Bless Your Soul

di MrRickySabba
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incontri ***
Capitolo 2: *** Speranze ***
Capitolo 3: *** Vuoto ***
Capitolo 4: *** Occhi ***
Capitolo 5: *** Significante ***
Capitolo 6: *** Significato ***
Capitolo 7: *** Sette ***
Capitolo 8: *** Violenza ***
Capitolo 9: *** Cuore ***
Capitolo 10: *** Parole ***
Capitolo 11: *** Silenzi ***
Capitolo 12: *** Risvegli ***



Capitolo 1
*** Incontri ***


Era una delle prime giornate uggiose di novembre. Il sole cominciava a non uscire più da dietro quelle nuvole perlate e l’adamantina rugiada della mattina si vedeva a fatica.
Le prime more cominciavano a farsi largo fra i cespugli di rovi che contornavano casa Colfer. Ne andava orgoglioso di quei cespugli. Gli ricordavano tantissimo sua nonna, defunta ormai da sette anni. Ogni anno, lui si metteva a raccoglierle proprio in questo periodo e, riempiti sette sacchi, decideva sempre di prenderne uno e andare in giro per il quartiere di Burning Street e regalarne un po’ ai suoi vicini. Li conosceva tutti, perché ci era nato in quel quartiere, ma ognuno di loro si stupiva sempre nel vedere com’era cresciuto e diventato bello, bravo e avvenente. Loro se lo ricordavano come un bambino buono, dolce e affettuoso, sempre ligio al dovere e con grandi sogni e progetti per il suo futuro. Ora lo vedono, ventunenne, con ancora qualche traccia dell’acne giovanile, segno che la sua fanciullezza non è ancora scomparsa. Una persona che, negli anni, aveva mantenuto la sua bontà e la sua dolcezza.
Ovviamente tutti sapevano della sua omosessualità e, anche se a molti non andava a genio questa situazione, lo amavano lo stesso, perché era la persona più perfetta di questo mondo.
Anche quest’anno sarebbe venuto il periodo della raccolta delle more, che andava, più o meno, dal primo giorno in cui il sole cominciava a scomparire alle due settimane precedenti.
Quelle due settimane passarono come un lampo, perché Chris adorava raccogliere quelle more, che, a detta sua, erano magiche, perché, mentre le raccoglieva, gli sembrava di parlare con sua nonna. Raccolte tutte le more possibili, le ripose nei suoi sette sacchi; ne accantonò sei nella rimessa e, dopo essersi lavato da tutto quel soddisfacente sudore, cominciò ad andare in giro per il quartiere come fosse Babbo Natale.
Conosceva tutti nel suo quartiere, perciò senza esitazione suonava ai campanelli presentandosi con il suo sacco e dando un cesto di more a tutti, come faceva da sette anni a questa parte.
Camminando lungo la strada arrivò all’ultima casa.
Chris amava tutti nel suo quartiere, ed essendo a suo discapito una persona fin troppo buona amava anche il vecchietto burbero che ogni anno gli sbatteva la porta in faccia perché non voleva quelle “stupide more” diceva. Perciò, quando arrivava a quella casa, anche se sapeva che la porta gli sarebbe stata sbattuta in faccia, conservava sempre un po’ di more per il vecchietto.
Prese coraggio e si avvicinò alla porta.
Fece per mettere la mano sul citofono, ma la porta si aprì e Chris rimase alquanto sbalordito.
Il vecchietto burbero non abitava più in quella casa, ma lui non ne sapeva niente; il che era strano, considerando che lui era sempre il primo a sapere chi se ne andava e chi arrivava.
Al suo posto si presentò alla porta un ragazzo di una bellezza travolgente, quasi divina. Altezza scarsa, ma giusta per il tipo di fisico. Un accenno di riccioli neri che circondavano quel dolce viso d’angelo e due occhi castani, quasi gialli, che gli penetrarono il cuore al primo sguardo.
Ancora sbalordito da tanta bellezza, Chris cominciò a balbettare qualche parola: “P-p-piacere, Io s-s-sono Chris Colfer, l’inquilino c-c-che abita in f-f-fondo alla s-s-strada.”
Il ragazzo dal viso angelico gli rispose: “Piacere, io mi chiamo Darren Criss e sono venuto a stare qui da poco. Mi fa molto piacere conoscerti!”
Chris pensò che non sapesse ancora niente del nuovo arrivato perché era rimasto una settimana in casa raccogliendo ininterrottamente le more per i vicini. Ripresosi un po’, gli mostrò il sacco con le poche more rimaste e gli disse, con meno balbuzie: “Da sette anni io dono un sacco delle mie more a tutti quelli del vicinato, e ovviamente ce ne sono anche per te”
Darren rispose: “Oddio, grazie! Non mi sarei mai immaginato di conoscere persone tanto gentili appena arrivato in un nuovo quartiere! Grazie mille!”.
Chris rispose, mentre faceva per andarsene: “Figurati, è il minimo per accogliere al meglio un nuovo vicino”. Girò la testa verso il vialetto, ma la voce soave del nuovo inquilino lo bloccò improvvisamente: “Ehi signor Colfer!”
Chris, girando la testa: “Sì, dimmi pure”.
“Grazie del pensiero. Conta molto per me” Chiuse la porta facendogli l’occhiolino.
Chris ripensò alle situazioni che aveva passato negli ultimi anni e si rese conto di una cosa: si stava innamorando. Di nuovo. Della persona sbagliata.

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Capitolo 2
*** Speranze ***


Chris era rimasto per un quarto d’ora davanti a quella porta a fissare il vuoto, in preda a un mix di emozioni che neanche lui riconosceva.
Felicità.
Paura.
Sconforto.
Ansia.
Ma si mise a pensare a un’altra cosa.
Si era sempre considerato un caso perso. Non aveva mai avuto una storia in vita sua, sempre e solo delusioni. Continue delusioni.
In quel momento fu felice, perché era riuscito a parlare con un altro ragazzo, più o meno della sua età.
Si sentì impaurito, perché percepiva un sentimento che cresceva dentro di lui. Un sentimento che conosceva già. Un sentimento per il quale si stava maledicendo.
Lo sconforto lo prese quando capì che purtroppo Darren sarebbe stato uno dei tanti.
Cominciò ad avere l’ansia. Un’ansia diversa da quella che provava di solito. Un’ansia nuova, quasi piacevole. Un’ansia che pensava gli avrebbe permesso di uscire da quel bozzolo che si era formato vivendo in quel piccolo quarterino, contornato solo da dolcissimi anziani.
Era ancora sotto la veranda di casa Criss, quando scoppiò un tremendo temporale. Fece per avviarsi, coprendosi con il sacco.
Scivolò e batté la testa.
In quel momento gli passarono davanti alcuni momenti della sua vita.
Solo l’ultimo lo fece rimanere un po’ perplesso.
La vista si stava offuscando, Chris riuscì a distinguere la sagoma di Darren.
Dai suoi occhi trapelava preoccupazione. Una preoccupazione riservata soltanto a qualcuno che si ama.
Darren continuava a chiamarlo.
Chris non rispondeva.
Darren lo chiamò un’ultima volta.
Chris chiuse gli occhi con un sorriso.

