L'uccello, il gatto e la collezione di spilloni di NonnaPapera (/viewuser.php?uid=72743)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Come tutto ebbe inizio ***
Capitolo 2: *** Il migliore amico dell'uomo ***
Capitolo 3: *** Il regalo adatto ***
Capitolo 4: *** La leggenda del pane cattivo ***
Capitolo 5: *** Amore a prima vista ***
Capitolo 6: *** Regalo di fidanzamento ***
Capitolo 7: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Come tutto ebbe inizio ***
Come tutto
ebbe
inizio
Quella merendina era di certo
avariata!
Il sapore era ottimo e anche la scadenza sulla carta indicava una data
lontana
però, l’unica spiegazione logica rimasta era che
fosse tutta colpa della
brioches.
Saltò di lato, per evitare una biga che correva per la
strada di terra battuta;
in storia non era mai stato un asso però era quasi certo di
trovarsi
nell’antica Roma.
Pochi minuti prima era seduto nel giardino della scuola, intento a fare
la
pausa pranzo assieme ai sui colleghi insegnati; un secondo dopo si
ritrovava lì,
spaesato e fuori posto in una situazione che neppure riusciva a
concepire.
Maledetta merendina!
Il problema, ora, era come tornare a casa! Dubitava fortemente di trovare un distributore
automatico da poter
saccheggiare, nella speranza di riuscire a scovare uno snack che lo
riportasse
al suo tempo.
“Vorrei tanto sapere, perché sei così
convinto che sia colpa della brioches che
hai mangiato!”
La voce arrivava dalle sue spalle, più precisamente sopra la
sua testa, così si
voltò e fissò il cielo in cerca del nuovo venuto.
“Più in basso sciocco, non sono un
angelo!” sbottò il gatto visibilmente
alterato.
“Chi dovresti essere tu?”
“Sono un gatto… cos’è sei
cieco o solo stupido?”
“A casa mia i gatti non parlano” tentò
di difendersi Massimo leggermente
offeso.
“Sì, che parliamo! Semplicemente nessuno si
è mai degnato di rivolgerti la
parola, Non sei propriamente un interlocutore interessante”
“Capisco, siete una specie spocchiosa e maleducata a quanto
pare1”
“Fossi in te io non lo insulterei. Se si arrabbia non ti
farà tornare nel tuo
tempo, anche se non sono certo che sia stato lui a portarti
qui”
“Chi ha parlato?”
“Ehm, sono qui dietro, almeno in parte”
Il gatto si voltò di lato e Massimo poté notare
un’ala d’uccello, probabilmente
di piccione, che sbucava dalle sue fauci.
“Ma che roba è?”
“E’ il mio pranzo” rispose semplicemente
il gatto con aria di superiorità.
“Ti piacerebbe, brutto mostro peloso!”
ribatté la voce di prima, proveniente
dalla gola del felino.
“Allora?! Io sto perdendo la pazienza. Qualcuno si degna di
dirmi che diamine
sta succedendo?”
“Secondo te, vuole sapere cosa ci faccio nella tua bocca o
vuole solo sapere
cosa ci fa nell’antica Roma?”
“Non saprei, io direi che vuole sapere perché non
ti ho mangiato!”
“Va bene, ti rispondo io. Dunque, un giorno me ne stavo
tranquillo a beccare
dei chicchi di grano quando, a un certo punto, mi sono sentito
sovrastare da
un’ombra scura. Per farla breve era il gatto qui presente,
che mi stava
saltando addosso per mangiarmi; è riuscito ad ingoiarmi ma
non del tutto,
perché mi sono arpionato con una zampa al suo palato. Sono
mesi ormai che siamo
in questa posizione di stallo”
“Non me ne frega niente del perché sei nella sua
bocca. Voglio sapere cosa ci
faccio qui e soprattutto come fare ad andarmene!”
“Un pochetto irritabile il ragazzo non trovi?”
“Sì, pare anche a me! Sei sicuro che sia il tipo
giusto?”
“Ehi pennuto, sei nella mia bocca da mesi ma questo non ti
autorizza a mettere
il becco nel mio lavoro”
Massimo fissava la diatriba esasperato e anche, decisamente affamato.
Se non si
fosse trovato catapultato in quel luogo, di certo, a
quell’ora sarebbe stato in
procinto di mangiare un panino.
Si guadò intorno in cerca di un bar o di qualcosa che
potesse assomigliargli.
“Dove credi di andare umano? Non sei qui in gita turistica,
ti ho condotto in
questo tempo per un motivo” urlò il gatto, quando
si accorse che Massimo si
stava allontanando.
“Ho fame, mi cerco qualcosa da mettere sotto i
denti”, così dicendo riprese a
camminare ignorando bellamente le urla del gatto.
Aveva adocchiato un panettiere quando il gatto saltò dal
cornicione e gli si
parò davanti.
“Non è il momento di mangiare… seguimi
ti porterò dalla tua anima gemella”
“Anima gemella?” mormorò Massimo confuso.
“Già!”
“Scusa ma di che parli?”
“Mi riferisco alla persona di cui ti innamorerai follemente e
con cui passerai
il resto dei tuoi giorni”
“Qui?!”
“Bhè, non necessariamente, se lui vorrà
si potrà trasferire nel tuo tempo… Ma
questi sono dettagli che dovrete discutere tra voi io sono solo il
tramite”
“Ehi un momento! Io non voglio un Lui, voglio una
Lei!”
“Sciocchezze! Faccio questo lavoro da secoli, so bene cosa ci
vuole per te”
“ E che lavoro sarebbe?”
“Accoppia le persone” si intromise il piccione.
“Esatto, l’uccello ha detto bene. Io accoppio le
persone”
“Cioè?”
“Secondo me è un po’ toccato”
mormorò il piccione.
“Hai ragione, anche a me non pare un tipo troppo
sveglio” poi, rivolgendosi a
Massimo, il gatto continuò: “Io sono
l’essere che aiuta gli umani a trovare
l’amore”
“Una specie di Cupido insomma”
“Cupido? Ti riferisci a quel bimbetto con il pannolino armato
di frecce?”
“Esattamente”
“Cupido non esiste! E’ solo una vostra invenzione,
anche se non capisco perché
mai abbiate associato il mio lavoro alla figura di un
moccioso” sbottò irritato
il gatto.
“Bhè… non saprei, forse
perché i bambini sono carini”
“Carini?! Urlano, piangono, vomitano, si fanno i loro bisogni
addosso… No, caro
mio sei fuori strada; i gatti sono carini, non i bambini”
“Umm, ok se lo dici tu”
“Bene, ora che abbiamo chiarito tutto direi che è
il caso di avviarsi. Tra poco
incontrerai il tuo futuro” concluse il gatto con tono solenne.
“D’accordo, però prima ci fermiamo a
mangiare qualcosa”
“Mangiare? Ma ti pare il momento?”
domandò il piccione intromettendosi
nuovamente nella conversazione.
“Zittò tu! L’umano ha ragione; ogni
momento è buono per mettere qualcosa sotto
le zanne”
“No, no e no. Dimentichi forse che la mia faccia è
conficcata nella tua gola?
