L'uccello, il gatto e la collezione di spilloni

di NonnaPapera
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Come tutto ebbe inizio ***
Capitolo 2: *** Il migliore amico dell'uomo ***
Capitolo 3: *** Il regalo adatto ***
Capitolo 4: *** La leggenda del pane cattivo ***
Capitolo 5: *** Amore a prima vista ***
Capitolo 6: *** Regalo di fidanzamento ***
Capitolo 7: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Come tutto ebbe inizio ***


Come tutto ebbe inizio

Quella merendina era di certo avariata!
Il sapore era ottimo e anche la scadenza sulla carta indicava una data lontana però, l’unica spiegazione logica rimasta era che fosse tutta colpa della brioches.
Saltò di lato, per evitare una biga che correva per la strada di terra battuta; in storia non era mai stato un asso però era quasi certo di trovarsi nell’antica Roma.
Pochi minuti prima era seduto nel giardino della scuola, intento a fare la pausa pranzo assieme ai sui colleghi insegnati; un secondo dopo si ritrovava lì, spaesato e fuori posto in una situazione che neppure riusciva a concepire.
Maledetta merendina!
Il problema, ora, era come tornare a casa! Dubitava fortemente di  trovare un distributore automatico da poter saccheggiare, nella speranza di riuscire a scovare uno snack che lo riportasse al suo tempo.
“Vorrei tanto sapere, perché sei così convinto che sia colpa della brioches che hai mangiato!”
La voce arrivava dalle sue spalle, più precisamente sopra la sua testa, così si voltò e fissò il cielo in cerca del nuovo venuto.
“Più in basso sciocco, non sono un angelo!” sbottò il gatto visibilmente alterato.
“Chi dovresti essere tu?”
“Sono un gatto… cos’è sei cieco o solo stupido?”
“A casa mia i gatti non parlano” tentò di difendersi Massimo leggermente offeso.
“Sì, che parliamo! Semplicemente nessuno si è mai degnato di rivolgerti la parola, Non sei propriamente un interlocutore interessante”
“Capisco, siete una specie spocchiosa e maleducata a quanto pare1”
“Fossi in te io non lo insulterei. Se si arrabbia non ti farà tornare nel tuo tempo, anche se non sono certo che sia stato lui a portarti qui”
“Chi ha parlato?”
“Ehm, sono qui dietro, almeno in parte”
Il gatto si voltò di lato e Massimo poté notare un’ala d’uccello, probabilmente di piccione, che sbucava dalle sue fauci.
“Ma che roba è?”
“E’ il mio pranzo” rispose semplicemente il gatto con aria di superiorità.
“Ti piacerebbe, brutto mostro peloso!” ribatté la voce di prima, proveniente dalla gola del felino.
“Allora?! Io sto perdendo la pazienza. Qualcuno si degna di dirmi che diamine sta succedendo?”
“Secondo te, vuole sapere cosa ci faccio nella tua bocca o vuole solo sapere cosa ci fa nell’antica Roma?”
“Non saprei, io direi che vuole sapere perché non ti ho mangiato!”
“Va bene, ti rispondo io. Dunque, un giorno me ne stavo tranquillo a beccare dei chicchi di grano quando, a un certo punto, mi sono sentito sovrastare da un’ombra scura. Per farla breve era il gatto qui presente, che mi stava saltando addosso per mangiarmi; è riuscito ad ingoiarmi ma non del tutto, perché mi sono arpionato con una zampa al suo palato. Sono mesi ormai che siamo in questa posizione di stallo”
“Non me ne frega niente del perché sei nella sua bocca. Voglio sapere cosa ci faccio qui e soprattutto come fare ad andarmene!”
“Un pochetto irritabile il ragazzo non trovi?”
“Sì, pare anche a me! Sei sicuro che sia il tipo giusto?”
“Ehi pennuto, sei nella mia bocca da mesi ma questo non ti autorizza a mettere il becco nel mio lavoro”
Massimo fissava la diatriba esasperato e anche, decisamente affamato. Se non si fosse trovato catapultato in quel luogo, di certo, a quell’ora sarebbe stato in procinto di mangiare un panino.
Si guadò intorno in cerca di un bar o di qualcosa che potesse assomigliargli.
“Dove credi di andare umano? Non sei qui in gita turistica, ti ho condotto in questo tempo per un motivo” urlò il gatto, quando si accorse che Massimo si stava allontanando.
“Ho fame, mi cerco qualcosa da mettere sotto i denti”, così dicendo riprese a camminare ignorando bellamente le urla del gatto.
Aveva adocchiato un panettiere quando il gatto saltò dal cornicione e gli si parò davanti.
“Non è il momento di mangiare… seguimi ti porterò dalla tua anima gemella”
“Anima gemella?” mormorò Massimo confuso.
“Già!”
“Scusa ma di che parli?”
“Mi riferisco alla persona di cui ti innamorerai follemente e con cui passerai il resto dei tuoi giorni”
“Qui?!”
“Bhè, non necessariamente, se lui vorrà si potrà trasferire nel tuo tempo… Ma questi sono dettagli che dovrete discutere tra voi io sono solo il tramite”
“Ehi un momento! Io non voglio un Lui, voglio una Lei!”
“Sciocchezze! Faccio questo lavoro da secoli, so bene cosa ci vuole per te”
“ E che lavoro sarebbe?”
“Accoppia le persone” si intromise il piccione.
“Esatto, l’uccello ha detto bene. Io accoppio le persone”
“Cioè?”
“Secondo me è un po’ toccato” mormorò il piccione.
“Hai ragione, anche a me non pare un tipo troppo sveglio” poi, rivolgendosi a Massimo, il gatto continuò: “Io sono l’essere che aiuta gli umani a trovare l’amore”
“Una specie di Cupido insomma”
“Cupido? Ti riferisci a quel bimbetto con il pannolino armato di frecce?”
“Esattamente”
“Cupido non esiste! E’ solo una vostra invenzione, anche se non capisco perché mai abbiate associato il mio lavoro alla figura di un moccioso” sbottò irritato il gatto.
“Bhè… non saprei, forse perché i bambini sono carini”
“Carini?! Urlano, piangono, vomitano, si fanno i loro bisogni addosso… No, caro mio sei fuori strada; i gatti sono carini, non i bambini”
“Umm, ok se lo dici tu”
“Bene, ora che abbiamo chiarito tutto direi che è il caso di avviarsi. Tra poco incontrerai il tuo futuro” concluse il gatto con tono solenne.
“D’accordo, però prima ci fermiamo a mangiare qualcosa”
“Mangiare? Ma ti pare il momento?” domandò il piccione intromettendosi nuovamente nella conversazione.
“Zittò tu! L’umano ha ragione; ogni momento è buono per mettere qualcosa sotto le zanne”
“No, no e no. Dimentichi forse che la mia faccia è conficcata nella tua gola? Ogni volta che inghiotti qualcosa tutto il cibo mi si riversa addosso… Forse non lo sai, ma è una cosa decisamente disgustosa”
“Sono fatti tuoi, se tu ti lasciassi finalmente inghiottire tutta questa situazione finirebbe”
“Oh sì, ottimo consiglio il tuo; non ti lascerò campo libero per mangiarmi!”
“Come vuoi, però non lamentarti” concluse il gatto iniziando poi a guardarsi intorno preoccupato.
“La pianti di scuotere la testa, stupido gatto!”
“Ho perso il mio protetto” biascicò spaesato il felino, “E ora che cosa faccio?” mormorò preoccupato.
“Suvvia ti abbatti per un nonnulla; cercalo, di certo non sarà andato troppo lontano”
“La fai facile tu, ma che ne vuoi capire? Sei solo un uccello mezzo masticato”
“Complimenti, continua a insultarmi, così il mio aiuto te lo scordi”
Il gatto continuò a guardarsi in giro per alcuni istanti, infine si arrese e borbottò:
“D’accordo, mi arrendo! Scusa se ti ho maltrattato, adesso potresti dirmi dove posso trovare quell’umano incosciente?”
“Così, va meglio” gongolò il piccione, “Non ne sono certo, ma credo sia andato a mangiare…”
Il gatto non si prese neppure la briga di rispondere, annusò l’aria e poi si mise a correre veloce.


