I Niff you di LyndaWeasley (/viewuser.php?uid=76899)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Memories - Day 1. ***
Capitolo 2: *** Desperate Household - Day 2 ***
Capitolo 3: *** Ciak! - Day 3 ***
Capitolo 4: *** Will be together - Day 4. ***
Capitolo 5: *** The Christmas tree - Day 5. ***
Capitolo 1 *** Memories - Day 1. ***
I
NIFF YOU
Day 1. Niff!The First Time
Note
personali:
forse alcuni di voi, dopo aver letto questa storia, penseranno
“ehi,
ma mi sembra familiare”. Beh, ieri quando l’ho
passata alla mia dementamica Somo,
ci siamo accorte che somiglia moooolto
ad una sua Seblaine .__. Che ovviamente io non
avevo letto, dato che ripudio quella coppia con tutta me
stessa.
Eeeee niente, mi
stupisco
ogni giorno di più della nostra
“connettività psicologica” XD
Avevo intenzione di
scriverne un’altra, ma lei ha detto che non le dava fastidio
se la pubblicavo,
quindi... Ah, probabilmente ci sarà qualche strafalcione
verbale: non sono
abituata ad usare questo stile di scrittura, ma m’ispirava
così. Vabbè u_ù
Memories.
La prima volta che
incontrai Nick Duvall avevo otto anni.
Ricordo che quando lo
vidi
stravaccato sull’altalena del parco, pensai: “bambino,
mi dispiace per te ma hai un naso orribile!”
Ero piccolo, forse un
po’
superficiale, ma mi avvicinai lo stesso a lui e lo fissai per qualche
istante.
«Ce l’hai una caramella?».
Lui alzò lo
sguardo e lo
puntò dritto su di me, aggrottando la fronte in un modo che
tutt’ora ho dipinto
nella mente.
«No»
mi rispose, scuotendo
la testa.
Feci spallucce e
accennai
un sorriso: lui intanto continuava a dondolarsi
sull’altalena, sempre più
forte.
«Stai
attento!» gli
gridai, ricordando di aver visto un bambino fare la stessa cosa qualche
giorno
prima, per poi assisterlo mentre la madre gli metteva il ghiaccio sul
bernoccolo.
«Yuu! Lo
faccio tutti i
giorni!» rise lui, rallentando e respirando a fatica. Ma era
felice.
Ricordo che gli
sorrisi e
mi voltai per andarmene, quando la sua voce mi bloccò.
«Quelle
caramelle» mi
disse, raggiungendomi e porgendomi una mano piena di monetine,
«possiamo
andarle a comprare insieme, se vuoi. Ma non credo che questi soldi
bastino».
E io sorrisi,
trafugando
nella tasca dei jeans ed estraendone qualche spiccio.
«Forse se li
mettiamo
insieme riusciamo a comprarci un pacchetto intero!».
E, quel pomeriggio,
entrambi tornammo a casa con il mal di pancia.
La prima volta che io
e
Nick Duvall andammo a scuola insieme, fu in prima media.
La sorpresa sui nostri
volti fu istantanea ed entrambi ridemmo come matti, sedendoci perfino
allo
stesso banco. Da quella volta che ci sbaffammo un intero pacco di
caramelle al
parco giochi, non ci eravamo mai più visti: erano passati
sei mesi.
Non avrei mai pensato
di
potermelo ritrovare lì il primo giorno di scuola, ma fui
molto felice. Lo avevo
pensato spesso in quel periodo, perché con lui mi ero
divertito come non mai.
Avevamo tante cose in comune.
Mi era dispiaciuto
tantissimo non averlo più ritrovato al parco, arrivai a
pensare che si fosse
trasferito in un’altra città: all’epoca
non avevo un cellulare, ero piccolo,
quindi non c’erano modi per rimanere in contatto.
Non potei fare a meno
di
sorridere quando lui incise i nostri nomi sul sottobanco, come per
indicarne il
possesso. E in quel momento seppi che sarebbe stato il mio compagno di
banco
per i giorni e gli anni a venire, e che avremmo passato la gran parte
del tempo
insieme.
La prima volta che
Nick
Duvall si prese una cotta, fu per Giusy, la mia vicina di casa.
Ci fu un periodo in
cui
pensai che venisse a casa mia solo per spiarla dalla finestra mentre si
pettinava i lunghi capelli neri, solo che poi mi ricredetti. Era mio
amico, non
avrebbe mai fatto una cosa del genere, nemmeno per una ragazza.
«Perché
deve essere così
carina?» sospirò un giorno, mentre lo stavo
battendo alla grande a Tekken. In
effetti era molto carina,
anche se non era il mio tipo.
«Boh,
è nata così» risposi
distrattamente mentre infliggevo il colpo mortale al suo pg.
«Ma non mi
dire!» aveva
sbottato lui, lanciando il joystick sul tappeto. Mi faceva un
po’ di tenerezza,
perché sapevo che con lei non aveva alcuna
possibilità: si era appena fidanzata
con un ragazzo che abitava poco distante da me e di cui era cotta da
una vita.
«Non
è giusto» aveva
continuato a borbottare per tutto il tempo, infastidito. «Me
le devo beccare
tutte io quelle carine ma occupate».
