The waters that are never still

di Eilan21
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 

[NdA: Ovviamente, non posseggo né la storia né i personaggi. Ho scritto questa fiction solo per divertimento, e se la storia vi piace per favore fatemelo sapere (anche se non vi piace... le critiche costruttive sono sempre bene accette!). Il titolo della storia è ispirato al significato del nome del popolo Mohicano, ovvero “The people of the waters that are never still”.]

 

 Primavera 1762

 Alice si chinò presso il ruscello per riempire d'acqua l'otre che teneva in mano. Nel tirarsi su avvertì una fitta alla schiena, ma non si lasciò sfuggire un lamento. Eppure non era sempre stato così.

 Durante la sua intera infanzia e poi durante l'adolescenza Alice Munro era stata tenuta nella bambagia e piuttosto viziata. Secondogenita del Colonnello Edmund Munro, Alice era sempre stata la preferita di suo padre. Forse perché assomigliava tutta a sua madre, che si chiamava Alice come lei e che era morta nel darla alla luce. Cora, che aveva ben sei anni più di Alice, aveva sempre avuto un carattere ribelle e testardo; nonostante volesse un gran bene a suo padre, e lui a lei, i due si erano scontrati più di una volta. Alice invece era una creatura dall'indole naturalmente dolce e remissiva, la vera immagine di una dama, e questo riempiva il cuore del Colonnello Munro di gioia. Era stata abituata al meglio, ai vestiti lussuosi, ai ricevimenti mondani... raramente le era stato negato qualcosa. Era abituata a protestare ogni qualvolta la cameriera, nel pettinarle i capelli, li tirava un po' troppo forte. Ma questo era prima che sperimentasse la vita della Frontiera. Lì non si sarebbe mai sognata di lamentarsi per questioni tanto futili. Ma, anche se dura, la vita sulla Frontiera per Alice significava libertà. Significava provare il lato vero dell'esistenza, libera dalle falsità e dall'ipocrisia; significava vivere veramente.

 Nel tirare su il recipiente alcune gocce traboccarono bagnandole il vestito di pelle conciata. Alice lo posò a terra e si passò le mani sulla schiena dolorante e poi, brevemente, sul ventre prominente. Sospirò tra sé e sé: sapeva che Uncas non sarebbe stato contento di sapere che aveva compiuto il tragitto dal ruscello al villaggio da sola con l'otre d'acqua al settimo mese di gravidanza. Ma Alice si sentiva in piena forma e non aveva voglia di essere tenuta sotto una campana di vetro quando stava sperimentando una fase naturale della vita di una donna. Sono stata tenuta fin troppo sotto una campana di vetro nella mia vita, pensò Alice.

 Poi un pensiero improvviso la colpì, e girò in fretta la testa a destra e a sinistra.
Hinun, dove sei?”, chiamò con il cuore in gola.

 “Sono qui, mamma”, si levò una vocina subito dietro di lei.

 Alice tirò un sospiro di sollievo e si sporse a fare una carezza sulla guancia del figlio, che ora le stava di fronte con le mani intrecciate dietro la schiena.

 Quattro anni da compiere a breve, Hinun assomigliava tutto a suo padre... gli stessi zigomi alti, lo stesso naso dritto, gli stessi occhi e gli stessi capelli neri che gli scendevano sulle spalle e che sua madre intrecciava alla maniera indiana.

 Era senza dubbio un figlio della sua stirpe, il colore brunito della sua pelle, appena mitigato dal retaggio materno, ne era il segno più lampante. Ogni volta che lo guardava Alice vedeva in lui Uncas. Mentre lei, con tutta la buona volontà, non sarebbe mai potuta essere scambiata per un'indiana. Da cinque anni a quella parte vestiva alla maniera indiana, aveva imparato a parlare la loro lingua, aveva fatto propri i loro usi e costumi. Ma la sua pelle chiara, i lunghi capelli biondi che ora le scendevano in un'unica treccia lungo la schiena, gli occhi grigi la facevano spiccare come un lupo in un recinto di pecore. Non che le importasse: i Delaware l'avevano accettata da molto tempo come sposa di Uncas, la rispettavano e la facevano sentire a casa propria.

 Alice non rimpiangeva niente del proprio passato, della vita che si era lasciata alle spalle. E il fatto che anche Cora e Nathaniel, assieme alle loro due bambine, si fossero stabiliti al villaggio, aveva aiutato tanto Alice nei primi mesi di quella vita completamente nuova per lei. Anche Chingachgook risiedeva al villaggio, in una wigwam non lontana dalla loro. Di tanto in tanto si allontanava per qualche settimana, incapace di resistere al richiamo della vita nomade che aveva condotto per tanto tempo dopo che la sua stirpe era scomparsa. Ma presto o tardi faceva sempre ritorno nel piccolo villaggio Delaware del Can-tuck-ee per stare con il figlio e l'adorato nipote. Il Can-tuck-ee, sebbene lontano dalla regione d'origine dei Mohicani che era l'attuale Nuova Inghilterra, era un luogo molto più sicuro. Così ad ovest, l'uomo bianco ancora non si era spinto e gli indiani potevano vivere in pace.

 “Posso andare a vedere i pesci, lì?” chiese Hinun indicando con il dito paffuto un punto imprecisato del ruscello.

 Alice annuì. “Ma non sporgerti troppo, o rischi di cadere in acqua. E non attardarti, dobbiamo tornare al villaggio prima che arrivi tuo padre.” Uncas era andato a caccia quella mattina con gli altri guerrieri, e sarebbe tornato da un momento all'altro.

 Mentre il bimbo trotterellava via, Alice lo seguì con lo sguardo, sorridendo. Insieme a Uncas, Hinun era diventato tutto il suo mondo. E presto ci sarebbe stato un altro bambino da coccolare. La giovane donna si passò una mano sul ventre rotondo e sentì il piccolo scalciare. Forse questa volta si sarebbe trattato di una bambina... sia lei che Uncas lo speravano.

 Alice attese qualche altro minuto, poi richiamò il figlio e, scostandosi la treccia dorata dalla spalla, alzò il recipiente e cominciò ad incamminarsi verso il villaggio. Hinun le camminava ubbidientemente al fianco, aggrappandosi di tanto in tanto alla sua gonna.

 “Mamma, perché non posso andare a caccia con mio padre?”, brontolò improvvisamente il bambino.

 Alice lo guardò divertita. Hinun adorava il padre, e non sognava altro che il momento in cui avrebbe potuto fare tutto ciò che faceva lui.

 “Devi avere ancora un po' di pazienza, tesoro. Quando sarai un po' più cresciuto tuo padre ti insegnerà ad andare a caccia e ad essere un bravo guerriero.”

 Il bambino non disse nulla, ma sporse leggermente il labbro inferiore in una tipica espressione infantile di contrarietà.

 Alzò di nuovo lo sguardo sulla madre, come se avesse deciso di esprimere qualcosa a lungo ponderato. “Allora mi dici perché tutti quanti al villaggio hanno i capelli neri e la pelle scura, e tu invece no? Perché nessun altro ha i capelli chiari come i tuoi?”

 Alice deglutì, completamente colta di sorpresa. Ma mentalmente si diede della stupida: avrebbe dovuto prevedere che prima o poi Hinun le avrebbe rivolto una domanda simile. Prima o poi si sarebbe chiesto perché sua madre era diversa da tutti gli altri indiani, e lei avrebbe già dovuto pensare ad una risposta da dargli. Ma in realtà l'unica risposta che poteva dargli era il racconto di come aveva incontrato suo padre. E Hinun era davvero troppo piccolo per una simile storia. Così replicò evasivamente, e cercò di distrarre la sua attenzione, raccontandogli di come Uncas lo avrebbe portato a vedere i cervi, espediente che funzionò a meraviglia.

 Eccitato, il bambino percorse gli ultimi metri che li separavano dal villaggio di corsa, specialmente quando vide suo padre. Uncas stava venendo loro incontro con le braccia tese. Hinun vi si tuffò, e il giovane guerriero lo sollevò senza sforzo tenendolo in alto, mentre il bimbo rideva felice. Dietro di loro, improvvisamente, apparve la figura familiare di un uomo che aveva superato la mezza età.

 “Nonno!”, gridò Hinun quando vide di chi si trattava.

 “Non vieni a salutarmi, mio piccolo guerriero?” rise Chingachgook, mentre il piccolo correva ad abbracciarlo, raccontandogli mille cose insieme.

 Fu in quel momento che Uncas spostò la sua attenzione sulla figura di sua moglie, che si avvicinava a lui, i contorni sfumati contro la luce del tramonto. Nonostante la gravidanza avanzata il suo corpo non aveva perso nulla della sua snellezza. Uncas le andò incontro, prendendole l'otre dalle mani.

 “Te l'avevo detto che non devi sollevare pesi”, la rimproverò dolcemente.

 Lei gli mise le braccia intorno al collo e sollevò il viso verso quello di lui. Uncas non si fece ripetere l'invito e la baciò dolcemente. Poi Alice si tirò un poco indietro per guardarlo in viso, e in quei meravigliosi occhi scuri vi lesse lo stesso amore appassionato di sempre.

Forse Hinun era troppo piccolo per conoscere la storia di come i suoi genitori si erano incontrati e innamorati, ma Alice non l'avrebbe mai scordata. Non avrebbe mai scordato il momento in cui i suoi occhi avevano incontrato quelli scuri e profondi di Uncas e la sua vita era cambiata.

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


 

Autunno 1757

 Era una giornata splendida di settembre, una di quelle giornate che lasciano presagire l'arrivo dell'autunno ma in cui l'estate è ancora una realtà. Era una bella giornata nel Nuovo Mondo, o almeno così riteneva Alice, abituata al piovoso clima inglese.

 Si era svegliata presto quella mattina, ansiosa di vivere quella che considerava l'avventura della sua vita. Prima di allora non aveva mai lasciato l'Inghilterra, e il luogo più distante da casa che aveva visitato era la Scozia, la terra natale di suo padre. Ma l'America... era ancora più bella di quello che si era aspettata. Aveva cominciato a rendersene conto durante il viaggio in carrozza da Boston ad Albany. Dopotutto, anche se Boston non era minimamente paragonabile a Londra, era pur sempre una città che tentava di imitare la cultura e l'architettura delle madre patria britannica, perciò Alice si era sentita quasi a casa nei giorni in cui vi si erano fermati. La natura di quel paese invece era qualcosa di mai visto prima, talmente selvaggia e incontaminata, che sembrava estendersi priva di confini agli occhi della giovane figlia del colonnello. Alice non era mai stata una ragazza che al mattino indugiava fra le coperte più del necessario, e non vedeva ragione di farlo lì, alla Poltroon House, immersa nel verde dei prati e degli alberi.

 “Cosa preferite indossare oggi, signorina Alice?”, chiese rispettosamente Martha, la cameriera personale delle sorelle Munro.

 Alice non disse cosa avrebbe voluto indossare, non lo diceva mai. Non disse che per una volta avrebbe voluto poter mettere da parte il rigido corsetto di ossa di balena che la soffocava, o rinunciare alla crinolina che le sporgeva da entrambi i fianchi e che serviva a dare alle molte gonne una forma ben precisa. Non lo disse perché sapeva che era un pensiero inappropriato e inutile. Tutte le donne vestivano a quel modo, non c'era modo di sottrarvisi. Sarebbe stato uno scandalo apparire vestita altrimenti, e lei era una ragazza ben educata e ubbidiente. Quindi scacciò quel pensiero ardito con un sospiro e si volse verso Martha che attendeva una risposta.

 “Quello a fiori per favore, Martha”, disse indicando uno degli abiti che la cameriera aveva steso sul letto della sua camera per permetterle di scegliere.

 Alice osservò fuori dalla finestra, da dove era possibile vedere il prato antistante curato all'inglese e, in fondo, la linea degli alberi che delimitava il mondo civilizzato della Poltroon House dalla splendida natura selvaggia americana. Mentre una parte di lei era lì, in quella stanza, consapevole che dietro di lei Martha era intenta a stringerle i lacci del bustino, l'altra parte era persa nella contemplazione della libertà e dell'avventura che quella natura ai suoi occhi rappresentava.

 Una volta indossato il fine abito ricamato - con le maniche e la scollatura ornate di pizzo – completato con un'ulteriore striscia di pizzo attorno al collo, Alice si sedette a malincuore al tavolo della toeletta e lasciò che Martha le acconciasse i lunghi capelli biondi sopra la testa, li coprisse con una cuffia di cotone sormontata dal cappello a tesa larga.

 “Grazie, Martha”, mormorò quando la donna ebbe finito.

 “E' sempre un piacere acconciare i vostri bellissimi capelli, signorina. E spero di poterlo presto fare al vostro matrimonio.”

 Alice arrossì e fece un sorriso timido. Era da quella primavera – la primavera in cui aveva compiuto diciotto anni – che suo padre parlava di fidanzarla. Alice aveva conosciuto diversi giovani della buona società, ai ricevimenti e ai balli, ma nessuno che l'avesse colpita particolarmente. Uno di loro, Jonathan Hartley, un pomposo giovanotto figlio di un proprietario terriero, le aveva anche fatto una discreta corte. Il Colonnello Munro, che era sul punto di partire per l'America dove Alice e Cora lo avrebbero seguito entro un paio di mesi, aveva detto al giovane Hartley che Alice non avrebbe potuto dargli una risposta, né tantomeno prendere una decisione tanto impegnativa fin quando non fosse rientrata in patria, in inverno. Alice aveva tirato un sospiro di sollievo, ed era stata grata a suo padre per aver voluto rimandare l'intera questione evitandole di metterle fretta. Oltretutto, il Colonnello aveva un problema più urgente del fidanzamento di Alice, e riguardava sua figlia maggiore. Cora aveva ventiquattro anni ma non era ancora sposata né ufficialmente fidanzata. Duncan Heyward, figlio del più caro amico del Colonnello e giovane ufficiale di buona famiglia e di belle speranze, faceva la corte a Cora da anni, ma lei, testarda come un mulo, non si era ancora decisa a dargli una risposta, nonostante le sollecitazioni di suo padre. Quanto ad Alice, non aveva idea di che risposta avrebbe dato a Jonathan quando fosse tornata a casa, ma era certa di non provare nulla per lui. Ma non si faceva illusioni: sapeva bene che in società raramente il matrimonio si basava su qualcosa di più del reciproco rispetto, ed era quindi rassegnata a seguire la volontà di suo padre su tale questione. D'altronde lei non aveva il temperamento di Cora, e non avrebbe mai osato sfidare l'autorità paterna come faceva sua sorella.

 “Mi preoccupo per voi e la signorina Cora... come farete domani e nei giorni a venire senza di me, senza qualcuna che vi aiuti?” stava dicendo Martha, borbottando tra sé e sé.

 Alice, strappata bruscamente ai suoi pensieri, rivolse un debole sorriso alla sua cameriera. “Non preoccuparti, non è un lungo viaggio fino a Fort William Henry, specialmente a cavallo. E una volta al forte avremo chi ci aiuterà... non bene come te ovviamente!”, aggiunse in fretta, per non offendere la donna che era così affezionata a lei e a Cora. “Nessuno potrebbe occuparsi di noi meglio di come faccia tu, Martha.”

 La donna sorrise, rincuorata.

 
Non credo che Cora sposerà Duncan, rifletteva Alice, mentre passeggiava dirigendosi all'esterno della Poltroon House e nel cuore di Albany. È troppo ribelle e testarda. Farà ciò che vorrà, non quello che vorrebbe nostro padre. Come vorrei avere il suo coraggio... perché se nostro padre mi imponesse di sposare quell'Hartley, non so se avrei la forza di oppormi.

 Anche se Martha le aveva raccomandato di non allontanarsi troppo da sola, Alice non riuscì a resistere al richiamo del piccolo mercato che si teneva quel giorno nella cittadina. Normalmente ad Alice non sarebbe mai venuto in mente di visitare un mercato – a Londra era la servitù che si occupava di questo -, ma lì sembrava tutto così caratteristico e divertente. D'altronde alla Poltroon House non c'era molto da fare, se non starsene sedute a sorseggiare una tazza di té – cosa che Alice avrebbe fatto volentieri più tardi insieme a Cora – e ricamare.

 Sui banchi del mercato erano esposti ogni genere di frutta e verdura, alcune sconosciute alla ragazza. Alice passeggiò un poco, incontrando anche alcune giovani del suo stesso stato sociale che la salutarono educatamente. Ma erano poche; la maggior parte delle donne lì erano le mogli e le figlie dei coloni. Peccato non ci fosse traccia in città degli americani che più Alice desiderava vedere: i pellerossa. Aveva sentito tanto parlare dei selvaggi del nuovo mondo in Inghilterra, ed era perfino riuscita a vedere alcuni libri illustrati in cui gli indiani venivano dipinti come individui dall'aspetto poco rassicurante, semi-vestiti e armati fino ai denti. Eppure, per qualche strana ragione, incuriosivano la ragazza... avrebbe avuto molto da raccontare alle sue amiche una volta tornata a Londra.

 In tarda mattinata Alice ritornò alla Poltroon House e si diresse verso la stanza di sua sorella. Certamente Cora doveva essersi ormai svegliata! Ma dopo aver bussato un paio di volte alla porta senza ottenere risposta, fu informata da una cameriera che portava la biancheria, che Cora stava prendendo il té con un ufficiale. Immediatamente gli occhi di Alice si illuminarono di contentezza. Duncan! Era arrivato Duncan! Era almeno un anno che non lo vedeva, impegnato com'era stato nelle campagne militari. Aveva scritto che sarebbe arrivato a giorni, e finalmente era lì. Alice era affezionata a Duncan; lo conosceva fin da quando era bambina e lo considerava quasi un fratello maggiore.

 Mentre percorreva a piccoli passi il prato della Poltroon House, Alice riuscì a scorgere il tavolino che vi era stato allestito nel mezzo - con una tovaglia bianca e il servizio di porcellane da té - a cui Cora e Duncan erano seduti, intenti a parlare. Non appena fu a portata di voce Alice chiamò: “Duncan!”

 Lui girò la testa e la vide. “Alice! Dio mio come sei cresciuta!”, esclamò alzandosi in piedi e andandole incontro.

 Poi le prese galantemente la mano, per condurla al tavolo.

 “Partiamo domattina?”, chiese Alice sorridendo.

 “Sì, Signorina”, rispose Duncan facendole un mezzo inchino scherzoso.

 “Non riuscirò a dormire stanotte... che avventura!”, continuò a cinguettare Alice. “Hai mai visto un Pellerossa?”

 Lui sembrò pensarci su un istante. “Alcuni.”

 “Non riesco a immaginare il ritorno a Portman Square dopo essere stata nella Natura Selvaggia. È così eccitante!”

 “Potrebbe essere pericoloso”, disse Duncan, sorridendo all'effervescenza di Alice.

 “Sciocchezze. Papà non ci avrebbe permesso di raggiungerlo se fosse stato pericoloso”, dichiarò Alice.

 Nonostante l'euforia all'idea dell'imminente partenza, Alice non poté fare a meno di notare, mentre prendeva posto al tavolo del té, l'espressione sul viso di Cora. Era sia imbarazzata che seccata, e Alice comprese immediatamente di cosa i due stessero parlando prima del suo arrivo. Duncan aveva certamente chiesto di nuovo una risposta alla sua richiesta di matrimonio... chissà cosa gli aveva detto Cora? Di sicuro non aveva accettato in modo definitivo, altrimenti Duncan le avrebbe subito dato la buona notizia. Cora cercò di dissimulare il suo umore versando del té ad Alice. Il vento soffiava lievemente, facendo fluttuare le lenzuola bianche stese dietro di loro.

 Alice osservò la sorella portarsi la tazza alle labbra, e pensò che avrebbe parlato a Cora quella sera stessa.

 


 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


 
Nonostante fosse abituata a cavalcare all'amazzone con gli ingombranti indumenti femminili, una piccola parte di Alice segretamente invidiava a Duncan e a tutti gli uomini la libertà di cavalcare comodamente, con una gamba su ogni lato della sella. Fortunatamente gli abiti da equitazione erano una versione più comoda e meno rigida degli abiti da salotto, per esempio mancavano delle rigide stecche che davano la forma alle gonne.

 Sul bustino, però, non si transige... pensò Alice avvertendo le stecche del corsetto che le premevano contro la cassa toracica.

 Duncan cavalcava davanti e Cora lo seguiva a breve distanza, sul suo cavallo bianco. Il Generale Webb aveva assegnato loro una compagnia del sessantesimo reggimento per scortarli fino a Fort William Henry, dove il Colonnello Munro era stanziato, con il Capitano Ambrose e lo stesso Maggiore Heyward al comando. A far loro da guida suo padre aveva inviato un indiano dall'aspetto truce, che ad Alice e Cora faceva venire i brividi ogni volta che lo guardavano. Ma non si poteva certo giudicare il cuore di un uomo dal suo aspetto esteriore, pensava Alice. Così scacciò quelle paure.

 Man mano che la mattina avanzava, Alice si accorse di essere stanca. Non era riuscita a dormire molto la sera prima, sia per l'eccitazione, sia perché lei e Cora erano rimaste sveglie fino ad un'ora tarda per parlare della situazione con Duncan. Per la verità questo aveva stupito non poco la più giovane delle sorelle, perché anche se lei e Cora si volevano molto bene, non erano mai state in confidenza riguardo le questioni di cuore. Dopotutto Cora era di sei anni più grande, e, più che una sorella maggiore, si considerava quasi una seconda madre per Alice, dal momento che Alice una madre non l'aveva mai avuta. Evidentemente la situazione con Duncan era più spinosa di quanto Cora fosse disposta ad ammettere, se riusciva a confidarsi così liberamente con la sorella minore.

