Sogno o son desta? di Ray Wings (/viewuser.php?uid=60366)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bel risveglio, certo! ***
Capitolo 2: *** Dove diavolo sono? ***
Capitolo 3: *** Certo che è proprio strana. ***
Capitolo 4: *** Non abbiamo altra scelta. Dobbiamo affrontare le lunghe tenebre di Moria. ***
Capitolo 5: *** Desideri guardare nello specchio? ***
Capitolo 6: *** Domani è già qui! ***
Capitolo 7: *** Se solo mi svegliassi! ***
Capitolo 8: *** Non ho niente da perdere. Forse. ***
Capitolo 9: *** Why is the rum gone? ***
Capitolo 10: *** Non ho intenzione di....ehi! E' un'ottima idea! ***
Capitolo 11: *** Scusami tanto, Macho Man, ma io non ce la faccio più! ***
Capitolo 12: *** "Lui più di tutti si è sentito tradito" ***
Capitolo 13: *** Un'ombra che la notte ha cancellato. ***
Capitolo 14: *** Signora della preveggenza o angelo? Nessuno dei due. ***
Capitolo 15: *** Ti sbagli, sono solo una ragazza molto egoista e fortunata. ***
Capitolo 16: *** Come diventa facile voltarsi e non guardare, come diventa facile pensare non è colpa mia. ***
Capitolo 17: *** Lacrimosa dies illa, qua resurget ex favilla judicandus homo reus. ***
Capitolo 18: *** How to save a life? ***
Capitolo 1 *** Bel risveglio, certo! ***
<<
Io ti avrei seguito, fratello mio, mio
capitano…mio Re >>.
Stop.
Rewind.
<< Io ti avrei seguito, fratello mio, mio
capito…mio Re >>.
Stop.
Rewind.
E ancora, stop, e ancora rewind, finchè il sonno
non mi avrebbe preso di nuovo con sé, come tutte le notti.
Non ne capivo bene
il motivo, ma adoravo quella scena, mi commuoveva, mi rallegrava, mi
rattristava. E quanti sogni facevo, forse troppi, data la mia
età avrei dovuto
smettere di farmi certi filmini mentali già da tempo.
“22 anni e ancora sogni di prendere parte a certe
meravigliose avventure, come una bambina sogna di aspettare il suo
principe
azzurro, su un cavallo bianco, attendendolo in una una
torre…e magari tale
principe ti avrebbe anche gridato << Raperonzolo sciogli
i tuoi capelli!
>>”. Era ridicolo, non c’era che
dire, infatti per questo che tenevo per
me le mie passioni e le mie ridicole fantasie. 22 anni di fallimenti
però erano
stati abbastanza convincenti, le fantasie erano le uniche casupole con
caminetto
acceso in mezzo a boschi in piena pioggia.
Reclinai la testa all’indietro poggiando la nuca
sul letto, sospirando e lasciando cadere morbidamente la mano lungo il
fianco
fino a toccare il caldo parquet su cui ero seduta abbastanza
disordinatamente.
Insomma, a ventidue anni si spera che una si sia
realizzata in qualche modo, ma per me era impossibile. Forse per colpa
mia, o
forse NON per colpa mia, o forse entrambe le cose. A scuola non ero mai
stata
una cima, non che fossi una bulletta in piena crisi adolescenziale
mossa solo
dall’istinto di ribellione verso qualcosa che nemmeno
conoscevo, ma solo perché
adoravo leggere e preferivo perdere le giornate dietro qualche bel
libro
fantasy anziché dietro numeri o pensieri di filosofi morti
secoli prima. E poi
c’è anche da dire che sono sempre stata una
con…1 pelo per ogni lingua. In
parole povere non pensavo prima di parlare e dicevo tutto, ma proprio
tutto, e
questo molte volte mi è costato un cinque in condotta. Un
insieme di cose che
mi hanno portato allo sfracello, a litigi in casa, e a un paio di anni
in più
da passare entro le mura del liceo. Solo ora mi rendo conto
dell’importanza di
fare un paio di nodi alla lingua e di quanto la gente potente
abbia….potere su
di te.
E l’università?? Non ne parliamo! Mamma mi aveva
dato una sola possibilità “o entri, o vai a
lavorare”, non che mi volesse male,
ma non aveva le forze economiche adeguate per aiutarmi negli studi
quindi o
dimostravo di volermi impegnare davvero o davo una mano in casa con
altri
mezzi.
Forse ecco perché molti miei compagni hanno
tentato il test d’ammissione a più
università, ma io ero testarda! Volevo fare
veterinaria e ho provato solo lì con un ottimismo che mi ha portato maggiori
delusioni quando vidi
la mia posizione in graduatoria.
Inutile insistere, ero una fallita e tale sarei
rimasta. Continuai allora nella mia passione di lettrice e scrittrice
lavorando
come barista in un pub non molto lontano da casa mia, lavoro che
DETESTAVO. La
maggior parte degli uomini che entravano lo facevano solo con
l’intenzione di
ubriacarsi e portarsi a letto la barista, l’unica del locale,
IO! Ogni volta
che mi allontanavo da quei bulletti temevo che all’uscita dal
locale li avrei
trovati con spranghe e catene tra le mani, odiavo, odiavo con tutta me
stessa
quella vita! Miseriaccia!
Ecco perché la fantasia, i libri e i film erano
la mia unica finestrella per respirare un po’
d’aria pulita di campo dopo
un’intera vita in città tra smog e odore di
cassonetti pieni.
Ok, forse esageravo. Ma d’altronde che opportunità
avevo di fronte a me? Nessuna!
E allora eccomi lì, davanti a un televisore
mentre mi guardo per la…penso sia stata la 25esima volta, Il
signore degli
anelli. Storia a dir poco meravigliosa, la conoscevo tutta a memoria! E
come
può capitare a chiunque nell’appassionarsi a una
storia ci si appassiona a un
personaggio in particolare, che sia un protagonista o meno,
c’è sempre qualcuno
che ci affascina di più rispetto agli altri.
Per me era lui.
Incredibile, ma vero.
La sua figura di uomo fiero e valoroso, che si
vuol dimostrare di ferro ma in realtà è debole
tanto da arrivare a tradire i
propri compagni.
Lui, l’Uomo per eccellenza, colui che pentendosi
del suo errore si è sacrificato per i suoi amici, colui che
è morto con valore.
Lui, la figura più tormentata di tutta la storia,
quello che subisce una guerra maggiore al suo interno rispetto a quella
che
combatte con spada e scudo.
Lui.
Boromir.
Era incredibile come era riuscito a rendermi
completamente partecipe dei suoi sentimenti nonostante
l’autore e il regista
non ne parlino poi in maniera troppo approfondita, ma infondo era
questo il
bello: il lasciar spazio alla mia immaginazione, era come per un uomo
vedere
una donna con una lunga gonna che le lascia scoperte solo le caviglie.
Lo
eccita di più che di una donna in minigonna
perché lascia spazio
all’immaginazione che può rendere le cose ancor
più belle e interessanti di
quello che in realtà siano.
Senza
spostare lo sguardo da sopra il soffitto
spensi il televisore e mi trascinai a peso morto sul letto, dove mi
addormentai
all’istante. Era stata una giornata pesante e fare le 5 per
vedere di nuovo il
DVD del Signore degli Anelli non era stata la cosa migliore quel
giorno.
Eppure dormii beatamente, cullata dalla magnifica
voce di Enya, udendo in lontananza spade che si incrociavano e scudi
che si
spezzavano. Un corno in richiesta di aiuto.
E poi, non contenta di ciò che avevo appena visto
con gli occhi, vidi anche con la mente, nei miei sogni, quel volto da
uomo rude
che tanto mi affascinava e il momento della sua valorosa caduta.
A volte mi chiedevo come sarebbe proseguita la
storia se lui si fosse salvato, se Aragorn fosse arrivato prima, se
Merry e Pipino
non fossero stati così sciocchi da attirare
l’attenzione su di loro per poi
lasciarsi catturare.
Cosa avrei dato per riuscire a vedere il suo
volto, accarezzare, sfiorare con la punta delle dita il sangue che
colava al di
fuori del suo corpo, sentirne il calore, magari anche aiutarlo,
salvarlo
e…poter sentire sulle sue labbra il sapore della morte
appena sconfitta.
Molte volte ci avevo pensato, così tante da farne
diventare una vera e propria ossessione, avevo scritto tante volte su
un pezzo
di carta come mi sarei comportata in caso, una fan fiction su come lo avrei salvato e
come me ne sarei
innamorata.
Un altro sospiro, impercettibile nella notte.
Urla.
Urla nel fuoco.
E un occhio che guarda il mondo che presto farà
suo.
Non fu un sogno tranquillo quello, aveva sognato
i magnifici paesaggi della Nuova Zelanda usati da Peter Jackson nel suo
film,
ne aveva immaginati di nuovi, aveva visto volti e baciato labbra
morenti. Ma
ovunque c’era morte, distruzione, la fine,
l’oscurità che in un abbraccio di
fiamme ingoiava quel meraviglioso mondo che era la Terra di Mezzo.
La fine.
O forse… l’inizio.
Il
risveglio fu altrettanto spaventoso, forse più
del sogno. Anzi, no, sicuramente più del sogno. Mi ero
addormentata beata tra
le fresche lenzuola, ritirate quella sera stessa dal bucato,
abbracciando il
mio orsetto (ebbene sì, dormivo con un orsetto) e mi ero
risvegliata su un
prato bagnato di rugiada, con il sole che mi abbagliava nelle sue prime
ore del
giorno e abbracciata a un sasso sporco di fango, muffe e muschio.
Spaventata mi alzai in piedi, eppure ero sempre
in pigiama, segno che non ero giunta lì dopo una sbornia al
pub con gli amici.
Ero veramente andata a dormire. Che fossi sonnambula? Sì, ma
anche fosse… come
diavolo avevo fatto ad arrivare in quel posto sconosciuto? Non
c’era l’ombra
della città nemmeno se guardavo verso l’orizzonte,
solo prati, boschi, sassi e
colline. Un fiume scorreva poco più avanti, ai piedi di
quella collinetta su
cui mi ero svegliata, molto carino a vedersi ma
<< DOVE DIAVOLO SONO?? >>.
Ok, ero in preda al panico più accecante. Cercai
di fare mente locale: ero in pigiama nel bel mezzo del nulla, la sera
prima ero
nella mia camera e adesso mi trovavo lì… nel bel
mezzo del nulla!!!! Nulla!
Però in quel nulla doveva esserci per forza
qualcosa, qualcosa che forse riposava beatamente e che il mio grido
aveva
svegliato. Sentii un urlo di uccelli dietro di me, un urlo terrificante
che mi
fece venire i brividi a partire dal tallone fino alla punta dei miei
capelli
biondi sparati verso l’alto grazie al fango che aveva fatto
da gel.
Mi voltai improvvisamente sicura che quell’urlo
fosse provenuto da dietro di me e non mi sbagliai. Un grosso uccello
nero volò
a qualche centimetro dalla mia testa urlando chissà quale
maledizione contro
chissà chi. Non che la cosa mi interessasse più
di tanto, ma quella planata e
quelle sue imprecazioni in uccellesco causarono la mia caduta
giù per la
collina. Rotolai come una pallina ferendomi con qualche sassolino e
sporcandomi
tanto da sembrare che avessi fatto una tinta ai capelli per diventare
mora con
meches verdi e un operazione chirurgica alla pelle per diventare
marocchina.
Non ebbi purtroppo modo di constatare troppo i
danni in quanto una volta arrivata in fondo e caduta nel fiume avevo
già perso
i sensi. Mi salvai solo grazie ad un tronco e alla forza della
disperazione che
prima di abbandonarmi insieme ai sensi
mi aveva portato ad abbarbicarmi come un’edera a
questo mia ciambella
con paperella improvvisata.
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Capitolo 2 *** Dove diavolo sono? ***
“Dove
diavolo sono? Dove diavolo sono? Dove
diavolo sono?”
Domanda che rimbombava nella mia testa come un
urlo in cima a una montagna e che, avendo lo stesso effetto,
cominciò a
trasformarsi in “Ve diavolo sono?... diavolo sono?.... volo
sono?....sono?”.
Mi ripresi pian piano e il sentire di nuovo delle
lenzuola sotto di me mi rincuorava.
“sono?” continuava l’eco dei miei
pensieri.
Riuscii anche ad avere sensibilità nelle dita dei
piedi che mossi convulsamente per constatare che ci fossero ancora
tutte.
“sono?”.
Ok, stavo sicuramente prendendo conoscenza.
“sono?”.
Mi ricordai dell’esperienza appena avuta.
“sono?”…
“sono?”…
“sono?”…
<< SONO VIVA!!! >> Urlai aprendo gli
occhi all’improvviso e alzandomi a sedere. Ok, sì,
ero viva veramente! Che
bello! E mi ero sognata tutto perché ero in un letto e non
più in mezzo al
nulla.
Ma…
Quello non era il mio letto.
Quella non era la mia stanza.
E…quello non era il mio pigiama!!!
Non ci stavo più capendo niente.
<< Dove diavolo sono? >> ecco
un’altra volta. Quelle parole ormai sembravano essere le
uniche che fossi in
grado di dire, se mi avessero chiesto il mio nome in quel momento
probabilmente
avrei risposto “Dove diavolo sono?” e sarei stata
chiamata in quella maniera
per il resto della mia vita.
Mi ammorbidii sul letto, non era il caso di
irrigidirsi, anche perché stavo cominciando a perdere le
speranze di capirci
qualcosa. Le risposte sarebbero piovute dal cielo come aveva fatto
quell’uccellaccio del malaugurio. Tanto in quel momento non
c’erano colline o
fiumi, quindi il massimo del pericolo che avrei corso sarebbe stato
quello di
cadere dal letto.
La porta alla mia sinistra si aprì e una
splendida fanciulla vestita di un incantevole abito nero e rosso in
velluto si
fece avanti guardandomi con gli occhi pieni di allegria.
<< Siete viva allora! >>.
Lei…Possibile che…no, stavo ancora sognando!
Non poteva essere veramente Arwen! Sì,
sicuramente stavo sognando, accidenti dovevo fare i complimenti a me
stessa al
risveglio non ero mai riuscita a sognare qualcosa di tanto realistico.
Intanto però era meglio muoversi che rimanere
imbambolata con la faccia da triglia e gli occhi puntati sul vestito
dell’elfa
come uno scippatore punta la borsetta di una povera vecchietta.
No, forza! Dovevo parlare…dire qualcosa… anche un
semplice “Arwen!” con meraviglia. Sarebbe stato
già un buon inizio.
<< E bello vedervi sveglia, abbiamo temuto
il peggio >> continuava a parlare lei avvicinandosi.
“Forza parla!!!” Mi imponevo
“Dì, A-R-W-E-N… non
è difficile. Dai su, bocca, ripeti con me
AAAAAArweeeennnn”
<< Dove diavolo sono? >> Ecco era
proprio quello che intendevo! Forse ero davvero diventata minorata
mentale,
forse davvero avevo perso la facoltà della
parola…e se mischiassi le tre parole
dell’unica frase che ero in grado di dire? Chissà
che non avrebbero assunto un
significato diverso. Magari il dire “Sono diavolo
dove?” era un modo per dire
“ciao, come stai?”, e se avessi fatto
l’anagramma? “Lodo vove disaono?” poteva
voler dire “tutto bene, grazie e tu?”.
<< Siete a Gran Burrone, vi abbiamo trovata
priva di sensi nel fiume e vi abbiamo dato cure e abiti puliti. Vi
sentite
meglio? >>
Forza! Era il mio momento! Avevo avuto la mia
risposta, ora dovevo mostrare di non aver sbattuto la testa tanto forte
da aver
rincoglionito quel povero cricetino che correva nella ruota
all’interno del mio
cervello. Dai, su! Potevo farcela! Bastava aprire la bocca e dire
qualcosa che
non fosse…
<< Dove diavolo sono? >> E dopo
questa potevo benissimo alzarmi, aprire le finestre e provare
l’ebbrezza di
volare senza l’uso di un paracadute. Arwen mi
guardò un po’ torva, e meno male!
Io fossi stata in lei avrei reagito anche peggio.
Scossi la testa, dovevo ritornare in me!
Assolutamente.
<< Sì..bene >> ehi!! Era
già un
enorme passo avanti! Facevo grandi progressi, se i commissari
dell’Università
mi avessero visto apprendere con così tanta bravura
l’arte della parola mi
avrebbero sicuramente preso………ma non
diciamo boiate!! Avrebbero fatto riaprire
i manicomi solo per me.
<< Dovete aver battuto forte la testa,
penso che abbiate bisogno ancora di un po’ di riposo. Qui
siete al sicuro,
dormite pure >> E Arwen si impossessa della palla, scarta
gli avversari,
tira un calcio alla sottoscritta tiraaaa….e fa goallllll!!!!
Lo stadio in
delirio, stending ovation per la grandissima elfa campionessa della
coppa
Italia.
<< Posso sapere solo il vostro nome, prima
che vi lasci sola? >>.
Codice rosso!
Codice rosso!
Codice rosso!
Il nome?? Ehi, se mi chiedeva di spiegarle perché
E=MC al quadrato sarebbe stato più semplice.
Qual’era il mio nome? Suvvia!! L’avevo ripetuto e
scritto così tante volte in quei 22 anni, non poteva essere
un semplice trauma
da quattro soldi come quello a bloccarmi, nella vita capita di peggio
che
addormentarsi in camera propria e svegliarsi tra i campi di un libro
fantasy e
essere attaccata da un oggetto volante non identificato.
Il nome, su. Non era difficile. Una volta ne
avevo uno…cominciava
per…T…T…Tabaccheria? No, no quello era
il nome della donna
che vendeva le sigarette a mio fratello. Forse
era…C…C…C…cencio? Si,
c’era il
90% di possiblità che mi chiamassi Cencio, meglio conosciuta
come Straccio!
Aspetta! Straccio.
S… sì!! Cominciava per S!
<< Susanna! >> dissi istintivamente,
poi sgranai gli occhi << No! Sterile >> Ma
che stavo dicendo?! Cosa
gliene poteva importare all’elfa se ero fertile o meno!
<< No, no. S..scuderia! Sole! Stirare!
Staffetta! Salmone! Sciacquetta >> No, non era proprio il
caso.
<< S…S…>>
<< Non vi ricordate il vostro nome?
>> Mi venne incontro Arwen, visibilmente preoccupata.
<< S..sturalavandini! Stolta!!!! >>
Non mi arrendevo. Ero sicura cominciava per S, ma qual’era?
Beh, forse il nome
Stolta non sarebbe poi stato tanto inappropriato per una come me.
<< Sciaquone! >> niente niente!
Continuavo a dire cose senza senso! <<
S…s…S……… Dove
diavolo sono?
>> ecco, finalmente ero tornata in me e dicevo cose
sensate. << Ok, non preoccupatevi
>> Mi
sorrise Arwen, poveretta cosa le stavo facendo passare.
<< Riposate
ancora un po’, forse più tardi ve lo ricorderete
>> E si allontanò dal
letto. Io mi ero arresa e mi ripromisi che mai più avrei
parlato finchè non
fossi tornata a casa.
La guardai andar via ancora più confusa di prima:
che dovevo fare? Che stava succedendo? Ma soprattutto..
<< Dove diavolo s…>> Eccolo!!!!
Era
tornato! Ne ero sicura! << Sophia! >> Urlai
così forte da far
sobbalzare la povera elfa che entrando nuovamente in camera si
guardò attorno
convinta che avessi chiamato qualcuno.
<< Sophia >> Ripetei entusiasta, non
osai aggiungere altro.
<< Vi chiamate Sophia? Bene, sono contenta
che ve lo siate ricordato. >>
Sorrisi entusiasta e mi levai le lenzuola da di
dosso. Ovunque ero, per qualsiasi motivo ero lì non osavo
riaddormentarmi! Mi
trovavo in una bellissima favola e anche se il cervello nella
colluttazione con
i sassi durante la caduta doveva aver avuto qualche danno alle manopole
e ai
fili tanto da farmi dire cose prive di logica e fondamento, avrei
trovato il
modo di passare lo stesso una bella giornata.
<< Ma no! Stendetevi, dovete riposare!
>> Tentò di dirmi Arwen ma né io
né il cricetino Ruphus del mio cervello
l’ascoltammo e uscimmo di corsa dalla stanza ignara del fatto
che ero con
addosso una vestaglia da notte.
Ok, forse era meglio se rimanevo a letto. Che
fossi invecchiata improvvisamente?? Mi tastai la faccia, non
c’era traccia di
rughe e i miei capelli…li guardai: erano sempre biondi! Ok,
non ero vecchia, ma
allora perché non riuscivo a stare in piedi? Le ginocchia mi
tremavano tanto
che dovetti aggrapparmi alla porta per non cadere a terra e sentivo una
fitta
di dolore partire dal ginocchio sinistro e arrivare fino alla spalla
destra.
Un neonato sarebbe stato più capace di me in quel
momento. Arwen mi venne incontro e mi aiutò a rimanere in
piedi e a non
accasciarmi a terra come un pera cotta appena lanciata contro il
pavimento,
atterrando con un sonoro SPLASH!
<< Dovete tornare a letto, Sophia, non vi
siete ancora ripresa completamente, siete gravemente ferita.
>>
Ecco risolto l’arcano, appena fossi riuscita a
riacquistare il potere della parola l’avrei ringraziata, in
quel momento non
osavo dire assolutamente niente.
Ok, forse aveva ragione l’elfa, forse avrei fatto
meglio a tornare a letto, non riuscivo nemmeno a
reggermi in piedi! Come diavolo avrei fatto a
girovagare per quel luogo meraviglioso osservando i magnifici alberi,
le stanze
decorate in maniera divina, come avrei fatto a conoscere quegli elfi
dalle
movenze e dalla grazia così eleganti? Come avrei fatto ad
ammirare la natura
che circondava quel posto, le rocce scoscese delle montagne degne
dell’Eden?
Come avrei fatto a…. al diavolo!!!!! Non sapevo camminare?
Perfetto! Avrei
gattonato! E se non riuscivo nemmeno a gattonare avrei strisciato!
“Mettiti tu a letto, Miss Fortuna!”pensai e
cercai di raccogliere in me tutte le energie impegnandomi come Goku si
impegna
per diventare super Sayan. Non mi sarei stupita di vedere i miei
capelli
rizzarsi sopra la testa e un’aura avvolgermi
rumoreggiando con uno strano “swish swish
swish”.
Ok, Sophia, un passo alla volta. Non è difficile.
Alzai una gamba “bravissima!!!! Continua
così!” esultai dentro di me e tentai
di posare la gamba a terra ma non resse il peso del corpo e caddi a
terra.
SPLASH!
Ero sicura di averlo sentito.
<< Ohi ohi >> Mugolai. Incredibile!!
Avevo detto altre parole.
Andiamo, Sophia!! Non potevo tradirmi proprio in
quel momento, Ruphus doveva darmi una mano, poveraccio
chissà com’era conciato
povero criceto nella mia mente!
In quel momento sentii un rumore di zoccoli
provenire da un piazzale poco lontano.
<< Devono essere arrivati i rappresentanti
delle razze per il Consiglio di Elrond. >> Disse Arwen
più a se stessa
che a me.
Mi alzai all’improvviso! Rappresentati delle
razze? Consiglio di Elrond? Ero DENTRO la storia!
Cominciai a saltellare gioiosamente andando verso
il piazzale, come Heidi saltellava verso le sue pecorelle, e
canticchiando la
colonna sonora del film a voce così alta che non mi sarei
stupita se Arwen
fosse corsa da suo padre urlando “E’ posseduta!!!
Chiama l’esorcista!”.
Arrivai ad un balcone che dava sul piazzale da
cui si poteva accedere attraverso una scalinata fatta con della pietra
così
bianca da sembrare innevata.
Mi affacciai dal cornicione con gli occhi lucidi
e li vidi. Stavano arrivando, uno dopo l’altro: Legolas,
Gimli, Boromir e altri
nani, elfi e uomini. Ma che sogno stupendo!!! Non mi sarei voluta
svegliare mai
più! Ma…nei sogni si può provare
dolore? Evidentemente sì.
Corsi verso la scala gridando << Ommioddio,
ommioddio, ommioddio, ommioddio, ommaaaaaaaaaaahhhhhhhhh
>> No, l’ultimo
non era un imprecazione e nemmeno un urlo di gioia, era semplicemente
il
risultato di un piede messo male su uno di quegli scalini assassini e
di una
scivolata giù. Raggiunsi il piazzale di sedere, ora ero
completamente
distrutta. Non mi sarei stupita se nell’alzarmi in piedi
braccia, gambe e testa
si fossero staccate dal resto del corpo, se fossi stata di bulloni
invece che
di carne e ossa sicuramente mi sarei ritrovata con la testa a pochi
metri dal
corpo che gridava direttive a quest’ultimo per andare a
riprenderla.
<< Tutto bene? >> Un voce!!!!!!!!
Spalancai gli occhi…una mano!!!! A pochi centimetri dal mio
naso, una mano
aperta mi stava parlando! Accidenti quanti calli! Guardai sconvolta la
mano,
non ricordavo che Tolkien avesse infilato anche mani parlanti nel suo
racconto.
<< Sì, più o
m…>> fermi tutti. Un
polso. Un braccio. Una spalla. Un corpo. Un volto. Oh mamma! Un volto!
Una
testa! Oh mio Dio! Una testa attaccata a un corpo. Ok, no forse questo
non era
poi tanto strano, ma…quella testa!
Non UNA testa, ma QUELLA testa.
Boromir.
“Ok, Sophia. Mantieni la calma, hai fatto passi
da gigante, puoi benissimo concludere la frase che avevi iniziato anche
di
fronte all’uomo che per anni hai sognato.” Insomma
non era cambiato niente se
non che adesso avevo di fronte un…bellissimo corpo scolpito,
che si teneva in
piedi fiero come uno stallone, con mani callose segno di battaglie
affrontate e
vinte, mani che avrebbero potuto trasmettere a una ragazza la sicurezza
di cui
aveva bisogno, e con un viso da uomo rude, da vero uomo! Con una barba
ispida
ben curata e occhi azzurri come il cielo, così belli,
profondi e penetranti.
…..
Per quanto tempo ero rimasta immobile a guardarlo
con lo sguardo da tartaruga in pieno orgasmo?
Forse troppo, decisamente troppo, e sicuramente
non ero passata inosservata in quanto lo vidi alzare un sopracciglio
imbarazzato, sicuramente nessuno gli aveva mai fatto una radiografia
tanto
accurata.
Bene, era ora di riprendersi. Dovevo, ahimè,
parlare. Dai, c’ero riuscita fino a quel momento, sembrava mi
fossi ripresa dal
momento in cui Heidi era corsa incontro alle sue pecorelle, era facile!
Avevo
già detto metà della frase, mancava un piccolo
passetto per arrivare al
traguardo.
Mossi le labbra…ma non uscì suono.
Ok, Sophia, ricorda devi muovere simultaneamente
labbra, lingua e far uscire aria facendo vibrare le corde vocali. Non
mi era
mai parso tanto difficile!
Ok, con il movimento di labbra c’ero.
Ritentai muovendo solo la lingua. Ma che brava!!!
Ok, ritenta sarai più fortunata!
Rimasi a bocca spalancata emettendo un flebile
<< Eeehhh >>.
“Ruphus maledizione!!! Devi far fare le tre cose
contemporaneamente! Smettila di prenderti gioco di me!” Dai,
le tre cose
separatamente ero riuscita a farle, ora dovevo…
<< Dama Sophia! >> Sentii urlare
dalle mie spalle, Arwen mi era venuta dietro…ma
perché ci aveva messo tanto ad
arrivare? Soffriva anche lei la sindrome del bagnino di BayWatch?
Boromir alzò la testa e guardò Arwen scendere gli
scalini per venire verso di me.
<< Mia Signora, Arwen. Ho udito un urlo e
ho veduto lei >> disse indicandomi con un cenno del capo
<< Cadere
dalle scale. Temo abbia battuto la testa. >>
Sei arrivato tardi bel fusto, l’avevo già battuta
prima chissà quante volte.
<< Glielo avevo detto io che era meglio se
rimaneva a riposo un altro po’ nel letto, l’abbiamo
trovata questa mattina nel
Bruinen priva di sensi e gravemente ferita >>
<< Dove diavolo sono? >> Chi diavolo
mi aveva interpellato?!?!?!
<< Credo abbia subito un grosso trauma non
fa altro che ripetere questa frase >>.
Trauma? Nessun trauma, semplicemente Ruphus
doveva aver esagerato con
le scorte del
vino che aveva in cantina.
<< Ora capisco il perché del suo
comportamento >> sorrise compassionevole Boromir
guardandomi. “Non
guardarmi così! Non guardarmi così! Il cuore!!!
Qualcuno fermi il mio cuore,
sta fuggendo!! Prendetelo!!!”.
Intanto però nessuno si degnava di aiutarmi ad
alzarmi! Bah, questi elfi con manie di protagonismo, me ne sarei
ricordata mia
cara Arwen, avrei avuto la mia dolce e succulenta vendetta.
<< Volete che vi aiuti a riportarla in
camera sua? >>, disse il galantuomo. Ma che carino, si
era finalmente
preoccupato di questa povera disgraziata che spelava le margherite
pensando
“m’ama non m’ama” mentre
aspettava di essere messa in piedi.
<< No, non preoccupatevi >>
VENDETTA!!!!!
<< Elrond vi starà aspettando per
cominciare il suo consiglio, non fatelo aspettare ancora
>>.
Boromir fece un inchino e si allontanò.
Intanto, nella mia testa, qualcosa di strano
stava accadendo. Ruphus aveva alzato la musica a palla e aveva
cominciato a
ballare cantando a squarciagola “consiglio di Elrond!
Consiglio di Elrond!”.
Mi misi a quattro zampe e cominciai a gattonare
velocemente nella stessa direzione di Boromir: non dovevo perdermelo!
<< Dama Sophia dove andate! Tornate
indietro! >> Disse venendomi vicino a cercando di
fermarmi. Non mi sarei
stupita se mi fossi voltata di scatto verso di lei ringhiando come un
cane
minacciato di essere privato della sua cena. Per fortuna ciò
non accadde ma mi
limitai ad abbaiare
<< Elrond! Elrond >> continuando a
gattonare.
<< Volete vedere mio padre? Ora lui è
impegnato in un
consiglio in cui non
siamo stati invitati, non possiamo avvicinarci a... >> Le
impedii di
continuare la frase, mi alzai in piedi (se avessi continuato a
camminare a
quattro zampe sarei arrivata una settimana dopo) e cominciai a correre.
<< Dama Sophia, no! Tornate indietro è
proibito avvicinarsi al consiglio segreto! >> Ma inutile,
di certo non mi
avrebbe fermato con due paroline senza valore come quelle. Nella mia
testa
Ruphus non faceva altro che urlare “CORRI FOREST!!”
e ciò mi bastava a darmi
l’energia per continuare a muovere le gambe simultaneamente
in quella maniera.
Cominciai a canticchiare la colonna sonora di
Forest Gump e senza
avere la più pallida
idea di come fossi riuscita, raggiunsi il misterioso consiglio.
Mi accasciai dietro una colonna a riprendere
fiato e dare qualche colpo alle gambe per verificare che fossero ancora
attaccate al corpo. Non m’ero mai sentita tanto male ma
soprattutto non avevo
mai messo la mia salute all’ultimo posto della graduatoria
dei miei interessi
come stavo facendo in quel momento. Arwen si era fermata poco
più indietro,
voleva mantenere fede al giuramento fatto di non prendere parte al
Consiglio, e
intanto mi faceva cenni per convincermi ad allontanarmi.
Io, da brava maleducata qual’ero, mi portai un
dito al naso facendole cenno di stare zitta e mi sporsi appena appena
al di là
della colonna per riuscire a vedere qualcosa. Il consiglio era appena
iniziato
e non ricordo di aver provato mai un emozione tanto forte. Avevo
l’affanno e mi
tremavano braccia e gambe.
<< Stranieri di remoti paesi, amici di
vecchia data. Siete stati convocati per rispondere alla minaccia di
Mordor. La
Terra di Mezzo è sull'orlo della distruzione. Nessuno
può sfuggire. O vi
unirete o crollerete. Ogni razza è obbligata a questo fato,
a questa sorte
drammatica. Porta qui l'Anello, Frodo. >>
Cominciò il suo discorso Elrond
e Frodo da bravo e obbediente hobbit posò l’anello
al centro della sala su un
piccolo piedistallo. Era strano ma perfino io riuscivo a percepirne la
potenza,
era come se sprigionasse tante piccole e invisibili scariche
elettriche.
<< Allora è vero >> sentii
borbottare
Boromir e alzai gli occhi al cielo scuotendo la testa “No,
razza di idiota, sei
su Scherzi a Parte!” pensai prima di tornare ad origliare.
<< Questo è un dono. Un dono ai nemici di
Mordor. Perché non usare l'Anello? A lungo mio padre,
Sovrintendente di Gondor,
ha tenuto le forze di Mordor a bada. Grazie al sangue del nostro
popolo, tutte
le vostre terre sono rimaste al sicuro. Date a Gondor l'arma del
nemico.
Usiamola contro di lui! >>
continuò Boromir alzandosi in piedi e io feci
un’altra smorfia. Boromir
vantava di saper molte cose e non sapeva che l’anello voleva
solo tornare dal
suo padrone? Insomma! E’ come se Einstein non avesse saputo
che il fuoco se
toccato brucia!
Finalmente intervenne Aragorn, l’unico con un
briciolo di cervello, il vero saggio della situazione, altro che
Cappello a
Punta!
<< Non potete servirvene. Nessuno di noi
può. L'Unico Anello risponde soltanto a Sauron. Non ha altri
padroni. >>
“yep, yep” pensai annuendo fiera, manco fossi stata
sua madre.
<< E cosa ne sa un Ramingo di questa faccenda?
>> “Sicuramente
più di te!
Trottolino amoroso, dududu dadada “, è vero, non
avevo una grande stima di lui
in quel momento, ma solo perché si stava semplicemente
rendendo un pochetto
ridicolo.
<< Non è un semplice Ramingo. Lui è
Aragorn, figlio di Arathorn. Si deve a lui la vostra alleanza.
>>
Intervenne il mitico Legolas, l’unico elfo che mai abbia
ammirato e apprezzato
perché era un elfo sveglio, scattante, era aggraziato e
letale allo stesso
tempo, ma cosa più importante era rapido! Era uno dei pochi
elfi che non era
caduto vittima della sindrome di Bagnino di Baywatch.
Sì, era il migliore!
<< Aragorn? Questo è l'erede di Isildur?
>> Chiese Boromir “Carramba che
sorpresa!”.
<< Ed erede al trono di Gondor. >>
Colpito e affondato! Legolas risulta vincitore di questa prima fase di
battaglia navale.
<< Havo dad, Legolas >> sussurrò
Aragorn cercando di calmare i bollenti spiriti dell’amico, ma
che bravo
ramingo! Se un giorno avessi mai avuto l’occasione di
conoscerlo meglio mi
sarei messa a sedere davanti a lui pregandolo di raccontarmi qualche
storia
“raccontaci un’altra storia, papà
Castoro”.
<< Gondor non ha un re. A Gondor non serve
un re. >> Ottima uscita di scena per un povero perdente.
Il consiglio proseguì a lungo con la spiegazione
di Elrond su come distruggere l’anello, col tentativo
fallimentare di Gimli di
distruggerlo e con una lite degna delle riunioni di condominio del mio
palazzo.
Il tutto si concluse con la coraggiosa iniziativa di Frodo
<< Lo porterò io! >>
Gridò una prima
volta, ma nessuno degnò lui di uno sguardo <<
Lo porterò io! >>
urlò ancora e finalmente qualcuno si voltò ad
ascoltarlo. Alcuni erano
sorpresi, altri spaventati, altri scettici. Povero piccoletto, nessuno
aveva
fiducia in lui.
<< Porterò io l'Anello a Mordor. Solo...
non conosco la strada. >> Disse con l’aria di
un povero cerbiatto davanti
a un cacciatore. Certo, il farsi vedere così timoroso non
era la migliore
pubblicità, ma riuscì ugualmente a convincere
Elrond e gli altri 8 ad
aggregarsi a lui: Gandalf, Aragorn, Gimli, Legolas, Boromir, Sam, Merry
e
Pipino.
Avrei tanto voluto uscire anch’io gridando
“andrò
anch’ioooo” come avevano fatto i tre hobbit ma
avevo troppa paura di
accasciarmi a terra davanti a tutti a causa della mia debolezza
gridando “dove
diavolo sono?”. Se quella di Frodo non era stata una gran
bella pubblicità la
mia sarebbe stata pessima. Così strisciai lontano dal
circolo del consiglio e
riavvicinandomi ad Arwen mi sorbii il suo sermone sul <<
Siete stata
un’incosciente! Aveva trasgredito le regole, mio padre
sarà furioso bla bla bla
>>. Ovviamente
non ascoltai
nemmeno una parola, la mia mente cercava di macchinare un piano per
intrufolarmi nella compagnia. Forse il modo migliore sarebbe stato
rendere al
corrente Elrond, era un elfo saggio e sapevo benissimo che non sarebbe
andato
in giro a urlare “Questa donna sa tutto!! Vinceremo! Non
abbiate timore”. Ma
ovviamente per portare a termine la missione dovevo fare una cosa di
estrema
importanza: PARLARE!
Beh, il fatto che avessi ricominciato a pensare
in maniera semirazionale poteva essere segno di un miglioramento, forse
il
trauma era passato. Mi voltai verso Arwen, potevo benissimo
sperimentare su di
lei le mie capacità.
<< Dove diavolo sono? >> ok, no, ero
un caso perso.
<< Forse, sarebbe meglio che voi riposiate
>> Mi disse Arwen seriamente preoccupata. Riposare?? Mai!
Dovevo parlare
con Elrond in quel preciso istante o non avrei più avuto
modo di partire
insieme alla compagnia. Perché volevo partire? Diamine! Era
il mio sogno, volevo
viverlo prima di risvegliarmi! E volevo provare a salvare Boromir,
dovevo
tirarlo fuori dalla sua condizione di rincoglionimento totale. Era
peggio che
vedere un drogato dopo una settimana di astinenza.
<< No >> Avevo parlato!! Evviva!
<< Dove diav… >> scossi la testa
“Su, su Sophia! Concentrati!”
<< Devo parlare con tuo padre, Arwen >>
Evviva!! Su le mani!
<< Con mio padre? >> chiese in un mix
di emozioni tra il sorpreso e il felice, finalmente avevo detto
qualcosa di
sensato. << E…conoscete il mio nome?
>>
<< E non solo quello >> dissi
guardando Arwen con lo stesso sguardo di uno che cerca di abbordare una
bella
bionda. << Allora mi porti da tuo padre sì o
no? >> La formalità
l’avevo buttata alle ortiche, era come una vecchia amica, ci
mancava solo che
prendendola sotto braccio cominciassi a dirle “Allora Arwen,
dimmi un po’ come
va la tua vita sessuale con Aragorn?”.
<< Sì, certo, ma non è il caso di
mostrarsi
a lui in queste condizioni >> Mi guardai, che avevo di
sbagliato? Che non
le andassero bene le macchie d’erba sul vestito?
<< Siete in veste da notte! >> Mi
fece notare. La guardai in un mix tra delusione e lo scocciato, era
solo
quello??
<< Al diavolo la veste! Voglio vedere
Bellicapelli, ora! >> Dissi cominciando a vagare per quei
giardini
sperando di trovarlo da sola, se avessi aspettato Arwen sarei diventata
vecchia.
<< Dev’essere davvero qualcosa di
importante se vi turba in questa maniera >>
constatò << Vado a
chiamarlo, aspettatemi qui >>
<< Fai, fai, io per ammazzare il tempo
comincio a scrivere il mio testamento >>, dissi
mettendomi a sedere su
una panca in marmo in quel meraviglioso giardino.
“E se la mia presenza nella compagnia cambiasse
il corso della storia tanto da cambiarne anche il finale?” mi
chiesi
cominciando a farmi seria.
“Di che devo preoccuparmi? E’ solo un sogno,
anche se fosse non succederebbe niente di male. Anche se sembra tutto
così
reale” mi guardai le innumerevoli ferite su tutto il corpo,
non ero mai stata
così malconcia. Mi presi una porzione di pelle sul braccio e
la tirai usando
tutta la mia forza e mi feci malissimo!
<< Ommioddio sono sveglia!! >>
Constatai urlando e alzandomi in piedi di scatto. Non era tutto un
sogno! Ero
veramente lì, ma come diavolo c’ero arrivata?
<< Ed è una bella notizia non pensate?
>> disse una voce. Alzai lo sguardo, era Elrond! E aveva
sentito ciò che
avevo detto! Arwen ci aveva messo molto meno tempo di quanto
immaginassi.
Sbattei le palpebre un paio di volte, il trauma stava tornando! No! Non
in quel
momento! Dovevo parlare dicendo cose sensate, dovevo spiegargli
che…spiegare
cosa? Volevo veramente partire? E se ciò avesse causato la
distruzione
dell’intera Terra di Mezzo? Non potevo correre questo
rischio, ma era anche
vero che… se davvero ne avevo la possibilità, mai
avrei rifiutato di salvare
Boromir.
Sicuramente però prima avrei dovuto diminuire il
tempo che mi serviva per fare certe riflessioni, ancora una volta ero
rimasta
imbambolata di fronte a Bellicapelli.
<< State bene? >> Mi chiese
preoccupato, o forse semplicemente scocciato del fatto che fosse stato
interrotto per sorbirsi le stranezze di questa ragazza caduta dal
cielo, come
tutte le disgrazie d’altronde.
<< Sì >> dissi, ok, era un buon
primo
passo, forza Ruphus non abbandonarmi proprio in questo momento!
<< Io…voglio entrare a far parte della
compagnia! >> Ma che brava! Mi ammiravo da sola per le
mie incredibili
capacità dialogiche.
<< Avete origliato come mastro Sam e gli
altri due piccoletti? >>
<< No!! >> dissi istintivamente, non
avevo bisogno di origliare per sapere cosa si fossero detti, ma
effettivamente…ero stata tutto il tempo dietro la colonna ad
ascoltare.
<< Sì >> ammisi <<
Ma ciò non ha importanza! L’importante
è
che io sono…stata mandata >> piccola bugia a
fin di bene << Per
vegliare sulla compagnia >> L’angelo Gabriele
non poteva fare
annunciazione di maggior effetto.
<< No, noi vi abbiamo trovato morente nel
fiume >>
<< Piccolo incidente di percorso. Messer
Auron… >> eh?? Che stavo sparando!
<< Elrond! >> Mi corressi
subito “maledizione Ruphus ti pare questo il momento di
giocare a final
fantasy??” << Io sono in grado di prevedere il
futuro >> Ma quante
cavolate stavo sparando? Non sapevo di essere così brava
<< E so cosa
accadrà, quando accadrà e perché
accadrà. Forse non dovrei farvi questa
proposta perché le cose potrebbero cambiare e i miei
poteri…stanno svanendo da
quando sono quasi morta nel fiume. Ma so che non tutti arriveranno alla
fine di
quest’avventura, ci sono persone che perderanno la vita e io
posso…vorrei
salvarli! >>
<< Dovrei credervi? >>
<< Sì! Vi prego di farmi entrare nella
compagnia, sarei in grado di evitare molte spiacevoli situazioni.
Però è di
estrema importanza che nessuno sappia di cosa sono capace, potrebbero
approfittarsene >>.
<< Sai usare la spada? >>.
Maledizione! << No. Ma posso imparare!
>>.
<<
Saresti solo un peso lo sai? >>
<< Ma io so!!! >> dissi con lo stesso
tono che userebbe un gran cattivone nell’urlare
“conquisterò il mondo!”.
<< Dimostramelo >> Maledetto elfo
dalla poca fiducia! Feci una smorfia, sicuramente i componenti della
compagnia
si stavano preparando per la partenza. Come potevo dimostrarglielo?
Idea!
<< Vai da Frodo e chiedigli di Pungolo e di
una cotta di Mithril. Ha entrambe le cose >>
<< Pungolo? La daga di Bilbo? >>
<< Bilbo proprio in questo momento lo sta
regalando a lui, ah e…ha avuto una brutta reazione nel
vedere l’anello al collo
di Frodo >> Elrond ci pensò su qualche
secondo, era poco convinto, poi mi
annunciò la sua decisione.
<< Vai a vestirti, io interrogherò Frodo
per scoprire se hai detto la verità >> Sorrisi
soddisfatta e pregando nel
buonsenso del piccolo hobbit di dire la verità trotterellai
allegramente verso
la mia stanza dove avrei trovato abiti e armi. Armi, puah, come se mi
fossero
servite. Non sapevo usare il coltello per tagliare il pane, dovevo
saper usare
una spada? E se invece avessi trovato un arco? Peggio che mai!
L’unica volta
che ho giocato a freccette ho rischiato di cavare un occhio a un
poveraccio
posto a qualche passo distante dall’obbiettivo. Arrivai in
stanza e trovai stesi
sul letto degli abiti, una spada con tanto di fodero e una daga.
Cominciai dagli abiti e cercai di capire come
metterli, erano alla fine molto semplici e molto belli. Avevo un
corpetto blu a
collo alto, smanicato che si chiudeva sul davanti con dei bottoni
marroni. Un
paio di guanti di tessuto abbastanza rigido da proteggere ma non troppo
da
impedire i movimenti, lunghi fino appena sotto il gomito. I pantaloni
anche
questi blu erano molto semplici, molto aderenti così da
permettere che si
infilassero dentro gli stivali neri in pelle, lunghi fino ai polpacci.
Avevo
anche un mantello nero bluastro con cappuccio. A questo punto mi
concentrai
sulle armi e feci una smorfia, sarebbero servite solo a impedirmi i
movimenti
ancora di più.
Però nonostante tutto erano così belle! La spada
era una semplice spada a una mano, in acciaio, l’elsa era
molto simile a quella
di Aragorn alla fin fine solo che in fondo era lunga sì e no
90 centimetri, la
guardia crociata leggermente ad arco verso la lama,
l’impugnatura rivestita di
pelle nera e sul pomolo incisa una croce greca. Il fodero in legno era
rivestito in pelle con l’estremità di metallo.
Incluso ovviamente c’era una
cintura su cui era appeso il fodero. Era un po’ strano avere
questo peso su un
fianco, sarei sicuramente diventata gobba al lungo andare e
poi…come diavolo
facevano gli altri a camminare con questa cosa che picchiava sulle
gambe?
Ancora una smorfia.
Povera me.
Presi a studiare invece la daga, anche questa
munita di fodero e apposita cintura.
Era molto simile alla spada, anche se
l’impugnatura era in legno e non aveva la croce greca incisa
sul pomolo che non
era tondo ma più…una semisfera. Di lunghezza non
superava i 60 centimetri ma
era pesante tanto quanto la spada.
<< Se metto uno da una parte e una dall’altra
almeno eviterò di sbilanciarmi >> ridacchiai
sistemandomi le armi
addosso. Mi sentivo così ingombrante! Sul letto era stato
posato anche uno
scudo tondo in legno, più grande di me! Lo lasciai
lì, mi rifiutavo
categoricamente di portare quel peso addosso. La spada e la daga
sarebbero
bastati.
Uscii dalla stanza sentendomi un’eroina delle
fiabe, mi sentivo una Dubhe delle Cronache del mondo emerso o perfino
una
sailor moon. Dovevo fare attenzione a contenermi altrimenti mi sarei
messa a
urlare in mezzo ai campi “potere del cristallo di luna vieni
a me!!” e non
sarebbe stato un bello spettacolo.
Feci due passi, stranamente avevo ritrovato le
energie per camminare, forse per via dell’emozione o forse
perché il trauma era
passato. Ma comunque non mi sentivo ancora a mio agio, la spada mi
picchiava
sempre contro il polpaccio e sapevo che entro una mezz’oretta
avrei avuto un
grosso livido bluastro quanto il mantello.
Andai nel giardino dove avevamo parlato io e
Bellicapelli, mi misi a sedere sulla solita panchina e aspettai che
l’elfo mi
corresse incontro urlando e pregandomi di prendere parte alla
spedizione.
Ero pronta! E anche Ruphus lo era!
“Quando si parte?”
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Capitolo 3 *** Certo che è proprio strana. ***
Non dovetti
aspettare molto prima di vedere
comparire Elrond però non corse e tantomeno
sembrò felice della scoperta. Cosa
lo turbava così?
<< Incredibile come tu abbia avuto ragione,
Sophia >> Mi disse una volta vicino <<
Ammetto che la tua presenza
nella compagnia ci sarebbe di grande aiuto, ma ti devo mettere in
guardia: è
una missione molto pericolosa e tu sei una donna che non sa nemmeno
legarsi una
spada in vita >> Disse facendomi cenno di sciogliere la
cinta.
Arrossii: avevo sbagliato? Dove?
Elrond si avvicinò e la legò per me. Ecco
perché
mi colpiva il polpaccio, stupida spada! L’avevo legata male!
<< Ok, lo ammetto sono una frana con le
armi, ma di braccia mi pare ce ne siano abbastanza, ci vuole qualche
mente
adesso. Non che voglia offendere l’intelligenza e la saggezza
di Aragorn e
Gandalf, ma io posso fare cose che loro non potrebbero mai. Saprei
quale via
evitare di prendere, saprei quando fermarsi a riposare
per evitare i nemici, saprei accelerare il
passo evitando interruzioni pericolose e inutili… e potrei
salvare la vita a
persone che non arriverebbero in fondo >> Dissi
incupendomi un po’. Non
volevo che Boromir morisse, non quando sapevo che io avrei potuto fare
qualcosa
per salvarlo. Mi sentivo tanto sciocca, infondo era solo una storia,
frutto
della fantasia di un geniaccio nato alla fine del 1800 e morto intorno
al 1970.
Eppure mi sentivo completamente coinvolta nella storia, non riuscivo a
rendermi
conto dell’assurdità della situazione, non
riuscivo a rendermi conto che
probabilmente stavo sognando. Ero presa completamente! Volevo arrivare
alla
fine e volevo arrivarci vincitrice, anche se non era reale. O almeno
così
credevo.
<< Dunque è questa la tua decisione?
>>.
Non avevo idea del perché fossi giunta lì ma una
cosa era certa, di sicuro non era perché dovessi imparare a
fare la maglia
insieme agli elfi! Anche se l’idea di imparare a fare quei
meravigliosi vestiti
non mi dispiaceva, forse avrei potuto fare un periodo di prova
e…no!! No! Che
diamine, dovevo partire!
<< Sì, è la mia decisione
>>. Non ero
mai stata tanto decisa, mi sorpresi da sola, tanto da spalancare gli
occhi per
un attimo e guardarmi le mani incredula. Ero veramente io? Assurdo! Ero
veramente lì? “Questa è utopia! No,
questa è…ARDAAAAAAA” pensai
così
rumorosamente, con lo stesso tono di voce di Leonida di 300, che mi fu
difficile rimanere impassibile e non scoppiare a ridere in faccia a
Bellicapelli. E questo sforzo sicuramente mi aveva provocato una
smorfia sul
volto, che chissà come l’aveva interpretata
l’elfo di fronte a me.
<< Non è un gioco >> mi disse
pensando che lo stessi prendendo in giro.
<< Scusa >> mi schiarii la gola,
chiusi gli occhi, sospiro raccoglitore << Ok, sono
pronta! >>.
Elrond mi guardò un po’ torvo, ok non avevo fatto
una buona impressione, ehi non ero pazza! Ero
semplicemente…molto spontanea.
<< Andiamo, la compagnia sta per mettersi
in cammino >>.
<< Andiam! Andiam! Andiamo ad ammazzar
orchetti e Huruk Hai, nessun si salverà a questa spada,
perché…perché io son
Sophia >> e
proseguii saltellando
e continuando a canticchiare con un
“lalalalalalala”. Incredibile, fino a
qualche minuto prima non riuscivo a stare in piedi né a
ricordare il mio nome,
ora invece saltellavo stile Heidi cantando la canzone dei tre
porcellini. Sì,
mi ero proprio ripresa.
Ma una volta giunta di fronte alla compagnia. Le
gambe mi si fecero mollicce, e un altro “la” della
canzoncina mi morì in gola
storpiandosi in un
“lllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllleeeeeeeeeeeeeeee”.
Boromir appena mi vide mi guardò con aria
interrogativa, sapevo cosa stava pensando “Bellicapelli non
vorrà che ci
portiamo dietro anche la tipa con l’hendicap”.
<< Lei è Sophia. >> mi
presentò in
tre balletti << Entrerà a far parte della
compagnia anche se non ha
partecipato, in maniera diretta almeno >> sguardo
fulmineo << al
consiglio, in quanto ritengo che le sue potenzialità vi
possano essere utili
nel vostro viaggio. >> Ma bravo, era stato vago e
convincente. Forse un
po’ troppo vago.
<< Già e ricordatevi che la parola ferisce
più della spada >> Che razza
di…Ruphus!! Sempre nei momenti meno
opportuni! Avevo tutti gli occhi puntati addosso e non sapevo come
uscire da
quell’imbarazzatissima situazione. Non volevo dirgli che non
ero in grado di
tenere in mano nemmeno un coltello da cucina, temevo che mi avrebbero
rifiutato
nella compagnia, ma allora come ne sarei uscita?
<< Tutto a tempo debito >> dissi con
diplomazia camminando stile soldatino vicino ai miei nuovi compagni di
viaggio.
Ottima sviata!
<< Sophia lascia che i tuoi nuovi compagni
si presentino a te >> mi disse Elrond sempre molto
attento alle
formalità.
<< Oh, non c’è bisogno grazie, so
già tutto
>> Ancora occhiatacce.
<< Sai tutto di tutti e non ricordi il nome
della tua famiglia né da dove provieni? >>
<< Che strana cosa vero? Un giorno ti
addormenti che credi di sapere chi sei e il giorno dopo zac!! Non
ricordi
nemmeno il tuo nome >> Maledetto Elrond!
Dov’era il mio death note quando
mi serviva? Avevo già due nomi da scrivere: Arwen,
perché aveva rifiutato
l’aiuto di Boromir di prendermi in braccio stile principessa
e portarmi in
camera, e Elrond per quella situazione. Mi stava rendendo ridicola.
<< Beh, per lo meno hai ripreso a parlare e
a camminare >> Fece notare Boromir.
<< Ho fatto passi da gigante, sono stata
brava eh? >> risposi senza guardarlo in volto o sarebbe
stato fatale. Il
cuore era già impegnato a ballare il merengue con Ruphus se
poi avessi mai
incrociato gli occhi di Boromir ero certa che la festa si sarebbe
trasformata
in un Reif Party dove a rimetterci la vita per overdose sarebbe stato
proprio
il mio povero cuoricino. E Ruphus avrebbe chiuso per lutto.
No, non volevo rischiare, le droghe sono una
brutta bestia.
Elrond si schiarì la voce ed assunse una
posizione e un tono così regale che quasi mi fece venire i
brividi, cominciando
il suo discorso
<< Il Portatore dell’Anello sta partendo
alla ricerca del Monte Fato. Egli è l’unico ad
avere degli obblighi: non
gettare l’anello, non consegnarlo a nessun servitore del
nemico, non darlo in
mano a nessuno, salvo ai membri della
compagnia e
del consiglio, ed
anche a costoro soltanto in casi estremi. Gli altri vanno con lui quali
liberi
compagni, per aiutarlo lungo il cammino. Potete tardare, o tornare
indietro, o
deviare per altri sentieri, a seconda del caso. Più avanti
andrete meno facile
sarà ritirarvi; ma sappiate che nessun giuramento e nessun
vincolo vi costringe
a fare un passo in più di quanto non vogliate: non conoscete
ancora la forza
dei vostri cuori, ed è impossibile prevedere ciò
che ognuno di voi potrebbe
incontrare per la strada. >>
Restai ad ascoltare con il cuore in gola, era
qualcosa di davvero unico, incredibile, quel discorso che aveva sempre
e solo
ascoltato attraverso uno schermo o che avevo solo letto, ora lo udivo
con le
mie orecchie, provenire da una fonte distante da me di due o tre passi.
Mi voltai e guardai negli occhi uno ad uno i miei
compagni. I quattro piccoli hobbit, che avrebbero dimostrato una
grandezza
maggiore di quella di chiunque altro. Il ramingo che per anni era
scappato dal
suo destino, ma che presto avrebbe capito l’importanza di
andarvi incontro. Il
mago che sarebbe divenuto ancora più potente.
L’elfo e il nano che sarebbero
diventati grandissimi amici in segno di riappacificazione tra le due
razze, che
erano state in astio per così tanto tempo.
E infine lui, colui che si sarebbe fatto accecare
dal potere ma che sarebbe tornato a vedere troppo tardi e sarebbe morto
per il
bene dei suoi amici.
No.
Non sarebbe morto. Io ero lì apposta, non l’avrei
mai permesso. Non sapevo ancora come, ma ero decisa, l’avrei
salvato a
qualunque prezzo.
Eravamo in viaggio già da qualche ora e per
fortuna ci eravamo fermati a fare una pausa perché
altrimenti le mie ginocchia
avrebbero fatto le valige e se ne sarebbero andate a casa mandandomi a
quel
paese. Per dindirindina! Non ero abituata a camminare per ore su pendii
tanto
scoscesi e arrampicandomi su rocce del genere, non avevo mai fatto il
servizio
militare. Cosa avrei dato per avere le potenzialità di
Legolas, sembrava
volasse tanto era agile e aggraziato.
Gandalf se ne stava appartato decidendo quale
strada prendere, mentre Gimli aveva cominciato a dirgli di passare
dalle
miniere di Moria.
<< Seguiremo questa direzione ad Ovest
delle Montagne Nebbiose per quaranta giorni. Se la fortuna ci assiste,
la
Breccia di Rohan sarà ancora aperta, e da lì
volteremo verso Est, per Mordor.
>> Decretò.
Io mi ero messa a sedere poco lontana da Aragorn
e guardavo Boromir insegnare ai due hobbit a usare la spada.
C’erano due motivi
per cui me ne stavo lì anziché guardare il
paesaggio mozzafiato intorno a
me: primo credevo non ci fosse paesaggio
più mozzafiato di quello, e poi mi aveva sempre intenerito
vedere Boromir
ridere e scherzare con quei piccoletti, come fosse un padre; secondo
avevo
anche io bisogno di imparare qualcosa, anche se solo in maniera
teorica, non avevo
il coraggio di cimentarmi anch’io nell’impresa
perché sapevo che avrei fatto
una figuraccia dietro l’altra a partire dalla
difficoltà nell’estrarre la spada
e concludendo con una perdita dei sensi dal momento in cui lui mi
avrebbe
rivolto la parola. No, bastava anche solo guardarli, qualcosa imparavo,
avrei
poi fatto pratica per conto mio o al massimo chiedendo
l’aiuto di Aragorn con
il quale sentivo di avere un legame esageratamente differente. Lo
vedevo più
come un fratello maggiore, un padre di famiglia, mi rassicurava averlo
accanto,
sentivo di potergli dire o chiedere qualsiasi cosa.
Nel frattempo Pipino aveva fatto finta di farsi
male per distrarre Boromir che gli corse incontro preoccupatissimo
chiedendogli
scusa e fu allora che entrambi gli hobbit gli saltarono addosso
gridando
<< Per la Contea!! >>. Sentii la risata di
Aragorn invadere la
piccola vallata e non ci misi molto a seguire il suo esempio, anche se
la mia
era una risata più malinconica che divertita. Mi faceva
troppo tenerezza
vederlo impegnato così con i due hobbit e l’idea
che da lì a poco avrebbe
avuto…quello che NON si meritava mi rattristava.
Forse quella fu la prima volta che la compagnia
sentì la mia voce dopo la partenza da Gran Burrone, non
avevo parlato molto
troppo presa com’ero nel guardarmi attorno
con gli occhi che brillavano. Era un sogno, in tutti i
sensi!
<< Che cos'è? >> disse Sam
preoccupato voltandosi verso l’orizzonte. Non ci misi molto
ad imitarlo già
conscia di ciò che avremmo visto e mi alzai in piedi
sussurrando << I
Crebain da Duneland! >> ma a quanto pare il mio sussurro
non risultò
tanto silenzioso in quanto praticamente tutti mi avevano sentito.
<< Spie di Saruman >> disse Gandalf
in conclusione a quanto avevo detto << Presto
nascondetevi! >>
disse e ci fu un fuggi fuggi generale: c’era chi spegneva il
fuoco, chi
raccoglieva zaini e roba varia, chi cercava un
nascondiglio…e io rimasi
immobile a guardarmi intorno senza sapere cosa fare. Dovevo trovare un
nascondiglio, ma non era mica semplice! Non c’era niente
intorno a noi!!
Riuscii ad infilarmi sotto un masso e mi raggomitolai pregando di non
essermi
infilata nella tana di qualche animaletto poco piacevole. Gli uccelli
ci
passarono sopra le teste, fecero un paio di giri di ricognizione sopra
di noi
prima di andarsene via.
Sospirai.
Pericolo scampato. Quando ero partita non avevo
la minima idea che avrei rischiato l’infarto così
facilmente per così poco! E
quando mi sarei trovata faccia a faccia col troll di caverna nelle
miniere di
Moria come avrei fatto a sopravvivere? Ok, ora l’idea di
partire alla volta di
Mordor non mi sembrava più così buona. Ma ormai
ero lì, non potevo fare niente.
Uscimmo dai nostri nascondigli e Legolas mi venne
incontro…panico! Cosa voleva da me un elfo? Cosa voleva da
me QUELL’elfo??
<< Sapevo che non eri una semplice umana, altrimenti
Elrond non ti
avrebbe mai fatto partire insieme a noi in vista del fatto che non sai
difenderti e ti fai prendere dal panico troppo facilmente
>> Mi disse.
Io…cosa? << Eh? >> chiesi
d’istinto. Certo che ero un’umana!! Cosa
credeva che ero un Huruk-Hai?
<< Hai la vista lunga anche tu! Cosa sei?
un mezz’elfo? >> Vista lunga? Aspetta! Si
riferiva forse al fatto che
avessi “visto” prima di tutti che non era una
nuvola quella che ci veniva
incontro? << Oh, certo! Cioè…no!
Non sono un mezz’elfo però non sono
nemmeno una semplice umana. E no, non ho la vista lunga, semplicemente
ho un
altro tipo di vista >> Dissi tagliando corto pregando che
non mi facesse
domande più specifiche perché non avevo la
più pallida idea di cos’altro
inventare.
<< Che tipo di vista? >> Maledetto!
Mi leggeva nella mente? Lo faceva apposta, sì era
così sicuramente!
<< Delfino curioso!!! >> dissi
pizzicandogli una guancia stile nonna con i suoi nipotini
<< Tutto a
tempo debito >>. E anche sta volta me l’ero
cavata, quando avrebbero
smesso di fare domande? Anche perché neppure io avrei avuto
la risposta: cosa
gli avrei detto? “Voi siete un mio sogno!! Io conosco questa
storia a memoria,
so tutto di voi anche che mutande portate!”. Per fortuna
Legolas non fece altre
domande, sapeva essere discreto a volte, ma che bravo!
<< Delfino? >> si limitò a
chiedermi
sconvolto e risposi con una risatina.
<< Il passaggio a Sud è sorvegliato.
Dobbiamo prendere il Passo di Caradhras. >> Disse
Gandalf. Caradhras.
Ricordavo stranamente poche cose, forse troppo poche, probabilmente il
mio
arrivo molto frastornante aveva fatto sì che oltre al nome
mi dimenticassi
anche la storia dell’Anello. Maledizione, non ci voleva
proprio! Per fortuna
avevo una memoria molto fotografica e alcune scene del film, a
differenza del
libro che era vuoto assoluto, me le ricordavo.
Caradhras…era dove la neve ci avrebbe seppelliti
costringendoci a passare per le miniere di Moria. <<
Perfetto, così avrò
modo di conoscere di persona Scrat, pregando che non combini qualche
guaio con
la sua ghianda >> borbottai stringendomi nel mantello e
seguendo il resto
del gruppo.
<< Certo che è proprio strana >>
Disse Merry a Pipino riferendosi ovviamente a me, non rendendosi conto
che ero
proprio dietro di loro.
<< Non sapete quanto, miei cari Hobbit
>> dissi con aria enigmatica inchinandomi per arrivare
alla loro altezza
e posando una mano sulla spalla di ciascuno. Loro si fermarono
guardandomi un
po’ spaventati e ciò mi fece ridere
<< Non preoccupatevi! Non sono una
mangiatrice di mezzuomini! >> dissi scompigliando i
capelli a entrambi
gli hobbit e li superai di qualche passo prima di voltarmi
<< Chi arriva
per ultimo vicino a quel sasso >> e indicai un masso
lontano da noi di
qualche metro << E’ un orco brutto e cattivo
>> e facendo la
linguaccia mi voltai velocemente cominciando a correre verso il
famigerato
masso della vittoria. Non ebbi modo di vedere le espressioni degli
hobbit
dietro di me ma li sentii urlare << Ehi, non vale!!
>> e ridere
gioiosi e sentii i loro passetti veloci alle mie spalle. Superai
l’intera
compagnia ma quando tentai di superare anche Gandalf lui mi
colpì in testa col
bastone << Ahi!! >> brontolai fermandomi di
colpo e voltandomi per
guardare male Merlino. << Fai troppo baccano
>> disse ridendo sotto
i baffi, segno che stava scherzando. Ma allora perché
diamine mi aveva colpito?
Continuai a guardarlo male anche in maniera fin troppo esuberante
assumendo un
espressione da coniglio schiacciato sotto una macchina. Sentii poco
dopo i due
hobbit superarmi alle spalle e vidi solo allora il sorriso soddisfatto
di
Gandalf: voleva dar loro modo di superarmi! << Questa
è guerra, Silente!
>> dissi puntandogli un dito contro prima di voltarmi e
riprendere a
correre allontanandomi dalla grossa e rumorosa risata del mago.
Ovviamente gli
hobbit arrivarono prima di me, grazie al vantaggio regalatogli da
Gandalf, e
cominciarono a ridere e saltare gridando << Orco! Orco!
Orco! >>
indicandomi insistentemente.
<< Ah si? E sapete cosa mangiano gli orchi?
>> dissi tentando di assumere uno sguardo cattivo
<< Gli hobbit
furbi e dispettosi come voi!!! >> risposi precedendoli e
cominciai a
rincorrerli ma ben presto le cose si capovolsero. I due hobbit si
fermarono, si
guardarono in cerca di intesa e poi si voltarono verso di me gridando
<<
Addosso!!! >>. Fui costretta a frenare di colpo, tanto da
scivolare sul
ghiaino e rischiare di farmi male, mi voltai di colpo e andai a
sbattere
contro…qualcosa…qualcuno… Alzai lo
sguardo, ok era qualcuno.
“Oh cacchio” pensai sentendomi avvampare.
Boromir.
<< Scusa! >> Chiesi sentendomi
così
umiliata. Gli hobbit mi raggiunsero e cominciarono a farmi il solletico
ai
fianchi, punto debole più debole che abbia mai avuto. Mi
rivoltai verso gli
hobbit, senza nemmeno vedere né sentire la reazione di
Boromir al mio schianto
contro di lui, e cercai di contrastarli ma delle forti braccia mi
bloccarono da
dietro.
Sentii una risata provenire dal mio presunto
aggressore.
Ok, rischiavo il collasso.
Il solletico mi impediva di respirare.
Boromir che mi stringeva contro di sé per
facilitare l’azione dei due hobbit (possibile che fossero
tutti contro di me?)
mi impediva a maggior ragione di respirare e aumentava il mio battito
cardiaco.
Diamine salvatemi!!
Non respiravo, non riuscivo a respirare.
Mi girava la testa.
Aria, avevo bisogno di aria.
Morivo!
<< Boromir lasciala, credo abbia dei
problemi>> Santissima voce dalla fonte sconosciuta tu sia
benedetta! “Ho
una nuova fede” pensai mentre sentivo la presa dei tre
allentarsi su di me.
Riconobbi successivamente la voce in quella di Aragorn “santo
uomo giudizioso,
l’ho sempre detto che sei meglio dell’angelo
Gabriele”. Mi accasciai a terra
riprendendo pian piano a respirare normalmente.
<< Stai bene? >> alzai la testa e mi
trovai a pochi centimetri il volto di Boromir che mi guardava
preoccupato e con
un velo tristezza, forse causato dai sensi di colpa, negli occhi, in
quei
magnifici occhi blu cielo. << Via!!! >>
Dissi strisciando
all’indietro per allontanarmi << Vade retro! Se
volevate uccidermi
potevate farlo in maniera più carina, chessò.. un
cuscino sulla faccia mentre
dormo la notte va benissimo! Così almeno evito dolori e
sofferenze >>
<< Ci dispiace, Sophia! Non pensavamo tu
fossi…tanto delicata >> Mi disse Merry
venendomi accanto. Delicata?
Delicata? Era un modo carino per dirmi “certo che ci vuol
poco a farti fuori!”.
Beh, non avevano tutti i torti alla fin fine.
Mi guardai attorno, avevo tutti gli occhi puntati
addosso. Accidenti! Mi alzai di scatto << Beh che stiamo
aspettando? Farò
tardi all’appuntamento con Scrat se continuiamo ad indugiare
e Frodo non può
far tardi alla partita a scacchi con Sauron >> E senza
guardare in faccia
nessuno, con un sorriso ebete sulla faccia, ripresi a camminare stile
soldatino
aiutandomi anche con un “un due tre marsh! Un due tre marsh!
“ ripetuto senza
sosta come a dare la cadenza del ritmo.
Pipino mi rincorse e mi venne vicino <<
Sicura di stare bene? Non sei…arrabbiata? >>
Ripresi a camminare
morbidamente, rilassando finalmente i muscoli, il tono di Pipino mi
aveva
ammorbidito, si era preoccupato del fatto che fossi arrabbiata con loro.
<< Arrabbiata? Ma certo che no, piccolo
hobbit biscottoso, utile nel tardo pomeriggio >> ok,
stavo parlando
arabo, povero piccoletto, che ne poteva sapere lui che il suo cognome
Tuc mi
ricordava molto i biscottini spezzafame del mio mondo? <<
Non sono
arrabbiata, tranquillo, non ne avrei motivo. Ero solo un po’
spaventata perché
ero rimasta senza fiato >> spiegai senza entrare nei
particolari cosa che
lasciò tranquillamente pensare a Pipino che fosse solo colpa
del solletico.
Camminammo a lungo e cominciammo a intravedere la
cima innevata dei monti mentre sotto i nostri piedi uno strato
più sottile di
neve andava a intensificarsi man mano che salivamo. E fu allora che
ricordai,
quasi all’improvviso,
un particolare
della storia, del film più che altro. Frodo sarebbe caduto,
e proprio mentre lo
pensavo lo vidi rotolare giù, e l’anello sarebbe
rimasto a pochi passi da lui
sulla neve, e l’avrebbe preso Boromir.
Non sapevo bene il perché, infondo non era una
parte determinante della storia, potevo lasciarla correre, ma
l’idea che
Boromir cominciasse a mostrare titubanza e cominciasse a far
preoccupare i suoi
compagni mi agitava, volevo aiutarlo in tutto e per tutto.
Perciò scesi
velocemente giù per la collinetta arrivando vicino
all’anello. Mi chinai
velocemente e vidi la mano di Boromir che già era calata
verso la stessa
direzione, se avessi ritardato di un solo secondo non avrei fatto in
tempo.
Lanciai uno sguardo a Boromir molto intenso, sperando che leggesse
nella mia
mente “scordati ogni possibilità di averlo! Io so
cosa pensi”, ma credo di non
aver avuto l’effetto desiderato perché nel vederlo
in volto fui io quella a
titubare arrossendo ancora e distogliendo il più velocemente
possibile lo
sguardo. Sembravo una stupida ragazzina durante la sua prima cotta! Mi
mossi
velocemente per non dare il sospetto che quella a desiderare
l’anello fossi io
anche se…era strano. Sentivo il suo potere nelle mie mani,
mi sentivo
come…superiore. E sentivo il desiderio di assaporare ancor
di più di quel
potere, infilando l’anello. Era peggio che una dipendenza da
nicotina, ora
sapevo quale peso doveva portare Frodo, io non ce l’avrei
fatta.
Frodo intanto si era appena rialzato e già stava
controllando con agitazione se l’anello fosse sempre al suo
posto e quando si
rese conto che mancava alzò lo sguardo. Ma il suo sguardo
non andò troppo in
là, si dovette fermare a pochi centimetri dal suo naso, dove
avevo lasciato
penzolare l’anello. Frodo lo prese quasi strappandomelo di
mano e alzai un
sopracciglio alzando le mani << Cerca di fare
più attenzione la prossima
volta, piccoletto. Potrei non essere io a raccoglierlo >>
dissi e
accennando un sorriso rassicurante voltai le spalle alla coppia
Frodo/Aragorn e
tornai sui miei passi, passando accanto a Boromir che aveva lo sguardo
un po’
perso nel vuoto. L’anello aveva una forza immensa su di lui,
l’attirava come
una calamita.
Continuammo la nostra scarpinata fino ad arrivare
in cima alle montagne, dove la neve era più alta,
così tanto da arrivare al
petto (beato l’elfo che ci camminava sopra senza problemi) e il mio mantello pareva
non essere
abbastanza per coprirmi. Non facevo altro che tremare e sbattere i
denti,
diavolo! Quando si sarebbe deciso quello stolto di Saruman a maledire
la
montagna e farci tornare indietro? Non riuscivo più a
resistere. I due uomini
erano in testa al gruppo cercando di aprire un varco nella neve per noi
povere
creature infreddolite e debolucce.
Era troppo! Non avrei resistito un attimo di più,
faceva freddo! Se Saruman non si fosse convinto a far crollare la
montagna ci
avrei pensato io aggrappandomi alle mie corde vocali e alla bravura
della mia
recitazione con un
“etciùùù”.
Per fortuna non dovetti tentare un gesto tanto
disperato quanto falso, l’ultima cosa che volevo era che mi
scambiassero per
una spia, in quanto cominciai a udire quella lagnosa cantilena che ci
avrebbe
sepolti vivi.
<< C’è un empia voce
nell’aria >>
constatò Legolas superandoci per ascoltare meglio e
guardarsi attorno. Come se
non bastava c’era la neve che cadeva dal cielo a peggiorare
le cose. Un fulmine
colpì la montagna sopra di noi facendo cadere un
po’ di neve << Vuole
buttare giù la montagna! Gandalf, dobbiamo tornare indietro!
>>Disse
Aragorn sempre appiccicato a Frodo per aiutarlo.
<< No! Losto Caradhras, sedho, hodo, nuitho
i 'ruith! >> disse Gandalf alzando il suo bastone per
contrastare la
magia di Saruman ma come previsto fallì e una grossa coltre
di neve ci cadde
addosso seppellendoci. Era la prima volta che mi trovavo in quella
situazione,
non riuscivo a capire più dov’era il sopra e il
sotto e il freddo mi penetrava
nelle ossa. Sarei rimasta a tremare per settimane anche se me ne fossi
andata
per il resto dei miei giorni nel deserto del Sahara, anzi
già mi meravigliavo
del fatto che pregna com’ero di acqua e di freddo non mi
fossi trasformata in
un cubetto di ghiaccio.
Ma c’era un’altra difficoltà che non
avevo
previsto: l’ossigeno. Non c’era ossigeno sotto
quell’ammasso di neve! Cavolo
non respiravo! Ma dove dovevo andare? Sopra? Sotto? A destra? A
sinistra? Non
avevo la più pallida idea di dove fosse il cielo e dove la
terra. Provai a
smuovermi un po’ sperando di riuscire a capirlo ma fu
impossibile. Per fortuna
qualcuno venne in mio soccorso, mi sentii afferrare per un braccio da
sinistra
e tirare in quella direzione. Ripresi fiato e cercai di non finire di
nuovo
sepolta aggrappandomi con le mani alla neve, grazie a dio Elrond avevo
i guanti
che mi proteggevano almeno in parte, e guardai il mio salvatore
ringraziandolo
con gli occhi. Era Legolas! Mitico elfetto, mi era sempre stato
simpatico ma
mai come in quel momento. Mi sentivo priva di energie, affamata, stanca
e
infreddolita. Stavo cominciando a desiderare di tornare a casa, ma
qualcosa mi
diceva che non era poi così semplice come sembrava. Poggiai
la testa sulla neve
ignorando il freddo che ormai faceva parte di me e il sonno mi cadde
addosso.
Stavo chiudendo gli occhi, stavo addormentandomi mentre gli altri
discutevano
della strada da prendere, perché non riuscivo a rimanere
sveglia? Forse per il
freddo che mi intorpidiva? O per la stanchezza che mi stava facendo
completamente vittima?
<< Solleva la testa Sophia >> Mi
disse Legolas piegandosi vicino a me, era l’unico che non
prendeva parte alla
discussione insieme agli hobbit e probabilmente si era preoccupato nel
vedermi
ridotta in quelle condizioni << Non chiudere gli occhi,
potresti non
riuscire più a riaprirli >>
<< La cosa devo dire mi riempie di gioia
>> mugolai intimorita alzando la testa. La pelle viva a
contatto con il
ghiaccio e la neve si stava screpolando e aveva assunto un colorito sul
violaceo.
<< Tieni le braccia avvolte nel mantello
>> Mi consigliò ancora vedendole in quelle
condizioni.
<< Passiamo per le miniere di Moria
>> sentii dire da Frodo << Sia benedetto il
cielo, bravo hobbit
giudizioso, andiamocene da sto posto infernale non ne posso
più! >> dissi
voltandomi e cercando di seguire il consiglio dell’elfo di
tenere le braccia
avvolte nel mantello.
<< Non ne sarei tanto contento, Sophia
>> mi disse Gandalf serio raggiungendomi <<
Sì, penso anche io che
i Bucaneve siano fiori meravigliosi ma non ho interesse ad aspettare
per
vederli nascere, quindi ce ne andiamo, per cortesia? >>
ok, ero sembrata
più pietosa che convincente,
si vedeva a
distanza da un miglio che non avrei resistito un attimo in
più in quel posto
maledetto. La discesa miracolosamente fu più facile della
salita, forse perché
man mano che si andava in basso la neve diminuiva e il mio corpo
riprendeva
sensibilità.
<< Accidenti, avrei bisogno di un po’ di
Nivea >> borbottai guardandomi la pelle secca e bruciata
dal freddo,
niente di grave per fortuna, ma per un paio di giorni avrei fatto
pensare di
essere metà donna e metà serpente e che per me
era periodo della muta.
Arrivammo di fronte alle miniere che già era
notte fonda, e io non mangiavo dal giorno prima! Sam aveva cucinato
qualcosa
mentre avevamo fatto la pausa, ma gli uccelli erano arrivati prima che
io
potessi addentare il mio boccone e non avevo avuto più modo
di sgranocchiare
qualcosa.
Guardai Pipino di traverso prima di pensare
“Sophia!! Hai fame? Non mangiare la prima cosa che
capita”, pensiero che
provocò una risata che fu difficile reprimere e che
uscì un po’ smorzata. Ma
ancora nessuno mi chiese niente, ma arrivarono solo occhiatacce.
Probabilmente mi consideravano una pazza, e
sapevano bene che fare domanda a una pazza era come buttarsi in una
vasca piena
di squali dopo essersi tagliuzzati tutti con una lametta.
Gandalf accarezzò la parete di roccia davanti a
se << Dunque, vediamo... Ithildin. Riflette solo i raggi
del Sole e della
Luna. >> e miracolosamente le nuvole si dileguarono
facendo posto alla
luna << Wow, a Harry Potter gli fai un baffo, Merlino!
>>
sghignazzai andandogli vicino, sapevo che ci sarebbe voluto il mio
aiuto in un
momento come quello, più che altro ricordavo di una piovra
non tanto carina e
simpatica nell’acqua e se avessi avuto modo di evitarla
sarebbe stato un bene
per tutti. << C'è scritto: "Le porte di Durin,
Signore di Moria.
Dite amici ed entrate". >> Lesse Gandalf le scritte
luminose che si
erano create sulla parete.
<< E che cosa vorrebbe dire? >>
Chiese Merry mentre Aragorn liberava il Pony di Sam e Pipino si
divertiva a
lanciare pietre nell’acqua << Oh, è
semplice. Se uno è amico
dice…>>
<<
Mellon!!! >> dissi a gran voce interrompendo la frase di
Gandalf che mi
guardò stupefatto quando la porta si aprì
<< Anni e anni di allenamenti
sulla Settimana Enigmistica, non sai quanto può essere
noioso vivere da soli a
volte >> Mi giustificai, ma ovviamente era una balla
bella e grossa.
Conoscevo la parola, l’avevo letta nel libro,
l’avevo sentita nel film, altro
che Settimana Enigmistica! Non sarei nemmeno stata in grado di portare
a
termine quello contente 5 parole fatto appositamente per i bambini dai
5 agli 8
anni. E poi io non vivevo da sola e anche se fosse avrei trovato altri
modi per
distrarmi, non di certo mettendomi a fare la Settimana Enigmistica come
i
nonnetti del circoletto di fronte a casa mia. Mi feci da parte per far
entrare
prima gli altri, volevo perlustrare la zona e vedere se qualcosa non
fosse
andato storto. E feci bene! Infatti la maledetta piovra si fece vedere
lo
stesso afferrando Frodo per un piede lo stesso. Certo un tentacolo del
genere
venirmi incontro non è uno spettacolo a cui ho assistito
spesso, diciamo
praticamente mai e la cosa mi traumatizzava non poco. Ma
l’istinto fu più
rapido della paura, mi sentivo un’eroina delle fiabe, non
potevo certo
rimanermene in disparte! Quello era il mio sogno e io ne ero la
protagonista e
i protagonisti non se ne stanno in disparte ma tirano fuori una padella
e
cominciano a combattere. E così feci io che saltai addosso a
Frodo
aggrappandomi a lui.