Ogni volta che inghiotti qualcosa tutto il cibo mi si riversa
addosso… Forse
non lo sai, ma è una cosa decisamente disgustosa”
“Sono fatti tuoi, se tu ti lasciassi finalmente inghiottire
tutta questa
situazione finirebbe”
“Oh sì, ottimo consiglio il tuo; non ti
lascerò campo libero per mangiarmi!”
“Come vuoi, però non lamentarti”
concluse il gatto iniziando poi a guardarsi
intorno preoccupato.
“La pianti di scuotere la testa, stupido gatto!”
“Ho perso il mio protetto” biascicò
spaesato il felino, “E ora che cosa
faccio?” mormorò preoccupato.
“Suvvia ti abbatti per un nonnulla; cercalo, di certo non
sarà andato troppo
lontano”
“La fai facile tu, ma che ne vuoi capire? Sei solo un uccello
mezzo masticato”
“Complimenti, continua a insultarmi, così il mio
aiuto te lo scordi”
Il gatto continuò a guardarsi in giro per alcuni istanti,
infine si arrese e
borbottò:
“D’accordo, mi arrendo! Scusa se ti ho maltrattato,
adesso potresti dirmi dove
posso trovare quell’umano incosciente?”
“Così, va meglio” gongolò il
piccione, “Non ne sono certo, ma credo sia andato
a mangiare…”
Il gatto non si prese neppure la briga di rispondere, annusò
l’aria e poi si
mise a correre veloce.
PICCOLO SPAZIO PRIVATO:
Rieccomi dopo eoni di assenza con una storia a capitoli, questo
racconto riunisce le mie due passioni: lo slash e il nonsense.
Non aspettatevi di capirci qualcosa è solo un esperimento
partorito per partecipare a due contest contemporaneamente: quello di
Eylis per gli Original
Concorsi ( Lala e il Gatto) e quello di Aborted per Original character
yaoi (Rivelazione!)
Spero che comunque l'idea possa incuriosirvi e come al solito vi invito
a lasciare il vostro parere^^
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Capitolo 2 *** Il migliore amico dell'uomo ***
Il migliore
amico
dell’uomo
“Io direi che il rosso le
starebbe decisamente bene!”
esclamò entusiasta la donna battendo le mani felice.
“Signora, glielo ripeto:
non voglio una
tunica, voglio del pane” ribatté Massimo al limite
dell’esasperazione.
“Senti giovanotto, forse sei un povero liberto senza soldi,
però non puoi
andartene in giro in mutande, finirai per farti arrestare”
Massimo si fissò i vestiti che aveva addosso e in
particolare osservò i
pantaloni aderenti di colore bianco perla.
“Questi non sono mutande, sono pantaloni!”
“Non so cosa voglia dire pantaloni ma, tu hai urgente bisogno
di un vestito.
Non puoi girare per la capitale conciato in quel modo
assurdo”
“Ma perché insiste? Voglio solo mangiare”
“Oh, che sciocca. Hai ragione, devi essere affamato; povero
come sei non avrai
monete neppure per comprarti un tozzo di pane”
Massimo sollevo un sopracciglio, ma dato che la versione della donna si
avvicinava di molto alla verità decise di non scendere in
particolari.
“Sì, è esattamente come dice
lei”
“Non preoccuparti ti aiuterò io”
“Mi darà da mangiare?”
“No! Ti creerò un bel vestito, così
potrai cercarti un lavoro onesto e
comprarti tutto il cibo che vuoi.”
Massimo scosse la testa frustrato; aveva fame, il fuso orario tra un
secolo e
l’altro doveva essere molto, infatti gli pareva di non
mangiare da decenni.
Purtroppo quella donna si era avvinghiata a lui come un koala su un
albero,
perciò l’idea di scappare non era neppure
lontanamente contemplabile.
“Allora dimmi come la vuoi la veste?” riprese
insistente la donna.
“Non saprei non mi intendo di queste cose”
“Un bel porpora, secondo me ti starebbe
d’incanto… Anche se devo dire che sei
un pochino palliduccio. Dovresti mangiare di più
sai?”
“Ma…” Massimo stava per urlare di
frustrazione ma la signora imperterrita
riprese:
“Sai, ho della seta bellissima che mi è arrivata
da poco, credo che sulla tua
carnagione sbiadita ci starebbe a meraviglia”
“Come vuole lei”
“Bene allora che seta sia!” decretò
entusiasta la sarta.
“Ehi un momento”
“Cosa c’è, hai cambiato idea?”
“Ma in questo periodo storico la seta non ci dovrebbe ancora
essere o sbaglio?”
“Non capisco cosa stai dicendo”
“Insomma, Marco Polo, le Indie e la seta… Non ci
dovrebbe essere un simile
materiale, per lo meno credo” mormorò confuso.
“Non capisco cosa stai dicendo”
“Sto dicendo che nessuno ha ancora portato dalle Indie la
seta”
“Non capisco cosa stai dicendo”
“Ma… Uff ci rinuncio”
“Meno male, cominciavo a pensare che ti mancasse qualche
rotella” sbottò la
donna e poi si infilò nel retro bottega a trafficare tra le
stoffe.
Dopo alcuni minuti né uscì tutta trionfante ed
entusiasta.
“Guarda qua, mi ero dimentica di avere due
tonalità di rosso. Cosa preferisci,
rosso vinaccia o rosso pomodoro?”
“Forse il rosso pomodoro è un po’ troppo
accesso” mormorò Massimo perplesso.
“Dici? Mi sa che hai ragione. Bene allora vada per un vestito
di seta rosso
vinaccia”
“Ehi un momento”
“Cielo di nuovo? Se è ancora per la storia della
seta, ti ripeto che non so di
cosa stai parlando!”
“Ma in questo periodo storico i pomodori non dovrebbero
essere ancora
conosciuti o sbaglio?”
“Non capisco cosa stai dicendo”
“Insomma, Cristoforo Colombo le Americhe e i
pomodori…Non ci dovrebbe essere
una simile cosa, per lo meno credo”
“Non capisco cosa stai dicendo”
“Sto dicendo che nessuno ha ancora portato dalle Americhe il
frutto di
pomodoro”
“Non… Un momento ho capito cosa intendi!”
“Davvero?!”
“Certo, il fatto è che ti confondi ragazzo, il
pomodoro non è un frutto”
“Sì, lo è”
“No, non lo è”
“Sì, lo è”
“No, non lo è”
“Sì, lo… Senta signora, con tutto il
rispetto, sono certissimo che i pomodori
siano un frutto, molti credono erroneamente che siano ortaggi,
però mi creda
sono frutti!”
“Ortaggi, frutti… Povero caro, tutti quegli anni
di schiavitù devono averti
menomato il cervello”
Massimo incrociò le braccia e la fissò torvo,
riflettendo sulla possibilità di strangolarla.
Commettere un omicidio in un secolo differente dal suo sarebbe stato
ugualmente
reato?
La donna, incurante dell’espressione del suo interlocutore,
continuò come se
nulla fosse.
“Lo sanno tutti che il pomodoro è una
tonalità di colore rosso e prende il nome
dal migliore amico dell’uomo”
“Dal cane?”