 Complice il movimento del cavallo, Alice sentì che la testa le ciondolava e che gli occhi cominciavano a chiudersi. Cora se ne accorse e, protettiva com'era nei suo confronti, chiamò il suo nome.

 Alice alzò il capo, scacciando via la sonnolenza. Odiava essere considerata la piccolina del gruppo, quella da proteggere come una bambola di porcellana che poteva rompersi da un momento all'altro. D'altra parte però aveva tenuto duro fin dall'alba, cercando di non essere di peso a nessuno, e ora aveva quasi esaurito le forze.

 Così, mettendo da parte l'orgoglio, chiese: “Ci possiamo riposare?”

 “Certamente”, disse Duncan prontamente, dando di sperone al suo cavallo per spingerlo al trotto fino alla testa del corteo.

 
Al rumore dello sparo sia Alice che Cora si gelarono. Proveniva da più indietro, lungo il sentiero sul quale stavano tranquillamente cavalcando ma, anche voltandosi, le sorelle Munro non riuscirono a capire chi avesse sparato a chi. C'erano troppi soldati tra loro e quello sparo, troppi per poter scorgere quello che stava accadendo. Al secondo sparo i cavalli cominciarono ad agitarsi. Alice tentò invano di tenere le redini del proprio cavallo, ma quello sembrava impazzito, scosso dagli spari che ora avevano invaso il sentiero falciando un soldato dopo l'altro. Proprio nell'attimo in cui una torma di Indiani che lanciavano spaventosi gridi di guerra si abbatté sui soldati inglesi, il cavallo di Alice si impennò mandandola a finire a terra. Veloce come il vento Cora smontò e corse dalla sorella, stringendola tra le braccia e gettando a terra, con un gesto involontario, l'ampio cappello di paglia che Alice indossava.

 Alice guardava lo spettacolo che le si parava d'avanti con assoluto orrore e atterrimento, rappresentati alla perfezione nella sua espressione sconvolta e nei suoi occhi spalancati. Quella che aveva di fronte era una guerra! E Alice non aveva visto mai nulla di simile. Dei selvaggi seminudi stavano letteralmente massacrando i soldati, portandosi via scalpi come se fossero macabri trofei. Le urla, il sangue, il fumo provocato dagli spari... erano troppo per la ragazza. Quando le braccia di Cora la strinsero, d'istinto girò il capo nascondendo il viso nelle gonne di sua sorella, cercando un rifugio sicuro che la strappasse a quel tremendo spettacolo di guerra.

 Alice pensò che sarebbe morta, era sicura che sarebbe morta... ed anche Cora. Era finita per loro. Non ebbe il coraggio di guardare e si strinse a Cora con tutte le sue forze, lanciando grida soffocate di terrore che facevano eco a quelle strazianti dei soldati. Poi gli spari cessarono e si udirono solo le grida di guerra degli indiani che si stavano per abbattere su lei, Cora e Duncan. Ma i loro assalitori non li raggiunsero mai, perché sul sentiero echeggiarono distintamente tre spari.

 Alice non osò ancora alzare la testa, perciò non comprese subito che erano salvi. Solo quando udì Cora dire: “No, Duncan!” e una voce a lei sconosciuta aggiungere: “Nel caso la tua mira fosse migliore del tuo buonsenso”, si arrischiò a guardare. Tutti gli indiani che li avevano assaliti erano morti, osservò sbalordita.

 Allora si liberò dell'abbraccio di Cora, che l'aiutò a rimettersi in piedi. C'erano tre uomini sul sentiero di fronte a loro, in mezzo ai cadaveri di indiani e inglesi. Due di loro erano chiaramente indiani, l'uno di mezza età, l'altro più giovane. Il terzo uomo poteva sembrare anche lui indiano ad una prima occhiata, ma osservandolo più attentamente, Alice si accorse che, nonostante la pelle abbronzata, aveva gli occhi chiari, forse grigi o azzurri. Tutti e tre, ma specialmente l'indiano più anziano, emanavano un'aura di fierezza e solennità. Avevano appena ucciso diversi uomini e, sebbene non sembrassero appartenere alla schiera di coloro che traevano piacere nel togliere la vita, la loro espressione era di apparente calma e tranquillità.

 “E' meglio se i feriti tornano ad Albany, non ce la faranno al passaggio a Nord”, disse l'uomo bianco guardando Duncan.

 In quel momento l'indiano più giovane si diresse verso di loro a grandi passi e, raggiunti i cavalli di Cora e Alice – non quello di Duncan perché, Alice se ne accorse in quel momento, il povero animale era stato abbattuto e giaceva sul sentiero – con un secco “Ah!” li colpì sul posteriore facendoli scappare.

 Alice non si riteneva particolarmente coraggiosa – non quanto Cora – ma non avrebbe lasciato che quei cavalli, che rappresentavano la loro unica possibilità di fuggire da lì, andassero perduti senza fare un tentativo per trattenerli.

 “Fermo! Ci servono per andarcene!”, gridò mentre si lanciava dietro gli animali che stavano scappando.

 L'uomo era rimasto fermo a guardare i cavalli e, senza dire una parola e senza averla apparentemente neanche guardata, aspettò che Alice gli passasse davanti. Prima che la ragazza potesse superarlo l'afferrò gentilmente ma fermamente per le braccia. Trovandosi stretta in quella morsa, Alice alzò istintivamente gli occhi a incontrare quelli di lui.

 Mai in tutta la sua vita, mai con nessun altro giovane della buona società, mai neppure con il suo pretendente... mai Alice aveva provato un'emozione simile a quella. Negli occhi del giovane indiano si era aspettata di scorgere ferocia, scherno, crudeltà... niente di più lontano dalla realtà. Gli occhi di lui erano scuri, profondi come laghi, pieni di umanità e di calore. Si fissarono negli occhi grigi di Alice e la scaldarono fin nell'anima, trasmettendole sensazioni mai provate prima. Senza rendersene conto era rimasta a bocca aperta, le sue emozioni anche troppo visibili sul suo viso. L'uomo invece aveva un'espressione impassibile, quasi stoica. Solo i suoi occhi avrebbero potuto tradire la profonda emozione che si agitò in lui nel posare gli occhi su Alice.

 Quel contatto durò solo pochi secondi, ma ad Alice sembrò un'eternità. Avrebbe potuto rimanere così per sempre, se Cora non fosse corsa a sottrarla alle mani dell'uomo. Quando avvertì le mani della sorella su di sé, Alice si riscosse come svegliandosi da un sogno. Il giovane indiano la lasciò andare e l'incantesimo fu spezzato. Tuttavia Alice continuò a seguirlo con lo sguardo mentre si allontanava, tornando verso i suoi compagni.

 “Perché ha disperso i cavalli?”, chiese in quel momento Duncan rivolgendosi all'uomo bianco.

 “Perché non glielo chiedi?”, replicò questi, facendo cenno verso l'uomo più giovane.

 “Facili da seguire. Si sentono per miglia”, rispose il giovane indiano tranquillamente, e poi rivolto a Duncan, “Trovatevi un fucile.”

 Alice rimase sbalordita dal perfetto inglese in cui l'uomo si era espresso. Non si sarebbe mai aspettata che un selvaggio parlasse così bene la sua lingua, ed evidentemente non doveva aspettarselo neanche Duncan, che d'istinto s'era rivolto all'unico bianco del gruppo.

 “Ma noi dobbiamo raggiungere Fort William Henry!”, esclamò Duncan.

 L'indiano più anziano disse qualcosa all'uomo bianco in una lingua secca, tagliente, che Alice non conosceva. L'altro gli rispose nella stessa lingua e i due si scambiarono alcune frasi prima che l'uomo bianco si rivolgesse a Duncan.

 “Vi scorteremo noi al forte.”

 L'ufficiale inglese sembrava confuso dalla situazione che si era rapidamente capovolta. Pochi minuti prima erano condannati a morte certa, e ora tre perfetti sconosciuti avevano salvato loro la vita, offrendosi addirittura di scortarli al forte. Perciò non rispose subito.

 “Dobbiamo muoverci in fretta”, aggiunse.

 Vedendo che esitavano, mentre lui e i due indiani avevano già cominciato ad avviarsi, l'uomo bianco si rivolse a tutti e tre con un'occhiata di scherno. “A meno che non preferite aspettare il prossimo gruppo guerriero Hurone...”

 Duncan fece un cenno di assenso in direzione di Cora e Alice, e tutti e tre cominciarono a seguire quegli uomini. Alice era troppo distratta per accorgersi che Cora si era chinata a raccogliere una pistola e l'aveva nascosta nella tasca del vestito.

 

 Camminarono per il resto della giornata, fermandosi raramente. Alice e Cora si muovevano più velocemente possibile, per quanto le scomode gonne glielo permettessero. Tuttavia Alice intuiva, dagli sguardi insofferenti che ogni tanto lanciava loro, che l'uomo bianco era frustrato dalla velocità a cui erano costretti a procedere, che sarebbe stata sicuramente più elevata se fossero stati solo loro tre.

 Il gruppo camminava principalmente in silenzio, senza neppure avere fatto le presentazioni di rito. Ad Alice tutto ciò faceva uno strano effetto; le sembrava insolito che né Cora né Duncan tenessero a conoscere i nomi dei loro salvatori, e lei si sentiva troppo intimidita per prendere l'iniziativa. Col passare delle ore, si rese conto che il nome che più desiderava sapere era quello dell'indiano più giovane. Ogni tanto Alice si scopriva a sbirciare nella sua direzione e, dopo essersi assicurata che lui non la stesse guardando a sua volta, lo osservava incuriosita.

 Oltre i bellissimi occhi scuri che Alice aveva già avuto modo di notare, aveva lineamenti regolari e la pelle liscia e ambrata. Ne memorizzò il naso dritto, gli zigomi alti, i capelli lunghi fino alla vita, lisci e nerissimi, trattenuti da una treccina legata con nastri di cuoio; era più alto di lei, di quasi tutta la testa. Indossava indumenti davvero strani - totalmente diversi da quelli opulenti e complicato che gli uomini portavano in Inghilterra - consistenti in una camicia viola, gambali, perizoma di pelle e mocassini ai piedi. Camminava tenendo il fucile stretto tra le mani, cosa che stranamente rassicurò Alice.

 Prima che potesse bloccarlo, un pensiero inatteso attraversò la mente della ragazza. È davvero bellissimo, pensò d'impulso e immediatamente arrossì. Come potevano venirle simili pensieri audaci? Oltretutto nei confronti di un indiano! Si rimproverò mentalmente e s'impose di distogliere lo sguardo dall'uomo. Ma anche voltandosi dall'altra parte, continuava ad essere consapevole della sua presenza alle proprie spalle, come se lo avesse ancora davanti agli occhi.

 Si trovavano a camminare lungo il corso di un fiume, che scendeva sulle rocce dando vita a cascate di varie dimensioni. Era uno spettacolo talmente bello che Alice si fermò ad osservarlo rapita. Fu a malapena consapevole del fatto che subito davanti a lei c'era una sporgenza rocciosa che Cora, con l'aiuto di Duncan, stava già scalando. E non si accorse minimamente che qualcuno la stava osservando con occhi ardenti. Se l'avesse saputo sarebbe arrossita, ma non sarebbe apparsa meno attraente agli occhi del giovane indiano, che, rapito, ammirava in lei l'innocente bellezza e l'animo puro che intuiva dovesse possedere.

 Poi Alice si riscosse, accingendosi a seguire la sorella e, a malincuore, il giovane distolse lo sguardo.

 

 “Guida, vorrei ringraziarvi per il vostro aiuto. Quanto manca al forte?”, chiese Duncan poco dopo, rivolgendosi all'uomo bianco.

 Stavano ancora seguendo il corso del fiume, ma ora Alice, che camminava accanto a Cora subito dietro Duncan, rivolse la sua attenzione sulla conversazione che stava avendo luogo.

 “Una notte e un poco”, rispose l'uomo senza voltarsi.

 “Sembra che li abbiamo seminati”, insistette Duncan.

 “Forse”, ribatté quello in modo pragmatico. “Forse non erano soli. Quell'Hurone che era con voi...”

 “La guida?” lo interruppe l'ufficiale inglese. “E' un Mohawk.”

 “Non è un Mohawk, è un Hurone... che motivo aveva di uccidere la ragazza?”

 Alice si bloccò dalla sorpresa. Di cosa stava parlando quell'uomo? Evidentemente Duncan doveva aver provato lo stesso suo sbalordimento, perché chiese: “Cosa?”

L'uomo si voltò brevemente. “Quella con i capelli scuri”, disse facendo un cenno con la testa verso Cora. Cora? Qualcuno vuole uccidere Cora? Alice era sempre più incredula e seguiva lo scambio di battute con sguardo attento.

 “La Signorina Munro? Ucciderla? Ma era la prima volta che la vedeva! È qui solo da una settimana!”, Duncan appariva quasi scandalizzato.

 “Vendetta di sangue... un rimprovero o un insulto...”

 “Certo che no!”, tagliò corto l'ufficiale inglese. “Come mai eravate così vicini?” aggiunse in tono quasi di accusa.

 Alice si chiese perché Duncan si comportasse a quel modo. Quegli uomini avevano salvato loro la vita senza pretendere nulla in cambio, come poteva accusarli di qualcosa?

 “Ci siamo imbattuti negli Huroni e li abbiamo seguiti.”

 “Siete stati assegnati a Fort William Henry?”

 “No.”

 “Fort Edward allora!”

 “Siamo diretti ad ovest, verso il Can-tuck-ee.”

 “Ma c'è una guerra in atto! Come sarebbe che andate ad ovest?” Duncan stava perdendo la pazienza. Com'era suo solito, stava agendo d'impulso lasciando fluire liberamente la propria rabbia.

 Stavolta l'uomo smise di camminare e si voltò. “Ecco, di solito noi ci mettiamo con il nord di fronte e improvvisamente giriamo a sinistra”, disse con un sorrisetto di scherno.

 “Credevo che tutte le guide coloniali fossero nella milizia. La milizia sta combattendo i francesi a nord”, ribatté Duncan infuriato.

 “Non sono una guida. E di sicuro non apparteniamo alla milizia”, guardò Duncan dritto negli occhi. “E' più chiaro così?”

 E quando disse questo, Alice poté notare due cose: che l'uomo aveva gli occhi azzurri e non grigi, e che era perfettamente in grado di rivaleggiare con Duncan in quanto a testardaggine.

 

 Era tardo pomeriggio del primo giorno di marcia, quando Alice cominciò a rimanere indietro rispetto agli altri. Dietro di lei camminava solo il giovane indiano. La ragazza intuiva che, se lui avesse voluto, avrebbe potuto portarsi in testa al gruppo con grande facilità ma, per qualche motivo, non lo faceva... sembrava che temesse di perderla di vista. Mentre camminavano fianco a fianco senza una parola, Alice divenne consapevole di non conoscere ancora il suo nome, e questo fatto la mise a disagio. Decise di rimediare.

 “Posso... posso chiedere il vostro nome?”, chiese con voce timida, alzando lo sguardo su di lui.

 Lui la ricambiò con un'espressione indecifrabile. “Uncas.”

 “Io sono Alice...”, stava per aggiungere il cognome, ma sentì che simili formalismi non erano necessari in mezzo alla natura selvaggia. Indicando più avanti aggiunse: “Lei è mia sorella Cora, e il nostro amico Duncan.”

 Uncas annuì. Rimase in silenzio qualche minuto prima di dire: “Loro sono mio padre Chingachgook e mio fratello Nathaniel.” Esitò un momento, indeciso se aggiungere il nome indiano di suo fratello, Occhio di Falco, ma poi pensò che ad una ragazza inglese non poteva certo interessare questo particolare.

 “Vostro fratello?”, esclamò Alice sbalordita, prima di riuscire a trattenersi. Arrossì, pentendosi subito di essere stata così diretta.

 Ma Uncas non sembrò farci caso, e annuì di nuovo. “Mio padre lo ha trovato quando aveva uno o due anni. La sua famiglia era stata uccisa e lui lo ha adottato, crescendolo come fosse suo.”

 Alice aveva un'espressione sorpresa; non si era aspettata una simile spiegazione. Cercò con lo sguardo Nathaniel e, sovrappensiero, osservò come gli indumenti indiani – così simili a quelli di Uncas – lo rendessero quasi del tutto simile a un membro di quel popolo. I suoi capelli, neri come quelli del fratello e acconciati alla stessa maniera, erano però mossi, e mancavano di quella finezza e lucentezza che sia quelli di Uncas che quelli del loro padre – Chingachgook, ricordò Alice non senza difficoltà – possedevano. Inconsciamente, Alice toccò i propri capelli, ancora strettamente intrecciati nell'acconciatura che Martha le aveva fatto quella mattina. Cora li aveva simili a quelli di Nathaniel, mossi e scuri, mentre quelli di Alice erano biondi e dritti, e ogni volta per farli arricciare come la moda richiedeva Martha doveva impiegare tutta la sua perizia.

 Improvvisamente Alice si rese conto che tra lei e Uncas era sceso il silenzio. A lui non sembrava importare, anzi sembrava del tutto a suo agio senza bisogno di parole. Ma Alice era stata educata come una signorina della buona società, che doveva sempre essere in grado di sostenere una conversazione brillante in qualunque situazione. Sembrò dimenticare di non trovarsi in un salotto mondano, ma in mezzo ai boschi, e che quello che aveva accanto non era un gentiluomo inglese ma un guerriero indiano. Ma per qualche strana ragione, quell'uomo aveva il potere di mandarla in confusione semplicemente guardandola, e Alice voleva a tutti i costi evitare che accadesse. Perciò cercò disperatamente qualcosa da dire.

 “Volevo ringraziarvi per averci salvato la vita.” A ben pensarci era una cosa che avrebbe dovuto dire già da tempo.

 Lui le scoccò un'occhiata intensa, e di fronte a quell'occhiata Alice si sentì tremare. Come già era successo in precedenza, lo sguardo di lui raggiunse la sua essenza più profonda, sondandola come se potesse leggerle nel cuore. Quando Jonathan Hartley aveva tentato qualche approccio con lei, prendendole la mano per baciarla o facendo un apprezzamento galante sulla sua persona, Alice aveva nascosto i suoi veri sentimenti – indifferenza e, a volte, perfino disgusto – dietro una maschera di cortesia. Ma sentiva che con Uncas questi trucchetti non avrebbero funzionato. Le sembrava che lui le guardasse dentro, riuscendo a vedere la vera Alice.

 Dopo averle rivolto l'accenno di un sorriso, Uncas distolse lo sguardo, continuando a camminare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


 Non passò molto che il gruppo giunse nei pressi di una radura, delimitata da una staccionata di legno. Nathaniel era andato in avanscoperta e, dopo aver ritenuto sicuro procedere, aveva fatto cenno ai suoi compagni di seguirlo. In tutti e tre gli uomini si leggeva un'improvvisa tensione. Scavalcarono la staccionata senza aspettarli e ai tre inglesi non restò altro da fare che seguirli. Alice camminava dietro Cora tenendo le gonne leggermente raccolte con le mani per muoversi più agevolmente. Alzò lo sguardo e vide ciò che i tre uomini dovevano aver già visto. Nel centro della radura stava una capanna di legno quasi completamente bruciata, il fumo acre che ancora si levava dai resti carbonizzati di quella che doveva essere stata un'abitazione di coloni.

 I tre uomini si muovevano guardinghi, i fucili in mano, attenti a cogliere ogni minimo segnale di pericolo. Ogni minimo segnale che avrebbe rivelato la presenza dei responsabili di quella barbarie. Lo sguardo di Alice venne suo malgrado attratto da Uncas, che, fatti pochi passi, si accovacciò presso il corpo di una donna che giaceva in mezzo al prato. Quando si rese conto che la donna era morta, ad Alice vennero le lacrime agli occhi. Quale bestia poteva aver fatto questo? Ma ancor di più della sorte della povera donna, ciò che intristì Alice fu vedere quanto Uncas fosse rimasto colpito dalla sua morte. Le mise una mano sul collo cercando il battito, ben sapendo che non l'avrebbe trovato, e poi le strinse il braccio in un gesto che ad Alice sembrò d'affetto.

 Alice si allontanò un poco da Cora che, sconvolta per lo spettacolo che aveva di fronte, non ci fece caso. Appena girato l'angolo della casa, la ragazza vide un altro corpo. Non ebbe il coraggio di avvicinarsi, ma anche a distanza riuscì a capire che si trattava di un uomo. Probabilmente il marito della donna che giaceva poco lontano. Non volle vedere altro; si affrettò a tornare da Cora, il cuore in tumulto ma gli occhi asciutti. Quello che aveva visto non poteva essere espresso nemmeno dalle lacrime. Era ovvio che quello che era avvenuto in quel luogo era il massacro di un'intera famiglia, compresi i bambini; la manina di uno di loro si intravedeva sotto le assi di legno bruciate, le piccole dita contratte in modo straziante.

 Nathaniel e Chingachgook, terminata la loro perlustrazione, si riunirono davanti alla casa, accucciati, stringendo i fucili piantati a terra. All'appello mancava Uncas, che si era attardato dentro la capanna. Quando uscì, guardò appena nella direzione di Duncan e delle ragazze, poi si accucciò accanto al padre e al fratello, appoggiandosi al fucile. Chingachgook indicò qualcosa sul terreno e disse alcune parole, ma Alice era troppo lontana per riuscire ad afferrarle. Lo era anche Duncan, che chiese: “Cosa hai detto?”

