I Niff you

di LyndaWeasley
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Memories - Day 1. ***
Capitolo 2: *** Desperate Household - Day 2 ***
Capitolo 3: *** Ciak! - Day 3 ***
Capitolo 4: *** Will be together - Day 4. ***
Capitolo 5: *** The Christmas tree - Day 5. ***



Capitolo 1
*** Memories - Day 1. ***


I NIFF YOU

 

 

 

 

 

 

Day 1. Niff!The First Time

Note personali: forse alcuni di voi, dopo aver letto questa storia, penseranno “ehi, ma mi sembra familiare”. Beh, ieri quando l’ho passata alla mia dementamica Somo, ci siamo accorte che somiglia moooolto ad una sua Seblaine .__. Che ovviamente io non avevo letto, dato che ripudio quella coppia con tutta me stessa.
Eeeee niente, mi stupisco ogni giorno di più della nostra “connettività psicologica” XD
Avevo intenzione di scriverne un’altra, ma lei ha detto che non le dava fastidio se la pubblicavo, quindi... Ah, probabilmente ci sarà qualche strafalcione verbale: non sono abituata ad usare questo stile di scrittura, ma m’ispirava così. Vabbè u_ù

 

 

 

 

Memories.

 

 

La prima volta che incontrai Nick Duvall avevo otto anni.
Ricordo che quando lo vidi stravaccato sull’altalena del parco, pensai: “bambino, mi dispiace per te ma hai un naso orribile!”
Ero piccolo, forse un po’ superficiale, ma mi avvicinai lo stesso a lui e lo fissai per qualche istante. «Ce l’hai una caramella?».
Lui alzò lo sguardo e lo puntò dritto su di me, aggrottando la fronte in un modo che tutt’ora ho dipinto nella mente.
«No» mi rispose, scuotendo la testa.
Feci spallucce e accennai un sorriso: lui intanto continuava a dondolarsi sull’altalena, sempre più forte.
«Stai attento!» gli gridai, ricordando di aver visto un bambino fare la stessa cosa qualche giorno prima, per poi assisterlo mentre la madre gli metteva il ghiaccio sul bernoccolo.
«Yuu! Lo faccio tutti i giorni!» rise lui, rallentando e respirando a fatica. Ma era felice.
Ricordo che gli sorrisi e mi voltai per andarmene, quando la sua voce mi bloccò.
«Quelle caramelle» mi disse, raggiungendomi e porgendomi una mano piena di monetine, «possiamo andarle a comprare insieme, se vuoi. Ma non credo che questi soldi bastino».
E io sorrisi, trafugando nella tasca dei jeans ed estraendone qualche spiccio.
«Forse se li mettiamo insieme riusciamo a comprarci un pacchetto intero!».
E, quel pomeriggio, entrambi tornammo a casa con il mal di pancia.

 

 

La prima volta che io e Nick Duvall andammo a scuola insieme, fu in prima media.
La sorpresa sui nostri volti fu istantanea ed entrambi ridemmo come matti, sedendoci perfino allo stesso banco. Da quella volta che ci sbaffammo un intero pacco di caramelle al parco giochi, non ci eravamo mai più visti: erano passati sei mesi.
Non avrei mai pensato di potermelo ritrovare lì il primo giorno di scuola, ma fui molto felice. Lo avevo pensato spesso in quel periodo, perché con lui mi ero divertito come non mai. Avevamo tante cose in comune.
Mi era dispiaciuto tantissimo non averlo più ritrovato al parco, arrivai a pensare che si fosse trasferito in un’altra città: all’epoca non avevo un cellulare, ero piccolo, quindi non c’erano modi per rimanere in contatto.
Non potei fare a meno di sorridere quando lui incise i nostri nomi sul sottobanco, come per indicarne il possesso. E in quel momento seppi che sarebbe stato il mio compagno di banco per i giorni e gli anni a venire, e che avremmo passato la gran parte del tempo insieme.

 

 

La prima volta che Nick Duvall si prese una cotta, fu per Giusy, la mia vicina di casa.
Ci fu un periodo in cui pensai che venisse a casa mia solo per spiarla dalla finestra mentre si pettinava i lunghi capelli neri, solo che poi mi ricredetti. Era mio amico, non avrebbe mai fatto una cosa del genere, nemmeno per una ragazza.
«Perché deve essere così carina?» sospirò un giorno, mentre lo stavo battendo alla grande a Tekken. In effetti era molto carina, anche se non era il mio tipo.
«Boh, è nata così» risposi distrattamente mentre infliggevo il colpo mortale al suo pg.
«Ma non mi dire!» aveva sbottato lui, lanciando il joystick sul tappeto. Mi faceva un po’ di tenerezza, perché sapevo che con lei non aveva alcuna possibilità: si era appena fidanzata con un ragazzo che abitava poco distante da me e di cui era cotta da una vita.
«Non è giusto» aveva continuato a borbottare per tutto il tempo, infastidito. «Me le devo beccare tutte io quelle carine ma occupate».
«Fidanzati con me, io sono liiiibero!». Entrambi avevamo riso come matti per il resto del pomeriggio, fingendoci piccioncini senza ritegno.
Nessuno di noi due sapeva che, di lì a pochi mesi, io non avrei desiderato altro che far diventare reale quella stupida messinscena.