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Capitolo 3
*** Vuoto ***


Chris sentiva la testa che gli scoppiava.
Non capiva se fosse lui a muoversi, o il mondo che stesse collassando.
Sentiva solo delle voci disconnesse e sconosciute. A parte una. Quella di Darren.
Cercava di capire cosa stessero dicendo, ma invano.
Sentì solo le ultime parole.
“Ce la farà?” chiese Darren.
“Temo di no.” Rispose il dottore.
In quel preciso istante Chris sentì aprirsi una voragine dentro di sé. Lo sentirono anche Darren e il dottore, perché videro che il cuore stava andando in aritmia.
Le voci che Chris sentiva si allontanavano sempre di più, ma riusciva a sentire chiaramente la voce di Darren. “Ti prego, resisti, il mondo ha bisogno di una persona come te!” continuava a dirgli, mentre i dottori cercavano di rianimarlo.
A queste parole, il viso di Chris fu rigato da una lacrima, che scendeva lungo la sua candida guancia da bambinetto.
Il suo cuore si stabilizzò.
Darren si avvicinò e notò il solco salino lasciato dalla lacrima. Allora mise la bocca vicino al suo orecchio e cominciò a sussurargli qualcosa: “Riesci a sentirmi? So che puoi. Ti prego. Cerca di resistere. Sei forse l’unica cosa che mi ha trattenuto dall’andarmene un’altra volta. Per favore. Combatti!”
A quelle parole, il vuoto che si era creato nel cuore di Chris, inspiegabilmente, divenne una voragine.
Forse perché aveva capito che quelle parole erano solo frutto della sua fantasia.
Forse perché sapeva che grazie a quelle parole la sua vita avrebbe avuto un’altra ammaccatura. Sarebbe stata l’ultima goccia. E lui non poteva accettarlo.
I dottori fecero uscire Darren e lo fecero accomodare in sala d’attesa.
Non ce la faceva.
Non riusciva a stare lontano da Chris.
Sentiva come una catena, che legava i loro due cuori.
Non riusciva a pensare ad altro che al loro primo sguardo, esattamente sette ore prima, davanti alla porta di casa sua. Non aveva mai visto un ragazzo così perfetto.
Aveva vissuto per gli ultimi sette anni nell’ombra.
Già all’età di 18 anni aveva capito di essere omosessuale, ma l’ambiente in cui era vissute e cresciuto gli avevano impedito di vivere consapevolmente la sua vita.
Si era ritrovato nel giro del sesso a pagamento.
Viveva in una famiglia povera e non voleva che i suoi genitori e suo fratello soffrissero la fame. Quando tornava a casa con così tanti soldi, agli interrogativi che gli ponevano i suoi genitori rispondeva: “Tacete e prendeteli”
Non voleva che scoprissero in che modo guadagnava soldi, perciò non faceva trapelare mai niente. Voleva solo che la sua famiglia vivesse bene.
La gente in città si chiedeva da dove lui tirasse fuori tutti quei soldi e aveva già cominciato a sospettare e a far circolare delle voci.
Decise quindi di andarsene, ma continuò a mandare soldi alla sua famiglia guadagnandoli con quel lavoro orribile.
Suo padre finalmente trovò un lavoro, che gli permise di portare avanti lui, sua moglie e il suo figlio maggiore.
Darren finalmente poté mollare quel lurido impiego e dedicarsi a ciòò che gli aveva sempre fatto battere il cuore. Il musical.
Tentò di entrare in molte accademie, ma tutti i direttori gli dissero che non aveva i requisiti. Sapeva che non era vero, ma era solo per il capriccio del suo rivale figlio di papà che, per evitare di essere surclassato da Darren, aveva fornito alle varie accademie una serie di informazioni sbagliate.
Si demoralizzò e decise di trasferirsi nel quartiere di Burning Street, per cominciare, seppure a 25 anni, una vita tranquilla.
Ora era lì, ad aspettare che la persona che gli aveva fatto battere il cuore per la prima volta si riprendesse.
E lui pregava.
Pregava.
E pregava.
Il dottore arrivò in sala d’attesa, mentre Darren era ancora immerso nei suoi pensieri.
Si avvicinò e gli disse: “Abbiamo fatto quel che potevamo,…

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Capitolo 4
*** Occhi ***


Darren sentì il sangue gelarsi nelle vene. Non poteva e non voleva ascoltare una parola di più.
Cominciò a piangere.
Piangeva come un bambino, ma non gliene importava, perché aveva capito di aver perso l’unica persona che poteva finalmente dargli qualcosa. Ormai si stava rassegnando. Non voleva tornare a fare quel lavoro schifoso. Ogni volta che si trasferiva, la sua casa si trasformava in un postribolo, un andirivieni di uomini. Non ne poteva più.
Ma dalla prima volta che aveva guardato Chris negli occhi, aveva capito che poteva essere il suo riscatto. Poteva trovare salvezza in quel suo sguardo.
Poteva trovare l’amore.
Il dottore lo tranquillizzò subito dicendogli: “Abbiamo fatto quel che potevamo, ed è vivo, ma rimane però una brutta notizia, della quale ci siamo accorti solo ora.”
Dentro a Darren si fece strada una sensazione di sconforto immensa.
Lui e il dottore parlarono a lungo.
Dopodichè a Darren cominciarono a scendere lacrime, che, una dopo l’altra, formavano tante cascate di disperazione. Si gettò ad abbracciare il dottore, e questo lo tenne nelle sue braccia, facendogli provare quella sensazione che si ha solo quando si abbraccia il proprio padre.
Si avviò verso la stanza di Chris. Stava ancora dormendo. Il dottore gli aveva detto che si sarebbe svegliato a breve.
Darren voleva evitare che gli venisse un’altra aritmia, perciò si mise accanto a lui ad osservarlo, in attesa del suo risveglio.
Passo una mezz’ora e Chris cominciò a dare segni di vita.
Darren si preparò, per dargli la brutta notizia.
Chris aprì gli occhi.
Era buio.
Pensava che fosse ancora un effetto collaterale dell’anestesia, allora sbatté più volte gli occhi.
Si rese conto che l’anestesia non centrava niente.
Sentì qualcuno che singhiozzava.
Preso dal panico disse: “Chi c’è qui?”
Darren rispose piangendo: “Io Chris, il tuo nuovo vicino.”
Chris: “Darren. Sei veramente tu? Cosa mi è successo?”
Darren cominciò a spiegargli cosa era successo fino ad allora.
Chris non ci voleva credere.
Ma la cosa che lo lasciava ancora più perplesso era il fatto che non capiva perché non riusciva ancora a vedere.
Allora Darren cominciò: “Devi sapere che, dopo la seconda aritmia, i dottori mi hanno fatto uscire per operarti e ridurti l’ematoma che avevi e che stava per comprimere il lobo temporale. È andato tutto bene, ma si sono accorti di una cosa.”
Chris: “Cosa?”
Darren: “è difficile dirlo. E credo che adesso potresti anche immaginartelo.”
Chris: “No, non può essere.”
Darren: “Purtroppo è così.”
Chris: “…”
Darren: “So che è difficile da accettare, ma io ora sono qui, con te e per te e non ti abbandonerò mai.”
Chris, preso dalla rabbia: “Esci!”
Darren: “Ma, Chris…”
Chris: “ESCI!!!!!!”
Darren uscì dalla stanza.
Chris rimase seduto sul letto.
Le lacrime scesero giù dal suo viso come mille gocce di rugiada che scendono sul dorso di una foglia. Si sentiva distrutto. Tutto era accaduto per colpa di quel bastardo di Darren.
Se solo non si fosse mai trasferito, tutto ciò non sarebbe successo.
Lui non sarebbe diventato cieco.

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Capitolo 5
*** Significante ***


Chris era seduto sul letto dell’ospedale. Non vedeva più, aveva perso la facoltà di incamerare immagini del suo cervello. Si sentiva perso. Inutile.
Intorno a lui vegliava il silenzio. Se si concentrava poteva sentire in lontananza lo scalpiccio della gente nei corridoi. Le sventagliate e i vortici creati dai camici indossati da quei frenetici uomini che salvavano la vita a milioni di persone.
Non poteva fare altro che pensare a Darren.
Quel dannato uomo era entrato nella sua vita e non aveva fato altro che peggiorarla; due aritmie e la scoperta della cecità non è roba da poco.
Non si spiegava come, ma per lui c’era qualcosa che tratteneva Darren, ma non credeva fosse amore.
Lo sentiva più come un sentimento fraterno.
Lo percepiva così vicino, ma allo stesso tempo così lontano, che si era messo a tastare l’aria con le mani, per sentire se era ancora lì o se n’era andato.
Darren era andato via.
I sentimenti di Chris sfociarono di nuovo in lacrime.
Non poteva fare altro. Era rimasto l’unico modo con cui poteva sfogarsi.
Doveva cercare di sopprimere quel sentimento.
Ma come poteva fare?
Non sapeva rispondersi.
Sapeva solo che quello che provava nei confronti del bel ricciolino sarebbe durato. A lungo.
Decise di farsi dimettere.
Dimostrò che sapeva orientarsi, che aveva un’udito sviluppato e che i postumi dell’anestesia erano spariti.
Ovviamente la risposta del primario fu un secco ‘NO’.
Chris si demoralizzò ancora di più.
Si sdraiò sul letto e fece finta di addormentarsi. Quando sentì che il medico se ne andò, attuò il suo piano.
Prese dei vestiti dall’armadietto del compagno di stanza, un cardiopatico che non faceva altro che dormire, forse anche perché era in coma, se li mise addosso, indossò un paio di occhiali scuri e un cappellino e usci dalla stanza con un bastone in mano.
Conosceva bene quell’ospedale, perciò non gli fu difficile passare inosservato, anche davanti a Darren. Chris si accorse di passarci davanti per via del suo profumo. Inconfondibile.
Uscì e si diresse alla sua destra, verso casa sua, verso Burning Street.
Non si sorprese di conoscere tutta la strada a occhi chiusi.
Improvvisamente una sgommata lo stordì.
Una macchina accostò, la portiera sbattè con violenza inaudita, quasi da distruggerla e una voce molto familiare gli urlò: “Cosa diavolo pensavi di fare!!!! Ti sembra questo il modo di comportarti? Mi hai fatto preoccupare un sacco, pensavo volessi andare a toglierti la vita!”
Chris gli rispose con una pacatezza che neanche lui si sarebbe immaginato di avere: “Stavo solo tornando verso casa. Conosco queste strade a memoria e riesco a camminare perfettamente. Quindi spostati, e fammi proseguire”. Chris fece per spostarlo, ma Darren rimase immobile e lo trattenne.
Nei pensieri di Chris non c’era spazio per dare ascolto a quel maledetto diavolo con il viso di un angelo.
Sentiva che Darren si muoveva e agitava le braccia.
Lo sentì persino darsi uno schiaffo.
Allora Chris lo riprese dicendo: “Ehi, stai tranquillo, perché tu non hai fatto assolutamente niente. Sono io che sono caduto e sono diventato cieco. Sono io ad avere il cuore debole. Quindi tranquillizzati e andrà tutto…”
Chris si sentì stringere come in una morsa. Darren lo stava abbracciando.
Era come impietrito, chiuso in quella dolce tenaglia, che gli diede un improvviso senso di sicurezza e conforto. Rimasero così per almeno cinque minuti.

