Lucifer's Angel.

di nightmerd
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I- Di Nuovo Tu ***
Capitolo 3: *** Capitolo II- Pentito ***
Capitolo 4: *** Capitolo III- L'Inferno ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV - Demetra ***
Capitolo 6: *** Capitolo V - Verso il Purgaorio ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI - Il Purgatorio ***
Capitolo 8: *** Capitolo VII - Gli déi ***
Capitolo 9: *** Capitolo VIII - Il Paradiso ***
Capitolo 10: *** Capitolo IX - Fine ***
Capitolo 11: *** Capitolo Speciale - L'Angelo Caduto ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


THE GOOD DEVIL

PROLOGO
 

Heléna era ancora sveglia. Come faceva a dormire la notte di Natale? Voleva assolutamente vedere Babbo Natale.
Scalza, la bambina si diresse verso il salotto. Era tutto spento a parte le lucine dell'albero.
Un flash. Heléna vide solo un flash, poi una sagoma vicino all'albero di Natale. Si avvicinò a quella e scrutò attentamente. Era un ragazzo. Sui diciannove, vent'anni. Un bel viso, i capelli nerissimi con un ciuffo tutto sparato da una parte. Gli ochi erano chiusi. Ma quello che colpì molto la bambina era che aveva due piccole ali dal piumaggio nero.
-Chi sei?-, chiese la bimba con faccia curiosa. Quello aprì gli occhi e ghignò.
-Il Diavolo-.
-E che cosa sarebbe?-. Quello rimase di sasso. Con gli occhi sgranati e la bocca leggermente schiusa.
-Sono io, diamine! Mai sentita dire "La Divina Commedia"?- esclamò.
-Oh, signor Diavolo, che brutto nome! Sai, le starebbe bene il nome Jacopo-.
-Jacopo? Mi prendi in giro, mocciosa?-.
-No! Hai la faccia di uno che si chiama così-. Il ragazzo si toccò il viso.
-Dici?-,la bimba annuì.-D'accordo allora puoi chimarmi Jacopo. E tu sei...?-.
-Heléna. Con l'accento sulla seconda "E"-,sorrise Heléna.
-Originale questa storia dell'accento. Dimmi, Heléna, perché non stai dormendo? E' tardi-.
-Aspettavo Babbo Natale-. "Jacopo" rimase un attimo di sasso. Non voleva deludere la bambina dicendo che non esisteva.
-Senti, Jacopo, prima hai parlato di una storia, la Divina Commedia. Me la racconti?-.
Lui sospirò e cominciò a raccontare, mentre Heléna gli si sedeva comodamente sulle gambe. Prima della fine del racconto, Lucifero, o meglio, Jacopo, si accorse che la piccola dormiva. Provò un senso di tenerezza nei suoi confronti e la portò nella sua camera. Mentre le rimboccava le coperte lei gli mise una mano sul viso.
-Tornerai a trovarmi, Jacopo?-.
-Non lo so-.
-Ma ti ricorderai di me?-. Lui le sorrise e le afferrò la manina.
-Come potrei dimentcarti?-, le alzò i capelli che le coprivano la fronte e poggiò le labbra sulla pelle diafana di Heléna e,senza staccarsi, scomparve in un lampo di luce.
 

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Capitolo 2
*** Capitolo I- Di Nuovo Tu ***


CAPITOLO I

 

Heléna strinse le mani sul volante. Non voleva tornare a casa. Significava che l'estate era finita, quindi che sarebbe ricominciata la routine scolastica. Accanto a lei, la sua amica Maya sembrava altrettanto pensierosa. Maya aveva i capelli color caramello e gli occhi di uno strano colore ambrato. A vederla sembrava quasi un gatto.
-Dai scendiamo. Rimanere ancora qui mi indepressisce-, disse Heléna uscendo dalla macchina. Maya la seguì a ruota fin dentro casa, dove la madre di Hel le accolse con un abbraccio.
-Com'è andata il campo estivo ragazze?-.
-Bene-, rispose semplicemente Heléna, mentre si arricciava una ciocca dei capelli biondi.
-Solo bene? Non avete conosciuto qualche ragazzo carino?-.
-In effetti uno ce n'era...-, cominciò Maya ridacchiando istericamente.
-Ah sì, quello strano tipetto tutto figo. Interessante-, e le lanciò un'occhiata maliziosa.-Beh, io ho fame. Vado a mangiare qualcosa-, ed entrò in cucina.
Una macchia scura le passò davanti, poi dietro, e poi di lato. Il cuore di Heléna batteva fortissimo.
-Chi sei?-, e si girò di scatto. Seduto vicino al lavandino, c'era un ragazzo. I capelli nerissimi, gli occhi scuri, dallo sguardo magnetico e tenebroso, e la pelle olivastra.
-Ma come? Non ti ricordi di me?-.
-Dovrei?-, Hel incrociò le braccia e spostò il peso su una gamba sola.
-Ma guarda come sei cresciuta-, cambiò discorso quello passandole accanto e accarezzandole i capelli boccolosi.-Quanti anni hai ora?-.
-Diciotto. Ti ripeto la domanda. Chi sei?-.
-Arrivaci da sola. Ti do un indizio: sono quello che tanti anni fa ti ha procurato una strana macchia sulla fronte. Lì dove ti ho baciata-, le alzò la frangia che le copriva una strana macchia, proprio al centro della fronte. Lei sgranò gli occhi e li alzò per guardarlo.
-Tu! Che vuoi da me?-.
-Quello che voglio da tutti. La tua anima. In cambio ti darò bellezza, fortuna, e un sacco di altre cose-.
-Ci tengo alla mia anima, grazie-.
-Non ti interessa avere ricchezza, bellezza...?-.
-Mmmmmh... no. Sono felice così-.
-Non c'è qualcosa che desideri? Posso darti tutto quello che vuoi!-, era palesemente in crisi.
-No-.
-Che diamine, Heléna! Ecco una cosa che odio di te!-, e si passò una mano nei capelli, frustrato. Lei ridacchiò.
-Ritenta con qualcun'altro-.
-No! La tua anima è più... E' più interessante delle altre-.
-Ti fai un sacco di problemi-, sbuffò lei. -Ehi, se non sbaglio era Capodanno quando ci siamo visti la prima volta-.
-Era Natale-, la corresse lui roteando gli occhi. -Perché ti interessa? Non ricardavi neppure chi fossi. Cioé, sono incontri che ti cambiano la vita dai!-.
-Ho notato che sei molto modesto-.
-Bel sarcasmo-, fece una pausa.- Sai Helly, trovo molto più facile parlare con te ora che sei cresciuta-.
-Naturale...-, la madre della bionda la chiamò e Lucifero scomparve nell'ombra.
-Jacopo?-, chiamò piano Heléna.-Jacopo!-.
-Helly a che stai facendo qui tutta sola al buio?-, chiese la madre entrando nella cucina.
-Eh? No niente ho mangiato e mi sono fermata a pensare-.
-Maya è tornata a casa mentre tu pensavi. Io però ti ho sentita parlare...-.
-Impossibile-.
-Sarà. Dai vai a dormire ora-. Heléna si diresse verso la sua stanza, riflettendo.
Non era per quel motivo che Lucifero era tornato. No. Lei lo sapeva. Perché allora? 
 

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Capitolo 3
*** Capitolo II- Pentito ***


Heléna fissava il soffitto alto della sua stanza buia con i grandi occhi celesti, i capelli biondi sparsi sul cuscino. Entrava un filo di luce dalla porta accostata perché in salotto c’era ancora la madre che era sveglia.

Nel cervello della ragazza penetrò un pensiero che non l’aveva mai sfiorata: suo padre. Erano una decina d’anni che aveva deciso di non vederlo mai più per via di tutti i torti che aveva fatto alla madre,a  lei, del traffico di droga. Era un peccatore. “Peccatore”… “Peccato”… “Inferno”… “Lucifero”. Pensato quel nome Heléna saltò in piedi e afferrò il cellulare.

-Basta con i tuoi giochetti. Non sono più una bambina, non puoi più prendermi in giro-, sussurrò fissando lo schermo del cellulare. Doveva chiamarlo? Quel numero maledetto, il “666”, era veramente il suo numero? Si risedette sul letto e si passò una mano sulla fronte, toccando la macchiolina. Sembrava una scottatura. Solo che quello era un marchio diabolico e perenne. Heléna si sentì come un cavallo che veniva marchiato a fuoco ma poi desiderò essere come quei cavalli. Almeno loro non erano stati direttamente marchiati dal Diavolo in persona. Questo pensiero le mise rabbia e compose il numero maledetto. Chiamò e mentre attendeva andò a chiudere la porta per non farsi sentire dalla madre. Squillava. Il suo cuore prese a battere forte come un martelletto soprattutto quando sentì:-Pronto? Chi parla?-. Ma non era la sua voce.

-Ehm… Salve mi chiamo Heléna. C’è il signor Lucifero?-.

-Sì però al momento sta riposando-, rispose il segretario con la sua voce grottesca. Era di sicuro un demone.

-Potrebbe cortesemente svegliarlo? Ho molta urgenza di parlargli-.

-Il signor Lucifero la punirà e punirà anche me se faccio una cosa simile. Lui è il boss dell’Inferno può punire chiunque-.

-Non può punire me. Mi conosce, lo sa chi sono. Lui mi vuole, non mi punirà. E sarà felice di parlare con me. Sveglialo!-.

Heléna attese qualche secondo poi al telefono sentì una voce che conosceva:-Oh Heléna cara! Che piacere sentirti anche per telefono. Perché mi hai fatto svegliare?-, nella domanda c’era una punta di irritazione.

-Dimmi la verità. Perché mi vuoi? Non vuoi la mia anima. Ti giuro, non riesco ad arrivarci. La tua mente è troppo contorta per me-.

Il tono di lui si fece più serio:-Non è difficile. E’ una cosa che voglio da tutta una vita, anzi, da quando sono stato segregato qui nelle profondità dell’Inferno-.

Heléna si sentì spaesata da quella serietà e rispose a bassa voce:-Non lo so. Non ci arrivo…-.

Lucifero rimase in silenzio poi disse con tono pacato e quasi sensuale:-Domani ti vengo a trovare. Ne parliamo con più tranquillità. Ora suppongo che tu sia stanca quindi vai a dormire, Helly. Buonanotte-, e riattaccò.

La ragazza posò il cellulare sul comodino e si rimise sotto le coperte, continuando a fissare il soffitto. Non riusciva a toglierselo dalla testa. In altre occasioni, avrebbe voluto che il Diavolo non venisse a trovarla logicamente, ma stavolta aveva bisogno di sentire quella spiegazione.

 
 
 
 

*

 
 
 

Il mattino dopo Heléna uscì di casa molto presto e chiamò di nuovo Lucifero. Stavolta rispose lui.

-Pronto?-.

-Senti, Jacopo, io sto andando al parco adesso. Vediamoci direttamente lì e cerca di sembrare meno… demoniaco eh?-.

Lucifero ridacchiò:-D’accordo, tenterò-, e attaccò.

Heléna raggiunse il parco e aspettò seduta su un’altalena. Si strofinò freneticamente le mani per il freddo ma poi altre due mani, più grandi, la fermarono. La ragazza alzò lo sguardo e incrociò gli occhi scuri e magnetici di Lucifero. Rimasero entrambi in silenzio poi lui si sedette sull’altalena accanto. Sembrava molto meno demoniaco. Portava una felpa nera, col disegno di un teschio illuminato di verde sul petto. Aveva i jeans blu e le converse nere.

-Ti preferisco vestito da ragazzo, anziché da boss dell’Inferno-, gli disse.

Lui non la guardò ma fece un sorriso sghembo. –Vuoi sapere perché ti voglio?-, e la guardò. Lei annuì e Lucifero si alzò per accovacciarsi davanti a lei, così che potesse guardarla bene in faccia.

-E’ un sacco di tempo che ti aspetto. Ho atteso milioni di anni per te, Heléna-, e le toccò una guancia con le dita calde. –Il mio è uno scopo molto egoista, ma tu che non hai paura di me puoi farmi uscire dall’Inferno e farmi tornare nel Paradiso-.

-Vuoi tornare da Dio? Ti sei pentito?-.

-Sì-, le sorrise. –Non posso stare sempre a competere con lui per le anime. Cioè, a lui piacerebbe che tutti fossero buoni eccetera, ma ci sono io che voglio avere dei seguaci. Però non ho voluto che nascessero le Sette Sataniche, sappilo. L’ha deciso la tua specie-.

-Sì noi umani siamo molto stupidi a volte-, ridacchiò Heléna.

-Me ne sono accorto-, ridacchiò prendendole una mano. –Però, tu non sei come gli altri. Io non ti faccio paura. Da quella volta che mi hai chiamato Jacopo ho capito che solo tu puoi aiutarmi-.

Lei lo guardò con uno sguardo tenero ma poi si riscosse:-Stai cercando di corrompermi con le tue dolci parole?-, e tolse la mano dalle sue.

-Ti ho detto la verità, Heléna! E io non dico mai la verità quindi sentiti onorata-.

-Oh bene, dopo che mi hai detto che non dici mai la verità ti aspetti anche che io ti creda?-, Heléna scattò in piedi e anche lui si alzò. Lei gli arrivava a stento alla spalla.

-Speravo di sì! Come devo fare per convincerti?-.

-Non c’è un modo! Tu sei il Diavolo cavolo! Ti ho chiamato al cellulare, ti ho permesso di accarezzarmi la faccia, di prendermi la mano, ma sono stata troppo tollerante e mi avevi annebbiato la mente con le tue parole e il tuo sguardo magnetico, affascinante, tenebroso, da perenne dannato!-.

Lui sorrise e mise le mani nelle tasche dei jeans. Quando Heléna terminò di sbraitargli contro, lui le mise una mano sulla guancia e la baciò sulle labbra.

La ragazza rimase con le guance rosse e gli occhi sgranati per un altro secondo poi li chiuse, ma rimase rigida. Lucifero le passò la mano tra i capelli, sulla nuca e continuava ad accarezzarle il viso. L’altra mano rimaneva nella tasca e lui era rilassato.

Quando si staccò lei lo fissò sconvolta e sorpresa, mentre lui con un sorriso trionfante.

-Ti ho convinta?-.

Heléna rimase a passarsi le dita sulle labbra per un altro istante. –Cosa devo fare per aiutarti?-.

Lucifero allargò il sorriso poi le cinse le spalle con il braccio mentre si allontanava e le parlava.

-Dovrai venire all’inferno con me. Non possiamo raggiungere subito il Paradiso e io dovrò aspettarti al Purgatorio mentre cerchi di convincere Dio. All’Inferno attraverseremo tutti i gironi a partire dalla mia cella. Raggiunto il Purgatorio io dovrò fermarmi a metà strada e tu dovrai proseguire da sola. Cosa che mi manda in bestia-.

-Mandarmi da sola?-.

-Sì-.

-Perché?-.

-Non voglio lasciarti vagare da sola-.

-Ho diciotto anni ormai. Sono grande-.

-Per me rimani quella bambina di tanti anni fa-, e sorrise.

-Perché tu sei vecchio-.

-Non sembra però eh? Noi angeli non invecchiamo-.

-Tu non sei un angelo!-.

-Sì ma lo ero-, ribatté lui.

Continuarono a stuzzicarsi fino a quando non arrivarono al bar, dove si presero un caffé. Poi stettero tutta la giornata insieme e quando la sera lui la riaccompagnò a casa le disse:-Domani partiamo. Chiamami, ci vediamo al parco e ti vengo  a prendere. Avverti tua madre-, sorrise e la baciò di nuovo.

-Ok basta con questi baci eh!-, esclamò stizzita ma lui era già scomparso e lei lo mandò a quel paese a bassa voce. 

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Capitolo 4
*** Capitolo III- L'Inferno ***


Heléna toccò con delicatezza la porta di legno vecchio. Prima di aprirla si allacciò la zip della giacca a vento che portava, e poi aprì quella porta.

L’interno della chiesa era molto grande. Illuminata dai raggi del sole che filtravano dai vetri colorate delle finestre posizionate in alto. Le lunghe panchine di legno occupavano gran parte dello spazio. In fondo c’era l’altare, con un candelabro poggiato di lato, e un grosso libro aperto sopra.

Heléna toccò le pagine ingiallite del libro e lesse velocemente. Era scritto il latino ma la ragazza dedusse che quella parte parlava dell’antico testamento, di Adamo ed Eva. Era la parte dove Lucifero sottoforma di serpente diceva ad Eva di mangiare la mela.

Stufa di sprecarci altro tempo nella traduzione anche se sapeva perfettamente come andava a finire, si avviò ai lati della sala, dove c’erano dei dipinti che di tanto in tanto erano intervallati da delle statuette con sotto delle candele consumate. Chissà da quant’è che era sconsacrata quella chiesa, pensò Heléna mentre faceva scorrere le dita sulle figure rappresentate. Erano angeli. Le vesti colorate che svolazzavano, le teste piegate di lato e le espressioni dolci. Poi spiccava un uomo dai capelli bianchi e la lunga barba candida. Doveva essere Dio… Accanto a lui c’era un angioletto dai capelli scuri, che spiccava in mezzo agli altri che erano tutti biondi. Dal dipinto, Heléna dedusse che quell’angelo era particolarmente vivace.

-Non dirmi che sei tu-, sussurrò pensando a Lucifero.

Raggiunse una parte dove i dipinti si facevano più scuri. C’era rappresentato Dio che gettava l’angelo dai capelli neri giù sulla terra dal regno dei cieli.

Poi era raffigurato un uomo con delle grosse corna, i capelli del colore delle tenebre, gli occhi anche, e aveva le ali d’angelo nere.

Tutt’intorno erano rappresentati dei demoni e delle anime disperate, mentre lui rideva. Era raffigurato in modo affascinante, quell’uomo nel dipinto, aveva un bel viso. Certo, deve tentare le persone. Dopotutto era l’angelo più bello, più simpatico, più tutto, pensò Heléna con una smorfia pensando all’egocentrismo di Lucifero.