“Cane? Chi ha mai parlato di cani!? Ho detto il migliore
amico dell’uomo,
ovvero la coccinella”
“E da quando la coccinella è il migliore amico
dell’uomo?”
“Da sempre!”
“Perché?”
“Giovanotto ma dove sei stato per tutto questo tempo? Pare
che tu venga da un
altro pianeta” sbuffò la donna esasperata e poi
riprese:
“La coccinella e dolce, carina, fedele, piccola e soprattutto
porta fortuna.
Ogni uomo ha bisogno, nella vita, di quanta più fortuna
riesce a racimolare,
ecco perché la coccinella è il miglior amico
dell’uomo!” concluse fiera di sé
la donna.
Massimo soppesò l’ultima frase per alcuni attimi,
in fondo il ragionamento non
faceva un grinza, perciò decise di lasciar perdere
l’argomento e si posizionò
al centro della sartoria per permettere alla sarta di confezionargli
finalmente
il vestito.
Erano ormai passate diverse ore, ore nelle quali il povero stomaco di
Massimo
non aveva fatto altro che brontolare sulla scarsa capacità
del padrone di
procacciarsi del cibo.
“Bene ragazzo, devo dire che la veste è uscita
proprio bene” mormorò la donna
mentre, con occhio critico, girava tutto intorno alla figura di Massimo
per
scrutarne ogni particolare e per togliere, uno a uno, gli spilli che
erano
serviti a imbastire il lavoro.
“Sembri quasi un patrizio, se avessi una figlia da maritare
te la farei
conoscere. In fondo, anche se sei un liberto sei un gran bel pezzo di
Giulio
Cesare”
“Come?”
“E’ un modo di dire, significa che sei molto
prestante!”
“Ma, non si diceva Marcantonio?”
“Come? Mai sentito. Comunque vuoi mettere Cesare con Marco
Antonio? Tra i due
il più affascinate era di certo Giulio Cesare!”
“Ma, non era un tipo mingherlino basso e pelato?”
“Tutte sciocchezze” si alterò la donna
in preda all’ira “Quello che dici sono
solo frasi vuote, create dai suoi avversari politici per fargli fare
cattiva
figura alle elezioni! Pubblicità negativa”
Massimo stava quasi per ribattere quando una voce, ormai nota, alle sue
spalle
lo apostrofò con cipiglio irritato.
“Ah eccoti qui, brutto ingrato! Ti ho cercato per ore in ogni
angolo della
città. A furia di camminare credo di aver pure perso una
delle mie nove vite”
“Gatto, piccione! Come sono felice di rivedervi”
“Visto che ti dicevo? Bastava cercarlo, alla fine lo abbiamo
trovato” esultò il
piccione sbattendo l’ala.
“Sì, ma non grazie a te. Mi avevi detto di
cercarlo in tutti i fornai della
capitale e io mi sono consumato gli artigli a furia di correre qua e
là!”
“Il solito ingrato” sbottò l’uccello.
“Forza andiamo, abbiamo perso già troppo
tempo”.
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Capitolo 3 *** Il regalo adatto ***
Il regalo
adatto
“Senti, ho un dubbio che mi
assale da quando sono finito qui
e ti ho conosciuto”
“Quale?”
“Ma tu ce l’hai un nome?”
“Certo, mi chiamo Gatto”
“Gatto? Non mi pare un nome molto originale”
“Sì, lo penso anche io, ma che vuoi farci a mia
madre piaceva”
“A te invece come sarebbe piaciuto chiamarti?”
“Ho sempre adorato G come nome”
“G? Solo una lettera? Non preferisci qualcosa di
più elaborato?”
“ Perché mai dovrei preferirlo, noi felini non
siamo contorti come voi umani. I
nostri nomi hanno poche varianti, ci si può chiamare: Gatto,
Gatto I, Gatto II,
Gatto III, G, G I, GII, G III, Miao, Miao I, Miao II, Miao III oppure
Vercingetorige, Vercingetorige I, Vercingetorige II, Vercingetorige
III”
“Vercingetorige è un nome molto
complesso”
“No, non è vero”
“Sì, è vero”
“No”
“Sì”
“No, non è complesso; voi umani avete una bella
faccia tosta, pensate sempre di
sapere tutto. Cosa vuoi capirne tu di nomi gatteschi se fino a poche
ore fa
neppure sapevi che i gatti parlano?”
“Gatto ha ragione, sei un po’ arrogante”
si intromise il piccione.
“Va bene, avete ragione voi! Invece tu piccione? Come ti
chiami?”
“Io mi chiamo…”
“Oh lascia perdere, io convivo con lui da un sacco di tempo e
ancora non ho
capito come fare a pronunciare il suo nome”
“Capisco. Bene, allora che si fa adesso? Mi porti a conoscere
la mia anima
gemella?”
“Ma tua madre ti ha tirato su veramente maleducato!”
“L’uccello ha ragione; cosa credi? Di poterti
presentare a casa delle persone
senza neppure portare un pensierino? Che cafone!”
“Scusate, non ci avevo pensato”
“Sì, lo avevamo capito”
“Allora cosa posso comprare?”
“Non saprei devi decidere tu, in fondo si tratta della tua di
anima gemella,
mica della mia! Se fosse la mia saprei cosa portare in dono”
“Ma io questo tizio manco lo conosco. Anzi, ora che ci penso,
tu neppure sai
quali sono i miei gusti. Passi che hai deciso di accoppiarmi con un Lui
anziché
con una Lei ma, se neppure ti dico come mi piacerebbe che fosse, tu
come fai a
sapere se quella che hai scelto è la persona adatta a
me?”
“Ok, allora dimmi cosa ti piacerebbe”
sospirò il gatto rassegnato.
“Dunque per prima cosa il carattere.”
“Forza parla che altrimenti si fa notte!”
“Vorrei un uomo dolce, che sappia apprezzare
l’affetto e l’amore che gli donerò
ogni giorno. Un uomo amabile, che trovi conforto nel calore famigliare
e che
sia attivo nella comunità. Un uomo giusto, che sappia sempre
distinguere tra
ciò che è giusto e ciò che
è sbagliato, e che nonostante le difficolta scelga
sempre la strada dell’onestà.”
“Solo? Niente altro?”
“Bhè, se poi penso all’aspetto fisico,
direi che mi piacerebbe fosse più
giovane di me. Non di molto, io ho trentaquattro anni e mi piacerebbe
che ne
avesse circa venticinque o ventisei.”
“Altro?”
“Umm, no è tutto!”
“Bene! Sono felice che abbiamo fatto questa
chiacchierata”
“Allora, quella che mi vuoi presentare è la mia
anima gemella?”
“Sì”
“E corrisponde in tutto e per tutto alla descrizione che ti
ho fatto?”
“No”
“Ma…”
“Senti, te lo ripeto, il mio lavoro è quello di
accoppiare gli umani. Non sarà
di certo uno come te a farmi dubitare delle mie
capacità”
“Uffa, sei il peggior Cupido che mi potesse
capitare”
“Ah no, credimi, lui è gentile. Tempo fa ho
conosciuto alcuni suoi colleghi…
erano dei cani” disse l’uccello intromettendosi
nella conversazione, dato che
gli altri due parevano essersi scordati della sua presenza.