«Fidanzati
con me, io sono
liiiibero!». Entrambi avevamo riso come matti per il resto
del pomeriggio,
fingendoci piccioncini senza ritegno.
Nessuno di noi due
sapeva
che, di lì a pochi mesi, io non
avrei
desiderato altro che far diventare reale quella stupida messinscena.
La prima volta che
Nick
Duvall finì all’ospedale, fu per colpa mia.
Il ricordo di quel
lungo
corridoio cupo, vive nitido nella mia mente ancora oggi: lo percorsi a
passo
svelto, come se avessi avuto un rinoceronte alle calcagna.
Sua madre mi
chiamò venti
minuti prima e io feci l’impossibile per riuscire ad arrivare
all’ospedale
prima che lo portassero in sala operatoria.
Era lì,
disteso sulla
barella e con lo sguardo fisso sul soffitto.
«Nick...».
«Ehi»
mi disse,
sforzandosi di sorridere. Diamine, cosa
avevo combinato?
«Ma cosa ti
è saltato in
mente, eh?» sbottai, avvicinandomi a lui e rivolgendogli
un’occhiata di
rimprovero. «Potevi morire!».
«Non sono io
il fesso che
ha lanciato il pallone sul tetto» fu la sua risposta.
«Non avresti
dovuto
arrampicarti!».
«Tieni a
quel pallone più
della tua stessa vita, Jeff...».
Era parzialmente vero:
era
un ricordo di mio padre. Me lo regalò prima di lasciarci
qualche estate fa, e
da allora l’ho sempre trattato come fosse una reliquia.
Presi la mano di Nick
e la
tenni stretta nella mia. Era fredda. «La tua vita vale
più di uno stupido
pallone».
La prima volta che io
e
Nick Duvall ci baciammo, fu sotto la pioggia.
Sì
sì, romantico e tutto,
ma eravamo davvero fradici! Non
per
niente rimasi due settimane a casa da scuola, dopo quel bacio.
Colpa del bacio o
della
pioggia?
Odiai il fatto che fu
lui
a baciarmi: l’avrei voluto – dovuto?
– fare io tanto tempo prima, ma mi ero sempre vergognato.
Avevo pensato fosse
una sciocchezza, perché lui aveva avuto da sempre una cotta
per Giusy e... mi
sentivo un imbecille a pensare una cosa del genere.
Ma quando lo fece...
cavolo, ricordo tutt’ora il turbine di emozioni che mi
colpì nell’istante
preciso in cui le nostre due labbra si sfiorarono. Mi sentii libero,
sorpreso,
avvolto da un mantello di felicità
che
mai nessuna cosa mi aveva saputo dare prima di allora.
«E
questo...?» sospirai
dopo, completamente sollevato.
Nick aveva scrollato
le
spalle. «Hai mai sentito il bisogno talmente forte di fare
qualcosa di... folle, come baciare
qualcuno che ami?».
Era sembrato quasi
ironico.
«Sì,
ma sono un codardo e
non l’ho mai fatto».
Lui sorrise.
«Ho rimediato
io per tutti e due».
E la pioggia
continuava a
cadere, ma quello non era importante.
La prima volta che io e Nick
Duvall ci amammo
davvero, accadde due giorni fa, prima che lui si trasferisse per motivi
di
studio in un’altra città.
Niffangolo Me.
Salve :D
Ebbene sì,
anche io ho
cominciato con la Niff Week! Scusate, ma dovrete sorbirmi tutti i
giorni fino a
domenica prossima *sogghigna*
Sinceramente... sono
abbastanza soddisfatta di com’è venuta questa
prima storia. A parte qualche
strafalcione.
Tipo a momenti ridevo,
a
momenti piangevo, a momenti mi veniva da sbattere la testa contro la
tastiera.
Cose così, insomma.
Spero vi sia piaciuta
almeno
un pochetto! :D
A domani, con la
Niff!Roommate ♥
Lins.
*vomita
arcobaleni*
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Desperate Household - Day 2 ***
I NIFF YOU
Day 2. Roommate!Niff
Note personali: Okay, lettore avvisato mezzo
salvato: questa probabilmente è la cosa
più stupida che abbia mai scritto durante la mia carriera da
fanwriter... e
dire che, in tutto questo tempo, ne ho scritte di cazzate. Ma questa
credo lo
sia più di tutti .__.
Spero comunque vi
strappi
un sorriso.
Desperate Household
«Senti, io
non piaccio a
te e tu non piaci a me... ma vedi di funzionare, piccolo
bastardo».
Nick sentì
quella frase
seguita da un forte tonfo, come se qualcuno fosse piombato in casa
abbattendo
la porta e si precipitò di corsa nel piccolo soggiorno:
aveva solamente un
asciugamano ad avvolgergli la vita e, con uno più piccolo,
si stava asciugando
i capelli alla bell’e meglio. Insomma, se fosse entrato
davvero qualcuno, era
giusto un tantino impresentabile. A meno che non avesse avuto gusti
strani.
Piombò
nella stanza, non
preoccupandosi delle orme bagnate che si stava lasciando alle spalle e
si
ritrovò davanti una scena del tutto inusuale: Jeff se ne
stava in piedi accanto
al lavandino con un’espressione del tutto contrariata e... il
frullatore per
terra.