 

 

La prima volta che Nick Duvall finì all’ospedale, fu per colpa mia.
Il ricordo di quel lungo corridoio cupo, vive nitido nella mia mente ancora oggi: lo percorsi a passo svelto, come se avessi avuto un rinoceronte alle calcagna.
Sua madre mi chiamò venti minuti prima e io feci l’impossibile per riuscire ad arrivare all’ospedale prima che lo portassero in sala operatoria.
Era lì, disteso sulla barella e con lo sguardo fisso sul soffitto.
«Nick...».
«Ehi» mi disse, sforzandosi di sorridere. Diamine, cosa avevo combinato?
«Ma cosa ti è saltato in mente, eh?» sbottai, avvicinandomi a lui e rivolgendogli un’occhiata di rimprovero. «Potevi morire!».
«Non sono io il fesso che ha lanciato il pallone sul tetto» fu la sua risposta.
«Non avresti dovuto arrampicarti!».
«Tieni a quel pallone più della tua stessa vita, Jeff...».
Era parzialmente vero: era un ricordo di mio padre. Me lo regalò prima di lasciarci qualche estate fa, e da allora l’ho sempre trattato come fosse una reliquia.
Presi la mano di Nick e la tenni stretta nella mia. Era fredda. «La tua vita vale più di uno stupido pallone».

 

 

 

La prima volta che io e Nick Duvall ci baciammo, fu sotto la pioggia.
Sì sì, romantico e tutto, ma eravamo davvero fradici! Non per niente rimasi due settimane a casa da scuola, dopo quel bacio.
Colpa del bacio o della pioggia?
Odiai il fatto che fu lui a baciarmi: l’avrei voluto – dovuto? – fare io tanto tempo prima, ma mi ero sempre vergognato. Avevo pensato fosse una sciocchezza, perché lui aveva avuto da sempre una cotta per Giusy e... mi sentivo un imbecille a pensare una cosa del genere.
Ma quando lo fece... cavolo, ricordo tutt’ora il turbine di emozioni che mi colpì nell’istante preciso in cui le nostre due labbra si sfiorarono. Mi sentii libero, sorpreso, avvolto da un mantello di felicità che mai nessuna cosa mi aveva saputo dare prima di allora.
«E questo...?» sospirai dopo, completamente sollevato.
Nick aveva scrollato le spalle. «Hai mai sentito il bisogno talmente forte di fare qualcosa di... folle, come baciare qualcuno che ami?».
Era sembrato quasi ironico.
«Sì, ma sono un codardo e non l’ho mai fatto».
Lui sorrise. «Ho rimediato io per tutti e due».
E la pioggia continuava a cadere, ma quello non era importante.

 

 

La prima volta che io e Nick Duvall ci amammo davvero, accadde due giorni fa, prima che lui si trasferisse per motivi di studio in un’altra città.

 

 

 

 

 

 

 

Niffangolo Me.

 

Salve :D
Ebbene sì, anche io ho cominciato con la Niff Week! Scusate, ma dovrete sorbirmi tutti i giorni fino a domenica prossima *sogghigna*
Sinceramente... sono abbastanza soddisfatta di com’è venuta questa prima storia. A parte qualche strafalcione.
Tipo a momenti ridevo, a momenti piangevo, a momenti mi veniva da sbattere la testa contro la tastiera. Cose così, insomma.
Spero vi sia piaciuta almeno un pochetto! :D
A domani, con la Niff!Roommate
 
Lins.
*vomita arcobaleni*

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Capitolo 2
*** Desperate Household - Day 2 ***


I NIFF YOU

 

 

 

Day 2. Roommate!Niff
Note personali: Okay, lettore avvisato mezzo salvato: questa probabilmente è la cosa più stupida che abbia mai scritto durante la mia carriera da fanwriter... e dire che, in tutto questo tempo, ne ho scritte di cazzate. Ma questa credo lo sia più di tutti .__.
Spero comunque vi strappi un sorriso.

