There’s no such a thing as an end

di Mao_chan91
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1.The sun might rise as sometimes does it fall ***
Capitolo 2: *** 2.Yet those eyes never spoke the truth ***



Capitolo 1
*** 1.The sun might rise as sometimes does it fall ***


NdA:
Ho iniziato a scrivere questa storia all’incirca quando è stato trasmesso l’episodio quindici, e l’ho conclusa in breve tempo, per poi doverla riscrivere da metà in poi per adattarla ai nuovi sviluppi narrativi visto che volevo che riuscisse ad essere un minimo abbastanza coerente da potersi ritrovare nella continuity della serie vera e propria.
Saranno dunque presenti degli spoiler, anche se ho cercato di mantenere ove possibile alcune ambiguità, non andando nel dettaglio ove possibile.
Questa storia, ah, che dire di questa storia.
Non pubblicavo qui da tanto, e per convincermi ci è voluto il macigno che Mawaru mi ha lasciato sul cuore…no, non è solo quello.
Questa è una storia egoista, poco più che una medicina o un messaggio carico di rimpianto.
E’ per loro, per me, ma soprattutto per lei, che spero possa un giorno perdonarmi.
Questa storia è importante, la cosa più importante che abbia mai scritto.
Sarei felice se riusciste a ritrovarci quel barlume di speranza che ho cercato di insinuarci, sarei felice se vi facesse provare qualcosa.

 


There’s no such a thing as an end

 


[1. The sun might rise as sometimes does it fall]

Il lieve sollievo che aveva provato sapendola morta.
Niente più proteggere, soffocare, lottare…
“Soffrirò una volta sola, e poi mai più.”
Quello era l’incubo che lo inseguiva ogni notte. Non c’era quiete a occhi chiusi né aperti, non c’era pace per lui in nessun luogo al mondo.
Errori e colpe, lui ne era un concentrato.
La vedeva appena socchiudeva le palpebre, la vedeva mentre schiudeva le labbra per assaggiare quelle di una ragazza qualunque. Cercava in tutto il mondo una nuova realtà, ma quella immagine lo perseguitava.
“Oggi ho cucinato io, spero non vorrai lamentarti. Lo so che Sho è più bravo di me.”
Himari sorrise, gonfiando appena le guance in un finto broncio, e gli spezzò il cuore.
Ah, il terrore di avere l’umore vincolato da quello di qualcun altro.
Ah, il terrore di essere come argilla fra le sue mani, fragile e plasmabile e, chissà, anche facilmente schiantabile al suolo.
Si strinse la mano, Kanba, si artigliò il polso cercando una reazione adeguata e meccanica, ma non gli venne in mente nulla.
Accennò un sorriso involontariamente triste –sì, gli venne fuori triste, e si maledisse per quella inesattezza- e scosse il capo “Sei bravissima anche tu, lo sai.”
Himari si affrettò verso di lui, sollevando la testa e tirandogli le guance “Non serve dire bugie, eh, Kan-chan.”
Che vezzeggiativo ridicolo per un ragazzo, ma così appropriato per un fratello.
Era di uno zucchero disturbante, una gabbia stretta e arida senza finestre per respirare.
“Ma io non ti mentirei mai.” sorrise, questa volta meno malinconicamente.
La ragazzina strinse la presa alla sua pelle, deformandogli di più il viso.
“Giura!” sorrise.
Kanba si portò una mano al cuore, ardente nella stretta della gabbia toracica “Giuro.” disse con una voce un po’ ridicola per via della mascella torturata.
Himari lo lasciò andare gradualmente, e gradualmente un sorriso le sorse in volto.
Sorse come un’alba, l’alba di un giorno che avrebbe voluto non finisse mai.
Devastante –e disgustoso- desiderio di masticare e ingoiare quel sorriso, giocare con quella lingua e agganciarle le braccia al muro.
Visualizzò quella prospettiva con tale chiarezza da dover trattenere un forzatissimo conato di vomito con una mano.
La sorella si accigliò, cingendogli un fianco “Cos’hai, non stai bene? Vuoi tornare a letto?”
Ad Himari piaceva preoccuparsi per i suoi fratelli. Lo trovava l’unico modo di ripagarli per tutta l’ansia che spendevano per lei, e che fingeva sempre d’ignorare, stringendo i denti e mostrandosi energica.
“Sto bene.” abbozzò lui, sfiorandole la testa e incatenando un dito ai suoi capelli.
Himari continuava a osservarlo, cercando quello che gli passava per la testa, senza credergli.
Rimasero in perfetto silenzio a lungo, prima che lei abbassasse lo sguardo, puntandolo ai piedi, e dicesse “Mi fai male.” docilmente.
Quando Kanba srotolò la ciocca, le portò via un capello.
“Scusami.” Disse, distogliendo lo sguardo anche lui.
“Non far raffreddare la colazione. Passa una buona giornata a scuola, Kan-chan.”
“Sì.”
Shouma li raggiunse poco dopo, sbadigliando ampiamente “Come mai mi avete lasciato dormire così tanto?”
Himari si precipitò anche da lui, come un cagnolino scodinzolante “Oggi ho preparato io la colazione! E se non ti piacerà mi arrabbierò tantissimo!”
Lo disse con un’espressione terribilmente graziosa, e Shouma non potette fare a meno di abbracciarla forte “Ma certo che sarà buonissima!”
Perché, si chiedeva Kanba, ingurgitando il cibo e sbirciandoli di sottecchi, perché per lui era tutto così facile?