«Ma
co-?»
Jeff si accorse della
presenza di Nick e gesticolò distrattamente nella sua
direzione, continuando a
fissare il pavimento.
«Non dire
una parola,
Nick. Non una sola parola».
«Eccome se
la dico!» saltò
su Nick, gettando l’asciugamano a terra. «Il mio
frullatore è fracassato sul
pavimento!».
«Il nostro frullatore, vorrai
dire» sbottò di rimando Jeff, incrociando
le braccia e ignorando il tono accusatorio del ragazzo.
«No,
è quello che ho
comprato io con i soldi che ho
vinto
al Gratta e Vinci!».
«... Il
Gratta e Vinci che
hai comprato con i due dollari che abbiamo
vinto alle macchinette».
Okay, quella
discussione
era del tutto ridicola. Più che altro l’intera
situazione era ridicola e ancora
Nick non sapeva per quale motivo il suo- il loro
frullatore aveva deciso di mettere le ali e volare lì per
terra.
Sospirò e
si avvicinò a
Jeff, raccogliendo l’oggetto da terra e rigirandoselo tra le
mani: sicuramente
non avrebbe funzionato mai più, per come si era ridotto dopo
la caduta.
Rivolse
un’occhiata mista
tra curioso e triste al compagno.
«Perché
l’hai ucciso?».
Jeff
abbassò lo sguardo.
«Non... non mi faceva frullare niente».
«Ma se
andava bene fino a
ieri!».
«Lo
so!» rispose l’altro.
«Io cliccavo il bottone e lui non partiva! Le ho provate
tutte!».
E poi Nick
sospirò,
socchiudendo gli occhi e cercando di mantenere la calma.
«Hai
provato, chessò, ad
attaccare la spina, magari?».
Jeff alzò
di nuovo lo
sguardo verso Nick e corrugò la fronte. «Non-non
era già attaccata...?».
«Piccolo
scemo, ieri che
abbiamo fatto i lavori qua in cucina, abbiamo staccato tutte le
prese» gli
rammentò Nick. «Ora è chiaro: il
frullatore è morto inutilmente e tu sei più
rincitrullito di quanto pensassi!».
Nick posò
il cadavere sul
tavolo, scuotendo la testa: c’era ironia tra le sue parole,
che Jeff però parve
non cogliere. Si avvicinò a lui e gli posò una
mano sulla spalla.
«Mi
dispiace» borbottò
Jeff. «Io volevo solo farmi la colazione».
Nick sorrise.
«Lo so. Dai,
possiamo sempre comprarne un altro!».
«Non abbiamo
i soldi,
Nick» disse il biondo, serio. «Non abb- abbiam-
Nick?».
«Mh?».
Jeff si
voltò e andò
dritto verso il cassetto, cominciando a trafugare tra le varie carte.
Poco dopo
– sotto gli sguardi curiosi e perplessi di Nick –
ne estrasse una specie di
piccola cartellina arancione.
«Ecco»
disse poi,
sfogliando fino all’ultima pagina e sbattendogliela in faccia
a Nick, «mi
mancano ancora sette punti e mi regalano un frullatore
nuovo!».
«Jeff... da
quand’è che
fai la raccolta punti al supermercato?».
«Beh, da
quando la
commessa ha cominciato a darmeli» rispose. «Finora
ne ho accumulati
quattrocentosessantatre!».
Nick
scoppiò a ridere a
quella scena. Chissà da quando il suo compagno si era preso
l’impegno di
appiccicare i punti della spesa su quel piccolo quadernetto e lui
nemmeno lo
sapeva. Era... semplicemente fantastico. E anche semplicemente mogliettina.
«Qualcosa mi
dice che
potremmo andare a fare un po’ di spesa, no?»
commentò Nick, fingendo
indifferenza.
L’altro
annuì. «Sì, però
vai a vestirti» disse spintonandolo. «Non vorrei
che la commessa ti adocchiasse
troppo».
«Ma...
così magari ci
potrebbe dare più punti e...».
«Va’
a vestirti!».
Entrambi risero e Nick
tornò al bagno, non prima di aver lanciato uno sguardo
eloquente – molto
eloquente – al suo ragazzo.
Niffangolo Me.
Visto?
Che vi dicevo? .__.
Vabbè,
ma ormai ho postato
questa roba e posso anche mettermi a pensare a qualcosa di decente per
domani,
ovvero per una bella AU!Niff *O*
#cantwait
Cooooomunque,
sono
allibita per quante persone solamente ieri abbiano messo tra i seguiti
questa
raccolta! Siete tantissimi, grazie! Ma vorrei fare un ringraziamento
speciale a
coloro che mi hanno lasciato delle splendide recensioni, ovvero a Sere, LaRents, ElfoMikey, Thalia,
ND_Warblers518, Emi, Marzia e Silvia.
Thanks, guys ♥
Auguro
una felice giornata a tutti!
Lins.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Ciak! - Day 3 ***
I
NIFF YOU
Day 3.
AU!Niff
Ciak!