“Che hai concluso con questo, Sophia?” pensai una
volta che mi ritrovai appesa sopra la testa del mostro aggrappata ai
piedi di
quel povero hobbit.
<< E ora? >> pensai ad alta voce
dondolando come una mela matura che sta per cadere “speriamo
di non tirarmi
dietro nella caduta anche i piedi di Frodo!” mi preoccupai
sentendolo urlare,
non sapevo se di paura o di dolore o di tutto e due. Intanto sotto di
noi gli
uomini, gli altri due hobbit, l’elfo, il nano e il mago erano
impegnati a
trovare un modo per liberarci cercando di combattere contro quelle
miriadi di
tentacoli. Vidi proprio sotto di noi sbucare la testa del mostro dal
pelo
dell’acqua, era…era << Ommioddio!!!
>> gridai tentando di
arrampicarmi di più a Frodo, era terrificante!! Aveva i
denti, da quando in qua
le piovre hanno i denti e degli occhi? Che razza di creatura era?
Ma cavoli non potevo rimanere lì appesa come un
grappolo d’uva, ero saltata addosso a Frodo per farmi
trascinare con lui, ora
dovevo agire di conseguenza. Sfoderai la spada, feci il segno della
croce
benché non fossi mai stata religiosa e mi lasciai cadere nel
vuoto urlando come
non mai. “Ti prego non in bocca! Non in bocca! Non in
bocca” continuavo a
ripetermi durante quei pochi attimi che era durata la caduta.
Per fortuna Dio, o i Valar, o Buddha o Santo
Aragorn da Gondor sentì la mia preghiera e mi fece atterrare
su un occhio
molliccio della bestia dove mi ci si impiantarono le scarpe.
<< Che schifo! >> Borbottai prima di
vedere un tentacolo venirmi incontro. Avere un moscerino come me in un
occhio
non era cosa piacevole, tentai di uscire da quelle sabbie mobili di
gelatina e
di mettermi al sicuro da quel colpo. Cavoli ero bravissima! Ero
riuscita
veramente a schivarlo. Però non ero molto stabile e caddi
all’indietro
rotolando verso le fauci spalancate. Mi ricordai di avere in mano una
spada e
la conficcai nella testa del mostro per bloccare la mia caduta e vidi
uscire
dalla ferita liquido bluastro << Che schifo!!
>> quante volte avrò
mai detto che schifo in quel momento? Bah, tentai di starne alla larga,
ci
mancava solo che prendessi l’HIV con sangue di mostro marino.
Come l’avrei
spiegato ai dottori che non avevo fatto sesso con nessuna forma aliena?
Tentai
di fare leva con la spada e di tirarmi in piedi, PESSIMO ERRORE! Un
altro
tentacolo mi venne incontro scaraventandomi nelle acque nere del lago.
<< Oh santissimo Aragorn di Gondor! Che
qualcuno mi assista >> Dissi e tentai di nuotare in
superficie, fu più
difficile del previsto, non era mai stata tanto male a nuotare, per lo
meno
sapevo stare a galla, ma quelle acque erano più pesanti,
trascinavano sul fondo
con maggior vigore. Raggiunsi il mostro che era più
impegnato a combattere
contro i miei compagni e tenersi stretto la preda Frodo e non diede
molto peso
a me.
Perché mai nessuno mi dava importanza???
Suvvia, non era il momento adatto per queste
crisi. Dovevo approfittare della cosa. Mi arrampicai nuovamente sulla
testa del
mostro, tirai fuori anche la daga e senza dar lui tempo di reagire
saltai a
braccia tese verso i suoi occhi e, non so ancora come (la fortuna
girava dalla
mia parte ultimamente, meno male!) riuscii a centrarli! La daga
conficcata
nell’occhio sinistra e la spada in quello destro. Il mostro
urlò, sibilò e fece
altri versi strani, mi fece accapponare la pelle, ma per fortuna il
colpo
inferto lo convinse a lasciare la sua preda e la lanciò
verso la riva dove
venne per fortuna presa al volo da Legolas.
Ok, ero riuscita nell’intento, avevo salvato
Frodo ma ora…come mi sarei salvata io? La bestia si immerse
nuovamente e tentai
con tutte le forze che avevo di staccare le mie armi da dentro
quell’orrore per
poter correre a riva ed entrare nelle miniere.
Sentivo il resto della compagnia urlare il mio
nome mentre Gandalf li incitava ad entrare nelle miniere per fuggire
alla
collera della piovra.
La daga riuscii a estrarla ma la spada fu impossibile,
era conficcata troppo in profondità! Venni trascinata
sott’acqua dai tentacoli,
al diavolo la spada, avrei fatto anche senza, tanto non sapevo usarla,
dovevo
però assolutamente tornare a riva. Provai a nuotare ma fu
tutto impossibile,
ero stanca, le acque mi impedivano di nuotare con facilità e
la piovra stava
facendo di tutto per portarmi insieme a lui nel suo inferno.
Mi lasciai andare.
Se fossi morta lì probabilmente il mio sogno
sarebbe finito e sarei tornata a casa, non sarei morta veramente. Anche
se ne
avevo forti dubbi, stavo cominciando a pensare che non fosse un sogno.
Stavo
cominciando a pensare che fosse tutto vero.
Dannazione no!
Dovevo salvare Boromir! Dovevo portare a termine
la mia avventura! Non ero stata trascinata in quel posto per salvare
Frodo
dalla piovra, era ridicolo, avevo un’altra missione da
compiere, non potevo
arrendermi.
Una strana energia nacque dai luoghi più
reconditi della mia anima e cominciai a nuotare come mai avevo fatto
schivando,
anche se con difficoltà, i tentacoli. Nuotavo, non vedevo
niente, eppure ero
certa che la direzione era giusta, la determinazione mi stava donando
una forza
nuova, dovevo sopravvivere, e i polmoni bruciavano in assenza di
ossigeno!
Soffrivo come un cane, dovevo arrivare in superficie dovevo respirare!
Finalmente…aria.
Guardai il cielo più nero delle acque dove ero
stata fino ad allora, poi spostai lo sguardo alla riva sforzandomi di
arrivarci
prima della piovra che a quanto pare aveva avuto la mia stessa
intenzione,
voleva raggiungere i miei compagni.
I miei compagni.
Dov’erano?
Erano tutti spariti, tutti all’interno! Mi
avevano abbandonato lì!
Ma…no. Una figura uscì dalle grotte urlando il
mio nome mentre all’interno un’altra voce, la voce
di Gandalf urlava <<
Non c’è tempo! Boromir! Rientra immediatamente
è pericoloso! >>.
Maledetto vecchiaccio me l’avrebbe pagata, gli
avrei strappato i peli della barba uno ad uno durante il sonno la sera
stessa
se fossi riuscita a sopravvivere.
Raggiunsi la riva con fatica continuando a
tossire e a respirare con fatica. Mi accorsi ben presto che mi era
impossibile
usare le gambe per camminare, ero esausta! Non ce l’avrei
fatta se…
Se Boromir non mi fosse corso incontro temerario,
schivando i tentacoli furiosi della piovra che andavano un
po’ alla ceca. Mi
aiutò a sollevarmi in piedi e tentai di correre insieme a
lui, ma le gambe non
rispondevano ai comandi, non ce la facevo!
<< Dai, forza! >> Mi incitò
l’uomo
abbassandosi appena in tempo per non essere colpito da un tentacolo. La
piovra
stava raggiungendo l’entrata della caverna, se non fossimo
entrati in tempo
saremmo rimasto lì fuori e allora…come sarebbe
proseguita la storia? Accidenti
che casino avevo combinato! Maledette gambe, forza!!
Niente! Niente da fare!
Perciò l’uomo adotto il piano B, ovvero mi prese
in braccio a mò di principessa e corse dentro la caverna
appena in tempo, prima
che l’entrata crollasse alle nostre spalle con un gran
fracasso e alzando un
gran polverone.
|
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Capitolo 4 *** Non abbiamo altra scelta. Dobbiamo affrontare le lunghe tenebre di Moria. ***
Ok, non riuscivo
a capire niente. Ero sull’orlo
della morte, avevo ingoiato tanta acqua che se mi avessero buttato
sopra a un
fuoco sarei stata capace di cuocere una spaghettata per un esercito, e
ancora
non smettevo di tossire sentendo i polmoni andare a fuoco e la gola
grattare.
<< Sophia! >> Sentii una voce
cristallina urlare e vidi venirmi incontro un piccolo hobbit che
riconobbi con
un po’ di fatica a causa del buio della miniera e della vista
che si era un pò
annebbiata. Come se non bastasse l’odore di Boromir che mi
era così vicino mi
faceva girare vorticosamente la testa e questo di certo non migliorava
la mia
situazione.
<< Pipino >> salutai con un filo di
voce << Abbiamo avuto paura tu fossi morta!
>> Aggiunse Merry
venendomi anche lui incontro. Non potei rispondere che con un sorriso,
il quale
chissà se lui fosse riuscito a scorgere in
quell’oscurità, mi ero affezionata a
quegli hobbit birichini e a quanto pare la simpatia era reciproca.
<< Sei stata molto coraggiosa >> Si
congratulò con me Aragorn da qualche metro di distanza.
Ok, decisamente troppe attenzioni!
<< Ho fatto ciò che sentivo di dover fare
>> cercai di rispondere ma ancora una volta la voce si
spezzò in gola un
paio di volte lasciando posto ai colpi di tosse.
<< Riesci a camminare? >> mi
sussurrò
Boromir con tono dolce e pacato. “Per te riuscirei anche a
volare” pensai
sentendomi il cuore morire nel petto. << Penso di
sì >> dissi e
Boromir provò a mettermi con i piedi per terra molto
delicatamente.
Gandalf decise di illuminarci il cammino usando
il suo bastone per produrre una lieve luce bianca, luce che ci
mostrò la vera
natura delle miniere: una tomba.
Io lo scoprii in maniera più traumatizzante, nel
momento in cui avevo toccato terra le gambe non avevano retto e mi ero
accasciata a terra, proprio mentre la luce arrivava anche a me, e mi
resi conto
troppo tardi di dove stavo andando a cadere: sopra uno scheletro. Per
attutire
la caduta avevo posato una mano a terra ma invece raggiunsi il cranio
di chissà
quale nano.
Tentai di urlare, ma risultò solo un lieve
lamento, mentre mi stringevo di più all’uomo
accanto a me.
<< Non è una miniera. E’ una tomba
>>
constatò Boromir guardandosi attorno sconvolto prima di
chinarsi su di me per
vedere se stessi bene. Legolas staccò una freccia dal cranio
di uno dei
cadaveri, gesto a cui risposi con una smorfia di disgusto, e
osservandola
decretò << Goblin >>.
<< Non saremo mai dovuti venire qui
>> disse l’uomo accanto a me con un tono un
po’ alterato, sicuramente
stava mandando tanti accidenti a quella compagnia capocciona che non
aveva
voluto ascoltarlo a tempo debito. Tossii ancora << Stai
bene? >> mi
chiese poi Boromir cambiando di nuovo tono e parlandomi con dolcezza.
<< Ho passato momenti decisamente migliori
>>
<<
Non abbiamo altra scelta. Dobbiamo affrontare le lunghe
tenebre di
Moria. State in guardia. Ci sono cose più antiche e
più malvage degli Orchi,
nelle profondità della terra. Ora silenzio. È un
viaggio di quattro giorni fino
all'altra parte. Speriamo che la nostra presenza passi inosservata.
>>
Disse Gandalf cominciando a camminare verso l’interno della
caverna, maledetto
vecchiaccio non mi aveva ancora detto niente! Né un
“come stai?” né un “brava,
hai salvato Frodo”. Ok, ancora una volta necessitavo di un
death note!
<< Aragorn! >> Chiamò Boromir
cominciando a togliersi di spalla lo scudo e il mantello che gli erano
d’intralcio, passò le sue cose al ramingo, che era
appena accorso ad aiutarci,
e si mise di schiena poco davanti a me << Sali sulle mie
spalle >>
mi disse.
…
Eh?
Cosa?
Io? Lì? No…non ce l’avrei fatta! E poi
perché
tante attenzioni? Sì, insomma, avevo già avuto
modo di constatare che fosse
l’uomo più gentile e amorevole di questo mondo, ma
non doveva fare così con me!
Sarei morta sul colpo!
<< Ma…se invece salissi sulle spalle di
Aragorn? Insomma, hai già fatto tanto per me..
>> cominciai a balbettare
<< Non vorrei pesarti troppo, sarebbe un disturbo
>> da dove mi era
uscita tutta quella voce improvvisamente? Maledetto uomo! Ecco
l’effetto che mi
faceva, mi mandava in tilt Ruphus, poveretto.
<< Non fare la preziosa e muoviti che
altrimenti perdiamo il gruppo! >> Guardai avanti a noi e
Gandalf senza
troppi complimenti era andato avanti senza preoccuparsi di noi
poveretti
infondo. Maledetto! Maledetto! Ok, quel mago da quattro soldi si era
appena
aggiudicato il premio di “mago più antipatico
della storia”.
Mi sforzai di strisciare vicino a Boromir
cercando di evitare ragnatele e ossa varie ancora ricoperte da un
po’ di carne
in putrefazione, gli cinsi il collo con le braccia e mi diedi la spinta
necessaria per riuscire ad aggrapparmi completamente alla sua schiena.
Boromir
mi afferrò le gambe, si inchinò leggermente in
avanti, mi sistemò meglio sulle
sue spalle con un paio di scrollate e infine si alzò in
piedi come se niente fosse.
<< Così contribuisci a far alzare la mia
autostima di donna >> scherzai sorpresa della
facilità con cui si era
tirato su.
<< Come prego? >> chiese cominciando
a camminare dietro la compagnia. Lanciai un occhiata ad Aragorn che
camminava
al nostro fianco: si era sistemato gli oggetti di Boromir addosso in
modo che
non gli fossero d’intralcio e prima di accelerare il passo
per raggiungere Gandalf
a capo della comitiva mi lanciò uno strano
sguardo…compiaciuto potrei dire! Si,
sembrava proprio compiaciuto e aveva anche sorriso! Che
diavolo…!! Stupido
ramingo che giungeva subito a conclusioni affrettate! Arrossi al suo
sguardo ma
feci in modo che Boromir non mi vedesse posando la testa sulla sua
spalla
<< Mi hai alzata come fossi una piuma! Se fino a ieri
imprecavo contro lo
specchio perché mi vedevo in sovrappeso ora tutti i miei
timori sono spariti
>> Non ero riuscita a concludere la frase senza prima
tossire un paio di
volte, la gola ancora bruciava e grattava ogni volta che ci passava
l’aria.
<< Sono abituato ad alzare pesi ben
maggiori >> mi rispose con tono divertito, intanto io
cullata sopra le
sue spalle dai suoi passi, sentendomi finalmente al sicuro e
tranquilla, e
avendo modo di rilassare i muscoli, stavo cominciando a lasciarmi
andare alla
stanchezza. Posai la testa comodamente sulla sua spalla, chiusi gli
occhi e mi
ammorbidii.
<< Un vero uomo >> mormorai tra il
sonno e la veglia, senza riuscire a far morire quelle parole in bocca
come
negli ultimi tempi mi stavo impegnando a fare.
Mi
trovavo sospesa in una dimensione sconosciuta,
sentendomi leggera come una piuma, nella pace dei sensi e finalmente
riposata e
tranquilla. Ma presto tutto questo sparì facendo
sì che i sensi pian piano
riprendessero ad avere contatti con la realtà. Prima
l’udito, sentendo voci
indistinte, soffocate, sussurrate, poi il tatto e percepii la dura e
fredda
roccia sotto di me, ma non sentivo freddo, ero ben coperta oltre che
dal mio
mantello da qualcos’altro impregnato di un profumo acre di
sudore, polvere,
lotte e fatica. Prima di allora lo avrei disprezzato, ma adesso faceva
tutto un
altro effetto, era l’odore delle grandi battaglie, di quelle
vinte da anime pure,
considerate fazioni del bene.
Ma laddove l’odore acre delle fatiche mi
aiutavano ad abbandonare con delicatezza quella pace dei sensi che era
stato il
sonno, un’altra mano mi tirava con brutalità nella
realtà, un odore spregevole,
la puzza dei cadaveri in putrefazione impregnava l’aria che
respiravo e
sembrava che a ogni sospiro entrasse dentro di me facendomi marcire i
polmoni.
Aprii lentamente gli occhi, la caverna era appena
appena illuminata da una luce fioca dalla provenienza sconosciuta, luce
che permetteva
appena di vedere a pochi metri di distanza. Mi misi a sedere, avevo
dolori
ovunque e feci fatica a muovermi. Guardai la coperta che mi era stata
messa
addosso: era un mantello di lana caldo di un colore verde militare,
ispido al
tatto, una lavorazione di seconda mano di molti anni prima.
Chissà reduce di
quali avventure.
Le voci che più si facevano sentire erano quelle
di Merry e Pipino, poco distanti da me, intenti a discutere sul loro
grado di
fame << Puoi avere tutta la fame che vuoi ma non ne avrai
mai tanta
quanto me >> mormorai stropicciandomi gli occhi.
<< Ti sei svegliata, dormigliona! >>
brontolò Pipino << Russavi così
forte che non riuscivamo mai a capire se
eri tu o qualche orco nelle profondità
dell’oscurità >> Sgranai gli
occhi.
Io…russavo? In quella maniera?
<< Io non russo!! >> mi lamentai
imbarazzatissima << No è vero >>
Mi rispose Aragorn venendo a
sistemare le sue cose che aveva posato vicino a me <<
Lascia stare i due
hobbit, sei stata la più silenziosa di tutti, e a dir il
vero ci siamo spesso
chiesti se stessi dormendo o se era un cadavere quello che trasportava
Boromir
sulle spalle >>.
Che bella cosa, ero passata dall’orco al
cadavere!
Mi alzai in piedi dandomi una pulita ai vestiti
ancora un po’ umidi dal mio bagno in quelle acque nere:
accidenti come
puzzavano. Mi toccai i capelli spettinati, sporchi e disordinati. Feci
una
smorfia, non ero mai stata in condizioni tanto pessime! Presi uno dei
laccini
intorno ai miei polsi appartenenti ai guanti, tanto avevo appena
constatato che
erano inutili, avevano solo funzione decorativa, e lo usai per legarmi
i
capelli in una treccia fatta alla ben’e meglio. Mi guardai
attorno per studiare
la situazione: Gandalf stava parlando con Frodo probabilmente riguardo
a Gollum
che da giorni li seguiva. Pipino, Merry e Sam parlavano tra loro sempre
sul
cibo e su quanto avessero fame. Aragorn aveva raggiunto Legolas in cima
a una
roccia per controllare la situazione intorno a loro mentre il nano si
stava
sistemando le armi addosso e affilando l’ascia con un pezzo
di pietra.
Seduto invece in disparte c’era Boromir con gli
occhi puntati verso un orizzonte
infinito e immaginario, perso nei suoi pensieri peccaminosi e
traditori. Colsi
anche l’attimo in cui abbandonava il suo infinito per buttare
gli occhi su
qualcosa di più grande: il potere che non riusciva ad avere
tra le sue mani.
Guardò Frodo con astio per qualche secondo prima di tornare
perso nei suoi
pensieri fallaci. Odiavo vederlo ridotto a quelle condizioni ma sapevo
anche
che dovevo lasciarlo andare, sapevo che l’unico modo per
riprendere a vedere
con i suoi occhi era spingersi più in là che
poteva, arrivare alla cecità
totale e rendersi conto dell’errore che stava commettendo.
Mi avvicinai a Gandalf << Mago di Oz!
>> Lo chiamai prima di arrivargli vicino così
da permettere ai due di
concludere in fretta il discorso che stavano facendo.
<< Ok, senti, tu non stai simpatico a me e
io non sto simpatica a te, questo lo abbiamo capito però per
favore potresti
evitare di ignorarmi? Posso essere di grande aiuto se me lo concedi
>>
Gandalf si tolse la pipa dalla bocca guardandomi
esterrefatto << Non capisco di cosa tu stia parlando
>>
<< Mi stavi mollando a ballare la macarena
con la piovra fuori di qua! E ti assicuro che con tutti quei tentacoli
sarebbe
stato difficile starle dietro! >>
<< Dovevamo entrare dentro le miniere il
prima possibile o anche noi avremmo fatto la stessa fine che credevamo
tu
avessi fatto >>
<< Ok, va bene, e allora perché non mi hai
degnato di uno sguardo una volta entrata? Non mi hai nemmeno dato il
tempo di
riprendermi >> Ok, ero un po’ alterata, ma mi
ero sentita una nullità, mi
aveva fatto sentire inutile e solo una perdita di tempo, eppure glielo
avevo
dimostrato già un paio di volte che non ero inutile.
<< Avevo semplicemente fretta di
allontanarmi da quel posto, è pericoloso stare troppo tempo
fermi nello stesso
luogo, e poi con te c’era Boromir. >>
Non avevo altre domande, l’udienza è tolta,
l’imputato risulta…innocente!
<< Mh, per stavolta va bene. Mi hai
convinta. Comunque la strada da prendere è quella a destra
>> Dissi
allontanandomi di qualche passo. Gandalf mi guardò stranito,
sapevo bene cosa
mi voleva chiedere e io in risposta mi indicai il naso <<
Segui il tuo
naso >> e facendo un occhiolino ritornai dove avevo
lasciato i mantelli e
le mie armi che probabilmente mi erano state tolte prima di mettermi
stesa a
riposare.
<< Questa è inutile >> dissi
guardando il fodero della spada ormai vuoto << Posso
lasciarlo anche qui
>> Boromir mi venne vicino per riprendersi il mantello.
Allora era il suo
quello che mi era stato messo addosso! Arrossii, ancora una volta si
era
dimostrato così dolce nei miei confronti. Se prima era una
semplice cottarella
da quattro soldi a lungo andare, se avesse continuato a comportarsi in
quella
maniera, me ne sarei innamorata completamente.
<< Ti conviene invece portarla dietro,
potrebbe indicare il nostro passaggio e non è una buona
idea>> Mi disse
mettendosi in spalla mantello e scudo.
<< Mi tocca portarmi dietro questo peso
inutile? >> mi lamentai
cercando
di sistemarmi in vita quella maledetta cintola come avevo visto farlo a
Elrond.
“Speriamo di averla messa bene” pensai cercando di
fare due passi: ok, non
batteva contro la gamba, c’era il 70% di
possibilità che fosse messa giusta.
Camminammo a lungo, e i vari dolori lungo tutto
il corpo mi impedivano di essere rapida come avrei voluto, a volte
zoppicavo a
volte invece dovevo massaggiarmi una spalla altrimenti avrei perso il
braccio
per la via.
Arrivammo all’interno di un enorme sala con
colonne gigantesche << Voglio osare un po' più
di luce. Ammirate il
grande reame e la città dei Nani: Nanosterro.
>> Disse Gandalf
illuminando di più il posto. << Ti fa
spalancare gli occhi, certo.
>> disse Sam togliendomi le parole da di bocca, era
qualcosa di
incredibile, avevo i brividi ovunque, non avevo mai visto niente di
più
maestoso, mi sentivo così piccola e insignificante a
confronto.
Il resto del cammino lo facemmo in silenzio,
tutti erano troppo colpiti dal posto così incredibile e
nessuno osava proferire
parola, fino a quando non arrivammo vicino a una stanza che
probabilmente Gimli
conosceva fin troppo bene perché lo vidi correre
all’interno sussurrando
<< Oh >>.
<< Gimli! >> lo richiamò Gandalf
inutilmente, mentre io ero già corsa all’interno,
seguendolo. Sapevo bene cosa
avremmo trovato all’interno: morte e guai. Ma sapevo che non
potevamo scappare,
perciò ci sarei andata a testa alta, come avevo fatto con la
piovra.
Certo è che non riuscii a resistere all’urlo
straziato di Gimli nel vedere la tomba di suo cugino, fu un colpo al
cuore, era
diverso vivere di prima persona quell’avventura
anziché vederla alla
televisione.
Era la prima volta che vedevo la morte da così
vicino, ed era raccapricciante.
Anche gli altri entrarono all’interno della
stanza fermandosi a guardare Gimli disperarsi sulla tomba di suo
cugino, tutti
non avevano la più pallida idea di cosa dire, di come
comportarsi.
Gandalf prese un diario dalle mani di uno
scheletro ai piedi della tomba, e ancora una volta feci una smorfia
schifata
“non sono per niente schizzinosi qui” constatai.
<< Hanno preso il ponte, e il secondo
salone. Abbiamo sbarrato i cancelli, ma non possiamo resistere a lungo.
La
terra trema. Tamburi. Tamburi negli abissi. Non possiamo più
uscire. Un'ombra
si muove nel buio. Non possiamo più uscire.>>
cominciò a leggere ad alta
voce e ancora una volta mi vennero i brividi pensando a quello che ci
stava per
aspettare. << Arrivano >>
disse lui leggendo all’unisono con me che avevo
appena appena
sussurrato.
L’attimo che seguì la lettura fu il più
teso mai
provato prima, tutti avevamo i nervi a fior di pelle spaventati da
ciò che
infestava quelle miniere, l’unico che continuava a far rumore
era Gimli con i
suoi lamenti, ma aveva decisamente abbassato il tono di voce.
Subito dopo un rumore ci fece saltare, me
compresa, nonostante avessi bene in testa cosa, o meglio: chi!, Avesse
fatto
rumore. Ci voltammo tutti verso Pipino che aveva fatto cadere uno
scheletro in
bilico all’interno di un pozzo facendo un gran fracasso,
sapevamo bene che non
l’aveva fatto assolutamente intenzionalmente ma ci aveva
spaventati
immensamente.
Gandalf gli si avvicinò furioso riprendendosi con
impeto il bastone che gli aveva dato poco prima per avere le mani
libere e
poter leggere. << Idiota di un Tuc! Gettati tu la
prossima volta e
liberaci della tua stupidità. >> lo
sgridò, poveretto mi fece tanta pena.
Gli rivolsi un sorriso compassionevole e negai debolmente la testa
facendogli
capire i miei pensieri “lascia stare”.
<< Frodo! >> lo richiamò Sam
spaventato guardando Pungolo. Frodo sfilò la daga dal suo
fodero osservandola,
era diventata blu! Era la prima volta che la vedevo dal vero diventare
di quel
colore, che cosa affascinante.
<< Orchi >> annunciò Legolas e a
quella parola si scatenò il putiferio. Aragorn disse agli
hobbit di stare
dietro Gandalf e vidi Boromir scattare verso la porta al che corsi
anch’io
nella stessa direzione. Lo raggiunsi appena in tempo, le due frecce
erano state
scoccate e io afferrai Boromir per il collo della maglia e lo tirai
indietro,
senza nemmeno vedere le frecce arrivare con una puntualità
impressionante, non
che avessi paura che si potesse ferire, sapevo perfettamente che non si
sarebbe
fatto niente, ma in un certo senso volevo sdebitarmi, o almeno volevo
dar lui
quell’impressione.
Boromir mi guardò un po’ sconvolto prima di
sussurrare un << Grazie >> molto incredulo.
<< Non c’è di che! >>
Risposi afferrando
la porta e sforzandomi per chiuderla, Boromir mi diede una mano e poi
la
bloccammo con delle asce trovate lì vicino.
<< È un Troll di caverna. >>
disse
Boromir indietreggiando tenendo gli occhi puntati sulla porta.
<< Ah! Che vengano pure. Troveranno che qui
a Moria c'è ancora un Nano che respira. >> brontolò Gimli
saltando sopra la tomba di suo
cugino impugnando la sua ascia: era furioso. Tirai fuori la mia daga,
ma dove
volevo arrivare con quello stuzzicadenti?! L’avrebbe usata il
troll per pulirsi
i denti dopo avermi masticato per bene!
Oh, accidenti! Le gambe!! Ma perché mamma mi
aveva fatto delle gambe così mollicce? Alla prima occasione
cedevano! Per
fortuna ancora non ero stesa a terra come del latte versato, ma poco ci
mancava. Gli orchi cominciarono a picchiare fuori dalla porta con tanta
furia
da romperla. Legolas e Aragorn cominciarono a sparare frecce
all’interno del
buco formato , ma la cosa non funzionò molto, nel giro di
qualche minuto nella
stanza si era riversata una quantità incredibile di orchi,
con un impeto e una
velocità simile a quella di un’onda sulla riva del
mare.
Ok, non ero pronta per il corpo a corpo.
Com’è che diceva Boromir? Due, uno, cinque. Le
posizioni!! Ok, se mantenevo le posizioni potevo farcela. Ci provai,
tenendomi
dritta come un soldato mentre nella mia mente ripetevo “due,
uno, cinque!
Forza!” Un orco mi si scaraventò contro e non
diedi lui modo di colpirmi:
fuggii in preda al panico urlando << Due, uno, cinque una
bella
sega!! !>> , ok sì, ero ridicola. Sembrava di
giocare a nascondino con
quel maledetto orco! Perché non mi lasciava in pace?
Mi nascosi dietro la tomba ma mi trovò subito,
scappai di nuovo sfiorando l’ascia che aveva fatto cadere
dall’alto e andai a
mettermi dietro una colonna, mi trovò ancora. Scappai, mi
misi dietro Aragorn
che mi richiamò << Ma che combini?
>> mentre ammazzava orchi su
orchi come fossero tanti birilli da buttar giù a calci.
<< Cerco di portare a casa la pelle, tesoro
mio >> dissi col sorriso sulle labbra prima di fuggire
ancora, raggiunta
di nuovo dal solito orco. Il troll di caverna entrò con
vigore all’interno
della stanza, frantumando il muro intorno alla porta in quanto la sua
stazza
gli impediva di passarci comodamente. Nell’entrare furioso
schiacciò con un
piede l’orco che mi stava dando la caccia da un buon quarto
d’ora e io indicai
il suo cadavere
spiaccicato al suolo
ridendo istericamente e facendogli la linguaccia <<
Così impari, brutto
orco cattivo!! >>.
Però il troll non parve apprezzare la mia
reazione e si lanciò contro di me.
Dannazione di nuovo!!!!
Ripresi a scappare correndo in cerchio e urlando
quanti più accidenti possibili contro tutti quelli che mi
avevano fatto entrare
in quella storia, me per prima.
Il troll mi lasciò perdere quasi subito
andandosela a prendere con Frodo, forse perché non lo vedeva
come un insettino
insignificante che cercava solo di uscire dalla finestra e che
continuamente
andava a sbattere contro il vetro.
Credei di potermi riposare ma a quanto pare avevo
la faccia di una con cui ci si può divertire. Un altro orco
mi venne incontro e
io piagnucolai << Basta lasciatemi in pace!!
>> cominciando a dare
colpi a caso con la daga chiudendo gli occhi per paura di vedere la
fine che
stavo facendo.
Sentii poi un lamento. Aprii gli occhi e vidi
l’orco davanti a me accasciarsi a terra morto.
Esultai << Ce l’ho fatta!! >>
saltellando sul posto, poi vidi Boromir sfilare la spada
dall’orco appena steso
ai miei piedi e la mia euforia scomparve all’improvviso
lasciando il posto a un
muso lungo degno di un cavallo << Oh. Tu ce
l’hai fatta >>
mormorai.
<< Scusa se sono intervenuto, mi sembravi
un TANTINO in difficoltà >> disse Boromir
ridendo sotto i baffi.
<< Ce l’avrei fatta benissimo >>
Mi
lamentai incrociando le braccia al petto. Un orco quasi mi
colpì in pieno
volto, mi abbassai appena in tempo ma mi afferrò per una
spalla pronto a
trafiggermi. Mi voltai di scatto e gli morsi il braccio.
Ma penso che ciò fu a mio svantaggio anziché al
suo: aveva un sapore assolutamente disgustoso!! E lui non fece una
piega! Mi
stava per uccidere! Chiusi ancora gli occhi e portai la daga davanti a
me con
entrambe le mani come ultimo gesto disperato.
Incredibile.
Ce la feci.
Lo colpii in pieno cuore e lo vidi accasciarsi a
terra.
Esultai ancora << Visto?? >> dissi a
Boromir indicando il cadavere ai miei piedi.
Lui uccise un altro orco prima di voltarsi
<< Visto cosa? >>
<< Maledetto!!! Ho appena ucciso uno di
quei cosi e tu non guardi! >> lo sentii ridere
fragorosamente mentre
si voltava di scatto e uccideva un altro
orco.
Ancora un altro!!
Ma quanti ce n’erano?
<< Basta!!! >> Mi lamentai
riprendendo la mia strategia iniziale, molto efficace, di scappare.
Mi stava per prendere quando mi voltai di colpo
e guardai severa il
mostro davanti a me
<< Fermo! >> gli ordinai. Incredibile, mi
diede ascolto! <<
Io sono la strega Sophia, la più potente di tutto il Bosco
dei 100 Acri! Se mi
uccidi la tua vita e quella di tua moglie, dei tuoi figli, dei tuoi
genitori,
dei tuoi amici, del tuo cane e dei tuoi pesci rossi sarà
maledetta per
l’eternità! >> urlai in tono
minaccioso puntandogli contro la daga come
solo Harry Potter sa fare con la sua bacchetta. Ok, forse non era la
strategia
migliore, l’orco inclinò la testa di lato, mi
guardò male e poi riprese a
rincorrermi.
<< Maledizione! Ma metteresti davvero a
repentaglio la vita dei tuoi figli, di tua moglie, dei tuoi genitori,
dei tuoi
nonni, dei tuoi prozii, dei tuoi cugini, dei cugini dei tuoi cugini,
del tuo
cane, del cane della tua vicina, della sorella del cane della tua
vicina e di
quello di suo nonno, dei tuoi pesci rossi e della loro famiglia?
>> dissi
tutto d’un fiato continuando a correre.
<< E quella della famiglia dei tuoi amici?
>> chiesi ancora schivando velocemente un fendente.
<< No? Nemmeno dei fratelli del cane della
prozia della nonna della madre del gatto del pesce rosso di tua moglie?
>> continuai senza sosta finchè non mi
ritrovai schiena contro schiena
con Legolas <<
Sai, Sophia, credo
che loro non abbiano famiglia né amici >> Mi
disse forse divertito dal
mio monologo o forse scocciato perché parlavo troppo
<< No? Nemmeno
animali domestici? Nemmeno
un
conoscente? Un vecchio compagno delle scuole? >>
<< Dubito >> Rise lui. In quel
momento vidi un’ascia tagliare l’aria in
orizzontale in direzione delle nostre
teste << Giù!!! >> urlai appena
in tempo e ricevemmo entrambi
appena una spuntatina di capelli. L’elfo fu rapidissimo,
appena l’ascia passò
sopra le nostre teste lui si rialzò in piedi, si
voltò e gli sparò un paio di
frecce in pieno volto. Il cadavere del mostro si accasciò a
terra con la testa
sui miei piedi e io schifata e terrorizzata mugolai e cominciai a
tirargli
calci in pieno viso. Ok, forse più che una mossa di difesa
(non avevo nulla da
difendermi contro un cadavere!) era un modo per sfogare i nervi, non
ero mai
stata tanto tesa.
<< Sophia, penso adesso che sia abbastanza
morto! >> mi fece notare l’elfo sempre alle mie
spalle. Mi resi conto
della stupidità che stavo dimostrando così mi
fermai a riprendere fiato e prima
di alzarmi gli tirai un altro calcio.
Legolas corse verso il troll per dar lui il colpo
di grazia mentre tutti erano corsi verso Frodo gridando il suo nome.
Alzai gli
occhi al cielo “quando è Frodo a rischiare la
pelle tutti si preoccupano,
quando sono io nemmeno mi guardano in faccia” pensai
scocciata e mi avvicinai a
loro a grandi passi << Frodo! Frodo! Frodo!
>> mi lamentai prima di
prenderlo per le spalle e tirarlo su << Ovvia, sta bene!!
Su, respira
piccoletto >> e gli diedi due botte sulla schiena. Frodo
riprese a respirare
e tutti rimasero sconcertati << E’ vivo
>> mormorò Sam.
<< Carramba che sorpresa! >> dissi
allargando le braccia e sorridendo scompigliai i capelli al piccolo
hobbit
<< Dovreste imparare ad avere più fiducia in
lui >> e mi avviai a
prendere la daga che avevo mollato in giro
da qualche parte per mettermi in salvo. La trovai strinta
tra le mani di
un orco che giaceva a terra << Ehi! Quella è
mia, ridammela, ladruncolo
da quattro soldi! >> e tentai di togliergliela dalle mani
senza toccarlo,
mi facevano schifo gli orchi vivi figuriamoci quelli morti. Ma non
c’era versi!
Non me la voleva rendere!
<< Ma che diavolo…??>> mormorai
e
facendomi coraggio afferrai un suo dito con le unghie e tentai di
aprirgli la
mano. Niente! Ma cosa c’aveva messo la colla?
<< Ok, vuoi fare il duro eh! >> mi
feci coraggio , afferrai le sue dita con entrambe le mani cercando di
non
vomitare e feci pressione per aprirla.
<< Ne arrivano altri! Dobbiamo andare!
>> urlò Aragorn e tutti cominciarono a
fuggire, mi spaventai. Mi volevano
lasciare lì….di nuovo! Cominciai ad urlare e a
litigare con quella maledetta
mano << Aspettate, aspettate,
aspettate… >> niente da fare!
Maledizione!
Una spada arrivò dall’alto tagliando la mano
dell’orco dal resto del corpo, alzai la testa e vidi Boromir
che si stava
piegando e afferrando la mano morta che ancora stringeva la mia daga me
la
porse << Muoviti, andiamo! >> possibile che
fosse l’unico a
preoccuparsi di me?
<< Non ho intenzione di andare in giro con
una mano morta infilata nel fodero della daga! >> mi
lamentai schifata.
<< Non c’è tempo, muoviti!
>> disse e
prendendomi per una spalla mi trascinò via. Fui costretta a
prendere quello
schifo tra le mani e mentre correvo continuavo a litigarci per cercare
di
aprirla. Fummo costretti a fermarci perché circondati, tutti
si preparavano di
nuovo a combattere e io…me ne fregavo
e
continuavo a litigare con la mia mano. Finchè non fosse
comparso il Balrog non
c’era di che preoccuparsi.
Ecco appunto. Gli orchi fuggirono via a gambe
levate << Maledizione, lascialaaa >>
mormorai, mi rifiutavo di
mettere la daga nel fodero con questa cosa attaccata sopra. Niente da
fare
<< Cos'è questa nuova diavoleria?
>> mormorò Boromir, sospirai
affranta, misi la daga così com’era dentro il
fodero e anticipai le parole di
Gandalf << Un Balrog. Un demone del mondo antico.
È un nemico al di là
delle vostre forze.>> spiegai guardando le sale
illuminate dal fuoco del
mostro << Fuggiamo! >> dissi cominciando a
correre ma mi accorsi ben
presto che ero l’unica. Tutti mi guardavano con lo sguardo
perso e insicuro
<< Beh? >> chiesi allargando le braccia.
Avevano deciso di farsi
uccidere?
<< Andiamo! Andiamo! Sophia ha ragione
>> disse Gandalf correndo insieme a me e solo allora
tutti seguirono il
mio consiglio << Oh, certo lo dice Gandalf è
legge, lo dico io e tutti a
guardarmi male, grazie mill..>> fui interrotta dalla mano
di Aragorn che
mi afferrò per un braccio e mi trascinò via.
Corremmo, corremmo e corremmo, non ne potevo
ormai più, ero distrutta. Aragorn provò a
voltarsi verso la bestia, che io
ancora non avevo osato guardare ma sentivo il suo calore abbrustolirmi
la
schiena e la terra sotto ai miei piedi tremava, ma Gandalf lo prese e
lo
costrinse a correre ancora << Conducili fuori, Aragorn.
Il ponte è
vicino. Fa' come ti dico! Ormai le spade non sono più utili!
>> e Aragorn
non se lo fece ripetere due volte. Arrivammo a
una scalinata di pietra molto stretta, posta su un
precipizio infinito
di cui non si vedeva la fine e senza il benché minimo
appoggio.
<< Oh mamma mia! Ho scoperto ora di
soffrire di vertigini >> dissi indugiando appena, ma
appena sentii la
frusta del mostro schioccare dietro di me mi passò
improvvisamente la fobia del
vuoto e corsi giù per quelle scale insieme agli altri fino a
quando non
arrivammo di fronte a un…buco. Bisognava saltare per
arrivare dall’altra parte
della scalinata. Ricordavo bene quella parte, Aragorn e Frodo si
sarebbero
salvati per un pelo.
Il primo a saltare fu Legolas, poi Gandalf, il
buco si allargò, Aragorn lanciò Sam e stava per
fare la stessa cosa con Gimli
quando lui, orgoglioso brontolò << No, nessuno
può lanciare un Nano.
>> e saltò per conto suo, ma riuscì
a malapena a posare i piedi sul bordo
della scala, stava per cadere giù quando Legolas
l’afferrò per la barba e lo
tirò su ignorando le sue lamentele. Boromir
afferrò Merry e Pipino e anche lui
saltò riuscendo a farcela ma…Dannazione!! Ero
rimasta lì io? No! Non volevo
fare la stessa fine di Aragorn e Frodo, sarei caduta giù,
sarei morta di paura,
così saltai il più rapidamente possibile cantando
per sfogare la paura <<
I believe i can fly!!! >> atterrai con entrambi i piedi
sulle scale,
anche se scivolai all’atterraggio e feci un paio di scalini
giù dritta di
sedere. << Ahuo >> mormorai alzandomi di
nuovo in piedi. Mi voltai
appena in tempo per vedere Aragorn fare l’equilibrista
insieme a Frodo su
quello sputo di sassolino in bilico. Ok, sapevo che ce
l’avrebbero fatta…ma che
ansia!!!
Riuscirono a saltare e Gandalf gridò con ansia
<< Al ponte! Avanti! >> e di nuovo a
correre giù per quell’inferno.
Il ponte! Finalmente!
Lo attraversammo e Gandalf si fermò a metà
voltandosi verso il Balrog << Tu non puoi passare!
>> gridò contro
il mostro. Mi fermai alla fine del ponte insieme agli altri e ci
voltammo a
guardare Gandalf, era la prima volta che mi voltavo a guardare quel
mostro,
era…terrificante! Certo non schifoso e ripugnante come gli
orchi e come quella
mano che ancora mi portavo a spasso come un cagnolino, ma faceva venire
i
brividi lo stesso. Frodo provò a chiamarlo inutilmente,
Gandalf impugnò il suo
bastone e fece il suo discorso, discorso che avevo imparato a memoria.
Mi
piaceva troppo, trasmetteva sicurezza, determinazione.
<< Sono un servitore del Fuoco Segreto, e
reggo la fiamma di Anor! Il fuoco oscuro non ti servirà a
nulla, fiamma di
Udun! Ritorna nell'ombra! Tu non puoi passare! >> disse
con rabbia e
decisione e mentre io recitavo la stessa frase sottovoce, tra me e me.
Un crollo.
Il balrog cadde giù. Gandalf si voltò verso di
noi stanco e soddisfatto ma non ebbe modo di raggiungerci, il Balrog
l’afferro
per i piedi e lo trascinò giù. Perse il suo
bastone e rimase aggrappato per un
po’ alla roccia. Frodo provò a raggiungerlo
gridando il suo nome ma per fortuna
Boromir fu più veloce e lo fermò.
<< Fuggite, sciocchi! >> disse
guardandoci prima di cadere giù.
Le urla straziate di Frodo inondarono tutte le
miniere fino ad arrivare ai nostri cuori, facendoli vibrare
selvaggiamente. Io
stessa mi sentii squarciare da quelle urla, il dolore
penetrò nelle mie vene
avvelenandole. Eppure sapevo perfettamente che Gandalf era vivo.
Uscimmo dalle miniere e gli hobbit si
accasciarono su dei sassi sfogando il loro dolore in lacrime e lamenti
più o
meno forti. Era una delle scene più tristi a cui avessi mai
preso parte, i miei
occhi si inumidirono e decisi di andare vicino a Sam, sapendo bene che
il
ramingo lo avrebbe alzato con poco garbo con la fretta di andar via.
Ero quasi vicino quando la mano intorno all’ elsa
della mia daga si aprì improvvisamente staccandosi e
saltando via. Saltai e
urlai spaventata, mi ero quasi dimenticata di quella cosa che mi
portavo
appresso.
Ok, era una barzelletta! Anche quando la mia
priorità era di essere seria succedeva qualcosa che mi
rendesse una cretina.
<< Legolas! Falli alzare! >>
ordinò
Aragorn sistemandosi le armi addosso.
Tirai un calcio alla mano “che tu sia maledetta
della stessa maledizione che ho lanciato al tuo padrone”
pensai e mi avvicinai
a Sam mentre Boromir diceva a Aragorn in maniera supplichevole
<< Concedi
loro un momento, te ne prego! >>. Alzai lo sguardo
velocemente per
guardarlo, e il mio sentimento nei suoi confronti crebbe ancora, non
per la
bellezza, non per la fierezza ma per il suo cuore, la sua
bontà d’animo.
Perfino Aragorn, che nella
mia testa incamerava lo stereotipo di
uomo perfetto, non aveva tutto questo cuore, non lasciava troppo spazio
ai
sentimenti come invece faceva Boromir, e probabilmente erano proprio
queste
caratteristiche che avrebbero determinato i loro destini: Boromir
più
sentimentale avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di salvare la sua gente,
perfino
rubare l’anello e usarlo, Aragorn invece, più
razionale, dava più importanza
alla realtà delle cose, la pericolosità
dell’anello veniva prima di tutto.
Era la prima volta che facevo un ragionamento del
genere, e solo allora capii la realtà delle cose: Boromir
non era più debole,
era semplicemente più sentimentale, più emotivo,
più…più!
Era il migliore, ed era incredibile che solo in
quel momento, dopo anni di film e libri, solo allora che avevo davanti
agli
occhi i suoi lucidi per la commozione, ero riuscita a valorizzarlo come
era
doveroso fare.
E solo in quel momento la mia cotta svanì
completamente lasciando spazio a un intenso e profondo amore.
<< Stanotte queste colline brulicheranno di
Orchi. Dobbiamo arrivare ai boschi di Lothlorien. Andiamo, Boromir.
Legolas,
Gimli, falli alzare. >> Comandò il nuovo capo
della compagnia, mi
inginocchiai immediatamente davanti a Sam prima che potesse arrivare
lui e gli
feci capire con lo sguardo che a Sam ci avrei pensato io.
<< Su, su, Sam! Devi essere forte! >>
cercai di consolarlo scostandogli un ciuffo ribelle dalla fronte, era
strano ma
con gli hobbit avevo trovato una tenerezza che mai avevo scoperto di
avere,
sembrava di parlare con dei bambini.
<< Frodo d’ora in avanti avrà
bisogno di te
più di quanto abbia bisogno di se stesso. Devi essere forte
per tutti e due
>>
<< Non è l’unico che soffre per la
morte di
Gandalf >> si lamentò lui, probabilmente
infastidito dalla responsabilità
che gli stavo dando.
<< Non mi riferisco a Gandalf! Più ci
avviciniamo a Mordor, più Frodo tiene l’anello con
sé, e più questo prende il
possesso della sua mente e del suo cuore. Solo tu puoi aiutarlo, Sam.
Tienilo
sempre d’occhio, stagli appiccicato, aiutalo in qualsiasi
difficoltà anche
quando lui cercherà di allontanarti da sé. Ha
bisogno di te! Mi capisci?
>> dissi ma lo sguardo di Sam sembrava assente e
continuava a versare
lacrime dagli occhi, lo scossi costringendolo a guardarmi negli occhi
<<
Sam! Mi capisci? >> dissi seria e severa, nessuno mi
aveva mai visto in
quelle condizioni, ero abituata a dimostrare di essere il giullare
della banda,
ma più andavo avanti nella missione, più LA MIA
missione si avvicinava e più mi
incupivo, più la mia voglia di scherzare si affievoliva
lasciando che l’ansia,
la paura e la concentrazione divagasse nella mia anima. D’ora
in avanti non
potevo concedermi errori.
Sam annuì senza rispondermi e io sorrisi
rassicurante << Bravo hobbit! >> e
alzandomi in piedi mi concedetti
di dargli un bacio sulla fronte, come segno d’affetto e di
incoraggiamento.
<< Alzati adesso, non possiamo rimanere qui, non far
sì che il sacrificio
di Gandalf sia stato vano >> dissi molto dolcemente e gli
porsi la mano
per aiutarlo ad alzarsi. Lui mi prese la mano, si alzò in
piedi e si asciugò le
lacrime con la manica della maglia. Lo abbracciai ancora e
inginocchiandomi
davanti a lui lo guardai nuovamente negli occhi << Ehi
>> lo richiamai
<< Andrà tutto bene. Segui i miei consigli e
sono sicura che tutto si
risolverà per il meglio, abbiamo tutti fiducia in Frodo, ce
la può fare ma solo
se avrà te accanto. Fidati di me. Non ho la faccia di una di
cui ci si può
fidare? >> dissi facendo un sorriso storpio, abbastanza
idiota direi, ma
volevo strappare un sorriso al povero hobbit affranto <<
Mica tanto
>> confessò alzando un sopracciglio
<< Già, nemmeno io mi fiderei
di un’idiota del genere >> ridacchiai
rialzandomi << Andiamo
>> lo incitai.
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Capitolo 5 *** Desideri guardare nello specchio? ***
Il resto del
viaggio fu una desolazione totale,
nessuno osava proferire parola, tutti erano silenziosi e pensierosi.
L’aria
tesa che girava tra noi mi irritava parecchio a dir il vero, ma non
riuscivo a
far a meno che alimentare con le mie paure quella fiamma che pian piano
faceva
capolino dal buio più profondo annunciando la catastrofe.
Di cosa avevo paura? Di tante cose. Avevo paura
di morire durante l’avventura, avevo paura di ciò
che si nascondeva nel buio,
avevo paura di non riuscire a salvare Boromir e avevo paura di non
riuscire
a…rivelar lui i miei sentimenti senza esserne derisa.
Qualche volta durante il cammino spostavo lo
sguardo nella sua direzione guardandolo e non vedevo altro che la
follia
crescere a dismisura nei suoi occhi, il potere dell’anello
stava scavando
sempre più a fondo dentro di lui. Odiavo vederlo in quelle
condizioni, ma che
potevo farci? Assolutamente niente, solo aspettare e cercare di trovare
una
soluzione, dovevo capire, decidere, trovare un modo per salvarlo!
Insomma, non
sapevo difendere me stessa come avrei potuto salvare lui? Ci fermammo a
riposare poche volte e per pochi minuti, erano ormai due giorni che non
mangiavo niente, bevevo a malapena quelle poche gocce d’acqua
che erano rimaste
nella borraccia, avevo la bocca arsa e lo stomaco vuoto, i muscoli tesi
ma
lacerati, gli occhi bruciavano per la stanchezza e il sonno. Non ne
potevo più,
ma la determinazione e il desiderio di portare a termine la mia
missione mi
spingeva ad andare avanti, ad andare oltre, avrei potuto attraversare
le fiamme
dell’inferno completamente ricoperta di benzina, mi ci sarei
tuffata se
necessario, purchè in cambio avessi ricevuto conferma ai
miei quesiti, avessi
ricevuto la salvezza e l’amore dell’uomo
più fantastico di tutti i mondi.
Eravamo
entrati nei boschi da ormai qualche
minuto e Gimli non era tranquillo, si guardava attorno spostando gli
occhi da
una zona all’altra così velocemente che non ero
sicura che vedesse veramente
ciò che aveva intorno.
<< State vicini, giovani Hobbit! Dicono che
vive una grande fattucchiera in questi boschi. Una strega-elfo con
poteri
straordinari. Tutti quelli che la guardano cadono sotto il suo
incantesimo.
>> “tu per primo, mio caro nano”
pensai divertita da ciò che aveva appena
detto ricordandomi del suo amore nato per Galadriel. << E
non li si vede
più. >> continuò <<
Beh, ecco un Nano che lei non intrappolerà
tanto facilmente. Ho gli occhi di un'aquila e le orecchie di una volpe,
io.
>> e non terminò nemmeno quasi la frase che
una serie di frecce ci
vennero puntate contro. La mia prima reazione fu quella di lanciare un
occhiataccia a Gimli sperando che leggesse nei miei pensieri il
“dicevi
scusa?”. << Il Nano
respira così forte che potevamo
colpirlo nel buio. >> disse Haldir a capo
dell’esercito di elfi che ci
teneva sotto tiro. Aragorn prese la parola << Haldir o
Lórien. Henio
aníron, boe ammen i dulu lîn. Boe ammen veriad
lîn. >> ..cos…che diavolo?
<< Che???? >> dissi spalancando gli
occhi. << E’…elfico, Sophia
>> mi disse Aragorn stupito della mia
reazione << Lo so benissimo che elfico, maledizione!
>> Una volta
sarei riuscita a capirlo, o per lo meno mi sarei ricordata la
traduzione della
frase a memoria, ma in quel momento…vuoto assoluto! Non ci
avevo capito niente!
Cominciai a picchiettarmi una tempia << Stupido Ruphus,
dammi una mano!
>> mormorai sforzandomi di ricordare. Tanto ero presa dal
mio intento che
non ebbi modo di notare lo sguardo a dir poco sconcertato di Haldir
<< Ha
battuto la testa parecchie volte qualche giorno fa, è stata
trovata semi
cosciente nel Bruinen >> spiegò Aragorn
cercando di giustificare la mia
reazione, anche se sapevamo entrambi….o forse sapevo solo
io! Che quel mio modo
di fare non era dovuto alla testa sbattuta, ero sempre stata
così, la testa
sbattuta aveva solo comportato la perdita della memoria.
<< Aragorn! Questi boschi sono pericolosi!
Torniamo indietro! >>borbottò Gimli
terrorizzato da quelle punte così
vicine al suo naso << Scordatelo!! >>
sbottai guardando male il
nano << Devo parlare con Barbie Raperonzolo io!
>> ovviamente
parlavo di Galadriel, non l’avevo mai sopportata a dir il
vero, mi inquietava e
mi turbava, era peggio che vedere uno spettro con i suoi enormi occhi a
palla,
ma sapevo anche che probabilmente mi avrebbe saputo aiutare. Lei sapeva
tutto!
E io…in quel momento non sapevo niente e avevo desiderio
irrefrenabile di
colmare le mie lacune con le sue conoscenze. In poche parole, avevo
bisogno del
suo aiuto.
<< Deve averla sbattuta davvero molto forte
>> constatò Haldir prima di annunciare la sua
sentenza << Siete
entrati nel reame della Dama dei Boschi. Non potete tornare indietro.
Venite.
Lei aspetta. >> E ci costrinse a seguirli.
Ancora una lunga sfacchinata. Questi elfi! Nel
voler essere imponenti e maestosi esageravano sempre e ci era toccato
camminare
a lungo prima di riuscire ad arrivare di fronte alla fata turchina e il
suo
sposo.
<< Otto sono qui, eppure nove si sono
allontanati da Gran Burrone. Dimmi, dov'è Gandalf?
Perché molto desidero
parlare con lui. >> iniziò Celeborn
guardandoci “ma che bravo sa
contare!” pensai ironica.
La risposta arrivò per bocca di Galdriel,
risposta che non ascoltai troppo impegnata a sentire invece la voce che
echeggiava nella mia testa, come sicuramente stava accadendo anche agli
altri
miei compagni. A tutti veniva posto di fronte un bivio.
“Non è la salvezza di Arda il tuo destino, il tuo
cuore ti porta verso altre vittorie. E’ al cuore del
primogenito di Denethor,
sovraintendente di Gondor, la meta verso il quale ti stai dirigendo. E
se io ti
concedessi questo grande tesoro in cambio di un altro tesoro di un
valore
diverso? Se ti chiedessi l’anello in cambio di
Boromir?” sorrisi lievemente,
abbassai la testa lanciando un fugace sguardo a Boromir che stava
cominciando a
sudare freddo a causa della voce di Galadriel nella sua mente, poi
chiusi gli
occhi e feci la mia scelta.
Ok,
il mio desiderio di vedere la dama per
risolvere i mie problemi non stava avendo soddisfazione, non avevo modo
di
parlare con lei e anche se ci fossi riuscita…cosa le avrei
detto? La sua
risposta alla mia scelta era stata semplicemente “Hai
un’anima nobile”, non
aveva aggiunto altro benché conoscesse i miei tormenti. E
nel frattempo mi ero
ritrovata ad ascoltare il lamento destinato a Gandalf che gli elfi gli
stavano
concedendo, rannicchiata vicina a un albero, dopo aver riempito lo
stomaco e
essermi data una pulita, non poco distante da Boromir e Aragorn che si
era
appena messo a sedere accanto a lui cercando di convincerlo a dormire,
come una
madre cerca di tranquillizzare il proprio figlio che non
c’è nessun mostro
nella sua stanza.
<< Non troverò riposo qui. Ho sentito la
voce di lei nella mia testa. Parlava di mio padre e della caduta di
Gondor. Mi
ha detto: "Perfino adesso la speranza è rimasta". Ma non
riesco a
vederla. È da molto che non abbiamo più speranze.
Mio padre è un nobile uomo,
ma la sua guida si indebolisce. E... e il nostro... e il nostro popolo
perde
fiducia. Guarda a me per riordinare le cose, e io lo farei. Vedrei la
gloria di
Gondor ristabilita. Ah! Tu l'hai mai vista, Aragorn? La bianca torre di
Ecthelion. Luccica come una lancia di perle e di argento. I suoi
vessilli
catturati dal vento del mattino. Sei mai stato accolto a casa dal
chiaro suono
di trombe d'argento? >> parlò Boromir con la
voce che gli tremava per
l’emozione, Gondor faceva parte di lui, Gondor era la sua
vita, la sua casa.
<< Ho visto Minas Tirith. Tempo fa. >>
rispose vago Aragorn prima
che Boromir si perdesse nuovamente nelle sue fantasie <<
Un giorno, le
nostre vie ci condurranno lì. E la guardia della torre
leverà il grido: "I
signori di Gondor sono tornati!". >> era qualcosa di
straziante!
Sentire i sogni e i desideri di un uomo conoscendo la sua sorte,
sapendo che
mai essi sarebbero divenuti realtà, i sogni e i desideri non
di un uomo
qualunque ma di colui che più mi stava a cuore, era qualcosa
di dannato.
Mi sentii lacerare il petto, raccolsi le gambe in
un triste abbraccio e nascosi la testa tra le ginocchia lasciandomi
andare alla
tristezza e al rammarico sfogandoli in lacrime. Lacrime che per troppo
tempo
avevo trattenuto, lacrime che avrebbero voluto uscire tutte le volte
che avevo
visto la morte negli occhi, lacrime che avrebbero voluto uscire tutte
le volte
che guardavo in volto Boromir e pensavo che presto non avrei
più avuto modo di
farlo.
Ma, no! Non potevo arrendermi in quel momento!
Ero arrivata fin lì, potevo benissimo andare avanti, in un
modo o nell’altro
Boromir avrebbe udito le trombe d’argento suonare in suo
onore e la guardia
della torre annunciare il suo arrivo in un grido gioioso.
“Lo prometto” Pensai determinata. Alzai la testa,
mi asciugai le lacrime e fuggii via prima che qualcuno potesse vedermi
in
quelle condizioni e farmi domande. Non avevo la più pallida
idea di dove
dirigermi ma sapevo cosa stavo cercando, o meglio chi : Galadriel.
Fu lei a trovare me.
Mi ero fermata a bere un po’ d’acqua del
magnifico fiume che scorreva in quel bosco incantevole,
l’Anduin, e avevo
ancora una volta increspato le acqua con una mia lacrima. Solo quando
le piccole
onde del fiume si affievolirono vidi riflesso il volto di Galadriel,
posto
sopra di me. Alzai lo sguardo prima di sollevarmi in piedi.
Galadriel mi guardò torva per un attimo prima di
cominciare a camminare lentamente parlandomi con un tono di voce
melodioso,
alla fine non era poi così terribile.
<< Hai un’anima nobile, come le tue
aspirazioni più grandi. In un periodo oscuro come questo
è necessario che
l’amore continui ad ardere per combatterlo e ritornare alla
luce. Segui il tuo
destino non combattere contro di esso, solo così otterrai
ciò per cui tanto hai
faticato. >>
<< Ma qual è il mio destino? >>
chiesi con un filo di voce.
<< Il tuo arrivo qui è già un
annunciazione: qualunque sia il tuo destino è legato a Frodo
e all’anello,
Sophia della terra >>
Rimasi pietrificata.
<< Tu sai..da dove…io.. >> non
riuscivo a formulare la frase, e non ebbi nemmeno modo di farlo,
Galadriel si
fermò di fronte a una piccola fontana e si voltò
verso di me << Desideri
guardare nello specchio? >> mi disse indicando la
fontanella.
Sapevo benissimo che quello specchio non mi
avrebbe portato niente di buono, mostrava solo morte e distruzione di
un
ipotetico futuro, non dovevo fidarmi, eppure….mi sporsi e
vidi.
E lì trovai la risposta a un quesito che mai mi
ero formulata prima d’ora.
Vidi un uomo in giacca e cravatta passeggiare per
i boschi di Lothlorien con in mano un quadernino e una penna, annotando
tutto
ciò che vedeva, sentiva o percepiva, dirigendosi verso lo
specchio e
guardandoci svariate volte. Riconobbi con facilità
l’uomo: Tolkien!
Tolkien era stato lì, e lo specchio aveva
mostrato lui la storia di Frodo e dell’anello.
Allora…non era tutto un sogno!
Mi trovavo veramente a Arda, un mondo che veramente esisteva e che per
anni era
stato spacciato per la strana fantasia di un genio di Oxford. Avevo
veramente
rischiato la vita e avevo veramente davanti a me….il vero e
unico Boromir di
Gondor.
Già, Boromir.
Lo specchio mi mostrò anche lui, com’era
inevitabile che facesse. Mi mostrò la sua morte, le frecce
che lentamente
penetravano nella sua carne ed io che venivo trascinata via da forze
oscure,
incapace di aiutarlo, incapace di salvarlo, potevo solo guardarlo
mentre si
accasciava al suolo e con gli occhi diceva addio alla sua bella terra
che ormai
considerava già morta.
Qualcosa increspò l’acqua.
Un’altra delle mie lacrime.
Non avevo mai pianto così tanto e ora che sapevo
che era tutto dannatamente vero vivevo in un dolore maggiore e in
sofferenze
atroci.
Mi inginocchiai sfogando la mia rabbia sul bordo
della fontanella stringendolo con tutta la forza che avevo, piangendo
quante
più lacrime avevo, lasciandomi sfuggire lamenti muti dalle
labbra. Il tormento,
il dolore, fiamme nere che ardono incessanti increspando, distruggendo,
polverizzando la mia anima. La paura di essere inadatta, il terrore nel
vederlo
andar via.
“Rimani con me” pensai supplichevole.
Galadriel si inginocchiò accanto a me posandomi
una mano sulla spalla. Non ebbi la forza di voltarmi, le braccia
crollarono
ammorbidendosi lungo i fianchi, e lacrime incessanti mi solcavano il
viso,
seguendo sempre la stessa strada, scavando una via sulla mia pelle.
<< Il tuo cuore freme desideroso di pace
>> disse col suo solito tono di voce dolce e pacato
<< Lascia che
ti doni qualcosa >> e mi mise sotto il naso la mano
aperta che conteneva
uno strano oggetto. Era….un braccialetto, lo riconobbi dopo.
Era composto da
tre filamenti argentei a cui erano attaccate piccolissime palline
dorate. Era
così fine e delicato, tipico degli elfi, e così
affascinante, rifletteva una
lieve luce bianca. Lo presi titubante << Nel vostro mondo
lo avreste
chiamato portafortuna >>.
…
Un portafortuna?
Io ero disperata perché l’uomo della mia vita
stava per morire e la strega più potente di tutta Arda mi
regalava un semplice
portafortuna?
Mi prendeva in giro?
Ritornai a provare antipatia nei suoi confronti,
però dovevo ammettere che mi piaceva da morire quel
braccialetto e chissà che
veramente non portasse fortuna, se me lo aveva regalato lei forse aveva
qualche…potere! Così lo presi ringraziando.
Anche se cominciavo a dubitarne, in quei giorni
non era risultata per niente utile. Sapevo che prima di partire ci
avrebbe
concesso altri doni e sperai che almeno in quell’occasione
non mi avrebbe
regalato un cornino da attaccare alle chiavi.
<< Ti darà la forza di cui hai bisogno
>>.
<< Grazie, grazie mille >> dissi
chinando la testa. Indossai il braccialetto sopra il guanto, ci stava
magnificamente. Galadriel si avviò per tornare alle sue
dimore e io feci
altrettanto, sperando che non si vedesse troppo il pianto a cui ero
appena
stata sottoposta. Mi specchiai nel fiume, avevo gli occhi rossi,
maledizione!
Beh, non importava, avrebbero potuto pensare che piangevo per Gandalf.
Tornai dalla mia compagnia e mi stesi, cercando
di riposare, sapevo che una volta usciti da Lothlorien il cammino
sarebbe stato
ancora più faticoso e dovevo prepararmi a un viaggio duro ed
estenuante.
Passai il giorno e la notte in piena solitudine,
stesa a riposare e a riflettere, cercando una soluzione ai miei
problemi, anche
se sapevo perfettamente che pianificare non avrebbe aiutato.
Il giorno dopo
tutti erano impegnati a preparare
le barche concesse dagli elfi, così come i mantelli e il
lembas, il pane degli
elfi, bastava un morsetto per placare la fame.
Prima di partire però Celeborn ci richiamò
chiedendoci di conceder loro un ultimo pasto assieme. Tutti fummo ben
contenti
di riempire la pancia prima della partenza, e il rimanere un altro
po’ lì ci
rassicurava, era un posto sicuro e tranquillo e i nostro cuori avevano
bisogno
di quella pace tanto ambita.
Bevemmo e mangiammo tutti con il sorriso sulle
labbra, sorriso apparente s’intende, era la quiete prima
della tempesta. Poi
Galadriel fece una richiesta che mi lasciò un po’
perplessa e sorpresa <<
Sophia dai luoghi sconosciuti, mi piacerebbe udire una delle vostre
canzoni per
allietare l’animo dei presenti >>. Canzoni? Io?
Scherzava? Cosa voleva
che gli cantassi “noi puffi siam così, due mele o
poco più” ? rimasi a bocca
aperta per un po’, non avevo proprio idea di cosa cantare. Mi
guardai attorno,
le facce dei miei compagni, abbattute nel profondo, solcate dai dolori
e dalle
fatiche, prive di speranza e di gioia che si allietavano di un riposo
apparente, consci della distruzione a cui sarebbero presto andati
incontro,
avevano bisogno di speranza…così come ne avevo
bisogno anche io.
Incrociai le gambe e cominciai a battere un ritmo
sul polpaccio e a cantare << Tra le nuvole e i sassi
passano i sogni di
tutti, passa il sole ogni giorno senza mai tardare.
Dove sarò domani? Dove sarò?
Tra le nuvole e il mare c'è una stazione di
posta, uno straccio di stella messa lì a consolare, sul
sentiero infinito del
maestrale. Day
by day hold me... shine... on me. Day by day... save me... shine on
me. Ma
domani, domani... domani, lo so, lo so
che si passa il confine. E di nuovo la vita sembra fatta per te, e
comincia
domani.
Domani è già qui, domani è
già qui.
Estraggo un foglio nella risma nascosto scrivo e
non riesco forse perché il sisma m'ha scosso. Ogni vita che
salvi, ogni pietra
che poggi, fa pensare a domani, ma puoi farlo solo oggi. E la vita la
vita si
fa grande così. E comincia domani.
Tra le nuvole e il mare si può fare e rifare, con
un po' di fortuna si può dimenticare. Dove sarò?
Domani... Dove sarò?
Dove sarò io domani, che ne sarà dei miei sogni
infranti, dei miei piani? Dove sarò io domani, devo
rialzarmi, tendimi le mani,
tendimi le mani. Tra le nuvole e il mare si può andare e
andare sulla scia
delle navi di là del temporale. E qualche volta si vede una
luce di prua, e
qualcuno grida: Domani!
Come l'aquila che vola libera tra il cielo e i
sassi, siamo sempre diversi e siamo sempre gli stessi. Hai fatto il
massimo, il
massimo non è bastato, e non sapevi piangere e adesso che
hai imparato, non
bastano le lacrime a impastare il calcestruzzo, eccoci qua cittadini
d'A..>> mi bloccai un nanosecondo prima riprendere
portando una lieve
modifica al testa << D’Arda. E aumentano
d'intensità le lampadine, una
frazione di secondo prima della fine.E la tua mamma, la tua patria,da
ricostruire, comu le scole, le case, specialmente lu core e puru nu
postu cu
facimu l'amore. Signore e signori... noi non siamo così
soli, non siamo così
soli, non siamo così soli…>> e
andai avanti per un po’ a ripetere “non
siamo così soli” così che il concetto
si infilasse ben in testa a quelle
canaglie che avevo di fronte, e mi stupii di sentire dopo il secondo
“non siamo
così soli” Pipino ripeterlo insieme a me, poi
Merry, Sam, Legolas, Gimli,
Aragorn, Frodo, anche gli altri elfi presenti alla cena e infine, un
po’ meno
convinto, o forse stava semplicemente riflettendo
sull’importanza di quelle
parole, Boromir.
Conclusi il coretto facendo un ultimo “non siamo
così soli” con un acuto, come era presente nella
canzone e continuai <<
Con le nuvole e il mare si può andare, andare sulla scia
delle navi di là dal
temporale. E qualche volta si vede una luce di prua e qualcuno grida:
domani!
Non siamo così soli, non siamo così soli, non
siamo così soli! >>
cominciai a ripetere e indicai pian piano
ognuno dei presenti per indicargli quando attaccare con il controcoro,
e di
proposito indicai per terzo Frodo e per ultimo Boromir, era a loro che
era
dedicata più che altro la canzone, erano loro che in quel
momento avevano
bisogno di conforto e sostegno. Conclusi con un altro acuto prima di
riprendere.
<< Domani è già qui, domani
è già qui...
domani. Ma domani domani, domani lo so, lo so che si passa il confine.
E di
nuovo la vita sembra fatta per te e comincia domani. Tra le nuvole e il
mare,
si può fare e rifare, con un po' di fortuna si
può dimenticare. E di nuovo la
vita, sembra fatta per te,
e comincia domani! Ma domani domani, domani lo
so, lo so che si passa il confine. E di nuovo la vita sembra fatta per
te, e
comincia... domani! >>.
Conclusi la canzone. Silenzio assoluto.
Ok, perfetto, avevo fatto schifo, gli avevo
delusi tutti. Che bella cosa, e io che cercavo di tirar loro su di
morale! Ma
poi un applauso partì da parte di Celeborn, di Galdriel e
poi da tutti gli
altri. Sorrisi un po’ imbarazzata e abbassai lo sguardo prima
di riprendere la
mia coppa di Idromele e berne un sorso.
Ci
stavamo per rimettere in marcia quando
Galadriel ci fermò ancora (non ci voleva proprio lasciar
andare!) e ci diede
dei doni. A sam una corda elfica e un po’ di terriccio del
suo frutteto, così
che la terra del giardino del piccolo hobbit sarebbe stata sempre
fertile, a
Boromir una cinta d’oro, a Merry e Pipino delle cinture
d’argento, a Aragorn un
fodero nuovo per la sua spada, a Frodo la stella di Elendil, a Legolas
un arco
nuovo, a Gimli 3 suoi capelli mentre a me
una spada nuova, dato che la mia vecchia era rimasta alla
piovra per
giocare ai cavalieri, e un sacchetto contenente Athelas. Nessuno
capì il
significato del secondo dono, io benché meno! Sapevo
benissimo che solo un re
sapeva usarne gli effetti curativi, ma non mi lamentai, accettai, anche
se non
mi fidavo per niente di Barbie Raperonzolo decisi che forse il fatto
suo lo
sapeva.
Ci rimettemmo finalmente in marcia, Frodo, Sam e
Aragorn in una barca, Boromir con gli altri due hobbit nella seconda e
nella
terza ci finii io con la coppia più bella del mondo: Legolas
e Gimli.
Ammetto che fu uno dei viaggi più divertenti che
avessi mai fatto, sentire i due che concorrevano per la
grandiosità delle proprie
razze era fantastico, non facevano altro che bisticciare chiedendomi a
volte di
fare da giudice imparziale.
Ma era anche vero che a volte mi lasciavo andare
dall’inquietudine lanciando sguardi a Boromir e vedendo che
la sua malattia era
a dir poco peggiorata, troppo spesso si avvicinava alla barca di Frodo
con gli
occhi pieni d’odio, digrignando i denti e bisbigliando parole
incomprensibili.
Era ormai fatto
buio, ci accampammo sulla riva
dell’Anduin decidendo di fare dei turni di guardia per non
essere colti di
sorpresa da qualche brutta notizia. Il primo turno toccò a
me, ero considerata
la debole del gruppo, perciò avevano pensato che non era il
caso di svegliarmi
in piena notte per qualche turno intermedio. La cosa un po’
mi lusingò ma
rimasi dispiaciuta di essere considerata come…un peso.
Esatto, ero un peso,
qualcosa costretti a portassi appresso senza conoscerne
l’utilità.
“Sarà riconosciuta la mia
validità?” Pensavo
guardando le fiamme del fuoco di fronte a me svanire pian piano
abbandonandosi a
tormentosi scoppiettii, come urla di dolore che affievoliscono di
fronte
all’indomabilità della morte.
La morte.
Non c’era altro nella mia mente, mai come allora
avevo avuto paura della sua mano scheletrica, ma non per me, no, sarei
anche
morta se un qualche dio me lo avesse ordinato, sarei anche morta se la
necessità di farlo avesse superato tutte le mortal
priorità.
La sua morte. Quella no, non l’avrei mai
accettata. Io dovevo impedirla. Ma avevo io questo potere? Gli dei mi
avevano
veramente concesso in dono una parte del loro potere, forte abbastanza
da
sovrastare quello della dama nera? Mi era concesso porle questo
affronto? Mi
erano state donate le armi in grado di abbatterla, o semplicemente
allontanarla?
Quale dio mi aveva spinta lì?
Afferrai un pezzo di legno, un bastoncino
insignificante, ancora fresco di vita manifestata in verdognole
foglioline e
gocce di vita linfea che ancora scorrevano dentro di lui, appiccicando
la mia
mano. Mi era stato donato il potere della vita? Avevo nelle mie mani
l’arma?
Lanciai il legnetto nel fuoco con impeto
rabbioso, ravvivando appena la fiamma.
Sì.
Mi era stata donata, dovevo solo comprendere come
usarla. Avevo poco tempo, poche risorse, nessun maestro, ma
determinazione,
forza sufficiente.
Mi voltai scostando lo sguardo dal fuocherello di
fronte a me a un fuoco maggiore, mi voltai a guardarlo mentre dormiva.
Mi trasmetteva una serenità e una pace mai avute
prima, sarei morta se un qualche dio me lo avesse ordinato, sarei morta
se lui me lo avesse ordinato.
Il respiro che armoniosamente usciva dalle sue
labbra appena dischiuse era la ninna nanna della mia vita, niente di
più dolce,
niente di più bello. I capelli sporchi di una qualche fatica
gli accarezzavano
teneramente il volto, come avrebbe voluto fare una mia mano. Sfiorarlo,
non
desideravo altro. Baciarlo, non desideravo altro. Il sapore della morte
sarebbe
stato divino su di lui.
Mi alzai dalla mia postazione vicino al fuoco e
come una madre amorevole sistemai il mantello sulle sue spalle cercando
di non destarlo
dai suoi sogni, chissà quali.
<< Un giorno conoscerai i miei >>
sussurrai prima di ritornare davanti al fuoco e perdermi nella danza
delle sue
fiamme.
Una mano mi destò, il mio nome sussurrato, mi
voltai.
<< Legolas >> dissi in un sospiro: mi
aveva spaventata.
<< Se ti ho colta di sorpresa allora non è
buon segno >> disse ma il suo tono non era affatto di
rimprovero,
sorrideva, come se avesse compassione di me.
<< No, io… >> non sapevo come
giustificarmi, di certo non potevo dirgli che ero sicura non sarebbe
successo
niente quella sera <<…mi ero distratta un
attimo, mi dispiace >>
<< Non preoccuparti! Può capitare, quando
si è da soli, di perdersi nei propri pensieri
>> disse sedendosi accanto
a me << Non dormi? >> chiesi
<< E’..il mio turno, ricordi?
>>
Di già?? Ma…quanto tempo ero stata a pensare?
Così tanto? Possibile?
<< Non mi sono resa conto del tempo che
passava >> confessai << Sarà
meglio allora che vada a riposare
>>.
<< Mi piacerebbe godere per qualche minuto
della tua compagnia. >> si affrettò a dire,
per impedirmi di allontanarmi
<< Devo ammettere che ci sono tante cose di cui vorrei
conversare con te,
sei una ragazza così misteriosa >>
Ridacchiai << E se tu togliessi questo velo
di mistero che ho addosso perderei tutto il mio fascino, non credi?
>> e
gli feci un occhiolino.
<< Il mio cuore dice il contrario. >>
fece una breve pausa << Non sai difenderti, non sai
combattere, hai paura
della tua stessa ombra, sembra che i tuoi pensieri seguano un percorso
tutto
loro, a cui nessuno è permesso accedere, e sei molto, molto
delicata. >>
Ancora un’altra pausa << Elrond non avrebbe mai
concesso la tua entrata
nella compagnia se non per un valido motivo, motivo che credo risieda
nelle tue
passate azioni, motivo che risiede nella parola per entrare a Moria che
solo tu
conoscevi, nelle tue conoscenze sul Balrog, nel tirare via in tempo
Boromir
prima che fosse colpito da frecce che tu neanche avevi sentito scoccare
o
nell’individuare la strada giusta da prendere nelle miniere,
strada che nemmeno
Gandalf ricordava. Guardi i paesaggi intorno a te con gli occhi di un
bimbo
appena nato, ma come se, nonostante tutto, non avessero segreti per te.
E’
nelle tue conoscenze che risiede l’aiuto che Elrond voleva
darci, non è così?
Eppure mi chiedo da dove nascano, tu hai tanto di cui scoprire.
>>
Questa volta a fare una pausa fui io, sapevo che
Legolas aveva un’intelligenza straordinaria e quella ne era
stata la
dimostrazione e i suoi occhi di elfo erano ancora una volta riusciti a
guardare
oltre a ciò che a tutti era concesso vedere.
<< Da quanto mi tieni d’occhio?
>>
Legolas fece un sorriso un po’ imbarazzato prima di
rispondermi << Da un
po’. A colpirmi è stata la tua prima frase
“ferisce più la parola che la
spada”, sentivo che non era semplicemente l’uscita
di una donna in delirio,
così ho cominciato a seguirti con gli occhi per capire cosa
si nascondesse
dentro te >>.
<< Hai scoperto già quanto basta, per ora
>> dissi avvicinandomi a lui << E sono
certa che non ci metterai
tanto a scoprire tutto ciò che c’è da
sapere su di me, ma per il momento ti
lascio il beneficio del dubbio. >> sorrisi in maniera
enigmatica <<
Ti chiedo solo di tenere per te tutto ciò che vedrai con i
tuoi occhi di elfo,
agli altri rivelerò tutto io quando sarà il
momento. Ora perdonami, Legolas
Thranduilion, ma domani avrò bisogno di essere riposata e in
forze. >>
Guardai il cielo nero sopra di me pensierosa, l’indomani
avrei dovuto
raccogliere tutte le energie per poter portare a termine la mia
missione:
salvare Boromir.
<< Sarà una lunga e faticosa giornata
>> commentai semplicemente
e mi
voltai per andarmi a sistemare in un angolo comodo.
<< I tuoi occhi… >> riprese
Legolas
<<…vedono ciò che nessuno vede.
>> Mi bloccai, sapevo che aveva già
intuito cosa c’era da intuire.
<< Tu sai cose che nessuno sa, i Valar
hanno donato a te il dono della vista
nell’oscurità dei giorni avvenire. Non
è
così? >>
Che elfo, signori! Un Signor Elfo! Mai incontrato
nessuno di più intuitivo e perspicace, peccato che ancora
fosse lontano dalla
realtà dei fatti, ma ero fiduciosa, avrebbe capito presto e
sapevo che non
avrebbe rivelato niente a nessuno, era qualcuno di cui ci si poteva
fidare. Mi
voltai ancora, gli feci un grosso sorriso enigmatico, che sicuramente
lui
avrebbe interpretato come risposta affermativa, e sussurrai
<< Buonanotte
>> prima di stendermi, coprirmi con il mantello e
chiudere gli occhi.
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Capitolo 6 *** Domani è già qui! ***
Il sole sorgeva
lentamente su, nel cielo di Arda,
ma ai suoi raggi non era concesso toccare il suolo. Le nuvole nere di
Mordor si
estendevano a vista d’occhio, coprendo tutto il cielo,
privando quella
magnifica terra di tutti i suoi colori, inondandola di un grigio cupo e
grave,
sentivo l’aria opprimente, le spalle schiacciate sotto il
peso del male, la
stanchezza di una vita mai vissuta.
Aprii gli occhi, tutti stavano già facendo
colazione e stavo per lamentarmi perché nessuno aveva
pensato a me, come loro
solito, quando abbassando uno sguardo vidi un piatto vicino ai miei
piedi con
dentro un paio di salsicce e un uovo.