- 

Senza alcun preavviso, come un albero che ha resistito alle intemperie attaccandosi a radici troppo fragili, crollò.
Non era stato possibile prevederlo.
Non era stato possibile perché lei non parlava, lui non parlava e l’altro neanche.
Non era stato possibile perché smetteva di sorridere solo quando era sola, e avrebbe dovuto essere sola in quel momento.
Eppure Kanba era ancora lì, a osservare gli scossoni  che le agitavano convulsamente la schiena esile, seduta sul letto.
“Scusami.” gli disse all’improvviso, avendo percepito il suo fiato sospeso e il cigolio della porta.
“Scusami.” disse lui, avvicinandola a capo chino.
Protese una mano alla sua spalla, la ritrasse, la protese di nuovo.
“Scusami.” ripeté Himari, come una vibrante cantilena “Scusami ma…”
“Io ho dato tutto il possibile, ho dato tutto quel che avevo e non mi è rimasto più niente.
Sono rimasta solo io, io con niente fra le mani.
E anche a te, non potrò offrire niente.
Sono perfettamente inutile.
Una sorella, una persona come me sarebbe dovuta morire tanto, tanto tempo fa.
Sarebbe stato più misericordioso, più gentile nei miei riguardi soffocarmi nel sonno che lasciarmi vivere un’esistenza del genere.
In quella gabbia chiamata casa – io non posso vedere altri che voi, non posso vivere da sola e probabilmente non ne sarei neanche più in grado.
Un giorno, avrei voluto essere salvata. Avrei voluto essere liberata.”
Da me, è da me che volevi essere liberata, da queste mura chiamate Kanba che ti stringono, godono della tua infermità e pretendono che nessun’altro possa vederti toccarti sentirti?
“Tu, Himari, ti senti vuota?”
Le prese le spalle, abbassandosi alla sua altezza e montando su un sorriso gentile ma genuinamente preoccupato.
“Quando mi chiami con questo nome, non so a chi ti riferisci.
Ho qualche caratteristica, ho qualche pensiero particolare?
Non lo so nemmeno io.
Ho vissuto pregando che facendo del mio meglio andasse tutto bene, che più fossi stata buona e meno problemi avrei creato.
Sai, Kanba, io ho davvero pregato.
Ma ora io quando guardo allo specchio questa persona, magari sì, si chiamerà Himari, ma io non la conosco.
Non è gradevole, non è nessuno.
Non so neanche se è viva o morta.
Nessuno saprà mai chi è Himari, perché l’ho scordato anch’io.”
Nel silenzio più freddo che potesse immaginare, Kanba le strinse il cuore al suo, incavando la testa sulla sua spalla. Scosse il capo senza parole, pronto a piangere se solo non fosse stato così vano.
Himari rimase immobile.
“E’ questa la sorella che ami, Kanba?”
Non un vezzeggiativo zuccheroso, non un velo fra loro.
Si soffermò sui suoi occhi chiari e fermi, senza un fuoco a scuoterli “La tua gentilezza così disperata, io la amo.” disse, posandole un bacio sulla guancia “Il tuo mettere chi ami prima di te è ingiusto, ma amo anche questo.” disse, posandole un bacio sullo zigomo.
“Io amerò tutto di te e accoglierò tutto di te. Svuotati, ricreati daccapo. Qualunque cosa tu voglia essere, io non lascerò la tua mano.” disse, posandole un bacio sulle dita che aveva stretto e accarezzato incoscientemente.
Himari cercò ancora, nei suoi occhi. Cercava sé stessa, una sé stessa bella e preziosa, da poter amare quanto pareva amarla lui.
Non la trovò. Non la trovò, eppure, percepì la sua presenza. “Himari” disse, sollevandogli il volto “ti ringrazia.”
Annullò le distanze fra loro, tastando appena le sue labbra.
Non significava amore. Non significava niente.
Eppure lui, dopo tanto tempo, si sentì più pulito. Si sentì Kanba, senza distanze né pareti.
Fu per questo, che la lasciò andare, senza trattenerla.
Non la seguì con lo sguardo mentre tornava in camera. Decise che era non solo abbastanza, ma troppo.
Decise che l’avrebbe sempre accompagnata, ma a distanze sempre maggiori.
Il tocco delle sue labbra era stato triste.