PICCOLO SPAZIO PRIVATO:
Rieccomi dopo eoni di assenza con una storia a capitoli, questo racconto riunisce le mie due passioni: lo slash e il nonsense.
Non aspettatevi di capirci qualcosa è solo un esperimento partorito per partecipare a due contest contemporaneamente: quello di Eylis per gli Original Concorsi ( Lala e il Gatto) e quello di Aborted per Original character yaoi   (Rivelazione!)
Spero che comunque l'idea possa incuriosirvi e come al solito vi invito a lasciare il vostro parere^^

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Capitolo 2
*** Il migliore amico dell'uomo ***



Il migliore amico dell’uomo

“Io direi che il rosso le starebbe decisamente bene!” esclamò entusiasta la donna battendo le mani felice.
“Signora, glielo ripeto:  non voglio una tunica, voglio del pane” ribatté Massimo al limite dell’esasperazione.
“Senti giovanotto, forse sei un povero liberto senza soldi, però non puoi andartene in giro in mutande, finirai per farti arrestare”
Massimo si fissò i vestiti che aveva addosso e in particolare osservò i pantaloni aderenti di colore bianco perla.
“Questi non sono mutande, sono pantaloni!”
“Non so cosa voglia dire pantaloni ma, tu hai urgente bisogno di un vestito. Non puoi girare per la capitale conciato in quel modo assurdo”
“Ma perché insiste? Voglio solo mangiare”
“Oh, che sciocca. Hai ragione, devi essere affamato; povero come sei non avrai monete neppure per comprarti un tozzo di pane”
Massimo sollevo un sopracciglio, ma dato che la versione della donna si avvicinava di molto alla verità decise di non scendere in particolari.
“Sì, è esattamente come dice lei”
“Non preoccuparti ti aiuterò io”
“Mi darà da mangiare?”
“No! Ti creerò un bel vestito, così potrai cercarti un lavoro onesto e comprarti tutto il cibo che vuoi.”
Massimo scosse la testa frustrato; aveva fame, il fuso orario tra un secolo e l’altro doveva essere molto, infatti gli pareva di non mangiare da decenni.
Purtroppo quella donna si era avvinghiata a lui come un koala su un albero, perciò l’idea di scappare non era neppure lontanamente contemplabile.
“Allora dimmi come la vuoi la veste?” riprese insistente la donna.
“Non saprei non mi intendo di queste cose”
“Un bel porpora, secondo me ti starebbe d’incanto… Anche se devo dire che sei un pochino palliduccio. Dovresti mangiare di più sai?”
“Ma…” Massimo stava per urlare di frustrazione ma la signora imperterrita riprese:
“Sai, ho della seta bellissima che mi è arrivata da poco, credo che sulla tua carnagione sbiadita ci starebbe a meraviglia”
“Come vuole lei”
“Bene allora che seta sia!” decretò entusiasta la sarta.
“Ehi un momento”
“Cosa c’è, hai cambiato idea?”
“Ma in questo periodo storico la seta non ci dovrebbe ancora essere o sbaglio?”
“Non capisco cosa stai dicendo”
“Insomma, Marco Polo, le Indie e la seta… Non ci dovrebbe essere un simile materiale, per lo meno credo” mormorò confuso.
“Non capisco cosa stai dicendo”
“Sto dicendo che nessuno ha ancora portato dalle Indie la seta”
“Non capisco cosa stai dicendo”
“Ma… Uff ci rinuncio”
“Meno male, cominciavo a pensare che ti mancasse qualche rotella” sbottò la donna e poi si infilò nel retro bottega a trafficare tra le stoffe.
Dopo alcuni minuti né uscì tutta trionfante ed entusiasta.
“Guarda qua, mi ero dimentica di avere due tonalità di rosso. Cosa preferisci, rosso vinaccia o rosso pomodoro?”
“Forse il rosso pomodoro è un po’ troppo accesso” mormorò Massimo perplesso.
“Dici? Mi sa che hai ragione. Bene allora vada per un vestito di seta rosso vinaccia”
“Ehi un momento”
“Cielo di nuovo? Se è ancora per la storia della seta, ti ripeto che non so di cosa stai parlando!”
“Ma in questo periodo storico i pomodori non dovrebbero essere ancora conosciuti o sbaglio?”
“Non capisco cosa stai dicendo”
“Insomma, Cristoforo Colombo le Americhe e i pomodori…Non ci dovrebbe essere una simile cosa, per lo meno credo”
“Non capisco cosa stai dicendo”
“Sto dicendo che nessuno ha ancora portato dalle Americhe il frutto di pomodoro”
“Non… Un momento ho capito cosa intendi!”
“Davvero?!”
“Certo, il fatto è che ti confondi ragazzo, il pomodoro non è un frutto”
“Sì, lo è”
“No, non lo è”
“Sì, lo è”
“No, non lo è”
“Sì, lo… Senta signora, con tutto il rispetto, sono certissimo che i pomodori siano un frutto, molti credono erroneamente che siano ortaggi, però mi creda sono frutti!”
“Ortaggi, frutti… Povero caro, tutti quegli anni di schiavitù devono averti menomato il cervello”
Massimo incrociò le braccia e la fissò torvo, riflettendo sulla possibilità di strangolarla. Commettere un omicidio in un secolo differente dal suo sarebbe stato ugualmente reato?
La donna, incurante dell’espressione del suo interlocutore, continuò come se nulla fosse.
“Lo sanno tutti che il pomodoro è una tonalità di colore rosso e prende il nome dal migliore amico dell’uomo”
“Dal cane?”
“Cane? Chi ha mai parlato di cani!? Ho detto il migliore amico dell’uomo, ovvero la coccinella”
“E da quando la coccinella è il migliore amico dell’uomo?”
“Da sempre!”
“Perché?”
“Giovanotto ma dove sei stato per tutto questo tempo? Pare che tu venga da un altro pianeta” sbuffò la donna esasperata e poi riprese:
“La coccinella e dolce, carina, fedele, piccola e soprattutto porta fortuna. Ogni uomo ha bisogno, nella vita, di quanta più fortuna riesce a racimolare, ecco perché la coccinella è il miglior amico dell’uomo!” concluse fiera di sé la donna.
Massimo soppesò l’ultima frase per alcuni attimi, in fondo il ragionamento non faceva un grinza, perciò decise di lasciar perdere l’argomento e si posizionò al centro della sartoria per permettere alla sarta di confezionargli finalmente il vestito.
Erano ormai passate diverse ore, ore nelle quali il povero stomaco di Massimo non aveva fatto altro che brontolare sulla scarsa capacità del padrone di procacciarsi del cibo.
“Bene ragazzo, devo dire che la veste è uscita proprio bene” mormorò la donna mentre, con occhio critico, girava tutto intorno alla figura di Massimo per scrutarne ogni particolare e per togliere, uno a uno, gli spilli che erano serviti a imbastire il lavoro.
“Sembri quasi un patrizio, se avessi una figlia da maritare te la farei conoscere. In fondo, anche se sei un liberto sei un gran bel pezzo di Giulio Cesare”
“Come?”
“E’ un modo di dire, significa che sei molto prestante!”
“Ma, non si diceva Marcantonio?”
“Come? Mai sentito. Comunque vuoi mettere Cesare con Marco Antonio? Tra i due il più affascinate era di certo Giulio Cesare!”
“Ma, non era un tipo mingherlino basso e pelato?”
“Tutte sciocchezze” si alterò la donna in preda all’ira “Quello che dici sono solo frasi vuote, create dai suoi avversari politici per fargli fare cattiva figura alle elezioni! Pubblicità negativa”
Massimo stava quasi per ribattere quando una voce, ormai nota, alle sue spalle lo apostrofò con cipiglio irritato.
“Ah eccoti qui, brutto ingrato! Ti ho cercato per ore in ogni angolo della città. A furia di camminare credo di aver pure perso una delle mie nove vite”
“Gatto, piccione! Come sono felice di rivedervi”
“Visto che ti dicevo? Bastava cercarlo, alla fine lo abbiamo trovato” esultò il piccione sbattendo l’ala.
“Sì, ma non grazie a te. Mi avevi detto di cercarlo in tutti i fornai della capitale e io mi sono consumato gli artigli a furia di correre qua e là!”
“Il solito ingrato” sbottò  l’uccello.
“Forza andiamo, abbiamo perso già troppo tempo”.


