the well & the evil

di FCq
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo ***
Capitolo 2: *** Agorà ***
Capitolo 3: *** sorprese ***
Capitolo 4: *** Forks ***
Capitolo 5: *** Libertà ***
Capitolo 6: *** Ingiustizia ***
Capitolo 7: *** Compleanno ***
Capitolo 8: *** Difficile ***
Capitolo 9: *** Difficile(parte seconda) ***
Capitolo 10: *** Pigiama Party ***
Capitolo 11: *** Gratitudine ***
Capitolo 12: *** Inaspettato ***
Capitolo 13: *** Amare ***
Capitolo 14: *** Segreto ***
Capitolo 15: *** Felice ***
Capitolo 16: *** Ufficiale ***
Capitolo 17: *** Destino ***
Capitolo 18: *** Matrimonio ***
Capitolo 19: *** Origini ***
Capitolo 20: *** Tempo ***
Capitolo 21: *** Ruolo ***
Capitolo 22: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** prologo ***


Capitolo rivisto e postato con html, spero vi piaccia!

Prologo(Edward)

Una luce accecante mi colpì in pieno viso.

Diverse voci si sovrapponevano le une alle altre.

Lievi sussurri appena pronunciati si trasformavano in dialoghi spezzati che si sperdevano nell’ampia stanza luminosa. Odori, sensazioni, pensieri si abbatterono su di me con ardore appena fui nella grande sala. I miei occhi rimasero accecati dall’antica bellezza di quel luogo, che solo un’altra anima antica poteva comprendere. L’enorme stanza circolare dalle pareti di un bianco immacolato era sovrastata da un soffitto affrescato, le cui immagini raffiguravano un Dio buono e misericordioso. I colori appariscenti e luminosi donavano all’affresco le sembianze di un’allucinazione, che si trovava lì per caso, senza alcun significato ma che, pure c’era e quella bellezza non poteva essere ignorata come s’ignorano le cose insignificanti e banali. Ai lati dell’affresco, a illuminare la stanza, vi erano diverse piccole finestre di forma quadrangolare la cui luce sembrava cadere perfettamente sui tre troni che incombevano sul resto della sala. Anche la mia famiglia, come me, era rimasta affascinata dalla bellezza di quella stanza. I miei occhi corsero a loro. Mi soffermai sui loro volti familiari, così simili al mio eppure così diversi. Loro non erano la mia famiglia in senso strettamente biologico, ma eravamo uniti. Ad accomunare il nostro aspetto esteriore vi era la pelle bianca come gesso, la bellezza inumana e gli occhi di un singolare color ambra.  Avevamo tutti caratteri molto diversi, ma non potevamo amarci gli uni con gli altri più di quanto non facessimo. Amavo ognuno di loro per ciò che erano. Amavo Carlsile ed Esme: l’anima e il cuore di questa famiglia.  Amavo Emmet e Rosalie: il mio grosso fratello bambino e la mia bellissima e testarda sorella. E amavo Alice e Jasper: la mia sorellina veggente e il mio silenzioso fratello soldato. A unirci era la scelta comune di essere diversi da quelli della nostra specie. Carlisle aveva trovato me, Esme, Rosalie ed Emmet e ci aveva trasformato, salvandoci dalla morte. Aveva dato a ognuno di noi la possibilità di scegliere che cosa volevamo essere: mostri, assassini oppure esseri dannati in cerca di redenzione? Tutti noi lo avevamo seguito e avevamo trovato in lui il nostro porto sicuro; un leader degno di essere seguito. Un padre meritevole di essere amato. Al clan dei Cullen si erano in seguito aggiunti Alice e Jasper, due creature che avevano trovato da soli la loro coscienza e avevano deciso di adottare il nostro stile di vita.

