Where Moons and Suns Collide

di whateverhappened
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Falling in Love ***
Capitolo 2: *** You've Got a Friend ***
Capitolo 3: *** Star Boy ***
Capitolo 4: *** Chills in the Evening ***
Capitolo 5: *** Deck the Halls ***
Capitolo 6: *** I'll Be Your Man ***
Capitolo 7: *** Home Is Where the Heart Is ***



Capitolo 1
*** Falling in Love ***


 

Day 1: The first time

Any first: first kiss, first fight, first ice cream together, first time... Anything you want

 

 

 

Falling In Love

 

 

 

Out of our minds and out of time
Wishin' I could be with you
And to share the view
We could've fallen in love

(Falling In Love – McFly)

 

 

Fin da quando era bambino Nick aveva sempre amato le vacanze. Gli piaceva trascorrere le giornate in giardino con i suoi fratelli e godere di quelle attenzioni che durante i mesi scolastici, passati in collegio, si riducevano drasticamente. Aveva sempre pensato di essere una persona intelligente, in grado di apprezzare sia i mesi trascorsi a scuola con gli amici che quei brevi periodi a casa con la famiglia. Un giusto equilibrio, diceva.

Quell'anno era stato differente: se ne era andato dalla Dalton a malincuore e dopo la prima settimana di “euforia da ritorno a casa”, come lui stesso aveva detto, si era ritrovato a fare il conto alla rovescia per quando sarebbe tornato fra le accoglienti mura della scuola. Aveva persino iniziato a segnare i giorni sul calendario. La cosa non era passata inosservata: sua madre si era prima arrabbiata, sostenendo che si vedevano talmente poco e sperava che il ritrovarsi facesse piacere anche a lui, poi si era preoccupata. Proprio il giorno precedente era entrata in camera sua con un vassoio di biscotti, si era seduta sul letto e gli aveva chiesto se avesse qualche problema. Nick l'aveva guardata stupito, ma lei si era limitata a dirgli che una madre capisce quando un figlio ha qualcosa che non va.

«Sei sempre stato contento di tornare a casa, adesso non fai altro che sbuffare. È chiaro che alla Dalton c'è qualcosa che qui non c'è... o qualcuno» gli aveva detto, sorridendo complice. Nick si era limitato ad annuire e a ricambiare l'abbraccio di sua madre.

Aveva ragione, come sempre. Anche in quel momento, mentre osservava il sole tramontare oltre le montagne e il cielo tingersi d'arancio, era pronto a lamentarsi. Fino a un anno prima si sarebbe goduto la vista, quasi certamente avrebbe scattato qualche fotografia, per poi stamparla e attaccarla al muro della sua camera alla Dalton. Adesso tutto quello che voleva era essere alla Dalton. Voleva essere sdraiato su una delle panchine del parco e osservare il sole nascondersi dietro un anonimo caseggiato. Sicuramente lo spettacolo non era lo stesso, casa sua offriva degli scorci unici, ma sarebbe stato meglio.

Nick non era mai stato stupido, conosceva benissimo la ragione del suo malumore. Ne conosceva ogni dettaglio, dai capelli fin troppo biondi che quasi contrastavano con gli occhi scuri, a quel naso che lo faceva letteralmente impazzire fino al sorriso che aveva sempre in volto. La ragione del suo malumore aveva un nome e un cognome, Jeff Sterling, e un soprannome che solo lui usava, lo Spilungone.

Jeff gli mancava dal momento esatto in cui aveva attraversato il cancello della Dalton, salutandolo per quei due mesi di vacanze. Lo aveva abbracciato più stretto del solito, gli aveva dato una pacca sulla spalla e aveva tentato di sorridergli normalmente quando gli aveva detto quel “ci vediamo a settembre”. Jeff aveva annuito, salutandolo con la mano dall'auto dei suoi genitori. Da allora non lo aveva più visto, erano passati esattamente ventinove giorni e otto ore.

Sospirò, tornando ad osservare le varie tonalità del cielo. Jeff avrebbe amato come l'arancione andava a sfumare nel rosa, lo sapeva. Aveva pensato di scattare una foto ed inviargliela, aveva già afferrato il cellulare quando aveva cambiato idea: sapeva già che Jeff avrebbe risposto qualcosa come “meraviglioso, vorrei poterlo vedere anche io” e sarebbe stato peggio. Molto peggio, perché era esattamente quello che avrebbe voluto Nick. Voleva condividere quel tramonto con la persona che più amava, portarlo nel suo angolo di giardino preferito, abbracciarlo e perdersi nella bellezza di quel momento. Ma Jeff era in California, lontano chissà quante miglia, e con lui non condivideva nemmeno più il fuso orario. Senza contare che Jeff avrebbe trovato un tantino strano il fatto che Nick lo abbracciasse mentre osservavano un tramonto.

I suoi pensieri vennero interrotti da un leggero bussare alla porta. Non rispose, sapendo che sua madre sarebbe entrata in ogni caso. Come previsto, dopo qualche istante sentì la porta aprirsi.

«Nick, tesoro? C'è una persona per te».

Nick si voltò sorpreso. Non aspettava nessuno e dubitava che fosse qualcuno del quartiere, dato che aveva evitato chiunque fino a quel momento. «Mmh?»

Sua madre si scostò appena e una figura alta comparve nel campo visivo di Nick. Deglutì appena perché no, non poteva essere lui. Probabilmente stava iniziando ad avere le allucinazioni.

«Nick! Ti sono mancato?» Nick dovette stringere con forza il davanzale della finestra quando Jeff entrò nella sua stanza. Era abbronzato e coi capelli più corti, ma era decisamente Jeff.

«Allora io vi lascio soli!» Il sorriso che la donna rivolse al figlio era eloquente, gli fece persino l'occhiolino, e Nick seppe che aveva capito. Si domandò se non l'avesse sempre saputo. Quando la porta si chiuse alle sue spalle tornò a rivolgersi a Jeff.

«Ma tu non eri in California?» Nick si morse la lingua un attimo dopo aver finito di parlare, quando vide Jeff alzare un sopracciglio.

«Tornato prima. Scusa se non venuto a trovare il mio migliore amico» rispose il biondo, mentre Nick scuoteva appena la testa.

«Non intendevo questo, lo sai. Sono solo sorpreso di vederti nella mia stanza quando ti sapevo dall'altra parte del Paese» ribatté Nick, tentando di non far trasparire il suo disappunto per le parole “migliore amico”. Jeff non sapeva, si disse, non poteva immaginare che erano una sofferenza.

«Lo so, lo so» sorrise l'altro, avvicinandosi a lui e passandogli un braccio attorno alle spalle. «Ero a casa e ho visto questo splendido tramonto, la prima cosa che ho pensato è stata: “Nick lo amerebbe”. Poi mi son ricordato che da casa tua c'è un panorama mozzafiato, quindi eccomi qua».

Nick sorrise, mentre si avvicinavano alla finestra. Tentò di non perdersi troppo nel fatto che lui e Jeff avevano pensato la stessa cosa riguardo a quel tramonto, o anche solo che Jeff avesse pensato a lui, ma il braccio dell'altro sempre attorno alle sue spalle glielo rendeva difficile.

«Mi sei mancato» disse ad un tratto Jeff, facendo crollare del tutto ogni buon proposito di Nick.

«Anche tu. Sembrano passati secoli dall'ultima volta che ci siamo visti» rispose, sperando vivamente che la mano di Jeff, così vicina al suo cuore, non lo sentisse battere all'impazzata.

«Invece sono solo ventinove giorni e nove ore» Nick si voltò verso di scatto verso Jeff, che stava sorridendo. «Non essere così sorpreso, lo so che stai facendo il conto anche tu».

Nick sorrise. «Ne sto facendo un paio».

«Ah, certo! Mancano trentuno giorni e undici ore al ritorno alla Dalton» Jeff ridacchiò. Il suo sguardo cadde sulla bacheca che Nick aveva appeso proprio di fianco alla finestra, piena di foto dei Warblers e di loro due. «Siamo fotogenici» commentò.

«Tu lo sei di sicuro. Mia sorella ha detto di riferirti che “sei bellissimo”» storse il naso al ricordo. Quando Emma aveva fissato adorante le varie foto della Dalton, Nick aveva dovuto ricordare a se stesso che era la sua sorellina e le voleva bene.

«Tua sorella... Tu, invece?» Jeff, fino a quel momento sempre sorridente, si era fatto serio. Lo stava guardando dritto negli occhi con un'intensità tale che Nick si ritrovò a deglutire, quasi a disagio.

«Io... Cosa?»

«Tu cosa pensi? Di me» la voce di Jeff era seria come poche altre volte, il suo sguardo non lasciava quello di Nick neppure per un istante. La mano che prima era vicina al suo cuore ora stringeva con dolcezza il suo polso. Nick sospirò e sorrise leggermente, avendo ormai bene in mente di cosa stavano parlando.

«Credo che tu lo sappia» disse a bassa voce, abbassando lo sguardo per evitare gli occhi scuri dell'altro. La mano di Jeff, però, arrivò in un attimo a sollevargli il mento, così che i loro sguardi si intrecciassero nuovamente.

«Quello che so... O, almeno, quello che credo è che potremmo essere innamorati».

Ogni pensiero o dubbio di Nick si spense con le parole di Jeff. Non registrò nemmeno il sorriso timido che gli stava rivolgendo, né gli importò di aver capito male, seguì il suo istinto. Si alzò sulle punte – Jeff era decisamente troppo alto – e cancellò ogni distanza fra di loro posando le proprie labbra su quelle dell'altro. In un attimo Jeff lo strinse a sé, portando una mano sulla sua nuca per avvicinare ulteriormente i loro volti. Nick poteva sentire il profumo di sole addosso a Jeff, il sapore di cioccolato sulla sua bocca. Gli venne da sorridere, riusciva ad immaginarlo mentre mangiava un kit kat in auto davanti al vialetto di casa sua, prima di decidersi ad entrare.

«Penso che tu abbia ragione, Jeffie» disse, fra una risata e l'altra, quando si furono separati. Jeff lo stava guardando con una luce negli occhi che non aveva mai visto, per un attimo si chiese se tutto quello fosse reale.

«Ti sei alzato sulle punte!» Disse poi divertito Jeff, riportandolo alla realtà. «Ma quanto sei nano?»