Nick sbatté
la fronte contro la
cartellina che teneva stretta in mano.
Così non
andava bene: quella
situazione andava avanti da tutto il pomeriggio ormai e, sinceramente,
si era
proprio stufato. Era stanco.
«Stop! Stop!
STOP!» gridò poi, calandosi
di peso sulla sedia.
Erano le sei di
pomeriggio e stavano
lavorando a quella scena da ormai due ore e mezza: non riusciva a
capire che
difficoltà avessero gli attori, tant’era che
l’omino del ‘ciak’ aveva perso
completamente l’energia nel dire ‘ciaaak!’.
Sembrava quasi un rantolo di dolore.
Nick tuffò
la faccia nelle mani,
prima di rivolgere uno sguardo di supplica a David –
l’addetto al ciak – e
fargli cenno di proseguire... ancora. Quest’ultimo, con tutta
la fiacca
possibile e immaginabile, si recò al centro del set per poi
voltarsi verso la
telecamera.
«Scena 21...
ciak 39... azione»
disse con voce pacata, quasi innaturale.
Nick
soffocò un risolo, sperando che
quella fosse l’ultima volta a cui avrebbe dovuto assistere
alla scena. Amava il
suo film, ovviamente, ma pensava che quella parte non avrebbe voluto
rivederla
per il resto dei suoi giorni.
I due attori presero a
recitare
qualche istante dopo.
«Katrina...»
disse lui, Jeff Sterling, avvicinandosi alla collega e sfiorandole una
guancia.
«Katrina... mi chiedevo se avessi
pensato
a quello che ti ho detto l’altra sera, al ristorante».
La ragazza
sospirò, gli occhi
falsamente innamorati. «Sì,
Rob, ci ho
pensato. E... credo che dovremmo aspettare».
«Ma
io sono innamorato di te, Katrina, non voglio aspettare!».
«Ma
devi! Per il mio bene... il nostro
bene!»
«Terry,
ti prego... Cioè, Katrina,
ti prego...
oh».
«STOOOOP!».
Questa volta Nick
sbatté forte la
testa sulla telecamera. Com’era possibile? I nomi! Avevano
provato tutto il
pomeriggio, almeno quello, perdinci!
«Scusa!»
piagnucolò Jeff.
«Scusa
stocazzo, Jeff!» protestò
lui, sprofondando sempre di più nella sedia.
«Perché? Perché!
Anche io ho una vita, vorrei tanto potermene andare a casa
a bermi una birra, dato che sto qua dalle sei e mezza di questa
mattina. E
invece? E invece no, per colpa tua stanotte mi toccherà
accamparmi su questo
stupido pavimento!».
Un leggero brusio si
levò dalla
troupe e, dallo sguardo di Jeff, Nick capì che si stava
rendendo conto della
‘gravità’ della situazione; ovviamente
anche loro erano stufi di quella scena.
Tutti quanti erano sul set da metà mattina –
alcuni dall’alba – e probabilmente
avrebbero voluto tornare a casa dalle proprie famiglie.
Il biondo si
passò una mano tra i
capelli, sospirando.
«Lo so,
Nick, mi dispiace!» disse.
«E’ che... sono nervoso e per qualche strano motivo
non riesco a girare questa
scena con Terry».
«Ehi, non
vorrai mica insinuare che
è colpa mia!» sbottò lei, infastidita,
incrociando le braccia.
«Non
prenderla sul personale»
rispose Jeff. «Forse non l’ho provata
abbastanza».
«Ah,
ecco!».
Jeff era un bravo
attore, sempre
molto convincente e disponibile: Nick lo aveva scelto per interpretare
quel
ruolo qualche mese prima, ma si conoscevano da anni. Avevano fatto le
scuole
assieme e per qualche periodo avevano perfino frequentato la stessa
compagnia;
solo che, per un motivo o per l’altro, si erano persi di
vista e ritrovati dopo
molto tempo.
A Nick piaceva Jeff,
erano sempre in
buona sintonia e lui era un ragazzo davvero gentile e divertente.
Però... ecco,
quando aveva una di quelle che chiamava ‘giornate
culo’, era la fine. Non c’era
verso di sistemare le cose.
«Senti,
Jeff...» disse avvicinandosi
al ragazzo e posandogli una mano sulla spalla. «Io, ehm,
entro stasera vorrei
andare a casa, non so se mi spiego».
In quel momento Jeff
fece una
panoramica con lo sguardo intorno a sé, notando che la
maggior parte della
troupe si stava facendo bellamente i cavoli propri.
«Hai
ragione» sbottò l’altro. «Oggi
proprio non ci sto con la testa».
«E si
è visto» aggiunse Nick,
ridacchiando. «Quindi permettimi di darti una dimostrazione
di quello che tu dovresti
già saper fare».
Nick non capiva
perché stesse usando
quel tono un po’ scorbutico: okay, era impaziente di andare a
casa e
stravaccarsi sul divano fino all’indomani, però era pure sempre Jeff. Ma, nonostante
tutto, non riusciva a restare
tranquillo.
«Okay, dopo
il ciak, Terry si
allontana di qualche passo da te... Io sono te, cioè Rob e
tu fai Katrina»
disse poi.