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Capitolo 6
*** Significato ***


Darren era fuori dalla stanza.
Non immaginava che Chris lo avrebbe trattato in questo modo, non dopo averlo salvato da una morte per dissanguamento.
Voleva capire.
Capire perché quel ragazzo dal viso angelico lo trattava in quel modo.
D’altronde Darren non aveva fatto niente per ferirlo, si era solo presentato. Non voleva che una cosa potenzialmete speciale potesse diventare un totale schifo.
Per entrambi.
Quando gli aveva aperto la porta, poche ore prima, non si sarebbe mai immaginato che il loro primo incontro si sarebbe trasformato in tragedia.
Ora si formavano due immagini comparate nella sua testa: nella prima il bel viso color porcellana di un ragazzo adorabile; nella seconda lo stesso viso, ma gli occhi erano chiusi. Dalla palpebra cominciò a fuoriuscire un liquido. Darren, nella sua testa, pensò fossero lacrime, ma il colore era troppo denso e scuro.
Era sangue.
Rigoli di sangue che macchiavano il candore di quelle meravigliose guance.
Si tolse quelle immagini dalla mente e pensò.
Poi capì.
Capì di essere stato lui la causa di tutto.
Ormai non poteva più fare niente. Lo aveva fatto diventare cieco, e Chris lo odiava per questo. Non aveva niente da perdere.
Decise di prendere la macchina, tornare a casa, fare le valigie e andarsene. Per sempre.
Una cosa sola lo trattenne.
Vide Chris uscire dalla stanza accompagnato dal dottore.
Si chiese dove stessero andando e li seguì.
Chris entrò in una stanza.
Darren si mise vicino alla porta per sentire meglio.
Non credeva alle sue orecchie. Parlavano già di dimissioni?
Sentiva parole sconnesse, ma Chris era fermamente convinto di volersene andare.
Darren non poteva sentire oltre.
Torno sulla seggiola che stava proprio di fianco alla stanza in cui era ricoverato Chris. Aspettò che tornasse. Almeno lo avrebbe riaccompagnato lui a casa.
Fin dal primo momento, lui era diventato ciò per cui voleva ancora vivere. Si era trasferito semplicemente per far sì che il suo suicidio rimanesse nell’ombra. Voleva solo morire come era nato.
Solo.
Era arrivato un imprevisto: Chris.
Lo aveva riportato con i piedi per terra. Gli aveva ridato una ragione per rimanere in vita. Lo aveva fatto innamorare. Per la prima volta.
Non ci credeva neanche lui che questo sentimento che cresceva dentro di lui fosse veramente amore, ma era così. E ora era pronto a giocarsi il tutto e per tutto.
Rimase ancora ad aspettare mentre riportarono Chris nella stanza. Il dottore uscì e disse che si era addormentato. Lui decise di restare lì.
Passò poco tempo, perché il dottore tornasse e vedesse ciò che era successo. Il letto di Chris era vuoto.
Darren entrò nel panico più totale. Incominciò a pensare dove potesse essere andato. Si ricordò della conversazione origliata fuori dall’altra stanzetta. Chris diceva che conosceva bene l’ospedale e il suo quartiere.
Non perse tempo.
Si fiondò nel parcheggio, entrò nella sua Volvo italiana del ’69 e partì in direzione di Burning street.
La strada era una sola. Sarebbe stato facile trovarlo.
Si ricordò di un individuo strano che usciva dalla sua stanza, e capì che Chris aveva rubato gli indumenti al compagno di stanza per fuggire.
Sfiorava gli 80 Km/h in quelle stradine in cui stare sui 50 era già considerata una velocità folle.
Ad un tratto lo vide.
Era sul marciapiede e si muoveva come se conoscesse ogni minimo straccio di cemento.
Accostò al marciapiede producendo uno stridio assordante. Uscì dalla macchina sbattendo la portiera.
Cominciò a urlare: “Cosa diavolo pensavi di fare!!!! Ti sembra questo il modo di comportarti? Mi hai fatto preoccupare un sacco, pensavo volessi andare a toglierti la vita!”
Darren si sentì rispondere con una pacatezza che lo lasciò stizzito: “Stavo solo tornando verso casa. Conosco queste strade a memoria e riesco a camminare perfettamente. Quindi spostati, e fammi proseguire”. Chris fece per spostarlo, ma Darren rimase immobile e lo trattenne.
Non poteva pensare che un ragazzo come lui potesse arrivare ad essere così freddo; non se lo aspettava.
Si agitò e inizio a gesticolare; stava talmente male che iniziò persino a tirarsi degli schiaffi.
Allora Chris lo riprese dicendo: “Ehi, stai tranquillo, perché tu non hai fatto assolutamente niente. Sono io che sono caduto e sono diventato cieco. Sono io ad avere il cuore debole. Quindi tranquillizzati e andrà tutto…”
Darren non resistette.
Si buttò a capofitto al suo collo e lo strinse, come non aveva mai stretto nessun’altro.

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Capitolo 7
*** Sette ***


Darren stringeva più forte che mai il collo di Chris. Chris rimaneva immobile, pervaso da quell’emozione che ancora non conosceva.
Cominciarono a cadere lentamente delle gocce di pioggia, che andavano a rigare il dolce viso di Chris. Darren non riusciva a staccarsi da quell’abbraccio; non riusciva a capacitarsi di aver trovato una persona che per la prima volta lo rendeva felice. Anche solo con la sua presenza.
Si era trasferito nel quartierino di Burning Street dopo sette mesi di vagabondaggio, cercando di racimolare qualche soldo con quel lavoro che lui odiava, ma che riusciva almeno a farlo sopravvivere. Usava i ricavi delle sue nottate per pagarsi da mangiare ed eventuali taxi presi per recarsi in vari teatri e auditorium e sostenere delle audizioni.
Si era ormai scoraggiato, perché non veniva mai preso, nemmeno nella compagnia più misera. Aveva cominciato a chiedersi se fosse davvero quella la sua strada: Tutte le volte che tentava un’audizione lo fermavano sempre dopo la prima esibizione, sia che fosse canto, recitazione o danza, ai direttori non importava. Perciò Darren non capiva se c’era qualcosa che non andava in lui.
Un giorno Si presentò ad un’audizione. Era in uno dei teatri più belli di tutta Manhattan. Non sapeva come, ma sentiva che questa volta sarebbe andata diversamente.
Chiamarono il suo nome.
Direttore: “Darren Everett Criss!”
Uscì da dietro le quinte e si posizionò al centro del palco.
“Presente!!” disse Darren con estremo entusiasmo.
Direttore: “Bene, mi fa piacere vedere tanto entusiasmo nella voce di un ragazzo così giovane! Passiamo ai fatti. Voglio vedere da te, come da tutti gli altri, l’emozione che fuoriesce da ogni singolo poro della tua pelle in ogni pezzo che eseguirai. Se non hai altro da dirmi, io ti farei cominciare.”
Darren rispose: “Perfetto, allora comincio!”
Avrebbe cominciato con la danza. Si era preparato una coreografia che mostrava due stili completamente diversi uniti da una sola melodia: il contemporaneo e l’hip hop. La canzone era ‘The supermassive black hole’ dei Muse. Darren si concentrò. La musica partì. Lui sentì ogni muscolo del suo corpo pervaso dal potere di una singola nota e cominciò a dare il meglio di sé.
Il direttore lo osservò e vide come Darren ci mettesse l’anima in quello che faceva.
Finito il pezzo il direttore accese il microfono e disse: “Bene, basta così, il prossimo.”
Darren si sentì improvvisamente distrutto. Sette minuti di audizione. Sette. L’audizione più corta di tutta la sua vita. Mentre camminava verso le quinte si sentiva abbattuto, come se non gli importasse più niente di se stesso.
Aspettò che finissero tutti quanti, poi andò dal direttore e in privato gli chiese: “scusi se la disturbo, ma vorrei sapere una cosa. Perché ha fermato così la mia audizione? Ci stavo mettendo quello che lei aveva chiesto, l’emozione. Ho trasportato tutto me stesso all’interno della coreografia. Dove ho sbagliato? Me lo dica, la prego”
Il direttore, sbalordito, gli rispose: “Guarda che forse mi hai frainteso; io ho fermato l’audizione, perché avevo già visto tutto quello che potevi dare. Sono stato molto colpito dalla tua coreografia e di come sei riuscito a mescolare entrambi i tipi di danza. Ti devo veramente fare i miei complimenti Darren!”
“Quindi non ho fatto schifo.” Rispose Darren.
“No, al contrario! Sei stato fantastico.”
Silenzio.
“Senti, te lo dico subito, senza tenerti troppo sulle spine. Sei stato preso nella compagnia.” Asserì il direttore.
Darren non poteva credere a quelle parole. L’unico suo pensiero andò alla sua famiglia. Poteva finalmente abbandonare quello squallido lavoro e averne uno serio. Non riusciva a capacitarsi di come tutto questo potesse accadere a lui.
Si gettò al collo del direttore e lo strinse forte. Il direttore accolse l’abbraccio con un sorrisetto compassionevole.
“Sono dicuro che farai grandi cose tu, Darren Everett Criss” gli disse.
“Sono felicissimo! Grazie per questa meravigliosa opportunità! Corro subito a dirlo ai miei!!”
Fece per andarsene. Il direttore stava già raccogliendo le sue cose dalla sua postazione, quando si girò verso Darren per dire: “Darren, mi sono dimenticato i convenevoli.” Si avvicinò per stringergli la mano: “Io sono Grant Gustin, ma puoi chiamarmi Grant.”
Darren uscì dal teatro felicissimo. Non sapeva che quel nome sarebbe stato la sua rovina.