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Capitolo 3
*** Il regalo adatto ***


Il regalo adatto

“Senti, ho un dubbio che mi assale da quando sono finito qui e ti ho conosciuto”
“Quale?”
“Ma tu ce l’hai un nome?”
“Certo, mi chiamo Gatto”
“Gatto? Non mi pare un nome molto originale”
“Sì, lo penso anche io, ma che vuoi farci a mia madre piaceva”
“A te invece come sarebbe piaciuto chiamarti?”
“Ho sempre adorato G come nome”
“G? Solo una lettera? Non preferisci qualcosa di più elaborato?”
“ Perché mai dovrei preferirlo, noi felini non siamo contorti come voi umani. I nostri nomi hanno poche varianti, ci si può chiamare: Gatto, Gatto I, Gatto II, Gatto III, G, G I, GII, G III, Miao, Miao I, Miao II, Miao III oppure Vercingetorige, Vercingetorige I, Vercingetorige II, Vercingetorige III”
“Vercingetorige è un nome molto complesso”
“No, non è vero”
“Sì, è vero”
“No”
“Sì”
“No, non è complesso; voi umani avete una bella faccia tosta, pensate sempre di sapere tutto. Cosa vuoi capirne tu di nomi gatteschi se fino a poche ore fa neppure sapevi che i gatti parlano?”
“Gatto ha ragione, sei un po’ arrogante” si intromise il piccione.
“Va bene, avete ragione voi! Invece tu piccione? Come ti chiami?”
“Io mi chiamo…”
“Oh lascia perdere, io convivo con lui da un sacco di tempo e ancora non ho capito come fare a pronunciare il suo nome”
“Capisco. Bene, allora che si fa adesso? Mi porti a conoscere la mia anima gemella?”
“Ma tua madre ti ha tirato su veramente maleducato!”
“L’uccello ha ragione; cosa credi? Di poterti presentare a casa delle persone senza neppure portare un pensierino? Che cafone!”
“Scusate, non ci avevo pensato”
“Sì, lo avevamo capito”
“Allora cosa posso comprare?”
“Non saprei devi decidere tu, in fondo si tratta della tua di anima gemella, mica della mia! Se fosse la mia saprei cosa portare in dono”
“Ma io questo tizio manco lo conosco. Anzi, ora che ci penso, tu neppure sai quali sono i miei gusti. Passi che hai deciso di accoppiarmi con un Lui anziché con una Lei ma, se neppure ti dico come mi piacerebbe che fosse, tu come fai a sapere se quella che hai scelto è la persona adatta a me?”
“Ok, allora dimmi cosa ti piacerebbe” sospirò il gatto rassegnato.
“Dunque per prima cosa il carattere.”
“Forza parla che altrimenti si fa notte!”
“Vorrei un uomo dolce, che sappia apprezzare l’affetto e l’amore che gli donerò ogni giorno. Un uomo amabile, che trovi conforto nel calore famigliare e che sia attivo nella comunità. Un uomo giusto, che sappia sempre distinguere tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, e che nonostante le difficolta scelga sempre la strada dell’onestà.”
“Solo? Niente altro?”
“Bhè, se poi penso all’aspetto fisico, direi che mi piacerebbe fosse più giovane di me. Non di molto, io ho trentaquattro anni e mi piacerebbe che ne avesse circa venticinque o ventisei.”
“Altro?”
“Umm, no è tutto!”
“Bene! Sono felice che abbiamo fatto questa chiacchierata”
“Allora, quella che mi vuoi presentare è la mia anima gemella?”
“Sì”
“E corrisponde in tutto e per tutto alla descrizione che ti ho fatto?”
“No”
“Ma…”
“Senti, te lo ripeto, il mio lavoro è quello di accoppiare gli umani. Non sarà di certo uno come te a farmi dubitare delle mie capacità”
“Uffa, sei il peggior Cupido che mi potesse capitare”
“Ah no, credimi, lui è gentile. Tempo fa ho conosciuto alcuni suoi colleghi… erano dei cani” disse l’uccello intromettendosi nella conversazione, dato che gli altri due parevano essersi scordati della sua presenza.
“Sono così cattivi?” domandò Massimo preoccupato.
“Cattivi? No, semplicemente ho detto che Gatto è gentile e che i suoi colleghi sono cani”
“Ma se sono cani…”
“Cosa ti riesce difficile da capire?” miagolò il gatto irritato, “Sono cani, abbaiano, si leccano il sedere, si rincorrono la coda e scodinzolano!”
“Sai che avevi ragione? Questo umano è davvero esasperante”
“Lo so uccello ma bisogna pazientare fintanto che non concluderò il mio lavoro”
“Hei, io… Oh fa niente, dimmi solo cosa devo comprargli!”
“Ancora? Non lo so cosa devi prendergli è la tua anima gemella, mica la mia!” soffiò al limite della sopportazione il gatto.
“Ok, ok… Che ne dici di un tappeto?”
“Sì, direi che è una splendida idea, sono certo che un tappeto sarà un regalo davvero azzeccato”
“Sul serio? Io lo dicevo tanto per dire, solo perché lì in fondo ho notato una bancarella che vende tappeti”