Jeff si
accigliò. «Perché la devo
fare io la ragazza?».
«Fallo e
basta!» ribatté.
«Cominciamo... Katrina... mi
chiedevo se
avessi pensato a quello che ti ho detto l’altra sera, al
ristorante».
Gli faceva uno strano
– stranissimo
– effetto parlare con quel tono a Jeff.
Quest’ultimo, evidentemente
imbarazzato, si schiarì la voce.
«Sì,
Rob, ci ho pensato. E... credo che dovremmo aspettare».
Nick si
avvicinò a Jeff con passo
deciso e in quel momento avrebbe dovuto sfiorargli una guancia, ma...
cavolo,
si paralizzò. Lui era un regista, non un attore, ma doveva
far capire all’amico
come comportarsi in quella scena. L’effetto che quella
piccola messinscena gli
stava facendo era del tutto estraneo al suo corpo.
Avvicinò il
volto all’incavo del
collo – facendo una pessima figura, dato che era almeno dieci
centimetri più
basso di lui – e sospirò.
«Ma
io sono innamorato di te, Katrina, n-non voglio aspettare...»
Era un po’
imbarazzante: ora li
stavano tutti guardando.
Nick sentì
Jeff deglutire – cavolo,
ce ne vuole! – e allontanò un po’ il
viso dal suo collo. Però... aveva un buon
profumo. Non voleva staccarsi. Ma cosa
andava a pensare? Chiuse gli occhi e poi li
riaprì, sperando che i suoi
colleghi lo prendessero come segno della sua bravura.
«Ma
devi! Per il mio bene... il nostro
bene!» disse Jeff, calatosi completamente nella
parte.
Ecco: perché
ora si era calato completamente nella parte? Non poteva
evitargli quella scena imbarazzante?
Forse il suo fiato sul
collo aveva
qualche effetto speciale, altrimenti non si spiegherebbe il
perché
improvvisamente fosse fin troppo credibile.
«Katrina...
ti prego...».
Perché?
Perché il gruppo di budella
A e il gruppo di budella B si stavano facendo guerra?
In quel momento Jeff
si voltò – come
previsto dal copione – e si avvicinò ulteriormente
a Nick: i suoi occhi
brillavano e a Nick piacevano molto. Troppo. Ora fu il suo turno di
deglutire e
sperò con tutto il cuore che lui non se ne fosse accorto.
Il biondo
alzò una mano e poi la
riabbassò, per poi passarsela tra i capelli. Questo era un
attentato alle
budella di Nick, già in guerra per conto proprio.
Si stava odiando
più che mai in quel
momento. Cazzo.
«Non ce la
faccio».
Jeff alzò
un sopracciglio, confuso,
abbandonando il suo sguardo da attore. «Questo non era nel
copione, credo».
Mannaggia!
Ma
che
figura aveva fatto? E tutto grazie a Jeff e a quel suo profumo... e a
quello
sguardo... e...
«Oh, ma
vaffanculo!» esclamò prima
di superare Jeff – lasciandolo con uno sguardo allibito,
della serie ‘e io che
c’entro?’ – e uscire dalla stanza,
sbattendo la porta.
Era nella merda,
eccome se lo era.
Niffangolo Me.
...
Inizio
dicendo che ero orgogliosa dell’idea avuta per questa AU...
prima di averla
scritta.
Ovviamente
le cose non vengono mai come si spera *deprimente*
Coooomunque,
spero tanto vi sia piaciuta, o almeno che vi abbia strappato un sorriso
(:
Come
al solito vorrei ringraziare tutti coloro che hanno inserito la storia
tra i
seguiti/ricordati/preferiti! Siete davvero tantissimi e ancora non ci
credo *O*
Un abbraccio particolare ad Ale, Thalia,
Marzia, Somo, Sere, Weh, LaRents e Rin,
che si sono prese la briga di commentare *_* ♥
Ho
postato un po’ in ritardo
perché oggi non ho avuto un attimo
per respirare, e stasera
mi sono ritrovata a dover scrivere la storia in troppo poco tempo.
Un
arcobaleno per tutti,
Lins.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Will be together - Day 4. ***
I
NIFF YOU
Day 4. Why
are you so sad?
We'll
be together
«Cacchio,
Nick».
Erano
spaparanzati sul divanetto della loro stanza, con gli occhi fissi sulla
televisione: o meglio, Jeff sembrava avesse ormai creato un contatto
visivo
indissolubile con essa, mentre Nick aveva lo sguardo vacuo, perso in
chissà quali
pensieri.
«Tra
tutti i film dell’Universo dovevi scegliere proprio
questo?» domandò Jeff, lo
sguardo ancora incollato ai titoli di coda.
«Cos’hai
contro Un ponte per Terabithia?» rispose
l’altro.
Jeff
respirò a fondo, per poi voltarsi verso Nick e rivolgersi a
lui come se lo
avesse appena insultato. «Cos’ho contro?
E’ uno dei film più tristi che io
abbia mai visto! Se non mi metto a piangere è solo
perché qua ci sei tu... ma
sappi che dentro sto morendo».
A
Nick venne da sorridere per la reazione del suo amico: da come gli
stava
rispondendo, era evidente che il film gli era piaciuto e che gli stava
dando –
in un certo senso – “la colpa” per questo.