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Capitolo 8
*** Violenza ***


Violenza
Darren stava uscendo dal teatro.
Era elettrizzato e poteva considerarsi la persona più felice del mondo, in quel momento.
Si vedeva già, sui palcoscenici dei teatri più belli di Broadway a recitare i monologhi più ricercati, a cantare i pezzi più emozionanti, ad eseguire tutte le coreografie più mozzafiato; si immaginava troppo bene là sopra.
Dopo una settimana di silenzio arrivò una chiamata dal direttore Grant, che chiedeva la convocazione per il giorno successivo a teatro.
Darren dormì poco dall’eccitazione. Cominciò ad assopirsi verso le 4:00.
La sveglia suonò alle 7:00 e dopo 3 misere ore di sonno Darren la spense e si convinse ad alzarsi.
Fece tutto con estrema fretta, perché realizzò dopo pochi minuti che quello era l’inizio dell’avverarsi del suo sogno. Un sogno inseguito per una vita. Un sogno che poteva finalmente diventare realtà.
Finì di preparare tutto quanto alle 7:30 precise, perciò cominciò ad avviarsi con calma lungo le strade poco affollate di Manhattan. Camminando verso il teatro poté notare che tra esso e casa sua non c’era molta strada; ma soprattutto poté accorgersi delle migliaia di cose bellissime che si era perso a causa del semplice fatto di guardare per terra, per via dell’ansia.
Sugli alberi stavano sbocciando nuovi fiori, primo segno della primavera che sopraggiungeva all’inverno passato. Il candore di quei petali rosei copriva il grigio della città e le conferiva un aspetto quasi magico che Darren non aveva mai notato.
Darren non si fermava molto spesso a parlare con la gente, ma quella mattina si fermò a prendere il giornale e scambiò quattro chiacchiere con l’edicolante. Più avanti c’era un bar dove si fermò a fare colazione. Ordinò un cappuccino con doppia schiuma e un croissant vuoto, per tenersi leggero, dato che lo aspettava una giornata particolarmente pesante.
Ebbe tempo di osservare le persone che entravano ed uscivano dal bar. C’era il classico uomo d’affari in giacca e cravatta con tanto di ventiquattrore che leggeva il quotidiano locale mentre sorseggiava il suo caffè macchiato.
Notò una mamma che si era fermata a fare colazione con i figli. Era una donna giovane, avrà avuto poco meno di trent’anni, accompagnata dai due figli che si differenziavano di qualche anno; probabilmente andavano entrambi ancora alle elementari, a giudicare dall’espressione ancora molto bambinesca. La vista di tutto ciò lo rese un po’ triste, perché non ricordava momenti del genere nella sua infanzia: non aveva mai avuto il piacere di fare colazione al bar con sua mamma e suo fratello. Mai.
Erano le 7:55. Giusto in tempo per uscire, fumarsi una sigaretta ed entrare in teatro.
Aveva cominciato a fumare due mesi prima, nel momento esatto in cui il primo teatro lo aveva cacciato. E ora non poteva più fare a meno della nicotina, che lui vedeva come una valvola di sfogo.
Arrivò davanti al teatro e salutò gli altri ragazzi, che presuppose fossero gli altri membri della compagnia. Erano tutti abbastanza giovanili, tranne una donna, che sfiorava i quaranta, ma ancora in una forma pazzesca, e di una bellezza strabiliante.
Quando videro il direttore cominciarono a entrare tutti insieme.
Si misero a sedere sul palco con Grant che parlava riguardo allo spettacolo che dovevano portare in scena.
Darren afferrò al volo ogni parola della breve introduzione inerente al lavoro che dovevano svolgere.
Dopo che Grant aveva assegnato le parti, fece capolino da dietro le quinte l’insegnante di danza.
“Piacere a tutti! Io sono Kevin McHale, ma potete tranquillamente chiamarmi Kevin.” Si presentò lui.
Era un ragazzo mediamente alto, giovane, capello castano ma abbastanza scuro da tendere al corvino; fisico slanciato e due gambe che, a detta di Darren, con un balzo lo avrebbero fatto arrivare in cima alla Tour Eiffel.
Dovevano portare in scena il musical “Fame”, quindi cominciarono con la coreografia sulla canzone omonima.
Darren era felicissimo, perché era il suo stile, quindi pensò di non avere problemi.
Finita di imparare la prima sequenza, Kevin decise di fare una prova con la musica.
Alla fine del primo ritornello Darren sbagliò ad eseguire un Grand Jeté e cadde. Tra le urla che uscivano dalle bocche di tutti i ragazzi, quella di Darren fu la più terribile e negli occhi di Kevin e di Grant si creò il ghiaccio. Non sapevano cosa fare. Kevin gli prestò il primo soccorso. Poi Grant disse: “Non vi preoccupate, adesso lo porto io a casa; sono stato infermiere ortopedico prima di iniziare questo mestiere, quindi me la dovrei cavare.”
“Grazie mille direttore. Ragazzi! Aiutatemi a caricarlo in macchina!” gridò Kevin.
In quattro lo presero e lo portarono di peso nella macchina del direttore, una Chevrolet dell’87.
Darren salutò i compagni rassicurandoli che non fosse niente di grave.
Arrivarono dopo 20 minuti a casa di Grant, un piccolo loft nel centro di Manhattan.
Salirono in casa e Grant mise Darren su un lettino. Sembrava costruito in modo molto strano per essere un lettino da paramedico, ma Darren si fidò e non fece domande.
“Vado a prendere tutto l’occorrente per visitarti!” Disse Grant mentre imboccava il corridoio.
Tornato mise su un tavolino tutto l’occorrente. Inizio con il tastare la caviglia di Darren. Gli faceva male all’altezza della giuntura Fra tibia e Perone. Grant gli tirò il piede a martello per vedere se fosse rotta oppure no. Darren non urlava, quindi dedusse che fosse solo una distorsione. Gli fascio la caviglia e lo rimise a nuovo.
“Ti vedo teso. Hai bisogno di rilassarti. Se vuoi posso farti un massaggio, in modo da farti poi riprendere meglio. Sai, più una persona è stressata o tesa, più tempo ci mette a guarire, anche da una piccola distorsione.” Disse Grant.
Darren annuì e si tolse la maglietta sotto richiesta di Grant; si rimise sdraiato, e Grant cominciò a muovere le mani sul suo corpo.
Dopo qualche minuto: “potresti toglierti anche i pantaloni? Sai, se non ti massaggio le zone tese vicine alla distorsione, non serve a molto tutto ciò.”
Darren, molto scettico, annuì ancora e si tolse i pantaloni. Chiuse di nuovo gli occhi.
Sentiva Grant che armeggiava con degli strumenti sul tavolino, ma non gli diede molta considerazione.
Sentì una puntura sulla coscia destra.
Aprì gli occhi come un lampo e urlò a Grant: “Ma che diavolo fai! Perché mi hai fatto una puntura, e, soprattutto, cosa mi hai iniettato???”
“Tranquillo Dare, è solo un distensore muscolare, per agevolare il rilassamento del quadricipite.”
Darren non ci credeva, ma non poté ribattere, perché sentiva che le forze lo stavano lentamente abbandonando. Grant continuò a massaggiare e Darren si sentì molto rilassato.
Il massaggio arrivò fino all’interno coscia.
Darren aveva gli occhi chiusi per la stanchezza. Gli aveva probabilmente iniettato un tranquillante o un sonnifero.
Le mani si staccarono dalle sue gambe. Aprì gli occhi e si trovò la faccia di Grant di fronte alla sua: “Ora ti farò sognare” gli disse.
Darren non vide più la sua faccia, ma sentì che le sue labbra si avvolgevano intorno al suo pene, e poi salivano e scendevano ritmicamente. Volle trovare la forza per cacciarlo via, ma non ci riuscì. Aveva capito cosa gli aveva iniettato.
Ketamina. La droga dello stupro.