Carlisle incontrò i miei occhi e sorrise. Un sorriso dolce, comprensivo che ricambiai. Nonostante fosse apparentemente tranquillo, sapevo che temeva per noi. Prima di incontrarmi in un ospedale di Chicago, Carlsile aveva vissuto alcuni anni della sua vita eterna in questa rocca. Aveva apprezzato chi sedeva su quei troni, la loro passione per le arti e le scienze e per tutto ciò che era concreto. Ma il loro modo di essere era troppo diverso. I signori della rocca avevano cercato in tutti i modi di convincere Carlisle ad abbandonare il suo credo vegetariano e lui aveva fatto altrettanto con loro. Non sopportava la leggerezza con cui toglievano delle vite. Alla fine li aveva lasciati per raggiungere il nuovo mondo. Qui si era dedicato alla medicina e aveva trovato me. Non apprezzai immediatamente il modo di fare di Carlisle. Odiavo che m’impedisse di saziare la mia sete e andai via. Vagai a lungo e riuscì a trovare un compromesso con la mia natura, divenendo così assassino di assassini. Facendomi carico di un concetto degno di un Dio: decidere chi doveva vivere e chi morire. Capì presto che non spettava a me decidere una cosa del genere e, dieci anni dopo, con due occhi splendidi color miele, ritornai da Carlisle. Trovai me stesso, ero e sarei sempre stato: Edward Anthony Masen Cullen.

L’entrata dei Cullen dalla grande porta in mogano, alla quale eravamo arrivati dopo aver percorso un lungo e buio corridoio nei sotterranei della rocca, non aveva destato molti scompigli. Osservai uno a uno i volti bellissimi nella stanza. C’erano volti noti, di amici, conoscenti. Riconobbi il clan irlandese, quello egiziano e gli occhi dorati dei nostri “cugini” in Alaska: il clan di Denali. E poi c’erano alcuni tra i nomadi che avevamo conosciuto anni fa come il giovane Garret. Innumerevoli ospiti che non conoscevo. Mi accorsi di chi mancava all’appello: Maria, le amazzoni. Ogni volto era diverso: c’erano vampiri selvaggi, oppure composti, come noi Cullen. Vampiri che vivevano a contatto con gli umani e altri che li evitavano se non nei momenti in cui la sete ardeva la gola. La cosa che ci accomunava tutti era il motivo per cui quel giorno di novembre del 1991 ci trovavamo in quella sala, chi con espressione rilassata, chi in attesa, chi impaziente, chi impaurito: l’Agorà. L’Agorà consisteva nella riunione di tutti i clan e i nomadi noti che appartenevano al mondo degli immortali. Chi non vi prendeva parte accettava di non avere alcun rapporto con i signori della rocca. Non potevo ancora definirmi un veterano dell’Agorà, vi avevo partecipato soltanto una volta nella mia vita da immortale, ma per Alice e Jasper le cose erano diverse. Non avevano mai preso parte a queste riunioni dei clan. Alice non faceva ancora parte del mondo degli immortali quando vi fu l’ultima Agorà. Jasper era già rinato, ma all’epoca aveva abbandonato Maria e viveva con Peter e Charlotte che avevano preferito non parteciparvi visti i loro trascorsi negli eserciti dei neonati durante le guerre del sud. Infatti, un’Agorà era stata dedicata a quell’episodio. Un’altra ai bambini immortali e molte ai licantropi e al pericolo che costituivano un tempo, prima di essere uccisi fin quasi all’estinzione. Per questo motivo i pensieri di Carlisle erano un groviglio di emozioni distinte: paura, apprensione, amore, fiducia... Sapeva fin troppo bene che i Volturi apprezzavano i talenti come Alice e Jasper. Temeva di scatenare la gelosia di Aro quando avesse conosciuto Alice e le sue straordinarie capacità. Temeva che facesse a Jasper una colpa per aver partecipato alle guerre del sud così apertamente. Già una volta Carlisle aveva mostrato questo genere di pensieri e preoccupazioni, quando Aro aveva conosciuto me e il mio talento così simile al suo ma che non doveva sottostare ai suoi stessi limiti. Eppure, non potevamo sottrarci dal partecipare all’Agorà - una nostra assenza avrebbe sicuramente destato sospetti - né potevamo impedire ad Aro di conoscere Alice e Jasper. L’unica cosa che potevamo fare era sperare...