Dietro di lei sentì una presenza e un profumo che conosceva. –Sai-, cominciò la bionda senza voltarsi. –Ho un po’ paura se penso che devo parlare con Dio-.

Lucifero sorrise. –Hai visto, mi rappresentano come un sadico-.

-Perché scusa non lo sei?-, chiese quasi esterrefatta e voltandosi. Lui fece un sorriso amaro e lei continuò rigirandosi:-Non cambiare discorso-.

Il moro rimase in silenzio per qualche minuto poi disse piano:-Non devi aver paura. E’ come se parlassi con me-.

-Non credo. Lui sembra più anziano di te-.

-E tu come fai a dirlo?-.

-Guarda i dipinti-, rispose lei senza voltarsi.

Lucifero rimase in silenzio con la fronte corrugata. Poi disse:-E’ così, allora, che ci vedete voi umani: lui un vecchio saggio, e io un giovane scapestrato. Ti rivelo una cosa-. Heléna si girò, con uno sguardo assai incuriosito. –Hai presente nei cartoni animati, quando sulle spalle del protagonista compaiono l’angioletto e il diavoletto, che però hanno la stessa identica faccia?-.

La bionda annuì e lui continuò:-Ecco, è la stessa cosa-.

-Come? Cosa? Cioè, siete la stessa persona?-.

Lui storse la bocca, come se la cosa fosse difficile da spiegare. –Non proprio. Per farla facile, siamo gemelli-. Heléna sgranò gli occhi. Se avesse avuto in bocca un po’ d’acqua l’avrebbe sputata tutta.

-No, aspetta. In pratica siete uguali: alti, mori, eccetera, solo che con caratteri differenti?-.

-Lui? Moro? Oh no, lui è albino. E’ identico a me, solo che con la pelle più chiara, i capelli talmente biondi da sembrare bianchi, e gli occhi grigio azzurri-.

La rivelazione lasciò di stucco Heléna, che andò a sedersi su una panca e rimase in silenzio per parecchi minuti, con lo sguardo fisso sul pavimento.

-E avete entrambi un figlio-, concluse dopo un po’.

Lucifero fece scattare indietro la testa con un’espressione confusa:-Un figlio? Io?-.

-Sì, Dio ha Gesù e tu hai uno strano tizio di cui non si sa neppure il nome-.

-Quello è un modo di dire, Hel! Figurati se ho tempo per un figlio!-.

-Sarà però secondo me tu ce l’hai-, si ostinò alzandosi e avviandosi verso la porta semi aperta.

-Che c’è? Sei gelosa?-, la provocò.

-Neanche un po’. Mi domando chi sia la sfortunata che ha avuto un figlio con te-.

-Ma ti prego! Non ho nessun figlio! Con tutte le cose che ho da fare!-.

-Si perché il ragazzo è impegnato tutti i giorni a fare chissà che-, lo schernì entrando in macchina.

-Fa guidare me, gelosina-, e la fece uscire dal posto di guida. Ma rimasero entrambi fuori per qualche istante.

-Ehi, che devi fare? Entri o no?-, lo riscosse la ragazza. Il moro schioccò le dita e al posto della macchina comparve una moto da corsa nera con le fiamme.

Heléna batté più volte le ciglia, esterrefatta, anche mentre lui montava sulla moto. Quando vide che la ragazza non si muoveva, suonò l’acuto clacson della moto e lei si riscosse.

-E dai monta-.

-Senza casco?-.

Lucifero scoppiò a ridere:-Ehi, io sono il Diavolo. Faccio come voglio. E poi non è lontano l’Inferno-.

Heléna montò e si strinse a lui. Il ragazzo diede gas e partì a tutta velocità. Lei si strinse ancora più forte e si riparò dal vento appoggiando la guancia sulla sua schiena.

Passarono sotto una galleria e appena uscirono il paesaggio era diverso. C’erano alte fiamme ai lati della strada tutta in discesa.

-Siamo all’Inferno?-, gridò Heléna sopra il rumore del vento caldo.

-Oh yeah!-, rispose lui mentre con una mano si metteva gli occhiali e con l’altra reggeva il manubrio.

-Invece di fare il fanatico, stai attento a dove vai?-. Lucifero tolse entrambe le mani dal manubrio e si girò per guardarla, con un sorrisetto.

-Se non guidi tu, guido io eh!-.

Il ragazzo rimise immediatamente le mani sul manubrio e disse in tono saggio:-Mai far guidare una donna-.

-Vuoi ancora che ti aiuti sì o no?-, lo ricattò.

-Tanto se cambi idea ti ribacio, non ho problemi-, sghignazzò.

Dopo un po’ che erano sulla moto, tra le fiamme e le grida dei dannati, raggiunsero un alto cancello nero, con la punta alle estremità. Lucifero girò la testa di lato e fece segno a qualcuno di aprirgli. Il cancello si aprì e i due entrarono nella proprietà.

L’erba era verde, macchiata di rosso, e la strada sterrata portava a un’enorme villa dalle pareti quasi tutte vetrate. Le poche parti dove non c’era il vetro, come gli angoli o tra una lastra e l’altra, c’era il muro rivestito di pietre giallognole e piatte.

-Tu abiti qui? Wow!-, esclamò Heléna stupefatta, mentre entrava nella casa insieme a Lucifero, che si stava togliendo gli occhiali da sole.

L’interno era ampio, ovviamente molto luminoso e ordinato. Le pareti erano rivestite dalle stesse pietre che rivestivano l’esterno. Il pavimento era di parquet scuro. I divani erano in pelle nera, dalla forma a ferro di cavallo, con i cuscini rossi. C’era un grosso televisore sottilissimo, poggiato su un mobile basso e rosso. Aveva anche una Play Station 3, una console Wii e un’Xbox360 con tanto di kinect! 

-Wow, ci vai leggero con i videogiochi eh-, commentò la bionda.

-Mh, beh, ho finito il gioco di Resident Evil almeno sei volte-, si vantò. Passarono sotto un arco che portava a una grossa cucina. Lì c’era solo una finestra. Le mensole e gli scaffali erano marroni scuro, con le manigliette in oro. Da lì passarono sotto un altro arco e raggiunsero la sala da pranzo. Era una sala piuttosto grande, con un tavolo di marmo rotondo con sopra un candelabro d’oro e attaccato all’alto soffitto un lampadario di cristallo che lanciava bagliori colorati in tutta la sala. Le sedie avevano l’imbottitura di pelle rossa. Attaccato alla parete murata c’era una vetrina con tutti i bicchieri, le bottiglie e qualche oggettino, tutto in cristallo.

Tornarono nel salotto e lì raggiunsero le scale di marmo che portavano al piano di sopra. C’era un lungo corridoio, sempre con il parquet scuro e le pareti di pietra. Qualche applique rossa attaccata qua e là sulla parete, e sul pavimento c’era un morbido tappeto dorato. All’inizio del corridoio, sulla destra, c’era una minuscola saletta, dove c’era una scrivania piena di fogli. Lì Lucifero disse che quello era il posto dove la sera lavorava il suo segretario.

In fondo al corridoio, c’era una porta di ebano. Entrarono e si trovarono un ampio bagno. Aveva le pareti rivestite di mosaico azzurro e bianco, e il pavimento era di marmo candido. All’angolo c’era un’ampia vasca, che potevi raggiungere salendo un paio di gradini. C’era una finestrella tonda vicino al lavandino, che stava in fondo. Poi c’era un armadietto dove Lucifero teneva gli asciugamani puliti.

Uscirono e si diressero ad un’altra porta di ebano, solo che al centro c’era una lastra di vetro colorato. Il ragazzo la aprì e si trovarono dentro una stanza con il pavimento a scacchi nero e rosso, la parete dietro al letto era grigio chiaro. Il letto, che ti trovavi davanti appena entravi, era grande, con le coperte nere e i cuscini ovviamente rossi. Accanto al letto, dall’altra parte rispetto alla porta, c’era un comodino con sopra una lampada. Sull’altra parete murata c’era un armadio color oro. Sul soffitto c’era un altro lampadario di cristallo, solo che più piccolo rispetto a quello della sala da pranzo. La stanza non era tanto grande. Aveva due pareti murate e due vetrate, una di fronte e una alla sinistra del letto.

-La tua stanza vero?-, fece Heléna, ammirata da tanta eleganza.

-Già-, rispose lui incrociando le braccia con un sorriso. Attese ancora qualche minuto, perché la bionda stava girando per la sua stanza come una bambina nel paese dei balocchi.

-Che bella casa-, concluse infine guardandolo con i suoi grandi occhi azzurri, pieni di stupore ed eccitazione.

-Non è finita-, le disse sorridendo. Allora uscirono dalla stanza e si trovarono di fronte a un’altra porta di betulla, anch’essa con al centro una lastra di vetro. Questo però era opaco. Heléna la aprì e si trovò in una stanza come quella di Lucifero, anche la disposizione dei mobili e i mobili stessi erano uguali, solo che il pavimento era di marmo bianco, le pareti celestine, il letto grande aveva le coperte di un azzurro intenso e i cuscini bianco panna. L’armadio anche era bianco. Poi però nel centro della stanza c’era una morbida poltrona di pelle bianca e ai piedi del letto un baule color blu elettrico.

-Quello era per bellezza-, sghignazzò Lucifero.

-Questa è la mia… stanza?-, mormorò commossa Heléna. Lui sorrise e annuì.

-E’ stupenda! E anche la tua è molto bella, lo ammetto-.

-Ho fatto costruire anche la tua stanza perché sapevo che saresti venuta qui un giorno-.

-Wow… Qui hai davvero tutto! Videogiochi, televisione…!-.

-E’ come se stessi agli arresti domiciliari dopotutto-.

-Si però tu esci sempre di casa-, gli fece notare Heléna.

-Sì sì però quando non mi va di uscire me ne sto qui-, fece una pausa poi abbassò la testa per guardarla e corrugò la fronte. –Ho fame. Tu no?-.

-Ma sì, dai, facciamo merenda. Che hai da mangiare? Ce l’hai la nutella?-, chiese la ragazza mentre scendevano le scale.

-Ovvio!-, rispose Lucifero ridacchiando allegramente.

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Capitolo 5
*** Capitolo IV - Demetra ***


-Signorina?-, disse piano una voce gentile, anche se un po’ rauca. Heléna allora aprì gli occhi e vide una donnina minuscola, per davvero! Era arrampicata sul letto per parlarle. Aveva i capelli grigi e il viso solcato da una sottile rete di rughe. La ragazza sorrise e la donnina continuò:-Mi chiamo Tisha. Venite a fare colazione-. Scese dal letto ed uscì. Heléna si massaggiò la testa, tremendamente confusa. Doveva essere per forza una cameriera di Jacopo, pensò scendendo dal letto e sistemando la leggera camicia da notte bianca.

Nella cucina c’erano una serie di omini e donnine intenti a pulire e cucinare. La bionda inarcò le sopracciglia e chiese:-Lucifero?-.

-Al momento non è in casa-, rispose Tisha.

-E dov’è?-.

-Il signor Lucifero non ci dice mai dove va quando esce-.

-Ho il presentimento che stia combinando qualcosa-, mormorò Heléna abbassando lo sguardo.

Tisha sobbalzò e la guardò scioccata:-Il signor Lucifero la punirà se dubita di lui!-.

-Pff! Non si arrabbia mica per così poco lui-, sbuffò la ragazza incrociando le braccia. Subito dopo un omino tozzo e barbuto portò nella sala da pranzo la colazione di Heléna e lei sia andò a sedere su una delle sedie. Cominciò a mangiare nel silenzio della stanza, mentre guardava fuori dalla vetrata. Il giardino aveva l’erba verde e macchiata di rosso, con qualche cespuglio dalla strana forma, e qualche salice piangente.

Dopo svariati minuti, la ragazza terminò di mangiare e Tisha spuntò dal nulla, facendole prendere un colpo. –Mi scusi-, si scusò la donna. –Le serve qualcosa?-.

-Un bagno caldo, grazie-, le sorrise a si alzò.

-Le preparo anche i vestiti?-.

-Come ti pare. Posso accendere il televisore?-.

-Il signor Lucifero mi ha pregato di dirvi che fino a quando lui non torna, siete voi la padrona di casa-. Heléna sbatté ripetutamente le palpebre, sorpresa. Poi sorrise e saltellò nel salotto.

-E’ proprio una bella ragazza. Capisco perché il signor Lucifero ci tiene tanto-, sussurrò Tisha con un sorriso.

Intanto Heléna girava per i canali, senza sapere cosa guardare. Fece zapping per un altro quarto d’ora abbondante alla fine, proprio quando aveva trovato un film carino da vedere, Tisha comparve accanto a lei facendole prendere un altro spavento:-Senti, la prossima volta che devi apparire, avverti! Prima o poi mi verrà un infarto-.

-Scusate, ancora. Comunque il bagno è pronto-.

-Ti ringrazio-. Si alzò e salì le scale. Mentre attraversava il corridoio accarezzava con le dita le pareti. Passò davanti la camera di Lucifero, e la trovò aperta. Era sempre la solita. Le lenzuola accuratamente ripiegate e un pigiama nero ai piedi del letto. La ragazza sorrise vagamente divertita nel vedere quel pigiama, poi continuò a camminare a piedi nudi. Aprì la porta del bagno e trovò la vasca piena d’acqua calda. Sul bordo c’era un asciugamano bianco e una saponetta rossa.

Si spogliò ed entrò nella vasca, immergendosi fino al naso. Prese fiato e immerse anche tutta la testa. Quando riuscì si asciugò gli occhi con la mano e mise le braccia sui bordi dietro di lei.

Una mezz’ora dopo uscì dal bagno con indosso l’asciugamano bianco. Heléna sentì suonare un campanellino e subito dopo apparve Tisha:-Ho avvertito stavolta. Il signor Lucifero la sta…-, venne interrotta dal ragazzo che si fermò accanto a lei e sorrise.

-Ci metti un sacco per farti il bagno, Heléna. Dai, ti aspetto di sotto, che è pronto il pranzo-, e si dileguò. La bionda lo guardò scendere le scale, stizzita:-Era davvero necessario questo intervento? Mah! E’ strano assai-.

-I vostri vestiti sono ai piedi del letto-, informò Tisha prima di sparire. La ragazza, ancora stizzita, entrò in camera sua e si cambiò. Poi scese in sala da pranzo. Vide Lucifero a capotavola, che sorrise appena la vide:-Ti sta una favola-. Heléna portava un abitino nero senza spalline. Sui fianchi al posto del tessuto c’era una rete. Anche le calze erano a rete e gli stivali alti fino al ginocchio.

Lui invece aveva una camicia bianca con le maniche arrotolate fin sopra i gomiti, il gilet, la cravatta e i pantaloni neri. Heléna si accomodò dall’altro lato della tavola e si guardarono a lungo, studiandosi. Alla fine Lucifero sorrise e iniziò a mangiare gli spaghetti al sugo.

-Cosa hai fatto quando non c’ero?-.

-Mi sono svegliata tardi, ho fatto colazione e mentre aspettavo che fosse pronto il bagno ho guardato la TV-. Ci fu un lungo silenzio poi Heléna lo interrogò:-Tu cosa hai fatto?-.

-Controllavo come andavano le cose  nei gironi. Stasera ti porto da una parte-.

-Ma quando partiamo?-. Lucifero non rispose, si pulì la bocca e se ne andò.

La ragazza anche si alzò e andò a cercarlo. Bussò alla porta della sua stanza, pensando di trovarlo lì. Non c’era. Si passò una mano tra i capelli, esasperata, e chiese a Tisha. Nemmeno lei sapeva dov’era andato. Uscì dalla casa e lo trovò lì davanti alla porta, a fumare. –Da quand’è che fumi?-, esclamò Heléna sorpresa.

-Da un po’-, la osservò a lungo poi sorrise accarezzandole il viso. –Non devi preoccuparti. Non mi accadrà niente. Non è facile uccidermi-. Lei gli tolse la mano dal viso:-Non mi sono affatto preoccupata! Ero solo sorpresa-.

-Falla bere a qualcun altro-, ridacchiò e buttò a terra la sigaretta. Non fumava neppure tanto. Non arrivava nemmeno a metà sigaretta.

-Che si fa?-.

-E che ne so?-, sghignazzò ancora Lucifero.

-Mi fai giocare a uno dei giochi che hai?-.

-Resident Evil? Come la vedi?-. Si guardarono e sorrisero. Poi cominciarono a giocare. Smisero a fine giornata, e avevano anche finito il gioco.

-Bene. Vieni con me-, le disse Lucifero ed uscirono dalla casa per poi montare sulla moto. Il ragazzo diede gas ed uscirono anche dal giardino. Le strade sembravano quelle di New York, non più quella stradina delimitata dalle fiamme.

-Che è successo qui?-, esclamò Heléna.

-Benvenuta nell’Inferno-.

-Un momento! E i gironi?-.

-Sono quel palazzo laggiù. Ogni piano corrisponde ad un girone-.

-Ma così è tutto sballato!-.

-Rispetto alla Divina Commedia? Ahah, Dante non è mica venuto qui davvero. Qui, non dico che ci si diverte, ma a fine giornata tutti si riuniscono nel locale dove ti porterò stasera. Ci vado anche io, ogni sera-.

Lucifero fermò la moto davanti ad un locale dall’insegna verde e fucsia. Si chiamava “Riposo”. –Perché questo nome?-, chiese Heléna.

-Dopo un’intera giornata nei gironi le anime vengono qui a riposarsi e a divertirsi-. Scesero dalla moto ed entrarono. Era un luogo buio, oscuro, con qualche lume. Era affollatissimo ed era pieno di tipacci che sembravano metallari. Fumavano, bevevano, ci provano con la cameriera o altre donne.