Nick scoppiò a ridere alla battuta, così tipica dell'amico da rassicurarlo sulla veridicità di tutto quello che era appena accaduto. Jeff era lo stesso di sempre, quello con cui condivideva tutto ciò che di stupido la sua mente poteva creare, quello che lo svegliava nel cuore della notte per rivelargli qualche scherzo geniale da fare agli altri Warblers. Si erano sì baciati per la prima volta, ma Nick era convinto che niente sarebbe cambiato fra loro: sarebbero stati ancora più legati, avrebbero condiviso molto di più, ma nulla sarebbe cambiato. Jeff sarebbe stato sempre lo Spilungone e Nick il Nano.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Niff Week *-* Quale magnifica invenzione! Ad opera di SereILU e Thalia, se ve lo steste chiedendo.

Primo giorno, prime volte. Viva la banalità: primo bacio. Che fantasia! Spero di rifarmi nei prossimi sei giorni, ma non ci credo troppo: adoro i cliché fluffuosi XD

Il titolo potrebbe essere provvisorio, sono alla ricerca di quello perfetto. So che magari non c'entrerà nulla con la raccolta, ma mi piaceva così tanto *-* È una frase da un'altra canzone dei McFly, Dragon Ball.

A domani <3

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Capitolo 2
*** You've Got a Friend ***


 

 

Day 2: Roommate!Niff

They share the same room, so... What happens when they are in their room?

 

 

 

You've Got a Friend

 

 

When you're down and troubled and you need a helping hand
and nothing, oh, nothing is going right
Close your eyes and think of me and soon I will be there
to brighten up even your darkest nights

(You've Got a Friend - McFly)

 

 

Il vantaggio di andare in una scuola privata era che non c'era mai mancanza di fondi. Se in quelle pubbliche insegnanti e studenti dovevano trovare mille modi differenti per raccogliere il budget necessario ad un'uscita, alla Dalton bastava andare dal preside e spiegare perché si aveva bisogno di una data somma. Per i Warblers, poi, era tutto ancora più semplice: il gruppo canoro era talmente amato nella scuola, anche senza grandi trofei vinti negli ultimi anni, da avere a disposizione un budget pressoché illimitato. Il fatto che non avessero quasi mai necessità di usare quel denaro faceva sì che nel bisogno potessero osare qualcosa in più. Quel weekend, ad esempio, avevano prenotato delle stanze nell'albergo in cui si sarebbero svolte le Regionali il giorno successivo. Avevano avuto una camera per coppia, senza badare a spese.

Quando Nick e Jeff avevano aperto la porta della loro stanza, si erano entrambi lasciati andare ad una risata. Era enorme, due letti matrimoniali occupavano gran parte della parete di fronte e c'era persino un angolo con divani e poltrone.

«Se la nostra è così chissà com'è quella di Wes, David e Thad» aveva commentato Nick, riferendosi all'unica stanza tripla assegnata, quella del Consiglio.

«Avrà una cascata in bagno, probabilmente» si era trovato d'accordo Jeff, prima di tuffarsi su uno dei due letti giganteschi. Nick lo aveva seguito in un attimo.

I due ragazzi avevano trascorso tutto il pomeriggio lì sdraiati, alzandosi solamente per andare ad aprire al servizio in camera. Jeff aveva guardato tutti i canali disponibili sul grande televisore finché non si era addormentato un'ora prima, ancora col telecomando in mano. Nick aveva provato a toglierglielo dalle mani, ma Jeff aveva sbuffato nel sonno e si era sdraiato in modo che l'oggetto finisse sotto la sua pancia, irraggiungibile dalle mani dell'altro a meno di svegliarlo. Nick aveva scosso la testa divertito, decidendo poi di raggiungere Trent e Flint nella camera accanto. Era convinto che Jeff lo avrebbe seguito da lì a poco ma quando, dopo un'ora e mezza, tornò nella loro stanza lo trovò ancora addormentato.

Si avvicinò al letto il più silenziosamente possibile, sperando che l'altro non decidesse di svegliarsi proprio in quel momento. Jeff stava dormendo sulla schiena, le braccia allargate e la bocca spalancata: Nick era certo che stesse facendo qualche sogno assurdo, come quella volta che aveva abbracciato un panda. Gli scostò con delicatezza i capelli dall'orecchio, avvicinandovi poi la bocca. Si morse un labbro per non ridere, doveva resistere alla tentazione o Jeff si sarebbe svegliato nel modo sbagliato.

«Piccione» sussurrò a voce bassa, certo che l'altro l'avrebbe comunque sentito. Come previsto, Jeff si alzò di scatto, guardandosi attorno spaventato.

«Dove? Perché? Mandalo via, Nick! Fuga!»

Nick, in tutta risposta, scoppiò a ridere talmente forte che dovette sedersi a terra per non cadere. Jeff lo guardò storto per qualche istante, sperando che il suo sguardo da omicida assonnato – come lo aveva definito lo stesso Nick – potesse in qualche modo far tacere l'altro. Era incredibile come ogni volta cascasse in quello scherzo ma, soprattutto, come ogni volta Nick si divertisse come la prima. Jeff aveva idea che per quel motivo l'amico non avrebbe mai smesso di svegliarlo in quel modo, si vedeva già cinquantenne a urlare contro piccioni inesistenti. Forse non avrebbe mai dovuto dire all'altro che ne aveva paura.

«Molto divertente, sì, ho capito» bofonchiò all'ennesimo scatto di risa di Nick, prima di sbadigliare sonoramente. «Perché mi hai chiamato?»

«Perché sono le sei e mezza e fra neanche un'ora devi essere a casa dei tuoi» rispose Nick, asciugandosi una lacrima causata dalla risata. «Sai che tua madre si arrabbia se fai tardi».

Jeff sbuffò. Le Regionali si svolgevano nella città accanto a quella dove vivevano i suoi genitori, così sua madre non aveva perso l'occasione per organizzare una bella cena di famiglia.

«Dai, non li vedi da Natale» lo incoraggiò Nick, ma non sembrò aver effetto su Jeff.

«Lo so, però... Voi stasera farete qualcosa di assolutamente stupido e io sarò a mangiare tacchino ripieno» mugugnò Jeff, iniziando a cambiarsi.

«Non è il Ringraziamento, Jeffie» tentò nuovamente Nick, ma l'altro scosse il capo.

«Non capisci. È una cena di famiglia, quindi è un'occasione speciale e in casa mia si mangia tacchino per le occasioni speciali. Credo sia l'unico piatto complesso che conosca mia madre».

Nick non rispose, seguendo la figura di Jeff entrare in bagno. Non aveva senso tentare di incoraggiarlo ulteriormente, quando il biondo si fissava su qualcosa non c'era verso di fargli cambiare opinione. Non capiva tutta quell'avversione, tuttavia: a Jeff aveva sempre fatto piacere tornare a casa e vedere la sua famiglia. Stava per chiedere spiegazioni quando un'imprecazione gli giunse ben chiara dal bagno. Si alzò di scatto per andare a vedere cosa stesse succedendo.

«Che c'è?» Domandò, appoggiandosi allo stipite della porta. Jeff, spazzolino in mano, gli rivolse un sorriso colpevole.

«Ho sporcato la camicia col dentifricio» rispose.

«E...?» Nick lo guardò confuso.

«È tua, genio» Jeff alzò un sopracciglio. Nick ricordò solo in quel momento che, mesi prima, aveva dato a Jeff quella camicia che gli aveva regalato sua madre. A lui era lunga di maniche, a Jeff stava divinamente.

«Ah, già. Non che l'abbia mai considerata mia. Poi non si vede nemmeno: le righe mascherano la macchia».

Si avvicinò e osservò con occhio critico quello che a Jeff sembrava un danno di proporzioni cosmiche. Prese in mano la stoffa e cominciò a togliere il dentifricio, quando ebbe finito annuì fra sé. Come aveva previsto, il disegno scozzese della camicia sviava l'attenzione dalla leggera macchia.

«A posto» confermò, sorridendo a Jeff.

«Vieni anche tu» gli disse serio l'altro, cercando il suo sguardo. Nick sorrise, capendo finalmente per quale motivo Jeff non volesse andare dai genitori, non da solo almeno. Afferrò la sua mano e la strinse.

«Non so se tua madre sia pronta a vedermi nella veste del ragazzo che dorme con suo figlio».

Jeff sorrise divertito. «Non è che dormiamo così tanto, poi».

Nick scoppiò a ridere. «Poi ti chiedi perché quella donna era così sconvolta quando le hai detto di noi! Un giorno ero il tuo migliore amico e il giorno dopo il tuo ragazzo. Avrà pensato che stiamo in camera insieme, una cosa tira l'altra... Se fai queste battute non sarà mai pronta a rivedermi».

«Scommetto quello che vuoi che appena arriverò a casa mi chiederà perché non ci sei. Ti adora, lo sai. Era sconvolta solo perché segretamente voleva accasarmi con il figlio del giardiniere».

«Martin?» Nick strabuzzò gli occhi, ricordandosi del ragazzo. Era davvero bello: biondo, occhi grigi, muscoloso.

Jeff sorrise, stringendo con più forza la mano dell'altro. «Già. Non che abbia mai avuto una possibilità, preferisco i mori. E da molto tempo».

Si abbassò fino a incontrare la bocca di Nick, percependo il suo sorriso sulle proprie labbra. Ci avevano messo un po' a trovarsi, a realizzare cosa stava accadendo fra loro, ma da quel momento era stato tutto perfetto. Le mani di Nick corsero ai bottoni della camicia di Jeff, slacciandoli uno per uno. Fece scorrere un palmo sul petto definito del suo ragazzo, che in risposta si staccò da lui ridendo.

«Temerario, signor Duvall!»

«Non ci pensare, Sterling. Sei in ritardo e devi cambiarti: tua madre vedrebbe subito quella macchia minuscola. Maniaci della pulizia, ecco cosa siete».

«Non è vero» bofonchiò in risposta il biondo, non troppo convinto.

Nick scosse la testa divertito. Posò un leggero bacio all'angolo della bocca di Jeff, prima di tornare nella stanza. Si avviò deciso verso l'armadio dell'altro, dove il ragazzo aveva già sistemato i propri vestiti. Aprì le ante e scoppiò a ridere, mentre Jeff lo guardava sempre più dubbioso.

«Ti hanno assunto per fare una pubblicità di qualche tipo alle camicie scozzesi?»

Jeff si aggiunse alla risata. Abbracciò Nick da dietro, posando le labbra sul suo collo, vicino all'orecchio. «A qualcuno piacciono» gli sussurrò.