-

“Allora, a cosa dobbiamo questo sguardo perso nel vuoto? La milionesima ragazza?” sospirò Shouma, sarcastico.
“La tua è solo invidia, fratellino.” ammiccò lui, tentando di allontanare il torpore che l’aveva tradito. Smise di fissare vacuo la finestra, e si rivolse a lui, che stava rassettando il suo futon “Piuttosto, non hai un appuntamento con Ringo da un po’, eh?”
“Cosa stai dicendo? Ma quando mai avremmo avuto un appuntamento, ero solo lì a farle da balia sperando che mollasse quel maledetto diario.”
“Non dovresti essere così duro nei suoi confronti, eppure ti ama così tanto.” Lo schernì, mimando una vocetta femminea e patetica.
Shouma scrollò le spalle, rabbrividendo; decise di ignorarlo, continuando a riordinare la stanza.
Riconobbero in due colpetti educati allo shoji la delicatezza di Himari, e la invitarono subito ad entrare.
“Ragazzi, di lì è pronto!”
“Ma non dovresti stancarti così tanto, avrei potuto preparare io.” si intenerì Shouma, ma Himari scosse la testa prontamente “Voi dovete andare a scuola, io non ho niente da fare, è davvero il minimo.”
Kanba si sentì penetrato dal suo sguardo alle spalle, senza osare voltarsi neanche un istante, ma fingendo un certo interesse per il buco nel suo calzino.
Si concesse un sottile sospiro di sollievo quando sentì lo shoji richiudersi, ma si ritrovò Shouma a pochi centimetri dal viso, occhi sostenuti che non aveva mai indossato.
“Siamo fratelli, capisco quando hai qualcosa che non va.
Questo è quello che abbiamo cercato di ricomporre con tanta fatica, dovresti saperlo.
Incasina tutte le ragazze che vuoi, non importa. Tutte quelle che vuoi.
Ma incasina Himari e io t’ammazzo.”
Kanba si accorse di aver trattenuto il fiato solo dopo che Shouma si fu allontanato, senza più degnarlo di attenzione, raggiungendo Himari in cucina.
Sa tutto, sa tutto.
La sua testa era un disco rotto, pieno di urla ossessive e disperate.
Che vie di fughe aveva? E se ne avesse parlato con lei?
Tentò di riordinare i suoi pensieri, ma poi Himari lo chiamò, dall’altra stanza, interrompendo il vorticare nella sua testa, riempiendolo di nuovo e poi svuotandolo.
“Arrivo!” boccheggiò, tirandosi uno schiaffetto davanti allo specchio e confidando di poter essere naturale come sempre.