-Doroty, fai il piacere, portaci qualcosa da bere-, disse Lucifero alla cameriera. Era una ragazza sui venticinque anni, dai capelli neri e le mesce viola. Tornò un minuto dopo con dei bicchieri pieni di uno strano liquido color lilla. Heléna fece una smorfia e allontanò il bicchiere. Un uomo accanto a lei le prese il bicchiere e bevve. –Grazie, bellezza!-. La ragazza lo guardò schifata poi si avvicinò a Lucifero, che beveva. –Ma dove mi hai portato?!-.

-Ahaha, rilassati. Nessuno oserà toccarti. Anzi, nessuno oserà pensare di toccarti-.

-Gira voce che il boss cerca di andare via dall’Inferno-, disse una voce. Poi una ragazza dai capelli corvini e gli occhi gialli si sedette sul bancone, vicino a Lucifero. –E’ vero?-.

-Che vuoi, Demetra?-.

-Niente! Volevo solo sfotterti un po’ perché so che non sai la strada per andartene-, fece una pausa poi schioccò le dita per chiamare Doroty. –portami un po’ di torta-.

-Speriamo che ti ammazzano di nuovo-.

-Vuoi che ti aiuti ad andartene?-.

-No-.

-idiota. Io cerco di aiutarti, una volta tanto, e tu dici “no” con quel tono da “io sono il migliore”. A momenti non sai neppure dove abiti!-. Doroty le portò la torta e Demetra cominciò a mangiare.

-Chi è lei?-, chiese la mora indicando Heléna.

-Un’amica-.

-Che dorme a casa tua? Lo so che c’è un’umana negli Inferi, e so che è lei. Non prendermi in giro. Perché è qui?-.

-Deve aiutarmi-.

-Come sei freddo. Di solito mi lanci i bicchieri e mi insulti quando mi faccio gli affari tuoi-.

-C’è  una ragazza con me, se non sbaglio-.

-Embé?-.

-Mi sto controllando-, le disse lanciandole un’occhiata con la coda dell’occhio, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Demetra sogghignò poi strinse la mano di Heléna.

-Piacere, sono Demetra. Morta nel ‘600 mentre mangiavo una torta-, fece una pausa poi fece spallucce. –Almeno sono morta a pancia piena-.

-Io sono Heléna-.

-Ehi, boss! Non ti ho mai visto con una ragazza bionda! Da quanto ti piacciono?-.

Lucifero strinse così forte il bicchiere che lo mandò in frantumi. –Quanto rompi. Ce l’hai una sigaretta?-.

-Io non fumo, lo sai-. L’uomo che poco prima aveva preso il bicchiere di Heléna, gli porse una sigaretta e l’accendino. –Grazie-.

Il moro si accese la sigaretta e si passò una mano sulla nuca. Tra loro tre c’era silenzio ma nel resto della stanza si sentivano grida e rumore di vetri rotti. Heléna si avvicinò a Lucifero:-Andiamo via?-. Lui la guardò e le cinse le spalle col braccio, mentre buttava la sigaretta nel portacenere. –Demetra. Accetto il tuo aiuto. Domani partiamo, fatto trovare fuori dal cancello di casa mia-.

-Non mi è permesso non andare al girone, lo sai-.

-Sono io il capo qui. Decido io cosa puoi o non puoi fare. Domani, davanti al cancello di casa mia, in tarda mattinata-, si alzò e sorrise. –Notte a tutti, ragazzi!-. I morti lo salutarono con grida di acclamazione. Lucifero sentì Heléna fare uno scatto in avanti e girarsi. L’uomo di prima ghignava divertito. –Ma che ti tocchi?!-, gridò la bionda rossa in faccia. Il moro si fece scuro in volto e prese per il collo quell’uomo. –Toccala un’altra volta e stai certo che ti combino un bello scherzo, razza di stronzo-. Il locale aveva cominciato a tremare e Demetra aveva preso Heléna per portarla sotto un tavolino. Pezzi di soffitto caddero sul pavimento e in testa ai morti. La bionda e la mora avevano le mani sulla bocca per ripararsi dalla polvere. –Ma che succede?-, gridò Heléna sopra il fracasso dei massi.

-Il boss si è arrabbiato. E anche tanto! Non ha mai avuto una reazione così!-. I massi smisero di cadere ma le due aspettarono ancora un po’ prima di uscire allo scoperto. Al posto dell’uomo c’era un cumulo di cenere. Lucifero, di tre quarti e con le mani i tasca, fissava con il suo sguardo tenebroso un punto sulla parete lì davanti.

-Tutto ok?-, chiese titubante Heléna avvicinandosi piano. Lui spostò lo sguardo su di lei e fece un piccolo e delicato sorriso. Improvvisamente, alla ragazza, sembrò che Lucifero fosse un angelo, una creatura celestiale di una bellezza mozzafiato.

Heléna distolse lo sguardo per un secondo poi tornò a guardarlo. Non era più quell’angelo che aveva visto, ma comunque rimaneva di quella bellezza sovraumana. –Torniamo a casa-, disse infine ed uscirono sotto gli occhi terrorizzati di tutti.

 

 
 
 

La casa era buia e silenziosa, c’era solo la debolissima luce rossa di una candela accesa vicino alle scale. Lucifero si sedette sul divano e nascose il viso fra le mani. Heléna lo guardò a lungo poi prese il fiato e si sedette vicino a lui, poggiando la testa sulla sua spalla.

Il ragazzo rimase immobile ma disse, con la sua voce leggermente rauca e tenebrosa:-Non sopporto quelli che fanno come lui…-.

Lei gli si mise in braccio e lo abbracciò, facendo affondare il viso nella cavità tra il collo e la spalla. Lucifero tolse le mani dalla faccia e guardò il pavimento, sorpreso della reazione di Heléna. Sorrise e le mise le mani sulla schiena.

-Come farei senza di te?-, mormorò accarezzandole i capelli con uno sguardo malinconico.

-Come hai sempre fatto-.

-Una vita triste quindi. Hai dato un tocco di colore alla mia esistenza da angelo rinnegato-.

Heléna si allontanò per guardarlo negli occhi poi si avvicinò lentamente e titubante. I loro nasi si sfiorarono leggermente prima che lui appoggiasse con delicatezza le labbra su quelle della ragazza, che non lo respinse, ma gli mise le braccia intorno al collo. Lucifero appoggiò la schiena sullo schienale del divano e appoggiò una mano sulla coscia di Heléna. –Ti incavoli se ti accarezzo?-, le chiese ridacchiando, tra un bacio e un altro. –No, perché?-.

Le accarezzò la coscia poi dietro il ginocchio e un pezzetto del polpaccio. Con la mano risalì lungo il fianco fino alla vita. Lì portò la mano dietro la schiena poi sulla nuca e infine tra i capelli.

Heléna si allontanò lentamente e si morse il labbro. –Che c’è? Non dirmi che hai sonno-, chiese lui alzando un sopracciglio.

-Un po’-.

-Ma vaaa! E’ sabato sera, si fa casino!-.

-Io non sono quel tipo di persona-, mormorò piegando la testa.

-Tu sei una santarella-, ridacchiò e la ribaciò.

 
 
 
 

ANGOLO DELL’AUTORE: Ehilà! ^^ quest’ultima parte l’ho scritta perché mi sentivo particolarmente romantica XD comunque, vi è piaciuto? =3

Ringrazio tutti quelli che seguono la storia, recensiscono ecc XD ringrazio sopratutto Tsux3 che ha ideato Demetra, la guida dell’Inferno. Grazie Tsu! ^^

Grazie a tutti e alla prossima! =D


LUCIFERO

 HELENA



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Capitolo 6
*** Capitolo V - Verso il Purgaorio ***


Il mattino dopo, Heléna si risvegliò sul divano, con la testa appoggiata su un braccio. Non il suo. Girò lentamente la testa e si ritrovò davanti Lucifero, che dormiva ancora. Corrugò la fronte e si alzò lentamente, cercando di non svegliarlo. Era vestita ancora come la sera prima, solo che si era tolta gli stivali. Sbadigliò e si sorprese di non trovare Tisha o qualcuno dei piccoli servi di Lucifero. Andò a cambiarsi, mettendosi qualcosa di più comodo: un paio di jeans e una felpa. Quando riscese nel salotto non trovò il ragazzo sdraiato sul divano, lo vide nel porticato, mentre parlava con Demetra e buttava una sigaretta ancora tutta intera. Uscì anche lei. –Hai rotto-, sbuffò Lucifero. La mora mise le mani sui fianchi e gli lanciò un’occhiataccia, poi si accorse di Heléna e sorrise, mentre il ragazzo non la degnò neppure di uno sguardo. –Buongiorno-, disse Demetra e fece segno all’altra che il boss era nervoso quella mattina.

-Buongiorno eh-, lo salutò Heléna squadrandolo. Era davvero strano a volte. Lui la guardò con la coda dell’occhio e sorrise girando un po’ la testa verso di lei.

-Dormito bene?-.

-Ho il torcicollo. Come cuscino ho usato il tuo braccio no?-.

-Tutti muscoli, sentito?-.

-Ma ti prego!-, lo schernì Demetra con una smorfia. –Vogliamo andare?-.

-E andiamo-.

Si incamminarono poi Lucifero si fermò di colpo. –Perché andiamo a piedi se ho una macchina?-.

-Ascolta boss, quando arriveremo al portale per il Purgatorio e lo varcherai stai certo che ti troverai su una strada dove ci passa a malapena un uomo, non conviene portarsi dietro una macchina. E poi la strada non è lunga-, sbuffò Demetra, scocciata. –Cara Heléna, ti faranno santa-.

La bionda sorrise divertita e lanciò un’occhiata a Lucifero che era afflitto perché, primo, non voleva andare a piedi e secondo perché non poteva sfoggiare la sua splendida macchina sportiva. In fondo lui era il Diavolo, doveva annunciare il suo arrivo nelle strade dell’inferno con un rombo di tuono, che in questo caso sarebbe il motore dell’auto.

-Ti prego, Demetra-, si lagnò.

-Smettila di fare il bambino viziato. Fai il ragazzo maturo eh. Che dimostra tutti gli anni che ha-.

-Ahaha-, rise con sarcasmo lui. –Non puoi immaginare cosa ho passato in questi anni-.

-Dalle voci che girano direi che te la sei spassata: tante donne, tanti guai, bla bla. Come testimone c’è Doroty eh, quindi occhio-.

-Doroty la barista?-, chiese Heléna senza capire. Demetra sapeva un sacco di cose su Lucifero, si conoscevano da un sacco di anni, dopotutto.

-Proprio lei. Boss, puoi andare un attimo più avanti?-.

-Demetra-, la ammonì lui con uno sguardo minaccioso, che non fece alcun effetto sulla donna che disse all’orecchio di Heléna:- Doroty è andata dietro a Lucifero per un sacco di tempo. Sono stati insieme, lei è la sua ex storica!-.

-Wow-, commentò la bionda sbattendo le ciglia ripetutamente, come se non avesse capito.

-E ti dirò di più. Doroty, oltre a te, è l’unica umana ancora in vita qui nell’inferno. Non a caso, era una sgualdrina-. Heléna divenne rossa ma non disse niente e si limitò a fissare Lucifero che camminava davanti a loro. I capelli neri spettinati, le spalle larghe, la vita stretta, i muscoli delle braccia esposti solo per metà e quella sua camminata da gran figo. Non c’era da stupirsi se la stragrande maggioranza delle donne sul pianeta gli andassero dietro.

Si girò un po’ per guardarle con la coda dell’occhio e lanciò loro un’occhiata. Heléna si sentì perforata da quello sguardo, come se la stesse trapassando da parte a parte. –Allora? Che avete deciso?-, disse mettendo le mani in tasca. Le due lo raggiunsero e si incamminarono senza fiatare, ognuno immerso nei suoi pensieri.

-Mi spiegate questo fatto dell’Inferno? In tutti questi palazzi chi ci abita?-, chiese d’un tratto Heléna tenendo lo sguardo fisso sulla strada.

-I demoni e le anime dei peccatori. Durante il giorno le anime vanno al palazzo dei gironi, mentre i demoni vagano tra gli umani e interagiscono con loro, ma questi ultimi non sanno che sono demoni. Sanno confondersi bene-, spiegò Lucifero. –A fine giornata tornano tutti qui, altrimenti rimangono chiusi fuori. Ci sono i Cancelli dell’Inferno che si chiudono dopo cena, ma l’orario non è fisso. Solo io posso stare fuori anche dopo che si sono chiusi i Cancelli.  Comunque, una volta che sono tutti dentro, le anime si dedicano a quello che gli piace fare: disegno, motocross, relly, paracadutismo-.

-Ci vanno leggeri eh-, commentò Heléna.

-Sono quelli più comuni. Ma ci sono anche la lettura, o altre cose più leggere. Questo se non vengono al bar, se vengono invece si ubriacano, fanno a botte o ci provano con le cameriere o qualche altra donna-, aggiunse Demetra.

-Ma allora c’è un orario per le pene nei gironi-.

-Sì. Parte alle otto di mattina fino alle 8 di sera. C’è la pausa pranzo e la pausa caffé-.

-Ma le pene dei gironi sono come quelle descritte da Dante nella “Divina Commedia”?-, chiese Heléna e quell’opera  fece ricordare, sia a lei che a Lucifero, del loro primo incontro. Sorrisero entrambi, inconsapevolmente, a quel ricordo.

-No-, rispose sempre Demetra scrutando i sorrisi dei due. –Sono sempre legati ai nostri peccati ma sono diversi. Io, per esempio, che ho commesso il peccato della Gola, sono tormentata da visioni di cibo appetitoso e mi brucia lo stomaco-.

-Ah. Ma com’è dentro il Palazzo dei Gironi?-.

-Tipo quegli uffici ultramoderni. Ogni piano corrisponde a un girone e ogni piano è suddiviso in due stanze dove ci chiudono dentro le anime peccatrici (tutte in una sola stanza non entrano). Lì ti siedi su delle sedie abbastanza comode e vieni torturato-, sghignazzò. –Durante le pause si può uscire e mangiare. E’ come un lavoro per noi solo che non abbiamo lo stipendio-, e scoccò un’occhiata a Lucifero che fece un sorriso sghembo come a dire che non l’avrebbe mai pagata.

  -Comunque siamo quasi arrivati-, informò la mora. Videro davanti a loro un grosso e altissimo ascensore d’acciaio e vetro. La fine non si vedeva.

-Per sapere la strada devi esserci venuta chissà quante volte-, azzardò Lucifero scoccando un’occhiataccia a Demetra poi guardò un punto sulla parete e corse via.

-Che gli prende?-, fece Heléna guardandolo correre via.

-Ah non lo so! Quando io mi metto a correre così vuol dire che mi scappa ma siccome lui è il Diavolo non so se sente gli stessi stimoli, non so se mi spiego-.

-Ho capito-, rispose Heléna divertita. –Sai, stavo ripensando a ieri sera, quando si è arrabbiato così tanto-.

-Ascolta, Heléna, la mente di un demonio è contorta e manipolatrice, non si capisce quello che gli passa per la testa e se cerchi di capire impazzisci. Sono imprevedibili e maledettamente pericolosi. Per non parlare del loro magnetismo, o sex-appeal. Oh, quello ti frega! Tornando a noi, conosco Lucifero abbastanza a fondo da poter dire che c’è qualcosa sotto. Cioè, non mi ha insultato nemmeno una volta in tutta la serata, e quando mi insulta ci va molto pesante, non mi ha neppure tirato qualcosa! Quando mi tira gli oggetti di solito si tratta di sedie, bicchieri, tavolini. Non mi prende mai eh, sono una specie di fantasma, posso perdere consistenza se ne ho voglia, diventare trasparente e queste cose strafighe. C’è qualcosa sotto per forza. Non è mai stato tanto educato, nemmeno quando stava con Doroty-.

-Quindi cosa pensi? Che sia innamorato di me?-.

-Odio fare giri di parole, andrò dritta al punto: sì. Secondo me è così, nella migliore delle ipotesi-.

-Nella peggiore?-.

-Nella peggiore ti sta usando per i suoi scopi egoisti. Perché, cara mia, c’è da calcolare anche questo-.

-Lo so, ci ho già pensato-. Heléna rimaneva perfettamente seria e impassibile.

-Sei sveglia, ragazza. Dimmi, hai fatto qualche patto con lui?-.

-No, nessuno-.

-Hai fatto bene. Che io sappia, quando fa dei patti con qualcuno chiede sempre in cambio qualcosa come l’anima o qualcos’altro che non vuoi o non puoi dare. Lui conosce la paura più profonda di ognuno. E’ maledettamente bravo a capire queste cose-.

-Dell’anima ne abbiamo già parlato qualche giorno fa. Sono stata molto chiara con lui a riguardo-.

-Se vuoi che Lucifero ti dia retta devi comportarti come una regina, anche se non puoi ordinargli un bel niente-.

-So come fare con lui. Non lo temo affatto, non l’ho mai temuto. Lo sto aiutando-.

-Perché hai una cotta per lui-, concluse Demetra sorridendo mentre i suoi occhi gialli le brillavano di una luce maliziosa. La fermezza di Heléna vacillò un istante.

-Non gli si può dire brutto, dai-.

-Non ho mai detto che è brutto. Anzi è un gran figo ma sii prudente, perché, come già ti ho detto, è proprio quel suo magnetismo, quel suo sex-appeal che ti frega. O che per lo meno, ha fregato un sacco di donne e parecchi uomini hanno cercato di imitarlo diventando suoi “seguaci” ma lui non se li fila di pezza, credimi, ma tu sei Heléna. Non sei come loro-.

Lucifero tornò di corsa e si sistemò la frangia con la mano. –Scusate se vi ho fatto aspettare-.

-Non voglio neppure sapere che cosa sei andato a fare-, borbottò Demetra mentre chiamava l’ascensore.

