Corrispondenze – Lettere a Davíð

di fallapart_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I give you my hand, the fingers unfold ***
Capitolo 2: *** No escape from my snow brigade ***
Capitolo 3: *** You are the space in my bed ***
Capitolo 4: *** Soulmates never die ***
Capitolo 5: *** The difference between shooting stars and satellites ***



Capitolo 1
*** I give you my hand, the fingers unfold ***


Caro Davíð,
non si ama con la testa, né si ama con gli occhi o col cuore; prima di tutto, si ama con le mani. Nelle mani può confluire tutta la bellezza del tempo che scorre, e del tempo che non scorre mai; nelle dita intrecciate si scontrano e si mescolano le stesse anime. Non c’è esplosione di sensi più violenta di quella che si verifica sulla punta dei polpastrelli, al centro dei palmi, appena all’inizio dei polsi. Amare è sfiorarsi in quel preciso frammento di pelle col quale si svolgono le azioni più scontate, le più quotidiane, le più inutili. Ho il vizio di scandagliare le persone alla ricerca di dettagli, tali non solo perché piccoli, ma anche temporalmente finiti – quei particolari che, non appena si sentono messi a nudo, fuggono, se non c’è una forza sufficiente a trattenerli ancora per un istante; e nella congiunzione di punti casuali delle dita, nella minima serie di combinazioni perfette, si incarna la bellezza dell’impercettibile.
Sono così giovane, eppure di persone ne ho incontrate tante; perlopiù ombre passeggere, strascichi di rapporti potenziali che avrebbero potuto nascere e morire senza una precisa ragione – e mi è capitato infinite volte di notare una luce particolare negli occhi, un modo particolare di sorridere, un metodico concentrarsi su un punto fisso per proteggersi. Ma, Davíð, se ci innamorassimo di tutte le persone in cui troviamo un po’ di poesia, rischieremmo non solo di cadere nel baratro, ma di non distinguerne più il ciglio. Per questo ci imponiamo di resistere; ma prima o poi arriva quell’istante in cui le mani si sfiorano, il torace implode e persino la testa è costretta a capitolare. Bandiera bianca: il mio corpo ama al posto mio.
Confido che tu sappia che se mi fossi affidata solo e soltanto questa mia attitudine a vedere l’invisibile, non sarei mai caduta nel vuoto; avrei visto di quanta mediocrità erano permeati i tuoi gesti, e mi sarei allontanata a grandi passi. La collisione del dorso della mia mano con il palmo della tua mi ha lasciato un istante, un istante solo, per sentire il brivido che correva lungo tutto il braccio e si sgretolava nel petto. Ti giuro, mio caro, che se avessi avuto un attimo di più, avrei evitato di cadere.
Il mio corpo ha amato al posto mio.
Io, d’altro canto, glie l’ho lasciato fare.
Tua,
Iðunn

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Capitolo 2
*** No escape from my snow brigade ***