<< Colazione all’inglese? >>
mormorai
storpiando le parole con uno sbadiglio e stiracchiandomi come un gatto.
<< Buongiorno Sophia, incredibile quanto tu
abbia dormito! >> Mi disse Pipino venendomi accanto col
sorriso sulle
labbra << La tua colazione >> disse
indicandola.
<< Grazie, sei stato molto gentile a
tenermi da parte qualcosa >>
dissi
scompigliandogli i capelli.
<< Veramente non sono stato io, è stato
Legolas >> rimasi profondamente colpita dalle sue parole,
mi voltai
velocemente verso l’elfo incrociando i suoi occhi e il suo
sorriso sbarazzino.
La chiacchierata della sera prima aveva avuto un effetto devastante nei
suoi
interessi, ora ero messa tra i primi posti, e questo mi convinse a
rimandare il
più possibile la mia confessione, mi piaceva in fin dei
conti avere una certa
importanza nel gruppo anche se inappropriata perché infondo
ero una semplice
ragazzina con la passione per la lettura e tanta fortuna.
Presi il mio piatto, mangiai con gusto anche se
non ero per niente abituata a mangiare salato di prima mattina.
Prima mattina? Alzai gli occhi al cielo, chissà
che ore erano.
La cosa positiva era che mi sentivo in forze, mi
sentivo piena di energie, e anche se la paura mi percuoteva come un
martello su
una spada in piena forgiatura, ero determinata, sicura di me, decisa,
irremovibile.
Pulii il piatto, avevo bisogno di energie e
sapevo che non dovevo fare complimenti sul cibo, ne avremmo avuto di
così
abbondante ancora per poco. Mi alzai in piedi, sgranchendomi le gambe,
andai
vicino al fiume per darmi una pulita alle mani e viso, mi raccolsi i
capelli in
una treccia molto comoda, avrebbe impedito ai capelli di mettersi tra
me e ciò
che mi era davanti occludendomi la vista, e mi voltai ad ascoltare i
discorsi
dei miei compagni, indecisi sul cammino da intraprendere.
<< Il portatore dell’anello decida
>>
disse Aragorn voltandosi verso Frodo, poveraccio, aveva così
tante
responsabilità sulle spalle, io sarei impazzita al posto
suo.
<< so che il tempo stringe, ma non posso
decidere. È un peso assai gravoso. Dammi un’ora di
tempo e ti dirò la mia
scelta. Ho bisogno di essere solo. >> disse prima di
allontanarsi sotto
lo sguardo compassionevole di Aragorn, che, ormai avevo capito, lo
guardava
come un figlio non solo come un compagno.
Mentre Frodo era via gli altri si riunirono in
cerchio per discutere su che strada avrebbero preso, solo Boromir era
discostato, schivo, avvolto in una bolla isolante. E senza dire niente
a un
certo punto si alzò e si allontanò. Nessuno lo
vide, troppo presi com’erano a
discutere, solo io ci feci caso e sospirai pensando a ciò
che da lì a pochi
minuti sarebbe successo. Il momento era sempre più vicino,
la paura di sbagliare
era troppa, tanto da farmi tremare benché il mantello di
Galadriel fosse ottimo
per ripararsi dal freddo.
Legolas, l’unico che mi teneva d’occhio, fu
l’unico a notare la mia inquietudine e mi lanciava occhiate
interrogative a cui
mi sforzavo di non rispondere. Era bene che nessuno, anche
l’elfo più
affidabile di questo mondo e del mio, sapesse ciò che stava
per accadere,
sapesse ciò che mi passava per la testa.
Sam notò l’assenza di Boromir e si
preoccupò al
che io commentai con un fievolissimo << Non andare a
cercarlo, ti prego
>>, nessuno mi udì, nessuno poteva, se non le
orecchie finissime di un
elfo che mi lanciò sguardi ancora più intensi e
curiosi. Incrociai il suo
sguardo, nascondendo i miei timori e trasmettendogli solo il lato
più determinato
dei miei sentimenti, quello che precludeva l’importanza degli
eventi che
stavano avvenendo alle nostre spalle. Ed era importante che nessuno si
voltasse
a guardare.
Il tempo concesso a Frodo da Aragorn terminò ma
di lui ancora niente: era sparito.
L’ansia cominciò a padroneggiare nel piazzale
dove eravamo accampati, Legolas mi spedì un altro dei suoi
sguardi intensi,
aveva intuito che io sapevo perché Frodo tardava e mi sentii
in dovere di
avvicinarmi a lui e sussurrargli << Abbi fiducia
>>. Il mio timore
era che una volta tornato Boromir lui gli si sarebbe scaraventato
contro solo
perché aveva intuito dalle mie parole che lui
c’entrava qualcosa con questo
ritardo << Va tutto bene, segui le indicazioni di Aragorn
e non fare
domande >>.
<< Ma Boromir… >>
cominciò lui
appartandosi insieme a me, per evitare che gli altri ascoltassero. Un
impeto
furioso mi colse nell’udire il suo nome con
quell’astio, presi Legolas per la
maglia e lo avvicinai al mio volto << Lascia stare
Boromir! Ti ho detto
di non fare domande e fa ciò che dico, non farmi pentire di
averti reso
partecipe dei miei pensieri! Andrà tutto bene, abbi fiducia.
>> Non ero
mai stata tanto aggressiva, mi era venuto spontaneo, sentir pronunciare
il nome
di Boromir in quella maniera, così come pronunciavano Sauron
o Saruman, mi
aveva fatto andare su tutte le furie. Boromir era un dei migliori
uomini del
regno, aveva solo commesso un piccolo errore ma non per questo andava
disprezzato e considerato un traditore.
Mi resi conto dell’impeto che avevo
manifestato e che
probabilmente stavo
esagerando, così lo lasciai andare respirando a fondo per
calmare i miei nervi
ballerini << Scusa >>
dissi
anche se sapevo perfettamente che né l’avevo
spaventato né intimorito minimamente,
chi avrebbe avuto paura di una ragazzina come me?
<< Un po’ troppo impulsiva e propendente
all’ira per essere semplicemente riconoscenza nei confronti
dell’uomo >>.
La doveva smettere!!! Non potevo fare vita,
qualsiasi battito di ciglia rivelava all’elfo i miei pensieri.
<< La smetti di osservarmi? >> mi lamentai imbarazzata,
come minimo ero
diventata viola in volto.
<< Non mi hai voluto raccontare niente, in
qualche modo dovrò pur togliere le mie curiosità
>>
<< Sì, ma così
è… >> non riuscii a
finire la frase che
sentii Aragorn
chiamare Boromir. Mi voltai, era già tornato! Il cuore mi
pulsava in petto
freneticamente mentre vedevo l’uomo sedersi per terra con lo
sguardo perso nel
vuoto, perso nella disperazione.
Aveva sbagliato.
Si era pentito.
Ora toccava a me dargli un’altra possibilità.
<< dove sei stato Boromir? Hai veduto
Frodo? >> chiese Aragorn, sentivo preoccupazione nella
sua voce.
<< sì e no. Sì: lo incontrai alle
pendici
del colle e gli rivolsi la parola. Lo esortai a venire a Minas Tirith e
a non
recarsi ad Oriente. Mi arrabbiai, ed egli se ne andò.
Scomparve, svanì. Non mi
era mai capitata una cosa simile, benché le favole ne
parlino. Deve aver
infilato l’anello. Non sono riuscito a trovarlo e pensavo
fosse tornato qui da
voi. >> disse
senza sentimento
nella voce, vagabondava nei ricordi confusi, probabilmente continuando
a
ripetersi da dove era venuta fuori tutta quella debolezza, quel mostro
che non
era lui.
Che voglia avevo di andargli incontro e
abbracciarlo, che dolore provavo in petto, che bruciore la gola. Ero
dentro
lui, sentivo i suoi sentimenti, li provavo sulla mia pelle ma non ero
in grado
di sopportare il dolore atroce.
<< è tutto quel che hai da dire?
>>
Continuò Aragorn ad interrogarlo, sentivo un pizzico di ira
nella sua voce,
l’idea che Boromir avesse causato la fuga di Frodo era
qualcosa che lo mandava
su tutte le furie, chissà dov’era adesso
l’Hobbit.
Sta bene.
E’ l’unico ad esserlo.
<<
sì. Non dirò altro per il momento.
>> rispose Boromir.
Il delirio, la confusione, l’ansia, la
preoccupazione rimbombava nell’aria come un eco lontano,
infinito, ancora forte
e ben udibile e che pareva non volesse dissolversi.
<< queste sono pessime notizie! Vorrei
proprio sapere cos’ha combinato quest’uomo! Per
quale motivo il signor Frodo si
sarebbe infilato l’anello? Non doveva assolutamente farlo; ma
se così è,
soltanto il cielo sa quel può essergli accaduto!
>> Era Sam il più
agitato di tutto, era quello più legato all’Hobbit
di chiunque altro e aveva
ricevuto ordine da Gandalf e da me di stargli attaccato come una cozza,
non voleva
trasgredire la promessa.
<< comunque se lo sarebbe tolto non appena
lontano dall’indesiderato visitatore, come soleva fare Bilbo
>> Aggiunse
Merry.
<< ma dov’è andato? Dove?
È passato troppo
tempo da quando ci ha lasciati. >> Intervenne Pipino.
Tante voci che si accalcavano in congetture che
l’un con l’altra si elidevano e si assimilavano.
Niente di reale, niente di
sbagliato, solo la disperazione più totale e
l’irrefrenabile bisogno di trovare
l’amico fuggito.
<< quando hai veduto Frodo l’ultima volta,
Boromir? >> Chiese ancora Aragorn “maledizione,
lascialo in pace!” pensai
assistendo a tutto in disparte.
Non avevo bisogno di aggiungere le mie opinioni,
avrei evitato di intervenire a meno che non fosse stato necessario, perché sapevo
perfettamente che la mia
opinione in quel momento era unica e si alienava dal resto del gruppo.
Io non
pensavo a Frodo, non me ne preoccupavo minimamente, aveva la pellaccia
dura per
fortuna, stava bene…chi aveva bisogno di aiuto in quel
momento era colui che
stava venendo attaccato.
Appeso con una mano su uno strapiombo senza fine
e gli amici che gli schiacciavano le dita, permettendo la sua caduta
mentre io,
solo io, sarei intervenuta al momento giusto per afferrarlo al volo e allora avrei avuto due
possibilità: tirarlo
su in salvo o
cadere giù con lui. Mai e
poi mai avrei lasciato la sua mano, mai e poi mai gli avrei permesso di
crollare sotto i miei occhi, finchè ero in vita lo sarebbe
rimasto anche lui,
era una promessa.
<< mezz’ora, forse, o forse un ora
fa… ho
vagabondato, poi. Non lo so! Non lo so! >> rispose
l’uomo in preda alla
disperazione più totale. Si afferrò i capelli e
si coprì il volto con le mani.
Basta!
Basta!
Basta!!
Troppo dolore. Troppo.
Ramingo da quattro soldi corri a cercare Frodo invece
di ucciderlo! Vattene!
<< un’ora da quando è scomparso?
Dobbiamo
trovarlo subito! Venite! >> disse Sam prima di scappare
nella foresta a
cercarlo, che hobbit giudizioso. Tutti gli altri lo seguirono solo
Aragorn
rimase fermo gridando <<
aspettate
un momento! Dobbiamo dividerci a due a due, ed organizzare…
ehi, venite qui,
aspettate! >> e Legolas…beh era un
po’ titubante sul cosa fare, voleva
andare a cercare Frodo ma il vedermi immobile lì
dov’ero, dimenticata da tutti,
sicuramente gli faceva pensare che stando vicino a me avrebbe avuto
più
vantaggi.
Mi voltai e lo guardai male << Muoviti! Vai
a cercare Frodo! >>
<< E tu.. >>
<< Lascia stare me! >> lo interruppi
<< Ho altre cose da fare io >> e anche
l’elfo se ne andò,
guardandomi torvo.
Aragorn si voltò ancora verso Boromir << ci
confonderemo e ci perderemo. Boromir! Non so quale sia stata la tua
parte in
questo guaio, ma adesso aiutaci! Rincorri quei due hobbit, e
custodiscili
almeno, anche se non riesci a trovare Frodo. Ritorna qui, se lo
rintracci, o se
scorgi qualche orma. Io tornerò fra poco. >>
poi si voltò verso di me
<< Sophia, vieni con me! >>
Cosa? Io… no!
“Pensa, Sophia, pensa!” Non dovevo andare con
Aragorn, avrei perso tempo, dovevo stare vicino a Boromir, custodirlo.
<< Io è meglio se rimango qui, Aragorn. Nel
caso Frodo dovesse tornare mentre siete via >>.
Ci pensò un po’ su << Giusto.
>> e
corse via perdendosi nella foresta.
Boromir era rimasto immobile, seduto, tremando
come un bambino nel buio, abbandonato, sentendosi un traditore,
sentendosi una
canaglia, sentendosi in colpa. Mi avvicinai a lui, finalmente rimasti
soli
potevo parlargli, mi inginocchiai e gli posai una mano sulla spalla.
Questo lo destò appena e alzò gli occhi su di me,
quegli occhi belli e profondi ora erano intaccati e lacerati da crepe e
tremolii, un velo pacato offuscava il loro blu rendendolo dello stesso
colore
grigio del cielo.
Che dolore vederlo in quelle condizioni.
Ma…ora che ero lì? Che dirgli?
<< Ascoltami bene Boromir >>
cominciai, sempre bene cominciare che stare in silenzio, le parole mi
sarebbero
venute da sole << Io… >> cosa?
Io cosa? Io sapevo tutto? Io volevo
aiutarlo? Io cosa?
<< Io…sono qui per aiutarti >>
ok,
vaga, ma confusa. Non ci capivo niente io, figuriamoci lui.
<< Con me puoi parlare, non sono qui per
giudicarti o per darti colpe. >> piccola pausa riflessiva
mentre lui mi
guardava ancora più confuso e preoccupato, preoccupato che
io fossi a
conoscenza dei fatti.
Ma era arrivato il giorno, non potevo più
aspettare. Dovevo usare tutte le carte che avevo per salvarlo
<< Io so
tutto. So che hai cercato di togliere l’anello a Frodo e..
>> non riuscii
a finire la frase che Boromir scattò in piedi furioso
<< Chi diavolo sei?
Una strega? Sei qui per confonderci e dividerci, non è
così? Vuoi prendere
l’anello! Sei stata tu a farmi questo maleficio, nevvero?
Già da tempo avevo
capito che ci fosse qualcosa di strano in te, ma non immaginavo tu
fossi una
traditrice. Strega! >> “qualcuno lo fermi!
Qualcuno lo fermi! Qualcuno lo
fermi! Ok, lo fermo io!” Mi alzai e gli tirai uno schiaffo in
pieno volto con
tutta la forza che avevo.
Cavoli ero lì per aiutarlo e lui mi trattava in
quella maniera? Metteva in dubbio la mia fedeltà, metteva in
dubbio le mie
buone azioni, metteva in dubbio…i miei sentimenti!
Le lacrime mi premevano contro le palpebre,
desiderose di uscire, avevo gli occhi umidi e mi bruciavano.
<< Forse sì >> cominciai con la
voce
che mi vibrava, il colpo infertomi era stato devastante
<< Forse sono una
strega, forse ho dei poteri magici, nessuno qui è sicuro di
ciò che lo
circonda, non si è nemmeno sicuri di noi stessi! Non
è così? Tu stesso hai
perso la fiducia che avevi di te stesso, tu stesso ti vergogni del tuo
autocontrollo perduto, tu stesso non sai più chi sei! Quindi
come pretendi che
io sia diversa da te? Posso essere una strega oppure una semplice
ragazza che
ha letto nei tuoi occhi e che ora desidera con tutto il cuore aiutarti
a
ritrovare te stesso! >> Abbassai lo sguardo, mordendomi
un labbro, stavo
lottando con tutta me stessa contro le lacrime, non dovevo piangere,
non in
quel momento, non davanti a lui, non quel giorno! Dovevo essere forte,
dovevo
essere decisa e determinata, non dovevo arrendermi o cedere davanti a
nessuno o
non avrei trovato la forza di fare ciò per cui ero partita.
Chiusi gli occhi
per concentrarmi maggiormente, dovevo vincere quel dolore, non era
ancora il
momento.
Non ancora.
Non ancora.
Sentii la sua mano calda posarsi sul mio mento,
accarezzandone appena la pelle prima di fare pressione verso
l’alto costringendomi
ad alzare la testa. Aprii istintivamente gli occhi e trovai il suo
volto a
pochi centimetri dal mio, e i suoi occhi blu, ora tornati intensi, mi
studiavano nel profondo dell’anima.
Non ancora.
Non ancora.
Non potevo piangere, non…
Il cuore mai aveva battuto così forte, la testa
mai aveva girato tanto, eppure mi stava semplicemente guardando negli
occhi, ma
era come se stesse scavando nel profondo della mia anima, cercando
qualcosa di
cui ancora ne ignoravo l’esistenza.
Non ancora.
Non ancora.
Il suo odore era così forte, penetrava nelle mie
vene, avvelenandole di un veleno dolce e caldo, qualcosa che mi rendeva
completamente vulnerabile. La sua mano delicata ancora posata sul mio
mento mi
trasmetteva scosse elettriche di intensità sempre maggiori.
Il suo respiro
calmo e regolato che sentivo su di me, tanto eravamo vicino, era una
leggera
brezza primaverile di
quelle che ti
accarezzano, ti cullano, ti riempiono il cuore.
Non ancora.
Non ancora.
Urla. Urla in lontananza! Mi destai di colpo,
tutte le emozioni caddero nel vuoto all’improvviso
procurandomi un leggero calo
di pressione. Mi voltai verso la foresta, riconoscevo quelle voci.
<< Merry! Pipino! >> dissi a voce non
troppo alta, ma abbastanza preoccupata. Vidi Boromir cominciare a
correre tra
gli alberi sfoderando la spada. Mi ci volle un po’ per
realizzare, quei secondi
così vicino a lui mi avevano mandato su di giri, ero ancora
confusa ancora semi
incosciente, mi sembrava di essere tornata ai primi giorni ad Arda,
quando a
Gran Burrone non ricordavo nemmeno il mio
nome.
Poi qualcosa mi convinse ad agire, Boromir stava
correndo verso la sua morte. Dovevo fermarlo!
Ancora non riuscivo a realizzare bene dove fossi,
chi fossi, ma bastò quell’idea a farmi muovere le
gambe in maniera
sincronizzata e correre verso la battaglia.
Sfoderai la mia spada, la mia nuova spada, era
molto più leggera di quella che mi aveva donato Elrond,
questo mi avrebbe
aiutato immensamente sì.
Giunsi nel campo di battaglia, Boromir aveva già
cominciato a sfoderare colpi a destra e a manca, a recidere braccia e
teste, e
io? Mi ritrovai di nuovo spaesata con quello stupido stuzzicadenti in
mano.
<< Maledetta Rapunzel! >> imprecai
contro Galadriel, doveva darmi una mano e invece…ero come
prima: confusa e
spaesata.
Feci un profondo respiro e fui costretta
da un orco a cominciare a darmi da fare. Bloccai un suo colpo con
fatica, era
troppo forte per me e i suoi colpi erano carichi di forza e vigore.
Quasi caddi
a terra ma riuscii a respingerlo e facendomi coraggio feci tagliare
l’aria alla
spada in orizzontale riuscendo a far saltare la sua testa.
<< Ce l’ho fatta! >>
saltellai gioiosa ma non ebbi modo di consumarmi troppo nella mia
euforia che
altri orchi mi si lanciarono contro. Ok, non era il caso di rimanere
ferma,
Boromir si stava allontanando e io dovevo stargli vicina, dovevo essere
pronta
a bloccare le frecce…in un modo o in un altro. Scappai nella
sua direzione, ma
orchi mi si piazzavano davanti.
<< Lasciatemi passare, maledetti!
>> sbottai dando colpi a caso in giro, prima o poi
qualcosa l’avrei
beccato e se non fosse stato così almeno gli avrei fatti
indietreggiare e sarei
riuscita a passare.
Il corno suonò, Boromir chiamava
rinforzi.
<< Oh, no! >> sussurrai
rammentandomi che da un momento all’altro la prima freccia
l’avrebbe trafitto
all’altezza del petto.
<< Levati di mezzo!!!! >>
gridai lasciando che la rabbia si impadronisse completamente di me,
corsi verso
l’orco che mi stava davanti e lo trafissi. Estrassi la spada
velocemente e mi
voltai verso Boromir per potergli andare incontro e….
Stop.
Il tempo si fermò in quella frazione di
secondo. La freccia aveva tagliato l’aria con un suono
assordante.
Cercavo disperatamente il tasto Rewind ma
sul mio telecomando non c’era. Non potevo più
tornare indietro. Era stato
colpito. La terra tremò sotto i miei piedi: niente. Non
c’era più niente. La
sua mano sudaticcia stava scivolando, non riuscivo a tirarlo su, a impedire
la
sua caduta nel precipizio della morte. I suoni si congelarono. Fuoco e
fiamme.
Oscurità. Niente. Il vuoto.
Il mio urlo nella vallata desolata non
aveva aria su cui far viaggiare le sue onde sonore, un urlo muto, colmo
di
disperazione.
Rewind, dov’era il tasto rewind? Ne avevo
bisogno.
Ora!
Lacrime incessanti sul mio viso,
bruciavano più del fuoco, la terra sotto i miei piedi mi
risucchiava, mi
trascinava giù, dentro sé. Ero sospesa in un
mondo apparente, sospesa tra la
veglia e il sonno, sospesa in uno spazio indefinito, in un universo
desolato.
Sospesa nel nulla mentre la morte, donna ambiziosa e lussuriosa, si
inebriava
del sangue versato del cavaliere. La morte mi stava portando via il
tesoro più
prezioso, la mia vita, il mio tempo. Fatiche, desideri,
pianti… tutti
doni che davo a lei. Morte che cantava
in fischi prodotti da frecce nell’aria.
Colta dalla disperazione più profonda mi
lanciai nel vuoto, impugnando l’elsa della mia spada, urlando
angosciata,
prossima alla dimenticanza, elisa da gemiti incessanti.
Ormai ero uno spettro alla volta della
vendetta, attaccata alla morte più che alla vita.
Raggiunsi l’orco che scagliava le frecce
e nella mia corsa ne aveva scoccate altre due, ormai era la fine, tre
frecce
segnavano la fine. Ma la rabbia impetuosa mi muoveva come un burattino
e
lanciatomi contro di lui gli tagliai la testa.
La testa vorticava, impetuosa sobbalzava,
pulsavano le tempie e lingua secca non proferiva parola né
lamenti. Ma orecchie
ascoltavano urla che si allontanavano, gli hobbit che venivano
trascinati via,
e un flebile sussurro. Mi destai, il fuoco si spense dentro me, tornai
nella
mia consueta disperazione e corsi verso l’uomo che mi stava
trascinando con sé
nell’oblio. Mi inginocchiai continuando a piangere e
singhiozzare, non doveva
finir così, gli Dei mi avevano offerto un dono, mi avevano
offerto opportunità
e armi, mi avevano offerto forza e determinazione, ma me ne avevano
privato un
attimo prima della fine concedendo la mia caduta.
Accarezzai il suo volto sofferente,
scostandogli i capelli che mi impedivano di vederlo in tutta la sua
magnificenza.
<< No, no >> sussurrai scossa
dai singhiozzi.
<< Ti prego… ti prego…
>> non
riuscivo a dire altro, cercai di guardarlo negli occhi, volevo vedere
se c’era
ancora speranza, se era prossimo alla morte o se fossi riuscita a fare
ancora
qualcosa.
Mi ricordai dell’Athelas di Galadriel, ma
come l’avrei utilizzata?
Avevo bisogno di Aragorn! Presi il
sacchetto tra le mani e afferrai il corno di Boromir suonando ancora
con il
poco fiato che avevo, non riuscivo a respirare, la disperazione mi
stava
facendo succube, mi stava uccidendo.
Afferrai una delle frecce che aveva
addosso e la strappai via con violenza rabbrividendo sotto le urla di
dolore di
Boromir, mi faceva accapponare la pelle, ma non poteva rimanere
lì in quelle
condizioni, gridai con tutta la voce che avevo <<
Aiuto!!! >> e
posai una mano sull’altra freccia ma fui bloccata dalla mano
di Boromir
<< Lascia stare, è finita. Il mondo degli
Uomini cadrà. Su tutto calerà
il buio, e sulla mia città la rovina. >> Negai
debolmente << No!
No! Non succederà niente… >> un
fremito mi colse, un singhiozzo mi
scosse, non sapevo che fare, non sapevo che dire, sentivo solo di voler
urlare,
morire insieme a lui. Posai la testa sulla sua spalla <<
Ti prego non
lasciarmi >> sussurrai come ultimo gesto disperato, il
sacchetto di
Athelas mi scivolò dalle mani ormai arti inermi alla fine di
braccia senza
vita. Era finita. Sentivo le pulsazioni del suo cuore attraverso le
vene,
diminuire sempre più. Sentii che aveva alzato un braccio e
me lo stava per
posare sulla testa, lo sentivo tremare come tremavo io. Due anime perse
nell’oblio che tendono le mani per trovarsi, stringersi,
abbracciarsi,
rassicurarsi, ma incapaci di trovarsi.
Ma niente di tutto ciò accadde.
Un braccio mi cinse la vita, un braccio
di consistenza diversa, era freddo, violento, duro al tatto. Mi
trascinò via
con impeto, senza darmi tempo di capire chi era e cosa stesse
succedendo.
Allungai le braccia verso Boromir urlando un disperato <<
No!! >>.
Lui fece altrettanto riuscendo ad afferrarmi per un polso e
tentò di tirarmi
via dalla forza bruta che mi stava trascinando. Ebbi un
dejavù, avevo già visto
quella scena. Lui morente a terra e io, incapace di salvarlo, venivo
trascinata
via da forze oscure.
La visione vista nello specchio di
Galadriel.
La forza di Boromir era misera e non
riuscì a salvarmi, tirandomi a sè,
così come a me fu impedito di raggiungerlo.
L’oscurità cadde su di me, la vista si
annebbiò seguita da un forte dolore alla
testa, il buio assoluto, l’immagine sfocata di un Boromir
morente che crollava
a terra, arrendendosi, lasciandosi stringere dalle braccia della morte.
<< Aragorn!!! >> fu il mio
ultimo urlo disperato, pregando affinchè giungesse in tempo
per salvarlo, per
riportarlo alla luce, anche se ormai…la speranza era
sfumata, sgretolandosi
pian piano, svanendo nel nulla, insieme alla mia coscienza.
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Capitolo 7 *** Se solo mi svegliassi! ***
Speravo di poter
vivere ancora in
quell’oscurità tanto ambita, ora che tutto era
perduto, ora che la speranza era
corsa aldilà delle colline, aldilà del mare,
verso terre proibite. Gli Dei mi
avevano ingannata, mi avevano concesso la loro mano per poi ritirarla
nel
momento in cui ne avevo più bisogno. Ero stata abbandonata.
Ora non desideravo
altro…che tornare a casa, laddove avrei potuto continuare a
vedere il suo volto
su figure stampate, su immagini scorrevoli in una scatola nera, laddove
la sua
voce avrebbe per sempre echeggiato nei miei sogni. Perché mi
era stato dato un
assaggio se poi mi era stato negato l’intero pasto?
Perché mi era stato
permesso sfiorare i miei sogni senza avere la possibilità di
toccarli? Perché la
sorte mi aveva fatto questo terribile scherzo? Avrei preferito
continuare a
brancolare nel buio, credendo che fosse solo un sogno e aspettare
l’arrivo
della mia vecchiaia su una veranda abbandonata, a pochi isolati dalla
mia casa
natia, vicino a un
uomo dal volto
sconosciuto, con figli e nipoti che giocavano nel giardino magari con
un cane.
Ora sapevo che la mia vita non sarebbe più stata la stessa,
ora che mi era
stato permesso dare una sbirciata fuori da quella finestra, ora che
avevo visto
uccelli cantare, verdi montagne, terre incolte, pace e armonia, il
valore degli
uomini. Ora che più che mai volevo farne parte, ora che
più che mai desideravo
uscire, correre fuori, urlare la mia gioia nel constatare la
veridicità di quel
desiderio, ora che potevo toccare con mano.
La finestra si era chiusa davanti ai miei
occhi.
Il buio era di nuovo calato.
Nessun suono proveniva alle mie orecchie.
Brancolavo nelle tenebre della mia
sconfitta.
Desideravo aprire gli occhi e trovarmi
nel mio letto, capacitandomi del fatto che era stato solo tutto un
sogno.
Volevo poggiare i piedi sul mio parquet, vestirmi e ritornare a lavoro,
le
facce consuete, la vita di sempre. Volevo dimenticare tutto.
Ero stata una fallita nella vita a casa
mia, ma il fallimento nella Terra di Mezzo mi straziava ancor di
più. Volevo
rendermi conto che non era un vero fallimento, volevo pensare che era
stato
tutta colpa della mia fantasia.
Ma i Valar volevano ancora giocare con
me, bambolina spogliata delle sue virtù.
Aprii gli occhi guardando sconfitta il
mondo attorno a me. Non c’era il mio letto, non
c’era il mio parquet, non c’era
la televisione con i mille DVD sparsi in giro per il pavimento, il
telecomando
che finiva sempre sotto i miei piedi, non c’era il
caffè e l’odore di sigarette
di mio fratello, non c’erano volti consueti, non
c’erano saluti apatici, non
c’era lo smog delle strade o i semafori sempre rossi, non
c’era niente di tutto
ciò.
C’era terra, sassi e erba. Un paesaggio
che correva al mio fianco, il mondo che mi veniva incontro e mi passava
accanto
senza notare la mia inutile presenza, la Terra di Mezzo davanti ai miei
occhi
devastata dal male che fuggiva verso terre selvagge, verso terre
ignote,
sconosciute, lugubri, in cerca di quella speranza ormai perduta.
Ero legata a qualcosa che correva
incessante per le vie sotto le montagne, nascondendosi da qualcosa che
pareva
dar loro la caccia. Ma niente aveva più senso ormai. Feci
ciondolare la testa
che sobbalzava ogni qualvolta la creatura che mi portava sulle spalle
saltava
un masso, inerme sulle sue spalle, ormai non ero altro che un burattino
del
destino.
<< Sophia! >> mi sentii
chiamare, reclinai appena la testa per incrociare gli occhi di Pipino,
ma era
vuoto il mio volto, e il corpo non aveva la forza di muoversi tanto che
la testa
continuava a penzolare. << Sei sveglia finalmente! Stai
bene? >> Mi
chiese con somma preoccupazione, ma non ebbi la forza di rispondergli.
Continuai a guardarlo con espressione vuota, incapace di sentire,
incapace di
vedere, incapace di muovermi. Ero ormai diventata
quell’involucro che tanto
avevo temuto, e la farfalla che dentro di me stava compiendo la sua
metamorfosi
ormai era volata via, lasciandomi sola, attaccata a un ramoscello dal
quale
presto mi sarei staccata cadendo al suolo e frantumandomi con un suono
sordo,
inudibile da nessuno all’infuori di me.
<< Sophia, cos’hai? Non stai bene?
Sei ferita! >> ferita? Non lo sapevo nemmeno, sentivo la
testa un po’
umidiccia e un sapore ferroso all’interno della bocca, ma non
ci avevo fatto
caso e non m’importava.
Una lacrima solcò il mio viso, piccola
ritardataria, o forse residuo rimasto all’interno dei miei
occhi che finalmente
aveva trovato modo di uscire. La sentii cadere al suolo e vidi il volto
di
Pipino svuotarsi della preoccupazione appena avuta lasciando spazio
alla
tristezza e allo scoraggio.
Non c’era più speranza.
Chiusi gli occhi abbandonandomi
nuovamente a un ineluttabile oblio.
Non
avevo la più pallida idea di quanto
tempo fosse passato: ore? Giorni? Settimane? Era un mistero
incomprensibile per
me in quel momento, avevo aperto gli occhi a volte, colpita dai raggi
del sole,
ma mi ero arresa immediatamente alle tenebre, lasciandomi nuovamente
cadere nel
sonno. Non che avessi bisogno di riposare, ma il sonno era
l’unico
antidolorifico a quella realtà così affilata.
Aprii gli occhi e per la prima volta in
quei giorni non era la luce del sole a colpire i miei occhi, ma quelli
della
luna. Ero stesa tra rocce, terra smossa e erba secca, e se solo avessi
allungato un piede avrei incontrato la gamba di Merry tanto mi era
vicino.
Sentivo i due hobbit parlare tra loro ma
non diedi loro ascolto, gli occhi mi bruciavano come se mi ci fosse
caduto
dentro del sale. Mi guardai attorno con fatica, tutto era sfocato e
confuso.
<< Sophia! >> Sentii sussurrare
dalla mia sinistra, facevo fatica a tenere gli occhi aperti, mi sentivo
così
debole, la gola bruciava, la lingua secca appiccicata al palato,
l’aria che
penetrava nei polmoni era fuoco vivo. Feci cadere la testa di lato,
così da
poter vedere i due hobbit che mi guardavano
preoccupati.
<< Sophia, resisti!
>> resistere? Resistere a cosa? Alla
fatica? Alla disperazione? Alla fame? Alla sete? Al dolore? Di cosa
sarei
morta?
<< Muoio di fame. Sono tre giorni
che mangio solo pane pieno di vermi schifosi! >> Disse
uno degli orchi
stritolando il pezzo di pane nero che aveva tra le mani.
<< Sì! Perchè non possiamo avere
carne? Perchè non loro? Eh? Sono freschi ! >>
disse un altro guardando
noi con ingordigia, era la prima volta che venivo guardata in quella
maniera e
dopo quell’esperienza avrei potuto dire di sapere cosa si
prova ad essere una
bistecca fresca di macello su un bancone.
<< Loro non sono da mangiare.
>> brontolò quello che doveva essere il capo
del gruppo, un po’ me ne
dispiacque, la morte mi avrebbe alleviato quelle sofferenze atroci,
sarei stata
meglio nel buio assoluto anziché vivere in
quell’apatia tormentata dai dolori
corporei.
Che diavolo ci facevo io sulla Terra di
Mezzo? Quello non era il mio posto, come diavolo c’ero
arrivata? Perché ero lì,
io non avevo chiesto niente. Cosa ci facevo io lì?
Un attimo!
Cosa ci facevo io lì?
Perché gli orchi avevano catturato anche
me? Perché non si cibavano della mia carne? Infondo erano
gli hobbit che
volevano, era l’anello quello a cui ambivano, cosa volevano
da me? Perché mi
dovevano portare viva a Isengard?
Sotto quei dubbi così assillanti, così
improvvisi, come fulmini che illuminano la via con squarci di luce
improvvisa,
cominciai a uscire lentamente dalla mia apatia. Cosa stava accadendo?
<< Oh... Magari le gambe? Non ne
hanno bisogno. Oh... Sembrano gustose. >> disse un altro
di loro
lanciandosi sulle mie gambe, al che io reagii per la prima volta dopo
giorni
d’incoscienza, facendomi indietro, tentando di strisciare via
e scalciando per
proteggere la mia pelle da quei denti putrefatti e pieni di vermi marci.
L’orco capo mi salvò la vita afferrandolo
e lanciandolo indietro urlando << Non ti avvicinare!
>>.
<< Trinciamoli! Solo un boccone!
>> mormorò il primo, non arrendendosi e
provando ad avvicinarsi ma a ciò
il capo Huruk rispose tagliandogli la testa che rotolò poco
lontano da me.
<< La carne è arrivata di nuovo, amici!
>> urlò il capo Huruk poco
prima che tutti i suoi colleghi si azzuffassero per conquistare la
parte del corpo
con più carne.
<< Pipino! Sophia! Andiamo!
>> ci destò Merry e cominciò a
strisciare via per riuscire a mettersi in
salvo, Pipino lo seguì subito, io ci misi un po’,
dovevo prima capire se…le
forze erano tornate, se veramente volevo fuggire. Quali vantaggi ne
avrei
ricavato? Altre sofferenze, ancora una vita piena di dubbi? No, sentivo
che ora
c’era altro. Prima di lasciare quella terra dovevo capire
come ci ero arrivata,
perché ci ero arrivata e perché gli Huruk
volessero portarmi a Isengard con
loro. Sapevo dove trovare le mie risposte, Saruman se aveva ordinato di
portarmi lì voleva solo dire che sapeva dare una risposta ad
alcuni del miei
interrogativi, ma preferivo scegliere la via più sicura per
arrivarci: la
strada guidata dagli Ent. Così cominciai a strisciare
seguendo i due hobbit, ma
mi sentii afferrare per la caviglia e tirare via. Lanciai un urlo
spaventato
mentre mi voltavo a vedere chi volesse impedire la mia fuga e vidi il
solito
orco, con la sua faccia marcia, putrefatta, e quel macabro sorriso che
tanto mi
ricordava gli incubi della mia infanzia.
<< Coraggio, chiamate qualcuno!
Guaite. Nessuno vi salverà, adesso. >> Ma
qualcosa invece…ci salvò. Un
gran fracasso, il rumore degli zoccoli dei cavalli che tamburellavano
sulla
terra, le urla in lontananza, spade che venivano sguainate.
L’orco si distrasse
e io ne approfittai per allontanarmi da lui e avvicinarmi il prima
possibile
agli hobbit che guardavano confusi i cavalli che stavano invadendo
l’accampamento << Cavalieri di Rohan!
>> spiegai ai due cercando
una pietra dove tagliare le corde, pietra che non attardò a
farsi vedere.
<< Dobbiamo muoverci! Non faranno caso alla nostra
presenza, uccideranno
tutti indiscriminatamente, dobbiamo entrare e nasconderci nella foresta
di
Fangorn >> dissi finendo di tagliare le corde mentre
cavalli e cavalieri
correvano ovunque, uccidendo orchi e tutto ciò che si
muovesse. Pregai affinchè
non notassero la nostra presenza, mi liberai i piedi dalla corda prima
di
aiutare i due hobbit a liberarsi.
<< Fangorn è pericolosa! Ci sono
strane leggende che mettono in guardia sulla sua natura e la sua
sicurezza
>> Disse Merry spaventato.
<< Fidati Merry, meglio lì che
rimanere qui! Muoviti corri! >>
e
alzandomi in piedi cominciai a scappare per riuscire a nascondermi
insieme ai
miei amici. Pipino fu bloccato, uno degli orchi si aggrappò
alla sua cinta
<< Pipino sganciati la cintura! >> gridai
riuscendo a schivare
appena in tempo un paio di zoccoli che stavano quasi per investirmi.
Pipino
obbedì e tutti e tre fuggimmo all’interno di
Fangorn, cercando rifugio tra gli
alberi. << Tu li vedi? Li abbiamo lasciati indietro!
>> disse
Pipino voltandosi a guardare, ma proprio in quel momento vedemmo che
uno di
quegli orchi ci aveva seguiti.
<< Sugli alberi! Presto Salite
sugli alberi! >> ordinai aggrappandomi al primo tronco
trovato “fa che
non abbia sbagliato, dimmi che sei tu Barbalbero!” gli hobbit
mi imitarono
salendo su un altro albero, poco lontano dal mio. Merry si
fermò a metà
guardandosi attorno e sussurrando << E’ sparito
>> ma non fece in
tempo a finire la frase che fu preso per i piedi dall’orco e
trascinato giù.
<< Merry! >> gridò Pipino
mentre l’orco lanciava la sua sentenza contro
l’hobbit a terra: morte.
L’albero su cui era Pipino aprì gli occhi
“E diamine!! Lo sapevo che avrei sbagliato! “
brontolai mentalmente mentre mi
affaccendavo per scendere, non temevo l’orco ai piedi di
Merry, sarebbe stato
schiacciato nel giro
di….3…2…1… splat!!
Esattamente!
<< Piccoli orchi, burárum! >>
disse Barbalbero prendendo entrambi nelle sue mani e stringendoli come
facevo
io con i vecchi pupazzi…anche se a volte saltava loro la
testa.
<< Sta parlando, Merry. L'albero
sta parlando! >> riuscii a scendere dal mio albero e
corsi incontro a
Barbalbero sbracciandomi <<
Ehi!!
Ci sono anch’io! >> Barbalbero mi
guardò spalancando i suoi piccoli occhi
incastonati nella corteggia ricoperta di muschio.
<< Un uomo nella foresta di
Fangorn? >> chiese sconvolto chinandosi per guardarmi
meglio in volto, al
che io indietreggiai appena con la schiena, era qualcosa di davvero
assurdo!
Avevo di fronte a me un albero parlante!
<< Uomo…avrei da obiettare, ma
lasciamo stare! Mi chiamo Sophia, e loro sono i miei amici hobbit Merry
e
Pipino. Non sono orchi, ok? >>
<< Non sono orchi? Mh, beh, questo
sarà lo stregone bianco a deciderlo, intanto potete
rivolgervi a me con il nome
di Barbalbero, sì, Barbalbero mi chiamano alcuni e penso che
sia il nome adatto
>>
<< Lo stregone bianco? >>
chiese Pipino non capendo mentre io saltellando mi avvicinavo alle
gambe di
Barbalbero << Sì, che bello! Finalmente, era
ora si facesse vedere!
Permetti? Posso salire anche io? >> chiesi accarezzando
appena la
corteggia, sembrava di accarezzare la pelle di un uomo vecchio mille
anni tanto
era nodosa e rugosa, ma ben salda.
<< Saruman >> giunse a
conclusioni affrettare Merry ed entrambi cominciarono ad agitarsi per
poter
sfuggire alla presa di Barbalbero.
<< Oh, ma certo, accomodati pure.
Reggiti forte, piccolo uomo >> disse rimanendo immobile
mentre mi
aggrappavo a buchi nella corteggia e ramoscelli vari pregando di non
spezzare
nulla per non far andare su tutte le furie quel colosso.
<< Sophia, no! Ci sta portando da
Saruman! >> disse Merry per cercare di convincermi a
scappare, ma ignorai
le sue parole, sapevo bene dove eravamo diretti.
<< Non è Saruman che andiamo a
trovare, state tranquilli. State per ricevere una piccola sorpresa
>> e
feci l’occhiolino mentre mi sistemavo sui rami più
alti dell’Ent, proprio sulla
sua testa, dove potevo vedere meglio il panorama <<
Mettiamo in chiaro
delle cose però, Mr. Fangorn, non sono piccola tanto meno
uomo >>
<< Suvvia, niente fretta! Come
sarebbe a dire che non sei un uomo? >>.
<< Appartengo alla razza degli
uomini ma sono una donna… un uomo femmina, capisci?
>> e Barbalbero
cominciò a camminare verso il famoso stregone bianco.
<< Uhm, certo. Anche noi una volta
avevamo Entesse femmine, ma sono passati tanti anni
dall’ultima volta che ne ho
vista una purtroppo. >> e così continuando a
chiacchierare delle Entesse
femmine arrivammo di fronte al famoso stregone bianco.
Saltai giù dall’albero mentre lui posava
ai piedi di Gandalf i due hobbit, ancora incapaci di vederlo a causa
della
troppa luce. Gli andai incontro a braccia aperte <<
E’ bello poterti di
nuovo rivedere, Gandalf >> dissi senza però
avvicinarmi troppo. I due
hobbit si guardarono torvi prima di chiedere in coro <<
Gandalf?
>>.
Il mago si tolse dalla luce, mostrando il
suo volto e sorrise ai piccoletti che non esitarono a saltargli addosso
gioiosi
di vederlo.
<< Ma tu sei morto! Ti ho visto con
i miei occhi! >> Disse Pipino in pieni festeggiamenti.
<< Sì, mio caro Peregrino Tuc, sono
morto. E sono rinato! Avevo ancora delle faccende da sbrigare in questo
mondo.
Prima ero Gandalf il grigio, adesso sono Gandalf il bianco
>>
“Poche parole ma chiare, bravo maghetto!”
<< Barbalbero, custodisci i miei
amici hobbit e la donna. Io ho delle faccende da sbrigare
>> disse
all’Ent << mh uh, allora è vero, non
sono orchi >>.
<< No che non lo siamo! Siamo
hobbit della contea: mezzuomini>> disse Merry prima di
voltarsi verso
Gandalf << Già te ne vai? Ci siamo appena
ritrovati >>.
<< Ci rivedremo molto presto, mio
caro amico, molto presto. >> disse prima di allontanarsi
e sparire così
come era comparso. Barbalbero ci prese sulle sue spalle e
cominciò a camminare
verso casa sua, continuando a parlare. Gli piaceva parlare, e il suono
della
sua voce era così rilassante sembrava di sentire le storie
di qualche antenato,
storie di un vecchio passato che ormai non ci apparteneva
più ma che echeggiava
nel cuore della foresta. E i due hobbit si divertivano a conversare con
lui,
era una bella compagnia sicuramente, e anche loro due avevano da dire
il fatto
loro. Che chiacchieroni.
Io invece continuavo a stare in silenzio,
avremo passato giorni a vagare nella foresta senza uno scopo ben
preciso, era
ancora presto per la battaglia di Isengard con gli Ent, e
l’idea di passare
giorni interi nell’ozio, in solitudine, in compagnia dei miei
semplici
pensieri, mi spaventava. Sapevo che in quei giorni sarei stata tanto
fragile,
l’oblio incombeva sulla mia anima, l’annebbiamento
minacciava di tornare da un
momento a un altro, dovevo tenere la testa occupata ma sarebbe stato
difficile.
Arrivammo alla
casa dell’Ent che era
quasi buio: era una piccola caverna intagliata tra le rocce delle
montagne
arredata con un tavolo e della paglia per terra.
L’Ent ci fece accomodare sul grosso
tavolo, così grande che i nostri piedi dondolavano nel vuoto
a qualche metro da
terra, e ci diede qualcosa da bere, un liquido verdastro che alla vista
sembrava
un po’ sgradevole.
<< Sarete affamati, servitevi pure,
mh >> disse Barbalbero cominciando a bere. Merry e Pipino
lo imitarono
subito, io mi persi per un attimo nel mio riflesso nella ciotola,
strano come
un liquido di quel colore fosse in grado di riflettere, ma la cosa che
più
stupì era di vedere il mio volto
completamente…diverso. Occhiaie incidevano
sotto i miei occhi gonfi, la testa era ancora sporca di sangue
così tanto che i
capelli, secchi, spettinati e opachi, vi si erano un po’
impiastricciati, le
guance si erano un po’ ritirate probabilmente a causa della
fame, sembravo uno
scheletro appena uscito da una cruda battaglia.
<< Sophia, bevi è buono! >>
mi disse Merry allontanandomi dai miei pensieri << Ed
è molto nutriente,
mh, ti farà bene >> disse Barbalbero
stendendosi sulla paglia per terra
<< Perdonatemi se vi parlo da steso ma così
evito di addormentarmi, mh
>>.
Posai le labbra secche e sciupate sul
bordo della ciotola e le bagnai appena. Una piccolissima dose di
liquido mi
scivolò in gola e mi parve di rinascere. Sentivo la vita
scorrere in me ad ogni
sorso, le labbra bagnate si ammorbidirono, le mani smisero pian piano
di
tremolare e ripresi un colore più roseo. Era una bevanda
magica, ed era così
buona!
Finii di bere con ingordigia, mi sentivo
sempre meglio, la stanchezza non incideva più sul mio volto
tirandomelo ma me
lo rilassava così come rilassava tutto il resto del corpo.
Posai il recipiente
facendo un grosso sbadiglio.
<< Sei stanca? Mh >> mi
chiese Barbalbero allungando un braccio nella mia direzione, salii
sulla sua
mano aggrappandomi alle sue radici << Riposa qui se vuoi
>>.
Scelsi il mio posticino sulla morbida
paglia come un gatto lo sceglie su un letto, e una volta trovato mi
lasciai
scivolare stesa e chiusi gli occhi senza nemmeno ascoltare Barbalbero
che aveva
ripreso a parlare con gli hobbit. Nel giro di pochi secondi ero
già crollata
nel mondo dei sogni, sogni cupi, pieni di fuoco e sangue, confusi,
tristi e
pieni di rammarico. Sogni concessi a me dagli Dei quasi a volermi
rammentare
qual’era il mio posto in quella terra, quasi a volermi
rammentare che per me
non c’era più pace lì né
speranza.
Mi svegliai che il sole era già alto nel
cielo, ma fu una sensazione meravigliosa. Dopo mesi di sonno inutile,
sonno che
non riposava, sonno in cui mi destavo ancora più stanca di
prima, quella
mattina mi svegliai come un giglio che si schiude in una pianura appena
sfuggita al gelo dell’inverno.
Aprii gli occhi pian piano e mi spaventai
a morte quando vidi l’enorme volto di Barbalbero a pochi
centimetri dal mio.
<< Ehi!! Avevi intenzione di
uccidermi nel sonno?! >> dissi saltando indietro.
<< Mh, uh, scusa. Sei stata agitata
e rumorosa tutta la notte, mentre stamattina invece eri tanto
silenziosa e
immobile che ho temuto tu fossi morta >>.
<< Morta? Oh, uhm, suvvia! Niente
fretta, no? >> ridacchiai sapendo che quella frase era la
preferita del
Mastro Ent.
<< Hai ragione, sono stato
frettoloso, mh uhm >> si scusò Barbalbero
allontanandosi da me, ok ora
ero un po’ più tranquilla. Poteva essere buono
quanto voleva, poteva essere la
creatura migliore di questo mondo, ma un po’ incuteva terrore
soprattutto
quando ti si avvicina in quella maniera.
Mi guardai attorno e non vidi nessuno dei
due hobbit << Dove sono Merry e Pipino? >>
chiesi curiosa.
<< Sono fuori nella radura davanti
a casa che chiacchierano e scherzano, vuoi raggiungerli?
>> mi disse
porgendomi la mano per aiutarmi a scendere da quell’enorme
letto fatto di
paglia e fieno << Oh, si! Grazie mille! >>
e saltai sulle sue
radici nodose. Barbalbero uscì fuori superando la
“porta” fatta con edera e
altre piante, superò pochi alberi e mi posò a
terra, su un prato di un
verdolino appena appena accennato, così opaco che mi fece
pensare che fosse
molto vecchio, come il resto della foresta. In quel mondo immerso dalle
tenebre
tutto invecchiava, niente nasceva, presto non ci sarebbe rimasto niente
se non
cenere e ombre. Guardai Fangorn a pochi metri da me, era triste pensare
che
quella distesa di verde un giorno sarebbe stato un mucchio di alberi
secchi che
con i loro rami si intrecciavano e si spezzavano a vicenda.
Mi sforzai di non pensare più a quelle
tristezze, sapevo che Frodo ce l’avrebbe fatta, sapevo che
presto quel prato
sarebbe rinato dopo l’inverno di un verde intenso e non
avrebbe più
scricchiolato sotto i piedi a causa di radici e pianticelle morte.
Gli hobbit erano poco distanti da me,
seduti su una roccia che parlavano tra loro. Alzarono la testa nel
sentire i
pesanti passi di Barbalbero e mi sorrisero salutandomi con vigore.
Risposi al
sorriso ma non li raggiunsi,mi voltai verso l’Ent e gli
chiesi << C’è
mica una fonte d’acqua qui da queste parti? Avrei bisogno di
darmi una pulita
>> dissi toccandomi i capelli sporchi di sangue e
polvere. Il biondo dei
miei capelli non era mai stato tanto simile al bianco.
<< Dietro quell’altura c’è
un
piccolo laghetto dove a volte vado a immergere le radici,
l’acqua è molto
fresca e limpida, penso che sia una delle pochissime rimaste, di questi
tempi
la terra è più calda e l’acqua evapora
facilmente lasciando spazio solo a
grandi buchi secchi nel terreno >> Mi spiegò e
dopo aver assimilato
quella triste informazione mi avviai verso la fonte <<
Arrivo subito
>> gridai agli hobbit << Vado a darmi una
rinfrescata >> cosa
che a quanto pare loro avevano già fatto in quanto avevano
il viso non più
ricoperto di terriccio e polvere e i loro capelli avevano ripreso un
po’
colore.
<< Ti aspettiamo qui! >>
gridò Pipino prima di riprendere a parlare con il compagno.
Mi
spogliai completamente, chi mi poteva
vedere nuda in quel posto se non qualche albero? Non c’era
pericolo di spioni
in giro, così diedi prima una lavata agli abiti mettendoli
poi sotto il sole
per farli asciugare mentre mi immergevo nell’acqua fredda.
Dapprima
rabbrividii, cosa avrei dato per avere una vasca piena di calda acqua
fumante!
Mi immersi pian piano, scossa inizialmente da brividi di freddo, poi la
mia
pelle si abituò a quel calore così scarso e
cominciai a starci di incanto.
Vedevo l’acqua colorarsi appena di un colore purpureo nel
momento in cui bagnai
i capelli, era tutto il sangue residuo e mi sforzai di pensare che
fosse solo
il mio e non di qualche altra creatura.
Mi stavo pian
piano rigenerando, il
liquido super nutriente di Barbalbero e quella meravigliosa pozza
d’acqua mi
stavano aiutando a ritornare quella di prima. In più le ore
di sonno di quella
notte avevano aiutato a eliminare un po’ di occhiaie. La mia
pelle stava
tornando quella di sempre, rosea e liscia. E poi era così
rilassante anche se,
come si poteva immaginare, mi permetteva di pensare troppo.
Mi trovavo nella
terra dei miei sogni, in
un mondo che per anni avevo sognato di vedere con i miei occhi, in un
mondo che
credevo impossibile raggiungere. Ma ero lì! Mi stavo lavando
nelle sue acque,
avevo calpestato la sua terra, avevo ucciso le sue creature
e…avevo amato i
suoi uomini. IL suo uomo. L’unico. Colui che adesso giaceva
su chissà quale
fondale, privo di vita, non c’era più il respiro
caldo che usciva dalle sue
labbra, non c’era più il suo dolce odore, non
c’erano le sue braccia forti che
mi aiutavano nei momenti di pericolo, la sua risata cristallina era un
giacimento dei miei pensieri, niente di più. Soffrivo nel
vederlo morire nei
miei sogni, soffrivo nel vederlo morire alla televisione o
semplicemente leggendola
in un libro. Ma vederlo morire davanti ai miei occhi, incapace di
aiutarlo,
perdente ancora nelle mie aspirazioni era un dolore troppo forte per
una
gracile creatura come me. Dove sbagliavo?
Dove avevo sbagliato?
Tornai a tremare
anche se dubitavo fosse
il freddo, reclinai il capo in avanti sentendo il cuore vibrare
debolmente nel
mio petto. << Perdonami >> sussurrai
sentendomi tremendamente in
colpa, avevo giurato di proteggerlo, ma come avevo temuto…ne
ero stata
incapace. E ora eccomi lì, sola, spersa in chissà
quale angolo recondito di una
terra che non mi apparteneva. Straniera nel corpo, straniera nella
mente, non
riuscivo a identificarmi in niente di tutto ciò che mi
capitava tra le mani
come mi era successo anche a casa. Non riuscivo a ritrovare me stessa.
Se solo
lui fosse stato lì con me, tutto si sarebbe colorato di
colori nuovi, tutto
avrebbe trovato un senso, la terra avrebbe cominciato a girare nel
senso
giusto. Era nei suoi occhi che mi ero ritrovata, e ora quegli occhi
erano
andati perduti portandosi dietro la mia anima. Ero vuota. Non avevo
più un
senso, ero qualcosa di indicibile e incomprensibile, senza scopo, senza
meta,
senza futuro né passato. Un punto posto tra il soggetto e il
verbo, qualcosa di
fastidioso, un’entità senza valore né
significato, fuori luogo, fuori tempo,
fuori tutto…fuori!
Se solo lui fosse stato lì con me.
Mi strinsi nelle spalle, i capelli
ricadevano senza senso sul mio volto appiccicandosi bagnati, coprendomi
gli
occhi, incapace di vedere.
Il mio ruolo in quella storia era finita,
non c’era più motivo che io rimanessi
lì, volevo tornare a casa e continuare a
vivere una misera esistenza nel nulla assoluto sperando solo di
riuscire a
dimenticare.
Posai una mano sul pelo dell’acqua e
cominciando a muoverla piano feci strani suoni, come una lontana
melodia.
Cominciai a canticchiare perdendomi nei miei pensieri, accompagnata dal
suono
dell’acqua che cadeva dentro l’acqua, degli uccelli
che lontano migravano,
delle foglie scosse dal vento e dalla risata degli hobbit a pochi metri
da me,
nascosti da una parete di roccia.
<< Ormai
dovrei sapere chi
sono. Cammino. Il ricordo rimane in qualche modo pensando all'inverno.
Il tuo
nome è la scheggia dentro di me mentre aspetto. E ricordo il
suono del centro
della tua città a novembre. E ricordo la verità.
Un caldo dicembre con te. Ma
non devo fare questo errore. E non devo stare in questo modo. Se solo
mi
svegliassi!
Il sentiero è stato cancellato ormai. La tua voce
è tutto quello che sento in
qualche modo, chiamando l'inverno. La tua voce è la scheggia
dentro di me
mentre aspetto.
E ricordo il suono del centro della tua città a novembre. E
ricordo la verità.
Un caldo dicembre con te ma non devo fare questo errore. E non devo
stare in
questo modo. Se solo mi svegliassi!
Potrei aver perso me stesso in grezze acque blu nei tuoi occhi, e
tuttavia mi
manchi.
E ricordo il suono del centro della tua città a novembre, e
ricordo la verità.
Un caldo dicembre con te ma non devo fare questo errore. E non devo
stare in
questo modo. Se solo mi svegliassi!
>>
Sospirai,
mi ammorbidii nuovamente e rimasi
immobile, immersa fino al collo nell’acqua tiepida, guardando
il mio riflesso
increspato dalle piccole onde che provocavo a ogni movimento, guardando
nel
riflesso dei miei occhi e cercando disperatamente i suoi, mentre la sua
risata
cristallina echeggiava nei miei ricordi ormai lontani e così
alienanti. Ma
niente di tutto ciò era lì con me. Ero sola.
Alzai la
testa verso il cielo, così
scuro, ricoperto di nuvole scure che impedivano di vedere il sole.
<< Se solo mi svegliassi. >>
sospirai pensando alle parole della canzone e sentii la voce vibrare
sottile,
le corde vocali incendiarsi ancora. Chiusi gli occhi e poggiai la testa
alla
roccia dietro di me respirando a gran fatica, la sua assenza mi rendeva
difficile respirare: lui era il mio ossigeno. Un’altra
lacrima rigò il mio
viso, quando avrei smesso di piangere? Quando si sarebbero concluse le
mie
lacrime?
Rimasi immobile per…non so quanto tempo,
minuti? Ore? Mi guardai le mani, le dita erano tutte avvizzite segno
che ero
stata decisamente troppo immersa: era giunta l’ora di uscire.
Presi i miei
abiti e mi rivestii, né io né loro eravamo
asciutti completamente, ma non mi
preoccupai, se mi fossi ammalata poco male. Ormai più niente
aveva senso, niente
aveva motivo di esistere, niente mi avrebbe distrutto più di
quello che già
ero.
I due hobbit non si erano mossi dalla
loro posizione e continuavano a parlare con vivacità
guardandosi attorno, come
se non fosse successo niente, come se si trovassero in vacanza e non in
piena
guerra. Un po’ invidiavo il loro modo di superare le
difficoltà, se fossi stata
così anche io in quel momento sarei riuscita a prendere
parte ai loro scherzi
con sincerità, sarei riuscita…a vivere.
<< Sophia, pensavamo tu ti fossi
affogata! >> disse Pipino guardandomi in un mix tra il
divertito e il
preoccupato, ciò mi fece pensare che…lo avevano
pensato davvero!! Erano folli!
Suicidarmi? ….beh, però a pensarci
bene…
No no no!
“Sophia non dire stupidaggini! Non ne
avresti mai avuto il coraggio.”
<< Ma siete pazzi? Perché mai mi
sarei dovuta affogare? >> dissi con un po’
agitazione arrampicandomi sul
masso dove erano seduti e mettendomi poco lontana da loro. Avevo
lasciato i
capelli bagnati cadermi sulle spalle così che si sarebbero
asciugati con il
vento di Fangorn.
<< Ti abbiamo sentita cantare e
poi… >>
<< Mi avete sentita cantare?
>> chiesi imbarazzata interrompendo la frase di Merry.
<< Forte e chiaro! >> Disse
con una punta di orgoglio Pipino, cosa voleva fare? Vantarsi del suo
super
udito? Arrossii a abbassai lo sguardo.
<< Era solo un piccolo sfogo,
niente di più >> cercai di difendermi, ma
sbagliai alla grande! Peggiorai
le cose perché Merry scattò in avanti venendomi
vicino << Allora avevo
pensato bene! Sei veramente innamorata di qualcuno >>
…cavoli!
Quando avrei imparato a tenere la bocca
chiusa? Tante volte mi ero ritrovata nei casini per colpa di frasi che
avevo
detto senza pensare, e quella era da aggiungere alla lista. Mi sentivo
andare
il viso in fiamme.
<< Mi pare una cosa normale, a
tutti può succedere >> ok, dovevo calmarmi e
riprendere a rispondere
razionalmente, così come l’avevo posta sembrava
una colpa! Solo che… l’amore
per Boromir era sempre stato dentro di me e ora che era uscito alla
scoperto mi
turbava un po’, mi sembrava fosse più reale e
questo non era per niente un
bene, soprattutto dopo che lui non c’era più.
<< Ma la canzone era così triste!
Non lo vedi da così tanto tempo? >> Chiese
Pipino con la tristezza nella
voce e fu quello il momento in cui smisi di arrossire, per incupirmi.
Immagini,
immagini nella mia testa. Urla e disperazione. Quanto tempo era passato?
<< Da qualche giorno >>
ammisi rimanendo vaga sul numero di giorni preciso in quanto neppure io
sapevo
bene quanto tempo era passato da allora. Avevo vagato per un
po’ senza vivere,
non mi ero resa conto dei giorni che passavano. Merry rimase in
silenzio,
guardandomi serio, ma non lo notai troppo in quel momento e proseguii
ammettendo con un filo di voce << Ma credo non lo
rivedrò mai più
>>.
Pipino si intristì ancora di più <<
E perché? Cos’è successo?
>>
<< Pipino!! >> Lo richiamò
Merry, l’unico che aveva probabilmente capito qualcosa e non
voleva infierire
ancora di più. Io invece sorrisi dell’innocenza
del piccolo hobbit e decisi di
rispondere per placare quelle sue piccole curiosità da
bambino << E’…è
morto >>.
Il silenzio calò nella piccola radura,
nessuno sapeva cosa dire, era una situazione tanto imbarazzante quanto
triste,
non si sa mai come comportarsi di fronte a qualcuno che ha subito una
grande
perdita.
<< Mi dispiace, non volevo…
>> cercò di scusarsi Pipino, poveretto!
Infondo non aveva fatto niente di
male e gli sorrisi << Non preoccuparti, prima o poi
passerà >> non
ci credevo nemmeno io, ma non volevo dar modo di far sentire in colpa
Pipino.
Rivolsi il mio sguardo all’orizzonte cercando in quella lotta
di colori il blu
dei suoi occhi, invano: tutto era grigio, tutto era scuro, opacizzato.
<< Boromir era uno degli uomini più
valorosi che abbia mai conosciuto >> Interruppe il
silenzio Merry,
destando i pensieri miei e di Pipino. A primo impatto mi meravigliai di
sentir
pronunciare il suo nome, poi dopo averci pensato per qualche secondo mi
resi
conto che non era poi così difficile arrivarci dopo quelle
mie piccole
informazioni. Un brivido mi percorse la schiena. Come suonava bene il
suo nome.
<< Boromir? >> chiese
sconvolto Pipino prima di pensarci un po’ <<
Aspetta! E’ davvero lui?
>>
<< Non è così difficile Pipino! Chi
altro poteva aver visto pochi giorni fa sul punto di morte?
>> gli disse
Merry in tono quasi di rimprovero, povero hobbit, non era
così veloce ad
assimilare ed elaborare informazioni come l’amico.
<< E’ vero, non ci avevo pensato
>>.
Com’era tenero Pipino! Sembrava proprio
un bambino a volte! Gli scompigliai i capelli prima di scendere dalla
roccia
con un balzo << Non vi offendete vero se vi lascio soli?
>> chiesi
voltandomi con un sorriso, un triste sorriso.
<< Vado a fare una passeggiata, ho
bisogno di…muovermi, scusate >> e senza
aspettare una loro risposta cominciai
a vagare per la foresta senza una meta precisa, priva di energie, mi
stavo
trasformando nuovamente in qualcosa di inutile, incompleto,
un’ameba.
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Capitolo 8 *** Non ho niente da perdere. Forse. ***
Pagine vuote,
indecifrabili, inchiostro
invisibile sulla mia pelle, svuotata di tutto ciò che avevo
guardo quel libro
scivolarmi dalle mani, le frasi e le parole si stanno lentamente
dissolvendo,
lasciando solo pagine bianche.
Tutto è niente.
Ormai.
Neanche io avevo più una ragione per
andare avanti, non mi interessava sapere dov’ero,
perché c’ero, chi mi aveva
mandata. Non aveva alcun senso scoprirlo ora che non avevo motivo di
guardare
la strada davanti a me. Ferma in un punto invisibile, a rischio
incidente, una
macchina sarebbe potuta comparire all’improvviso
investendomi, ma non mi sarei
spostata, non mi sarei spaventata. Ormai niente aveva più
senso. Potevo morire,
non ci sarebbe stata differenza.
Sarei potuta morire se un qualche Dio me
lo avesse ordinato, sarei potuta morire se LUI me l’avesse
ordinato. Ora ero
pronta. Potevo morire.
Vedevo piante, alberi, foglie secche
sotto i miei piedi risuonavano in un supplichevole addio, io stessa
risuonavo
alla stessa maniera sotto i piedi del mio dolore. Del mio destino. Che
senso
avevo? Non riuscivo a trovarlo! Potevo cercarlo in qualsiasi cosa: nel
sorriso
dei miei amici, nelle domande che ancora mi ponevo, nella risata di un
bambino
o nel pianto di un genitore sul cadavere del proprio figlio. Ma non lo
trovavo.
Vuota.
Ormai.
Sola con una manciata di ricordi che mi
scivolavano dalle dita come sabbia, come acqua di mare che tenta di
tornare da
dove proviene, come una lucertolina che catturata per la coda se ne
separa per
scappare via.
Sola.
Ormai.
Per giorni, pronta ad affrontare gli anni
nella più completa apatia, pronta a percorrere strade
sconosciute senza avere
fretta di arrivare a destinazione, senza avere motivazione di guardarmi
attorno, senza niente se non la voglia tremenda di voltarmi e correre
per
tornare indietro, tornare da lui.
Una
mattina Barbalbero ci svegliò presto,
ormai erano passati alcuni giorni dal nostro arrivo lì e
finalmente era giunto
il momento dell’Entconsulta. Ci fece salire su di lui e
cominciammo a marciare
verso il luogo che avrebbe ospitato tutti gli Ent di Fangorn per
discutere
sulla sorte della Terra di Mezzo.
Mi piaceva stare sopra Barbalbero
soprattutto mentre camminava, sembrava di trovarsi sopra qualche
stramba
giostra: mi divertiva e poi era bello vedere come gli alberi e la terra
sotto i
piedi passavano velocemente senza che lui potesse fare il minimo
sforzo. Mi sentivo
praticamente in cima al mondo.
Durante la nostra marcia sentimmo il
suono di corni provenire da lontano, mi voltai, io ero sopra la sua
testa e
avevo una visibilità maggiore di quella degli hobbit, e fui
la prima a vedere i
campi e i sentieri che andavano verso, suppongo, il fosso di Helm,
ricoperti di
una cupa coltre nera. L’esercito di Saruman.
<< Merry! Pipino! Venite a vedere
>> dissi loro aspettando che salissero raggiungendo la
mia postazione per
dar modo anche a loro di vedere quell’orrore. Da quella
posizione così alta
sembrava di vedere i campi inondati di malefico liquido nero, catrame,
veleno.
<< Che cos’è? >>
chiese
Pipino guardando con somma preoccupazione quell’immensa
distesa di nero
<< È l'esercito di Saruman. La guerra
è cominciata. >> Spiegò
Merry.
<< Si dirigono al fosso di Helm
>> spiegai guardando l’orizzonte, ricordavo che
era la battaglia che più
amavo di tutto il libro, mi riempiva di emozione
era davvero incredibile, anche più bella di
quella davanti a Minas Tirith, ma ora che potevo toccare tutto con
mano…non la
ritenevo più così fantastica, ma
un’orribile dispensatrice di morte. Quella era
la mano nera della morte che si allungava verso gli uomini,
insaziabile,
incontentabile, bambina viziata.
<< Re Theoden deve aver ritenuto
opportuno portare alla fortezza il suo popolo, Rohan
dev’essere stata
attaccata. L’ombra di Saruman si sta allungando fin troppo
>>
Spiegai usando l’ipotetico anche se
sapevo benissimo che era veramente così. Gli hobbit mi
ascoltarono in silenzio,
potevo leggere la preoccupazione e la paura nei loro occhi.
<< Guardate! C’è del fumo a sud
>> disse
Pipino e a quel punto fu
Barbalbero a rispondere << C'è sempre del fumo
che sale da Isengard in
questi giorni. >>
<< Isengard? >> disse
incredulo Merry in un pensiero detto a voce troppo alta.
<< C'è stato un tempo in cui
Saruman camminava nel mio bosco. Ma ora ha una mente di metallo e
ingranaggi. A
lui non interessano più le cose che crescono.
>>
Guardai all’orizzonte, quell’immensa
distesa di nero mi preoccupava, sapevo come sarebbe andata a finire ma
se non
fosse veramente così? Stavo cominciando a temere che il mio
arrivo sulla Terra
di Mezzo avesse provocato dei cambiamenti, il fatto che io fossi stata
catturata insieme agli hobbit ne era una prova. Sospirai
<< Che la
fortuna vi assista >> dissi e solo allora mi ricordai
di…qualcosa…di
strano.
Mi guardai il polso: il braccialetto di
Galadriel era sparito! Possibile che l’avessi perso quando
ero andata a
lavarmi? No, impossibile, già allora non c’era ma
non ci avevo fatto troppo
caso.
Presi questo come messaggio di sventura,
il braccialetto mi aveva abbandonato, la fortuna mi aveva abbandonata.
Beh, a dirla tutta…quello stupido
braccialetto non mi aveva portato per niente fortuna! Boromir era
morto, dove
stava tutto questo potere? Ma forse l’avevo già
perso durante la lotta, ecco
perché era andato tutto storto.
Che peccato, avevo ricevuto un dono così
bello e forse, dico FORSE, utile ed ero stata capace di perderlo. Sarei
mai
riuscita a fare qualcosa di buono nella vita! Forse ero io stessa la
causa
delle mie disgrazie, forse doveva essermi stato fatto qualche maleficio
il
giorno della mia nascita per cui sarei stata iellata tutta la vita.
Arrivammo al centro della foresta di
Fangorn, dove si sarebbe tenuto il consiglio, il sole era
già calato:
incredibile quanto fosse grande quella foresta! Avevamo impiegato un
giorno
intero per arrivare.
Gli altri Ent cominciarono a uscire allo
scoperto, riunendosi in cerchio << Noi Ent non siamo
più coinvolti nelle
guerre tra Uomini e Maghi da moltissimo tempo. Ma ora sta per accadere
una cosa
che non accadeva da un'era: Entaconsulta.>>
<< Cos’è? >> chiese
Merry.
<< E’ una riunione >>
spiegò
in poche parole Barbalbero.
<< Una riunione di cosa? >>
Chiese Pipino guardando gli alberi avvicinarsi a loro <<
Faggio, Quercia,
Castagno, Frassino. Bene, bene, bene. Sono venuti in molti. Ora
dobbiamo
decidere se gli Ent scenderanno in guerra. >>
<< Forse è meglio se noi rimaniamo
nelle vicinanze >> suggerii agli hobbit, sapevo che non
era permesso a
noi prendere parte a un evento tanto magnifico, ma anche se fosse ci
saremmo
solo annoiati, gli Ent parlavano tra loro nella loro lingua a noi
incomprensibile, non aveva senso rimanere.
Barbalbero ci fece scendere con
delicatezza e Merry e Pipino corsero verso l’interno della
foresta << Non
allontanatevi troppo, potrebbe essere pericoloso e io ho promesso a
Gandalf che
vi avrei tenuti sotto la mia custodia >>.
<< Grazie mille Barbalbero >>
dissi con un sorriso accarezzando la sua corteccia, era così
strano pensare che
quell’essere così rigido, così
statuario, fosse in grado di muoversi, parlare e
avesse una vita propria, un cuore e dei sentimenti.
Raggiunsi gli hobbit poco distanti da noi,
che si erano messi a sedere sull’erba secca ai piedi di un
albero. Merry era
inquieto, voleva prendere parte alla guerra, non poteva stare con le
mani in
mano.
<< Abbi fiducia, Merry. Ora
rilassati, camminare avanti e indietro non risolverà la
situazione >>
<< Sì ma almeno scarico i nervi
>>.
Per tanti anni avevo provato a immaginare
come si potesse svolgere un Entconsulta, ma non mi ero mai nemmeno
avvicinata.
Era qualcosa di assolutamente incredibile, gli alberi era immobili in
cerchio,
si guardavano in volto eppure non muovevano nemmeno le pupille. E le
loro voci
risuonavano nella foresta come il vento risuona tra le foglie, mai e
poi mai
avrei immaginato che quella fosse la voce degli alberi,
chissà se nel
giardinetto dietro casa mia c’erano degli Ent, a volte avevo
udito suoni del
genere ma avevo sempre creduto fosse il vento.
Probabilmente no, solo in un posto
magnifico come la Terra di Mezzo queste cose potevano accadere, eppure
ero
convinta che qualcosa di magico esistesse anche nel mio mondo, forse un
tempo
anche noi avevamo maghi e streghe, elfi e nani, ma probabilmente gli
uomini
avevano cominciato a rifiutare di vedere e questo aveva portato alla
fine di
quegli esseri così speciali. Ma chissà se
qualcuno ancora era sopravvissuto,
magari si nascondeva tra noi senza farsi notare, mascherandosi. Il
giorno che
fossi riuscita a tornare a casa sento che mai più avrei
vissuto come avevo
sempre fatto, sarei andata in giro a naso alto, cercando la magia anche
nelle
più flebili nuvole, insignificanti all’apparenza.
Chissà che non fossi riuscita
a vedere qualcosa.
L’entconsulta durò a lungo, molto più
del
previsto, un intero giorno! Quando Barbalbero si riavvicinò
a noi il sole era
di nuovo già calato. L’attesa stava diventando
estenuante, stavo cominciando ad
agitarmi anche io.
<< Abbiamo raggiunto un accordo.
>> disse Barbalbero prima di fare una lunga, lunghissima
pausa, chiudendo
gli occhi, tant’è che credemmo si fosse
addormentato.
<< Sì? >> lo destò
Pipino.
<< Ho riferito il vostro nome
all'Entaconsulta e abbiamo convenuto che voi non siete Orchi.
>> Come immaginavo,
avevamo perso tempo, prima di arrivare a parlare di Saruman quanti
altri giorni
sarebbero dovuti passare?
<< Beh, è una buona notizia.
>> sorrise Pipino e ancora una volta mi ritrovai a
sorridere per la sua
ingenuità.
<< E per quanto riguarda Saruman?
Siete giunti a una conclusione riguardo a lui? >> Chiese
Merry con una
punta di nervosismo nella voce.
<< Non avere fretta, mastro
Meriadoc. >> già, le manie
dell’albero sulla fretta, ecco cosa
significavano.
<< Fretta? Lì ci sono i nostri
amici! È del nostro aiuto che hanno bisogno, non possono
combattere questa
guerra da soli! >> Ok, qualcuno doveva fermare Merry
altrimenti avrebbe
preso a pugni il gigante e non credo che ne sarebbe uscito vincitore.
<< Guerra? Sì. Ci colpisce tutti.
Hmm... Ma tu devi capire, giovane Hobbit, che ci vuole molto tempo per
dire
qualcosa in vecchio entese, e noi non diciamo mai niente se non vale la
pena di
prendere molto tempo per dirla. >> Spiegò
Barbalbero cercando di calmare
il piccolo hobbit prima di avvicinarsi di nuovo ai suoi compagni. Merry
si
venne a sedere accanto a me lasciandosi cadere a terra come un sacco di
patate.
Non l’avevo mai visto così agitato. Anche Pipino
si venne a mettere vicino a
me, mi sembrava di essere la madre insieme ai suoi due figli e ancora
una volta
sorrisi divertita. Avere la testa occupata mi faceva bene, mi aiutava
ad
abbandonare momentaneamente la tristezza.
<< Penso che dovremmo aspettare
molto >> affermai sospirando guardando gli Ent che
avevano di nuovo
cominciato a parlare.
<< Sophia, perché nell’attesa non
ci racconti qualcosa? >> Mi chiese Pipino,
l’unico che era rimasto con lo
spirito allegro.
<< Qualcosa? Che vuoi che ti
racconti, Pipino? >> Chiesi un po’ sconvolta,
mi aveva veramente preso
per la madre che racconta le fiabe ai figli prima di farli addormentare?
<< Qualcosa della tua città! Non
sappiamo niente di te >> che…richiesta strana.
In un momento come quello
Pipino aveva interesse solo a sapere da dove venivo? Beh, non mi sentii
però di
volerli deludere.
<< Non è un posto da dove vengo io,
Pipino >> cominciai e fui meravigliata di ricevere
l’attenzione anche di
Merry <<
La mia casa è
molto molto lontana da qui, così lontana che
nessuno degli abitanti conosce l’esistenza di questa terra.
>>
<< Davvero ne sono all’oscuro?
>> chiese Merry.
<< Non proprio, qualcuno la
conosce, io ero una di quelle, ma viene vista come…una
leggenda. Una favoletta
da raccontare ai bambini prima di metterli a letto, nessuno ci crede
veramente,
questo perché a nessuno è stato permesso di
arrivare qui >>
<< E’ davvero così lontano questo
posto? Al di là del mare, forse? >>
intervenì Pipino
<< Al di là del mare, al di là
delle terre, dei monti e delle colline, al di là di boschi e
pianure, al di là
di tutto >> anche di spazio e tempo <<
E’ un posto pervaso dalla
guerra e dall’ipocrisia degli uomini, uniche creature
viventi, non ci sono
elfi, né nani, né hobbit, né Ent,
né orchi… non c’è niente,
solo uomini e
animali. Le strade e le case sono ricoperte di cemento, il colore viene
usato
con moderazione, la vegetazione sta venendo distrutta pian piano per
lasciar
spazio a fabbriche e macchine. Non esistono più valori,
l’amore non ha più lo
stesso significato di una volta, genitori che si lasciano e abbandonano
i figli
sono all’ordine del giorno, guerre tra uomini di terre vicine
per la sovranità
del posto, l’aria che si respira è impregnata di
malefici e malattie, vizi e
ipocrisia, non c’è altro. Sono tutti succubi di un
unico potere, un potere più
forte di quello dell’anello, un potere che porta alla pazzia:
il denaro. Più
hai denaro più sei potente e questo fa sì che la
gente, accecata dal desiderio
di accumulare ricchezze, ignori il vero senso della vita, crogiolandosi
nel
peccato. La pazzia sovrasta le menti del mio popolo. >>
<< E’ terribile! >>
commentò
Merry e lo vidi rabbrividire.
<< Già, ma per fortuna qualcosa si
salva. Non sono tutti così gli uomini, alcune persone hanno
mantenuto la testa
a posto e il cuore nel petto, c’è tanta gente che
vive con il solo scopo di far
del bene e sta lottando per riportare il tutto alla
normalità, per salvare un
mondo che si sta dirigendo verso la sua fine. Peccato che il loro
potere sia
così debole e non riescono a rinforzarsi, a trovare aiuti,
non riescono a fare
tutto da soli. C’è troppo male in giro, paesi
distrutti dalle malattie e dalla
fame, paesi in cui l’acqua è un bene prezioso,
paesi in cui si vive
costantemente col terrore di essere uccisi da qualche soldato, mentre
gente
vive nel lusso più sfrenato, ignorando il significato della
parola “moralità”.
Ma come ti ho detto, Merry, non tutto è perduto.
C’è ancora speranza. C’è chi
sta lottando per il bene, spero solo arrivino in tempo. >>
<< Tu sei una di loro, immagino
>> mi chiese Pipino vedendomi come quegli eroi
imbattibili delle favole
che combattono per i più deboli. Ridacchiai <<
No, Pipino, la mia forza
non è abbastanza >>
<< Questo non vuol dire niente!
Anche noi siamo deboli, eppure guardaci! Vogliamo andare a combattere
>>.
<< Merry, la tua forza è immensa,
come quella di Pipino, di Sam, di Frodo, di Aragorn, Gimli e Legolas
>>
<< E di Boromir >> aggiunse
Pipino con un sorriso. Avevo fatto di tutto per non pensarci, avevo
anche
evitato di nominarlo nella mia lista, non l’avevo nominato
anche perché non mi
sembrava l’esempio migliore, Boromir si era lasciato
corrompere, si era
dimostrato debole. Mi rabbuiai e mi voltai lentamente verso Pipino
cercando di
sorridere ma mi uscì solo una smorfia di dolore.
<< Boromir non era forte
abbastanza, Pipino. Si è lasciato corrompere, ha tentato di
togliere l’anello a
Frodo >>.
<< Ma le sue intenzioni erano
buone! >> disse Merry alzandosi in piedi con vigore
<< Lo sai anche
tu, Sophia! Lui voleva solo usare il potere dell’anello per
salvare gli uomini!