Percorsi uno a uno i volti dei presenti, nel tentativo di allontanare quei macabri pensieri dalla mia mente. Non fu difficile trovare una distrazione, mi bastò allentare la tensione e lasciare che tutte le voci che avevo in testa scorressero liberamente come un fiume in piena. Che strano, chissà chi sarà... è un odore delizioso... cos’avranno in mente i Volturi... chi è?... i suoi occhi, mi è parso...  Che strani pensieri, sembravano tutti convergere attorno ad un unico punto invisibile. Soltanto in quel momento mi accorsi dell’agitazione di ognuno dei presenti, nella loro mente: angoscia. I pensieri di Jasper penetrarono nella mia mente: “Tutta quest’angoscia e agitazione non mi piace; mi fa star male”. Il suo particolare talento di percepire e mutare le sensazioni e gli umori altrui a volte era una vera e propria maledizione per Jasper. Era così sopraffatto dall’angoscia e dalla preoccupazione che avvertiva negli altri da non riuscire quasi a respirare. Mi avvicinai a lui e poggiai una mano sulla sua spalla: ≪Tutto bene?≫, sussurrai.

Annuì, cercando di controllare il respiro, mentre Alice gli stringeva la mano e gli carezzava il volto.

≪Non riesco a capire che cosa li preoccupi tanto. Mi stanno facendo impazzire...≫.

Le sue parole furono interrotte da un singhiozzo smorzato, un sussulto appena accennato proveniente da Rosalie. Tutti e tre seguimmo il suo sguardo, accorgendoci che combaciava perfettamente con la direzione delle occhiate furtive che lanciava il resto dei vampiri nella stanza. E poi la vidi, così piccola da passare quasi inosservata di fianco al nerboruto vampiro che la sorvegliava con il classico atteggiamento della guardia del corpo, una bimba dai capelli color mogano e le guancie rosse. Stava seduta per terra, nell’angolo più remoto della stanza. Indossava un delicato abito chiaro, panna con le bordature bianche che lasciava scoperte le braccia e le gambe paffute classiche dei bambini piccoli. La sua pelle era chiara come crema, velata di un invitante rossore soltanto sulle guance paffute.  Sul volto adorabile l’espressione più dolce, matura... consapevole e assurdamente triste che avessi mai visto indosso a una bambina di... due anni. Le labbra piene sporgevano in un adorabile broncio, le lunghe ciglia incorniciavano due occhi grandi color cioccolato. Tra le mani stringeva una palla rossa, troppo grande per le sue piccole braccia. E la lanciava e rilanciava. In quel momento notai una donna bellissima seduta al suo capezzale, le gambe incrociate; prendeva la palla e gliela restituiva, in uno scambio continuo che non sembra per niente entusiasmare la piccola. Tutto mi apparve improvvisamente chiaro: i pensieri dei presenti, la preoccupazione, l’angoscia e la confusione che aleggiava nelle loro menti. Tutte queste sensazioni adesso appartenevano anche a me. Chi era quella bimba così triste? Perché i Volturi sembravano così ben disposti nei confronti di questa nuova vita? I Volturi non avevano alcun rispetto per la vita umana ma questa bambina... sentivo il suo piccolo cuoricino battere e pompare sangue, il suo odore, così delizioso che poteva essere soltanto umano. Ma allora...? I miei pensieri furono interrotti dall’entrata silenziosa dei signori di Volterra... Fu difficile spostare lo sguardo dalla bambina, ma i miei occhi corsero automaticamente a loro e la preoccupazione per la mia famiglia ritornò prepotente. Avevo avuto rare occasioni di vedere di persona i tre vampiri millenari che adesso avanzavano aggraziati verso i loro troni. Sulla destra, annoiato, osservava la platea di vampiri che si era fatta da parte per permettere loro il passaggio, Marcus. La pelle bianca come gesso sembrava incredibilmente fragile. I lineamenti spigolosi e allungati del volto erano incorniciati da lunghi capelli scuri che ricadevano sulle spalle larghe. Sul lato sinistro, gli occhi vispi e sadici di Caius si posavano su ognuno dei nostri volti e contavano i presenti. I capelli biondi, quasi bianchi, più corti di quelli del fratello incorniciavano il suo volto allungato e anch’esso spigoloso. Al centro dei tre Aro osservava ognuno di noi con gli occhi di un bambino che aveva appena ricevuto un regalo meraviglioso. Gli occhi rossi brillavano di soddisfazione. I capelli neri ricadevano lunghi sulle sue spalle. Fu l’unico dei tre ad alzarsi dal trono, facendo qualche passo avanti verso di noi. Con lui si mosse una donna smilza, il suo scudo, e alcuni membri della guardia che costeggiavano il lato nord della grande sala. Il silenzio calò nella stanza e Aro ne approfittò per parlare: ≪Amici, benvenuti. Io e i miei fratelli≫, disse, facendo un cenno ai due al suo fianco, ≪vorremmo ringraziare tutti voi per essere qui, oggi≫.