 I tre uomini lo ignorarono restando in silenzio qualche secondo.

 Uncas alzò lo sguardo su Chingachgook e Nathaniel. “Specchi, attrezzi, vestiti... era tutto dentro casa. Non hanno preso niente”, disse con voce a malapena udibile.

 “Si spostano velocemente... è un gruppo guerriero”, aggiunse Nathaniel.

 Uncas spostò di nuovo lo sguardo a terra, passandosi il dorso della mano sul viso. Il suo dolore era tangibile, e Alice stette male per lui. Anche Nathaniel se ne accorse, perché gli mise gentilmente una mano sulla spalla in un gesto da fratello maggiore.

 Duncan fece un passo verso di loro. “Seppelliamoli”, disse.

 “Lasciamoli”, ribatté Chingachgook alzandosi, imitato dai suoi figli. Tutti e tre cominciarono ad allontanarsi. Uncas passò accanto ad Alice, l'espressione imperturbabile ma gli occhi colmi di dolore. Alice, da parte sua, guardava Cora, che si stava rivolgendo a Nathaniel.

 “Chiunque siano, anche se sono degli estranei, hanno diritto ad una sepoltura cristiana... non possiamo lasciarli così!”, esclamò la figlia maggiore del Colonnello con l'indignazione nella voce.

 Alice era inorridita: non tanto per l'insistenza di Cora – che lei forse non avrebbe mai avuto il coraggio di imitare – quanto per la sua mancanza di sensibilità. Era ovvio che i tre uomini conoscessero quelle persone. Era ovvio nel loro dolore, nei loro sguardi sconvolti, nei gesti di Uncas... come poteva dire una cosa tanto crudele?

 “Andiamo via”, ordinò secco Nathaniel.

 “Non lo farò”, continuò Cora, nonostante l'uomo le avesse già voltato le spalle per andarsene. “Ho già visto gli orrori della guerra, signore. Ma non l'ho mai vista fare a donne e bambini... e questo non è più crudele della vostra indifferenza!”

 A quelle parole, Nathaniel si bloccò e cominciò a tornare sui propri passi, dirigendosi dritto verso Cora con sguardo fiammeggiante. Anche se Cora cercò di conservare la dignità, fece un involontario passo indietro sotto la minacciosa avanzata dell'uomo. Alice rimase ferma al proprio posto, ma fu suo malgrado grata che quello sguardo duro non fosse rivolto a lei.

 “Signorina Munro”, disse Nathaniel tra i denti, guardando Cora dritta negli occhi. “Non sono estranei... ma restano dove stanno!” Poi passò il fucile nell'altra mano e si voltò di nuovo, seguendo gli altri.

 Alice si avvicinò a sua sorella, che era rimasta impietrita. La guardò in cerca di un segnale che le permettesse di capire cosa stesse provando, ma Cora mantenne lo sguardo duro e la bocca contratta. Conoscendo sua sorella, Alice intuì che dovesse essere furiosa e umiliata per essere stata zittita a quel modo. A Cora era sempre piaciuto avere l'ultima parola. Alice lanciò un ultimo sguardo alla capanna carbonizzata, poi Cora le mise un braccio intorno alla vita, Alice fece altrettanto, e le due sorelle si avviarono dietro gli altri.

 
La notte giunse come una benedizione per Alice. Era stanca, per non dire distrutta. Non era abituata a camminare tanto, e gli stivali da cavallo rendevano l'esperienza ancora più difficoltosa. Il suo abito, una volta di un elegante rosa pallido, ora era completamente impolverato e aveva l'orlo infangato. Chingachgook aveva trovato un posto per accamparsi, nel mezzo – e Alice rabbrividì al pensiero – di un terreno di sepoltura. Certamente non il posto più allegro per trascorrere la notte, ma se poteva dormire soltanto un paio d'ore ad Alice andava più che bene.

 Mangiarono un po' di carne secca e pane che i tre uomini avevano nelle loro borse. Alice e Cora non mangiarono molto, erano più stanche che affamate. Poi le due ragazze si stesero per dormire l'una accanto all'altra. Duncan faceva la guardia poco più avanti, subito dietro Uncas; Chingachgook era dietro di loro, in piedi presso un albero. Era troppo buio per vedere Nathaniel, che era più avanti con la schiena poggiata su un tronco caduto.

 “Cosa darei per un bel bagno caldo e un vestito pulito!”, si stava lamentando Cora, che stava stesa su un fianco con il peso poggiato sul gomito.

 Alice, che stava sdraiata supina, sorrise alla sorella. “Ti capisco, Cora. Vedrai che una volta arrivate al forte questo paese non ti sembrerà più tanto orribile.”

 “Non dico che sia orribile, anzi è molto bello per certi versi. Ma senza i vestiti sporchi, l'umidità che non da tregua e i selvaggi che cercano di ucciderci lo apprezzerei sicuramente di più! Senza contare poi quell'uomo testardo e incivile!”, concluse facendo un cenno col capo nella direzione in cui era nascosto Nathaniel.

 “Cora!”, esclamò Alice scandalizzata, alzando la testa per guardarsi intorno. Ma sembrava che nessuno avesse udito l'ultimo commento della sorella.

 “So che non è una cosa educata da dire, ma quell'uomo ha il potere di irritarmi come nessun altro”, si giustificò Cora.

 Senza che lei lo volesse, i pensieri di Alice si fissarono immediatamente su un altro uomo. Guardò nella sua direzione; anche al buio riuscì a scorgerne la figura muscolosa e aggraziata. Davvero, non poteva dire di aver mai visto un uomo più bello. Non era paragonabile nemmeno agli uomini con riccioli biondi e occhi azzurri, caratteristiche che, fino a poco tempo prima, lei considerava l'incarnazione della bellezza. Come si era sbagliata!

 “A cosa stai pensando, Alice?”, chiese all'improvviso Cora strappandola ai suoi pensieri. Alice arrossì fino alla radice dei capelli, e sperò con tutte le sue forze che l'oscurità impedisse alla sorella di notarlo.

 “A...a quando arriveremo al forte. Non vedo l'ora di poter rivedere nostro padre...”, rispose con una certa forzatura nella voce. Alice sperò che Cora si lasciasse ingannare dalla bugia che aveva messo insieme in fretta e non notasse che sua sorella era al colmo della vergogna per essere stata colta in flagrante.

 Ma Cora non sembrò farci caso, i pensieri ancora fissi sullo scontro che aveva avuto con Nathaniel quel pomeriggio.

 “Anch'io. Spero che papà non sia troppo in pensiero per noi...” , rispose evasivamente. Poi si riscosse e il suo tono si addolcì, mentre guardava la sorella minore. “Perché non provi a dormire ora? Domani ci aspetta un altro giorno faticoso.”

 Alice si sdraiò su un fianco, cercando una posizione comoda per dormire, l'umidità della notte che penetrava attraverso il tessuto sottile del suo vestito. Era la prima volta che dormiva su qualcosa di diverso di un bel materasso imbottito, eppure la stanchezza ebbe il sopravvento e, in pochi minuti, Alice si abbandonò ad un sonno profondo.

 

 Non seppe dire quanto tempo avesse dormito, quando dei rumori attutiti la strapparono al sonno. La ragazza sbatté le palpebre, cercando di mettere a fuoco ciò che le stava intorno. Di una cosa si rese subito conto: Cora non era più accanto a lei. Voltandosi pancia a terra, si sollevò sui gomiti e alzò la testa cercando di vedere oltre il tronco caduto che le stava davanti. Vedeva qualcosa muoversi tra gli alberi, non molto lontano da loro. Non si accorse che stava respirando più forte di quanto la prudenza avrebbe suggerito... in realtà non pensava nemmeno che chiunque ci fosse là fuori riuscisse a sentirla. Non sapeva che gli indiani – perché di indiani si trattava - fossero allenati a percepire ogni minimo rumore. Ma accanto a lei c'era qualcuno che lo sapeva fin troppo bene.

 Improvvisamente una mano le coprì la bocca, mentre delle braccia forti l'afferrarono. Alice si trovò stretta contro il corpo di un uomo. Era sul punto di gridare, o lottare per liberarsi, o entrambe le cose, quando una voce familiare le sussurrò nell'orecchio.

 “Sono io. Sta' tranquilla.”

 Uncas. Era lui che la stava stringendo, e Alice si sentì immediatamente al sicuro tra le sue braccia. Il cuore cominciò a batterle come un tamburo, e non solo per la paura che quegli uomini li scoprissero. Divenne acutamente consapevole del corpo di lui premuto contro il proprio, delle sue labbra che le sfioravano il collo, anche se involontariamente. Il sangue prese a scorrerle nelle vene come un mare in tempesta. Alice chiuse gli occhi senza volerlo, come se il suo corpo volesse assaporare ogni attimo di quel contatto, ogni fibra di calore che si sprigionava dal corpo di Uncas.

 Udì una voce dire “Non. Pas possible”, e riaprì gli occhi, sforzandosi di concentrarsi sulla situazione in cui si trovavano. Alice conosceva molto bene il francese e comprese immediatamente che, per qualche motivo, il gruppo di indiani che si stava avvicinando stava rifiutandosi di proseguire.

 “Non!”, ribadì uno di loro ad uno dei cacciatori francesi che li accompagnava.

 Alice capì che erano salvi e tirò un sospiro di sollievo. Uno ad uno, gli uomini che li minacciavano presero ad indietreggiare scomparendo nella foresta. Uncas la tenne stretta qualche altro momento, prima di lasciarla andare. Poi si mise a sedere, imitato da Alice.

 Ora che il momento di pericolo era passato, la ragazza cominciò a sentirsi imbarazzata per essere stata così vicina a lui, e ad averlo trovato per giunta così piacevole.

 “Stai bene?”, chiese Uncas gentilmente. Guardandolo negli occhi Alice si accorse che era veramente preoccupato, non lo stava chiedendo solo per educazione.

 “Sì, grazie”, si affrettò a rassicurarlo lei. “Stavo per tradirvi tutti...”, aggiunse poi, vergognandosi della propria debolezza.

 “Questo non è il mondo a cui sei abituata. Non devi scusarti”, rispose lui.

 Solo in quell'attimo Alice si ricordò di Cora, e la cercò con lo sguardo. Sua sorella era più avanti, sdraiata accanto a Nathaniel. Ma come? Si chiese Alice. Non aveva dichiarato fino a poche ore prima che era un uomo insopportabile? E per certi versi poteva esserlo. Era testardo e irritante, incline al sarcasmo e non sapeva tenere a freno la lingua ma, rifletté Alice, probabilmente lui e Cora si assomigliavano più di quanto sua sorella fosse disposta ad ammettere.

 Alice spostò lo sguardo su Uncas. “Perché quegli uomini ci stavano per attaccare?”

 “Erano Ottawa, gli stessi che hanno bruciato la capanna. Si muovono lungo la Frontiera per saccheggiare e depredare.”

 Immediatamente ad Alice tornarono in mente i corpi di quella famiglia e sentì lo stomaco chiudersi. “Quelle... quelle persone erano vostri amici, vero?”, chiese con un filo di voce.

 Uncas annuì, lo sguardo per un momento di nuovo triste.

 “Mi dispiace molto... dico davvero”, mormorò lei, evitando di insistere su un argomento che era chiaramente ancora così doloroso per lui.

 Uncas le sorrise. Alice non sapeva che le sue parole gli avevano ricordato James e Anna, i due bambini dei Cameron che lo adoravano e che rifiutavano di staccarsi da lui ogni volta che lui, suo padre e suo fratello erano in visita presso la loro famiglia. Questo gli riportò alla mente l'ultima volta che erano stati alla capanna, circa una settimana prima, e una frase che Alexandria Cameron aveva casualmente pronunciato. Come mai Uncas è con voi? Avrebbe dovuto sistemarsi con una donna e mettere su famiglia ormai. Anche se aveva solo venticinque anni sulle spalle di Uncas pesava il gravoso fardello dell'intero suo popolo, i Mohicani, praticamente scomparsi dopo due secoli di guerre con i coloni ed epidemie portate da questi ultimi. Erano rimasti solo in due: lui e suo padre. E Chingachgook desiderava con tutto il suo cuore che Uncas trovasse una moglie indiana e ricostruisse la loro stirpe. Uncas aveva sempre pensato che sarebbe andata così, che era suo dovere fare ciò che andava fatto. Ma ora, in quel terreno di sepoltura, in quella notte di fine estate, Uncas si trovò ad osservare la giovane donna accanto a sé e, per la prima volta, sentì il suo cuore vacillare. Certo, aveva avuto alcune donne nella sua vita di guerriero, ma nessuna aveva mai toccato le corde del suo cuore. Nessuna aveva mai scatenato in lui emozioni tanto profonde, come quella ragazza dal viso di porcellana e dai capelli dorati riusciva a fare.

 “Dovresti tornare a dormire”, le disse con voce tranquilla.

 Alice assentì col capo e fece per sdraiarsi di nuovo, poi ci ripensò e si mise di nuovo a sedere. Guardò Uncas, che ora era seduto con la schiena poggiata contro il tronco caduto, con il fucile tra le mani. Aveva il viso rivolto verso il cielo e le stelle. Sembrava che avesse intenzione di passare lì la notte, e Alice gliene fu grata. Si sentiva così al sicuro accanto a lui, come se non avesse più nulla da temere dal mondo. Sollevata, si sdraiò di nuovo sul terreno e dormì tranquilla per il resto della notte.

 

 Il giorno dopo trascorse più o meno come il precedente. Alice tendeva continuamente a rimanere indietro, ma non era da sola. Uncas era sempre accanto a lei, e la sua semplice presenza la confortava. Lui la sosteneva ogni qualvolta inciampava e l'aiutò ad attraversare alcuni tratti particolarmente difficili. Ma le stava accanto in modo discreto e l'aiutava solo quando ne aveva veramente bisogno. Alice era grata del fatto che non la trattasse come una bambina o come un'invalida. E scoprì con sua sorpresa, che bastava la semplice presenza di Uncas ad incoraggiarla a proseguire anche quando era esausta.

 Si fermarono solamente verso mezzogiorno per consumare un pasto veloce a base di carne secca e frutti di bosco e, nel tardo pomeriggio, Uncas andò in testa al gruppo in avanscoperta, dando il cambio a Chingachgook. Allora Duncan, ricordando i suoi doveri di gentiluomo, andò ad aiutare Alice. Soltanto che, a differenza di Uncas, Duncan la considerava debole e delicata, ed evitava di allontanarsi più di un passo da lei, tenendole costantemente il braccio. Alice avrebbe voluto protestare, ma non voleva offendere Duncan, che agiva così perché le era affezionato... e onestamente, a cosa sarebbe servito? Perfino Cora cercava sempre di proteggerla da tutto!

 Quando il sole era quasi al tramonto, e stavano camminando in mezzo al bosco, si levò chiara la voce di Nathaniel.

 “Dopo la prossima cresta, scendendo c'è il forte”, comunicò ai suoi compagni di viaggio.

 “Gli uomini del reggimento andranno al lago a prendere dell'acqua, la metteranno sul fuoco e provvederanno ad ogni genere di conforto”, disse Duncan ad Alice, continuando a tenerla per il braccio.

 “Che bello, non vedo l'ora di riabbracciare papà!”, esclamò Alice, contenta. Ma subito dopo averlo detto si rese conto che il loro arrivo al forte, forse avrebbe significato doversi separare dai loro compagni di viaggio. D'altra parte, che motivo avrebbero avuto i tre uomini di rimanere? Aveva sentito chiaramente Nathaniel dire che, prima di imbattersi in loro, erano diretti ad ovest. Probabilmente avrebbero ripreso il cammino una volta che loro fossero stati al sicuro a Fort William Henry. Inspiegabilmente, Alice provò una profonda tristezza a quel pensiero.

 E tuttavia non riuscì a ingannare se stessa al punto di non ammettere chi, tra i tre uomini, avrebbe rimpianto di più. Uncas li stava aspettando in cima alla cresta, ed anche a quella distanza, Alice percepì il suo sguardo su di sé, quello sguardo che sembrava leggerle nei pensieri. Le mancava non averlo accanto a sé... non sapeva perché – o forse semplicemente non era disposta ad ammetterlo – ma le mancava la sua presenza rassicurante. In quei due giorni aveva vegliato su di lei, che fosse stato per stringerla a sé e confortarla in vista del pericolo come era successo nel terreno di sepoltura, o per impedirle di inciampare o scivolare... lui era sempre stato lì.

 Le tenebre calarono in fretta. Il primo tuono comparve nel cielo senza preavviso, illuminando la notte di un innaturale bagliore arancione. I tuoni e i lampi si intensificarono man mano che il gruppo si avvicinava alle sponde del lago, sulla cui riva opposta si ergeva il forte. Ma non si trattava di una tempesta... era un bombardamento. Fort William Henry era sotto assedio. Alice e Cora rimasero a bocca aperta di fronte a quello spettacolo tremendo. Perché il loro padre le aveva invitate nel mezzo di una guerra? Si chiedeva freneticamente Alice. Chingachgook scansò Cora per passare avanti, e riuscire a vedere meglio la situazione, ed anche Duncan e Nathaniel lo seguirono.

 Uncas, che era in fondo al gruppo, voltò improvvisamente la testa e li vide. Vide ciò che aveva già percepito nelle ultime ore, ciò che la foresta, di cui lui era un buon ascoltatore, gli aveva rivelato. Un gruppo guerriero – probabilmente uroni – che li seguiva già da un giorno, li aveva quasi raggiunti. Non potevano indugiare, né tornare indietro. Così il giovane mohicano individuò al buio la figura vestita di rosa di Alice, che stava poco più avanti, sbalordita o forse terrorizzata dalle cannonate, e la prese delicatamente per un braccio.

 “Dobbiamo andare”, le disse. Raggiunsero Chingachgook e Nathaniel fermi sulla riva del lago, e Uncas disse alcune frasi in mohicano al padre e al fratello. Più avanti, tirata in secca sul bagnasciuga, c'era una canoa. Il gruppo si diresse verso di essa e gli uomini la tennero ferma, mentre aiutavano le donne a salire. Nathaniel disse a Cora e Alice di acquattarsi sul fondo, per non diventare facile bersaglio per coloro che li inseguivano. Le ragazze fecero come veniva detto loro. Poi la canoa si mosse e Alice si chiese perché gli uomini non fossero saliti con loro; poi comprese... i remi! Non c'erano i remi e i quattro uomini stavano spingendo l'imbarcazione a nuoto, due su ogni lato, probabilmente anche per attirare meno l'attenzione dei loro inseguitori.

 Mentre la canoa ondeggiava Alice si aggrappò al bordo, e la sua mano ne incontrò un'altra. Era più grande della sua, più scura della sua e il contatto con essa fu come una scarica di corrente per Alice. Allontanò la mano in fretta... che lui pensasse che l'aveva fatto di proposito? In ogni caso fu ancora una volta confortante per Alice il fatto che Uncas fosse lì accanto a lei.

 La canoa fendette le acque scure del lago, fino a toccare la sponda opposta. La superficie dell'acqua s'increspò quando Chingachgook camminò fino al bagnasciuga tirando in secca la canoa, subito imitato da Uncas e Nathaniel. Bagliori provenienti dai mortai francesi che attaccavano il forte rivelarono la posizione dell'imbarcazione e la forma delle ragazze che scendevano sulla spiaggia, aiutate da Duncan. Tre uomini che si trovavano più avanti – un Hurone e due soldati francesi - li videro e si lanciarono su di loro. Cora e Alice quasi gridarono dalla sorpresa e cercarono riparo dietro agli uomini. L'Hurone attaccò Nathaniel, che lo respinse piantandogli il tomahawk nel petto. Immediatamente dopo tirò fuori il suo coltello, la cui lama mandò un bagliore nella notte. Chingachgook abbatté il primo dei due soldati con la sua mazza da guerra, mentre il secondo fece in tempo a colpire Uncas al fianco con la baionetta, prima che lui lo spingesse a terra afferrando la baionetta stessa e, sovrastandolo, lo colpisse col tomahawk.

Senza indugiare oltre - visto che era chiaro che quel posto non era sicuro - il gruppo cominciò a risalire verso il forte. Un nuovo colpo di cannone esplose non molto lontano da loro, e Alice emise un piccolo strillo di paura e di sorpresa. Istintivamente, afferrò il braccio di Uncas, gli occhi spalancati e fissi sui bagliori nel cielo che a tratti illuminavano il forte. Uncas fu intenerito da quella manifestazione di fiducia da parte della giovane donna. Lei era diversa dagli altri due inglesi. La giubba rossa chiaramente ancora non si fidava di loro nonostante gli avessero salvato la vita, e lo dimostrava il fatto che passava ogni notte sveglio col fucile spianato; mentre l'altra ragazza non faceva altro che scontrarsi con Nathaniel approfittando di ogni pretesto. Ma Alice... lei era così gentile, così innocente, così dolce...

Si rivolgeva a lui senza neanche una punta di superiorità nella voce, senza cercare di far prevalere il suo punto di vista. E si fidava di lui, come nessuno aveva mai fatto. Nessuno si era mai aggrappato ad Uncas in quel modo, e qualcosa vibrò nel suo cuore quando Alice d'istinto lo cercò.