Quello arrivò in un attimo e si aprirono le porte. Dentro c’era un ragazzino sui quattordici anni, dai capelli scuri spettinati con la frangia che gli finiva tra gli occhi di un verde intenso dallo sguardo magnetico, affascinante e misterioso. Aveva un sorrisetto da strafottente. Aveva un abito elegante grigio, la camicia sotto era nera e il cravattino rosso. Era piuttosto alto per essere un demone così giovane. Dalla schiena uscivano due grandi ali nere che muoveva placidamente. Sembravano fatte di fumo.

-Guarda chi si rivede! Demetra è tanto che non ti vedo-, disse il ragazzino. Demetra sorrise e gli arruffò i capelli.

-Boss, comandi-, fece gentilmente il moretto.

-Jake portaci in cima-, ordinò Lucifero.

-In cima? Okay allora ci metteremo un po’-, Jake cliccò il pulsante. Con gran stupore di Heléna, i tasti non erano numerati. C’erano un sacco di pulsanti, ognuno di un colore diverso. Quello che aveva premuto il ragazzo era di color porpora.

L’ascensore cominciò a salire. Sotto di loro si estendeva tutto l’Inferno: una grande città simile a New York circondata da un’altissima parete di roccia impossibile da scalare e un soffitto di pietra. Heléna individuò un campo da calcio e si stupì. –Abbiamo anche una squadra di pallone-, le spiegò Jake con un sorrisetto malizioso, notando la sua espressione esterrefatta. –Avete tutti comfort qui eh?-, sorrise lei.

-Eh già, non ci facciamo mancare nulla, anche se siamo tutti dannati-.

Della serie “Abbiamo tutto ma non abbiamo niente”, pensò Heléna provando quasi compassione.

Dopo qualche minuto d’ascensore, raggiunsero una sporgenza nella roccia, appena sotto il soffitto dell’Inferno. Uscirono dall’ascensore e Jake rimase lì ad aspettare, paziente.

Davanti a loro si estendeva una lunghissima galleria dove in fondo si vedeva a malapena una luce bianca.

-Io non posso andare oltre-, disse Demetra. –Non posso uscire dall’Inferno-. Heléna era dispiaciuta. Le piaceva la compagnia di Demetra. Era simpatica e ci sapeva fare con le persone. La mora li salutò con un cenno della mano e rientrò nell’ascensore con Jake, che aveva salutato con un piccolo sorriso e un gesto della mano. Poi se n’erano andati, tornando alla loro vita quotidiana.

-E così siamo di nuovo noi due-, le sorrise Lucifero. Heléna lo guardò in imbarazzo e sorrise timidamente.

-So che quelli del Purgatorio sono dei gran rompiscatole. Giuro che se mi dicono qualcosa li ammazzo. Ah ma lo sai che il Purgatorio non ha un boss? Quindi, dal momento che ci entro io divento io il capo. Se ci veniva mio fratello diventava lui il re-, continuò lui.

-Ma allora Dio è tuo fratello davvero!-.

-Eh no-, disse sarcastico. –Perché non ci credevi?-.

-No-, ammise alzando un sopracciglio e studiandolo.

I due si incamminarono per il lungo tunnel e quando arrivarono in fondo furono investiti da una luce accecante.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

ANGOLO DELL’AUTORE: Rieccomi =3 allora che ve ne pare? All’inizio ho immaginato l’ascensore come quello di Willy Wonka però poi ho detto: “No sennò lo plagio”. Cosa succederà nel Purgatorio? Domani vi farò sapere ;)

Ah, sto leggendo un libro, “Due Candele per il Diavolo”. E’ molto carino ve lo consiglio =3 Parla di una ragazza che è figlia di un angelo e le uccidono il padre (che è un angelo). Però siccome gli angeli possono essere uccisi solo dai demoni allora è stato per forza un demone e Cat, la protagonista, vuole scoprire chi è l’assassino. Così la aiuta un demone di nome Angel (wow XD), che fra l’altro, è anche stimabile XD ve lo consiglio ^^

Ringrazio chiunque segue la storia, in particolare Zolie e Tsux3, e alla prossima :D

LizThompson

 
 

  

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Capitolo 7
*** Capitolo VI - Il Purgatorio ***


-Temo che si scatenerà una polemica sull’assenza di Lucifero-, disse Jake mentre scendevano.

-E’ molto probabile. I demoni vorranno conquistare il trono dell’Inferno e ammazzarlo quando torna. Dubito che ci riusciranno, lui è di gran lunga più forte-, rispose Demetra.

-Ci sono molti demoni forti, comunque. Probabilmente saranno loro a cercare di impossessarsi del trono-, rifletté il ragazzo prendendosi il mento fra il pollice e l’indice.

-Già. Col fatto che non avete una monarchia la situazione è pericolosa. Sembra che Lucifero sia diventando più buono e paziente di come era anni fa. E per anni intendo secoli-.

-Lo so, lo so. C’ero anch’io. Non ti ricordi? Appena tu sei arrivata sono stato il primo a dirti ciao-, fece un sorriso da squalo, mostrando tutti i denti, dai canini leggermente più affilati, come quelli dei felini. Tutti i demoni avevano quei canini, anche Lucifero. Certo non servivano per succhiare il sangue o roba del genere. Servivano solo per intimidire, o forse erano dovuti al fatto che i demoni mangiano solo carne. Comunque rimane il fatto che quando un demone sorride quella è la prima cosa che noti nella sua dentatura perfetta.

-Sì che ricordo-, sorrise Demetra. L’ascensore si fermò e Jake fece il tipico gesto che fanno i militari con la mano per salutarla.

La donna uscì dall’ascensore e si diresse verso casa. Jake ha ragione. Questa storia non si svolgerà bene. L’assenza di Lucifero scatenerà una grossa polemica e grosse lotte per il trono. Ammetto che non è tanto astuto come dicono, altrimenti ci avrebbe pensato a questo, invece non si è degnato neppure di preoccuparsi, pensò. –Accidenti, boss-, mormora entrando nella sua casa.

Era una grossa sala, con un divano color verde pisello e i cuscini bianchi. Davanti c’era un tavolinetto basso, e sulla parete opposta a quella del divano, c’era una libreria con una rientranza dove c’era il televisore. Alla destra del divano, c’era una portafinestra che portava a un balconcino. Dall’altra parte della sala c’era una cucina ad angolo e un tavolo quadrato. C’era una finestra sopra i fornelli e accanto alla lavastoviglie c’era un’altra portafinestra nascosta da una tendina verde.

Demetra entrò nel bagno, molto piccolo ma con molti spazi in cui mettere le cose. Si sciolse i capelli e li pettinò. Quando terminò andò in camera sua. Era una stanzetta piccola anche quella. C’era un letto dalle lenzuola verde acceso e sul comodino c’era una graziosa lampada. C’era una TV anche nella camera e, appesa al muro sopra il televisore, c’era una lunga mensola dove erano poggiati i libri, intervallati da fotografie, statuette o anche oggetti che le appartenevano da viva. Ogni volta che guardava quegli oggetti antichi, Demetra si rendeva conto di quanto si fosse modernizzata. La razza umana e lei.

*

Heléna e Lucifero si ritrovarono ai piedi di una montagna verdeggiante. A quanto pare, non era come diceva Demetra. Ok, era una montagna, ma il sentiero non era così ripido, stretto o che altro.

Lucifero si voltò per guardare la galleria da cui erano provenuti. I fondo, la luce era rossa e fioca, come quella di una candela.

-Ciao!-, disse una vocina. I due si voltarono e videro una bambina sugli otto anni, dai capelli color caramello e gli occhi azzurri, le guance ricoperte di piccole lentiggini e taglietti. I capelli erano legati in due treccine che ricadevano sulle spalle e arrivavano alla cintura. Lucifero la studiò socchiudendo gli occhi.

-Chi sei?-, chiese subito.

-Mi chiamo May. Suppongo che lei sia il signor Lucifero, il signore degli Inferi e ora anche del Purgatorio. I miei omaggi Vostra Maestà-, la bimba si inchinò leggermente e Lucifero fece un sorriso entusiasta guardando Heléna.

-Mi sembri un bambino che ha appena ricevuto un giocattolo nuovo-, commentò la bionda alzando un sopracciglio.

-Lei invece è…?-, fece May guardando Heléna con un sorriso.

-Mi chiamo Heléna-.

-Ma è viva-, commentò la bambina rivolgendosi a Lucifero. Lui fece sì con la testa:-Mi sta aiutando-.

-Ma gli umani non hanno paura?-.

-Non lei-, Lucifero fece un sorriso enigmatico e malizioso.

-Dove siamo?-, chiese Heléna guardandosi intorno. Erano su una spiaggia, alle pendici del monte.

-Nell’Antipurgatorio. Venite al villaggio-, May prese per mano i due e corse lungo la stradina.

-C’è un villaggio?-, esclamò Heléna stando al passo.

-Certo! Altrimenti dove dormiremmo?-.

-Ignorante-, commentò Lucifero con un sorriso giocoso, anche se del villaggio non ne sapeva niente neppure lui. La bionda gli lanciò un’occhiata e lui allargò il sorriso.

Il villaggio era immerso nel verde acceso di un prato. Le case erano di legno e i tetti di paglia, come quelli delle favole. Le case, la piazza, erano collegati da strade fatte con dei grossi massi piatti e tondeggianti di colori diversi.

-Non ci sono molte case perché ognuno di noi deve continuare a salire la montagna fino al Paradiso Terrestre, il Giardino dell’Eden. E’ la meta di ognuno di noi. Tutti quelli che sono qui, vuol dire che sono arrivati a questo punto dopo aver passato gli anni nell’Antipurgatorio. Un giorno, tutti quelli che sono qui ripartiranno e si porteranno le case appresso per rifermarsi in un altro spiazzo, più vicino all’Eden-, spiegò May.

-Ecco perché le case sono di legno-,disse Heléna.

-Sì. I mobili si possono smontare. Poi mettiamo tutto nei carri e ripartiamo-, fece una pausa. –Venite a casa mia, è quasi ora di pranzo e credo che la donna che si prende cura di me sia contenta di avere ospiti. Soprattutto se l’ospite è il signor Lucifero-.

Ruffiana, pensò Heléna corrugando la fronte. May li portò in una casetta piccola. Ai fornelli c’era una donna, di non più di vent’anni. Aveva i capelli neri e boccolosi. Era vestita con abiti da campagnola. Si girò e sorrise. Era una ragazza dai grandi occhi grigi, lievemente piegati in giù. Lucifero le sorrise e Heléna alzò gli occhi al cielo.

-Lei si chiama Midori. Era di origini giapponesi e i genitori le avevano dato questo nome. Però lei non era scintoista come loro. Lei era cristiana-,spiegò May. –E’ una ragazza molto silenziosa-, aggiunse con un po’ di malizia negli occhi.

-Che c’è? Le hai tolto le corde vocali?-, commentò Heléna.

-No, no. Ha fatto una specie di giuramento lei. In teoria sarebbe dovuta rimanere sella Terra, come fantasma, ma questo voto al silenzio non è così importante-. Midori la guardò con un sopracciglio alzato e uno sguardo di rimprovero.

Poco dopo, la mora portò in tavola il pranzo. Era un passato di verdura e Lucifero guardò il piatto, schifato. –Non fare lo schizzinoso-, disse Heléna roteando gli occhi.

-Odio le verdure-.

-Mi sembri un bambino. Devo imboccarti?-.

Lucifero si oppose fino alla fine ma Heléna, che ha principi, riuscì a infilargli il chiucchiaio in bocca e a farlo mangiare. –Che schifo-, commentò lui disgustato. Midori si rattristì e il moro andò da lei per scusarsi. –Oh Midori-chan, non è colpa tua se a me non piacciono le verdure-, disse in giapponese. Midori si impressionò e fece spallucce, come a perdonarlo.

-E da quando parli giapponese?-, gli chiese Heléna.

-Parlo tutte le lingue io. Mica sono un analfabeta-, rispose lui con un sorriso malizioso.

Dopo pranzo May, Heléna e Lucifero passarono la giornata in giro per il villaggio, mentre la bambina spiegava loro come andavano le cose lì. Tutti artigiani, specializzati in cose differenti. Tornarono a casa per l’ora di cena. Stavolta c’era la carne e il demonio mangiò con appetito. Dopo cena, tutti a letto. Midori e May dormivano in un letto matrimoniale mentre Lucifero e Heléna nella camera degli ospiti che aveva il tetto piegato e due letti piccoli divisi da un comodino.

-Mi dispiace signor Lucifero ma non abbiamo pigiami da uomini-, si scusò May.

-Non importa. Dormo così-.

May lanciò un’occhiata critica ai vestiti che portava e gli consigliò di togliersi almeno la camicia e il gilet per dormire. Lui ascoltò il consigliò e piegò la bocca di lato, mentre si sbottonava la camicia.

May, tornò in camera con una camicia da notte per Heléna e trovò Lucifero a petto nudo, seduto sul letto con i gomiti appoggiati alle cosce e le mani a penzoloni tra le gambe, mentre guardava il pavimento immerso nei suoi pensieri. Aveva gli addominali scolpiti e perfetti, come una statua. D’altronde era una specie di dio anche lui, era perfetto per forza.

Lui si accorse della presenza di May e alzò la testa. –Heléna è in bagno. Si sta facendo la doccia-, poi guardò la camicia da notte e sorrise divertito. Era una camiciola piuttosto corta... Ma conoscendo Heléna, Lucifero era sicuro che si sarebbe arrabbiata se solo l’avesse degnata di uno sguardo.

Dopo un po’ che May aveva portato la camicia a Heléna, la bionda uscì dal bagno ma poi rientrò subito, vedendo il ragazzo.

-Girati!-, gli gridò da dietro la porta. Lui sghignazzò divertito, era sicuro che avrebbe avuto quella reazione. Così si girò.

-Ok puoi venire-, disse.

La ragazza uscì cautamente e si infilò velocemente sotto le coperte. La camiciola era così corta che copriva fino a metà coscia.

Lucifero si girò e la trovò coperta fino al mento. Le regalò un sorriso divertito e si mise sotto le coperte anche lui. Si portò le mani dietro la nuca e rimase ad osservare il soffitto.

-Mi devi spiegare alcune cose-, disse d’un tratto Heléna girandosi e appoggiandosi su un gomito, stando attenta ad essere sempre ben coperta.

-Che c’è?-.

-Chi è Doroty per te?-. Lui girò la testa e la osservò con sguardo curioso e penetrante. –Un’amica-.

-E quando stavate insieme?-. Lucifero si sentì spiazzato e prese fiato. –Ci tenevo tanto. Certo, non avrei mai dato la mia vita per lei, al contrario di come farei ora per una persona-, le scoccò un’occhiata maliziosa.

Heléna rimase diffidente. –Perché l’hai lasciata nell’Inferno anche se è viva?-.

-Perché-, cominciò lui girandosi e appoggiandosi sul gomito. –Non è  disobbediente, non si lascia prendere dal panico e dopo tutto questo tempo non è ancora impazzita. Ed è utile al bar-.

-Quanti anni aveva quando siete stati insieme?-.

-Due o tre meno di te-.

-E tu sembri un ventenne. Ti avranno preso per pedofilo-.

-No perché lei veniva sempre nell’Inferno con me-.

Heléna storse la bocca con aria critica immaginandosi cosa facevano. –Non pensare male-, disse subito Lucifero. –Era troppo piccola e piatta per i miei gusti-.

-Che stupida, come ho fatto a non pensarci prima? A te piacciono le tettone! Perché sei un pervertito-.

-Sono maschio, ragazza mia. Il che rende naturale che mi piacciano certe cose. E poi ricordati che noi demoni abbiamo peccato anche di lussuria-, sghignazzò.

-Mi rifiuto di ascoltarti ancora-, esclamò lei e si girò dall’altra parte per dormire.

-Credevo che ci fosse altro che dovessi chiedermi-, disse lui con un sorriso malizioso. Heléna si girò e lo strafisse con lo sguardo.

-Se facevo un patto con te, cosa mi chiedevi in cambio?-. Le era venuto questo dubbio da quando aveva parlato con Demetra davanti all’ascensore.

Lucifero rimase in silenzio, il buio nascondeva le guance leggermente rosse di entrambi. Heléna per l’imbarazzo di una domanda del genere e lui per la risposta.

-Segreto. Non rivelo mai cosa chiederei in cambio a un mio “cliente”-.

-Ah quindi sarei una cliente?!-, sbottò la bionda drizzandosi a sedere, fregandosene se la camicia era scollata. Lucifero appoggiò la fronte sulla mano con uno sguardo esasperato.

-Ieri sera mi baciavi e ora sono una tua cliente?!-, continuò.

Lucifero rimase in silenzio, respirando piano. Quel suo silenzio infastidiva Heléna. –Quando ti parlo, mi farebbe piacere che mi ascoltassi, o che per lo meno mi guardassi. In faccia, magari-. Lui sospirò e la guardò così intensamente che la ragazza non riuscì più a muoversi.

-Che c’è? Dopo la predica mi fai anche la statuetta?-.

Lei rimase in silenzio lo sguardo intrappolato nei suoi occhi. –Ti ho baciato. E ti ho marchiato da piccola. Che c’entra, penserai. E’ una cosa che dovevo dirti. Ti ho marchiato perché volevo far capire a mio fratello che tu, Heléna, eri, sei e sarai, per sempre, una mia proprietà. Se sono geloso? Sono molto geloso, ok? Detestavo tutti quelli che ti guardavano al locale ieri sera, ero già nervoso di mio e poi, la goccia che ha fatto traboccare il vaso: spunta quel maiale che ti va a toccare il sedere. Con Doroty non ero così geloso. Ma con te sì-.