≪Sono trascorsi molti anni dall’ultima volta che siamo stati insieme, in pace, ma prima di iniziare a discutere vorrei dare il benvenuto ai nuovi arrivati≫, disse.

≪Mi presento a voi senza ulteriori indugi come Aro, signore di Volterra e amico. Gli uomini che vedete al mio fianco sono i mie cari fratelli, con cui condivido questa grande responsabilità. Marcus, Caius, mie cari, presentatevi ai nostri nuovi ospiti≫.

Entrambi i due uomini, all’unisono, si alzarono.

≪E un piacere avervi qui con noi. Spero in una pace duratura≫, fu Caius a parlare, mentre Marcus annoiato, annuiva. La scomparsa di Didime aveva smorzato ogni entusiasmo in lui.

≪Concordo con quanto detto da mio fratello. Adesso, Aro, che dici di far venire avanti le nuove aggiunte alla nostra famiglia≫, soffiò tra le labbra l’anziano.

≪Sagge parole Caius; concordo. E adesso, per rendere felice il nostro impaziente Marcus, direi di presentarvi. Ho visto molti volti nuovi quest’oggi≫.  Avrei definito tutt’altro che impaziente, il vecchio Marcus, ma il suo talento di avere una chiara percezione dei legami che univa ogni membro al proprio clan doveva essere l’unico interessa nella sua altrimenti monotona viva reale. Uno alla volta le nuove aggiunte si presentarono. Uno di loro colpì particolarmente l’interesse di Aro, quando, con un tocco della mano, riuscì ad ascoltare i suoi pensieri e ciò di cui era capace.

≪Ah, ah, ah. Caro amico, tu porti con te un grande dono. Una nuova aggiunta ai nostri annali già di per se prosperosi. Sarebbe molto utile al nostro Marcus≫.

Rise della sua battuta. Il vampiro storse le labbra e Aro rise ancora.

≪Non temere mio nuovo amico. Il tuo è un limite cui tutti siamo costretti a sottostare≫.

Il vampiro replicò: ≪Nessuno ha mai potuto niente contro il mio potere≫.

≪In effetti la tua singolare capacità di figurare alle persone una stato di assoluta felicità ed ilarità non ha mai sbagliato un colpo, ma vedi lei è molto particolare≫.

Se non avessi letto dai suoi pensieri che stava parlando della bambina, non lo avrei capito. I miei occhi corsero ancora a lei. Aveva smesso di giocare con la palla e osservava i nuovi arrivati con singolare attenzione. Tutti gli occhi dei presenti furono in un attimo su di lei.

≪Questa bimba è molto particolare≫, continuò Aro, ≪non è una semplice umana come può dare a pensare il suo aspetto così fragile e il battito del suo cuore, ma non è neanche un vampiro≫.

Ci fu una lunga pausa silenziosa e milioni di pensieri mi riempirono la testa. Li allontanai, concentrandomi sulle parole di Aro e sul volto della bambina. Mi parve... infastidita, da tutte quelle nuove attenzioni. Corrugò le sopracciglia e mi sfuggì un sorriso. Jasper mi lanciò un’occhiata convulsa che finsi di non aver notato.

≪I più anziani di voi forse ricorderanno dell’esistenza di una specie che non è umano, né vampiro, né licantropo≫.

≪E’ una di loro...≫.

Una voce si levò dal fondo della sala e i miei occhi si soffermarono sul volto livido di Eleazar.

≪Sì, mio vecchio amico. E’ lei, fa parte del loro clan: i prescelti≫.

≪A...Aro≫, sussurrò uno dei vampiri che non conoscevo.

≪Ma loro sono tutti...≫, proseguì.

≪“Morti?≫, lo precedette Aro.

≪Sì≫, replicò il vampiro.

≪Bé, non è così≫, lo corresse con tono allegro di voce.

≪Lei è l’ultima, una rarità, come un vivo pregiato”, sussurrò. L’associazione con la bevanda umana non sfuggì ai più assetati e irrequieti, ma nessuno osò muovere un muscolo contro la bimba.