Gli
diede una piccola gomitata di scherno.
«Prometto
che non mi scandalizzerò se per caso dovesse scenderti
qualche lacrimuccia!» lo
prese in giro.
«Seh,
seh! Non fare tanto lo spiritoso!».
Passarono
il resto della serata a prendersi in giro a vicenda, a mangiare
salatini –
anche se Jeff aveva inizialmente lo stomaco chiuso a causa del film
– e a
ridere.
In
effetti, forse quella era una delle migliori serate che Nick e Jeff
avessero
mai passato assieme.
Il
giorno dopo, quando Nick raggiunse Jeff in aula studio, lo
trovò alquanto...
strano.
Quando
gli si sedette accanto, lui sussultò, gli lanciò
un’occhiata triste e chiuse
tremolante il libro. «Ciao... scusa, ma ora dovrei andare. Ho
promesso a Trent
che lo avrei aiutato con i compiti di Biologia».
E
detto uscì dalla stanza, lasciando Nick da solo –
e un tantino perplesso.
Fu
non appena incrociò Trent nel corridoio al primo piano che
si rese conto della
balla raccontatagli da Jeff. Perché? Perché mai
avrebbe rinunciato a
trascorrere del tempo insieme? Anche se significava semplicemente
passare ore a
studiare.
Decise
che, non appena lo avrebbe rivisto, gli avrebbe chiesto una
spiegazione: non
solo lui, Nick, odiava le bugie con
tutto se stesso, ma non riusciva a sopportare che il suo migliore amico
gli
stesse nascondendo qualcosa. Infondo erano sempre stati sinceri
l’uno con
l’altro, non aveva motivo di oscurargli nulla.
Ironia
della sorte, si imbatté in Jeff cinque minuti dopo, quando
uscì in giardino: se
ne stava accasciato bellamente sul muretto, una gamba piegata e
l’altra
penzolante e la schiena appoggiata alla colonna.
Prese
un bel respiro e si avvicinò al compagno. In quel momento
riuscì a vedere
meglio la sua espressione e non gli piacque per niente.
«Mh?».
Jeff,
che probabilmente non si era accorto del suo arrivo, voltò
lo sguardo di
scatto. «A cosa devo quel mh?».
«Non
lo so, dimmelo tu» rispose un po’ sgarbato. Forse
stava esagerando, ma non
riusciva ancora a capacitarsi del fatto che non si fosse confidato con
lui.
«Io
non ho niente da dire».
«Ah,
davvero? Dalla tua faccia non si direbbe» ribatté
Nick. «Sembra che tu abbia
ricevuto il Bacio del Dissennatore, c’hai due occhi da far
paura... Cosa è
successo?».
L’altro
scrollò le spalle. «Niente di che».
«Cazzo,
non dirmi che ti sei rivisto Un ponte per
Terabithia stamattina».
Jeff
rise e a lui parve la cosa più bella che gli fosse capitata
di lì a due ore
prima. Più si avvicinava a lui e più riusciva a
scorgere le ombre scure sotto
ai suoi occhi. Che non avesse dormito? Naah, se ne sarebbe accorto.
«No,
non ho intenzione di rivedermi quel film!».
«E
allora a cosa dobbiamo quei solchi sotto ai tuoi occhi?».
«In
effetti...» cominciò Jeff, deglutendo.
«In effetti è colpa tua».
Nick
aggrottò la fronte. «Ma se quando ti ho raggiunto
in sala studio mi ero appena
svegliato! Cos’avrei potuto fare?».
«E’
che...»
«E’
forse per ieri sera? Quando ti ho detto che assomigliavi a Gargamella?
Guarda,
Jeff, mi dispiace... stavamo solo scherzando» si
giustificò.
«No
che non ce l’ho per quello!» esclamò
Jeff, sorridendo e mettendosi comodo. «E’
che...»
«Allora
è perché ho insultato Call
of Duty? Oh,
non è colpa mia se quel gioco mi fa schifo».
«Se
magari mi lasciassi finire!» sbottò Jeff.
«Stamattina, mentre cercavo i calzini
tra l’Everest di vestiti che abbiamo in camera, ho trovato
una cosa...»
Nick
si fece più attento, sperando non fosse una cazzata di primo
grado – cosa
alquanto probabile.
«Una
lettera» continuò il biondo. Nick
impallidì. «Una lettera in cui dicevano che
sei stato accettato a Yale».
Fu
come se l’intera struttura della Dalton gli fosse crollata
addosso in
quell’istante. Jeff non lo stava guardando, focalizzava
l’attenzione sui lacci
delle sue scarpe e Nick non sapeva cosa pensare. Non sapeva cosa dire. Non sapeva cosa fare.
«Jeff...».
«No»
lo interruppe lui. «Non serve che ti giustifichi. Io sono
contento per te!».
Forse
lo era davvero.
Alzò
lo sguardo e lo puntò in quello di Nick, rivolgendogli uno
dei sorrisi più
tristi che lui avesse mai visto e gli si spezzò il cuore.