Heléna continuava a stare in silenzio, con la bocca leggermente schiusa. Sembrava pietrificata. Ma respirava. Si vedeva dal petto. –vuoi che ti chieda scusa per il marchio? Per… per qualche altra cosa, non so-, lei non rispose. –Lo Sguardo del Demone. Non dovevo guardarla così intensamente!-, borbottò e si alzò in piedi. Heléna non si muoveva, rimaneva sempre nella stessa posizione, con lo stesso sguardo. Lucifero la guardò e sorrise, poi le poggiò una mano sul ginocchio e un’altra sulla spalla per farla sdraiare. Le prese il viso fra le mani e le girò la testa, poi le chiuse gli occhi e la bocca. La coprì bene con le coperte. Gli sembrava di rivivere il momento della prima volta che si erano visti, solo che con un’Heléna più grande e più carina. E più rompiscatole, pensò Lucifero con uno sguardo divertito e intenerito al tempo stesso. Le scansò i capelli dalla fronte e vide il marchio. In realtà era una macchia che aveva la forma delle sue labbra e anche lo stesso colore. Ricoprì la fronte e le baciò una guancia. 

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Capitolo 8
*** Capitolo VII - Gli déi ***


Demetra si era appena svegliata e ora le toccava andare al Palazzo dei Gironi. Solita routine. Aprì la finestra per far prendere aria alla stanza e vide tutte le anime e demoni che scorazzavano in giro per l’Inferno. Per poco non le venne un colpo ma poi si ricordò che Lucifero non c’era.

-Demetra!-, chiamò una voce dalla strada. La ragazza si sporse per vedere meglio chi era. Era Jake, con una felpa e un paio di jeans, che si sbracciava.

-Che c’è?-, gridò in risposta.

-Posso fare colazione da te?-.

-Sei un parassita-, poi ci pensò su e gli fece cenno di salire. Il ragazzo fece un sorriso da squalo e corse verso il portone del palazzo.

Demetra gli aprì la porta mentre preparava il caffé, i biscotti, cornetti e miele. Jake entrò di corsa col fiatone, le ali che fremevano.

-Visto? Già si è scatenato l’inferno-, disse, poi si rese conto di quello che aveva detto e scoppiò a ridere. –oh mamma che comico che sono-.

Demetra gli lanciò un’occhiata e lui tacque. –Speriamo solo che non cerchino di distruggere la casa di Lucifero-, disse lei porgendogli la tazza col caffè. Jake ci soffiò sopra e bevve. Poi si sedette e iniziò a mangiare i biscotti. –Speriamo davvero. Anche perché poi il boss punirà tutti noi demoni e non mi va di rimetterci le penne per un errore di un demonio stupido-.

-Se i demoni che cercheranno di conquistare il trono di Lucifero saranno quelli più potenti, non credo che sono così stupidi-, gli lanciò un’occhiata. Jake continuava a mangiare e aveva quasi finito i biscotti.

-Li ho fatti io-, disse la mora. Il ragazzo fece un sorriso soddisfatto:-Buoni-.

-Li ho fatti col sangue-, disse ancora. Jake la guardò terrorizzato e risputò tutto nella tazzina dove c’era il caffè prima. Demetra scoppiò a ridere sotto lo sguardo furibondo del ragazzo. –Sarai anche un demone “giovane” ma sei un credulone!-, esclamò ancora tra le risate.

-Ehi, non fa ridere! Se non fossi immortale mi sarebbe venuto un infarto!-.

-Evidentemente te lo meritavi. Dopotutto sei un demonio-.

-Ma ti prego! Molti demoni sono anche più gentili di un angelo sai?-.

-Di questo ne dubito fortemente. Gli angeli sono l’ordine, la luce e tutte quelle cose da hippie, pace e amore, bla bla. Voi siete l’esatto opposto-.

-E allora il comportamento di Lucifero in questi ultimi tempi? E’ molto gentile-.

-Lucifero è Lucifero. E Lucifero è strano. Fa solo quello che gli va di fare. Se vuole sterminare gli angeli, lo fa. Se vuole conquistare l’universo lo fa. Ed è abbastanza potente per queste cose-.

-E Dio?-.

-Non è mai intervenuto. Cosa ti fa pensare che interverrebbe dopo che è passato sopra ad un sacco di cose?-.

Jake piegò la testa e ridusse gli occhi a due fessure. –Se Lucifero decidesse di conquistare il mondo Dio lo fermerebbe. Dopotutto è del fratello che stiamo parlando. Le più grandi potenze del mondo intero si scontrerebbero-.

-E sarebbe l’Apocalisse-. Jake annuì, come se finalmente Demetra capisse. –Tu l’hai mai visto?-, chiese lei.

-Visto chi?-.

-Dio-.

-Ahaha mica sono così vecchio da ricordarmi quando hanno rinnegato alcuni angeli!-, ridacchiò lui. –Sono nato all’epoca di Dante io-.

-Chi è così vecchio?-.

-Lucifero e pochi altri. Però loro hanno cambiato aspetto molte volte, per evitare di essere riconosciuti da altra gente che magari li aveva visti in dipinti del Medioevo e poi se li rincontravano vicini in quest’epoca. Sarebbe uno shock, capisci?-, sghignazzò malefico.

-Quindi Lucifero aveva un altro aspetto prima-.

-Oh sì! Non l’ho mai visto, ma me l’ha raccontato un demone che posso definire un padre per me. Diceva che Lucifero preferiva prendere l’aspetto di un ragazzo sui vent’anni anziché di quello di un vecchietto. Gli piaceva e gli piace la compagnia delle donne in modo particolare. Ma non ha mai avuto un figlio. Non si prende questa responsabilità-.

-Ci avrei giurato-, disse Demetra mentre cominciava a lavare i piatti e le tazzine.

Jake si sedette sul divano e cominciò a girare per i canali. –Sì fai come se fossi a casa tua, prego!-, esclamò sarcastica la mora scoccandogli un’occhiataccia.

-Sai che si dice anche di Lucifero? Che i primi tempi che era sulla Terra avesse un aspetto mostruoso. Aveva le corna, la coda e un forcone, da qui il tipico disegnino. Per far capire a tutti chi comandava. Ha sempre avuto queste manie, lui. Poi ha capito che era meglio fare il figo, questo dopo il Medioevo-.

-Quando è nato Cristo, come ha reagito?-.

-Ah qui viene il bello! Il mio cosiddetto padre, mi ha raccontato che quando nacque Gesù, Lucifero sia andato a trovare personalmente Dio per regalargli un fiocco azzurro. Lui si era stizzito e l’aveva cacciato, impedendogli di tornare ancora nel Paradiso per qualunque cosa. Ecco perché ha bisogno di Heléna-.

-Che altro sai dirmi di Lucifero?-. A quanto pare questo remoto passato del boss mi sfugge, pensò Demetra.

-Mmmh… Che gli déi dell’Olimpo e tutto il resto esistono. Però, per esempio, quando uno scintoista muore trova quello in cui crede la sua fede. La reincarnazione, o per altri il Nirvana. Roba del genere. Lucifero ha solo conosciuto quelli dell’Olimpo. Però Zeus e Ade sono rispettivamente Lucifero e Dio. Questo spiegherebbe del diluvio che si narra nella Bibbia e nei miti greci. Eh sì, perché si dice che anche Zeus abbia mandato un’inondazione, come Dio. Ma tanto sono la stessa persona. Mio “padre” dice che quando Lucifero ha conosciuto Eris, la dea della discordia, sia rimasto affascinato e abbia voluto frequentarla. Così, oltre a Doroty, la sua ex storica (nel vero senso della parola) è Eris. Poi si è preso una cotta per Persefone che non è nientemeno che Doroty-. A Demetra si prese un colpo.

-Sul serio?!-.

-Eh no-, disse sarcastico spegnendo la TV. –Doroty non è umana come pensi tu e come hai raccontato a Heléna. So che anche Lucifero le abbia mentito a riguardo, ma sarebbe scioccante per quella ragazza sapere tutte queste cose insieme. Dopotutto è umana. Comunque, Doroty è Persefone, la mezza dea. Inoltre Lucifero odia Era, che non è nientemeno che Maria, la madre di Cristo. Ma, mi sono ricordato ora, la ragazza più importante di tutti era Lilith-.

-Ah, sì ne ho sentito parlare. Ho saputo anche che è morta molti anni fa, poverina. Ma allora Gesù chi è?-.

-Uno dei tanti figli di Dio alias Zeus-.

-E Poseidone?-.

-Non ne ho idea. Sono due fratelli, non tre. Dio e Lucifero, Ade e Zeus. Poseidone credo sia una divinità che non esiste o forse è qualche demone che si trova qui e usava quel nome in passato. Che ne so io?!-, sbottò.

Demetra rifletté. Alcuni dei dell’Olimpo esistono, altri sono demoni o addirittura Lucifero e Dio o Doroty.

-Perché Gesù è rimasto nella storia mentre gli altri figli di Dio no?-.

-Perché Gesù è l’unico che si è ostinato a dire che esisteva un unico dio e gli hanno dato retta, per questo hanno smesso di venerare gli dei greci. E poi lui è l’unico che abbia detto di essere il figlio di Dio-.

-Dicono che Zeus sia un donnaiolo…-.

-Oh, beh Dio non è così. Quella è di sicuro una diceria. Forse si sono sbagliati con Lucifero-, sghignazzò. –Però chi può dirlo? Dopotutto sono fratelli. Se Lucifero è donnaiolo chissà, magari lo è anche un po’ Dio. Inoltre ha un sacco di figli mentre il boss nemmeno uno-.

-Invece del Paradiso che sai dirmi? Mi sarebbe piaciuto andarci…-.

-Oh… Il Paradiso è popolato dai figli di Dio e dagli angeli. Ma non tutti. Gli angeli custodi sono sulla Terra e si presentano ad alcuni umani bisognosi, non di denaro o roba simile, come amici che conoscono dall’infanzia. Io so chi è l’angelo custode di Heléna-.

-Chi è?-.

-Non posso dirtelo. E’ una questione della privacy-.

-Ma se mi ha spifferato tutti i segreti di Lucifero e Dio?!-, sbottò Demetra. Jake fece un sorriso da strafottente e si strinse nelle spalle. –Questo non voglio dirtelo-.

-Verme-.

-Demonio, prego-, la corresse. –Comunque gli angeli sono tutti mezzi hippie. Pace di qua, amore di là! Ma vi prego, distruggete qualcosa, vi sentirete meglio!-.

-Come facevi a sapere che Lucifero ha mentito a Heléna su Doroty?-.

-Ho un’amica nel Purgatorio. Ci mandiamo le lettere e lei mi racconta di quei due-.

-Ma come fa a sapere i loro discorsi?-.

-Lei adora Lucifero. Lo seguirebbe anche in capo al mondo, sulla Luna, ovunque. E’ innamorata, capisci? Così lo segue ovunque. Mi ha detto che lo va a spiare mentre dorme-, Jake rise.

-Una stalker!-, commentò Demetra, disgustata. –Ma tu come fai a sapere tutte queste cose di Lucifero, di Heléna, di Doroty?-.

-Un po’ me le ha dette mio “padre”, di Lucifero. Di Heléna perché lo capisco. Sono molto intuitivo io. E Doroty, beh mi stupisce che tu non lo sapessi-.

-Non mi confondo con quella gente-,ribatté.

-Dovresti. A volte è divertente sapere gli affari degli altri-, fece un sorriso da squalo e come ogni volta, Demetra rimase a fissare quei canini.

Lui ci passò sopra la lingua. –Non sono pericolosi. Sono dovuti al fatto che mangiamo molta carne da generazioni-.

-Come nascono gli angeli e i demoni?-.

-Quando muore un angelo nasce un demone e quando muore un demone nasce un angelo. Semplice no? Ma è difficile ucciderci-.

-Sì lo so. Sai quante volte ho provato a far fuori Lucifero?-.

-Immagino visti i vostri buoni rapporti-, commentò sarcastico.

Dopo un attimo di silenzio Demetra si appoggiò al tavolino e ridusse gli occhi a due fessure. –Ma tu non ce l’hai una casa?-.

-Non mi va di andarci-, disse guardandola e gonfiando le guance come un bambino.

-Moccioso-, commentò lei con una smorfia. –Via da casa mia. Hai mangiato, hai bevuto, hai fatto zapping. Ora te ne vai?-.

-Casa tua è comoda!-, si lagnò Jake mentre veniva spinto via da Demetra.

-Ciao ciao-, lo salutò lei sbattendogli la porta in faccia. Il moro rimase a fissare la porta con un sopracciglio alzato.

 
 
*
 
 
 

Heléna era seduta a gambe incrociate sulla riva del lago dove Lucifero e May si stavano facendo il bagno. Era palese che May fosse innamorata di lui e cercava sempre di montargli sulla schiena e lo stuzzicava con l’acqua.

Il ragazzo uscì dall’acqua mettendo in mostra tutti muscoli del petto. Aveva pantaloni e capelli zuppi. Smise di farli grondare con una scossa della testa e sorrise a Heléna porgendole una mano.

-Che c’è?-, chiese lei alzando la testa per guardarlo.

-Vieni a farti il bagno-, non era una domanda. Era un ordine. La bionda corrugò la fronte:-Non mi va-.

-Ma guarda un po’!-, la prese e se la caricò su una spalla mentre lei gridava di lasciarla scendere.

-Mettimi giù!-, ma un attimo dopo era già in acqua. –Ammettilo-, le disse Lucifero. –Un bagno ci vuole prima di riprendere il viaggio-.

Heléna riuscì dall’acqua tirandosi indietro i capelli e strofinandosi gli occhi. –Tu sei un bastardo-, e lo schizzò.

-Ohoh vuoi la guerra? E guerra sia-. Cominciarono a schizzarsi poi si resero conto che era ora di pranzo. Si guardarono e scoppiarono a ridere.

-Oddio prima hai fatto una faccia da pesce lesso-, gli disse mentre entravano nella casa di Midori e May zuppi. La mora li guardò sorpresa e fece cenno di uscire.

I due uscirono e quando finirono di grondare entrarono. Uno alla volta, si cambiarono e si vestirono con abiti appena stirati.

Lucifero indossava una camicia bianca, arrotolata fin sopra i gomiti, e i pantaloni neri tenuti stretti da una cinta di cuoio.

Heléna aveva un maglione bianco che le stava molto grosso e le mani le scomparvero nelle maniche. Il maglione avrebbe potuto farle da vestito ma lei preferì metterci sotto una gonnellina rossa con sotto le calze fin sopra il ginocchio nere.

A pranzo mangiarono il pesce appena pescato e poi Lucifero e Heléna ripresero il viaggio, dopo aver salutato e ringraziato.

-La permanenza non è durata a lungo eh?-, osservò lui dopo essere usciti dal villaggio.

-Pazienza. A me non stavano neppure tanto simpatiche quelle due-.

-Perché?-.

-Fatti gli affari tuoi-, e accelerò il passo. Lucifero la guardò allontanarsi con uno sguardo malizioso e un sorrisetto sulle labbra.

-Ogni tanto mi chiedo cosa stiano facendo all’Inferno in questo momento-, disse comparendo vicino a lei all’improvviso.

-Di sicuro un casino-.

Lui rimase in silenzio poi scoccò la lingua sul palato:-Guarda che lo so quello che succede là. So ogni cosa. E credimi, appena tornerò ristabilirò l’ordine-.

Continuarono a camminare in silenzio fino a raggiungere una parete perfettamente liscia e verticale. –Ti lancio lassù e tu aggrappati-, decise Lucifero.

-Neanche morta! Ci dev’essere un altro passaggio-, fecero il giro della parete e videro alcuni grossi massi piatti. –Possiamo usarli come scala!-.

-Li sposto io-.

-Oddio ora fa tutto il macho-, disse Heléna alzando gli occhi al cielo. Lui le scoccò un’occhiata poi, senza toccare i massi, li mise in posizione. –Sali va’-, le disse con un sorriso.

La bionda obbedì. In cima c’erano tutti alberi e scorreva un fiume limpidissimo.

-Ricordo questo posto…-, mormorò Lucifero toccando un albero.

-Come te lo ricordi?-, esclamò Heléna.

-Questo è il Giardino dell’Eden, la selva dove vivevano Adamo ed Eva-.

Lei rimase in silenzio poi chiese:-Com’erano?-.

-Non avevano niente di speciale. Lui aveva i capelli castani e la barbetta. Lei aveva gli occhi azzurri e i capelli ramati. Ma nessuno dei due aveva l’ombellico-.

-E poi sei arrivato tu da serpente e gli hai fatto commettere il Peccato Originale-.

-già. Mi sono divertito quel giorno-, ridacchiò.

-Ci hai resi mortali-.

Lui rimase in silenzio mentre il sorriso svaniva dalla sua faccia. Heléna si guardò intorno per cercare un passaggio per il Paradiso.

-Serve aiuto?-, le chiese un uomo coperto da una foglia. La ragazza gridò e corse ad abbracciare Lucifero, facendo affondare il viso del suo petto per non guardare. L’uomo guardò il moro, confuso. Il demonio però si limitò ad abbassare la testa, trovandosi sotto gli occhi la testa bionda di Heléna.

-Che ho fatto?-, chiese l’uomo.

-Ci serve il suo aiuto signore-, rispose Lucifero con gentilezza, mentre cercava di staccarsi Heléna di dosso.

-Mi dica-.

-Sa dove potremmo trovare il passaggio per il Paradiso?-.

-Dovrete aspettare la notte. Quando la Luna sarà alta nel cielo, si aprirà un varco di luce e dovrete attraversarlo-.

-Io veramente non posso. Lo attraverserà questa spaventabile ragazza-.

-Oh, come mai?-.

-E’ una lunga, lunghissima storia-, sorrise malinconico e l’uomo si allontanò. –Se n’è andato-, le disse. Heléna si allontanò e sbadigliò.

-Mi si stava per bloccare la crescita-, borbottò.

-Oh andiamo! Hai diciotto anni, non cresci più ormai-, sorrise e le fece segno che era bassina.