≪I prescelti sono sempre esistiti; nascondendosi nelle ombre, tra gli umani. I licantropi gli hanno dato la caccia per tanto tempo, nel tentativo di avere la supremazia su di noi, impossessandosi delle loro straordinarie capacità, ma nascondendosi loro hanno impedito questo≫, concluse il suo discorso, rimettendo a terra la bimba che aveva precedentemente sollevato tra le braccia, in modo tale da incrociare il suo sguardo .

≪Cosa sono questi prescelti?≫, chiese il vampiro talentuoso.

≪I prescelti impedivano i contrasti tra le razze di vampiri e licantropi. I prescelti sono immuni ai nostri poteri, ma non ad un nostro attacco fisico. E sono immuni al veleno dei licantropi. Ma l’odio fra vampiri e licantropi era troppo forte e i prescelti persero il loro posto di guide sulle due razze. Da allora i licantropi hanno sempre ricercato i prescelti, nel tentativo di utilizzare i loro poteri come armi contro di noi≫.

≪Questa bimba è dotata di straordinari poteri che ancora devono nascere. Noi dobbiamo proteggerla. Perché i prescelti sono sempre stati il fulcro del nostro mondo segreto Tenta quanto vuoi amico mio, ma è immune ai nostri poteri, di qualsiasi natura essi siano. E’ immune persino a me≫.

Prescelta... immune ai nostri poteri. Ero rimasto talmente affascinato da quella creatura da non prestare alcuna attenzione ai suoi pensieri. Tentai di ascoltare la sua mente, ma fu vano. Da quella bambina non veniva altro che silenzio. Alice mi lanciò uno sguardo preoccupato: neanche lei riusciva a vederne il futuro.

≪Ma adesso basta parlare di lei; lo faremo a tempo debito. C’è ancora qualcuno che devo conoscere. Carlsile, amico mio, perché non mi presenti i tuoi nuovi figlioli≫

. Carlsile annuì e avanzò. Una mano poggiata sulla spalla di Jasper che stringeva Alice per la vita. Lo seguimmo silenziosi, come gli altri clan avevano seguito i loro nuovi membri inesperti. Non distoglievo lo sguardo da Aro e dalle guardie accostate alle pareti. Ascoltavo i loro pensieri, in cerca di qualcosa che potesse mettermi in allarme. A un tratto udì un gorgoglio, e mani impazienti battere. Mi voltai verso l’origine di quel suono così musicale e i miei occhi incontrarono per la prima volta da quando mi ero accorto di lei due grandi stelle di cioccolato fuso. La bimba inclinò leggermente la testa di lato, mentre mi osservava curiosa. Le labbra corrucciate a formare una o che mostrava tutto il suo stupore. Non allontanava il suo sguardo ed io lo sostenevo con altrettanta curiosità. Il suo sguardo brillò per un istante e il suo occhio destro cambiò improvvisamente colore, divenendo di un rosso brillante e stupefacente. Il contrasto tra i suoi occhi rendeva il suo volto ancor più magnifico. Poi tutto sparì, come se fosse stata una semplice allucinazione; i suoi occhi ritornarono alla normalità e la stanza si riempì di un suono cristallino, come di tanti piccoli campanellini. Il broncio sparì dal suo volto, sostituito da un sorriso abbagliante. Rideva e batteva le mani ed era impossibile non rimanere affascinati da quel suono e da quello spettacolo. Le risa divertite di Aro mi riportarono alla realtà: ≪Incredibile≫.

≪Hai compiuto il miracolo ragazzo; non l’ho mai vista sorridere a nessuno≫, mi disse con tono paterno.

≪Le piaci≫, proseguì.

Mi voltai nella sua direzione scuotendo la testa, mentre il suono argentino si spegneva pian piano.

≪E adesso... amico mio, non ci vediamo da un sacco di tempo≫.

≪Troppo tempo≫, replicò cordiale Carlsile.

≪Vedo con piacere che la tua famiglia si è allargata di altri due elementi. Ah, meraviglioso. Ascoltiamo la vostra storia≫.

Aro ascoltò i pensieri di Jasper e di Alice, quando ebbe finito, ci voltò le spalle.

≪Incredibile... assolutamente stupefacente. Vedere un evento ancora prima che si compia. Alice, hai un dono meraviglioso≫.

≪E ciò che sono≫, rispose lei, apparentemente tranquilla.

La vidi stringere la mano di Jasper con ancor più forza, il suo compagno ricambiò la stretta.