 

 

 

Desperate Household

 

 

«Senti, io non piaccio a te e tu non piaci a me... ma vedi di funzionare, piccolo bastardo».
Nick sentì quella frase seguita da un forte tonfo, come se qualcuno fosse piombato in casa abbattendo la porta e si precipitò di corsa nel piccolo soggiorno: aveva solamente un asciugamano ad avvolgergli la vita e, con uno più piccolo, si stava asciugando i capelli alla bell’e meglio. Insomma, se fosse entrato davvero qualcuno, era giusto un tantino impresentabile. A meno che non avesse avuto gusti strani.
Piombò nella stanza, non preoccupandosi delle orme bagnate che si stava lasciando alle spalle e si ritrovò davanti una scena del tutto inusuale: Jeff se ne stava in piedi accanto al lavandino con un’espressione del tutto contrariata e... il frullatore per terra.
«Ma co-?»
Jeff si accorse della presenza di Nick e gesticolò distrattamente nella sua direzione, continuando a fissare il pavimento.
«Non dire una parola, Nick. Non una sola parola».
«Eccome se la dico!» saltò su Nick, gettando l’asciugamano a terra. «Il mio frullatore è fracassato sul pavimento!».
«Il nostro frullatore, vorrai dire» sbottò di rimando Jeff, incrociando le braccia e ignorando il tono accusatorio del ragazzo.
«No, è quello che ho comprato io con i soldi che ho vinto al Gratta e Vinci!».
«... Il Gratta e Vinci che hai comprato con i due dollari che abbiamo vinto alle macchinette».
Okay, quella discussione era del tutto ridicola. Più che altro l’intera situazione era ridicola e ancora Nick non sapeva per quale motivo il suo- il loro frullatore aveva deciso di mettere le ali e volare lì per terra.
Sospirò e si avvicinò a Jeff, raccogliendo l’oggetto da terra e rigirandoselo tra le mani: sicuramente non avrebbe funzionato mai più, per come si era ridotto dopo la caduta.
Rivolse un’occhiata mista tra curioso e triste al compagno.
«Perché l’hai ucciso?».
Jeff abbassò lo sguardo. «Non... non mi faceva frullare niente».
«Ma se andava bene fino a ieri!».
«Lo so!» rispose l’altro. «Io cliccavo il bottone e lui non partiva! Le ho provate tutte!».
E poi Nick sospirò, socchiudendo gli occhi e cercando di mantenere la calma.
«Hai provato, chessò, ad attaccare la spina, magari?».
Jeff alzò di nuovo lo sguardo verso Nick e corrugò la fronte. «Non-non era già attaccata...?».
«Piccolo scemo, ieri che abbiamo fatto i lavori qua in cucina, abbiamo staccato tutte le prese» gli rammentò Nick. «Ora è chiaro: il frullatore è morto inutilmente e tu sei più rincitrullito di quanto pensassi!».
Nick posò il cadavere sul tavolo, scuotendo la testa: c’era ironia tra le sue parole, che Jeff però parve non cogliere. Si avvicinò a lui e gli posò una mano sulla spalla.
«Mi dispiace» borbottò Jeff. «Io volevo solo farmi la colazione».
Nick sorrise. «Lo so. Dai, possiamo sempre comprarne un altro!».
«Non abbiamo i soldi, Nick» disse il biondo, serio. «Non abb- abbiam- Nick?».
«Mh?».
Jeff si voltò e andò dritto verso il cassetto, cominciando a trafugare tra le varie carte. Poco dopo – sotto gli sguardi curiosi e perplessi di Nick – ne estrasse una specie di piccola cartellina arancione.
«Ecco» disse poi, sfogliando fino all’ultima pagina e sbattendogliela in faccia a Nick, «mi mancano ancora sette punti e mi regalano un frullatore nuovo!».
«Jeff... da quand’è che fai la raccolta punti al supermercato?».
«Beh, da quando la commessa ha cominciato a darmeli» rispose. «Finora ne ho accumulati quattrocentosessantatre!».
Nick scoppiò a ridere a quella scena. Chissà da quando il suo compagno si era preso l’impegno di appiccicare i punti della spesa su quel piccolo quadernetto e lui nemmeno lo sapeva. Era... semplicemente fantastico. E anche semplicemente mogliettina.
«Qualcosa mi dice che potremmo andare a fare un po’ di spesa, no?» commentò Nick, fingendo indifferenza.
L’altro annuì. «Sì, però vai a vestirti» disse spintonandolo. «Non vorrei che la commessa ti adocchiasse troppo».
«Ma... così magari ci potrebbe dare più punti e...».
«Va’ a vestirti!».
Entrambi risero e Nick tornò al bagno, non prima di aver lanciato uno sguardo eloquente – molto eloquente – al suo ragazzo.
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Niffangolo Me.

 

Visto? Che vi dicevo? .__.

Vabbè, ma ormai ho postato questa roba e posso anche mettermi a pensare a qualcosa di decente per domani, ovvero per una bella AU!Niff *O*

#cantwait

Cooooomunque, sono allibita per quante persone solamente ieri abbiano messo tra i seguiti questa raccolta! Siete tantissimi, grazie! Ma vorrei fare un ringraziamento speciale a coloro che mi hanno lasciato delle splendide recensioni, ovvero a Sere, LaRents, ElfoMikey, Thalia, ND_Warblers518, Emi, Marzia e Silvia. Thanks, guys

Auguro una felice giornata a tutti!

Lins.

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Capitolo 3
*** Ciak! - Day 3 ***


I NIFF YOU

 

 

 

 

Day 3. AU!Niff

 

 

 

 

 

Ciak!