-

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Capitolo 2
*** 2.Yet those eyes never spoke the truth ***


Prima di tutto ringrazio Redeagle per il commento, mi fa infinitamente piacere sapere sia che sei fan di questo pairing sia che ti è piaciuta! Spero che i prossimi capitoli non ti deluderanno ^^.
Ritengo doverosa una premessa su Ringo: a me lei piace, ma ho cercato di attenermi al comportamento tipico di una ragazza della sua età (e anche oltre a dirla tutta) per renderne alcuni pensieri e comportamenti.
Detto questo vi lascio al capitolo, sperando che possa piacervi e possiate dirmi cosa ne pensate!

 

[2.Yet those eyes never spoke the truth]

Perché Shouma non faceva a meno di tradire le sue aspettative?
Eppure per una volta erano prospettive dolci e cortesi, degne di una ragazza della sua età e senza tratti di malizia.
Non c’era nulla di deviato o perverso in quei sentimenti, ma una spontaneità così pura da incuriosirla a morte.
Cos’era quel palpitare delicato, quell’ansia che le stringeva il cuore, questa carenza di forze improvvisa?
Non era mai riuscita ad arrendersi per Tabuki, che non le interessava davvero, non era mai riuscita a restare ferita.
Era un tipo di dolore che aveva desiderato di assaggiare e l’aveva lasciata inebriata, desiderosa di altro.
Voleva il livello successivo,  quello in cui i suoi sentimenti venivano ricambiati e diventava una ragazza felice.
Ma lei non era mai stata così semplice e banale, e non sapeva da dove apprendere.
Le sue amiche avevano altre esperienze in campo sentimentale, non erano avvezze a intrighi e attrazioni platoniche come lo era stata lei, quindi consultare loro l’avrebbe fatta sentire ridicola.
Quale persona più adatta di lei, allora, quel delicato fiore che ancora non era sbocciato, e che era al tempo stesso una delle persone più vicine a lui?
Faceva parte di quel mondo impenetrabile in cui a lei sembrava negato ogni accesso, anche solo uno sguardo.
Grazie a lei, avrebbe potuto capire. Grazie a lei, si sarebbe sentita quieta e pulita di nuovo.
Smise di esitare e suonò il campanello. 
“Avete fatto presto, eh?”
La accolse il mega-sorriso della ragazzina, quello predisposto per i suoi fratelli.
Aveva il viso puntato verso l’alto alla ricerca dei due ragazzi e, perplessa, dovette calarlo per trovare lei, l’ospite inattesa.
“Oh, Ringo-chan, scusami, è che non me lo aspettavo proprio. Entra pure!”
“Sì, devi scusarmi per l’improvvisata, è che avevo bisogno di…”
“Vuoi aspettare Sho-chan qui?”
Gradualmente il viso di Ringo si tinse come d’ustione, mentre Himari sbatteva delicatamente le ciglia e insisteva con un sorrisone ingenuo e innocente “Non c’è nessun problema, accomodati.”
“V-veramente io…volevo parlare con te.”
“Sì?”
Himari inclinò il capo di lato, incerta. Poi le prese la mano e la portò dentro, trovandola irrigidita come un palo.
“Siediti qui, ti preparo un tè. Guarda un po’ di tv se vuoi.”
“M-ma no dai, ti aiuto!”
L’urgenza di dar voce ai suoi sentimenti la rendeva traballante e incerta, ma la affiancò subito, preparando il bollitore.
“Nee, Ringo-chan. A Sho-chan l’hai già detto?”
“Detto cosa?”
“Che ti piace, no?” pausò strategicamente, ampliando il suo sorriso. Dietro la parvenza angelica, nascondeva abilmente tanta malizia “Io non credo che lo capirà da solo, sai.”
“H-Himari!” boccheggiò lei, indicandola con un dito “Ti sembrano c-cose da dire così, ad alta voce?”
Himari scrollò le spalle, concentrandosi sul tè mentre prendeva la bustina fra le dita “Non vorrei che vi perdeste a vicenda. Sho-chan è un po’ lento, al contrario di Kan-chan, quindi dovresti essere esplicita con lui.”
Ringo decise di aver esagerato nella sua pudicizia da fanciulla, e mise su un broncio “Ah, perché non può essere come il maggiore? Lui avrebbe capito subito, hai ragione, qui invece devo fare tutto io.”
“Già…forse sarebbe stato meglio se ti fossi innamorata di Kan-chan, no?”
Ringo cambiò nuovamente colore, poco dopo esser riuscita a tornare del suo naturale, alla parola ‘innamorare’.
“Innamorata i-io, ma sono parole grosse, non è mica così che stanno le cose…! Io, cioè, lui, cioè io, ecco, insomma…!”
“Ringo-chan, ti scotterai con l’acqua così.” Ridacchiando, Himari le sottrasse il bollitore dalle mani tremanti e lo posizionò sul fornello, immergendoci la bustina.
Ringo si prese la testa fra le mani, scuotendola a destra e a sinistra con grande teatralità.
Con nonchalance Himari protrasse le braccia alla credenza, per cogliervi due tazzine.
Spense il fornello mentre Ringo ancora si dibatteva lanciando urletti inquieti.
Portò con cura le tazzine al tavolo, poi tornò indietro a prendere anche Ringo, trascinandosela dietro e accompagnandola al tavolo.
Si sedette in ginocchio, afferrando la tazzina e soffiandoci sopra.
Ringo si fermò temporaneamente a guardarla.