Non era spinto da egoismo e sete di potere! Non si è
lasciato corrompere,
Boromir non era debole, lo sai anche tu Sophia! Lo sai, vero?
>>.
Merry aveva ragione. Boromir…era il
migliore. Boromir era un uomo buono. Boromir aveva solo seguito il
cuore.
Boromir era intenzionato a fare solo del bene. Boromir
era…era morto.
Strinsi le gambe in un triste abbraccio,
lottando contro le lacrime che premevano con forza per uscire. Basta
lacrime!
Basta piangere! Dovevo tirarmi su, dovevo farmene una ragione. Ma era
così
difficile, la ferita era ancora fresca e ben aperta.
<< Sì >> mugolai sentendo la
gola in fiamme e non riuscii a trattenermi oltre, scoppiai a piangere
<<
Sì >> ripetei ancora con la voce colma di
disperazione << Lo so, lo
so! >>. Mi coprii il volto con le mani cercando di
calmare i singhiozzi,
mi sentivo così ridicola, ero scoppiata a piangere solo
sentendolo preso in
causa, non avrei fatto molta strada in quelle condizioni. Pipino e Merry mi misero una mano
sulla spalla
<< Mi dispiace, scusa >> mi
disse Merry rendendosi conto del tono un po’ aggressivo che
aveva avuto e
dispiacendosi della mia reazione, sapeva che le ferite ancora perdevano
sangue,
si era dispiaciuto di infierire in quella maniera.
Riuscii a calmarmi appena, fermando pian
piano le lacrime, ma non i singhiozzi, sollevai la testa guardando un
punto
fermo nella mia testa, davanti ai miei occhi, un punto immaginario.
<< Dove sono il cavallo e il
cavaliere? >> Cominciai a sussurrare ricordandomi delle
parole di Theoden
prima della battaglia al fosso di Helm
<< Dov'è il corno che suonava?
Sono passati come la pioggia sulle
montagne. Come il vento nei prati. I giorni sono calati a ovest dietro
le
colline, nell'Ombra. Come siamo giunti a questo? >>
Sentii gli hobbit sospirare e si
strinsero più a me. Allargai le braccia e li strinsi
entrambi, uno per ogni
lato << Abbiate fiducia nei vostri amici, miei cari
hobbit. Finchè in
questo mondo ci sarà speranza e amore Sauron non
riuscirà mai a prendere
completamente il potere. >> sussurrai deviando un
po’ il discorso, non
volevo più pensare a
Boromir, soprattutto
in un momento come quello. Dovevo riuscire a superare quel trauma,
dovevo
trovare un motivo per guardare avanti, dovevo trovare una ragione di
vita e non
era certo guardando il passato che ci sarei riuscita.
Mi appoggiai con la schiena al tronco
dietro di me e i due hobbit si lasciarono andare alla stanchezza,
posando la
testa sulle mie gambe e chiudendo gli occhi addormentandosi. Rimasi
sveglia per
un po’ ad accarezzare i loro capelli per farli sentire almeno
in parte a casa,
per farli star bene anche se nell’illusione di un sogno.
Poi mi addormentai.
Aprii
gli occhi svegliata dalle parole di
Barbalbero << Merry, Pipino, Sophia…vi
comunico la decisione
dell’entconsulta >> scossi Pipino e Merry
così che si svegliassero anche
loro. Quando anche i due ebbero aperto gli occhi Barbalbero si mise
dritto
sulle sue radici e sentenziò << Gli Ent non
possono trattenere questa
tempesta. Dobbiamo superare certe cose come abbiamo sempre fatto.
>>
Merry si rizzò in piedi sbottando
<< Come può essere questa la vostra decisione?
>>.
<< Questa non è la nostra guerra.
>> Rispose Barbalbero sempre con molto garbo.
<< Ma fate parte di questo mondo!
Non è così? Dovete aiutarci ! Vi prego! Dovete
fare qualcosa! >>
ora il tono di Merry era più
supplichevole che impositore, sembrava stesse per mettersi a piangere,
non mi
sarei meravigliata di vederlo inginocchiarsi e strisciare fino alle
radici di
Barbalbero giurando eterna fedeltà in cambio del suo aiuto.
<< Sei giovane e coraggioso, mastro
Merry, ma il tuo ruolo in questa storia è finito. Tornatene
a casa tua.
>> rispose Barbalbero e il suo tono di voce fece capire
che la sua
decisione era irremovibile.
I due hobbit sospirarono, presero le loro
cose e si prepararono a partire.
<< Forse Barbalbero ha ragione.
Siamo fuori posto, Merry. È troppo per noi. Alla fine che
possiamo fare?
Abbiamo la Contea. Forse dovremmo tornarci. >> Disse
Pipino.
<< Se la troverete ancora al suo
posto >> mi lasciai sfuggire io mentre mi sistemavo il
mantello in spalla
e la spada alla vita.
<< Le fiamme di Isengard si
spargeranno e i boschi di Tucboro e della Terra di Buck bruceranno. E
quello
che una volta era verde e bello in questo mondo sparirà. Non
ci sarà più una
Contea, Pipino. >>
rispose Merry seguendo
la scia dei miei pensieri, e questo fece rabbrividire Pipino. Sapevamo
tutti e
tre che Merry aveva stramaledettamente ragione, e non c’era
cosa peggiore per
guardare al futuro e vedere la fine.
Barbalbero si avvicinò a noi e allungò le
mani per farci salire sulle sue spalle << Vi
lascerò al confine ovest
della foresta. Da lì procederete a nord verso la vostra
terra natia. >>
disse cominciando a incamminarsi con gran velocità. Ci fu un
attimo di pausa,
tanto lungo che temetti che Pipino non avrebbe convinto Barbalbero ad
andare a
sud, che non gli sarebbe venuta in mente l’idea,
così aprii la bocca per farlo
io quando sentii la sua voce decisa dire << Aspetta!
Fermo! Fermo! Torna
indietro! Torna indietro! Portaci a sud ! >> Barbalbero
rimase un po’
colpito dalla richiesta tanto che si fermò e chiese stupito
<< A sud? Ma
così voi oltrepasserete Isengard. >>, anche
Merry non capiva cosa aveva
in testa il suo piccolo amico, glielo leggevo negli occhi che non
capiva perché
di quella richiesta. Sinceramente neppure io ho mai capito
perché Pipino fosse
voluto andare a sud, forse già sapeva degli alberi tagliati?
Forse già sapeva
della reazione di Barbalbero? O forse davvero credeva che passando
sotto il
naso di Saruman saremmo stati al sicuro?
Non ne avevo la più pallida idea, ma
qualsiasi cosa lo avesse spinto a fare quella scelta era
un’ottima motivazione,
il nostro arrivo a sud era la miccia che avrebbe fatto esplodere il
detonatore
degli Ent portandoli in guerra.
<< Sì, esatto. Se andiamo a sud,
potremo superare Saruman inosservati. Più ci avviciniamo al
pericolo, più
evitiamo di farci male. È l'ultima cosa che lui si aspetta.
>> spiegò.
<< Questo per me non ha senso. Ma,
in fondo, voi siete molto piccoli. Forse hai ragione. E allora, sud
sia!
Tenetevi forte, piccoli della Contea e donna dai posti sconosciuti! Mi
piace
sempre andare a sud. In qualche modo, sembra come andare in discesa.
>>
disse cominciando a parlare, come aveva sempre fatto, era un gran
chiacchierone
Barbalbero e ne aveva di cose da dire, le parole erano un fiume
incessante all’interno
della sua mente.
<< Sei impazzito? Ci cattureranno!
>> disse Merry a Pipino, sconvolto della sua idea, ma
Pipino rimase fermo
nella sua posizione << Niente affatto. Questa volta no.
>>.
Merry mi guardò sconvolto, aspettando che
anch’io l’aiutassi a far capire a Pipino la pazzia
che stava per commettere, ma
la mia risposta fu un sorriso enigmatico e un occhiolino, facendogli
capire che
io ero d’accordo con il piccolo hobbit.
La camminata fu lunga e stancante, stare
troppo tempo in groppa all’Ent non era poi tanto estasiante,
tutti quei
movimenti alla fine provocavano un forte senso di nausea, ed era
stancante
rimanere aggrappata tutto il tempo ai suoi rami per paura di cadere.
Per
fortuna giungemmo alla fine della foresta, vicinissimi a Isengard. E fu
lì…che
tutto ebbe inizio.
Barbalbero si lasciò sfuggire un
tristissimo << Oh >> vedendo tutti quei
ceppi secchi attaccati al
suolo, privi del loro albero originale. Mi guardai attorno
così come i due
hobbit, non avevo mai visto nulla di più triste, ed era come
se fossi capace di
percepire i sentimenti dell’Ent su cui ero aggrappata. Sapevo
fin troppo bene
cosa significava perdere qualcuno a cui si vuol bene.
<< Molti di questi alberi erano
amici miei. Creature che conoscevo da quando erano noce o ghianda.
>> la
sua voce era colma di tristezza e disperazione.
<< Mi dispiace Barbalbero >>
confessò Pipino con sincerità, glielo sentivo
nella voce, si sentiva quasi in
colpa di averlo portato lì.
<< Avevano delle voci proprie.
Saruman! >> chiamò << Uno
stregone dovrebbe avere più criterio!
Aaah! Non esiste una maledizione in elfico, entese o nelle lingue degli
Uomini
per una tale perfidia. Non mi resta che vedermela con Isengard
stanotte, con
sassi e pietre. >> sentenziò stringendo i
pugni.
<< Sì >> esultò
Merry,
finalmente contento del fatto che anche noi ci mobilitassimo in aiuto
della
terra tanto amata.
<< Venite, amici miei. Gli Ent
andranno in guerra. È probabile che andremo verso la rovina.
L'ultima marcia
degli Ent. >> disse e dopo aver lanciato un urlo di
guerra, dopo aver
convocato tutti gli Ent a rapporto, marciammo su Isengard con furore.
Eravamo
una valanga inarrestabile, invademmo il cerchio di Isengard in
pochissimi
minuti devastando, distruggendo con calci e pietre. Io, Merry e Pipino
facemmo
la nostra parte da sopra Barbalbero lanciando pietre, divertendoci a
gareggiare
su chi facesse più punti.
<< Colpito alla testa! 15 punti!
>> urlò Merry dopo aver colpito talmente forte
un orco da scaraventarlo
giù nello strapiombo della loro fabbrica di Huruk.
<< Bel colpo >> commentò
Barbalbero dopo aver calciato via un altro orco.
<< Ora tocca a me >> dissi
ridendo divertita, incredibile vero? Stavo ridendo. Eppure era
così, quella
dolce compagnia era capace di arrivare a tanto: era magica. Lanciai un
sasso
contro un orco ma…feci completamente cilecca mancandolo di
un paio di metri.
L’orco guardò il sasso poco lontano da lui, poi si
voltò verso di me e scoppiò
a ridere.
Rideva!! Rideva di me!
Accidenti non era mica facile riuscire a
colpire qualcosa quando si è in movimento!
Cosa aveva da divertirsi tanto?
<< Che diavolo hai da ridere,
vermiciattolo!! >> brontolai sporgendomi tanto che quasi
caddi se non mi
avessero retto i due hobbit prendendomi appena in tempo per il
mantello.
<< Ora vengo lì e ti sistemo per le
feste! Lasciatemi andare! >> sbottai contro
l’orco che ancora mi guardava
e rideva con la stessa voce di un maiale in piena agonia.
<<
Lasciatemi!!! >> urlai dimenandomi, quel coso osava
prendersi gioco di
me! Maledetto! Aveva i minuti contati,
io…io…l’avrei strozzato con le mie
mani!
Altro che spada! A mani nude! E sarei saltata sulla sua
carcassa…
…da quando ero così orgogliosa e
vendicativa?
Bah, che importava?! Quel maiale
continuava a deridermi!
A MORTE!!!!
Barbalbero trovò il modo di farmi calmare
calpestando l’orco uccidendolo schiacciato
dall’enorme peso dell’Ent. A
scoppiare a ridere fui io e cominciai a indicare i suoi resti spalmati
sul
suolo come nutella sul pane ridendo così istericamente che
quasi mi saltò fuori
un polmone.
<< Ora sono io a ridere,
carciofo!!! >> dissi calmandomi appena, feci un respiro
profondo e mi
sistemai nuovamente sui rami di Barbalbero aggrappandomi per non cadere
<< Guai a chi mi sfida, finisce in quella maniera
>>
<< Ma veramente è stato Barbal…
>>
<< Dettagli!! >> interruppi
Pipino << Dettagli insignificanti. Barbalbero la diga!
>>
consigliai visto che l’Ent non si decideva a dare
l’ordine.
<< Abbattete la diga! Liberate il
fiume. >> urlò Barbalbero non con tono
impositivo, ma sembrava più un
consiglio, un “amici miei aiutatemi ad abbattere la
diga”. E ciò era il punto
di forza degli Ent, nessuno era più importante degli altri,
erano tutti
fratelli e come tali erano invincibili. Per distruggerne uno bisognava
distruggerli tutti.
Il fiume fu liberato e vidi quest’enorme
distesa d’acqua scorrere giù per il dirupo,
dirigersi con forza verso di noi
con impeto e un frastuono che tanto mi ricordava il mare in tempesta.
<< Reggetevi forte! >> ci
consigliò Barbalbero piegandosi
lievemente in avanti per far sì che l’acqua non lo
trascinasse via. Mi
abbarbicai letteralmente ai suoi rami aiutandomi con mani e piedi,
pronta
all’impatto che non fu per niente dolce. Mi sentii dondolare
avanti e indietro
per un po’, altro che giostre dei luna park! Erano molto
meglio a confronto! Le
montagne russe? Puah, una passeggiata. Fu difficile rimanere attaccata,
dovetti
usare la forza della disperazione, peggio di quando una volta mi
costrinsero a
salire sul Tagadà ad una fiera di paese! Ero rimasta appesa
come un
salsicciotto reggendomi solo con una mano perché con
l’altra dovevo tenere la
mia amica che era scivolata via. Non sono mai riuscita a capire dove
avessi
trovato la forza necessaria a non cadere, le dita mi si stavano quasi
per
staccare. E in quel momento era più o meno la stessa cosa,
trovai dentro me un
energia mai vista prima e serrando le labbra riuscii a contrastare il
contraccolpo.
Nel giro di pochi minuti tutta Isengard
era allagata, non c’era più traccia nemmeno di un
orco, c’eravamo solo noi e
gli Ent.
<< Abbiamo vinto!! >> esultai
da sopra Barbalbero e di nuovo rischiai di cadere a terra se i due
hobbit non
mi avessero presa in tempo.
<< Quella è una dispensa? >>
chiese Pipino guardando in basso, verso un casolare poco lontano da
noi. Non
aspettò la risposta, scese giù da Barbalbero
seguito da Merry e corsero
all’interno << Ehi!! >> li
richiamai, ma decisi di non volerli
seguire, volevo stare ancora un po’ con Barbalbero.
<< Cosa farete ora, Barbalbero? Con
Saruman intendo >> dissi alzando lo sguardo verso la cima
della torre,
verso un balconcino dove avevo appena visto sparire il mago.
<< Saruman non ha più speranze
ormai, è un topolino incastrato nella trappola, la sua magia
ha perso di
intensità. Mh, e comunque non sono nella posizione adatta
per sentenziare morte
o vita, aspetteremo Gandalf, arriverà a momenti, e
sarà lui a decidere ciò che
si deve fare e ciò che non si deve fare. >>
<< Mi pare più che giusto, è lui il
saggio della situazione, erro? >> chiesi mentre
Barbalbero si fermava di
fronte all’entrata di Isengard e mi porse la sua mano per
aiutarmi a scendere
dalle sue spalle e farmi sedere lì all’entrata,
sopra una grande roccia, come
una guardia.
<< Non erri affatto, mia cara
amica. Ora io gli altri Ent dobbiamo tenere d’occhio la torre
e sistemare i
guai di Saruman, non potrò dare il giusto benvenuto a
Gandalf quando arriverà,
ma sento che posso fidarmi di quello che potrete dargli voi: tu e i
piccoli
hobbit della contea. >> Mi misi a sedere guardando il
cancello di fronte
a me, gli hobbit mi raggiunsero con le mani piene di roba da mangiare,
da bere
e da fumare. Mi voltai e
sorrisi all’Ent
<< Ma certo! >> e mi avvicinai ai due
hobbit << Ehi, lasciate
qualcosa anche a me, muoio di fame! >> ma proprio in quel
momento un urlo
destò tutti i nostri pensieri.
Qualcuno dall’alto urlava e chiamava il
mio nome. Alzai la testa verso l’unico punto alto di
Isengard: la torre di
Saruman. Forse mi ero sbagliata! Forse non era il mio nome che
chiamava, o
forse non era da lì che proveniva, ma possibile che anche
gli hobbit e
Barbalbero avessero commesso il mio stesso errore voltandosi insieme a
me?
<< Sophia! >> gridò ancora
<< Vieni qua! Ho due parole da dirti. >>
Voleva parlarmi.
Aveva ordinato di catturarmi.
Probabilmente semplicemente perché sapeva
del mio “potere”, ma…
<< Uhm, vado a dirgli che è inutile
che sprechi il suo fiato, mh >> disse Barbalbero
voltandosi per
avvicinarsi alla torre.
<< Aspetta! >> lo fermai
alzandomi in piedi << Sophia, che vuoi fare?
>> mi chiese Merry
allarmato leggendomi probabilmente nella mente. Barbalbero si
voltò a guardarmi
aspettando che parlassi, ma la mia voce non arrivò subito a
lui. Saltai giù dal
masso bagnandomi fino ai polpacci, sentivo l’acqua entrarmi
nelle scarpe,
sensazione che già avevo provato nel lago nero di fronte a
Moria e non mi era
piaciuta. Ma avevo altre priorità << Vado a
parlargli >> dissi
incamminandomi.
<< Uhm, suvvia, niente fretta!
>> mi fermò Barbalbero anticipando le parole
dei due hobbit che già
stavano per scendere per venire a fermarmi.
<< Ho molti quesiti che mi
tormentano in questi giorni e…e il mio cuore mi dice che lui
può aiutarmi a
trovare una risposta >> L’aria fu spezzata
nuovamente da un altro urlo di
Saruman che invocava il mio nome.
<< Sophia, no! E’ pericoloso!
>> disse Pipino << mastro Pipino ha
ragione, Saruman ha ancora
parte dei suoi
poteri, potrebbe farti
qualche incantesimo, è pericoloso. >>
<< Non ho niente da perdere
>> ammisi tristemente prima di avviarmi verso la torre.
Merry e Pipino
non riuscirono a trovare altre parole per obbiettare la mia decisione,
la mia
ultima frase, così crudelmente vera, li aveva spiazzati.
<< Hai noi! >> tentò Pipino
un po’ titubante. Mi fermai e mi voltai lentamente, era
l’hobbit più dolce e
tenero di tutta Arda non c’era dubbio. Gli sorrisi
teneramente << Tornerò
sana e salva, promesso >>. Ok, non li avevo convinti, ne
ero certa, ma
non tentarono più di fermarmi. Giunsi all’entrata
della torre e Saruman invocò
ancora il mio nome << Smettila di urlare, vecchio!
>> sbraitai,
dovevo mostrarmi forte e decisa, non dovevo dar modo di mostrare le mie
debolezze o ci avrebbe giocato come un gatto col topo <<
Il papa che
invoca la grazia di Dio in piazza San Pietro fa molte meno scenate di
te.
Aprimi, piuttosto! O preferisci conversare dal balcone, mia Giulietta?
>>
aggiunsi ironicamente, non capivo da dove venisse fuori questa voglia
di
scherzare, a volte l’agitazione gioca brutti scherzi. Quello
ne era la prova.
<< Allora hai deciso di venire
>> realizzò entusiasta Saruman
<< Sì, sì son qua, forza una mossa!
Rapunzel sciogli i tuoi capelli! >> Nel giro di pochi
secondi l’enorme
portone davanti a me cigolò e si aprì lentamente
permettendomi di entrare.
Sentivo l’ansia arrivare fino alla punta dei capelli, feci un
sospiro e
cominciai a salire le scale fin dove non so, mentre la porta alle mie
spalle si
chiudeva con un tonfo producendo un sinistro eco all’interno
della torre.
Salii fino a che non mi trovai di fronte
Saruman che mi accolse con un enorme sorriso, come un vecchio amico.
Allargò le
braccia e disse << Prego, accomodati pure
>> prima di farsi di lato
per lasciarmi entrare all’interno di una sala ancora
più inquietante delle
scale appena salite. Il rumore dei miei passi echeggiava come se mi
trovassi in
un’enorme casa abbandonata, sentivo il cuore pulsare nelle
tempie. Cosa voleva
da me?
Ma….cosa volevo io da lui?!
Perché ero voluta salire? Cosa mi aveva
spinto a fare il mio cuore? Accidenti, dovevo imparare a controllare di
più i
miei impulsi e ragionare prima di agire! A cosa serve un cervello
sennò?
Non lo guardai nemmeno in faccia ed
entrai tenendo lo sguardo dritto di fronte a me, non dovevo dare segni
di
cedimento o debolezza nemmeno per un attimo, non dovevo mostrar a lui
la mia
vulnerabilità.
Mi fermai al centro della stanza e dopo
essermi guardata un po’ attorno mi voltai verso lo stregone
rimanendo ben
dritta e ferma nei miei piedi e puntando lo sguardo severo verso di lui.
<< Vuoi qualcosa da bere? >>
disse lui con gentilezza << Posso provare a riprodurre il
caffè del tuo
mondo >>
Come immaginavo! Sapeva da dove provenivo
e sicuramente sapeva anche di cosa ero capace.
<< Smettila, con me non attacchi.
Dimmi che vuoi, io ti dico di no, e si chiude qui la storia.
>>
Saruman scoppiò a ridere << Perché
allora sei salita se già sai come rispondere alla mia
ipotetica richiesta?
>>
<< Perché poi tu dovrai rispondere
alle mie di domande >>
Saruman ci pensò un po’ su <<
Possiamo trovare un accordo, certo >>
<< Non scendo a patti coi
contadini!!! >> Gridai con un tono che tanto sembrava una
cantilena,
imitando, istintivamente, quel vecchio burlone di Kuzko, protagonista
delle
Follie dell’Imperatore.
Saruman mi guardò per un attimo un po’ titubante
poi proseguì per la sua strada.
Diavolo, anche lui sapeva che per
contrastarmi bastava ignorarmi!
<< Ma quanta forza d’animo! Eppure
finora non era così, fino ad ora eri una creatura senza un
perché che vagava in
attesa della sua morte, cos’è cambiato in questo
piccolo lasso di tempo?
>>
Rimasi sorpresa, il fatto che sapesse
come mi sentivo voleva solo dire che mi aveva osservata, mi aveva
tenuto
d’occhio, perché mai? Cosa voleva da me. Rimasi in
silenzio, non risposi alla
sua domanda ma continuai a guardarlo dritto negli occhi decisa e
determinata.
<< Immagino che tu voglia sapere
perché ti ho voluta vedere >>
<< Perspicace >> dissi
sarcastica.
<< Vedi, Sophia >> cominciò a
parlare camminando intorno a me, come un leone intorno alla preda e io
rimasi
immobile, seguendolo semplicemente con lo sguardo, tenendo la mano
pronta sulla
spada in caso di necessità << Oh,
per carità, rilassati! Non ho nessuna
intenzione di farti del male, sono
ormai un vecchio che ha solo il potere della parola, lo scontro fisico
non
riuscirei a sostenerlo >>
Bugie. Tutte bugie, lo sapevo! Voleva
trovare un buco nella mia corazza per attaccarmi.
<< Dicevo >> riprese <<
Vedi Sophia, so che tu stai cercando qualcosa, qualcosa che ti accende,
ti
brucia, ti consuma, e questo annullamento nelle fiamme ti provoca
piacere. La
loro assenza ti tormenta, come ha fatto in questi giorni
>>
Sapevo a cosa si riferiva, il cuore stava
già cominciando a cigolare stringendosi in petto, sotto la
pressione del peso
del dolore. Sentivo l’aria mancarmi, e cominciai a respirare
in maniera più
affannosa, ma non mi mossi dalla mia posizione, non feci cadere il mio
sguardo,
rimasi immobile come una statua mentre dentro di me si stava scatenando
la
Guerra Mondiale.
<< E’ la tua ragione di vita,
desideri trovare quello cerchi più di ogni altra cosa, eri
disposta anche ad
abbandonare la Compagnia e Frodo pur di ottenerla >> era
quello che avevo
detto a Galadriel, sapeva anche questo! Cominciai a sudare freddo,
sapevo dove
voleva andare a parare e temevo di non riuscire a sostenerlo.
Ma no.
Non aveva appigli! Boromir era morto, non
aveva dove aggrapparsi!
<< Il cuore del primogenito di
Denethor! Boromir di Gondor, è lui che desideri
più di qualunque altra cosa.
Bene, mia cara, io so qui per aiutarti. Io con la mia magia e i miei
poteri
posso darti ciò che cerchi, non dovrai più
cerc… >> interruppi il suo
monologo scoppiando a ridere e mi voltai per guardarlo bene in volto e
non di
sbieco in quanto si trovava quasi dietro di me
<< Te ne sono molto grata, Saruman,
mi avresti fatto davvero molto comodo,
non so se sarei riuscita a rifiutare questa proposta in
passato ma ora
sicuramente non posso fare altro perché
vedi, c’è un piccolo particolare che non hai
considerato >> feci un
grosso sospiro per non permettere alla voce di morirmi in gola nel
pronunciare
le prossime parole << Boromir è morto. E sei
stato tu, con il tuo
esercito di Huruk, a ucciderlo! Quindi ovunque tu voglia arrivare non
avrai
successo >>
<< Ti sbagli, mia cara >> mi
faceva venire i brividi sentirmi chiamare in quella maniera
<< Boromir è
vivo >>.
Stop.
Chi aveva messo stop nel lungometraggio
della mia vita?
Rewind.
La voce di Saruman echeggiava nella mia
testa ripetutamente, senza avere l’intenzione di placarsi.
Maledizione aveva
trovato il punto debole della mia corazza! Non dovevo farmi vedere
tentennante
neanche un momento ma come placare le ginocchia che tremavano? Come
placare la
testa che girava, il respiro affannoso, il cuore in procinto di
esplodere in
petto? Come placare quel senso di spaesamento?
<< Tu menti! >> tentai
disperatamente di difendermi, anche se ormai sentivo il suo coltello
penetrare
nella mia carne sempre più. Stavo scendendo su un gradino
nettamente più basso
del suo, stavo scivolando, aggrapparmi con le unghie alla balaustra, ma
era
inutile, cadevo inesorabilmente.
<< No, tesoro mio, non potrei mai!
Aragorn è giunto in tempo sul suo corpo, non appena uno dei
miei Huruk ti ha
colpito in testa facendoti perdere i sensi e lo ha salvato. Ora
è in viaggio,
di ritorno dal fosso di Helm, insieme agli altri. >>
Mi portai una mano tremolante alla testa,
troppe idee confuse. Non poteva essere vero.
<< No! Lui non voleva essere
salvato! Aveva perso la speranza e Aragorn ha rispettato la sua
decisione! Era
troppo tardi ormai per salvarlo, non è vivo! E’
morto, morto, morto!!! >>
dissi cominciando a urlargli contro stringendo i pugni.
<< Ha trovato un motivo per andare
avanti! >> disse indicandomi il polso che io guardai
senza capire cosa
volesse dire << Tu avevi cercato disperatamente di
salvarlo nei tuoi
ultimi attimi con lui, e ciò ha creato in lui un forte senso
di riconoscenza
che desiderava colmare il prima possibile. Si sente in debito nei tuoi
confronti
e voleva pagare questo debito prima di lasciare questo mondo.
>>
Il braccio! Il mio braccialetto, ecco
cosa voleva dire! Mi sfiorai il polso prima di alzare gli occhi di
nuovo sul
mago che si era fatto molto vicino a me << Galadriel non
dona inutilità,
il braccialetto è rimasto a lui perché ne aveva
più bisogno di te in quel
momento. Ed ha funzionato. Boromir è vivo e io posso donarlo
a te. >>
disse scandendo ogni singola parola così da dar loro
più incisività.
<< Non ho bisogno del tuo aiuto!
Non voglio nessuna pozione dell’amore, se anche Boromir fosse
vivo come dici tu
sarà lui a scegliere e qualsiasi sia la sua decisione a me
sta bene. >>
<< Andiamo, Sophia, sappiamo
entrambi che non è vero quello che stai dicendo! Sappiamo
entrambi che desideri
ardentemente riuscire ad averlo, e io POSSO farlo! Sono uno degli
stregoni più
potenti della Terra di Mezzo, far innamorare un uomo è un
giochetto da ragazzi.
>>
<< No, no, no e poi no! Non ti
credo! Mi vuoi ingannare, non è vero che Boromir
è vivo, è tutta una
menzogna>> era l’unica cosa a cui riuscivo ad
aggrapparmi, se mi
abbandonavo alla consapevolezza che Boromir era davvero riuscito a
sopravvivere
sarebbe stata la fine, non sarei riuscita a resistere oltre e mi sarei
arresa
alle trattative dello stregone.
<< Non mi credi? >> ripetè
Saruman allontanandosi da me e avvicinandosi a un piccolo tavolino in
pietra
nel centro della stanza dove era posato un telo scuro che copriva
qualcosa,
probabilmente il Palantir.
Tolse il velo e mostrò ciò che avevo
già
dedotto: una grossa palla in pietra scura, lucida, liscia e levigata,
con
fiamme all’interno. Il solo guardarlo mi provocò
un cedimento, mi sentii
nettamente inferiore, mi sentii debole, triste e abbattuta. Troppo
vulnerabile.
<< Tu sai cos’è questo, nevvero? Lo
sai, Sophia? >>
<< Il Palantir >> sussurrai
appena.
<< Tocca il Palantir ed esso ti
mostrerà la vera realtà delle cose, ti
mostrerà il tuo Boromir sano e salvo che
sta cavalcando verso Isengard insieme a Gandalf e agli altri suoi
compagni.
>>
“No, non toccarlo!” mi ripetevo
continuamente ma i piedi andavano per conto loro. Allungai una mano e
mi
avvicinai al piccolo tavolino in pietra un po’ titubante.
“No, Sophia!”
continuava a urlare al voce nella mia testa, ma non riuscivo a dar lei
retta!
La mia forza di volontà era stata completamente schiacciata
e annullata dal
desiderio di scoprire. “Ti farà un incantesimo!
Cadrai sotto il suo potere!”
niente da fare. Non riuscivo a bloccarmi. Sospirai tremando, la mano si
allungò
verso la pietra nera, ormai mancavano pochi millimetri, riuscivo a
sentire il
suo calore e il grosso occhio infuocato apparve davanti ai miei occhi
per un
istante, un’immagine improvvisa, comparsa e scomparsa nel
giro di pochi attimi.
Arretrai un po’ con la mano, spaventata
dall’immagine che mi si era appena
presentata davanti, immagine che aveva provocato uno squarcio dentro di
me:
avevo sentito dolore.
<< Tocca il Palantir, Sophia.
Scoprirai che le mie parole non erano menzogna >>.
Chiusi gli occhi, decisa a toccare quella
maledetta pietra, che mai sarebbe potuto accadere? Ero sicura che
nonostante
tutto non sarebbe riuscito a imprigionare la mia anima, mai mi sarei
venduta a
Saruman.
Ma non ci fu bisogno di toccare la
pietra, la mia mente trovò un’altra soluzione dal
momento in cui sentii Merry
dire con gioia << Benvenuti, miei signori, a Isengard!
>>. Erano
arrivati! Se Saruman aveva ragione allora…
Mi voltai verso il balcone che dava
sull’entrata e corsi fuori. Saruman non
m’impedì di correre via, anzi sentii
che mi venne dietro lentamente. Mi affacciai immediatamente, impaziente
di
vedere chi fosse giunto e se tra loro ci fosse veramente Boromir.
Ma come immaginavo, Saruman mi aveva
ingannata! Di Boromir neanche l’ombra. Sentii
l’ossigeno tornare al cervello,
mi misi dritta e mi voltai verso Saruman << Vedi!
>> dissi poco
prima di entrare, ma non ebbi modo di superare la soglia della porta
che lo
stregone mi prese per un braccio e mi fece voltare di scatto indicando
con il
suo bastone l’entrata di Isengard.
E fu lì che lo vidi.
Arrivò al galoppo in sella a un cavallo
nero guardandosi attorno con i suoi occhi blu pieni di
curiosità e meraviglia.
Mi portai una mano alla bocca.
Non era possibile. Lui era lì veramente,
i suoi occhi continuavano a vedere, i suoi polmoni continuavano a
respirare, le
sue labbra a far uscire parole e il suo cuore ancora batteva in petto.
Vidi i
due hobbit saltare giù dal masso su cui erano a fare
baldoria per andare ad
abbracciarlo, facendolo quasi cadere da cavallo. Merry fu il primo a
voltarsi
verso la torre per cercarmi con gli occhi, per annunciarmi la loro
scoperta. La
migliore di tutte.
Era lì! Era vivo! E presto avrei potuto
abbracciarlo anche io. Le lacrime cominciarono a sgorgare dai miei
occhi, ma
non erano pesanti come quelle versate fino ad adesso: erano lacrime di
gioia!
Lacrime che evaporavano alla luce del sole rendendomi leggera come una
piuma,
facendomi volare verso il cielo, fino a toccare le nuvole, soffici
consolatrici. Mi liberai dalla presa leggera di Saruman e corsi verso
l’uscita,
al diavolo i quesiti che dovevo porre allo stregone, al diavolo tutto!
La mia
vita era giù che mi aspettava in sella a un cavallo. Non
c’era altro!
<< Sei sicura di volertene andare
così? Boromir è vivo, è vero ma
ricordati che tu non possiedi ancora il suo cuore!
>> rallentai, sentivo la presa di Saruman su di me
così potente adesso.
<< Solo io posso donartelo, devi
solo accettare le mie condizioni. >> La mia mente
tornò al Palantir, era
ancora al suo posto. Cominciai a temere che la mia presenza in
quell’assurda
storia avesse causato problemi, dovevo assicurarmi che tutto sarebbe
andato
come previsto, e poi…Boromir era vivo, niente mi rendeva
più felice, ma ciò
avrebbe causato molti cambiamenti nella storia.
<< Saruman! >> chiamò Gandalf
da fuori, desiderava parlare con lui ma lo stregone non sembrava
intenzionato
ad andare alla finestra.
<< Pensaci, Sophia. I tuoi sogni
realizzati, in cambio di un aiuto a un povero vecchio. Non ti
chiederò di
cimentarti in grandi perigli, rimarrai qua al sicuro e quando tutto
sarà finito
tu e il tuo uomo potrete ritirarvi per fare la bella vita insieme. Per
sempre.
>>
Non era la proposta ad allettarmi, ma
sentivo che non dovevo più essere così
superficiale e caparbia. Sentivo sulle
mie spalle un peso maggiore, non c’erano più i
miei sogni, c’era qualcos’altro.
Ormai ero dentro la storia e la mia mano aveva modellato
così tanto quella
trama che si sarebbe potuta trasformare in qualcosa di sbagliato.
<< Cosa vuoi? >> chiesi
asciugandomi le lacrime e riprendendo il mio sguardo serio e
determinato, anche
se non ero più come prima, la gioia e l’emozione
si leggevano nei miei occhi,
Saruman sapeva di avermi ormai in pugno. Si avvicinò con un
sorriso in volto,
sorriso ingannatore, dovevo tenermene lontana ma ormai ero
lì, non potevo fuggire.
<< Le tue conoscenze, Sophia.
Nient’altro che le tue conoscenze >>
Come immaginavo, sapeva tutto! No, non
potevo cedere! Non dovevo permettergli di raggiungere
l’anello grazie a me, non
glielo avrei mai permesso.
<< La radice quadrata di P greco è 1,
72, la capitale dell’Inghilterra è Londra, Marx
credeva nel vero comunismo, la
maieutica è una tecnica di Socrate, Il fu Mattia Pascal
è un romanzo di
Pirandello, Verga è il maggior esponente del Verismo
italiano… >> fui
interrotta dalla sonora risata di Saruman.
<< Hai senso dell’umorismo >>
<< Non so di cosa tu stia parlando
>>, pessima tecnica auto difensiva, ma non avevo in mente
altro.
<< Lo sai benissimo invece. Voglio
che tu mi dici tutto ciò che sai su Frodo,
l’anello del potere e su tutta
questa storia. >>
<< So le stesse cose che sai tu,
non c’è bisogno che mi metta a raccontarti
ciò che è successo fin ora. >>
<< Ma io infatti non voglio sapere
il passato…io voglio conoscere il presente e il futuro.
>>
<< Non sono veggente >>.
<< Smettila di prendermi in giro!
La mia pazienza ha un limite, Sophia! >> urlò
Saruman, stava cominciando
a irritarsi e la cosa non mi piaceva troppo, mi terrorizzava.
Ma perché ero entrata in quella maledetta
torre? Perché non ero rimasta fuori a far baldoria con gli
hobbit pronta a
saltare al collo di Boromir quando l’avrei visto arrivare?
<< Puoi giocare con gli altri
all’indovina, ma con me no! So bene che mastro Tolkien anni
fa arrivò qui,
ospite di Galadriel, e so che vide la storia dell’anello
nella sua stupida fontana!
>> stavo cominciando a tremare, sapeva molto
più di quello che
immaginassi! << E so anche che ritornato in
città ha scritto tutto in
alcuni libri e che TU hai letto quei libri prima di giungere qui!
Quindi ora tu
mi dirai cosa hai letto o non uscirai viva da questa torre e nemmeno il
tuo
caro Boromir riuscirà ad andarsene vivo da Isengard!
>>
<< Tu non hai più poteri! Non ti
temo! >>
Non feci in tempo a finire
la frase che Saruman sentitosi
provocato rispose scaraventandomi contro un muro con la sua magia, il
colpo fu
durissimo, la schiena ne avrebbe risentito per giorni. Lanciai un urlo
al
momento dell’impatto così forte che riuscirono a
sentire anche gli altri da
fuori la torre che cominciarono a urlare il mio nome disperati.
<< Saruman! Avere un ostaggio non
ti aiuterà ad avere la meglio! Libera subito la ragazza o
facciamo irruzione
nella torre >> Gridò Gandalf ma ancora una
volta Saruman lo ignorò
completamente.
<< Ti sei sbagliato, io non so
niente! >> urlai in preda a dolori atroci, sembrava che
il mio corpo
stesse venendo schiacciato all’interno di una stanza che si
stringe man mano.
<< Sophia, ti ho detto di non
prenderti gioco di me! Ti ho fatta arrivare io qui, vuoi che non sappia
quali
sono le tue potenzialità? >>.
Un tonfo sordo.
Il rumore di un martello caduto su un
incudine. Era tutto nella mia mente ovviamente, ma era così
che mi sentivo:
svegliata all’improvviso dal rumore di pentole cadute da uno
scaffale.
<< Tu… >> riuscii solo a
dire, mi pareva così inverosimile che a regalarmi quel sogno
fosse stato lui,
“uno dei cattivi”. Saruman ammorbidì la
presa su di me permettendomi di posare
i piedi per terra, anche se non mi servivano molto, non riuscivo a
tenere
dritte le gambe e tenendo poggiata la schiena contro il muro mi lasciai
scivolare
giù, fino a mettermi in ginocchio.
Saruman si avvicinò a me mentre da fuori
della torre continuavano a chiamare lo stregone e a ordinargli di
lasciarmi
andare.
<< Ma…perché? >>
riuscii solo
a chiedere in preda a una confusione mentale mai avuta prima.
<< Te l’ho detto! Perché tu sai e
mi puoi essere d’aiuto per riuscire ad ottenere
l’anello. Volevo farti arrivare
qui a Isengard ma qualcosa andò storto, magie del genere
sono molto complesse e
ci vuole la massima concentrazione, io feci un piccolo errore e tu
finisti
sperduta nei campi nei pressi del Bruinen. Ma sapevo che prima o poi
sarei
riuscito ad incontrarti, perciò ho aspettato. E ora quel
momento è arrivato, tu
sei qui e mi aiuterai. >>
<< Ma perché hai scelto me?
>> chiesi riuscendo ad alzarmi in piedi tenendomi
però sempre appoggiata
al muro con una mano << Ci sono tantissime persone nel
mio mondo che
conoscono la storia di Tolkien molto meglio di me, io inoltre comincio
ad avere
dei vuoti di memoria! Non ti sono affatto utile! >>
<< Hai commesso un piccolo errore
nella tua frase, Sophia. Non sono io ad aver scelto te >>
no, certo! Era
stato Sauron sicuramente, chi altro poteva dare ordini del genere a
quello
stregone da strapazzo? Ma la domanda non cambiava.
<< Sei stata tu a invocare il mio
aiuto >>.
Ok, questo era al limite del verosimile.
Io non avevo fatto proprio un bel niente!
Lo guardai storto, facendogli capire la
mia incredulità: stava delirando!
<< Ogni notte per mesi hai tentato
di metterti in contatto con me, ogni notte, nei tuoi sogni, per mesi mi
esprimevi il tuo desiderio di salvare Boromir, supplicandomi,
invocandomi,
pregandomi e giurandomi fedeltà! >>
<< Non è vero!!! >> risposi
io d’istinto, non avevo chiesto niente a nessuno.
<< Forse l’hai fatto
involontariamente ma ti posso assicurare che i tuoi sogni mi arrivavano
ben
chiari, mi chiedevi di salvare Boromir e mi offrivi in cambio le tue
conoscenze. Il nostro accordo è nato ben prima del tuo
arrivo nella Terra di
Mezzo, ora te lo sto semplicemente rammentando, Sophia! >>
No. No. No. Era inconcepibile! Non avrei
mai fatto nulla del genere, nemmeno lo avrei immaginato, non mi sarei
mai
permessa di prendere un accordo del genere con la peggior creatura di
tutti i
mondi.
<< Non è vero >> dissi in un
sussurro, ero così confusa, così disperata,
così… vulnerabile.
<< Io ho mantenuto la mia parte di
accordo, ti sto offrendo anche di più! Ti sto offrendo il
cuore del figlio del
sovrintendente di Gondor, cuore che ancora non ti appartiene e che non
ti
apparterrà mai, perché lo sai meglio di me che
nella sua mente non c’è posto
per l’amore! Tu portami dall’anello e avrai tutto
ciò che desideri >>
<< Non potrà esserci posto per
l’amore in un mondo di disperazione e odio >>
risposi ancora, non volevo
arrendermi, non mi sarei mai ceduta così! Mai!
<< Sei testarda! Così come ti ho
portata qui ti posso riportare indietro, pensa! Tu e Boromir in una
casetta in
riva al mare, nella tua città, con due bambini che giocano
in giardino con il
cane e tu e lui che arrivati a una certa età troverete
consolazione l’uno
nell’altra sulla piccola veranda. E la vecchiaia non
rovinerà il vostro amore
come farà con la vostra pelle, vi amerete fino alla fine dei
vostri giorni,
aumentando di intensità in ogni singolo istante. Non vuoi
questo? Erano i tuoi
sogni, non è così? >>
Sì lo erano. Per anni avevo sognato di
passare una vita così beata e ora mi veniva servita su un
vassoio d’argento. Ma
potevo tradire così i miei amici?
Gandalf aveva già lanciato da un pezzo
l’ultimo avviso, ora erano passati alle maniere forti,
sentivo il portone della
torre cigolare sotto i colpi di…probabilmente un tronco
d’albero usato come
ariete. O forse era Barbalbero che sferrava calci alla porta.
<< Stanno quasi per entrare
>> feci notare a Saruman.
<< Dimmi come posso fermarli. Tu lo
sai! Mantieni la tua promessa >>
Avevo fatto una promessa, avevo preso un
accordo, in maniera involontaria ma l’avevo fatto e io avevo
sempre odiato non
mantenere le promesse. Odiavo tradire gli accordi, approfittarmene
solamente.
Anche se il peggiore di tutti, anche
quello era un accordo. Non dovevo dimenticarmene.
<< Affacciati alla finestra,
rispondi alle domande di Gandalf, sostieni il dialogo. Lasciati andare
anche
all’ira se ce ne sarà bisogno! >>
<< Molte bene >> mi disse
sorridente prima di affacciarsi dal balcone.
<< ebbene? Perché disturbate il mio
riposo? Non volete dunque accordarmi pace né di giorno
né di
notte? >> cominciò Saruman
affacciandosi alla finestra, dopo di che non sentii più
niente. Fui presa per un
braccio a sbattuta contro un muro da qualcuno che dopo riconobbi come
Grima
Vermilinguo.
<< Spie nel
castello del mio padrone >> sibilò
il serpente a pochi centimetri dal mio volto, con fare minaccioso, ma
risultò
solo patetico e disgustoso.
<< Raffredda i bollenti spiriti,
viscido, siamo colleghi da oggi. Non sono una spia. >>
<< Colleghi? >> chiese
sconvolto Grima prima di premermi ancor più contro il muro
<< Non c’è da
fidarsi del mio padrone! Promette e poi ti lascia con in mano un pugno
di
mosche, trascinandoti nel baratro insieme a lui, trascinandoti lontano
da tutti
e da tutto, rendendoti parte del suo male! Nessuno vorrà
più stare vicino a uno
come noi. Perciò ti consiglio di andartene subito, prima che
Saruman prenda
sotto le sue putride ali anche la tua anima rendendola parte di lui.
>>
<< Lo odi proprio tanto eh? Mai
pensato di ucciderlo? >>
<< Ucciderlo? Con quel suo bastone
nemmeno Sauron in persona sarebbe in grado di avvicinarsi a lui,
sì ci ho
pensato eccome, ma ormai sono bloccato in questo mondo e lo sarai anche
tu!
Vattene immediatamente! >>
Disse scaraventandomi verso la porta, ma
non scesi. Mi fermai e mi voltai verso lui << Tu non sei
malvagio
>> affermai più a me stessa che a lui. Ero
sempre abituata a vederlo come
lo sporco e strisciante servitore di Saruman, l’umile
schiavo, invece era solo
un poveraccio che non aveva altra scelta e che si era pentito degli
errori
fatti. Già una volta mi ero presa la libertà di
salire allo stesso livello di
un qualche Dio, perdonando gli errori altrui e donando loro
un’altra
possibilità, e ci ero riuscita. Potevo farlo una seconda
volta, bastava impedire
a Legolas di scoccare la freccia che lo avrebbe ucciso. Ma non ebbi
modo di
realizzare quel piano né di scambiare altre parole con Grima
in quanto Gandalf
fece esplodere proprio in quel momento il bastone di Saruman rendendolo
completamente indifeso e privo di poteri. La rabbia di Saruman fu
immensa e si
scaraventò contro di me, invano tentai di scappare scendendo
le scale per
raggiungere la porta, il castello era il suo mondo e anche se privo di
poteri
obbediva sempre al suo padrone rendendomi difficoltosa la fuga. Saruman
mi
prese per i capelli e mi trascinò fino al centro della sala.
Sguainai la spada
pronta a combattere o in caso a tagliarmi i capelli pur di riuscire a
scappare,
ma ancora una volta Saruman anticipò le mie mosse lanciando
via l’arma con un
calcio. E fu lì che persi completamente la testa. Non capivo
niente, non
sentivo niente se non dolori che si accumulavano su altri dolori
intorno a
fianchi, braccia, gambe, testa, schiena e ventre. Ovunque.
Sentivo ferite che si aprivano e ferite
che si riaprivano per la seconda, o terza o quarta volta. Sentivo
l’urlo della
mia voce uscire fuori dalla mia gola sempre più forte,
sempre più smorzato a
ogni colpo. E sentivo la voce di Saruman gridarmi <<
Traditrice! Mi hai
ingannata! >> e altre sentenze simili. Aveva capito il
mio doppio gioco:
avevo finto di accettare la sua proposta per renderlo debole, per
portare
avanti la storia così com’era scritta per
sottoscrivere la sua sconfitta. Ero rimasta
fedele alla promessa fatta alla compagnia, avevo smentito la mia prima
decisione fatta a Galadriel. Allora avrei anche ceduto
l’anello all’elfa pur di
avere Boromir con me, ma dal momento che mi ero trovata tutto davanti,
dal
momento che quel bivio si era concretizzato di fronte a me, avevo
deciso di
seguire la testa e non il cuore.
Ma forse avevo commesso un altro errore,
forse avrei fatto meglio ad agire diversamente, perché non
sarei sopravvissuta
a quell’attacco, lo sentivo, e non avrei avuto più
modo di vedere il sorriso
sbarazzino di Pipino, non avrei più avuto modo di giocare
all’investigatopo con
Legolas, non avrei avuto più modo di ridere del senso di
onnipotenza di Gimli,
non avrei più avuto modo di sentirmi protetta e difesa dagli
sguardi di
Aragorn, non avrei avuto più modo di parlare piacevolmente
con Merry come avevo
fatto tante volte quei giorni, non avrei avuto più modo di
vedere quel
mattacchione di Sam e quell’angioletto di Frodo, non avrei
avuto modo di vedere
con i miei occhi la vittoria degli uomini su questa guerra ma
soprattutto non
avrei avuto più modo di vedere Boromir nella sua
integrità, nella sua dolcezza
e nella sua fierezza. Non l’avrei rivisto mai più.
E solo allora capii che quella che avevo
intrapreso con il destino era una partita che avevo già
perso in partenza.
Mi sentii afferrare per i capelli, la
vista era annebbiata, il mio corpo immobile, mi era incapace muoverlo,
e
sentivo un forte gusto ferruginoso sul palato.
<< Gandalf! Hai dimenticato
qualcosa qui >> disse e mi sollevò da terra
tenendomi sempre per i
capelli. Mi sentii sollevare completamente da terra, il mio nome
ripetuto più
volte da voci che non riuscivo a riconoscere in quanto mi arrivavano
all’udito
distorte e robotiche.
Il cielo sopra di me si oscurò ancor di
più e sentii l’aria accarezzarmi il viso tagliente
come un coltello, il vuoto
sotto di me, la torre sopra di me che si innalzava sempre
più, macchia scura
dei miei pensieri.
Poi il nulla.
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Capitolo 9 *** Why is the rum gone? ***
Strani giochi
fece la mia mente. Era come
fluttuare e vedere il mondo dall’alto, ma non era un mondo
qualunque. Era la
Terra di Mezzo. Ero sospesa sopra il gioiello più bello che
avessi mai visto,
sopra campi, colline, città. Risa e gioia invadevano le
strade.
Poi l’oscurità pervasa dalle fiamme
dell’inferno.
Orchi, Troll e Mannari.
Morte, distruzione.
E l’anello. L’unico in grado di
distruggere quell’abominio, l’unico in grado di
farlo persistere nei secoli,
fino alla fine dei tempi. Una bandiera bianca sventolava sopra a delle
rovine,
con sopra il marchio di un albero, l’albero di Minas Tirith,
la bandiera di
Minas Tirith mostrava gioiosa e orgogliosa il suo albero su Osgiliath.
E un
uomo gridava al suo popolo la potenza di cui tutti avevano bisogno, di
cui
tutti ne stavano venendo a meno. Boromir.
L’uomo migliore che abbia mai potuto
incontrare. Vidi suo fratello Faramir, disprezzato da suo padre
benché lo
stesso Boromir cercasse di mettere pace a questa guerra a senso unico.
Ma lui,
Denethor, caparbio, contaminato dalle tenebre, che poteva fare se non
seguire
gli ordini del signore oscuro? Se non rimanere succube della sua
contaminazione?
Il Palantir, lui stesso ne possedeva uno
ed era proprio questo Palantir a renderlo completamente succube
dell’oblio. Il
Palantir gli aveva ordinato di impossessarsi dell’anello, e
lui aveva passato
quest’ordine a Boromir mandandolo alla morte. Il Palantir
aveva ucciso Boromir,
il Palantir aveva ucciso me, e presto il Palantir avrebbe ucciso anche
Faramir
e Denethor.
Ma i miei sogni mi mostrarono altro.
Boromir non era morto! Il destino era stato battuto, era stata
costruita una
nuova via per l’uomo di Gondor, una via che conduceva alla
vita, una via…che
avrebbe cambiato il corso delle cose. Denethor non sarebbe impazzito al
ritorno
di Faramir da Osgiliath, avrebbe ucciso solo lui credendolo morto e
volendosi
liberare al più presto della sua carcassa ma lui
no…lui sarebbe rimasto in
vita, abbracciato al suo Palantir e avrebbe ancora fatto vittime. Non
avrebbe
ceduto il trono a Aragorn, gli avrebbe dichiarato guerra e
benché alcuni
soldati riconoscevano nel figlio di Arathorn il vero Re, altri
avrebbero
seguito il sovraintendente, tra cui Boromir. I due si sarebbero trovati
faccia
a faccia in uno scontro senza esclusioni di colpi, ed
entrambi…avrebbero perso
la vita.
Tutto per colpa del Palantir.
Tenebre e distruzione aspettavano Gondor,
aspettavano la Terra di Mezzo. E Frodo non avendo più
l’aiuto da parte di Minas
Tirith, il quale non sarebbe sceso in guerra, non avrebbe attirato su
di sé
l’attenzione dell’occhio, sarebbe stato scoperto,
catturato e anche lui avrebbe
fallito la sua missione.
Tutto per colpa…mia.
Ma perché? Non volevo altro che poter
godere di quel sorriso e di quegli occhi anche in vecchiaia. Non
desideravo
altro che farmi stringere da quelle braccia, accarezzare da quelle
mani,
baciare da quelle labbra. Desideravo solo la sua attenzione, la sua
comprensione, il suo amore. Perché l’amore avrebbe
dovuto portare alla
distruzione? Perché l’amore non avrebbe trionfato
ancora? Perché nella mia
miserabile vita non sono mai riuscita ad ottenere ciò per
cui andavo avanti?
Cominciai a pentirmi di non aver
accettato la proposta di Saruman, sarei potuta tornare a casa
privandomi di
quel dolore, privandomi della sconfitta di una terra distrutta per mano
mia, e
godendo solo dell’amore di colui per cui tanto avevo
aspirato.
Ma…sarebbe stato giusto? Avrei avuto la
coscienza a posto?
No, non avevo agito di cuore, avevo agito
di cervello, come invece non aveva fatto Boromir nel momento in cui
aveva
tentato di strappare l’anello a Frodo. Mi ero dimostrata
più forte. Mi ero
dimostrata disposta a soffrire. Il suo nome echeggiò nella
mia testa come un
sospiro lontano, portato via dal vento fresco di primavera. Il suo
volto
sorridente comparve sovrastando quel caos, e tentai disperatamente di
raggiungerlo. Ma era solo un ombra lontana e io…un fantasma
oramai.
<< Ti amo >>.
Incredibile.
Ero viva! Non ero morta, eppure ero
convinta di essere precipitata da un’altezza spropositata,
ero piena di ferite,
…come avevo fatto a sopravvivere? Mi misi seduta sul letto
improvvisato che
avevo sotto di me: un sacco a pelo, ammucchiato ad altri sacchi a pelo,
stesi
per terra in una stanza che non riconoscevo.
Ero viva ed ero sempre nella Terra di
Mezzo.
Ma questo voleva dire che….
Mi alzai di colpo, sentendo le ossa
cigolare un po’ e notando che avevo bende su un braccio,
intorno al petto e su
una gamba. Mi portai una mano alla testa che pulsava e anche
lì trovai una
benda. Ero sopravvissuta, ma ero conciata veramente male. Ma che
importava? Ero
viva! E lui…l’avevo visto ne ero certa! Uscii
dall’unica porta che c’era nella
stanza e sentii una musica e tanto baccano provenire da una stanza
posta poco
lontano. Scesi le scale di corsa rischiando anche di inciampare,
superai un
paio di sale vuote e buie fino ad arrivare nel grande salone dove si
festeggiava con canti, birra e urla. Entrai guardandomi attorno, sapevo
perfettamente cosa cercavo. Mi scontrai con un paio di persone a cui
chiesi uno
scusa molto distratto e disinteressato.
“dove sei?” pensavo mentre cercavo tra i
volti che mi si piazzavano davanti quello dell’unica persona
che desideravo
vedere.
Ma era tutto inutile. Avevo cercato in
ogni angolo, avevo visto Legolas e Gimli impegnati nella gara di
bevute,
Aragorn in disparte che parlava con Gandalf e Merry e Pipino che
ballavano e
bevevano su un tavolo. Ma Boromir non c’era. Che fosse stata
tutta
un’illusione? Che fosse stato un incantesimo di Saruman? Me
lo aveva mostrato,
ingannando i miei occhi. Cominciavo a crederlo davvero. Il cuore mi
morì
nuovamente in petto e indietreggiai di qualche passo tenendo lo sguardo
a
terra, non poteva essere! Mi era stato di nuovo dato il contentino, ma
niente
di concreto. Solo illusioni che aumentavano la disperazione dentro me.
Mi
portai una mano al petto, stringendo gli abiti tra le dita, come se
stessi
stringendo il mio cuore per consolarlo, e persi tutta la voglia di far
parte
della festa. Solitamente non me ne perdevo una, amavo far baccano,
bere, ballare
e cantare fino a che non mi ritrovavo stesa sul tavolo senza
più nemmeno capire
chi ero. Ma non quella sera. Avevo sempre sognato prendere parte a
quella
festa, dopo la vittoria del Fosso di Helm, magari gareggiando con Gimli
e
Legolas, o ballando insieme ai due hobbit. Ma non quella sera. Vivevo
immersa
in illusioni. Almeno adesso ero sicura che la storia sarebbe andata
avanti per
la sua strada, non dovevo più preoccuparmene. Ma avrei
preferito scontrarmi
contro altri mille ostacoli di
fianco a
lui, che trovarmi una strada spianata davanti
da percorrere completamente sola.
Indietreggiai ancora tanto da andarmi a
scontrare contro qualcuno << Ehi, tutto bene?
>> mi chiese una
voce, proveniva dalla persona contro cui ero andata addosso
<> dissi distrattamente non guardando nemmeno la
persona in
volto, ero un fantasma, fantasma sarei rimasta per
l’eternità.
Ma…quella voce. Mi bloccai
improvvisamente, ricordando. Quella voce.
Mi voltai alzando lo sguardo pian piano
sulla figura imponente e fiera che avevo di fronte, mai visto niente di
più
nobile anche nel portamento. Finalmente..incrociai i suoi occhi. Blu
come il
cielo d’estate, belli come non mai e profondi come
l’acqua dell’oceano. Aveva
il sorriso stampato in faccia, quel sorriso che gli illuminava il
volto. Mi
portai entrambe le mani alle labbra in un gesto istintivo, tremavo
completamente, mi sembrava tutto un sogno, un meraviglioso sogno.
Neanche mi
resi conto che avevo cominciato a piangere. << Sophia,
stai bene? >>
mi chiese incupendosi e preoccupandosi, non so se della mia reazione o
delle
mie condizioni fisiche dato che Tutankhamon mi avrebbe invidiato e
dichiarato
guerra per tutte le bende che avevo addosso. Annuii impercettibilmente
e
mandano al diavolo buone maniere, belle figure e quant’altro
gli saltai
letteralmente al collo. Lo strinsi come mai avevo fatto con qualcuno
lasciandomi abbandonare alle lacrime. Strinsi i suoi abiti tra le dita
e
assaporai il suo profumo acre di polvere, sudore e sangue.
<< Adesso sì
>> risposi sentendomi il cuore scoppiare in petto per la
gioia. Lo
sentivo un po’ titubante, non aveva risposto al mio abbraccio
ma non mi aveva
neanche respinta, mi aveva semplicemente accarezzato la testa.
Probabilmente
era imbarazzato per quella mia reazione così impulsiva e non
sapeva come
comportarsi. “ Grazie, grazie” continuavo a
ripetermi mentalmente sicura che
quel Dio o quello spiritello che mi aveva aiutata mi avrebbe sentita.
Non avevo
mai ricevuto un regalo più bello di quello. Mi allontanai un
po’ da lui,
sforzandomi di contenere la mia gioia, ma le mie attenzioni nei suoi
confronti
non erano cambiate affatto, anzi erano addirittura aumentate eliminando
completamente la vergogna e l’imbarazzo che provavo nel
stargli troppo vicino.
Lo guardai dritto in volto che presi con entrambe le mani e che
accarezzai
ripetutamente scostandogli i capelli, come se non credessi che lui era
veramente lì, come se avessi bisogno di toccarlo, di
rendermi veramente conto
che era vivo e di fronte a me.
<< Allora sei riuscito a salvarti!
Grazie al cielo, temevo che tu fossi… >>
<< Morto? >> disse lui per
me, anticipando le mie parole << C’ero quasi a
dir il vero, ma Aragorn è
arrivato in tempo e ha usato le tue foglie di Athelas per curarmi
>>
La cosa incredibile era che si era
lasciato curare, non aveva disperato, non aveva ammesso di aver perso
le
speranze, aveva voluto continuare a vivere.
Che Saruman non avesse poi tutti i torti?
Troppe cose coincidevano, troppe verità aveva detto e adesso
temevo più che mai
della sua sincerità in quanto, se così fosse
stato, Boromir veramente non
avrebbe mai provato niente per me se non gratitudine.
<< Grazie a dio >> mi sfuggì
dalle labbra appoggiando di nuovo la testa sulla sua spalla, ero
finalmente
rinata. Dopo un breve
periodo, che a me
era parso immenso, di morte apparente, di corpo senz’anima,
di vuoto assoluto,
finalmente ero tornata a vivere. Vederlo in piedi, in tutta la sua
fierezza,
davanti a me mi donava di vita nuova: era il mio ossigeno.
<< Sophia, perché sei entrata?
>> mi chiese improvvisamente Boromir con una
serietà mai udita prima da
lui, così imponente nella voce che mi sentii una bambina che
aveva appena
combinato un guaio e veniva sgridata dal padre. Alzai gli occhi
terrorizzata,
mai mi sarei aspettata una cosa del genere, così a freddo.
Non riuscii a
rispondere immediatamente, ero rimasta paralizzata, cosa inventare?
Cosa
raccontargli?
Boromir mi prese le spalle stringendo con
severità, scuotendomi appena e guardandomi con uno sguardo
di ghiaccio che dimostrava
tutta la sua furia << Hai rischiato di morire! Se
Barbalbero non ti
avesse preso al volo durante la tua caduta a quest’ora non
saresti qui! E le
tue ferite erano gravi, è grazie ad Aragorn se sei riuscita
a sopravvivere, hai
rischiato la tua vita per cosa, si può sapere?
>>.
La paura scomparve in me a quelle parole,
sarei dovuta uscirne traumatizzata, mi stava quasi urlando contro,
invece la
sensazione che provocò in me fu decisamente piacevole. Si
era preoccupato.
Allora una speranza c’era ancora, allora provava affetto nei
miei confronti. Il
cuore mi si scaldò e mi intenerii, ammorbidendomi,
lasciandomi trattare quasi
con violenza perché sentivo che non c’era nulla di
cattivo in quel gesto, ma
tutto il contrario.
<< C’erano delle cose di cui dovevo
parlare con lui. E fidati è stato meglio così
>>. Adesso sapevo tutto ciò
che dovevo sapere, sapevo perché ero lì, come ci
ero giunta, sapevo tutto: non
c’erano più punti interrogativi nella mia mente e
sapevo anche quale sarebbe
stato il mio scopo di lì al momento in cui Frodo avrebbe
buttato l’anello.
Dovevo garantire il giusto proseguimento della storia, dovevo far
sì che il
sogno avuto quella notte mentre ero svenuta non si avverasse, dovevo
trovare il
modo per riportare le cose al loro posto.
<< Non è la risposta di cui avevo
bisogno. E’ pericoloso avere segreti in questo periodo, devi
dirmi cosa è
successo in quella torre! >>. Ancora una volta mi aveva
spiazzata, sapevo
che avere segreti avrebbe potuto causare dubbi nella mente degli altri,
ma non mi
ero mai preoccupata. Anche Gandalf era misterioso, perché io
non potevo tenere
per me i miei segreti? Non era il momento di rivelargli niente, era
ancora
troppo presto, dovevo svolgere i miei compiti, dovevo aiutare la Terra
di Mezzo
in quel periodo così buio, dovevo evitare che un piccolo
particolare cambiato,
quale la morte di Boromir, causasse la fine di Gondor e tutte le altre
terre.
<< Capirai tutto a tempo debito,
ora non posso… >> la mia frase fu interrotta
da un urlo gioioso
proveniente dalla mia sinistra. Mi voltai appena in tempo per vedere
Pipino
corrermi incontro con il suo boccale di birra ben stretto in mano e
saltarmi
praticamente addosso per abbracciarmi. Il suo abbraccio stritolatore mi
fece
male, ero ancora molto debole, ma dovevo un favore a quel piccolo
hobbit: aveva
interrotto una discussione poco piacevole e da cui non sarei uscita
tanto
facilmente.
<< Ti sei svegliata! Stai bene! Che
bello, ho avuto tanta paura! Sei stata un’incosciente, non
dovevi entrare nella
torre! >> Abbracciai forte l’hobbit
<< Sì, devo ammettere non è
stata una bella esperienza >> ridacchiai non specificando
altro, non
volevo cominciare a discutere anche con lui per la stessa cosa.
<< Sophia!! >> gridò Merry da
sopra il tavolo alzando il suo boccale in segno di saluto. Gli corsi
incontro:
basta preoccupazioni! Mi trovavo a una festa e io avevo tanto da
festeggiare!
Presi un boccale di birra sotto gli occhi
stupiti degli uomini, chissà se avevano mai visto una donna
in atteggiamenti
tanto poco…consoni al loro modo di fare! Le donne erano
fiori delicati, dolci e
profumati, le donne erano le protettrici della casa, coloro che
crescevano i
figli, non si dedicavano certo ad attività mascoline come
quelle di bere birra,
fare baccano o andare in guerra. Ero un po’ particolare ai
loro occhi, sì ,
dovevo riconoscerlo.
<< Allora >> dissi
preparandomi a ingegnare qualcosa per divertirmi come sapevo fare
<<
Scusa, fammi un posticino >> dissi a un tipo seduto sulla
panca
spingendolo un po’ e mettendomi a sedere.
<< Merry, Pipino, qui! Sedetevi
tutti intorno al tavolo, birra per tutti e preparatevi a scervellarvi.
Dalle
mie parti si usa in feste come queste allietare il clima con qualche
gioco di
gruppo >> dissi facendo un occhiolino <<
Chi perde beve! >>
Annunciai prima di spiegare le regole, non ero mai stata brava a farmi
venire
idee brillanti, soprattutto in mezzo a gente che non conoscevo, ma mi
resi
conto che era come trovarsi in mezzo a tanti bambini con tanta voglia
di
giocare.
<< Avanti-Indietro-Di qua-Di là-Di
su -Di giù -Di qua-Di là. >>
canticchiai facendo i movimenti con il corpo
a ogni parola, muovendomi avanti, indietro, a destra, sinistra
alzandomi in
piedi o rimettendomi a sedere.
<< Tutti insieme, il primo che
sbaglia beve il suo boccale per intero, tutto d’un fiato.
>> Non
li vedevo molto convinti, ma per fortuna
avevo i miei due hobbit che mi seguirono senza esitare e già
ridendo. In pochi
minuti tutti presero a muoversi senza senso, canticchiando vivacemente:
sembravamo tanti polli. Alcuni urlavano talmente forte che attirarono
l’attenzione anche di altri che si unirono, e ben presto
divenimmo un bel
gruppo sostanzioso, tutti a cantare e muoversi senza senso. Inutile
dire che a
bere furono in molti, io compresa dopo un po’ cominciavo a
sbagliare, e come tutti
gli altri più bevevo più sbagliavo.
<< Sophia, forse dovresti darti una
controllata >> mi consigliò Boromir vedendo
che cominciavo a barcollare
un po’, la birra di Rohan era decisamente diversa da quella
del mio mondo, era
molto più forte, più buona, e mi erano bastati
due boccali per cominciare a
vederci doppio e a ridere per ogni cosa. Ma ero ostinata, mi stavo
divertendo,
perfino Gimli e Legolas, appena usciti dalla loro gara di bevute, si
erano
aggiunti.
<< Zitto e bevi! >> gli
ordinai dandogli un boccale preso da chissà chi.
<< Non preoccuparti per
me, Macho man, sono abituata anche a peggio! >> mi era
già capitato altre
volte di prendere la sbornia per colpa di super alcolici o di miscugli,
ragazzate, niente di più, ma anche quella sera la
consideravo la mia
“ragazzata”.
<< Sophia hai sbagliato!! >>
mi urlò Merry ridendo come un pazzo: per rispondere a
Boromir avevo perso il
ritmo, maledizione!
<< Accidenti di nuovo!! >> mi
lamentai prima di portarmi il boccale alle labbra e bere tutto sotto
incitazione
dei presenti che battevano pugni sul tavolo e urlando cori peggio che
allo
stadio. Finii il boccale e pulendomi la bocca dalla schiuma che non era
entrata
e mostrai il boccale vuoto al pubblico. Boromir non sapeva se sorridere
o
disperarsi, ma nel dubbio si fece da parte a vedere la scenetta bevendo
dal
boccale che gli avevo dato con occhi visibilmente divertiti.
Dopo qualche ora si cominciavano a vedere
i primi effetti devastanti dell’alcool: gente stesa per terra
che mugolava e si
lamentava, gente che, barcollando e lasciando la radiografia della
propria
faccia su ogni colonnina, cercava di andare a letto, gente collassata
sul
tavolo che ronfava alla grande, altri invece deliravano mostrando il
perché
fosse necessario riaprire i manicomi.
E io ovviamente ero nell’ultimo gruppo.
Ero stesa completamente sul tavolo
canticchiando vivacemente << They’re taking the
hobbits to Isengard!
>> e accompagnando il tutto con un
“Papparappapappaparà” completamente
fuori tono ma che nella mia testa ci si addiceva divinamente.
Aragorn mi venne accanto preoccupato e mi
prese per i polsi cominciando a tirarmi via << Andiamo a
letto, Sophia
>>.
<< A letto insieme a te! Ma come
siamo diretti, non ci conosciamo nemmeno troppo bene! >>
scoppiai a
ridere << E va bene, basta tu abbia il guanto, non voglio
avere problemi
smocciosi e urlatori come le scimmie >>. Aragorn mi
guardò malissimo,
forse non capendo cosa stavo dicendo o forse capendo fin troppo.
Risposi al suo
sguardo severo prima di gridare con convinzione << Why is
the Rum gone?!
>>.
<< Hai decisamente superato il
limite stasera. Vieni, andiamo a dormire >> disse
provando a trascinarmi
via ma io prontamente mi aggrappai al tavolo e cominciai a scalciare e
gridare
<< Aramis!! Non ho rubato io la figurina di Hermione! Mi
fa cagare Harry
Potter come a Samgay fa cagare la patata! >>
<< Sta delirando >> disse un
po’ sconvolto Boromir avvicinandosi ad Aragorn
<< Decisamente, aiutami a
staccarla dal tavolo >>.
Boromir mi venne davanti e mi prese le
mani per staccare la mia presa al bordo del tavolo e fu allora che
diedi un
calcio ad Aragorn e mi lanciai su Boromir << Mi porti tu
a letto, pucci
pucci frù frù? >> e cominciai a
fare le fusa e miagolare.
<< Sì >> disse parecchio
titubante prima di prendermi in braccio << Speriamo si
addormenti
all’istante >> disse ad Aragorn cominciando ad
avviarsi verso la porta
per uscire.
<< No!! Non voglio dormire! Papà è
cattivo, vuole mettermi a dormire con la forza! Show must go on!!
>>
dissi cominciando a scalciare contro Aragorn che era a pochi metri da
me.
<< Ferma! Mi cad..>> ecco appunto. Caddi
per terra facendomi anche
un gran male.
<< Ahi!! >> gridai e Boromir
si piegò su di me chiedendomi scusa in tutti i modi
possibili. Alzai lo sguardo
verso di lui e mi allontanai gattoni guardandolo stralunata
<< Io…vedo la
gente morta! >>.
Nessuno dei due uomini mi rispose, solo
Pipino rispose con una sonora risata, tanto forte che lo fece cadere
dalla
panca su cui era steso.
<< El porrito! >> gli urlai
contro scoppiando a ridere << Ultraman, Godo
l’Highlander, Samgay
l’amante di carote >> mi stesi per terra a
occhi chiusi continuando a
ripetere nomi e nomiglioni dello Svarione degli anelli, la miglior
parodia di
tutti i tempi << Sherwood con il Cantagallo, protettore della
più grande coltivazione di
canapa del mondo, Condom che gira nudo, Ganjalf l’allievo di
Goku >>.
<< Che dici la lasciamo qua?
>> Propose Boromir allontanandosi di qualche passo
<< Leyla che
crede di stare in Star Wars >> pronunciai ancora
scoppiando a ridere
ricordandomi di quella deficiente con la spada laser. Che poi sapevo io
qual’era la spada laser che voleva! Quella di Aragorn aveva
un certo fascino ai
suoi occhi.
Porcellina.
<< La lasceresti davvero qui tutta
la notte? >> gli chiese Aragorn con un tono che non seppi
interpretare:
non ero nelle condizioni adatte. << No,pirla! Cosa mi
lasci qui sul
freddo e duro pavimento! Andiamo a letto, mi devi cantare la ninnananna
dei
Teletubbies >> dissi cercando di alzarmi in piedi e
riuscendo ad
aggrapparmi ad Aragorn prima di crollare a terra, mi girava tutto, mai
provata
una sensazione simile.
<< La ninnananna di chi? >> e
senza dargli una risposta cominciai a canticchiare <<
TrincaWisky,
Strizzi, Nasa, Pus!! Turbotubbies, turbotubbies! FAN-NO…
>> mi voltai
verso Boromir e salutai con la manina concludendo la canzone
<< Ciao!!
>>.
Aragorn riuscì a farmi camminare verso la
stanza da letto e Boromir ci venne dietro tenendo in spalla i due
hobbit che
erano collassati completamente. Io non ero ancora arrivata a quel
livello e
continuavo a canticchiare, soprattutto le canzoni dei GemBoy.
Ma ormai avevo gli occhi chiusi, se
Aragorn non mi avesse tenuto in piedi sarei crollata veramente sul
pavimento e
mi sarei addormentata lì, in mezzo al corridoio, magari con
la testa penzoloni
sulle scale. Incrociammo uno dei soldati ancora sobri, in rientro dalla
guardia
notturna, e cominciai a respirare alla Darth Vader prima di dire con
serietà
<< Luke, io sono tuo padre! >>. Il tipo mi
guardò non capendo
assolutamente niente, fu Aragorn a scusarsi per me e a trascinarmi via
mentre
ancora gridavo e mi dimenavo verso il tipo << Passa al
lato oscuro della
forza!! Abbiamo i biscottini!! >>.
Aragorn mi lanciò letteralmente sul mio
sacco a pelo (o forse fui io lanciarmi da sola, o a caderci sopra) e
cominciai
a mugolare << Dov’è il mio
orsacchiotto Boromir? Non riesco a dormire
senza pucci pucci! Voglio il mio orsetto di Peluche >>
<< Orsetto Boromir? >> chiese
sconvolto Aragorn prima di voltarsi verso l’altro uomo che
aveva aperto la
porta con un piede per entrare nella stanza e posare i due hobbit nel
loro
letto improvvisato.
<< Farò in modo di fartelo avere
>> ridacchiò in un sussurro ma le sue parole
non raggiunsero mai le mie
orecchie in quanto ero già crollata nel mondo dei sogni,
continuando a mugolare
qualche volta nel sonno << They’re taking the
hobbits to Isengard
>>.
Mi
svegliai poco dopo, con un gran mal di
testa e senza ricordarmi assolutamente niente di ciò che era
successo la sera
prima. Ricordavo di essermi messa a bere insieme agli hobbit, di aver
cominciato a fare un giochino idiota con gli altri nella sala e
poi…eccomi nel
letto. Come ci ero arrivata? Possibile che…mi fossi
ubriacata?
Oh mamma!
L’eventualità mi spaventava a morte,
chissà cosa avevo detto! E se avessi rivelato qualcosa di
me? E se avessi detto
qualcosa che non dovevo dire? Maledizione, non avrei dovuto esagerare
in quella
maniera. Mi guardai attorno, era notte fonda, tutti dormivano alla
grande gli
unici a mancare erano Legolas e Aragorn che sicuramente erano fuori a
parlare
tra loro al chiaro di luna. Merry e Pipino dormivano sul lato opposto
della
stanza, poco lontano da Gandalf messo comodamente su un letto, uno dei
pochi
presenti. Mentre Boromir era steso su un sacco a pelo, vicino al mio.
Anche col
mal di testa e con la confusione mentale che avevo non riuscivo a staccargli gli occhi di
dosso e pensare
sempre che fosse veramente meraviglioso. Lo vidi muoversi nel sonno e
mi
affrettai a richiudere gli occhi, facendo finta di dormire, per non
dargli modo
di pensare che lo stessi fissando. Lo sentii sospirare e poi di nuovo
rimanere
in silenzio, col respiro regolare e profondo del sonno. Riaprii gli
occhi,
rimanendo stesa su di un fianco, e rimasi a guardarlo mentre dormiva
per tanto
tempo. Era uno spettacolo unico. E se avessi provato a baciarlo mentre
dormiva
stile bella addormentata nel bosco? Avrei potuto realizzare il mio
desiderio
senza troppe complicazioni, ma no, avrei potuto svegliarlo e sarebbe
stata la
situazione più imbarazzante degli ultimi 22 anni.
Gli occhi si fecero pesanti, il
martellante mal di testa non aveva intenzione di passare,
così decisi di
richiudere gli occhi, magari il sonno avrebbe alleviato i dolori e
magari nei
miei sogni sarei riuscita a compiere quel gesto che tanto mi intimoriva.
Stavo per riaddormentarmi quando un
rumore di passi mi destò. Rimasi ad ascoltare
finchè non mi ricordai di Pipino
che avrebbe guardato dentro il palantir: era giusto lo facesse anche se
era una
situazione pericolosa. Così rimasi immobile a sentire solo
la voce di Merry che
cercava di capire che avesse intenzione di fare l’amico e
quest’altro che gli
rispondeva che era solo curioso. Poi qualcosa mi preoccupò.
Il respiro pesante
di Boromir era cessato facendosi più fine, e lo sentii
muoversi un po’ troppo.
Aprii gli occhi di scatto vedendo l’uomo che si stava alzando
dal suo letto per
poter andare dal piccolo hobbit. Lo afferrai per il colletto della
maglia e lo
trascinai giù, facendolo stendere nuovamente, anche se in
maniera alquanto
brusca.
<< Ehi! >> brontolò lui
afferrandomi
la mano per staccarla dal suo collo << Stai fermo.
>> ordinai
seria, come mai ero stata prima d’ora. Gli avevo salvato la
vita, era in debito
con me, e il modo più adatto per farlo era di non complicare
la situazione
facendo gesti sconsiderati: doveva lasciare che Pipino guardasse, non
doveva
mettere mani nella storia.
<< Ma…Pipino si è…
>>
cominciò ma io lo interruppi con un secco <<
So cosa sta facendo Pipino!
E tu non ti muoverai da qui, lascialo fare! Non mettere il naso dove
non
dovresti >> Boromir mi guardò torvo, forse ero
stata troppo dura, o forse
si stava chiedendo chi fosse quella donna che aveva davanti, non era la
solita
Sophia.
In quel momento Pipino toccò il palantir,
accasciandosi a terra, percosso da dolori atroci e Merry
cominciò ad urlare
chiedendo aiuto. Boromir si alzò di colpo, così
come Gandalf, e Aragorn e
Legolas entrarono facendo irruzione nella stanza. Aragorn
tentò di togliere il
palantir dalle mani di Pipino ma svenne non appena lo toccò
lasciandolo
rotolare per terra, a quel punto intervenni io che gli lanciai addosso
il mio
mantello, posto sopra il mio letto improvvisato.
Gandalf andò da Pipino urlandogli contro
<< idiota di un Tuc! >> ma il suo tono
cambiò completamente quando
vide Pipino immobile con gli occhi sbarrati. Gli si avvicinò
accarezzandogli la
fronte dolcemente per risvegliarlo da quella specie di coma
<< Guardami
>> gli ordinò.
Pipino si destò, si guardò attorno
confuso e spaventato poi posò lo sguardo su Gandalf e
cominciò a piagnucolare
<< Gandalf, perdonami. >> e
voltò la testa richiudendo gli occhi.
Lo stregone lo scosse di nuovo << Guardami! Cosa hai
visto? >>
<< Un albero. C'era un albero
bianco in un cortile di pietra. Era morto. La città era in
fiamme. >>
continuò a piagnucolare, la visione l’aveva scosso
terribilmente e sapevo che
il Palantir aveva lui provocato dolore.
<< Minas Tirith... È questo che hai
visto? >> chiese conferma Gandalf << Ho
visto... Ho visto lui.
Sentivo la sua voce nella mia testa. >>
bisbigliò l’hobbit tremando
ancora al solo ricordo.
<< E cosa gli hai detto? Parla!
>> la preoccupazione di Gandalf era alle stelle, non
l’avevo mai visto in
quello stato << Mi ha chiesto il mio nome. Non ho
risposto. Mi ha fatto
male. >> mugolò.
<< Cosa gli hai detto di Frodo e
dell'Anello? >>.
<< Niente >> rispose
immediatamente Pipino << Assolutamente niente, te lo
giuro >>.
Gandalf si tranquillizzò, gli fece
un’altra carezza prima di sussurrare << Riposa
adesso >>.