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Capitolo 9
*** Cuore ***


Darren si svegliò.
Ci mise poco a ricordare quello che era successo. Vedeva il suo corpo nudo, sdraiato su quel lettino, che per un attimo aveva pensato diventasse la sua bara.
Si girò un attimo intorno e vide che il suo carnefice era alle sue spalle.
Sobbalzò sul lettino, ancora in preda al panico, in una nudità che considerava vergognosa. Si scambiarono un paio di sguardi. Furono veloci, ma a Darren sembrarono durare un’eternità. La sua faccia era impaurita e durante quegli infiniti secondi Darren continuava a coprirsi.
Lo sguardo di Grant era invece soddisfatto. Soddisfatto, nonostante tutto ciò potesse ritorcersi contro di lui. Sfortunatamente per Darren, Grant aveva già pensato a tutto prima di violentare quel povero ragazzo.
Quando Darren si riprese dallo shock iniziale, disse: “Tu mi hai violentato!! Perché l’hai fatto?? Mi avevi preso soltanto per questo alle audizioni!!”
“Calmati piccolo ‘gigolot dei poveri’! Volevo solo testare quanto fosse buona la tua fama. E se devo proprio dirla tutta, non sei esattamente come ti descrivono.” Disse Grant con fare spocchioso.
Darren non poteva credere a quelle parole. Grant lo aveva drogato e poi stuprato perché semplicemente voleva verificare la sua attendibilità?
Si sentiva inutile. Come un giocattolo rotto in una discarica. Usato, e poi buttato. Ma questa volta era diverso. Questa volta era peggio. Perché si sentiva tradito da una persona che pensava, stupidamente, in fin dei conti, gli potesse dare tanto. Invece lo aveva solo preso a noleggio come se fosse un DVD di un film consigliato da un amico, che noleggi e poi riporti subito solo per dimostrargli di averlo visto. Un oggetto utilizzato per farsi grandi e forse dire ‘Io scopo meglio di questo gigolot da quattro soldi!’
Era furioso. Stava per spaccare tutto, ma si calmò.
Raccolse la sua roba e si vestì, davanti allo sguardo soddisfatto di quel lurido, viscido verme.
Si diresse verso la porta e disse: “Lo sai che potrei andare subito a denunciarti alla polizia?”
“Ma io so che non lo farai.” Rispose fermo Grant.
“Come fai a dirlo?” domandò Darren sicuro della sua affermazione.
“Io conosco i direttori di tutti i teatri della zona. Posso fare in modo che anche il teatro più schifoso nei dintrorni ti rifiuti alla sola richiesta di presentare un’audizione.”
Darren si sentì ancora più distrutto. Il suo futuro sarebbe stato segnato se avesse fatto la cosa giusta.
Prese allora la decisione più orribile della sua vita: “accetto il compromesso.” Disse “tu lasci stare il mio futuro, e io sparisco dalla tua vita.”
Grant annuì. Era pienamente d’accordo con il discorso di Darren, ma tanto avrebbe fatto di testa sua.
Darren uscì dalla porta con una sola parola: “Addio.”
Appena la porta si chiuse Grant sussurrò un ‘arrivederci’ seguito da un ghigno degno di una strega delle fiabe.
Darren cominciò una nuova vita.
Dopo essere stato rifiutato a molte audizioni, capì che quel maledetto Grant Gustin lo aveva fregato, chiudendogli lo stesso tutte le porte dei teatri. Non poteva neanche andare dalla polizia, perché non avrebbero trovato più Ketamina nel suo sangue. Non sarebbe servito a niente.
Si trasferì allora nel quartiere di Burning Street e conobbe lui. Colui che lo fece innamorare al primo sguardo. Colui che lo fece perdere nei suoi occhi colore del cielo. Colui che avrebbe potuto colmare tanti vuoti di quella vita inutile.
Ora era lì.
Gli stringeva forte il collo, come se non volesse lasciarlo andare.
Si era legato a lui subito, come in una sorta di imprinting.
Dopo qualche minuto lo lasciò andare e lo caricò in macchina. Lungo tutto il tragitto Chris non aprì bocca. Si sentiva solo il rombo del motore, la pioggia che batteva leggermente sul parabrezza e il movimento ritmico, e allo stesso tempo quasi dolce, dei tergicristalli.
Aiutò Chris a scendere dalla macchina e lo portò in casa.
Lo fece sedere sul divano.
Si vedeva che in quel luogo aveva passato la sua intera vita. Il salotto era arredato con mobili vecchio stile, che lasciavano intravedere la grande quantità di ricordi chiusa in quella casa.
Darren sedette sul tavolino di fronte a lui.
Era scombussolato, ma era pronto a dirgli tutto. Non gli interessava cosa avrebbe pensato.
“Senti Chris. Ci conosciamo da quasi sette ore, e tu sei già entrato dentro di me come un treno in una galleria. Appena ho aperto la porta ho visto nei tuoi occhi il candore innocente di chi cerca qualcosa. Qualcosa di concreto. Qualcosa che resti. Ho visto per la prima volta gli occhi di una persona sincera. E non lo dico tanto per dire. Da quando ti ho visto, ho sentito una serie di emozioni completamente diverse fra di loro invadere il mio cuore. Ma solo una ha prevalso. Non credo di aver mai trovato il coraggio di dire queste cose a un’altra persona, anche perché sarebe la prima volta. Io…io credo...credo di amarti Chris. Non chiedermi come è successo. So solo che quello che sento dentro di me è una cosa reale. Viene diretta dal cuore, senza passare per altre vie. Esattamente da qui” Gli prese la mano e gliela mise sul suo cuore. Chris si accorse che il cuore di Darren batteva all’impazzata, senza fermarsi. Darren riprese il discorso, con la voce rotta dall’emozione: “ora non importa quello che mi dirai. Io sento dentro di me un’emozione forte che cresce ogni minuto. E voglio dimostrartelo. Voglio dimostrarti che se avrai bisogno mi troverai qui, a pochi metri di distanza, in fondo alla strada.”
Darren lasciò la mano di Chris, che cadde sulle ginocchia di quest’ultimo. Prese il telefono dalla tasca e fece partire una canzone.
“Chris, ascolta bene. È il mio cuore che parla.”
http://youtu.be/JPEtGrvLsqo
 
 
Nda
Ok, è la prima volta che faccio una nda. Volevo solo chiarire un paio di punti.
Tutto quello che trovate scritto in questo racconto è, A GRANDI LINEE, molto autobiografico. L’innamoramento frettoloso di Darren, la questione della violenza sessuale nel capitolo precedente, e altre cose su cui ora non intendo dilungarmi. Quello su cui vorrei fermarmi è l’amore che sembra quasi esplodere dal cuore di Darren. Avete mai provato quella sensazione di benessere che si ha quando si è innamorati di una persona, nella quale sembra tutto perfetto, anche se lui non lo sa? E ancora di più quel batticuore che viene quando si sta dichiarando a questa persona tutto il proprio amore? Io sì, ed è una sensazione di completo benessere, almeno finché l’altro non apre la bocca per darti la tua risposta. Io credo fermamente che l’amore di Darren sia molto sincero, anche se, qualcuno potrà dire, troppo frettoloso. Se non lo credessi, ovviamente non ne scriverei.
Ovviamente anche la scelta della canzone finale è stata dettata molto da un’esperienza personale e, per assicurarmi che tutti voi vediate il video fino alla fine l’ho messo in una posizione tale per cui se non si guarda, non si capisce la fine del video. Anche la costruzione della sequenza immagini ha un senso, quindi vi consiglio vivamente di guardarlo.
Grazie a tutti coloro che mi seguono, leggono e recensiscono, perché, nonostante io sia ancora agli inizi, sono già tantissimi. Un grazie speciale a Chemical Lady e Dubledore fan che sono le mie due mentori e se non le seguite, anche se non credo, vi consiglio di farlo ed infine grazie a questa vita passata in questo modo, che mi ha permesso di trasferire le mie emozioni dentro ad una storia.

