che mio zio Phil, non so se avete presente mio zio Phil, quello con l'occhio di vetro e la barba, che si vestiva come un mezzo vaccaro del sud anche se era di Portland e aveva sposato una clandestina messicana di vent'anni più giovane per farle avere la carta verde...beh, mio zio Phil non pensava fossi scemo. E non fate quella faccia da stronzi mentre leggete, perché non è che tutti hanno parenti che aspettano solo il momento per mandare una lettera ad Harvard o ordinare il gazebo di rose bianche per farvi accollare la vicina di casa con la tv al plasma. Ci sono anche parenti che pensano tu sia scemo, e non ne fanno nemmeno mistero alle cene di famiglia, quando tutti ti guardano con l'occhio lucido e scuotono la testa mentre tua madre si è fatta il culo sei ore per cucinare un fottuto tacchino del cazzo che “Oh Amelia che splendore, ma sono a dieta”, o “Robert, quel tuo cazzo di figlio strambo è un frocio che non mangia nemmeno il tacchino?”, o, la mia preferita “Questo essere vegani (con tanto di storcimenti di naso rifatto il giorno prima dal chirurgo evasore fiscale marito della cugina di secondo grado del parrucchiere) è curabile o...”. Nessuno vuole veramente il tacchino ragazzi, fatevene una ragione, sono lì solo per guardare me e aspettare che faccia qualcosa di assurdo come rotolarmi a terra o spararmi una sega lì davanti a tutti. Non che non l'abbia fatto. L'ho fatto, sono qui principalmente perché la gente si era rotta di vedermi tirare fuori il pisello una volta sì e l'altra pure. Non che mi tirasse, ovvio, parliamo di zia Marge, andiamo, vestiti a fiori e cappello con la veletta?! Nossignore, niente fantasie megalomani su zia Maggie.
Comunque oscilla, dicevamo, l'orlo scucito dal polsino di chiffon di quella camicia di merda costata 150 dollari e ore di lavoro sottopagato a qualche immigrato rinchiuso in quattro metri di cantina puzzolente, oscilla nell'aria artificiale dei condizionatori, pacificamente, come se avesse tutto il tempo del mondo per starsene lì a penzolare mentre quella povera frustrata di mezza età che comunemente la gente chiama “madre” si torce le dita scheletriche laccate di un merdosissimo color pesca che mi fa venire in mente le pareti della mia camera al St.Leonard. Sì avete presente, vomito marcio, quel colore lì. E si tortura le mani come se stessero per rivoltare lei come un cazzo di calzino. Manie di protagonismo da menopausa.
Mio padre è troppo medio borghese per essere nervoso, dovrebbe impiegare troppe delle sue energie da oppressore di classe operaia e immedesimarsi in qualcun altro, me, nella fattispecie, ma chi cazzo glielo ha mai chiesto? Non è quel genere di persona che legge il “Manuale del buon padre” prima di mettersi a letto. Il Wall Street Journal magari, o l'inserto per vecchi pervertiti di Play Boy con le ragazze giapponesi rifatte vestite da cartoni animati. Ma la verità è che alla fine io non ne so un cazzo di mio padre, la metà di quello che lui sa di me come minimo. Io, almeno, non ho un fascicolo su di lui con appuntata ogni fottuta scoreggia dal 1994 ad oggi; il che gli concede un vantaggio di una media di diciannovemila scoregge o giù di lì...”
 
“Patrick...” ha mormorato mia madre, lo smalto viola prugna, lo stesso colore della sua faccia cavallina. È sempre così fottutamente melodrammatica, buon sangue (irlandese) non mente.
Il Dottor McFarland non è irlandese, e guai a ricordargli che sua nonna era del Missouri, zappaterra di merda, come piace dire al mio vecchio da dietro un giornale repubblicano come i massacri in Kossovo, perché dal suo accento marcato Princeton non si può togliere neanche una zolla di terra rossa. Quello, la terra, la concepisce solo con la lettera maiuscola.
Porca puttana se stiamo divagando gente. Il dottor, oh 'fanculo, DOC, tanto qui piace chiamare tutti con una bella sigla nemmeno fossimo boccette di sperma, ha sfogliato l'ultimo brillante capolavoro della mia mente malata con quel cipiglio a metà fra il costernato e il soddisfatto. Cento dollari a botta glieli pagano quei temi alla Facoltà di Scienze Psichiatriche Sperimentali a quello sciacallo di merda, altro che Magna cum Laude.
Pidocchio.
“Flusso di coscienza 'sto cazzo, titolo interessante” ha tossicchiato platealmente rileggendo il titolo scarabocchiato a fronte della cartelletta, nemmeno fossimo al David Letterman Show a raccontarci cazzate “di certo non si può dire che suo figlio non abbia il senso dell'umorismo” certo che non si può dire sanguisuga, ti pare che sarei ancora qui sennò?
Quella che per comodità chiamerò MiMA (Madre in Menopausa Acuta) ha stretto un sottilissimo labbro inferiore sotto i denti, costernata di come la terribile tragedia di avere un figlio spostato si fosse abbattuta sulla sua famiglia e su tutti gli strafottuti specialisti fra cui rimbalzo dalla prima elementare, pronta a bersi la prossima diagnosi peggio di Whoopi Goldberg. Sì lei, tanto cara e simpatica, un'alcolizzata del cazzo.
Mio padre, che per comodità chiameremo CS (Chiappe Strette), non ha battuto ciglio invece, se non per raddrizzare un soprammobile a forma di Arco di Trionfo, kitsch come pochi, reo di essere leggermente spostato verso sinistra rispetto all'asse terrestre, probabilmente.
“Ci dica cos'ha dottore” ha mugolato lei. Dico davvero, sono fuori come uno zerbino, vi pare che potrei mentirvi su una cosa così? Ha mugolato davvero quella donna idiota. Quanto vorrei che le avesse detto che stavo morendo, magari con l'espressione costernata di un oncologo alla centoventimillesima diagnosi catastrofica, falso come il completo Armani tarocco della sua segretaria ossigenata e platealmente cocainomane.
No ho cambiato idea. Non scorrete la pagina con quell'espressione da gente impegnata che ha altro da fare: posso cambiare idea, sono i miei pensieri del cazzo! Volevo che le dicesse che non ero io, era lei, il Complesso di Edipo irrisolto che mi porto dietro dalla fase fallica, i french toast a cui faceva tagliare via la crosta, i vestiti piegati col righello, e le sere che davano il Don Giovanni a teatro e io avevo le coliche. Erano le cene in silenzio ad ascoltare i discorsi di Bush alla tv, e il tovagliolo rigorosamente a destra anche se sono mancino. Non ero io ma la società moderna falcidiata dall'automatismo della produzione e l'anomia, il sesso promiscuo e il Prozac. Non io ma il bullismo, la pressione, l'ansia da prestazione, il buco dell'ozono, il negazionismo e il revisionismo storico. Non ero io ma la tv, quegli sporchi programmi pieni di messaggi subliminali, il fumo, le droghe, i comunisti e i terroristi. Non Patrick O'Hara, ma Al Quade, le bombe al fosforo e l'AIDS, i bambini soldato e quell'antisemita pervertito di Walt Disney.
Ma mi sa che ero io.
“Il termine tecnico è Schizofrenia Ebefrenica di Tipo Disorganizzato, ma per comodità la chiameremo SED” per comodità un paio di palle, è uno sfigato con l'accento da college prestigioso che non vuol far sentire come diventa plebea la sua erre mentre dice “ebefrenica”. E forse anche perché ci godeva alla grande che io fossi una sigla, così non avrebbe dovuto ricordare come mi chiamo, perché odio Via Col Vento anche se lo riguardo almeno una volta alla settimana, perché scarto i cavoletti di Bruxelles anche se mi piacciono, perché non scrivo mai il mio nome con la penna rossa, o non riesco a guardare l'orologio senza sentire il bisogno di uscire dalla stanza. Ci sono scritte quelle cose, DOC, sul fascicolo spesso come la Costituzione Americana che avrai letto sul cesso 'stamattina. Ci sono scritte un sacco di porcherie su di me che nemmeno io so, eppure ha deciso che basta chiamarmi SED perché l'intero Universo conosciuto possa arrogarsi il diritto di parlare di me. “Stanza 23, il SED” che suona molto più come “lo stronzo” ma non sono uno che se le lega al dito; devo conservarlo attivo per tamburellare a ritmo del quarantacinque giri dei Creedence Clearwater Revival dell'anteguerra che raschia sul giradischi della Sala Relax. Dopo la duecentesima volta che mandano Proud Mary di rilassante c'è solo la fantasia di suicidarmi, parola mia.
Ma tant'è, da allora sono SED, che è un nome fico se uno ci pensa, molto latino, molto da proverbio saggio pieno di verità intrinseche e ispirazione, da podcast dell'autorilassamento colto del venerdì pomeriggio della combriccola di pilates di MiMA (mia madre, per chi fosse stato disattento l'ultimo flusso di coscienza del cazzo fa).
DOC si è alzato, e così hanno fatto anche gli altri due, stringendosi tutti la mano con affettata solerzia (non ditelo, scuole superiori private, Dio le benedica) mentre io me ne stavo a dondolare i piedi sulla sedia girevole, grattando il linoleum con la punta delle mie scarpe da ginnastica dal colore indefinibile con le cuciture a vista, così a vista che devo cambiarmi le calze tutti i giorni se non voglio che la gente pensi che sono una zecca, oltre che un fottuto esaurito.
“Direi che un ricovero di 30 giorni può essere un buon inizio. La terapia farmacologica combinata con la consulenza psichiatrica dovrebbero darci un quadro più chiaro della situazione di partenza. Dal ricovero in poi, sarà tutto nelle mani di suo figlio” mi ha sorriso, magari era anche fiero di aver riconosciuto il mio status all'interno della famiglia come determinante della mia identità, anziché chiamarmi semplicemente SED. Buon per lui. Se io lo avessi chiamato cazzone, quale status di merda gli avrei riconosciuto per la costruzione della sua traballante identità di succhia-soldi fallito?
E così mi sono preparato all'accogliente color vomito marcio delle pareti del St.Leonard, pronto ad essere carino e accondiscendente, a non masturbarmi davanti a più di due persone e a togliermi sempre l'insalata dai denti con il dito che non uso per scaccolarmi.
C'era il sole quella mattina, me lo ricordo, filtrava dalle tende acriliche dello studio mentre si alzavano per effetto dell'aria finta dei condizionatori. C'era il sole e mi sentivo come se potessi fotterli tutti di nuovo, come nell'estate della terza media, quando al campo estivo con gli scout i miei genitori avevano preferito il ricovero forzato. Ma allora, effettivamente, l'avevo fatta grossa. E poi chissenefrega degli scout? Sono fascisti di merda.
Come dicevo, dondolavo in una pseudo condizione di tranquillità osservando il nocciolo frondoso fra la finestra e il tetto della casa a fianco.
Ma quello era prima, prima che succedesse tutto...
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Angolo della delirante autrice: spero che non abbiate grandi aspettative per quanto riguarda questa cosa (motivation mode onXD) perchè è così incredibilmente folle che potrei non finirla mai, tanto per parlare di flussi di coscienza. Ci penso da mesi, senza trovarle mai una connotazione ideale al mio modo di vedere e affrontare una cosa delicata come la malattia mentale. Ho pensato che per versarci sopra lacrime amare, basta guardarsi un film (consiglio Ragazze Interrotte e Qualcuno volò sul nido del cuculo, tanto per gradireXD), perciò la si prende come si vuole, anche per i fondelli (la ff, non la malattia mentale ù__ù)
Se c'è qualcosa che ho scritto, detto, citato o simili che non avete compreso fatevi avanti, perchè viene troppo lunga a elencarle tutteXD

 

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Capitolo 2
*** DAP ***


DAP


Certa gente è nata per sventolare la bandiera
Oh, sono rossi, bianchi e blu
E quando la banda suona "Hail to the Chief"
Puntano il cannone contro di te...
(Fortunate Son, Creedence Clearwater Revival)
 

Pop pop pop
Osservo la sua amara concentrazione nel tentare vanamente di ignorarmi
Pop pop pop
La ruga d'espressione al lato destro della bocca, proprio sotto la cicatrice a forma di mezzaluna che le ricorda senza pietà che razza di soggetto ha lasciato scorrazzare nel mondo
Pop pop pop
Dev'essere il progetto di un palazzo a cinque piani, soffitti alti, high tech, feng shui, architettura ecosostenibile, salviette al mentolo che vengono fuori dai distributori automatici, parquet di legno, ma non il legno innocente che strappiamo via dalla terra stuprando le radici e sfregiando la natura, l'altro legno, quello che non ho mai capito da dove venga. Probabilmente stupra la terra di qualcun altro.
Pop pop pop
“Milo porca miseria la vuoi piantare?” dieci secondi e tredici decimi. Un record.
“Miranda” tono piatto, ammonitore, nessuna necessità di sollevare lo sguardo dal Blackberry. Tokyo sta perdendo punti, il Dow Jones crolla come le tette di un'ottantenne, Cristo Miranda, vuoi davvero rompere i coglioni perché il ragazzo sta giocando con il rivestimento in plastica del tuo nuovo frullatore elettrico a basso consumo, da dieci secondi e tredici decimi? Non hai speso centinaia di dollari di terapisti, e strategie di autorilassamento, e massaggi, e spilloni infilati nei peggiori luoghi inesplorati?
Pop pop pop
“Milo” un sospiro, Cristo Santo che manifestazione inveterata di umanità repressa.
Il pezzo del petrolio sale di nuovo.
Pop pop pop
Pop
Pop
Pop
“Porca puttana ragazzino vuoi smetterla?” come sei bella, nel tuo completo firmato e le tue calze trenta denari per nascondere le vene varicose ereditate dalla tua bisnonna armena, mentre armeggi con una matita HB dal retro mangiucchiato su cui sublimi ogni attacco di irritata costernazione, frustrazione, voglia o imprecazione. Dovrai mangiartela tutta, stronza, prima di averla vinta.
Un boccolo impataccato di lacca sfugge alla finta noncuranza che usi per sistemarlo dietro l'orecchio a sventola, e i denti stringono più forte la presa sul culo già provato della povera matita.
Pop
Pop
E sclera cazzo, così potrò andarmene da questo posto di merda una sacrosanta volta.
Pop
Pop
Pop
 
TRACK
 
Ciao ciao matita HB, benvenuto coltello da cucina.
Mira al cuore cocca, o non ci provare nemmeno.
Ti alzi, vecchio bavoso con l'abbronzatura arancione finta che sbuca a intervalli irregolari dal polsino inamidato della tua camicia, e mi fai cenno di seguirti. Ti passerai nervosamente la mano fra i capelli ricci sale e pepe, sospirerai e stringerai la mandibola così tanto da sentirla scricchiolare, mi metterai una mano sulla spalla che nemmeno arriverà vicino al bersaglio prima che mi appiattisca contro la parete pur di non dover sopportare le tue dita scivolose di autoabbronzante che sa di cavolfiore marcio, e parlerai con voce piana e autorevole, da amichevole zio preoccupato
“Milo, non possiamo andare avanti così” io non parlerò, come sempre, perché il suono della mia voce nessuno ha mai voluto davvero sentirlo “Miranda è a pezzi, ha un progetto da consegnare dopodomani, e il nostro telefono squilla più di quello di un centralinista” E spegnilo allora, ritardata ameba sessofila senza mento. Spegni il tuo cazzo di telefono, così i cazzo di vicini non romperanno più per il loro Puffolo adorato che è scomparsi di nuovo. E premilo il fottuto bottone rosso. Sgancia la bomba.
“Disturbo Antisociale della Personalità” DAP, l'infermiera ha sospirato richiudendo la mia cartella. Ma cosa avrà voluto dire?! So che ci state pensando, siete troppo ricchi e infagottati di reality show di bassa lega per non idealizzarmi all'infinito come un povero martire della società occidentale, della giustizia, del tarlo genetico che mi porto dietro per via di quel problema.
Troppo stupidi.
Troppo ordinari.
Se non mi avessero raccattato due professionisti dell'Upper East Side ma una coppia di pastori di Alpaca della campagna dello Utah, col cazzo che sarei stato un DAP. Magari lo sfigato stragista minorenne che ha ucciso il gatto dei vicini. Magari avrei sodomizzato vacche.
Magari avrei sposato un'allevatrice di polli. O un maestro di yoga.
'Fanculo.
Pop
Pop
Pop
Alla fine anche tu ti arrendi floscio cazzone pieno di colesterolo, liberando la tua soave mogliettina dall'incombenza di dovermi scazzare contro
“Milo, dobbiamo parlare” fatto, non è stato difficile uh?
Coglione.
 