Pipino e Merry si rimisero a letto a
riposare, così come tutti gli altri tranne Aragorn e Gandalf
che si erano
fermati a parlare delle visioni dell’hobbit.
Io mi stesi nuovamente sul sacco a pelo,
ero la più tranquilla di tutti, beh quasi. Boromir si
ristese accanto a me
senza degnarmi nemmeno di uno sguardo, e lo vidi nero dalla rabbia in
volto. Mi
sollevai appena prima di chiamarlo con un flebile <<
Boromir >>,
sapevo che la sua rabbia era nata dalle mie azioni: gli avevo impedito
di
aiutare Pipino. Ma lui non mi diede nemmeno tempo di pensare a niente
che si
era voltato verso di me, digrignando i denti e
guardandomi con uno sguardo di fuoco <<
Quali sono gli accordi tra
te e Saruman? Ucciderci uno per uno? Condurre Sauron
all’anello? Condurci tutti
alla distruzione? E cosa ti ha promesso in cambio? Denaro? Potere?
Sapevo che
non dovevo fidarmi di te, sapevo che nascondevi qualcosa, sei stata tu
a farmi
quella maledizione! Lo so, non negare! Tu mi hai condotto alla follia
quando
tentai di prendere l’anello a Frodo. >>
<< No, Boromir, mi hai fraintesa!
>> ma ancora una volta non potei dare ulteriori
spiegazioni che la voce
dell’uomo sovrastò la mia <<
Smettila di mentire! Non mi lascerò
imbambolare un’altra volta da te, hai fatto male i tuoi
calcoli, strega!
>>
<< E’ stato solo un bene che Pipino
abbia guardato dentro il Palantir! Adesso sappiamo quali sono i
progetti di
Sauron, possiamo batterlo sul tempo >>
<< E tu come fai a sapere che
quelli erano i piani di Sauron? >> mi chiese con tono di
sfida, certo lo
aveva capito anche lui ma il mio tono così deciso gli aveva
fatto capire che la
mia non era una supposizione ma era qualcosa che sapevo con certezza.
Che diamine! Dovevo imparare a tenere la
bocca chiusa!
Ma alla sua domanda non riuscii a trovare
una risposta.
<< Ecco, appunto. >> e si
stese per riaddormentarsi << Ti consiglio di andartene
questa notte, o
domani non potrai avere più
un’opportunità per farlo >>
Che voleva fare? Arrestarmi? Beh, sapevo
che Theoden avrebbe sicuramente creduto al comandante di Gondor se egli
gli
avesse mai detto che tra loro si nascondeva un traditore, e la galera
non era
poi così utopica come situazione.
<< Non capisci! Ti ho dovuto
impedire di aiutarlo perché era necessario che lui vedesse!
Pensa se invece non
l’avesse mai fatto? A quest’ora staremo ancora
brancolando nel buio in
un’ipotetica situazione, senza riuscire a vedere bene quale
via avremmo dovuto
prendere. Desideri salvare Minas Tirith? La tua città! Tuo
padre e tuo
fratello! A loro non pensi? >>
<< Mi chiedo solo come tu sapessi
tutto ciò! >>
<< Non… >> feci una breve
pausa, mordendomi il labbro, diavolo che situazione pessima!
<< Non posso
dirtelo. Non ancora. >>
<< Perfetto allora le tue parole
sono come vento: passano e se ne vanno immediatamente, senza nessun
importanza.
E tu continui a essere per me una traditrice, una servitrice di
Saruman.
>>
<< Io ho sempre voluto il vostro
bene! >>
<< Anch’io ho voluto il bene della
mia gente, eppure sono stato corrotto dall’anello! I buoni
propositi non
aiutano, Sophia, nemmeno un po’. >> Si
voltò dall’altra parte <<
Vattene, è un consiglio il mio >>.
Una coltellata al petto mi avrebbe fatto
meno male. Rabbia e rammarico percorrevano le mie vene,
perché diavolo non mi
dava ascolto? Perché diavolo mi ero infilata in quella
pessima situazione? Il
periodo passato nella convinzione che lui
fosse morto era stato terribile, ma vivere nella consapevolezza di
essere
odiata da lui era ancora peggio. Mi raggomitolai come un gatto,
stringendo le
coperte tra le dita, mordendomi il labbro. Rimasi immobile a guardare
l’uomo
accanto di me che mi volgeva le spalle, non avrei più
rivisto la gioia nei suoi
occhi in mia presenza, quelle pietre così preziose ora erano
affilate, usate
solo per ferirmi, tagliarmi, accoltellarmi.
Non ce la facevo! Quella stanza era
diventata troppo piccola, soffocante, mi mancava l’aria. Mi
alzai, presi il mio
mantello che non avvolgeva più il Palantir, ripreso da
Gandalf, e uscii dalla
stanza seguita da uno sguardo indagatore di Aragorn.
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Capitolo 10 *** Non ho intenzione di....ehi! E' un'ottima idea! ***
Corsi fuori,
salendo in cima al castello,
verso una delle torri, da dove avrei potuto ammirare il panorama. Non
conoscevo
quella fortezza eppure i miei passi andavano sicuri su quelle scale o
in quei
corridoi fino a raggiungere un terrazzino che dava su un cortile. Mi
appoggiai
alla balaustra e soffocandomi dei miei pensieri diedi libero sfogo alle
lacrime
e alla disperazione.
Ero di nuovo sola.
E nell’oscurità della notte, la fortezza
venne velata da un triste canto.
<< Casa è alle spalle, il mondo
avanti. Le strade da seguire tante. Nell’ombra il mio viaggio
va, finché luce
nel cielo sarà. Nebbia e ombra, oscurità. Tutto
svanirà. Tutto svanirà.
>>
Mi misi a sedere sul bordo della torre,
con i piedi penzoloni nel vuoto e guardai il mondo davanti a me andare
avanti
nelle sue scelte, nelle sue abitudini, nella sua morte lenta e
dolorosa. Avevo
il cuore a pezzi, ma capii ben presto che non avevo il tempo di
raccogliere i
cocci e provare a rimetterlo apposto, dovevo lasciarlo là
dov’era e andare
avanti per la mia strada. Sarei tornata indietro da lui quando sarebbe
stato il
momento giusto, ora il mondo correva troppo freneticamente, dovevo
riuscire a
stargli dietro.
Ero sola per la mia strada, sola nella
mia maratona, ma non avevo altra scelta. Sapevo che probabilmente il
sogno
fatto la notte prima, durante il mio “coma”, non
era solo un sogno. Avevo
combinato un guaio per salvare la persona che adesso più di
tutti desiderava la
mia rovina (bella gratitudine!). Dovevo mettere a posto le cose, dovevo
trovare
il modo di risolvere quelle spiacevoli situazioni. La paura
più grande era però
che Pipino, non sentendosi in colpa per la morte di Boromir non
prestasse i
suoi servigi a Denethor e non andasse a salvare Faramir dal rogo.
Nell’eventualità che invece Denethor non perdesse
la testa e non facesse il
rogo avrei trovato un’altra soluzione per liberare la sua
anima dal Palantir,
per far sì che Aragorn salisse al trono senza troppi
problemi. Avrei parlato
con Gandalf, lui solo avrebbe potuto aiutarmi, era un uomo saggio
sapeva cosa
fare.
Il sole sorse su quella terra annebbiata,
ma le sue luci non riuscirono a raggiungerla a causa delle nubi che
costantemente sovrastavano la Terra di Mezzo in quel periodo, ma
così come era
nato, così come avrebbe continuato a nascere, e
anch’io, tenendomi nell’ombra,
sarei nata e avrei agito.
Sapevo che c’era solo un modo per portare
a termine la mia missione: dovevo andare il più velocemente
a Minas Tirith.
Sarei partita quella mattina stessa, dietro Gandalf e Pipino, avrei
corso come
il vento e sarei giunta in tempo per sistemare le cose. Ancora una
volta però
mi sentivo disarmata, ma così come ero riuscita a salvare
Boromir senza un
piano ben preciso, sarei riuscita a salvare il fratello.
Incredibile come la vita mi abbia riservato
un destino tanto ironico. Mi trovavo all’interno della storia
che più avevo
amato per anni e mi era stata donata la penna in grado di cambiare le
parole
incise su un libro, mi era stato donato il dono di modificare tutto,
cambiare
la vita di migliaia di persone, io, la persona più
fallimentare e invisibile
della terra, ora avevo tra le mani un potere così grande.
Potere che nessuno
conosceva, potere che solo Saruman aveva individuato e aveva desiderato
rubarmi
come voleva fare con l’anello. Ma ahimè per lui,
nessuno dei due tesori era
riuscito ad ottenere.
Come si suol dire: chi troppo vuole,
nulla stringe.
Mi alzai in piedi sul bordo della torre,
in altre occasioni avrei temuto l’altezza e la
pericolosità di quella
situazione, ma non quella volta. Allargai le braccia lasciando che il
vento mi
accarezzare il volto e mi scompigliasse i capelli. Mi sentivo padrona
di tutto
ciò che mi circondava, padrona di tutto…ma non
del mio cuore. E, anche se ciò
mi dava un dolore immenso, la notte, con i suoi venti agitati e
tumultuosi, mi
avevano portato la forza di cui avevo bisogno per andare avanti, per
non
mollare, per rendermi utile in quel mondo così meraviglioso,
per smentire le
speranze che erano state di Saruman, per servire quella terra
anziché
consegnarla in mani sbagliate, per far tornare il sole sui suoi
campi…e
dopodiché mi sarei ritirata in privato e avrei concentrato
tutte le mie energie
su quei cocci, stesi a terra, calpestati più volte da
passanti distratti, e
avrei cercato di aggiustarlo, anche se sapevo che mai sarebbe tornato
come
prima.
Corsi giù nel cortile dei cavalli, il
consiglio tra Theoden, Gandalf, Aragorn e tutti gli altri sicuramente
era già
iniziato, stavano discutendo di ciò che aveva visto Pipino,
Gandalf avrebbe
deciso di partire e io mi sarei fatta trovare pronta.
<< Ho bisogno di un cavallo
>> dissi a una delle guardie alle stalle.
<< I cavalli sono di proprietà del
Re, solo con un suo ordine posso dartene uno >> mi disse
distrattamente
mentre sistemava del fieno. Lo presi per una spalla e lo costrinsi a
voltarsi
guardandolo con uno sguardo severo << Guarda le mie
ferite, stalliere!
Non sono ferite causate da una semplice caduta dalle scale! Io sono al
servizio
del Re come tutti voi. Ho una missione da compiere e necessito di un
cavallo
>>. Il tipo mi guardò dapprima intimorito, poi
torno serio e
disinteressato << Solo con un ordine del Re posso darvi
un cavallo.
>>.
Mi stava prendendo in giro?! Accidenti,
avevo programmato di plasmare il mondo quella notte, mi ero sentita Dio
in
persona e ora venivo ostacolata da un semplice stalliere? Non avevo
neanche
cominciato la mia opera che già trovavo gli ostacoli!
<< Ma per dindirindina! >>
sbottai cominciando a scuotere il tipo che avevo tra le mani
<< Mi devi
dare quel stramaledetto cavallo, devo andare a salvare la vita a
Denethor e suo
figlio, non devo andare a distribuire caramelle! >>
<< Senti, bella! >> mi
rispose a tono il tipo staccandosi dalla mia presa << Tu
puoi fare quello
che vuoi, per conto mio puoi anche andare a prendere il trono del Re
degli
elfi, ma finchè il MIO Re non mi da l’ordine io
non ti do proprio un bel niente
>>.
Era…incredibile! Osava ostacolarmi!
Lui…lui… maledizione!
Sbuffai e mi allontanai a gran passi,
voleva l’ordine del Re? Bene! Avrebbe avuto quello
stramaledetto ordine, e io
me ne sarei andata via in groppa a uno di quei cavalli con orgoglio e
fierezza
alla faccia sua!
Arrivai che il consiglio era già
terminato chissà da quanto, Gandalf, Merry e Pipino non
erano presenti, Boromir
mi lanciò un’occhiataccia, non vedeva
l’ora di liberarsi di me, beh, non ci
avrebbe messo troppo tempo visto che ero veramente intenzionata ad
andarmene.
Anche se non meritavo tutto quell’odio visto che la mia
destinazione era Minas
Tirith per salvare la sua cara famigliola. Vidi invece Theoden
allontanarsi in
compagnia di Aragorn, Gimli e Legolas e corsi loro dietro, dovevo
muovermi
altrimenti avrei perso Gandalf.
<< Mio signore! >> dissi
correndogli incontro << Sophia, finalmente ho
l’onore di scambiare due
parole con te, i tuoi compagni mi hanno tanto parlato della donna
guerriero
portata in loro aiuto dal Bruinen. >>
<< Immagino >> dissi
sarcastica facendo una smorfia, chissà che diavolo gli
avevano raccontato: che
ero una pazza? Che avevo bisogno di cure? Che una padellata in testa
avrebbe
fatto un effetto migliore? Certo, per come l’aveva detto lui
sembrava che fossi
nata dalle acque del fiume come una Venere, una cosa da romanzo epico,
un po’
mi piaceva, ma immaginavo che la stima dei miei compagni nei miei
confronti non
fosse poi così alta. Magari invece avevano semplicemente
detto che ero una
traditrice e che avevo combinato un sacco di guai.
<< Vedete mio Signore >>
cominciai prima che potesse dire altro: avevo fretta <<
Mi dispiace non
poter scambiare altre parole con voi, ma ho bisogno di un cavallo con
urgenza.
>>
<< Un cavallo? E perché mai?
>>.
<< Devo raggiungere il più velocemente
possibile Minas Tirith, per questo volevo aggregarmi a Gandalf ma per
fare ciò
devo muovermi. >> conclusi prima di alzare un dito e
guardare tutti gli
altri << E non chiedetemi altro, non sono intenzionata a
dare spiegazioni
di nessun tipo a nessuno. >> forse era colpa della
sbornia della sera
prima, forse del mal di testa, forse del fatto che non avevo dormito
niente
quella notte o forse era colpa della litigata con Boromir, ma nemmeno
io mi
riconoscevo più: ero furiosa.
<< Tanto sarebbero solo parole
buttate al vento >> aggiunsi scocciata tra me e me prima
di voltarmi
verso Theoden in attesa di una sua risposta << Certo,
prendi pure uno dei
miei cavalli, ma penso che sia inutile ormai. >>
<< Come prego? >> chiesi
intimorita e confusa dall’ultima frase.
<< Gandalf è partito già da qualche
minuto, non riusciresti mai a raggiungerlo >> mi
spiegò Aragorn.
Mi caddero le braccia, incredibile! Prima
lo stalliere, ora questo! Non volevano proprio farmi arrivare a Minas
Tirith!
Me lo stavano impedendo in tutti i modi << Ho
già intrapreso battaglie
come questa >> bisbigliai voltandomi verso la
città alle mie spalle
<< Ho già sfidato il destino e così
come vinsi tempo fa, vincerò ancora
>> continuai a parlare tra me e me.
<< Risparmiati gli incantesimi
>> intervenne Boromir acidamente, mi irritava sempre
più, mi voltai
divorandolo con uno sguardo << Sai, volevo vedere se
oltre alle
maledizioni conoscevo qualcosa per teletrasportarmi! >>
mi rivoltai
nuovamente verso Theoden << Ok, non fa niente. Datemi
comunque il cavallo
e indicatemi cortesemente la via, purtroppo non ho di queste conoscenze
>>.
<< Sophia >> intervenne
Aragorn << Ieri hai rischiato la vita, hai sempre tutte
le ferite aperte,
come se non bastasse ieri sera invece di riposare hai deciso di
demolirti con
la birra, non hai dormito niente questa notte, la strada è
lunga e pericolosa,
non arriverai mai a Minas Tirith tutta intera. Te lo impedisco
>>
Mi ammorbidii a quelle parole invece di
aggredirlo e gli offrii un tenero sorriso << Sarai un
ottimo padre
>>. Non erano i postumi della sbornia, era semplicemente
il mio cuore che
aveva parlato. Aragorn già da tempo si comportava con me
come un padre si
comporta con una figlia: accudendola, aiutandola e preoccupandosi per
lei,
anche quando ancora non ci conoscevamo di persona ritenevo fosse una
persona di
grande cuore, e ancora una volta ne avevo avuto la conferma.
<< Vi prego >> chiesi a
Theoden come se Aragorn non avesse detto niente, non mi avrebbe
fermata, non
quella volta.
<< Posso darti il cavallo, ma la
via per Minas Tirith non è indicabile. E’ lunga,
pericolosa e piena di
deviazioni, ti perderesti anche con un’ottima indicazione.
Penso Aragorn abbia
ragione, è tanto importante la faccenda che devi svolgere a
Minas Tirith?
>>
<< E’ questione di vita o di morte!
>> mai quelle parole erano risultate così vere
<< Se non avete
intenzione di aiutarmi farò da sola, troverò per
conto mio la via! >>
<< Non te lo permetterò. Ti
porterai dietro qualcuno dei nostri uomini >>
Un esercito guidato da me? La cosa mi
faceva gola, certamente, ma avrebbe rallentato la marcia! Troppi piedi
da
riposare, troppe pance da saziare e non sarei stata invisibile come
desideravo.
<< Una guida! Una sola, non ho
bisogno di nessun altro. >> dissi << non
voglio portarmi dietro troppa
gente, ho fretta e voglio muovermi nell’ombra. Basta una sola
persona, qualcuno
che conosca la strada più breve. >>
Boromir intervenne ancora, avanzando e
venendo col volto a pochissimi centimetri dal mio, sicuramente le sue
intenzioni erano quelle di incutermi terrore, a me invece
provocò l’effetto
opposto: il cuore sobbalzo e arrossii.
<< Cosa hai intenzione di fare a
Minas Tirith? Distruggere la mia casata? Distruggere la mia patria? Non
permetterò a una spia del nemico di varcare la soglia della
mia terra. >>
Alzai un sopracciglio ignorando le sue
parole, dovevo continuare a muovermi in quella maniera, ignorando il
veleno che
mi buttava addosso.
<< Vado a distribuire caramelle
>> risposi semplicemente.
<< Ti prendi gioco di me? >>
brontolò ma la discussione si interruppe con la voce di
Aragorn che indicando
l’uomo di fronte a me diceva << Ecco la tua
guida. >>
Ci voltammo in contemporanea guardando il
ramingo con gli occhi spalancati << Cosa?!
>> chiedemmo stupefatti,
e forse un po’ irritati. Dovevo portarmelo dietro per tutto
il tempo? Dovevo
continuare a subire le sue pugnalate per così tanto tempo
senza nessuno che
potesse placare la sua collera? Solo io e lui? Allora sì che
non sarei
sopravvissuta.
Però… non era male come idea. Senza
volerlo il ramingo aveva risolto tanti problemi che invece io mi
ponevo. Nella
storia originale, in quel preciso istante, gli intrusi erano due e per
far
scivolare le cose al loro posto bisognava liberarsene: me e Boromir. E
non
c’era modo migliore di quello di mandarci a Minas Tirith da
soli, lasciando
quel luogo.
<< Ok, perfetto! Boromir
prepara le tue cose, partiamo
all’istante e… >> mi bloccai per
ritornare a guardare Theoden <<
Sire, penso che lo stalliere abbia qualche problemino con me. Potete
fargli sapere
che avete accettato la proposta di darmi uno dei vostri cavalli?
>>
Theoden non aveva idea certamente di
quale problemino fosse nato tra me e lo stalliere ma ci fece una risata
su e
mandò uno dei suoi uomini a parlare con lui.
<< Aspetta! Tu non mi dai ordini e
io non ho intenzione di partire con te. Aragorn, voglio combattere
anch’io
insieme a voi per la mia terra >>
<< Sei un uomo d’onore Boromir,
avrai modo di dimostrare il tuo amore per la tua terra in battaglia, ma
penso
che per ora sia bene che tu accompagni Sophia nel suo folle capriccio.
>>
<< Ehi!! Non è un capriccio, tanto
meno folle! >> mi lamentai, ma ovviamente non fui
ascoltata.
<< Non ho intenzione di seguire
questa traditrice! >>
Traditrice?! Allora aveva già parlato con
loro di ciò che era successo quella notte. Mi incupii
all’idea che fossi una
traditrice per gli altri, ecco perché Aragorn aveva alla
fine accettato, come
gli altri, di lasciarmi andare. Probabilmente avevano solo detto che mi
sarei
dovuta portare una guida perché forse il loro affetto nei
miei confronti non
era poi così nullo. Volevano liberarsi di me.
<< Ne abbiamo già parlato, Boromir!
>> rispose rudemente Aragorn e ancora una volta rimasi
colpita. Mi
stava…difendendo. Perché mai?
<< E’ inaudito che la tua fiducia
per gli elfi sia maggiore per quelli della tua razza! Del tuo stesso
sangue!
Del tuo popolo! >>
Elfi? Ma che… mi voltai verso Legolas
fulminandolo << Elfo!!!! Cosa hai detto a questa mandria
di
bufali….imbufaliti? >> ok, offesa pessima, e
poco originale, ma ero
furiosa e incontrollabile.
<< Assolutamente niente >> si
difese lui.
<< Esatto! >> brontolò
Boromir << Non ci ha detto niente, per questo non capisco
il motivo di
tanta fiducia! >>
non ci capivo
niente, non aveva detto nulla e allora perché quella
discussione? Da dove
nasceva?
<< Legolas ha detto che ha compreso
l’importanza di Sophia per noi e per questa terra, ha detto
di aver capito
perché Elrond l’ha fatta partire insieme a noi,
per questo motivo non ho
intenzione di saltare a conclusioni affrettate come fai tu! Se Sophia
ieri sera
si è comportata in quella maniera ci dev’essere
stato un motivo, se Sophia è
andata a parlare con Saruman ci dev’essere stato un motivo e
sono certo che non
sono motivi che portano a qualcosa di avverso nei nostri confronti.
>>
<< Legolas può benissimo essere
stato accecato dai malefici di questa strega come lo sono stato io!
>>
<< Sophia non c’entra niente con i
tuoi errori, Boromir, Sophia ti ha salvato la vita! >>
<< Ok, adesso basta, mi avete rotto
tutti le scatole, SILENZIO!!! >> urlai interrompendo
quell’inutile
discussione che mi faceva solo perdere tempo. E poi non mi piaceva
l’idea di
essere il nocciolo della questione ma di non avere voce in capitolo,
che ne
sapevano loro di ciò che ero e di ciò che mi
passava la testa? Non avevano
nessun diritto di fare congetture di nessun tipo. Io sola sapevo chi
ero, io
sola sapevo ciò che dovevo fare e sapevo che in quel momento
dovevo muovermi e
correre a Minas Tirith!
<< Tu! >> indicai Legolas
<< Appena avrò modo di averti davanti
parleremo, perché penso che ci
siano tante cose da spiegare e tante cose da capire. Tu!
>> e indicai
Aragorn << Ti ringrazio molto per avermi difesa, ti
ringrazio per la tua
fiducia nei miei confronti, non sai quanto mi aiuta sapere che non
tutti mi
sono contro e che c’è qualcuno che mi capisce, ma
ora come ora sto perdendo
tempo, devo andare a Minas Tirith e se c’è
qualcosa che vorrai sapere ti giuro
che ti racconterò tutto, ma adesso non è il
momento! Giuro che appena questa
storia sarà conclusa tutti quanti saprete il
perché delle mie azioni e saprete
perché ho preso parte a questa missione nonostante io non
sappia usare la
spada, l’arco, lo scudo o non sappia cavalcare!
>>
<< Sarà un viaggio velocissimo
allora >> ironizzò Boromir alzando gli occhi
al cielo << E tu!
>> lo indicai facendo un sospiro che mi serviva per
raccogliere la
pazienza << Tu verrai con me, che lo voglia o no, o forse
preferisci
rimanere qui con le mani in mano pensando “chissà
se sta andando a distruggere
la mia casata o il mio popolo”? >>
Avevo colto nel segno, Boromir mi guardò
torvo per qualche minuto rimanendo assolutamente in silenzio, poi si
voltò e si
allontanò.
<< Ci vediamo giù alle scuderie,
Mon Amour! >> salutai ridacchiando, ero riuscito a
convincerlo per
fortuna, certo avevo usato una tecnica pessima, odiavo fare la parte
della
cattiva, ma almeno non avrei avuto di che preoccuparmi durante la mia
assenza.
<< Sophia, continuo a ripetere che
secondo me non dovresti salire a cavallo. Devi riposare ancora un
po’ >>
continuò Aragorn ammorbidendo il tono e avvicinandosi di
qualche passo. Sorrisi
ancora, mai nessuno si era dimostrato tanto carino con me, Aragorn mi
stava
proprio tanto a cuore.
<< Aragorn tu non puoi nemmeno
immaginare quanto io ti sia grata per tutto ciò che stai
facendo per me, me ne
ricorderò sempre >> sempre se avrei avuto modo
di ricordare, non ero
tanto sicura che sarei uscita viva da quella situazione, ora conoscevo
il
significato della parola “pericolo” e lo temevo, ma
non potevo fare altrimenti.
<< Ma devi cercare di essere
comprensivo questa volta, anche se non posso spiegarti niente di
più
dettagliato, vorrei, giuro, ma davvero non
posso! Devi solo fidarti di me come hai fatto
fin’ora e cercare di capire
che così come c’era un motivo che mi ha spinto ad
andare a parlare con Saruman,
così come c’era un motivo che mi ha spinto a
bloccare il salvataggio di Boromir
nei confronti di Pipino ieri sera, anche questa volta
c’è un motivo che mi
spinge ad andare a Minas Tirith. E’ molto importante, per
tutti noi. >>
<< E io mi fido >> disse
Aragorn con così tanta solennità e
sincerità che mi riempì il cuore. Ero
emozionata come non mai, ero orgogliosa di averlo conosciuto,
orgogliosa di
averlo come amico, come compagno d’avventura, orgogliosa che
si interessasse in
quella maniera a me. Aragorn era un vero Re, e questo mi spinse
maggiormente a
voler portare a termine la mia missione, lui doveva salire su quel
trono! Se lo
meritava, era suo diritto.
Ancora una volta mi lasciai guidare
dall’istinto e lo abbracciai forte, con il timore di non aver
avuto più una
possibilità per farlo. Lo strinsi più che potevo,
ignorando le mie ossa che
scricchiolavano, e anche se il suo odore non era buono e inebriante
come quello
di Boromir mi piaceva lo stesso, mi
faceva sentire a casa.
<< Grazie, grazie mille! >>
dissi con il cuore. Forse era perché non avevo mai avuto un
padre, o forse
semplicemente perché ero tanto, ma proprio tanto, emotiva e
sentimentale, ma
per me Aragorn era davvero come un padre, una guida, un protettore. Mi
allontanai
da lui e mi preparai a intraprendere un lungo viaggio che
chissà dove mi
avrebbe portata, chissà in che condizioni, chissà
quando. Entravo per la prima
volta dopo settimane in una galleria buia.
Rimasi immobile qualche secondo a
guardare le persone davanti a me, per la prima volta non vedevo
più un gruppo
di amici, compagni d’avventura, desideri reconditi,
personaggi epici, ma vedevo
chiaramente una famiglia. La mia seconda famiglia: la migliore. Decisi
di
dedicare loro qualche parola di congedo, come un triste addio, infondo
chissà
se li avrei mai più rivisti.
<< Conducete il vostro popolo verso
la vittoria, mio Signore. Sono sicura che le vostre capacità
ve lo permetteranno
>> dissi facendo un
leggero inchino rivolto a Theoden.
<< Gimli, racchiudi in te tutta la
fierezza della tua razza e la porti con onore. >> dissi
al nano e mi
abbassai per abbracciare anche lui. Mi rialzai e lo vidi tenersi ben
dritto con
la schiena, fiero e orgoglioso di ciò che avevo appena
detto. Mi voltai e
incrociai di nuovo Aragorn, cosa potevo dire a uno come lui? Il mio
discorso
sarebbe stato decisamente troppo lungo, la mia ammirazione nei suoi
confronti
era immensa. << Sei stata la miglior guida che io abbia
mai incontrato
>> mi avvicinai posandogli una mano sulla spalla
<< E sono certa
che saresti un ottimo Re, il migliore che Gondor abbia mai avuto
>>.
<< Parli come se non dovessimo
vederci mai più >> disse un po’
turbato Aragorn.
<< Beh, sai, non è che mi fidi
tanto di Boromir. Secondo me farà in modo di perdermi per
strada o cercherà di
uccidermi nel sonno >> dissi sdrammatizzando con un
sorriso, ma a dirla
tutta quelle cose le pensavo davvero.
<< Non parlare così di Boromir,
presto capirai tante cose di lui, sono sicuro che questo viaggio vi
aiuterà a
trovarvi >>
<< Cosa c’è da capire?
L’ha detto
chiaramente che mi disprezza e che mi crede una spia di Sauron
>>.
<< Lui più di tutti si è sentito
tradito, è solamente accecato dalla rabbia. Il tempo
aiuterà. >> non
trovai il modo di rispondergli ancora che sentii un fischio provenire
dal
cortile di sotto, cortile perfettamente visibile da una terrazza
lì vicino. Mi
affacciai e trovai Boromir già pronto con due cavalli
<< Se non ti muovi
parto da solo >>, minacciò.
Decisi che prenderla con filosofia era il
modo migliore, così poggiai i gomiti sulla ringhiera di
pietra e la testa sulle
mani << Oh, Romeo, Romeo, perché sei tu,
Romeo? >> recitai prima di
rialzarmi ridacchiando e girarmi verso l’ultimo della
compagnia rimasto da
salutare.
<< Orecchie a punta! Con me!
>> dissi accompagnando la frase con un gesto della testa
<<
Accompagnami di sotto devo dirti due parole >>.
E insieme ci incamminammo verso il
cortile dove Boromir aspettava.
<< Dimmi >> cominciai una
volta che ci fummo allontanati abbastanza dagli altri <<
A che conclusioni
sei giunto? >>
<< Le stesse dell’ultima volta con
una piccola aggiunta: penso che tu non sia della Terra di Mezzo. Hai
troppe
cose strane, sembri per l’appunto non appartenere a questa
terra. >>
<< Sei un piccolo genietto!!
>> ridacchiai dandogli una leggera pacca sulla spalla.
<< Ho indovinato? >> chiese
Legolas sorridente, sentendosi orgoglioso delle sue deduzioni.
<< Sei molto intelligente, devo
ammetterlo, ma ora basta con i giochetti >> diventai
nuovamente seria
<< Una grande paura sconvolge il mio cuore, temo di non
riuscire a
sopravvivere a quest’ultimo viaggio per questo ho bisogno che
tu faccia una
cosa per me >>, Legolas mi guardò preoccupato
e incuriosito. Feci una
piccola pausa per riorganizzare le idee e decidere da dove cominciare
<<
Tu hai mai sentito parlare di Jhon Ronald Reuel Tolkien?
>> chiesi
procedendo lentamente, avevo tante cose da raccontargli e poco tempo.
Alla
risposta negativa dell’elfo continuai << Tempo
fa quest’uomo arrivò qui
sulla Terra di Mezzo da una dimensione parallela, un altro mondo,
completamente
diverso da questo, a portarlo qui fu Galadriel. Tolkien trascorse molto
del suo
tempo a Lothlorien dove apprese la lingua elfica, le storie antiche, le
leggende e tutto ciò che riguardava la Terra di Mezzo,
compresa la storia
dell’Anello del potere e di Frodo. A raccontargliela fu lo
specchio di
Galadriel: gli mostrò l’intera vicenda per esteso,
comprese le lotte tra
Saruman e Rohan, o tra Isengard e gli Ent e tutto ciò che
è successo in questi
giorni e ciò che succederà nei prossimi.
>> feci un’altra piccola pausa
per permettere all’elfo di assimilare tutte quelle
informazioni <<
Tolkien però dovette tornare a casa e affascinato da quanto
aveva appreso, o
semplicemente per paura di dimenticare, impresse tutte le sue
conoscenze in
vari libri, tre di questi unicamente dedicati a Frodo e
all’Anello. Io,
Legolas, vivevo in quel mondo e ho letto e riletto quei libri fino alla
nausea.
>> mi voltai verso l’elfo fermando la mia
marcia, era un argomento
delicato, dovevo guardarlo negli occhi per permettergli di capire la
profondità
della situazione << Per questo io conosco molte cose, non
prevedo il
futuro, ma è tutto scritto! Capisci? Io ho avuto modo di
leggere il vostro
futuro. A portarmi qui sulla Terra di Mezzo fu Saruman, ma questa
è una cosa
che ho appreso l’altro giorno, quando sono andata nella torre
da lui. Lui aveva
scoperto attraverso i miei sogni che io avevo queste conoscenze e
… >> mi
bloccai indecisa se continuare o meno, ma sentivo che dovevo
continuare! Stavo
dando la verità in mano a quell’elfo
così che ne avrebbe potuto fare buon uso,
così abbassai lo sguardo un po’ imbarazzata da
quanto stavo per dirgli <<
Inconsciamente ero io a mettermi in contatto con Saruman durante il mio
sonno,
mostrando lui le mie conoscenze, fornendogli il mio
“potere” su un vassoio
d’argento in cambio di…del cuore
dell’uomo più meraviglioso che abbia mai
conosciuto. Sono innamorata di Boromir, Legolas >> ammisi
un po’
titubante << Innamorata alla follia, lo ero
già prima di arrivare qui semplicemente
leggendo ciò che Tolkien scriveva di lui. Quindi Saruman mi
portò qui per
propormi un accordo, l’anello del potere in cambio di
Boromir. >> rialzai
lo sguardo incrociando i suoi occhi sorpresi, stupiti e incredibilmente
incuriositi << Ma non è finita qui
>> ripresi a camminare <<
Quando sono salita sulla torre di Saruman l’altro giorno lui
mi ha spiegato
quest’ultime cose, cioè come ho fatto ad arrivare
qui, e mi ha proposto
l’accordo che ti ho appena illustrato. In altre occasioni non
avrei esitato ad
accettare, ma vivere queste avventure sulla pelle mi ha fatto capire
che non
dovevo prendere alla leggera ciò che avevo tra le mani,
così ho fatto finta di
accettare, e ho condotto Saruman verso la distruzione, per questo mi ha
quasi
uccisa. Tutto ciò che ho fatto l’ho fatto per voi,
per far sì che la storia
seguisse i suoi binari, la sua scia, che non cambiasse nulla e che
tutto
filasse dritto. Solo che…ho commesso un errore.
>> confessai ancora,
Legolas era rimasto per tutto il tempo in silenzio e lo era ancora,
preso
completamente dalla mia storia << Boromir non doveva
essere qui. >>
ammisi << Lui sarebbe dovuto morire quando
l’avete trovate con le frecce
nel petto, la sua storia sarebbe terminata in quel preciso istante, ma
il mio
amore nei suoi confronti è troppo accecante, tanto
abbagliante da non riuscire
a vedere altro. Ho salvato Boromir e ho portato un sacco di modifiche
nella
storia che potrebbero compromettere la sorte della Terra di Mezzo. Per
questo
sto andando a Minas Tirith, per correggere i miei errori, per far
sì che la
sopravvivenza di Boromir non comporti troppi problemi. >>
<< Cosa accadrà di preciso a Minas
Tirith? >> mi chiese serio Legolas, ormai sentiva di
potersi permettere
anche domande di quel tipo.
<< Nella storia ufficiale, quella
dove Boromir muore, Pipino sentendosi in colpa nei confronti del
Sovrintendente
Denethor offre a lui i suoi servigi e viene nominato guardia della
cittadella.
Sarà solo grazie a quel motivo che Pipino sarà
presente…quel giorno. >>
feci un sospiro raccoglitore << Denethor saputa la morte
di Boromir andrà
verso la pazzia, ignorerà completamente suo figlio Faramir e
lo manderà alla
morte per combattere gli orchi che hanno invaso Osgiliath. Faramir
tornerà a
casa gravemente ferito, ma non morto! Denethor però non
darà ascolto alle
parole di Pipino che tenterà di fargli capire che Faramir ha
solo bisogno di
cure, e credendo la fine di tutto deciderà di suicidarsi
dando fuoco al suo
corpo insieme a quello di Faramir che ancora è vivo. Pipino
vedrà la sua follia,
correrà da Gandalf e insieme riusciranno a salvare almeno
Faramir. Il problema
è che ora Boromir è vivo, quindi le cose sono
cambiate. Nel caso Denethor non
impazzisca ci sarà guerra all’arrivo di Aragorn
per il trono e solo Dio sa cosa
potrebbe accadere >>
<< Una guerra civile >>
sussurrò Legolas inquieto << Nel caso invece
impazzisca lo stesso, cosa
molto probabile in quanto lui è in possesso di un Palantir e
questo farà sì che
la sua mente si offuschi completamente, non ci sarà Pipino a
salvare Faramir
perché non essendo guardia della cittadella non
sarà presente al momento
opportuno. Per questo devo andare, devo salvare Faramir da
quest’eventualità!
E’ importante. >>
<< Ora capisco tutto. Sei stata
comunque un’incosciente, hai dato in pasto ai leoni il futuro
della Terra di
Mezzo per un uomo! >> mi brontolò quasi.
<< Tu che avresti fatto al mio
posto? L’avresti lasciato morire lì, eh? Se fosse
stato Gimli al suo posto? O
Aragorn? Non avresti cercato di salvarli? >> risposi a
tono e questo
riuscì ad azzittire l’elfo, sapeva che avevo
ragione.
<< Sento di poter gestire la
situazione, ho cambiato il destino già una volta, posso
riuscirci una seconda
>> intanto arrivammo quasi al cortile <<
Ora però arriva la parte
più importante, Legolas! Non devi assolutamente rivelare a
nessuno niente di
ciò che ti ho appena detto, è importante! Il
conoscere il futuro fa commettere
gesti sconsiderati, come è successo a me con Boromir.
Nessuno deve sapere
assolutamente niente, né di me, né di Boromir,
né di Denethor o del Palantir
che lui possiede. Niente di niente! >>
<< Hai la mia… >>
cominciò
lui solenne ma io lo interruppi << A meno
che…>> feci un sospiro
<< A meno che io non perda la vita prima della fine. Se
per caso dovesse
succedermi qualcosa, qualsiasi cosa che mi possa impedire di rivedervi
ancora e
di raccontare tutto ad Aragorn, Boromir, Gimli e tutti gli altri,
soprattutto a
Boromir, così che capisca che tutto questo l’ho
fatto solo per lui. >>
<< Vai a salvare suo fratello,
anche questo è un grande gesto d’amore
>>
<< Già >> dissi rendendomene
conto solo in quel momento << E pensa un po’
chi è l’uomo che mi
disprezza di più in questo momento? >>
ridacchiai riprendendo a camminare
verso il cortile.
<< La chiamano ironia della sorte
>> commentò Legolas prima di tornare serio
<< Te lo prometto,
Sophia. Non dirò niente a nessuno >> giungemmo
in cortile, Boromir ci
raggiunse con i cavalli e io mi concedetti un ultimo saluto anche per
l’elfo
abbracciandolo anche
se con meno enfasi
di come avevo fatto con Aragorn. << Sei un buon amico. Mi
fido di te.
>> confessai e lo salutai con lo sguardo prima di
avvicinarmi al cavallo
per montarci su.
<< Fate buon viaggio e, Boromir,
riportacela sana e salva intesi? >> chiese
l’elfo cortesemente e Boromir
rispose con un grugnito e una smorfia, aveva l’entusiasmo di
un bradipo. Stavo
per salire a cavallo quando mi sentii chiamare vivacemente. Mi voltai
appena in
tempo per vedere Merry saltarmi addosso e abbracciarmi <<
Perché te ne
vai, Sophia? Non puoi abbandonarci adesso! Non
puoi…abbandonarMI adesso.
>> piagnucolò e io lo strinsi forte in
risposta << Ci rivedremo
presto, Merry, te lo prometto. Perdonami ma ci sono delle faccende che
devo
assolutamente sbrigare a Minas Tirith >>
<< Ma tra qualche giorno partiremo
anche noi! Puoi venire con noi >> cercò di
convincermi Merry.
<< No, piccoletto! Ho fretta, non
posso aspettare né indugiare. Devo arrivare il prima
possibile a Minas Tirith.
Porterò i tuoi saluti a tuo cugino >> dissi
facendogli l’occhiolino.
Merry non disse altro e Legolas gli si avvicinò prendendolo
per le spalle per
confortarlo mentre salivo sul cavallo. Non sapevo cavalcare, ma tempo
prima una
mia vecchia amica che faceva equitazione mi aveva fatto provare un paio
di
volte. Era stato un disastro e speravo di non combinare gli stessi guai
in quei
giorni.
<< Namarie >> sorrisi ai due
prima di cominciare a cavalcare verso nuovi orizzonti.
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Capitolo 11 *** Scusami tanto, Macho Man, ma io non ce la faccio più! ***
Ok, il
viaggio che mi ero prefigurata era un po’ diverso da quello
che in realtà avevo
intrapreso. Ero sola con l’uomo che amavo, cavalcavo insieme
a lui come nelle
storie d’amore, doveva essere bellissimo sentire il vento
sulla faccia e sapere
che la persona accanto provava le stesse sensazioni, guardare verso lo
stesso
orizzonte. Ma fu tutto il contrario. Boromir non mi rivolgeva nemmeno
uno
sguardo, il vento, nonostante fosse primavera, era pungente e freddo,
gli
orizzonti oscuri e annebbiati. E nonostante mi aveva sempre affascinato
l’idea
di stare sulla sella di un cavallo in piena corsa mi resi conto in quel
momento
che era faticoso e difficoltoso.
Dovevo
imparare ad aspettarmi meno dalla vita.
La sera
arrivò molto lentamente, più volte mi ero chiesta
se non fosse già arrivata
senza che me ne fossi resa conto tanto scorreva lentamente il tempo.
Boromir
pareva non volesse fermarsi nemmeno per riposare la sera o per
mangiare, io
invece avevo i crampi allo stomaco, non mettevo nulla sotto i denti
dalla sera
prima durante la festa.
Arrivata a
un certo punto non ce la feci veramente più e fermai il
cavallo ignorando
l’uomo che correva ancora veloce e gli dovetti gridare contro
per fargli notare
che avevo preso una decisione, altrimenti avrebbe proseguito verso
Minas Tirith
senza di me.
<<
Scusami tanto, Macho Man, ma io non ce la faccio più! Il
sole è calato,
fermiamoci a mangiare un boccone e a riposare un attimo >>
<<
Non avevi detto che avevi fretta di arrivare? >> chiese
con una punta di
ironia nella voce mentre tornava indietro e sistemava il cavallo legato
a un
ceppo.
<<
Certo, ma vorrei arrivarci viva e in carne, se permetti!
>> risposi a
tono mettendomi a sedere per terra stremata. Sentivo le gambe mollicce
tanto
erano stanche, mi faceva male il sedere, la colonna vertebrale e lo
stomaco!
Presi da una delle borse legate al cavallo un pezzo di pane degli elfi,
un
pezzo di Lembas, che ancora mi era rimasto da Lothlorien e cominciai a
mangiucchiare affamatissima. Boromir si sedette poco lontano da me e
fece lo
stesso.
Eravamo
soli e silenziosi, maledizione Sophia! Dovevo parlare, non potevo
passare tre
giorni in quello stato, dovevo cercare di trovare un punto di ritrovo
tra noi
due, dovevo trovare il modo di riallacciare i contatti. Era stato
così bello
quando si preoccupava per me i primi giorni, era stato divino quando mi
aveva
portato in spalla nelle Miniere o mi aveva protetto dagli attacchi
degli orchi.
Perché ora doveva essere cambiato tutto così?
Solo perché avevo deciso di fare
la cosa giusta.
<< Le
giornate sono sempre più buie >> commentai
guardando il cielo, pessimo
modo di attaccare bottone, era un classico parlare del tempo quando non
si
aveva argomenti e io lo detestavo perché dimostrava proprio
di essere
disperati. Ma in quel momento effettivamente lo ero.
Boromir
rispose con un altro grugnito, non faceva altro da quando avevamo
lasciato gli
altri. Mi irritò a morte!
<<
Senti, Mr Pig, hai intenzione di trattarmi così per tutto il
viaggio? >>
<<
Anche peggio. >>
<<
Oh, bene, allora sono più tranquilla >> dissi
ironica posando le spalle
su una roccia dietro di me. Alzai di nuovo lo sguardo al cielo, quelle
nubi
nere che correvano veloci nel cielo mi trasmettevano emozioni
così forti di
paura che quasi mi faceva tremare. Poi non so quale forza misteriosa mi
spinse
a voltare lo sguardo e posarlo sulla roccia su cui ero poggiata, e fu
allora che
lo vidi. La creatura peggiore che potesse esistere! Era a pochi
centimetri da
me che muoveva quasi meccanicamente le sue zampette pelose, su quel
corpicino
tozzo e peloso anch’esso. Niente di più terribile
e disgustoso! Sarei saltata
in braccio a un orco piuttosto! Con uno scatto felino mi allontanai dal
sasso
gridando e rabbrividendo dall’orrore. Boromir spaventatosi
della mia reazione
d’istinto sfoderò la spada e si alzò in
piedi guardandosi attorno ma rimase
stupito di non vedere assolutamente niente.
<<
Dico, sei impazzita? >>
<<
Quella cosa raccapricciante!!! >> gridai indicando il
sasso <<
Levala! Che schifo! Toglimela da davanti agli occhi, uccidila,
squartala!
Sbudellala! Seppelliscila viva! >> la parte da criminale
psicopatico di
me stava venendo fuori con un impeto tempestoso mentre ancora
continuavo a
rabbrividire e ad allontanarmi di qualche centimetro strisciando per
terra.
Boromir si
chinò sul sasso e guardò l’essere da
troppo vicino per i miei gusti, poi si
voltò verso di me guardandomi un po’ infuriato, un
po’ sconvolto, un po’ deluso
<< Mi hai fatto buttare all’aria la mia cena
>> disse indicando il
Lembas che era caduto a terra nel momento in cui si era alzato
<< Per uno
stupido ragno? >>
<<
Non è uno stupido ragno! E’ un essere disgustoso,
servitore del demonio! Chiama
un esorcista! Estirpalo! >>
<< Tu
sei tutta scema >> commentò posando la spada
nel fodero e rimettendosi a
sedere e lasciando il ragno lì dov’era. Ragno che
pian piano si stava
avvicinando alla mia borsa posata lì, vicino al masso.
<<
No!!!! Che fai??? Sta andando ad infettare le mie cose! Ho tutte le mie
provviste lì dentro, le mie cose! Caccialo!! Uccidilo!!!
>> continuai ad
agitarmi strisciando verso Boromir e cominciando a scuoterlo molto
vivacemente,
shakerandolo per bene.
<< E
va bene! E va bene! Ma lasciami stare! >> si
avvicinò al ragno e con un
colpo di dito lo fece volare via. Tirai un sospiro di sollievo e mi
riavvicinai
al mio zaino cominciando a controllarlo come solo C.S.I. sapeva fare.
Nessun
segno di contaminazione identificato.
<<
Guarda che era un ragnetto del tutto innocuo! Non penso che abbia avuto
modo di
infettarti la borsa >> commentò lui con il
solito tono irritato, tutto
ciò che facevo gli dava i nervi, perfino vedermi respirare!
Non ce l’avrei fatta,
lo sentivo, non sarei riuscita a sopravvivere a quel tormento.
<<
Per favore >> mormorai senza voltarmi verso di lui
<< Invece di
criticare tutto ciò che faccio, preferisco che tu stia in
silenzio >>
riposai la mia roba per terra con impeto, sfogando almeno un minimo i
miei
nervi su quell’innocuo oggetto. Mi alzai e gli voltai le
spalle facendo due
passi verso
l’oscurità intorno a noi
<< E ora dove vai? Non ho intenzione di correrti dietro
per proteggerti. >>
Perché
continuava? Doveva stare zitto! Doveva smetterla di ferirmi in quella
maniera!
Strinsi i pugni e continuando ad ignorarlo continuai a camminare verso
un punto
sconosciuto di fronte a me, ovunque, ma lontano da lui.
Arrivai
fino a una piccola discesa, simile a quella che avevo visto quando mi
ero
svegliata, e mi fermai lì a guardare
l’oscurità di fronte a me. Era così
buio
che era impossibile vedere qualcosa, ma a me andava bene lo stesso: mi
immaginavo campi sconfinati, rocce e pietre, alberi e arbusti, quel
meraviglioso luogo che era la Terra di Mezzo anche se contaminata e
infettata
dalla rabbia e dal dolore. Rabbia e dolore che in quel momento facevano
parte
anche di me.
Quante
volte chiusa nella mia stanzetta, stesa sul mio morbido letto dal
piumone blu,
avevo pensato a quanto sarebbe stato bello trovarsi in una situazione
simile a
quella che stavo vivendo, passare giorni, settimane, mesi e anche anni,
se mi
era concesso, insieme all’uomo che amavo più di
qualsiasi altra cosa. Ma ora
che questo mi era stato donato non desideravo altro che tornare a casa
a
sognare: almeno lì, nei miei sogni, lui non mi disprezzava
in quella maniera, i
miei sentimenti non erano fiume che sfociava in un immenso mare
disperdendosi.
Mi piegai sulle ginocchia, incapace di sopportare
quell’enorme peso sulle mie spalle,
e accarezzai l’erba secca sotto di me, sentendomi come lei:
abbandonata, secca,
avvilita, con solo bisogno di qualche goccia d’acqua, qualche
goccia d’amore.
Perché non
avevo accettato la proposta di Saruman? Ormai da giorni me lo chiedevo,
avevo fatto
la cosa giusta, ma non immaginavo che sopravvivere in
quell’inferno fosse così
terribile, così doloroso.
E io stavo
pure facendo quel viaggio della morte solo per andare a salvare suo
fratello e
il suo popolo! Era questa la riconoscenza che mi serbava per avergli
salvato la
vita? Perché diavolo l’avevo fatto? Non potevo
lasciarlo morire lì, in mezzo al
nulla, solo come un cane con compagnia solo la sua disperazione?
Le immagini
di quel giorno mi sovvennero alla mente, come tante piccole fotografie
messe
insieme in un video musicale.
No. Non
potevo lasciarlo lì, avevo fatto la cosa migliore, non
dovevo essere egoista e
pensare solo a me stessa. Indifferentemente che si trattasse di Boromir
o di
chiunque altro, salvare la vita a una persona è sempre una
cosa giusta. Non
dovevo pentirmene solo perché non ero ricambiata. Non dovevo
nemmeno pensare a
cose del genere! Che razza di essere stavo diventando? Che veramente la
mia
anima fosse macchiata dello stesso nero che macchiava Mordor o
Isengard? No!
Mai avrei dato una soddisfazione del genere a Saruman, io ero stata
mandata lì
per fare del bene, l’avevo sempre saputo, al diavolo le
intenzioni dello
stregone! Avrei portato avanti la mia vita, benché fosse
più difficile del
previsto, poi una volta conclusa la mia missione mi sarei potuta
ritirare in
solitudine, a logorare me stessa e rimettere insieme i pezzi del mio
cuore,
ormai ridotto a un puzzle di cui si sono persi alcuni pezzi, ma solo
DOPO.
Feci un
sospiro, dovevo essere forte, non dovevo arrendermi, quella era una
delle prove
più dure che avessi mai potuto affrontare ma dovevo andare
avanti. Ignorarlo,
far finta di essere sola, non sentire le sue parole avvelenate. Era
questo il
segreto.
Mi alzai
dalla mia postazione e tornai a quella specie di accampamento
improvvisato.
Boromir nel frattempo aveva acceso un fuoco, e legato bene i cavalli,
preparandosi per mettersi a dormire. Mi lanciò
un’occhiata fugace prima di
stendersi sull’erba e coprirsi con il mantello di Galadriel,
un’occhiata che
non seppi interpretare, non era, come mi aspettavo, impregnata
d’odio, c’era
qualcosa che non riuscivo a capire.
Triste
abbassai lo sguardo e mi rimisi a sedere al mio solito posto, davanti
al fuoco
il cui calore non mi scaldava per niente, avevo bisogno
d’altro per riuscire a
trovare sollievo. Mi voltai verso Boromir che aveva chiuso gli occhi,
anche se
ovviamente ancora non dormiva.
Sospirai e
mi accucciai sentendomi un cucciolo abbandonato a se stesso. Mi era
capitato
più volte vicino casa di trovare animali randagi ma mai
avevo dato loro troppa
importanza: né una carezza, né un sorriso,
né una parola dolce, né delle
briciole da sgranocchiare. La mia priorità era sempre stata
quella di star loro
lontani perché potevano avere malattie e potevano mordere,
ho sempre avuto
paura dei randagi,
ma ora…capivo tutto.
Se avessi avuto modo di tornare a casa non avrei più
cambiato marciapiede se un
cane randagio mi fosse venuto incontro.
E così
pensierosa, continuando ad osservare il dolce viso di Boromir
rilassarsi man
mano che il sonno lo prendeva, così, invidiando Morfeo come
mai avevo invidiato
nessuno in quanto aveva la possibilità di abbracciarlo, mi
addormentai turbata
dai miei sentimenti e stremata per la dura giornata.
La mattina
dopo il mio risveglio fu alquanto turbato, Boromir mi scosse con un
piede, come
fosse veramente un cane rognoso e mi urlò contro
<< Svegliati! E’ tardi!
>>. Mi svegliai, per rimanere in tema di animali, come un
gatto
spaventato: saltando sul posto e irrigidendomi guardandomi attorno con
gli occhi
spalancati. Quando mi resi conto che non era successo niente e che ero
solo
stata vittima della dolce delicatezza dell’uomo allora mi
ripresi, mi alzai in
piedi cercando di rilassarmi.
<<
Comunque per domani mattina ti consiglio una padella e un mestolo
>>
dissi nera in volto di rabbia, odiavo essere svegliata in quella
maniera,
soprattutto quando avevo dormito poche ore! Era ancora buio,
perché mi aveva
costretta ad alzarmi? Come minimo mancava ancora un’ora
dall’alba. Come faceva
lui a dormire così poco? Che razza di domande, era un uomo
di Gondor, era già
tanto che non fosse abituato a dormire 3 ore alla settimana.
<<
Come ? >> mi chiese non capendo a cosa mi riferivo
<< Per
svegliarmi! Sei stato tanto delicato oggi! >> dissi
ironica cominciando a
sistemare le mie cose sul cavallo come stava facendo lui, sentivo i
nervi a
fior di pelle, era sempre così. Quando dormivo poco poi mi
svegliavo arrabbiata
come un leone.
<<
Potrei prendere in considerazione la tua proposta, peccato non abbiamo
né
padelle né mestoli >>, risposi alla sua
provocazione con un occhiataccia,
occhiataccia che non gli fece nessun effetto, sembrava divertirsi
tant’è che mi
destinò un sorriso beffardo.
Mi fermai a
riflettere: dovevo assolutamente evitare di rispondere! Non dovevo
lasciarmi
andare alla rabbia, dovevo respirare, rilassarmi e ignorarlo.
Ignorarlo,
esatto! Salii sul cavallo, pronta ad andarmene e continuare la folle
corsa
verso la città.
<<
Genio, hai intenzione di andartene senza le armi? >> mi
disse Boromir
indicando la mia spada e la mia daga per terra.
<<
Mannaggia! >> sbottai rendendomi conto della mia
sbadataggine: ero troppo
assonnata! Non capivo assolutamente niente, avevo bisogno di un
caffè! Smontai
da cavallo, andai a prendere le mie cose, legai la spada alla vita
insieme alla
daga e mi riavvicinai al cavallo, che percependo la mia irritazione si
agitò un
po’.
Tentai di
calmarlo con delle carezze, cercando di calmare anche i miei bollori,
altrimenti sarebbe stato inutile. Riuscii per fortuna a
tranquillizzarlo e a salire
nuovamente, ma Boromir era già partito <<
Ehi!! Aspettami! Devi portare
me a Minas Tirith non il tuo cavallo! >> mi lamentai
mettendomi in corsa.
Il giorno fu duro come quello precedente, stancante e ancora una volta
non ebbi
modo di scambiare con l’uomo né uno sguardo
né una parola, e la sera arrivò
nuovamente.
<< Mi
rifiuto di andare avanti a stomaco vuoto! >> brontolai
per convincere
Boromir a fermarsi a riposare.
<< Ci
metteremo il doppio del tempo così. >> rispose
lui con tono lamentoso
mentre si metteva a sedere poco lontano da me e preparava di nuovo un
fuocherello per scaldarci.
Decisi che
era tempo di cambiare le cose, mi ero scocciata di vivere quelle
giornate in
maniera così turbata così tentai di nuovo di
trovare un punto di incontro tra noi
due, anche se in maniera ancora più disperata della
precedente.
<<
Senti, mi dispiace >> ammisi e Boromir si
voltò a guardarmi aspettando
che continuassi a parlare << Ti ho coinvolto in questa
situazione mentre
tu magari preferivi partire per Gondor insieme all’esercito
di Rohan e
combattere per il tuo popolo, ti chiedo scusa, ma ti assicuro che era
necessario. >>
<< Le
tue parole non hanno più valore per me, lo sai vero?
>> abbassai lo
sguardo rattristata << Sì, lo so
>> ammisi. Probabilmente Boromir percepì
la mia tristezza e il mio disagio in quanto si ammorbidì nei
toni e mi disse
<< Dammi delle motivazioni valide, e io
tornerò a fidarmi di te >>.
Era un
grande aiuto da parte sua, qualcosa che mi fece capire che
c’era ancora
speranza per me di riuscire ad instaurare un buon rapporto con lui, ma
non era
così semplice! In quel momento dovevo evitare proprio di
dare motivazioni, ma
non potevo lasciarmi sfuggire un’occasione del genere.
<<
Pipino doveva guardare dentro il Palantir! Sapevo che così
il nemico sarebbe
uscito allo scoperto e noi avremmo potuto anticiparlo, non temevo per
la vita
di Pipino perché…sono troppo fiduciosa nel
destino. E sono fiduciosa in Gandalf
e in Pipino stesso! >>
<<
Continui a non convincermi, ma andiamo avanti. Perché questo
viaggio? >>
Maledizione,
aveva proprio deciso di complicarmi la vita!
<<
Perché…ho delle faccende private da svolgere
>> grandissima bugia.
<< C’è qualcuno che mi sta
aspettando a Minas Tirith, ha bisogno del mio
aiuto il prima possibile. Per questo ho fretta. >> Mezza
verità. Quanto
odiavo ingannarlo, ma non avevo altra scelta!
Boromir
rimase in silenzio, probabilmente pensando a quanto gli avevo detto e
decisi di
togliermi un piccolo sassolino nella scarpa, anche se forse non era il
momento
migliore.
<< Boromir
>> lo destai dai suoi pensieri, com’era bello
pronunciare il suo nome, le
lettere scivolavano dalle mie labbra come una carezza <<
Sai che Aragorn
prima o poi tornerà sul trono, vero? >> lui
rispose con un “mh-mh” un po’
distratto << Se…se tuo padre non volesse
cedergli il trono, se dovesse
aizzarli contro un
esercito, se ci
dovesse essere una guerra civile, tu come ti comporteresti?
>>
<<
Non succederà mai una cosa del genere, mio padre
è un uomo d’onore, si farà da
parte con orgoglio e fierezza. >>
Mera
illusione.
<< Ma
SE mai dovesse capitare una cosa… >>
<< Ti
ho detto che mai accadrà una cosa del genere!
>> mi urlò contro irritato
dal fatto che avessi potuto mettere in dubbio le qualità di
suo padre, era
incredibile la fiducia che poneva in lui, io non sapevo nemmeno che
volesse
dire ormai avere fiducia nel proprio padre. Sospirai prima di alzarmi e
andarmi
a sedere vicino a lui, spalla contro spalla, davanti al fuoco e rimasi
a
fissare le piccole fiamme che si sforzavano di vincere la lotta contro
il
freddo << Sai, nella vita ci sono poche lezioni che mi sono state
impartite, non mi sento
questa grande “donna vissuta”, sento che ho ancora
molto da imparare, sono
ancora giovane, ma di una cosa sono certa: non bisogna mai avere
fiducia di
nessuno in maniera così accecante, nemmeno dei propri
genitori >>
<<
Stai cercando di mettermi contro mio padre, strega?! >>
disse irritato ma
io rimasi immobile nella mia postazione, ignorando le sue parole piene
di astio
e continuai << Avevo poco più di 10 anni
quando ho imparato questa
lezione. Prima di allora mio padre era la persona che più
amavo e di cui più mi
fidavo in questo mondo, era il migliore, l’avrei seguito
anche in capo al
mondo, mi sarei lanciata da una balconata se solo mi avesse detto di
farlo, un
po’ come te >> dissi accennando un piccolo
sorriso carico di tristezza,
Boromir rimase ad ascoltare stranamente interessato, forse
perché era la prima
volta che gli parlavo di me e del mio passato, o forse
perché era un argomento
che in qualche modo lo riguardava << Poi imparai. Lo
imparai un giorno,
così dal niente, svegliandomi una mattina e rendendomi conto
che lui non c’era
più. Se n’era andato lasciando me, mio fratello e
mia madre sommerse dai debiti
e dai problemi, per anni abbiamo lottato per poter continuare ad avere
un tetto
sopra la testa e un pezzo di pane da mangiare. >> ok,
forse la rendevo
troppo drastica, ma più o meno le cose erano andate
veramente così <<
mentre lui passava ogni giorno come fosse una nuova vita, cambiando
continuamente donna, mettendo al mondo figli e poi abbandonandoli come
aveva
fatto con me e mio fratello. Queste sono tutte notizie che mi sono
arrivate per
puro caso in quanto io da quel giorno non lo vidi né lo
sentii più. >>
abbassai lo sguardo guardandomi la punta di piedi << E
non immagini
nemmeno quante lacrime ho versato per questo, quante volte avrei voluto
rivederlo pur sapendo che sarei stata confusa, indecisa se andarlo ad
abbracciare o gridargli contro tutta la mia rabbia tramutata negli anni
in odio.
Tutt’ora non so più cosa provo nei suoi confronti
se non rammarico. Non voglio
metterti contro tuo padre, non mi sognerei mai di farlo solo
che… >>
mi bloccai e mi voltai a guardarlo
negli occhi e per la prima volta in tanti giorni non vidi odio, ma
dispiacere,
pietà, dolcezza. << … solo che
>> continuai un po’ titubante,
imbarazzata per quanto stavo per dire, era la prima volta che mi aprivo
così
tanto con lui << non ho mai incontrato una persona
migliore di te e non
voglio che tu patisca ciò che ho patito io. Vorrei solo
metterti in guardia
affinché non ti ritrovi a vivere una situazione come la mia,
non lo auguro a
nessuno, benché meno a te. >>
Mi sentivo
morire di vergogna, non riuscivo più a sostenere il suo
sguardo che si era
addolcito ancor di più, contornandosi di un pizzico di
sorpresa, così mi alzai
immediatamente e ritornai al mio posto, stendendomi sull’erba
secca,
voltandogli le spalle e chiudendo gli occhi per addormentarmi. Quella
sera
avevo parlato anche fin troppo.
La mattina
dopo mi svegliai stranamente di buon ora, anzi forse anche troppo
presto in
quanto Boromir stava ancora dormendo, o forse era lui ad essere troppo
stanco:
mi ero addormentata prima di lui la sera prima, chissà che
ore aveva fatto.
Beh, era
arrivato il momento della vendetta! Avrei potuto svegliarlo con un
urlo, con
una pedata o lanciandogli qualcosa addosso, così avrebbe
capito cosa si provava
a essere svegliati in maniera così traumatica. Mi scrocchiai
le dita
soddisfatta della situazione che si era posta e mi avvicinai
all’uomo
sogghignando, ma…non ebbi il coraggio di fare niente. Rimasi
immobile a
guardarlo anche fin troppo mentre dormiva: era qualcosa di
meraviglioso. Avevo
già avuto modo di vederlo dormire e tutte le volte mi aveva
addolcito l’anima,
sembrava un bambino, un dolce fanciullo. Le labbra semidischiuse, il
respiro
caldo che creava una leggera nuvoletta in contrasto con il freddo della
mattina, gli occhi chiusi così
delicatamente, segno di una pace immensa, i capelli neri che gli
accarezzavano
la guancia e scendevano morbidamente lungo la nuca, le spalle che si
muovevano
ritmicamente al suo respiro rilassato, trasmetteva pace e
serenità, era come
una candelina in mezzo a tanta oscurità. Mi chinai
delicatamente sul suo volto
portando le labbra vicino al suo orecchio, da quella posizione il suo
odore era
così intenso e così ubriacante! Posai una mano
sul suo braccio sempre molto
delicatamente, turbata all’idea di spaventarlo o destare il
suo sonno in
maniera brusca, e lo scossi leggermente << Boromir
>> sussurrai dolcemente
<< Svegliati, è ora di andare >>.
Sentii
l’uomo irrigidirsi appena sotto il mio tocco, ma si
rilassò quasi subito e aprì
lentamente gli occhi annebbiati e stanchi dal sonno. Inclinai
leggermente la
testa, così da vederlo da dritto in quanto era steso su un
fianco, e gli
sorrisi: com’erano belli quegli occhi benché
fossero opacizzati dalla
stanchezza, sembravano un libro dalle mille e più pagine,
pronto a illuminarti
a ogni singola parola. Tanto da scoprire, tanto da leggere, tanto da
ammirare
ed amare.
<<
Buongiorno >> dissi dolcemente prima di posare una mano
sui suoi capelli,
dargli una carezza leggera e alzarmi per andare a mangiare qualcosa.
Boromir si
alzò lentamente, sembrava proprio distrutto. Scosse la testa
per darsi una
svegliata, poi alzò gli occhi al cielo <<
Dev’essere tardissimo. >>
commentò un po’ preoccupato con una voce molto
più roca del solito, ancora
avvolta dal sonno. Mangiai un pezzo di pane degli elfi prima di seguire
il suo
sguardo lungo le nubi che correvano sopra la nostra testa
<< Non saprei
dire, il sole è poco visibile, le giornate si fanno
più scure e io non sono mai
stata in grado di capire l’orario guardando semplicemente il
cielo >>.
Boromir si portò una mano alla fronte, chiudendo gli occhi,
per riprendersi dal
sonno poi si alzò in piedi e cominciò a preparare
i cavalli per la partenza.
<<
Non mangi qualcosa prima? >> chiesi un po’
preoccupata, non poteva certo
cavalcare a stomaco vuoto! Mi sarebbe svenuto per la fame a
metà strada.
<<
Non c’è tempo, dev’essere molto tardi e
tu hai detto di avere fretta. >>
<< O
forse quello ad avere fretta sei tu. >> dissi senza
controllare le
parole. La mia frase colpì molto l’uomo in quanto
rimase in silenzio,
evidentemente avevo centrato il bersaglio. Mi alzai in piedi tenendo
stretto il
mio pezzo di Lembas e mi avvicinai a lui posandogli una mano su un
braccio
<< Capisco la tua nostalgia di casa, anch’io
ultimamente ne provo tanta.
Non vedi l’ora di rivedere il tuo popolo e poter
riabbracciare tuo fratello e
tuo padre, non è così? >> Boromir
mi lanciò un’occhiata piena di
significato in segno affermativo ma continuò a non
rispondere e a sistemare i
cavalli. Gli porsi il mio pezzo di pane << Tieni, devi
mangiare qualcosa.
La mia scorta dev’essere bene in forze altrimenti chi mi
proteggerà in caso di
attacco nemico? >> dissi facendogli un occhiolino,
Boromir si fermò
ancora e ancora una volta si voltò a guardarmi. Rimase un
po’ pensieroso
guardando il pezzo di pane che gli stavo offrendo poi
allungò la mano per
poterlo prendere, stavo per esplodere di gioia! Dalla sera prima
sentivo che
qualcosa era cambiato, stava forse cominciando a fidarsi? Era
magnifico, forse
se avessi continuato a muovermi sulla stessa linea d’onda
tutto sarebbe tornato
apposto, lui mi avrebbe di nuovo sorriso e avrebbe smesso di odiarmi, e
io
sarei potuta vivere in pace con me stessa.
Ma avevo
cantato vittoria troppo presto.
<<
Stai forse cercando di incantarmi un’altra volta?!
>> disse tornando a
parlarmi con astio e sentii un fracasso di vetri rotti dentro di me,
aveva
distrutto un’altra volta le mie speranze. <<
Non cadrò nei tuoi tranelli,
non più! Ti porterò a Minas Tirith come promesso,
ma non pensare di averla
vinta per questo! Ti terrò d’occhio e al primo
passo falso sei finita! >>
<< Io
non voglio incantare nessuno!! >> cercai di difendermi.
Mi ero alzata
abbastanza di buon umore, la mattina era partita a meraviglia,
perché doveva
distruggere tutto così?
<<
L’hai già fatto una volta, puoi benissimo farlo
ancora! >>
<< Ma
di che parli? Io non ho fatto niente! >> e ancora una
volta non ricevetti
risposta ma un semplice sguardo carico di odio e irritazione, sguardo
che mi
fece rabbrividire e persi nei meandri
dell’oscurità altri pezzi del puzzle che
componevano il mio cuore, pezzi che mai più avrei ritrovato.
Boromir montò a
cavallo e sempre guardandomi nervoso mi incitò a fare
altrettanto. Sospirai e
abbassai lo sguardo rattristata, ormai era inutile, non sarei riuscita
mai più
a far capire a Boromir che le mie intenzioni non erano affatto
malvagie,
desideravo solo ricevere da parte sua un briciolo, un millesimo,
dell’affetto
che provavo io nei suoi confronti.
Sistemai
tutto dentro le sacche appese alla sella del mio cavallo e salii
preparandomi a
un’altra folle corsa in completo silenzio, sentendo i minuti
cadermi addosso
sempre più pesanti. E così fu. L’unica
cosa che mi facevano compagnia erano i
nitriti dei cavalli e il vento che soffiava tra le rocce, mentre gli
occhi di
Boromir erano sempre fissi puntati all’orizzonte,
irraggiungibili per una come
me.
E la sera
arrivò.
Smontai da
cavallo sentendomi tutta intirizzita, desiderando solo sgranchirmi un
po’,
riposarmi e mangiare qualcosa. << Non dovremmo fermarci
qui. >>
disse Boromir senza scendere da cavallo, guardandosi attorno. In
effetti
fermarsi in mezzo a una foresta non era la cosa migliore,
chissà cosa si
nascondeva tra gli alberi, ma d’altronde ero troppo stanca,
non sarei riuscita
ad andare avanti e chissà quanto mancava prima di poter
uscire da quella coltre
di alberi e arbusti.
<<
Cercheremo di essere il più invisibili possibile, non
attireremo l’attenzione
su di noi, magari evitando di accendere il fuoco per questa notte
>>
consigliai cominciando a sistemarmi tra le radici di un albero, solo
dopo aver
controllato che non ci fosse la tana di qualche strano animaletto poco
piacevole.
<<
Farà molto freddo questa notte, lo sai? Se non accenderemo
un fuoco sarà
difficile riuscire a resistere >> disse lui ma pareva
già essersi
convinto in quanto scese da cavallo e cominciò a sistemarsi.
<<
Abbiamo i mantelli elfici a coprirci, basteranno >> o
almeno speravo.
Almeno Boromir aveva addosso camicia, maglia, giacca e
quant’altro, io invece
avevo un semplice corpetto smanicato e il mantello, perciò
cominciai a pregare
affinchè il forte freddo previsto non fosse poi
così forte.
La serata
fu terribile, il freddo cominciava a farsi sentire e neanche i manti
elfici
sembravano darmi sollievo, per di più la mancanza di luce mi
tormentava, a ogni
singolo rumore cominciavo a tremare per la paura. Forse Boromir aveva
ragione,
forse non era il posto adatto per accamparci.
Mi alzai e
decisi di andare a fare due passi, certo senza allontanarmi troppo, ma
quel
tanto che bastava per riscaldarmi un po’ almeno muovendomi.
<< Non
dovresti andare in giro da sola >> mi disse Boromir dalla
sua posizione:
steso a terra con gli occhi chiusi. Avevo pensato stesse dormendo e
invece
continuava a tenermi d’occhio!
<<
Rimango qui nei paraggi, non vado lontano, giuro. Ho bisogno di
muovermi o
rischio di impazzire >>
<< O
di congelare. >> concluse lui aprendo gli occhi e
alzandosi su di un
gomito per guardarmi. Aveva colto nel segno! Non gli diedi la
soddisfazione di
dirgli in faccia che aveva ragione, evitai di rispondergli, mi voltai e
mi
allontanai di qualche passo.
Ma ancora
una volta Boromir aveva ragione, purtroppo. Era meglio se rimanevo
lì dov’ero!
Invece no! Devo lasciarmi coinvolgere dai miei capricci! E
così mi ritrovai
appesa su di un ramo, all’interno di una rete sbucata dal
nulla da sotto i miei
piedi. Lanciai istintivamente un urlo, urlo che attirò
subito l’uomo nella mia
zona, il quale appena arrivato mi guardò facendo trapelare i
suoi pensieri “te
l’avevo detto”.
<<
Che ci fai là sopra? >> mi chiese con
noncuranza avvicinandosi alla rete
<< Mi godo il panorama. >> dissi sarcastica
<< Secondo te?! Mi
tiri giù per favore o devo mandarti un gufo postino come in
Harry Potter?
>> chiesi irritata della situazione, non mi piaceva stare
lì anche perché
chiunque avesse messo quella trappola sicuramente non era molto lontano
e
poteva arrivare da un momento all’altro e non sarebbe stato
una bella
situazione.
<<
Mai sentito parlare di gufi postini, e comunque >> si
fermò sotto di me
<< Perché dovrei? >>
sghignazzò << Stai così bene
lassù
>>.
Cosa? Era
impazzito! Voleva veramente lasciarmi lì alla
mercè di orchi e chissà quali
creature? Non poteva farlo! Aveva promesso!
Lui…l’avrebbe fatto davvero?
Sfoderò la
spada e lì cominciai ad andare nel panico. Voleva uccidermi!
Sicuramente
l’aveva messa lui la trappola in un momento in cui non
guardavo, perché diavolo
mi ero fidata? Come potevo solo immaginare che avrebbe accettato di
accompagnarmi a Minas Tirith considerandomi una strega?
<<
Boromir, ti prego! >> supplicai agitandomi nella mia
gabbia di corde
<< Ti ho salvato la vita! Come puoi ripagarmi in questa
maniera? Io non
ho fatto niente! Volevo solo aiutarti! >>
<<
Ehi!! >> brontolò lui allargando le braccia
<< Guarda che non ho
intenzione di ucciderti! Volevo solo tagliare le corde ma se non la
smetti di
muoverti rischierò di colpire anche te >>.
Che
sciocca. Come avevo potuto anche solo dubitare della sua buona fede,
era un
uomo di Gondor, dal grande cuore e dall’animo fedele. Non mi
avrebbe mai fatto
del male. Tirai un sospiro di sollievo, si era solo voluto prendere
gioco di
me, una piccola burla che mi era quasi costata un infarto. Rimasi
immobile
aspettando che lui mi liberasse ma la sua lama dovette aspettare un
altro po’
prima di riuscire a tagliare le corde della mia galera.
Dal fitto
bosco apparvero una quindicina di orchetti sghignazzando e guardandomi
con
l’acquolina in bocca << Bel bocconcino siamo
riusciti a catturare
>> commentarono << Anche meglio di quello
che ci aspettavamo
>> aggiunse uno di loro. Boromir fece un sospiro per
raccogliere le
energie, o forse semplicemente per evitare di mandarmi a cagare, e si
preparò a
combattere afferrando con la mano libera il suo scudo.
<< E
tu chi sei, il cagnolino? Poco male, avremo carne in più
>> sghignazzò
quello che pareva essere il capo della combriccola <<
Boromir è il mio
nome, sono figlio di Denethor sovrintendente di Gondor, seduto sul
trono di
Minas Tirith finché il Re non farà ritorno. E il
vostro “bocconcino” è la mia
protetta, perciò scordatevi di fare colazione con lei domani
mattina >>
Ebbi dei
brividi lungo la schiena nel sentirmi chiamare “la mia
protetta”, brividi
piacevoli, brividi che mi fecero capire che infondo, anche se mi
odiava,
avrebbe mantenuto fede alla sua promessa e mi avrebbe scortato a Minas
Tirith
sana e salva. Ma la cosa non mi tranquillizzava affatto! Ero sospesa su
di un
imminente campo di battaglia, dovevo rimanere immobile a guardare
mentre quelle
putride creature cercavano di uccidere…lui. Non un uomo
qualsiasi ma LUI. Che
il destino volesse fare i conti con me? Che magari la morte fosse
tornata sui
suoi passi per richiedere un’altra volta il suo premio?
<< No, no!
>> mormorai agitandomi nella mia gabbia. Gli orchi si
lanciarono
sull’uomo furiosi e impetuosi, come un’onda che si
infrange sugli scogli.
Boromir era reduce di una lunga cavalcata, era stanco anche
perché mi aveva
rivelato che la sera prima aveva avuto difficoltà
nell’addormentarsi, per
questo la mattina era tanto intontito. E la sua stanchezza si notava
molto bene
in battaglia: era più lento e sfoderava colpi sempre con
meno forza. Quegli
stupidi orchi non lo lasciavano in pace! Dovevo fare qualcosa o sarebbe
morto
sotto i miei occhi!
<<
No, no! >> urlai più forte cominciando a
dimenarmi. Vidi l’uomo cadere in
ginocchio dopo aver parato il colpo di uno di loro e sentii rinascere
in me
quella paura che credevo di aver dimenticato: la paura di perderlo per
sempre.
<< Lasciatelo!! >> urlai disperata tentando
di liberarmi come
meglio potevo, cercando di rompere le corde con le mani, cercando di
uscire
dall’alto, dove il sacco di corde si chiudeva, ma era tutto
inutile, mi era
impossibile uscire.
Un altro
colpo, più forte del precedente, scaraventò
Boromir a terra che si lamentò
come un cane bastonato. Si voltò di spalle
rispetto a me che ero in alto, posò le mani a terra cercando
di rialzarsi <<
Voltati!!! >> gridai riuscendo a farlo girare appena in
tempo per parare
un altro colpo. Allontanò l’orco da lui con i
piedi, si rialzò con fatica,
sentivo il suo respiro affannato da là sopra. Mi sentivo
responsabile di tutto.
Boromir stava per essere ucciso a causa mia! Mi dimenai ancora, in
preda alla
disperazione più incredibile e urlando in continuazione
<< No! Lasciatelo
stare! >>. Ma niente: ero invisibile! Gli orchi
continuavano a
scaraventarsi sull’uomo senza dar lui tregua, e vedevo le sue
energie
affievolirsi sempre più. Faceva sempre più fatica
a rialzarsi, faceva sempre
più fatica nel sferrare colpi di spada e la sua bocca era
spalancata in cerca
di aria che pareva non arrivasse ai suoi polmoni.
<<
Basta! Basta, per favore! Lasciatelo stare >> gemetti
un’altra volta e
sentii la gola andare in fiamme mentre gli occhi avevano di nuovo
ripreso a
versare lacrime. Da quando mio padre se n’era andato troppo
spesso avevo
pianto, ma superati i 15 anni mi ero perfino dimenticata cosa fossero
le lacrime.
Avevo una teoria a proposito: avevo sofferto così tanto che
mi ero resa immune
a qualsiasi altro dolore, avevo finito le lacrime, o per lo meno ci
sarebbe
voluto qualcosa di decisamente più forte per farmi piangere
ancora. Ed ora
eccomi lì, in quei giorni non facevo altro che piangere a
causa di quell’uomo
che più di tutti mi disprezzava e più di tutti
non si fidava di me.
<<
Boromir vattene! >> gridai ancora e quelle parole penso
lo colpirono in
quanto si voltò a guardarmi quasi
sconvolto. Tremavo per la paura, tremavo per la rabbia e per la
disperazione,
mentre lacrime incessanti sgorgavano dai miei occhi come fiume in
piena.
<<
Lasciami qui! Vattene, mettiti in salvo! Ti prego! >> Lo
sguardo di
Boromir si spostò subito da me agli orchi di fronte a lui e
si caricò di
energia nuova, nata da chissà quale recondito punto della
sua anima. Sembrava
un’altra persona, con urla di sfogo sferrava colpi secchi e
pesanti, colpi che
andavano subito a segno e che uccidevano sul colpo.
Nel giro di
pochi minuti vennero tutti uccisi e Boromir era l’unico
rimasto ancora in
piedi, anche se con il fiatone e un po’ chinato in avanti,
esausto. Si
raddrizzò subito e tornò a posizionarsi
sotto di me. Con uno zac zac degno di Zorro riuscì a
tagliare le corde della
mia trappola e io caddi giù, atterrando tra le sue braccia
che nonostante la
fatica sembravano ancora ben salde. Ogni giorno mi stupivo sempre di
più della
forza degli uomini di Gondor, era qualcosa che non avevo mai visto
prima,
qualcosa che probabilmente era stata presente anche nel mio mondo ma
che da
tempo era stato dimenticato, dai tempi dei grandi cavalieri e delle
bellissime
dame del medioevo, molto probabilmente.
Era un
sollievo per me riuscire a constatare che entrambi eravamo ancora vivi,
il
cuore rallentò pian piano la sua corsa e le lacrime di
dolore si trasformarono
in lacrime di gioia. Boromir mi mise in piedi con molta delicatezza, mi
scompigliò un po’ i capelli con fare affettuoso e
senza dire nient’altro
sistemò nel fodero la spada e tornò laddove
avevamo posato le nostre cose e
legati i cavalli.