Quella
lettera gli era arrivata esattamente due giorni prima e lui non se lo
sarebbe
mai aspettato: aveva mandato un paio di domande in giro nei college, ma
non
pensava di venire accettato proprio a Yale...
praticamente la più lontana da casa sua.
Cosa
avrebbe fatto con Jeff? Se lui avesse deciso di frequentare quel
college, non
ci sarebbe stata più la possibilità di uscire
ogni giorno, di andare a mangiare
una pizza una volta a settimana, di rinchiudersi in camera a giocare
con la
Playstation per pomeriggi interi. Non si sarebbe più
svegliato con il rumore
dello stomaco di Jeff, che annunciava l’ora della colazione.
Non lo avrebbe più
potuto osservare dormire. Non... non sarebbe più stato
felice.
E
non aveva pensato a tutte quelle cose, sinceramente, prima di
presentare la
domanda.
«Io
non avevo messo in conto che fosse così lontano»
disse. «Onestamente... non
avrei mai pensato che potessero accettarmi».
«Ma
lo hanno fatto» ribadì il biondo, continuando a
sorridere. «E io – credimi,
Nick – sono davvero felice per te! Insomma... è Yale! Non ci dovremmo sopportare tutti i
giorni, almeno».
Anche
Nick sorrise.
«E
poi usciremo lo stesso, cosa pensavi! Non ti sbarazzerai di me tanto
facilmente».
«Jeff,
non sarà così facile. Yale è
lontana... se tutto andrà bene ci potremmo vedere
una volta al mese».
Calò
un silenzio imbarazzante, rotto soltanto dal cinguettare continuo degli
uccellini. Nick si guardò intorno e non poté fare
a meno di pensare a quanto
fosse bella la Dalton e che non avrebbe mai
voluto andarsene.
Sospirò.
«Sai
cosa?» disse poi, guardando Nick negli occhi.
«Vuoi
rivedere Un ponte per Terabithia?».
«Oh,
Jeff, hai rotto le palle con sto film!» esclamò
ridendo, seguito a ruota da
Jeff. «Potresti... mandare una domanda anche tu.
Cioè, non voglio assolutamente che
tu ci venga per me, sia
chiaro, però Yale ti apre tante porte. E’ una
specie di garanzia».
E,
vedendo che il sorriso falso che stava sfoggiando Jeff fino a quel
momento
diventò un sorriso vero, si
sentì
bene.
Niffangolo Me.
Eeeeeebbene.
Ieri
non sono riuscita a postare questa storia (perché
l’ho finita solo ora .__.),
causa mancanza di tempo/ispirazione/voglia di scrivere. Così
credo che andrò a
finire la Week un giorno dopo, anche perché non riuscirei mai a postare due storie lo stesso
giorno.
Devo
dire che ne sono abbastanza soddisfatta, questa volta xD
L’idea
che avevo in mente era quella e quella è rimasta, anche
scrivendola.
Vorrei
come al solito ringraziare chiunque abbia inserito la storia tra
seguiti/ricordati/preferiti e soprattutto chi ha commentato (di meno,
questa
volta u.ù), ovvero Weh e
LaRents! Grazie girls *_* ♥
Ci
si vede domani, con una Niff molto... natalizia :D
*lancia
granita*
Lin.
Ps: Prima di lasciarvi a fare
qualunque cosa vogliate fare, vi linko così a caso il mio
profilo Twitter, dove trollo nel tempo libero e ogni tanto spoilero
qualcosuccia! Oh Yeaaaaaah! |
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** The Christmas tree - Day 5. ***
I
NIFF YOU
Day 5. A very Niff Christmas
The Christmas
tree
Il piccolo Jeff rimase
a
bocca aperta quando raggiunse il centro della piazza con la mamma.
Lo
aveva portato in centro città perché, in quel
periodo prenatalizio, le piazze
erano stracolme di bancarelle di tutti i tipi: da quelle dei dolci a
quelle dei
giocattoli a quelle dell’artigianato. Jeff le amava e sua
madre lo sapeva.
Ma
la cosa che più lo lasciò di stucco tra tutte
quelle bellezze invernali, era il
maestoso albero di Natale che era situato al centro della piazza: era immenso, grande quanto il palazzo
lì a
fianco, decorato con lunghi striscioni rosso e oro e una marea di
palline di
tutte le forme e colori.
Jeff
continuava a fissarlo incantato, come se da un momento
all’altro potesse
sradicarsi dal suolo e prendere vita. Quell’albero simboleggiava la vita.
Tenendo
lo il nasetto puntato all’insù – quasi
da fargli cadere la testa all’indietro –
fece il giro attorno, senza staccare lo sguardo dai rami. Era una delle
cose
più belle che avesse mai visto, decisamente.
Continuò
a camminare incantato, finché non sbatté contro
qualcosa... qualcuno.
Se
non fosse che subito dopo sentì un tonfo, quasi non si
sarebbe preso la briga
di voltarsi: c’era un bambino lì per terra. Lo
stava scrutando con uno sguardo
strano, cosa che a lui non importava granché, ma gli dava un
tantino fastidio.
Continuava
a fissarlo e starsene lì imbambolato.
Ancora.
E
ancora.
...
Ancora.