-Veramente, sono di una statura normale. Sei tu quello alto, bello mio-, lo corresse.

-E poi, pensa ad Adamo ed Eva. Andavano in giro nudi e non si vergavano-.

-Scusa, sai, se non sono come loro e sono più evoluta!-, fece una pausa poi si sedette ai piedi di un albero e incrociò le braccia. –E poi io non parlo con i pervertiti-.

-Che pizza che sei-, si sedette accanto a lei e aspettarono che calasse il buio.

Quando la Luna si era alzata in cielo, Heléna si era appisolata sulla sua spalla. Un lampo attraversò il cielo come una cometa, ma molto più grosso. Lucifero drizzò la testa per vedere meglio. Pochi istanti dopo, lì davanti si era aperto un varco luminoso. Il ragazzo svegliò la bionda che mugugnò qualcosa ma poi si svegliò.

-Heléna! Il passaggio, presto!-, esclamò. La ragazza scattò in piedi e mentre il varco si stava per richiudere, riuscì a infiltrarsi.  

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Capitolo 9
*** Capitolo VIII - Il Paradiso ***


Heléna si ritrovò nel centro esatto di una grossa piazza di marmo bianco e immacolato, dalla forma di rosa. Si guardò attorno, spaesata, e vide che la gente che passava emanava una tenue luce dorata. Ma non solo questo. Sembrava che sulla schiena avessero delle ali trasparenti, delicatissime, come quelle della fate.

Gli angeli. Stupende creature dai capelli bianchi, biondi, alcuni neri, altri rossi e altri ancora castani.

Tra folla passò una ragazza, dai capelli color caramello, gli occhi gialli e i tratti quasi felini, che si sventolava con il ventaglio e muoveva placidamente le ali. –Maya?!-, esclamò Heléna fissandola. Non poteva crederci, la sua migliore amica era lì! L’amica che conosceva da tutta una vita era lì ed era un angelo!

Maya sgranò gli occhi e si coprì il volto col ventaglio mentre si allontanava tra la folla. La ragazza la seguì a lungo poi la raggiunse e le poggiò una mano sulla spalla. –E da quando tu sei un angelo?-.

Maya sospirò e sorrise. –Lo sono sempre stata. Sono un angelo custode, il tuo angelo custode-.

-Comecomecome?!-, esclamò Heléna. Maya sorrise divertita e la guidò fino a una panchina, dove si sedettero e l’amica le prese le mani. –Heléna. Ricordi l’età in cui ci siamo conosciute?-.

-Sì avevamo sei anni. Ti ho fatto cadere dalla sedia il primo giorno delle elementari-.

-Sì. Ti ricordi com’ero io con te?-.

-Molto protettiva. Quando notavi un comportamento “strano” dei nostri compagni nei miei confronti diventavi gelosa-.

-Heléna, facevo così solo perché ero al corrente che tu avessi conosciuto Lucifero l’anno prima e cercavo di proteggerti. Poi, qualche tempo fa, quando siamo tornate dal campo estivo, non ho sentito la presenza del demonio e non ti ho protetta. Lui lo sapeva che io sono il tuo angelo custode e ha celato la sua presenza-.

Heléna abbassò lo sguardo. –Ma voi angeli non invecchiate-.

-Ho chiesto a Dio se poteva farmi diventare una bambina di sei anni e farmi crescere fino ai diciotto, per poi tornare normale. Noi angeli custodi possiamo farlo. Gli arcangeli no-.

-Potresti portarmi da Dio?-.

-Guarda, il mio amico Gabriel sta per andare da lui e io ho tante cose da fare. Ti ci farò portare da lui-.

-Gabriel l’arcangelo?-, esclamò Heléna. Maya annuì e alzò il braccio per richiamare l’attenzione di un ragazzo in fondo alla piazza. Fece qualche passo svelto poi comparve di fronte a Maya e le sorrise. –Maya-, la salutò. Lei ricambiò il sorriso e lo salutò con un cenno del capo. Aveva i capelli biondo scuro e gli occhi grigi. Aveva una spada attaccata alla cintura e le ali più grandi rispetto a quelle degli altri angeli.

-Gabriel, devo chiederti un favore. Potresti portare la mia protetta al cospetto di Dio?-. Gabriel annuì con un sorriso e fece cenno a Heléna di seguirlo.

La città degli angeli era interamente fatta di marmo e cristallo, luminosa e allegra. –Così tu sei Heléna eh?-, disse l’arcangelo.

-Già-.

-Colei che sta aiutando Lucifero-, continuò.

La ragazza rimase in silenzio e Gabriel aggiunse:-Tranquilla, da una parte è un male perché stai aiutando un Angelo Rinnegato, o meglio, il Principe dei Demoni e Signore dei Rinnegati. Ma da una parte hai quasi ragione. Bisogna sempre aiutare qualcuno, anche se questo qualcuno è Luzbel-.

-Luzbel?-, ripeté Heléna.

-Era il nome di Lucifero prima di essere stato rinnegato. Ricordo ancora quel giorno. Dio e Lucifero avevano litigato e lui gli aveva promesso che si sarebbe vendicato, che sarebbe diventato il dio supremo. Ci fu un lungo combattimento, gli angeli contro gli angeli ribelli, e anche Dio contro Lucifero. Era calata l’ombra sul Paradiso, i Rinnegati stavano vincendo. Poi Dio, in un ultimo sforzo, ha gettato Lucifero e i suoi nell’Inferno. Quando è nato Gesù, Luzbel è tornato e ha portato un fiocco azzurro. Lì aveva incontrato Eris, una delle figlie di Dio-, Gabriel fu interrotto da Heléna:-Come?! Eris è la figlia di Dio?!-.

-Sì. Dio è Zeus in realtà, e Lucifero è Ade. Comunque, lui ebbe una lunga relazione con lei. Si frequentavano di nascosto ma Dio fu paziente e lasciò spazio all’amore, che anche un demonio può provare-. Heléna abbassò lo sguardo.

-Gli Angeli Rinnegati peccavano, e peccano tutt’ora, di lussuria e orgoglio. Oltretutto, spingono anche gli umani a fare gli stessi peccati-,continuò l’arcangelo.

-Lo so, ho avuto un’esperienza personale-.

-Lo so-, sorrise. Salirono delle alte scale di cristallo, sospese in aria, fino a raggiungere una grossa casa. Da fuori era identica a quella di Lucifero, solo che al posto delle pietre aveva il marmo.

-Rivedrò Lucifero?-, chiese lei. Il biondo sorrise, intenerito. –Non lo so. Ti auguro di sì, perché anche se lui è quello che è, l’amore è bello. E’ sempre bello, cara Heléna-.

Lei sorrise e piano piano raggiunsero la cima. La casa era grande e spaziosa, proprio come quella di Lucifero. Anche le stanze e la disposizione dei mobili era uguale! Solo che erano di colore diverso. C’era molto oro, molto bianco e molto azzurro. Una piccola serva dalle ali fatte di piume candide accolse i due. A Heléna ricordava Tisha e sorrise. La donnina aveva i capelli castani e mossi, gli occhi di un intenso giallo e il viso tondo e senza nemmeno una ruga.

-Mi chiamo Miriam. Prego, seguitemi. Dio si trova al piano di sopra-. Salirono le scale e raggiunsero quello che doveva essere una specie di sala delle conferenze, cosa che Lucifero non aveva.

Al centro della sala c’era un ragazzo dai capelli bianchi, spettinati, che gli coprivano anche la nuca. Era di schiena e portava una camicia bianca, arrotolata fin sotto i gomiti, i pantaloni erano marroncino molto chiaro, tenuti su da una cinta nera. Aveva le mani in tasca ed emanava un fascino quasi irresistibile, come Lucifero. Tutti in cerchio c’erano probabilmente gli arcangeli: Uriel, Mikael e Raphael. C’erano anche due donne. Una aveva i capelli nerissimi e gli occhi scuri, dallo sguardo caldo e materno. Un’altra aveva morbidi boccoli castani e occhi di un blu metallico.

Il ragazzo al centro della stanza si voltò e per poco a Heléna non le venne un colpo. Era identico spiccicato a Lucifero! Se non fosse stato per i capelli, gli occhi color ghiaccio e la carnagione diafana se lo sarebbe quasi sbagliata con il Diavolo. Dio. Dio in persona. Le sorrise e disse:-Heléna, benvenuta-. Aveva una voce così limpida e melodiosa. Era un piacere ascoltare.

La ragazza sorrise imbarazzata. –Non devi essere timida. Accomodati-, le disse gentilmente indicandole una sedia accanto alla donna dai capelli castani.

-Gentili arcangeli, gentile Maria, gentile Atena e gentile Gesù-, riprese. Heléna guardò gli arcangeli. Si somigliavano tutti, biondi e occhi più o meno chiari. Gesù era un ragazzo che la bionda non aveva notato. Aveva i capelli castano scuro e gli occhi nocciola. Aveva un leggero accenno di barba.

-Vorrei presentarvi Heléna-, continuò Dio. Tutti la salutarono poi si congedarono e uscirono, lasciando Heléna e Dio soli.

Il ragazzo si accomodò vicino a lei e divenne serio, con uno sguardo preoccupato. –Heléna. Perché sei qui?-.

-Sto aiutando Lucifero-.

-Immaginavo. Che cosa vuole?-.

La ragazza era sconcertata. Parlare con Dio, che era la fotocopia al negativo di Lucifero! –Dice che si è pentito e vorrebbe tornare nel Paradiso-.

Dio sorrise e fece chiamare Miriam, che accorse subito. –Fai entrare Luzbel nel Paradiso e portatelo qui. Per sicurezza, incatenatelo-.

Miriam annuì e corse via. L’albino tornò a guardare Heléna. –Ora che mio fratello varcherà la soglia del Paradiso, vedrai il suo aspetto da angelo rinnegato-.

-Com’è?-.

-Niente di particolare-, sorrise. Poco dopo si sentì una voce vagamente rauca che minacciava gli angeli. Una voce familiare. Dio abbassò lo sguardo con un sorriso e poco dopo entrò Lucifero, con le catene ai polsi. Ma c’era qualcosa di diverso. I capelli neri avevano i riflessi di un rosso brillante e anche gli occhi erano color rubino. Dalla schiena spuntavano due enormi ali nere che sembravano quasi quelle di un pipistrello. Alle estremità avevano un corno bianchissimo.   

-Lucifero-, lo salutò freddamente l’albino.

-Dio-, ricambiò il moro con altrettanta freddezza. Ma nella sua voce c’era un tono di sfida. Guardò Heléna per un lunghissimo istante.

-Potresti togliermi le catene? Sai, cominciano a farmi male-, borbottò Lucifero lanciandogli sguardi fulminei. Faceva strano vedere le più grandi forze del mondo così vicini, così uguali. Luce e tenebre. Ordine e caos. Bene e male. Amore e Orgoglio, Odio, Lussuria. Purezza e peccato.

-No, fratello. Non posso fidarmi di te-.

Lucifero storse la bocca. –Prudente come sempre-.

-Fratello. Heléna mi ha detto che ti sei pentito e che ti piacerebbe essere riaccettato nel Paradiso-. Il moro rimase in silenzio e si sedette accanto a Heléna.

-Però devo rifiutare la tua richiesta-, continuò Dio. Il demonio sgranò gli occhi. –Come? Perché?-.

L’albino gli poggiò una mano diafana sulla spalla, con uno sguardo di profondo affetto. –Lucifero, non esiste il bene senza il male e non esiste il male senza il bene-. L’Angelo Caduto si rattristì e abbassò la testa. –Tuttavia-, proseguì il fratello. –Tu hai dimostrato la grande capacità di saper amare. Non una semplice cotta come quella che hai avuto con Eris o Persefone. Un amore più grande, che supera e riesce a cancellare tutti i tuoi peccati. Daresti la vita per quella persona, faresti di tutto per lei. Lo so. Lo vedo da ogni tua singola azione anche non rivolta a lei. E poi, gli occhi sono lo specchio dell’anima, fratello mio. Il tuo è uno sguardo innamorato-.

Lucifero tremò leggermente, scosso da quelle parole. Abbassò ancora di più la testa e un altro brivido lo scosse. Una lacrima cadde sul suo ginocchio. Una sola. Heléna abbassò la testa per guardargli il viso coperto dai capelli.

-Lucifero…-,sussurrò stupita e intenerita al tempo stesso. Dio la guardò con uno sguardo tenero poi si girò di spalle.

Stavolta fu il Diavolo a guardare Heléna. Girò piano la testa e la guardò. La guardò come non aveva mai fatto. I suoi occhi rossi rivelarono tutto. Tutto quello che si sentiva dentro. Sofferenza, amore, tristezza, solitudine, e un pizzico di paura.

-Fratello-, riuscì a mormorare Lucifero. Dio si voltò. –Dopo che andremo via dal Paradiso, Heléna dove andrà?-.

-Dove vuole lei-. Il moro alzò la testa scoprendo il bel viso rigato dalle lacrime.

-E se lei volesse tornare a casa?-.

-Io non voglio tornare a casa-, disse Heléna. Il demonio si girò per guardarla, stupito. –No-, ripeté.

-Heléna… tu… cioè, dove…?-.

Gli sorrise, lasciando capire le sue intenzioni e il viso di Lucifero si illuminò di uno splendido sorriso di gioia. Anche Dio sorrise poi liberò il fratello dalle catene. Lui si alzò e i due gemelli si abbracciarono, dandosi affettuose pacche sulla schiena.

-Tornate a casa. Avete un sacco di cose da sistemare-, disse Dio dopo aver sciolto l’abbraccio col fratello. Heléna e Lucifero si avviarono ma l’albino li trattenne un secondo. –Ah, fatevi vivi qualche volta. Mi fa sempre piacere una vostra visita-.

I due sorrisero e scomparirono in un lampo di luce.

 
 
 
 
 

Tornati nell’Inferno lo trovarono tutto incasinato. –Demetra abita in quel palazzo. Vai da lei-, disse Lucifero a Heléna. Lei non se lo fece ripetere due volte e corse a casa di Demetra.

Il Diavolo guardò il suo regno e sospirò, prese fiato e tuonò:-Chi osa cercare di impossessarsi del mio trono?!-.

I demoni più potenti si andarono a prostrare ai suoi piedi ma lui li guardò con disprezzo.

-Mio signore, volevo impossessarmi momentaneamente del tuo trono per controllare la situazione-, disse uno.

-Astaroth, mi sorprendi. Dici davvero?-.

-Certamente-. Lucifero lo guardò con uno sguardo diabolico e sguainò una spada dalla lama nera e l’elsa dorata dove era incastonato un rubino. –Ti ucciderò comunque. Nessuno deve azzardarsi a prendermi il trono-, gli conficcò la spada nella nuca e la girò. Il demone cadde in una pozza di sangue e Lucifero ripulì la lama sui suoi vestiti. –Chi altro ha cercato di impossessarsi del mio potere? Oh, che sciocco. Già lo so. Tutti voi infami cercavate di impossessarvene-. Con un veloce gesto tagliò a metà ogni demone lì presente e ripulì la lama sui loro vestiti con molta freddezza e indifferenza. Passò sopra un cadavere e camminò lungo la strada che portava a casa sua. Un demone di minima importanza stava cercando di attraversare il cancello della villa ma come vide Lucifero cadde a terra, davanti ai suoi piedi. –Stupido. Un demone insulso come te non deve neppure arrivare alla distanza di cento metri da casa mia. Avete cercato di spodestarmi, e chi ci sarebbe riuscito mi avrebbe ucciso una volta che fossi tornato. Siete tutti degli stupidi se pensavate che ci sareste riusciti-, e lo uccise mozzandogli la testa.

-Mi viene la nausea-, commentò disgustato. L’Inferno era calato in un silenzio tombale e poco dopo Demetra, Heléna e Jake lo raggiunsero. Jake si inchinò e Lucifero gli poggiò una mano sulla testa. –Jake, non c’è bisogno che continui a lavorare nell’ascensore. Ora puoi fare quello che vuoi, basta che mi avverti-.

-Posso fare il capitano della squadra di calcio?-.

-Va bene-. Il ragazzo corse via, verso il campo da pallone dopo aver ringraziato Lucifero.

-Demetra, mi pesa dirlo, ma puoi anche terminare il tuo ciclo di torture al Palazzo dei Gironi. Potresti lavorare all’ascensore, al posto di Jake-. Demetra lo guardò con un sorriso astuto e lo ringraziò, allontanandosi.

Lucifero e Heléna si guardarono, si sorrisero e si abbracciarono. Lui la sollevò da terra e la fece girare. La loro favola non sarebbe mai finita.

 
 
 
 
 
 

ANGOLO DELL’AUTORE: Beh ragazzi e ragazze, che vi devo dire, questo è il terzultimo capitolo di questa breve fic. Il prossimo sarà molto corto perché si parlerà solo di quello che succede nel futuro (qualche anno dopo). E il prossimo ancora, che sarà il capitolo finale, sarà diverso e speciale ;)

 All’inizio, in questo capitolo volevo fare che Heléna diventava un angelo e Lucifero le diceva:”Uffa ma così sarà difficile vedersi!” , ma poi ci ho ripensato. Non so se scriverò un continuo...

 Ok, la storia è corta, il problema è che non saprei proprio come continuarla =/ pazienza, spero solo che è una storia che vale =) grazie a tutti, in particolare a Zolie, Tsux3 e St_rebel, e al prossimo! ^^

 

LizThompson 









Per Dio, immaginatevi un ragazzo tipo questo qui XD però con gli occhi color ghiaccio e somigliante all'immagine di Lucifero dei capitoli precedenti =)

Questa dovrebbe, DOVREBBE, essere Maya ma purtroppo delle immagini somiglianti a lei non le ho trovate T.T



Lucifero & Dio *w*

Lucifero & Dio *w*





E questo bel figurino dovrebbe essere Jake XD pure se non sembra tanto un quattordicenne =/ e vabe x3 Le immagini di Demetra non le ho trovate *scoppia a piangere* mi dispiace T.T

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Capitolo 10
*** Capitolo IX - Fine ***


   
 
 

Demetra prese in braccio i due bambini, nati da qualche minuto. Dio, Jake e Lucifero li guardarono. Erano un maschio e una femmina: lui aveva il visino ingrugnato e folti capelli biondi. Gli occhi erano scuri ma non neri o marroni. Erano di un grigio scuro, come il cielo in tempesta. La piccola aveva pochi capelli neri e i grandi occhi di un azzurro elettrico aperti sul mondo. Entrambi avevano due minuscole ali nere sulla schiena.