Quell’inquietante aura di purezza non l’abbandonava mai, di un bianco accecante e che la faceva sentire anche un po’ in colpa.
S’incantò per un istante, poi Himari le domandò se voleva dello zucchero e lei scosse la testa.
Da un po’ di tempo aveva iniziato a preferire i gusti più amari, concreti e realistici rispetto all’imbarazzante quantità di zucchero che vi avrebbe intinto un tempo.
Prese la tazzina fra le mani anche lei, in silenzio.
Himari la finì prima di lei.
“Allora, riguardo Sho-chan…?”
Per poco non sputò il tè dalle narici.
“M-ma Himari-chan!”
“…cosa ti piace di Sho-chan?”
Non era così semplice che Himari cedesse i suoi fratelli a qualcuno, d’altronde.
A Ringo sembrò un test, intimidante e impossibile.
Posò lentamente la tazzina semipiena e tentò di riguadagnare un briciolo di compostezza.
Poteva parlare tranquillamente, di certo Shouma e Kanba avrebbero tardato come usuale all’inseguimento degli assurdi ordini della Princess.
Prese fiato, sfiorandosi con una mano il cuore e senza riuscire a sopportare lo sguardo della più giovane.
“Lui fin dall’inizio mi ha vista per come davvero ero ed è rimasto al mio fianco senza rifiutarmi.”
Voleva solo il diario, le suggerì una vocina nella testa, ma non volle darle ascolto.
Ma non era un amore un po’ egoista, si chiedeva Himari, volerlo accanto solo per quel bisogno disperato di essere sé stessa?
Ma non era tanto dissimile da quel che avrebbe cercato lei, quindi non seppe condannarla.
“Lo ami perché pensi che potrà amare la vera te?”
“Perché spero che possa amare la vera me.”
Rimasero in silenzio.
Fuori aveva iniziato a piovere, osservò Himari, turbata dal paesaggio al di fuori della finestra.
Avevano entrambi lasciato gli ombrelli a casa, sarebbero tornati fradici.
Sfiorò la testa di numero tre, appisolata sul suo grembo, per svegliarla, e vagò con lo sguardo alla ricerca della borsa dell’altra ragazza.
“Hai il numero di Sho-chan, vero?”
Lei non aveva mai avuto bisogno di un cellulare, chiusa com’era fra casa e ospedale.
Che cosa frustrante.
Ringo si riscosse, annuendo.
“Sì, vuoi che gli mandi…oh, no, non gli manderei mica un messaggio, no no…!”
“Andiamo a prenderli, ovunque siano. Non voglio che si ammalino.”
La tirò per la manica.
In quegli occhi niente aveva più importanza.
Ringo si morse leggermente un labbro. D’altro canto, per lei sarebbe stata una buona occasione per una scenetta smielata.
Decise di lasciare deliberatamente il suo ombrello lì, calzando le scarpe e prendendo quelli dei ragazzi.
“Andiamo, andiamo!” canticchiava quasi Himari, saltellando sulle pozzanghere con un ticchettio regolare e soave, quasi nostalgico.
I suoi stivali restavano illesi, le dita abbarbicate al manico dell’ombrello rosso come se una presa più lieve avrebbe permesso al vento di portarglielo via.
Ringo la seguiva camminando regolarmente, ripercorrendo nella sua mente le possibili scene che avrebbero potuto riproporlesi.
Le piacque particolarmente quella in cui Shouma stendeva a terra la giacca per farle evitare una pozzanghera, e poi le cingeva la vita, guardandola profondamente negli occhi.
“Era questo il posto, Ringo-chan?”
Ringo si diede un lieve schiaffetto al viso per ridestarsi e annuì. Si erano dati appuntamento vicino a un supermercato.
“Fuori non ci sono, saranno dentro a fare la spesa.”
Himari poi sorrise, ridacchiando “Sono sicura che Kan-chan sembra un papà che accompagna la sua mogliettina a fare la spesa!”
“…un marito, no? Non un papà.” La corresse soprappensiero e senza un perché.
Himari arrossì, chinando il capo “Sì, mi sono sbagliata.”
Spostò il peso da un piede all’altro, nervosamente.
Le piaceva, semplicemente le piaceva la parola ‘papà’.
Pensare a uno dei suoi fratelli come marito, invece, le dava strane sensazioni.
Preparò un sorriso largo abbastanza da accoglierli entrambi, quando la porta scorrevole glieli mostrò.
Kanba aprì la bocca come per parlare, ma non disse niente.
Shouma sorrise a lei ed evitò accuratamente lo sguardo di Ringo, che lo cercava disperatamente.
“Grazie per il pensiero, ci voleva proprio!”
Numero due ai suoi piedi starnutì, mentre numero uno indugiava, perdendosi fra le gonne di Himari.
Numero tre lo cacciò via con un calcetto, porgendo un fazzolettino a numero due.
Himari allungò l’ombrello a Shouma, perché lo portasse lui, che era più alto, e si accostò al suo fianco, sbirciando di sottecchi il maggiore di loro.
Kanba le restituì uno sguardo incerto e nervoso, prima di incontrare quello di Ringo, un po’ sconvolta ma soprattutto delusa.
Da Himari un tradimento del genere non se lo sarebbe mai aspettata.
Kanba le tolse senza grazia l’ombrello di mano, sostenendolo sopra entrambi, nell’altra mano i sacchetti della spesa.
Iniziarono a camminare in un silenzio rotto solo dalla cantilena della pioggia e una filastrocca che Himari biascicava ogni tanto per non pensare. 