“Ecco, questo è un emblematico esempio di rapporto conflittuale” DOC ha chiuso la cartelletta blu con un gesto compiaciuto, quasi fossero sue le mutande stese fuori all'aria così che tutti potessero farsi i cazzi di tutti in questo schifo di posto. Quel cazzone decerebrato si sentiva soddisfatto probabilmente, col suo Magna Cum Laude che sfavillava fra una lente da millecinquecento dollari e l'altra dei suoi occhiali dalla montatura in acciaio che gli conferiscono un'aria da frocio che nemmeno Elton John nel suo periodo d'oro (lo so che è malato e probabilmente non vedrà la fine del mondo preannunciata dai Maya, ma si può sapere chi ancora si illude che me ne freghi un benemerito cazzo dello stato di salute di Elton John? Non è che perché mia madre mi ha fatto sciroppare tutti e tre i film del Re Leone, con e senza 3D e boiate simili io provi il benché minimo trasporto verso uno che non ho mai visto) e quella cravatta arancione mattone sporco di fango che si strofinava in continuazione fra il pollice e l'indice, come se avesse potuto conferirgli una seppur vaga aria intellettuale. Il fatto che dicesse una mastodontica discarica di cazzate, pare, non fregava a nessuno. Illuminato ed emerito esemplare della psichiatria moderna, astro nascente della ricerca scientifica in materia di psicopatologie del comportamento infantile, e un cazzone gigante con un biglietto di sola andata per Fottersi. Io voto sì, per farsi fottere, magari a Chattanooga o in un posto del genere.
Ma perché mi trovavo lì, in quella stanza dalle pareti dal colore indefinibile fra il giallo vomito e il verde diarrea? Ah già, Il Circolo dell'Analista, 'sta merda postmodernista inventata da qualche hippy strafatto che ci dovevamo succhiare la domenica pomeriggio, nella fattispecie quel pomeriggio piovoso come la cazzo di brughiera di Scozia, con l'acqua che formava una patina stile “Jack e Rose che fanno sesso sul Titanic” e un'umidità che avrebbe fatto sanguinare il naso a Mr.Crocodile Dundee. Anche respirare mi sembrava un'impresa titanica, schiacciato sulla sedia di plastica appiccicosa arancione senza braccioli (dico, Cristo Santo, ma i miei genitori pagano fior fior di quattrini perché io non possa nemmeno appoggiare i miei fottuti avambracci su un paio di braccioli che si rispettino? Cos'è, ecologismo all'ultimo stadio, che si risparmia anche sulla plastica per fare i braccioli delle poltroncine?), una pisciata che mi scappava dalle otto di mattina e l'alluce che sbucava impertinente dalla mia ciabatta sinistra, tanto per ricordarmi che “soggiornavo” lì da troppo, decisamente troppo, tempo.
Per dire, il Disturbo Antisociale della Personalità in questione, per chi non avesse afferrato (che ne so che quoziente intellettivo mi trovo a fronteggiare nella gente che si mette a leggere 'sta cagata?) è quello che arriva e getta nel più totale sclero tutta la combriccola. Sì, proprio quello lì, quello strano. E fuoco alle polveri se qui dentro c'è qualcuno che si può veramente autoproclamare strano. Quindi, quando uno che si masturba abitualmente davanti agli altri e parla con gente inesistente da quando aveva cinque anni (no, niente amici immaginari del cazzo, Gerard DePardieu mi è sempre stato in culo a mille) afferma con assoluta fermezza di spirito che il tizio seduto esattamente di fronte è lui era strano, non è come quando vostra moglie ha un orgasmo, ma è la verità.
Premettiamo che io non sono un fico, non uno di quelli per cui le cheerleaders si strappano le mutandine (nemmeno le sfigate mormone affamate di cazzo, se è per quello), né il tipo intellettuale un po' nerd che tira tanto di questi tempi: sono smilzo, pallido e ho i capelli rossi. Sì, pure nell'epoca del “pentiamoci tutti per la caccia alle streghe e l'Inquisizione” i capelli rossi fanno storcere il naso. I capelli rossi di solito vogliono dire irlandese di merda, se ti va bene, altrimenti solo “frocio ossigenato”. E lì ti pestano, di nuovo, se sei fortunato. Ogni epoca mette al rogo chi gli pare, porcaccia miseria...
Dicevamo dei miei capelli rossi, ricci, che se ne vanno di qua e di là come se avessero le loro maledette mestruazioni una volta al mese, e sono intrattabili per tutta la settimana precedente e quella dopo, e quella dopo ancora perché mancano quindici giorni, e via andare così da una volta all'altra. E prima hanno il ciclo e poi sono in menopausa, e poi hanno la demenza senile e schiattano, e te sei stato lì tutta la vita ad aspettare che non gli girassero le palle. Invano. I miei capelli sono uguali, ma se li taglio sono fottuto perché dimostro dieci anni di meno, e vedi tu se te ne vai in un posto come il St.Leonard, con tutti gli ormoni adolescenziali che girano a palla manco fossimo sull'ottovolante, con la faccia di uno che non dimostra nemmeno l'età per farsi le seghe.
'Sta cosa mi fa un po' venire in mente quella volta in cui Miss Culpepper (lo giuro, Culpepper, puoi fare un lavoro che richiede la gente conosca il tuo cognome, con quel cognome?) se la faceva con Travis Green, il padre di Sean Green del mio corso di fisica, nello spogliatoio delle ragazze al terzo anno. Era tutta scollacciata, la gonna di tweed tirata su fino a i fianchi e gemeva come una giapponese dei film porno vestita da scolaretta (vi parlavo no della passione di mio padre per le giapponesi scolarette?) con quel cazzo di Travis Green che se ne stava lì a farsela come se niente fosse, manco non ci fosse in giro nessuno. Beh c'ero io, e c'era pure Sean che era tornato nello spogliatoio per vedersi di nascosto con la tipella che frequentava, una tale di cui non ricorderò mai il nome, con l'alitosi. Adesso mi viene in mente...va beh, sta' di fatto che c'eravamo io e Sean, e ci siamo guardati un attimo no, come fanno i complici di qualcosa di illegale, come quando nascondi lucertole in uno scatolone sotto il letto, poi quelle scappano e a tua madre tocca disinfestare. E poi lui ha dato fuori, completamente, e mi ha guardato negli occhi come se volesse farmi secco cazzo. Suo padre si montava la nostra insegnante di inglese su una panca degli spogliatoi, e la merda di Green mi sbatte contro il muro tanto forte che la testa mi ha rimbombato due ore
“Tu non hai visto un cazzo stronzetto hai capito? Un cazzo” e mi spalma una manata a cinque millimetri dall'orecchio destro. Sento ancora vibrare la parete.
Era un tipo grande e grosso Green, mica una mammoletta a caso del corso di aritmetica avanzata. Quello di fisica non capiva una sega, ma stava nella difesa della squadra di football, io mica potevo fare il grosso e spingerlo via, solo la sua coscia sinistra pesava più di me!
Ora non state a sbuffare, perché non ho tirato in ballo la mia adolescenza travagliata per niente, abbiate fede. Si parlava di questo nuovo arrivato, questo schizoide permanente che preferiva farsi chiamare DAP, come il das no? Quello che puzza una cifra e usano i bambini e i ritardati per divertirsi la domenica pomeriggio quando piove. Come il das, ma con la P.
Beh, Mr. Disturbo Antisociale della Personalità poteva invece vantare un certo je ne sais quoi da “strappamutandine”, ma non perché fosse un palestrato alla Sean Green, né un intellettualoide alla indie sfigato con gli occhiali quadrati. Lo schizzato, Milo, sia messo agli atti che a me le sigle fanno cagare (per tutta quella menata della desoggettivizzazione e palle varie) era magro, ricordo che lo era perché io sono smilzo e floscio, e non ho uno straccio di tartaruga nemmeno se vado a rapirla alle Galapagos, ma lui cazzo, a lui sembrava avessero stirato la carne sulle ossa, ed era tutto un vibrare teso di nervi e di tendini sotto pelle, e vene bluastre del cazzo che mi fan rizzare i peli anche dove non li ho. Ma la sua faccia, Cristo, la sua faccia era spigolosa e asimmetrica, la bocca troppo carnosa per il viso, immobile e sigillata nemmeno lo stesse interrogando la polizia, due zigomi intagliati con lo scalpello di qualche artigiano cieco e con un senso dell'estetica pari a quello di mia madre per gli smalti, e gli occhi allungati, scuri, due pozzi senza fondo del cazzo, fissi immobili in un punto del pavimento dove avrebbe potuto scavare una fossa comune da tanto tempo che non batteva le palpebre. Ricordo che ho pensato che avrebbe potuto rappresentare qualunque posto dimenticato da Dio dal quale proveniva alle Olimpiadi delle facce di cazzo che non si smuovono manco a morire. C'è chi mi dice che non esiste come specialità, e io dico che dovrebbe porca vacca, perché quello avrebbe vinto a occhi chiusi (o aperti, a questo punto a chi frega davvero della mia digressione sul conservatorismo delle competizioni sportive contemporanee?).
E aveva quello sguardo, lo stesso di Sean Green mentre suo padre si sbatteva la professoressa di inglese: a voler ben vedere, non c'era niente. E non un niente che vibrava di vita e di follia repressa, ma proprio un fottutissimo cazzo di niente. Nada, rien, nichts, l'amorfa e insuperabilmente inespressiva manifestazione del nulla.
Ora, voi potete ben capire quanto può essere arrapante il nulla.
Fossi stato una ragazzina piena di ormoni fan dei vampiri, probabilmente me lo sarei tirato fuori seduta stante, senza tanti complimenti, e via andare.
Ma ce l'avevo una magra e sottile dignità, da qualche parte fra mia zia Lorna che masticava la gomma come un ruminante nei suoi fuseaux fucsia chiedendo a mia madre se non avesse mai pensato di darmi in adozione, e Betty Fennel, la bambina al primo banco dai capelli castani, che aveva segnato un deciso NO alla mia decima proposta di diventare la mia fidanzatina delle elementari. All'undicesima suo padre ha parlato con il mio a proposito di un ordine restrittivo.
La troietta è stata impalmata una volta di troppo, mi dicono, ed è rimasta incastrata con un mezzo fallito figlio di operai alla periferia di Buffalo. Le sarebbe andata meglio con me, probabilmente sono pure sterile, tanto per non perpetrare certe tare genetiche. Ma poi io che ne so, sono un fottuto segaiolo da avanspettacolo, mica vado in giro a donare lo sperma!
L'esimio cazzone della giornata aveva finito la sua filippica sulla condivisione, il rispetto e la catarsi di poter scambiare con altri le proprie esperienze traumatiche, e l'altro era ancora lì, immobile, a fissare la quarta piastrella da destra e dodicesima dal basso, con solo il pollice destro dall'unghia mangiucchiata a tracciare precisi cerchi sul ginocchio rachitico, alla punk derelitto degli anni '70 sfondato di eroina. Jeans lavati così tanto da aver perso un colore definito, così stretti che l'immaginazione di mia madre sarebbe bastata per figurarsi tutto, lo stesso per la t-shirt, bianca, praticamente trasparente, con qualche gruppo rock di che-cazzo-ne-so-landia di cui non si distingueva nemmeno il numero dei membri decalcato sopra. In tutta sincerità, già che si è in compagnia, non capivo perché l'anoressica tre sedie a destra della mia si mordesse il labbro come se potesse mangiarselo. Per Dio, era un tipo, mica 'sto gran pezzo di fico da scopate stratosferiche da contare a due a due finché diventan dispari!
E il nazi...vi ho già parlato del nazi? No?
Cazzo ma come avete potuto lasciare che sproloquiassi per ore su Betty la scrofa quando dovevo parlarvi del nazi pazzo con gli occhi fuori dalle orbite e la svastica tatuata sul petto?
Non conosco ancora la sua sigla, so solo che è seduto alla sinistra di DAP, e si mangia le unghie. Belli, non come se le mangia la vicina di sedile in metropolitana in attesa della sua fermata. Col cazzo, quello rosicchiava come un fottuto Chipmunk, della serie “sono solo su un'isola deserta e sto per azzannarmi il braccio”, 'fanculo lo stress e 'ste menate inutili. Divorava.
Il nazi ha spostato gli occhi (fuori dalle orbite, due palle da golf iniettate di sangue da far rabbrividire le tavolette del cesso) sulla sneakers consumata del tipo, con fare schizzinoso, sapete come fanno, come se fossimo tutti i figli dei figli dei figli di quelli che loro sbattevano ad Auschwitz come mucche al pascolo, e ha emesso una specie di suono simile ad uno sbuffo, ma più come un latrato.
Se l'avesse fatto a me avrei probabilmente finto di non aver sentito, di non essere nemmeno nella stanza, nemmeno al mondo cazzo, ma quello si volta così lentamente che se avessi preso il tempo mi si sarebbe scaricato l'orologio e lo guarda.
Giuro, non ha detto una fottutissima singola sillaba del cazzo. Niente.
Nazi o non nazi, il tipo era del colore del piscio stantio.
Se dovessi misurare quanto diavolo ho goduto in quel momento, mi farei una sega.
Ricordo il rumore della pioggia sul doppio vetro rinforzato, rimbalzava due volte, una sul rinforzo in acciaio che si assicurava non ci buttassimo di sotto, e una sul vetro, come un concerto, tanto sincronizzato che mi faceva venire sonno. Ricordo il disegno a pastelli a cera scarabocchiato sul tavolino da caffè, e ricordo il colore degli orecchini dell'infermiera di turno. Ricordo tutto, sempre, memoria fotografica di merda, e ricordo che ero lì che sogghignavo come una pettegola di qualche fottuta cittadina sperduta dell'Alabama, e me la godevo un sacco, con tutte le mie aspettative di scorrazzare alla Huckleberry Finn e Tom Sawyer sul Mississippi nel giardino del St.Leonard con nuovo arrivato, candidandomi praticamente all'Oscar per il film mentale che stavo facendo, soggetto, regia, musiche e tutta la sequela di attori. Mi preparavo già il discorso da fare alla consegna della statuetta.
E poi ha alzato lo sguardo.
Gesù Cristo.
 
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Angolo della delirante autrice: salveeeeeeeeeeee...orari improponibili della notte? Sono iooooooooooooXD
Eccomi con il nuovo delirio, confuso e agitato come sempre, e probabilmente anche molto meno interessante del PrologoXD Chissà, vedremo^^
Come sempre ci tengo a ringraziare le magnifiche persone che adorabilmente mi concedono il beneficio del dubbio, ma soprattutto quelle che non me lo concefono più, perchè i dubbi su di me e su questo progetto, almeno loro, non ce li hannoXD 
La canzone della citazione iniziale è Fortunate Son dei CCR :)
Che dire se non...alla prossima!!!!!

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Capitolo 3
*** Di cugine ninfomani e cari estinti ***


Di cugine ninfomani e cari estinti

 

 

Ma credete veramente di essere pazzi? Davvero?
Invece no, voi non siete più pazzi della media dei coglioni
che vanno in giro per la strada, ve lo dico io!
(Qualcuno volò sul nido del cuculo)

 

 

Quella era l'Ora Ricreativa. Sai che culo; se sei uno schizofrenico disorganizzato, ogni merdosissima ora del giorno è poco meno che ricreativa. Insomma dico, avete presente a che velocità viaggia il mio cervello? Quanto mi intrattiene la carambola di collegamenti che fanno le mie sinapsi, e la metà del tempo che passo parlando con gente che non esiste? Quanto sono intrattenenti Napoleone, Hitler, Frida Kahlo e mia cugina Mary la Ninfomane? (non ridete cazzo, Maria la Ninfomane? Davvero? Sì, nessuno ride per una che sia chiama Maria e viene spacciata per vergine dopo aver messo al mondo un figlio con uno Spirito, perché cazzo mia cugina dovrebbe essere discriminata? Magari anche lei diventerà oggetto di culto in un futuro non troppo lontano, senza averne il minimo merito fra l'altro, e allora col cazzo che riderete, stronzi)

Che poi comunque non era nemmeno così ninfomane. Per dirne una, io sono un ninfomane. Se l'essere umano medio pensa al sesso ogni sei secondi, io ci penso ogni secondo, anche meno, e quando non ci penso faccio in modo di farmi una sega, così almeno tengo la mente occupata mentre non ci penso. Mia cugina Mary? Lei era solo una a cui piaceva scopare, mettetela in croce cazzo! A voi non piace? E non venite a menarmela con i sentimenti, che la metà della gente non merita gli si lasci il posto a sedere in autobus, con buona pace dei sentimenti!