 Lungo tutta la salita verso il forte, Uncas l'aiutò sostenendola con il braccio. Davanti a loro, Nathaniel stava facendo la stessa cosa con Cora. Sebbene Uncas non si fosse lasciato sfuggire un grido quando la lama lo aveva colpito di striscio tagliandolo all'altezza del fianco, Alice si accorse, mentre risalivano il pendio, che la sua camicia era macchiata di sangue.

 “Ti ha ferito...”, mormorò la ragazza, la voce che vibrava di preoccupazione.

 Uncas le sorrise. “Non è niente di grave, non preoccuparti.”

Alice non si tranquillizzò molto, ma non poté ribattere perché erano nel frattempo giunti all'ingresso del forte, dove li aspettavano diversi soldati. Cora prese gentilmente Alice dalle mani di Uncas, mentre Duncan forniva nome e grado all'ufficiale che era appena uscito dal forte, il quale fece altrettanto. Tutto il gruppo varcò l'ingresso e si ritrovò in un ampio cortile, dove regnavano il caos, la confusione, le grida e i colpi di cannone che i francesi sparavano contro il forte inglese. 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


 Alice correva abbracciata a sua sorella, i colpi di cannone che sibilavano sopra le loro teste; Duncan, Nathaniel, Uncas e Chingachgook le seguivano. Alice non riusciva a udire altro che gli spari e si lasciò sfuggire uno strillo spaventato quando una palla di cannone colpì il muro esterno del forte, molto vicino a loro. Le due sorelle fecero gli ultimi metri di corsa quando videro che il loro padre stava venendo loro incontro; Alice si staccò da Cora per tuffarsi fra le braccia del Colonnello, gridando: “Papà, papà!”

 “Alice! Cora!”, esclamò il Colonnello Munro, stringendo entrambe le figlie in un abbraccio. “Perché siete qui? E dove diavolo sono i miei rinforzi?”, gridò frustrato mentre scortava le figlie verso i suoi quartieri. Mise la sua giacca sulle spalle di Alice, ma la tolse appena furono dentro la stanza, gettandola poi su una sedia.

 “Chiamate il signor Phelps!”, ordinò secco. Poi, in modo più paterno, si rivolse alle figlie. “Vi avevo scritto di non venire! Perché mi avete disobbedito?”

 “Quando? Come?”, chiese Cora, confusa.

 “La mia lettera!”

 Alice era incredula come la sorella, ma riuscì a notare con la coda dell'occhio che Uncas, Chingachgook e Nathaniel avevano appena fatto il loro ingresso nella stanza.

 “Quale lettera? Non è arrivata!”, esclamò Cora con veemenza.

 “Ho mandato tre corrieri a Webb!”, ribatté il Colonnello, rivolgendosi stavolta a Duncan.

 “Ne è arrivato uno chiamato Magua”, ripose questi.

 “Non ha riferito un messaggio del genere!”, rincarò Cora.

 “Quindi Webb non sa che siamo assediati?”

 “Signore, Webb non ne ha idea! E di sicuro non sa di dover mandare rinforzi”, disse Duncan in tono secco.

 Per un momento nella stanza calò il silenzio. Sembrava che il Colonnello Munro fosse totalmente abbattuto, e che niente stesse andando come lui aveva sperato.

 Alice guardò suo padre con occhi tristi. Stava male per lui, e avrebbe tanto voluto poterlo consolare in qualche modo, pur sapendo che non sarebbe servito a nulla.

 L'espressione di Munro si addolcì, mentre il suo sguardo si spostava sulla figlia minore. “Cosa vi è capitato?”, chiese gentilmente.

 “Un'imboscata”, disse semplicemente Duncan.

 “Stiamo bene”, si affrettò a rassicurarlo Cora.

 “Tu stai bene?”, chiese Alice a suo padre, con un tono che avrebbe scaldato anche un cuore di pietra.

 “Sì...”

 “Ma che succede qui, papà?”

 Cosa avrebbe dovuto rispondere un padre a una domanda simile? Che erano assediati e che, a meno di non sperare in un miracolo, sarebbero stati conquistati? Forse se Alice avesse fatto la stessa domando un'ora prima il Colonnello avrebbe potuto rispondere che i rinforzi stavano per arrivare, ma ora anche questa speranza era svanita. E mai come in quel momento Munro si sentì solo e abbandonato da tutti. Il padre che era in lui prese il sopravvento sull'ufficiale, e lo indusse ad abbracciare la figlia.

 “Vedrai, ce la caveremo”, mormorò, pur non essendone affatto sicuro. Nonostante la sua giovinezza e ingenuità, Alice non era stupida. E non gli credette, nemmeno per un secondo.

 “Quel Magua ci ha traditi”, s'intromise Duncan. “Diciotto caduti. Questi uomini ci hanno soccorso e guidato qui.”

 Alle parole del Maggiore, l'attenzione di tutti nella stanza venne rivolta ai tre uomini che stavano aspettando silenziosamente in fondo alla stanza. Alice non poté farci niente quando il suo sguardo venne attratto da Uncas, che stava in piedi fra suo padre e suo fratello, e, senza quasi rendersene conto, le sue labbra si incurvarono in un piccolo sorriso.

 “Grazie”, disse il Colonnello Munro e, dei tre uomini, fu solo Uncas che rispose con un accenno di sorriso che in tutte le lingue del mondo aveva il significato di: “non c'è di che”.

 “Serve niente?”, continuò Munro.

 “Ci farebbe comodo un po' di polvere da sparo per riempire i corni”, rispose Nathaniel.

 “E del cibo”, aggiunse Uncas.

 “Vi siamo debitori.”

 In quel momento l'ennesima cannonata scosse la stanza, facendo cadere un po' di polvere dal soffitto.

 “Signorina Cora, come state?”, si levò improvvisa la voce del signor Phelps, il chirurgo del Colonnello, entrato in quel momento nella stanza.

 “Salve signor Phelps”, rispose Cora con voce fioca.

 “La signora McCann vi porterà dei vestiti asciutti.”

 Mentre Cora ringraziava il signor Phelps, il Colonnello Munro si rivolse alla figlia più giovane. “Va' con tua sorella, Alice”, disse gentilmente.

 Alice lo guardò per alcuni secondi. Le si spezzava il cuore a lasciarlo, perché perfino lei capiva che suo padre si sentiva perso e spaesato, pur non potendo permettersi il lusso di darlo a vedere. Mai come in quel momento, suo padre dimostrava tutti i suoi anni. Gli pesavano sulle spalle come macigni, aggravati delle responsabilità che aveva nei confronti dei suoi uomini, dei civili che abitavano al forte, e della stessa corona inglese. Non poté far altro che abbracciarlo un'ultima volta.

 “Andrà tutto bene, bambina mia. Andrà tutto bene”, ripeté Munro. E mentre si allontanava seguendo la sorella, Alice si chiese, per la seconda volta quella sera, se suo padre la ritenesse così ingenua da credere a una simile bugia.

 

 Alice vagava per la stanza che era stata assegnata a lei e a sua sorella, inquieta. Aveva fatto un lungo bagno nella tinozza di acqua calda che le avevano portato e si era perfino cambiata d'abito. Ora i capelli le ricadevano morbidi e sciolti sulle spalle, e non c'era nessuna donna, in quel forte nel mezzo di una guerra, che potesse intrecciarglieli di nuovo. Cora era andata ad aiutare il signor Phelps in infermeria, ma non aveva chiesto ad Alice di seguirla. D'altronde Alice non aveva alcun talento o istruzione come infermeria, cosa che Cora invece possedeva, avendo già seguito il padre in una precedente campagna militare in Austria. E poi si sentiva talmente esausta che temeva di non riuscire a reggersi in piedi ancora a lungo.

 Il letto, con l'invitante materasso imbottito, la chiamava a gran voce e Alice gli rispose. Si sdraiò sulle coltri e le sembrò di sprofondare in una nuvola di morbidezza. Ma, nonostante la stanchezza, la sua mente si rifiutava di cedere al sonno. Un turbinio di pensieri l'attraversavano, e Alice scoprì che finivano inevitabilmente per fermarsi su Uncas. La ragazza si sforzò di pensare ad altro: al fatto che si trovava in un forte assediato, alla casa di famiglia a Portman Square, alle sue amiche Frances ed Elizabeth, alla zia Camille e alla cugina Eugenie, al suo ritorno a Londra... ma l'immagine che aveva davanti agli occhi era sempre quella di un viso dai tratti regolari e la pelle brunita. E Uncas fu il suo ultimo pensiero prima di addormentarsi.

 
Alice si trovava nel dormiveglia già da qualche minuto quando la porta della stanza venne spalancata di schianto.

 “Cora!”, esclamò Duncan, facendo irruzione nella stanza. “Io vorrei parlarti”, aggiunse abbassando il tono di voce, perché Cora, che stava rassettando la stanza, si era portata un dito alle labbra facendo cenno verso la figura apparentemente addormentata di Alice.

 Alice si mise a sedere sul letto. “Parla pure con Duncan, Cora”, disse alzandosi in piedi, e cominciando ad avviarsi verso la porta. “Posso cavarmela da sola, non sono una scolaretta invalida”

 “Alice...”, la chiamò Cora.

 “Vedo se serve niente al signor Phelps”, la interruppe Alice.

 E uscì chiudendosi la porta alle spalle. Alice era vagamente irritata dalla situazione: ancora una volta veniva considerata alla stregua di una bambina, da proteggere e maneggiare con i guanti, tagliata fuori da ogni decisione importante. In Inghilterra aveva sopportato questi atteggiamenti, ma lì, in quel posto, il ruolo della ragazza debole e fragile stava cominciando ad andarle stretto. Non era forse scampata ad un imboscata, in seguito alla quale aveva camminato due giorni interi senza sosta nella foresta e dormito sul terreno duro e freddo? Non era stata testimone del massacro di un'intera famiglia? Forse che qualcuno l'aveva sentita lamentarsi, o lasciarsi andare alla disperazione? Eppure tutti continuavano a trattarla come se avesse bisogno di essere sempre accompagnata per mano! Poi si corresse... quasi tutti. Uncas l'aveva sempre trattata come la giovane donna che era, aveva visto in lei una forza che nessuno aveva mai visto. Aveva guardato dentro di lei e aveva visto la vera Alice, senza mai guardarla con scherno o con sufficienza.

 Appena uscita dalla stanza, Alice imboccò il corridoio, ma non si diresse verso l'infermeria. Forse avrebbe potuto aiutare il signor Phelps – non con i feriti, quello era ovvio – ma svolgendo qualche piccolo compito. Ma adesso non poteva – non voleva. Adesso voleva trovare Uncas. Voleva assicurarsi che stesse bene, era stata così preoccupata quando aveva notato che era stato ferito, voleva parlargli, voleva... non sapeva nemmeno lei perché volesse così disperatamente vederlo, ma era così.

 Dopo diversi minuti che camminava si rese conto di non avere idea di dove cercare Uncas; senza accorgersene era sbucata nel cortile del forte, dove i bombardamenti erano temporaneamente cessati e tutto era tranquillo. Diversi coloni, soldati e indiani si erano riuniti lì approfittando della notte tiepida. Avevano acceso dei fuochi, alcuni parlavano tra loro, altri addirittura danzavano accompagnando la musica che qualcuno stava suonando con un violino. Alice si appoggiò al muro di legno di una casupola per osservare quegli uomini e donne che per una sera, tentavano di dimenticare la situazione in cui si trovavano. Dopo qualche minuto si sedette su un tronco, con le mani poggiate su di esso e il busto leggermente reclinato in avanti; era abbastanza vicina da vedere i giochi di luce dei falò che si riflettevano sui suoi capelli biondi, ma abbastanza lontana da non essere vista da quelle persone.

 “Alice”, la chiamò una voce alla sua destra. La ragazza sobbalzò e voltò la testa.

 Il suo primo pensiero fu che quella era la prima volta che lui la chiamava per nome, e il secondo che il suo nome sulle sue labbra aveva un suono così dolce. Alice si riscosse in fretta da quei pensieri e tentò di recuperare un po' di dignità, mentre Uncas le si avvicinava.

 “Cosa ci fai qui fuori?”

 “Mia sorella e Duncan avevano bisogno di parlare, così ho lasciato loro un po' di privacy”, spiegò Alice tentando di non far tremare la voce. “E poi”, aggiunse facendo un respiro profondo, “ti stavo cercando.”

 “Me? E perché?”, Uncas apparve sorpreso. Si sedette sul tronco accanto a lei.

 “Volevo vedere come stava la tua ferita, se... se stavi bene...” disse, incespicando nelle parole. Uncas ora le era molto vicino, e questo la metteva a disagio. Le loro mani quasi si toccavano.

 Uncas si sfiorò il fianco. “Tua sorella ha fatto un ottimo lavoro, guarirò in poco tempo.”

 “Ora ripartirete?”, chiese Alice dando voce alla sua preoccupazione maggiore.

 “Non subito, questo è sicuro”, rispose Uncas scuotendo il capo.

 “Eravate diretti ad ovest, vero?”

 “In Can-tuck-ee, dai Delaware... mia madre apparteneva al loro popolo. Sono come dei cugini per noi.”

 “Andate lì per allontanarvi dalla guerra?”

 “In parte sì...”

 “E per quale altra ragione allora?”, chiese Alice. Ma cosa diavolo le passava per la testa? Chi le dava la forza di essere così sfrontata?

 Uncas rimase in silenzio alcuni momenti, poi decise di dirle la verità. “Dovrei sposarmi.”

 Alice sentì come se le stringessero il cuore in una morsa. Quelle semplici due parole le fecero più male di una pallottola, e comprese con immediata, acuta consapevolezza che non voleva che lui appartenesse ad un'altra. Sembrava che il petto stesse per scoppiarle. Cosa le stava succedendo?

 “Ma non posso farlo”, aggiunse, prima che lei potesse dire qualcosa.

 Alice sentì il dolore nel petto affievolirsi, ma con esso venne anche l'improvviso desiderio di scappare via, di fuggire da quel forte, da lui, da quello che stava provando; desiderò perfino di tornare da Jonathan Hartley e sposarlo immediatamente. Perché quello che stava provando era pericoloso, era sbagliato, era-

 “Alice”, la chiamò Uncas dolcemente.

 Il suo nome pronunciato di nuovo da quella voce calda e profonda che ormai le era fin troppo familiare, la bloccò, inchiodandola dove si trovava. Non riuscì a impedirsi di alzare il viso verso quello di lui e quando lo fece, se ne pentì. Perché i suoi occhi erano come una calamita, e la attiravano a lui inesorabilmente. Il cuore prese a batterle talmente forte, che Alice si chiese come mai lui non lo sentisse.

 Uncas allungò la mano ad accarezzarle la guancia, e la sua mano forte e scura spiccò sulla pelle candida e morbida di lei. Poi lui si avvicinò e le loro labbra si incontrarono, come obbedendo ad un richiamo. Le labbra soffici di lei si fusero con quelle forti di lui. Alice si sentì morire e rinascere mille volte in quel bacio. Uncas spostò la mano dalla sua guancia alla sua nuca, accarezzandole dolcemente i morbidi capelli. Poi si staccò da lei e la guardò negli occhi. Fu come se un'ondata di consapevolezza si abbattesse su Alice, facendola quasi vacillare sotto il suo peso. Improvvisamente ebbe voglia di piangere, ma le lacrime non vennero. Come poteva una cosa suonare così sbagliata, eppure essere tanto bella? Si sentiva lacerata, combattuta fra il desiderio di fuggire da lui e quello di rimanere per sempre fra le sue braccia. Uncas dovette indovinare i suoi pensieri, perché la circondò con le braccia stringendola a sé dolcemente. Improvvisamente tutti i dubbi di Alice svanirono, e comprese che avrebbe dato qualsiasi cosa al mondo perché quel momento non finisse mai. Perché – e perfino in quel momento Alice lo capiva – il loro futuro era impossibile. Sapeva che era impossibile che una donna bianca e un indiano potessero stare insieme. Nessun bianco l'avrebbe mai accettato... fino ad una settimana prima perfino Alice sarebbe inorridita se le avessero raccontato una cosa simile. Come era cambiata in quei pochi giorni! Si chiedeva come avesse fatto a considerare “selvaggi” gli indiani, come avesse fatto a valutarli con la superiorità che la sua razza credeva di possedere, quando invece non sapeva niente di niente!

 Dopo averla stretta a lungo, Uncas si tirò indietro. “Credo che sia meglio che tu vada”, disse a malincuore. “Tua sorella ti starà cercando.”

 Alice si riscosse. Cora! Ormai mancava da parecchio e Cora forse la stava cercando. Non doveva trovarla lì! Cosa avrebbe detto? Lo avrebbe riferito al loro padre? Alice si alzò in piedi di scatto.

 “Sì, devo proprio andare”, mormorò, cercando di nascondere la sfumatura rosata che le sue guance avevano acquistato. Lui annuì senza rispondere, e Alice si allontanò evitando di guardarsi indietro.


 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Uncas era sdraiato sul suo giaciglio nella stanza che divideva con suo padre, suo fratello e alcuni Mohawk. Se ne stava con le mani sotto la testa ad osservare il soffitto e a riflettere. Rifletteva su quello che era successo quella sera. Non poteva sposarsi, non si sarebbe mai sposato. Se avesse sposato un'altra avrebbe tradito il suo cuore, anche se questo avrebbe significato tradire la sua gente. Lei era il suo destino. Lo aveva capito (anche se all'inizio si era rifiutato di ammetterlo) fin dalla prima volta in cui l'aveva incontrata. Era lei il motivo per cui in quegli anni aveva rimandato la decisione di sposarsi... era lei che inconsciamente stava aspettando.

 “Vedo che il tuo cuore è turbato, figlio mio.”

 Uncas sobbalzò. Non si era accorto che Chingachgook si era seduto accanto a lui, silenzioso come un soffio di vento. Il giovane Mohicano si mise a sedere in fretta.

 “Padre, io...”

 “Non interferirò con le tue scelte, Uncas”, lo interruppe suo padre. “Non si possono imbrigliare i sentimenti. Ma ricordati che lei non appartiene alla nostra gente, e se la tua scelta cadrà su di lei temo che dovrai sperimentare la sofferenza...”

 Lo sguardo dell'indiano più anziano si velò di tristezza, e Uncas provò una fitta di rimorso perché non avrebbe voluto in nessun modo deludere suo padre. Ma, come egli stesso aveva detto, non si poteva cambiare il cuore di una persona. E il suo cuore apparteneva ad Alice. Uncas desiderava con tutte le sue forze che suo padre potesse accettarlo.

 “Dov'è mio fratello?”, chiese improvvisamente Uncas. Era da parecchio che non vedeva Nathaniel.

 “Senza dubbio con Capelli Scuri”, rispose Chingachgook, tranquillamente.

 Uncas rimase a bocca aperta. Cora? Nathaniel era con Cora?

 “Sì, lo so cosa stai pensando. Quei due sembrano scontrarsi su tutto, ma in realtà sono molto più simili di quanto tu creda. Sembra che mio figlio bianco abbia trovato la sua metà perfetta...”

 Uncas evitò di guardare il padre. Sapeva cosa volesse intendere: non gli importava neanche lontanamente su quale donna cadesse la scelta di Nathaniel, quanto gli stava a cuore quale scegliesse Uncas. In fin dei conti, anche se cresciuto come un Mohicano, Nathaniel restava comunque un bianco, e su di lui non pesava il fardello di essere l'ultimo della sua stirpe.

 “E tu? Provi lo stesso per Capelli Biondi?”

 Lo stesso e anche di più, pensò Uncas. Se anche questo gli avesse portato dolore e sofferenza... ebbene, per Alice valeva la pena affrontare qualsiasi cosa. E non ebbe bisogno di rispondere, perché suo padre glielo lesse negli occhi.

 

 Alice si era chiesta dove fosse sua sorella, quando, al suo rientro, non l'aveva trovata nella stanza. Allora si era gettata sul letto, aveva nascosto il viso nel cuscino e finalmente era riuscita a piangere. Di felicità o di dolore, Alice non lo sapeva... ma probabilmente entrambe. Felicità perché ormai era consapevole che il suo cuore apparteneva ad Uncas; dolore perché presto sarebbe tornata in Inghilterra e non l'avrebbe mai più rivisto. Avrebbe sposato qualcuno che suo padre avrebbe scelto per lei e trascorso il resto della vita a cercare Uncas negli occhi di un altro uomo. Fu sempre piangendo che, infine, Alice si addormentò.

 Quando aprì gli occhi impiegò qualche attimo a ricordare perché si trovasse in una stanza priva di finestre; poi ricordò ogni cosa. Capì che era mattina dal fatto che Cora sedeva sul letto, spazzolandosi i capelli con lo sguardo fisso davanti a sé.

 “Cora”, la chiamò Alice.

 Ma la sorella le rivolse solo un breve sguardo con occhi vacui, poi tornò a fissare il muro. Alice la raggiunse e si sedette sul letto accanto a lei.

 “Cora”, la chiamò di nuovo in un sussurro, prendendole una mano. “Cora, che cos'hai?”

 A quel contatto, Cora inaspettatamente rabbrividì. Poi nascose il viso nelle mani e scoppiò a piangere. Alice la strinse a sé, accarezzandole i capelli scuri.

 “Nathaniel”, disse Cora, quando si fu calmata. “Lo impiccheranno.”

 Alice credette di aver capito male. “Lo impiccheranno?”, ripeté, scuotendo il capo in un tentativo di negazione.

 “Sì, è così.”