-Come li chiamerete?-, chiese Dio passando le dita tra i capelli biondi del neonato.

Heléna fece un sorriso stanco e scansò la frangia dagli occhi. –Lei Arianna. Mi è sempre piaciuto questo nome-.

-Se piace a lei mi va bene-, disse Lucifero prendendole la mano.

-E lui-, continuò la bionda guardando il demonio. –Lui Jacopo-.

Lucifero fece un largo sorriso. –Perfetto-.

 

CINQUE ANNI DOPO….

 

-Jacopo!!-, gridò Heléna correndo dietro un bambino di cinque anni, capelli biondi e occhi scuri, grigi. Il bimbo saltava sui divani e saliva le scale pur di scappare via dalla madre.

-Lucifero! Vuoi prendere Arianna?!-, esclamò la bionda. Lucifero aveva già provveduto a prendere la figlia. Aveva i capelli neri, legati in due codine a spazzola, e gli occhi di un intenso azzurro elettrico.

Il demonio sorrise divertito e andò a prendere il figlioletto da sopra una libreria. Erano passati cinque anni. Lucifero aveva fatto diventare Heléna immortale, ghiacciata per sempre nel suo aspetto da diciottenne. Lo stesso anno che la ragazza aveva deciso di rimanere nell’Inferno con lui, avevano avuto due figli, due gemellini totalmente diversi. Jacopo e Arianna. I due, anche se erano diversi, erano un terremoto. Avevano rotto tutte le console del padre, ai giochi ancora non erano arrivati, ma c’erano quasi visto che già il piccolo Jacopo si arrampicava sulle mensole e sulle librerie.

Entrambi nati con delle piccole ali da demone. Demetra, Jake e Dio avevano assistito alla nascita e due anni dopo erano andati a trovarli per vedere come andavano le cose, a parte Tisha che ormai era come una balia. Il problema è che la povera serva era costretta ad andare appresso ai due piccoli demoni  e arrivava sempre a fine giornata stremata. I due non dormivano mai, non perché non ne avessero bisogno, ma perché erano troppo iperattivi per dormire.

Heléna guardò l’orologio e sobbalzò. –Oddio la cena!-, corse in cucina e andò a preparare il pasto. Tisha e i servi erano andati in ferie, per riposarsi un po’ e per allontanarsi dai bambini.

Dopo aver costretto i bambini a guardare la televisione in silenzio e senza muoversi, Lucifero raggiunse la ragazza, che non era ancora la moglie. –Stanca?-, disse sorridendo e sedendosi vicino ai fornelli.

Lei lo guardò e sorrise. –Non sai quanto. A che ora vengono loro?-.

-Tra poco credo-. Anche dopo il parto e dopo tutte quelle preoccupazioni, Heléna rimaneva quella di sempre. La solita macchiolina sulla fronte, i capelli boccolosi e dorati, gli occhi di un intenso azzurro elettrico e quell’accenno di lentiggini sugli zigomi. Il corpo delicato ma non da “manico di scopa”, un corpo che adorava.

La ragazza si accorse del suo sguardo addosso e lo guardò incuriosita. Lucifero sorrise e si alzò, circondandole la vita con le braccia e baciandole il collo.

-A che devo tutta questa dolcezza?-, gli chiese con un sorriso mentre controllava il sugo e lui si dondolava, stringendola sempre a sé.

-Così. Mi andava di fare il romanticone-.

-Oh beh, allora fallo un po’ più spesso. Mi piacciono le coccole-.

Lui ridacchiò. –Lo so. Sai a che stavo pensando?-.

-Non riuscirò mai ad entrare nella mente di un demonio-.

-Pensavo a quando… a quando mi potrò ricomprare le console-, disse infine sciogliendo l’abbraccio e sghignazzando.

-Ma dai! Tu vai a pensare a quelle cose?-, rise lei guardandolo.

-Beh sono un maschio, penso solo a quello-.

Lei gli lanciò uno sguardo che diceva chiaramente “Non me la bevo” e Lucifero fece spallucce. –Non è vero. Non penso solo a quello. Penso anche ad altre cose. Penso ai miei amati figli, alla loro splendida madre e…-, stava per aggiungere un’altra cosa ma suonò il campanello e poco dopo sentirono delle voci familiari.

-Dove sono mamma e papà?-, chiese una voce femminile. Demetra.

-In cucina-, ripose Arianna con la sua vocina, mentre si risedeva sul divano. Jacopo salutò con la mano lo zio e i “cugini”.

Nella cucina entrarono Demetra, Jake, Maya e Dio, con i regali di Natale in mano. Eh già, quella era la notte di Natale e tutto l’Inferno era addobbato a festa, con un sacco di lucine e un grosso abete al centro. Anche nella casa di Lucifero c’era un albero di natale, con le palle rosse e bianche e la stella in cima era dorata. Sotto l’albero c’erano già un sacco di regali, da parte di tutti i demoni e da tutte le anime.

-Fratello! Heléna! Come state?-, chiese Dio abbracciandoli.

-Bene, dai. Un po’ stanchi. E’ tutto il giorno che corriamo dietro a quei demonietti-, rispose Heléna mentre abbracciava Demetra e Jake.

-Sono figli vostri-, disse Maya con un sorrisetto. –Hanno preso da voi-.

-Io non ero così vivace da piccola. Magari da Lucifero!-.

Lui sorrise. –Allora, cosa c’è per cena?-, chiese Demetra sbirciando della pentola.

-Pasta col sugo, per primo. Per secondo, l’arrosto. Per dolce-, Heléna venne interrotta. –Ecco, ora sì che ragioniamo. Già solo che mi parli del dolce-, esclamò la mora passandosi una mano sulla pancia mentre si intravedeva un po’ di bavetta al lato della bocca. Jake le diede una gomitata e lei smise. –Dicevo-, riprese la bionda con un sorriso. –Per dolce c’è, il panettone o se volete il tronchetto col cioccolato-.

-Mi vanno bene entrambi!-, esclamò Demetra e si fiondò nel salotto con i bambini.

-Vado anche io. Devo insegnare a Jacopo come si rimorchia-, disse Jake.

Lucifero gli diede un buffetto sulla testa per rimproverarlo. –Stavo scherzando!-, esclamò il ragazzo passandosi una mano nei capelli.

Il Diavolo sorrise divertito e Jake uscì dalla cucina.

-Sento che questo Natale sarà più divertente-, disse Dio con le mani in tasca. Heléna assaggiò il sugo e fece i piatti.

-A tavola!-, chiamò Lucifero mentre si sedeva a capotavola. Il fratello dalla parte opposta a dove stava lui, alla sua destra Maya e alla sua sinistra Arianna. Accanto ad Arianna, Jacopo e accanto al bambino Heléna, che era alla destra di Lucifero. Alla sinistra del moro c’era Jake, poi Demetra e infine Maya che stava anche alla destra di Dio.

Heléna portò i piatti in tavola e Demetra cominciò a mangiare rumorosamente. Lucifero e Jake la guardarono vagamente disgustati e alla fine il giovane demone le diede una gomitata con uno sguardo di rimprovero. –Neanche i maiali mangiano così-. Lei fece spallucce e continuò a mangiare più silenziosamente.

-Oh, fratello-, disse Lucifero attirando l’attenzione di Dio. –Non ci chiederai mica di fare la preghiera!-. L’albino rise sonoramente e scosse la testa. –Che senso avrebbe nel mondo dei demoni?-.

-Ora sì che ci capiamo-.

-Papà-, chiamò Jacopo. Il padre lo guardò con un sorriso. Era sempre bello quando lo chiamavano “papà”. –Come vi siete conosciuti tu e la mamma?-.

-Eh sì, non ce l’avete mai detto!-, disse Arianna.

-Era Natale, proprio come oggi. Era notte e io avevo la vostra età. Volevo vedere Babbo Natale, ma invece di trovare un uomo ciccione e barbuto trovai lui. Mi feci raccontare una favola-, non disse l’opera di Dante sennò poi avrebbero voluto saperla. –E lo chiamai “Jacopo”, perché secondo me aveva la faccia da Jacopo-, rispose Heléna guardando Lucifero.

-E quindi hai chiamato me così-, concluse il figlio. –E Arianna?-.

-Mi piaceva il nome-, ridacchio la bionda. La figlia mosse energicamente le ali vagamente irritata dalla semplicità della scelta.

-In realtà, Arianna è un nome molto bello. Così si chiamava la principessa che ha aiutato un giovane ragazzo ad uccidere un Minotauro nel labirinto-, disse Maya.

-Voglio sapere questa storia!-.

-Poi te la racconterò-, sorrise l’angelo muovendo placidamente le ali.

Dopo cena, Heléna tirò da una parte Dio. –Ho bisogno di alcune risposte, ma non so se Lucifero me le vuole dare-.

L’albino sorrise. –Dimmi pure-.

-Chi era Lilith?-.

-Lucifero era innamorato di Lilith, e qui ha peccato di lussuria. Successivamente di orgoglio e poi ha voluto superarmi. Ma non avrebbe potuto comunque farlo. Io sono più forte-.

-Perché allora dicono che Lilith è la parte femminile di Lucifero?-.

-Perché lei ha peccato con lui. Lilith è stata accanto a Lucifero e lo ha sostenuto nelle sue idee. Poi è stata uccisa e anni dopo si è reincarnata-.

-In cosa o in chi si è reincarnata?-.

Dio sorrise e le mise una mano sulla spalla. Heléna sgranò gli occhi. –Non posso essere io-, mormorò.

-Perché no? Dopotutto tu sei l’unica dopo milioni di anni che è stata accanto a Lucifero e ha voluto condividere con lui le sue pene. In un certo senso, hai peccato anche tu-.

La ragazza era sconvolta e allora l’albino proseguì. –Ti assomigliava anche. Non si è mai visto nessun umano con gli occhi di un azzurro elettrico, e di questo colore ce li aveva Lilith. Perché hai voluto prendere questo argomento?-.

-Stavo pensando alle ex di Lucifero. Persefone, Eris e le molte altre donne-.

-Di umana però ce ne sono state solo due, tu e Lilith all’inizio dei tempi. Sempre angeli o divinità. Tu sei la seconda umana che ha avuto questi rapporti con lui. Infatti sei Lilith reincarnata-.

-Io sono Heléna e basta…-.

-Se tu fossi completamente Heléna avresti avuto paura di Lucifero, ti saresti rifiutata di aiutarlo, non gli avresti mai chiesto di farti raccontare la “Divina Commedia” quando avevi cinque anni, non lo avresti chiamato al cellulare e soprattutto, non avresti deciso di vivere con lui per l’eternità. Per questo una parte di te è Lilith-.

-Quindi io sarei la parte femminile di Lucifero-, concluse.

Dio annuì.

Heléna ci pensò su. I conti tornavano e accettò di essere Lilith, la parte femminile del Diavolo.

 
 
 
 
 
  

ANGOLO DELL’AUTORE: Ed ecco qui il penultimo capitolo *scoppia a piangere* mi dispiace troppo che sia una storia così breve e pensavo seriamente di scrivere un continuo, ma purtroppo ho altre ff da portare avanti e prima di pensare bene al seguito di questa storia volevo prima finirne una…

Sapete all’inizio pensavo che questa storia non avrebbe avuto successo, forse perché era nella categoria della Divina Commedia… Invece noto con gioia che è piaciuta *w*

Quindi ringrazio tutti voi, ragazzi e ragazze, che l’avete seguita e avete sopportato i miei scleri per 10 capitoli XD

Tornando all’ipotetico seguito, davvero, se lo scriverò vi farò sapere =)

Per quanto riguarda il prossimo capitolo dovrete pazientare perché per trovare le fonti per scriverlo un po’ mi ci è voluto e ora lo sto finendo di sistemare =3

Grazie ancora, immensamente, davvero ^.^

LizThompson 

 

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Capitolo 11
*** Capitolo Speciale - L'Angelo Caduto ***


Dio è nato con l’Universo. Un bambino bellissimo, folti capelli bianchi, pelle diafana e occhi color ghiaccio. Un bimbo albino.

Lucifero è nato dopo. Come due gemelli, uno nasce prima e uno nasce dopo no? Lucifero nacque con le stelle, nacque dalla luce. Era identico a Dio solo che con la pelle abbronzata, i capelli neri e gli occhi grigio scuro, come il cielo in tempesta. Lui però, al contrario del fratello, aveva due ali sulla schiena.

Possedevano la stessa saggezza, la stessa intelligenza ma non la forza. Dio era il più forte e quando creò gli angeli, divenne automaticamente il “capo”. Nonostante questo, Lucifero era il suo prediletto. Lo considerava un esempio che gli altri angeli avrebbero dovuto seguire. Lucifero era un angelo e oltre a Dio, era la creatura più perfetta. Fu proprio la sua perfezione a portarlo dritto all’Inferno.

Lucifero all’epoca non aveva un nome ma Dio decise di chiamarlo Luzbel, “portatore di luce”. A lui non piaceva quel nome ma si limitò a sorridere.

Luzbel, era inoltre l’angelo prediletto di Dio, anche se erano fratelli. Anche per questo lo nominò arcangelo. Il primo arcangelo, e a seguire Mikael. Il minore dei due gemelli dimostrava sempre molta sottomissione e obbedienza al cospetto del fratello.

-Sai Luzbel-, gli disse un giorno l’albino. –Voglio creare una razza a nostra immagine e somiglianza-.

-Perdonami, ma non capisco-.

-Come degli angeli, ma senza le ali e con meno poteri. Un maschio e una femmina, così potranno riprodursi e ingrandire la specie-.

L’arcangelo stette zitto, senza sapere cosa dire. –Tu che ne pensi?-, lo riscosse il fratello.

-La mia opinione non conta-, disse semplicemente.

Dio gli poggiò una mano diafana sulla capigliatura nera e arruffata. –Conta eccome. Sei mio fratello, Luzbel, la tua opinione è la più importante-.

-quindi tu non ami gli angeli allo stesso modo?-.

-Gli angeli sono tutti diversi, fratello mio-.

 
 
 

Arrivò il giorno in cui Dio decise di creare quella razza, che avrebbe fatto vivere nel Giardino dell’Eden, controllato dall’arcangelo Uriel.

Lucifero assistì alla creazione. Per prima cosa, l’albino creò un uomo dalla polvere. Sembrava proprio un angelo maschio, solo che senz’ali.

-Che nome gli darai?-, chiese Lucifero.

-Adamo. Prima di creare la donna voglio vedere come procede questa creazione-.

-Mi sembra giusto-.

Poco tempo dopo, Dio notò che Adamo si sentiva tremendamente solo così decise che era ora di creare la donna. Ancora una volta, Lucifero assistì alla creazione, avvenuta anch’essa dalla polvere.

Lucifero non aveva mai visto donna tanto bella. –Come la chiamerai?-, chiese.

-Lilith-. Che bel nome. Però io gliene avrei dato un altro…, pensò l’arcangelo.

-Tu come vorresti chiamarla?-, lo riscosse Dio.

-Non ha importanza-.

-Luzbel, ne abbiamo già parlato-.

Il moro sospirò. L’avrebbe chiamata o Arianna oppure il nome che adorava di più di tutti… -Heléna. L’avrei chiamata Heléna. Ma le dona molto di più Lilith-.

-Anche Heléna le dona. Ma se preferisci Lilith d’accordo-.

La nuova arrivata era un po’ più bassa dei due gemelli, nuda, con capelli castani piegati in morbidi boccoli e gli occhi di un intenso azzurro elettrico.

-E’ bellissima-, mormorò Lucifero. Dio sorrise. –Vero. Portala da Adamo-.

L’arcangelo rabbrividì. E’ vero, era la compagna di Adamo. La prese per mano e la guidò verso il suo compagno. Si piacquero subito.

 
 
 
 
 

-Cosa c’è che ti turba?-, chiese Dio, appena Lucifero aveva finito di pregare.

-E’ l’amore-.

-E perché ti turba così tanto?-, si accovacciò per guardarlo bene negli occhi. L’arcangelo abbassò lo sguardo, per quanto sarebbe stato perfettamente in grado di sostenerlo, non gli sembrava corretto.

-Luzbel, la luce ti ha creato con due occhi bellissimi, mi piacerebbe che mi guardassi con quelli-, sorrise l’albino. Allora il fratello sprofondò i suoi occhi grigio tempesta in quelli color ghiaccio, profondi e penetranti, di Dio.

-Fratello, l’amore mi turba perché… Non è lo stesso che lei prova verso di me-.

-Non capisco-.

-Amo Lilith. Ma non come lei ama tutte le creature viventi, compresi gli angeli. Lei ama tutti allo stesso modo, ma io amo lei più di tutto-. Quelle parole turbarono l’albino che si rialzò.

-Mi ferisci, Luzbel. Perché non sai dividere il tuo amore con tutto quello che ti circonda?-. Lucifero non rispose ma pregò ancora.

 
 
 
 
 
 
 

-Mio Signore, io volevo parlarvi di un problema che aggrava me e Adamo-, disse un giorno Lilith al cospetto di Dio.

-Dimmi-.

-Vorrei essere considerata al pari del mio compagno, non voglio essere sottomessa-. Adamo, accanto a lei, sbuffò scocciato.