Jeff
si voltò, arrivando alla conclusione che magari stava
solamente fissando un
punto dietro di lui, ma quando tornò a guardarlo nulla era
cambiato.
«Vuoi
un autografo?» disse poi, alzando un sopracciglio.
L’altro
assottigliò lo sguardo. «Mi hai fatto cadere...
suppongo tu mi voglia aiutare
ad alzarmi!».
«Veramente
no» rispose Jeff, un po’ preso in contropiede dalla
schiettezza di quel
bambino. Ma come si permetteva di rispondergli male in quel modo?
«Però a
differenza di qualcuno, sono un
bambino educato» e gli porse comunque la mano.
Era
poco più basso di lui, ma doveva avere all’incirca
la sua età.
«Ho
perso i miei occhiali» se ne uscì poi il
piccoletto, guardandosi intorno.
«Sono
quelli là dei Pokémon?» disse Jeff
indicando un punto per terra accanto a lui.
L’altro bimbo li raccolse e li pulì delicatamente
con i guanti.
«No»
rispose. «I miei sono tutti neri».
«Allora
questi dalli a me!» esclamò il biondino,
strappandoglieli dalle mani e
infilandosi, mettendosi poi in posa come se fosse una star.
«Ma
sono di qualcun altro!».
«Evidentemente
non erano così importanti per lui, se stavano lì
a terra» rispose Jeff pacato.
«Lo prendo come un regalo di Natale da parte del
pavimento».
Jeff
era certo di aver visto l’ombra di un sorriso attraversare il
visetto paffutello
del bambino.
Riportò
lo sguardo sull’albero.
«Ti
piace?» domandò poi.
L’altro
annuì, ma lui non poté vederlo.
«Sì, è bellissimo!».
«Già...
non ho mai visto qualcosa di così colorato e felice!».
«Ed
è altissimo!» aggiunse l’altro.
«Non riuscirei a toccargli la punta neanche con
una scala gigante!».
Jeff
sogghignò. «No, è perché sei
nano».
«Ehi!»
l’altro si innervosì, tirandogli una debole
gomitata sul braccio.
Improvvisamente
cominciarono a scendere alcuni fiocchi di neve e... Jeff amava la neve.
Era così
soffice e bianca, così fresca che riusciva a passarci delle
ore a toccarla e a
giocarci. Sperò con tutto il cuore che nevicasse tutta la
notte, così la
mattina dopo sarebbe stato tutto ricoperto. Tutto bianco.
«La
mia mamma dice che la neve riappacifica le anime in litigio»
se ne uscì
l’altro.
Aggrottò
la fronte. «La tua mamma è strana»
disse. «Però mi piace come idea».
Mentre
i fiocchi cadevano lentamente – e Jeff passava minuti interi
ad osservarli –
gli venne in mente una cosa.
«Io
mi chiamo Jeff, comunque».
L’altro
sorrise. «Io Nick».
«Ho
sempre pensato che in realtà Babbo Natale si chiamasse Nick,
sai?» se ne uscì
Jeff, serio.
Nick
scoppiò a ridere tenendosi la pancia e Jeff, non seppe
perché, lo seguì a
ruota. Tutto sommato non era male quel Nick.
«Niiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiick!
Amoreeeee dobbiamo andare!».
«Questa
è la tua mamma strana?» commentò Jeff.
«Sì,
devo andare a casa» sospirò Nick, un po’
triste. «Ci si vede in giro, Jeff!».
E,
con un vigoroso cenno della mano e un sorriso stampato in volto, lo
salutò e si
avviò verso una coppia poco distante da loro, prendendo
subito dopo la mano di
quella che doveva essere la madre. Jeff sorrise tra sé, per
poi dire a bassa
voce: «Magari sì, Nick».
Niffangolo Me.
Okay,
ce l’ho fatta a pubblicare!
Ho
scritto questa storiella in poco tempo e devo dire che ne ero
soddisfatta, fino
a quando ho pensato: “... Embè?”
Diciamo
pure che è priva di senso, però è Niff
quindi anche due battute tra i due messe
in croce dovrebbero bastare ♥ Ah, e poi riguarda il
Natale... e
la neve... e *O*
Rivoglio
il Nataleeeee! *pesta i piedi e da un calcio
alla primavera*
Aaaaanyway,
anche se li amo, non vedo l’ora di finire la Niff Week
;__; non riesco ad essere concentrata al
massimo, scrivere una storia al giorno è più difficile di quanto pensassi.
E poi non ho ancora iniziato il capitolo
nuovo della long sugli Warblers e mi sento in colpa per averla
trascurata.
Uoff.
Ci
tenevo a ringraziare Somo e ND_Warblers, che
hanno recensito lo scorso capitolo! Thanksssss :*
Beh,
spero vi sia piaciuta un pochetto anche questa
Baby Niff; scusate se trovate qualche errore, ma l’ho riletta solamente una volta.
Un
arcobaleno per tutti,
Lins.
Ps: Prima di lasciarvi a fare
qualunque cosa vogliate fare, vi linko così a caso il mio
profilo Twitter, dove trollo nel tempo libero e ogni tanto spoilero
qualcosuccia! Oh Yeaaaaaah! |
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=1002405
|