 “E perché?” Alice ancora non riusciva a crederci. Cosa poteva aver mai fatto un uomo dal cuore buono come Nathaniel per meritare una simile condanna?

 “Ha incoraggiato i coloni a disertare per tornare a proteggere le loro famiglie”, rispose Cora con voce incrinata.

 Alice non comprese immediatamente la situazione. Ovviamente non sapeva nulla della discussione tra suo padre e i coloni, spalleggiati da Nathaniel, a cui sua sorella aveva assistito. Per l'ennesima volta, Cora si era premurata di tenerla all'oscuro, solo che questa volta - per la prima volta – la maggiore delle sorelle Munro provò una punta di vergogna. In fretta, la mise al corrente di quello che era successo in quella riunione e della decisione del Colonnello di non rilasciare la milizia coloniale nonostante apparisse chiaro che nessuna famiglia era al sicuro sulla Frontiera.

 “Ma come può nostro padre mandare a morte l'uomo che ci ha salvato la vita?”, fu il grido scandalizzato di Alice, allorché Cora ebbe terminato il suo racconto. “E per un crimine che non esiste, poi!”

 Mentre Cora si asciugava gli occhi, Alice fu colpita da una rivelazione.

 “Provi qualcosa per lui, non è vero?”, chiese dolcemente. In quel momento sembrava quasi lei la sorella maggiore, e l'idea la fece sorridere.

 Cora annuì, ma non disse niente. Alice non chiese altro – non ce n'era bisogno – e strinse la sorella in un abbraccio.

 “Ho rifiutato Duncan ieri sera”, disse Cora quando si separarono. “Non potrei mai sposarlo.”

 “Davvero?”, chiese Alice, attonita. “E lui come l'ha presa?”

 “Inizialmente credevo l'avesse presa bene. Poi stamattina, quando sono andata a parlare con nostro padre, lui non mi ha affatto sostenuta... anzi, ha lavorato in senso opposto! Come se Nathaniel non avesse salvato anche la sua di vita!”

 “Hai parlato con nostro padre? E lui ha comunque intenzione di far impiccare Nathaniel?”

 “Non mi ha dato minimamente ascolto, Alice”, disse Cora con voce dura.

 Alice era incredula. Aveva sempre adorato suo padre, l'aveva posto su un piedistallo con la forza della sua adorazione fanciullesca. Dopotutto era l'unico genitore che le era rimasto, e da bambina Alice era stata veramente convinta che Edmund Munro fosse infallibile. E ora quell'eroe idealizzato cadeva dal suo piedistallo e si mostrava per quello che era: un uomo. Un uomo imperfetto e debole, che sapeva mostrarsi anche crudele e ingiusto.

 “Credi che se provassi a parlargli io cambierebbe idea?”, chiese Alice. Non lo espresse ad alta voce, ma entrambe sapevano che la parola di Alice – la preferita del loro padre – aveva un altro peso rispetto a quella di Cora.

 Ma Cora scosse la testa. “Non questa volta, Alice. Stavolta non possiamo fare niente.”

 

 Quella sera, Cora sgattaiolò fuori dalla stanza, lanciando un'occhiata significativa ad Alice. Alice annuì; sapeva dov'era diretta Cora, e non poteva biasimarla. Se Uncas fosse stato condannato a morire entro pochi giorni, anche lei avrebbe cercato ogni singolo momento per stare con lui. Eppure in un certo modo quella era anche la loro situazione: certo, Uncas non sarebbe stato impiccato, ma quando suo padre l'avesse messa su una nave e spedita a casa, lui sarebbe stato come morto per lei. Non l'avrebbe mai più rivisto, e sarebbe rimasto vivo solo nei suoi pensieri, giorno dopo giorno, per il resto della sua vita. Alice sentì il cuore contorcersi di pena, poi una voce dentro di lei si ribellò. No! Sarebbe andata da lui! Nella sua ingenuità non comprendeva appieno cosa questo avrebbe significato, ma non le importava più nemmeno di ciò che suo padre avrebbe pensato se lo avesse saputo.

 Ma forse Uncas neanche voleva vederla più, visto che era la figlia dell'uomo che stava per uccidergli il fratello. Se era così, a maggior ragione doveva assolutamente parlargli! Doveva spiegargli che lei non avrebbe mai condannato Nathaniel, che non era d'accordo con suo padre. Uscì in fretta dalla stanza e si diresse verso il cortile esterno del forte. Percorse alcuni metri, voltando la testa a destra e a sinistra, ma non vide Uncas da nessuna parte. Fu così che la prima cannonata la sorprese, colpendo il muro poco distante, che esplose in una miriade di frammenti. Alice gridò, riparandosi il viso con le braccia. Subito si susseguirono altre esplosioni, una dopo l'altra, sparate a raffica contro il forte. La gente che si trovava nel cortile come lei cominciò a gridare e a correre da tutte le parti, scatenando il caos. Alice si guardò intorno freneticamente, ma si era allontanata troppo e non riuscì più a ritrovare la strada per tornare agli alloggi del padre. Come le era venuto in mente di uscire proprio quella sera?

 Improvvisamente qualcuno la afferrò per le spalle, facendola voltare. Quando vide che si trattava di Uncas, Alice gli si gettò tra le braccia, nascondendo il viso nel suo petto. Uncas la strinse per qualche secondo, grato di averla trovata sana e salva, poi la staccò delicatamente da sé.

 “Vieni, dobbiamo allontanarci da qui. È pericoloso!”, le disse prendendole la mano e portandola via con sé. Le sue parole vennero sottolineate dall'ennesimo assordante colpo di cannone che colpì uno dei bastioni, facendo saltare in aria alcune delle sentinelle appostate lassù.

 Alice non seppe dire per quanto avessero corso, né quante persone urlanti e ferite videro colpite dai detriti e dalle schegge delle esplosioni. Era davvero l'inferno. Uncas la fece entrare dentro una delle baracche e chiuse la porta.

 “E' meglio aspettare che il fuoco sia cessato”, le disse.

 Alice annuì, senza dire niente. Non si sarebbe avventurata lì fuori per niente al mondo, non dopo aver visto quello che stava succedendo. Uncas si sedette per terra, con la schiena contro il muro. Alice rimase indecisa solo per un attimo, poi lo raggiunse. Si sedette anche lei a terra, con la schiena poggiata contro di lui. Il giovane indiano l'avvolse tra le sue braccia e la strinse a sé; poi sembrò avere un ripensamento e, allungando una mano, afferrò una delle coperte che si trovavano sulle mensole sopra di loro, coprendo entrambi mentre continuava a stringerla a sé. Alice appoggiò la testa contro la sua spalla e nascose il viso nel suo collo. E nonostante tutto quello che stava accadendo lì fuori, nonostante gli assordanti colpi di cannone, Alice dimenticò ogni paura e si addormentò pacifica e beata tra le braccia di Uncas.

 Doveva essere ormai notte fonda quando Uncas la scosse dolcemente per svegliarla. Alice protestò nel sonno, aggrappandosi di più a lui. Uncas sospirò e la chiamò. “Alice, svegliati.”

 “Cosa... cosa succede?”, chiese la ragazza debolmente, aprendo gli occhi.

 “Ascolta...”, disse Uncas, facendo cenno con la testa verso l'esterno. “I francesi hanno cessato il fuoco. Ora uscire è sicuro... posso riaccompagnarti alle tue stanze.”

 Alice, ancora abbandonata contro di lui e con il capo contro la sua spalla, alzò leggermente lo sguardo sul suo viso e non disse nulla. Uncas la scrutò per qualche secondo, confuso.

 “Vuoi andare?”, le chiese infine, scostandole dolcemente un ricciolo biondo dal viso.

 “No”, mormorò Alice in un soffio.

 Uncas si chinò su di lei e le catturò la bocca in un lungo bacio affamato. Alice si sentì svenire dalla felicità, e quando lui la lasciò andare comprese che tra loro stava per succedere qualcosa che non aveva il potere di fermare. Sapeva che nessuno l'avrebbe cercata quella notte; non Cora che l'avrebbe trascorsa accanto alla cella di Nathaniel, né tantomeno suo padre che era troppo impegnato per curarsi di loro.

 Uncas stese a terra la coperta che aveva usato per coprirla e ve l'adagiò delicatamente sopra. Lentamente, ma con gesti decise, la liberò del suo abito e Alice arrossì al pensiero di trovarsi per la prima volta nuda davanti a un uomo. E distolse lo sguardo imbarazzata quando anche lui si spogliò. Uncas lo notò e sorrise, e chinandosi su di lei le sussurrò nell'orecchio: “Sei bellissima.” Alice sentì il cuore farle una capriola nel petto a quelle parole e, mettendogli le braccia intorno al collo, l'attirò a sé, mentre lui le copriva il collo di baci che ardevano sulla sua pelle. Alice non si era mai considerata bella... graziosa sì, certo, ma mai bella, né tantomeno bellissima. E ora lui, con quelle semplici parole, la fece sciogliere come se fosse fatta di fuoco liquido. I loro corpi uniti creavano un meraviglioso contrasto, pelle d'alabastro contro pelle bronzea, capelli d'oro che si intrecciavano con capelli neri come l'ala di un corvo... così diversi in apparenza, così simili nel profondo. Quella notte, tra le braccia di Uncas, ad Alice sembrò di essere giunta finalmente a casa.


 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


 Alice cavalcava dietro Cora su uno dei pochi cavalli disponibili. Il Colonnello Munro si era arreso quella mattina al Marchese di Montcalm, cedendogli Fort William Henry. La lunga colonna di persone che avevano lasciato il forte quella mattina – tra cui soldati, coloni, donne e bambini – stava marciando verso Fort Edward.

 Col sole che le batteva sulle spalle che il vestito lasciava scoperto, Alice cominciò a sentire la sonnolenza che si impadroniva di lei. Dopotutto, pensò senza riuscire a evitare di arrossire, quella notte non aveva dormito più di tre ore. Lei e Uncas avevano fatto l'amore due volte, ed entrambe le volte Uncas era stato attento e gentile. Alice sorrise pensando al fatto che quando aveva immaginato come sarebbe stata la sua prima volta, l'aveva sempre associata alla prima notte di nozze, ad un letto lussuoso e ad un marito scelto per lei dal padre. Non avrebbe mai pensato che sarebbe successo nel mezzo di un forte assediato dai francesi, sul pavimento di una casupola di legno, con un guerriero indiano. Alice sapeva che quello che aveva fatto avrebbe avuto delle conseguenze - non era ingenua fino al punto di non rendersene conto. Aveva messo il suo destino nelle mani di Uncas, perché come avrebbe potuto tornare in Inghilterra e sposarsi ora? Ma poi voleva davvero tornare in Inghilterra? Esisteva forse un'altra scelta?

 Strappata ai suoi pensieri, Alice si accorse che erano entrati in una stretta valle circondata da alberi. I capelli che Cora le aveva intrecciato quella mattina in vista della partenza stavano cedendo e le ricadevano quasi sciolti sulle spalle. Cora aveva trascorso tutta la notte da Nathaniel ed era tornata dopo di lei. Alice ne era stata grata; non sapeva se era pronta a spiegare a Cora di Uncas. In ogni caso non credeva che la sorella la sarebbe stata ad ascoltare: era euforica perché la resa degli inglesi significava che Nathaniel non sarebbe stato impiccato immediatamente e che, forse, avrebbe avuto la possibilità di scappare.

 Improvviso come un colpo di fucile Alice udì un grido, al quale ne seguì subito un altro. Né lei né Cora riuscirono a capire da che parte provenisse, né sembrarono capirlo i soldati che stavano loro intorno.

 Uncas invece vide senza difficoltà le ombre che strisciavano minacciose dietro gli alberi, confondendosi con il bosco stesso. Erano guerrieri, molti guerrieri. E attendevano solo il momento più opportuno per attaccarli. Improvvisamente si udì un grido di guerra, che lacerò l'aria e a cui ne fecero eco centinaia di altri. Gli inglesi si guardavano attorno atterriti, e le madri stringevano al petto i loro bambini. Uncas provò pietà per tutti loro, perché sapeva che difficilmente sarebbero sopravvissuti. Ma non poteva fare nulla per loro; Alice era lì fuori da qualche parte e lui doveva trovarla.

 Cora aiutò Alice a scendere da cavallo, mentre l'orda di Huroni si abbatteva sui soldati inglesi. Gli spari provenienti da entrambe le parti riempirono l'aria di fumo denso e acre. Le due sorella corsero al riparo di un albero, seguite da un soldato che tentava di proteggerle. A loro si unì il Capitano Beams – lo stesso, ricordò Alice, che li aveva accolti al loro arrivo al forte.

 “Qui non è sicuro!”, gridò l'ufficiale inglese per sovrastare il rumore della battaglia. “Dobbiamo raggiungere gli alberi!”

 Cora e Alice corsero con tutte le loro forze nella direzione che gli veniva indicata, seguite dai due soldati inglesi. Ma ben presto si resero conto che era un'impresa disperata; non sarebbero mai riuscite a passare indenni in mezzo a quella carneficina. Uno degli indiani sparò contro il soldato che le seguiva, il quale barcollò per alcuni passi con la faccia ridotta ad una maschera di sangue, poi crollò a terra. Alice lo vide ma, nonostante l'orrore che provava, continuò a correre, seguita da Cora. Gli indiani si abbatterono anche sul Capitano Beams, finendolo a colpi di tomahawk. Ma fu quando lo sguardo le cadde su una donna massacrata, che Alice sentì di aver raggiunto il limite. Era troppo: era la classica goccia che fa traboccare il vaso. Alice Munro, di appena diciotto anni, aveva visto cose che nessuno avrebbe mai dovuto vedere nell'arco di una vita intera, e per lei era veramente troppo. Troppi orrori, troppa morte, troppa violenza... Alice rimase impietrita ad osservare la scena davanti a sé, e nemmeno le braccia familiari di Cora riuscirono a riportarla al presente.

 Con sguardo vacuo, osservò la sorella allontanarsi di pochi passi per raccogliere un'arma da terra. Ancora in stato di shock, non si accorse del grosso Hurone che si avvicinò lentamente a lei finché non le afferrò il viso in una morsa brutale, costringendola a guardarlo. L'indiano sollevò il suo tomahawk, e Alice lo vide chiaramente, e avrebbe voluto gridare, scappare, reagire... ma la lingua sembrava esserle diventata di pietra, i piedi parevano incatenati a terra. Il terrore l'attanagliò come un legaccio, impedendole qualsiasi iniziativa. Ma questo non valeva per Cora, che si scagliò addosso all'Hurone con l'arma che aveva raccolto da terra, mentre gli gridava di lasciar stare la sorella.

 Nella lotta Alice fu scagliata a terra, e lì rimase, incapace di muoversi, ancora preda dello shock e del terrore. Qualcuno le afferrò un braccio, ed Alice sembrò risvegliarsi da un sogno. Trasalì spaventata, ma perlomeno ebbe una reazione vitale. Si tranquillizzò quando vide che si trattava di Chingachgook, e ancor più quando vide che Uncas li aveva raggiunti, insieme a Nathaniel che ora stava abbracciando Cora. Chingachgook l'aiutò gentilmente ad alzarsi e lei lo seguì, finalmente tornata padrona delle proprie azioni. Uncas sollevò il fucile e sparò ad un indiano che li stava per attaccare, poi si fermò brevemente per assicurarsi che suo padre ed Alice lo stessero seguendo. Il gruppo si fece strada in mezzo al campo di battaglia fino a giungere sulle rive di un immenso lago. Alice non ebbe tempo di riflettere sulla situazione, limitandosi a seguire Nathaniel che guidava il gruppo. Quest'ultimo pronunciò una frase in Mohicano, facendo segno al padre di dirigersi verso alcune canoe abbandonate sulla riva.

 Alice e Cora corsero verso le imbarcazioni senza fare domande, mentre gli uomini le seguivano mettendo occasionalmente mano ai fucili per difenderle. Uncas tenne ferma la canoa per aiutare Alice a salire, poi salì egli stesso, imitato da Chingachgook, Nathaniel, Cora e da un soldato inglese ferito che Uncas aveva aiutato. Presto si trovarono al centro del lago, in fuga, con gli uomini che remavano con tutte le loro forze. Subito dietro la loro canoa, veniva la canoa di Duncan – che incredibilmente era riuscito a sfuggire al massacro – e di altri due soldati inglesi.

 Duncan puntò la pistola verso Nathaniel, indeciso se premere il grilletto. Alice, che sedeva subito dietro Nathaniel, guardò Duncan con un'espressione a metà tra lo sbalordito e il disgustato. Come poteva Duncan, il loro amico d'infanzia, pensare di uccidere un uomo a sangue freddo, un uomo che gli aveva salvato la vita e che, in fondo, non aveva commesso alcun crimine?

 “Niente di meglio da fare oggi, Maggiore?”, chiese Nathaniel col suo solito tono beffardo, per nulla intimorito dalla minaccia del rivale.

 Fortunatamente il senso dell'onore che la vita militare gli aveva inculcato prevalse su Duncan che, dopo un attimo di indecisione, abbassò l'arma. “Quando cadrai di nuovo in mano inglese ti farò impiccare!”, gridò come ultimo atto prima di ricominciare a remare.

 “Più veloci!”, urlò Nathaniel poco dopo, vedendo che i loro nemici stavano per raggiungerli. Improvvisamente si udì un tonfo e alcuni spruzzi si sollevarono dalla superficie dell'acqua. Mantenendo la presa ben salda sui bordi della canoa, Alice voltò la testa e si accorse che Uncas, che fino a poco prima era seduto dietro di lei, era scomparso in acqua. Per una manciata di secondi il panico l'afferrò; ma poi lo vide salire sulla canoa di Duncan, agile come un gatto, e, dopo essersi tolto i capelli bagnati dal viso, riprendere a remare come se niente fosse.

 Le due canoe continuarono la loro fuga sul lago, imboccando il fiume che da esso si biforcava. A quel punto sembrò che fossero riusciti a seminare i loro inseguitori. Superarono una cascata, e poi un'altra molto più alta della prima. Quando atterrarono indenni – anche se fu quasi spedita addosso a Nathaniel dall'urto – Alice non poté fare a meno di guardarsi più volte indietro per assicurarsi che anche Uncas stesse bene. E, grazie al cielo, stava bene.

 L'ultima cascata che si trovarono di fronte era immensa, e per un attimo Alice temette che Nathaniel avesse intenzione di portarli tutti a morire. Ma fu solo un attimo: poi Nathaniel e Chingachgook fermarono la canoa sulla riva rocciosa, imitati da Uncas e Duncan. Il gruppo abbandonò le canoe al loro destino, spingendole verso la cascata; poi si incamminò sulle rocce, verso una grotta nascosta sotto la cascata.

 Dentro la grotta c'era una perenne penombra, spezzata qua e là dallo scintillio della cascata che si tuffava fragorosa nel fiume sottostante.

 Alice si apprestò a scendere lungo una piccola pendenza scivolosa, e Chingachgook allungò la mano per aiutarla. Ma dopo pochi passi, Alice dovette lasciare la presa perché l'indiano non sembrava avere intenzione di accompagnarla fino in fondo. E proprio quando pensò che avrebbe dovuto affrontare l'ultima parte della discesa da sola con le ingombranti gonne, ecco che Uncas comparve in fretta ai piedi della discesa e le porse premurosamente la mano.

 Quando Uncas le lasciò la mano, Alice si diresse verso il grande muro d'acqua che si parava davanti a lei e l'osservò affascinata. Una parte di lei non era presente; sembrava quasi apatica, passiva... si era chiusa in se stessa per non essere continuamente costretta rivedere davanti agli occhi le immagini del massacro a cui aveva assistito. Non voleva pensare a niente, avrebbe voluto chiudere gli occhi e dormire...

 Non si accorse che, dopo aver controllato la polvere da sparo del suo corno, Uncas voltò brevemente il capo nella sua direzione per controllare che stesse bene e che non si fosse avvicinata troppo al bordo delle rocce.

 Il rumore che la cascata produceva era assordante, e Duncan, quando era entrato nella caverna insieme al soldato ferito, aveva dovuto alzare di molto la voce per farsi sentire da Nathaniel.

 “Dove siamo diretti?”

 “Da nessuna parte”, fu l'incredibile risposta di Nathaniel.

 “Non capisco!”

 “Non andremo più lontano di qui. Se siamo fortunati penseranno che abbiamo lasciato le canoe e proseguito a piedi. Se siamo molto fortunati penseranno che siamo precipitati...”

 “E se lo fanno?”, chiese Duncan.

 “Prendiamo ad est e camminiamo lungo la cresta della montagna. Sono dodici miglia fino a Fort Edward.”

 “E se non lo fanno?” rincarò il Maggiore.

 Un sorriso sarcastico incurvò le labbra di Nathaniel. “Dovrete rinunciare al piacere di impiccarmi.” Poi aggiunse alcune parole in Mohicano, a cui Uncas diede una risposta secca, sfoderando il tomahawk.

 Alice continuava a guardare la cascata e, nonostante le sembrasse di trovarsi in un sogno, non poté fare a meno di notare con la coda dell'occhio che Uncas si allontanava verso l'ingresso della grotta, che era più in alto rispetto alla caverna principale in cui si trovavano in quel momento. E fu quasi d'istinto che prese la direzione in cui il giovane era scomparso, ignorando tutti gli altri e i loro discorsi. Senza rifletterci, sapeva che doveva trovarlo, doveva andare dove andava lui... era come se una calamita la attirasse inesorabilmente verso Uncas.