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Capitolo 10
*** Parole ***


Chris era fermo sul divano.
Non sapeva cosa fare. Voleva guardarlo negli occhi, ma aveva perso la vista. Voleva guardare negli occhi quell’angelo riccioluto che, non solo gli aveva fatto perdere la testa, ma anche la vista.
C’erano troppe emozioni da sopportare dentro al suo corpo. La grande rabbia per via di quell’orribile incidente. Il desiderio di scagliargli il posacenere di ceramica in testa. E infine c’era l’ultimo, un sentimento che conosceva, fin troppo bene.
Non aveva parole, né pensieri, per descrivere quell’emozione, sapeva solo che era una cosa che portava belle e pessime situazioni.
Se ne ricordava una in particolare.
Stava finendo l’estate. Correva l’anno in cui aveva compiuto diciotto anni. Aveva conosciuto un ragazzo. Lavorava nel bar di fronte a casa sua. Aveva frequentato un’accademia, nella quale Chris voleva assolutamente entrare. Gli chiese allora informazioni. Lui gli rispose con tono gentilissimo e disposto ad aiutarlo.
Passarono i giorni e quando Mark, il ragazzo del bar, faceva chiusura, loro si fermavano a parlare per ore riguardo a tantissime cose: musica, teatro, persone, ecc.
Tutto cambiò, per Chris, una sera: Mark stava chiudendo e Chris gli chiese “senti Mark, non è che potresti venire da me che ti devo far sentire un paio di canzoni?”
“certo” rispose Mark sempre con il suo tono di disponibilità.
Si diressero verso casa di Chris. Entrarono e Mark si sedette sul divano.
Chris schiacciò il tasto play del telecomando dello stereo e la stanza si riempì con le note di “I see you” di Leona Lewis. Appena la voce di Chris si unì a quell’incredibile melodia, si creò un’armonia tale da permettere a Mark di chiudere gli occhi e sognare.
Finito il pezzo, Mark iniziò ad applaudire con le lacrime agli occhi.
“Hai una voce stupenda e la tua interpretazione fa venire i brividi!”
“Grazie Mark” lo abbracciò e si sedette accanto a lui.
Poggiò la testa sulla sua spalla e il braccio di Mark finì attorno al collo di Chris. Questi allora gli strinse la mano.
Restarono fermi così per dieci minuti.
Dopodiché Mark disse che era tardi e che doveva andare.
Chris lo accompagnò alla porta. Era felice di aver passato una serata del genere. Era lì, con una persona con cui aveva del feeling. Non voleva che nascesse qualcosa. Voleva solo che ci fosse del feeling. Voleva un amico.
Sulla porta, prima di salutarlo, Mark disse: “Sai Chris, non avevo mai stretto la mano ad un uomo in quel modo.”
Chris rimase pietrificato. Cosa voleva dire quella frase?
Fece un attimo mente locale. Mark sapeva che lui era gay, e questo non gli aveva mai dato problemi. Allora perché se ne era uscito proprio con quella frase? Voleva essere una leggera frecciatina?
Chris chiese: “Sono stato equivoco? Se è così ti chiedo scusa. Non volevo metterti in difficoltà.”
“Non ti preoccupare, sono sono fatto un po’ strano io, stai tranquillo” rispose Mark con un sorriso dei suoi.
Chris e Mark si strinsero in un abbraccio forte, come tra fratelli, poi Mark se ne andò e Chris rientrò in casa.
Si mise a letto dopo aver accuratamente eseguito tutti i suoi trattamenti, ma non riuscì a prendere sonno subito come al solito. Cominciò a pensare. Pensare a cosa avesse voluto dire Mark con quella frase.
Chissà se adesso anche lui si stava facendo delle domande su quello che era successo e su quello che aveva detto.
Dopo tre ore buone Chris riuscì finalmente a prendere sonno.
Il giorno dopo si svegliò e sbrigò tutte le sue commissioni.
Tornato a casa, vide che Mark stava chiudendo il turno anticipatamente, allora lo andò a salutare.
“Ehi Mark”.
A quelle parole il suo viso si illuminò con un enorme sorriso e Mark corse ad abbracciare Chris.
Questi rimase un attimo perplesso dal suo comportamento, ma cinse l’amico con altrettanta foga nell’abbraccio.
“Come stai Chris? Ho assolutamente bisogno di farti sentire un pezzo che ho composto e che sarebbe perfetto per la tua voce!” esplose Mark.
“Dio non ci posso credere! Grazie Mark! Sono troppo curioso di sentirlo!” rispose Chris con grande entusiasmo.
Mark ridiventò pseudo-serio: “Senti, ti va se ci vediamo domani sera? Così ti faccio sentire per bene il tutto!”
Chris ci mise un attimo per rispondere, ma quella risposta fu chiara e concisa: “Assolutamente!”.
Si dissero che si sarebbero sentiti via cellulare.
Dopo pranzo Chris inviò un messaggio a Mark, che recitava: “Dimmi tu un orario e un luogo per stasera”.
Aspettò un po’ e intanto si mise a fare un po’ le faccende di casa. Passò più di 4 ore tra pulire i pavimenti, fare il bucato, stirare le cose già asciutte, lucidare l’argenteria e mettere un po’ a posto il giardino.
Di Mark ancora nessuna risposta.
Decise di ordinare una pizza. Il take away arrivò prima del previsto.
Chris mangiò con tranquillità, poi decise che l’attesa lo stava dilaniando, quindi prese un cappottino leggero e uscì.
Dalla tasca del cappottino tirò fuori un pacchetto di Lucky Strike rosse, le sue preferite. Ne accese una e nel frattempo mandò un altro messaggio a Mark, con scritto dove si sarebbero visti.
Ancora nessuna risposta nella mezz’ora successiva.
Era un po’ che ci pensava, e forse aveva capito che da lui non voleva solo un’amicizia, voleva qualcosa di più. Insomma, Chris sentiva di essere innamorato. E sentiva soprattutto di avere un ritorno.
Decise di scrivere quello che provava in un messaggio, per poi tenerselo come bozza e capire quando avrebbe potuto dirglielo.
Scrisse poco, ma spiegò quello che provava in modo conciso.
“Ciao, scusa se ti rompo ancora, ma volevo dirti una cosa. È un po’ che ci penso e credo proprio che sia il momento giusto. Credo di amarti. Ecco, l’ho detto, ora puoi anche scegliere di non vedermi più”
In quel momento pensò di essere la persona più patetica del mondo, ma non gli importava, dato che quel messaggio sarebbe probabilmente morto con lui.
Bloccò il telefono e lo rimise in tasca. Diede un tiro alla sigaretta, ma gli andò di traverso. I suoi occhi si spalancarono come se avessero appena visto un fantasma. Prese il cellulare dalla tasca e vide una cosa che gli fece accapponare la pelle.
Il messaggio era contrassegnato dalla scritta ‘inviato’.
Aveva fatto la più grande stronzata della sua vita.