Caro Davíð,
la prima neve di dicembre mi ricorda i nostri ultimi giorni insieme. Non solo perché il profumo che mi s’insedia nelle narici e mi riempie il petto d’aria gelida è lo stesso che c’era allora – un rimando malinconico alla pace di quelle ore di té caldo, risate sotto le luci natalizie e respiri che disegnavano forme nell’aria – ma anche perché, proprio come quei giorni, la neve è quell’elemento sereno, pacificatore, piacevolmente piatto, che trascina con sé tutto il silenzio del mondo; è proprio nell’ammirare tutta quella poesia che non posso fare a meno di pensare a tutte le cose che mi impedirà di fare, segregandomi in una fredda prigione con una forza troppo grande per essere contrastata. Se io e te fossimo un poema, la neve sarebbe il principale tópos letterario contenuto nei nostri versi – forse perché i nostri giorni felici hanno avuto tempo un inverno per marcire e rompersi, e tutti i ricordi che ho di te sono coperti di ghiaccio; o forse perché i sentimenti che mi legano a te le somigliano, perché la bufera in sé è durata poco, una scossa nel fiume di monotonia che scorreva imperterrito nella valle della mia esistenza, ma una volta posatasi sul terreno spoglio, la neve ha impiegato mesi e mesi a sciogliersi, anzi, non se n’è mai andata del tutto.
Oggi, come allora, l’ho guardata seduta accanto al camino acceso, incartando pacchetti per le persone più care – come sempre, mi illudo che lasciando qualcosa di materiale alle persone, queste non si dimentichino di me – e non ho potuto fare a meno di pensare a quanto sarebbe semplice se la Natura stessa mi seppellisse, cancellando con un processo perfettamente necessario il mio corpo e i rimorsi che si porta dentro.
È passato un anno da quando ho tradito i miei desideri più profondi e segreti, rivelandoteli nell’illusione che per te potessero essere importanti. Nevicava anche quel giorno, il giorno in cui una crepa ha solcato il terreno ai nostri piedi, lasciando il vuoto a dividerci in eterno. Non so quanto serva cercare di colmare quella spaccatura invalicabile con le parole, con questi fogli di carta che di tuo hanno solo l’indirizzo, perché sono nulle le speranze che tu ne legga anche solo una.
Dietro le tende di cotone scorgo la signora Ármannsdóttir spazzare con insistenza il selciato, sebbene la nevicata sia ancora nel pieno del suo svolgimento, e di fatto i suoi sforzi siano vanificati dall’ostinazione dei fiocchi, che continuano a cadere dove ha appena finito di pulire; quasi si ricompone da sé il mistero della mia disperata insistenza. È comprensibile che tu concentri ogni sforzo nel tentativo di cancellarmi, ma continuerò, per inerzia, a posarmi sulla tua strada – per mesi, per anni, finché la mia lenta, inesorabile caduta non avrà fine.
Tua,
Iðunn

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Capitolo 3
*** You are the space in my bed ***


Caro Davíð,
la notte è la coperta nera che avvolge i pensieri felici; le lenzuola sono uno schermo protettivo puramente illusorio per gli infiniti pericoli che di giorno nessuno prende in considerazione, ma che con il buio diventano così chiari e definiti da concretizzarsi in volti mostruosi e corpi deformi; il ritmo cadenzato dell’orologio è il peso di ogni secondo, reso interminabile dall’assenza.
La tua assenza: stendo il braccio e sotto il palmo aperto della mia mano non c’è che stoffa fredda, rimorso, delusione, dolore. Gli esseri umani dormono da soli, per necessità, ma sanno bene che il sonno, da sempre, fa paura, perché è fratello della morte, e da lei si differenzia solo in quanto temporaneo. Quando c’eri tu, non temevo di chiudere gli occhi, perché anche se fossi morta, non sarei morta in solitudine.
La mia assenza: la persona che tormenta le coperte con il volto imperlato di sudore freddo e il respiro affannato ha il mio stesso volto, ma non è mossa dagli ideali per cui vivo. La persona che fissa il muro cercando di abituarsi alla penombra si chiama come me, ma stringe i denti dalla paura, invece di guardare negli occhi il Male, come faceva il lato forte e combattivo del mio volto.
In questo ciclico alternarsi di due dolori opposti e allo stesso tempo affini, la mente fatica a comprendere quelli che per lei saranno misteri indecifrabili: il fatto che quella persona irriconoscibile in realtà le appartenga quanto la persona forte che era abituata a dominare; il fatto che sia proprio dell’uomo chiamare “assenza” tutto quel che manca, a prescindere da quale siano le sue potenzialità di esserci.
Ci sono tre tipi di assenza, Davíð: l’assenza di ciò che è stato si chiama nostalgia; l’assenza di ciò che sarà si chiama paura; l’assenza di ciò che è, si chiama amore. Nel gravare delle preoccupazioni notturne, io le ho ritrovate tutte.
Tua,
Iðunn