Il caso ha voluto che mia cugina Mary se la facesse con Ray Stevenson, un coglione con la motocicletta che sapeva sempre di ascelle e l'unica cosa che aveva più lungo della fedina penale era la lingua. Specialmente quando era sbronzo. Ed era sbronzo solo i giorni dispari, e il martedì, il giovedì e il sabato. Così Ray va a fare l'Impalmatore Infallibile con Finn, il suo amichetto senza palle con i capelli unti, che lo dice a Carl e Minnie Lukensky, una pettegola di merda che faceva pompini a tutta la squadra di football, ma era la presidentessa del Club della Castità e non l'aveva ancora data a nessuno (cattolici di merda), che si è alzata all'assemblea di Istituto in un pomeriggio di maggio, con la divisa da cheerleader tutta appiccicata addosso nella calura irrespirabile della palestra, a dire che mia cugina Mary era una “meretrice” e che lei si offriva personalmente di “guidarla verso una nuova verginità”.

Mia cugina è stata praticamente impacchettata e spedita in un collegio femminile, e il caro Ray ha cominciato a comprendere meglio la mia predilezione per l'autoerotismo.

Per la cronaca, ora mia cugina vive a Catalina con una pittrice cieca che ha conosciuto in collegio, hanno un cane Terranova nero grande quanto un pony, e scopano come matte. 'Fanculo a Minnie Lukensky e il suo matrimonio di convenienza da sobborgo urbano color pastello.

Osservando il disegno a carboncino che mi trovavo davanti quella mattinata soffocante, con i condizionatori che ronzavano in una melodia soporifera e il solito dannatissimo LP dei Creedence Clearwater in sottofondo, non potevo che rimpiangere il fatto di non essere un pittore cieco, o un musicista sordo, o uno di quei tipi impressionanti che vincono le paraolimpiadi su gambe di metallo. Sono fichi cazzo, ma non fichi da ricovero come il sottoscritto. Fichi veri. Il mio unico talento sono le seghe, ah beh, e l'autoironia. La mia maestra (no, non la professoressa di latino che ho quasi enucleato; la parola arma, con me, non l'ha usata mai più) diceva che nella mia condizione l'ironia è un'ottima arma di autoaffermazione del sè. Io penso che se non riesco a ridere di me insieme agli altri, allora gli altri troveranno il modo di ridere senza di me. Quindi perché no?

Tu sei il segaiolo?” potete crederci se vi dico che non avevo mai sentito la sua voce? Aveva qualcosa di musicale, un vago accento di non so che posto (o forse tanti posti vattelapesca) ma non apriva la bocca, come se non valessi la pena di sprecare energie per separare le labbra l'una dall'altra.

Ho sollevato lo sguardo dal mio disegno che, a voler ben vedere, era più esplicativo di un fottutissimo test di Rorsharsch (e più meno altrettanto comprensibile) e l'ho piantato sulla sua faccia dalle labbra enormi e squadrate, gli occhi piccoli e focalizzati su di me.

Io...ehm...credo di sì” non sono mai stato uno dalle risposte brillanti. Sono più il tipo da sproloqui silenziosi e annosi monologhi nella mia testa, dove nessuno può rispondermi o mandarmi affanculo. Mi ci mando da solo, ma non vale, non ci rimango male alla fine no? Me la godo. “Tu sei Milo? Il DAP?” si è stretto nelle spalle ossute senza muovere un muscolo facciale

Il cazzone ti vuole” il cazzone è ovviamente il Dottor Princeton, (McFarland, non fate finta di cascare dalle nuvole, il dottore psicopatico è sempre stato lui)

Per...”

Il Cerchio della Fiducia del cazzo” ha grugnito, davvero, senza nemmeno aprire la bocca. Non so se è stato quello il momento in cui ho avuto la vaga impressione di non piacergli. Non che fosse tipo l'avvenimento del secolo, non riscuoto mai molto successo, e dubitavo caldamente che qualcuno sulla faccia della terra che non avesse mai ucciso nessuno potesse piacergli, ma non fu esattamente uno sbattere di ciglia e un sorridersi (ok, così fa tremendamente gay uh? Ma mi avete capito, non è che io volessi fare amicizia con tutti, chissenefrega, però ci tenevo, non lo so, tutta colpa di mio fratello Tim che mi ha sempre fatto rimpiangere il non essere figlio unico). E invece lui se n'è andato come se niente fosse, con un passo leggermente dondolante, da menefreghista asociale di merda qual'era, e io invece sono rimasto con il mio disegno in mano, una macchia informe dai colori agghiaccianti che insieme erano abbinati peggio delle Spice Girls.

 

Ricordo che c'era puzza di fiori. Una puzza incredibile, non come quelle dal fioraio, quando hai otto anni e la tua cattolicissima madre irlandese ti si trascina dietro per mezza città a cercare bomboniere, decorazioni, cazzi e mazzi per la Prima Comunione, ma quella dolciastra, di fiori marci e flosci che si ritorcono su se stessi e sul gambo, appassiti, tristi, annoiati. Nemmeno la metà di me, comunque, che me ne stavo seduto lì a dondolare le gambe dalla sedia finto vintage collezionando tartine al che-cazzo-ne-so che sapevano di piedi, servite su vassoi di ottone macchiato e opaco, triste come sanno essere tristi le veglie funebri della gente di cui non frega un cazzo a nessuno.

A parlare con MIMA (mia madre, quella con la Menopausa Acuta, ve lo dirò solo un'altra volta, se poi non l'avrete imparato cazzi vostri), quel vecchio rompicoglioni di mio nonno era tipo Nelson Mandela, con una squadra di football completa di amici pronti a piangerlo peggio di Lady Dian; ma col cazzo che c'erano i suoi amici quando c'era da spostare quella marea di mobili per far spazio alla bara, e alle sedie in fila, alle composizioni floreali e quel dannatissimo prete rubizzo più largo che alto che se ne andava in giro ubriaco fradicio fra gli invitati affranti. Affranti, vi pare che mi esca una parola del genere per descrivere quell'accozzaglia di vecchi irlandesi sganasciati, sbracati sulle poltrone gibbose, a bere whisky di pessima annata cantando God rest ye merry gentleman con la bocca piena di pasticcio d'oca?

Ma sapete, no non lo sapete per niente perché non ve l'ho mai detto, io ho sempre preferito la gente sbronza a quella ipocrita, costretta negli angoli della casa a dondolarsi sulle gambe precarie delle sedie scricchiolanti con il fazzoletto stretto fra le dita lunghe e ossute, e gli occhi rossi a singhiozzare di quanto fosse “grande e onesto” e “generoso e forte” quel coglione mezzo sordo che non aveva affetto per i suoi figli, figurarsi per la gente ingrata che gli camminava a fianco a malapena, sporgendogli una tazza di caffè a caso in una mattina d'inverno quando nemmeno nevicava. Che senso ha offrire il caffè alla gente, d'inverno, se nemmeno nevica? Non c'è poesia no? Non c'è, pathos, o cose del genere, d'inverno senza neve, la gente non ama l'inverno se non per la neve. Ha qualcosa di bello, e di interessante almeno. Non ho mai capito perché, va da sé, a me frega poco dell'inverno da qualsiasi parte, a casa mia peggio che altrove, dove va già bene se cambia la temperatura da agosto a dicembre, e non cadono le foglie, e non cambiano le stagioni (e “non ci sono più le mezze stagioni” sto cazzo, non provateci nemmeno), però alla gente piace e basta, la neve. Ma quando non c'è ci si limita a guardare il terreno secco, depresso, mai davvero bagnato né asciutto, immobile e asettico come le stanze del St.Leonard. Non sai cosa farci con l'inverno, se non c'è la neve.

Va beh, comunque ero lì davanti alla bara aperta del vecchio balordo, ed era incredibilmente giusto esserci ad un certo punto. Lui con le mani giunte tipo faraone egizio o chessò io, aveva quell'espressione pacifica di uno che se la gode alla grande che tutta quella gente si disperi mentre lui se ne stava in Paradiso, nel Nirvana o dove voleva lui, con trenta vergini a disposizione cosparse di olio, e scorrono latte e miele e bla bla bla, e io con le mani infilate a forza nelle tasche del completo di sartoria che mia madre aveva quasi acceso un fottuto mutuo per affittare.

Che volete? Se ne sentono di ogni di medio borghesi che vivono al di sopra delle loro possibilità, o no? Da dove credete che vengano le maggiori fortune dei crimini dei colletti bianchi?

Comunque ce ne stavamo lì, io e il vecchio, mentre quell'abnorme casino che diventano le veglie funebri quando la bilancia sbronzi e sobri comincia a pendere dalla parte sbagliata-”

 

E che due palle cazzo” ha sbuffato lo stronzo “ma a chi cazzo interessa qua dentro?” Ha sbuffato davvero, mentre io aprivo il mio cuore su tutto il dolore e la prostrazione dell'impotenza di fronte alla morte, lo stronzo rasato ha sbuffato incrociando le sue fottute braccia pompate e tatuate sul petto. Era ridicolo, bisogna che lo dica, con tutte quelle svastiche e quegli 88 che si snodavano fra la spalla e il collo, e il cranio che sembrava il mento del mio vecchio quando si radeva di merda, con il post sbronza, il lunedì mattina di ritorno dal pub. Non che fosse il suo peggior difetto estetico, se volete che ve lo dica (e se non volete fa lo stesso), perché i suoi occhi, enormi, a palla, sempre fuori dalle orbite a scrutare tutto con la mandibola serrata da rabbia repressa a stento, erano ancora peggio.

Come ho detto, io non ero quello delle risposte pronte, ma quella volta me la ricordo bene, perché mi è sembrato davvero di essere in un talk show, tipo da Ophra o in un altro postaccio del genere, dove si scontrano i tipi strani che non sono mai andati oltre, e ripropongono a ripetizione sempre gli stessi fottutissimi drammi.

Quella volta, mentre il condizionatore gorgogliava ed emetteva uno strano suono tossicchiante, DOC si grattava nervosamente (ma anche un po' soddisfatto, questo bisogna dirlo) il mento fresco fresco di rasatura dal barbiere, e c'era un tale silenzio in quella stanza da far pensare che fosse un centro di recupero per sordomuti anziché una Clinica Psichiatrica da quarantamila dollari l'anno.

No...non...non mi sembra giusto Topher” se non fossimo stati fottutamente pochi in quella stanza spoglia del colore del vomito di neonato probabilmente nemmeno l'avremmo sentita la voce di Joseph. Ma c'era silenzio quella mattina.

Aspettate, vi ho parlato di Joseph? No, ovvio che non vi ho parlato di Joseph, il nostro piccolo SA. Tutti i posti come questo ne hanno uno. La Sindrome di Asperger, il piccolo cuginetto che prende a testate i muri, il collega di lavoro che non si lascia toccare, magari la sfigatella un po' autistica a due banchi dal tuo, quella che si scaccola impunemente nell'ora di matematica mentre il Professor Gessum tenta invano di spiegare i limiti. La mia si chiamava Maggie Simmons (no, non Simpson, SIMMONS, non prendetela per il culo!) e portava un paio di occhiali quadrati dalla montatura spessa che mi facevano arrapare da morire. Non ve lo dico per costruire subliminalmente il mio ruolo di protagonista atipico di questa storia di merda, ve lo dico perché Maggie Simmons mi ha mollato un cinque in faccia l'unica volta che ho provato a metterle una mano sulla spalla. Che volete, non si dice che Dio li fa e poi li accoppia? Eh beh, non so se sia perché sono agnostico da quando ho memoria (prima o poi vi racconterò anche di come io e Dio abbiamo deciso di non vederci più), per la gran gioia di mia madre come ben potete immaginare, ma l'unica cosa con cui Vostro Signore mi ha accoppiato è un bel fascicolo blu su cui scrivere di quanto io non creda in Dio. E di come Maggie La Strana mi abbia guardato da dietro i suoi occhiali spessi dalla montatura nera come terrorizzata, rannicchiandosi nelle braccia ossute per allontanarsi il più possibile dall'invincibile pericolo che, a quanto pare, rappresentavo per lei.

Il tutto per parlare delle mie delusioni sentimentali, E ANCHE per parlare di Joseph Moskowitz, l'ebreo autistico da un milione di dollari con gli occhi grandi e innocenti, e la voce flebile, un cazzo di fottuto genio che non ne incontrerete mai di simili in vita vostra, una memoria eidetica del cazzo, parola mia. Dico, io sono disadattato e tutto, me la cavo quanto a ricordarmi le cose, ma Moskowitz ragazzi, non ne fanno più come lui.

“Cazzo vuoi ebreo di merda?” come dicevo, talk show, questioni annose e irrisolvibili e bla bla bla. Topher è uno di quelli che se le legano al dito ok? Specialmente quando l'ebreo di merda in questione è più ricco di Donald Trump, erede di una fortuna multimilionaria in chissà quale stato del vattelapesca, e lui invece è un poveraccio di merda, figlio di operai, mandato qui (questo è un posto per gente ricca che non vuole far sapere che il suo primogenito è fuori di testa, per la cronaca, non lo sapevate?) dopo che il padre ha tirato le cuoia mentre tentava di far funzionare una mietitrebbia, e l'impresa che lo ha assunto ha dovuto pagare i proventi di una causa milionaria per negligenza. Insomma, una botta di culo, se così si può definire il fatto di essere finito lì a ritagliare origami invece che in una qualche prigione di merda a far da fidanzatina a qualche stupratore seriale. Ma indovinate? Lui al St.Leonard non ci voleva stare, perché era innocente no? Come tutti! Era un nazi tatuato e violento che picchiava ragazzini all'uscita da scuola, e scippava vecchiette di colore, e molestava minorenni musulmani nei tram, ma era un piccolo e innocente orsacchiotto. Come no.

Non si era capito ancora cosa avesse, Topher Bills, e nessuno di noi sinceramente aveva voglia di scoprirlo, ma quando ci inondava di fiori profumati di lavanda come quella volta, aprendo bocca giusto per non tenerseli dentro, avremmo sinceramente preferito che suo padre, feccia schifosa come lui, pare, fosse vissuto ancora una decina d'anni, senza avere il becco di un dollaro per farci capitare il suo beneamato figliolo fra capo e collo.

Sì beh, Topher mi stava sul cazzo e allora? Avete presente che significa essere irlandese nel mio quartiere? Un irlandese segaiolo e spanato di testa, per la precisione? Che gente come Topher Bills, che per comodità io chiamerò SDM (Sacco di Merda per inciso), ti prende e ti sbatte contro gli armadietti, e dentro i cassonetti, e da ogni parte dove uscire significa umiliarsi e puzzare peggio di una latrina. Ce la possiamo raccontare che bisogna perdonare e comprendere, ma dopo la terza volta che ti ficcano la testa nel cesso vi posso assicurare che lo spirito misericordioso del cazzo va a farsi fottere (sono sempre stato convinto, per una cosa e l'altra, che a nessun Papa o Vescovo o Santo o chessò io abbiano mai fatto bere l'acqua del water, fra le altre cose).

Io sono rimasto immobile, DOC era in attesa, l'anoressica (ve la presento la prossima volta, promesso) giocherellava con le punte dei capelli secchi come stoppa, le ossa delle spalle, del viso e delle ginocchia affilate come coltelli da sushi, e quell'altro, DAP o Milo o semplicemente l'altro, se la ghignava, giuro, come se stesse guardando due donne picchiarsi nel fango. Ghignava, cazzo, godendosela da morire.