“Sì, sì, sono arci sicuro che il tappeto è un regalo più che adatto”
“Allora lo prendo? Lo pago con i soldi che mi ha regalato la sarta o me ne dai altri tu?”
“Per chi mi hai preso? Sono un gatto, io non ho soldi, non ho neppure i pollici opponibili!”
Massimo annuì e poi grattandosi un fianco si avviò verso il venditore.
Dopo poche contrattazioni il ragazzo tornò indietro con, sotto il braccio, un grosso tappeto di quasi due metri per tre.
“Fatto, possiamo andare” disse appena raggiunse gli animali.
“Perché lo hai preso di quel colore?”
“Non ti piace?”
“Pare vomito rinsecchito, e poi i disegni, sembrano fatti da un bambino”
“A me piaceva e poi era l’unico che potevo permettermi con i soldi che avevo”
“Capsico sei andato al risparmio”
“Non è vero, però mi sono dovuto tenere qualche spicciolo sennò come lo compro il pane?”
“Ancora con questa storia? Ti ho già detto che mangerai una volta incontrato il tuo futuro fidanzato”
“Io ho fame adesso!”
“Bhè, non ci posso fare niente, tienitela, quando arriveremo a destinazione faremo una grigliata di pesce”
“Pesce? A me non piace, lo trovo viscido e anche l’odore è nauseabondo”
“Potrebbe essere un problema” mormorò il gatto perplesso tra sé e sé.
“Perché?”
“Oh nulla di importante, vorrà dire che io mangerò anche la tua porzione di pesce e tu ti nutrirai con il maledettissimo pane che continui a menzionare”
“Il pane è buono “ si difese Massimo riprendendo senza accorgersene a grattarsi un fianco.
Il gatto fece un balzo indietro spaventato.
“Cosa c’è?” chiese basito Massimo.
“Hai le pulci! Stammi alla larga”
“Io non ho le pulci”
“Sì che le hai, è da quando siamo usciti dalla sartoria che continui a grattarti il fianco destro”
“Non ho le pulci, è solo che c’è qualcosa che mi da terribilmente fastidio”
“Le pulci danno fastidio”
“Gatto piantala, io non ho le pulci!”
“D’accordo ti concedo il beneficio del dubbio, ma sappi che se mi infetti  ti graffierò la faccia talmente tanto che le ferite formeranno una decorazione permanente!”
“Non lo faresti mai!”
“Fidati lo farebbe, a lui piace vedere il sangue che sgorga dalle ferite aperte che ha inferto ai suoi avversari” mormora il piccione, quasi compiaciuto della conoscenza profonda che possedeva del carattere di Gatto.
“Ma è una cosa orribile”
“Non è così, Gatto è un vero artista, è un mago nel ferire gli esseri umani. Pensa che crea addirittura delle decorazioni… come se si trattasse di un quadro”
“Un Cupido a cui piace ferire a morte i suoi protetti… Fantastico, sono proprio in buone mani”
“Non lamentarti poteva andarti peggio”
“Sul serio?”
“Oh sì, poteva capitarti mio cugino Gatto, lui è molto irritabile soprattutto con gli esseri umani, se vuoi te lo presento. Una volta ha sfregiato in modo permanente un’intera legione di romani, solo perché quelli marciando gli avevano disturbato il sonnellino pomeridiano”
“Va bene ho capito l’antifona. Comunque ribadisco, non ho le pulci perciò non serve che tu mi sfiguri la faccia”
“Peccato, un po’ di ferite sanguinolente adesso ci sarebbero state bene, sai giusto per interrompere un po’ la monotonia della situazione”
Il felino decise che ormai il tempo di far incontrare le anime gemelle era giunto perciò si incamminò urlando:
“Forza muoviti, sono stufo di averti tra i piedi. Prima vi incontrate, prima vi innamorate, prima mi libererò di te”
“Gentile…” sussurrò Massimo incamminandosi dietro di lui e grattandosi un’altra volta.”
“Sì? Cosa vuoi?” domandò il piccione.
“Niente perché?”
“Ma se mi hai chiamato?”
“Chi io?” chiese dubbioso Massimo.
“Hai detto Gentile”
“Sì l’ho tetto ma mi riferivo a Gatto”
“Ah ecco pensavo stessi chiamando me”
“Ma il tuo nome non era impronunciabile?”
“Che ci posso fare se il gatto che mi tiene in bocca non sa pronunciare la parola Gentile”
“Quindi tu ti chiami così?”
“No”
“Ma scusa hai appena detto…”
“Cosa?”
“Credevo che ti chiamassi Gentile”
“Infatti mi chiamo così, è il mio cognome”
“E invece il tuo nome qual è? Forse io riesco a pronunciarlo”
“Mi chiamo: Grroorrrolflfllffllfllfry Truuurrruuuurrry Frifillu con la u finale, tanti si confondono e mi  storpiano il nome chiamandomi  Grroorrrolflfllffllfllfry Truuurrruuuurrry Frifillo”

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Capitolo 4
*** La leggenda del pane cattivo ***