-

“Allora io vado.” disse incerta, cogliendo la borsa.
Shouma era a farsi una doccia e Kanba si stava asciugando i capelli con un asciugamano, mentre Himari la stava accompagnando alla porta.
“E’ stato un piacere.”
Era evidente quanto Ringo ci fosse rimasta male, quanto sperasse che le chiedessero di rimanere, ma Himari decise che non era il caso.
Shouma era una delle sue ultime difese dal mondo, e per quanto scherzando si fosse mostrata collaborativa non era ancora davvero pronta a lasciarlo andare.
“Torna a trovarci presto.”
Per la prima volta, Ringo trovò quel sorriso nauseante.
Kanba evitò di osservarle, osservando la finestra. La pioggia ancora scrosciava selvaggiamente.
“E’ sera.” Disse, d’un tratto, rivolgendosi alle due “Sarà il caso che l’accompagni almeno alla fermata della metropolitana.”
Himari aprì la bocca senza emettere un suono, poi si rassettò una ciocca di capelli come se fosse stata la sua vera intenzione e annuì meccanicamente.
Ringo aggrottò la fronte, senza capire le sue intenzioni. Non c’era mai stata una vera interazione fra loro. Ma chissà, d’altronde, se non sarebbe stata una buona idea per fare ingelosire il minore.
“Ne sarò felice.” cinguettò.
“Cosa pensi che le sia preso?” borbottò dopo venti minuti, quando trovò il coraggio e la confidenza che le erano mancati.
Kanba sbatté gli occhi, perplesso. Camminavano sotto ombrelli separati.
“In certi momenti non la riconosco più…sembra quasi…non so, cattiva, egoista, non la solita Himari…”
“Tu dici?”
“Sì.” insistette, voltandosi verso di lui, che aveva superato di pochi passi “Deve esserle successo qualcosa, e come suo fratello maggiore dev’essere tuo interesse risolvere la questione!”
Kanba sorrise, la solita fresca sensualità lungo la curva dell’arco di Cupido “Lo terrò a mente.”
Ringo si voltò dall’altra parte per non arrossire, sbuffando.
Erano ormai arrivati.
Mise un piede in fallo, stringendo gli occhi per non guardarlo, e lui le colse la vita in tempo per evitarle un ruzzolone.
“Va tutto bene?” mormorò contro il suo orecchio. La mora annuì freneticamente, sfuggendo alla sua presa.
Lo salutò con un inchino nervoso ed eccessivamente formale, prima di affrettarsi lungo le scale.
“La Himari che cammina affianco a Shouma, la Himari che ignora i sentimenti di Ringo. Non è forse la vera Himari?”
Scrollando le spalle, chiuse l’ombrello.
Pioveva ancora. 