Nick si voltò, abbracciando a sua volta il ragazzo. Si impossessò delle sue labbra e in un attimo fece sparire la camicia, già slacciata precedentemente.

«In fondo a quest'ora c'è tanto traffico per arrivare a casa dei tuoi...»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Secondo giorno: compagni di stanza.

Quando ho letto la prima volta la descrizione ho subito pensato che non volevo descrivere un momento alla Dalton, non so bene perché. Alla fine ho scelto questo momento che non so bene dove collocare temporalmente, forse nella seconda stagione, o forse è un what if della serie “e se non ci fossero state le New Directions?”. Boh, a vostra scelta XD

A domani, sperando di riuscire a scrivere la AU!

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Capitolo 3
*** Star Boy ***


 

Day 3: AU

Alternative universe, simple and clear

 

 

 

Star Boy

 

 

Fly away
Watch the night turn into day
Dance on the Milky Way
And I'll be with your eyes
My star girl rules the sky

(Star Girl – McFly)

 

 

Durante il giorno la sala di controllo delle comunicazioni pullulava di gente: ingegneri che studiavano come migliorare i contatti, familiari che contattavano i propri cari sulle varie navicelle, semplici addetti che facevano sì che la rete di comunicazione rimanesse sempre attiva. Il flusso di informazioni fra la Terra e lo spazio doveva essere costante e ininterrotto, non ci si poteva permettere di perdere una qualsiasi delle navi là fuori. La notte, tuttavia, il locale si svuotava e rimaneva solamente una persona a seguire il tutto.

La prima volta che a Jeff Sterling, Attendente di primo livello, era stato affidato quell'incarico il ragazzo si era lamentato. Dopo anni di gavetta per gli ufficiali di alto livello aveva sperato quanto meno di avere un incarico diurno, così da essere presente quando il Caporale parlava con i responsabili nello spazio. Non pretendeva di essere in prima fila, ma almeno di poter assistere a una di quelle comunicazioni. Dopo un paio di notti tranquille, tuttavia, un'emergenza aveva fatto sì che il Capitano di una nave stanziata sulla Via Lattea contattasse la base. Jeff si era spaventato, temendo di non essere in grado di dare una mano e non sapendo chi chiamare in suo aiuto, ma il Capitano lo aveva tranquillizzato ed insieme erano riusciti a risolvere il problema. Jeff ammirava quel ragazzo: aveva più o meno la sua età, ma era già Capitano di una nave in una posizione importante come la Via Lattea. Nick Duvall, si chiamava. Da quella prima emergenza Jeff aveva acquisito più sicurezza in se stesso, anche grazie ai consigli dello stesso Capitano Duvall, che da quella sera aveva preso l'abitudine di contattarlo ogni notte per fare qualche chiacchiera. Il suo equipaggio era composto quasi esclusivamente da persone in età avanzata con cui il giovane Nick aveva ben poco in comune, parlare con un suo coetaneo gli mancava, aveva detto.

Con il tempo Jeff aveva smesso di lamentarsi per gli incarichi notturni, anzi, aveva iniziato a chiedere lui stesso di avere quei turni. Ben poco amati dal resto degli impiegati del Distretto Spaziale, Jeff non aveva avuto alcun problema ad ottenerli. Le chiacchierate con Nick, ormai si chiamavano per nome, erano diventate una familiare abitudine a cui non avrebbe rinunciato tanto facilmente. I due erano diventati amici, si erano anche visti durante quelle poche visite ufficiali che Nick era tenuto ad effettuare al Distretto ogni sei settimane. Ogni volta erano andati a bere una birra insieme e avevano riso tutta la sera. Jeff stava iniziando a pensare che Nick fosse quanto più simile a un migliore amico di chiunque altro avesse conosciuto nella sua vita, quando, durante l'ultimo incontro, tutto era cambiato. Avevano bevuto troppo di quel liquore di Nettuno che la barista era riuscita a vender loro, così erano usciti dal locale molto più che brilli. Si erano sorretti a vicenda nei vicoli scuri dietro la bettola dove erano andati, barcollando e ridendo come non mai. Ad un tratto, però, Nick si era fatto serio e si era staccato da lui. Lo aveva fissato per qualche istante, prima di spingerlo contro il bidone dei rifiuti alle sue spalle e impossessarsi delle sue labbra. Lo aveva baciato con foga, stringendolo in un abbraccio talmente forte che gli avrebbe impedito di allontanarsi se avesse voluto. Non che Jeff ci avesse anche solo pensato: aveva risposto al bacio con la stessa fretta e irruenza che sentiva in Nick. Quando si erano separati aveva tentato di abbracciarlo a sua volta, ma Nick si era allontanato quasi spaventato. Da allora non si erano più parlati.

Quella era la prima sera in cui Jeff era di turno da allora. Era passata una settimana. Quando si sedette alla sua postazione percepì il suo cuore battere ad un ritmo decisamente accelerato, in più aveva la gola secca. Sapeva che quella condizione era riconducibile a Nick, si chiedeva se quella sera lo avrebbe chiamato o se ci sarebbe stato silenzio. Quando udì la comunicazione attivarsi sussultò, preso di sorpresa, e quando vide il volto di Nick sullo schermo trattenne il respiro.

«Jeff» lo salutò a voce bassa, un lieve sorriso ad increspargli le labbra. «Pensavo ti avessero cambiato il turno. La ragazza di settimana scorsa mi chiedeva sempre perché continuassi a chiamare se non avevo problemi tecnici».

Jeff annuì, serio. «Ho fatto il giornaliero». Rispose semplicemente. Non voleva essere lui ad affrontare l'argomento, dopo tutto era stato Nick a scappare. Era lui ad avere un problema.

«Senti, Jeff, mi dispiace. Per l'altra sera, dico. Non so cosa mi sia preso» iniziò a dire Nick, quasi leggendogli nel pensiero.

Jeff scosse la testa, cercando con cura le parole. «Per il bacio o per avermi piantato da solo in un vicolo fra i più malfamati di Lima?»

«Per essermene andato...» Iniziò Nick, sembrava titubante. «Non pensavo di dovermi scusare per quel bacio... Credevo...»

«Non devi, infatti» lo fermò Jeff, leggermente rincuorato. «Non per me, almeno. Fallo se è cambiato qualcosa. Se quel bacio era dovuto al liquore. Se non vuoi...»

«No!» Fu la volta di Nick di interrompere l'altro. «No, Jeff. Non rimpiango nulla di quella sera. Forse il bere troppo era quello che mi serviva per darmi una mossa... E non ho cambiato idea, davvero».

«E allora perché te ne sei andato?»

«Non lo so!» Nick si passò una mano sul volto, nervoso. «Ho avuto questo pensiero, solo per un attimo, credevo che stessi rispondendo solo perché ero un tuo superiore».

Jeff fece una smorfia. «Tu non sei un mio superiore, non lavori nemmeno sulla Terra!»

«Lo so! E mi dispiace per averlo anche solo pensato. Neanche dieci minuti dopo ero già tornato al bar a cercarti, sperando che fossi rientrato. Volevo scusarmi. Non avrei mai dovuto...»

«Credi che sia un arrivista?» La domanda di Jeff prese l'altro in contropiede. Il biondo, solitamente sempre allegro, era serio e nessuna ombra di ironia toccava la sua espressione.

«No, certo che no».

«E allora perché l'hai pensato?»

«Io... Mi è già capitato, ok? Gente che pensava che andando con un Capitano si aprissero mille porte. Per questo sono andato coi piedi di piombo con te, per capire se fossi interessato a me o ai miei gradi. E, Jeff, davvero... Ho sbagliato a dubitare di te, ho capito che eri diverso già al nostro primo incontro. Ma ero ubriaco, mi sono tornate in mente le vecchie vicende, e... Mi dispiace».

Jeff sorrise: Nick era arrivato alla fine del suo discorso praticamente trattenendo il fiato. Stava per rispondergli quando l'altro riprese a parlare.

«Senza contare che non avresti comunque fatto un buon affare: sto per lasciare il Corpo Spaziale».

«Smetterai di viaggiare nello spazio?» Jeff era dispiaciuto, ma soprattutto non capiva le ragioni dell'altro. Avrebbe pagato per poter vedere le stelle come le vedeva Nick, lui che poteva decideva di andarsene.

«No!» La risposta lo sorprese. «Non potrei mai, il cielo è la mia vita. Un mio amico ha appena acquistato una nave, mi ha chiesto se voglio fargli da vicecomandante. Trent è una brava persona, mi ha offerto un buon posto, perché rifiutare?»

Jeff annuì. «È un'ottima occasione» concordò. «Vorrei capitasse anche a me».

Nonostante il segnale non fosse ottimo, il biondo vide gli occhi di Nick brillare. «Potresti venire con noi. Hai un'esperienza non da poco nel settore comunicazioni, saresti di grande aiuto sulla Niff. Sono certo che Trent non avrebbe problemi a riguardo».

«Non dire così, potrei valutare seriamente questa ipotesi. Non scherzare».

«Non lo sto facendo. Ti sto davvero chiedendo di venire con me. Potresti venire a bordo, andremo insieme da Trent. Pensa: potresti vedere tutto quello che hai sempre voluto. La Via Lattea sarà solo l'inizio. I tramonti da qua sono meravigliosi, Jeff» lo sguardo di Nick sembrava quasi implorante. Sorrideva incoraggiante, probabilmente sperando di convincerlo. Jeff sospirò, vinto.

«Va bene. Aspetta solo un attimo».

Jeff si morse il labbro, come sempre quando era particolarmente nervoso. Afferrò il primo foglio di carta intestata che gli capitò fra le mani e scarabocchiò le sue dimissioni, sperando che bastasse quello a liberarlo dai suoi pochi incarichi al Distretto. Gettò un'occhiata all'ingresso, i primi ufficiali stavano iniziando ad arrivare. Nel gruppo di persone notò l'Attendente che gli avrebbe dovuto dare il cambio. Fu lieto di vederlo: non avrebbe potuto abbandonare il suo posto senza che quello fosse arrivato, avrebbe messo l'intero sistema a rischio. Inoltre era un ragazzo gentile, nei mesi aveva instaurato un buon rapporto con lui, lo avrebbe di certo aiutato. Gli spiegò rapidamente la situazione e, come previsto, non ebbe alcun problema.