“Dicevo così per dire” ha risposto Joseph con la voce più decisa di prima, senza fare una piega “ma non è gentile interrompere i flussi di coscienza altrui” muoveva le dita come se suonasse il pianoforte quando parlava: lunghe dita dalle unghie curate che si agitavano interminabili sopra ogni cosa, disegnando motivi nell'aria che svanivano giusto un attimo dopo. E le sue dita si muovevano, e si muovevano, e si muovevano mentre parlava

“Non è nemmeno gentile sentirsi i padroni del mondo solo perché un coglione ha sterminato il tuo popolo cinquantanni fa” lo ha detto davvero, vi pare che potrei inventarmelo? Ha poggiato una gamba sull'altra e l'ha sparata, mandando a farsi fottere ogni tentativo di appianare la discussione (Sono una merda se mi ha fatto formicolare tutta la spina dorsale questa cosa vero?) “Parliamo degli armeni, parliamo delle bombe al fosforo bianco sui palestinesi uh?” si è voltato verso Joseph con un sorriso inquietante, ma non vittorioso, semplicemente diabolico “non mi risulta che abbiano regalato uno Stato agli omosessuali, né ai disabili, né agli zingari”

“Coglione?” è saltato su il nazi, imbestialito come mia madre quando mio padre tornava sbronzo e cominciava a bestemmiare sbiascicando tutti i santi; in un secondo, ha fottuto tutti i trattati di pace “Hitler era un grand'uomo” uno sbuffare sarcastico

“Sì, sì, come vuoi tu” e si è alzato senza fare una piega, allontanandosi con il suo passo ciondolante.

Topher si è voltato e ha ringhiato

“Non è finita qui frocetto ebreo”. Come dicevo, trattative di pace annali, e in una parola ha fottuto tutto.

Non sapevo se ridere o masturbarmi.

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Angolo della delirante autrice: buongiorno!!! Eccomi qui carissime donne con un nuovo sempre più, o forse meno delirante capitoloXD
Da qui si comincia un po' a conoscere tutti i personaggi, piano piano, con un'infarinatura generale...mi spiace di essere partita con la questione della Shoah e quella Palestinese senza entrare nel merito, ma approfondirò la questione più in là nel corso dei capitoli. E' importante che io sottolinei che non mi appartengono tutti i punti di vista, e che certamente il modo e il momento in cui loro dicono certe cose è, per così dire, molto fiction. L'argomento è senza dubbio spinoso e merita approfondimenti in sedi che non sono le mie ff su EFP, ma sono ben contenta di dibattere in proposito con chi lo desideraXD
Detto ciò vi segnalo il magnifico gruppo di Giuls e Sony su facebook In some dreaming state e faccio le debite dediche (scusate il gioco di parole): alle fantastiche donne che mi seguono con entusiasmo sul forum e non mi fanno mai mancare nulla di nulla, ma soprattutto alla meravigliosa Giuls (lo so, sono ripetitiva) e a Silver che sta volgendo la termine con mia somma disperazione e ammirazione totale. Perchè ci siamo sempre chieste se non siamo un tantino pazze anche noi a metterci tutto questo cuore quando facciamo le cose...

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Capitolo 4
*** Sigarette francesi senza filtro ***


Sigarette francesi senza filtro

 

Cosa penseresti se cantassi in modo stonato,
ti alzeresti e mi abbandoneresti ?
Prestami ascolto e ti canterò una canzone
e cercherò di essere intonato.

(With a little help from my friends, Beatles)

 

Ok, forse al (dove siamo?) terzo flusso di coscienza, è il momento che vi racconti di quella volta, sapete no? La prima volta. Ero lì che...aspettate, non è che state leggendo davvero aspettandovi del sesso uh?

No, ma che cazzo, veramente pensavate che vi avrei raccontato di quando ho dolorosamente perso la verginità, turbe e complessi annessi e connessi, già al terzo capitolo? Ma per chi mi avete preso?

Per quello dovrete come minimo aspettare, chessò, il sesto, il settimo, non lo so, vedo un po' come mi viene, ma non certo al terzo! Perché dovrei bruciarmi tutte le cartucce più interessanti per parlare di Charlie Robinson e i suoi capezzoli a punta? Non pensate male, cioè, mi piaceva e tutto ma aveva...

AH me l'avete fatta eh, qui a distrarmi, e io che ciarlo e ciarlo e non arrivo mai al punto, e finisco a parlarvi dei capezzoli a punta di Charlie Robinson invece di parlarvi della prima volta che sono entrato al St.Leonard.

Sì, più o meno in un punto a metà fra l'imbarazzante conversazione con DOC a proposito dei miei innumerevoli disturbi della personalità e il Circolo della Fiducia del cazzo della scorsa volta, in un momento non ben precisato fra questi due altri momenti non troppo precisamente datati, sono entrato in clinica per la prima volta.

Prima di iniziare ad asciugarvi gli occhi per il crudele destino di prigionia a cui siamo destinati sarebbe meglio che vi dica un paio di cose su questo posto, ma manterrò segreta l'ubicazione, perché mi piace che la gente m'immagini a correre sulle colline verdi di Hogwarts, in qualche magione da fighetti a leggere poesie di nascosto alla Dead Poet Society, o magari in una brughiera ventosa alla Cime Tempestose, con tutti i capelli sparpagliati sul viso mentre tento di trascinarmi fuori da una pozzanghera di fango melmoso alla ricerca delle voci che mi chiamano dalla nebbia e...sì, non ditemelo, sto attingendo a piene mani dal drammone strappalacrime fra Heatcliff e Catherine, ma penso sia una vera ingiustizia che se Mr.Ombroso vede i fantasmi è un fico e se io ogni tanto mi faccio una chiacchierata con Richard Nixon sono un flippato segaiolo.

La verità è che ho sempre avuto un fottuto problema con i comportamenti devianti della letteratura: Dottor Jekyll e Mr.Hide avete presente? E quello schizzato allampanato di Lestat? Dico, si beveva letteralmente la gente e non c'è una sola donna sulla terra che non si sarebbe lasciata mordere da Tom Cruise. Dite che il problema è che non hanno mai fatto un film sulla mia vita? Direi che sto lavando un po' troppe mutande sporche in pubblico per i gusti di mia madre; sì perché vedete lei, beh, è una di quelle madri che vorrebbero figli invisibili; non che mi abbia mai fatto mancare l'affetto no, ha smalti orrendi e una permanente odiosa che le riflessa i capelli rossi di un altamente detestabile biondo besciamella, ma è irlandese, per Dio, avrebbe preferito avere un figlio muto, o paralizzato, piuttosto che...piuttosto che me, eppure ha impiegato diciotto fottutissimi anni prima di ammettere con se stessa che “hey, forse il fatto che mio figlio al posto di stringere la mano alla gente tiri fuori l'uccello ha un non so che di bizzarro”. E io sono sempre stato nientemeno che allucinante, da che ho memoria, quindi la sua resistenza ai cambiamenti è ammirevole. Ma non siamo qui a parlare di mia madre. O meglio, arriverà anche quel momento, inevitabilmente, in cui voi coraggiosi lettori sarete sottoposti agli innumerevoli drammi della mia infanzia, ma non è questo (sono davvero trombette quelle che sento suonare da qui?).

Tanto per non perdere il filo, ce la stavamo raccontando su come sono arrivato qui. Beh, vi basti sapere che il St.Leonard è, a tutti gli effetti, una clinica per fighetti; i quarantamila dollari l'anno di libera offerta per rinchiudere fra quattro mura i vostri figlioletti spostati erano indicativi, ma quello che non sapete è che questo posto non è un edificio anonimo con le stanze tutte uguali, le porte che scricchiolano e le divise di panno lenci che fanno prudere il culo ad ogni movimento. La St.Leonard è una villa tardo vittoriana riadattata ad ospedale dopo la Seconda Guerra Mondiale (diciamo che i tedeschi ci hanno schiaffato sopra una bella bomba da un aereo), ha tutte le caratteristiche da segoni a due mani che i genitori amano tirare fuori quando parlano con gli amici, un paio di cicchetti di troppo, tanto da raccontare del loro figlio particolare spedito come un pacco in culo al mondo. “Però hanno un parco immenso e i mattoni a vista!” Sai che culo! Una martellata sulle palle fa male anche se il martello è d'oro e profuma di rose. Come no, mattoni a vista, ampie camere, soffitti alti, archi a sesto acuto o quelle merdate lì e mobili d'epoca. Ah beh, dimenticavo, non abbiamo le inferriate alle finestre, tanto per dire, ma vetri antiproiettile iperinforzati in stile Papa Mobile. A noi servono meno che a lui, per la cronaca, anche se l'unico coglione che ha tentato di farne fuori uno è pure riuscito a mancarlo!

C'era il sole quando l'utilitaria con il motore tossicchiante della mia famiglia ha fatto retromarcia per lasciarmi davanti al cancello in ferro battuto. Posso sentire ancora i freni che stridono e le gomme da cambiare che quasi s'impantanano nell'erba tagliata di fresco. Mio padre è sempre stato una merda a guidare, ma era meno sbronzo di mia madre quel pomeriggio quindi, chissenefrega. Lei è rimasta lì a dirmi che non era colpa mia, nossignore, e tutti mi volevano bene, e mi sarebbe stato un sacco utile aprirmi al mondo, alla terapia, ai miei compagni e tutte quelle menate da primo giorno di asilo. Santa donna mia madre, ma ha le facoltà intellettive di una foca morta.

Mi ricordo che per prima cosa ho notato l'edera, una fottutissima facciata ricoperta di edera serpeggiante su per tutto il muro, attorno alle finestre e allo stemma in oro laccato. Ho fischiato, un po' spaccone veramente, tipo Giovane Holden (se non l'avete letto fatelo, perché verrà debitamente citato ogniqualvolta mi mancheranno aggettivi per descrivere le cose, e accadrà spesso. Non è che vi voglio consigliare un libro tipo “Chiedi a Patrick” cazzo! Era per dire), sistemando la sacca da ginnastica che poteva vantare di contenere tutto quello che avevo ritenuto abbastanza importante da trascinarmi dietro fino a qui. Io e, beh, la lista delle innumerevoli cose che non potevo assolutamente “introdurre nell'edificio”, il che, lo ammetto, ha contribuito notevolmente a facilitarmi l'annoso compito di fare i bagagli.

Me ne stavo lì in piedi, nei miei calzoni troppo larghi e dagli orli asimmetrici, una maglietta dei Dallas Cowboys riciclata qualcosa come sei volte in tutta la famiglia (ed era tipo un onore che potessi averla anch'io, perché era una maglietta totem degli O'Hara, quindi è stato veramente un'Epifania che avessero sorvolato sulla mia condizione disagiata per accordarmi il diritto di indossarla) e le Converse modello base, quelle che si possono permettere ancora i tre quarti dei fottuti irlandesi emigrati di qui, di quelle senza scritte, che sembrano usate la seconda volta che le metti, sfasciate e scucite, “calze a vista” (da lì tutta la storia del cambiarmi sempre i calzini eccetera) e tutta la sarabanda di lacci sozzi di fango, troppo lunghi che non sai mai come allacciare, e finisci sempre per sistemare una scarpa diversa dall'altra, come un demente. Il genere di scarpe che metti finché non ti inzuppi i piedi nelle pozzanghere da quanti squarci ci hai fatto sopra. Ecco io con le cose ho sempre fatto così cazzo, mi sono ostinato a usarle fino a ridurle a brandelli, e poi ne ho comprato un paio nuovo, uguale, per fottere anche quello. Prima o poi dovrò sputtanarmi anche la storia del mio cane, Josie, una cagna santa porca Eva, e della fine di merda che ha fatto per questa mia mania di non cambiare mai niente.

Me ne stavo lì davanti al cancello della St.Leonard e ci ho pensato, ammetto che ci ho pensato. Mi sono detto “Stronzo, sei libero, prendi il cellulare e chiama un fottuto taxi. Vattene cazzone, è il momento”; era bello potersene stare lì a contemplare le infinite possibilità che la cacarella di mio padre mi aveva srotolato davanti. Potere, poter, potere, fare questo e quello, e quell'altro, ovunque e in qualsiasi momento. Avevo dieci dollari stropicciati nella tasca interna dei jeans (per le emergenze no? Più emergenza di una fuga che nemmeno Prison Break cosa c'è?) e magari potevo cavarmene fuori vendendo un po' di roba al mercatino dell'usato. C'è stato un momento, fra la formulazione dell'idea e la sua effettiva concretizzazione, in cui ho perfino contemplato la possibilità di fare un paio di marchette e viaggiarmene in autostop per tutta la costa orientale. Così, alla Kerouac. Ho immaginato sterminate autostrade con gli Eagles sparati a manetta negli altoparlanti in una decappottabile d'epoca, una milfona con il foulard in testa alla Thelma e Louise (di grazia, senza il burrone), il retro di un camion con fieno e galline, pure, perché non si dica che sono uno con le fantasie snob. Un treno, un tandem, un triciclo, qualsiasi cosa mi appariva meno denigrante di un mese in quella clinica per fichette patentate con gravidanze isteriche, fobie di cose che nemmeno avrebbero mai incontrato, e sonnambulismo. Problemi di merda che i soldi trasformano in casi di stato. Se non ne fosse andato del mio pisello all'aria, la mia vecchia nemmeno li avrebbe sborsati i miei sudati soldi per il college in questa beauty farm da stelle del cinema in riabilitazione.

Pensavo a tutte le cose magnifiche che avrei potuto fare per alzare le tende e concedere a me stesso una dipartita dignitosa, e poi non ho fatto un'emerita mazza. Un'altra cosa tipica di me, prendete nota. Un po' per colpa mia (perché sono, effettivamente, un cazzone gigante) e un po' perché ero troppo occupato a scansare il muso di una limousine bianca che mi ha quasi messo sotto. Nemmeno se alla guida ci fosse stato Niki Lauda (pace all'anima sua) una macchina come quella avrebbe avuto quella spinta. Quando lei (e non intendo la lei di questa storia folle che vi sarete stancati di leggere un paio di flussi di coscienza fa, la lei che è scesa dalla limo e che ci ho impiegato mezzo secondo di troppo a capire fosse una ragazza) è scesa dalla limo ho seriamente pensato di avere di fronte un deportato in qualche campo di concentramento. Non lo dico per mancare di rispetto (anche se non fregherebbe comunque un cazzo a nessuno, non è che devo stare qua a spiegarvi tutto no?), ma quella sembrava un cazzo di scheletro da aula di biologia del liceo ricoperto di lattice scadente.

Mi è passata davanti con un vestito azzurro senza maniche che arrivava al ginocchio, e mi sarei fatto il segno della croce se non fossi stato un agnostico fervente. Avete presente Resident Evil, quando gli zombie vi si avvicinano e la pistola del cazzo non ha più colpi, e quelli si fanno sempre più grandi e minacciosi, e siete sicuri che di lì a cinque-dieci secondi farete Game Over? Credo di aver avuto esattamente quella sensazione.

Ora non la ricordo bene, come ogni sensazione sgradevole a tal punto che il mio cervello ha preferito auto fottersi e rimuoverla pur di non doverla analizzare a mente fresca e magari rivivere, ma potrei scommetterci la mia verginità anale che quando i suoi occhi sono caduti su di me, la prima cosa che ha pensato lei è stata che ero un fottuto obeso, non mi prendevo cura di me, e sarei morto ingozzato di salsicce alla senape nel mio letto, a quarantanni, solo come un cane e troppo grasso per alzarmi.

D'altra parte, chi cazzo ero io per darle un punto di vista alternativo sulla cosa? Che ne so che non ha ragione lei, che non hanno ragione tutti, a pensare che io sia un maledetto spostato irrecuperabile, e che sarebbe meglio lasciarmi marcire nelle mie seghe sconsiderate e nell'autocompiacimento piuttosto che tentare di sanare il tarlo cannibale che si sta inghiottendo la mia sanità mentale? Me la godevo ad essere diverso, con i miei capelli spettinati e le scarpe con i lacci legati alla cazzo, a guardare la gente dall'alto della mia condizione, una bella armatura di narcisismo intarsiata di spiragli dorati di ego e la ferrea convinzione di essere io quello nel giusto. Come dicevo, me la godevo. Ce la godiamo tutti, finché non finiamo a camminare a stento sulle ossa come Amber Morris, unici stendardi della nostra causa.

Ricordo di aver pensato che se lei era la rappresentazione fisica di qualcuno che nega di avere un problema, io di certo ero quella mentale.

Si è fermata davanti a me, i capelli secchi e ritorti su se stessi, il volto scavato dalla pelle traslucida, enormi occhi dalle iridi opache, e mi ha squadrato con le sopracciglia aggrottate

Sei una specie di facchino?”

Cerchi il set per il remake di Shindler's List?” uno dei miei maggiori problemi è che la gente non capisce mai le mie battute. Mi è balenata per la testa l'idea di avere un senso dell'umorismo che fa cagare, ma l'ho ricacciata bellamente nel baratro insieme ad ogni altro più piccolo spunto di autoanalisi critica. Ve l'ho mai detto che sono anche un tantino egocentrico? Sono matto, cazzo, se non avessi voluto attirare l'attenzione su di me, anziché spararmi le pippe, sarei entrato nel coro!