 L'ultima frase che distrattamente udì fu quella pronunciata da Cora e diretta a Nathaniel. “Non dire niente ad Alice.”

 Ed Alice comprese, con inattesa lucidità, che suo padre era morto; ma non provò dolore, non riuscì a provare nulla. In circostanze normali avrebbe anche provato rabbia verso Cora, per averle mentito ancora una volta, ma in quel momento le sembrava di avere il cuore vuoto.

 Imboccò il corridoio scavato nella roccia e giunse nella piccola caverna soprastante; ma nella semioscurità non vide Uncas che era seduto contro la parete. Il resto del gruppo era scomparso dalla sua vista già parecchi metri più indietro, e Alice si diresse verso la cascata, senza sapere bene cosa stesse facendo. Ma prima che potesse avvicinarsi troppo, una mano le afferrò la spalla, tirandola indietro.

 “Sta' indietro!”, esclamò Uncas, mentre Alice si ritrovava improvvisamente seduta accanto a lui.

 Uncas allungò il collo per vedere oltre la cascata, ma non sembrava che Alice avesse rivelato la loro posizione quando si era avvicinata al velo d'acqua. Il giovane guerriero teneva ancora le mani strette sulle spalle di Alice, quando si accorse che la ragazza tremava e aveva il respiro corto. Sentendosi in colpa per averla spaventata, e desiderando confortarla con tutte le sue forze, Uncas la strinse a sé, accarezzandole i capelli e baciandole la fronte. Lei rispose stringendolo a sua volta.

 Alice si sentiva al sicuro ora, protetta tra le sue braccia; ma allo stesso tempo avvertì anche una sensazione dolorosa afferrarle la bocca dello stomaco. Improvvise immagini di tutto quello che aveva visto - della battaglia, dei morti - che aveva cercato di negare a se stessa fino a quel momento, riaffiorarono più vivide che mai. E finalmente le lacrime vennero, e copiose le rigarono le guance. Alice pianse per tutto ciò che aveva visto e vissuto, per la propria innocenza perduta, per suo padre, che non avrebbe mai più rivisto... ed Uncas comprese tutto questo senza chiederle niente, la strinse e basta. Quando ebbe sfogato il suo dolore Alice si sentì meglio, sentì di aver riacquistato il controllo di sé. Una cosa era certa: era cambiata per sempre. La ragazza spensierata che girava in carrozza per le strade di Londra e che prendeva il té con le amiche era svanita. Al suo posto c'era una giovane donna matura, consapevole che nel mondo esistevano altre realtà oltre quella che aveva sempre vissuto.

 “Mio padre è morto”, mormorò improvvisamente Alice, lo sguardo fisso davanti a sé. Ora era seduta accanto ad Uncas, stretta tra le sue braccia.

 “Come fai a saperlo?”, le chiese Uncas.

 “Ho sentito Cora dirlo a Nathaniel, poco fa. Anche se in questi ultimi giorni ho visto una parte di lui che non conoscevo e che non mi è piaciuta per niente, non posso fare a meno di provare dolore per la sua morte.”

 Uncas le accarezzò i capelli. “E' normale che sia così. Potrà anche avere fatto delle scelte sbagliate, ma era sempre tuo padre.” Poi aggiunse: “Devi odiare questa terra...”

 Alice si asciugò le lacrime e, sollevando il viso su di lui, sorrise. “Non la odio. Se non fossi venuta in America non ti avrei mai incontrato.” Allungò una mano ad accarezzargli una guancia. “Questa guerra è orribile, è vero... ma anche in Europa ci sono guerre, ovunque. È solo che nella mia superficialità credevo che non mi riguardassero, che vi sarei rimasta sempre lontana.”

 Ci fu un momento di silenzio, in cui entrambi rimasero a fissare il sipario d'acqua che li separava dal mondo esterno.

 “Per la prima volta oggi ho avuto veramente paura”, disse Uncas abbassando lo sguardo su di lei.

 Alice rimase sbalordita. Lui? Paura? Le sembrava incredibile, perché Uncas era sicuramente la persona più coraggiosa che avesse mai incontrato.

 “Di che cosa?”, chiese con cautela.

 “Di perderti.” rispose Uncas semplicemente. “Di non arrivare in tempo da te.”

 Alice arrossì: nonostante avessero condiviso tutto si sentiva ancora timida e impacciata verso di lui alla luce del giorno. Ma poi Uncas le posò delicatamente una mano sulla guancia, inducendola a guardarlo. La baciò teneramente e Alice dimenticò ogni preoccupazione.

 “Cosa succederà se ci trovano?”, chiese la ragazza dopo qualche minuto di silenzio.

 “Non permetterò che ti facciano del male”, rispose Uncas, l'espressione risoluta. “Se anche ci separassero, ricordati che io tornerò sempre da te.”

 “Davvero?”

 “Te lo prometto.”

 “E come faccio a crederti?”, scherzò Alice, sforzandosi di mostrare una gaiezza che non provava. “Non ho neanche un tuo pegno...”

 Senza dire niente, Uncas le prese una ciocca di capelli tra le dita, intrecciandola velocemente. Infine si tolse una piccola striscia di cuoio dai capelli e ne legò l'estremità.

 Alice si afferrò incredula la piccola treccia che lui aveva appena fatto.

 “Non posso darti niente di quello che la tua gente considera di valore; ma per il mio popolo, questo è un pegno”, spiegò Uncas. “Così anche se dovessimo essere divisi, ricorderai la mia promessa.”

 “Non la dimenticherò mai”, disse Alice in un soffio, sapendo che era la verità.

 

 Alice non aveva idea di quanto tempo avesse trascorso con Uncas, ma sicuramente parecchio, perché quando tornò dagli altri Cora, abbracciata a Nathaniel, le lanciò un'occhiata interrogativa. Alice preferì ignorarla. Pochi attimi prima Uncas aveva visto qualcosa dalla sua postazione di sentinella e le aveva detto di tornare dagli altri; lui l'avrebbe raggiunta subito. In cuor suo, Alice sapeva già ciò che Uncas aveva visto: gli Huroni li avevano trovati. Ma non avrebbe detto nulla agli altri, non finché non ne fosse stata sicura.

 Uncas arrivò pochi minuti dopo, scendendo il pendio scivoloso con un'agilità straordinaria. Guardò suo padre e poi Nathaniel, ed entrambi compresero senza bisogno di parole. I due poi si scambiarono alcune frasi concitate in Mohicano, mentre Uncas li osservava. Il giovane Mohicano attese solo il tempo necessario a capire la situazione, poi si allontanò silenziosamente verso il fondo della caverna, e verso Alice. Né Nathaniel, che ora stava parlando con Cora, né Duncan che si stava intromettendo nella discussione, se ne accorsero. Solo Chingachgook, gettando un'occhiata nella loro direzione, capì al volo la situazione. Uncas si era fermato a pochi passi da Alice, e la guardava negli occhi.

 “Uncas, che succede?”, chiese Alice, improvvisamente spaventata dal silenzio di lui.

 Lui le prese le mani fra le sue. “Non abbiamo più polvere da sparo, e se gli Huroni dovessero trovarci qui, ci ucciderebbero tutti. Ma se ora ci gettiamo nella cascata avremo una possibilità, e potremo trovarvi.”

 Alice sentì le lacrime riempirle gli occhi. In quella difficile settimana aveva sempre avuto Uncas vicino, e ora doverlo lasciare andare la faceva sentire persa. Ma se rimanere avrebbe potuto significare la sua morte, allora no... quello era un prezzo che Alice non era disposta a pagare per soddisfare il proprio egoistico desiderio di averlo accanto a sé. Gli gettò le braccia al collo, sorpresa lei stessa per la propria audacia. Uncas ricambiò circondandole la vita con le braccia e attirandola a sé. In quel momento ad Alice non importò niente che qualcuno potesse vederla, o giudicarla. Forse quella era l'ultima volta in cui avrebbe potuto abbracciarlo, e non le interessava che fosse considerato inappropriato o scandaloso. Le importò solo del bacio leggero che lui le posò sulle labbra.

 “Ricorda la mia promessa”, disse Uncas sfiorandole la piccola treccia nella sua chioma. Alice annuì, un nodo che le chiudeva la gola.

 “Tornerò da te”, aggiunse, prima di fare qualche passo indietro e infine, ad un richiamo di Chingachgook, raccogliere il fucile e la borsa, e lanciarsi nella cascata.

 Dopo che  i tre uomini furono scomparsi, Alice rimase diversi minuti ferma, immobile come una statua, con la treccia tra le dita e gli occhi pieni di lacrime, a fissare il punto in cui Uncas era scomparso.

 Quando si riscosse, si rese conto che Cora era in piedi sul ciglio delle rocce, con le spalle alla cascata, immobile come lei e altrettanto addolorata. Alice si mosse verso la sorella maggiore e, quando le fu davanti, l'abbracciò, facendola ritornare in sé.

 “Oh, Alice”, mormorò Cora, stringendo a sua volta la sorella. “In che guaio ci siamo cacciate?”

 “Sento che andrà tutto bene, Cora”, rispose Alice, senza chiedersi se ne fosse realmente convinta.

 Le luci delle torce che si riflettevano sulle pareti di roccia divennero sempre più nitide, finché il gruppo guerriero Hurone non entrò nella caverna principale, trovando le sorelle Munro così, abbracciate. Cora stringeva Alice in modo protettivo. Entrambe le donne erano spaventate - per non dire terrorizzate - , anche se Cora, con l'aiuto dei suoi anni in più, riusciva a dissimularlo meglio. Anche quando si trovarono faccia a faccia con un paio di occhi gelidi e colmi di odio, appartenenti all'uomo che aveva ucciso il loro padre.

 Magua afferrò una ciocca dei capelli di Cora con fare sprezzante, poi diede degli ordini secchi ai suoi uomini nella sua lingua. Il soldato ferito e Duncan erano stati gettati a terra e malmenati nel loro tentativo di proteggere le donne; quando Magua diede l'ordine il povero soldato, ancora a terra, venne finito, mentre Duncan venne trascinato via. Poi un guerriero Hurone legò delle corde intorno ai polsi di Alice e Cora, e le due ragazze vennero costrette a seguire i loro rapitori fuori dalla caverna.

 

 


 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


 Il viaggio verso la terra degli Huroni fu la prova più ardua che Alice dovette affrontare. Ma era determinata ad essere forte, come Uncas le aveva insegnato; ed ogni qualvolta credeva di non farcela più, che sarebbe morta se avesse fatto un altro passo, Alice ripensava a lui, al loro primo bacio e alla notte che aveva trascorso tra le sue braccia, e quei pensieri le davano forza. Avrebbe tanto voluto avere le mani libere per poter toccare la treccina che Uncas le aveva fatto, ma gli Huroni le avevano legato i polsi a quelli di Cora tramite una corda abbastanza lunga, cosicché Alice era costretta a seguire i passi della sorella. I ruvidi legacci le scorticavano la pelle, ma Alice non avrebbe dato ai suoi rapitori la soddisfazione di lasciarsi sfuggire neppure un lamento. Sarebbe stata forte. Senza contare che Cora e Duncan erano stati infinitamente più sfortunati di lei: Cora, oltre ad avere i polsi legati, veniva trascinata mediante una corda che le avevano messo intorno al collo; Duncan aveva i polsi legati e, dietro la schiena gli avevano messo un bastone di legno che passava per l'incavo di ogni gomito limitandogli notevolmente i movimenti, ed anche lui veniva trascinato per il collo.

 Gli Huroni li costringevano a marciare fino allo sfinimento, e non sembravano considerarli più che bestie. Ogni volta che Alice guardava Magua si chiedeva come potesse un uomo essere tanto crudele, e cosa avessero fatto lei e Cora per meritare tanto odio da parte sua. Il pensiero di Uncas fu l'unica consolazione di Alice in quei giorni; pregò che stesse bene, che fosse uscito indenne dalla cascata. Ma in cuor suo sapeva che era così... sentiva che era così. Come sapeva che lui avrebbe mantenuto la sua promessa e sarebbe tornato da lei.

 Una notte in cui Magua li aveva fatti accampare vicino ad un corso d'acqua, le sorelle Munro erano sedute l'una accanto all'altra, abbastanza distanti da dove i loro rapitori stavano mangiando. Avevano portato loro un po' di carne secca e dell'acqua che le due ragazze avevano consumato con difficoltà, non avendo pieno uso delle mani. Neanche per dormire scioglievano loro quei legacci crudeli, e Alice si osservò i polsi sanguinanti. Notò anche due tagli sull'avambraccio destro, che si era procurata quella mattina urtando uno spuntone di roccia. Ma dove i suoi occhi si riempirono di preoccupazione, fu alla vista del collo martoriato di Cora.

 Cora lo notò e si affrettò a rassicurare la sorella minore. “Sembra più brutto di quanto sembra”, riuscì a sorridere. “E poi anche tu sei ferita, e non ti stai certo lamentando...”

 “Ci trattano come se fossimo oggetti”, commentò Alice con voce stanca.

 “Alice”, disse Cora all'improvviso, allungando le mani legate verso la chioma serica della sorella. “Che cos'è questa?”

 Alice comprese immediatamente a cosa si riferisse Cora, e arrossì, tentando di negare e di nascondere la treccia. “Niente...”

 “Anche un idiota si renderebbe conto che stai mentendo, Alice! Dimmi la verità... ha forse a che fare con Uncas?”

 Alice rimase a bocca aperta, ma poi pensò che Cora se ne sarebbe accorta comunque prima o poi. Anzi, era strano che non se ne fosse già accorta da tempo!

 Il tono di Cora si addolcì. “Puoi dirmelo. Io... io non voglio certo giudicarti! C'è qualcosa fra te e Uncas, non è così?”

 Alice annuì, gli occhi bassi.

 Cora le sollevò il mento con una mano, costringendola a guardarla negli occhi. “Alice, sorellina mia... perdonami se sono stata così presa da Nathaniel in questi ultimi giorni e non ti ho quasi prestato attenzione. È indegno di me, di una sorella maggiore! Ho dimenticato i miei doveri verso di te. Ma anche se il tuo giudizio è stato offuscato, Uncas capirà se gli spiegherai che è stato solo un attimo di debolezza, che avevi bisogno di essere protetta perché io non ero con te e-”

 “Non è così! Io lo amo!”, sbottò Alice con veemenza.

 Il silenzio calò tra di loro come un macigno. Cora la osservava a bocca aperta, incapace di proferire parola. In verità questo valeva anche per Alice, perché quella rivelazione aveva colpito lei molto più di Cora. Fino a quel momento non aveva voluto ammetterlo nemmeno con se stessa, ma era così. E non poteva farci niente, che a Cora andasse bene o no.

 “Ma perché non mi hai detto niente? Come hai potuto mentirmi?” sussurrò Cora sbigottita, ritrovando finalmente le parole.

 “Proprio tu mi dici questo!”, esclamò Alice sentendo montare la rabbia. “Tu mi hai forse detto di nostro padre?”

 Fu come se Cora avesse ricevuto uno schiaffo. “Allora... lo sai?”

 “Lo so. Forse tu pensi che io sia troppo stupida per comprendere quello che succede intorno a me... per quanto ancora mi considererai una bambina, Cora?”

 “Credo che da adesso in poi mi sarà impossibile considerarti tale. Mi hai confessato di essere innamorata di un indiano!”

 “Ti prego di non chiamarlo così... lui ha un nome.”

 “E Uncas lo sa?”

 “Non gliel'ho mai detto.”

 “Ti rendi conto di quello che significa?”, insistette Cora. “Non potrai più tornare in Inghilterra, alla vita di prima... nessun bianco accetterebbe la vostra unione!”

 Un lampo di fierezza passò nello sguardo di Alice. “Perché, cosa ci è rimasto in Inghilterra da cui valga la pena tornare? Credevo che saresti voluta rimanere qui con Nathaniel!”

 “Infatti...”, mormorò Cora. “Ma davo per scontato che tu avresti preferito tornare in Inghilterra dai nostri parenti.”

 “Forse perché credi di conoscermi, ma in realtà non mi conosci affatto. Credi di sapere tutto di me? O pensi di poter prendere le decisioni al mio posto solo perché sei mia sorella maggiore?”

 Questa volta fu Cora ad abbassare lo sguardo, nei suoi occhi si alternavano vergogna e senso di colpa. Per alcuni minuti le due ragazze non dissero nulla, e Cora non osò alzare lo sguardo su Alice. Alice si guardò brevemente intorno, temendo che qualcuno potesse avere udito la loro conversazione. Ma Duncan era stato messo dall'altra parte dell'accampamento rispetto a loro, forse per timore che potesse istigarle alla fuga; e gli Huroni sembravano talmente sicuri di loro che non le stavano neppure guardando.

 Le parole che Cora pronunciò in un sussurro giunsero talmente inattese all'orecchio di Alice, che la giovane trasalì, riportando in fretta l'attenzione sulla sorella.

 “Perdonami, Alice”, disse Cora guardandola negli occhi. “Perdonami se ti ho trattata come una bambina, credendoti debole e indifesa. Non lo sei: sei una giovane donna matura che ha tutto il diritto di fare le sue scelte. E non posso giudicarti... non voglio giudicare quello che provi per Uncas...”

 “Cora, io...”, cominciò Alice con un nodo in gola.

 “Se ho agito così fino ad ora è stato perché mi sentivo responsabile di te. È da quando è morta nostra madre che mi sento responsabile di te... credevo che lei avrebbe voluto questo. So che non hai avuto l'opportunità di conoscerla, ma se l'avessi conosciuta sapresti, come ora mi rendo conto anch'io, che non era questo che avrebbe voluto. Lei avrebbe voluto che tu fossi felice e libera di decidere della tua vita. Potrai mai perdonarmi per averti mentito?”

 “Non potrei mai portarti rancore, lo sai”, mormorò Alice prendendo la mano di Cora. “So che non posso tornare in Inghilterra, non se voglio restare con Uncas... in realtà, non sono nemmeno sicura che lo voglia lui...”

 “Alice, chiunque si accorgerebbe che Uncas non ha occhi che per te”, le sorrise Cora. “Ed è un brav'uomo, è così attento e premuroso verso di te! Neanche in Inghilterra avresti potuto trovare un uomo migliore di lui. E poi... sarà bello sposare due fratelli, non trovi? Non posso crederci: la mia sorellina è innamorata!”

 Alice le sorrise, felice nonostante la situazione in cui si trovavano, grata di aver avuto finalmente il coraggio di parlare a Cora di Uncas, e che lei lo avesse accettato. Anche se in modo impacciato per via delle corde che le legavano, le due sorelle si abbracciarono.

 

 Uncas correva in salita lungo un pendio roccioso, il viso atteggiato in un'espressione di disperazione e cieca determinazione. Chingachgook era più avanti, sforzandosi, nonostante l'età, di tenere il passo con i figli. Davanti a tutti, altrettanto determinato, correva Nathaniel, ma pur guardandolo, Uncas non lo vedeva. I suoi pensieri erano focalizzati su Alice, nella sua mente c'era solo lei.

 L'avrebbe trovata, glielo aveva promesso. Lasciarla sotto la cascata era stata la cosa più difficile che avesse mai dovuto fare; rivedeva ancora gli occhi disperati di lei su di sé, e il rimorso lo afferrava. Ma quello era l'unico modo in cui avrebbe potuto salvarla, e Uncas sperò che Alice lo capisse. Avrebbe ucciso chiunque si fosse messo sul suo cammino; non avrebbe permesso, finché aveva vita, che le facessero del male. Non avrebbe permesso che gli portassero via Alice.

 

 Dopo tre giorni di estenuante cammino il gruppo giunse in un piccolo villaggio Hurone, che sembrava essere la meta originaria di Magua e dei suoi guerrieri. I prigionieri inglesi vennero condotti al centro del villaggio, davanti ad una piattaforma di legno vuota. L'intero villaggio – uomini, donne e bambini curiosi – si erano radunati per assistere a quell'inusuale spettacolo. Alice si sentiva esposta come un cavallo ad una fiera ma, nonostante questo, stava in piedi diritta, a testa alta, negli occhi un'espressione fiera. Anche Duncan manteneva un atteggiamento simile, mentre Cora se ne stava in ginocchio, gli occhi bassi, senza neanche la forza di alzare la testa.

 Alice odiava vedere sua sorella ridotta a quel modo; lei sempre così fiera e orgogliosa, ridotta all'umiliazione e alla disperazione. Pregò perché Cora ritrovasse un po' di dignità, nonostante tutto quello che erano state costrette a subire. Anche Alice aveva paura, molta paura, ma non lo avrebbe dato a vedere, no. Non avrebbe dato a Magua anche quella soddisfazione. Attesero qualche minuto al centro del villaggio, con la folla assiepata intorno a loro. Anche Magua sembrava attendere qualcuno. Poi improvvisamente apparvero due donne che accompagnavano un uomo molto anziano, e lo aiutarono a sedere sopra la piattaforma. Si capiva che quello era un uomo importante nel villaggio, perché tutti mantennero un rispettoso silenzio, in attesa che parlasse.

 Il vecchio si rivolse a Magua in una lingua che Alice non conosceva. Magua rispose nella stessa lingua. Alice seguì con attenzione la conversazione, sforzandosi di capire dal loro tono di cosa parlassero. Ad un certo punto afferrò distintamente la parola 'Munro' e, quasi contemporaneamente, Magua afferrò rudemente Cora per il vestito, costringendola a tirarsi su. Alice si sentì colmare di rabbia, ma si trattenne, senza evitare però di scoccare un'occhiata di puro odio nella direzione di Magua.