Si avviarono insieme verso la Porta dei Cieli, come veniva chiamato l'apparecchio che permetteva il trasporto fra il Distretto e tutte le navi ad esso collegate. Veniva usato soprattutto dai Capitani quando dovevano fare rapporto, raramente dagli impiegati in servizio sulla Terra. Non ne era permesso l'uso ai comuni cittadini, tanto che per azionarlo era necessaria una chiave che veniva data insieme al tesserino. Jeff aveva appena consegnato quella chiave insieme alle dimissioni, ma l'altro Attendente avrebbe azionato la macchina al suo posto.

«Grazie, Jim» lo ringraziò mentre attraversava la Porta dei Cieli. L'altro sorrise.

«Figurati. Buona fortuna!»

Quando le porte si chiusero Jeff sospirò profondamente, non poteva più tornare indietro. Quella era la fine della sua carriera come l'aveva sempre pensata ma, come diceva sempre sua madre, per ogni fine c'è sempre un nuovo inizio. La nuova vita che gli si apriva davanti era fatta non più di turni e orari determinati da altri, ma di reali viaggi nello spazio e di galassie da scoprire. Non c'era più il suo squallido monolocale, bensì una nave pronta ad accoglierlo, ma soprattutto c'era Nick. Sorrise al pensiero di quel ragazzo che era riuscito a sconvolgerlo. Stava dicendo addio ad una carriera quasi certa al Distretto Comunicazione, ma non aveva alcun rimpianto.

«Distretto Spaziale di Westerville, Ohio. Dipartimento di Comunicazioni. Accesso garantito: Jim Phillips. Trasferimento verso: S.S. Dalton. Il trasporto inizierà fra tre, due, uno...»

Come sempre, Jeff chiuse gli occhi quando la voce metallica della Porta dei Cieli gli annunciò che stava per essere trasportato a bordo della nave. Il viaggio non comportava alcun rischio né disturbo, ma al ragazzo l'idea di essere completamente smaterializzato e rimaterializzato sul posto aveva sempre fatto un po' impressione. Si augurò che Nick si spostasse via shuttle e non con qualche apparecchio del genere.

«Jeff?» La voce del Capitano Duvall lo riscosse, facendogli aprire di scatto gli occhi. Non si era nemmeno accorto del segnale di trasporto avvenuto.

«Ciao» disse solamente, sorridendo come aveva fatto poche altre volte nella vita. Quelle in cui era stato davvero felice e, ora che ci faceva caso, quel momento aveva scalato la classifica con rapidità.

«Sei pronto?» Gli domandò Nick, porgendogli la mano. Jeff la afferrò, annuendo.

Nick lo condusse fuori dall'apparecchio di trasporto, offrendogli poi un bicchiere d'acqua per sopperire alla disidratazione causata dalla smaterializzazione. Quindi lo riprese per mano, conducendolo per diversi corridoi tutti uguali, tanto che Jeff pensò che non sarebbe mai stato in grado di tornare indietro da solo. Quando giunsero a destinazione, tuttavia, pensò che mai avrebbe voluto farlo: una grande vetrata si apriva sulla Via Lattea, il panorama era da togliere il fiato. Rimase a bocca aperta, incapace di commentare in alcun modo. Era già stato nello spazio e la sua preparazione gli aveva fatto conoscere tutte le parti dell'universo a cui aveva accesso il Distretto, ma non aveva mai goduto di uno spettacolo tale.

«Bello, vero?» Domandò Nick. Jeff era piuttosto certo che conoscesse la risposta e quello fosse solo un modo per farlo parlare.

«Incredibile».

Nick sorrise, probabilmente il primo sorriso spensierato da quando si erano mossi gli eventi. Jeff si perse un attimo nei suoi occhi e l'unica cosa a cui riuscì a pensare fu che avrebbe lasciato tutti i lavori del mondo per quel sorriso. Senza star troppo a pensare a chi altro era nella stanza con loro, portò le mani al viso di Nick, sentendolo caldo. Le sue dita si persero qualche istante sulle sue guance, prima che Jeff annullasse del tutto la distanza fra loro. Fu un bacio ben diverso dal primo: non più irruento, ma dolce, delicato. Fu un leggero scoprirsi a vicenda, accogliersi, accettarsi.

Jeff ne era certo: in quel momento lui e Nick brillavano più di tutte le stelle attorno a loro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fatica. Dico solo questo. Tanta, tanta fatica.

Comunque, terzo giorno: AU. Dato che è il day3 è anche un po' il Nick day, quindi è d'obbligo la dedica alla mia Nick <3

Per il resto... Boh, che è abbastanza delirante lo capite pure voi. Il fondo l'ho toccato chiamando la nave Niff, lo so XD In realtà quello è un richiamo a un video su noi Niffler che gira su youtube, dove c'è questa bellissima scena in cui una ragazza dice “Dominic, Captain of the S.S. Niff”. Dom non potevo inserirlo, ma Trent sì XD

E bon, penso sia tutto!

A domani, sempre che riesca a scrivere per il day4 :)

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Capitolo 4
*** Chills in the Evening ***


 

Day 4: Why are you so sad?

Hurt/Comfort

 

 

 

Chills in the Evening

 

 

Being with you

Was all that I needed

I don't know why you were to blind to see it

Now you're gone and I need you here tonight

You know that I can't sleep cause I'm terrified

(Chills in the Evening – McFly)

 

 

I passi riecheggiavano nel lungo corridoio, deserto a quell'ora della sera. Jeff si ritrovò a pensare di essere l'unica persona in giro per la scuola, gli altri dovevano essere già tutti nelle proprie stanze. La sua si trovava nell'ala più lontana dall'entrata, quella dove si trovava proprio in quel momento. Man mano che vi si avvicinava stringeva maggiormente la presa sulla borsa che teneva in mano, il leggero bagaglio che aveva portato dai suoi quando era partito due giorni prima. Si fermò quando si trovò di fronte la porta.

Nicholas Duvall – Jeffrey Sterling.

Come ogni volta, sorrise nel vedere i loro nomi completi. Non c'era nessuno che li chiamasse in quel modo, anche per i professori erano ormai Nick e Jeff. A Nick dava persino fastidio essere chiamato con il nome intero, per cui tutti lo utilizzavano per farlo irritare. Il suo stomaco si torse al ricordo delle innumerevoli risate scambiate con David e Wes, che più si divertivano a far arrabbiare Nick. Era tanto che non ridevano tutti insieme in quel modo, troppo. Gli mancava terribilmente scherzare con gli altri, ma soprattutto gli mancava il sorriso di Nick. Era ormai quasi un mese che lo evitava, limitando i rapporti ai saluti di cortesia la sera e la mattina, e si sentiva in colpa come mai prima. Nick non si meritava quel trattamento, lo sapeva, ma non era riuscito a comportarsi in maniera differente. Non poteva.

Sospirò, poggiando la mano sul pomello della porta. Sapeva che l'avrebbe trovata aperta, nonostante tutto Nick si preoccupava ancora di non lasciarlo chiuso fuori, vista la quantità di volte in cui aveva perso la chiave. La aprì con delicatezza, sperando di fare il meno rumore possibile, anche se era certo che Nick fosse ancora sveglio. Trovò la stanza completamente immersa nell'oscurità e ne fu sorpreso: a Nick non piaceva il buio totale, accendeva sempre una luce notturna. Ci mise qualche istante ad abituare gli occhi alla nuova condizione, quando ci riuscì cercò immediatamente la figura dell'amico. Lo trovò sdraiato sul suo letto, rannicchiato in posizione fetale con del ghiaccio premuto sulla guancia.

«Nick!» Jeff corse verso il letto, buttando la borsa da qualche parte nella stanza. «Cosa diavolo ti è successo? Me ne vado due giorni e ti fai pestare?»

«Come se te ne importasse» mugugnò l'altro con la voce impastata. Jeff percepì distintamente il suo stomaco annodarsi, stringersi sempre più, mentre l'aria gli veniva improvvisamente a mancare. Senso di colpa, ancora e più potente. In quel mese Nick non gli aveva mai fatto una critica né se l'era presa per quel comportamento, si era limitato a lanciargli occhiate sempre più tristi che lui aveva tentato di ignorare.

«Oh, andiamo, certo che mi importa» provò a rispondere, ma non suonò convincente nemmeno alle sue stesse orecchie.

«Sicuro. È proprio perché ti interessa che sapevi che due giorni fa avevo appuntamento dal dentista per farmi togliere un dente del giudizio. Te ne sei andato per farmi un favore, visto che mi piace così tanto andare dal dentista hai pensato di lasciarmi la camera per fare un festino».

Il tono di voce di Nick, tagliente anche con la difficoltà che aveva a parlare, colpì Jeff come un macigno. Una delle cose che più terrorizzavano Nick era proprio il dentista, negli ultimi anni lo aveva accompagnato sempre ad ogni visita. Aveva assistito ad una crisi di panico per un'otturazione, ora gli avevano tolto un dente e lui non c'era. Sospirò, sedendosi sul letto dell'amico. Nick tentò di farlo alzare, ma ci rinunciò quasi subito.

«Non lo sapevo. Mi dispiace...» Iniziò a dire Jeff, ma l'altro lo fermò con un'occhiata glaciale, ben visibile anche al buio.

«Certo, e le pecore sono blu. Non so cosa diavolo ti ho fatto, Jeff, e sembra che tu non voglia darmi alcuna spiegazione. Mi sta bene, fa male, ma mi sta bene. Solo non far finta che ti interessi qualcosa della mia vita fra un ragazzo e l'altro, perché di farti da tappabuchi non ne ho la minima intenzione» il discorso di Nick, forse il più lungo pronunciato negli ultimi giorni, gli portò una fitta di dolore al dente. Jeff lo vide recuperare il ghiaccio, ormai sciolto, e premerlo contro la guancia. Aveva passato un mese a lottare contro se stesso, ma fu un gesto semplice come quello a farlo capitolare.

«Torno subito» si alzò, ignorando i borbottii di protesta di Nick. Uscì e tornò solo dopo diversi minuti.

«Sei andato a chiamare il tuo fidanzato della domenica?» Chiese acido Nick quando rientrò, ma Jeff non rispose, limitandosi a risedersi sul letto accanto a lui.

«Sono andato a prendere del ghiaccio che non fosse acqua calda, idiota» disse poi, posando la borsa termica sulla guancia dell'altro, scostandogli qualche ciocca di capelli. «Non ho nessun fidanzato della domenica, Nick. Né del sabato o del venerdì».

«Ti aspetti che ci creda quando non rientri mai prima del coprifuoco?» Nick appariva stizzito e Jeff non riuscì a non sorridere.

«Non mi aspetto più niente, te lo sto solo dicendo. Sto in biblioteca, oppure esco e mi fermo al primo bar».