La leggenda del pane cattivo

“Ehi, un fornaio! Fermiamoci a prendere da mangiare.” urlò Massimo ad un tratto.
“Non se ne parla, siamo in ritardo sui tempi” ringhio Gatto fissandolo di sbieco.
“Ma ho una fame pazzesca, potrei morire prima di arrivare a destinazione”
Così dicendo Massimo si avvicinò all’entrata della bottega, con l’acquolina in bocca e lo stomaco che brontolava come se fosse in tempesta.
“Ho detto no; comunque non lo vedi che la bottega è chiusa?”
Il ragazzo lo ignorò, cercando di intravedere, da una fessura del legno della porta, se c’era qualcuno all’interno.
Era strano, pareva che nessuno fosse entrato per anni, data la polvere che regnava ovunque, però nell’aria era presente un succulento odore di pane appena sfornato.
Massimo spinse il volto ancora più vicino all’intercapedine e fissò  imperterrito l’interno, mosso dal desiderio impellente di mettere qualcosa sotto i denti.
“Io fossi in te non mi avvicinerei così tanto a quella fessura… Potresti venir risucchiato nella bottega e non riuscire più a uscirne”
La voce alle sue spalle fece trasalire il ragazzo che, prontamente, si voltò.
“Lei chi sarebbe?” sbottò, infastidito dall’interruzione e anche irritato per la fame.
“Non lo capisci da te? Sono un centurione” rispose irritato l’uomo, picchiandosi orgoglioso una mano sul petto e facendo risuonare l’armatura.
“Ah… Cosa diceva della fessura?”
“Dicevo che questo posto è pericoloso; è infestato da spiriti maligni che producono pane cattivo”
“Cattivo, significa che non è commestibile?”
“Significa che è il miglior pane che tu potresti mai assaggiare, solo che chi lo produce è un mostro di malvagità e se mangerai il suo pane tu ne diverrai schiavo” proferì il centurione con la voce più cupa e misteriosa che riuscì a trovare.
“Quindi il pane è buono di sapore?”
“Sì, ma rischi la perdizione eterna!”
“Correrò il rischio, non sono certo di voler rimanere una brava persona; sono solo certo di avere molta fame!”
“Stolto, finirai per diventare un mostro immondo anche tu”
“Ma mi scusi, lei come fa a essere certo che il proprietario è un mostro?”
“Bhè, tutti lo sanno è veramente un uomo malvagio e pieno di cattiveria”
“Capisco” borbottò Massimo ormai stanco della conversazione, “Allora farò come mi ha consigliato”
“Bene, sono felice di averti salvato”
“Sì, sì, grazie mille”
Il ragazzo aspettò che il centurione se ne andasse per la sua strada e, appena lo vide voltare l’angolo, si riappiccicò con la faccia alla fessura del legno.
“Umm, che profumino”
“Avevi detto che te ne saresti andato” miagolò il gatto esasperato.
“Sì, ma continuo ad avere fame e poi, magari il panettiere è una persona gentile… Mia nonna si è sempre raccomandata di non fidarmi mai di quel che dice la gente, generalmente sono solo cattiverie”
“Tua nonna è una specie di vestale o di profetessa?”
“No, faceva la capotreno negli anni quaranta”
“E allora cosa la qualifica?”
“Non saprei, forse l’età”
“Io conosco esseri millenari che in fatto di saggezza stanno a zero”
Massimo lo squadrò esasperato e infine decise:
“Fa nulla, io ho fame perciò ti conviene darmi una mano per entrare perché altrimenti da qui non mi sposto”
“Sai che ho graffiato a morte esseri umani per molto meno?”
“Io credevo che tu diventassi pericoloso solo se in ballo c’erano delle pulci”
“Oh no, credimi Gatto è irritabile anche se si tratta di cappelli, di persone egoiste o bugiarde e di fatti incresciosi”
“Cappelli?”
“Già, ma non chiedermi il perché, so solo che diventa una furia” concluse il piccione pensieroso.
“Ma hai mai visto come certa gente va in giro? Alcuni cappelli sono un insulto al buon gusto”
“Davvero?! Anche in questo periodo storico esiste la moda dei cappelli strani in stile Regina d’Inghilterra?”
“Scherzi?! Ovviamente sì, la piaga dei cappelli orrendi è una iattura che prosegue da millenni”
“Comunque sono certo che non mi ferirai a morte... Se lo facessi il tuo lavoro rimarrebbe incompleto perché non potresti farmi conoscere la mia anima gemella”
Il felino lo fissò con le pupille strette ad un filo nero ma, infine, si arrese alla logica dell’uomo.
“Va bene, però restiamo solo lo stretto necessario per prendere una pagnotta e per farti trasformare in un mostro di malvagità! D’accordo?”
“Ok”
Il gatto si allontanò per controllare se, sul retro, la bottega aveva un’entrata che non fosse sprangata mentre Massimo tornò a sbirciare attraverso le assi di legno.
Quando credeva ormai che sarebbe morto di fame sul selciato di una stradina della Roma imperiale, finalmente Gatto riapparve.
“Allora?”
“Cosa?”
“Hai trovato un’entrata?”
“Oh sì, è dietro”
“Bene muoviamoci, così prima mangio prima ci avviamo verso il mio futuro”
“Non c’è fretta”
“Come?”
“Ho detto che puoi fare con calma”
“Ma se prima hai minacciato di uccidermi se mi fermavo”
“Le cose cambiano”
“Sei criptico”
“No, mi sa che ha trovato una bella micia in calore” interruppe l’uccello.
“Sul serio?” si sorprese Massimo, “E io ora che faccio?”
“Vai a comprarti quel pane cattivo che c’è nella bottega e mi aspetti, così quando ho fatto ti raggiungo”
“Ok… ma sei sicuro che sia una cosa professionale abbandonare il tuo protetto proprio durante la missione?”
“Non saprei, sono un gatto non mi intendo di morale”
“Bella scusa”
“Che ci posso fare, mi vengono così, sono un gatto dalle mille risorse. Allora siamo a posto così: tu mangi e io mi faccio una sveltina con quella soriano dal pelo bianco”
“Ok… ma secondo me non è una cosa carina da dire, bisogna essere rispettosi “
“Non saprei, sono un gatto non mi intendo di tatto”
“Con questa storia che sei un gatto te la cavi sempre?”
“Generalmente sì”
Massimo scosse il capo e, senza aggiungere altro, si avviò verso il retro bottega sperando in cuor suo di non dover vendere l’anima per un tozzo di pane.
Bussò alla porta subito dopo aver sentito un miagolio forte e profondo e la voce di Gatto che, di rimando, urlava:
“Oh sì, ci voleva”
“Chi è?” ringhiò una voce dall’interno della bottega.
“Salve, vorrei acquistare del pane”
“Io non vendo pane”
“Ma come? Sull’insegna c’è scritto fornaio e poi mi arriva al naso un buonissimo odore di pane appena sfornato”
“Io sulla mia insegna scrivo quello che voglio. Questo è un impero libero, nessuno al mondo potrà impedirmi di fare ciò che voglio nella mia bottega”
“Sì, ma il pane lo prepara vero?”
“Certo che lo preparo”
“Allora me lo vende?”
“No”
“Perché?”
“Perché, nessuno al mondo può capire quanta arte metto per impastare, per far lievitare e per cuocere ogni singola pagnotta. Nessuno è degno di mangiare il mio pane”
“Ma se non lo vende cosa ne fa?”
“Stupido! Lo mangio ovviamente”
“Ma vive solo di pane?”
“Sì, sparisci ora”

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Capitolo 5
*** Amore a prima vista ***