Tanto per togliervi subito l'ansia da finale aperto, vi dico subito che nemmeno Amber Morris ha compreso il mio senso dell'umorismo. Ad oggi, dopo un'imbarazzante quantità di tempo che ci conosciamo, preferisce mandarmi affanculo piuttosto che ridere alle mie battute. Come tutti. (Che volete? Se avessi avuto veramente tutto il savoir faire che credevo di avere avrei fatto il cabarettista!). Anche quella volta lo ha fatto, senza parlare, ma lo ha fatto. Ha lasciato che i suoi enormi occhi sporgenti vagassero su di me con dispetto per qualche secondo, poi ha pensato bene di registrare l'unica informazione utile del nostro dialogo al vetriolo (ovvero che, per tutti i lassativi! Non ero un facchino), e ha fatto cenno (con un lungo dito bianco e ossuto, vorrei precisare) al suo autista di scaricare i bagagli. Alla fine ho sentito vagamente schioccare la sua lingua forcuta fra i denti (essù, dovrò crearlo un po' di pathos se voglio che la gente continui a leggere questa roba!) giusto per confermare i miei sospetti di avere di fronte la strega di qualche fiaba sessista dei fratelli Grimm.

La limousine ha sgommato in retromarcia, schizzandomi di fango fino alle ginocchia, mentre la Principessa si è messa a sfumazzare una sigaretta francese senza filtro dall'aria letale. Sì beh, non è che mi sono messo a farle una predica sul fumo, capiamoci, a me non sarebbe fregato niente nemmeno se fosse morta stecchita davanti a me, però le sigarette francesi mi fanno schifo, e lei mi stava sulle palle, quindi non potevo perdere l'occasione di rompere no?

Perché, dite?

Non mi sono mai fermato a pensarci a dire la verità; cioè, non è che uno passa ore della sua vita a grattarsi il mento pensando al perché lo schifano le sigarette senza filtro francesi, però penso la colpa sia di Steve Manson in quinta elementare. Sua madre lavorava in uno spaccio di sigarette nel mio quartiere, tutto grigio con la puzza costante di tabacco e plastica bruciata che impestava mezzo isolata, e Steve se ne esce un pomeriggio fuori da scuola con quel pacchetto di Gitanes (sì beh, il nome faceva così fico che non potevo rifiutare...) nuovo, perfetto, di quel blu magnetico, schiacciato, così incredibilmente poetico credete a me, con ancora il filo di sicurezza che sventolava come una fottuta bandiera della vittoria. La nostra vittoria sul mondo dei grandi così terribilmente proibizionisti.

Steve si mangiava le unghie fino al midollo, non me lo potrei scordare il suo pollice tutto rattrappito su se stesso mentre tirava via il rivestimento di plastica, ma le sue mani sporche di grasso di bicicletta non hanno esitato nemmeno un secondo, nemmeno uno tirando via la prima sigaretta bianca, bianca davvero, forse la prima cosa veramente bianca di quella giornata, di quell'angolo della città sempre grigio del fumo dell'acciaieria, grigio di lenzuola grigie senza candeggina, grigio di muri scrostati e ciottoli divelti.

Anche la scuola era grigia, un edificio di cemento tirato su da un giorno all'altro dopo quella bomba dell'IRA che aveva fatto cagare sotto tutti quanti. Questo prima, ovviamente, prima di ficcarsi tutti su un transatlantico e finire come la peggior medioborghesia rurale irlandese importata, e scaduta.

È stato prima, nel vecchio mondo, che ho fumato, sigaretta francese senza filtro di merda, e ho vomitato come un ubriaco fuori dal pub, peggio di mio fratello Tim di ritorno dalla trasferta del Chelsea, peggio del mio vecchio il giorno di San Patrizio. Peggio di MiMa dopo che il suo nipotino perfettino si è laureato a Yale e ci siamo stipati nella nostra utilitaria per andargli a dire quanto fossimo fieri di lui, sfruttatore maledetto, e di tutti i poveri operai che avrebbe schiacciato sotto il tacco della sua scarpa ora che quell'azienda da cinquanta milioni di dollari l'anno lo aveva assunto a tempo determinato con una clausola in piccolo che gli impediva perfino di fare ricorso se lo avessero licenziato in tronco senza uno straccio di spiegazione...la riforma del lavoro, Yay!

Dovevo concederglielo, povera donna, dato che non le consentirò mai il privilegio di frignare tutta in ghingheri nella prima fila di qualche patio, mentre un vecchio pederasta mi allunga una pergamena che con tutta probabilità fungerà da carta igienica. Una piccola donna per una piccola soddisfazione.

Ragazzo, pensi di entrare o devo starmene qui a far finta di tagliare il prato per tenerti d'occhio?” come sempre, c'è un vecchio col rastrello a ricordarti che la gente normale non percorre gli intarsi di un cancello in ferro battuto per tre quarti d'ora senza entrare, con la spia dell'apertura automatico che lampeggia impazzita. La gente normale entra e basta.

La gente normale.

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Angolo della delirante autrice: Buona Pasquetta a tutti!! Avete mangiato, bevuto, giocato a frisbee nei prati sotto il sole (o vi siete sbronzati fra le sicure mura di una casa come ho fatto io)?
In questa fredda serata di quasi-autunno vi posto un nuovo mirabolante (ma dove?) capitolo di questa follia, nata come follia e portata avanti come totale folliaXD
Ci sono un po' di citazioni in giro, come sempre se avete bisogno di delucidazioni chiedete pure!!!!
Già che ci sono direi che posso cominciare con il mio amabile vizietto del casting che, chi mi conosce lo sa, è la mia passione. Quasi quasi lo preferisco allo scrivere, quasiXD
Per ora ho la certezza dei personaggi principali, ma mano a mano rimpinguerò le filaXD Ditemi cosa ne pensate e sarò amabilmente felice di discorrere con voi sulla scelta migliroe da fare ahahah

Patrick O'Hara --> Caleb Landry Jones
Milo --> Ezra Miller


La canzone della citazione iniziale è linkata se volete ascoltarla <3
Fatemi sapere che ne pensate della storia, dei personaggi, dei volti, del tempo, di come avete passato le vacanze, del disarmo nucleare o di qualsiasi cosa vi vada di condividere. Grazie a chiunque passi di qui e decida che vale la pena dare una letta a questa roba ancora informe e senza sensoXD Nel frattempo ne approfitto per invitarvi tutte le magnifico gruppo di FB In some dreaming state dove si ride e ci si diverte, si scambiano opinioni sulle ff e su ogni ammenicolo ci passi per la testa <3
Buonsa serata a tutti!!!!

 

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Capitolo 5
*** Clark Gable non beve J&B ***


Clark Gable non beve J&B

 

La gente pensa che noi siamo diversi,
ma in realtà usiamo il bagno come tutti,
e per infilarci i pantaloni dobbiamo mettere
una gamba alla volta come tutti quanti
(Clark Gable)

 

Ma che razza di domanda è Dottore? Andiamo, non siamo mica al David Letterman Show? Ma Cristo Santo! Ha una laurea in psichiatria pagata fior di quattrini a Princeton e non le riesce di inventare un questionario meno banale di quello che scriverebbe mia madre, con i ritardi mentali del caso?

Il personaggio storico che ha influenzato maggiormente la tua vita, dice? Ma per chi mi ha preso cazzo?

Comunque Clark Gable. Lo so, non serve che vi mettiate a borbottare che non è un personaggio storico gne gne gne, ma tecnicamente è nato un secolo prima di me, e ha compiuto un'impresa. Per dirne una, nessuno è sicuro che Maria Maddalena sia esistita davvero, e dobbiamo fare un balzo immaginativo non indifferente per credere all'esistenza di Giuseppe, quindi Mr.Gable è obiettivamente più credibile della metà dei personaggi storici che diamo per scontati.

Vi avevo accennato al mio odio-amore per Via col Vento? Ovvio che sì, me lo ricordo bene, non provate a fare i vaghi.

Beh, parte del mio amore per quel film infinito è Clark Gable, non perché sia tutto questo figo inesprimibile, beninteso, Humphrey Bogart in Casablanca è altrettanto fico, e George Pepper in Colazione da Tiffany non ha nulla da invidiare agli altri due, ma Clark Gable spacca i culi.

La verità è che ho sempre adorato il modo in cui dice “Francamente me ne infischio” alla fine del film. Tre maledettissime ore e quaranta minuti in cui non fa altro che rischiare le chiappe per salvare quella stracciamaroni di Rossella O'Hara (lei, a proposito, è il motivo per cui lo odio invece, mi ricorda un po' troppo certe frange estremiste della mia famiglia...) e riesce a mandare tutto affanculo in un un ultimo, assolutamente invidiabile, gesto di sfida. Quale altro uomo sarebbe riuscito a rendere credibile tutto ciò? Chi altro? Solo lui.

Lo amo perché io non me ne infischio mai. Davvero, mi prendo a cuore qualsiasi cosa.

L'anno scorso, prima che a quella psicopatica di mia zia Bessie venisse in mente di consigliare questo posto ai miei vecchi, stavamo nel mezzo di una delle nostre serate in famiglia del cazzo in cui nessuno rivolge la parola all'altro ma stiamo nella stessa stanza a guardare la tv (rigorosamente in silenzio, nel caso a MiMa sfuggisse la battuta cruciale della scena di sesso da telenovela spagnola che si spara in vena esattamente alle otto e mezza ogni cristo di sera), e mio padre decide che è stufo di farsi panciate di pisello duro sfogliando riviste di fitness femminile (se ve lo state chiedendo le compra apposta, mia madre non ha mai sollevato niente di più pesante di una busta della spesa), quindi cambia canale e finge di essere acculturato, sparaflashandosi con un documentario sulle rane e il loro ecosistema in pericolo che le costringe a mangiarsi i loro stessi girini. E mi sconvolgo, lo giuro, mi viene un nodo nel centro dello sterno e mi sento male. In che razza di mondo viviamo se anche le rane, Cristo, non i coccodrilli della favola, le cazzo di innocue rane di merda, si mangiano i propri figli?

Prendetemi per il culo ma io l'avevo letto come un segno, un chiaro messaggio del mio vecchio.

Come sapete non mi sbagliavo nel pensare che la mia natura, o il mio stato mentale alterato, come piaceva loro chiamarlo, si sarebbe rivoltata contro di me in tempo zero. Armi e bagagli e “Ciao ciao Pat, al forno il nostro stesso fottutissimo figlio ha un gusto migliore”!

Non è che è colpa loro, voglio dire, sono genitori, hanno messo al mondo dei figli in questa cazzo di società, in questo momento, nel mezzo di milioni di pazzi pedofili che adescano bambini su internet, guerre batteriologiche, terrorismo psicologico e crisi economica, non abbiamo bisogno di altre prove a favore della tesi del sadismo inconscio, però insomma, magari non mi hanno mangiato, ma certamente mi hanno dato in pasto a qualcosa che nemmeno un balzo sillogistico straordinario permetterebbe loro di capire.

Ma ci tengo a raccontarvi di quando mia zia Bessie è venuta a stare da noi dopo che suo marito (non mio zio, mio zio ci è rimasto secco una decina d'anni fa sotto la carcassa compressa di una macchina dallo sfasciacarrozze) l'ha sbattuta fuori di casa a Natale. Forse è importante che vi dica che mia zia Elizabeth è la sorella minore di mia madre, ha un culo che fa provincia, e adora la lycra (sì, se ve lo state chiedendo, l'immagine mentale orribile che ho suscitato in voi è fedele alla realtà, totalmente). All'opposto del suo amore per i materiali che non fanno respirare la pelle c'è il sentimento che prova per il suo nipotino adorato (e quando dico adorato intendo dire tutt'altro. Ironia, non trovate sia eccitante?) ovvero io. Altra puntualizzazione: probabilmente la mia ossessione verso mio fratello Tim, che ho nominato qualcosa come due volte (e mai per raccontare qualcosa di bello), vi avrà indotti erroneamente a pensare che io abbia un solo fratello. Ebbene, è una cazzata, di fratelli ne ho altri due, e una sorella, Siobhan, che mi odia con la stessa prepotente intensità del resto degli O'Hara. Questo, comunque, credo abbia a che fare con la sega che mi sono fatto davanti alla sua migliore amica Jane al secondo anno, prepotente concausa (oltre al fatto che la suddetta si è fatta amabilmente sbattere da tutti i maschi della mia famiglia in grado di farlo, me escluso) della loro rottura feroce alla festa del diploma di Tim (forse dovrei parlare di questa cosa con lei DOC, la mia ossessione distruttiva verso Timothy intendo. Dite che sarebbe illuminante scoprire perché il mio primo aguzzino, alias il mio fratello maggiore di due anni, ricorre costantemente nelle mie peggiori memorie?).

Sapete che c'è? Dovreste dirmelo quando perdo la Trebisonda, perché diventerà parecchio stressante per voi legger questo continuo riannodarsi di gente che appare, scompare, viene citata una volta e mai più, eccetera eccetera. E' un vostro sacrosanto diritto lamentarvi e riportarmi sui binari (o almeno su quelli che mi permettono di visitare, possibilmente tronchi, e che non s'intreccino mai con quelli su cui viaggia la gente normale, sia mai!) e che cazzo!

Quando mia zia Bessie è arrivata da noi aveva già tracannato mezza bottiglia di J&B (alla faccia della Recessione) e i suoi pantaloni di lycra contenevano a stento sia il suo culo mastodontico che l'anguria matura che era diventata la sua pancia. Per dirne una, pensavo fosse incinta, fate voi.

Comincia a ciarlare sul bastardo che l'ha cacciata, la troia che se lo scopa, gli stronzi che le hanno chiuso la porta in faccia (ovviamente si riferiva ai cosiddetti amici in comune che erano ovviamente amici solo di lui) e tutto il parentado di ingrati che “quando ha bisogno sa da chi andare a elemosinare, ma se hai bisogno tu, una cazzo di volta...” un sorso di J&B e una mezza frignatina “se ne sbattono, i bastardi”. La culona, questo almeno glielo devo concedere, è una che sa come usare le metafore. Dopo aver tirato in ballo mucche, cammelli, conigli e lemuri (come cosa sono? I cosi orribili che assomigliano un po' alle manguste ma anche ai procioni. Cazzo andate su Google Immagini e non mi tediate!) si è accasciata sulla poltrona sfondata davanti alla televisione, il sacro trono di mio padre, tanto per dire, e mi lancia un'occhiata schifata

Sei ancora qui tu?” l'avrei odiata anche se non avesse avuto un fiato al whisky e la parlata strascicata da peggior luogo comune di barbone ubriaco, ma quando si è voltata verso mia madre e ha biascicato “Fosse stato mio figlio l'avrei spedito a farsi fottere a calci in culo” si è guadagnata il podio di Ciotola in cui pisciare alla prossima cena di famiglia.

Più o meno la fine che ti ha fatto fare il povero stronzo che ti ha sposata” ho ribattuto senza nemmeno alzare gli occhi dallo Speciale a colori di Halloween di Dylan Dog che avevo comprato a Natale perché quando è uscito costava troppo “Quello che non ha preferito farsi spiaccicare come un uovo sbattuto da una macchina pressata” non mi ricordo se prima ha tirato la bottiglia e poi ha tentato di uccidermi, o se mi è saltata al collo e dopo ha cercato di spaccarmi la bottiglia in testa. Fatto sta che ho una cicatrice molto poco fica sul cranio e non posso portare i capelli corti, a meno che non voglia sembrare un tamarro delle peggio periferie che ha sbagliato a radersi; e non voglio sembrarlo, davvero.

Di tutta questa storia cosa mi porto ancora dentro, volete saperlo? Non ho mai finito di leggere il cazzo di fumetto, perché quella stronza di MiMA me l'ha strappato tentando di allontanare le unghie laccate di fucsia della cinghialotta infoiata dalla mia gola e l'ha lanciato dalla finestra in un accesso d'ira da Menopausa Acuta.

Io dico, vi rendete conto che sono io quello da rinchiudere?

 

Sei davvero uno psicopatico, cazzo” Milo ha sventolato il mio ultimo flusso di coscienza come se fosse stato un pannolino sporco di merda. Il buio dell'Archivio non mi avrebbe permesso di controllare che non stesse sghignazzando, ma chiamatemi paranoico, di questo ero piuttosto sicuro.