«Perché?»

Jeff rimase in silenzio per un attimo, quindi sospirò. Glielo doveva, lo sapeva. «Perché non voglio stare qui». Fu come lanciare un macigno addosso all'amico: riusciva a vedere la sofferenza nel suo sguardo.

«Perché?» La voce di Nick era incrinata, probabilmente avrebbe stretto i denti se non fosse stato troppo doloroso.

«Perché starti accanto è diventato difficile. Perché ogni volta che ti vedo mi si stringe lo stomaco... Non posso rovinare tutto per questa cosa, Nick. Lo capisci? Posso sopportare che mi odi per un mese, due, tre... ma non accetto l'idea di perdere tutto per sempre».

Nick strabuzzò gli occhi e, nonostante il dolore al dente, scoppiò a ridere. Jeff sapeva che non era divertito: quella era una risata isterica con fiocchi e contro-fiocchi. «Mi stai dicendo che mi hai trattato come un lebbroso perché hai una cotta per me?»

«Detta così sembra una cagata, ma...»

«È una cagata, Jeff» lo interruppe Nick, avvicinandoglisi per la prima volta da troppo tempo. «Se solo avessi tentato di parlarmi, invece di partire in quarta con il melodramma, avresti scoperto che evitarmi era del tutto inutile».

«Me ne sono accorto, Nick, grazie tante. È passato un mese ma quando ti ho visto con il ghiaccio mi stava comunque venendo un infarto... Non credo sia una cotta semplice, credo che dovrai sopport-»

«Jeff, ma hai almeno sentito quello che ti ho detto?» Nick lo stava guardando con un sopracciglio alzato e... Sì, era davvero divertito. «Non ti serve evitarmi perché io non voglio che mi eviti».

«Lo so! Per quello non ti ho detto niente, sapevo che avresti fatto il bravo ragazzo come sempre e mi avresti detto che non aveva importanza e...»

«Se sei tonto, però!»

Jeff non ebbe praticamente modo di registrare le parole di Nick che quello gli si gettò addosso. Lo abbracciò in una stretta che quasi lo soffocò, ma gli interessò ben poco quando le labbra del moro si posarono sulle sue. Non fu un bacio passionale, di certo neanche lontanamente simile a quelli che si sognava di notte, ma il sapore del collutorio sulla bocca di Nick continuava a ricordargli che l'altro non stava bene. Si sforzò di non essere irruento, anche se i brividi che gli correvano lungo la schiena lo invitavano ad approfittare di quell'occasione che bramava da tempo. In fondo, però, aveva tutto il tempo del mondo davanti.

«Hai capito adesso?» Gli sussurrò Nick sulle labbra non appena si separarono. Aveva gli occhi chiusi, ma Jeff sapeva che non vi era più alcuna traccia della tristezza di prima.

«Sono un idiota».

«Il re dei cretini, sì».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Okaaaay. Chi mi conosce sa che non sono mai soddisfatta completamente di quello che scrivo. Questa volta è diverso: non mi piace proprio. L'ho scritta di fretta e senza idee, perché in tutta onestà non riesco a unire il concetto di “hurt” al concetto di “Niff”. Fra le altre cose ho pure riciclato la stessa idea di Love Actually, per chi l'avesse letta, ma a ruoli invertiti.

Insomma, a me questo day 4 non ha soddisfatto molto, ma son certa che le mie colleghe avranno scritto meraviglie.

A domani con, spero, qualcosa di migliore!

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Capitolo 5
*** Deck the Halls ***


 

Day 4: A very Niff Christmas

It can be everything, but only on Christmas day/holidays

 

 

 

Deck the Halls

 

 

Deck the halls with boughs of holly
Fa-la-la-la-la, la-la-la-la
'Tis the season to be jolly
Fa-la-la-la-la, la-la-la-la
Don we now our gay apparel
Fa-la-la, la-la-la, la-la-la.
'Tis the ancient Yuletide carol
Fa-la-la-la-la, la-la-la-la

(Deck the Halls – McFly)

 

 

Nick amava l'inverno. Gli piaceva passeggiare fra le vie di Westerville abbellite dalle luminarie natalizie, fare battaglie di palle di neve con gli altri Warblers nel giardino della Dalton, bere cioccolata calda nei lunghi pomeriggi di studio. Nei mesi più freddi, poi, Jeff indossava sempre quel cappello che, complici i capelli biondi, lo faceva sempre sembrare un po' scandinavo. Le prime volte che lo aveva messo Thad si era divertito a chiamarlo “lappone”, ma Jeff sembrava quasi portare con orgoglio quel soprannome, e alla fine tutti avevano accettato quel cappello come parte dell'amico. Lo aveva dal primo anno di liceo e, ora che erano all'ultimo, si era completamente infeltrito. Per quello Nick gliene aveva comprato un altro come regalo di Natale, solo di colore diverso. Era nascosto sotto pile di vestiti nel suo armadio, pronto ad essere posato sotto l'albero della sala di canto.

Fare l'albero di Natale era una tradizione amata da tutti i Warblers. Iniziata da Wes proprio nell'anno in cui Nick era entrato a far parte del gruppo, quella era la prima volta che avveniva senza il suo ideatore, diplomatosi l'anno precedente. Sebbene Nick era certo che si sarebbero divertiti comunque, sapeva che l'assenza di Wes si sarebbe sentita. Quel ragazzo era Babbo Natale fatto adolescente, il suo spirito natalizio li travolgeva sempre sin dai primi giorni di novembre. Quell'anno il testimone di Re delle Feste era passato allo stesso Nick, che ora si trovava nell'aula canto ad aprire tutte le scatole con gli addobbi.

«Le renne ti hanno trascinato qui presto, vedo. Buongiorno, Santa Claus!» L'arrivo di Jeff venne anticipato non tanto dalla battuta, quanto dall'allegro tintinnio delle campanelle cucite al suo cappello da Babbo Natale. Era un cimelio di famiglia, diceva, e doveva assolutamente indossarlo mentre addobbava l'albero.

«Ciao» lo salutò Nick con un sorriso. «Gli altri?»

«Trent, Flint e Richard stanno arrivando, David sta cercando le sue corna da renna e Thad è alle prese con il Grinch».

Nick alzò un sopracciglio. «Non dirmi che a Sebastian non piace neanche il Natale».

Jeff si limitò a scrollare le spalle. «Sono indeciso fra due teorie: o viene dalla terra dei No e gli è geneticamente impossibile dire di sì, oppure si diverte a venirci contro».

«Se venisse dalla terra dei No potrebbe avere, non so, la coda?» Rise Nick, subito seguito da Jeff.

«Io non ho la coda, Cip e Ciop» Sebastian entrò nell'aula di canto a braccia conserte e con un'espressione scura in volto. Era palese che non avesse la minima voglia di unirsi ai festeggiamenti natalizi.

«Oh, sua maestà il Grinch ci ha raggiunti!» Rispose Jeff, glissando, come sempre, sul soprannome che Smythe aveva affibbiato a lui e Nick dopo la prima settimana di scuola.

«Thad aveva iniziato a cantare, è una questione di pura sopravvivenza. Non sarei resistito un attimo di più».

«You're a monster, Mr. Grinch! Your heart's an empty hole! Your brain is full of spiders! You've got garlic in your soul, Mr. Grinch!» A conferma delle parole di Sebastian, Thad entrò nell'aula cantando con enfasi. Salutò con un cenno del capo Nick e Jeff, prima di sedersi sul bracciolo della poltrona su cui si era accomodato Sebastian. «I wouldn't touch you with a thirty-nine-and-a-half foot pole!»

«Di questo non ne sarei così sicuro» ghignò Sebastian, Thad si limitò a roteare gli occhi e ad ignorarlo.

Nick si ritrovò a pensare che era già da qualche tempo che Sebastian lanciava frecciatine di quel tipo a Thad e, sebbene non perdesse occasione di sottolineare tutte le sue – a sua detta – innumerevoli virtù e magnificenze, non si comportava in quel modo con nessun altro. Thad, poi, dopo i primi giorni in cui aveva ribattuto, si era limitato ad ignorare l'altro. E ora, non poteva evitare di notarlo, erano seduti in due su una poltrona e stavano cantando insieme. Okay, Sebastian tecnicamente non stava cantando, ma batteva il ritmo con il piede, il che era già oltre il suo solito livello di partecipazione alle esibizioni improvvisate. Incrociò lo sguardo di Jeff, che annuì, e seppe che stava pensando la stessa cosa.

«Ragazzi...» Iniziò a dire Nick, ma venne ignorato da Thad e Sebastian. Si schiarì la voce, ottenendo così la loro attenzione. «Perché non andate ad appendere le luminarie fuori?» Con la coda dell'occhio vide Jeff sorridere, prima che incoraggiasse anche lui gli altri due.

«Capito, volete stare soli» fece Thad, alzandosi e facendo cenno a Sebastian di fare lo stesso.

«Però ricordate che stanno arrivando gli altri» aggiunse Smythe, con il suo solito ghigno in volto. «Vedete di non farvi trovare in qualcosa di compromettente».

Jeff scrollò le spalle con noncuranza, mentre raccoglieva un rametto di vischio dal mazzo che era posato sul tavolo. «Non sarebbe niente di inaspettato» disse, guadagnandosi un'occhiata divertita da parte di Thad. «E ora filate».

Una volta che furono usciti, Nick si avvicinò a Jeff, ancora alle prese col vischio. Gli scostò una ciocca di capelli dal volto, ottenendo così la sua attenzione. Gli occhi di Jeff brillavano divertiti.

«Gli do tempo due mesi, poi capitoleranno» disse, facendo cenno con il capo verso la porta.

«Sai che Richard aveva fatto una scommessa del genere su di noi? Venti dollari, con Trent».

«Venti dollari guadagnati! Era una scommessa sicura».

Nick scoppiò a ridere. Jeff aveva ragione, come sempre. Si erano rincorsi per due anni buoni, convinti di essere esclusivamente il migliore amico per l'altro, non osando sperare di più. Erano così chiusi nelle loro idee da non rendersi conto che il tempo che trascorrevano da soli era aumentato vertiginosamente, cosa che invece avevano fatto gli altri Warblers. I ragazzi avevano persino cominciato a far battute su di loro, a lanciare occhiate eloquenti, ma entrambi erano stati sordi a tutto. La situazione era cambiata proprio l'anno precedente, quando Blaine aveva spinto Nick sotto il rametto di vischio che Jeff stava appendendo. All'inizio non aveva compreso il gesto, ma quando Jeff gli aveva fatto notare la loro posizione ebbe il serio dubbio se picchiare Blaine o ringraziarlo fino a farsi andar giù la voce. Era stato Jeff a prendere l'iniziativa: aveva accarezzato dolcemente le sue guance e lo aveva baciato con delicatezza. Nick non aveva esitato a portargli le braccia attorno ai fianchi, avvicinandolo a sé, e ad approfondire quel bacio tanto desiderato. Era passato esattamente un anno.