<< Te
l’avevo detto che non era il caso allontanarsi
>> mi riproverò
stendendosi nuovamente per terra e chiudendo gli occhi per riposare, ne
aveva
bisogno, vedevo ancora il sudore gocciolargli giù dalla
fronte, sudore causato
dalla fatica immane che aveva fatto per salvarmi la pelle. Non dissi
niente
anche se il mio “mi dispiace” echeggiava nella
foresta come se lo stessi
urlando. Mi sentivo un’incapace, un peso solamente e dovevo
la vita all’uomo
che ora dormiva a pochi metri da me. Beh, una volta per uno. Tempo
prima ero
stata io a salvarlo, adesso lui. Il suo debito era stato saldato.
Già.
Non aveva
più niente in dovere nei miei confronti. Perché
proprio in un momento come
quello dovevano tornarmi alla mente le parole di Saruman? “Tu
avevi
cercato disperatamente di salvarlo nei tuoi ultimi attimi con lui, e
ciò ha
creato in lui un forte senso di riconoscenza che desiderava colmare il
prima
possibile. Si sente in debito nei tuoi confronti e voleva pagare questo
debito
prima di lasciare questo mondo.”
Solo un forte senso di riconoscenza, solo il desiderio di pagare il
debito. E se fosse stato veramente così? Se Boromir
veramente mi era vicino
solo per quel motivo? Allora da quella sera l’avrei perduto
per sempre di
vista. Ma ormai che altro poteva ferirmi? I colpi di coltello andavano
a
centrare sempre le stesse ferite e non sentivo più dolore
ormai. Ero arrivata
al limite, oltre il quale non è possibile soffrire di
più.
Provai a stendermi sulla terra secca e
tentai di chiudere gli occhi, ma non riuscii ad addormentarmi. Il
freddo era
troppo pungente e i fremiti mi impedivano di addormentarmi. Non
riuscivo a
smettere di tremare, se tutto fosse andato bene avrei semplicemente
passato la
notte in bianco, altrimenti sarei morta assiderata lì, in
quel bosco
abbandonato, in mezzo all’oscurità, destinata a
diventare il pasto di qualche
creatura, chissà quale.
Ma qualcosa accadde ancora, le sorprese
parvero non voler finire quella sera. Sentii Boromir alzarsi dalla sua
posizione,
alle mie spalle, e nel giro di pochi secondi, giusto il tempo di
voltare la
testa, lo vidi stendersi accanto a me e coprire entrambi con il suo
mantello
<< Ti avevo detto anche che avrebbe fatto molto freddo
>> sussurrò
cingendomi il ventre con un braccio e stringendomi a sé.
Improvvisamente il
freddo scomparve, anzi mi parve quasi di avere troppo caldo.
Ero…troppo vicina
a lui. E il suo braccio intorno al mio corpo mi faceva perdere la
testa.
L’emozione vorticava in me come impazzita, facendomi girare
la testa come mai
mi era successo. Il corpo robusto dell’uomo attaccato al mio,
alle mie spalle,
il suo braccio che sicuro mi teneva stretta per i fianchi e il suo
mantello
caldo che ci scaldava entrambi. Qualcosa di inspiegabile. Mai e poi mai
mi sarei
immaginata una situazione del genere, in un momento come quello
soprattutto. Ma
quello fu un magnifico gesto che in un attimo cancellò tutti
i dubbi dalla mia
testa, dentro di me, una piccola vocina sottile, continuava a ripetermi
che
Boromir nonostante dimostrasse di disprezzarmi in realtà una
piccola parte di
lui era affezionata a me. Altrimenti mai si sarebbe comportato in
quella
maniera. Certo, non pretendevo troppo, era sicuramente una piccolissima
e
sottilissima parte di lui, ma almeno c’era. Forse ecco
perché Aragorn aveva
detto che lui più di tutti si era sentito tradito,
è più brutto quando a
tradirti è una persona a cui tieni anziché uno
sconosciuto. Sorrisi beata e se
fino a quel momento non avevo desiderato altro che arrivare il prima
possibile
a Minas Tirith, porre fine a quella brutta storia, dopo quel gesto
così pregno
di dolcezza cominciai a pregare che tutto ciò non si
avverasse, che il tempo si
fermasse in quel preciso istante e che rimanesse così per
sempre. Mi strinsi un
po’ più a lui sentendo il suo fiato sul mio viso,
provenire da dietro di me,
come una dolce ninna nanna e smisi di tremare.
<< Va un po’ meglio? >> mi
chiese lui sempre con quella dolcezza infinita che dai tempi di Moria
non mostrava
più nei miei confronti. Annuii
e tentai
di mettermi più comoda, altrimenti mi sarei svegliata
l’indomani senza qualche
arto per colpa della circolazione che si sarebbe fermata. Anche Boromir
fece
altrettanto e dopo avermi chiesto di alzare la testa posò
sotto il mio collo il
suo braccio destro, mentre il sinistro ancora mi cingeva i fianchi.
Posò la
testa sulla sua spalla destra, quella a terra, e mi strinse di
più a sé con
entrambe le braccia. Io intanto mi ero voltata verso di lui, portando
così il
volto tra i suoi vestiti all’altezza del pezzo e
accucciandomi tra le sue
braccia.
Fu la notte più bella della mia vita.
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Capitolo 12 *** "Lui più di tutti si è sentito tradito" ***
Anche la mattina
dopo fui io a svegliarmi
per prima, Boromir era così stanco, aveva bisogno di dormire
e di riprendere le
energie che in quei giorni aveva perso così velocemente.
Aprii gli occhi e
quasi mi spaventai quando vidi che il suo volto era a pochissimi
centimetri dal
mio. Nella notte o io mi ero tirata un po’ su o lui era sceso
un po’ giù, tanto
da trovarci alla stessa altezza, con le fronti che quasi si toccavano.
“Certo
che risvegliarsi in questa maniera è pericoloso!”
pensai sentendomi in forte
imbarazzo: quasi avevo avuto un infarto! Ma dopo essermi concessa un
paio di
minuti per riprendermi tornai a rilassarmi, senza muovermi da
lì, non mi era
mai stata la possibilità di stargli così vicino e
volevo godere ancora un po’
di quel privilegio. Da così vicino potevo vedere bene quelle
piccole rughe ai
margini dei suoi occhi che segnavano i suoi 40 anni e che raccontavano
una vita
passata nelle fatiche, fatiche che solo un uomo di valore come lui
poteva
sostenere. Alzai un braccio senza muovermi e muoverlo troppo per timore
di
svegliarlo e lo portai delicato sul suo volto scostandogli i capelli e
accarezzandogli con la punta delle dita la barba pungente. Sentivo il
cuore
battere incessantemente, ma non riuscivo a darmi una regolata,
consideravo
quello un bellissimo dono e desideravo godermelo fino alla fine, anche
perché…chissà se avrei mai avuto
un’altra occasione. Saremo arrivati a Minas
Tirith in giornata, sarei sopravvissuta all’assedio della
città? Sarei riuscita
a salvare Faramir? Quante domande che non trovavano sollievo in nessuna
risposta, e io ero stufa di quella posizione così precaria
sulla lama di quel
coltello. Continuai ad accarezzare il suo volto e scostai le mie dita
dalla sua
pelle solo per un attimo, quando lo sentii deglutire per paura che si
fosse
svegliato, ma capii presto che dormiva ancora. A quanto pare aveva il
sonno
pesante. Aveva la pelle così ruvida, rovinata dalla polvere
e dall’avventura,
niente che un po’ di riposo e un buon bagno caldo avesse
potuto cancellare,
anche se forse non del tutto. Era bello come un Dio, ma non immortale
come lui:
l’età stava prendendo anche lui, granello per
granello, come sabbia in una
clessidra.
Portai le mie dita oltre la semplice
guancia, spingendomi
un po’ più in là,
per vedere fin dove mi era concesso arrivare, e sfiorai le sue labbra
un po’
secche, un po’ sciupate, ma nonostante tutto non avevano
perso completamente la
loro morbidezza e consistenza. Boromir non si mosse di un centimetro, e
questo
mi incitò a non smettere di ammirare quella meraviglia che
avevo davanti, e mi
incitò…a spingermi ancora oltre. Forse
inconsciamente o forse perché la
consapevolezza che aveva il sonno pesante mi aveva accecata
completamente,
spinta solo dal desiderio e dalla curiosità.
Posai delicatamente le mie labbra sulle
sue. Una scarica elettrica mi colpì violentemente, facendomi
tremare,
rendendomi debole a qualsiasi cosa, facendomi girare la testa,
rischiando di
farmi svenire. Nonostante le fatiche, il viaggio e
l’avventura l’avessero
costretto a curarsi poco, nonostante il suo odore di sudore fosse
così forte,
nonostante il suo sapore era così pungente, un po’
sgradevole a primo impatto, scoprii
subito che amavo più di qualunque altra cosa quel suo lato
da guerriero, quel
suo lato rude, pungente, acre, un po’ fastidioso, quel suo
lato di VERO uomo.
Mi era capitato in passato di baciare altri ragazzi e avevano
sicuramente avuto
un sapore più piacevole del suo, ma nessuno di loro era
paragonabile a quello,
nessuno di loro mi aveva mai dato emozioni così forti,
emozioni che quasi
sfioravano il sublime.
Mi scostai da lui con così poca voglia,
ma non volevo esagerare, quello che volevo fare l’avevo
fatto, forse anche
troppo avventatamente…no…sicuramente troppo
avventatamente. Come al solito non
pensavo prima di agire! Mi lasciavo trascinare dall’istinto
senza pensare agli
effetti collaterali, come per esempio quello che Boromir si sarebbe
potuto svegliare!
<< Che idiota!! >> dissi
istintivamente alzandomi di colpo da terra nell’istante in
cui aprendo gli
occhi avevo visto i suoi blu puntati su di me.
Ok, ero pronta per morire, all’istante!
Forza! Perché non venivano fuori gli orchi quando ce
n’era bisogno? Mi sarei
anche scavata la fossa da sola, non avevo problemi, basta che mi
avrebbero
ucciso all’istante togliendomi di dosso quella vergogna
così pesante.
<< Scusami, io…non so cosa mi sia
preso >> tentai di giustificarmi scioccamente mentre mi
voltavo di
spalle, incapace di guardarlo in volto. Lo sentii muoversi dietro di
me,
sentivo il rumore di foglie spezzarsi sotto i suoi passi e della terra
scostarsi ai suoi movimenti, segno che si stava alzando. Mi voltai
lentamente,
guardandolo con la coda dell’occhio, sentivo il volto
bruciare come non mai!
Boromir mi venne incontro con una strana luce negli occhi, ok, lo
sapevo!
L’avevo fatto imbestialire! Oddio, mi avrebbe uccisa! Io
l’avrei fatto.
Mi voltai completamente e indietreggiando
di qualche passo cercai di sorridere , tanto per sdrammatizzare
<< Mi
dispiace immensamente! Qualche diavoletto si dev’essere
impossessato di me,
dimentichiamo la faccenda e mettiamoci in marcia! Altrimenti faremo
tardi
>> dissi un po’ balbettante più per
la vergogna che per la fretta o la
paura che si fosse arrabbiato. Boromir era già arrivato
vicino a me e ancora
non aveva detto una parola, tentai di voltarmi e solo allora
mostrò la sua
reazione prendendomi delicatamente per un polso <<
Aspetta >> mi
sussurrò con un tono che mai aveva usato con me, un tono che
nemmeno sapevo che
aveva, un tono che…nemmeno saprei descrivere. Forse era
curiosità? Forse
emozione? O forse entrambe le cose mischiate con una buona dose di
dolcezza.
Rimasi paralizzata, probabilmente smisi di respirare, confusa e agitata
com’ero. Vidi solo il suo volto avvicinarsi lentamente al
mio, un po’ incerto,
i suoi occhi scrutavano in continuazione il mio viso in un modo che mi
fece
venire i brividi. Ma niente di tutto quello che avevo provato fino a
quel
momento era paragonabile a ciò che provai quando sentii
Boromir premere le sue
labbra contro le mie, dapprima delicatamente, quasi avessero paura di
far loro
del male. Chiusi istintivamente gli occhi non riuscendo più
nemmeno a percepire
il mio cuore, probabilmente esploso, e sentii Boromir farsi
più deciso in
quello che divenne presto un bacio da favola. Dischiuse le labbra e
istintivamente feci altrettanto, sentendomi morire quando le nostre
lingue si
toccarono inizialmente un po’ timide, poi lasciandosi
coinvolgere da una dolce
danza fatta di carezze. Boromir posò poi una mano delicata
sul volto, quasi
volesse impedirmi di scappare, mentre l’altra la
posò dietro la mia schiena e
mi premette contro il suo corpo imponente in confronto al mio tanto
gracile. Il
mio corpo, già. Avevo perso completamente la
sensibilità dalla testa in giù,
non riuscivo a capire nemmeno se avessi le braccia stese lungo i
fianchi o
stessi abbracciando Boromir. Non capivo. Non capivo assolutamente
niente se non
che quello era il più bello dei sogni.
Ma si sa, prima o poi ci si deve
svegliare. E così anche quel sogno terminò, molto
delicatamente, senza molta
fretta, dando il tempo alle labbra di riabituarsi pian piano alla
solitudine e
alla lontananza delle altre. Ma capii solo dopo aver riaperto gli occhi
e aver
visto che anche lui faceva altrettanto che quel sogno era stato
interrotto a
causa mia. Io avevo dato modo a Boromir di allontanarsi dal mio volto
per
poterlo guardare incuriosito, un volto ora bagnato completamente dalle
lacrime.
Boromir non mi fece la domanda con la voce ma con gli occhi, non capiva
perché
io stessi DI NUOVO piangendo. Che figuraccia! Come avevo potuto
rovinare tutto
lasciando trasparire così palesemente la mia emozione? Ma
era più forte di me.
Era una battaglia che avevo già perso
molto tempo addietro.
Mi coprii la bocca con una mano e chinai
la testa lasciando che alcuni lamenti uscissero dalla mia gola.
<< Non sai da quanto tempo ho
sognato tutto questo >> confessai spezzando la voce dai
singhiozzi e dai
lamenti, facendogli così capire il perché di quel
mio comportamento. Erano
lacrime di gioia le mie, finalmente…tutto aveva senso.
Vedevo l’alba!
Un arcobaleno dopo la tempesta,
finalmente tutto era più chiaro e colorato, finalmente
quelle tenebre così
opprimenti erano sparite! Finalmente non ero più sola,
finalmente avevo trovato
ciò che più di qualunque altra cosa desideravo,
avevo raggiunto l’obiettivo che
mi ero prefissata inizialmente, prima di cominciare questo viaggio. Ero
riuscita, non ero una fallita. Finalmente. Lui era vivo, ed era
lì davanti a me
che ancora mi stringeva, cercando di asciugarmi le lacrime con le sue
mani così
ruvide, così sporche e piene di calli e ferite, ma
così salutari per la mia
anima, così rigeneranti per le ferite che avevo addosso.
Erano tutto ciò che
volevo, non desideravo altro. Mi sentivo finalmente realizzata.
Ma tutto ciò che era successo quella
mattina non mi fece dimenticare il motivo per cui ero partita alla
volta di
Minas Tirith, anzi rinforzò in me il desiderio di arrivare
il prima possibile.
Volevo salvare Faramir, dovevo farlo non solo per la sorte della Terra
di Mezzo
ma anche perché non volevo che niente scalfisse quel cuore
che ora batteva così
vicino al mio. Boromir doveva rimanere intatto, l’avrei
protetto come un fiore
delicato, tenendolo tra le mani senza stringerlo troppo, offrendogli
luce, donandogli
acqua. Avrei fatto tutto ciò che era in mio potere. Da
quando ero arrivata
nella Terra di Mezzo avevo vinto così tante battaglie e
niente mi impediva di
riuscire a vincere anche quest’ultima missione che mi stavo
prefiggendo.
Mai avrei fallito.
Mi allontanai da lui sorridendogli e
asciugandomi le lacrime come potevo con le mani << Meglio
andare adesso,
o arriveremo troppo tardi >>. Boromir annuì,
ancora non aveva parlato
troppo. Strano. Che ci fosse qualcosa che lo turbava? Forse avevo
sbagliato i
miei calcoli, forse qualcosa non andava in quel bacio. C’era
qualcosa che non
lo convinceva, ma non mi diede modo di domandare. Stava preparando il
suo
cavallo quando cominciò a parlare << Sai cosa
temo ora? >> mi
voltai a guardarlo: aveva gli occhi puntati sulla sella del suo
cavallo, e
stringeva lacci di cui non capivo l’utilità, forse
era solo un modo per sfogare
i suoi turbamenti su qualcosa di materiale.
<< Sono sempre stato molto
diffidente nei tuoi confronti, ho sempre cercato di starti lontano, di
non
darti niente di me e di non riceve niente da te, perché
SAPEVO che non ne sarei
uscito alla stessa maniera. Ma questa mattina tu hai rovinato tutto.
>>
ammise, sinceramente non riuscivo a seguire bene i suoi discorsi, non
ne capivo
i nessi.
Cosa avevo fatto, questa volta? Dove
avevo sbagliato?
<< Se tu… >> continuò
un po’
titubante e con un pizzico di irritazione negli occhi, qualsiasi cosa
fosse lo
faceva arrabbiare e ciò mi distruggeva emotivamente
<< Se tu mai dovessi
tradirmi di nuovo, come temo che succederà (dopo
ciò che è successo l’altra
sera con Pipino non riesco più a fidarmi di te, perdonami!),
il giorno che
deciderai di tradirmi ancora, dimostrando la tua natura malvagia, non
penso che
riuscirei a resistere come ho fatto in passato. Sarebbe un duro colpo
da attutire.
>>
“Lui
più di tutti si è sentito tradito, è
solamente accecato dalla rabbia.” La
voce di Aragorn risuonava così forte nella mia testa che era
difficile riuscire
a sentire altro. Ora capivo. Boromir già da tempo aveva
cominciato a vedermi
con occhi diversi, aveva da subito riposto in me grande fiducia e aveva
cominciato a provare affetto nei miei confronti, più degli
altri. Per questo il
colpo per lui era stato maggiore rispetto agli altri, per questo lui si
era
sentito tradito, non riusciva ad accettare il fatto che una come me
potesse far
parte delle forze del male, e sicuramente c’era anche un
po’ di orgoglio di
Gondor: l’idea di aver riposto tanta fiducia e tanto affetto
nella persona
sbagliata lo tormentava.
<< Ma ormai è tardi, non posso più
tornare indietro, devo solo sperare che le tue parole siano vere e in
caso non
fosse così devo sperare di trovare la forza giusta per
contrastare il colpo che
mi assesterai >> concluse il suo monologo prima di
prepararsi a salire,
ma non lo fece subito, lo fermai afferrandogli un braccio con la mano e
guardandolo seria dritto negli occhi << Non ti
tradirò mai più, lo giuro.
E…presto capirai che nemmeno quella sera alla fortezza di
Rohan ti ho tradito,
presto capirai tutto, te lo assicuro. Portami a Minas Tirith, fammi
fare ciò
che devo fare e dopodiché potremo sederci a parlare e saprai
tutto ciò che c’è
da sapere >>. Boromir
continuò a
guardarmi torvo, speravo in un segno della sua fiducia invece ancora
niente,
sempre il solito sguardo diffidente che questa volta era anche colmo di
tristezza.
<< Lo spero >> disse
solamente prima di salire sul cavallo << Non posso fare
altro per ora che
sperare. >>
Non aggiunsi altro. Non ce n’era bisogno,
i fatti avrebbero parlato al posto mio. Salii sul mio cavallo e
partimmo alla
volta di Minas Tirith, più veloce che mai.
L’arrivo
a Minas Tirith fu molto diverso
da come me l’ero ideato. Mi ero immaginata di arrivare
davanti a questa
magnifica fortezza colorata di bianco, di salire per le vie, su per i
vari
cerchioni, fino al quinto cerchione dove avrei trovato Denethor e
Faramir,
pronti ad essere salvati. Invece niente di tutto ciò
c’era. La fortezza era
colorata di bianco, di rosso delle fiamme e di nero della cenere, e i
campi
davanti a me erano completamente neri, invasi dagli orchetti in piena
lotta
intenti a sfondare i cancelli della città con il loro
ariete. Rimasi immobile,
davanti a quello scenario, ancora lontano ma che presto avrebbe
risucchiato
anche me nelle loro tenebre.
Non riuscivo a dire una parola, così come
Boromir che si fermò accanto a me qualche secondo a guardare
con dolore la sua amata
casa che veniva data alle fiamme.
<< Siamo in ritardo >>
commentai prima di cominciare a cavalcare verso l’entrata ma
fui fermata da
Boromir che mi corse davanti e mi bloccò la strada
<< Sei pazza? Non ce
la faremo mai ad entrare per la porta principale! >>
<< Non ci sono altre vie, Boromir!
E io devo raggiungere il quinto livello in… >>
guardai la situazione
della battaglia, la porta era quasi sfondata, segno che mancava
pochissimo
tempo << In meno di 10 minuti. O forse preferisci
rimanere qui a guardare
mentre la tua città viene distrutta? >> Sapevo
come prenderlo, sapevo che
l’unico modo per convincerlo era pizzicare il suo orgoglio di
cavaliere, il suo
orgoglio di capitano delle guardie di Gondor.
Boromir si spostò per lascarmi andare e
si voltò verso i campi Pelennor pronto a buttarsi anche lui
nella mischia
<< Moriremo sicuramente >>
commentò preparandosi a cavalcare. Aveva
ragione, non saremo giunti in cima tanto facilmente <<
Per questo
>> intervenni bloccando la sua corsa << Tu
rimarrai qui. Aspetterai
l’arrivo di Aragorn, ti unirai alle sue truppe e insieme
combatterete per la
tua città. Io mi avvio immediatamente invece, ho poco tempo
>>.
<< Non ti lascerò andare da sola
verso la morte! >> Disse ancora Boromir ma non diedi lui
ascolto, non
potevo perdere altro tempo e cominciai a cavalcare verso la fine. Lui
ovviamente mi venne dietro e tentai di dissuaderlo ancora, non volevo
mettere a
repentaglio la sua vita ora che finalmente ero riuscita a prenderla tra
le mie
mani, ma fu tutto inutile. Era testardo e determinato.
<< Giurami solo che non morirai
>> chiesi quasi supplichevole, anche se sapevo che era un
giuramento
stupido, quando la morte allunga la sua mano non si può
contrattare con lei.
<< E tu giuralo a me >> mi disse.
<< Troppe promesse mi stai
chiedendo di farti >> risposi semplicemente, non ero
certa della riuscita
della mia missione ora che ce l’avevo davanti, anzi ero
sicura che mai ci sarei
riuscita, ma dovevo tentare! Non avevo altra scelta. In pochi minuti ci
trovammo in mezzo a quel telo nero formato da orchi e troll, non volevo
combattere, avrei perso tempo, per questo mi limitai a correre
più veloce
possibile evitando di trovarmi faccia a faccia col nemico.
<< Noro lim, noro lim! >>
incitai il cavallo in elfico anche se non ero certa lo comprendesse in
quanto
era un cavallo di Rohan, ma serviva più a me per caricarmi
che a lui come
incitazione. Non ero sicura che Boromir mi fosse ancora dietro, ma
stranamente
non mi passò nemmeno per la testa di controllare. Avevo per
la testa altre cose
e sapevo che se mi fossi fermata per dar di conto a lui ci avrei messo
più
tempo del previsto. Gli orchi mi si lanciavano addosso come lupi
affamati e io
riuscivo miracolosamente a saltarli o a schivarli, se non fossi stata a
cavallo
mi avrebbero presa sicuramente.
D’un tratto qualcosa mi colpì
scaraventandomi giù dalla sella. Mi ci volle un
po’ per capire di che si trattava:
un mannaro. Provai a indietreggiare terrorizzata mentre il mostro
mostrava le
sue zanne ma incontrai un ammasso di cadaveri che mi impedivano di
andare
troppo in là. Mi discostai un po’ disgustata, ma
dall’altra parte c’era il
mannaro che si stava preparando per saltarmi addosso. Il cavallo mi
aveva
abbandonata, scappando via da quell’inferno senza me.
<< Maledizione! >> imprecai e
sfoderai la spada pronta a difendermi…in una maniera o
nell’altra. Per fortuna
non ce ne fu bisogno: Boromir arrivò galoppando e in un
colpo secco gli tagliò
la testa. Ripresi a respirare normalmente, nemmeno mi ero accorta che
avevo
trattenuto il respiro per tutto quel tempo. Boromir mi venne vicino a
mi porse
la mano da sopra il suo cavallo incitandomi a salire il prima
possibile, e così
feci. Mi alzai velocemente e salii in sella, dietro di lui, e
cominciammo a
galoppare più veloce che mai, sferrando qualche colpo contro
coloro che
impedivano la nostra corsa. Per fortuna la maggior parte degli orchetti
erano
concentrati contro la fortezza e non facevano troppo caso a noi. La
porta venne
sfondata e un’ondata nera si riversò nelle strade
di Minas Tirith, e tra loro,
un po’ nascosti un po’ no, ci infilammo anche noi
riuscendo ad entrare. Il
primo cerchione era in fiamme, il panico si riversava nelle strade
mentre
soldati e altri uomini correvano verso il secondo cerchione per
mettersi in
salvo e per fortificare il cancello, sperando di riuscire a impedire
agli orchi
di arrivare fin lì. Superammo tutti con strabiliante
abilità, Boromir a cavallo
era fenomenale, sapeva perfettamente come guidarlo, sembravano un
tutt’uno. Mi
strinsi a lui per evitare di cadere quando saltammo un paio di cadaveri
e
qualche orchetto, poi finalmente entrammo nel secondo livello e gli
uomini
chiusero dietro di noi il cancello.
Ma Boromir fermò la nostra corsa.
Che diavolo voleva fare? Io dovevo
raggiungere immediatamente il quinto!
Scese da cavallo, lasciandomi lì da sola
e corse verso il cancello aiutando la sua gente a barricarlo
<< Da qui
puoi proseguire da sola! >> mi disse incitandomi con un
gesto della mano,
non voleva lasciare soli i suoi uomini che nel vederlo si erano
illuminati e
sembravano aver acquisito una forza in più,
un’energia persa in chissà quale
profondità abissale. << Capitano Boromir
>> azzardò uno di loro con
meraviglia e stupore << Bloccate il cancello! Usate
sbarre di ferro,
presto! >> ordinò e gli uomini
l’ascoltarono pieni di orgoglio. Era la
prima volta che lo vedevo in quella maniera, si era circondato di un
aura
azzurra, un aura regale, trasformandolo da semplice uomo di Gondor a una divinità. Ecco
perché la gente di Gondor lo
venerava tanto, ecco perché avevo visto la gioia negli occhi
degli uomini che
avevo di fronte: Boromir era un ottimo capitano, io stessa sarei scesa
e sarei
corsa a eseguire i suoi ordini con orgoglio se solo avessi potuto. Ma
no, io
avevo altro da fare. Presi le redini del cavallo e guardai la via
davanti a me
in maniera confusa: la gente era come impazzita e correva senza un
senso, senza
una ragione. Sarei mai riuscita ad arrivare in cima? Io non conoscevo
nemmeno
la strada! Mi voltai verso Boromir che continuava a dare ordini e ad
aiutare
nel bloccare l’enorme porta << Boromir, ricorda
che hai promesso!
>> mi riferii alla sua promessa di non morire, lui mi
rivolse uno sguardo
e sorrise per poi incupirsi di nuovo << Anche tu
>> mi disse
severo. Sapevo che non si riferiva alla promessa di “rimanere
viva” ma a quella
di non tradirlo ancora, e non l’avrei fatto, ne ero certa.
Annuii seria prima
di incitare il cavallo e riprendere la sua corsa e a malincuore lasciai
lì l’uomo
da solo. Avevamo passato giorni interi insieme, senza mai dividerci,
ora
lasciarlo lì da solo, in mezzo al pericolo, mi faceva male.
Temevo per la sua
incolumità come una madre per il proprio figlio andato in
guerra. Ma ero
determinata: dovevo salvare la sua famiglia, dovevo impedire al suo
cuore di
sanguinare ancora! Potevo farcela! Avevo ancora tempo. Se solo avessi
trovato
Gandalf per la via sarebbe stato tutto molto più semplice,
ma probabilmente lui
era più in alto insieme a Pipino, e andarlo a cercare era
solo una perdita di
tempo. Arrivai miracolosamente al quinto livello, lo percorsi tutto
alla
ricerca di quella dannata porticina che portava alle tombe degli
antenati di
Boromir e la trovai per fortuna con facilità. Era chiusa.
<< Hanno già cominciato, no!!!
>> gridai e corsi con il cavallo contro la porta che
sfondò con i suoi
zoccoli. Ero arrivata tardi. Il fuoco già divampava sulla
legna mentre alcune
guardie intorno restavano a guardare come manichini, perché
non faceva niente?!
Un lamento. Erano ancora vivi! Forse avevo ancora tempo. Corsi contro
il falò
ignorando le guardie che mi venivano incontro per impedirmi di
intervenire,
così come aveva chiesto Denethor. Salii in piedi sulla
groppa del cavallo e mi
lanciai temeraria tra le fiamme che per fortuna ancora non avevano
raggiunto i
corpi dei due uomini.
<< Chi diavolo sei tu? Levati dai
piedi! >> mi ordinò Denethor spingendomi con
una mano mentre con l’altra
stringeva il suo Palantir.
<< Non questa volta!!! >>
gridai furiosa, non volevo perdere, dovevo portare a termine la mia
missione a
tutti i costi, al diavolo le buone maniere e la gentilezza: ero
un’altra. Ero
una vera guerriera! Afferrai il braccio di Denethor e con la poca forza
che
avevo, rispetto a quella dell’uomo, riuscii ad evitare che mi
spingesse giù dal
falò. Tirai un calcio al Palantir che aveva tra le mani,
dovevo liberarmi di
quell’oggetto malefico! Il Palantir volò
giù dalla catasta di legna su cui
eravamo messi e Denethor, accecato dal desiderio di possederlo,
accecato dal
suo potere, strisciò tra le fiamme per riuscire a
riprenderlo ma così facendo
l’olio che aveva addosso prese fuoco e anche lui
cominciò a bruciare.
Ora il panico cominciava ad assalirmi,
che dovevo fare? Denethor bruciava poco distante da me, Faramir ai miei
piedi.
Abbassai la testa per guardare l’uomo in
volto, sembrava stesse dormendo ma si stava risvegliando, si agitava
forse per
il troppo caldo. Avvolsi il suo corpo con il mio mantello e stendendomi
su di
lui mi diedi con uno sforzo immane lo slancio per scivolare
giù da
quell’inferno, verso il pavimento freddo e sicuro. Tolsi
rapidamente il
mantello da dosso Faramir e cominciai a spegnere le piccole fiammelle
che si
erano accese sui suoi vestiti, riuscendo così a salvarlo. Ma
ancora non era
finita. Mi alzai in piedi e mi voltai verso Denethor per poter aiutare
anche
lui ma fu tutto inutile, avevo perso tempo dietro Faramir, ormai per
Denethor
non c’era niente da fare. Era steso sul freddo pavimento,
l’odore di carne
bruciata era insopportabile e potevo benissimo scorgere il Palantir ben
stretto
tra le sue dita mentre le urla di dolore pian piano cessavano.
Mi lasciai nuovamente cadere in ginocchio
di fianco a Faramir senza scollare gli occhi da di dosso
l’uomo che ora taceva
nelle fiamme della sua follia, mentre le guardie ancora lottavano
contro il
cavallo imbizzarrito. Troppe volte avevo vinto le mie battaglie contro
il
destino, questa volta avevo perso e il cuore non lo accettava, il
fallimento fu
duro, certo non duro come quello che provai nei giorni successivi alla
NON
morte di Boromir, ma era dura lo stesso. Guardai il volto di Faramir e
lo vidi
aprire debolmente gli occhi, mi guardò incuriosito ancora
con gli occhi
semichiusi, troppo debole per riuscire ad aprirli completamente. Mi
chinai su
di lui e gli accarezzai la fronte con fare affettuoso,
chissà quante poche
carezze aveva ricevuto nella sua vita, soprattutto da suo padre.
<< Va
tutto bene, Faramir >> sussurrai quasi non volessi
destarlo dal suo
sonno, anche se la mia voce tremava e non era per niente quieta
<< Ora
sei salvo. Riposa. >> continuai cercando di sforzare la
voce che mi
moriva in gola tanto ero dispiaciuta e sconfitta per la morte di
Denethor. Lui,
nonostante non mi conoscesse, parve fidarsi di me e richiuse gli occhi.
Gli
diedi un bacio sulla fronte bollente, probabilmente a causa di una
febbre nata
dalle ferite infertigli dagli orchi a Osgiliath, e lasciai che si
riaddormentasse. Certo, forse era un po’ esagerato da parte
mia trattarlo in
quella maniera, non mi conosceva nemmeno lui, ma negli anni vissuta da
esterna,
leggendo semplicemente le parole di Tolkien, mi ero immersa tanto nella
storia
che erano nati affetti verso i vari personaggi, come per esempio
l’amore per
Boromir, il profondo affetto nei confronti di Aragorn come fosse mio
padre, la
simpatia e un affetto da sorella maggiore verso Pipino e Merry,
l’ammirazione
nei confronti di Legolas e per Faramir era nato questo: un affetto
materno.
Forse perché leggendo di questo padre così
odioso, così simile al mio, non
potevo far altro che provare compassione per questo povero figlio, ed
era nato
in me il desiderio di dar lui ciò che gli era mancato: una
madre e un padre,
anche se sicuramente la sua età era maggiore della mia.
In quel preciso istante entrò di corsa
nella sala Boromir e si fermò a guardare la scena con gli
occhi confusi e
disperati.
<< Faramir >> sussurrò
vedendo suo fratello in coma sul pavimento, poi spostò lo
sguardo alle fiamme
<< Padre >> disse ancora più
sconvolto. Le guardie riuscirono a
fermare il cavallo e una di loro lo portò fuori dalla sala
mentre gli altri
accorrevano da Boromir e si inchinavano davanti al loro capitano.
Mi voltai a guardare l’uomo e vidi i suoi
occhi inumidirsi, sentivo il rumore del suo cuore spezzarsi in migliaia
di
pezzi. << Boromir >> piagnucolai, volevo
chiedergli scusa per non
essere riuscita a salvarlo, volevo cercare di consolarlo, volevo
asciugare le
sue lacrime.
Ma l’effetto fu diverso.
Boromir mi lanciò uno sguardo pieno
d’odio, si avvicinò a me con grandi passi e si
staccò dal cinturino intorno
alla vita il mio braccialetto, che notai solo in quel momento. Me lo
lanciò ai
piedi furioso e strinse i pugni. Guardai spaventata prima il
braccialetto poi
lui, che gli prendeva? Possibile che credesse che…fossi
stata io?
<< Sapevo che non dovevo fidarmi di
te! >> sibilò prima di alzare la voce
imponente << Sbattete in
galera questa traditrice >>.
Cosa? In galera? No! Perché? Non avevo
fatto niente!
Le guardie che erano rimaste nella sala
mi vennero vicino e mi presero per le spalle sollevandomi per portarmi
in
galera, cominciai a dimenarmi e a puntare i piedi per terra, non volevo
andare
in galera solo perché avevo deciso di fare la cosa giusta!
Maledizione Sophia,
forse avresti dovuto smetterla di fare la cosa giusta. Forse tutto
sarebbe
andato meglio se mi fossi veramente alleata con Saruman!
<< Boromir >> quasi urlai
cercando di contrastare le guardie che mi tiravano via <<
Non ho fatto
niente! Gli ho salvato la vita! Ti prego, devi credermi
>> il mio tono si
era fatto disperato, la gola grattava come spesso aveva fatto negli
ultimi
giorni. Boromir mi venne a pochi centimetri con il volto il fiamme: era
nero di
rabbia << C’è in tutto
ciò che mi hai detto UNA cosa, UNA dico, che sia
vera? Una sola! Dimmi chi sei? Perché a questo punto non
credo nemmeno nella
verità del tuo nome. >>
<< Tutto ciò che ti ho detto di me
è vero, non ti ho mai mentito >> le guardie
smisero di tirarmi per
permetterci di finire la discussione, anche se era qualcosa di davvero
abominevole. Non avevo mai visto Boromir tanto arrabbiato, e sapere che
lo era
con me, per qualcosa che NON avevo fatto, mi faceva cadere a pezzi. Le
lacrime
cominciarono di nuovo a sgorgare dai miei occhi, percorrendo ormai un
percorso
segnato dalle loro predecessori.
Boromir posò una sua mano sul mio volto e
con un dito mi accarezzò la guancia bagnata dalle lacrime,
poi si portò questo
dito davanti agli occhi, leggevo nei suoi occhi l’odio, il
disprezzo ma anche
la tristezza e il dolore.
<< I tuoi giochetti con me non
funzionano più. >> si allontanò da
me e volse lo sguardo a suo fratello
che giaceva ancora per terra << Portatela via
>> ordinò. Le guardie
cominciarono di nuovo a tirarmi via e io continuavo a tirarmi indietro,
non
poteva farmi questo! Non poteva trattarmi così, gli avevo
salvato la vita,
avevo salvato la vita a suo fratello! Perché?!
<< Boromir, Boromir! >>
continuai a gridare e a piangere, ma lui non si voltava nemmeno a
guardarmi,
era tutto inutile, ormai ero stata condannata a una vita miserabile.
Sapevo che dopo aver salvato Faramir mi
sarei dovuta ritirare in solitudine a raccogliere i pezzi del mio cuore
per
ricomporli, ma speravo che il bacio di quella mattina avesse sistemato
le cose,
speravo di non averne più bisogno, invece dopo quella
condanna da parte sua sentii
di doverlo fare nuovamente. Ma mai avrei sognato di doverlo fare
all’interno di
una cella buia e umida.
<< Boromir >> continuai
supplichevole affievolendo sempre di più la voce, ormai
stanca, ormai perdendo
le speranze << Ti prego >>
riprovai a sussurrare, senza neppure lottare contro le
braccia che
continuavano a tirarmi via << Ti prego >>
piansi ancora,
accasciandomi del tutto e lasciando che mi trascinassero. Sentivo
l’anima
staccarsi dal corpo, sentivo le forze sparire, i miei sogni diventare
bui, il
mio futuro cancellato, sentivo di non essere altro ora…se
non un bozzolo vuoto,
privo della sua farfalla.
<< Ti amo >> dissi
disperatamente prima di morire del tutto abbandonandomi al nulla
assoluto.
Venni portata nelle zone più oscure e arcane della fortezza,
laddove il sole
mai sarebbe potuto arrivare, laddove l’umidità
ingobbiva le ossa e dava libero
accesso ai reumatismi, laddove erano padroni topi e scarafaggi, laddove
l’odore
di muffa si mischiava a quello di marcio, di fogna e di cadavere,
laddove l’unica
luce proveniva da una piccola candela posta lontana da quella che
sarebbe
diventata la mia cella: la mia nuova casa.
Fui scaraventata dentro ma non opposi
resistenza, mi lasciai lanciare e
mi
accasciai a terra sbattendo le ginocchia contro la ruvida pietra. Ma
non mi
lamentai, non provai nemmeno dolore. Ormai era tutto inutile.
Ormai ero giunta alla fine di ogni cosa.
Ormai.
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Capitolo 13 *** Un'ombra che la notte ha cancellato. ***
Dal momento in
cui Boromir mi aveva
accusata ingiustamente sbattendomi in quel postaccio nessun pensiero
attraversò
la mia mente, nessun aquila si alzava in volo, tutto era immobile come
in una
giornata di gelo in inverno, dopo una lunga nevicata che ha lasciato
dietro di
sé solo morte e desolazione. Non c’era vento nel
mio deserto. Non c’era acqua
nel mio mare. Non c’era cuore nel mio petto.
Mi raggomitolai in un angolo della
prigione, tremando di freddo in quanto il mio mantello era rimasto a
Faramir e
quel posto era gelido e umido. Abbracciai le gambe e posai la testa tra
le
ginocchia mentre le immagini della sera prima mi attraversavano la
mente,
memorie ormai lungi dall’essere di nuovo mie,
benché vicine di poche ore. Ora
non potevo più contare sul suo mantello per scaldarmi, non
potevo contare sulle
sue braccia, sul suo calore, non potevo più contare su di
lui, non era lì con
me e mai ci sarebbe stato.
Mai.
Era dunque lì che avrei dovuto passare il
resto dei miei giorni? Quella sarebbe diventata la mia casa?
Già, la mia casa.
Quanto mi mancava. E la mia mamma, la donna più dolce e
gentile che avessi mai
incontrato, cosa avrei dato per poter rivedere il suo volto.
Chissà come si
stava disperando notando la mia scomparsa, ero sparita durante la notte
nel nulla,
senza salutare né avvisare. Povera la mia mamma. E mio
fratello, cosa avrei
dato per poterlo riabbracciare come una volta, stritolandolo come
potevo.
Invece ero lì, immersa nell’oscurità di
una prigione, inghiottita dall’oblio
del mio dolore, priva di futuro, lontana da tutto ciò che mi
apparteneva e che
faceva parte di me, insieme a una manciata di ricordi che non riuscivo
a
riconoscere né a trattenere.
<< Quale triste sorte incatena un
cuore incompreso >> mormorai tra me e me e sentii la mia
voce rispondermi
nell’eco della montagna, mia unica compagna.
<< In cuor di donna, quanto dura
amore? >> dissi a voce alta, e attesi che il mio eco
rispondesse <<
Ore >>.
<< Ed egli non m’amò
com’io l’amai?
>> gridai ancora e ancora una volta attesi la risposta
del mio eco
<< Mai >>.
<< Or chi sei tu, che sì ti lagni
meco? >> e la mia stessa voce nelle profondità
della grotta rispose
<< Eco >>.
Non era stata un’invenzione mia, avevo
letto quella poesia nel libro del Fu Mattia Pascal e mi aveva sempre
affascinato, ancor di più quando lessi la storia di Eco
scritta nelle
Metamorfosi di Ovidio. Era stato un esperimento il mio, ed era ben
riuscito.
Non che avessi voglia di cimentarmi in vane sperimentazioni, non
desideravo
niente se non rimanere sola con me stessa, ma in quel momento mi
sembrava di
esserci riuscita, avevo appena conversato con me stessa e mi ero
ricordata
quanto è vano l’amore,
quant’è futile e sfuggevole, scivoloso e tagliente
al
tatto, accecante alla vista, stordente all’udito.
<< Che triste poesia che avete
recitato, mia signora >>. Una voce. Una voce
nell’ombra! Non ero sola. Mi
risvegliai dal mio incanto: chi c’era lì con me?
Mi alzai e andai vicino alle
sbarre per poter guardare attorno alla mia cella se mai avessi visto
qualcuno.
Ma tutto era vuoto, buio e silenzioso.
<< Chi siete? >> chiesi con
curiosità continuando a guardarmi attorno. Solo allora vidi
una figura
mostrarsi alla luce al di là di altre sbarre, davanti a me,
due celle più a
destra.
<< Chi sono? Non ricordo il mio
nome, sono passati tanti anni e nessuno me l’ha mai
rammentato.>> era un
povero uomo dai lunghi capelli e dalla lunga barba bionda, con qualche
guizzo
di bianco, segno della vecchiaia incombente. Era molto magro, i suoi
abiti non
toccavano la sua pelle al di sotto, ma la cosa che più mi
colpì furono i suoi
occhi: semiaperti, quel tanto che bastava per vedere che sotto le
palpebre
c’era solo del bianco. Niente pupilla, niente iridi, solo un
bianco un po’
opaco e velato. Vidi che volgeva lo sguardo dritto davanti a
sé nonostante io
non fossi lì, questo fu l’ultimo segno che mi
confermò che avevo a che fare con
un uomo cieco.
<< Ricordo vagamente la voce di
qualcuno, qualche persona, non ricordo chi, che volgeva gli occhi verso
di me
pronunciando il nome Falastur, penso sia quello il mio nome, ma non ne
sono
certo e non ricordo la mia casata. Chiamatemi pure Falastur se
desiderate, mia
signora >> parlava con lentezza, con voce grave e
pesante, come se
facesse fatica a muovere la lingua nella bocca o addirittura a
respirare. Mi ricordava
un po’ Barbalbero.
<< E’ un piacere fare la tua
conoscenza Falastur, il mio nome è Sophia e
anch’io non ricordo la mia casata
né la mia provenienza, se ciò ti può
mettere a tuo agio >>.
<< Strana trovata quella del
Sovrintendente Denethor di incarcerare gli smemorati >>
disse ma il suo
tono non sembrava divertito benché sapevo che stava
ironizzando.
<< Non mi ha incarcerata il
Sovrintendente Denethor, e nemmeno perché sono smemorata.
E’ stato il figlio
>> indugiai un po’, pronunciare il suo nome
sapevo che mi avrebbe fatto
crollare addosso altre macerie << Boromir, dopo avermi
accusato
ingiustamente dell’assassinio di suo padre e del tentato
omicidio di suo
fratello >>.
<< Che curiosa e singolare vicenda!
>> commentò Falastur << Mi
piacerebbe saperne di più >>.
Non risposi subito, infondo poteva
sembrare gentile quanto voleva ma era pur sempre un carcerato, non
è bene
raccontare i fatti propri ai criminali, e poi non lo conoscevo nemmeno
e non mi
piaceva raccontare la mia vita al primo malcapitato che trovavo per la
via.
<< Oh, comprendo il vostro silenzio
>> intervenne lui << Perdonate la mia
curiosità, ma sono stato solo
e isolato per così tanto tempo che sentire una voce amica
raccontarmi di un po’
di faccende provenienti dal mondo di sopra mi diletta >>.
Sorrisi, infondo anch’io avrei dovuto
passare il resto dei miei giorni lì dentro, tanto valeva
farsi un amico, almeno
non avrei passato l’inferno completamente sola.
<< Sire Denethor è stato preso
dalla follia, le tenebre del male hanno annebbiato la sua mente, e dopo
aver
mandato alla morte suo figlio Faramir, dopo aver visto la guerra che si
sta
scatenando al di fuori delle mura della sua città, la pazzia
ha preso la sua
mente e ha commesso un gesto sconsiderato quanto riprovevole. Ha
raccolto un po’
di legna e ha cosparso di olio lui e suo figlio, deciso a dar fuoco
entrambi
per giungere alla casa dei suoi padri come meglio preferiva. Io ho
tentato di
salvarlo da questa pazzia, o quanto meno salvare suo figlio Faramir che
non era
morto ma solo ferito gravemente, ma ho fallito per metà.
Faramir è
sopravvissuto ma Denethor è morto bruciato. Boromir
è giunto poco dopo sul
luogo e, dato che già aveva poca fiducia in me a causa di
alcuni miei gesti
poco chiari commessi in passato, mi ha dato la colpa di tutto e mi ha
sbattuta
qua dentro con l’accusa di essere una traditrice omicida.
>> raccontai
lasciandomi andare alla tristezza e facendo uscire la voce dalla mia
gola con
difficoltà.
<< Oh >> fu dapprima il
commento di Falastur << Così non vi ha voluto
credere? >>
<< Mi considera una strega in grado
di annebbiare la mente degli uomini, alleata con il nemico
>> spiegai
ancora con un filo di voce.
<< Devo credere che voi non siate
semplicemente una donna della sua corte se nel raccontare di quanto
è accaduto
la vostra voce trema di tristezza e dolore. >>
<< Siete molto arguto >>
commentai.
<< La cecità mi ha donato di un
altro tipo di vista >> spiegò lui in poche
parole prima di ritornare
sull’argomento << Sire Boromir
dev’essere una persona che vi sta molto a
cuore, non è così? >>
Titubai un po’, prima di lasciarmi
scivolare a terra e mettermi a sedere sulla fredda roccia, con la
spalla
sinistra poggiata alle sbarre << Più di quanto
chiunque possa immaginare
>> risposi.
<< Ed egli non m’amò
com’io l’amai?
>> disse lui ripetendo sovrappensiero le parole della
poesia che avevo
detto poco prima. Fece una pausa che io colmai rispondendo con voce
sottile
<< Mai. >>
Un altro lungo silenzio seguì, io
incapace di aggiungere altro, lui pensieroso, probabilmente chiedendosi
come si
possa consolare un cuore strutto che non ha speranza di vedere la luce.
<< E così Sire Denethor è morto
>> interruppe quel silenzio così mortale forse
con l’intenzione di
cambiare argomento per continuare a parlare con me pur non facendomi
soffrire.
<< Sì >> risposi
semplicemente. << Forse allora c’è
qualche speranza anche per questo
povero vecchio >> disse sforzandosi di fare una risata
che uscì come un
colpo di tosse dalla sua gola. Alzai lo sguardo dal pavimento umido al
suo
volto, curiosa di sapere che volesse dire e aspettando che continuasse
a
parlare dandomi spiegazioni, cosa che fece quasi subito
<< La mente del
nostro Sovrintendente già da tempo era annebbiata, da anni,
tanti quanti io mi
trovo qui. La mia colpa fu quella di disobbedire ai suoi ordini
ritenuti
follia. Fui accecato come punizione con olio bollente e sbattuto in
prigione.
Forse ora il nuovo Sire al trono capirà il suo errore e mi
libererà. Chi c’è
ora al trono? >>
<< Nessuno che io sappia, ma presto
arriverà un valoroso Re, mio amico, figlio di una nobile
casata, così com’è
nobile la sua anima. Ti libererà sicuramente.
>> spiegai sorridendo al
ricordo del volto di Aragorn, forse avrebbe liberato anche me, infondo
lui
aveva sempre avuto fiducia in me e nelle mie verità.
<< Chi è costui? >> chiese
Falastur e non aspettai oltre per nominarlo con orgoglio
<< Aragorn è il
suo nome. Figlio di Arathor, discendente di Isildur >>
<< Oh, Elessar >> commentò
con la voce colma di felicità e di orgoglio <<
Dunque sta tornando
>>
<< E’ già in cammino
>>
spiegai.
<< Minas Tirith avrà nuova vita
>> disse sempre con il suo tono fiducioso e felice.
<< L’albero bianco tornerà di nuovo
in fiore. >> sorrisi anche io chiedendomi se mai sarei
riuscita a godere
di quello spettacolo, ma la speranza era corsa via, oltre i campi,
oltre le
foreste, oltre i monti e i mari, laddove era impossibile arrivare. Mi
rattristai nuovamente: giorni bui mi attendevano.
<< Re Elessar libererà anche voi,
mia signora, non struggetevi. >>
<< Non avrebbe motivo, non ha prove
contro la mia colpevolezza. >> Stava cercando di
aiutarmi, voleva tirarmi
su di morale, riuscivo a capirlo, ma il suo era un tentativo inutile,
le sue
dita scivolavano sullo specchio su cui cercava di arrampicarsi.
<< Quindi tu non sei sempre stato
cieco? >> dissi ritornando a parlare, mi ero resa conto
che anch’io avevo
bisogno di sentire una voce amica, qualsiasi fosse
l’argomento, mi aiutava a
non cadere negli abissi. Probabilmente il mio tentativo era tanto
disperato da
rendermi conto solo dopo aver posto la domanda che ero stata
un’insensibile, ma
Falastur non parve darci peso e rispose con malinconia ma volentieri.
<< I miei occhi un tempo hanno
veduto cose così belle che la memoria non abbandona. Fiori e
campi, cieli
stellati, cavalli in corsa per le terre selvagge, colori meravigliosi,
arcobaleni e il sole rosso di prima mattina. La luna,
com’è bella la luna! Con
il suo volto perlato e la sua espressione colma di meraviglia, come se
dopo
anni di sovranità in quei cieli ancora non riconoscesse il
magnifico mondo che
ha davanti. E donne, oh sì, ne ho vedute di donne
>> rise << Ero
uno a cui piaceva vederle al tempo, adoravo vederle impegnate nei loro
lavori
quotidiani, litigare con i capelli che impedivano loro di svolgere i
comuni
compiti, i loro occhi sbarazzini che curiosavano in giro. Sempre molto
curiose
le donne, non si lasciano sfuggire niente e adorano conoscere quante
più cose,
serve del loro cuore e di nient’altro. Che creature
meravigliose. Capelli
biondi, rossi o scuri, occhi azzurri, grigi, verdi, marroni o neri. Ne
ho
veduti di occhi, ne ho veduti, e tutti erano più belli
dell’altro. >>
Era un Don Giovanni! Un malinconico Don
Giovanni, privato della sua vita.
<< Mi dispiace. >> ammisi
tristemente non sapendo che altro dire << Ma
c’è sempre il lato positivo
delle cose, almeno adesso non sarai costretto a vedere lo squallore di
questo
posto, i tuoi amati fiori appassiti, i tuoi campi bruciati, i tuoi
cavalli
morti o fuggiti, gli occhi delle donne colmi di terrore, i loro capelli
sporchi
e sbiaditi, ricoperti di cenere dalla provenienza sconosciuta, non
vedrai i
cieli neri dalle nubi e il volto del sole e della luna coperti
quotidianamente
tanto da confondersi l’un con l’altro.
>>
Falastur fece una breve pausa riflettendo
su quanto gli avevo detto, o semplicemente per il piacere di fare una
pausa,
non gli piaceva parlare d’istinto come facevo io, rifletteva
e soppesava ogni
singola lettera prima di farla uscire dalla bocca.
<< Mondo miserabile >>
commentò con un sospiro << Però mi
sarebbe piaciuto in questo momento
poter avere di nuovo i miei occhi per poter vedere voi, mia signora,
anche solo
per poco tempo, giusto per potervi figurare nella mia mente e non avere
la
sensazione di parlare con uno spettro dal cuore spezzato
>>.
Sorrisi, Falastur mi piaceva, aveva
un’anima pura.
<< L’immaginazione in questi casi
aiuta >> suggerii e Falastur rimase in silenzio ancora un
altro po’ prima
di domandarmi << Di che colore avete gli occhi?
>>
<< Verdi ma che si colorano di un
marroncino vicino alla pupilla >>.
Ancora silenzio, sembrava stesse
costruendo qualcosa, stava assemblando i pezzi.
<< Capelli? >> chiese ancora
e ancora una volta risposi senza timore ma con un pizzico di gioia, mi
piaceva
pensare che stessi aiutando qualcuno come lui a realizzare quel piccolo
capriccio innocente.
<< Biondi, lunghi fino al seno ma
che tengo sempre legati sopra la nuca per comodità. Pelle
bianca, corpo esile,
alta non più di… >> feci il calcolo
mentalmente convertendo i miei 165
centimetri in piedi, la loro unità di misura
<< cinque piedi e mezzo
>>.
Vidi Falastur sorridere dopo quelle mie
indicazioni facendomi cenno di fermarmi << Basta
così. Riesco a vedervi
>> disse con un pizzico di emozione <<
Siete una bella donna, i
miei occhi avrebbero sicuramente gradito la vostra immagine
>>.
<< Ne sono lusingata >>
sorrisi ancora, era strano ma non mi sentivo per niente in imbarazzo a
fare
discorsi di questo tipo con lui.
Il silenzio cadde di nuovo, ognuno perso
nei propri pensieri, nelle proprie torture. Lui desiderava tornare a
vedere, io
desideravo tornare a trovare qualcosa da vedere.
E il tempo passò così, da soli seppur
insieme, nelle consuete ore di tormento, quotidiane come pasti.
Ma il silenzio e il buio di quel luogo
non mi piaceva tanto, perciò cominciai a canticchiare la
melodia di una
canzone, un po’ silenziosa, senza dire ad alta voce le parole
solo pensandole,
quasi temessi che quel luogo potesse incarcerare anche loro. Falastur
udì la
mia voce sottile e quasi con emozione mi disse << Sapete
cantare, mia
signora? >>
<< Mi piace farlo >> dissi
semplicemente ma questa risposta bastò al mio compagno
<< Come mi
piacerebbe udire una delle vostre canzoni! E’ da tempo che
queste orecchie non
sentono altro che il rumore dei passi provenire da fuori le celle o il
litigi
per il territorio degli insetti. >>
<< Stavo pensando a Sire Boromir
>> ammisi un po’ imbarazzata <<
E’ una canzone un po’ particolare
>> era la prima volta che mi sentivo in imbarazzo nel
dover cantare una
canzone, forse perché le altre volte nessuno capiva il senso
dei miei pensieri
invece ora sarebbe stato diverso. Falastur aveva in mano le carte che
gli
permettevano di poter cogliere ogni singola sfaccettatura della mia
voce.
<< Ve ne prego >> mi supplicò
e un po’ titubante esaudì il suo desiderio
inondando il silenzio di quelle
celle con la mia voce straziata dal dolore tanto da farla vibrare.
<< Erano pezzi di vetro sparsi sul
nostro cammino, le nostre difese lasciate sospese. Fluida acqua che
scorre, i
nodi miei già si sciolgono come neve d’estate, ma
ti guardo tornare su letti di
spine. Le nostre parole lontane dal cuore, le nostre paure immotivate,
congelate. L’amore
con te è come
camminare in punta di piedi senza potersi fermare. Ma sento il tuo
calore forte
negli angoli bui delle mie stanze gelate. Appesa al tuo respiro mi vedo
cadere
per poi ritornare a sentirmi felice. Ma la tensione che sento verso il
tuo
respiro mi
distoglie dal pensiero di
tutto ciò che abbiamo perso, e credo a volte di volere
riparare, di poter
ricostruire tutto nuovo e un po’ diverso. Ma sento il tuo
calore forte negli
angoli bui delle mie stanze gelate. Appesa al tuo respiro mi vedo
cadere per
poi ritornare a sentirmi felice. Mi fermo di fronte al tuo viso tu che
dormi
disteso e non sai di poterti affidare, di poterti fidare di me.
>> feci
una piccola pausa, fissando il pavimento, prima di sussurrare le ultime
parole
con un filo di voce << Puoi fidarti di me
>>. Il silenzio che
calò successivamente fu
quasi sovraumano, sembrava quasi che Falastur avesse perfino smesso di
respirare. Alzai gli occhi verso la sua cella per capire cosa stava
facendo,
perché era così silenzioso. Ma i miei occhi non
giunsero alla sua cella, si
fermarono prima, alla fine delle scale che conducevano in superficie,
lontano
dalle celle. Smisi anch’io di respirare e sentii un tuffo al
cuore.
Immobile a fissarmi c’era lui, l’uomo dei
miei tormenti, l’uomo che mi aveva strappato il cuore
giocandoci a tennis,
l’uomo più meraviglioso che avessi mai conosciuto
ma anche il più testardo,
cocciuto e orgoglioso. Boromir.
Si avvicinò alla mia cella
e nonostante la rabbia e la tristezza nei
suoi confronti non potevo far a meno di ammirarlo nella sua fierezza e
nella
sua bellezza: brillava come una stella illuminando un cielo troppo
buio. Si era
cambiato con abiti puliti e più comodi, si era sicuramente
lavato e sistemato,
non c’era più quello strato di polvere sul suo
viso che adesso brillava più
bello che mai. Mi trovavo di fronte a un Dio, ma non mi era permesso
avvicinarmi.
Rimasi immobile, non avendo la forza di
volontà nemmeno di alzarmi, non volevo nemmeno parlargli per
timore che avesse
intenzione di ferirmi ancora con le sue parole affilate come lame, non
volevo
vederlo, sapere che mai sarei riuscita a raggiungerlo mi straziava, non
volevo
sentire il suo odore e cadervi di nuovo in tentazione, non volevo che
fosse lì.
Nonostante tutto non riuscii a cacciarlo,
né a rispondergli male, né a dire niente. Ero
immobile, a guardarlo mentre si
avvicinava alla mia cella e ne apriva la porta rugginosa che
scricchiolò
rimbombando nelle prigioni come la mia poesia aveva fatto qualche ora
prima.
Mi si avvicinò lasciando la porta dietro
di sé aperta, non preoccupandosi del fatto che io,
prigioniera, sarei potuta
fuggire. Mi venne davanti continuando a guardarmi con i suoi occhi di
ghiaccio,
freddi e pungenti, solo l’orgoglio bruciava dentro lui, non
riuscivo a cogliere
altro.
Mi porse il mio mantello e il mio
braccialetto con entrambe le mani e rimase immobile aspettando che
afferrassi
le mie cose e che le parole gli uscissero dalle labbra. Mi alzai in
piedi
lentamente continuando a guardarlo in volto, non riuscivo proprio a
capire cosa
significasse quel gesto, cosa voleva dimostrare? Aveva forse avuto
pietà di me
tanto da volermi riportare le mie cose così che non avrei
patito troppo il
freddo in quel postaccio? Fece un sospiro e aprì le labbra
per dire qualcosa,
ma non uscì nessun suono. Poi ripeté la stessa
azione ma sta volta parlò
<< Sei libera >> il mio stupore
aumentò. Cosa era successo in quelle
ore per fargli cambiare idea riguardo alla mia colpevolezza?
Presi il mio mantello lentamente
osservandolo e toccandolo: il fuoco l’aveva rovinato
parecchio, c’erano buchi e
increspature un po’ ovunque.
<< Ho parlato con Legolas >>
alzai di nuovo lo sguardo, ora cominciavo a capire! Lui doveva avergli
raccontato tutto, ma per quale motivo? Non ero morta! Aveva mancato
meno alla
promessa! Ma…. forse era giusto così. Almeno non
sarei più rimasta a far
compagnia alle piattole << Ho riconosciuto il mio errore
e sono giunto
qui per porne rimedio. Ora sei libera, va’ dove credi sia
giusto >>.
Nonostante tutto le cose non erano
cambiate. Lui aveva capito, o almeno così diceva, eppure era
così freddo e
discostato con me, mi parlava con solennità come se nemmeno
mi conoscesse.
Tutto mi fu chiaro. Avevo compreso sempre più in quei giorni
cosa stava
cercando di dirmi Saruman: mai sarei riuscita a impossessarmi del cuore
di
Boromir con le mie sole forze, lui lo sapeva, l’aveva forse
visto nel Palantir
e voleva aiutarmi in cambio di una cospicua merce. Capii.
Quello non era il mio posto, la mia
città, il mio mondo. Ero solo un’intrusa, non
avevo ragione di essere lì, tutto
mi era estraneo, compresa l’aria che respiravo. Niente di
quel posto mi
apparteneva né mai mi sarebbe appartenuto, che sciocca
pensare che sarei potuta
vivere felice in quella terra, non c’era vita per me, ero
stata solo una
comparsa un po’ scomoda. Saruman mi aveva portato
lì, non il destino, non c’era
mai stata nessuna missione per me, avevo sbagliato tutto. Mi sentivo
così
inappropriata in quel luogo, così fuori posto, non
riconoscevo niente, nemmeno
me stessa. Ero un’ombra che il sole tramontando aveva
allungato, ma ora era
giunta per me l’ora di sparire, ora il sole non
c’era più, io ombra non venivo
più proiettata su quella terra. Allungai la mano verso
quella dell’uomo che
ancora mi porgeva con sopra il mio braccialetto, sarei sparita, era
questo che
dovevo fare, abbandonare tutto e tornare ad essere il nulla, solo
tracce
invisibili su una terra che ben presto sarebbe cambiata e mi avrebbe
cancellata
dalle sue memorie. Indugiai. Forse potevo lasciare una parte di me
lì, se
avessi lasciato a lui il mio braccialetto si sarebbe ricordato di me e,
incredibile a dirsi, mi sarebbe comunque bastato. Ma no, ormai tutto
era stato
scritto, troppo a lungo ero fuggita dalle mani del mio destino, troppo
a lungo
avevo combattuto, ora non avevo niente da vincere, ero un soldato
ferito che
aveva appena perso la sua guerra, niente di me lì sarebbe
rimasto, inutile
continuare a lottare, ormai tutto era vano. Afferrai il braccialetto
sfiorando
la mano calda dell’uomo, brividi lungo la schiena, gli ultimi
che avrei mai
provato. Boromir si fece da parte per farmi uscire dalla prigione, mi
aveva
offerto una liberta, vero, ma era una libertà lontana da
quel posto. Solo
andandomene sarei stata veramente libera, non c’era
più spazio per me lì, lui
stesso l’aveva capito e mi stava facendo andar via. Non mi
avrebbe fermata, non
mi avrebbe cercata, non mi avrebbe ricordata. Solo polvere, ecco
cos’ero,
polvere che stava venendo trascinata via dal vento mattutino di un
nuovo giorno
in una terra che più mi accettava, come una spina che col
tempo viene espulsa
dalla carne. Un sogno era stato, nulla più. Era giunto il
momento di
svegliarsi. Mi voltai e fuggii via, scappando dalla cella, senza
voltarmi
indietro, senza fermarmi a guardare un’ultima volta Boromir,
dovevo impedire a
qualsiasi cosa di bloccarmi e di farmi indugiare. Dovevo andarmene e
non mi era
concesso l’addio straziante dei film. Non dovevo indugiare.
Salii le scale che portavano in
superficie, all’aria aperta, aria che mi
scompigliò i capelli scivolati dalla
coda che mi ero fatta, aria così avversa, sentivo
l’eco di una voce che urlava
“vattene”, ma forse era solo il mio cuore. Non
conoscevo la strada ma furono i
piedi a guidarmi, non sapevo dove andare, ma non me ne preoccupavo.
Dovevo
andarmene, non c’era più posto per me
lì. Incrociai durante la mia folle corsa
un piccolo hobbit che non guardai ma riconobbi Pipino dalla voce che mi
chiamava incessantemente. Non indugiai, non dovevo. Non
l’ascoltai e continuai
a correre verso i cancelli di Minas Tirith senza voltarmi indietro. Il
suono
della voce di Pipino ancora arrivava alle mie orecchie, continuava a
chiamarmi
e forse aveva provato a inseguirmi, non saprei dirlo. Arrivai ai
cancelli,
spinsi delle guardie che per caso mi erano capitate sulla strada e
uscii
dall’enorme cancello distrutto che stavano cercando di
riparare. Anche quando
la pioggia cominciava a cadere incessante sui migliaia di morti che
ancora
giacevano sui campi Pelennor continuavo a correre, senza guardarmi
attorno,
mischiando la pioggia sul mio viso alle lacrime, così amare
come mai lo erano
state. Superai il campo di battaglia e solo allora rallentai la mia
folle corsa
e mi voltai indietro: avevo detto addio a tutti, compreso Boromir anche
se in
maniera alquanto rude, ma non a Minas Tirith, la città
più bella e affascinante
che abbia mai visto. Città che alla vista ora mi appariva
così lontana e
appannata, come un ricordo che pian piano si eclissa nella mente di chi
sta per
cadere in un sonno profondo. Riconobbi sopra uno dei cornicioni la
piccola
figura di Pipino che continuava a sbracciarsi, anche se non udivo
più la sua
voce, sapevo che continuava a chiamarmi non riuscendo a comprendere la
mia
decisione. Non aveva importanza, presto avrebbe dimenticato, come tutti
gli
altri.
<< Ombra mi avvolge, lo stesso
timore che preclude un’addio, addio che da tempo era
destinato ma che sempre
ero riuscita a fuggire. Ma non ora. >> sussurrai e mi
voltai nuovamente
verso la foresta davanti a me, oltre i campi che quasi avevo percorso
interamente << Addio >>.
Ormai ero dentro la foresta, la stessa
foresta che il giorno prima mi aveva spaventata, la stessa foresta che
il
giorno prima mi aveva quasi inghiottito facendo vittima me e il mio
cuore, ora
mi ci ero tuffata, pronta ad essere strappata dalle mani della Terra di
Mezzo.
Gli alberi a me apparsi avversi ora lo erano ancor di più,
tutto esprimeva odio
e repulsione nei miei confronti. Dovevo andarmene, ma non sarei
riuscita da
sola. Mi guardai attorno terrorizzata e affranta come non mai.
<< Saruman!! >> gridai
facendo echeggiare la mia voce in quella foresta ormai morta, ormai
sotto il
potere del male. << Fammi tornare a casa!
>> gridai ancora con voce
straziata e sofferente, ero disperata, stufa di quel sogno che ora
più che mai
era un incubo. Volevo svegliarmi, volevo andarmene.
<< Saruman!! >> gridai
riprendendo a correre verso mete sconosciute, in cerca di qualsiasi
cosa mi
avesse fatto pensare ad un suo aiuto << Saruman!
Riportami a casa,
Saruman! >> sforzai tanto la
mia
voce da farne uscire un grido acuto. Mi voltai di scatto, continuando a
guardarmi intorno disorientata << Riportami a casa!!!
Adesso! Saruman!
>> , mi voltai ancora e ancora, correndo da una parte
all’altra della
foresta, in cerca di un segno, di un qualsiasi cosa. Desideravo
più di
qualsiasi cosa riuscire a toccare di nuovo l’erba del mio
giardino, il mio
parquet, il mio letto, stringere di nuovo i miei pupazzi, la mia mamma,
mio
fratello e tornare a guardare da esterno tutto quel che era successo,
sorridendo alle mie illusioni infrante.
<< Saruman! >> gridai ancora
disperatamente, voltandomi e tornando a correre senza vedere una radice
che
sporgeva dal terreno e cadendo a terra, dentro una pozzanghera fangosa.
I
singhiozzi ormai erano incessanti e implacabili, urla tormentose
uscivano dalla
mia gola, ferite che bruciavano come ferri ardenti. << Ti
prego >>
mi disperai ancora << Ti prego, voglio tornare a casa.
>> Rimasi
stesa dentro quella pozzanghera inerme. Era tutto inutile, non sarei
mai
riuscita a tornare a casa, Saruman non mi sentiva o forse non voleva
sentirmi,
o forse….era morto. Avevo dimenticato quel particolare. Le
mie urla altro non
erano che urla, il mio dolore fuoco, la mia anima polvere e i miei
desideri
ombra in una notte senza stelle.
Mossi le mani in quella fanghiglia con la
quale quasi mi mischiavo, non desideravo alzarmi, mi sentivo parte di
lei.
Singhiozzi e lamenti. << Fammi tornare a casa
>> ma ormai non c’era
più speranza per me, non avevo futuro, tutto era finito,
nessun posto era
adatto a me, nessun luogo raggiungibile. Avevo desiderato troppo forse,
quella
era la mia punizione. Sentii dei passi pesanti e delle voci roche
provenire da
davanti a me, alzai la testa e vidi, anche se in maniera molto confusa,
degli
orchi venirmi incontro mormorando qualcosa. Eccolo il mio destino: a
lungo
aveva tentato di prendermi, ora non mi sarei più ribellata.
Chinai la testa
chiudendo gli occhi e lasciando che le lacrime lavassero via il fango
dal mio volto
mentre quelle pesanti braccia mi strappavano con violenza dalla mia
pozza e mi
sollevarono caricandomi sulle loro spalle. Ormai niente era
recuperabile, era
giunta la mia fine, come nei sogni che facevo sempre di notte a casa
mia: la
felicità di incontrarlo, la felicità di
innamorarmene ed esser ricambiata e poi
quell’addio causato dalle tre frecce d’orco.
Finivano sempre così i miei sogni,
con un addio, con la sua scomparsa e la mia fine. E quella volta non fu
diverso.
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Capitolo 14 *** Signora della preveggenza o angelo? Nessuno dei due. ***
Appesa ad un
ramo, legata mani e piedi,
aspettando che la fame di qualche putrida creatura venisse placata
dalla mia
carne: ecco la mia sorte. Non ero nemmeno stata imbavagliata, non
l’avevano
ritenuto necessario, non mi ero ribellata né avevo urlato.
Avevo accettato la
sorte, accettato la mia fine. Il mondo davanti a me era così
buio e confuso,
come un sogno che sta quasi per concludersi, com’era giusto
che fosse. Il tempo
non scorreva, era immobile, un’eterna attesa, un eterno stop,
privo del suo
rewind, privo del suo play. Ferma in un istante, immobile nei secondi,
minuti
che sembravano anni e anni che sembravano minuti. Confusione. Niente.
Urla in lontananza, o forse era solo il
vento che muoveva le foglie secche al suolo. Vento sul mio volto, o
forse era
solo il respiro degli orchi. Formiche sul mio braccio, o forse solo le
carezze
della morte.
Poi… arrivò l’addio che segnava la fine
del mio sogno. Si avvicinò a me con il terrore in volto, ma
mi era impossibile
ricambiare il suo sguardo, ero priva di sentimenti, priva di emozioni,
completamente apatica e priva di vitalità. Ero
già morta.
<< Sophia >> mi sentii
chiamare e un paio di mani calde e
ruvide mi toccarono le caviglie scalze, chissà quando avevo
tolto gli stivali,
o forse li avevo persi durante la corsa, o forse se n’erano
impadroniti gli
orchi che mi avevano catturata.
<< Sophia! Svegliati >> mi
sentii scuotere e agitare, ma ancora nessuna reazione da parte mia. Gli
occhi
benché aperti non vedevano, non guardavano, non si
muovevano.
<< Ma che ti prende! Reagisci! Ora
ti tiro giù di lì, tranquilla >>.
Tranquilla? Non avevo idea di cosa
volesse dire, non ero agitata o preoccupata. Non provavo niente.
Nemmeno la sua
vista mi aveva provocato quel senso di turbamento che sempre avevo
provato, il
suo nome Boromir non mi faceva più effetto, ero priva di
anima, priva di vita.
<< Perché sei qui? >> riuscii a
dirgli con un filo di voce
completamente vuoto << I miei sogni si concludono con un
addio. Non
dovresti essere qui >>.
<< Ma che dici? Sei impazzita?
>> mi disse cercando di trovare un modo per tagliare le
corde che mi
tenevano appesa al ramo dell’albero. Ma rimasi appesa
lì ancora per un po’ in
quanto le sue mani trovarono un altro impiego: gli orchi erano tornati
sulla
loro preda per saziare la loro fame. Boromir si guardò
attorno impugnando la
sua spada e il suo scudo pronto per una nuova lotta <<
Non puoi salvarmi
ancora, nessuno può. Ormai è finita, non perdere
altro tempo >> continuai
a mormorare mentre Boromir intraprendeva la battaglia. Non fu difficile
per lui
vincere, gli orchetti erano pochi e male organizzati.
Boromir tornò a concentrarsi sull’albero
su cui ero appesa, su cui ero morta. Si arrampicò sulla
corteccia fino a
raggiungere il ramo su cui erano legate le corde che mi tenevano
sospesa.
Afferrò le corde e cominciò a sollevarmi,
tirandomi su, sopra il ramo e mi mise
a sedere su di esso cercando di destarmi dal mio sonno, che mi rendeva
un
vegetale, con carezze e
richiami. Ma fu
tutto inutile, ormai tutto era perso.
<< Sophia, guardami!! >> mi
incitò prendendomi il viso tra le mani e scuotendomi, ma non
c’era niente da
fare, mi lasciavo sballottare senza opporre resistenza ma non voltai i
miei
occhi verso di lui, erano diventati così pesanti.
<< Guardami! Che diavolo ti prende?
>> mi scosse ancora prima di udire altri rumori di passi
provenire da
poco lontano << Ne stanno arrivando altri! Dobbiamo
andarcene di qua,
vorrei sapere cosa ti è passato per la testa
>> disse prima di prendermi
in braccio delicatamente e scendere abilmente da sopra
l’albero. Mi prese sulle
spalle ritenendo fosse più comodo per riuscire a correre via
e fuggimmo.
<< Mi hai donato la libertà,
lasciami marcire nella mia libertà >>
sussurrai ancora come invasata da
un incanto.
<< Quella non si chiama libertà!
>> brontolò lui scappando senza sosta verso,
supposi, Minas Tirith e io
non risposi, non avevo nemmeno la forza per trovare una risposta
adatta.
Riuscimmo a raggiungere i confini della
foresta e ne uscimmo poco dopo, sentii Boromir cominciare a rilassarsi,
sapeva
che lì nei campi Pelennor saremmo stati più al
sicuro in quanto i suoi
soldati erano impegnati
a tenere lontani e ad uccidere i
nemici rimasti. Ma forse avrebbe fatto meglio a non rallentare,
indugiare è
pericoloso, l’avevo imparato a mie spese.
Una freccia volò dalla foresta colpendo
Boromir dritto sulla spalla e procurandogli un dolore così
atroce da farlo
urlare e cadere in ginocchio. Io saltai via dalle sue spalle a causa
del colpo
e rotolai poco lontano. Boromir era in ginocchio per terra, il volto
contratto
dal dolore, la forza già gli veniva meno. Sentii dei lamenti
provenire dalla
sua gola mentre tentava invano di rialzarsi. I miei occhi raggiunsero
involontariamente la sua figura e una scintilla si accese in me. Avevo
già
visto quella scena fin troppe volte, avevo già rischiato di
perderlo già troppe
volte. Una piccola emozione fece capolino nel mio cuore, timida e
titubante, ma
così ardente che ben presto lo scottò
completamente: la paura. Mi alzai di colpo,
trovando le forze laddove solo Dio sa, e gli corsi vicina tremolante.
Nel
momento in cui gli toccai il braccio lui alzò gli occhi
colmi di dolore verso
il mio volto impaurito e spaventato.
<< Perché sei tornato? >>
sussurrai quasi colpevolizzandolo, doveva lasciarmi morire, doveva
lasciarmi
andare, perché era venuto a cercarmi cacciandosi in quel
guaio? << Non
avrei mai dovuto lasciarti andar via >>
mormorò sofferente.
Che diavolo! Faceva tutte quelle
sceneggiate per una freccia? Era sopravvissuto a tre!
<< Andiamo, starai bene! Ti sei
salvato in momenti peggiori >>
<< Era avvelenata >> spiegò
lui rapidamente tentando di nuovo di rialzarsi ma cadendo di nuovo a
terra
sbattendo il petto contro la dura terra secca <<
Maledizione >>
mormorò.
<< Mi dispiace >> sussurrai
in preda al terrore più profondo. Mi chinai su di lui
cercando di aiutarlo a
rialzarsi, ma era tutto inutile. Lo sentivo tremare dalla fatica,
sentivo il
suo calore abbandonare il suo braccio sinistro.
Incredibile! Avevo creduto tutto finito,
invece no! Possibile che non riuscissi ad ottenere nemmeno una parte di
ciò che
desideravo? La sua vita. Non chiedevo altro, al mio destino mi ero
abbandonata,
ma perché volevano privare anche a lui della sua vita? Io
non avevo futuro, ma
perché lui? << No >> sussurrai
abbracciandolo. Lui si lasciò
andare, ormai privo di forze, e si lasciò cadere a terra. Lo
afferrai
sfilandogli la freccia dalla spalla e, dopo averlo voltato a pancia
all’insù,
feci posare la sua testa sulle mie ginocchia mentre sentivo soldati
venirci
incontro preoccupati e pronti ad aiutarci.
<< Ti stanno venendo ad aiutare! Ce
la farai >> cercai di rassicurarlo accarezzandogli il
volto madido di
sudore.
<< Non ne sono certo >> si
stava lasciando andare! Non doveva! Doveva lottare contro la morte,
doveva
vincere come aveva sempre fatto, non poteva perdere le speranze proprio
ora che
la sua terra aveva visto la luce della vittoria e della salvezza.
<< Andate a chiamare Aragorn!
>> gridai ai soldati corsi in nostro aiuto
<< Ditegli di portare
dell’Athelas, lui può salvarlo! Presto!
>> I soldati annuirono e corsero
verso la fortezza lasciandoci nuovamente soli.
<< Sta arrivando Aragorn, andrà
tutto bene. Ti prego non… >> la mia voce si
spezzò in gola e lo strinsi a
me piegandomi tanto da arrivare a toccare la sua fronte con la mia
<< Non
andartene. >> mormorai supplichevole.
Boromir alzò il braccio destro, quello
ancora sano, e posò la mano sul mio volto accarezzandolo.
<< Mi dispiace
>> sussurrò sforzandosi di respirare.
<< E’ tutta colpa mia. Non avrei
dovuto lasciarti andare, non avrei dovuto… >>
fece una pausa ma non capii
mai se era per lo sforzo o perché non sapeva come dirmi
ciò che stava per dirmi
<< Avrei dovuto crederti. Avrei dovuto fidarmi.
>>
<< Hai solo seguito il tuo cuore
>> cercai di giustificarlo, anche se non ero proprio
nelle condizioni di
farlo, ma anche in un momento come quello, dopo che mi aveva fatto
patire le
fiamme dell’inferno, non riuscivo a colpevolizzarlo, non
riuscivo a portare
rancore né odio.
Lo vidi chiudere gli occhi e la sua mano
scivolò via dal mio volto lentamente, incapace di rimanere
ancora alzata.
<< No >> mormorai vedendo la mano
scheletrica della morte
afferrarlo << No! Ti prego! Non lasciarmi
>> piansi.
<< Ti prego, ho bisogno di te. Non
capisci? Ho sempre avuto bisogno di te, fin dal principio. Ti prego!
>>
piansi ancora ma non ero sicura che fosse in grado di sentirmi, era
immobile se
non per il suo petto che continuava a muoversi sforzandosi di trovare
aria per
i polmoni.
<< Ti prego >> piansi ancora << Io ti amo
>>.
Mi piegai di nuovo in avanti e raggiunsi
le sue labbra con le mie in un bacio disperato, quasi volessi afferrare
la sua
anima con le mie labbra per impedirle di volare via. Fui felicemente
sorpresa
di sentire che non ero l’unica a cercarlo, non ero
l’unica tra i due a
desiderare quel bacio, lo sentivo mentre cercava le mie labbra con le
sue anche
se con molto sforzo e sentii la sua mano raggiungere la mia
stringendola così
forte da farmi male prima di immobilizzarsi del tutto, cadendo
nell’oblio.
<< No >> mormorai ancora e
piansi le ultime lacrime che mi erano rimaste sul suo corpo ormai
abbandonato
che inutilmente stringevo a me.