≪Devo proporti ciò che ho già domandato a gli altri. Saperti parte di questa famiglia mi riempirebbe di gioia. Apparterresti a qualcosa di grande≫.

≪Me ne rendo conto Aro, ma io amo la mia famiglia, e soffrirei ad allontanarmi da loro≫, rispose lei prontamente.

≪Capisco≫, rispose lui.

≪E tu, ragazzo?≫.

≪Mi dispiace rifiutare la proposta, ma mi vedo costretto a dirti di no≫, disse Jasper cautamente, sondando l’umore del vampiro.

 ≪Ovvio, come potresti allontanarti dalla tua compagna≫, replicò Aro, che non sembrava turbato dalle loro risposte negative.

≪E’ stato interessante e... terribile al tempo stesso vedere il tuo passato...≫.

Sentì Esme stringermi la mano: temeva per i suoi figli.

≪Il tuo straordinario potere ha reso le cose molto più difficili. Spero non ti dispiaccia, sai che dovrò dare la caccia alla tua creatrice; si è macchiata di un crimine imperdonabile≫.

Maria sarebbe stata punita, esattamente come tutti gli altri. Dopo un attimo, Jasper rispose:≪Capisco≫.

≪Cacciatela pure, quella vita non appartiene più a me≫.

≪Anche lui ha combattuto nelle guerre del sud, fratello? Sai bene che la nostra legge è molto severa a riguardo≫.

≪Lo so Caius, ma tu non hai visto con i suoi occhi≫, tentò Aro.

≪Il ragazzo è stato costretto, come la maggior parte dei partecipanti a quelle guerre inutili e portatrici di distruzione e morte. Non conosceva un’altra strada≫.

≪Le cose non cambiano; pagherà come gli altri≫.

 Aro sospirò.

Eravamo tesi come corde di violino.

≪Potresti scontare la tua pena rimanendo al nostro servizio≫, propose il vampiro a Jasper, con sguardo indagatore.

≪Lui non fa più parte degli eserciti dei neonati... non ha colpe≫, intervenne Alice, perdendo la sua solita calma.

Jasper la strinse ancor di più a se.

≪Pace, mia giovane amica. Capisco il tuo stato d’animo. Ma devo chiederti... ti dichiari forse sua complice?≫.

Alice s’irrigidì, Jasper ringhiò al suo fianco.

Carlisle intensificò la presa sulla sua spalla.

≪Il suo destino è il mio≫.

Rispose semplicemente Alice.

≪Demetri, Jason≫, chiamò Aro, senza distogliere lo sguardo da Alice.

≪Aro, parliamone≫, intervenne Carlisle.

≪Mio vecchio amico, hanno deciso. Rispetta la loro volontà≫.

Jasper ringhiò in posizione d’attacco, cacciando Alice alle sue spalle. Uno dei due aguzzini, Jason, lo strinse nella morsa delle sue braccia. Riuscì a tenerlo fermo soltanto grazie all’aiuto di un altro membro della guardia. Emmet si fece avanti, lo affiancai in un attimo.

≪No≫, urlò Carlsile, bloccandoci.

≪Aro ti prego...≫.

≪La legge li reclama. Gli sto offrendo la possibilità di unirsi a noi per scontare la sua pena. Lui ha rifiutato e la sua compagna è diventata sua complice. Non hai idea di quanto mi dispiaccia distruggere due talenti come i loro ma io non ho scelta. Su di me grava il fardello della responsabilità≫.

Non c’era nulla che potessimo fare per salvare coloro che amavamo? Non poteva finire così... nell’istante in cui Demetre avanzò verso un’Alice pietrificata, qualcosa cambiò. Un gridolino acuto spezzò il terrore di quegli attimi e la bimba fu in un attimo tra le braccia di Alice. Le due si guardarono negli occhi per un lungo istante, poi la bimba sorrise e si accoccolò su di lei. Alice la strinse automaticamente a se, come se non potesse farne a meno. Il loro, fu un lungo abbraccio carico d’amore. Quelle sensazioni investirono Jasper e di conseguenza si diffusero a tutti noi. Passarono minuti, oppure ore, ma quando l’abbraccio terminò, la bambina si voltò verso Aro e Demetre, impietriti come il resto degli spettatori nella sala e parlò: ≪Non fate loro del male, per favore≫.