 

 

Nick sbatté la fronte contro la cartellina che teneva stretta in mano.
Così non andava bene: quella situazione andava avanti da tutto il pomeriggio ormai e, sinceramente, si era proprio stufato. Era stanco.
«Stop! Stop! STOP!» gridò poi, calandosi di peso sulla sedia.
Erano le sei di pomeriggio e stavano lavorando a quella scena da ormai due ore e mezza: non riusciva a capire che difficoltà avessero gli attori, tant’era che l’omino del ‘ciak’ aveva perso completamente l’energia nel dire ‘ciaaak!’. Sembrava quasi un rantolo di dolore.
Nick tuffò la faccia nelle mani, prima di rivolgere uno sguardo di supplica a David – l’addetto al ciak – e fargli cenno di proseguire... ancora. Quest’ultimo, con tutta la fiacca possibile e immaginabile, si recò al centro del set per poi voltarsi verso la telecamera.
«Scena 21... ciak 39... azione» disse con voce pacata, quasi innaturale.
Nick soffocò un risolo, sperando che quella fosse l’ultima volta a cui avrebbe dovuto assistere alla scena. Amava il suo film, ovviamente, ma pensava che quella parte non avrebbe voluto rivederla per il resto dei suoi giorni.
I due attori presero a recitare qualche istante dopo.
«Katrina...» disse lui, Jeff Sterling, avvicinandosi alla collega e sfiorandole una guancia. «Katrina... mi chiedevo se avessi pensato a quello che ti ho detto l’altra sera, al ristorante».
La ragazza sospirò, gli occhi falsamente innamorati. «Sì, Rob, ci ho pensato. E... credo che dovremmo aspettare».
«Ma io sono innamorato di te, Katrina, non voglio aspettare!».
«Ma devi! Per il mio bene... il nostro bene!»
«Terry, ti prego... Cioè, Katrina, ti prego... oh».
«STOOOOP!».
Questa volta Nick sbatté forte la testa sulla telecamera. Com’era possibile? I nomi! Avevano provato tutto il pomeriggio, almeno quello, perdinci!
«Scusa!» piagnucolò Jeff.
«Scusa stocazzo, Jeff!» protestò lui, sprofondando sempre di più nella sedia. «Perché? Perché! Anche io ho una vita, vorrei tanto potermene andare a casa a bermi una birra, dato che sto qua dalle sei e mezza di questa mattina. E invece? E invece no, per colpa tua stanotte mi toccherà accamparmi su questo stupido pavimento!».
Un leggero brusio si levò dalla troupe e, dallo sguardo di Jeff, Nick capì che si stava rendendo conto della ‘gravità’ della situazione; ovviamente anche loro erano stufi di quella scena. Tutti quanti erano sul set da metà mattina – alcuni dall’alba – e probabilmente avrebbero voluto tornare a casa dalle proprie famiglie.
Il biondo si passò una mano tra i capelli, sospirando.
«Lo so, Nick, mi dispiace!» disse. «E’ che... sono nervoso e per qualche strano motivo non riesco a girare questa scena con Terry».
«Ehi, non vorrai mica insinuare che è colpa mia!» sbottò lei, infastidita, incrociando le braccia.
«Non prenderla sul personale» rispose Jeff. «Forse non l’ho provata abbastanza».
«Ah, ecco!».
Jeff era un bravo attore, sempre molto convincente e disponibile: Nick lo aveva scelto per interpretare quel ruolo qualche mese prima, ma si conoscevano da anni. Avevano fatto le scuole assieme e per qualche periodo avevano perfino frequentato la stessa compagnia; solo che, per un motivo o per l’altro, si erano persi di vista e ritrovati dopo molto tempo.
A Nick piaceva Jeff, erano sempre in buona sintonia e lui era un ragazzo davvero gentile e divertente. Però... ecco, quando aveva una di quelle che chiamava ‘giornate culo’, era la fine. Non c’era verso di sistemare le cose.