“Sono così cattivi?” domandò
Massimo preoccupato.
“Cattivi? No, semplicemente ho detto che Gatto è
gentile e che i suoi colleghi
sono cani”
“Ma se sono cani…”
“Cosa ti riesce difficile da capire?”
miagolò il gatto irritato, “Sono cani,
abbaiano, si leccano il sedere, si rincorrono la coda e
scodinzolano!”
“Sai che avevi ragione? Questo umano è davvero
esasperante”
“Lo so uccello ma bisogna pazientare fintanto che non
concluderò il mio lavoro”
“Hei, io… Oh fa niente, dimmi solo cosa devo
comprargli!”
“Ancora? Non lo so cosa devi prendergli è la tua
anima gemella, mica la mia!”
soffiò al limite della sopportazione il gatto.
“Ok, ok… Che ne dici di un tappeto?”
“Sì, direi che è una splendida idea,
sono certo che un tappeto sarà un regalo
davvero azzeccato”
“Sul serio? Io lo dicevo tanto per dire, solo
perché lì in fondo ho notato una
bancarella che vende tappeti”
“Sì, sì, sono arci sicuro che il
tappeto è un regalo più che adatto”
“Allora lo prendo? Lo pago con i soldi che mi ha regalato la
sarta o me ne dai
altri tu?”
“Per chi mi hai preso? Sono un gatto, io non ho soldi, non ho
neppure i pollici
opponibili!”
Massimo annuì e poi grattandosi un fianco si
avviò verso il venditore.
Dopo poche contrattazioni il ragazzo tornò indietro con,
sotto il braccio, un
grosso tappeto di quasi due metri per tre.
“Fatto, possiamo andare” disse appena raggiunse gli
animali.
“Perché lo hai preso di quel colore?”
“Non ti piace?”
“Pare vomito rinsecchito, e poi i disegni, sembrano fatti da
un bambino”
“A me piaceva e poi era l’unico che potevo
permettermi con i soldi che avevo”
“Capsico sei andato al risparmio”
“Non è vero, però mi sono dovuto tenere
qualche spicciolo sennò come lo compro
il pane?”
“Ancora con questa storia? Ti ho già detto che
mangerai una volta incontrato il
tuo futuro fidanzato”
“Io ho fame adesso!”
“Bhè, non ci posso fare niente, tienitela, quando
arriveremo a destinazione
faremo una grigliata di pesce”
“Pesce? A me non piace, lo trovo viscido e anche
l’odore è nauseabondo”
“Potrebbe essere un problema” mormorò il
gatto perplesso tra sé e sé.
“Perché?”
“Oh nulla di importante, vorrà dire che io
mangerò anche la tua porzione di
pesce e tu ti nutrirai con il maledettissimo pane che continui a
menzionare”
“Il pane è buono “ si difese Massimo
riprendendo senza accorgersene a grattarsi
un fianco.
Il gatto fece un balzo indietro spaventato.
“Cosa c’è?” chiese basito
Massimo.
“Hai le pulci! Stammi alla larga”
“Io non ho le pulci”
“Sì che le hai, è da quando siamo
usciti dalla sartoria che continui a
grattarti il fianco destro”
“Non ho le pulci, è solo che
c’è qualcosa che mi da terribilmente
fastidio”
“Le pulci danno fastidio”
“Gatto piantala, io non ho le pulci!”
“D’accordo ti concedo il beneficio del dubbio, ma
sappi che se mi infetti ti
graffierò la faccia talmente tanto che le
ferite formeranno una decorazione permanente!”
“Non lo faresti mai!”
“Fidati lo farebbe, a lui piace vedere il sangue che sgorga
dalle ferite aperte
che ha inferto ai suoi avversari” mormora il piccione, quasi
compiaciuto della conoscenza
profonda che possedeva del carattere di Gatto.
“Ma è una cosa orribile”
“Non è così, Gatto è un vero
artista, è un mago nel ferire gli esseri umani.
Pensa che crea addirittura delle decorazioni… come se si
trattasse di un
quadro”
“Un Cupido a cui piace ferire a morte i suoi
protetti… Fantastico, sono proprio
in buone mani”
“Non lamentarti poteva andarti peggio”
“Sul serio?”
“Oh sì, poteva capitarti mio cugino Gatto, lui
è molto irritabile soprattutto
con gli esseri umani, se vuoi te lo presento. Una volta ha sfregiato in
modo
permanente un’intera legione di romani, solo
perché quelli marciando gli
avevano disturbato il sonnellino pomeridiano”
“Va bene ho capito l’antifona. Comunque ribadisco,
non ho le pulci perciò non
serve che tu mi sfiguri la faccia”
“Peccato, un po’ di ferite sanguinolente adesso ci
sarebbero state bene, sai
giusto per interrompere un po’ la monotonia della
situazione”
Il felino decise che ormai il tempo di far incontrare le anime gemelle
era
giunto perciò si incamminò urlando:
“Forza muoviti, sono stufo di averti tra i piedi. Prima vi
incontrate, prima vi
innamorate, prima mi libererò di te”
“Gentile…” sussurrò Massimo
incamminandosi dietro di lui e grattandosi un’altra
volta.”
“Sì? Cosa vuoi?” domandò il
piccione.
“Niente perché?”
“Ma se mi hai chiamato?”
“Chi io?” chiese dubbioso Massimo.
“Hai detto Gentile”
“Sì l’ho tetto ma mi riferivo a
Gatto”
“Ah ecco pensavo stessi chiamando me”
“Ma il tuo nome non era impronunciabile?”
“Che ci posso fare se il gatto che mi tiene in bocca non sa
pronunciare la
parola Gentile”
“Quindi tu ti chiami così?”
“No”
“Ma scusa hai appena detto…”
“Cosa?”
“Credevo che ti chiamassi Gentile”
“Infatti mi chiamo così, è il mio
cognome”
“E invece il tuo nome qual è? Forse io riesco a
pronunciarlo”
“Mi chiamo: Grroorrrolflfllffllfllfry Truuurrruuuurrry
Frifillu con la u
finale, tanti si confondono e mi
storpiano il nome chiamandomi
Grroorrrolflfllffllfllfry Truuurrruuuurrry
Frifillo”
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Capitolo 4 *** La leggenda del pane cattivo ***
La leggenda
del pane
cattivo
“Ehi, un fornaio!
Fermiamoci a prendere da mangiare.” urlò
Massimo ad un tratto.
“Non se ne parla, siamo in ritardo sui tempi”
ringhio Gatto fissandolo di
sbieco.
“Ma ho una fame pazzesca, potrei morire prima di arrivare a
destinazione”
Così dicendo Massimo si avvicinò
all’entrata della bottega, con l’acquolina in
bocca e lo stomaco che brontolava come se fosse in tempesta.
“Ho detto no; comunque non lo vedi che la bottega
è chiusa?”
Il ragazzo lo ignorò, cercando di intravedere, da una
fessura del legno della
porta, se c’era qualcuno all’interno.
Era strano, pareva che nessuno fosse entrato per anni, data la polvere
che
regnava ovunque, però nell’aria era presente un
succulento odore di pane appena
sfornato.