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Capitolo 2
*** Agorà ***


Benvenuti in the well and the evil. E' la prima storia che scrivo e posto su questo sito. Ho deciso di postare anche ilprimo capitolo per introdurvi maggiormente nella mia fanfiction, sperando che leggerla vi emozioni almeno la metà di quanto abbia emozionato me scriverla. Ringrazio con tutto il cuore chi legge e chi lascia una recensione<3

16 ANNI DOPO...

1 Agorà       

Meraviglioso. La mia mente non riusciva a trovare un aggettivo degno dello spettacolo che si apriva davanti ai miei occhi. Era il crepuscolo e gli ultimi raggi del sole illuminavano gli immensi spazi aperti della campagna Toscana. Un nuovo giorno era giunto al termine nell’inerzia e nella monotonia della mia vita quotidiana. Mi perdevo nella bellezza dei raggi al tramonto come ogni sera e mi domandavo come fosse il mondo lì fuori, oltre le mura spesse della rocca. Mi chiedevo se qualcun altro guardasse il tramonto con i miei stessi occhi e provasse le mie stesse emozioni. Era la fine di un giorno che sarebbe durato per sempre, senza cambiare o mutare in alcun modo. Era una consapevolezza difficile da accettare, che pesava sul cuore in maniera opprimente. Era diventata, da qualche mese, un’abitudine irrinunciabile soffermarmi a osservare il crepuscolo. Era il momento della giornata che preferivo in assoluto. Ero convinta che in questi pochi istanti che separavano il giorno dalla notte, tutte le creature fossero in pace tra loro. Amavo il crepuscolo perché era come me. Non poteva appartenere al giorno, con la sua luce brillante e avvolte scura e non era la sera, maliziosa e misteriosa. Il cielo sereno e infuocato, le nuvole che non sembravano presagire alcunché se non una tranquilla serata di fine marzo, il silenzio, il profumo dell’erba, dei fiori di campo che spiccavano prepotenti, quasi a chiedere di essere ammirati nella loro bellezza e perfezione, vanitosi, consapevoli della loro indifferenza al mondo, dai vasi di terra che ricoprivano la grande balconata circolare che si affacciava dalla mia camera. Era un luogo pacifico, il migliore in cui rifugiarsi quando nella rocca tutti erano in fermento, come stava accadendo oggi. Succedeva che si entusiasmassero per l’arrivo di nuovi neonati da addestrare, per qualche spedizione importante che richiedeva la presenza dei membri dei Volturi o anche soltanto per l’arrivo di un nuovo carico di deliziosi umani che promettevano di saziare la sete in gola. Di solito non mi preoccupavo di scoprirlo, ma oggi sarebbe stato diverso, perché ciò che li faceva fremere mi riguardava in prima persona. Era raro che mi facessi vedere in pubblico, io ero speciale, fin troppo, la mia vita era preziosa e come tale doveva essere salvaguardata, questo era quello che mi veniva ripetuto in continuazione. Tutti nella rocca si prendevano cura di me e si preoccupavano per la mia sicurezza, specialmente da qualche mese a questa parte. Tutto era incominciato come una normale spedizione punitiva che vedeva come imputati diversi Licantropi dell’Europa orientale. Delle guardie mandate in missione, ne ritornarono soltanto quattro. I superstiti raccontarono ciò che erano riusciti a estorcere ai Licantropi: i figli della luna cercavano l’ultima dei prescelti ed erano pronti a tutto pur di averla. Stavano trasformando umani infettandoli con il loro veleno: preparavano un esercito e il loro obiettivo ero io. Io ero questo, una prescelta. Prescelta per guidare le due razze nemiche il cui odio aveva distrutto la terza che non era né uomo, né vampiro, né licantropo. Appartenente a un clan dagli innati poteri, immune all’influenza del vampiro e al veleno del licantropo. Conoscevo ogni cosa della mia razza eppure non sapevo nulla della mia famiglia. Sapevo di possedere un’intelligenza superiore a quella di un qualsiasi umano. Sapevo di possedere doni invidiabili e che questo mi portava a essere un obiettivo molto ambito e ricercato. Sapevo difendere me stessa e i miei signori. Sapevo di essere immortale. Sapevo di dover ricreare la mia specie attraverso la