«Senti, Jeff...» disse avvicinandosi al ragazzo e posandogli una mano sulla spalla. «Io, ehm, entro stasera vorrei andare a casa, non so se mi spiego».
In quel momento Jeff fece una panoramica con lo sguardo intorno a sé, notando che la maggior parte della troupe si stava facendo bellamente i cavoli propri.
«Hai ragione» sbottò l’altro. «Oggi proprio non ci sto con la testa».
«E si è visto» aggiunse Nick, ridacchiando. «Quindi permettimi di darti una dimostrazione di quello che tu dovresti già saper fare».
Nick non capiva perché stesse usando quel tono un po’ scorbutico: okay, era impaziente di andare a casa e stravaccarsi sul divano fino all’indomani, però era pure sempre Jeff. Ma, nonostante tutto, non riusciva a restare tranquillo.
«Okay, dopo il ciak, Terry si allontana di qualche passo da te... Io sono te, cioè Rob e tu fai Katrina» disse poi.
Jeff si accigliò. «Perché la devo fare io la ragazza?».
«Fallo e basta!» ribatté. «Cominciamo... Katrina... mi chiedevo se avessi pensato a quello che ti ho detto l’altra sera, al ristorante».
Gli faceva uno strano – stranissimo – effetto parlare con quel tono a Jeff. Quest’ultimo, evidentemente imbarazzato, si schiarì la voce.
«Sì, Rob, ci ho pensato. E... credo che dovremmo aspettare».
Nick si avvicinò a Jeff con passo deciso e in quel momento avrebbe dovuto sfiorargli una guancia, ma... cavolo, si paralizzò. Lui era un regista, non un attore, ma doveva far capire all’amico come comportarsi in quella scena. L’effetto che quella piccola messinscena gli stava facendo era del tutto estraneo al suo corpo.
Avvicinò il volto all’incavo del collo – facendo una pessima figura, dato che era almeno dieci centimetri più basso di lui – e sospirò.
«Ma io sono innamorato di te, Katrina, n-non voglio aspettare...»
Era un po’ imbarazzante: ora li stavano tutti guardando.
Nick sentì Jeff deglutire – cavolo, ce ne vuole! – e allontanò un po’ il viso dal suo collo. Però... aveva un buon profumo. Non voleva staccarsi. Ma cosa andava a pensare? Chiuse gli occhi e poi li riaprì, sperando che i suoi colleghi lo prendessero come segno della sua bravura.
«Ma devi! Per il mio bene... il nostro bene!» disse Jeff, calatosi completamente nella parte.
Ecco: perché ora si era calato completamente nella parte? Non poteva evitargli quella scena imbarazzante?
Forse il suo fiato sul collo aveva qualche effetto speciale, altrimenti non si spiegherebbe il perché improvvisamente fosse fin troppo credibile.
«Katrina... ti prego...».
Perché? Perché il gruppo di budella A e il gruppo di budella B si stavano facendo guerra?
In quel momento Jeff si voltò – come previsto dal copione – e si avvicinò ulteriormente a Nick: i suoi occhi brillavano e a Nick piacevano molto. Troppo. Ora fu il suo turno di deglutire e sperò con tutto il cuore che lui non se ne fosse accorto.
Il biondo alzò una mano e poi la riabbassò, per poi passarsela tra i capelli. Questo era un attentato alle budella di Nick, già in guerra per conto proprio.
Si stava odiando più che mai in quel momento. Cazzo.
«Non ce la faccio».
Jeff alzò un sopracciglio, confuso, abbandonando il suo sguardo da attore. «Questo non era nel copione, credo».
Mannaggia! Ma che figura aveva fatto? E tutto grazie a Jeff e a quel suo profumo... e a quello sguardo... e...
«Oh, ma vaffanculo!» esclamò prima di superare Jeff – lasciandolo con uno sguardo allibito, della serie ‘e io che c’entro?’ – e uscire dalla stanza, sbattendo la porta.
Era nella merda, eccome se lo era.
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Niffangolo Me.