Massimo spinse il volto ancora più vicino
all’intercapedine e fissò
imperterrito l’interno, mosso dal desiderio
impellente di mettere qualcosa sotto i denti.
“Io fossi in te non mi avvicinerei così tanto a
quella fessura… Potresti venir
risucchiato nella bottega e non riuscire più a
uscirne”
La voce alle sue spalle fece trasalire il ragazzo che, prontamente, si
voltò.
“Lei chi sarebbe?” sbottò, infastidito
dall’interruzione e anche irritato per
la fame.
“Non lo capisci da te? Sono un centurione” rispose
irritato l’uomo, picchiandosi
orgoglioso una mano sul petto e facendo risuonare l’armatura.
“Ah… Cosa diceva della fessura?”
“Dicevo che questo posto è pericoloso;
è infestato da spiriti maligni che
producono pane cattivo”
“Cattivo, significa che non è
commestibile?”
“Significa che è il miglior pane che tu potresti
mai assaggiare, solo che chi
lo produce è un mostro di malvagità e se mangerai
il suo pane tu ne diverrai
schiavo” proferì il centurione con la voce
più cupa e misteriosa che riuscì a
trovare.
“Quindi il pane è buono di sapore?”
“Sì, ma rischi la perdizione eterna!”
“Correrò il rischio, non sono certo di voler
rimanere una brava persona; sono
solo certo di avere molta fame!”
“Stolto, finirai per diventare un mostro immondo anche
tu”
“Ma mi scusi, lei come fa a essere certo che il proprietario
è un mostro?”
“Bhè, tutti lo sanno è veramente un
uomo malvagio e pieno di cattiveria”
“Capisco” borbottò Massimo ormai stanco
della conversazione, “Allora farò come
mi ha consigliato”
“Bene, sono felice di averti salvato”
“Sì, sì, grazie mille”
Il ragazzo aspettò che il centurione se ne andasse per la
sua strada e, appena
lo vide voltare l’angolo, si riappiccicò con la
faccia alla fessura del legno.
“Umm, che profumino”
“Avevi detto che te ne saresti andato”
miagolò il gatto esasperato.
“Sì, ma continuo ad avere fame e poi, magari il
panettiere è una persona
gentile… Mia nonna si è sempre raccomandata di
non fidarmi mai di quel che dice
la gente, generalmente sono solo cattiverie”
“Tua nonna è una specie di vestale o di
profetessa?”
“No, faceva la capotreno negli anni quaranta”
“E allora cosa la qualifica?”
“Non saprei, forse l’età”
“Io conosco esseri millenari che in fatto di saggezza stanno
a zero”
Massimo lo squadrò esasperato e infine decise:
“Fa nulla, io ho fame perciò ti conviene darmi una
mano per entrare perché
altrimenti da qui non mi sposto”
“Sai che ho graffiato a morte esseri umani per molto
meno?”
“Io credevo che tu diventassi pericoloso solo se in ballo
c’erano delle pulci”
“Oh no, credimi Gatto è irritabile anche se si
tratta di cappelli, di persone
egoiste o bugiarde e di fatti incresciosi”
“Cappelli?”
“Già, ma non chiedermi il perché, so
solo che diventa una furia” concluse il
piccione pensieroso.
“Ma hai mai visto come certa gente va in giro? Alcuni
cappelli sono un insulto
al buon gusto”
“Davvero?! Anche in questo periodo storico esiste la moda dei
cappelli strani
in stile Regina d’Inghilterra?”
“Scherzi?! Ovviamente sì, la piaga dei cappelli
orrendi è una iattura che
prosegue da millenni”
“Comunque sono certo che non mi ferirai a morte... Se lo
facessi il tuo lavoro
rimarrebbe incompleto perché non potresti farmi conoscere la
mia anima gemella”
Il felino lo fissò con le pupille strette ad un filo nero
ma, infine, si arrese
alla logica dell’uomo.
“Va bene, però restiamo solo lo stretto necessario
per prendere una pagnotta e
per farti trasformare in un mostro di malvagità!
D’accordo?”
“Ok”
Il gatto si allontanò per controllare se, sul retro, la
bottega aveva
un’entrata che non fosse sprangata mentre Massimo
tornò a sbirciare attraverso
le assi di legno.
Quando credeva ormai che sarebbe morto di fame sul selciato di una
stradina
della Roma imperiale, finalmente Gatto riapparve.
“Allora?”
“Cosa?”
“Hai trovato un’entrata?”
“Oh sì, è dietro”
“Bene muoviamoci, così prima mangio prima ci
avviamo verso il mio futuro”
“Non c’è fretta”
“Come?”
“Ho detto che puoi fare con calma”
“Ma se prima hai minacciato di uccidermi se mi
fermavo”
“Le cose cambiano”
“Sei criptico”
“No, mi sa che ha trovato una bella micia in
calore” interruppe l’uccello.
“Sul serio?” si sorprese Massimo, “E io
ora che faccio?”
“Vai a comprarti quel pane cattivo che
c’è nella bottega e mi aspetti, così
quando ho fatto ti raggiungo”
“Ok… ma sei sicuro che sia una cosa professionale
abbandonare il tuo protetto
proprio durante la missione?”
“Non saprei, sono un gatto non mi intendo di morale”
“Bella scusa”
“Che ci posso fare, mi vengono così, sono un gatto
dalle mille risorse. Allora
siamo a posto così: tu mangi e io mi faccio una sveltina con
quella soriano dal
pelo bianco”
“Ok… ma secondo me non è una cosa
carina da dire, bisogna essere rispettosi “
“Non saprei, sono un gatto non mi intendo di tatto”
“Con questa storia che sei un gatto te la cavi
sempre?”
“Generalmente sì”
Massimo scosse il capo e, senza aggiungere altro, si avviò
verso il retro
bottega sperando in cuor suo di non dover vendere l’anima per
un tozzo di pane.
Bussò alla porta subito dopo aver sentito un miagolio forte
e profondo e la
voce di Gatto che, di rimando, urlava:
“Oh sì, ci voleva”
“Chi è?” ringhiò una voce
dall’interno della bottega.
“Salve, vorrei acquistare del pane”
“Io non vendo pane”
“Ma come? Sull’insegna c’è
scritto fornaio e poi mi arriva al naso un
buonissimo odore di pane appena sfornato”
“Io sulla mia insegna scrivo quello che voglio. Questo
è un impero libero,
nessuno al mondo potrà impedirmi di fare ciò che
voglio nella mia bottega”
“Sì, ma il pane lo prepara vero?”
“Certo che lo preparo”
“Allora me lo vende?”
“No”
“Perché?”
“Perché, nessuno al mondo può capire
quanta arte metto per impastare, per far
lievitare e per cuocere ogni singola pagnotta. Nessuno è
degno di mangiare il
mio pane”
“Ma se non lo vende cosa ne fa?”
“Stupido! Lo mangio ovviamente”
“Ma vive solo di pane?”
“Sì, sparisci ora”
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Capitolo 5 *** Amore a prima vista ***
Amore a
prima vista
“Ehi? Te ne sei
andato?”