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Capitolo 11
*** Silenzi ***


Silenzi


La sveglia ruppe il magico sonno rigenerante di Chris con il suo muggito che riempiva sempre tutta la casa, tanto da far sobbalzare anche il gatto, il quale certe volte dormiva al piano inferiore.
Prese la sveglia, la spense e, non contento, la lanciò verso la porta aperta, prendendo velocemente la via delle scale e sfracellandosi sul pavimento.
Perfetto, ora doveva pure comperare un’altra sveglia. Fantastico.
Si alzò frastornato.
Doveva effettivamente smetterla di arrivare in casa, scendere in taverna e iniziare a mandare giù almeno due bottiglie di vino ogni tre sere. Per fortuna aveva maturato la consapevolezza di farlo solo quando non aveva niente da fare in quella giornata.
Rimase ancora sul letto, guardando il soffitto e cercando di aprire gli occhi. Poi una cosa glieli fece spalancare. Fece un balzo sul letto e prese il cellulare, andando a controllare i messaggi.
Il suo viso riprese la disperazione della sera precedente, mentre iniziava a buttare giù il primo bicchiere. Il messaggio esisteva ed era ancora contrassegnato dalla parola ‘inviato’.
Inoltre non vi era alcun messaggio di risposta.
La frustrazione e l’imbarazzo lo colsero impreparato e lui si appoggiò al muro, scendendo con la schiena fino a sedersi sul pavimento.
Iniziò a piangere. Un pianto convulso. Il pianto di chi ha appena scoperto di aver perso la persona più importante della sua vita.
Sapeva, però, che Mark era una persona intelligente e che sarebbe riuscito a trovare la giusta soluzione.
Con questo pensiero un po’ più confortante si alzò e scese per fare colazione.
Addentando un biscotto e buttando un occhio su qualche titolo del quotidiano dinanzi a lui, Chris aveva velocemente capito che quella giornata, come le seguenti, sarebbe stata molto lunga.
I giorni passarono e di Mark nemmeno l’ombra: né una chiamata, né un messaggio. Non era neanche più in turno nel bar di fronte.
Non si preoccupò tanto di questo. Sapeva che si sarebbero dovuti vedere il sabato sera, per via di una cena a cui erano invitati entrambi. Chris aveva pensato di declinare l’invito, ma poi pensò che non sarebbe stato giusto rinunciare a vedere alcuni dei suoi più cari amici per colpa di una persona.
Adesso però pensava che lui potesse fare la stessa cosa.
Ma come ti viene in mente Chris, lui è una persona intelligente; non compirebbe mai un gesto così codardo! Diceva la sua parte buona e innamorata. Più innamorata che buona.
Ormai era ora, quindi si andò a preparare.
Scelse la sua mise migliore: pantaloni beige abbastanza stretti, maglietta grigia e cardigan blu notte. Sotto si mise un paio di semplici scarpe da ginnastica bianche. Successivamente si diede una spruzzata di profumo, si infilò il cappotto, prese le chiavi e le sigarette ed uscì.
La casa dei suoi amici non distava molto dalla sua, perciò si incamminò accendendosi una sigaretta.
Pensò a cosa si sarebbero detti lui e Mark.
Soprattutto se si sarebbero visti.
E se si fossero visti, Mark lo avrebbe salutato?
E avrebbero potuto parlare?
Troppe erano le domande che si erano insediate nel suo cervello.
Le mandò via con un respiro a pieni polmoni.
In meno di dieci minuti Chris raggiunse la casa della sua amica, si avvicinò alla porta e premette il dito sul citofono.
Dopo pochi secondi gli aprì la porta la sua amica: “Ciao Kim! Come stai?” disse stringendola in un forte abbraccio.
“Tutto bene Chrissy, tu?” rispose la ragazza con voce squillante ed eccitata “sai, non vedevo l’ora di fare questa rimpatriata”
‘oh neanche io’ mentì Chris nei suoi pensieri. “Me la passo dai” disse entrando e facendosi precedere dall’amica in salotto.
Kim era una ragazza bellissima, a detta di Colfer. Magra e slanciata, con un viso rotondo e molto dolce e una chioma di capelli corvini, i quali riflessi bluastri richiamavano il colore dei suoi occhi. Faceva sempre una bellissima impressione sui ragazzi, ma di solito la maggior parte di loro si ricredeva quando parlava con lei per più di cinque minuti. Sotto questo aspetto pareva un po’ fastidiosa, ma era semplicemente una persona a cui piaceva molto stare in compagnia, ridere e scherzare; questo la rendeva una persona, per gli amici, piacevole. Effettivamente anche lei non aveva incontrato uomini molto motivati nel volerla conoscere. E Chris ogni tanto pensava che fossero stati separati alla nascita. Ma non si assomigliavano per niente, se non per il colore degli occhi e questa sfortuna che condividevano tristemente.
Arrivati in salotto Chris fece un veloce saluto a tutti gli altri.
Fra di essi non notò Mark e questo, da una parte lo sollevò molto.
“Ciao Chris!”
Il sollievo durò poco; infatti quelle parole, che provenivano dalle sue spalle, appartenevano a una voce molto familiare.
Colfer ebbe un sussulto, poi si voltò lentamente sorridendo: “Ciao Mark!” disse saltandogli al collo e abbracciandolo. Il ragazzo lo strinse di rimando e poi andarono a sedersi in mezzo agli altri.
Entrambi parlarono molto di più con gli altri ragazzi che non vedevano da un po’ di tempo.
Ad un certo punto della serata, tra una portata e l’altra, Chris chiese: “Kim! Posso uscire in veranda a fumare una sigaretta?”
“Certo!” Rispose la ragazza dalla cucina.
“Il posacenere è sempre nello stesso posto?”
“Sempre lì” rispose nuovamente la mora.
Colfer si alzò e chiese a Mark di seguirlo. L’altro si alzò con lui e insieme uscirono sulla veranda.
Il primo si accese una sigaretta.
“Quindi?”
La fronte di Mark si corrugò leggermente a quella domanda. “Che intendi?”
Chris diede un tiro alla sigaretta e sbuffò: “Che hai da dire?”
“Riguardo a cosa?”
“Riguardo al messaggio”
“oh…”
“Solo questo?”
Ci fu una pausa di un lungo e interminabile minuto prima che Mark potesse rispondere definitivamente: “Vedi, quel messaggio mi ha spiazzato. È stato bello, in un certo senso, riceverlo, ma mi ha lasciato veramente senza parole. Non so che dire.” Si fermò.
“Ah, quindi è questa la tua risposta? Ottimo” Disse Chris con tono fermo.
“No, fammi spiegare. È difficile. Vedi, tu pensi che io non abbia mai vissuto situazioni di questo tipo. Ti sbagli. Mi è già capitato una volta ed è stato altrettanto difficile trovare le parole giuste da dire per non ferire l’altra persona.”
“Quindi è un no, sostanzialmente” prese un altro tiro di sigaretta.
“Beh, ecco. La risposta più adatta è che io non sono ancora pronto per avere una storia con un uomo.”
Chris rimase impietrito. Il sangue gli si era gelato nelle vene, e non era di certo per la temperatura esterna.
Come poteva dire una cosa del genere?
‘scommetto che adesso si aspetta pure che io gli sorrida e gli dica di non preoccuparsi’ pensò il ragazzo.
“Quindi è un no” ripeté il ragazzo dal viso di porcellana.
“Per il momento sì” fece una breve pausa e riprese prima che Chris lo interrompesse “è solo che non voglio buttare via il rapporto che abbiamo messo su in tutto questo tempo.
Chris era stranito da quell’affermazione. Si aspettava davvero che tutto rimanesse come prima?
“Sai che non potrà mai essere lo stesso tipo di rapporto, perlomeno da parte mia, vero?”
Mark sembrava non capire.
“Svegliati! Io sono innamorato di te! Come potrò mantenere lo stesso rapporto ora che gioco a carte scoperte?”
Il ragazzo stette in silenzio.
“Dimmi una cosa: è un ‘non sono ancora pronto’ o un ‘ti dico questo, così ho una persona in più che striscia ai miei piedi per cercarmi anche se sa che non avrà niente da me’?” chiese Chris con tono sarcastico.
Mark stette in silenzio il tempo che il ragazzo di fronte a lui finisse la sigaretta e ne accendesse un’altra dal nervosismo.
“Chris. Io ti voglio veramente un bene enorme. Sei un ragazzo unico nel tuo genere, molto più maturo di tanta gente della mia età, per esempio. Ma vedi.” Disse facendo qualche passo verso la staccionata e osservando il cielo “io sono confuso, e non so realmente cosa voglio dalla mia sessualità. Non so ancora se voglio te, oppure un altro, oppure un’altra. Non lo so. Sono terribilmente confuso.”
Chris guardava le listarelle di legno che si inseguivano nel formare il pavimento della veranda.
“Vedi, so che è difficile da accettare questa cosa. Tu hai avuto un grande coraggio nel mostrare a tutti chi sei. Sei da ammirare e da prendere come esempio. Di sicuro farai strada.”
Mark sembrava aver concluso: “Quindi è un no” Chris si ripeté per la terza volta.
“Chris, ti prego, non rendere le cose più difficili!” lo supplicò l’altro.
Si ritrovarono l’uno di fronte all’altro. Si scrutavano a vicenda.
Colfer non aveva mai notato fisicamente l’altro ragazzo. Ora che ci faceva caso, si era convinto di aver fatto anche una gran bella scelta. Alto più o meno come lui portava una folta, ma corta chioma di capelli ricci e neri come quelli di un afroamericano. Un fisico ben definito e il viso che racchiudeva una bocca molto carnosa e due occhi color del carbone. Ogni volta non riusciva a fermare lo sguardo per più di due secondi su quelle sfere dal’iride nera. Vi si perdeva ogni volta.
Il suo desiderio sarebbe stato quello di perdercisi ogni santo giorno, alla mattina, appena svegli, quando i due visi si incontrano per il primo momento della giornata.
Invece si ritrovò a guardarlo con disperazione: “Bene, ho capito l’antifona. Tu non mi vuoi, ma preferisci non troncare il rapporto, così il tuo fabbisogno giornaliero di egocentrismo è soddisfatto, perfetto. Sarai accontentato. Cosa devo dirti? D’altronde, da stupido innamorato quale sono, accetto qualsiasi compromesso, purché esso mi conceda di poterti vedere o sentire.” Cominciarono a scendere delle lacrime su quelle guance candide e la voce cominciò a rompersi più volte durante il discorso. “Non serve a niente mentire l’uno all’altro. Diciamoci la verità. Io sono innamorato di te, mentre tu non vuoi saperne niente, perché sei palesemente innamorat…”
Successe tutto in pochi secondi.
Fra le lacrime non riuscì a distinguere bene le figure, ma poteva sentire tutto.
Le labbra di Mark erano stampate contro le sue.
Non capiva il sentimento che provava. Non capiva se era felicità, semplice soddisfazione o rabbia.
Poteva, in fondo, averlo fatto semplicemente per dargli un contentino, ma a giudicare dalla forza che ci metteva, non era quello il sentimento che provava.
Sembrava reale e non fittizio.
Mark si staccò e lo guardò negli occhi, così intensamente da far voltare l’altro verso una direzione diversa. Faceva troppo male.
“E questo che significa?” chiese Chris allontanandosi.
“Era il mio addio.”
Non poteva credere a quello che aveva appena sentito. Addio?
“Non starai dicendo sul serio, vero?” chiese il ragazzo perplesso.
“è la verità. Domani partirò e me ne andrò. Ho trovato un ingaggio in una compagnia un po’ lontano da qui e grazie a loro potrei entrare in contatto con una casa discografica. Volevo salutarti.” Andò per abbracciarlo, e Chris glielo permise.
Mark si staccò ed entrò a salutare gli altri. Il ragazzo dagli occhi azzurri intanto si accese l’ennesima sigaretta. L’altro uscì nuovamente fuori e fece il gesto del saluto con la mano prima di andare a stringerlo un’ultima volta.
Prima di andarsene disse le parole più brutte: “Ti amo, Chris” si voltò e salì in macchina, mettendo in moto e guidando verso casa sua.
Chris entrò in casa, salutò velocemente tutti quanti e tornò alla sua abitazione. Durante il tragitto si mise a pensare a tutto quello che il ragazzo gli aveva detto.
Perché? Perché aveva detto tante cose così diverse l’una dall’altra? Perché lo aveva baciato, dopo avergli detto che non era ancora pronto per una storia con un uomo? Ma soprattutto, perché gli aveva detto ‘ti amo’?
A Chris non faceva bene camminare. Pensava troppo.
Arrivò a casa e aprì velocemente la porta, precipitandosi poi in camera da letto.
Rovistò freneticamente tra i cassetti e finalmente lo trovò: il disco sul quale Mark aveva registrato la base per lui.
Lo tolse dall’involucro di plastica e lo mise nello stereo.
Premette il tasto play e si allontanò lentamente dall’apparecchio.
La musica fluì dolcemente dalle casse, ma arrivò a Chris come un treno in corsa.
Indietreggiando ancora cadde sul letto.
Si tirò fuori dalle tasche un braccialetto e se lo portò al cuore. Diede un’occhiata alla scritta incisa sulla barra d’argento al centro, lo riappoggiò sul pettorale sinistro e scoppiò a piangere nel modo più violento che esista.
Il ricordo di quella scritta era troppo imponente da dimenticare così velocemente.
‘You deserve the best’
Questa scritta non se ne andò mai dal cuore di Chris.
Con lui è nata. Con lui avrebbe vissuto.
Con lui sarebbe morta.