 

...

Inizio dicendo che ero orgogliosa dell’idea avuta per questa AU... prima di averla scritta.

Ovviamente le cose non vengono mai come si spera *deprimente*

Coooomunque, spero tanto vi sia piaciuta, o almeno che vi abbia strappato un sorriso (:

Come al solito vorrei ringraziare tutti coloro che hanno inserito la storia tra i seguiti/ricordati/preferiti! Siete davvero tantissimi e ancora non ci credo *O* Un abbraccio particolare ad Ale, Thalia, Marzia, Somo, Sere, Weh, LaRents e Rin, che si sono prese la briga di commentare *_*

Ho postato un po in ritardo perché oggi non ho avuto un attimo per respirare, e stasera mi sono ritrovata a dover scrivere la storia in troppo poco tempo.

 

Un arcobaleno per tutti,

Lins.

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Capitolo 4
*** Will be together - Day 4. ***


I NIFF YOU

 

 

 

Day 4. Why are you so sad?

 

 

 

 

We'll be together

 

 

 
«Cacchio, Nick».
Erano spaparanzati sul divanetto della loro stanza, con gli occhi fissi sulla televisione: o meglio, Jeff sembrava avesse ormai creato un contatto visivo indissolubile con essa, mentre Nick aveva lo sguardo vacuo, perso in chissà quali pensieri.
«Tra tutti i film dell’Universo dovevi scegliere proprio questo?» domandò Jeff, lo sguardo ancora incollato ai titoli di coda.
«Cos’hai contro Un ponte per Terabithia?» rispose l’altro.
Jeff respirò a fondo, per poi voltarsi verso Nick e rivolgersi a lui come se lo avesse appena insultato. «Cos’ho contro? E’ uno dei film più tristi che io abbia mai visto! Se non mi metto a piangere è solo perché qua ci sei tu... ma sappi che dentro sto morendo».
A Nick venne da sorridere per la reazione del suo amico: da come gli stava rispondendo, era evidente che il film gli era piaciuto e che gli stava dando – in un certo senso – “la colpa” per questo.
Gli diede una piccola gomitata di scherno.
«Prometto che non mi scandalizzerò se per caso dovesse scenderti qualche lacrimuccia!» lo prese in giro.
«Seh, seh! Non fare tanto lo spiritoso!».
Passarono il resto della serata a prendersi in giro a vicenda, a mangiare salatini – anche se Jeff aveva inizialmente lo stomaco chiuso a causa del film – e a ridere.
In effetti, forse quella era una delle migliori serate che Nick e Jeff avessero mai passato assieme.
 