«Nick, mi passeresti il nastro per legare il vischio?» La voce del suo ragazzo lo riscosse dai ricordi. Prese il nastro rosso dal tavolo e lo passò a Jeff che, in piedi su una sedia, si allungò per appenderlo al soffitto. «Va bene così?»

«Bisogna provarlo per vedere se va bene!»

Jeff avrebbe dovuto sapere che il sorriso – o meglio, il ghigno – di Nick doveva dire qualcosa. Strabuzzò gli occhi quando il ragazzo mise le mani sui suoi fianchi, tirandolo verso di sé. Quasi cadde dalla sedia, ma le braccia di Nick lo afferrarono saldamente e lo strinsero con forza. Sorrise, quando capì le intenzioni dell'altro. Portò una mano sulla nuca di Nick e lo attirò a sé, baciandolo proprio come aveva fatto un anno prima. Sentì Nick sorridere contro le sue labbra e capì che anche lui stava ricordando.

«Ho come un déja-vu» la voce di David non li fece separare, così come le risate di Richard e Flint.

«Ancora questi due? Ma che noia, succedono sempre le stesse cose!» Il commento divertito di Trent, però, li fece scoppiare a ridere.

«Temo che quest'anno non avrai sorprese, Trent» rispose, sempre ridendo, Jeff.

«Questo lo dici tu, so chi potrà darmi il mio regalo di Natale: dove si sono imboscati Sebastian e Thad?»

Le risate dei Warblers riempirono l'aula di canto, resa più accogliente da alcune decorazioni già appese. Nick istintivamente cercò la mano di Jeff, sorridendo quando la trovò. Non aveva idea di come sarebbe finita fra Sebastian e Thad, poteva solo sperare che il vischio e il Natale alla Dalton portassero loro la stessa felicità che avevano donato a lui.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Buon Nat-... Buona Pasqua natalizia!

Io adoro il Natale, per cui quando ho letto il prompt di oggi mi sono esaltata tantissimo. Peccato che il caldo micidiale di oggi non fosse per nulla d'ispirazione in questo senso, quindi non è venuta esattamente come avevo in mente. In compenso sono riuscita a inserire gli altri Warblers e, soprattutto, Sebastian e Thad. Meglio di niente!

La canzone che canta Thad, ovviamente, è tratta dal Grinch. Buon Natale, signor Grinch!

E basta, a domani <3

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Capitolo 6
*** I'll Be Your Man ***


 

Day 6: Engagement!Niff

How did they get together?

 

 

 

I'll Be Your Man

 

 

I'll be your man through the fire
I'll hold your hand through the flames
I'll be the one you desire
Honey, 'cause I want you to understand...
I'll be your man
I'll be your man

(I'll Be Your Man – McFly)

 

 

Quella mattina Jeff si svegliò con un gran sorriso in volto. Si stiracchiò nel letto, passando il palmo della mano sul cuscino accanto al suo. Non si spaventò nel trovarsi solo sotto le coperte, come avrebbe fatto in qualsiasi altro giorno dell'anno, anzi, si sentì pervadere da una felicità unica nel suo genere.

Quel giorno lui e Nick festeggiavano il loro sesto anniversario. Si erano messi insieme al penultimo anno di liceo e da allora non si erano mai più separati, come in una commedia romantica, diceva spesso Trent. Era diventata loro tradizione che Nick preparasse la colazione e la portasse a letto, non a Jeff ma per condividerla con lui. Il più delle volte bevevano solo del succo d'arancia, prima di far finire tutto sul pavimento e darsi un buongiorno in buona regola. Jeff poteva immaginarsi Nick nella stanza accanto, intento a mettere sul vassoio le varie cose che aveva acquistato mentre lui stava ancora dormendo.

«Buongiorno» la voce era ancora impastata dal sonno, ma ben udibile. Il ragazzo si voltò su un fianco, appoggiandosi su un gomito, aspettando di veder comparire la testa dell'altro. Non accadde. «Nick?» Chiamò, di nuovo non ottenendo risposta.

Si alzò di scatto, quasi capitombolando a terra per via di un piede incastrato fra le lenzuola. Volò in cucina e, quando la trovò deserta, non poté fare a meno di preoccuparsi. Era sempre stato un tipo ansioso, ma con Nick tutto si moltiplicava. Nick ne rideva sempre, chiamandolo “il suo paranoico personale”, e Jeff era certo che il fatto che il ragazzo sopportasse ancora tutti i suoi drammi come il primo giorno fosse un segno d'amore incontestabile. Ma in quel momento tutto passava in secondo piano, perché era il loro anniversario e Nick non era lì. Non era normale. Aveva già afferrato il cellulare per chiamarlo quando notò un biglietto sul tavolo.

Non andare in iperventilazione: sto bene. Lima Bean, chiedi di Katie.

Jeff si ritrovò a sorridere, come tutte le volte in cui si rendeva conto che Nick sapeva leggergli nel pensiero. Certo, non sarebbe stato necessario se avesse rispettato le loro tradizioni, pensò Jeff, ma la curiosità per il gesto di Nick prese ben presto il sopravvento su qualsiasi altra cosa. Si vestì rapidamente, facendo mille ipotesi su quello che il suo ragazzo poteva avere organizzato. Non andavano al Lima Bean da anni, l'ultima volta erano al primo anno di college e si erano ritrovati lì con gli altri Warblers. Ciò nonostante, quel bar aveva sempre un significato speciale: era lì che lui e Nick si erano scambiati il loro primo bacio.

Quando arrivò, trafelato dopo una corsa degna di una gara di velocità, era piegato in due dal fiatone. Si sentiva osservato e, infatti, quando riuscì a rimettersi in posizione eretta si trovò davanti una ragazza che stava tentando di non scoppiare a ridere. Jeff apprezzò lo sforzo.

«Immagino che tu sia Jeff» disse. Lui annuì. «Nick ti aveva descritto alla perfezione. Vieni, accomodati».

Jeff, stupito, seguì la ragazza attraverso la caffetteria. Notò che, anche se erano passati anni dall'ultima volta che ci era stato, nulla era cambiato. Katie – era sicuro che fosse lei – lo condusse fino a un tavolino appartato, lo stesso dove, anni prima, aveva baciato Nick. Ora era apparecchiato per una sola persona, ma c'era una scelta di pietanze incredibile: caffè e the, succo d'arancia, muffin e pancakes, pancetta e uova. Guardò sconcertato Katie, che gli sorrise.

«Nick ha detto di mangiare quello che vuoi».

«Ma lui dov'è?» Jeff si guardò intorno, aspettandosi di veder comparire il suo ragazzo da un momento all'altro, ma di nuovo non accadde.

«Non è qui» sorrise Katie. «Cercami prima di uscire, devo consegnarti una cosa».

Jeff seguì con lo sguardo la figura della cameriera allontanarsi fra i tavoli, prima che profumo del caffè richiamasse l'attenzione su tutto ciò che aveva davanti. Nick aveva fatto le cose per bene: in quell'insieme c'era tutto quello che lui amava di più, dolce o salato che fosse. Aveva considerato i muffin ai mirtilli e la pancetta ben abbrustolita, il caffè nero e il latte per il the. Non aveva tenuto in conto, però, l'annodarsi dello stomaco di Jeff per tutta quella situazione. Era tremendamente curioso, voleva capire cosa Nick avesse organizzato, e il fatto di perdere del tempo mangiando non gli andava giù. Si costrinse a sbocconcellare un muffin e a bere qualche sorso di succo d'arancia, giusto per non rendere vani gli sforzi di Katie, ma dopo cinque minuti era già di fronte alla cameriera.

«Nick aveva detto che non avresti mangiato nulla» ridacchiò.

«C'è qualcosa che non ti ha detto?» Chiese Jeff, sorridendo. Katie sembrava ben informata, forse...

«Praticamente tutto quello che ha in mente. Spiacente, non so nulla!» La ragazza sembrò leggergli nel pensiero. «Comunque, mi ha dato questo da consegnarti. Buona continuazione».

Jeff annuì, rispondendo al sorriso di Katie. Si ritrovò fra le mani una busta identica a quella lasciata sul tavolo di casa. La aprì quasi strappandola.

Avresti dovuto mangiare qualcosa. Fuori dalla Dalton, la nostra panchina.

Chiunque avesse visto Jeff in quel momento avrebbe potuto dire che stava leggendo di una vincita alla lotteria: il sorriso che aveva in volto lo rendeva raggiante. Salutò con un cenno Katie, prima di uscire dal locale in fretta e furia. Fermò il primo taxi che vide, quasi facendolo inchiodare, e sperò che quel viaggio durasse meno di quanto ricordasse dal liceo. Non aveva mai capito perché avessero iniziato a frequentare quella caffetteria a quasi due ore dalla scuola, ma alla fine il caffè al Lima Bean era diventato quasi un rito. Quando finalmente arrivò aveva provato a chiamare Nick almeno una decina di volte, senza nessuna risposta. Corse verso la loro panchina, aspettandosi di trovarlo, ma era vuota.

«Nick, se questo è uno scherzo non è divertente» disse ad alta voce, sperando che il ragazzo fosse lì da qualche parte ad ascoltarlo. Si guardò intorno, cercando di ricordare gli angoli che Nick amava di più e dove poteva essersi nascosto. Stava osservando un grande tiglio quando la sua vista venne oscurata all'improvviso. Sorrise, sovrapponendo le sue mani a quelle che gli coprivano gli occhi.

«Buon anniversario, Jeffie» gli sussurrò Nick, posandogli un bacio sul collo.

«Buon anniversario» ripeté Jeff, voltandosi verso l'altro e baciandolo con dolcezza. Gli sembrò di tornare al liceo, quando stavano seduti per ore e ore su quella panchina. «Mi vuoi spiegare cosa sta succedendo?»