“…”
Il fornaio aprì la porta per accertarsi che
l’indesiderato ospite si fosse
eclissato, così Massimo ne approfittò per
infilare un piede tra lo stipite e il
battente.
“Fregato. Ora voglio del pane” disse il giovane
insegnate fissando poi gli
occhi in quelli dello scorbutico prestinaio.
“Col cavolo, piccolo bastardo. Piuttosto che dare il mio pane
hai porci
preferisco bruciare l’intera bottega”
“Lei è proprio scortese”
mormorò Massimo non riuscendo però a distogliere
lo
sguardo da quello corrucciato del fornaio.
Era un tipo robusto, sulla quarantina, gli occhi azzurri penetranti e,
in quel
momento, adirati, lo squadravano come se volesse ucciderlo da un
momento
all’altro. Per il resto era leggermente stempiato sui lati e
i capelli, ormai
brizzolati dall’età, erano tutti sporchi di bianco
per via della farina.
Massimo in quel momento pensò che quell’uomo fosse
magnifico.
Aveva sempre sentito parlare del colpo di fulmine ma non ci aveva mai
creduto;
adesso invece, sapeva perfettamente che quello sarebbe stato
l’uomo con cui
avrebbe passato il resto dei suoi giorni; che l’altro lo
volesse o no!
“Ho un tappeto” esclamò Massimo colto
dall’idea improvvisa di dichiarare
immediatamente il suo amore.
Se si era tanto fortunati nella vita di poter incontrare la propria
anima
gemella allora bisognava cogliere l’occasione al volo.
“E a me che me ne frega del tuo tappeto?”
“Se lo vuole glielo regalo”
“No, non mi piacciono i tappeti”
Il ragazzo sbuffò, era colpa di Gatto se aveva speso soldi
per acquistare
un’inutile tappeto! Si grattò nuovamente il
fianco, era come se qualcosa di
molto affilato gli graffiasse la carne.
“Hai le pulci?” domandò il fornaio
arretrando di un passo.
“No, no, non ho le pulci c’è solo
qualcosa qui che mi punzecchia da un po’ il
fianco” mormorò, cercando di capire cosa fosse a
dargli tanto fastidio.
“Comunque mi spiega perché non vuole un tappeto?
Glielo regalerei, in segno
della nostra nuova amicizia”
“Non siamo amici”
“Potremmo diventarlo”
“Impossibile”
“Perché?”
“A me non piace la gente e di certo non voglio avere amici.
Gli amici rompono
le scatole, ti girano intorno, pretendono di darti consigli, si
impicciano dei
fatti tuoi… Non gli amici sono una gran seccatura”
“Se vuole io sarei l’amico ideale”
“Cioè?”
“Non mi presenterei mai senza avvisare, non ti darei
consigli, non mi
interesserei della tua vita privata…”
“Ehi giovanotto, non mi pare di averti dato il permesso di
prenderti tanta
confidenza”
“Ma…”
“Niente ma, se non te ne vai giuro che ti infarino
tutto”
“Sarebbe una minaccia?!”
“Ovvio, forse non lo sai ma io sono il fornaio maligno e il
mio pane, così come
la mia farina, ti porterebbero alla dannazione eterna”
“Se fossi dannato sarei obbligato a passare con te il resto
dei miei giorni?”
“Non saprei, suppongo di sì”
“Ottimo, dove hai detto che è la farina?”
“Ehi, ti ho già detto che non voglio gente tra i
piedi, non mi piacciono le
persone… E comunque non è vero che la mia farina
è malefica lo dicevo solo per
spaventarti ma
purtroppo non ha
funzionato”
“Quindi non sei cattivo?”
“Sì che lo sono, per lo meno mio fratello va in
giro a dire così”
“Chi?! Il centurione?”
“Lo conosci?”
“Già, tipo piuttosto strano”
“Sì in famiglia lo siamo tutti. Pensa che mia
madre va in giro a regalare abiti
alla gente che incontra per strada”
“Davvero? Mi sa che ho conosciuto anche lei”
“Che cosa singolare, conosci praticamente tutta la mia
famiglia”
“ Io direi che è una cosa fantastica, pensa che a
tua madre sto molto
simpatico. Potremmo vivere insieme felici”
“A me piace vivere da solo”
“Ok, come preferisci allora potremmo vivere separati e
felici. Ci vedremmo solo
durante la giornata”
“E perché?”
“Bhè ovvio, quando capirai che siamo anime gemelle
di certo ci fidanzeremo”
“Noi non siamo anime gemelle, tu non mi piaci
neppure”
“Non ti piaccio? Potrei cambiare, cosa
c’è che ti irrita in me?”
“Tutto”
“Ah” disse solo mestamente Massimo, ma subito dopo
ritornò all’attacco.
“E se ti dimostrassi che posso rendermi utile?”
“Tu non potrai mai essermi utile, nessuno a questo mondo
è utile”
“Mettimi alla prova, se non ti soddisferò allora
rinuncerò a te e al nostro
grande amore”
“Io non ti amo”
“io sì invece e sono certo che se
insisterò riuscirò a farti cambiare idea!
Allora dimmi che prova devo superare”
“Ma che ne so!”
“Pensaci”
“Trovami un gatto che sappia parlare”
“Come?”
“Se vuoi ritirarti dalla gara quella è la porta.
Non immaginavi che mi venisse
in mente un’idea così perfida vero?”
“A essere onesti non speravo di essere così
fortunato” rise il ragazzo correndo
fuori dalla bottega.
“Gatto, Gatto” urlò correndo per i
viottoli stretti.
“Gatto, vieni fuori ho bisogno di te!”
“Piantala di urlare, cosa diamine vuoi” la voce
graffiante dell’uccello gli
arrivò da dietro un angolo.
“Ehi piccione, ma cosa ci fai fuori dalla bocca di
Gatto?”
“Mi ha sputato durante il secondo orgasmo che ha
avuto”
“Sarai contento ora”
“Non saprei, mi ci ero abituato a quella situazione ora mi
sento sperso senza
quel felino rompiballe”
“Capisco cosa intendi, io ho trovato l’amore della
mia vita e se dovessi
perderlo di certo mi si spezzerebbe il cuore”
“Hai trovato il protetto di Gatto?”
“Non lo so, so solo che ho trovato la mia anima
gemella”
“E’ come lo volevi? Insomma, dolce sensibile e
altruista?”
“Sì, è anche meglio di come lo
immaginavo”
“Ah l’amore che bella sensazione!”
miagolo canticchiando il gatto da un tetto.
“Gatto!” esclamarono in coro Massimo e
l’uccello.
“Vieni presto ho bisogno di te!”
“Perché mai? Ormai hai trovato il tuo futuro
perciò il mio compito è finito”
“Il mio futuro vuole conoscerti”
“Oh che dolce, gli hai parlato di noi?”
domandò il piccione con occhi
luccicanti d’emozione.
“Più o meno. Gatto verrai?”
“Sì certo, tanto per oggi non ho altri
impegni”
“Fantastico” esultò Massimo correndo a
perdifiato verso la bottega, seguito
subito a ruota dal felino e dal piccione.