Il giorno dopo, quando Nick raggiunse Jeff in aula studio, lo trovò alquanto... strano.
Quando gli si sedette accanto, lui sussultò, gli lanciò un’occhiata triste e chiuse tremolante il libro. «Ciao... scusa, ma ora dovrei andare. Ho promesso a Trent che lo avrei aiutato con i compiti di Biologia».
E detto uscì dalla stanza, lasciando Nick da solo – e un tantino perplesso.
Fu non appena incrociò Trent nel corridoio al primo piano che si rese conto della balla raccontatagli da Jeff. Perché? Perché mai avrebbe rinunciato a trascorrere del tempo insieme? Anche se significava semplicemente passare ore a studiare.
Decise che, non appena lo avrebbe rivisto, gli avrebbe chiesto una spiegazione: non solo lui, Nick, odiava le bugie con tutto se stesso, ma non riusciva a sopportare che il suo migliore amico gli stesse nascondendo qualcosa. Infondo erano sempre stati sinceri l’uno con l’altro, non aveva motivo di oscurargli nulla.
Ironia della sorte, si imbatté in Jeff cinque minuti dopo, quando uscì in giardino: se ne stava accasciato bellamente sul muretto, una gamba piegata e l’altra penzolante e la schiena appoggiata alla colonna.
Prese un bel respiro e si avvicinò al compagno. In quel momento riuscì a vedere meglio la sua espressione e non gli piacque per niente.
«Mh?».
Jeff, che probabilmente non si era accorto del suo arrivo, voltò lo sguardo di scatto. «A cosa devo quel mh?».
«Non lo so, dimmelo tu» rispose un po’ sgarbato. Forse stava esagerando, ma non riusciva ancora a capacitarsi del fatto che non si fosse confidato con lui.
«Io non ho niente da dire».
«Ah, davvero? Dalla tua faccia non si direbbe» ribatté Nick. «Sembra che tu abbia ricevuto il Bacio del Dissennatore, c’hai due occhi da far paura... Cosa è successo?».
L’altro scrollò le spalle. «Niente di che».
«Cazzo, non dirmi che ti sei rivisto Un ponte per Terabithia stamattina».
Jeff rise e a lui parve la cosa più bella che gli fosse capitata di lì a due ore prima. Più si avvicinava a lui e più riusciva a scorgere le ombre scure sotto ai suoi occhi. Che non avesse dormito? Naah, se ne sarebbe accorto.
«No, non ho intenzione di rivedermi quel film!».
«E allora a cosa dobbiamo quei solchi sotto ai tuoi occhi?».
«In effetti...» cominciò Jeff, deglutendo. «In effetti è colpa tua».
Nick aggrottò la fronte. «Ma se quando ti ho raggiunto in sala studio mi ero appena svegliato! Cos’avrei potuto fare?».
«E’ che...»
«E’ forse per ieri sera? Quando ti ho detto che assomigliavi a Gargamella? Guarda, Jeff, mi dispiace... stavamo solo scherzando» si giustificò.
«No che non ce l’ho per quello!» esclamò Jeff, sorridendo e mettendosi comodo. «E’ che...»
«Allora è perché ho insultato Call of Duty? Oh, non è colpa mia se quel gioco mi fa schifo».
«Se magari mi lasciassi finire!» sbottò Jeff. «Stamattina, mentre cercavo i calzini tra l’Everest di vestiti che abbiamo in camera, ho trovato una cosa...»
Nick si fece più attento, sperando non fosse una cazzata di primo grado – cosa alquanto probabile.
«Una lettera» continuò il biondo. Nick impallidì. «Una lettera in cui dicevano che sei stato accettato a Yale».
Fu come se l’intera struttura della Dalton gli fosse crollata addosso in quell’istante. Jeff non lo stava guardando, focalizzava l’attenzione sui lacci delle sue scarpe e Nick non sapeva cosa pensare. Non sapeva cosa dire. Non sapeva cosa fare.
«Jeff...».
«No» lo interruppe lui. «Non serve che ti giustifichi. Io sono contento per te!».
Forse lo era davvero.
Alzò lo sguardo e lo puntò in quello di Nick, rivolgendogli uno dei sorrisi più tristi che lui avesse mai visto e gli si spezzò il cuore.
Quella lettera gli era arrivata esattamente due giorni prima e lui non se lo sarebbe mai aspettato: aveva mandato un paio di domande in giro nei college, ma non pensava di venire accettato proprio a Yale... praticamente la più lontana da casa sua.
Cosa avrebbe fatto con Jeff? Se lui avesse deciso di frequentare quel college, non ci sarebbe stata più la possibilità di uscire ogni giorno, di andare a mangiare una pizza una volta a settimana, di rinchiudersi in camera a giocare con la Playstation per pomeriggi interi. Non si sarebbe più svegliato con il rumore dello stomaco di Jeff, che annunciava l’ora della colazione. Non lo avrebbe più potuto osservare dormire. Non... non sarebbe più stato felice.
E non aveva pensato a tutte quelle cose, sinceramente, prima di presentare la domanda.
«Io non avevo messo in conto che fosse così lontano» disse. «Onestamente... non avrei mai pensato che potessero accettarmi».
«Ma lo hanno fatto» ribadì il biondo, continuando a sorridere. «E io – credimi, Nick – sono davvero felice per te! Insomma... è Yale! Non ci dovremmo sopportare tutti i giorni, almeno».
Anche Nick sorrise.
«E poi usciremo lo stesso, cosa pensavi! Non ti sbarazzerai di me tanto facilmente».
«Jeff, non sarà così facile. Yale è lontana... se tutto andrà bene ci potremmo vedere una volta al mese».
Calò un silenzio imbarazzante, rotto soltanto dal cinguettare continuo degli uccellini. Nick si guardò intorno e non poté fare a meno di pensare a quanto fosse bella la Dalton e che non avrebbe mai voluto andarsene.
Sospirò.
«Sai cosa?» disse poi, guardando Nick negli occhi.
«Vuoi rivedere Un ponte per Terabithia?».
«Oh, Jeff, hai rotto le palle con sto film!» esclamò ridendo, seguito a ruota da Jeff. «Potresti... mandare una domanda anche tu. Cioè, non voglio assolutamente che tu ci venga per me, sia chiaro, però Yale ti apre tante porte. E’ una specie di garanzia».
E, vedendo che il sorriso falso che stava sfoggiando Jeff fino a quel momento diventò un sorriso vero, si sentì bene.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Niffangolo Me.