Nick sorrise apertamente, stringendo una sua mano e facendolo sedere. Lo guardò negli occhi con quell'intensità che aveva sempre prima di dirgli qualcosa di importante. «Jeffie, oggi sono sei anni che stiamo insieme e, onestamente, non passa giorno che non ringrazi la scelta di mio padre di mandarmi in questa scuola».

Jeff sorrise. «Per me è lo stesso».

«Quando mi disse che sarei andato in un collegio non la presi bene, accettai l'idea solo dopo diversi mesi, quando conobbi tutti voi. Ti ricordi quando ci siamo incontrati?»

«Scontrati, vorrai dire» lo interruppe Jeff, ridendo, ricordando quell'evento. Erano al primo anno ed entrambi erano in ritardo, erano finiti l'uno addosso all'altro davanti all'aula di francese.

«E da allora siamo stati sempre insieme. Mi hai reso la persona più felice di questo mondo e non saprò mai ringraziarti abbastanza. Adesso, dopo sei anni, c'è una cosa che ti devo assolutamente chiedere...»

«Perché stessi correndo verso l'aula di francese quando quella materia non era neanche fra i miei corsi di studio?»

«Mi vuoi sposare?»

Avevano parlato insieme, ma a Jeff non sfuggirono le parole di Nick. Scattò, cercando la mano di Nick che ancora non stava stringendo. Il ragazzo lo stava fissando, sorridendo come sempre ma evidentemente agitato, in attesa di una risposta. Jeff poteva vedere la speranza negli occhi scuri di Nick e la voglia di stringerlo a sé si fece più forte di qualsiasi altra cosa. Si avvicinò lentamente al suo viso, senza mai distogliere lo sguardo da quello dell'altro. I loro occhi rimasero intrecciati fino a quando Jeff non fu a pochi millimetri dal volto di Nick.

«Voglio l'anello, però» gli sussurrò, prima di cancellare quella breve distanza che ancora li divideva. Sentì le mani di Nick posarsi sul suo petto, stava per approfondire il bacio quando, inaspettatamente, l'altro lo allontanò.

«È un sì?» Domandò. Jeff non poté fare a meno di sorridere di fronte al luccichio negli occhi del suo fidanzato, il suo volto quasi sconvolto dalla gioia.

«Sono domande da fare? Certo che un sì, cretino!»

Scoppiarono a ridere, mentre qualche lacrima di felicità si faceva spazio sulle guance arrossate di Nick. Si sfilò un anello argentato dalla mano destra e con dolcezza lo infilò all'anulare sinistro di Jeff, che sorrise apertamente.

«Adesso è tutta un'altra cosa» confermò, ammirando l'effetto dell'anello sul suo dito.

Nick lo attirò a sé, facendo in modo che la testa di Jeff si posasse sulla sua spalla. Gli strinse una mano con dolcezza, in silenzio, godendosi la pace di quel posto che aveva così tanti significati per loro. In quel momento tutto sembrava vorticargli attorno, proprio come quando lui e Jeff si erano resi conto di piacersi a vicenda e avevano iniziato a frequentarsi. Non era mai cambiato molto da allora e Nick era certo che anche con un anello al dito non sarebbe cambiato ciò che rendeva lui e Jeff quasi un'unica entità: si sarebbe buttato nel fuoco per Jeff e, ne era sicuro, lui lo avrebbe seguito per tenergli la mano.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sono in ritardo per il sesto giorno, scusate ç.ç

Il fulcro di questa giornata doveva essere qualcosa tipo “come si sono messi insieme Nick e Jeff”, ma appena ho visto la scritta “engagement” mi sono fissata sul senso stretto della parola: il fidanzamento da matrimonio. Quello che sapevo era che volevo inserire una proposta, e quella c'è, il resto è stato costruito sopra quest'idea.

E ho pure inserito la distanza fra la Dalton e il Lima Bean perché sono sconcertata: Lima e Westerville, stando a Google Maps, stanno a tipo due ore di distanza. Ciò vuol dire che prima Blaine e Kurt e ora Sebastian fanno tutta 'sta strada per un caffè. MAH.

Comunque, non son certa di riuscire a pubblicare domani l'ultimo giorno. A presto, in ogni caso <3

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Capitolo 7
*** Home Is Where the Heart Is ***


 

Day 7: Future!Niff

University? Family? Life After School? It's up to you.

 

 

 

Home Is Where the Heart Is

 

 

Home is where the heart is,
It’s where we started,
Where we belong, singing.
Home is where the heart is,
It’s where we started,
Where we belong

(Home Is Where the Heart Is – McFly)

 

 

Fin da quando era bambino, Nick aveva sempre dormito fino a tardi il giorno del suo compleanno. Solamente quando aveva iniziato a lavorare aveva modificato quella abitudine, con grande sofferenza, ma aveva sempre trovato un modo per sopperire a quel cambiamento. Quell'anno, però, il suo compleanno cadeva di domenica, quindi aveva avvisato tutti i vari familiari e conoscenti di non osare telefonare a casa prima della una. Aveva staccato tutte le sveglie e spento il cellulare, convinto di dormire almeno fino a mezzogiorno, ma non aveva fatto i conti con Jeff.

«Nick... Nick, svegliati»

Jeff gli stava sussurrando nell'orecchio quelle parole, ma per un buon intervallo di tempo Nick fu certo che facessero parte del sogno che stava facendo. Fu solo quando l'altro iniziò ad accarezzargli la fronte che capì che stava accadendo veramente. Aprì gli occhi con difficoltà, notando che la stanza era ancora avvolta nell'oscurità. Dalle veneziane passava solo una debole luce, segno che probabilmente era ancora mattina presto. Strizzò gli occhi, cercando l'orologio affisso alla parete e trovandovi conferma: erano le sei.

«Ma io volevo dormire...» Bofonchiò, la voce impastata dal sonno. Guardò male Jeff, per un attimo desideroso di lanciargli addosso qualsiasi cosa avesse a portata di mano.

«Lo so, scusa, ma è importante» rispose il biondo con espressione seria.

«Sunshine?» Nick scattò, tirandosi a sedere sul letto, del tutto sveglio. Jeff sorrise, accarezzandogli il braccio.

«No, no. Tranquillo, sta bene. Sta dormendo».

«Almeno lei» borbottò Nick in risposta, scostando le coperte. Ormai era inutile tentare di riaddormentarsi. «Cos'è successo?»

Jeff sorrise e in un attimo Nick si dimenticò del fatto che lo aveva buttato giù dal letto all'alba. Posò le mani sulle sue guance, accarezzandole con delicatezza. Si avvicinò fino a sfiorare il suo naso, fino a posare le sue labbra su quelle di Jeff. Lo sentì sorridere, prima di approfondire il bacio.

«È il tuo compleanno, Nick, non il mio» commentò Jeff. Nick scoppiò a ridere.

«Non mi ricordavo neanche che fosse il mio compleanno, Jeffie!»

«Beh, io sì. Tanti auguri» lo baciò rapidamente, quasi di fretta, prima di afferrargli una mano e trascinarlo fuori dal letto. «E ora vestiti, che siamo già in ritardo!»

Nick lo guardò confuso. «Mi vuoi spiegare cosa sta succedendo?»

Jeff scosse la testa. Aprì l'armadio e ne estrasse un paio di pantaloni e una felpa a caso, che gettò fra le braccia dell'altro. Nick lo guardò dubbioso, ma cominciò a vestirsi senza chiedere ulteriori spiegazioni. Quando ci si metteva Jeff sapeva essere estremamente misterioso e, in quelle occasioni, non si riusciva a fargli dire cosa gli passava per la testa nemmeno con le migliori tecniche di estorsione. Ricordava ancora quella volta al liceo quando lui e Trent stavano organizzando il ballo di fine anno: Nick lo aveva tenuto a letto per due giorni, senza riuscire ad ottenere una sola anticipazione su come sarebbe stata la sala o quale sarebbe stato il tema. Jeff lo aveva guardato con una strana luce negli occhi – la stessa che aveva in quel momento – e gli aveva detto che lo avrebbe scoperto a tempo debito. Nick era certo che se avesse insistito sul perché era stato buttato giù dal letto alle sei di mattina avrebbe ricevuto la stessa identica risposta.

«Sei pronto?» Jeff sembrava avere davvero fretta di muoversi. Quando Nick annuì gli afferrò la mano, trascinandolo fuori dalla stanza. «Vado a prendere la macchina. Chiudi tu».

Per l'ennesima volta Nick si chiese perché Jeff volesse andarsene così rapidamente. Si chiese se non ci fosse qualche problema, ma era abbastanza certo che in quel caso Jeff glielo avrebbe detto. No, aveva in mente qualcosa e la connessione con il suo compleanno era quasi sicura, ma quale fosse il piano era un mistero. Sorrise, afferrando le chiavi di casa prima di andare nella stanza accanto. Si fermò sulla porta per qualche istante, osservando la bambina che dormiva tranquilla. Era già vestita di tutto punto, Jeff aveva pensato anche a quello prima di svegliarlo. Probabilmente era in piedi dalle cinque, se non da prima. Doveva aver bevuto una quantità industriale di caffè, il che contribuiva all'agitazione. Si avvicinò al letto, prendendo in braccio la bambina con delicatezza, sperando di non svegliarla.

«Dove andiamo, papà?» Nick si morse la lingua. La voce della piccola era ancora impastata dal sonno, probabilmente si sarebbe riaddormentata a momenti.

«Non lo so, Sunny. È una sorpresa anche per me. Adesso fai la nanna».

Sunshine annuì, qualche istante dopo si era già riaddormentata, con grande sollievo di Nick. Almeno lei si sarebbe riposata a dovere. Quando uscirono sul vialetto di casa, in attesa di Jeff, Nick si perse ad osservare come i raggi di sole giocassero coi capelli rossi della bambina. Sembravano quasi essere di fuoco tanto brillavano.

«Abbiamo scelto il nome perfetto».

Nick si voltò verso Jeff, che stava sorridendo alla bambina addormentata fra le sue braccia. «Lo stavo pensando anche io».

«You are my sunshine, my only sunshine. You make me happy when skies are gray...»

Quando Jeff cantava quella canzone riusciva sempre a commuoversi: la prima volta che l'aveva cantata erano in ospedale, davanti alla culla della loro bambina appena nata, quando avevano deciso di chiamarla così. Nick ricordava come avessero scelto un altro nome, ma quella canzone era così perfetta per lei che non avevano potuto chiamarla in altro modo. Da allora quella era stata la loro canzone, non solo sua e di Jeff, ma della loro famiglia.

«You'll never know, dear, how much I love you...»