Non prendetemi per scemo, quando ho accettato di scendere in quell'antro di morte che puzzava di carta ammuffita lo sapevo che sarebbe finita così, ma non avrei mai e poi mai potuto rifiutare l'occasione di sapere qualcosa di più su di lui.

Fino a quel momento sapevo il suo nome e la sua diagnosi, il che me lo rendeva familiare come la metà della gente che ciondolava al St.Leonard, e a me non bastava. Lo so, patetico, patetico, patetico, ma inseguivo ancora il sogno di una zattera sul Mississippi, chiamatemi illuso.

L'Archivio, che è scritto con la lettera maiuscola giusto per sottolineare l'importanza del luogo e del momento, topici per la mia educazione in quel postaccio ve lo assicuro, era una delle stanze off limits per uno chiunque di noi, e avremmo passato veramente un'ora con le chiappe sulla griglia del barbecue se ci avessero trovati lì.

Ma Milo era venuto da me, aveva voluto me, lì, a rischiare il collo insieme a lui, e scusate se non ho fatto il prezioso alla Joey Potter sbattendo convulsamente le ciglia e mi ci sono fiondato. Scusate, davvero, a fare la figa di legno io non mi ci sono mai trovato.

Potresti anche farti i cazzi tuoi comunque, sai? Non è che per uscire di qui dovrai scrivere un trattato sulla mia vita” l'ho detto imbronciato, perché non mi piace essere preso per il culo (vita di merda, lo so, la mia famiglia potrebbe farne uno sport Olimpico), ma comunque non troppo perché, sapete, ci tenevo davvero a farmelo amico, sul serio, davvero tanto. Col senno di poi non mi riesce di capire il perché, visto che non sorrideva mai, parlava poco e fissava tutti con quello sguardo da psicopatico. Probabilmente direte che sono masochista, che mi piacciono le cause perse, e ho la Sindrome della Crocerossina alla Jodie Foster nel Silenzio degli Innocenti. Probabilmente avete ragione, ma quella volta ha risposto. Enigmatico, senza guardarmi in faccia, va da sé, fissando un punto fuori dalla finestra a doppio vetro rinforzato in acciaio, ma non disperato, o malinconico, o quelle merdate romantiche che la gente ama leggere dei ragazzi cattivi-in-realtà-col-cuore-spezzato che aspettano solo una buona occasione per redimersi. Ha posizionato gli occhi fuori dalla finestra, ma avrebbe potuto fissare il pavimento, un quadro o la parete, per quel che ne so, per quel che sarebbe cambiato, perché posso scommetterci le chiappe che non ha visto assolutamente niente lì fuori. Le sue pupille si sono mosse, anche e palpebre, una o due volte, ma il suo sguardo era vuoto. E con vuoto intendo completamente, come il conto in banca del lavoratore medio nella crisi economica. Vuoto tipo il cestello delle offerte della mia parrocchia dopo che Vincent O'Grady andava a confessarsi la domenica dopo la messa. Vuoto come lo eravamo noi, in fondo, scanditi dal tempo che misurava la distanza fra una pillola blu, una bianca, l'Ora Ricreativa e il Circolo della Fiducia.

Chi volevo prendere in giro insomma? Nessuno di noi poteva vantare una maggiore vuotezza (si dice vuotezza? Siate clementi, mica sono andato a Princeton io!) o pienezza, o chissà che altro, lì dentro. Eravamo tutti amorfi e desoggettivizzati no? (non sarò andato a Princeton ma qualche libro l'ho letto cazzo! Tutti lì ad idolatrare l'istruzione superiore come fosse manna dal cielo...e svegliatevi, andiamo!)

Quindi non avrei dovuto preoccuparmi come mi preoccupavo per quella sua testa che non si muoveva, per quei suoi occhi fissi nel vuoto e quella mandibola serrata. Eppure ero in uno scantinato puzzolente, che i coraggiosi chiamavano archivio, con uno che, non dimentichiamolo, aveva un Disturbo Antisociale della Personalità a brillare come l'insegna di un Casinò di Las Vegas sulla testa. E io sono fuori di coppe peggio di un gufo, ma non sono del tutto stupido. Un po', non del tutto!

Io non ci esco di qui, se non per finire dentro” ha fatto schioccare la lingua in quel modo che dice tipo “quindi bello vedi di non menarla tanto” e ha infilato due dita in tasca. Non come la gente normale, che ravana nelle tasche tipo cane pulcioso alla ricerca delle sigarette. Semplicemente ne ha estratta una, una di numero, e l'ha infilata direttamente in bocca. Non mi sarei stupito, giuro, se si fosse accesa da sola sotto una pioggia di lustrini colorati e We are the champions come colonna sonora.

Ehm” io non ce la faccio a stare zitto, mai, nemmeno se ne va della mia vita. Sono come gli ostaggi delle banche negli action movie, quelli che vedono l'eroe di turno (tipo Steven Seaga, Jean Claude Van Damme e compagnia cantante) nascosti dietro la scrivania del direttore e cominciano a mugolare. Dico ma sei scemo? Passo metà del mio tempo a chiedermi perché, cazzo, quella gente non sta zitta e basta! Immaginate il mio dolore inesprimibile quando ho scoperto di essere tipo, esattamente come loro... “rilevatore di fumo e ore dodici”

Già” ha risposto accendendosi la sigaretta con un fiammifero. Che c'è? So riconoscerlo un fiammifero!

Già? Cristo Santo Milo, io ho praticamente lavato tutte le mie mutande sporche nella tua vasca da bagno, nemmeno so come cazzo ti chiami di cognome, e tu rispondi, cazzo, sai rispondere solo...già???” pensate che mi abbia degnato per lo meno di una risposta?

Io ho potuto solo stare a guardare mentre una voluta di fumo si arrampicava nell'aria fino alla spia rossa lampeggiante. Poi la spia ha smesso di lampeggiare, è cominciato il fischio spaccatimpani, e poi il getto d'acqua a inzuppare tutto, i fascicoli, le carte, perfino le cartoline di viaggio appese qui e là sugli scaffali. Tutto un pantano di merda accartocciato su se stesso nella puzza di muffa mischiata a fumo di sigaretta...francese senza filtro. Non ci potevo credere ma, sapete com'è, in una situazione del genere solo gli eroi dei romanzi si mettono a riflettere sulle possibili implicazioni emotive dell'avere a che fare con un tizio che fumava sigarette francesi senza filtro. Noi poveri coglioncelli presi a caso, beh, in queste situazioni ce la battiamo.

Se possiamo, perché se siete me, beh, finite incastrati in un archivio con una sola uscita che si blocca automaticamente quando parte l'allarme antincendio. Cazzo!

Dunque Patrick O'Hara, mi sa tanto che devi sporcarti le bianche manine irlandesi” e fumava, il bastardo, come se quel segnale acustico non mi stesse facendo scoppiare la testa, e quella luce lampeggiante? E quel fumo del cazzo?

E mentre stavo semplicemente andando fuori di testa, quello si alza con un salto, come se niente fosse, e si appoggia alla parete, osservando me, che avevo tutte e dieci le dita in bocca dal panico

Cosa facciamo? Se ci beccano qui ci aprono il culo...cosa cazzo hai da sogghignare Cristo Santo!” ve lo giuro, stavo letteralmente sclerando e lui se ne stava lì senza far niente.

Poi la voce di DOC dalla cima delle scale, e l'infermiera Jones, e Marvin, il custode, quello con il rastrello, il primo che ho incontrato arrivando qui. Stavano arrivando, tutti, pronti a prendermi con le mani nel sacco, e tutta la mia famiglia che avrebbe scosso la testa, al meglio, imprecato, ridacchiato perché, ehi, ero o no la pecora nera del clan degli O'Hara? E mia madre, Dio, quanto avrebbe rotto le palle mia...

E poi la porta si è sbloccata, semplicemente, e tutto il fumo ha cominciato a rincorrersi fuori come impazzito, e Milo se ne è rimasto fermo, le mani in tasca, la sigaretta in bocca, e quell'espressione strafottente del cazzo.

Ha allungato la mano con un gesto accennato

Dopo di te” ricordo di aver sbuffato così tanto che il mio ciuffo di capelli follemente rossi e incasinati è scivolato via dalla fronte.

Camminavo a passo di carica, tipo Full Metal Jacket, mi fumavano le orecchie cazzo, avevo in testa pensieri omicidi, come gliel'avrei fatto pagare questo dannatissimo spavento, magari con la mano nell'acqua calda di notte, o la schiuma da barba o qualcos'altro di peggio, di spaventoso e di esaltante e...

Poi l'ho sentita, quella semplice parola, al di sopra dell'allarme antincendio, al di sopra delle urla e dei richiami, al di sopra del buonsenso

“Aesera”

Non ha urlato. L'ha solo detto, e io l'ho semplicemente sentito. Il suo fottutissimo cognome.

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Angolo della delirante autrice: buon pomeriggio! Vi chiederete come mai io sia già qui ad aggiornare, e me lo chiedo anche io sinceramente...ma sono un po', come dire, piena di tempo libero in questi giorni e la scrittura è naturalmente il mio modo per impiegarlo ahahaha
Sapendo poi che voi siete così mirabili lettrici e donne, beh, non mi preoccupo più di tanto delle tempistiche perchè so che leggerete quando avrete tempo e voglia, tanto questa follia resta sempre quiXD
Ovviamente vi invito a buttare un occhio sul gruppo FB In some draming state a fare due chiacchiere folli e a parlare di ff e di mille altre cose che avrete voglia di condividere^^
Che altro dire? Ah già...ho fatto il casting definitivo degli altri personaggi principali, spero siano di vostro gradimento^^ Fatemi sapere**
Dr.McFarland (DOC) --> Callum Blue
Amber Morris (l'Anoressica) --> Mia Wasikowska
Topher Bills (Il Nazi) --> Ben Foster
Joseph Moskowitz (SA) --> Anton Yelchin
Alla prossima!

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Capitolo 6
*** Note mute di pianoforti inutili ***


Note mute di pianoforti inutili

 

 

Gli angeli sono esseri impegnativi,

specie quelli della razza di cui si tratta in questo libro.

Non hanno soffici piume, hanno un pelame raso, che punge.
Basta. Che se ne vadano così, come sono venuti.

Niente li giustifichi, niente li protegga,

tanto meno una nota a margine tessuta di parole di circostanza.

(L'Angelo Nero, Antonio Tabucchi)

 

 

Le giuro signora che si sbagliano! Non è stato lui, io ho visto teppisti che hanno fatto, non lui, signora, NON LUI!” i soffitti del loft sono alti, arcuati giusto quanto basta perché la voce echeggi nel modo giusto, al momento giusto.

Eppure la sua voce a malapena scalfisce il muro del suono.

Lei non lo ascolta, intenta com'è ad indossare il gemello sinistro del suo solitario. Sembra una frase idiota, ci sono un sacco di frasi che sembrano idiote, agli idioti.

Il suo orecchio a sventola oscilla leggermente, e si ammira allo specchio.

Non gli concederà il privilegio di guardarlo negli occhi, non finché il suo minimarket 24 ore su 24 sarà in quel quartiere di immigrati vietnamiti.

Non finché sarà così sciatto e trascurato da lasciare che quei jeans abbiano un orlo così sfilacciato, e la sua camicia pecchi di quelle macchie di unto sul colletto e sotto il terzo bottone, diverso dal secondo, e dal quarto.

Non si abbasserà ad anteporre il suono della sua voce a quello dei tacchi sul marmo di Carrara del salotto, sul parquet di noce della camera da letto, sulle piastrelle in cotto lavorato a mano del corridoio.

Chang è sulla porta, con il suo basco in mano, stritolato, sudato, la fronte che riflette la luce del lampadario di vetro soffiato a Murano.

E lei non lo guarda, perché il suo vestito da cocktail color lavanda necessita di un paio di sandali adatti, e di uno scialle, e di una collana che s'intoni con i solitari che penzolano alle sue orecchie.

Se lo guardasse, probabilmente, avrebbe la pena di non farlo sentire in imbarazzo per i suoi capelli radi e tagliati male, per la barba di due giorni, per gli occhiali tenuti insieme dal nastro adesivo. Per i suoi occhi a mandorla, e il colore lievemente anemico della sua pelle.

Le sue unghie sono lunghe e sporche di nero.

Le sue scarpe sono scollate da una parte.

I denti d'oro la infastidiscono.

Concluderà che sua moglie è una gretta nullafacente, come tutti i cinesi immigrati, il suo negozio è una bettola, l'ufficio d'igiene dovrebbe intervenire, e magari anche l'immigrazione.

Non lo guarda, perché tanto “proletariato” le ferisce gli occhi.

Il sudore non si riflette bene sui diamanti.

Non lo guarda, però è una signora, e gli deve la cortesia di congedarlo.

E' gentile ad essere venuto fin qui” e con fin qui intende in un quartiere dove una piastrella costa più della sua casa, e lo sguardo che lei gli sta rivolgendo è fasullo e seccato appena un decimo di quello di tutti quelli che vedrà tornando alla sua bettola, dalla moglie trasandata, al suo minimarket flagellato da teppistelli sporchi di accenti creoli mai sentiti. “Ma ora me ne occuperò io” e con “io” non intende lei e suo marito, il mio brillante padre adottivo, ma solo lei, perché non necessita di alcuna approvazione da parte di nessuno. Mai.

Non lo guarda, ma in compenso guarda me.

Non perché ne sia lontanamente degno, ma le serve guardarmi per ricordare, a se stessa e me, quando sottile sia il legame che ci unisce.

Legalmente sono suo figlio, e lì si riduce l'amore parentale fra noi.

Questo non mi ferisce, non mi interessa.

Mi interessa il centone che è costretta ad allungarmi di tanto in tanto, distrattamente, sempre facendo altro, parlando all'auricolare o cucinando qualche cena francese che fa schifo a tutti, ma nessuno glielo dice.

Spende duecento dollari alla settimana per quelle lezioni.

Mi interessa il bagno in camera, lucidato come uno specchio da Rosa la domestica ispanica che se la fa con “papino” il mercoledì pomeriggio, quando lei va fuori città a visitare una casa qualunque dei sobborghi urbani da trasformare in una villa da quattro milioni di dollari.

Mi interessano il computer, e la connessione a fibra ottica.

Forse anche la scuola prestigiosa, forse, ancora non ho deciso cosa farmene.

Lei mi guarda, adesso, perché il signor Chang ha tagliato la corda stringendo il suo basco sporco di sudore fra le dita sporche di grasso della serranda cigolante, le unghie troppo lunghe, gli occhi troppo a mandorla e la pelle troppo gialla.

Lei non lo ha nemmeno guardato, ma è stato consapevole di tutto lo stesso, perché non serve guardare qualcuno per fargli capire che non ne vale la pena.

E lei è bravissima in questo gioco.

Mi sembra di capire che non sporgerà denuncia” non le rispondo perché sono pi

bravo di lei.

Armeggia con l'elaborata acconciatura che crede nasconda le sue orecchie paraboliche ma che non fa altro che accentuare le mandibole marcate e il mento inesistente. “Aiutami” l'aiuterei, davvero, se l'intento fosse quello di mettere fine alla sua patetica vita. Ma vuole solo che le chiuda la cerniera del vestito da cocktail color lavanda.

Io e il signor Chang abbiamo violato il suo santuario e interrotto il suo rito di vestizione del sabato pomeriggio, e tutto per darle un'informazione di cui non aveva bisogno.

Perdita di tempo.

Lei odia perdere tempo.

Per questo non aspetta che il coglione arrivi ad allacciarle il vestito e permette anche a me di toccarla.

Per questo mi si avvicina più di quanto entrambi desidereremmo.

Per questo sono ancora qui.

Perché mandarmi via richiederebbe troppi sforzi.

Il pianoforte a coda nero e lucente, e il suo vaso di fiori bianchi, finti.

La stampa della Notte Stellata di Van Gogh lungo tutta la parete.

Le fotografie immobili, incorniciate sui ripiani.

Il divano in pelle, vera, perché sono feng shui, ecologici, sostenibili, ma non c'è niente di meglio che la vera pelle per accogliere gli ospiti in casa tua.

Il tappeto persiano bianco, immacolato, abbacinante. Quello non le da' fastidio agli occhi.

Ne da' a me.

Non suonano il pianoforte, non guardano i quadri, non camminano sul tappeto, a stento si siedono sul divano. Cose inutili per inutili persone. Desideri di altri realizzati per finta.

Nessuna cornice oltre cui guardare, solo fotografie monodimensionali senza fondo.

Le tiro su la cerniera.