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Capitolo 12
*** Risvegli ***


Risvegli

I pensieri che affollavano la mente di Chris svanirono subito dopo l’immagine di se stesso disteso sul letto in una valle di lacrime.
Scosse la testa e tornò al presente. Cercò di guardare avanti a lui, ma ovviamente non poteva.
Per fortuna era difficile scordarsi di un viso così meraviglioso come quello del ragazzo che aveva davanti. Il viso rotondo racchiudeva due occhi color ocra chiara, come la sabbia del deserto. I riccioli corvini gli cadevano sulla fronte come trucioli di legno colorati con una vernice laccata nera. L’espressione angelica che vide la prima volta gli aveva trasmesso una grandissima serenità. Non sapeva neanche lui il perché.
Lo sentiva.
Sentiva che era ancora lì.
“Quanto tempo è passato da quando hai smesso di cantare?” chiese senza mostrare alcuna esitazione nella voce.
Il ragazzo, stranito da quella domanda, rispose: “Beh, credo non sia passato neanche un minuto”
Sbigottito, si alzò con l’aiuto del bastone. Si recò verso il tavolino mobile dal quale prese una bottiglia di buon Brandy, la stappò e ne versò il contenuto nel bicchiere, facendo attenzione a non esagerare. Ne prese un sorso, poi si voltò con il bicchiere in una mano e il bastone nell’altra.
“Quindi mi vorresti dire che tutto ciò a cui io ho pensato fino ad adesso è durato poco meno di un minuto? Nonostante fossero ricordi fin troppo nitidi e dettagliati?”
“Beh, si dice che i ricordi meglio stampati nella mente siano quelli che scorrono più velocemente, anche se le immagini passano nella nostra mente a una velocità che noi percepiamo come tendente a zero.” Prese un breve respiro “E generalmente sono sempre i più dolorosi”
Chris non parlò. Si limitò a bere un sorso di Brandy, con un’espressione che lo tradì.
“Ho fatto centro?” chiese il moro.
“Decisamente.” Rispose freddo il cieco.
“Chris” Darren si alzò e si diresse verso il ragazzo. “mi dispiace se tutto ciò ha rievocato in te strani ricordi.” Con un dito gli sfiorò la guancia morbida e liscia come la pelle di un bambino. “Volevo solo essere sicuro che, malgrado quello che succederà e nonostante quello che crederai sia più giusto da fare per te, io sarò sempre disponibile per te. A poche case di distanza. A pochi passi da te.”
Gli tolse il bicchiere dalla mano e lo appoggiò sul tavolino. Poi prese la mano libera e la avvicinò al suo pettorale sinistro.
“Lo senti? Senti questo rumore sotto la mia pelle? È il mio cuore che batte. Mai prima d’ora avrei pensato che potesse battere così forte. Poi questa mattina ho aperto la porta, e ho visto i tuoi occhi. In quel momento ho capito quanto velocemente può battere il cuore di un uomo.” Darren scostò la mano di Chris dal suo petto, ma non la lasciò. Prima di lasciarla definitivamente aveva bisogno di una sua risposta. Avrebbe aspettato tutto il tempo del mondo.
Il ragazzo dal viso di porcellana prese un respiro.
Aveva già riflettuto abbastanza.
Come era entrato, il passato gli era uscito dalla testa, come una scarica che da un fulmine passa per una sbarra di metallo e poi si scarica a terra.
Era passato. Non doveva lasciarselo alle spalle, bensì utilizzarlo per non fare errori nel presente e migliorare il suo futuro, non come tutti fanno, ovvero chiudendo totalmente una porta. Bisogna che essa rimanga socchiusa, per dare modo alle esperienze di ripresentarsi e mettere la persona davanti ad una scelta realmente difficile: ripetere l’errore oppure optare per la scelta opposta. Durante questo tipo di scelte la gente non possedeva la giusta razionalità, pertanto sceglieva sempre di ripetere l’errore, pur avendo la consapevolezza che sarebbe stata la scelta sbagliata.
Chris riusciva, malgrado il cuore a mille, ad essere abbastanza razionale. Convogliava tutta la sua capacità di concentrazione sulla sua cecità. Non sarebbe più stato capace di fare le cose che faceva ogni giorno.
Non avrebbe più potuto godersi il tramonto che si stagliava all’orizzonte attraverso la finestra della sua camera.
Non avrebbe più potuto correre.
Non avrebbe più potuto vedere i film che tanto adorava.
Non avrebbe più potuto curare le more della nonna.
Non avrebbe più potuto vedere nulla.
Ma la cosa che più lo distruggeva era che non avrebbe più potuto vedere il viso della persona meravigliosa che gli stava dinanzi. L’uomo che desiderava da tanto tempo ora era lì, di fronte a lui e gli stringeva la mano.
Aveva paura di rispondergli. Ma perché doveva averne? Darren gli aveva già dichiarato di appartenergli, come poteva pensare di aver paura di rispondergli?
“Anche io” disse di getto stringendo la mano e allungando il collo per baciarlo.
Non ci vedeva, perciò posò le sue labbra sul naso dell’altro.
“Ehi, sono qui quelle che stai cercando.” Disse il moro prendendo il viso di Chris fra le mani e portando le labbra a contatto con quelle del ragazzo.
La sensazione che si scatenò dentro al cuore di Colfer era indescrivibile. Si sentiva pieno. Finalmente aveva scoccato il suo primo vero bacio alla persona che amava, senza che l’altro avesse ripensamenti o confusioni varie.
Pose le braccia su quelle del moro, lasciando cadere il bastone.
Continuò a baciarlo con dolcezza e innocenza.
Solo dopo poco si rese conto di una cosa: le sue braccia crollarono e si distesero lungo il corpo. Provò a cingerlo lungo i fianchi.
Niente. Le sue mani si scontrarono con un fragoroso CLAP  e ciò attraverso cui passarono era stranamente…freddo.
Si staccò velocemente e quasi cadde sul tavolino.
Portò con infinita paura una mano avanti per capire se aveva sentito bene.
Ad un certo punto sfiorò una zona più fredda. Cercò di delinearne una sagoma. Era quella di Darren.
Svegliati Chris. Svegliati!
Il sobbalzo lo fece quasi cadere dal letto.
Spalancò gli occhi. Buio totale.
Tastò sul comodino per trovare l’interruttore della lampada. La accese.
Era stato tutto solo un brutto incubo.  

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