Amore a prima vista

“Ehi? Te ne sei andato?”
“…”
Il fornaio aprì la porta per accertarsi che l’indesiderato ospite si fosse eclissato, così Massimo ne approfittò per infilare un piede tra lo stipite e il battente.
“Fregato. Ora voglio del pane” disse il giovane insegnate fissando poi gli occhi in quelli dello scorbutico prestinaio.
“Col cavolo, piccolo bastardo. Piuttosto che dare il mio pane hai porci preferisco bruciare l’intera bottega”
“Lei è proprio scortese” mormorò Massimo non riuscendo però a distogliere lo sguardo da quello corrucciato del fornaio.
Era un tipo robusto, sulla quarantina, gli occhi azzurri penetranti e, in quel momento, adirati, lo squadravano come se volesse ucciderlo da un momento all’altro. Per il resto era leggermente stempiato sui lati e i capelli, ormai brizzolati dall’età, erano tutti sporchi di bianco per via della farina.
Massimo in quel momento pensò che quell’uomo fosse magnifico.
Aveva sempre sentito parlare del colpo di fulmine ma non ci aveva mai creduto; adesso invece, sapeva perfettamente che quello sarebbe stato l’uomo con cui avrebbe passato il resto dei suoi giorni; che l’altro lo volesse o no!
“Ho un tappeto” esclamò Massimo colto dall’idea improvvisa di dichiarare immediatamente il suo amore.
Se si era tanto fortunati nella vita di poter incontrare la propria anima gemella allora bisognava cogliere l’occasione al volo.
“E a me che me ne frega del tuo tappeto?”
“Se lo vuole glielo regalo”
“No, non mi piacciono i tappeti”
Il ragazzo sbuffò, era colpa di Gatto se aveva speso soldi per acquistare un’inutile tappeto! Si grattò nuovamente il fianco, era come se qualcosa di molto affilato gli graffiasse la carne.
“Hai le pulci?” domandò il fornaio arretrando di un passo.
“No, no, non ho le pulci c’è solo qualcosa qui che mi punzecchia da un po’ il fianco” mormorò, cercando di capire cosa fosse a dargli tanto fastidio.
“Comunque mi spiega perché non vuole un tappeto? Glielo regalerei, in segno della nostra nuova amicizia”
“Non siamo amici”
“Potremmo diventarlo”
“Impossibile”
“Perché?”
“A me non piace la gente e di certo non voglio avere amici. Gli amici rompono le scatole, ti girano intorno, pretendono di darti consigli, si impicciano dei fatti tuoi… Non gli amici sono una gran seccatura”
“Se vuole io sarei l’amico ideale”
“Cioè?”
“Non mi presenterei mai senza avvisare, non ti darei consigli, non mi interesserei della tua vita privata…”
“Ehi giovanotto, non mi pare di averti dato il permesso di prenderti tanta confidenza”
“Ma…”
“Niente ma, se non te ne vai giuro che ti infarino tutto”
“Sarebbe una minaccia?!”
“Ovvio, forse non lo sai ma io sono il fornaio maligno e il mio pane, così come la mia farina, ti porterebbero alla dannazione eterna”
“Se fossi dannato sarei obbligato a passare con te il resto dei miei giorni?”
“Non saprei, suppongo di sì”
“Ottimo, dove hai detto che è la farina?”
“Ehi, ti ho già detto che non voglio gente tra i piedi, non mi piacciono le persone… E comunque non è vero che la mia farina è malefica lo dicevo solo per spaventarti  ma purtroppo non ha funzionato”
“Quindi non sei cattivo?”
“Sì che lo sono, per lo meno mio fratello va in giro a dire così”
“Chi?! Il centurione?”
“Lo conosci?”
“Già, tipo piuttosto strano”
“Sì in famiglia lo siamo tutti. Pensa che mia madre va in giro a regalare abiti alla gente che incontra per strada”
“Davvero? Mi sa che ho conosciuto anche lei”
“Che cosa singolare, conosci praticamente tutta la mia famiglia”
“ Io direi che è una cosa fantastica, pensa che a tua madre sto molto simpatico. Potremmo vivere insieme felici”
“A me piace vivere da solo”
“Ok, come preferisci allora potremmo vivere separati e felici. Ci vedremmo solo durante la giornata”
“E perché?”
“Bhè ovvio, quando capirai che siamo anime gemelle di certo ci fidanzeremo”
“Noi non siamo anime gemelle, tu non mi piaci neppure”
“Non ti piaccio? Potrei cambiare, cosa c’è che ti irrita in me?”
“Tutto”
“Ah” disse solo mestamente Massimo, ma subito dopo ritornò all’attacco.
“E se ti dimostrassi che posso rendermi utile?”
“Tu non potrai mai essermi utile, nessuno a questo mondo è utile”
“Mettimi alla prova, se non ti soddisferò allora rinuncerò a te e al nostro grande amore”
“Io non ti amo”
“io sì invece e sono certo che se insisterò riuscirò a farti cambiare idea! Allora dimmi che prova devo superare”
“Ma che ne so!”
“Pensaci”
“Trovami un gatto che sappia parlare”
“Come?”
“Se vuoi ritirarti dalla gara quella è la porta. Non immaginavi che mi venisse in mente un’idea così perfida vero?”
“A essere onesti non speravo di essere così fortunato” rise il ragazzo correndo fuori dalla bottega.
“Gatto, Gatto” urlò correndo per i viottoli stretti.
“Gatto, vieni fuori ho bisogno di te!”
“Piantala di urlare, cosa diamine vuoi” la voce graffiante dell’uccello gli arrivò da dietro un angolo.
“Ehi piccione, ma cosa ci fai fuori dalla bocca di Gatto?”
“Mi ha sputato durante il secondo orgasmo che ha avuto”
“Sarai contento ora”
“Non saprei, mi ci ero abituato a quella situazione ora mi sento sperso senza quel felino rompiballe”
“Capisco cosa intendi, io ho trovato l’amore della mia vita e se dovessi perderlo di certo mi si spezzerebbe il cuore”
“Hai trovato il protetto di Gatto?”
“Non lo so, so solo che ho trovato la mia anima gemella”
“E’ come lo volevi? Insomma, dolce sensibile e altruista?”
“Sì, è anche meglio di come lo immaginavo”
“Ah l’amore che bella sensazione!” miagolo canticchiando il gatto da un tetto.
“Gatto!” esclamarono in coro Massimo e l’uccello.
“Vieni presto ho bisogno di te!”
“Perché mai? Ormai hai trovato il tuo futuro perciò il mio compito è finito”
“Il mio futuro vuole conoscerti”
“Oh che dolce, gli hai parlato di noi?” domandò il piccione con occhi luccicanti d’emozione.
“Più o meno. Gatto verrai?”
“Sì certo, tanto per oggi non ho altri impegni”
“Fantastico” esultò Massimo correndo a perdifiato verso la bottega, seguito subito a ruota dal felino e dal piccione.
“Chi è?” la voce dietro la porta della bottega rispose con il solito tono scorbutico.
“Sono io”
“Non conosco nessun io”
“Sono Massimo”
“Ne so quanto prima”
“Sono la tua anima gemella”
“Tze”
“Sono quello del gatto parlante”
“Ah, potevi dirlo subito” sbuffò il fornaio aprendo il battente.
“Eccomi, ti sono mancato?” chiese il ragazzo e con slancio lo baciò sulla bocca.
“Puah, bava”
“Ecco qui! Gatto ti presento fornaio, fornaio ti presento Gatto”
“Ma davvero questo tizio si chiama fornaio di nome?” chiese il felino basito.
“Non saprei, ancora non gliel’ho domandato come si chiama” sussurrò Massimo in imbarazzo.
“Ehi, quel gatto parla davvero!”
“Ovvio che parlo, non eri tu che mi volevi conoscere?”
“Sì, sì”
“Allora, tu davvero ti chiami fornaio di nome?”
“Ovviamente no, io di nome mi chiamo Pane” rispose, indignato per la domanda, il fornaio.
“Oh che nome affascinante” decretò Massimo con voce dolce.
“Non capisco cosa ci trovi in questo tizio” replicò piccione.
“E’ perfetto”
“Gatto senti, ma era questo tizio l’anima gemella che avevi scelto per Massimo fin dall’inizio?”
“No, l’uomo che dicevo io di mestiere faceva il pescatore” rispose il gatto leccandosi i baffi al solo pronunciare la parola pesce.
“Quindi lo facevi solo per un tuo secondo fine!” recriminò il piccione.
“Forse” nicchiò il gatto ma per chiudere il discorso aggiunse “Comunque ormai non ha grande importanza guarda come sono felici insieme”
Massimo cercava di abbracciare Pane mentre quest’ultimo, tentava di scappare mettendosi in salvo dietro il bancone sporco si polvere e farina.
“Se lo dici tu” rispose piccione perplesso.