 Improvvisamente, mentre ancora l'uomo anziano e Magua stavano parlando, si udì un tramestio e delle grida alla sinistra dei prigionieri. Sbucando dal nulla apparve Nathaniel, facendosi largo a spintoni, e finendo così addosso a Duncan che perse momentaneamente l'equilibrio.

 “Nathaniel!”, mormorò Cora, talmente piano che Alice la udì appena. Ma fu grata che una scintilla di vita si fosse riaccesa nella sorella.

 Anche Alice sentì il sollievo irradiarsi in lei. Se Nathaniel era lì, significava che da qualche parte c'era anche Uncas. Girò velocemente la testa, cercandolo con lo sguardo, ma non lo vide. Il sollievo ebbe vita breve, rimpiazzato quasi subito dall'ansia che le afferrò la bocca dello stomaco. Dov'era Uncas? Gli era forse successo qualcosa? Aveva detto che sarebbe venuto da lei... perché non c'era? Avrebbe voluto chiederlo a suo fratello, ma in quel momento Nathaniel si rivolse a Duncan. “Io non parlo Hurone, parli francese Maggiore?”

 “Sì”, rispose Duncan.

 “Traduci quello che dico, parola per parola.” E aggiunse rivolgendosi all'Hurone anziano: “Sono venuto disarmato e in pace, per svuotare le tue orecchie, Sachem.”

 Il Sachem gli fece cenno di continuare, mentre Duncan continuava a tradurre in francese.

 “Il Colonnello Munro è morto, lascia libere le figlie. Smorza la rabbia inglese liberando delle vittime innocenti”, proclamò Nathaniel in tono sicuro.

 Alice cercò di non pensare al fatto che avesse appena ribadito che suo padre era morto. Abituarsi all'idea non era stato facile, ma sentirlo dire da qualcun'altro così, ad alta voce, la faceva ancora star male.

 “Montcalm e i nostri amici, i francesi, sono più forti degli inglesi. Gli Huroni non temono la rabbia inglese”, replicò Magua spavaldo. Nonostante parlasse un francese fortemente accentato, Alice afferrò al volo quello che disse senza dover attendere la traduzione che Duncan stava facendo a beneficio di Nathaniel.

 “Sachem, i francesi hanno fatto la pace... Magua l'ha rotta! Non è vero che i francesi resteranno amici degli Huroni.”

 Magua gettò a Nathaniel un'occhiata compiaciuta. “I nostri padri francesi saranno felici di sapere che non dovranno combattere contro gli stessi inglesi. Ora, anche i francesi temono gli Huroni, è questo è bene. Quando gli Huroni saranno più forti della loro paura, faremo nuovi accordi commerciali con i francesi. Diventeremo commercianti come i bianchi. Prenderemo le terre degli Abenaki, le pellicce dagli Osage, Sauk e Fox. Faremo commercio con le altre nazioni indiane. Non meno dei bianchi, e forti come i bianchi!”

 Alice si chiese se non fosse stata proprio la vicinanza e l'influenza dei bianchi a far diventare Magua così spietato e crudele.

 Per fortuna Nathaniel aveva la risposta pronta. “Così Magua vuole usare i sistemi de les francais e degli yengeese? È così?”, chiese guardando dritto Magua.

 “Sì!”, esclamò l'Hurone come sfidando il suo avversario a contraddirlo, stavolta in inglese.

 Nathaniel continuò riportando lo sguardo sull'anziano Sachem. “Gli Huroni vogliono istupidire i fratelli Algonquin col brandy, rubare loro le terre e venderle all'uomo bianco? Vogliono essere avidi di terra più di quanto sia necessario? Vogliono istupidire i Seneca rubando tutte le pellicce degli animali della foresta per scambiarle col whisky? Vogliono uccidere ogni uomo, donna e bambino dei loro nemici? Questi sono i sistemi dei commercianti yengeese e francais e dei loro padroni in Europa, schiavi dell'avidità!”

 Dopo questo lungo discorso Nathaniel fece una pausa. Poi più pacatamente, si rivolse di nuovo al Sachem. “Il cuore di Magua è cambiato. E lui vuole seguire quel mutamento.”

 Alice osservò Nathaniel, comprendendo finalmente le contraddizioni che l'uomo sentiva dentro di sé. Era un bianco, tuttavia li disprezzava e disprezzava la loro società. Quel conflitto interiore doveva lacerarlo, e improvvisamente Alice provò compassione per lui.

 “Sono Nathaniel, degli yengeese”, continuò. “Occhio di Falco, figlio adottivo di Chingachgook del popolo Mohicano. Questa cintura, che è una testimonianza della gente di mio padre, parla per la mia verità.”

 Magua s'intromise, furioso. “Tu sputi veleno con la tua lingua biforcuta!”

 Il Sachem lo interruppe, con una frase breve e secca. Sembrava avesse sentito abbastanza e fosse finalmente pronto ad esprimere il suo verdetto. Osservando quel volto segnato dall'età, Alice realizzò che, di lì a pochi minuti, quell'uomo avrebbe deciso il suo destino. Con poche semplici parole, avrebbe deciso se sarebbe vissuta o sarebbe morta. E Alice si sforzò di mantenere il controllo, di non farsi sopraffare dal terrore, anche se Uncas non era lì accanto a lei.

 “L'uomo bianco è arrivato, e la notte è entrata nel nostro futuro con lui”, cominciò il Sachem in un francese simile a quello di Magua. “Il nostro consiglio si è posto la stessa domanda da quando ero ragazzo: cosa devono fare gli Huroni?”

 Poi inaspettatamente, passò a parlare nella sua lingua natia, e Alice non fu più in grado di capirlo. Anche Duncan e Nathaniel si guardarono l'un l'altro con espressione interrogativa. Poi il Sachem spostò lo sguardo su Alice, fissandola intenzionalmente. Senza rendersene conto, la giovane cominciò a tremare leggermente. Sentì chiaramente pronunciare di nuovo il nome 'Munro' e capì che era a lei che l'uomo si stava riferendo. Proprio quando cominciò a credere di non riuscire più a sopportare quello sguardo penetrante su di sé, il Sachem rivolse la sua attenzione a Cora e pronunciò un'altra frase, ma Cora non sembrava ascoltarlo, lo sguardo disperato fisso su Nathaniel. Poi fece lo stesso con Duncan e, infine, fu proprio a Nathaniel che l'anziano capo diresse l'ultima breve frase.

 Come l'ebbe pronunciata, il mondo intorno a loro sembrò muoversi all'unisono. Tre Huroni circondarono Cora e cominciarono a trascinarla via. Alice, quasi dimentica della propria disperata situazione, chiamò Cora con voce terrorizzata. Dove la stavano portando? Cosa le avrebbero fatto? Tutto ciò che Alice seppe in quei pochi secondi, fu che non voleva che facessero del male a sua sorella. Ma poi i guerrieri di Magua le furono accanto, ed anche lo stesso Magua, che pronunciò in francese un'ultima frase velenosa contro il Sachem, che evidentemente non gli aveva pienamente riconosciuto il diritto alla sua folle vendetta.

 “Andremo ad ovest, dagli Huroni dei laghi! Questa non è la voce della saggezza! Siete donne! Schiavi! Cani! Io sputo su di voi!”, inveì pieno di rabbia. Poi, senza attendere una risposta, si voltò, dando una leggera spinta ad Alice per farla muovere. Uno dei suoi uomini l'afferrò per il braccio, portandola via. Stavano uscendo dal villaggio, quando Alice udì chiamare il suo nome e, voltandosi in fretta, vide Cora che veniva portata via da Nathaniel. Il sollievo che provò nel realizzare che sua sorella era salva fu di breve durata, perché la sua situazione non si prospettava certo rosea: Magua la stava portando dagli Huroni dei laghi, e questo significava che il Sachem l'aveva assegnata a quell'uomo come un premio, un bottino di guerra...

 Alice si impose di restare calma e non dare motivo a Magua per indurlo a disobbedire agli ordini del Sachem e ucciderla, anziché portarla via con sé. Rifletté che ora che Cora e Nathaniel erano salvi non l'avrebbero certo abbandonata al suo destino, presto o tardi l'avrebbero trovata e avrebbero tentato di liberarla. E tuttavia, non era il loro il viso che Alice agognava di vedere di più. Uncas le aveva promesso che sarebbe tornato da lei, e Alice non ne dubitò mai. Ma lui non c'era, e lei non sapeva dove fosse. Pregò solo che stesse bene e che non gli fosse successo niente. Pregò di poter rivedere il suo viso, e sentire la sua voce chiamare il suo nome ancora una volta.

 

 Uncas udì distintamente il grido di Cora da dietro la roccia dov'era appostato insieme a Chingachgook. L'attesa si era rivelata insopportabile per lui. Lontano com'era, non riusciva a distinguere chiaramente cosa stava succedendo nel villaggio, se suo fratello aveva avuto successo nelle sue trattative oppure no. D'altronde non avevano avuto altra scelta se non di mandare Nathaniel a negoziare: non potevano affrontare da soli un intero villaggio Hurone, senza contare che era Nathaniel il miglior oratore fra di loro e se c'era qualcuno che aveva una piccola chance di successo quello era lui. Erano stati questi gli argomenti che Chingachgook aveva addotto per indurre il figlio minore a rimanere in disparte, e Uncas si era lasciato convincere, a malincuore.

 Ma quando vide Alice portata via da Magua e dai suoi guerrieri, si pentì di aver dato ascolto a suo padre. Sicuramente Alice aveva creduto che lui l'avesse abbandonata, e l'idea gli faceva male più di ogni altra cosa. Seguendola con lo sguardo, Uncas comprese subito dove gli Huroni la stessero portando. C'era un solo sentiero praticabile ed era quello che passava sopra la montagna. Ma se lui avesse tagliato per il bosco, avrebbe raggiunto la cresta prima di loro e avrebbe potuto bloccargli la strada. Doveva trovare il modo di rallentarli, non poteva aspettare suo fratello o gli Huroni si sarebbero allontanati troppo. E se fosse successo, avrebbero potuto impiegare giorni per ritrovarli... e Uncas non voleva pensare a cosa avrebbero potuto fare ad Alice nel frattempo. Sapeva che Magua non l'avrebbe uccisa: se il Sachem gli aveva ordinato di portarla via con sé significava che gliela aveva ceduta come moglie. Ma per una donna c'erano destini forse peggiori della morte, e al solo pensiero Uncas si sentì fremere di rabbia. Era consapevole che quello che stava per fare era rischioso, che c'era la concreta possibilità che lo uccidessero... ma non gli importò. La sua vita era un piccolo prezzo da pagare per salvare Alice.

Uncas posò la mano sulla spalla del padre e, quando Chingachgook alzò lo sguardo su di lui, Uncas lo abbassò a sua volta, guardandolo negli occhi. E Chingachgook comprese, senza bisogno di parole, ciò che suo figlio aveva in mente e sapeva, con altrettanta chiarezza, che niente di quello che avrebbe fatto o detto lo avrebbe fermato.


 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Magua e i suoi guerrieri stavano percorrendo il sentiero roccioso che si affacciava su un alto promontorio. Uno degli uomini trascinava Alice per un braccio, e la ragazza non faceva resistenza. Per fortuna le avevano tagliato le corde che le legavano i polsi, così che era in grado di tenere le gonne raccolte per evitare di inciampare. Nonostante tutto, Alice non poteva fare a meno di guardarsi intorno ed ammirare la suggestiva vallata coperta di alberi che si estendeva per miglia sotto di loro.

Improvviso come un fulmine, Alice udì uno sparo, seguito da un grido. Sembrava provenisse dalla testa del corteo, ma c'erano troppi uomini davanti a lei e Alice non riuscì a vedere cosa stesse succedendo. Era chiaro, però, che qualcosa non andava, perché i guerrieri intorno a lei si stavano agitando. Si udirono altre grida, poi Alice colse la visione di una camicia verde e lunghi capelli neri. Il cuore le balzò nel petto, e per un momento la ragazza rimase impietrita, indecisa su come reagire. Una serie incredibilmente rapida di emozioni si alternarono sul suo viso: sorpresa, felicità - perché Uncas era vivo ed era tornato da lei - ed infine paura, perché dopo aver abbattuto diversi nemici, ora il giovane Mohicano si trovava faccia a faccia con Magua.

Alice cercò di correre da lui, ma l'indiano che la teneva per il braccio la trattenne con forza, riportandola al suo posto. Non poté fare altro che osservare, con l'angoscia nel cuore, il duello che stava avvenendo davanti ai suoi occhi. Tomahawk contro tomahawk, i due guerrieri colpivano e schivavano, affrontandosi con uguale abilità. Ma, nonostante Uncas fosse un guerriero abile, Magua aveva sulle spalle molti anni di esperienza in più. Sfruttando quell'esperienza riuscì ad aprirsi un varco nella difesa dell'avversario e, con il coltello che teneva nella mano sinistra, tagliò Uncas all'altezza dello stomaco. Non era una ferita molto profonda, ma Uncas si fermò ed abbassò lo sguardo su di essa, mentre Magua si era tirato indietro come a concedergli il tempo di comprendere l'errore che aveva fatto nel volerlo sfidare. Uncas osservava la macchia scura che si andava allargando sulla sua camicia con un'espressione quasi incredula.

Alice, che era riuscita a liberarsi dell'uomo che la teneva, stava al centro del sentiero, ed anche lei fissava la ferita di Uncas. Ma la sua espressione era di pura angoscia e sofferenza. Com'era stata egoista a sperare che Uncas venisse a salvarla! Era questo che aveva inconsciamente chiesto? Che lui si facesse uccidere per lei? Se avesse trovato la voce avrebbe voluto gridargli di scappare finché era in tempo, di lasciarla lì... ma sapeva che, se anche ci fosse riuscita, lui non le avrebbe dato ascolto. Perché Uncas era un guerriero, un uomo d'onore, non un codardo... e non sarebbe mai fuggito davanti al nemico. E ancor di più, non le avrebbe dato ascolto perché era lì per lei, per salvare lei, e se non ci fosse riuscito avrebbe preferito morire nel tentativo.

Poi Uncas alzò lo sguardo, e non guardò Magua, non guardò nessuno dei nemici che lo attorniavano. Guardò Alice - solo Alice - dritto negli occhi. Il suo sguardo giunse dritto al cuore di Alice e le parlò dolcemente. Le disse che aveva fatto tutto questo per lei, che aveva mantenuto la sua promessa e non gli importava di morire se serviva a dimostrarle ciò che provava per lei. Alice lo comprese e le sembrò che il cuore dovesse scoppiarle nel petto dal dolore. Ma cercò di controllarsi, perché se davvero lui stava per morire - se davvero quella era l'ultima occasione che aveva per poterlo guardare in viso - Alice non voleva lasciarsela sfuggire. Così ricambiò il suo sguardo intenso, perché voleva che lui sapesse che lo amava, lo aveva sempre amato e che apparteneva a lui, e mai sarebbe potuta essere di un altro uomo. Uncas lesse tutto questo negli occhi di Alice, come se lei lo avesse gridato a squarciagola, e questo gli diede la forza e la determinazione necessaria per guardare la morte in faccia. Con un ringhio, si gettò di nuovo contro Magua, spingendolo a salire su una grande roccia alle sue spalle. I due rotolarono a terra, avvinghiati in una lotta corpo a corpo, ma Magua riuscì ad atterrare Uncas. Tenendolo fermo con una mano, alzò il coltello con l'altra.

A quel punto Alice - che già da alcuni momenti stava cercando con tutte le sue forze di liberarsi dalla presa che l'Hurone aveva riacquistato su di lei – diede un ultimo strattone, riuscendo finalmente nel suo intento. Non poteva più guardare, non voleva guardare quel mostro di Magua affondare il suo coltello nel braccio di Uncas... era troppo per lei. Girò la testa di lato, distogliendo lo sguardo dalla scena che aveva di fronte, e scoppiò a piangere, il viso trasfigurato dal dolore. Era colpa sua... tutto quello che era successo era colpa sua. Se Uncas non l'avesse mai incontrata e salvata a quest'ora sarebbe stato in Can-tuck-ee, lontano da quella maledetta guerra, al sicuro. Ma poi qualcosa si ribellò in lei. No! Non avrebbe distolto lo sguardo come una codarda! Doveva – voleva – guardarlo un'ultima volta, perché – Alice se ne rese conto in quel momento - anche avere il coraggio di guardare l'uomo che amava mentre stava morendo era un atto d'amore. Uncas meritava almeno questo da parte sua. Con il cuore a pezzi, Alice riportò lo sguardo su Uncas, raccogliendo tutto il proprio coraggio per prepararsi a quello che sarebbe seguito.

Uncas si rialzò faticosamente in piedi, stoico e fiero, senza lasciarsi sfuggire neppure un lamento nonostante le ferite, nonostante non potesse nemmeno muovere il braccio destro. E proprio quando Alice credette che fosse la fine, uno sparo improvviso squarciò l'aria. Magua, che fronteggiava Uncas con aria di sfida, sussultò e cadde a terra senza vita. I suoi guerrieri rimasero sbalorditi per alcuni secondi, a fissare il loro capo che un attimo prima sembrava avere la vittoria in pugno e ora invece giaceva morto sulle rocce. Altri due vennero colpiti dai fucili di Chingachgook e Nathaniel, prima che i due uomini si lanciassero sugli Huroni superstiti e li finissero rapidamente. Alice era rimasta a bocca aperta, incapace di muoversi. Quasi non si accorse che l'indiano accanto a lei l'aveva afferrata di nuovo con rudezza, tanto da strapparle un piccolo grido di dolore. Ma neanche lui si accorse di Uncas quando si gettò su di lui, finendolo con un colpo di tomahawk ben assestato.

Uncas e Alice rimasero entrambi fermi per alcuni secondi, l'uno con il braccio ferito che gli pendeva dal fianco, l'altra che osservava i corpi degli Huroni ammassati sul sentiero. Tutto era successo così all'improvviso che quasi non riusciva a crederci. Chingachgook e Nathaniel erano giunti appena in tempo per evitare il peggio e, quando finalmente realizzò che era tutto finito, che Magua e i suoi guerrieri erano morti, e che erano salvi, Alice si lanciò tra le braccia di Uncas, che la strinse con il braccio sinistro.

Quando notò che Chingachgook e Nathaniel si stavano dirigendo verso di loro, si staccò da lui un po' imbarazzata. Chingachgook scambiò alcune brevi frasi con i figli in Mohicano, mentre Alice li guardava interrogativamente.

Dobbiamo allontanarci da qui, non è sicuro”, tradusse Uncas, mentre Nathaniel gli passava un braccio intorno alla vita per aiutarlo a camminare. Il gruppo scese lungo il sentiero da cui erano venuti.

Cora venne loro incontro a metà strada, l'espressione preoccupata. Corse ad abbracciare Alice, tastandola freneticamente per constatare che non fosse ferita.

Sto bene, Cora”, la rassicurò Alice con un filo di voce.

 Cora la osservò qualche altro secondo prima di annuire, e spostare la sua attenzione su Uncas che, chiaramente, non stava altrettanto bene.

 “Fatelo sedere”, disse dall'alto della sua esperienza come infermiera.

 Poi esaminò le ferite di Uncas, mentre Chingachgook osservava la scena con sguardo preoccupato.

Sei stato fortunato”, sentenziò infine Cora. “Non ci sono lesioni gravi, recupererai l'uso del braccio.” Lavò le ferite con l'acqua della borraccia; poi strappò dei lembi di stoffa dalla sua sottoveste e da quella di Alice, e li usò per fasciarle.

Si alzò in piedi e si rivolse a Chingachgook e a Nathaniel. “Così non dovrebbe perdere sangue... dobbiamo proseguire adesso?”

Sarebbe meglio”, confermò Nathaniel. “Questo è il territorio degli Huroni e più riusciamo ad allontanarci meglio è.”

Io posso camminare, non preoccupatevi per me”, intervenne Uncas.

Cora, dov'è Duncan?”, chiese Alice, accorgendosi solo allora che all'appello mancava il loro amico.

Lo sguardo di Cora si fece di colpo triste. Raccontò brevemente il sacrificio che Duncan aveva fatto per lei, mentre la stessa tristezza afferrava anche Alice. Oh povero Duncan! Sei morto per una donna che non avrebbe mai potuto amarti... spero che dovunque sia ora tu possa aver trovato la pace. Ma lei sapeva che era così, e il pensiero la consolò un poco.

 

 Il gruppo marciò fino al tramonto, e per allora ebbero messo sufficiente distanza fra loro e le tribù nemiche. Si accamparono in una piccola radura, e Alice sperò tanto che fosse possibile accendere un fuoco, perché la nottata si prospettava umida. Ma con sua grande delusione, Chingachgook decretò che era meglio non rischiare. Dopo un pasto frugale a base di mirtilli che Nathaniel aveva trovato in un cespuglio, Alice e Cora si sdraiarono per dormire, mentre Nathaniel faceva il primo turno di guardia.

Le ore passarono, ma Alice continuava a girarsi e rigirarsi senza riuscire a prendere sonno, e non solo a causa del terreno duro. Infine, rassegnata, si mise a sedere, guardandosi rapidamente intorno: Cora e Nathaniel dormivano l'uno accanto all'altra, abbracciati, e Chingachgook non si vedeva da nessuna parte. Probabilmente stava facendo il proprio turno di sorveglianza appostato da qualche parte, invisibile e silenzioso come un'ombra. Alice si alzò e si diresse verso la forma addormentata di Uncas. S'inginocchiò accanto a lui e per qualche minuto lo osservò dormire, il respiro regolare e il bel viso disteso. Senza riuscire a fermarsi, allungò timidamente una mano e gli accarezzò la guancia con la punta delle dita. Uncas aprì immediatamente gli occhi, mettendosi a sedere quasi contemporaneamente, pronto ad affrontare il pericolo. A quel movimento improvviso Alice sobbalzò, ritraendo la mano. Come si rese conto che si trattava di lei, l'espressione di Uncas si addolcì.