-Non puoi, Lilith! Sono stato creato prima io, ho tutto il diritto di non essere sottomesso da te-, esclamò l’uomo.

Cominciarono a litigare e Dio sospirò. –Lilith, ha ragione Adamo. Sei tu quella che deve essere sottomessa-.

La donna sgranò gli occhi e scoppiò in lacrime mentre fuggiva via.

Raggiunse il deserto.

 
 
 
 
 
 

-Luzbel devo assegnarti un incarico-, disse l’albino mettendogli le mani sulle spalle.

L’arcangelo annuì e Dio continuò. –Sei l’angelo più forte di tutti, il più intelligente, il più di tutti, per questo devo chiederti di andare a recuperare Lilith nel deserto-.

Il cuore di Lucifero fece un salto di gioia ma si contenne e annuì.

Uscì dal Paradiso e si recò nel deserto. Lì trovò Lilith, in ginocchio, che alzò la testa nel vederlo.

-Sei l’angelo che ha assistito alla mia creazione?-, gli chiese mentre lui si fermava di fronte a lei.

-Sì-.

-Come ti chiami?-.

-Luzbel-.

-Anche tu sei una creatura di Dio-.

-Sono suo fratello-, la corresse dolcemente.

-Ah, già. Vedo dalla somiglianza-. Lucifero tacque per qualche istante. –Torna al Paradiso, Lilith-.

-Per essere di nuovo sottomessa? No grazie-.

L’arcangelo stette in silenzio ancora una volta. La donna si alzò e gli dedicò un sorriso dolcissimo. –Mi trovi bella, Luzbel?-.

-Sono un angelo. Per me è tutto bello-, mentì.

-Stai mentendo-, lo canzonò accarezzandogli i capelli.

-Sono un angelo-, ripeté. –Non posso mentire-.

Lilith sorrise. –Allora, appena mi hanno creata Dio ti ha chiesto come mi avresti chiamato. Mi chiameresti ancora con quel nome?-.

-Heléna è il nome che adoro di più in assoluto-.

-Per questo hai deciso di darlo a me?-, chiese lei, suadente.

-No-, rispose freddo. Non poteva farsi corrompere da lei. Era bella, certo, ma non poteva farsi trasportare dai sentimenti. –Te l’avrei dato perché altrimenti non l’avrei dato a nessun altra-, le dedicò un ampio e luminoso sorriso, che fece venire la pelle d’oca a Lilith.

La donna non capiva. Da predatrice stava diventando preda. Così il sorriso di Lucifero le ricordò pian piano un gatto che si lecca i baffi prima di scattare sulla vittima. Scosse la testa. –E invece sai quale nome ti avrei dato io?-, fece una pausa. –O Jacopo o Lucifero. Ma preferisco Lucifero-. L’arcangelo sorrise. Gli piaceva Lucifero come nome e decise di farlo suo.

 

 
 
 

Dio guardava fuori dai finestroni, preoccupato. Lucifero non tornava da giorni ed Adamo era solo.

-Mio Signore, come sta?-, gli chiese Mikael. L’albino sospirò.

-Sono preoccupato per Luzbel-.

-C’è il rischio che sia fatto trasportare dai sentimenti di Lilith-.

-Sì ci ho già pensato-. Mikael rimase in silenzio. Da quando Lucifero era scomparso, era Mikael il capo degli arcangeli.

-Creerò una nuova donna per Adamo, mentre aspetto il ritorno di Lilith-, disse infine Dio. Andò al Giardino dell’Eden e creò una donna, dalla costola di Adamo.

Era una donna minuta e delicata, un po’ timida. –Ti chiami Eva-, le disse l’albino con un sorriso che lei ricambiò. Volve chiamarla Heléna, in onore del nome tanto amato dal fratello, ma non voleva farlo senza il suo permesso. Eva aveva i capelli neri e gli occhi azzurro. Di un azzurro spento. E non era bella quanto Lilith. Ma Adamo la amava più di lei.

 

 

-Mio Signore!-, esclamò l’arcangelo Raphael. Dio si voltò, sorpreso.

-Sono tornati Luzbel e Lilith!-, continuò l’arcangelo, stavolta sorridendo. L’albino rimase serio.

-Non farli entrare subito. Ho bisogno di parlare con Adamo ed Eva-, e andò al Giardino dell’Eden. I due umani lo accolsero con un grande sorriso ma quando si resero conto della serietà di Dio, smisero di sorridere.

-E’ successo qualcosa?-, chiese Adamo.

-Sì. Sono tornati Luzbel e Lilith-.

-Ma è una notizia straordinaria!-, esclamò l’uomo, contento.

-Chi sono?-, chiese Eva. Dio spiegò chi fossero e cosa era successo, e li avvertì:-State attenti a non creare un triangolo con lui o con lei, mi raccomando-.

 
 
 
 

Lucifero entrò a grandi passi nella camera di Dio. –Ti ho portato indietro Lilith. All’inizio non voleva venire ma non è stato difficile convincerla-.

-Come hai fatto?-.

-Mh?-.

-A convincerla-.

-Ah-, rimase un attimo serio poi sghignazzò.

-Luzbel che cosa avete fatto?-.

-Niente, fratello. Ah, una cosa. Non mi va più di essere chiamato Luzbel. Voglio chiamarmi Lucifero-.

-E sia-, consentì Dio. La tensione tra i due era palpabile. Lucifero aveva commesso il suo primo peccato. La Lussuria.

 
 
 
 
 

-Basta Lucifero!-, esclamò Lilith portandosi le mani sulle tempie. –Fai commettere un peccato ad Eva!-.

-Stai commettendo il peccato dell’Invidia-, le fece notare, divertito.

-Ho già commesso il peccato della Lussuria. L’Invidia non mi spaventa-, replicò. Lucifero si strinse nelle spalle e disse:-Va bene, comunque. Farò commettere quel peccato ad Eva. Ma perché sei così gelosa?-.

-Adamo mi piace ancora-. A lui non importava niente e si strinse di nuovo nelle spalle.

 

 
 
 

Dio aveva proibito l’accesso al Giardino dell’Eden a Lucifero e Lilith, per evitare il triangolo. Ma l’arcangelo si trasformò in un serpente e passò tra le gambe di Uriel, a guardia del cancello.

Si nascose tra le foglie di un cespuglio di more ai piedi dell’albero proibito. Eva si avvicinò, ignara, per prendere una mora. Qualcosa le si strusciò sulla mano. Un serpente. La donna fece scattare indietro la mano, spaventata, poi sentì una risata soffocata e guardò dietro il cespuglio. C’era un angelo dai capelli neri e gli scuri occhi grigi. Aveva un sorriso divertito. Eva era rimasta incantata dalla bellezza di quell’angelo. Belli come lui non ne aveva mai visti.

L’angelo si alzò e si spolverò. –Mi chiamo Lucifero-, le disse prima di arrampicarsi sull’albero proibito. –Hai mai assaggiato questo frutto?-, le chiese e prese una mela.

-Lui non vuole-. Lucifero finse di essere sorpreso. –E come mai? E’ così buono!-, e lo morse.

-Non ce l’ha detto-.

 

-Beh è un vero peccato. Dopotutto, questo frutto è buonissimo-. Eva rimase in silenzio. Lucifero fece un sorriso sghembo.

-Sai, io sono il fratello di Dio. Potrei cambiare le regole volendo-, fece una pausa e le porse la mela, che tornò intatta. –Tieni. Te la offro-.

La donna non sapeva cosa fare. Davanti a lei c’era l’angelo più bello del Paradiso e le stava offrendo un frutto che le sarebbe piaciuto mangiare.

Lucifero inarcò le sopracciglia, come a incitarla e piegò la testa. Sembrava un gatto, lì, appollaiato su un ramo di quell’albero proibito, con un sorriso a metà fra il sornione e il tentatore.

Alla fine Eva lo prese e lo morse. La terra cominciò a tremare e la donna fuggì via, lasciando cadere il frutto. Lucifero guardò il cielo da sotto la frangia, con uno sguardo truce. Si era stancato di vivere seguendo delle regole. Lui voleva essere libero, commettere tutti i peccati che voleva, seguire solo la propria coscienza e le sue regole. E poi… Perché doveva sottomettersi a Dio? Erano uguali, in fondo. Perché doveva seguire le regole di suo fratello?

 
 
 
 

-Devi vergognarti, Luzbel!-, tuonò Dio. Si alzò un vento freddo, che fece spettinare i capelli e la frangia a Lucifero. L’arcangelo non batté ciglio.

La sala delle conferenze di Dio era piena di angeli, tutti radunati in cerchio intorno ai due gemelli. Adamo, Eva e Lilith erano dietro l’albino. La bruna dagli occhi elettrici era seria, forse una serietà che sembrava beffarda. La mora era preoccupata e l’uomo controllava il suo terrore.

Lilith e Lucifero si scambiavano continue occhiate, poi lui sorrise a Dio. Beffardo e provocatore. –Perché impedire a questi umani di mangiare un frutto tanto buono, Fratello?-. L’albino ridusse gli occhi a due fessure. –Non sei più degno di chiamarmi ‘fratello’-. Lucifero fece un sorriso astuto e provocatore.

-Davvero? Molto bene-, incrociò le braccia con aria beffarda. –Allora non dovrò più seguire le tue regole. Permettimi una domanda-, fece una pausa, tornando serio. –Perché devo sottostare alle tue regole se noi due siamo uguali?-.

Dio rimase in silenzio e Lucifero continuò. –L’hai deciso tu. Senza consultarmi. Hai deciso che mi sarei chiamato Luzbel, hai deciso che sarei stato un arcangelo. Ma hai pensato che a me potesse non piacermi?-.

-E perché tu non me ne hai mai parlato?-.

-Ti sei autoproclamato Signore di tutto e non volevo contestarti perché non volevo arrivare a uno scontro, ma soprattutto perché ti volevo bene-.

-E ora vuoi scontrarti con me per prendere il mio posto?-.

Lucifero sorrise, sornione. –Certo-. Si alzò un brusio nella sala e gli angeli divennero inquieti.

-Quanti dei tuoi ci sono qui?-, chiese ancora Dio. Il moro allargò il sorriso. –Qui, nessuno. Per il momento-.

I vetri delle finestre si ruppero ed entrarono alcuni angeli dalle ali nere. Anche le ali di Lucifero si colorarono di nero e lui prese una spada da un angelo nero. Una spada elegante, dalla lama di diamante e l’elsa d’oro.

Dio sorrise divertito e mise le mani in tasca. –Che cosa vuoi fare, Lucifero figlio dell’aurora? Spegnere la luce così pura che è in te?-.

Anche l’albino prese una spada, identica a quella del fratello. Si misero in posizione. Il moro sorrise. –No. Voglio spegnere la tua di luce. La mia continuerà a brillare, come una stella-.

-Marcirai all’Inferno per questo-, replicò Dio. Lucifero si lanciò sul fratello e le loro spade cozzarono. Nella sala c’era il caos più totale. Gli angeli neri erano tanti, forse tanti quanti gli angeli bianchi.

-Lilith!-, la chiamò Lucifero mentre parava un colpo del fratello. Lei lo guardò piena di preoccupazione. –Ti amo-, le disse mentre toglieva di mano la spada a Dio. Le tenebre erano calate sul Paradiso. Era buio ormai, solo lo scintillio delle spade e le ali luminose degli angeli  illuminavano la sala.

L’albino gridò e divenne molto più grande di Lucifero, che sembrava un pupazzetto in confronto a lui. Abbassò la spada e storse la bocca, irritato.

Dio lo afferrò e lo lanciò sulla Terra, mentre la sua spada si spezzava e cadeva ai piedi dell’albino.

 
 
 
 
 

La Caduta di Lucifero aveva formato una voragine nel terreno e la terra che era stata tolta per il buco, andò a formare una montagna. 
 

<< Io vedevo Satana cadere dal cielo come la folgore >>.

 
 
 

Passarono millenni, forse di più, che Lucifero era lì dentro. Dentro l’Inferno. I primi tempi che aveva passato lì li aveva spesi per creare delle dimore per le anime, per i demoni. E poi aveva deciso di infastidire l’umanità, portandoli a peccare.

Tempo prima, aveva incontrato Lilith…

 

-Lucifero! Quanto tempo!-, lo salutò la donna dai capelli castani. Lucifero sorrise, felice di rivederla e la baciò, come non aveva mai fatto. Lei era la sua prima donna e gli era mancata.

-Dimmi pure, Lilith-, le disse intuendo che c’era qualcosa che non andava. Lei abbassò lo sguardo.

-Ti manca l’Eden?-, continuò lui. La donna scosse la testa. –Questo posto non è come il Paradiso-.

Lucifero le prese i fianchi e l’attirò a sé per guardarla meglio. –Ehi…-, mormorò accarezzandole il viso. –Siamo liberi-.

Lei tenne lo sguardo basso e non rispose. L’angelo ribelle allora le prese il viso fra le mani, costringendola a guardarlo. –Ripensamenti, Heléna?-, la chiamò con quel nome per la prima e unica volta. Lilith sorrise divertita e scosse la testa. –No. Meglio regnare all’Inferno che servire il Paradiso-.

-Però…?-.

-Però vorrei delle ali-. Lucifero fece un sorriso malizioso e gli occhi grigi gli brillarono. –Le avrai-.

 

 

…Ma poi Lilith era morta e lui non aveva più ricevuto visite. Dopo tanti anni di Inferno, cominciava a pentirsi, e anche se le parole di Lilith gli risuonavano per la testa, lui voleva tornare dal fratello.

Chiese più volte perdono ma Dio non glielo concesse. Lucifero aveva bisogno di qualcuno che sarebbe andato al Paradiso per riferire il messaggio all’albino. Ma nessun umano si sarebbe azzardato. Per distrarsi, decise di ricordare il momento in cui era andato a portare un fiocco azzurro a Dio, quando era nato suo figlio Gesù. Aveva conosciuto una donna, Eris, che aveva creato scompiglio fra gli déi con una mela. Proprio come aveva fatto lui. Venne a scoprire che Eris in realtà era Lilith con un falso nome, che era tornata al Paradiso per vendicarsi. Ricominciarono a vedersi e Lucifero tornò felice.

Però l’arcangelo Mikael scoprì il segreto di Lilith e la uccise. Per questo, Mikael e Lucifero sono in conflitto.

L’Angelo Ribelle si passò una mano nei capelli, ripensando a quell’evento che era successo solo poco tempo dopo dal giorno che lui le aveva dato le ali.

Voleva tornare ad essere quello di una volta, quello che infastidiva l’umanità, così nella notte di Natale, si infiltrò in un appartamento molto grazioso e andò a sbirciare i regali che erano sotto l’albero.

Poi sentì un rumore e si nascose dietro l’albero. Vide una bambina. I capelli biondi come l’oro, piegati in morbidi boccoli, e la frangia che le finiva tra gli occhi. Ma la cosa che lo colpì di più furono gli occhi. Erano di un colore che già aveva visto. Azzurro. Azzurro elettrico.

-Chi sei?-, gli chiese la bambina. Lui sorrise tenebroso. –Il Diavolo-.

Rimase in silenzio e Lucifero si aspettava che sarebbe scappata via urlando. Invece no. –Che brutto nome. Tu non hai la faccia da Diavolo. Ce l’hai da Jacopo!-.

Dopo pochissimo le chiese. –E tu come ti chiami, marmocchia?-.

-Heléna-, rispose con un sorriso. Lilith, pensò il moro sorridendo tra sé. Sei tornata.

Dopo un breve scambio di battute, la bambina gli chiese di raccontarle la Divina Commedia, e lui obbedì con pazienza. Anche se si trattava di Lilith, non riusciva a capacitarsi del fatto che una bambina gli facesse fare una cosa così inutile. Una bimbetta così minuta che gli diceva cosa fare. E lui obbediva pure! Ma a lui non dispiaceva. Lei era Lilith, e stavolta non l’avrebbe persa di vista fino a quando sarebbe stata abbastanza grande da poterle parlare. Così, la marchiò. Con un bacio sulla fronte.

 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
 

« Negli inferi è precipitato il tuo fasto,
la musica delle tue arpe;
sotto di te c'è uno strato di marciume,
tua coltre sono i vermi.
Come mai sei caduto dal cielo,
Lucifero, figlio dell'aurora?
Come mai sei stato messo a terra,
signore di popoli?
Eppure tu pensavi:
Salirò in cielo,
sulle stelle di Dio
innalzerò il trono,
dimorerò sul monte dell'assemblea,
nelle parti più remote del settentrione.
Salirò sulle regioni superiori delle nubi,
mi farò uguale all'Altissimo.
E invece sei stato precipitato negli inferi,
nelle profondità dell'abisso! »

 

 
 

« Tu eri un modello di perfezione,
pieno di sapienza,
perfetto in bellezza.
Eri come un cherubino ad ali spiegate a difesa;
io ti posi sul monte santo di Dio,
e camminavi in mezzo a pietre di fuoco.
Perfetto tu eri nella tua condotta,
da quando sei stato creato,
finché fu trovata in te l'iniquità.
Crescendo i tuoi commerci
ti sei riempito di violenza e di peccati;
io ti ho scacciato dal monte di Dio
e ti ho fatto perire, cherubino protettore
,
in mezzo alle pietre di fuoco. »

 
 
 
 
 
 
 
 

ANGOLO AUTRICE: e qui si conclude la mia storia *scoppia a piangere*. Vi prometto che appena finisco una mia fic comincerò subito il seguito di questa U_U ringrazio tutti voi, per aver seguito la storia, per averla apprezzata. Ma anche perché avete cliccato nella sezione della Divina Commedia. Non credevo che qualcuno ci sarebbe mai andato a guardare e invece mi sbagliavo *w* credo che questo sia stato lo sbaglio più bello che abbia mai fatto XD e ne ho fatti troppi e a volte anche piuttosto gravi ^^’

Vi ringrazio di cuore 

LizThompson

 
 
 
 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

  

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