“Chi è?” la voce dietro la porta della
bottega rispose con il solito tono
scorbutico.
“Sono io”
“Non conosco nessun io”
“Sono Massimo”
“Ne so quanto prima”
“Sono la tua anima gemella”
“Tze”
“Sono quello del gatto parlante”
“Ah, potevi dirlo subito” sbuffò il
fornaio aprendo il battente.
“Eccomi, ti sono mancato?” chiese il ragazzo e con
slancio lo baciò sulla
bocca.
“Puah, bava”
“Ecco qui! Gatto ti presento fornaio, fornaio ti presento
Gatto”
“Ma davvero questo tizio si chiama fornaio di
nome?” chiese il felino basito.
“Non saprei, ancora non gliel’ho domandato come si
chiama” sussurrò Massimo in
imbarazzo.
“Ehi, quel gatto parla davvero!”
“Ovvio che parlo, non eri tu che mi volevi
conoscere?”
“Sì, sì”
“Allora, tu davvero ti chiami fornaio di nome?”
“Ovviamente no, io di nome mi chiamo Pane” rispose,
indignato per la domanda,
il fornaio.
“Oh che nome affascinante” decretò
Massimo con voce dolce.
“Non capisco cosa ci trovi in questo tizio”
replicò piccione.
“E’ perfetto”
“Gatto senti, ma era questo tizio l’anima gemella
che avevi scelto per Massimo
fin dall’inizio?”
“No, l’uomo che dicevo io di mestiere faceva il
pescatore” rispose il gatto
leccandosi i baffi al solo pronunciare la parola pesce.
“Quindi lo facevi solo per un tuo secondo fine!”
recriminò il piccione.
“Forse” nicchiò il gatto ma per chiudere
il discorso aggiunse “Comunque ormai
non ha grande importanza guarda come sono felici insieme”
Massimo cercava di abbracciare Pane mentre quest’ultimo,
tentava di scappare
mettendosi in salvo dietro il bancone sporco si polvere e farina.
“Se lo dici tu” rispose piccione perplesso.
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Capitolo 6 *** Regalo di fidanzamento ***
Regalo di
fidanzamento
“Lo avevi
promesso”
“Lo so, ma solo perché ero certo che non avresti
mai trovato un gatto parlante”
“L’ho trovato”
“Me ne sono accorto”
“Mi dai un bacio… con la lingua?”
“Sei un ragazzo piuttosto insistente e anche
petulante”
“Se mi baci anche tu ti innamorerai di me”
“Perché mi farai un maleficio?”
“No, non mi serve la magia, io bacio da dio”
“Da dio? Mi hai incuriosito, proviamo”
acconsentì Pane.
Massimo non aspettava altro, si fiondò addosso al fornaio
talmente
violentemente che in un istante si trovarono sdraiati sul pavimento.
Il ragazzo si impossessò della bocca del suo innamorato,
succhiando e mordendo
come se fosse la cosa più piacevole che avesse mai fatto, e
forse era proprio
così.
Quando finalmente Pane si convinse a lasciarsi andare e ad aprire la
bocca,
Massimo insinuò la sua lingua nella cavità del
partner quasi soffocandolo per
l’irruenza che ci aveva messo.
Dopo alcuni minuti si separarono e subito il giovane insegnate
domandò:
“Allora? Sono bravo?”
“Sì molto. Però la prossima volta
preferirei farlo senza che tu mi toccassi”
“Non so se si può fare”
“Bhè trova un modo di baciarmi con il minore
contatto fisico possibile, non mi
piace essere toccato”
“D’accordo vedrò di fare come
vuoi” rispose Massimo entusiasta e al settimo
cielo per la gioia.
“Dunque adesso che si fa?”
“Vuoi fare sesso. Sarebbe una bella cosa”
“No, il contatto fisico non mi piace”
“Capisco”
“Quindi adesso siamo fidanzati”
“Certo amore mio”
“Non chiamarmi così”
“Come desideri Panino”
“Non chiamarmi così”
“Ok, Pane va bene?”
“Pane è il mio nome, perciò suppongo
possa andare bene; però non usarlo troppo
che me lo sgualcisci”
“Ogni tuo desiderio è un ordine per me
amor… Pane”
“Dov’è il mio regalo?”
“Regalo?”
“Sì siamo fidanzati e sei stato tu a volermi
incastrare in questa idiozia
stratosferica, perciò mi devi un regalo di
fidanzamento”
“Ho perso il tappeto”
“Non voglio un tappeto”
“Meglio, perché l’ho perso. Anche se non
capisco come ho fatto era un tappeto
grande”
“Non voglio un tappeto”
“Cosa desideri?”
“Voglio uno spillo”
“Spillo?”
“Sì, sai quelle cose che servono per tenere fermi
i vestiti prima di cucirli”
“Ma… tua mamma non è una
sarta?”
“Sì”
“Perché non lo chiedi a lei?”
“Perché lei li usa per lavorare… Io non
darei mai la mia farina a mia madre,
non la darei a nessuno comunque”
“E cosa te ne fai di uno spillo?”
“Li colleziono”
“Ma non sono tutti uguali?”
Pane fissò il suo novello fidanzato con sguardo indignato e
l’altro capì subito
di averlo offeso.
“Scusami, Pane non volevo ferirti” tentò
di rimediare Massimo.
“Sei un fidanzato davvero ignorante. Chiunque sa che
collezionare spilli è un
lavoro da intenditori.”
“Certo” annuì il ragazzo riprendendo a
grattarsi il fianco.
“Hai le pulci”
“Non è vero”
“E’ da quando ti conosco che non fai altro che
grattarti”
“Mi gratto da quando tua madre mi ha fatto questo
vestito”
“Magari lei aveva le pulci e te le ha passate. E’
per questo che non mi
piacciono le persone, portano solo guai e fastidi”
Massimò accennò un accondiscendente e innamorato
sì con la testa mentre
infilava la mano sotto la veste per cercare finalmente di trovare il
motivo di
tutto quel fastidio.
“Forse ci sono” borbottò mentre
afferrava qualcosa di stretto e appuntito in un
angolo del vestito.
“Cos’è? Una pulce?”
“Non ho le pulci” e nell’affermare la il
concetto per l’ennesima volta Massimo
estrasse la mano, stringendo tra le dita un piccolo pezzo di ferro
appuntito.
“Ma è…” mormorò
Pane estasiato e quasi senza fiato.
“Uno spillo, tua madre deve averlo scordato”
Quasi non fece in tempo a finire la frase che Pane gli si
gettò addosso e
iniziò a baciarlo con trasporto senza curarsi di quanto
contatto fisico
indesiderato ci fosse tra loro.
“Amore mio, mio unico e splendido fidanzato”
balbettava il fornaio tra un bacio
e l’altro, “Ti amo, tu sei la mia anima
gemella”
A quelle ultime parole Massimo ricambiò con trasporto
baciandolo a sua volta.
Quando finalmente si staccarono il fornaio tese la mano:
“Cosa c’è?”
“Lo spillo, è mio giusto? E’ il mio
regalo di fidanzamento!” rispose entusiasta
Pane.