<< Aragorn! Ti prego salvalo
>> gridai appena vidi il ramingo arrivare in sella a un
cavallo con un
sacchetto, probabilmente contenente Athelas, una bacinella e un
contenitore
d’acqua che presumevo fosse pieno. Aragorn smontò
da cavallo e si avvicinò a
noi preoccupato, si chinò su Boromir e gli
accarezzò la fronte guardandolo in
viso, studiandolo << Forse possiamo ancora farcela
>> disse
scoprendo la spalla ferita dell’uomo che ormai era diventata
violacea e fredda.
Aragorn versò l’acqua all’interno della
bacinella, immerse le foglie di Athelas e bagnò un panno
passandolo prima sul
braccio ferito e poi sulla fronte dell’uomo.
<< Boromir >> lo chiamò con
dolcezza quasi paterna. Lo chiamò ancora due, tre volte ma
non c’era reazione.
Ormai era inutile, non c’era più niente da fare,
mi aveva abbandonata per
sempre tutta per colpa mia. Ma Aragorn non si arrese e
continuò ad
accarezzargli la fronte, a bagnargli la ferita con l’Athelas
e a chiamarlo
insistentemente.
Poi il miracolo.
Boromir fece un grosso sospiro colmo di
sollievo prima di riprendere a respirare normalmente e anche se non
riaprì gli
occhi, anche se non si svegliò, sapevo che il pericolo era
scampato. Aragorn si
rilassò facendo un sospiro, chiudendo gli occhi e abbassando
le spalle, si era
preoccupato molto anche lui, non lo dava molto a vedere ma era tanto
legato a
Boromir, era veramente come un fratello per lui. Forse era grazie a
tutte le
avventure passate insieme o forse perché provenienti dalla
stessa città,
appartenenti alla stessa razza, o forse entrambe le cose.
Sì voltò verso i soldati che erano
rimasti in piedi a guardare sulle spine e ordinò loro
<< Caricatelo su un
cavallo, portatelo alla fortezza: ha bisogno di riposare
>> i soldati
annuirono e vennero a prendere il corpo di Boromir sollevandolo
delicatamente e
portandolo via. Io mi alzai e lo seguii con lo sguardo, ormai tutte le
paure,
tutti i timori, tutte le tristezze e i rancori, tutte quelle emozioni
avvelenate avevano abbandonato completamente il mio corpo, ora sentivo
di
potermi rilassare e preparare al premio per la mia vittoria.
<< Sali a cavallo con me, Sophia.
Devi raccontarmi un po’ di cose >> mi disse
Aragorn con un sorriso
invitandomi a salire per prima. Mi diede una mano, anche se non ce
n’era
bisogno, ormai ero un’esperta in fatto di cavalcate, con
tutto quello che avevo
passato! Aragorn poi salì dietro di me e prese le redini del
cavallo
cominciando a dirigersi verso Minas Tirith.
<< Allora, si può sapere che è
successo? Perché Boromir era ferito poco lontano dalla
foresta quando poco fa
l’avevo visto gironzolare per le strade di Minas Tirith?
>>
Abbassai lo sguardo sentendomi colpevole,
se mi avessero incarcerato in quel momento non avrei fiatano,
l’avrei
accettato, anzi io stessa mi sarei punita! <<
E’ stata colpa mia. Sono
stata una sciocca, mi sono addentrata nella foresta non preoccupandomi
dei
pericoli. Lui è venuto per salvarmi ed è rimasto
ferito >>.
<< Perché ti sei addentrata nella
foresta? >> Voleva mettermi in imbarazzo? No, voleva
semplicemente
mettermi alle strette, voleva che confessassi tutto nei minimi dettagli.
<< Volevo tornare a casa >>
risposi semplicemente, lui era abile a strappare le parole dalla bocca
della
gente ma io ero in grado di tenergli testa, mai e poi mai gli avrei
rivelato il
mio desiderio di morire e la causa di ciò.
<< Nessun posto è sicuro di questi
tempi, casa tua sicuramente sì, ma non penso che la strada
migliore fosse
quella presa >>.
<< Cosa vuoi saperne tu della
strada da prendere? >> chiesi un po’ stizzita,
ero stanca, affamata,
distrutta emotivamente e fisicamente, appena uscita da uno shock, non
era
proprio il momento di stuzzicare i miei nervi.
<< Gandalf ha detto che con i nuovi
poteri acquisiti può essere in grado di riportarti a casa
>> spalancai
gli occhi e mi voltai per guardarlo in volto un po’ stupita.
Lui rispose con un
sorriso prima di tornare a guardare davanti a sé la fortezza
che si avvicinava
sempre più << Legolas ha ritenuto importante
rivelarci le sue conoscenze.
E penso sia stata una scelta saggia la sua, è stato questo a
convincere Boromir
che le tue parole erano verità, che tu avresti dovuto
meritare fiducia. >>
Aveva ragione, era stata una scelta
saggia nei miei confronti, ma non nei confronti di tutti gli altri! Ora
sapendo
che c’era una come me nella loro compagnia mi avrebbero
bombardato di domande
per scegliere la strada giusta o la più breve, come voleva
fare Saruman, e io
ero stufa di mettere mano a una storia che non mi apparteneva. Era
giusto che
me ne stessi in disparte a guardare lo spettacolo andare in scena e
prepararmi
ad applaudire agli attori meritevoli.
<< Non chiedetemi assolutamente
niente >> dissi secca e decisa facendogli capire che era
necessario
rispettare questa regola.
<< Avete già fatto il consiglio?
>> chiesi cercando di cambiare discorso <<
Sì e immagino tu già
sappia la scelta presa, non è così?
>> chiese con un sorriso.
<< Voglio solo controllare che
tutto stia andando come deve andare. >>
<< Marceremo verso i cancelli di
Mordor, terremo l’occhio di Sauron puntato su di noi
>> spiegò e proprio
in quel momento entrammo a Minas Tirith e percorremmo i viali della
città per
arrivare in cima dove probabilmente ci aspettavano gli altri.
<< Molto bene >> commentai
semplicemente guardandomi attorno: i volti della gente erano sconvolti
e
straziati per la guerra appena scampata. Sorrisi nel pensare che
presto, molto
presto, tutto sarebbe finito.
<< Aragorn >> dissi scendendo
da cavallo appena arrivammo all’ultimo livello della
città, a pochi metri
dall’albero bianco << Non indugiare
>> lo incitai seria e lui parve
cogliere ancora una volta l’importanza delle mie parole.
Annuì prima di
lasciare il cavallo a una delle guardie e si avviò verso la
sala del trono dove
probabilmente aspettavano tutti gli altri. Ma non fummo noi ad arrivare
da
loro, furono loro a venire da noi. Pipino fu il primo a correre verso
di me
dimenandosi, lanciandomi accidenti e disperandosi perché
l’avevo fatto morire
di paura. Mi abbassai e lo accolsi in una forte abbraccio
<< Mi sei
mancato! >> sorrisi felice di poter di nuovo sentire una
voce amica,
felice di poterlo di nuovo stringere a me il mio piccolo hobbit.
<< Merry
come sta? >> chiesi << Sta bene, si sta
riprendendo nella casa di
cura, vallo a trovare appena puoi, gli farà piacere!
>> Annuii sempre
sorridendo, sarei andata volentieri dal mio piccolo amico.
Mi alzai nuovamente e mi avvicinai a
Legolas e Gimli, sempre insieme quei due! Gimli mi guardava torvo
appoggiando
le braccia alla sua ascia << Molto incosciente per essere
una Signora
della preveggenza >> commentò con il suo
solito tono di sfida, mi fece
molto ridere, nemmeno ricordavo più quanto fosse piacevole.
<< Così come
è molto strano per un nano stare tanto vicino ad un elfo e
andarci addirittura
d’accordo >> Gimli mi guardò
dapprima offeso poi fece un enorme sorriso e
rise nella sua maniera beffarda, molto strana, molto simpatica. Sorrisi
al nano
prima di voltarmi verso Legolas che mi guardava col sorriso sulle
labbra
<< Sapevo di potermi fidare di te >> gli
dissi. Effettivamente non
era stato il momento più consono per quanto riguardava il
corso della storia,
eravamo in un punto delicato, era stato molto pericoloso rivelare la
mia
identità così in fretta, ma era anche vero che
gli ero riconoscente e non
potevo colpevolizzarlo. Aveva fatto ciò che riteneva
più giusto e io rispettavo
la sua decisione. Probabilmente io avrei fatto lo stesso.
<< Fin dall’entrata a Moria >>
sentii una voce gridare dalle mie spalle e mi voltai vedendo arrivare
Gandalf
con passo affrettato agitando il suo bastone << Sapevo
che c’era qualcosa
di strano in te, sapevo che nascondevi qualcosa e avevo intuito il
perché
Elrond ci avesse affidato un impiastro del genere! >>
scoppiai a ridere
divertita dall’eccesiva reazione, cosa molto strana in
Gandalf in quanto era
sempre stato molto pacato << Mi sei mancato anche tu,
Merlino >>
risi divertita.
<< Ma mai avrei creduto che sarebbe
stato un elfo come Legolas a sciogliere questo nodo >>
<< Ora sono chiare tutte le cose
strane che dicevi! >> intervenne Gimli entusiasta della
sua nuova
scoperta << Certo l’avessi saputo prima ti
avrei chiesto il significato
di ogni cosa, sarebbe stato interessante, invece di lasciarti parlare
come un
folle in delirio >> disse ancora Gimli e io risi
nuovamente, quante ne
avevano da dirmene! << Ti assicuro che non avresti
scoperto niente di
interessante >> ed era vero! Insomma cosa ci sarebbe
stato di
interessante nei TURBOTUBBIES?!
<< Comunque ciò non toglie che
effettivamente ci sei stata di grande aiuto >> intervenne
Aragorn.
incredibile! L’avevano riconosciuto? Non pensavo che ci
fossero mai arrivati,
infondo avevo agito nell’ombra, come se fossero tutte
“coincidenze”. << E
ti saremmo grati se tu ci aiutassi ancora in questo momento di grande
periglio
>> continuò.
<< Non ho intenzione di dirvi
niente. Non sarebbe la cosa giusta, è giusto che voi
facciate la vostra storia
così com’è scritto. Non ho
più nessun diritto di interagire >>
<< Ma l’hai già fatto altre volte
>> intervenne Gimli, il più impulsivo tra loro
<< Potresti darci
solo un accenno! Qualsiasi cosa che ci possa essere d’aiuto
>>
<< La tentazione di sapere qualcosa
è tanta, Gimli, lo so, ti capisco, per questo motivo vi ho
tenuto nascosto la
verità fino ad ora, ed è giusto che continui a
farlo. Se io ti venissi a dire
che sei destinato a morire, cosa che non ti assicuro, sto solo
ipotizzando,
come reagiresti? >>
<< Cercherei di evitare la morte!
>> rispose lui tenendo testa al mio tono severo.
<< Oppure ti abbandoneresti
all’eventualità e non combatteresti più
con la stessa forza ed energia, o ancor
peggio scapperesti e ciò potrebbe essere decisivo
perché magari qualche orco in
meno a morire grazie alla tua ascia potrebbe significare la caduta di
un intero
Stato. E pensa un po’ se tutti reagissero così!
Non sarebbe più la stessa cosa
e la vostra caduta sarebbe imminente e in maniera anche più
dolorosa e
disonorante. Se io vi avessi detto all’uscita da Moria che
Gandalf non era
morto, che sarebbe tornato, sareste andati avanti per la stessa strada?
No,
assolutamente. Avreste trovato un luogo dove fermarvi ed aspettare il
suo
ritorno e a questo punto chissà cosa sarebbe successo. Se io
avessi detto a
Boromir che sarebbe morto dopo aver cercato di togliere
l’anello a Frodo, se io
avessi detto a tutti voi che Merry e Pipino sarebbero stati catturati,
le
vostre azioni sarebbero state le stesse? Se avessi detto a Boromir che
avrebbe
perso la testa per l’anello, che avrebbe cercato di toglierlo
a Frodo, pensi
che si sarebbe comportato allo stesso modo? Probabilmente avrebbe
lottato per
evitare di farlo, forse avrebbe vinto e forse Frodo non avrebbe deciso
di
proseguire da solo per la sua strada, sarebbe cambiato tutto, forse a
questo
punto non saremmo nemmeno qui. >> feci una piccola pausa
e vidi la
titubanza negli occhi del nano, segno che l’avevo convinto
<< La
speranza, Gimli, è solo quella a cui ti devi aggrappare. Le
conoscenze non
aiutano ad andare avanti, anzi la maggior parte delle volte arrestano
il
cammino. >> <<
Sagge parole le tue >>
commentò Aragorn intervenendo << Non dirci
niente, è giusto così, ti
chiedo solo di vegliare su di noi come un angelo, come hai fatto fin
ora.
>>
<< Su questo puoi esserne certo
>> sorrisi << Non vi abbandonerò
ora che ne avete più bisogno
>>.
<< A proposito di angeli >>
intervenne Gandalf con uno strano sorriso <<
C’è una persona che vorrebbe
conoscere il suo. Seguimi >> e cominciò a
camminare verso una meta a me
sconosciuta. Dapprima rimasi stupita e titubai ma poi Aragorn mi
incitò con uno
sguardo e seguii Gandalf.
Non conoscendo le strade di Minas Tirith
non capii dove mi stava conducendo e lui si rifiutava di dirmi
qualcosa, non
penso per necessità ma più per divertimento
personale. Era un uomo stravagante
e amava fare sorprese.
Entrammo in quella che scoprii ben presto
essere la casa di cura, probabilmente mi stava portando da Merry. Ma
perché
essere così vaghi e misteriosi? Ci sarei andata lo stesso a
trovare Merry. Ma
un’altra domanda mi ponevo: io ero il suo angelo. Possibile
che Merry mi
considerasse il suo angelo? No, qualcosa non quadrava.
Ma tutti i dubbi sparirono quando mi
trovai di fronte a un’altra persona, non Merry né
chiunque potessi immaginarmi.
<< Faramir, è lei la donna di cui
mi hai parlato, non è così? >>
annunciò il mio arrivo Gandalf. Faramir
voleva vedermi! Faramir mi voleva conoscere, voleva
conoscere….il SUO angelo.
Arrossii a questa nuova scoperta. Faramir mi guardò bene e
si avvicinò per
potermi vedere meglio poi annuì verso Gandalf
<< Sì, ti ringrazio molto
Gandalf per averla portata qui >>.
Rimasi in silenzio, non capivo e mi
sentivo così imbarazzata, ma non osai dir niente. Mi sentivo
a dire il vero un
po’ fuori luogo. Gandalf si allontanò e
uscì dalla stanza lasciandoci soli.
Faramir prese subito la parola << Non vorrei essermi
sbagliato: siete
stata voi a salvarmi, nevvero? >>.
Annuii non avendo la più pallida idea di
come comportarmi, era diverso averlo cosciente davanti a me
anziché svenuto.
Avevo sempre provato nei suoi confronti questo sentimento di forte
affetto
materno e non mi ero vergognata nel mostrarglieli quando lo avevo
salvato dalle
fiamme, ma ora tutto era diverso. Mi sentivo così piccola e
fuori luogo.
<< Sì, sono stata io >>.
<< Volevo ringraziarvi
personalmente >> disse prima di allontanarsi colto da uno
strano senso di
imbarazzo, molto simile al mio, e si sedette sul letto. Si
concentrò per
trovare le parole adatte e aprì la bocca parlando lentamente
mentre fissava un
punto invisibile in un angolo della stanza.
<< Sono felice che Boromir abbia
capito e vi abbia liberata >>
<< Boromir aveva tante cose da
capire >> commentai avvicinandomi e mettendomi a sedere
accanto a lui.
<< Come mio padre. >> disse
quasi istintivamente con tono gravoso.
<< Tuo padre, Faramir, non ha mai
avuto un bel carattere. Non aveva intenzione di ucciderti, cerca solo
di capire
questo. La nebbia e l’oscurità si erano
impadroniti della sua mente, credeva
ormai tutto perduto, aveva perso la speranza e ti ha creduto morto per
questo
ha commesso quel gesto. Voleva raggiungere la casa dei suoi padri come
meglio
preferiva e voleva portarti con sé perché infondo
gli sei sempre stato a cuore
>>
<< Questo non è vero, mi ha sempre
disprezzato al contrario di Boromir, lui l’amava
>>.
Non era un discorso che riuscivo a
sostenere facilmente, infondo anche io avevo subito le
crudeltà di un padre
senza cuore e non ero certo nelle condizioni di difendere una persona
spregevole come quella. Ma Faramir ne era afflitto e non potevo
lasciarlo con
quel dolore nel cuore.
<< Sì invece, è vero. Ti ha sempre
voluto bene solo che, al contrario che con Boromir, non se
n’è mai reso conto.
Ma ora non pensarci più o rischi di star ancora peggio,
pensa al futuro, ti
aspettano grandi glorie e grandi soddisfazioni. Sei un uomo forte,
forse anche
più di tuo fratello, ma questo rimanga tra noi
>> aggiunsi subito con un
occhiolino e una risatina e riuscii a strappare un sorriso anche a lui.
Mi alzai in piedi << Ora forse è
meglio che io vada, ho promesso di far visita a un altro caro amico e
poi
vorrei andare a vedere come sta tuo fratello >>.
<< Boromir? Perché cos’ha?
>>
mi bloccai, che sciocca! Lui non sapeva niente di ciò che
era successo, perché
non tenevo la bocca chiusa? Mi voltai tenendo lo sguardo basso.
<< Ha rischiato la vita per salvare
la mia, poco fa. >> confessai rimanendo sul vago, non
volevo certo
entrare nei dettagli. << Beh una volta per uno non fa
male a nessuno
>> risi cercando di sdrammatizzare, forse anche in
maniera indelicata.
<< Che volete dire? >>
Possibile che non sapesse nemmeno quello? Possibile che dovevo rivelare
tutto
io, un’estranea?
<< Ho salvato la vita a Boromir
tempo fa >> dissi cercando di non dar troppo peso alle
parole, non volevo
che mi ringraziasse per questo, non aveva senso perché lo
avevo fatto per un
mio capriccio non per lui o per Boromir stesso, ero stata un
po’ egoista, non
dovevo avere nessun merito né riconoscenza.
Faramir si alzò e voltandosi verso la
finestra che dava sul cortile fuori sussurro << Avevo
ragione allora.
>>. Rimasi colpita dalle sue parole, che voleva dire?
Aveva ragione di
cosa? Rimasi in silenzio, immobile aspettando che mi desse spiegazioni,
spiegazioni che arrivarono solo dopo una sua breve pausa riflessiva.
<< Quando ho aperto gli occhi,
quando voi mi avete salvato dalle fiamme >>
cominciò parlando piano un
po’ imbarazzato da quanto stava per dire <<
Ammetto che la mia vista non
era delle migliori, vedevo tutto confuso e annebbiato, ma distinsi
chiaramente
il vostro volto, sentivo le vostre parole leggere nell’aria e
le vostre carezze
erano delicate come fiori. Non vedevo bene, ma mi parve di vedere in
voi…
>> esitò << … un
angelo. Un angelo mandato per vegliare su di me e
aiutarmi, e ammetto che pensai che fosse stata mia madre a mandarvi, mi
ricordate così tanto lei. Dopo essermi svegliato ho pensato
che forse era solo
stata tutta una mia fantasia, che mi ero lasciato trascinare dalla
soggezione.
Probabilmente avevo sperato così tanto di rivedere mia
madre, che mi salvasse e
vegliasse su di me, che mi ero convinto che voi foste un suo
messaggero.
>> si voltò verso di me che in quel momento lo
guardavo in un misto tra
l’imbarazzato, l’emozionato e lo stupito
<< Ma dopo questa chiacchierata
con voi sono tornato sulle stesse convinzioni. Avete salvato e vegliato
sulla
mia famiglia come solo mia madre avrebbe avuto l’amore di
fare. >>
Oddio, stava andando oltre! Io mandata da
sua madre? Era un bellissimo pensiero ma assolutamente falso, non
riuscivo a
trovarci niente di mio.
<< Mi dispiace deluderti, ma io ho
solo seguito il mio cuore. Non c’è stata nessuna
forza superiore a spingermi a
salvarvi, fidati. >> Avevo salvato Boromir per un
capriccio e Faramir
perché sennò la storia avrebbe subito troppi
mutamenti, forse anche irrilevanti
per quanto riguardava la storia della Terra di Mezzo, ma pur sempre
troppi
mutamenti e non mi sarebbe mai andata giù l’idea
di aver cambiato quello
splendore di storia.
<< Certe cose accadono per la
maggior parte delle volte in maniera inconscia >> rispose.
Continuavo a pensare che stesse
sbagliando e che si stesse solo illudendo, ma in fin dei conti che
problemi
c’erano? Se a lui piaceva pensarla in quella maniera e se lo
rendeva felice non
mi sarebbe costato niente assecondarlo. Gli sorrisi amorevolmente e mi
avvicinai sentendo ancora una volta nascere dentro di me
quell’affetto materno
anche se inadatto.
<< Non sono tua madre, non lo sarò
mai e mai le assomiglierò, sarebbe blasfemo solo pensarlo.
Ma se mai un giorno
tu avessi bisogno di qualcuno di vagamente simile nel comportamento,
qualcuno
desideroso di amarti come avrebbe fatto lei e ad accudirti nella stessa
maniera, sai dove trovarmi, se ciò ti fa piacere.
>> dissi alzandomi
sulle punte per arrivare a baciare la sua fronte. Lo vidi sorridere
soddisfatto
ed emozionato.
<< Ora vado, altre persone
aspettano una mia visita >> dissi avviandomi verso la
porta e mi voltai a
sorridergli ancora prima di uscire. << Grazie ancora
>> disse lui
prima di vedermi sparire del tutto.
Attraversai la casa di cura a fatica,
molti erano stesi nel corridoio o ammucchiati nelle stanze, troppi
feriti aveva
portato questa guerra.
Riuscii a trovare Merry con un po’ di
fortuna, era steso accanto ad altre persone su di una morbida coperta.
Aveva
gli occhi aperti e stava parlando con un suo vicino, sembrava stesse
bene, era
arzillo e vivace.
<< Sei solo un falso malato
Meriadoc! Tutte scuse per accaparrarti l’attenzione di tutti
e farci morire di
preoccupazione >> scherzai avvicinandomi a lui. Merry
saltò sentendo la
mia voce e cominciò ad agitarsi perché voleva
alzarsi e corrermi incontro, ma
le ferite e le brontolate degli infermieri glielo impedivano. Mi
avvicinai io a
lui quel tanto che bastava per farmi assalire dal piccolo hobbit che
quasi mi
stritolò.
<< Ehi, vacci piano! Non sono un
orco io. >> ridacchiai ricambiando il suo abbraccio.
<< Come stai
piccolo uomo? >> chiesi mettendomi a sedere sul freddo
pavimento, accanto
a lui, e scompigliandogli i capelli.
<< Molto meglio, le cure di Aragorn
sono state miracolose, pochi giorni e sarò di nuovo quello
di sempre >>
mi rispose prima di aggiungere << Ma tu invece? Dove sei
stata? Cos’hai
fatto? Non ho più ricevuto notizie su di te, mi sono
preoccupato molto >>
<< Non hai bisogno di preoccuparti
per me, come vedi sono ancora tutta intera >>
“anche se ho rischiato”
pensai mentre le immagini del mio salvataggio tornavano alla mente.
Immagini
così piene di intensità e così
luminose da accecarmi per qualche secondo.
<< Sophia. >> mi richiamò
Merry svegliandomi dal mio incanto << Cos’hai?
>>
<< Oh, niente Merry, tranquillo.
Solo…pensieri. Niente di grave, non preoccuparti. Pensa a
riposare piuttosto,
prima torni in forze e prima potremo passare di nuovo del tempo
insieme, come
nei giorni a Fangorn. >> dissi alzandomi in piedi
<< Te ne vai già?
>> mi chiese un po’ sconsolato.
Annuii << Voglio andare a trovare
un’altra persona. >> rimasi sul vago.
<< Dai, Sophia! Raccontami
qualcosa, sei stata via da sola con Boromir così a lungo! Ci
sono sicuramente
tante cose che mi dovrai raccontare! >>
<< E te le racconterò, promesso. Ma
non ora, non è il momento migliore e non è il
luogo adatto. >> dissi
guardandomi attorno: c’erano troppe persone e
l’atmosfera non era l’ideale.
<< Riprenditi in fretta e andremo
in qualche giardino di questa bellissima città a parlare, ti
racconterò tutto,
promesso. Ora ero solo di passaggio per vedere come stavi.
>> sorrisi
ancora prima di allontanarmi di qualche passo dopo aver fatto un cenno
di
saluto con la mano.
<< Va bene, allora mi riposerò così
mi riprenderò in fretta e a quel punto non avrai
più scuse! Salutami Boromir
ora che vai a trovarlo >> disse pronunciando
l’ultima frase senza peso,
come se avesse detto una cosa ovvia. La mia reazione invece fu di sommo
stupore, era riuscito a capire di chi si trattava! Rilassai il volto in
un
sorriso divertito, riusciva a leggere nei miei occhi come pochi
riuscivano a
fare, un po’ come Legolas. << Lo
farò >> sorrisi prima di voltarmi
e allontanarmi da lui passando accanto a malati, feriti e persone in
coma sul
punto di morte. La morte non era mai stata tanto vicina da impregnare
l’aria
con la sua puzza come faceva in quel momento.
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Capitolo 15 *** Ti sbagli, sono solo una ragazza molto egoista e fortunata. ***
Uscii dalla casa
di cura e mi guardai
attorno in cerca di qualcuno che potesse darmi spiegazioni, sapevo
benissimo
che non avrebbero mai potuto mettere il capitano Boromir di Gondor in
una delle
tante stanze della casa di cura, in mezzo a malati e altri
“plebei”.
Sicuramente gli era stato riservato un posto d’onore, ma
chissà dove. Per
fortuna in quel momento passò una guardia <<
Scusate, buon uomo >>
dissi ridendo di me stessa come di un comico, era la prima volta che
usavo
quell’espressione e mi sembrava a dir poco esagerata e
ironica, ma da quelle
parti usavano così << Sapete mica indicarmi la
via per arrivare alla
stanza dove riposa il capitano Boromir? >> La guardia mi
guardò dapprima
scettica, poi si voltò a guardare la via di fronte a noi
<< Lungo questa
via, poi a sinistra. >> ringraziai e cominciai ad
avviarmi. Non era stato
messo molto lontano dalla casa di cura, come immaginavo,
così che se ce ne fosse
stata la necessità i medici avrebbero impiegato poco tempo a
raggiungerlo.
Giunsi davanti alla porta e allungai una mano per bussare ma esitai.
Una volta
entrata come mi sarei comportata? Ora mi chiedevo addirittura
perché mai fossi
voluta andare a trovarlo. Non avevo niente da dirgli, e anche se avessi
avuto
qualcosa da dirgli non ne avrei avuto il coraggio. Abbassai il braccio
decisa a
rimandare la mia visita, non aveva senso entrare in quel momento, anche
perché
probabilmente stava riposando e aveva bisogno di essere lasciato in
pace. Stavo
per andarmene quando la porta si aprì di fronte a me
facendomi sobbalzare e mi
trovai di fronte Aragorn che come al solito sorrideva <<
Allora avevo
veramente sentito qualcosa >>
<< Sicuro di non essere un elfo?
>> quasi brontolai, come diavolo aveva fatto a sentirmi?
Avevo respirato
così forte? Bah.
<< Abbastanza. Sei venuta a
trovarlo? >> mi chiese uscendo dalla porta e facendosi da
parte per farmi
passare << Beh, le mie intenzioni erano quelle ma
probabilmente starà
riposando quindi è meglio se lo lascio in pace
>> sorrisi imbarazzata,
ovviamente non era proprio quello il motivo.
<< E’ sveglio >>
“Doh!”
<< Entra pure, gli farà piacere vederti
>>
<< Ne sei certo? >> chiesi
ancora esitando, chissà che invece non continuasse a
disprezzarmi. Nelle
prigioni era stata quella l’impressione.
<< Più che certo. >> disse
prima di congedarsi con un lieve inchino regale e andarsene. Rimasi
immobile di
fronte alla porta aperta, ero ancora in tempo per fuggire via. Ma no,
sarebbe
stato da stupidi, ormai ero lì tanto valeva entrare. E
così feci, chiudendomi
la porta alle spalle.
La stanza era illuminata da una semplice
candela posta sopra un mobiletto poco lontano dal letto su cui giaceva
Boromir,
con gli occhi chiusi e il respiro tranquillo. Il pavimento
cigolò sotto i miei
piedi e ciò destò l’uomo dal suo riposo
apparente, portandolo ad aprire gli
occhi e facendomi capire che non stava dormendo ma semplicemente
riposando, o
forse pensando. Mi guardò privo di espressione e si
sollevò a sedere sul letto
con fatica.
<< Ero venuta a vedere come stavi
>> dissi semplicemente tenendo lo sguardo basso per la
vergogna.
<< Ho avuto momenti migliori, ma
Aragorn è un ottimo medico. Sono già quasi come
nuovo. >> disse e non
riuscii a cogliere nessun tipo di emozione nella sua voce.
<< Tu come
stai? >> mi chiese questa volta facendo trasparire la sua
dolcezza.
Annuii e mi misi a sedere su una sedia vicino al letto. Gli afferrai la
mano
sinistra accarezzandola appena con il pollice << La tua
mano è tornata
calda >> constatai ricordando di come era stata gelida.
<< Sì e pian piano riesco anche a
muoverla, ma temo che non tornerà mai quella di un tempo
>>
<< Mi dispiace >> riuscii a
trovare la forza di dirgli in un flebile sussurro, mentre i sensi di
colpa mi
rosicchiavano dall’interno come topi.
<< Non chiedermi scusa >>
disse lui voltando i suoi occhi verso la piccola finestrella posta alla
sua
destra, un po’ troppo in alto per riuscire ad affacciarsi e
vedere di fuori.
<< Sono io che devo chiederlo a te. Se solo mi fossi
fidato… >> non
concluse la frase ma sentii che c’era del rancore nella sua
voce, rancore verso
se stesso.
<< Non dire questo! Hai fatto ciò
che ritenevi più giusto >>
<< Molto spesso il mio cuore mi ha
condotto per via sbagliate, non riesco più a fidarmi della
sua voce, non sono
più sicuro di ciò che sia giusto o sbagliato.
>>
<< Tutti commettono degli errori e
il tuo è più che giustificato. Non
colpevolizzarti inutilmente. >>
Boromir fece una pausa prima di portare
gli occhi sulle lenzuola che aveva sopra le sue gambe per poi spostarlo
di
nuovo verso me << Mi dispiace, Sophia, per tutto
ciò che ti ho fatto
passare. Sono stato spregevole e cieco, terribilmente cieco.
>>
Non sapevo cosa rispondergli, aveva
ragione: mi aveva fatto patire le fiamme dell’inferno, non
potevo mentirgli.
<< Ma adesso ti sei reso conto del
tuo errore, adesso è tutto passato ed è questo
che conta. Non è così? >>
chiesi conferma sperando che veramente avessi detto al
verità, che veramente
fosse tutto passato ma non ricevetti subito risposta. Anzi, non
ricevetti
proprio risposta. Ciò mi preoccupò non poco,
ancora portava rancore? Possibile,
dopo ciò che mi aveva detto? Che uomo cocciuto e orgoglioso!
Mi faceva venire
una gran rabbia, perché diavolo si comportava in quella
maniera? Mi alzai in
piedi intenzionata a non rimanere un attimo di più in quella
stanza, era
inutile, potevo piangere, disperarmi e urlare , era tutto inutile, mai
mi
avrebbe visto e mi avrebbe dato importanza.
Stavo per voltarmi per andarmene, così
senza dire nemmeno una parola, quando fu lui a parlare finalmente. Ma
ciò che
disse non fu esattamente ciò che mi aspettavo.
<< Il tuo amore è ingiustificato
>>.
Rimasi pietrificata mentre lui ancora una
volta si voltava a guardare quella piccola finestrella in alto, che
puntava
verso un cielo nero e cupo pronto a cadere sopra una terra ormai priva
di vita.
Capii che lo faceva perché incapace di rivolgere il suo
sguardo a me.
<< Non sono degno di tutto ciò
>> disse stringendo le lenzuola tra le dita con forza
<< Dopo tutto
ciò che ho fatto per renderti il cammino difficile, dopo
tutto l’odio che ti ho
rivolto…come puoi… >> non
finì la frase che aveva pronunciato con astio,
strinse i denti e si portò una mano sugli occhi abbassando
la testa. Nella mia
testa non passava niente se non pietà verso l’uomo
che davanti a me si
stava crucciando per un crimine che
aveva commesso inconsapevolmente. Si può perdonare un
colpevole qualora
chiedesse scusa? Qualora si fosse reso conto del suo errore?
<< Riusciresti a distruggere un
muro di pietra prendendolo a pugni? >> risposi con una
serietà uscita da
chissà quale cavità del mio cuore
<< Il mio amore non è ingiustificato,
è
una fiamma troppo alta per spegnersi con una leggera brezza mattutina
>>.
Feci poi un inchino come era solito fare dai soldati di fronte al loro
capitano, ero risultata fredda e passionale allo stesso tempo, qualcosa
di
inconcepibile che mi era nato da non so bene dove. Forse dalla
disperazione, o
forse dalla consapevolezza ormai remota che il mio fuoco,
benché alto, non
avrebbe trovato alimentazione in nient’altro se non in se
stesso.
Mi voltai verso la porta e mi avvicinai a
quella che segnava il confine tra la speranza e la realtà.
Boromir aveva riconosciuto
il suo errore, si era evidentemente pentito, la cosa non poteva che
farmi
piacere, ma dopo mesi di lacrime e dolore mi ero stufata di continuare
a
sperare, la speranza mi aveva illusa troppe volte, era giunta
l’ora di tornare
alla realtà con freddezza e consapevolezza. Il cuore del
capitano di Gondor non
mi apparteneva, dopo tutto ciò che era successo non potevo
certo sperare di
andare avanti ignara del passato, Saruman aveva ragione. Ora riuscivo
ad
accettarlo con più diplomazia.
Allungai una mano verso il pomello della
porta e dopo aver fatto un sospiro l’aprii per affacciarmi
nella mia realtà e
prendervi parte ma mi fu impossibile. La porta fu spinta in avanti
tanto da
richiuderla con un gran tonfo. Inizialmente non capii cosa stava
succedendo, ma
dopo vidi che a chiudere la porta era stata…una
mano…LUI! Mi voltai
completamente a guardarlo esterrefatta non capendo il significato del
suo
gesto, o almeno non subito in quanto lui si apprestò a darmi
spiegazioni…con un
bacio.
La piccola candela a fianco del letto
stava cominciando a morire, la sua luce stava affievolendosi lasciando
che la
stanza cadesse nel buio della notte. Che ore erano? Non avrei saputo
proprio
dirlo. Da quando ero arrivata lì avevo perso completamente
la concezione del
tempo, riuscivo solo a capire se fosse notte o giorno, e ultimamente
anche
quella capacità stava svanendo. Le nubi di Mordor stavano
prendendo il dominio
su tutto il cielo, senza alcuna pietà. Luna e Sole si
stavano alienando, non
riuscivano più a vedere la terra che per anni aveva
accarezzato. E questa, a
sua volta, non riusciva a vedere loro, protettori di ere.
Tutti pensieri molto tristi e cupi, come
quelli di ogni abitante della Terra di Mezzo probabilmente.
Ma non per me. Non quella notte.
Penso di non essermi mai sentita così
bene da quando avevo scoperto di essere piombata a Gran Burrone.
Infondo, dopo
mille e più pericoli, dopo dolori e rammarichi,
preoccupazioni e
paura….finalmente era arrivato il mio lieto fine.
La fiamma si spense completamente, il
buio calò, e l’unica cosa di cui mi rattristavo
era di non poter più veder
muoversi ritmicamente il petto nudo dell’uomo che mi giaceva
accanto, avvolto
nel sonno, benché la vista delle sue tre cicatrici mi
riempivano il cuore di
uno strano liquido nero. Così, non potendo più
vedere con occhi, decisi di
vedere con gli altri sensi. Mi strinsi a lui, abbracciandolo, e
chiudendo gli
occhi lasciai che il suono del suo respiro mi cullasse portandomi al
sonno. Il
calore della sua pelle a diretto contatto con la mia era un dolce
tepore, che
solo poche volte ero riuscita a percepire tanto piacevole.
Cosa avrei dato perché il tempo si
fermasse a quel preciso istante. La gioia che provavo era tanta in quel
momento
da impedirmi di dormire, tanta da pulire tutte le macchie che avevo
accumulato
dentro me.
Niente aveva più importanza.
Finalmente ero lì, e sapevo che non era
un sogno. Finalmente ero giunta in cima a quella montagna che tanto mi
aveva
ferito con le sue rocce, e tanto mi aveva punto con il suo freddo. Ma
finalmente
ero lì. E non mi sarei più mossa da quel cucuzzolo accogliente, che mostrava
a me tutte le
meraviglie di un paesaggio mozzafiato, accarezzato dalle nuvole. Mai
avrei
smesso di allungare il braccio, avida di quel telo blu cristallino
sopra di me,
per poterlo toccare e accarezzare, cucciolo gioioso.
Finalmente morfeo aveva ceduto a me il
suo posto, ora potevo abbracciarlo e cullare il suo sonno donandogli
tutto ciò
che il mio amore poteva offrirli per la sua serenità.
Lui.
La mia anima.
La mia vita.
Boromir.
Il mattino arrivò fin troppo presto,
avevo dormito davvero molto poco, e non mi era chiaro se per la gioia
di
poterlo stringere a me, o per una strana ansia che testarda continuava
a
battermi in petto per una ragione a me oscura. Cosa avevo da essere
ansiosa?
Stava andando tutto bene: avevo realizzato il mio sogno, ero sulla
terra più
meravigliosa che uomo potesse conoscere e avevo ricevuto
l’amore di un uomo
altrettanto meraviglioso. Il male incombeva a pochi passi da noi, vero,
ma
sapevo che tutto si sarebbe risolto per il meglio. Tutto stava andando
come era
stato scritto. O almeno così credevo.
Sembrava quasi che avessi dovuto pagare
un prezzo per quel piccolo dono: la mia memoria in cambio della
felicità. Ormai
stavo dimenticando tutto. Ricordavo della caduta di Sauron ma i mezzi
mi erano
ormai oscuri. Vuoto assoluto. Non che la cosa mi dispiacesse troppo,
ormai
eravamo giunti alla conclusione, avevo tutto inciso nel mio passato e
non in un
foglio di carta bruciacchiato. Potevo ricordare lo stesso quella
magnifica
avventura passata accanto a persone meravigliose. Ma l’idea
di non sapere cosa
ci sarebbe stato da lì a pochi giorni mi tormentava.
E se avessi commesso un errore? E se
avessi sbagliato qualcosa? Se qualche particolare mi era sfuggito?
Se….qualcuno
fosse morto in battaglia?
Sospirai esasperata, non riuscivo più a
stare ferma. Dovevo muovermi, dovevo alzarmi e fare due passi per
scaricare la
tensione. E poi era già mattino: se qualcuno fosse venuto a
trovare il grande
Capitano Boromir e mi avesse trovato nel suo letto? Non mi piaceva
l’idea.
Per quanto mi dispiacesse interrompere
quel meraviglioso incanto sapevo che il tempo era implacabile, non
potevo più
restare. Scostai appena le coperte da sopra di me per potermi alzare,
cercando
di fare tutto con la massima cautela per non svegliare
l’angelo che riposava al
mio fianco. Ma scoprii ben presto che non ce n’era bisogno.
<< Sono ben sei >> la sua
voce lievitò delicatamente dentro la stanza, senza macchiare
il silenzio
melodioso che per tutta la notte ci aveva fatto compagnia
<< Sei sospiri
da quando ti sei risvegliata, circa un’ora fa. Cosa turba i
tuoi pensieri?
>> Mi chiese scoprendo quei meravigliosi diamanti che
erano i suoi occhi,
puntandoli dritti contro di me, colpendomi come una freccia di cupido.
Un’altra.
<< Non stavi dormendo? >>
cercai di deviare il discorso, non mi piaceva parlare dei miei
“poteri” con
lui, non ancora. Dovevo aspettare che tutto fosse finito, mi sentivo
ancora
troppo vulnerabile. Una parola di troppo e tutto sarebbe crollato.
<< Sono stato più sveglio di te
>> disse con un leggero sorriso e si alzò
poggiandosi su un gomito, così
da potermi guardare meglio in volto. << Ma mi piace
tenertelo nascosto. E
bello sentire i tuoi occhi puntati su di me. >>
<< I miei occhi sono puntati su di
te anche quando sei sveglio >> dissi prima di stendermi
su di un fianco
per potermi rilassare.
<< Non è vero. Fuggi dal mio
sguardo, lo hai sempre fatto. Mi temi. E non ne capisco il motivo.
>> la
sua voce era pregna di dolcezza, mai l’avevo sentito
così. Sentivo che un
grosso nodo si era sciolto, sentivo che adesso tutto sarebbe stato
diverso. La
lontananza che c’era stata fino a poche ore prima ora si era
dissolta
completamente. Io potevo vedere lui e lui poteva vedere me. O forse
l’aveva
sempre fatto?
Non sapevo cosa rispondergli,
effettivamente aveva ragione. Ero sempre stata intimorita dal suo
sguardo, mi
ero sempre allontanata da lui e da tutto ciò che lo
riguardava, ma non per
disprezzo. Il mio era un fuggire timido. Uno di quelli da film, dove
l’unica
soluzione richiesta è un inseguimento da parte
dell’altra persona. E lui era
stato veloce abbastanza da prendermi e stringermi a sé,
precludendomi
l’eventualità di un ulteriore fuga. Fuga che,
intimidita, continuavo a ricercare.
Ero timida, vero.
<< Allora, mi dici perché sei tanto
agitata? Perfino il sonno non ti ha donato la quiete. >>
Accidenti era
tornato sull’argomento di prima! Non avevo intenzione di
affrontarlo con lui,
non adesso.
<< Temo la mia sorte. >>
Risposi accennando un sorrisino divertito. Boromir rimase in silenzio a
guardarmi incuriosito, probabilmente si stava chiedendo cosa volessi
dire.
<< Il tuo sguardo >>
cominciai a spiegare aprendo gli occhi e fissando il suo braccio a
pochi
centimetri di ma << Non temo il tuo sguardo, temo la mia
sorte se mai
dovessi incrociarlo. Ecco perché evito sempre di farlo.
>> feci una
piccola pausa alzandomi a sedere e voltandomi lentamente per riuscire
finalmente a puntare i miei occhi verdi nei suoi azzurri. Il risultato
fu quello
che mi aspettavo e molto peggio. L’invisibile linea che
collegava le due uniche
fonti di accesso alla nostra anima era colma di energia che vibrava
nell’aria,
la rendeva calda e leggera. Il cuore cominciò a battere
forte, decisamente
troppo forte, ma non ero intenzionata ad arrendermi. Sentivo che in
quel
momento lui poteva benissimo toccarmi nel profondo e farne
ciò che più
preferiva. Ma non lo temevo, sapevo che avrebbe avuto cura della mia
linfa
vitale e l’avrebbe donata di nuova luce.
<< Anni fa lessi per la prima volta
di un uomo. >> cominciai a parlare con la voce che
tremava << Non
un uomo qualunque: un grande uomo, conosciuto da tutto il suo popolo e
da molti
dei popoli che vivevano su una splendida terra, la quale brillava di
luce
propria. Il sospiro dei suoi venti erano carezze, il calore del suo
sole era un
abbraccio, i canti dei suoi fiumi ninna nanne per cuori affranti in
cerca
d’aiuto. Alberi premurosi di curare chi volesse concedersi
una pausa dagli
abbracci di quel caloroso amico che sopra il cielo vegliava su tutto.
Una terra
piena di magia, che curava le proprie creature con amore promettendo
loro pace
e quiete. Lessi di una terra ferita che ben presto avrebbe chiesto
aiuto a nove
dei suoi figli. Figli che non avrebbero tardato a curarla. Lessi di
nove
coraggiosi cavalieri che, percorrendo per esteso questa meraviglia,
correvano
verso il centro dello squarcio per impedire la fine. Attraversarono
boschi in
grado di allietare le loro fatiche con dei canti, attraversarono fiumi
che prendendoli
sulle spalle, e permettendo loro di riposare, li portarono lontani
finchè
potevano. Lessi di montagne amiche e nemiche. E lessi con orrore
ciò che quella
ferita stava portando: lessi della progressiva morte di tutto
ciò. >> Ero
un po’ divagata dal discorso iniziale, ma ero volata sopra
quella magnifica
terra di cui tanto avevo sentito parlare e che finalmente avevo potuto
toccare
con mano. << Ma il mio dolore trovava sollievo in quei
nove cavalieri:
coraggiosi, colmi di amore e speranze, leali e fedeli,
dall’animo puro e un po’
burlone. Quanti sorrisi ho donato alle loro gioie, quante lacrime ho
donato ai
loro dolori, quanta ansia alle loro paure. Io ero lì, ero
sempre stata lì con
voi, spettatrice impotente. E proprio questa impotenza mi aveva portato
alla
follia, soprattutto laddove volevo donare a voi qualcosa di diverso. E
lo
trovai: il culmine della mia follia. >> feci
un’altra pausa cercando di
raccogliere le parole e nel frattempo chinai la testa, staccandomi un
po’ dai
suoi occhi che continuavano a scrutare la mia anima, bramosi di vederne
tutti i
significati più profondi. Feci un piccolo sorriso intenerito
nel ricordare
tutte le sensazioni che avevo provato nel leggere di Boromir, e rialzai
lo
sguardo per poter permettere all’uomo di continuare la sua
caccia al tesoro
dentro me << C’era un uomo tra loro. Un
cavaliere, un capitano, figlio
della sua terra, servitore del suo popolo, dall’animo fiero e
valoroso. Lui era
IL cavaliere. Il suo cuore bruciava per il suo popolo, si sarebbe
gettato nelle
fiamme e sarebbe morto lì se solo loro glielo avrebbero
chiesto. Ma il suo
cuore lo condusse troppo lontano, laddove l’amore si mischia
alla follia… e non
se ne fa più ritorno. >> Ricordare la sua
morte non mi faceva mai bene,
mi incupiva sempre, anche se sapevo che ormai il pericolo era scampato.
<< Lessi di un uomo anni fa. Un uomo tormentato dal
profondo, un uomo il
cui padre, accecato da lame avvelenate, l’aveva incitato a
giungere su quella
linea di confine. Lessi di un uomo dai capelli neri e gli occhi
azzurri,
ingrigiti dall’età e dalle fatiche, un uomo che
morì percorrendo una via
sbagliata in cerca della luce. E me ne innamorai follemente.
>> mi sentii
avvampare, non mi ero mai stata aperta tanto con lui. A dir il vero:
non mi ero
mai aperta tanto con nessuno. Mi sentivo spogliata di tutto, non avevo
più
niente con cui proteggermi. Ero così vulnerabile.
<< La notte, quando chiudevo gli
occhi, dopo aver letto la sua storia, lo vedevo come fosse
lì a due passi da
me. Il sole fiero di battere sulla sua pelle richiamava tanto le
immagini delle
divinità, il suo sorriso risplendeva più del sole
stesso e i suoi occhi…
>> mi bloccai emozionata, la voce mi tremò
<< Splendide pietre
preziose, incastonate su di un viso perlaceo, porte che si spalancavano
verso
un mondo colmo di dolore e amore per la propria terra. Un mondo che
tremava
sotto i piedi di chiunque tentasse di far percorrere i suoi passi.
Riuscivo a
vedere in quegli occhi il tormento dell’impotenza di fronte
alla morte e il desiderio
di tornare a sorridere. E io tremavo e cadevo, toccando quel suolo
così
fragile, capendo quanto ciò gli facesse male e desiderando
più di qualsiasi
altra cosa poterlo aiutare. Ogni singola notte vedevo quel mondo cadere
nelle
mani dell’oscurità, e io…
>> la voce mi morì in gola, stavo andando
oltre,
dove mai mi ero avventurata. Abbassai di nuovo lo sguardo, incapace di
continuare a guardarlo, occhi e gola bruciavano, minacciosi.
<< Boromir
>> proseguii portando al limite del possibile la mia
stabilità <<
Tu bruciavi dentro me già da prima che io arrivassi qui. Per
anni ho sognato di
poterti vedere con i miei occhi e impedire la tua caduta. Non era
giusta! Tu
eri stato il migliore di tutti, tu avevi sacrificato te stesso per
tutto quello
che amavi, non potevi concluderti così. Anche tu avevi
diritto di ritrovare la
serenità, era inconcepibile la tua caduta! Avrei dato
qualsiasi cosa pur di
donarti la felicità tanto ambita, QUALSIASI! E...e Saruman
fu colto dai miei
sogni, io ho raggiunto Saruman pregandogli di darmi una
possibilità per
aiutarti. E lui non s’è fatto scappare
l’occasione e mi ha portato qua.
>>
<< Conosco già la tua storia,
adesso basta. >> disse dolcemente invitandomi a rimanere
in silenzio,
vedeva che parlare di quelle cose mi portava solo sofferenze. Mi
accarezzò i
capelli e tentò di tirarmi a sé per potermi
abbracciare.
<< No, è giusto che tu sappia DA
ME, quel che è successo. E’ giusto che tu senta le
MIE parole. >> cercai
di dire ma la voce mi impedì di parlare chiaro continuando a
tremare, forse per
vergogna dei miei errori, o forse per dolore nel ricordare la morte
dell’uomo
che avevo accanto a me che, nonostante fosse stata evitata, continuava a tormentare la mia mente,
mostrandomi il suo
volto privo di vita. << Hai già detto
abbastanza, adesso rasserenati. Non
amo vederti così. >>
Mi strinse a sé e io, affondando il volto
nel suo pettò, continuai singhiozzando <<
Quando sono giunta qui e ti ho
visto con i miei occhi è stato tutto diverso, capii che non
era amore quello
che avevo provato fino a quel momento ma semplice compassione. Tutto
è nato
stando al tuo fianco. Mi sono innamorata di te una seconda volta, in
maniera
più decisa e significativa. Un amore vero, non illusorio. Ho
fatto tutto questo
per te! Perché io ti amo. >> E quelle furono
le ultime parole da me
pronunciate. Non avevo altro da aggiungere: mi ero aperta
completamente, ormai
tutte le mie cicatrici avevano un significato ai suoi occhi.
Boromir però non rispose. Si limitò a
sospirare e a stringermi più forte a sé, sperando
di calmare il mio animo
turbato con carezze. La cosa però non mi piacque molto, non
ricevere risposta
mi faceva pensare che i miei sentimenti non erano ricambiati. Ma allora
perché
era lì con me? Perché era insieme a me in quel
letto?
<< I nostri destini erano legati
fin dal principio. >> disse lui con una voce profonda
come poche volte
avevo avuto l’onore di udire << O almeno
così mi piace pensare, anche se
molti lo riterrebbero sciocco e insensato. >>
Alzai lo sguardo verso i suoi occhi,
curiosa di scoprire cosa stesse cercando di dirmi. Il suo sguardo,
perso nel
vuoto, era al contempo serio e imbarazzato. Conoscevo bene quello
sguardo,
capitava spesso anche a me di assumerlo quando rivelavo qualcosa che
ritenevo
serio, ma che temevo fosse preso alla leggera dagli altri.
<< Pochi giorni prima del tuo
arrivo sulla Terra di Mezzo, una figura mi apparve in sogno. Una figuro
dal
volto indistinto, pareva quasi angelica, dai lunghi capelli dorati e
un’aura
brillante che quasi accecava il mio sguardo, privandomene la vista. Io
mi
trovavo nel buio più completo, sperduto in un luogo
indistinto, tra ombre e
oscurità. Ma quell’angelo, avvicinandosi a me,
illuminò improvvisamente il mio
cammino con una sua lacrima e io ripresi a vedere. E vidi cose
meravigliose! Ma
di lei... neanche l’ombra. Era sparita nel nulla lasciandosi
dietro solo una
piccola stella. >> Vidi il suo sguardo spostarsi lungo la
stanza fino a
raggiungere il comodino, dove vicino alla candela ormai spenta,
brillava di
vita propria il braccialetto regalatomi da Galadriel.
<< Boromir. >> cominciai
intimorita all’idea di infrangere le sue convinzioni, ma non
potevo tenere la
lingua a freno << Lo sai che probabilmente era solo un
incanto di
Saruman, non… >>
<< Sì, lo so. >> mi
interruppe privandomi della possibilità di proseguire
<< Ma ognuno è
libero di credere a quel che vuole. E io voglio credere che sia stato
il fato
ad anticiparmi la tua venuta e ad avvertirmi di darti la giusta
importanza.
>> Abbassò lo sguardo e sorrise appena
<< Mi conosci, no? Quando
un’idea lascia un segno nella mia testa, questo diventa
indelebile. >>
<< Già, sì. >>
sorrisi
<< Sei molto testardo. >>
<< Quando ti vidi la prima volta mi
colpisti particolarmente. >> un altro sorriso si dipinse
sul suo volto, ma
questo fu più divertito << Eri davvero strana:
non ricordavi niente (o
almeno così ci facesti credere), ti guardavi attorno
meravigliata anche del più
insignificante sassolino, dicevi cose strane e prive di senso, non
sapevi usare
un’arma, eri spaventata dalla tua stessa ombra. Insomma
apparentemente eri
abbastanza inutile per la squadra. Ma Elrond ci aveva assicurato la tua
importanza, quindi non facevo altro che studiarti (come penso tutti
abbiano
fatto nella compagnia) per riuscire a trovare queste
potenzialità. Potenzialità
che accennasti appena qualche volta: solo un occhio esperto poteva
cogliere in
quei piccoli segnali un grande potere. Un occhio come quello di Legolas
e
Gandalf, non certo il mio. Per me rimanevi inutile. >>
<< Grazie mille! >> dissi
alquanto offesa, ma sapevo bene che aveva ragione. Boromir rise
divertito
<< Inutile ma non per questo da abbandonare. Avevi
bisogno di cure più di
chiunque altro, io l’avevo visto. Avevi bisogno di una guida
e di protezione:
eri un cucciolo sperduto. E non potevo certo lasciarti lì,
da sola nel tuo
mondo di fantasmi e terrori. Mi intenerivi così tanto:
dovevo stare al tuo
fianco e aiutarti. E poi c’era l’ultimo
particolare, il più rilevante a dir il
vero: la tua energia. Certo, i primi tempi eri stata abbastanza
silenziosa e
chiusa, forse per timidezza o timore, ma ben presto vidi in te qualcosa
che non
vedevo anni: un sorriso. Non un sorriso come tutti gli altri: un vero
sorriso!
Sincero e pieno di gioia. Erano tempi bui quelli, nessuno
più riusciva a
sorridere, e tu sei piombata qui come….come una stella!
Illuminando il viso di
noi viandanti immersi nell’oscurità con la tua
gioia e la tua allegria. Ricordo
i giochi che facevi con i due piccoletti, come una sorella gioca con i
due
fratellini più piccoli: desideravo tanto prenderne parte,
desideravo tanto
tornare a sorridere come facevate tu, Merry e Pipino. Perfino nelle
battaglie
dimostravi un’allegria inconcepibile per la situazione:
scherzavi con la morte,
ridevi di essa, tanto da riuscire ad allontanarla. Tanti hanno visto in
questo
tuo atteggiamento la follia, ma non io. Io vedevo ben altro, io vedevo
qualcosa
che tutti da anni non vedevamo più e che probabilmente ci
eravamo dimenticati
cosa fosse: la gioia di vivere. Sophia, io ho riconosciuto subito in te
quell’angelo che mi era parso in sogno! Tu stavi illuminando
il mio cammino, il
NOSTRO cammino, donando calore e luce alle nostre anime afflitte.
>> Il
suo sorriso trasognato, che fino a quel momento aveva preso possesso
del suo
viso, si trasformò in uno più malinconico e buio
<< E trovai ulteriore
conferma quel giorno. >> Seppi subito di quale giorno
stava parlando: il
giorno della sua morte. << La morte che mi stava
prendendo rendeva il
mondo intorno a me sfocato e indecifrabile, il tuo viso era avvolto
dalla
nebbia, non riuscivo a coglierlo perfettamente. Ma vedevo
l’aura brillante
intorno a te, probabilmente era il sole alle tue spalle. E
poi….la tua lacrima
illuminò il mio cammino, tu sparisti, trascinata via dalle
ombre, lasciandoti
dietro solo una piccola stella. Un braccialetto luminoso, regalo degli
elfi. I
miei occhi cominciarono a vedere: capii. Dovevo sopravvivere, dovevo
farlo per
te e per questa magnifica terra. Tu mi avevi donato della vista. Poi,
una volta
ripresa conoscenza, e scoperto che eri stata trascinata via dagli orchi
verso
Isengard, capii che anche io avevo un ruolo in tutto questo: dovevo
proteggere
l’unica fonte di luce che ci fosse stata mandata. Dovevo
correre a salvarti per
permetterti di portare calore e luce a tutti gli altri e donare questa
terra di
nuova vita. >>
<< Boromir, mi stai idealizzando
troppo. >>
<< No, Sophia! >> mi disse
deciso, tanto che mi spaventò << No! Non ti
sto affatto idealizzando! Tu
sei stata mandata qui dai Valar per vegliare su tutti noi e aiutarci!
Lo so! Ne
sono certo! >>.
<< No! E’ stato Saruman >>
dissi scandendo bene le parole << IO ho chiesto di venire
qui per avere
una possibilità di salvarti, SARUMAN mi ha portato qui. Non
ci sono Valar di
mezzo! Né tanto meno angeli! E non sono certo quel profeta
che credi che sia.
>>
<< Questo è quello che credi tu! Ci
sono tante cose nascoste ai nostri occhi, non tutte sei in grado di
vederle.
>> Improvvisamente mi ricordai di Faramir. Anche lui, la
sera prima, nel
vedermi, mi aveva attribuito il ruolo di angelo mandato da sua madre
per
vegliare sulla sua famiglia. Doveva essere un vizio di famiglia quello
di
considerare Apostoli tutti quelli che aiutavano qualcun altro.
E se invece avessero avuto ragione?
Cosa mi aveva spinto quel giorno a
comprare quel libro? Cosa mi aveva spinto a leggerlo? Cosa mi aveva
spinto a
sorbirmi 12 ore di film? Se veramente fosse stato tutto scritto nel
destino? Mi
portai una mano alla fronte e negando debolmente sghignazzai
<<
Sciocchezze. >>
Non era possibile! Come poteva una forza
invisibile guidare i miei movimenti e i miei sentimenti in un arco di
tempo
così lungo e variabile? No, era assolutamente impossibile.
Perché proprio me,
poi? Cosa avevo di così speciale? La gioia di vivere? Il
mondo ne è pieno di
gente come me!
<< Io credo di no. >>
intervenne lui assumendo un sorriso compiaciuto, come se avesse
raggiunto un
traguardo (o lo stesse per raggiungere) << Non ti basta
tutto ciò che ti
ho detto? Non ti basta come prova l’avermi salvato la vita?
Non ti basta come
prova l’aver salvato la vita di mio fratello?
>>
<< Chiunque l’avrebbe fatto. E poi,
come ti ho già detto, mi stai idealizzando troppo. Vedi i
miei successi e non i
miei errori: tuo padre è morto, e io non sono riuscita a
portare “luce e
calore” in lui, come dici tu. >>
<< Tu invece vedi i tuoi errori e
non i tuoi successi. Mio padre era già morto. Tanti anni fa.
Non potevi fare
niente, prima o poi il suo corpo avrebbe ceduto lo stesso. Se non oggi,
domani.
Era tutto scritto nel destino. >>
Quei discorsi mi stavano stufando, era
impossibile riuscire a farlo ragionare. Uomini privi di speranze e
spiegazioni
logiche tendono ad aggrapparsi a soluzioni illusorie e fallaci, create
dalla
potenza dell’immaginazione. E’ il loro unico modo
di sopravvivere: la loro
essenza rimarrebbe schiacciata dall’oscura, pesante
verità. Ognuno tende a
proteggersi come può.
E così stava facendo lui: si aggrappava a
ragioni insensate, dandomi una natura divina pur di nascondere
l’egoismo puro
che aveva portato a muovere i miei passi.
Mi alzai dal letto staccandomi dalle sue
braccia: ora più che mai avevo bisogno di muovermi e
camminare all’aria aperta
per liberare la mente. Boromir non si oppose, mi lasciò fare
guardando ogni mio
singolo movimento mentre cercavo di rivestirmi. Nessuno dei due
proferì parola
fino a quando non afferrai la maniglia della porta per poterla aprire e
poter
uscire.
<< Sophia. >> mi chiamò lui
attirando la mia attenzione << Tu sei stata mandata qui
per vegliare su
di noi, qualunque siano le ragioni a te manifeste, è questa
la verità. Tutti
qua la pensiamo allo stesso modo: hai rischiato la vita più
volte per
assicurarla a noi. Questa non è una cosa che farebbero
tutti. Hai sacrificato
tutto ciò che potevi sacrificare pur di garantirci un
sorriso sul volto. Non è
così? >>
Titubai. Aveva ragione. Aveva pienamente
ragione.
<< E tutt’ora la tua anima non
trova pace, benché tu abbia avuto ciò a cui
più ambivi, perché non riesci a
cogliere nei tuoi ricordi il sorriso di TUTTI i tuoi compagni incisi
nel
futuro. Non è così? >>
Come faceva a sapere? Sorpresa mi voltai
e lo guardai interrogativo, ma non ebbi il tempo di parlare che lui mi
anticipò.
<< Ormai posso dire di conoscerti.
Ora che conosco tutti i tuoi segreti i tuoi pensieri non mi sono
più così
oscuri. Tu non ricordi, e temi per la vita dei tuoi compagni, non
è così?
>>
La mia pazienza stava raggiungendo un
limite. Non che LUI mi irritasse, ma i suoi discorsi sì!
Perché aveva
stramaledettamente ragione! Non ricordavo e avevo una paura folle che
qualcuno
potesse morire.
<< Perché tu no? >>
<< Certo. Sono terrorizzato
all’idea che la morte possa prendere uno di noi.
>>
<< Lo vedi? Non siamo tanto diversi
io e te. >> risposi risoluta, il suo discorso non aveva
né capo né coda.
Si stava arrampicando sugli specchi: io non ero un angelo! Ero una
semplice
ragazza mossa dall’egoismo, dalla bramosia di poter possedere
ciò che non mi
apparteneva.
<< No, Sophia. Ti sbagli ancora.
Noi siamo tutti sulla stessa barca, navighiamo nell’ombra.
Non sappiamo ciò che
il futuro ci porterà. Tu invece no! Tu SAI e tu poi
MODELLARE il futuro
conoscendone gli esiti. L’hai già fatto e lo farai
ancora. >>
<< Io non ricordo!! >> quasi
urlai mossa dall’ira. Perché si ostinava a non
credermi? Perché non capiva che
io ero una come loro, non un essere angelico, non un essere divino. Io
ero
umana, esattamente come loro. Non avevo nessun potere, solo tanta
fortuna!
Fortuna che ora come ora mi stava abbandonando.
<< Cecità momentanea. Ricorderai. E
allora agirai. >>
Niente, era tutto inutile.
<< Questa discussione si è conclusa
molte parole fa. >> brontolai stufa e abbassai la
maniglia della porta
mettendo un piede fuori dalla stanza. La brezza mattutina era ancora
molto
fredda, nonostante tutto però sentivo il calore del Monte
Fato nascosto tra i
soffi gelati. Carezza presagio di morte. Poco tempo restava, e
allora….sarebbe
giunta la fine.
<< Sophia. >> mi richiamò
ancora.
Che altro voleva? << Se questa notte sei stata qui con
me, in questo
letto, non è stato per innalzarmi ai Valar, né
tanto meno per renderti grazie.
Solo questo voglio ti sia chiaro. >>
<< Molte grazie. >> dissi
sarcastica e uscii a fare due passi, chiudendomi la porta alle mie
spalle. Ero
alquanto intrattabile quella mattina, vedere nelle mie conoscenze il
buio
assoluto mi aveva reso fragile di nervi e poco tollerante. A dir il
vero era
già da tempo che avevo perso la
“luminosità” di cui parlava Boromir. Da
quando
avevo assistito alla sua presunta morte ero mutata completamente. Non
avevo più
sorriso da allora se non alla festa del fosso di Helm, ma probabilmente
lì
erano stati i fumi dell’alcool. Ero partita con le migliori
intenzioni, ero
partita con la gioia nel cuore causata da una libertà mai
provata prima. Mi ero
sempre sentita libera, forse ecco dov’era il segreto. Avevo
il compito di salvare
Boromir ma era sempre stato così lontano quel giorno ai miei
occhi che non me
n’ero mai preoccupata. Ora sapevo che il mio ruolo era un
altro. Avevo scoperto
pian piano di aver avere un certo valore e significato dentro quella
storia,
non ero una semplice intrusa: io ero la mano che cancellava le parole e
le
riscriveva.
L’avevo capito da tempo, ma mai con così
tanta consapevolezza. Avevo tra le mani un tesoro inestimabile, quale
la Terra
di Mezzo, e potevo farne ciò che volevo. Era stata questa
scoperta a cambiarmi
completamente e caricarmi di un energia mai vista prima, energia che
mai avevo
avuto modo di conoscere dentro di me. Mi ero trasformata
improvvisamente in una
Signora dallo sguardo serio, dimenticando il significato della parola
gioia.
Ecco tutto.
Boromir aveva ragione.
E l’averlo capito, molto, molto tempo
prima, mi aveva fatto perdere ciò di che avevo di
più prezioso. Questa verità
mi uccideva.
Per questo desideravo tanto cancellare
dalla mente di tutti quella mia immagine tanto potente, preferivo di
gran lunga
essere “Sophia la simpatica folle imbranata” che
“la Signora della preveggenza”.
Il potere non mi si addiceva per niente, era un vestito che mi andava
stretto.
Ma dovevo ancora aspettare. La Signora
della preveggenza aveva ancora un ruolo importante in questa storia,
aveva
ancora del lavoro dal svolgere per garantire una vita serena a Sophia
la
simpatica folle imbranata.
Non era ancora tempo.
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Capitolo 16 *** Come diventa facile voltarsi e non guardare, come diventa facile pensare non è colpa mia. ***
Camminai a
vuoto, giusto per il gusto di
muovermi, come se camminare scaricasse la tensione sulle piastrelle di
roccia
che toccavo con i piedi. Dove mi stavo dirigendo? Non sapevo neanche
io, volevo
solo respirare un po’ di aria fresca, stavo cominciando a
stufarmi di quella
situazione di stasi, odiavo rimanere in bilico su un traballante
“forse”.
Volevo certezze.
Ma dato che le risposte che cercavo non volevano
farsi vedere, una domanda sorgeva spontanea: “cosa
faccio?”.
Continuai a salire per le viuzze di quella
meravigliosa cittadina, fiore profumato in mezzo a una palude, fino a
che non
arrivai alla fine. Al di sopra di tutto, ergendosi con onore, vegliava
sulla
sua progenie l’albero bianco, simbolo ormai da tempi immemori
di una gloriosa
Minas Tirith. E, riflettendo in sé i sentimenti dei suoi
protetti, giaceva
ormai morto. Ma non definitivamente.
L’albero bianco sarebbe rinato, speranza e gloria
sarebbero tornati nei cuori degli sconfitti, come una fenice destatosi
dalle
ceneri. Mi avvicinai cauta come un servitore ai piedi di un potente
antenato, e
chinando la testa, porsi a lui il mio più assoluto rispetto.
Sapevo che era vietato,
l’Albero Bianco era un tesoro intoccabile, ma sapevo anche
che nessuno mi
avrebbe impedito di allungare la mano e trasgredire le regole, porgendo
a
quell’anziano protettore una carezza di conforto. Ero la
Signora della preveggenza,
ogni mio gesto aveva un significato impeccabile per le sorti di tutti.
Così
credevano, ignorando la mia vera indole umana, non vedendo nel mio
“potere” la
semplice curiosità di una lettrice accanita. Ma ora le mie
priorità erano
altrove. Accarezzai il suo tronco secco, sentendo la morte sfiorarmi le
dita.
<< Vinceremo questa guerra >> dissi
con tono di rassicurazione nei suoi confronti, ma in cuor mio sapevo
che non ne
aveva bisogno. In cuor mio sapevo che l’unica che necessitava
di quelle parole
ero io.
Il cielo urlò sopra di me, era qualcosa che tanto
somigliava a un ringhio e alzai la testa appena in tempo per vedere le
prime
goccioline di pioggia cadere verso il terreno. Ma non mi mossi di
lì. Rimasi
immobile, vicino all’Albero Bianco, a farmi accarezzare
interrottamente da
quelle gelide lacrime. Era come se, scivolando su di me, mi pulissero
da tutte
le macchie e, piacevolmente, disinfettassero le mie ferite, portandole
alla
guarigione.
Forse era strano, ma era bastato solo un po’ di
pioggia ad aiutarmi. Tutto improvvisamente mi fu chiaro,
l’acqua caduta dal
cielo puliva quella lastra di vetro davanti ai miei occhi,
permettendomi la
vista. Una meravigliosa vista. Il mondo lì fuori era
qualcosa di assolutamente
divino: campi immensi di un verde pallido, bramosi di nuova vita;
boschi colmi
di vita; echi di melodie lontane, storie di antenati narrate da soavi e
fruscianti voci. Com’avevo potuto essere così
cieca? Come avevo potuto non
vedere cosa avevo di fronte davvero? Non erano parole scritte quelle
che avevo
davanti, non erano frasi colmi di una soggettiva ammirazione: era tutto
reale.
Lì, di fronte a me. E io ne facevo parte, come tutte le
creature che correvano
tra case e fiumi.
Non era un libro che avevo davanti: era il vero e
proprio paradiso.
Non era una penna quella che impugnavo: era una
spada.
E io non ero nessuna Signora della preveggenza!
Io ero una guerriera, mandata lì con il solo scopo di
aiutare e salvare chi ne
aveva bisogno. Io, nel mio piccolo, ero lì per fare la
differenza non con
parole, ma con fatti. E non mi sarei mai tirata indietro.
Mi voltai verso l’Albero Bianco e guardandolo
solennemente mi inchinai di fronte a lui come un soldato davanti al suo
capitano.
<< Che la tua guida non si affievolisca mai
>> sussurrai. Il rumore della pioggia copriva la mia
voce, ma sapevo che
non c’era bisogno che lui ascoltasse. Lui semplicemente
sentiva.
Mi rialzai e con un sorriso soddisfatto stampato
in faccia corsi verso l’interno della fortezza, mi ero
caricata di nuova
energia, tanto che avevo dimenticato i miei abiti bagnati. Trovai
Aragorn che
usciva da quella che ricordavo essere la sala riunioni, e gli corsi
incontro.
Una volta raggiunto…non ebbi la dignità di
fermarmi e gli saltai al collo
abbracciandolo come solo la vecchia Sophie avrebbe potuto fare, immersa
nella
sua immaturità.
<< Sophie, cosa succede? Perché sei
bagnata? >> mi chiese lui colmo di stupore.
<< Tu! >> dissi staccandomi da lui e
puntandogli un dito contro << Uomo dalla forma gnomica!
>>
riflettei un attimo sulle mie parole << Beh, mica tanto.
Comunque! Tu!
Portami all’inferno insieme a te. E non è una
dichiarazione d’amore. >>
Aragorn mi guardò ancora più sconvolto, assurdo
come in maniera così improvvisa
fossi tornata la stessa pazza Sophie dei primi giorni.
<< A Mordor? >> chiese conferma che
il mio “inferno” equivalesse al suo.
<< No a casa di Babbo Nachele! Certo, a
Mordor! >> la cosa che più mi stupiva di
ciò che avevo detto (esatto!
Stupiva me stessa!) era che avessi preso d’esempio la casa di
Babbo NACHELE. Il
miglior amico di Jack Skeleton! Perché mai la mia mente
associava l’inferno a
un posto come quello? Evidentemente il mio vecchio amico Ruphus
ultimamente
aveva lavorato decisamente troppo, ora cominciava a stancarsi.
“Sono fiera di te, amico mio” pensai diplomatica
pensando al vecchio cricetino nella mia mente, mio amico da sempre.
<< Non se ne parla nemmeno! >> disse
con tono serio Aragorn. Mi aspettavo una risposta del genere, solo uno
stolto
avrebbe alzato le spalle e avrebbe detto “ok, fai
pure”. << Perfetto,
grazie! >> dissi
ignorando il suo divieto << A che ora è
l’incontro domani mattina? Mi
venite a chiamare voi in stanza, ho capito. Ma il tempo per la
colazione ci
sarà? Mh, non credi, eh? Devo portarmi roba pesante dietro?
Credi che farà
freddo a Mordor? Ma che domande idiote! Ovvio che no, siamo su un
vulcano!
Allora solo manichine corte, molto chiaro. Perfetto a domani!
>> dissi
tutto d’un fiato senza lasciargli modo di replicare. Forse
sarei potuta
sembrare stranamente entusiasta (chi è tanto felice di
andare verso la morte?
Solo una pazza!) la verità era che avevo appena scoperto il
modo di tornare a
rasserenarmi, combinando insieme le due Sophie che in quei mesi si
erano
mostrate. Quel lungo discorso, per quanto spontaneo fosse sembrato, mi
era
costato molta fatica. Non ero più abituata a dire o fare
quelle cose, mi stavo
sforzando di tornare quella che ero una volta. Perché?
Semplicemente perché mi
piaceva! Finché avevo dato libero sfogo alla mia vena
infantile mi ero
divertita come una matta, anche di fronte alla morte quella sera nel
lago nero!
Da quando invece l’avevo ostruita avevo vissuto nel limbo,
carica di
preoccupazioni, malinconie e paure. Era giunto il momento di tornare al
passato, ero nel più bel sogno della mia vita, mai me lo
sarei fatto rovinare
da cose così futili! Sarei tornata a ridere della morte,
come avevo sempre
fatto, beffeggiandomi di lei perché io avevo vinto
più volte. Ed ero pronta a
vincere ancora!
<< Sophie hai bevuto ancora? >> mi
chiese Aragorn guardandomi storto, il che mi lasciò alquanto
sconcertata. Io
ubriaca? Allora non aveva imparato veramente a conoscermi in quei mesi
passati
insieme!
<< Dico! Ti pare che io sia la ragazza che
si ubriaca il giorno prima di una grande battaglia? >>
<< Beh, la cosa non mi stupirebbe. Sei
riuscita a farlo appena sveglia dopo aver subito traumi di vario
genere.
>>
<< Dettagli! Dettagli! >> dissi
sventolando la mano sotto al suo naso.
<< Comunque la risposta rimane no. Tu
rimani qui, è troppo pericoloso. >>
<< Ma papà!! >> mi lamentai con
tono
da bambina, ma subito mi ricomposi, decisa ad utilizzare
un’altra tecnica. <<
Tu! >> gli puntai un dito
contro, talmente vicino al suo viso che quasi glielo infilai dentro una
narice
<< Osi opporti alla grande e potente Signora della
preveggenza? Che
disgrazia e sciagura cadano sulla tua anima! >> dissi
ingrossando il
petto come una fattucchiera che recita il suo maleficio, poi cominciai
a
molleggiare sulle ginocchia recitando con tono cupo <<
Sciagura a te!
Sciagura a te! Sciagura a te! >> . Ma Aragorn non si
scompose nemmeno un
pochino, anzi fece un sorriso evidentemente divertito dalla mia messa
in scena.
<< Se c’è qualcosa di cui tener
conto
durante la marcia ai cancelli di Mordor puoi benissimo dirlo a uno di
noi. Me,
o Legolas o Boromir, visto che siamo le persone di cui ti fidi di
più. >>
<< Chi ti dice che io mi fidi di te, eh
RAMINO? Io manco so
giocare a Ramino,
come posso fidarmi di te? >> dissi posando le braccia ai
fianchi, poi mi
affrettai a sorridere << Scherzo! Mi fido molto di te, ma
vedi… >>
mi bloccai di colpo. Che aveva detto? Ruphus riavvolgi il nastro! Fammi
riascoltare le parole di Aragorn! << Boromir? Momento!
Momento! Hai detto
proprio Boromir? >>
Aragorn capì subito dove volevo andare a parare e
un po’ imbarazzato annuì << Non sono
riuscito a convincerlo. Vuole venire
a tutti i costi. >>
Rimasi per un po’ immobile, con lo sguardo un po’
spaventato puntato sui suoi occhi. Boromir aveva deciso di andare?
Scherzava!
Non poteva essere vero! Boromir non era in grado di combattere, e se
poi fosse
morto? Possibile che l’orgoglio gondoriano fosse
così pressante?
Ripresi improvvisamente a molleggiare sulle
ginocchia e incurvandomi ripresi a recitare << Sciagura a
te! Sciagura a
te! Sciagura a te! Comunque… >> dissi poi
cambiando improvvisamente umore,
rizzandomi in piedi e tornando a rasserenarmi << Questo
è un motivo in
più per venire! E così come non hai fermato
Mastrolindo non fermerai me! >>
sbattei un paio di volte il piede destro per terra così da
provocare un rumore
che, nella mia testa, e solo in quella, ricordava un martelletto da
giudice
<< L’imputato viene
considerato…innocente! Così è deciso!
La seduta è
tolta! Andate in pace >> detto ciò mi voltai
decisa ad allontanarmi. Ma
non feci molta strada. Il mio naso andò a sbattere contro
qualcosa di
discretamente duro e dall’odore inebriante. <<
Ohi! >> mi lamentai
e massaggiandomi il naso alzai lo sguardo per vedere il volto del mio
ostacolo.
<< Ascolta, Batman! Devi smetterla di
comparirmi alle spalle! >> brontolai
contro Boromir, che in quel momento
mi guardava con un sorriso divertito. Cosa aveva da ridere tanto? Dopo
essermi
schiacciata il naso in quel modo sarebbe stato un miracolo se non
avessi
cominciato a grugnire in giro per Minas Tirith.
<< E tu dovresti guardare dove vai.
>> mi rispose divertito Boromir.
Mi sentivo in netta minoranza, ero accerchiata
dagli uomini, due colossi, ed entrambi avevano qualcosa da dire contro
le mie
posizioni! Guardai prima Aragorn, poi Boromir, poi di nuovo Aragorn,
Boromir e
così via per una decina di secondi fino a quando, al minimo
loro segnale di
voler dire qualcosa, saltai lontano dai due e puntandogli un dito
contro
gridai, intonando una canzone << I’m No
Superman! >> e corsi via.
Ma non mi allontanai troppo. Prima di sparire
dietro un colonnato mi voltai per guardare entrambi con il sorriso
stampato in
volto, segno che mi stavo divertendo, e dissi << Mi
raccomando! Domani
mattina puntuali! >>.
<< Sophie, aspetta! >> sentii la voce
di Boromir chiamarmi, ma non mi voltai. Corsi via, dentro me sapevo che
se
voleva dirmi qualcosa, mi sarebbe venuto a cercare. Io avevo ben altro
da fare.
Avevo sentito di un cortile al coperto, di un
giardino colmo di fiori e piante di ogni genere. Volevo andarci.
E ci arrivai velocemente, non era molto lontano
da dove mi trovavo. O forse ne avevo trovato un altro da quello che
cercavo,
quel posto avevo potuto constatare era pieno di giardini. Mi misi sotto
un
gazebo, al coperto anche se non ne avevo bisogno: ormai ero fradicia. E
poggiandomi a una ringhiera guardai fuori, intorno a me, aspettando che
arrivasse Boromir. Sapevo sarebbe arrivato. E lo sentii. I suoi passi
pensati
facevano “ciak ciak” nelle pozzanghere mentre
camminava velocemente nella mia
direzione. Non disse una parola, non gli permisi di farlo: lo anticipai.
<< Ascolta la pioggia >>. Dissi
semplicemente con voce bassa, sussurrando, come timorosa di disturbare
un
bambino che dorme.
<< Come? >> chiese lui non capendo
cosa stessi cercando di dirgli.
<< Hai capito bene: ascolta la pioggia
>> Boromir rivolse lo sguardo nella mia stessa direzione
e rimase un
attimo in silenzio. Sentendo.
<< E allora? >> chiese ancora senza
capire dove volessi arrivare.
<< Non stai ascoltando! >>
<< Sì, invece. >>
<< No! Tu stai sentendo, non stai
ascoltando. >> lui rivolse a me uno sguardo
interrogativo, ancora non
capiva. << Ascolta ogni goccia di pioggia che sussurra
segreti
inutilmente, cercando freneticamente qualcuno da ascoltare. Questa
storia è più
di quanto sembra. "Per favore non lasciateci andare, non possiamo
restare
ancora un po'? E’ troppo difficile dirsi addio." Ascolta la
pioggia. Ascolta
la pioggia…. Piangere. >> Feci una piccola
pausa, non stavo cantando:
stavo recitando la canzone degli Evanescence, Listen to the rain, come
fosse
una poesia, perché per me lo era. << Sono da
sola nella tempesta, improvvisamente
giungono dolci parole: "Sbrigati," dicono "non hai molto tempo!
Apri gli occhi e guarda l'amore che c'è intorno a te. Puoi
sentirti sola, ma sono
ancora con te. Puoi fare quello che sogni, solo ricorda di ascoltare la
pioggia" >>.
Boromir abbassò lo sguardo pensieroso, poi
trascinò nuovamente gli occhi laddove li aveva puntati
prima. Ma ora era
diverso: ora cercava di ascoltare. Rimanemmo in silenzio per qualche
secondo,
ognuno immerso nei propri pensieri, ognuno che ascoltava segreti
diversi
concessi dalla pioggia.