Si stato tu” rigira le dita attorno alla fede, distratta come il suo matrimonio “Quei ragazzini avrebbero rubato della birra, un giornalino porno, dolci. Ma perché un rosario Milo?” sistema le maniche, il corpetto e la gonna svolazzante, si passa una mano nell'acconciatura, sugli zigomi, sotto le palpebre “non insultare la mia intelligenza ragazzino, non lo fare. Un rosario di plastica che si illumina al buio? Cosa sei Milo, una rozza contadina messicana? Per Dio...” sorride di puro piacere nel contemplare se stessa allo specchio, nel sentire quanto grande e importante può essere se paragonata ad ogni squallida, povera, sudicia contadina messicana di mezza età che recita preghiere silenziose ancorata al suo rosario. “Rispondimi cazzo!” portarla all'esasperazione è facile. Troppo facile, presto potrei stancarmi.

Le cose non vanno bene quando mi annoio.

Sono stato io” dico in tono piatto. Sembra soddisfatta

Perché, non credi in Dio, che io sappia, e certo non ti ho mai visto pregare!” la diverte trovarmi mancante, più che con ogni altro.

Osservo il pianoforte, la luce dei lampadari sulla superficie liscia, il tappeto persiano, le cornici, il divano. Tutto si riflette, sformato e oblungo.

Perché avete un pianoforte se nessuno dei due sa suonare?”

Io so suonare. Posso farlo quando voglio”

Io posso pregare”

Ma non lo fai”

Nemmeno tu”

Io non l'ho rubato, però”

Ho lasciato due dollari nelle offerte per la nuova chiesa” mi fissa attraverso lo specchio, come una strana Regina di Cuori dal viso spigoloso.

Stronzo” dice solo.

Cammina sui tacchi, ticchettando come un orologio imperioso e frettoloso.

Il coglione sta arrivando dall'ufficio legale, sempre un po' paonazzo, sempre leggermente accaldato, come se si fosse fatto una sega in taxi dall'ufficio a casa.

Probabilmente è così.”

 

“Questo è il tuo ricordo felice, brutto frocio?” l'ineguagliabile simpatia di Topher potrebbe riempire il Paradiso Terrestre e avanzarne ancora, nell'evenienza in cui Adamo ed Eva decidessero di costruirsi una veranda “ma non hai mai scopato porca puttana?”

Non lo conoscevo affatto, ogni giorno mi convinco di questa cosa, che non avevamo niente in comune e prima o poi mi avrebbe fatto arrestare, uccidere, o sbattere fuori (il che non sarebbe stato davvero male a dirla tutta), eppure sapevo, di una consapevolezza disarmante e completamente folle (ma hei, stiamo parlando di me, se la parola folle non comparisse una o duecento volte mi sentirei come minimo a disagio!) che non gli avrebbe risposto. A malapena avrebbe voltato la testa nella sua direzione, perché sapeva come ferire, dove cavolo colpire, il bastardo, e se esisteva qualcosa nel mondo, oltre ad un presidente degli Stati Uniti nero, che potesse far incazzare un invasano nazifascista di terza generazione, figlio di magiaterra del Texas con la pistola nei calzoni e il tabacco da masticare, la sputacchiera come massima decorazione in salotto, e gli stivali sporchi di fango a far da padroni su una veranda in legno marcio, beh, insomma, il peggior sgarro che si può fare ad uno così (Barack Obama escluso, se si pensa alla Casa Bianca, e si chiama Bianca no?) è ignorarlo.

Io, come sapete, sono uno che non sa ignorare un cavolo. Non sono proprio capace, e parlo e parlo e parlo, e se non trovo nessuno di vivo con cui parlare me la chiacchiero con gente morta, tipo Kennedy, Mata Ari, Gesù (dovrei raccontarvelo di quella volta che ho parlato con Gesù, insomma, ve la ridereste di gusto, parola mia) o quel ciccione che faceva i Blues Brothers, com'era? John Belushi. Quello è un fico, ogni volta che lo vedo finisco a cantare alla Johnny Cash (parlo anche con lui, per la cronaca) con un paio di calzoni troppo corti e calzini bianchi in bella vista, un accento che non è il mio, a onor del vero, per niente, io che a stento apro la bocca quando parlo mi devo mettere a fare il cantante country ruminante, ma me la godo alla grande, me la godevo, almeno, con la spazzola per capelli di mia sorella tutta spelacchiata, e la brillantina alla Elvis.

Poi finisce che non sono né uno né l'altro, ma almeno non ho passato il pomeriggio ad ascoltare mia madre che se la racconta con le sue due amiche del bridge del sabato pomeriggio su chi se la fa con chi e perché, e come mai la figlia dei Donahue è grassa come un vitello senza avere un fidanzato.

E va da sé che cominciano a parlare dell'aiutante del macellaio, sì, Brent Foster, quello alto e brufoloso, magro come un morto vivente, e quel naso ingobbito dopo quella volta che ha fatto a pugni con Buz Mellow in sesta classe. Non l'avevano visto, quello stronzetto impenitente, gironzolare intorno alla figlia di Lowson in questi mesi, E a Betty Donahue? Traete voi le conclusioni (non su Betty, lei era incinta di sicuro, ma dubito dell'aiutante visto che è gay ma gay, gay, ve la racconterò anche questa un giorno), su mia madre e le sue ciabatte stantie, affilate come e peggio dell'affettatrice del macellaio, tanto per restare in tema, ma più profumate.

Capita con quelli che chiamano i bifolchi arricchiti, capita con la mia famiglia da secoli e secoli, e tutti gli irlandesi prima di noi, che se ne vanno in giro per il mondo con i loro innumerevoli figli cenciosi alle calcagna, cani, gatti e animali vari, e quella parlata chiusa e stretta, e hanno il coraggio di vivere una vita dignitosa.

Maledetti noi, che arriviamo in massa nei porti di tutti gli Stati Uniti e pretendiamo anche un lavoro, una casa magari, e di far valere i nostri titoli d'istruzione! Indecente, direbbe la signora Meade, la borghesuccia vedova di ben più alte aspirazioni di mia madre, che mi faceva portare a spasso i suoi tre barboncini per una merdosissima manciata di dollari.

Ed è così che va alla fine no? Finisce che abbiamo un po' di soldi in tasca, qualche dollaro per andare alle scuole private (non tutti noi, ovviamente, solo quel rotto in culo di mio fratello Tim) e laurearsi da qualche parte dove fa fico già solo dire di essere andati. Succede che lui farà l'avvocato e guadagnerà una valanga di soldi, e mia madre e mio padre finiranno in un ospizio bello decorato, con le tendine alle finestre e la zuppa che non puzzerà di piedi, magari. Magari anche un giardino con i salici e le peonie, e le panchine sempre dipinte di verde acceso, non come il color merda che rimane dopo un po', con la pioggia, il vento e il caldo appiccicoso.

Forse anche Siobhan, vi ho parlato di Siobhan, la sorella che mi odia no? Forse anche lei sposerà un ricco del New England, o di New York, e farà una vita da casalinga disperata del Connecticut con un paio di figli al massimo (sia mai che ingrassi troppo!) e decisamente più frustrazioni.

Io non farò quella fine gente, ve lo prometto, cazzo!

Sì beh, magari me ne starò qui a marcire fino a che i soldi dei miei genitori (quelli che hanno risparmiato per un college che non vedrò mai) non saranno finiti ma, ehi, non è che si può essere tutti Perry Mason...o Charles Manson!

E adesso non fate i presbiteriani schizzinosi del cazzo! Chi decide la declinazione del talento? Voi? Io? Il Papa o il Presidente? Gli artisti dipingono, gli attori recitano e le ballerine muoiono anoressiche, alla peggio, ma alla meglio ballano gloriosamente finché morte non le separi dalle punte. I serial killer psicopatici ammazzano, e se lo fanno bene, se fanno scervellare per anni esperti laureati cum laude inutilmente, se semplici figli di proletari riescono ad ammazzare gente per mesi senza che nessuno riesca a prenderli, con libri scritti e film girati su di loro, con ricerche, e gente che sbatte la testa contro i muri, e ci scrive sopra intere foreste di fascicoli, e fa ipotesi, e si sbatte come una trottola in giro per conferenze nella vana speranza di formare qualcuno capace di prenderli beh...secondo me, e la mia opinione per me ha sempre contato, sappiatelo, per quello è talento. Impiegato in modo dubbio, non stiamo qui a sindacare su questo, ma di sicuro è talento.

Milo è il genere di persona che ha quel genere di talento.

Ora lo so, ma allora no, allora non sapevo niente di lui, se non che sapeva leggere le persone meglio di un cieco dalla nascita che sa leggere il brail. È uno che ha un talento fuori dal comune, così fuori che io che sono fuori, ho fatto fatica a capirlo.

Alle volte, quando cerco di essere normale, di far funzionare il mio cervello come le altre persone, a pensare al futuro, alla macchina, alla famiglia, ai soldi e alla fermata dell'autobus che hanno soppresso davanti casa mia, me la faccio sotto a pensarci, a pensare a quanto vicino sono stato all'essere fritto come il piatto forte di un ristorante cinese.

Ma rima non era così, prima all'ordine del giorno c'era solo barcamenarsi, e io mi barcamenavo bene, modestie a parte.

Anche in quel momento, mentre Topher sbraitava su quanto Milo fosse frocio, e disadattato, e quanto spaccare i culi di quei giudei di merda fosse infinitamente un ricordo più divertente dell'aver avuto il cazzo duro pensando alla propria madre adottiva (pensate voi se non aveva come minimo frainteso), l'altro se ne restava con lo sguardo fisso su DOC, impassibile, il nostro piccolo SA (il Sindrome di Asperger, l'ebreo genio no?) che dondolava come un cavallino per bambini sulla sedia, l'Anoressica sempre scocciata di essere lì perché “io non ho nessun problema, e fra questi disadattati di merda non ci voglio stare”, e io che mi mangiavo quasi le unghie (quasi, perché me le mangio solo in momenti davvero speciali) nell'attesa, peggio di MiMA nei periodi d'oro delle sue soap operas, quando ne succede di ogni ad ogni episodio, e quasi crediamo ne valga la pena per tutte le volte in cui la gente non fa altro che scopare e guardarsi negli occhi stralunata, mentre la telecamera fa inquadrature in primissimo piano con le musiche roboanti per creare pathos.

“Topher, lungi da me impedirti di esprimere tutto il tuo disappunto nei confronti di questo flusso di coscienza, però devo ricordarti le regole del Cerchio” DOC ha parlato con il suo tono acculturato da laureato fighetto, e Topher ha provato a fare il duro lanciandogli un'occhiataccia, ma la gente così non sa resistere all'autorità, nemmeno se ci prova, e quindi ha abbassato le orecchie come un cazzo di cane bastonato, biascicando con quella bocca di fogna texana le “regole del Cerchio della Fiducia”. E mentre lo stronzo parlava, elencava, mugugnava, Milo restava immobile a fissare DOC, nell'attesa di qualcosa, qualcosa che ancora non mi viene in mente, che forse non gli ho chiesto, e se gliel'ho chiesto non me l'ha detto.

So solo che non è stato soddisfatto, nemmeno alla fine, nemmeno quando quel nazischello coglione ha dovuto ripetere per tre colte la questione del rispetto degli altri, di tutti gli altri, compresi quelli che per un motivo o per l'altro ci stavano sul cazzo. L'ha obbligato a chiedere scusa a tutti, me compreso (lo ammetto, me la sono goduta da matti), e Milo niente.

Niente di niente.

Niente è la parola che userei per parlare di lui.

Che poi è come tutto, non vuol dire un cazzo.

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Angolo della delirante autrice: buona domenica a tutte!!! Spero che siate in giro a divertirvi anzichè a casa ad annoiarvi, ma nel caso in cui foste spatasciate sul divano a non far nulla, ecco il nuovo chappy di questa ff^^
Ammetto di amarlo, questo capitolo, principalmente perchè amo intensamente i flussi di coscienza asciutti come il deserto di Milo. Mi diverto a scriverli quasi quanto le follie famigliari di PatrickXD
Vi invito sempre a passare dal gruppo FB In some dreaming state, giusto a fare due chiacchiere, se siete timidi^^
Alla prossima!!!

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Capitolo 7
*** Stelle danzanti su bombe inesplose ***


Stelle danzanti su bombe inesplose

 

Criterio quotidiano.

Ci si sbaglierà raramente,

attribuendo le azioni estreme alla vanità,

quelle mediocri all'abitudine

e quelle meschine alla paura

(Friedrich Nietzsche)

 

 

E' bene forse che io vi racconti di quel giorno a Craigavon.

C'è chi dice, in giro, non so bene dove, che si debbano conoscere le tragedie delle persone per conoscere davvero le persone.

Io non sono fra quelli, e non lo sono da quel giorno a Craigavon, parola mia, lo sono da ben prima, anche se non me lo ricordo, perché prima di Craigavon ero troppo piccolo per ricordare, anche io, insomma, che ho la memoria fotografica e tutto.

Io penso che la gente non la conosci e basta, e non si conosce nemmeno lei, a dirla tutta, finché non scopre di dover crepare a breve, e allora comincia a fare tutte le cose che avrebbe fatto ma che non ha mai fatto, e ama di più, scopa di più, ride, e mangia, e beve di più.

Ma alla fine, fra una birra e una canna ben fatta, vi dirò che la gente la conosci quando la tragedia la sfiora per sbaglio, e si sente passare tutto lo schifo sulla pelle delle braccia che si rizza assieme ai peli, e sbuffa, e sudacchia, e si tocca le palle a scongiurare il peggio, e dice “Cazzo se ce la siamo vista...”.

Se proprio vuoi conoscere qualcuno, seguilo fino a casa dopo che il treno che ha perso ha deragliato, sull'isola del Pacifico dove doveva volare la settimana prima, prima di prendersi l'influenza, e dove è passato un ciclone oceanico che ha raso al suolo tutto, o sulla macchina, di ritorno da un incidente mortale due auto davanti alla sua, perché si è fermato a pisciare dietro un albero sulla Statale. Segui qualcuno nelle 24 ore dopo che ha fottuto per un pelo la morte, e lo conosci un po' di più.

Se davvero ci tieni eh! Io, per esempio, ritengo di conoscere troppo un sacco di gente, così tanto che alle volte vorrei cancellare un po' di cose che so, e sostituirle con altre. Ma ho questa fottuta memoria che trattiene tutto, anche le parole che, davvero, non vorrei ricordare.

Per esempio a Craigavon, quell'estate che faceva davvero caldo, così tanto che anche mia madre (allora non era ancora MiMA, perché era giovane, e ancora abbastanza irlandese da accontentarsi di una televisione scassata che trasmetteva programmi di merda anziché il fottuto maxischermo e dolby surround che abbiamo ora, che non guarda lo stesso, perché non le interessa davvero il mondo fuori dalla cucina, esattamente come prima) andava in giro in camicetta. Una camicetta azzurra, così chiara che io ho pensato fosse bianca fino a quando non mi ha fatto vedere le foto, ed era azzurra cazzo, come ho fatto a confondermi?

Faceva così caldo che perfino l'erba fuori dal cortile di casa nostra era secca (badate bene cortile, non giardino, non portico del cazzo con veranda o fontana o cuccia del cane o altalena. Solo un cortile tutto fangoso con galline e merde di cane sempre umide, che puzzavano come e peggio dei cessi pubblici dietro la bottega del vecchio Flyn). Era così secco che anche quel maledetto sfaticato di mio padre aveva deciso di levarsi dai piedi per un po' e andare a Craigavon. Non a Dublino, o a Belfast, o in una bella cittadina sul mare, dove tirava un venticello da far arrapare i morti. A Craigavon, un postaccio dimenticato da Dio dove la massima attrazione erano le puttane “a sorpresa”, quelle che non sapevi mai se ce l'avevano o no le malattie, e lo scoprivi solo dopo, quando ti andava male.

Ma a noi non è che fregasse davvero di dove stavamo andando: prendevamo il catorcio verniciato cento volte che chiamavamo macchina, un paio di centinaia di panini che nemmeno l'Esercito della Salvezza, e ci caricavamo uno ammassato all'altro in pieno stile carro bestiame, diretti qui o lì. Che andassimo al supermercato o in capo al mondo, ci sentivamo fichi lo stesso, perché bastava tirare fuori la vecchia Ronda per sentirci avventurieri, machi alla Giuseppe Garibaldi o Yuri Gagarin, in rotta verso quel posto dove va tutta la gente così quando il loro capitolo sul libro di storia è finito e si passa ad un altro argomento.