“Oh…sì certo ecco qui. Con tutto il mio
amore”
“Anche io ti amo! Non posso ancora crederci è uno
spillo fantastico, unico nel
suo genere. Guarda come la struttura è piegata, segno della
molta usura del
tempo… e guarda qui, ruggine!” il fornaio era
incontenibilmente entusiasta.
“Mi verrà il tetano” mugugnò
l’insegnante un po’ preoccupato.
“E’ un dono stupendo”
“Sono contento che ti piaccia”
“Bene direi che per ricambiare il tuo incredibile regalo di
fidanzamento dovrò
fare un gesto altrettanto nobile e disinteressato”
“Cosa pensi di regalarmi?”
“Ti farò assaggiare un pezzo del mio
pane” asserì orgoglioso Pane.
“Sul serio?”
A quella dichiarazione Massimo sentì nuovamente i morsi
della fame
attanagliargli lo stomaco; preso com’era dall’amore
si era scordato del suo
appetito, ma sentire menzionare il pane lo fece ritornare subito
consapevole.
“Ecco qui. Un pezzo per te e un pezzo per me”
“Grazie infinite, questa è la cosa più
bella che chiunque abbia mai fatto per
me”
“Ti amo”
“Ti amo anche io”
“Bene mangiamo, sono certo che ti innamorerai del mio
pane”
Senza più esitare, tenendosi per mano, addentarono entrambi
il pezzo di pane.
“Ummm, è buonissimo, una vera delizia”
dichiarò entusiasta l’insegnante.
“Te lo dicevo che era buon… Ehi un attimo ma che
fine ha fatto la mia bottega?”
I due erano seduti su una panchina nel cortile della scuola dove
insegnava
Massimo.
“Siamo tornati nel mio tempo”
“Dove siamo?”
“A casa mai”
“Che fine ha fatto la mia bottega e la mia farina e il mio
pane?”
“Non ti preoccupare, creeremo una nuova bottega qui, e ti
darò tutto quello che
ti serve; avrai farina, pane e potrai trattare male tutti quelli che
verranno
da te per comprare i tuoi prodotti”
“Lo giuri”
“Certo Pane, sarà tutto come nel tuo
tempo”
“Oh no! I miei spilli, i miei adorati spilli, come
farò senza di loro?”
“Tranquillo, in questo secolo gli spilli abbondano, nel giro
di pochi giorni
avrai una collezione splendida”
“Sul serio?!”
“Certo non ti mentirei mai amore”
“Allora credo che adorerò vivere qui”
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Capitolo 7 *** Epilogo ***
Epilogo
In
Canada, sulle rive di un tranquillo laghetto, aveva
la propria casa un giovane ragazzo di nome Martin. Se ne viveva in pace
e
solitario nel mezzo della natura.
La casa era piccolina senza soffitto e senza cucina ma era bella
davvero e nel
giardino, c’erano tantissimi fiori di lillà
profumati.
Poco più avanti, delle enormi vasche prendevano acqua dal
lago per permettere
ai pesci rossi di Martin di vivere una vita altrettanto serena.
L’esistenza di Martin e dei suoi duecento tredici pesci rossi
scorreva senza
grossi scossoni. Tutte le ragazze del paese ogni giorno andavano a
fargli
visita per lodare le meraviglie della sua dimora.
Era una casa molto carina, non si poteva entrarci dentro
perché non c’era il
pavimento ma per il resto era decisamente abitabile.
Martin oltre ad accudire i pesci rossi coltivava anche fiori di
lillà,
coltivava solo quella specie perché si intonava al colore
dei muri della casa.
Con i fiori ormai maturi intrecciava tante sedie. Le sedie di
lillà realizzate
da Martin erano rinomante in tutto il paese e anche in una piccola
parte degli
Stati Uniti.
Come già detto in precedenza, la vita di Martin trascorreva
in pace e letizia
fintanto che, un giorno, la sua splendida casa, il suo più
grande motivo
d’orgoglio, prese misteriosamente fuoco.
Bruciò completamente dalle fondamenta al tetto, anche se non
c’era, e Martin si
ritrovò da un giorno all’altro senza nessun posto
dove andare.
Però il buon ragazzo, intagliatore di sedie di
lillà e allevatore di pesci
rossi era un uomo dalla tempra forte, perciò riprese in mano
i progetti della
casa e senza lamentarsi si rimise a costruirla.
Ci vollero quaranta giorni e quaranta notti, periodo in cui piovve
sempre, ma
finalmente la casa tornò a ergersi di nuovo in piedi.
Quando la notizia si sparse, tutte le ragazze del villaggio si
organizzarono
per andare ad ammirare la nuova dimora.
Tutte affermarono all’unanimità che fosse una casa
splendida. Era molto carina,
senza soffitta e senza cucina e, anche se non si poteva entrare dentro
perché
non c’era il pavimento, era bella, bella davvero.
Martin, ormai tranquillo, riprese la sua solita esistenza senza
più
preoccuparsi della brutta disavventura che lo aveva colpito.
Purtroppo una notte l’odore di bruciato lo destò
dal suo sonno e si accorse con
sgomento che la casa era nuovamente in fiamme.
A nulla valse l’impegno di tutti i pesci rossi, che avevano
iniziato a
spruzzare acqua sulle fiamme, la povera abitazione, nel giro di poche
ore si
ridusse in cenere.
Questa volta le autorità iniziarono le indagini, per trovare
quale fosse la
causa di quella seconda devastazione.
Nonostante il dolore, per la seconda perdita della sua splendida casa,
Martin
si rimboccò nuovamente le maniche e con grande fatica
ricostruì ancora una
volta la sua dimora.
Ripiantò anche tutti i fiori di lillà e la vita
parve riprendere il suo corso.
Le ragazze tornarono nuovamente e con entusiasmo asserirono che quella,
era la
più bella casetta con fiori di lillà di tutto il
Canada.
Il terzo incendio venne accolto con molto mormorio, poca
solidarietà e tante
chiacchere.
C’era chi sosteneva che gli incendi fossero stati provocati
dallo stesso
ragazzo, per frodare l’assicurazione, ma erano per lo
più male lingue.
Un’altra versione, quella che prese più piede,
attribuì i nefasti gesti ad
opera di un certo Pinco Panco, ex amante di Martin.
Geloso, si vociferava che avesse incendiato per ben tre volte la casa
di Martin
perché non sopportava di non potervi più vivere
dentro insieme al suo grande
amore.
Comunque tutto rimase un mistero irrisolto dato che le indagini vennero
abbandonate perché il buon Martin, stanco di quella vita,
decise di prendere
tutti i suoi pesci rossi e tutti i suoi fiori e di trasferirsi in un
posto meno
pericoloso.
Ricostruì la casa in Alaska ma vi apportò qualche
modifica: mise tetto e
pavimento, visto che in inverno si
toccavano i meno quaranta gradi, non invitò più
nessuna ragazza, dato che i
fiori di lillà non potevano crescere in quel luogo.
I suoi duecento tredici pesci vennero
messi nel congelatore della cucina, visto che decise di costruire anche
quella,
e smise di frequentare uomini psicopatici che si sarebbero potuti
trasformare
in futuri piromani.
Visse felice, per lo meno così si narra.
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