<< Tu cosa senti? >> Mi chiese dopo
un po’.
<< Tu cosa senti? >> ripetei la sua
domanda enfatizzandola un po’ di più, facendogli
capire che doveva essere prima
lui a parlare.
<< Non sono bravo in queste cose. >>
dissi un po’ imbarazzato, rendendosi conto della sua
incapacità.
<< Ti rivelerò un segreto >>
dissi
sorridendo e mi avvicinai a lui sussurrando << Nemmeno
io. >> e
subito uscì dalle mie labbra una risatina che fu raggiunta
dalla sua. Le nostre
lievi risate inondavano imbarazzate il giardino di fronte a noi. Era la
prima
volta che provavo un’esperienza simile. Questa avventura ci
aveva portato tanti
pensieri e tante inquietudini, il nostre amore aveva fatto gran fatica
a venir
fuori, e mai eravamo riusciti a concederci un momento come quello. Mai
avevamo
riso assieme.
Boromir fece un sospiro pieno di emozione e
allungando un braccio mi circondò le spalle e mi strinse a
sé.
<< Sei fradicia. >> mi fece notare.
<< Sì, lo sono. >> mi limitai a
dire
e mi feci stringere da lui continuando a guardare i fiori che si
piegavano
sotto la forza della pioggia.
<< Io partirò. >> disse improvvisamente,
come a volersi
togliere una spina. Più rapido è il movimento,
meno dolore fa. Io non mi
scomposi, sapevo già che voleva partire, me lo aveva detto
Aragorn, e benché io
non fossi per niente d’accordo sapevo che non potevo fare
assolutamente niente
per fermarlo. <<
Anche io >>
risposi nello stesso modo in cui me l’aveva detto lui,
sorridendo, come se ciò
non avesse nessun valore.
<< Perché? >> mi chiese
voltandosi
verso me e afferrandomi entrambe le spalle puntò i suoi
occhi dritti nei miei.
Leggevo nel suo sguardo la preoccupazione.
<< Perché se mai dovesse succedervi
qualcosa io non potrei mai perdonarmelo. >>
<< Sophie, smettila di accollarti
responsabilità che non hai! Se uno di noi perdesse la vita
tu non avresti
nessuna colpa. >>
<< Sì, invece! Perché
io… >> mi
bloccai e portai nuovamente gli occhi ai fiori del giardino,
incupendomi
<< Io ho letto. >>
<< Se c’è qualcuno che
perderà la vita
dillo a me! Ci penserò io. Sophie tu non avresti nemmeno la
forza per aiutarlo,
lo sai! Hai imparato da poco a tenere una spada in mano, non sei certo
pronta
per una battaglia di questo calibro. Dillo a me: chi morirà?
>>
<< Non lo so! >> risposi irritata da
quel fiume di parole, puntandogli gli occhi severi contro. Mi resi
però subito
conto che non era il caso di prendersela con lui, non
c’entrava niente, era un
problema mio.
<< Da quando sono arrivata qua la mia memoria
sulla storia ha
cominciato a sfumare. La
nebbia è scesa progressivamente fino alla più
completa oscurità. Non ricordo
più niente. >> feci una pausa e ammorbidii il
mio sguardo cercando di far
leggere a lui, nei miei occhi, la supplica che stavo lanciando.
<< Per
questo io voglio venire! Io ho sempre saputo tutto, sono sempre
riuscita ad
anticipare gli eventi così da poter evitare il peggio. E ora
il non riuscire
più a farlo mi tormenta. Io DEVO venire! Devo assicurarmi
che tutto vada bene.
Se rimanessi qui e al vostro ritorno vedrei mancare uno di voi io mi
colpevolizzerò per il resto della mia vita. E poi
chissà, magari il ritrovarmi
lì, in mezzo a voi davanti ai cancelli di Mordor mi
aiuterà a ricordare.
>>
<< Sophie, hai già fatto tanto per noi. Non
c’è bisogno che ti poni ad altri rischi
inutilmente! >>
<< Ho promesso ad Aragorn che avrei
continuato a vegliare su di voi fino alla fine di questa storia.
>>
<< Ma se non sei più in grado? Come credi
di riuscire ad esserci d’aiuto? >>
<< In quel caso sarà sempre un paio di
braccia in più che avrete con voi! Io ho promesso, Boromir!
Ho promesso a lui e
a me stessa. >>
Il nocciolo della questione si trovava nel più
profondo della mia anima, laddove Saruman continuava a ripetere le sue
parole.
Questa verità aveva schiacciato il mio cuore e non
l’aveva più lasciato in
pace. A fargli eco erano le parole scambiate con dama Galadriel a
Lothloryen.
Avevo scelto il cuore di Boromir, pur di averlo avrei dato a loro
l’anello del
potere!
La colpa.
Ecco cosa mi spingeva così lontano. Sentivo quasi
di aver tradito i miei compagni, sentivo che tutto ciò in
cui avevo creduto era
crollato improvvisamente. E dentro me sapevo che l’unico modo
per cancellare
tutte le macchie della mia anima era di non abbandonare i miei amici
ora. Ora
che ne avevano più bisogno. Ora che il mio scopo principale
era stato
raggiunto. Volevo dimostrare (più a me stessa che a loro)
che non ero
un’egoista, che ero lì per tutti loro e che, amica
qual’ero, non li avrei mai
abbandonati, anche se le mie possibilità di sopravvivere
erano decisamente
troppo scarse. Almeno sarei morta con la pace nel cuore.
<< Capisco la tua preoccupazione, ma non
posso assolutamente abbandonarvi. Ho guidato i miei passi su un
sentiero
tortuoso solo per potermi assicurare la vostra felicità, non
posso tornare
indietro proprio ora, a due passi dalla fine. >>
<< Potresti non arrivarci alla fine.
>>
<< Come tutti voi! Boromir, se IO ti
chiedessi di rimanere qui perché troppo pericoloso,
perché non sei ancora in
grado di combattere a causa delle ferite subite, tu lo faresti?
>>
Boromir si sentì spiazzato da quella domanda.
Abbassò lo sguardo incapace di mentirmi, incapace di dare
una risposta sonora,
ma urlando silenziosamente nei suoi pensieri ciò che il suo
cuore desiderava. E
io riuscivo a udire il suo eco.
<< Vado a trovare Merry. >> dissi con
un sorriso, sentendo che la discussione era finita lì.
Così come lui non
avrebbe mai potuto rinunciare alla guerra per il suo popolo io non
potevo farlo
per i miei amici e per la meravigliosa terra in cui mi trovavo.
Merry era
già fuori dalla casa di cura, sotto un
porticato a parlare con suo cugino Pipino. Li vedevo molto attivi,
entrambi
parlavano e gesticolavano animatamente come spesso facevano quando per
la testa
non avevano la guerra.
<< Io l’avevo detto che sei un finto
malato, Meriadoc! >> I due hobbit si voltarono verso di
me e Boromir, che
aveva deciso di venire insieme a me per salutare i due piccoletti che
tanto gli
stavano a cuore e che da tanto non vedeva. Saltarono in piedi e ci
corsero
incontro urlando felici. Quanto mi piacevano quelle dimostrazioni di
gioia che
solo loro riuscivano ad avere anche in momenti così poco
consoni, come il
preludio di una fine.
Ci sedemmo insieme a loro e passammo l’intero
pomeriggio a parlare di ciò che ci era successo dal momento
in cui ci eravamo
separati, condendo il tutto con sorrisi e divertimento.
Sentivo di non desiderare altro.
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Capitolo 17 *** Lacrimosa dies illa, qua resurget ex favilla judicandus homo reus. ***
Purtroppo
l’arcobaleno non dura per sempre e ben
presto finì quel meraviglioso giorno di svago e
tranquillità. Il giorno della
marcia sui cancelli di Mordor arrivò fin troppo in fretta,
ma sapevo che presto
avrei potuto dare una fine a questa lunga storia. Presto avrei potuto
abbandonare tutta quell’ombra e tornare a brillare alla luce
del sole. Se in
questa terra o in un’altra questo ancora non lo sapevo.
Partivo per assicurare
la vita ai miei compagni, ma sapevo che non sarei stata in grado di
fare
altrettanto con la mia. Probabilmente non sarei sopravvissuta. Ma
questo non mi
abbatteva, sarei morta con il sorriso sul volto e la pace nel cuore.
Il viaggio durò molto più del previsto, con
qualche difficoltà, ma non mi dilungherò molto su
questo. Era solo una via di
passaggio, la mia mente probabilmente scollegata non realizzava cosa mi
stesse
passando accanto. Mi stavo dirigendo passivamente verso il nostro punto
di
arrivo.
I cancelli di Mordor.
Non avevo mai visto niente di più terrificante,
nemmeno le parole di Tolkien o le immagini di Jackson erano riuscite a
rendere
appieno l’immensa tenebra che li avvolgeva. Un muro
così alto e imponente da
far tremare l’anima, intimorita, sentendosi arrivata alla
fine di tutto.
L’anima guardava l’imponenza di quella struttura
come i vecchi antichi
guardavano le colonne d’Ercole, ai tempi in cui il mondo
aveva una fine. E per
Arda era quella la fine. Oltre quelle mura non vi era altro se non
l’inferno
governato da un oscuro Lucignolo. Quella non era solo la fine di un
viaggio,
era la fine del mondo.
Rimanemmo fermi in posizione davanti a quel dito
inquisitore, poi Aragorn, decisosi a fare un passo per rompere quel
ghiaccio
che si stava formando tra noi, chiamò con sé dei
rappresentanti delle varie
razze. Voleva prima scambiare due parole con coloro che abitavano le
fiamme.
Improvvisamente una piccola lucciola si accese nella mia buia memoria,
ricordandomi di cosa avrebbe trattato il loro colloquio. Sapevo che
Aragorn non
si sarebbe fatto convincere, ma temevo sempre che le modifiche portate
alla
storia avessero preso sotto la propria ala molti più aspetti
di quelli che
invece immaginavo.
Il così detto effetto farfalla.
Mi avvicinai velocemente a lui, lasciando la mia
posizione vicino a Boromir. Aragorn mi lasciò fare e mi
aspettò, probabilmente
sapeva che ciò che avevo da dirgli lo avrebbe aiutato. Lui
credeva ancora nel
mio potere.
Mi accostai al suo cavallo sperando che a sentire
fosse solo lui. Lo sguardo di Aragorn era severo e pieno di
preoccupazione, lui
più di tutti aveva paura. Tutti i soldati erano
lì nelle vesti di loro stessi,
combattevano per le proprie famiglie, nient’altro
c’era nelle loro menti cupe.
Aragorn invece combatteva per il suo popolo, per la sua dinastia, per
la sua
terra, per i suoi amici. Aveva una grossa responsabilità
sulle spalle che lo
schiacciava come un macigno. Ma lui era forte e non si lasciava
atterrare, non
ancora.
<< Aragorn. >> cominciai una volta
arrivata vicino a lui << Ricorda che la menzogna
è acqua dissetante per
la bocca degli scellerati. >> Aragorn non colse subito il
significato
delle mie parole, ma sapevo che le avrebbe tenute ben a mente e ne
avrebbe
fatto tesoro. Annuì quasi impercettibilmente e facendo una
manovra con il suo
cavallo corse verso i cancelli insieme ai suoi rappresentanti, mentre
io
tornavo nella mia posizione, accanto all’uomo che
più di tutti poteva donarmi
sicurezza. Nella mia mente però sentivo che il pericolo non
era ancora
scampato, temevo che l’effetto farfalla fosse arrivato
più lontano del
previsto, portando Frodo e Sam nelle braccia di Sauron.
“Devo
avere fiducia” pensai mentre allungavo la mia mano per
afferrare quella
dell’uomo accanto a me. Avevo bisogno di sentire il suo
calore, avevo bisogno
di riscaldare quel pezzo di ghiaccio che stava ferendo la mia anima in
più
punti.
Boromir mi rivolse uno sguardo, sapevo bene quale
domanda si stava ponendo e io, fiera di riuscire a ricordare quel
particolare e
felice di poterne finalmente parlare con qualcuno, lo accontentai.
<< L’orco in rappresentanza di Mordor
mostrerà ad Aragorn alcuni effetti di Frodo. Lo avevano
catturato, ma lui è
riuscito a scappare grazie all’aiuto di Sam, per questo hanno
quegli oggetti.
Ma l’orco non dirà niente di tutto ciò.
Mostrerà loro le cose di Frodo e dirà
che l’hanno in pugno: lo lasceranno solo in cambio della
Terra di Mezzo.
>> Boromir volse il suo sguardo preoccupato verso il
colloquio che si
stava svolgendo più avanti << Aragorn non
accetterà, tranquillo. Non
l’avrebbe mai fatto, ma penso che dopo le mie parole a
maggior ragione
rifiuterà l’accordo. >>
<< Frodo sta bene? >> mi chiese lui
preoccupato. Io
volsi i miei occhi alla
montagna di fuoco che incessantemente riversava i suoi sospiri nebulosi
fuori dalla
propria bocca. <<
Sì, è quasi giunto a destinazione. Noi
dobbiamo tenere impegnato il più possibile
l’occhio di Sauron su di noi.
>> Boromir
sospirò e annuì. Poco
dopo Aragorn fece ritorno, proprio mentre i cancelli si spalancavano e
riversavano sulla vallata un’orde di orchi, come fiume che si
spande una volta
crollata la diga che lo teneva prigioniero. Il nostro misero gruppo di
soldati
fu ben presto circondato, i Nazgul si posizionarono sopra le mura,
pronti a
intervenire, l’occhio di Sauron correva su di noi come il
faro di una prigione
che guarda i propri prigionieri nel cortile. Mi sentii improvvisamente
piccola
e stretta in una scatola da cui non potevo uscire, pronta a morire
soffocata. E
penso che questa più o meno fu la sensazione che provammo
tutti. I soldati
intorno a me arretrarono spaventati, guardandosi attorno colmi di
terrore, con
le ginocchia che tremavano.
Aragorn colse questo terrore nei loro occhi e
intervenne facendo un discorso che mai mi ero dimenticata, nonostante
l’annebbiamento di quei giorni, e che sempre era stato per me
fonte di profonda
emozione.
<< Restate fermi! Restate fermi! Figli di
Gondor, di Rohan, fratelli miei, vedo nei vostri occhi la stessa paura
che
potrebbe afferrare il mio cuore. Ci sarà un giorno in cui il
coraggio degli
Uomini cederà, in cui abbandoneremo gli amici e spezzeremo
ogni legame di
fratellanza. Ma non é questo il giorno! Ci sarà
l'ora dei lupi e degli scudi
frantumati quando l'Era degli Uomini arriverà al crollo. Ma
non é questo il
giorno! Quest'oggi combattiamo! Per tutto ciò che ritenete
caro su questa bella
terra vi invito a resistere, Uomini dell'Ovest! >> E
così come riempì il
mio cuore anche quello di tutte le ombre terrorizzate intorno a me
cominciò a
brillare improvvisamente. L’oscurità non ci
avrebbe annullati, lo sapevamo.
Eravamo pronti.
Per Frodo!
La
battaglia cominciò spalancando le sue porte
alla morte che volava intorno a noi, pronta a cogliere le anime che gli
spettavano di diritto man mano che valorosi cavalieri o viscide
creature
cadevano nella polvere. Ma non ebbi modo di guardarmi troppo attorno
per
cogliere il suo volo, non c’era tempo. Dovevo impiegare tutte
le mie forze,
come avevo fatto il giorno della morte di Boromir, per assicurarmi la
vittoria.
La vittoria di chi? Non quella della Terra di Mezzo, quella sarebbe
arrivata
anche senza di me, ne ero certa. La mia vittoria e quella dei miei
compagni.
Sfoderai la spada e mi guardai attorno un po’ confusa, non
avevo idea di dove
andare a mettere mani. Non avevo mai preso parte a una vera e propria
battaglia, l’unica volta che mi ero ritrovata a combattere
era stato nelle
miniere di Moria, quando gli orchi cercavano in tutti i modi di
prendersi gioco
di me. In quell’occasione ero stata più volte
salvata dall’uomo a cui puntavo
maggiormente, in quell’occasione era nata
l’affinità che ci aveva portato a
percorrere gli stessi passi, fino a incontrarci. Due linee parallele
che
l’orizzonte unisce, ma che mai si toccheranno veramente. E
così eravamo stati
io e lui: un effetto ottico. L'occhio ci mostrava unione nel nostro
futuro, ma
una volta giunti lontano l'inevitabilità della nostra
costante lontananza era
stata più che palese. Benché ci eravamo uniti
molto durante quel periodo subito
dopo le nostre strade erano state divise, fisicamente e non. Era nato
il
disprezzo nei miei confronti da parte sua e il dolore da parte mia.
Due linee parallele.
Due linee parallele che, guidate
dall'irrazionalità dell'amore, ingannando le leggi di
qualsiasi disciplina
scientifica, erano riuscite a ritrovarsi nel lontano infinito.
Mi ritrovai a pensare a cosa mi avesse portato
lì, se l’amore o l’orgoglio. Forse tutti
e due. Ma sapevo che quello non era il
momento giusto per abbandonarsi a lunghi flashback.
Un orco mi venne incontro a gran velocità,
sguainata la sua spada, pronto a misurare la sua resistenza con la mia.
Mi
avevano sempre fatto alquanto schifo quelle bestiacce e il ricordo
della mano
attaccata alla mia daga, sempre nelle miniere di Moria, torturava
ancora i miei
sogni. Non avevo mai preso parte a niente di più disgustoso,
e la cosa di certo
non era migliorata. Forse ero maturata un po’, forse, e dico
FORSE, non mi
abbandonavo più a stupidi giochetti
infantili e mi facevo trascinare lungo il sentiero della vita da altri
tipi di
pensieri, ma ciò non toglieva che il mio odio e il mio
disgusto verso quelle
immonde creature non era per niente cambiato.
Un brivido mi percorse tutta la schiena quando fu
abbastanza vicino e lo vidi sollevare la sua spada (era una spada,
quella?!)
pronto a tagliarmi il cranio in due.
<< Non ti azzardare! >> gridai
disgustata con la spada dritta davanti a me, pronta a contrastarlo. Ma
ce
l’avrei fatta? Sicuramente la sua forza era decisamente
maggiore della mia,
sarei riuscita a non farmi schiacciare dalla sua potenza? Ma
soprattutto sarei
riuscita a guardarlo da così vicino senza vomitare?
No.
<< Stammi lontano, hai capito? >>
gridai disgustata cominciando a correre dalla parte opposta, ma lo
spazio non
era molto largo come nelle miniere di Moria, lì muoversi
risultava difficile:
eravamo decisamente troppi. Mi ritrovai la strada bloccata da un paio
di Orchi
che erano appena saltati addosso a un poveraccio. Mi voltai verso il
mio
inseguitore giusto in tempo per vederlo calare la spada verso di me e
d’istinto
alzai la mia riuscendo a bloccare la sua discesa. Più o meno.
Come avevo immaginato la sua forza era nettamente
maggiore alla mia, non riuscii a contrastarlo a pieno, ma
l’istinto di
sopravvivenza fece sì che il mio braccio non cedesse. Ma a
farlo furono le
ginocchia. Caddi per terra sbattendo violentemente le ginocchia al
suolo che,
secco com’era, non mi assicurò per niente un
piacevole morbido
atterraggio. Mugolai di dolore ma rimasi
ferma nella mia
posizione. Incredibile cosa possa fare un uomo quando si trova di
fronte alla
morte: sfodera una forza e un’energia mai vista prima.
L’orco alzò nuovamente
la sua spada per potermi colpire in pieno e ancora l’istinto
di sopravvivenza
guidò le mie braccia. Non avrei resistito a un altro attacco
del genere, dovevo
agire prima che lo facesse lui. Perciò feci roteare la spada
di fronte a me e
con un colpo secco lo presi all’altezza delle ginocchia. La
forza da me usata
però non era sufficiente per tagliargliele e assicurarmi la
sopravvivenza,
riuscii solo a fargli un taglio profondo si e no 3 cm nella prima gamba
incontrata. E ciò non bastò certo a fermarlo. Ma
incredibilmente non scese
ancora. Lo vidi contorcersi e improvvisamente accasciarsi a terra.
Dietro di
lui vidi materializzarsi la figura di Boromir, sudaticcia, sporca di
polvere e
sangue e già affaticata. Ciò nonostante non
riuscì a non rivolgermi un sorriso
compassionevole.
<< Mi ricorda qualcosa questo. >>
Moria. Anche a lui era venuto in mente quel
giorno in cui mi seguiva come un cagnolino per farmi da guardia del
corpo e
proteggermi dagli orchi che mi inseguivano e tentavano di uccidermi.
<< Dici? >> dissi quasi irritata e
alzandomi in piedi posai un piede disgustata sul corpo senza vita
dell’orco di
fronte a me e tentai di strappare dalla sua gamba la mia spada. Feci
molta
fatica ma riuscii a riaverla indietro, insieme a schizzi di sangue di
orco.
<< Che schifo!! >> brontolai facendo
un’espressione colma di disgusto. Sentii qualcosa gemere alle
mie spalle e vidi
un altro orco accasciarsi a terra sempre per mano di Boromir, che
subito si
voltò verso un altro di loro per intraprendere
un’altra lotta.
<< Sophie, non ti distrarre! >> mi
brontolò. << Non posso sempre guardarti le
spalle! >>
Capii la gravità della situazione, non ci
trovavamo a Moria. Quel posto era decisamente peggio: non avevo neanche
il
tempo di fare un sospiro per riprendere fiato, i nemici arrivavano da
tutte le
parti, dovevo sempre essere pronta a proteggermi.
Altri due orchi si fecero avanti verso di me,
seguiti da un terzo proveniente da un’altra direzione.
<< Sono cambiata!! >> urlai più
per
convincere me stessa che gli altri e risvegliando la forza che avevo in
me gli
andai incontro. Sapevo che l’unico modo che avevo per
assicurarmi la vittoria
era puntare alla testa. La loro carne era dura, le ossa di ferro, non
era
facile scalfirle, soprattutto con la poca forza che avevo io. Il collo
invece
sarebbe stato un po’ più accessibile per i miei
standard, o altrimenti puntando
di punta dritto al cuore. Una cosa era certa: dovevo trovare il modo di
stenderli al primo colpo, se gli avessi dato modo di difendersi non
sarei riuscita
a contrastarli. Dovevo fare io il primo e decisivo passo! E
così feci. Usando
tutta la forza che avevo nelle braccia tagliai l’aria in
orizzontale e riuscii
a staccare la testa a uno, girai su me stessa, per darmi ancora
più spinta, e
mi voltai verso il compagno che mi stava raggiungendo da destra e
colpii anche
lui alla base della testa. Non riuscii però a tagliargliela
tutta
completamente, la lama rimase a metà, garantendogli la morte
ma rimanendo
ancora una volta incastrata lì. Sapevo che non avevo tempo
di pensarci, un
altro di loro mi stava raggiungendo dalla stessa direzione. Lasciai
cadere il
corpo morto del primo a terra, mi sarei aiutata con i piedi ad estrarre
la
lama, nel frattempo estrassi una delle mie daghe, decisamente
più leggera della
spada in sé, e sporgendomi in avanti al momento giusto la
conficcai nel cuore
dell’orco. Fu più semplice estrarre la daga, forse
perché le sue dimensioni
erano decisamente più ridotte della spada. Nel frattempo
posai un piede sul
petto all’orco morto ai miei piedi e usando tutta la forza
che avevo estrassi
la spada dal suo collo, sbilanciandomi indietro e andando a sbattere
contro uno
dei soldati che accidentalmente stava combattendo proprio dietro di me.
L’averlo urtato lo fece scivolare in avanti quel tanto che
bastava per far sì
che la spada di un orco si conficcasse nel suo petto uccidendolo. La
lama,
passata da parte a parte, aveva inoltre trovato il mio corpo
affondandosi anche
in questo, in un fianco, appena sotto le costole. Il dolore quasi non
lo sentii.
La spada fu estratta dai due corpi con violenza, ma ancora non
percepivo niente
se non confusione. Caddi carponi per terra.
Avevo ucciso un uomo.
<< Oh mio Dio! >> mormorai gattoni
com’ero, alzando lo sguardo intorno a me. Non riuscivo
più a capire dov’ero,
cosa stavo facendo. Ero inerme. Un altro corpo, dalla provenienza
ignota, cadde
al mio fianco e ancora una volta spaventata mi slanciai lontano da lui,
cadendo
su un fianco sulla fredda roccia sotto di me. Cercai di alzarmi ma non
ne ero
in grado, il suolo si stava riempiendo di corpi di orchi, di uomini e
di altri
il cui volto sfigurato mi impediva di riconoscere. Sangue scorreva come
fiumi
sotto le mie mani, poggiate a terra. La polvere si mischiava alla
cenere, arti
recisi sparsi come piante. Mi sentii sperduta. Mi sforzai di alzarmi in
piedi,
ma le gambe non riuscivano a reggere il peso del mio corpo, feci un
passo
indietro barcollante e trovai un ostacolo, forse uno dei tanti corpi, e
caddi
nuovamente per terra sbattendo violentemente la schiena al suolo. Il
respiro mi
mancò. Sentivo dolore ovunque ma non riuscivo a capire se
ero ferita o meno.
Ero come estraniata dal mio corpo. Mi voltai e posando le mani al suolo
tentai
nuovamente di alzarmi in piedi, mi girava la testa e braccia e gambe
tremavano
come mai prima d’ora. L’odore della morte era
così acre da penetrarmi nelle
narici come tanti piccoli aghi, ferendomi. Una lacrima cadde dal mio
viso,
quando avevo cominciato a piangere? Tentai
nuovamente di alzarmi in piedi, dovevo
riprendermi o sarei morta. Ma il destino volle colpirmi ancora: un
cavallo mi
saltò, passando sopra di me, riuscendo a evitarmi ma un suo
zoccolo
inevitabilmente si scontrò contro un mio fianco. Sentii le
costole dentro di me
cigolare rumorosamente e caddi nuovamente supina, rotolando su me
stessa un
paio di volte. Ero completamente ricoperta di sangue e polvere. Sentii
un urlo
agghiacciante arrivarmi alle orecchie: ero stata io a urlare?
Probabile, ne
sentivo il bisogno, ma il fiato mi mancava. La vista appannata non mi
mostrava
il mondo circostante, sentivo bruciore ovunque. Pochi secondi dopo
un’ombra
oscurò per un attimo il cielo, e scomparve. Una voce lontana
sentenziò <<
I Nazgul! >> allora forse l’urlo agghiacciante
proveniva da loro. Non
avrei saputo dirlo. Ma improvvisamente sentì come una
completa alienazione, non
percepivo niente intorno a me se non echi lontani e una leggera foschia
davanti
ai miei occhi. Una voce cupa e profonda arrivò alle mie
orecchie forte e
chiara, come proveniente da chissà quale abisso, destinata a
farsi udire solo
da me.
<< L’orgoglio ti ha portato sull’orlo
del
precipizio. Avresti dovuto obbedire. >> Non avevo la
più pallida idea di
cosa stesse dicendo, a cosa si riferiva? Cosa voleva da me? Gli occhi
girarono
vorticosamente intorno a me rendendo tutto ancora più
confuso. Sentivo i
polmoni bruciare e il cuore esplodere dentro me, come stretto da una
morsa
implacabile. Una sola cosa si mostrò chiara a
me: un occhio di fuoco mi guardava. Leggevo nel suo
sguardo la
soddisfazione. Poi un’altra luce accecò i miei
occhi. Un’immagine mi giunse
alla mente veloce come una freccia lanciata da un arco elfico. Comparve
per
pochi istanti e poi scomparve nel buio.
Nel buio avevo distinto il corpo esile di Pipino
che crollava a terra colpito in testa dalla pesate mazza di un troll. E
stranamente la mia mente fu abbastanza lucida da realizzare che
ciò che avevo
visto era uno dei tanti ricordi che temevo di avere perso.
L’ansia provata fino
a quel giorno ebbe finalmente un significato: dentro me sapevo che
Pipino
sarebbe morto. Avevo preso una scelta saggia, partire per salvarlo era
stata
una grande idea, peccato che in quel momento fossi morente al suolo.
Come
l’avrei aiutato?
<< Pipino! >> urlai disperata. Era
diventato uno dei miei migliori amici all’interno della
compagnia, lui e Merry
erano stati miei compagni di viaggio più di chiunque altro,
a loro avevo
rivelato per primi il mio amore per Boromir, loro avevano letto dentro
di me
più volte di chiunque altro. Non potevo abbandonarlo! Ancora
una volta mi
stupii della forza che stavo dimostrando di avere. Quando ripresi
praticamente
coscienza mi ritrovai in piedi, in mezzo a una battaglia che non vedevo
più. La
mia strada pareva spianata verso il mio amico che ancora non sapeva
della sua
fine. In mano stringevo una spada, probabilmente non la mia,
chissà da dove
l’avevo presa. Barcollando mi feci strada velocemente in
mezzo a quei tumulti,
schivando lance e spade, pregando che una qualche freccia non mi
colpisse. Non
vedevo niente intorno a me se non il mio obbiettivo, che ancora non si
mostrava
a pieno. Non avevo idea di dove fosse Pipino, dovevo trovarlo il
più
velocemente possibile. Provai a correre ma l’unica cosa che
riuscivo a fare era
camminare un po’ più velocemente zoppicando. Avevo
dolore alle costole, avevo
il fiato corto, avevo dolore alle gambe e alla testa. Ma concentrandomi
a pieno
sul mio obbiettivo riuscivo a trovare la forza necessaria per non
crollare a
terra. Mi guardai attorno correndo da una zona all’altra del
campo di
battaglia: dove diavolo si era cacciato?! Cominciai a innervosirmi. Per
un
attimo pensai di aver sbagliato battaglia: non trovavo nessuno dei miei
amici.
Ero sola in mezzo a una folla dai volti anonimi. Ad un tratto il
ginocchio
crollò e caddi, ritrovandomi di nuovo a gattoni. Tossii.
Uscì sangue dalla mia
bocca. Il fuoco bruciava dentro me. Alzai la testa. Vidi un orco
davanti a me
con la sua spada alta, pronto a lasciarla cadere su di me.
Lanciò un urlo
raccoglitore. Abbassò la sua spada. Ma non arrivò
all’obbiettivo. Un troll era
appena caduto, ferito, appena vicino a noi, schiacciando
l’orco appena in
tempo. Guardai la testa gigantesca del mostro proprio davanti a me. I
suoi
occhi rotearono appena e incrociarono i miei. Un brivido di terrore mi
colse.
Mi aveva visto! Lui con solo un dito poteva schiacciarmi, ero un
moscerino ai
suoi occhi. Lo vidi piegarsi di lato con la mano tesa, pronto a
colpirmi.
Ancora una volta chiamai in soccorso la mia forza della disperazione e
riuscii
a darmi una spinta tale da riuscire ad alzarmi e allontanarmi in tempo.
Il
troll non tornò più su di me, una folla di uomini
gli era saltata addosso per
riuscire ad ucciderlo colpendolo nei punti più deboli. Io
barcollai ancora, la
caviglia mi faceva malissimo, non riuscivo a tenermi in piedi, le forze
mi
stavano abbandonando. Caddi ancora e tentai di alzare le braccia in
cerca di un
appiglio che mi tenesse in piedi. Inutilmente.
Quella situazione mi fece tornare alla mente un
elemento ricorrente dei miei incubi. Ricordo che mi capitava spesso di
sognare
di non riuscire a stare in piedi, come stavo facendo in quel momento.
Sognavo
spesso di non sentire la terra sotto i piedi, di non sentirmi stabile e
di
continuare a cadere in continuazione, come se le mie gambe fossero
fatte di
gelatina. Era uno dei peggiori incubi che facevo, odiavo quella
situazione di
precarietà, odiavo non riuscire a trovare un equilibrio e
trovarmi costretta a
stare stesa a terra. Inoltre anche la terra non mi dava la
stabilità che
cercavo, anche quando mi ritrovavo stesa al suolo non mi sentivo ferma:
tutto
tremava, la testa girava, avevo sempre l’impressione di
cadere nonostante fossi
bloccata lì. E questo era la migliori delle parti: alcune
volte mi capitava di
sognare che dovevo scappare da qualcosa, sognavo che un pericolo mi
inseguiva e
io non riuscivo a fuggire perché non riuscivo a stare in
piedi. Erano gli
incubi peggiori quelli.
E quella situazione li rappresentava appieno. Non
riuscivo a tenermi in piedi, dovevo correre verso una meta ma non
riuscivo ad
arrivarci. Una profonda angoscia si impadronì di me, cercavo
un punto fisso su
cui concentrarmi per trovare la stabilità e
l’equilibrio necessario per tirarmi
in piedi e far smettere al mondo di girare. Ma era tutto inutile, non
riuscivo
a trovare niente di fermo: tutto si muoveva, tutto si agitava, tutto
cadeva e
si rialzava. Tutto tranne me.
<< Forza, Sophie! >> tentai di dire
per farmi coraggio, dov’era la forza della disperazione che
fino a quel momento
mi aveva salvato? Perché aveva smesso di aiutarmi? Tentai di
alzarmi, ma come
succedeva nei miei incubi, perdevo l’equilibrio e cadevo di
lato, aggiungendo
al dolore altro dolore. Sentivo che non sarei uscita viva da quella
situazione,
aveva ragione Boromir, aveva ragione Aragorn, avevano ragione i
piccoletti che
avevano tentato di fermarmi. Non ero in grado di sostenere una lotta
del
genere, ero troppo debole. Ma in quel momento sentivo che non
m’importava
niente di come ne sarei uscita io: avevo avuto
un’illuminazione, un ricordo
improvviso mi era tornato alla mente, potevo ancora fare qualcosa per
renderli
tutti felici. Non dovevo mollare. Mi voltai verso il terreno scuro su
cui ero
stesa, l’odore acre del sangue e del sudore mi bruciava le
narici, la polvere
negli occhi li stava quasi facendo sanguinare, la bocca arida implorava
per un
po’ d’acqua o si sarebbe spaccata completamente,
mentre dentro me bruciava un
fuoco ardente che mi logorava e mi uccideva pian piano. Posai le mani
al suolo.
<< Forza!! >> Urlai ancora, o forse
credetti di farlo, la mia voce non riusciva ad arrivare alle mie
orecchie. Mi
diedi un’altra spinta e miracolosamente riuscii a mettermi in
piedi. Avevo
sempre in mano la spada di prima, non l’avevo mollata un
attimo, non me n’ero
nemmeno resa conto. Mi guardai di nuovo attorno cercando di non voltare
la
testa troppo velocemente o avrei perso di nuovo l’equilibrio.
Un altro urlo
agghiacciante raggiunse le mie orecchie, ma questa volta più
forte di prima.
Una folata di vento mi suggerì che il Nazgul che aveva
appena lanciato il suo
grido mi era appena volato sopra la testa. Il suono era stato
così forte che mi
avevano fatto male: avevo chiuso gli occhi e mi ero portata le mani
alle
orecchie urlando di dolore. Quando l’ombra fu passata oltre e
il fischio alle
orecchie diminuì un po’ (senza però
annullarsi completamente) ritornai a
guardarmi attorno.
<< Pipino! >> tentai di urlare,
chissà chi aveva colto il suono della mia voce in mezzo a
quel chiasso di spade
incrociate, scudi infranti e urla di dolore e terrore. Ripresi a
camminare
zoppicando cercando disperatamente il mio amico. Il mio fiato pesante
rimbombava dentro me sovrastando il rumore di tutto quello che mi stava
succedendo attorno.
Un orco mi crollò davanti e l’uomo che
l’aveva
ucciso subito si voltò dall’altra parte pronto a
contrastare l’attacco di un
altro orco. Dentro me continuavo a ringraziare che i nemici mi avessero
dimenticato lì e non si facessero avanti contro di me. Non
sarei certo riuscita
a sostenere una battaglia in quelle condizioni.
Delle solide mani mi afferrarono per il collo
della maglia e mi trascinarono giù, al suolo, insieme a lui.
Non capii subito
di che si trattava, temetti di essere stata afferrata da un orco. Ma
appena i
miei occhi furono puntati sull’entità che mi aveva
trascinato giù con lui vidi
solo un paio di occhi uguali ai miei, immersi nel terrore. Le lacrime
ammorbidivano il rosso del sangue, le pupille dilatate dimostravano
solo un
incontro con la mano scheletrica della morte. Le sue labbra secche
mormorarono
qualcosa che non raggiunse le mie orecchie, ma che potei intuire dal
labiale
essere un << Aiutami. >>
Non riuscii più a trovare la forza di alzarmi, mi
sentii abbandonare completamente anche dall’ultimo briciolo
di energia che mi
trascinava sul campo di battaglia. Ripresi a tremare ma non
più di dolore e fatica,
ma di paura. Le pupille dell’uomo sotto di me divennero
improvvisamente velate
e si persero nel vuoto. Io rimasi immobile lì, colma di
terrore, tremando,
probabilmente piangendo anche se non udivo né percepivo le
mie lacrime sul mio
viso. La gola bruciava più del solito.
E in un attimo compresi la follia della guerra.
Perché mi ero voluta mischiare in quelle
faccende? Perché avevo fatto una cosa tanto sconsiderata
quanto folle? Quegli
uomini avrebbero voluto tanto avere un posto come il mio, una casa
nella pace
più completa della monotonia, lontana dalla paura della
fine. E io invece mi
ero voluta tuffare a capofitto in quel misero e squallido universo,
convinta di
trovare fiori sopra le tombe degli eroi. Ma non ci sarebbero stati
fiori né
tombe. Solo cenere e polvere. Non vi erano eroi. Solo vittime. Mi
lasciai
cadere su un fianco ormai esausta, priva di energia, terrorizzata a
morte, in
attesa che il buio che aveva colto l’uomo al mio fianco
giungesse anche a me.
Il cielo sopra la mia testa, ricoperto di nubi
nere, incombeva su tutti noi come una mano avida di sorrisi, pronta a
strapparli da chiunque. Eppure sembrava la cosa più dolce
che avessi mai visto.
La testa mi cadde di lato, troppo stanca per
continuare a guardare il cielo e fu lì che i miei occhi
intravidero nella
nebbia una sagoma che ben conoscevo. Pipino che piangeva sul corpo di
un uomo,
Beregond ricordo si chiamava. Sì, il libro diceva proprio
Beregond. Era un suo
nuovo amico e già l’aveva perso, e presto avrebbe
perso altro quale la sua
vita. Un troll comparve alle sue spalle e si preparò a
sfoderare con la clava
puntata che aveva in mano un colpo sull’hobbit ai suoi piedi.
<< Pipino! >> riuscii a dire in un
lieve sussurro disperato. Il mondo intorno a me si mosse velocemente,
barcollante e tremante davanti ai miei occhi, come scosso da un
terremoto. Ma
si muoveva in avanti! E in pochi istanti mi ritrovai vicino a Pipino.
Un paio
di mani che tanto somigliavano alle mie lo spinsero via. Vidi Pipino
cadere
poco lontano da me e una clava venire dalla mia parte a gran
velocità,
tagliando l’aria con un rumore sordo e
improvvisamente….il buio.
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Capitolo 18 *** How to save a life? ***
<<
E’ questa la tua scelta? >> chiese
una voce cupa e profonda, roca e ruggente. Da dove provenisse non
saprei dirlo,
mi ritrovavo in un immenso nulla. Ero così leggera e
rilassata. Non vedevo
niente intorno a me, avevo gli occhi chiusi, era come essere immersi in
una
vasca piena d’acqua calda. Sentivo l’incessante
desiderio di rimanere lì per
sempre, non c’era niente che potesse scalfirmi, lo sapevo. Mi
sentivo al sicuro,
come un bambino nel ventre materno.
<< Apri gli occhi Sophia. E’ questo
ciò che
tu stai abbandonando. >>
Ancora
non capivo da dove provenisse la voce, ma non potei rifiutare il suo
invito e
lentamente aprii gli occhi. Con mia grande meraviglia non mi trovavo
immersa nel
nulla, come invece immaginavo. Ma intorno a me c’erano
alberi, piante ed echi
lontani, voci indistinte dall’animo allegro. Mi raddrizzai
senza che io facessi
niente, ero come mossa da una mano invisibile, e poggiai i piedi sulla
dolce
erba. Non riuscivo a capire dove mi trovassi ma sentivo che
c’era qualcuno in
quel luogo, dietro una siepe. Mi avvicinai e spostai le piante davanti
a me. Mi
trovai in cima a una montagna, il vento smuoveva i miei capelli ma non
lo
percepivo sulla pelle. Mi voltai lentamente e mi trovai in mezzo a un
accampamento improvvisato su quel cucuzzolo, in compagnia di volti che
conoscevo fin troppo bene. Anche la scena a cui stavo assistendo mi era
ben
nota. Boromir insegnava a Merry e Pipino a usare la spada, Aragorn
guardava
sorridendo e dando alcuni buoni consigli, Legolas guardava il panorama
tenendo
d’occhio la situazione intorno a loro, Gandalf pensava tra
sé e sé mentre Gimli
si lamentava che nessuno desse ascolto ai suoi consigli. Le loro voci
giungevano alle mie orecchie così sfumate, così
lontani. Non mi sentivo
appartenente a quel mondo.
Gli uccelli che ci avevano costretti a
nasconderci comparvero e mi voltai, spostando lo sguardo da Boromir e
dagli
hobbit a dietro di me, dove credevo di vedere arrivare le spie di
Saruman. E
invece mi ritrovai faccia a faccia con il Balrog a Moria, sul ponte di
Kazadum,
dove Gandalf era impegnato a combatterlo e impedirgli di raggiungere i
miei
compagni. Ancora una volta non mi sentii appartenere a quel mondo, mi
sentivo
un fantasma che guardava da esterno ciò che succedeva. Una
luce abbagliante mi
costrinse a chiudere gli occhi nel momento in cui Gandalf
puntò il suo bastone
al suolo, facendo crollare il ponte. Quando gli riaprii mi ritrovai in
piedi,
in mezzo alla foresta. Un lamento giungeva alle mie orecchie. Guardai
attraverso le fronde e lì vidi una macchia scura, una sagoma
indecifrabile che
piangeva sul corpo morto di un uomo. Sul corpo morto di Boromir. Avevo
visto
così tante volte quella scena e sempre aveva su di me un
grande effetto
emotivo, ma non quella volta. Non riuscivo a provare dolore,
solo…malinconia.
Una figura scura passò davanti a me, un orco mi
impedì di vedere ancora quella
triste scena, e quando si fu allontanato di fronte a me c’era
una vasta
prateria. Merry e Pipino sopra una roccia che parlavano mentre una voce
sofferente cantava. La melodia finì subito e da dietro una
roccia poco distante
dai due hobbit comparve di nuovo la stessa macchia scura, dal volto
coperto
dall’ombra.
Capii dove mi trovavo.
Stavo vagando senza meta nei miei ricordi,
osservando alcune delle scene più significative della mia
vita. Barbalbero
arrivò dalla mia destra e mi voltai a guardarlo. La prateria
si trasformò
improvvisamente in una vallata invasa dall’acqua. Di fronte a
me una grande
torre nera, ai piedi di essa dei cavalli con dei cavalieri. La solita
figura
oscura comparve dal balcone della torre e cadde giù nel
vuoto, afferrata appena
in tempo dall’Ent. Delle risa vennero dalle mie spalle e mi
voltai per vedere
da dove provenissero. Mi trovai in una stanza illuminata da qualche
candela e
invasa da uomini ubriachi che cantavano e ballavano. La maggior parte
di loro
era attorno a un tavolo e stavano facendo un gioco che conoscevo bene.
I calici
si alzarono. Urla e
risa. Una voce
femminile che rideva divertita. Nell’angolo Boromir osservava
la scena con la
compassione e la gioia negli occhi. Mi concentrai su di lui e ancora
una volta
l’ambiente cambiò trasformandosi in una foresta.
L’uomo si trovava sotto una
rete, ai piedi di alcuni cadaveri di orchi. Si avvicinò con
il solito sorriso
compassionevole e tagliò le corde della rete, afferrando al
volo la figura nera
e confusa che gli atterrò tra le braccia piangente. Il mondo
intorno a me
cominciò a vorticare così velocemente da rendere
tutto confuso, un insieme di macchie
e colori di cui l’unica cosa distinta erano le due figure al
centro, rimaste
ferme per tutto il tempo, con gli occhi fissi l’uno
sull’altra. Riuscii a
cogliere in quegli occhi cose che prima mai avevo visto: amore.
Le due figure si annerirono pian piano, cadendo
nell’ombra, mentre tutto intorno a me continuava a girare e
uno ad uno
comparvero altre sagome a me ben note.
Prima Gimli che severo si avvicinava alla solita
sagoma nera, che ormai avevo ben capito essere io, gridargli parole che
avevo
già sentito “Molto
incosciente
per essere una Signora della preveggenza!”.
Gimli si eclissò nella risata della
figura nera e al suo posto comparve Legolas con un sorriso amichevole
in volto
che sussurrava alla solita figura nera “Hai la mia parola,
non rivelerò a
nessuno il tuo segreto”. Ancora oscuramento.
Sam fece la sua comparsa nella confusione
di colori e macchie, seduto su una roccia, piangente. La figura scura
si
avvicinò a lui e posandogli una mano sulla spalla gli
sussurrò qualcosa che non
riuscii a sentire. Lo sguardo di Sam si alzò verso la figura
di fronte a lui e
annuì.
Oscuramento.
Frodo che guardava spaventato la figura
nera che gli porgeva il suo anello, perduto lungo la via sulle montagne
innevate, dopo una sua scivolata, e che gli diceva qualcosa che ancora
una
volta non riuscii a percepire.
Annebbiamento, ancora.
Due hobbit simpatici e giocherelloni
quali Merry e Pipino comparvero dal nulla e corsero verso la solita
figura,
ricorrente in tutte le visioni, per abbracciarla gioiosi di rivederla.
Ancora oscuramento.
Fu il turno di un Gandalf che agitato si
dirigeva verso la macchiolina nera urlandogli contro divertito
“Fin
dall’entrata a Moria sapevo che c’era qualcosa di
strano in te!”. Una risata
echeggiò nell’aria, la riconoscevo: era la mia.
Gandalf scomparve lasciando spazio
all’ultimo dei miei tanti amici, uno dei più
importanti, un punto di
riferimento che sempre avevo sentito legato a me. Aragorn.
Sorrideva verso la macchiolina nera e
quasi con tono supplichevole gli sussurrò
“Continua a vegliare su di noi come
hai fatto fin’ora”.
L’emozione che fino a quel momento non
sentivo più appartenermi tornò impetuosa dentro
me, travolgendomi come un’onda,
sovrastandomi. Sentii gli occhi bruciare e le lacrime cominciare a
sgorgare. Il
mondo intorno a me girò così forte da diventare
quasi nero, poi all’improvviso
si dissolse lasciando spazio a un campo di battaglia. Aveva un altro
aspetto
ora che potevo osservarlo da uno spazio sicuro. Sentii una voce urlare
“Pipino!” e
mi voltai in tempo per vedere
la figura nera, che ora appariva decisamente meno oscurata, anche se
sempre un
po’ appannata, correre verso Pipino che piangeva su un corpo
a terra. La figura
era ferita in più punti, si reggeva in piedi a stento, era
ricoperta di sangue
e polvere , ma nonostante tutto riuscì a raggiungere Pipino
in fretta e a
spingerlo via appena in tempo, salvandogli la vita. La stessa sorte
però non
toccò a lei che fu presa in pieno dalla clava del troll e
scaraventata lontano,
verso una roccia, contro il quale sbatté la testa e
lì rimase, giacendo in una
pozza di sangue.
Per la prima volta mi mossi e corsi verso
questa figura piangendo e disperandomi. Sapevo ciò che
stavano cercando di
dirmi quelle immagini.
Si dice che un attimo prima della morte
ti passi davanti agli occhi tutta la tua vita.
A me era appena successo.
<< No!! >> urlai tentando di
raggiungere la figura. Non volevo morire! Non volevo lasciarli tutti!
Volevo
continuare a vivere insieme a loro, insieme ai miei amici.
Ma non ebbi modo di raggiungere il mio
corpo che giaceva a terra. Un baratro si aprì sotto i miei
piedi facendomi
cadere nella più completa oscurità.
Quando tornai a vedere mi ritrovavo
inginocchiata nella più assoluta oscurità,
circondata dal nulla, che piangevo
le ultime lacrime che mi erano concesse. Mi guardai attorno. Ormai ero
persa.
Ormai era giunta la fine. Mi rannicchiai e singhiozzando canticchiai
amaramente
<< Dove ho sbagliato? Ho perso un amico da qualche parte
lungo un amaro
sentiero. E sarei rimasta in piedi con te tutta la notte, se avessi
saputo come
salvare una vita. >>
Le mie parole riecheggiavano in quel
posto sconosciuto, ritornando alle mie orecchie, quasi a voler ribadire
il
concetto.
“Dove ho sbagliato?”
Pensavo di avere tutto sotto controllo,
ho sempre pensato di essere stata una specie di messia, di essere
immortale ed
essere potente abbastanza da salvare e garantire la felicità
a tutti i miei
amici. Invece non avevo mai tenuto in considerazione il fatto che tra
tutti io
ero quella che sarebbe morta con più facilità.
Non ero affatto potente come
credevo, solo tanto fortunata.
“Ho perso un amico.”
No, non erano solo amici quelli che avevo
perso. Loro erano la mia famiglia, erano la mia vita. Per anni ho
rincorso quei
sogni così fantasiosi, per anni ho pregato di incontrarli e
conoscerli. Mi era
stata concessa la grazia e avevo scoperto un affetto che mai avrei
immaginato.
Tutta l’ammirazione provata fino a quel momento nei loro
confronti si era
dissolta trasformandosi in implacabile e incontenibile affetto. Erano
tutti parte
di me. Perché doveva finire in questa maniera?
“Da qualche parte lungo un amaro sentiero”.
La mia morte era stata così rapida e in
discesa che nemmeno me n’ero resa conto. Avevo sentito la
stanchezza e la
pesantezza schiacciare le mie membra, ma non avrei mai immaginato di
morire in
quel modo. Avevo sempre visto la morte come una cosa estranea a me,
certo
dicevo “morirò”, ma non ero mai
veramente consapevole. Per me era sempre stato
un dolce e saporito sogno la cui morte rappresentava il risveglio. Ma
la cosa
più terribile credo sia stato il gioco che Lei aveva fatto
con me prima della
fine. Mi aveva mostrato i suoi lati peggiori prima di prendermi con
sé, come a
volermi dimostrare la sua crudeltà.
“se avessi saputo come salvare una vita.”
Se solo avessi saputo come salvare la MIA
vita. Che strano scherzo quello del destino: mi aveva permesso di
salvare più
vite di chiunque altro. Prima Boromir, poi Faramir e infine Pipino. Li
avevo
salvati tutti, senza fermarmi un attimo. Ma quando mi sono trovata di
fronte
alla MIA morte non sono riuscita a muovere un passo.
E poi la chiamano Ironia della sorte.
E ora? Mi sarei dovuta fermare per sempre
in quell’oblio, persa nel nulla, sola con me stessa fino
all’esaurimento.
<< La morte non ha un sapore così
dolce, Sophia. >> la voce roca di prima riapparve. Presa
com’ero dagli
eventi che mi erano appena successi non avevo ancora dato la giusta
importanza
a quella voce che fin da quando ero in vita, nei miei ultimi minuti, mi
aveva
accompagnato.
<< Chi sei? >> chiesi
alzandomi in piedi. Chissà chi avrebbe giudicato le mie
azioni: Dio? Satana? O
magari i Valar?
<< Tu conosci fin troppo bene la
mia identità! >> un bagliore apparve
dall’oscurità che quasi mi accecò e
improvvisamente vidi l’occhio di Sauron dritto puntato su di
me. Rimasi quasi
senza fiato, con gli occhi spalancati a guardarlo incredula.
<< Non dirmi che non riconosci
colui che hai abbattuto! >> quasi brontolò.
C’era dell’ira nella sua
voce, ma sentivo che si stava trattenendo.
Io avevo fatto cosa?
<< Sophia. >> la voce ora
proveniva dalla mia destra. Mi voltai e mi vidi venir incontro una
figura nera,
coperta da una spessa armatura che ormai avevo imparato a riconoscere.
<< Sauron? >> mormorai
terrorizzata e al contempo emozionata di trovarmi di fronte a lui. Era
come un
mito. Un pericoloso mito.
<< Tu hai rifiutato di collaborare
con me! Hai mandato in frantumi l’accordo con Saruman e ora
guarda: per me è la
fine, Frodo ha gettato l’anello nel Monte Fato.
>> un guizzo di gioia si
impossessò di me, ce l’avevano fatta! Tutto era
andato come doveva andare! Ero
riuscita in una delle mie più grandi e pericolose missioni,
non ero una fallita.
Quella meravigliosa terra era salva.
Ma ben presto tornai alla triste realtà
<< Ma dimmi, tu cosa ci hai guadagnato? >>
<< Che cosa vuoi da me? Ormai è
finita! >> risposi con astio, che diavolo ci faceva
lì? Ormai eravamo
morti entrambi, cosa voleva da me?
<< No che non lo è! Per te, almeno.
Ho dato io a Saruman i poteri necessari a portarti qui e in altrettanto
modo
posso rispedirti a casa. Esatto, Sophia. Non sei ANCORA morta. Avresti
benissimo potuto esserlo: nessuno avrebbe resistito a un colpo del
genere,
eppure sei bloccata qui, in questo frangente di passaggio,
né viva né morta.
>> La mia confusione aveva raggiunto apici mai visti
prima, non ero
morta? Com’era possibile? Ma allora dove mi trovavo?
<< La morte sarebbe stata troppo
dolce per te! Meriti qualcosa di più per punirti del tuo
affronto! Io, usando
gli ultimi guizzi di potere che avevo, ti ho salvato la vita. Ma non
tornerai
mai più da loro! Tornerai a casa tua, lontana da tutto
ciò che ti è caro così
da tormentarti, giorno dopo giorno, ricordo dopo ricordo!
>> il suo tono
era diventato minaccioso e tuonava in quello spazio vuoto quasi
schiacciandomi
sotto il suo peso.
<< Tu impertinente, arrogante e
sciocca ragazzina quale risultati credevi di raggiungere costruendo il
tuo
sentiero verso la mia distruzione? Ti ho offerto tutta la
felicità a cui ambivi,
ma tu hai osato rifiutare! E per questo ti pentirai. Porterai su di te
i segni
del tuo percorso e ogni notte rivivrai i tuoi ricordi, come hai potuto
fare
poco fa, ma mai più potrai raggiungerli. Marcirai nella tua
arroganza,
schiacciata dai tuoi sciocchi sentimenti! >> e
proclamando la sua
sentenza Sauron sfoderò la sua spada e mi trafisse in pieno
cuore sprigionando
un lampo di luce. Sentii il dolore percorrermi tutto il corpo, mi
lasciai
cadere al suolo. Stavo bruciando viva ma ancora più
terribile era l’idea del
mio destino. Mai più li avrei potuti vedere se non
attraverso una scatola
meccanica, mai più avrei potuto sentire le loro parole se
non nei miei ricordi.
Mi portai una mano al petto trafitto e lanciai un urlo di disperazione.
Cercai
con lo sguardo Sauron, cercando disperatamente nella mia mente un modo
per
contrastarlo, ma la paura mi attanagliava e Sauron era sparito
nell’oscurità
che mi circondava. Una luce comparve in lontananza, un bagliore che si
fece
sempre più intenso e si diresse verso di me, pronto a
inghiottirmi. Capii che
quel bagliore mi avrebbe riportato a casa, lontano dalla mia reale
vita. Cercai
di alzarmi per allontanarmi, ma non avevo idea di dove andare a
rifugiarmi. Non
avevo più speranze, non avevo più armi per
contrastare il destino.
Una lacrima cadde dai miei occhi, seguita
da un ulteriore urlo di disperazione, e toccò il suolo ai
miei piedi. Il rumore
della lacrima caduta echeggiò amplificata dal vuoto intorno
a me. Poi una voce.
<< Sophia >>.
Mi stava chiamando. La voce di un uomo mi
chiamava colmo di disperazione.
<< Sophia! >> Altre voci si
sovrastavano, anche loro supplichevoli e disperate.
<< Ho fatto tutto il possibile
>> disse un’altra voce << Mi
dispiace >> aggiunse.
Come potevano giungere a me? Potevo ben
riconoscerli! Erano Merry, Pipino, Boromir e Gandalf quelli che
parlavano! Come
potevo sentirli? Aprii gli occhi e vidi nel punto in cui si era
riversata la
mia lacrima una piccola luce azzurra. Era come se la lacrima avesse
aperto un
foro nel telo nero in cui ero immersa. Con le mani tremanti provai a
toccarlo:
sì era proprio un foro! E le voci provenivano da
lì! Tentai di infilarci il
dito per poterlo allargare, per poter aprirlo di più, ma non
riuscivo: era
troppo piccolo.
<< Dai! Dai! >> dissi tra me
e me attaccandomi alla forza della disperazione, come ultimamente avevo
fatto
più volte. Alzai lo sguardo: il bagliore di luce che mi
avrebbe riportato a casa
era quasi giunto a me, era come un sole che sorgeva piano su una
vallata. Mi
avrebbe dato un po’ di tempo, ma non abbastanza.
<< Boromir!! >> gridai
disperata. Mi bagnai il dito con le lacrime che avevo sul viso e tentai
di
bagnare con queste il telo nero su cui ero stesa. Se una lacrima aveva
aperto
il foro forse così sarei riuscita ad allargarlo. Ma non
funzionava.
<< Aiutatemi! >> gridai
ancora cominciai a sbattere i pugni al suolo.
<< Ha parlato!! Gandalf, sono
sicuro! Ha detto qualcosa! >> la voce lontana come un eco
sembrò
emozionarsi all’eventualità. Non avevo idea di
cosa stesse succedendo
dall’altra parte, ma sentivo che stavano tentando di
aiutarmi. Lo sapevo, non
mi avrebbero mai lasciato lì.
Il bagliore di luce era quasi arrivato a
me, mancavano solo un paio di metri.
<< Aiutatemi! Tiratemi fuori di
qui! >> continuai a sbattere i pugni al suolo ma non
riuscii a fare
niente che allargasse quel maledetto buco. Il bagliore di luce era
distante da
me meno di 40 cm. Non sarei mai riuscita a salvarmi. Ormai era troppo
tardi. Mi
lasciai cadere a terra, poggiando la fronte al pavimento, disperata e
urlai
un’ultima volta, sommersa dalle lacrime <<
Aiuto!! >>
Il mio urlo fu subito seguito da un coro
di voci composto da 3 o 4 persone che disperate quanto me urlavano << Sophia!!
>>.
Improvvisamente sentii il terreno tremare
sotto i miei piedi e il buco si spalancò improvvisamente
inghiottendomi, nello
stesso istante in cui il bagliore era giunto a me, toccandomi e
bruciandomi. Mi
sentii come invasata: mi girava la testa, mi faceva male, mi sentivo
leggera.
Il vuoto sotto di me. Mi sentivo cadere verso un infinito baratro.
Dov’ero
diretta?
Mi sentii
tornare alla vita. Le dita
intorpidite toccavano un morbido lenzuolo, la testa dolorante era
immersa in un
soffice cuscino e sul mio corpo pieno di dolori di ogni tipo sentivo
solo il
peso delle coperte.
Poi realizzai.
Aprii gli occhi improvvisamente
guardandomi attorno. Intorno a me era tutto buio, non riuscivo a vedere
dove mi
trovavo ma se ero messa in un letto….probabilmente ero
tornata a casa. Non ero
riuscita ad allargare il buco in tempo, il bagliore mi doveva aver
colto prima
del tempo e io dovevo essere stata trasportata a casa. Mi alzai a
sedere e mi
resi conto dell’enorme fatica che facevo: ero ricoperta di
dolori di ogni tipo.
Mi sentivo reduce di una caduta lungo una scogliera infinita. Mi
lamentai
appena per il dolore fisico, quello più grande era quello
che provavo nel
cuore. Ero a casa. Lontano da tutto ciò che aveva fatto
parte di me per così
tanto tempo. Mi rannicchiai stringendo le gambe al busto e affondando
il volto
tra le ginocchia.
<< No >> sussurrai mentre
sentivo la gola riprendere a bruciare. Ero pronta per cadere di nuovo
nella
disperazione. << No >> mugolai ancora
cominciando a singhiozzare
come avevo previsto che avrei fatto.
<< Dove sono il
cavallo e il cavaliere? Dov’è il corno che
suonava? >> cominciai a recitare interrompendo le parole
ogni 3 secondi,
colta da un pianto logoro e profondo. Ma non volevo fermarmi, era come
se recitare
quelle parole mi aiutasse a sentire meno lontani quei giorni ormai
distanti
<< Sono passati come la pioggia sulle montagne. Come il
vento… come il
vento nei prati. >> non riuscii a continuare, la voce mi
morì in gola e
lasciai spazio solo al pianto disperato. Tutto quello per cui avevo
lottato
fino a quel momento, tutto quello per cui mi ero sacrificata, tutto
quello che
avevo amato senza confine ora era sparito, lasciando solo un immenso
vuoto
dentro me.
Mi stesi nuovamente nel letto continuando
a piangere e abbandonandomi alla tristezza. Fuori sentivo la pioggia
scorrere
sulla strade, accarezzando i vetri della mia stanza. Ripensai a
ciò che avevo
detto a Boromir il pomeriggio prima, quando insieme eravamo nel
piazzare dei
giardini, a guardare la pioggia accarezzare le piante di Minas Tirith. “Ascolta la
pioggia”. Tentai nuovamente di
farlo, tentai di ascoltare la pioggia per cercare in quei lamenti un
briciolo
di conforto, magari tra i segreti che aveva da rivelarmi ce
n’era uno che mi
avrebbe suggerito come tornare sulla Terra di Mezzo.
Ma non udii niente. La pioggia non aveva
nessun segreto da rivelarmi, eppure ascoltavo!
“ Non stai ascolando! Tu stai sentendo,
non stai ascoltando” disse la voce nella mia testa e forse
aveva ragione. Forse
non mi stavo concentrando abbastanza: stavo sentendo, non stavo
ascoltando.
Chiusi gli occhi concentrandomi più che potevo sulla pioggia.
Poi lo udii.
Il segreto più bello che avessi mai
sentito, il sussurro più scaldante che la pioggia avesse mai
potuto suggerirmi:
un rumore di zoccoli su una strada acciottolata. Spalancai gli occhi.
Cavalli.
C’erano cavalli fuori dalla mia stanza e la strada dal rumore
pareva proprio
acciottolata. Il buio intorno a me improvvisamente non parve
più così buio.
Udii delle voci provenire da fuori la stanza, tentai di concentrarmi
per capire
se erano voci che conoscevo. Una di quelle no, non l’avevo
mai udita prima, ma
l’altra….
<< Aragorn! >> dissi
entusiasta. Mi tirai su a sedere sul letto, ignorando i cigolii delle
mie ossa,
ignorando i dolori che mi impedivano i movimenti fluidi. Mi tolsi le
coperte da
sopra le gambe e posai i piedi sulla fredda roccia del pavimento.
“Camera mia
ha il Parquet non la roccia! Sono a Minas Tiritrh!” pensai
entusiasta e tentai
di tirarmi in piedi per poter correre verso la porta e uscire ad
abbracciare i
miei amici.
Ovunque si trovasse la porta.
Ma non ebbi nemmeno modo di scoprirlo che
le mie gambe cedettero e caddi a terra come una pera cotta. Per un
attimo mi
sembrò di tornare al mio primo arrivo sulla Terra di Mezzo,
ero ridotta forse
un po’ meglio, ma anche in quell’occasione non
riuscivo a stare in piedi. Con
la differenza però che almeno quel giorno ci vedevo! Nel
cadere allargai le
braccia a caso, alla ricerca di un qualsiasi appiglio
nell’oscurità che potesse
impedirmi di sbattere la faccia dritta a terra. Trovai qualcosa ma non
mi aiutò
a stare dritta in piedi: un braccio andò a sbattere contro
il comodino, vicino
al letto e, oltre a farmi un male della miseria, fece un gran fracasso
perché
nel cadere giù si trascinò tutto ciò
che era posato lì sopra. Qualcosa di molto
fragile doveva essere perché nel cadere il rumore provocato
mi ricordava tanto
i piatti che tempo addietro avevo rotto a casa mia.
<< Ohi!! >> Mi lamentai
dolorante, ma non mi arresi! Avevo ritrovato la determinazione che
avevo avuto
il primo giorno nella Terra di Mezzo quando avevo percorso GranBurrone
a
saltelli. Cominiai a gattonare nel buio, in cerca di un qualsiasi cosa
testimoniasse una porta e un’uscita. O anche una lampada. Ma
ovviamente non
trovai niente di tutto ciò, solo un grosso mobile di legno
contro il quale
sbattei violentemente la testa, che oltretutto già mi faceva
male. Nel
sbatterci inoltre avevo fatto cadere da sopra questo qualcosa di duro
che
contribuì al mal di testa.
<< Ahi!!! >> gridai ancora
più forte innervosita e presi a calci quel qualcosa che mi
aveva appena
colpito.
Improvvisamente….luce fu! Un bagliore
quasi mi accecò e mi guardai attorno: la stanza era tutta in
pietra e il mobile
contro il quale avevo sbattuto era probabilmente un qualcosa con le
stesse
funzioni di un comò, in quanto aveva la sua stessa forma. La
cosa contro cui me
l’ero presa era finita sotto al letto, un grosso letto a due
piazze che a
vederlo sembrava tanto morbido e accogliente.
<< Sophia! Che stai facendo?
>> mi chiese una voce preoccupata dalle mie spalle. Mi
voltai e guardai
dritto negli occhi Aragorn, all’interno dei quali potevo
benissimo scorgere la
paura e la preoccupazione. Chissà cosa aveva pensato nel
sentire tutto questo
fracasso.
<< Stavo tastando le mie capacità
di cane da tartufo impegnandomi nella ricerca della porta.
>> guardai
dove mi trovavo rispetto alla porta: dall’altra parte della
stanza, con le
spalle rivolta ad essa. << C’ero quasi
arrivata! Hai rovinato tutto, non
dovevi accendere la luce! Dovevo farcela da sola. >> dissi sempre ferma nella mia
posizione a
gattoni, abbaiandogli contro.
Aragorn scoppiò a ridere come mai l’avevo
sentito fare prima, l’avevo davvero fatto ridere
così tanto? Eppure non avevo
detto niente di divertente. Mi venne incontro e mi sollevò
da terra con la
grazia di un rinoceronte infuriato, facendomi lamentare dal dolore.
<< Sei tornata normale! Che bello
rivederti! >> disse e mi diede una leggera pacca sulla
schiena. E giù un
altro lamento.
<< Papà Castoro mi fai male!!!
>> gli urlai contro puntandogli gli occhi severi contro e
stringendo i
pugni. Aragorn mi ignorò di nuovo e mi tirò a
sé stringendomi forte. <<
Ci hai fatti tutti morire di paura, credevamo tu fossi morta.
>>
E per una volta ignorai le ossa che
ancora cigolavano tormentate dal dolore e, colta da
un’improvvisa emozione,
circondai con le braccia il corpo dell’uomo e lo strinsi
forte, affondando il
volto nel suo petto. Ero scampata alla morte, ero riuscita a
sopravvivere
grazie a un inspiegabile miracolo ed ero tornata. Ero di nuovo
lì, insieme a
lui. Insieme a tutti loro. Le mani tramarono e le lacrime ripresero a
sgorgare
dai miei occhi, ma non erano più le lacrime pesanti e colme
di dolore come
qualche minuto prima, erano lacrime di gioia. Una gioia mai provata
prima. Il
ricordo di quel terribile momento in cui credevo di averli persi
tormentava
ancora il mio cuore, ed era un sollievo riuscire a placare le sue
schegge con
la gioia di essere tornata.
<< Gandalf ha usato tutta la magia
di cui disponeva per riuscire a riportarti tra noi. Ne è
uscito sfinito, ma i
suoi sforzi non sono stati vani. >>
Mi spiegò Aragorn. Io non avevo idea di
cosa dire, la felicità mi aveva ammutolita, riuscivo solo a
dire ripetutamente
<< Grazie >>.
Mi allontanai dall’uomo, mi asciugai le
lacrime con un braccio e prima che potesse dire o fare altro cominciai
a
camminare zoppicante verso l’uscita.
<< Dove vai? Devi riposare!
>>
<< Sei pazzo? Ho giocato a carte
con la morte per non so quanto tempo e non vedo l’ora di
andare a dimostrare a
tutti quanti che ho vinto! >> dissi seria mentre mi
avviavo dolorante
verso l’uscita della stanza. Non avevo idea di quanta strada
avessi potuto fare
in quelle condizioni, probabilmente mi sarei sbriciolata da un momento
a un
altro, ma non avevo proprio voglia di rimettermi a letto! Volevo
vederli tutti,
volevo riabbracciarli e ringraziarli.
<< Mettiti a letto, ti vado a
chiamare io gli altri. >>
<< No, ce la faccio! >> dissi
e nello stesso istante una gamba mi cedette e caddi a terra
lamentandomi con un
sonoro << Ahu!! >>. Aragorn si
avvicinò a me e mi prese di peso
riportandomi a letto mentre io mi dimenavo che volevo uscire. Non
volevo
rimanere in quella stupida stanza! << Mettimi
giù! Maleducato che non sei
altro, toglimi le mani di dosso!! Ti denuncio per violenze sui minori!
>>
dissi prendendomela ingiustamente con lui. Aragorn mi posò a
letto e io
incrociai le braccia al petto offesa, mettendo il muso e voltandomi
dall’altra
parte per non guardarlo.
<< Farò in un lampo. Aspettami qui.
>> sorrise lui divertito e uscì dalla stanza.
Io rimasi immobile nella mia posizione
per un po’, poi, una volta constatato che veramente ero sola
in quella stanza,
cominciai a osservarmi. Mi guardai le mani, le braccia e tutto il resto
del
corpo. Ero curiosa di sapere quanti e quali danni avevo riportato. Dal
dolore
che provavo sentivo di essere tutta, completamente rotta, dalla testa
ai piedi.
Però mi muovevo, quindi qualcosa si era salvato. Le ferite
non potevo vederle
veramente in quando erano tutte fasciate, ma potevo per
l’appunto contare le
fasciature. Ne avevo una intorno alla caviglia destra, intorno alla
coscia
sinistra, intorno alla testa, al gomito e al polso destro. Queste erano
le più
grandi, poi ne avevo altre anche sull’altro braccio e sulle
gambe, ma di minor
entità, forse a voler chiudere solo qualche piccolo graffio.
Mi ricordai
improvvisamente dello zoccolo di cavallo sul fianco, della spada
conficcata
nello stesso punto e del terribile colpo preso in pieno stomaco dalla
clava del
troll. Mi toccai il ventre, si effettivamente sentivo di essere un
po’
“ristretta”. Qualcosa mi stringeva. Alzai il
vestito che mi faceva da camicia
da notte e notai un’immensa fasciatura che mi copriva tutto
il busto, senza
lasciarne uno spazio libero.
<< Dio Mio, sono un catorcio!
>> dissi risistemandomi e ammorbidendomi sul letto. Ero
ridotta davvero
male, sembrava avessi fatto a botte con un bufalo. Però
avevo avuto la meglio
io! Ero viva, per Diana! Era questo quello che contava.
Come sia possibile poi non saprei proprio
dirlo, chiunque sarebbe morto in quelle condizioni.
La
porta si spalancò all’improvviso e due piccoli
hobbit fecero irruzione nella
mia stanza tuffandosi sul mio letto per venirmi ad abbracciare.
<< Ahi!! Piano! >> mi
lamentai vedendo le stelle mentre ricambiavo l’abbraccio di
Merry e Pipino,
vedendo con gioia che quest’ultimo era tutto intero. Ero
riuscita a salvarlo!
<< Sei viva! >> gridavano i
due saltando sul letto, lanciando sguardi a me e poi fra di loro.
<< Sì, ma così mi uccidete voi!
>> mi lamentai. Diavolo mi stavano saltando addosso!
Erano matti?
Un bastone bianco arrivò in mia difesa
colpendoli entrambi in testa e riuscendo a placare il loro entusiasmo
assassino.
<< Gandalf!! >> urlai felice
di vederlo. << Mio salvatore!! Mio angelo custode, vieni
qui fatti
abbracciare! >> e allungai le braccia cercando di
afferrare la sua veste
per poterlo trascinare vicino a me. Lui mi aiutò evitando
che mi lanciassi,
rischiando così di morire definitivamente, e mi si
avvicinò. Gli cinsi il collo
con le braccia e lo stritolai tanto che mi feci male pure io
<< Ti devo
la vita! >>
<< Noi tutti dobbiamo la vita a te.
>> intervenne Aragorn seguito da Gimli e Legolas. Avevo
la stanza
affollata di gente, tutti a visitare me come mi capitava quando
prendevo
l’influenza da bambina. Mi aveva sempre fatto piacere stare
al centro
dell’attenzione e anche quella volta non era da meno.
<< Sophia mi dispiace tanto. E’
tutta colpa mia, avrei dovuto fare più attenzione.
>> si giustificò
Pipino abbassando la testa, sentendosi in colpa per ciò che
era successo. Gli
sorrisi amichevolmente e gli scompigliai i capelli. Che tenero che era!
Non
avevo mai pensato niente del genere, mai avevo dato a lui la colpa
della mia
quasi morte, non doveva affatto scusarsi.
All’improvviso mi venne in mente che
Pipino non era l’unico ad aver rischiato la vita la sera
della battaglia.
<< Frodo come sta? E Sam?
>> temevo
che Gandalf non fosse
andati a prenderli! Non ero stata sveglia per assicurarmi che lo avesse
fatto,
non l’avevo neanche avvertito e se qualcosa fosse andato
storto? Se magari
concentrati com’erano su di me non fossero andati a
prenderli? Mi voltai verso
Gandalf guardandolo supplichevole, avevo il terrore nelle vene. Il non
aver
avuto sotto controllo qualcosa, anche se solo per così poco,
mi dava il
tormento. Se avessi sbagliato qualcosa?
<< Stanno entrambi bene. Stanno
riposando, adesso, reduci da grandi fatiche e pesanti dolori.
>> Rispose
Gandalf rizzandosi orgoglioso. Sospirai confortata dalla notizia e ora
non
desideravo altro che andare a vedere anche loro. Chissà
com’erano ridotti i due
poveretti.
<< Meno male. >>
<< Siete stati tutti e tre
miracolati. >> intervenne Legolas guardandomi con i suoi
soliti occhi
amichevoli, sapevo che per quanto potesse non sembrare tra noi due
c’era un
grosso legame. Risposi al suo sorriso più che alla sua
affermazione, era come
se avesse cercato qualcosa da dire solo per poter attirare la mia
attenzione e
potermi sorridere, in segno di affetto.
<< Quelle ferite avrebbero ucciso
un nano! >> intervenne Gimli con la sua voce roca
avvicinandosi e dandomi
una pesante pacca su una spalla, al che io risposi con un mugolio pieno
di
dolore. << E un nano sta tentando di uccidermi attraverso
le mie ferite.
>> dissi istintivamente rigirando le parole della sua
frase, il che
sembrò divertire molto Gongolo.
<< E’ bello vedervi di nuovo tutti
quanti. Ho temuto di non riuscire più a tornare
>> confessai abbattendomi
un po’. Alzai lo sguardo e guardai uno ad uno tutti i miei
compagni. Sapevo ora
cosa ci aspettava, la parte più dolorosa: l’addio.
Ci sarebbe stata a breve
l’incoronazione di Aragorn dopodiché ognuno
sarebbe tornato a casa propria,
lontano da tutti gli altri. Chissà se avremo mai avuto modo
di vederci. Sapevo
che Gandalf e Frodo sarebbero partiti verso le terre immortali insieme
agli
elfi, sapevo che Gimli e Legolas avrebbero ripreso a viaggiare insieme,
sapevo
che gli altri 3 hobbit sarebbero tornati alla Contea e allora chi
avrebbe
potuto prevedere un nostro futuro ritrovo?
Saltai addosso a Merry, che in quel
momento era quello più vicino a me, e stringendolo mi
lanciai praticamente su
di lui << Promettete che rimarremo amici per sempre!
>> dissi come
una bambina delle elementari mentre il povero hobbit si lamentava sotto
il mio
“leggiadro” peso. Pipino divertito dalla scena
decise di volerne prendere parte
e si lanciò su di me molto aggraziatamente. Lanciai un urlo
di dolore <<
Le costole!! >> gridai dolorante. Pipino si
alzò immediatamente, tanto da
non controllare i movimenti, impigliarsi nelle lenzuola e cadere
giù dal letto.
E mentre sentivo l’imponente voce di Aragorn e di Gandalf
alzarsi in una
fragorosa risata, mi voltai a guardare Gimli che aiutava il poveretto a
rialzarsi da terra. << Scusa! >> dissi
mettendomi a sedere sul
bordo del letto, a gambe incrociate e grattandomi la nuca in un
evidente gesto
di imbarazzo.
<< Scusami tu, ho dimenticato per
un attimo i tuoi problemi. >> Già, i miei
problemi. Mi venne in mente una
domanda che volevo porre al maghetto curatore << Che tipo
di ferite ho
riportato? Qualcosa di grave? >> chiesi guardandolo ma la
risposta non
giunse dalla sua voce.
<< Due costole incrinate, una
perforazione in un fianco che per fortuna non ha toccato punti vitali,
una
grossa ferita sulla nuca, una caviglia rotta, una slogatura al polso e
una al
gomito. >> A rispondere era stato Boromir comparso in
quel istante alla
porta. Avevo già notato la sua assenza ma mi ero sforzata di
non pensarci, mi
ero detta “probabilmente sta riposando, meglio lasciarlo
stare”. E invece ora
era lì, con le spalle poggiate allo stipite della porta e
uno sguardo
compassionevole, un po’ preoccupato, stanco e affaticato, ma
perso in una gioia
indescrivibile. Il mio cuore si riempì a vederlo. Ora che
tutto era finito, ora
che tutto era risolto e più niente minacciava la nostra
tranquillità potevo guardarlo
come sempre avevo desiderato farlo: concentrandomi solo esclusivamente
su di
lui. Non era più il valoroso guerriero da proteggere e da
cui farmi proteggere.
Ora era Boromir, l’uomo di cui ero innamorata. E potevo
dimostrarlo senza
troppi intoppi, non avevo più pensieri per la testa che
potessero oscurare
anche solo per un momento la sua immagine. Mi sentii improvvisamente
leggera,
avvertii le farfalline allo stomaco e una gioia sulla pelle tale da
rilassare
ogni mio nervo, rendendomi tranquilla e in pace col mondo
più di quanto avessi
mai fatto.
<< Niente che Gandalf e Elrond non
potessero curare. Sei stata molto fortunata. E molto molto molto
incosciente,
saresti potuta morire! >> disse assumendo un tono severo
e lanciando
fulmini e saette dagli occhi. E come mi era già capitato in
passato non vidi
niente di brutto in quel gesto, ma solo tanta preoccupazione a
dimostrazione
del fatto che a me ci teneva. Avvertii come un brivido lungo la schiena
mentre
la gioia mi esplodeva in petto: era incredibile ma ero lì!
Niente più pericoli
mortali, niente più pensieri invadenti nella testa, solo io
a Minas Tirith con
le persone più meravigliose al mondo.
Ignorai le ferite che mi logoravano,
saltai giù dal letto rimanendo in piedi per miracolo e mi
avvicinai velocemente
a Boromir, che mi venne incontro a sua volta anche se penso che lui lo
facesse
per potermi prendere al volo qualora cadessi giù a sacco di
patate. Mi lanciai
letteralmente tra le sue braccia, aggrappandomi a lui per evitare di
sforzare
ancora le gambe (non avrebbero resistito ancora) e lo strinsi forte
come mai
avevo fatto prima. Affondai il volto nell’incavo del suo
collo e lì rimasi. Lì
sarei voluta rimanere per sempre. Mi sentivo tremare di emozione,
finalmente la
felicità tanto ambita stava riposando tra le mie mani e
più sarebbe fuggita
via. Sentii le braccia di Boromir, che fino a quel momento mi avevano
stretta
delicatamente probabilmente per paura di farmi male, stringere un
po’ di più,
come a voler scaricare i nervi tesi su quel disperato abbraccio. A
lungo le
nostre mani si erano protese l’uno verso l’altro,
ma nel buio che si era
formato in quel piccolo mondo non erano mai riuscite a trovarsi
veramente, più
volte si erano sfiorate, ma mai toccate veramente. Ora luce era stata
fatta,
ora potevamo stringerci e più ci saremo lasciati.
Così a lungo ci eravamo
cercati anche prima di incontrarci, così a lungo occhi
avevano vagato in un
immensa anonima vallata, attirati dalle ombre, in cerca di un qualcosa.
Chissà
cosa.
Ma ora tutto era chiaro. Non più ombre.
Non più oscurità. Non più posti
sconosciuti agli occhi.
Finalmente le nostre anime potevano
vedersi chiaramente senza più la paura di un ostacolo o di
un annebbiamento.
Ora eravamo insieme e insieme esprimemmo in un sussurro ciò
che per mesi il
nostro cuore aveva celato con cura e premura, tesoro
inestimabile.
<< Ti amo. >>
Et
Eärello Endorenna utúlien.
Sinome
maruvan ar Hildinyar tenn' Ambar-metta.
[Giungo
dal Grande Mare nella Terra di mezzo.
Sarà
questa la mia dimora, e quella dei miei eredi,
sino
alla fine del mondo.]
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