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Capitolo 4
*** Soulmates never die ***


Caro Davíð,
marzo è alle porte e il sole comincia a filtrare, attraverso il vetro della cucina come nel reticolo di rami che oscura la selva del mio cuore. C’è un sorriso che non somiglia al tuo, un modo di muovere le mani che non mi ricorda te, una chioma bruna diversa al tatto, un altro autore preferito, un altro genere musicale, occhi diversi per scintilla e colore. C’è il desiderio di guardare – quello che, con te, era stato desiderio di essere guardata; c’è desiderio di accettare, e non più di essere accettata; ma questa volta, al posto del desiderio di amare, c’è quello dirompente di essere amata.
Avevo smesso da tempo di credere ad una possibile congiunzione di anime; pensavo, ormai, che l’unica fusione possibile fosse quella di due corpi nel reciproco desiderio. Il cuore aveva assunto un ruolo marginale, e ora, nel sentirlo battere, finalmente capisco come doveva sentirsi Galileo, guardando il cielo e scoprendo di aver gettato via tutta la sua fede in favole. Ma, vedi, io sono convinta che allo stesso tempo dovesse sentirsi estremamente sollevato: avere qualcosa di vero, toccarlo, rigirarselo fra le dita senza mai stancarsi di carpirne la meraviglia, è meglio di ascoltare – o inventare – semplici storie.
Lui non ha niente in più di te, né niente in meno di te. Quel che cambia è che mentre quando ti appartenevo volevo donarti tutto ciò che avevo, quel che mi interessa di lui è ciò che lui può darmi. È questo che lo mette su un piano differente: tu eri al centro dei miei pensieri, lui mi metterà al centro dei suoi; ma a stare al centro non si impara ad amare. Ciò che lui farà, e che tu non hai fatto, sarà combattere, per diventare il sole del mio sistema solare. E forse, forse, combatterà con un vigore tale da arrivare a meritarmi.
Tua,
Iðunn

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Capitolo 5
*** The difference between shooting stars and satellites ***


Caro Davíð,
la notte è la coperta nera che avvolge i pensieri felici; ma le stelle, fari onnipresenti per le anime disperse, sono le cuciture strappate dal tempo che mi permettono di respirare.
Viviamo un’intera esistenza in bilico fra il buio e la luce, fra la gioia e il pianto, fra l’alto e il basso; e se una volta credevo che ci fosse un disegno divino dietro il loro equilibrio dinamico, ora posso dirlo: tutto sta nel decidere quale delle due debba prendere il sopravvento sull’altra, fare a pugni con i confini e conquistare la maggioranza. Le stelle lampeggiano con più insistenza, se le guardi più intensamente; e anche il nero del cielo in realtà appare blu oltremare, non appena gli occhi si abituano al contrasto.
È così anche con la vita e la morte: accostiamo alle lapidi color avorio fiori dei colori più disparati, perché anche se nulla fa davvero differenza, abbiamo bisogno di uno spiraglio di luce. Oggi i tuoi garofani ondeggiavano al soffiare della brezza, e quasi mi è sembrato che anche il tuo nome inciso sulla pietra si muovesse con loro. La mano stretta nella sua, ho pianto; subito dopo ho sorriso.
L’istinto dell’essere umano è sopravvivere. Alla fame, alla sete, al dolore, alla notte, e anche alla morte. Che i tuoi garofani si secchino o restino rosa in eterno, sulla terra è una costante lotta per mantenere aperti quegli spiragli di luce.
Io ti ho amato, tu non hai amato me. Ma volgendo lo sguardo alle stelle, e vedendone una che non avevo mai notato prima, mi viene da pensare che ogni cosa ami un po’ ogni cosa. Basta saper discernere la differenza fra il nero e il bianco, eliminare il grigio, e tutto viene da sé.
Ricordati di me, anche quando ti spegnerai.
Tua,
Iðunn

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