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Capitolo 6
*** Regalo di fidanzamento ***


Regalo di fidanzamento

“Lo avevi promesso”
“Lo so, ma solo perché ero certo che non avresti mai trovato un gatto parlante”
“L’ho trovato”
“Me ne sono accorto”
“Mi dai un bacio… con la lingua?”
“Sei un ragazzo piuttosto insistente e anche petulante”
“Se mi baci anche tu ti innamorerai di me”
“Perché mi farai un maleficio?”
“No, non mi serve la magia, io bacio da dio”
“Da dio? Mi hai incuriosito, proviamo” acconsentì Pane.
Massimo non aspettava altro, si fiondò addosso al fornaio talmente violentemente che in un istante si trovarono sdraiati sul pavimento.
Il ragazzo si impossessò della bocca del suo innamorato, succhiando e mordendo come se fosse la cosa più piacevole che avesse mai fatto, e forse era proprio così.
Quando finalmente Pane si convinse a lasciarsi andare e ad aprire la bocca, Massimo insinuò la sua lingua nella cavità del partner quasi soffocandolo per l’irruenza che ci aveva messo.
Dopo alcuni minuti si separarono e subito il giovane insegnate domandò:
“Allora? Sono bravo?”
“Sì molto. Però la prossima volta preferirei farlo senza che tu mi toccassi”
“Non so se si può fare”
“Bhè trova un modo di baciarmi con il minore contatto fisico possibile, non mi piace essere toccato”
“D’accordo vedrò di fare come vuoi” rispose Massimo entusiasta e al settimo cielo per la gioia.
“Dunque adesso che si fa?”
“Vuoi fare sesso. Sarebbe una bella cosa”
“No, il contatto fisico non mi piace”
“Capisco”
“Quindi adesso siamo fidanzati”
“Certo amore mio”
“Non chiamarmi così”
“Come desideri Panino”
“Non chiamarmi così”
“Ok, Pane va bene?”
“Pane è il mio nome, perciò suppongo possa andare bene; però non usarlo troppo che me lo sgualcisci”
“Ogni tuo desiderio è un ordine per me amor… Pane”
“Dov’è il mio regalo?”
“Regalo?”
“Sì siamo fidanzati e sei stato tu a volermi incastrare in questa idiozia stratosferica, perciò mi devi un regalo di fidanzamento”
“Ho perso il tappeto”
“Non voglio un tappeto”
“Meglio, perché l’ho perso. Anche se non capisco come ho fatto era un tappeto grande”
“Non voglio un tappeto”
“Cosa desideri?”
“Voglio uno spillo”
“Spillo?”
“Sì, sai quelle cose che servono per tenere fermi i vestiti prima di cucirli”
“Ma… tua mamma non è una sarta?”
“Sì”
“Perché non lo chiedi a lei?”
“Perché lei li usa per lavorare… Io non darei mai la mia farina a mia madre, non la darei a nessuno comunque”
“E cosa te ne fai di uno spillo?”
“Li colleziono”
“Ma non sono tutti uguali?”
Pane fissò il suo novello fidanzato con sguardo indignato e l’altro capì subito di averlo offeso.
“Scusami, Pane non volevo ferirti” tentò di rimediare Massimo.
“Sei un fidanzato davvero ignorante. Chiunque sa che collezionare spilli è un lavoro da intenditori.”
“Certo” annuì il ragazzo riprendendo a grattarsi il fianco.
“Hai le pulci”
“Non è vero”
“E’ da quando ti conosco che non fai altro che grattarti”
“Mi gratto da quando tua madre mi ha fatto questo vestito”
“Magari lei aveva le pulci e te le ha passate. E’ per questo che non mi piacciono le persone, portano solo guai e fastidi”
Massimò accennò un accondiscendente e innamorato sì con la testa mentre infilava la mano sotto la veste per cercare finalmente di trovare il motivo di tutto quel fastidio.
“Forse ci sono” borbottò mentre afferrava qualcosa di stretto e appuntito in un angolo del vestito.
“Cos’è? Una pulce?”
“Non ho le pulci” e nell’affermare la il concetto per l’ennesima volta Massimo estrasse la mano, stringendo tra le dita un piccolo pezzo di ferro appuntito.
“Ma è…” mormorò Pane estasiato e quasi senza fiato.
“Uno spillo, tua madre deve averlo scordato”
Quasi non fece in tempo a finire la frase che Pane gli si gettò addosso e iniziò a baciarlo con trasporto senza curarsi di quanto contatto fisico indesiderato ci fosse tra loro.
“Amore mio, mio unico e splendido fidanzato” balbettava il fornaio tra un bacio e l’altro, “Ti amo, tu sei la mia anima gemella”
A quelle ultime parole Massimo ricambiò con trasporto baciandolo a sua volta.
Quando finalmente si staccarono il fornaio tese la mano:
“Cosa c’è?”
“Lo spillo, è mio giusto? E’ il mio regalo di fidanzamento!” rispose entusiasta Pane.
“Oh…sì certo ecco qui. Con tutto il mio amore”
“Anche io ti amo! Non posso ancora crederci è uno spillo fantastico, unico nel suo genere. Guarda come la struttura è piegata, segno della molta usura del tempo… e guarda qui, ruggine!” il fornaio era incontenibilmente entusiasta.
“Mi verrà il tetano” mugugnò l’insegnante un po’ preoccupato.
“E’ un dono stupendo”
“Sono contento che ti piaccia”
“Bene direi che per ricambiare il tuo incredibile regalo di fidanzamento dovrò fare un gesto altrettanto nobile e disinteressato”
“Cosa pensi di regalarmi?”
“Ti farò assaggiare un pezzo del mio pane” asserì orgoglioso Pane.
“Sul serio?”
A quella dichiarazione Massimo sentì nuovamente i morsi della fame attanagliargli lo stomaco; preso com’era dall’amore si era scordato del suo appetito, ma sentire menzionare il pane lo fece ritornare subito consapevole.
“Ecco qui. Un pezzo per te e un pezzo per me”
“Grazie infinite, questa è la cosa più bella che chiunque abbia mai fatto per me”
“Ti amo”
“Ti amo anche io”
“Bene mangiamo, sono certo che ti innamorerai del mio pane”
Senza più esitare, tenendosi per mano, addentarono entrambi il pezzo di pane.
“Ummm, è buonissimo, una vera delizia” dichiarò entusiasta l’insegnante.
“Te lo dicevo che era buon… Ehi un attimo ma che fine ha fatto la mia bottega?”
I due erano seduti su una panchina nel cortile della scuola dove insegnava Massimo.
“Siamo tornati nel mio tempo”
“Dove siamo?”
“A casa mai”
“Che fine ha fatto la mia bottega e la mia farina e il mio pane?”
“Non ti preoccupare, creeremo una nuova bottega qui, e ti darò tutto quello che ti serve; avrai farina, pane e potrai trattare male tutti quelli che verranno da te per comprare i tuoi prodotti”
“Lo giuri”
“Certo Pane, sarà tutto come nel tuo tempo”
“Oh no! I miei spilli, i miei adorati spilli, come farò senza di loro?”
“Tranquillo, in questo secolo gli spilli abbondano, nel giro di pochi giorni avrai una collezione splendida”
“Sul serio?!”
“Certo non ti mentirei mai amore”
“Allora credo che adorerò vivere qui”