“Come hai fatto a bagnarti così tanto, Kanba? Eppure avevi l’ombrello.”
Shouma allungò lo sguardo dal cucinino a lui, con aria di rimprovero.
“Chiamiamola sfida di resistenza.”
“Contro chi, te stesso?”
Kanba mise a tacere uno starnuto, strofinandosi un dito sotto il naso con poca eleganza.
Si voltò intorno, sincerandosi che Himari fosse in camera sua.
“Non ti ha dato fastidio?”
“Cosa?”
“Che abbia accompagnato Ringo.”
“Affatto. Hai fatto bene, è una ragazza d’altronde…”
“Povera ragazza.” sospirò Kanba, con aria di sufficienza.
Shouma inarcò un sopracciglio, incerto su quale reazione avere. Non gli pareva di aver detto nulla di scontato né impensabile.
“Piuttosto, non avrai cercato di sedurre anche lei?”
Kanba decise di non rispondere alla provocazione, ma gli restituì un sorrisetto enigmatico, accennando a leccarsi le labbra “Uhmm.”
“Kan-chan è davvero un latin lover.” rise Himari, aggredendolo alle spalle. Saltò fuori dal suo fianco, guardandolo dal basso con uno sguardo sornione e sbattendo le ciglia.
Shouma scoppiò a ridere, per quanto sconvolto appariva il gemello, con le braccia ferme a mezz’aria e i denti digrignati.
Gli ricordava di quando nelle foto di classe, da piccolo, usava montare su un ghigno, stringendo i denti, confidando che fosse ciò che si aspettavano da lui, che fosse quel che intendevano per ‘sorriso’.
Un sorriso vero gli riusciva impossibile da convocare lì, a comando. Era diventato molto più bravo negli anni, eppure, in momenti come quelli, nella quiete delle mura domestiche, ritornava un libro aperto.
“Non è vero…cioè, insomma, quella ragazza è completamente folle…ma vi pare…!”
“Non parlare così della nostra amica, Kan-chan.” lo freddò la minore, riducendo gli occhi a fessure.
Allontanò le mani dalla sua vita, cui si era avvinta quasi per sconvolgerlo, e scosse il capo con impazienza “Sai, Sho-chan, oggi inizia quel drama che volevo tanto vedere, se non hai da fare che ne dici di guardarlo con me?”
Shouma le sorrise, gettando un’occhiata perplessa a Kanba, alle sue spalle “Avrei qualcosa da fare, ma…”
Kanba sbuffò, voltando il capo “Ci penso io. Tu resta pure qui.”
La Princess of crystal aveva imposto loro nuove indagini. Ma con tutta la solitudine che imponevano a Himari ogni giorno, con che cuore avrebbero potuto dirle di no?
Himari emise uno squittio, deliziata, aggrappandosi al braccio di Shouma.
Kanba approfittò di un fuggevole istante in cui lo sguardo di Shouma si allontanò da lui per guardarli e odiarli.
Girò i tacchi e fu fuori di casa.

-

 

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