 

Eeeeeebbene.

Ieri non sono riuscita a postare questa storia (perché l’ho finita solo ora .__.), causa mancanza di tempo/ispirazione/voglia di scrivere. Così credo che andrò a finire la Week un giorno dopo, anche perché non riuscirei mai a postare due storie lo stesso giorno.

Devo dire che ne sono abbastanza soddisfatta, questa volta xD

L’idea che avevo in mente era quella e quella è rimasta, anche scrivendola.

Vorrei come al solito ringraziare chiunque abbia inserito la storia tra seguiti/ricordati/preferiti e soprattutto chi ha commentato (di meno, questa volta u.ù), ovvero Weh e LaRents! Grazie girls *_*

Ci si vede domani, con una Niff molto... natalizia :D

 

*lancia granita*

Lin.

Ps: Prima di lasciarvi a fare qualunque cosa vogliate fare, vi linko così a caso il mio profilo Twitter, dove trollo nel tempo libero e ogni tanto spoilero qualcosuccia! Oh Yeaaaaaah!

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Capitolo 5
*** The Christmas tree - Day 5. ***


I NIFF YOU

 

 

Day 5. A very Niff Christmas

 

 

The Christmas tree

 

 

Il piccolo Jeff rimase a bocca aperta quando raggiunse il centro della piazza con la mamma.
Lo aveva portato in centro città perché, in quel periodo prenatalizio, le piazze erano stracolme di bancarelle di tutti i tipi: da quelle dei dolci a quelle dei giocattoli a quelle dell’artigianato. Jeff le amava e sua madre lo sapeva.
Ma la cosa che più lo lasciò di stucco tra tutte quelle bellezze invernali, era il maestoso albero di Natale che era situato al centro della piazza: era immenso, grande quanto il palazzo lì a fianco, decorato con lunghi striscioni rosso e oro e una marea di palline di tutte le forme e colori.
Jeff continuava a fissarlo incantato, come se da un momento all’altro potesse sradicarsi dal suolo e prendere vita. Quell’albero simboleggiava la vita.
Tenendo lo il nasetto puntato all’insù – quasi da fargli cadere la testa all’indietro – fece il giro attorno, senza staccare lo sguardo dai rami. Era una delle cose più belle che avesse mai visto, decisamente.
Continuò a camminare incantato, finché non sbatté contro qualcosa... qualcuno.
Se non fosse che subito dopo sentì un tonfo, quasi non si sarebbe preso la briga di voltarsi: c’era un bambino lì per terra. Lo stava scrutando con uno sguardo strano, cosa che a lui non importava granché, ma gli dava un tantino fastidio.
Continuava a fissarlo e starsene lì imbambolato.
Ancora.
E ancora.
... Ancora.
Jeff si voltò, arrivando alla conclusione che magari stava solamente fissando un punto dietro di lui, ma quando tornò a guardarlo nulla era cambiato.
«Vuoi un autografo?» disse poi, alzando un sopracciglio.
L’altro assottigliò lo sguardo. «Mi hai fatto cadere... suppongo tu mi voglia aiutare ad alzarmi!».
«Veramente no» rispose Jeff, un po’ preso in contropiede dalla schiettezza di quel bambino. Ma come si permetteva di rispondergli male in quel modo? «Però a differenza di qualcuno, sono un bambino educato» e gli porse comunque la mano.
Era poco più basso di lui, ma doveva avere all’incirca la sua età.
«Ho perso i miei occhiali» se ne uscì poi il piccoletto, guardandosi intorno.
«Sono quelli là dei Pokémon?» disse Jeff indicando un punto per terra accanto a lui. L’altro bimbo li raccolse e li pulì delicatamente con i guanti.
«No» rispose. «I miei sono tutti neri».
«Allora questi dalli a me!» esclamò il biondino, strappandoglieli dalle mani e infilandosi, mettendosi poi in posa come se fosse una star.
«Ma sono di qualcun altro!».
«Evidentemente non erano così importanti per lui, se stavano lì a terra» rispose Jeff pacato. «Lo prendo come un regalo di Natale da parte del pavimento».
Jeff era certo di aver visto l’ombra di un sorriso attraversare il visetto paffutello del bambino.
Riportò lo sguardo sull’albero.
«Ti piace?» domandò poi.
L’altro annuì, ma lui non poté vederlo. «Sì, è bellissimo!».
«Già... non ho mai visto qualcosa di così colorato e felice!».
«Ed è altissimo!» aggiunse l’altro. «Non riuscirei a toccargli la punta neanche con una scala gigante!».
Jeff sogghignò. «No, è perché sei nano».
«Ehi!» l’altro si innervosì, tirandogli una debole gomitata sul braccio.
Improvvisamente cominciarono a scendere alcuni fiocchi di neve e... Jeff amava la neve. Era così soffice e bianca, così fresca che riusciva a passarci delle ore a toccarla e a giocarci. Sperò con tutto il cuore che nevicasse tutta la notte, così la mattina dopo sarebbe stato tutto ricoperto. Tutto bianco.
«La mia mamma dice che la neve riappacifica le anime in litigio» se ne uscì l’altro.
Aggrottò la fronte. «La tua mamma è strana» disse. «Però mi piace come idea».
Mentre i fiocchi cadevano lentamente – e Jeff passava minuti interi ad osservarli – gli venne in mente una cosa.
«Io mi chiamo Jeff, comunque».
L’altro sorrise. «Io Nick».
«Ho sempre pensato che in realtà Babbo Natale si chiamasse Nick, sai?» se ne uscì Jeff, serio.
Nick scoppiò a ridere tenendosi la pancia e Jeff, non seppe perché, lo seguì a ruota. Tutto sommato non era male quel Nick.
«Niiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiick! Amoreeeee dobbiamo andare!».
«Questa è la tua mamma strana?» commentò Jeff.
«Sì, devo andare a casa» sospirò Nick, un po’ triste. «Ci si vede in giro, Jeff!».
E, con un vigoroso cenno della mano e un sorriso stampato in volto, lo salutò e si avviò verso una coppia poco distante da loro, prendendo subito dopo la mano di quella che doveva essere la madre. Jeff sorrise tra sé, per poi dire a bassa voce: «Magari sì, Nick».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Niffangolo Me.

 

Okay, ce l’ho fatta a pubblicare!

Ho scritto questa storiella in poco tempo e devo dire che ne ero soddisfatta, fino a quando ho pensato: “... Embè?”

Diciamo pure che è priva di senso, però è Niff quindi anche due battute tra i due messe in croce dovrebbero bastare Ah, e poi riguarda il Natale... e la neve... e *O*

Rivoglio il Nataleeeee! *pesta i piedi e da un calcio alla primavera*

Aaaaanyway, anche se li amo, non vedo lora di finire la Niff Week ;__; non riesco ad essere concentrata al massimo, scrivere una storia al giorno è più difficile di quanto pensassi. E poi non ho ancora iniziato il capitolo nuovo della long sugli Warblers e mi sento in colpa per averla trascurata. Uoff.

Ci tenevo a ringraziare Somo e ND_Warblers, che hanno recensito lo scorso capitolo! Thanksssss :*

Beh, spero vi sia piaciuta un pochetto anche questa Baby Niff; scusate se trovate qualche errore, ma lho riletta solamente una volta.

 

Un arcobaleno per tutti,

Lins.

Ps: Prima di lasciarvi a fare qualunque cosa vogliate fare, vi linko così a caso il mio profilo Twitter, dove trollo nel tempo libero e ogni tanto spoilero qualcosuccia! Oh Yeaaaaaah!

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