Ronda era la nostra Ford Fiesta arrivata direttamente dagli stabilimenti di Dagenham, praticamente quando avevano cominciato a pagare le donne quasi come gli uomini, (e si parla degli anni '60, gente, aveva un'età quel catorcio!) ma aveva quella sua personalità roboante che hanno le vecchie zitelle, quelle che odorano di cavoli, e nessuno sposerà mai, e magari ti danno fastidio quando la domenica ti fermano per strada a chiederti come sta questo e che dice quell'altro, e se a quell'altro ancora hanno tolto l'appendice, ma quando muoiono ci resti male, perché non ti va bene che rompano, ma nemmeno sei capace di fare senza. Ronda era una zitellona di macchina di prima categoria, e il nome l'aveva scelto mia madre quando ancora quello sfrangicoglioni di mio padre faceva il romantico e tutte le merdate del caso, perché diceva che la faceva sentire sicura come il suo cane da guardia, quello che aveva quando stava a Kilarney, giù nel sud, e la gente non faceva saltare un cazzo lì, perché di sporchi inglesi oppressori non ce n'erano, e nemmeno di bombe, giù nel sud, dove la gente viveva come si deve, e non come terremotati, con la radio che gracchia sempre di morti, e i figli che nemmeno possono giocare per strada, casomai a quegli altri viene in mente di rastrellare un po' di “collaborazionisti” a caso. E Ronda faceva la guardia, giù a Kilarney, come si doveva, quasi come la nostra utilitaria scassata con il tergicristallo che s'incastrava sulle dieci e dieci.

Ma quell'estate faceva caldo, e non pioveva un cazzo, ve lo giuro, nemmeno a pregare gli dei, o Dio o Allah, o quello che volete voi. Parola mia, mai più avuto un'estate come quella.

Quell'estate me la ricordo perché mio fratello Tim aveva compiuto da poco dodici anni, e cominciava ad avere gli ormoni a mille sapete, sono io il pervertito della famiglia, almeno questo primato lo esigo, ma lui si sparava di quelle seghe fuori la lavanderia della signora Rosney che nemmeno nei miei momenti migliori.

La signora Rosney era una signora di quelle da medaglia d'oro, questo glielo concedo, con quei vestiti tutti appiccicati addosso e quel crocifisso in mezzo alle tette enormi; ma Tim, lui, beh, non è che sia mai stato il guru delle pippe, non so se capite, era rumoroso, e grezzo, e faceva un sacco di versi sconclusionati, roba da far girare mezzo quartiere!

Un giorno la signora Rosney lo becca, lì davanti, pisello in mano, brache calate e tutto il resto, giuro, e si mette a rincorrerlo per strada, urlando che era un pervertito e sarebbe andato all'Inferno, e che Satana se lo portasse quel mascalzone segaiolo di un O'Hara, tua madre non ti ha detto che diventi cieco ragazzino, e tutto il repertorio di minacce annessi e connessi del caso.

La cosa divertente di questa storia, in ogni storia di maltrattamenti e turbe infantili dev'esserci qualcosa che faccia ridere, altrimenti finiamo tutti come Anna Frank, che era pure simpatica, ma tutti se la ricordano per lacrime e prigionia.

Beh la cosa che fa scompisciare tutti (e con tutti intendo me) è che la signora Rosney è corsa da mamma con lo sbattibiancheria in mano, bestemmiando e imprecando, e ha incastrato me. Quella cogliona miope ha incastrato me, e Tim, con ancora le braghe calate e la camicia a scacchi fuori dai pantaloni non ha soffiato parola, il bastardo, nemmeno mezza.

Non saprei dirlo con certezza, ma credo sia quello il momento in cui ho deciso che avere l'uccello in mano, in ogni caso, era meglio che non averlo.

Ho avuto le chiappe in fiamme per un mese, e tutti a scuola mi chiamavano segaiolo e mezzasega, frocetto e compagnia, e Tim, dico, mio fratello Tim, è rimasto muto.

Alla fine, anche questo fa ridere se ci pensate, perché è quella teoria sulle bugie che raccontate mille volte alla fine diventano vere, talmente tanta era la gente a fermarmi per strada urlandomi contro e sfottendomi, che ho creduto davvero di essere stato io.

Meno male che JFK è venuto consolarmi gente, altrimenti non vi dico cosa sarei diventato!

Ma questo è il flusso di coscienza sul “ricordo più vivido” che abbiamo no? E non è il pisello rattrappito di mio fratello che voglio ricordarmi cazzo, per niente!

Volevo raccontare di quel giorno a Craigavon perché è uno dei ricordi strappalacrime di bambino shockato che “cresce nell'ambiente insicuro e fluido della modernità, ed è costretto ad adattarsi all'instabilità e la caducità di una vita con continua evoluzione” o almeno è quello che ha detto la mia prima strizzacervelli a mia madre, quando andare dallo psicologo non era ancora di moda, come Scientology o i vampiri in tv, e se ci andavi eri matto, non fico, e si chiamava psicologo, non terapista, e ci andava la gente disadattata, non i ricchi indecisi sulla carta da parati per il salotto.

Ci andavo io, che da quel giorno a Craigavon dicevano fossi un po' sfasato, ma io penso fossero loro che si cagavano sotto che non lo fossi abbastanza. Non avevo incubi e non piangevo nella notte, non ero asociale (non lo ero stato fino a che non hanno cominciato a chiamarmi segaiolo almeno) e nemmeno chiuso in me stesso. Erano sconvolti che non fossi sconvolto. S'incazzavano un sacco perché non gli davo la soddisfazione di poter fare i martiri con i vicini e scuotere la testa su come “quel pomeriggio a Craigavon” avesse per sempre compromesso il mio fragile equilibrio mentale.

Hanno fatto male a non essersela goduta quando potevano.”

 

Non avevo scritto niente su quel pomeriggio a Craigavon, e DOC lo sapeva. Aveva letto tutto il flusso di coscienza, tutte le cazzate su Ronda, la Ford di mia madre, e sapeva che non c'era scritto niente.

Ma tutti erano impazziti all'idea di sapere cos'altro mi avesse fritto il cervello, a parte vedere mio fratello con il pisello all'aria davanti alla lavanderia a gettoni della signora Rosney, ed erano lì sulla punta della sedia, tutti elettrizzati di farsi beatamente i cazzi miei a piene mani. Perfino Topher, che aveva cominciato a sbuffare alla terza riga, parola più parola meno, esattamente come le casalinghe frustrate che aspettano per settimane una scena di sesso fintissima delle soap operas, tutta gemiti e ansiti e orgasmi simulati in spagnolo, aveva dischiuso i suoi occhi da rana, sporgenti e striati di rosso, senza venirsene fuori con strane imprecazioni e bestemmie varie.

L'Anoressica (non la chiamerò con il suo nome finché non smetterà di chiamare me segaiolo, fatevene una ragione) faceva la finta sostenuta, con le braccette rachitiche incrociate su quello che sarebbe dovuto essere un seno, ma che in realtà aveva l'attrattiva sessuale delle crepe del Gran Canyon, stropicciandosi i piedi dentro le ballerine di vernice.

Un altro dei motivi per cui questo posto fa non fa completamente schifo sono le ciabatte. Potrei seriamente provare a paragonare la regola di indossare ciabatte nelle cliniche al tentativo di asservire le donne dei secoli passati con corsetti e gonne pesanti come macigni, ma poi sembrerei troppo colto, e la gente come me deve essere ignorante e volgare, un fenomeno da baraccone a cui non affezionarsi, così, quando chiudi il libro che denuncia la sottovalutazione intrinseca della persona, presente nel concetto di “malattia mentale”, non te ne viene niente a sapere che io sono ancora chiuso qui a farmi punzecchiare le braccia e a ingoiare pastigliette blu nemmeno fossi Hugh Efner.

Al St.Leonard nessuno può scappare, e nemmeno vuole, non per davvero, perché tutti i soldi che i nostri parenti sborsano per tenerci lontani dalle loro cene di Natale sono quelli che avremmo usato per fare altre cose, se solo non fossimo stati schifosamente schizzati. Sposarci, laurearci, avere un sacco di marmocchi, quelle cose da gente normale, che poi mi chiedo a chi può mai davvero interessare di essere “normale”.

Nessuno può scappare, quindi nessuno è obbligato a starsene in ciabatte tutto il giorno come i vecchi incontinenti negli ospizi pidocchiosi.

Qui abbiamo telecamere della videosorveglianza, un custode, allarmi in abbondanza, un sistema di tracciamento impiantato nel cervelletto (non è vero, ma ho sempre voluto averlo, assieme alla capsula di cianuro nel molare, sogni infantili infranti), e filo spinato laser che fa scattare una sirena di merda ogni volta che qualcosa ci passa vicino. Avete idea di tutti gli uccelli, gli insetti e le foglie secche che volano in posti come questo? Beh, ora immaginate che scatti l'allarme ogni volta che qualcosa di più grande di un pelo pubico gli passa vicino. Sembra di essere un pompiere, o di dormire su un'ambulanza, o nella seconda guerra mondiale, bombardamenti a tappeto e compagnia cantante.

Milo non c'era, e non era da DOC lasciare che uno dei suoi pupilli saltasse la scuola senza togliersi gli occhiali, pulirli in silenzio con lo straccetto di panno perfettamente stirato a labbra serrate, e far scorrere le dita sulle asticelle, nervosamente, borbottando che non aveva senso fare un “Cerchio della fiducia” se non si poteva sperare che ci andassero tutti.

Sembrava un fottutissimo bambinetto rincoglionito alle volte; mi chiedevo spesso quale turba infantile avesse compromesso il suo, di fragile equilibrio, perché potete giurarci che uno vagamente normale non si laurea in psichiatria, e men che meno viene a lavorare in un posto come questo prima di aver compiuto i sessantanni.

Io voto per la pederastia precoce, voi dite pure la vostra.

“Cosa potete dirmi su quello che avete ascoltato?” stava chiedendo con quell'espressione grave da Papa in viaggio in Africa ad accarezzare la testa enorme dei bambini morti di fame.

Era divertente osservare le reazioni dei miei (compagni? Colleghi? Come cazzo si chiamano quelli rinchiusi con me in un posto come questo? Compagni di cella? Dio, odio quando la semantica non mi aiuta!), degli Altri, diciamo, con la lettera maiuscola giusto per conferire alla cosa il giusto pathos, nel loro abbarbicarsi su vari stadi di falso disinteresse, con l'occhio storto e la postura irregolare di chi ascolta senza farsi notare.

Mia sorella (Siobhan no? Quella che ora mi odia per via di un episodio che non sto qui a raccontarvi) era una di quelle persone lì, che fanno le finte emancipate, che non ascoltano le conversazioni degli altri, che non parlano di loro stesse e che fanno finta di non essere capaci di spettegolare. Siamo tutti capaci, e ci nutriamo della beata soddisfazione di notare le mancanze altrui, e ricamarci sopra anche tante belle storie.

Io di solito sono dall'altra parte della barricata, ma non disdegno una bella sequela di confortanti cazzi degli altri quando ci capito fra capo e collo, giusto perché sono umano, pieno di falle, e imperfetto.

Sia chiaro, me ne vanto, perché di eroi senza macchia e senza paura sono pieni i libri e gli archivi di guerra, e io sento che è la gente comune quella che manca nelle storie, quella a cui puzzano i piedi, e che quando esce dalla doccia non ha i capelli imperlati di gocce che paiono diamanti, ma che gocciola, cazzo, come tutte le persone normali! E i capelli si appiccicano dappertutto, e ti viene la pelle d'oca perché fa dannatamente freddo quando esci dalla doccia, e sei tutto rattrappito e rinsecchito, altro che gloriosi corpi nudi e cazzi vari!

 

Mi ricordo del rossetto.

Non ve lo meritate il mio ricordo più vivido, nessuno di voi, nemmeno io probabilmente, nullità senza senso che mi trovo ad essere, ma è il mio ricordo, e resta lì, memoria fotografica del cazzo, che lo meriti o meno.

Però io ne voglio parlare lo stesso, per Dio! Perché non è che la mia necessità di comunicare deve essere subordinata al mio interlocutore no? Non funzionano così i corsi di autoaiuto contro la bassa autostima? C'è da dire di me che l'autostima non mi è mai mancata, principalmente per compensare quella degli altri, che di solito mantiene un profilo basso. Molto basso.

Ma come dicevo, il rumore del rossetto che rotola sul pavimento è rimasto lì incastrato da qualche parte fra un Natale passato a spalare neve davanti casa, e un Ringraziamento di merda, più di merda di quel del primo flusso di coscienza (vi ricordate no?), nemmeno mi ricordo perché.

Non era un fruscìo, né un tonfo, né un ticchettio. Era tutto insieme, un fru-ton-chettio, in piena regola, e rotolava, rotolava, rotolava in cerchio, tutto bruciacchiato e ammaccato, come le corazze dei guerrieri medievali avete presente? Tutto gibboso e malmesso. Eppure non la smetteva di rotolare per niente.

Non nel silenzio, nel silenzio un paio di palle. Era il pomeriggio più incasinato della storia del mondo, del mio mondo di bambino di dieci anni sicuramente, ma io ricordo il “frutonchettio” del rossetto rotolante (potrebbe essere seriamente il titolo di un libro per bambini di successo, magari senza bombe nei pub eh?!) più chiaramente di ogni altra cosa. Sono stato concentrato sul movimento circolare del rossetto per minuti interi. INTERI.

Alla fine il rossetto ha sfiorato un dito smaltato di rosso acceso, una falange bruciacchiata, una mano. E ho capito di essere sul set di una di quelle stragi da Irlanda del Nord negli anni '90, quelle di cui parlavano sempre i miei genitori dopo il notiziario della sera, a mezza bocca, come se fossimo scemi e non capissimo cos'era l'IRA dopo la duecentesima volta che la sentivamo nominare, e le facce della gente campeggiavano su tutti i canali, e le vecchie ciabatte per strada si facevano il segno della croce anche prima di entrare in panetteria, porca eva!

C'era il fumo, e il sangue, e la gente morta, e quella ferita che si trascinava fra i vetri infranti e i mobili rovesciati, fuori in stile Die Hard, con la folla che piangeva e rideva e urlava, e i flash e le telecamere e la polizia e i parenti e gli amici e i morti. Il soffitto crollava, i calcinacci nel muro, le piastrelle scheggiate, scarpe e vestiti in giro, gambe e braccia, capelli e facce...e io, io che mi ricordo solo di un rossetto, e di un suono che non so nemmeno chiamare con il suo nome.”

 

“Patetico” il foglietto sventola piano fra le sue dita. Il mio foglietto cazzo, nella mia fottuta camera, quello dove ho riversato i miei ricordi di bambino sconvolto di dieci anni! Il foglietto dove ho riversato i miei ricordi di bambino di dieci anni nelle sue dita strafottenti di merda, e sotto i suoi occhi piccoli e neri che non guardano mai niente, e quel suo sogghignare sempre come se il mondo non lo capisse abbastanza, povera stella.

Non ho diritto ad un po' di privacy, anche se scrivo i miei pensieri contorti su un rotolo di carta igienica? Non lo fanno tutti nelle pubblicità, pure Dante Alighieri?! A lui nessuno ha mai detto che era patetico, o magari sì, ma non è esattamente quello che scrivono sui libri di scuola, quindi sono giustificato nel sentirmi ingiustamente perseguitato! Sono irlandese o no?

“Sarebbero un po' cazzi miei, fra le righe, se non l'hai capito”

“L'ho capito” dice semplicemente, come se niente fosse.
Ha rovinato il mio ricordo più vivido di una fuga di gas successa per caso, in un pomeriggio dove faceva caldo, ma davvero caldo, in un posto dove sentir parlare di morti significava IRA, terroristi, gente da arrestare, e dove un cameriere sbronzo aveva dimenticato di chiudere una maledetta valvola.

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Angolo della delirante autrice: sono di nuovo qui, un capitolo un po' più triste e un po' più polemico del solito. Tratterò di questo a più riprese, è un argomento a cui tengo, e in parte è anche per questo che Pat e la sua famiglia sono irlandesi^^
La questione dell'IRA è controversa e non è questo il luogo di cui discuterne, poco ma sicuro, però è un parte importante del retroterra dell'Irlanda, ed è giusto parlarne^^
Vi ricordo il fantastico gruppo su FB di cui parlare di questo, della gente che esce dalla doccia gocciolante, e dei fratelli stronzetti^^ In some dreaming state!

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