Scusami, non volevo spaventarti”, le disse prendendole la mano, che ancora Alice teneva sospesa a mezz'aria, e riportandola sulla propria guancia.

Alice scosse la testa, come a rassicurarlo. Stava per dire qualcosa, quando lui si portò la mano di lei alle labbra e vi posò un bacio. E improvvisamente le parole giuste da dire le salirono spontanee alle labbra, e Alice le pronunciò con naturalezza.

Sei venuto per me... hai rischiato la vita per me, mi hai salvata”, mormorò.

Sarei morto per te... senza rimpianti. Ti amo, Alice. Ti amerò sempre”, rispose Uncas, ed anche al buio poté vedere che ad Alice brillarono gli occhi di lacrime.

Se tu fossi morto, sarei morta anch'io con te.” E quando lo disse si rese conto che era la verità. Se Magua fosse riuscito ad uccidere Uncas, lei lo avrebbe seguito. Per un attimo ebbe la visione, come se le giungesse da un futuro che non si era realizzato, dei loro corpi ai piedi della montagna, spezzati ed esanimi, eppure uniti per l'eternità. Subito scacciò quella percezione; Uncas era lì, vivo grazie al cielo, e quel futuro non si sarebbe mai compiuto.

A quel pensiero le lacrime le rigarono silenziose le guance, simili a due piccoli ruscelli in piena. Lui la strinse a sé, facendole appoggiare la testa sul suo petto. Le ferite gli procurarono delle fitte di dolore, ma Uncas strinse i denti e le ignorò. Perché quello che Alice gli aveva appena detto l'aveva toccato talmente in profondità da fargli perdere il suo abituale autocontrollo e, per la prima volta nella sua vita, Uncas credette che sarebbe stato capace di piangere di commozione. Per fortuna non successe, perché un guerriero certe cose non poteva permettersele. Con cautela si sdraiò di nuovo a terra, e Alice lo seguì. Rimasero così, abbracciati, in silenzio. Poi Alice si sollevò sul gomito, e mise la mano a sostegno della guancia. Con un dito tracciò pensosamente i contorni del tatuaggio che Uncas aveva sul petto, e che s'intravedeva attraverso la scollatura della sua camicia. Erano così belli quei tatuaggi su di lui, così misteriosi, così essenziali... erano l'opposto delle pompose decorazioni che gli uomini di Londra usavano abitualmente, ed esercitavano un grande fascino su di lei. In tutto questo Uncas la osservava, le labbra incurvate in un piccolo sorriso. Improvvisamente l'attirò di nuovo a sé, e Alice si accoccolò grata fra le sue braccia, desiderando di poterci restare per sempre.

Fu così che Cora lì trovò il mattino dopo, quando si alzò per andare in cerca della sorella. Uncas e Alice dormivano beatamente: Uncas teneva protettivamente Alice tra le braccia, mentre Alice aveva il capo reclinato sul petto di Uncas. Cora rimase in piedi ad osservarli per qualche minuto. Nathaniel si avvicinò da dietro, e l'occhio gli cadde su ciò che aveva attirato anche l'attenzione di Cora.

Ma cosa...?”, mormorò, osservando incredulo le forme addormentate di suo fratello e di Alice.

Cora lo afferrò per un braccio, sorridendogli. Poi si portò un dito alle labbra e cominciò ad allontanarsi, trascinando Nathaniel con sé.

Quindi le cose stanno così?”, chiese Nathaniel quando furono abbastanza lontani da non svegliare Uncas e Alice. Cora annuì.

E quando avevi intenzione di dirmelo?” proseguì Nathaniel in tono scherzosamente accusatorio.

Alice me lo ha confermato durante il viaggio con gli Huroni... e da allora non c'è stato tempo di parlare.”

Allora... non dobbiamo tornare ad Albany? Cosa ha intenzione di fare Alice?”

Non vuole tornare in Inghilterra, vuole restare qui.”

Per mio fratello?”

Cora annuì.

 

Il gruppo si rimise in marcia non appena Nathaniel e Chingachgook furono tornati dalla caccia, portando con loro un paio di conigli. Prima di scegliere la direzione da prendere Nathaniel aveva chiesto ad Alice, cogliendola di sorpresa, se era vero che non voleva tornare in Inghilterra.

No, verrò con voi in Can-tuck-ee. Non voglio lasciare... mia sorella”, aveva confermato lei senza riuscire ad evitare di arrossire. Percepiva lo sguardo acuto di Chingachgook su di sé, come se l'uomo riuscisse a vedere oltre le sue bugie, e sapesse esattamente per chi in realtà Alice stava restando in America. Ed era chiaro che non lo approvava affatto.

Nel pomeriggio Cora e Alice si ritrovarono a camminare vicine, e Cora osservò a lungo la sorella prima di decidersi a parlare.

Alice, io... ci ho pensato molto e... non voglio che tu prenda decisioni affrettate. Lo capisci che la vita che stai scegliendo non sarà facile e comoda come quella che conducevamo a Londra?”

Lo so”, rispose Alice, intenta a superare un punto erto con le gonne raccolte tra le mani.

Insomma... sei sicura che non vuoi tornare a casa?”

A quelle parole Alice rallentò il passo, ed alzò lo sguardo davanti a sé. Casa... Alice considerò quella parola a lungo. Dov'era la sua casa? A quale luogo apparteneva veramente? Poteva ancora considerare Londra come la sua casa? Catturò con lo sguardo la visione di Uncas che camminava di fronte a loro, accanto a suo fratello, e lo osservò a lungo, assorta in quei pensieri.

La mia casa è dove c'è lui”, mormorò infine più a se stessa che a Cora.

Cora la guardò, anche se Alice continuava a guardare fisso dinanzi a sé. E per la prima volta, vide davvero la donna che sua sorella era diventata.

 

Da quando erano giunti presso i Delaware, dopo l'arduo cammino di tre settimane che li aveva condotti in Can-Tuck-ee, Alice provava un'impercettibile sensazione di disagio. Non sapeva bene il perché. Se fosse perché si trovasse in un ambiente completamente estraneo, circondata da persone sconosciute, immersa in una cultura quasi agli antipodi rispetto a quella britannica, non poteva dirlo. Forse aveva solo bisogno di tempo per abituarsi a quella nuova situazione. D'altra parte erano trascorse solo due settimane, ed era più che normale che la figlia di un colonnello non si ritrovasse in mezzo a dozzine di ragazze Delaware che parlavano un'altra lingua e vestivano abiti che fino a un mese prima Alice avrebbe considerato inaccettabili. E ancora non riusciva ad abituarsi pienamente a quel vestito di pelle che le arrivava alle ginocchia, e ogni tanto, quasi istintivamente allungava le mani per cercare di coprirsi le gambe. Questo almeno, fino al giorno in cui aveva per caso colto su di sé lo sguardo ammirato di Uncas, che, involontariamente, le osservava le gambe. Non aveva potuto evitare di arrossire e da quel momento non aveva più cercato – nemmeno di sfuggita – di tendere il vestito nel tentativo di coprirsi.

Con sua sorpresa – perché era sempre stata una ragazza sana – quel disagio si trasformò presto in un malessere fisico, che le disturbava lo stomaco e le procurava frequenti giramenti di capo. Alice sapeva tuttavia che gran parte del suo turbamento era dovuto ad Uncas. In quelle due settimane il giovane guerriero era stato molto preso dai festeggiamenti che i Delaware avevano fatto in onore suo e di Chingachgook, degli ultimi esponenti del popolo dei Mohicani. Da quello che ad Alice era stato dato di capire, i Mohicani erano considerati una sorta di “popolo eletto” dai cugini Delaware, e non c'era famiglia di quel villaggio che non aspirasse a vedere una propria figlia sposare Uncas... né ragazza che non lo volesse, per la verità! E sebbene Uncas le avesse dichiarato il suo amore, Alice a volte si trovava suo malgrado a sentirsi insicura riguardo il loro futuro insieme. D'altronde lui non le aveva chiesto esplicitamente di diventare sua moglie, né ancora – per quanto ne sapeva Alice – aveva parlato della questione con suo padre.

Cora era completamente presa da Nathaniel, e Alice capì che, per l'ennesima volta, non poteva contare su sua sorella per dissipare i propri dubbi. Non sapeva nemmeno bene come affrontare la faccenda con Uncas, nei momenti in cui erano insieme. Agli occhi dei Delaware – di quella piccola società dalle regole a lei ancora oscure – lei non era niente per Uncas, e finché la sua posizione non fosse stata chiarita tutte le madri potevano sperare che lui scegliesse una delle ragazze che lo seguivano con occhi adoranti. Ce n'era una in particolare, molto graziosa, che ogni volta che cercava di avvicinarsi ad Uncas faceva ribollire il sangue ad Alice.

Una mattina, Alice uscì dalla wigwam che divideva con Cora molto presto. Un sorriso incerto – che a tratti si tramutava in un'espressione di inquietudine – le aleggiava sul volto. Aveva bisogno di parlare con Uncas e si mise a cercarlo per il villaggio. Ma quando l'ebbe trovato, desiderò di non averlo fatto. Lui era a diversi passi da lei e stava parlando con quella ragazza, il sorriso sul volto e una mano di lei fra le sue. Alice impallidì e serrò le labbra. Rimase così per un tempo lunghissimo, ad osservarli, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime. Poi si voltò e corse via, nel momento preciso in cui Uncas si accorse della sua presenza.

Alice corse e corse, finché non sentì le gambe farle male e i polmoni scoppiarle. Senza nemmeno rendersene conto si era allontanata abbastanza dal villaggio e intorno a lei c'era solo la foresta e il cielo limpido. Col fiato corto si appoggiò ad un albero e, piegandosi in avanti, rimise quello che aveva mangiato a colazione. Poi si accostò ad un ruscello che scorreva poco più avanti e bevve un sorso d'acqua, che minacciò di farla stare male di nuovo. Alice sentiva il cuore martellarle dolorosamente contro le costole, la nausea che le afferrava la bocca dello stomaco, mentre i singhiozzi che la scuotevano si andavano acquietando. Inspirando profondamente, riuscì a calmarsi del tutto, se non altro per impedirsi di vomitare nuovamente. Bevve un altro sorso d'acqua, questa volta senza patirne.

Si rialzò in piedi, tremante ma risoluta, e avvertì un paio di mani che le afferravano le spalle. Si voltò solo per trovarsi faccia a faccia con Uncas. Sul suo viso era stampata un'espressione di profonda preoccupazione.

Stai bene?”, chiese facendo per scostarle una ciocca di capelli dal viso. Ma Alice si sottrasse bruscamente al suo tocco.

Cosa ti importa?”, ribatté in tono amaro. Uncas ne rimase sbalordito.

Ti ho visto con quella ragazza”, continuò Alice, con voce di nuovo incrinata dal pianto.

Non è come pensi...”, cominciò Uncas dopo qualche attimo. “Lei si è fatta avanti, ma io le ho spiegato che non posso sposarla perché il mio cuore appartiene a te.”

Alice rimase in silenzio per un tempo che a Uncas parve infinito. Lo scrutava con gli occhi color nocciola come se cercasse di decidere se credergli o no. Ma questo solo in apparenza: in realtà lei sapeva che Uncas non stava mentendo, che non le avrebbe mai mentito. No, Alice era semplicemente sopraffatta dal sollievo e dalla felicità, quando un attimo prima aveva temuto il peggio. Così rimase impietrita pochi secondi, prima di gettarsi tra le braccia di Uncas, nascondendo il viso nel suo petto. Lui la strinse a sua volta, dolcemente ma in modo deciso, posandole un bacio sui capelli.

Stai bene?”, chiese di nuovo.

Ad Alice quasi venne da ridere, ma si sforzò di rispondere, con un sorriso sul volto. “Sì, sto bene. Credo... credo di aspettare un bambino. Era per questo che ti cercavo.”

Uncas rimase in silenzio alcuni momenti, l'espressione indecifrabile. Alice sentiva il cuore martellarle nelle orecchie come una carica di cavalleria.

Un bambino?”, mormorò infine a se stesso. “Il mio bambino...”

Uno sguardo di pura felicità si dipinse sul suo volto, il primo vero sorriso che Alice gli avesse mai visto fare, un sorriso che veniva dal profondo.

C'è una cosa che volevo chiederti da tempo e credo che ora sia arrivato il momento”, aggiunse poi. E per la prima volta da quando lo conosceva, Alice vide Uncas perdere il suo abituale stoicismo e mostrare segni di nervosismo.

Vuoi essere mia moglie?” chiese, guardandola negli occhi.

Alice sentì il cuore sciogliersi dall'emozione, la felicità mozzarle il respiro. Avrebbe voluto rispondere immediatamente di sì, gridarlo perfino, ma sembrava che la lingua le si fosse incollata al palato.

Uncas continuò. “So che non sarebbe una vita facile per te, ma-”

Alice gli posò dolcemente un dito sulle labbra, interrompendolo; poi avvicinò il viso al suo e lo baciò.

Sì, voglio essere tua moglie”, mormorò infine, “...e non mi importa niente di tutto il resto.”

Prima di quel giorno nessuno dei due poteva saperlo, ma Hinun aveva cominciato il suo viaggio nel mondo quella notte a Fort William Henry.

 

 N.d.A.: Come qualche lettore avrà notato ho modificato l'ultima parte del capitolo, che non mi soddisfaceva del tutto. Chiedo scusa per la mia indecisione, ma ecco qui la versione finale! 


 

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Capitolo 10
*** Epilogo ***


 Estate 1762

 “Quando arriva il fratellino, padre?”, chiese Hinun, stanco di aspettare. “Perché ci mette così tanto?”

 “Ci vuole il suo tempo”, rispose Uncas divertito. “E poi come fai a sapere che è un maschio? Potrebbe essere una bambina, no?”

 “Allora, è un maschio o una femmina?”, insistette Hinun, non ancora soddisfatto.

 “Solo il Grande Spirito può saperlo, piccolo mio”, intervenne Chingachgook. “E' Lui che decide le cose di questo mondo.”

 “Allora puoi dirgli che io non lo voglio un fratello, nonno?”

 “Perché no? Preferisci una sorella?”, chiese Nathaniel curioso.

 “Sì, così non può venire a caccia con mio padre e me!”, dichiarò il bimbo orgogliosamente.

 Chingachgook e Nathaniel risero di gusto, strappando un sorriso anche ad Uncas. In realtà, anche se cercava di non darlo a vedere, Uncas era teso. E come avrebbe potuto non esserlo, quando la sua Alice stava per mettere al mondo un bambino? Sua moglie era in travaglio ormai da quella mattina presto, e Uncas ancora non sapeva se stesse andando tutto bene oppure no. D'altronde il parto era un lavoro da donne, in cui i poveri padri in attesa venivano poco considerati. Anche se Alice era assistita dalle donne Delaware più esperte in materia di nascita, nonché da Cora, che non avrebbe mai lasciato sola la sorella, Uncas non riusciva a tranquillizzarsi.

 “Su, coraggio fratellino!”, esclamò Nathaniel, dando una pacca sulla spalla di Uncas. “Non agitarti, andrà tutto bene anche questa volta.”

 “Sto bene...” , mormorò Uncas.

 “Ma se sei pallido come un cencio... per quanto tu possa diventarlo, ovviamente!”, rise Nathaniel, senza resistere alla tentazione di punzecchiare il fratello.

 Poco interessato ai discorsi dei grandi, e stufo di aspettare un fratellino che sembrava farlo apposta a metterci tanto tempo, Hinun raggiunse un gruppo di bambini che stavano giocando poco lontano. Tra loro c'erano anche Chenoa, la più grande delle bambine di Nathaniel e Cora, che aveva quasi la stessa età di Hinun, e Taima, la più piccola, che aveva due anni. I tre cuginetti erano molto affezionati, sebbene tra loro non mancassero i battibecchi tipici dei bambini.

 Finalmente, verso mezzogiorno, Cora si affacciò alla porta della wigwam e fece un cenno in direzione di Uncas, che si affrettò a raggiungerla.

 “Sta bene, non preoccuparti”, mormorò Cora, in risposta alla muta domanda di Uncas. “E ora hai anche una bambina, bella e sana.”

 Uncas le sorrise, sollevato. Poi entrò nella casa, e trovò Alice seduta sul suo giaciglio, stanca e pallida, ma felice. Dalla grossa treccia le sfuggivano delle ciocche disordinate, e una lieve pellicola di sudore le baluginava sul petto. Tra le braccia teneva un fagottino avvolto in un telo, che porse ad Uncas non appena lui si inginocchiò accanto a lei. Uncas stava per dire qualcosa, ma si bloccò quando posò gli occhi sul visino grinzoso e adorabile di sua figlia. Si sentì stringere il cuore dalla tenerezza, mentre gli accarezzava la testolina, sormontata da una coroncina di capelli neri come quelli di suo padre.

 “E’ davvero una bambina?”, chiese continuando a rimirare quel capolavoro, incredulo di esserne proprio lui l’artefice.

 “Una bambina”, gli confermò Alice. Poi aggiunse: “Aiyana?”

 Avevano già deciso che, se fosse stata una bambina, avrebbe portato questo nome che significava 'Eterna fioritura'. Uncas annuì e, avvicinandosi, baciò la moglie sulle labbra.

 Poi spostò lo sguardo da Alice alla bambina, e viceversa, e sembrò che stesse riflettendo. “Mi hai fatto i doni più grandi che un uomo possa ricevere”, disse infine. “Nelle tue mani hai il mio cuore e la mia anima. Sei il cielo che mi sovrasta e la terra sotto i miei piedi… ti amo, Alice.”

 “Ti amo anch'io”, mormorò lei allungando una mano ad accarezzargli la guancia. “Ora va'”, aggiunse sorridendo, “portala da Hinun... sarà contento di vederla.”

 “Credo proprio di sì... poco fa ha detto che avrebbe voluto una sorella, così non sarebbe potuta venire a caccia con noi!”

 Alice rise, seguendo con lo sguardo suo marito che usciva dalla wigwam con la piccola Aiyana in braccio. Rimasta sola, Alice ripensò al suo passato, a ciò che era stata, a come era cambiata la sua vita... alla storia che, quando fossero stati più grandi, i suoi figli avrebbero meritato di conoscere. Avrebbero dovuto sapere perché la loro madre veniva da un paese lontano chiamato Inghilterra, e come era giunta su quelle sponde.

 Molte cose erano cambiate da quando Alice era sbarcata dalla nave che l'aveva portata in America, ma una cosa sarebbe sempre rimasta vera: Uncas le aveva salvato la vita. E non soltanto scalando una montagna e sfidando da solo Magua e un intero gruppo di guerrieri Huroni... le aveva salvato la vita in senso più profondo. L'aveva salvata da un matrimonio combinato, da una vita senza amore, da un vuoto susseguirsi di balli in società e té pomeridiani, da una gabbia dorata che l'avrebbe lentamente stritolata, da una vita di quieta disperazione. Riusciva ancora ad immaginarsi, stretta in un corsetto soffocante, sollevare con garbo la tazza di porcellana colma di té e ascoltare chiacchiere sulla stagione mondana e sulle novità della moda. Rabbrividì a quel pensiero.

 Era ovvio che per una ragazza cresciuta fino a quel momento nel lusso e incapace di prepararsi nemmeno un pasto da sola, la vita nella Natura Selvaggia all'inizio fosse stata dura, ma Alice non rimpianse mai la sua scelta. Uncas le aveva mostrato la via per essere felice, le aveva mostrato un luogo dove il mondo era tutto intorno a lei, senza pareti e senza confini, dove non c'era bisogno di cercare Dio, perché la presenza di Dio era evidente ovunque, potevi vederla e sentirla in ogni singolo sasso e stelo d'erba della Sua meravigliosa creazione. Il Grande Spirito, come lo chiamavano gli indiani. Lì si viveva di ciò che la natura offriva in abbondanza, senza gli eccessi materiali che spesso portano a perdere di vista la vera essenza della vita. In compenso, fra gli indiani nessuno soffriva la fame, non c'erano ricchi o poveri, e nessuno era al servizio di nessun altro.

 Durante i primi mesi del loro matrimonio, Chingachgook si era tenuto ben lontano da Alice, ancora incapace di accettare la decisione del figlio di sposarla. Ma il giorno in cui Uncas gli aveva messo tra le braccia Hinun appena nato, Chingachgook aveva messo da parte ogni dubbio. Alice ne era stata sinceramente grata, perché capiva perfettamente il motivo per cui il suocero facesse tanta fatica ad accettarla come moglie del suo unico figlio di sangue. Senza dubbio il fatto che Hinun fosse, anche nell'aspetto, un vero Mohicano, aveva aiutato Chingachgook a tranquillizzarsi. A comprendere che il sangue inglese di Alice non era un ostacolo alla sopravvivenza dei Mohicani. Hinun, Aiyana e gli altri bambini che forse sarebbero venuti avrebbero portato avanti la loro stirpe. Il Popolo delle Acque che Sempre Scorrono non sarebbe stato dimenticato.

 


 

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