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Capitolo 7
*** Epilogo ***


Epilogo

In Canada, sulle rive di un tranquillo laghetto, aveva la propria casa un giovane ragazzo di nome Martin. Se ne viveva in pace e solitario nel mezzo della natura.
La casa era piccolina senza soffitto e senza cucina ma era bella davvero e nel giardino, c’erano tantissimi fiori di lillà profumati.
Poco più avanti, delle enormi vasche prendevano acqua dal lago per permettere ai pesci rossi di Martin di vivere una vita altrettanto serena.
L’esistenza di Martin e dei suoi duecento tredici pesci rossi scorreva senza grossi scossoni. Tutte le ragazze del paese ogni giorno andavano a fargli visita per lodare le meraviglie della sua dimora.
Era una casa molto carina, non si poteva entrarci dentro perché non c’era il pavimento ma per il resto era decisamente abitabile.
Martin oltre ad accudire i pesci rossi coltivava anche fiori di lillà, coltivava solo quella specie perché si intonava al colore dei muri della casa.
Con i fiori ormai maturi intrecciava tante sedie. Le sedie di lillà realizzate da Martin erano rinomante in tutto il paese e anche in una piccola parte degli Stati Uniti.
Come già detto in precedenza, la vita di Martin trascorreva in pace e letizia fintanto che, un giorno, la sua splendida casa, il suo più grande motivo d’orgoglio, prese misteriosamente fuoco.
Bruciò completamente dalle fondamenta al tetto, anche se non c’era, e Martin si ritrovò da un giorno all’altro senza nessun posto dove andare.
Però il buon ragazzo, intagliatore di sedie di lillà e allevatore di pesci rossi era un uomo dalla tempra forte, perciò riprese in mano i progetti della casa e senza lamentarsi si rimise a costruirla.
Ci vollero quaranta giorni e quaranta notti, periodo in cui piovve sempre, ma finalmente la casa tornò a ergersi di nuovo in piedi.
Quando la notizia si sparse, tutte le ragazze del villaggio si organizzarono per andare ad ammirare la nuova dimora.
Tutte affermarono all’unanimità che fosse una casa splendida. Era molto carina, senza soffitta e senza cucina e, anche se non si poteva entrare dentro perché non c’era il pavimento, era bella, bella davvero.
Martin, ormai tranquillo, riprese la sua solita esistenza senza più preoccuparsi della brutta disavventura che lo aveva colpito.
Purtroppo una notte l’odore di bruciato lo destò dal suo sonno e si accorse con sgomento che la casa era nuovamente in fiamme.
A nulla valse l’impegno di tutti i pesci rossi, che avevano iniziato a spruzzare acqua sulle fiamme, la povera abitazione, nel giro di poche ore si ridusse in cenere.
Questa volta le autorità iniziarono le indagini, per trovare quale fosse la causa di quella seconda devastazione.
Nonostante il dolore, per la seconda perdita della sua splendida casa, Martin si rimboccò nuovamente le maniche e con grande fatica ricostruì ancora una volta la sua dimora.
Ripiantò anche tutti i fiori di lillà e la vita parve riprendere il suo corso.
Le ragazze tornarono nuovamente e con entusiasmo asserirono che quella, era la più bella casetta con fiori di lillà di tutto il Canada.
Il terzo incendio venne accolto con molto mormorio, poca solidarietà e tante chiacchere.
C’era chi sosteneva che gli incendi fossero stati provocati dallo stesso ragazzo, per frodare l’assicurazione, ma erano per lo più male lingue.
Un’altra versione, quella che prese più piede, attribuì i nefasti gesti ad opera di un certo Pinco Panco, ex amante di Martin.
Geloso, si vociferava che avesse incendiato per ben tre volte la casa di Martin perché non sopportava di non potervi più vivere dentro insieme al suo grande amore.
Comunque tutto rimase un mistero irrisolto dato che le indagini vennero abbandonate perché il buon Martin, stanco di quella vita, decise di prendere tutti i suoi pesci rossi e tutti i suoi fiori e di trasferirsi in un posto meno pericoloso.
Ricostruì la casa in Alaska ma vi apportò qualche modifica: mise tetto  e pavimento, visto che in inverno si toccavano i meno quaranta gradi, non invitò più nessuna ragazza, dato che i fiori di lillà non potevano crescere in quel luogo.
I suoi duecento tredici pesci  vennero messi nel congelatore della cucina, visto che decise di costruire anche quella, e smise di frequentare uomini psicopatici che si sarebbero potuti trasformare in futuri piromani.
Visse felice, per lo meno così si narra.

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