«Please don't take my sunshine away» finirono la strofa insieme, guardandosi negli occhi. Nick sorrise, cercando la mano di Jeff.

«Sai, sono quasi contento di esser stato svegliato all'alba».

Jeff sembrò ricordarsi in quel momento dell'impegno che li stava aspettando. «Siamo in ritardo! Sali in macchina!»

Nick scoppiò a ridere, in quel momento Jeff gli ricordava tantissimo il Bianconiglio di Alice nel Paese delle Meraviglie. Sunshine sarebbe stata d'accordo, pensò mentre la assicurava sul seggiolino, Alice era uno dei suoi cartoni preferiti.

«Mi vuoi dire dove stiamo andando?» Domandò una volta che furono in viaggio. Jeff scosse la testa.

«Assolutamente no. È una sorpresa!»

«Neanche un indizio piccolo piccolo?» Sfoderò il suo migliore sguardo persuasivo, quello che faceva sempre capitolare Jeff. Ebbe effetto: lo vide mordersi il labbro, indeciso, combattuto. Alla fine sospirò.

«Stiamo andando a casa» Nick alzò un sopracciglio alla risposta di Jeff.

«Tesoro, lo sai che siamo appena partiti da casa, vero? Facciata azzurra, porta bianca, veranda con il dondolo e triciclo in giardino...»

«E la cassetta della posta con scritto “Duvall – Sterling”, lo so, sì» ridacchiò Jeff. «Intendo l'altra casa. Quella dove è cominciato tutto e dove continua a esserci un pezzetto di noi».

«Stiamo andando alla Dalton?!» Nick pareva sinceramente sconcertato. Per un attimo Jeff si pentì di averglielo detto, da solo non ci sarebbe mai arrivato e sarebbe stata una sorpresa totale. Era certo, però, che non avrebbe mai immaginato il piano generale.

«Sarebbe dovuta essere una sorpresa. Ci troviamo là con David e la sua fidanzata, sono tornati ieri dal Canada».

«Non era più semplice farli venire a casa nostra?» Domandò Nick, alzando un sopracciglio, ma Jeff scosse la testa divertito.

«David? Anche col navigatore si sarebbe perso alla prima uscita e si sarebbe ritrovato in California senza accorgersene. Hai dimenticato il suo leggendario senso dell'orientamento?»

Nick scoppiò a ridere, ricordando quella volta in cui dovevano andare a Lima e David era riuscito ad arrivare a Cincinnati. Da quel momento gli era stato severamente proibito di guidare durante le uscite dei Warblers. Era tanto che non vedevano il ragazzo, che si era trasferito in Canada già da diversi anni, era davvero una bella sorpresa di compleanno.

«Grazie, Jeff» si ritrovò a dire. Come sempre le sue sorprese riuscivano sempre a stupirlo.

«E di cosa? Ha fatto tutto David, io mi sono limitato a non dirti nulla. Non è il mio regalo, quello lo avrai più tardi».

Quando arrivarono alla Dalton Nick cercò ancora una volta la mano di Jeff. Non erano studenti già da molti anni, ma lì non era cambiato nulla: sembrava che non fosse trascorso nemmeno un giorno da quando si erano diplomati e avevano salutato per l'ultima volta la sala di canto. Ora, invece, erano lì da adulti, sposati e con una figlia.

«Andiamo, dai, ci stanno aspettando» la voce di Jeff lo riscosse dai suoi pensieri, riportandolo alla realtà.

Nick pensava che la Dalton sarebbe stata solamente il punto di ritrovo, ma Jeff gli disse che il Preside aveva permesso loro di fare un giro della scuola. A quanto pareva il nipote di Jeanne, la fidanzata di David, stava per andare al liceo e David aveva parlato talmente bene della Dalton da far valutare l'idea ai genitori del ragazzo. Così il Preside aveva permesso loro di fare un tour della scuola a Jeanne, in modo da farsi un'idea. Privilegi da Warblers, commentò Jeff ridendo.

«Non mi ero reso conto di quanto questo posto mi fosse mancato» disse Nick una volta che arrivarono alla sala canto. Passò una mano sulla porta chiusa, ricordando gli anni in cui trascorreva più tempo lì che sui banchi.

«Papà, apri?» Sunshine gli stava tirando la maglietta, insistente. Nick guardò divertito Jeff, che accarezzò i capelli della loro figlia.

«Magari sente che è qui che è nato tutto, chissà!» Commentò Jeff, sorridendo. Nick aprì appena la porta e Sunshine sgusciò all'interno della sala prima ancora che se ne rendessero conto.

«Zio Trent!» Gridò allegra. Nick si voltò verso Jeff, che stava ridendo.

«Trent?» Domandò, stupito. Per tutta risposta Jeff spinse il marito dentro alla sala, senza troppi complimenti.

«SORPRESA!»

Nick rimase a bocca aperta. Grazie a Sunshine si era aspettato la presenza di Trent, che ora teneva la bambina in braccio, ma lì c'erano tutti i Warblers. Guardò stupito Jeff, che gli sorrise e gli strinse la mano. Li aveva rintracciati tutti: c'erano Flint e Richard, che non sentiva da tempo, e Wes, che fino a una settimana prima era in tournée con una compagnia teatrale. C'erano Kurt e Blaine, che vivevano a New York sin dai tempi del college, e Thad e Sebastian, che si prendevano ancora a frecciatine nonostante fossero insieme da tempo. Probabilmente non sarebbero mai cambiati.

«Io... Non so cosa dire, siete tutti qui...» Nick voleva ringraziarli uno per uno, ma venne bloccato dalla commozione. Jeff gli strinse maggiormente la mano, venendo in suo soccorso.

«Ascolta e basta. Oggi compi trentasei anni, trentasei...»

«Non ricordarmi che sto invecchiando, Jeffie» commentò Nick con un sorriso, ma Jeff lo ignorò.

«...Siamo sposati da sei anni e nostra figlia ne ha tre. Era una coincidenza troppo grande per non essere celebrata a dovere».

Sentendo le parole di Jeff, Nick si sciolse in un sorriso. Era strano che non avesse notato la cosa, data la storia di quei numeri. I primi tempi in cui Kurt era nei Warblers non riusciva a ricordare i nomi di tutti e lui e Jeff erano diventati “tre” e “sei”, richiamando il numero di audizioni che avevano fatto prima di ottenere degli assoli, avuti proprio quando Kurt era arrivato alla Dalton. Lui aveva imparato i nomi subito dopo, ma a Nick e Jeff piacevano i soprannomi, così erano andati avanti a chiamarsi “tre” e “sei” per un buon numero di mesi. Si erano persino sposati il sei marzo perché volevano una data speciale. E ora Jeff aveva chiamato tutti i loro amici per festeggiare. Lo attirò a sé, stringendolo in un abbraccio.

«Se non fossimo già sposati ti farei la proposta» gli sussurrò all'orecchio. Jeff sorrise, scostandogli una ciocca di capelli sulla fronte.

«Potremmo rinnovare le promesse» rispose. Con la coda dell'occhio vide Trent dare di gomito a David. «Sunshine potrebbe fare da damigella, sai quanto le piace spargere fiori in giro. Così quando lei avrà sei anni noi saremo risposati da tre».

«Ma ne avremo trentanove, non sarà perfetto come oggi» ridacchiò Nick, ma Jeff si limitò a scrollare le spalle.

«Un nove non è altro che un sei rovesciato, alla fine».

Incurante di tutti gli amici attorno a loro Nick attirò a sé Jeff, baciandolo come la prima volta. Erano insieme da più di dieci anni, eppure ogni giorno portava con sé una nuova avventura. Ogni volta in cui pensava di conoscere Jeff come le sue tasche, lui riusciva a sorprenderlo. E per Nick quello voleva dire amare suo marito ogni giorno di più.

«Questo vuol dire che dovremo sorbirci un altro matrimonio da favola?» La voce di Sebastian li fece voltare verso gli amici. «Fiori dappertutto e cavalli bianchi?»

Nick scosse la testa divertito. «Jeff è allergico ai cavalli. L'idea non è male, però, tienila a mente per quando finalmente chiederai a Thad di sposarti!»

Sebastian alzò un sopracciglio, incurante delle risate degli altri. «Potrebbe succedere solo nei suoi sogni» rispose.

«È vero» si intromise Thad, scrollando le spalle divertito. «Ma me lo ricorderò quando glielo chiederò io!»

Trent scoppiò a ridere così forte che Sunshine volle essere presa in braccio da Jeff.

«Papà» la sentì dire. «Ma loro sono gli amici delle foto a casa? Quelli che dice sempre il papà?»

«Sì, tesoro» rispose Jeff, posandole un bacio sulla tempia. «E sono i migliori amici che potessimo mai desiderare».

Nick non poté fare a meno di concordare. Conosceva quei ragazzi da vent'anni e in tutto quel tempo si erano sostenuti a vicenda in ogni cosa. Avevano avuto i loro alti e bassi, specialmente quando Sebastian si era unito al gruppo, ma alla fine ne erano usciti più uniti di prima. Era grazie a loro che lui e Jeff si erano trovati, senza i pomeriggi trascorsi in quella stessa aula probabilmente Sunshine ora non sarebbe stata in braccio a Jeff. All'improvviso gli vennero in mente le parole di Jeff di quella mattina, quando gli aveva detto che stavano andando a casa. Aveva ragione: ritrovarsi lì con tutti loro era come tornare in famiglia.

 

 

 

 

 

 

 

 

Ultimo giorno! Un bel po' in ritardo, scusate ç.ç

La mia idea iniziale era semplicemente il compleanno numero 36, però c'è stato un giorno in cui non riuscivo a togliermi dalla testa You Are My Sunshine (l'originale è di Jimmy Davies) e così è nata Sunshine. La amo tanto, posso dirlo? XD

A conclusione di questa raccolta vorrei ringraziare un nutrito numero di persone (elenco della spesa in arrivo): prima di tutto Sere e Thalia, per aver ideato questa Niff!week che è stata meravigliosa, e la Thà in particolare perché sopporta i miei scleri su questi due. Un grande grazie anche a Somo e Lin, che hanno inventato Sebastian e Thad – perché sono loro le loro mamme u.u – dandomi così modo di mettere del fangirlismo nel fangirlismo XD E un grazie ai McFly è dovuto, visto che mi ispirano Niff in maniera paurosa e hanno fatto da colonna sonora a questa raccolta. E grazie a voi, che avete letto/recensito/preferito/seguito/ricordato (:

Alla prossima! <3

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