procreazione. Sapevo di poter diventare madre con un umano come con un immortale, che fosse vampiro o licantropo poco importava. Sapevo di essere l’ultima di una grande specie. Sapevo che i Volturi mi avevano cercato, trovato e riconosciuto nell’orfanotrofio in cui avevo vissuto il mio primo anno di vita, insieme agli umani, ma non sapevo chi fossero mia madre o mio padre, che volto avessero, né quale fosse il profumo della loro pelle o il sapore dei loro baci, la certezza delle loro braccia. Non sapevo come fossi arrivata in quell’orfanotrofio di cui non potevo avere alcun ricordo, né il perché mi trovassi in quel posto di cui mi era stato narrato così tante volte da riuscire quasi a immaginarlo. E nonostante tutte le conoscenze sulla mia natura mi sentivo ignorante e persa. Perché le cose più importanti mi sfuggivano. Non sapevo da dove venissi, ma sapevo a chi appartenevo: i Volturi. Volterra, questa torre, i miei signori erano il mio unico punto di riferimento e a loro dovevo ogni cosa. Provavo repulsione per ciò che facevano. Soffrivo quando le urla degli umani condannati a essere il loro pasto giungevano fino alle mie orecchie. Odiavo la fatica degli allenamenti cui ero sottoposta per raggiungere il massimo delle mie potenzialità, di cui erano testimoni alcune cicatrici indelebili sul mio corpo. Non potevo ignorare tutto questo, ma neanche la riconoscenza che provavo nei loro confronti e il rispetto per ciò che rappresentavano. Sapevo che, se non mi avessero trovato, sarei diventata l’arma numero uno dei figli della luna, che probabilmente mi avrebbero usato per distruggere i nemici tanto odiati. I Volturi erano la mia famiglia, o, almeno, quanto di più vicino riuscissi a immaginarvi. D’un tratto, persa ad osservare gli ultimi raggi infuocati lambire l’orizzonte, mi accorsi di non essere più sola nel mio rifugio segreto. Non avevo bisogno di girarmi per sapere di chi si trattasse: era l’unica persona che sapesse dove andavo a rifugiarmi quando avevo bisogno di un po’ di pace e solitudine, per riflettere, rimettere a posto i pezzi della mia vita, la sua aura era diventata familiare con il tempo. Il mio innato talento di percepire e controllare la volontà altrui e qualsiasi essere vivente, senziente o vegetale, si era sviluppata lentamente, con gli anni, al seguito della mia crescita che si era ormai arrestata, lasciandomi per sempre sospesa nei miei diciotto anni, come chiunque altro prima, della mia specie. Stava poggiata alla porta finestra che dava sulla terrazza, le braccia incrociate, lo sguardo grave. Nonostante quell’espressione fintamente infuriata, rimaneva la cosa più bella che avessi mai visto. La pelle bianca come gesso, adesso illuminata dagli ultimi raggi del sole, le labbra piene rigide, ferme in una linea dritta. I lineamenti del volto perfetto erano chiaramente tesi. Seguì la linea dritta del suo naso fino ad incontrare i suoi grandi occhi rossi, macchiati del sangue delle sue vittime, così sorpresi dalla sua bellezza disumana da non riuscire a capire realmente per mano di chi stesse per arrivare l’inevitabile morte. Un angelo vendicatore? Un diavolo sotto le fattezze di un angelo? Cosa importava? Ormai il loro destino era segnato, perché porsi delle domande che non avrebbero mai trovato risposta? Le ciglia lunghe si chiudevano sugli occhi per pochi istanti, sfiorando le guance fredde. Il tutto incorniciato da capelli neri e lucidi, lisci come seta e lunghi fino alla sua vita sottile. Batteva impaziente il piede a terra. Era così buffa con quella sua aria scocciata che mi fece ridere. Una risata breve, che riecheggiò nel silenzio di quel pomeriggio che stava per giungere al termine. La vidi alzare un sopracciglio davanti alla mia improvvisa e inspiegabile ilarità. Avrei dovuto avere paura; avrei dovuto essere terrorizzata da quella figura bellissima e letale, da quegli occhi rossi come sangue e invece ridevo.

≪Posso sapere cosa c’è di così divertente; fai ridere anche me≫.

La sua voce era affascinante e risuonò come un eco di campane.

≪La tua espressione, Athenodora. Dovresti aver capito che non sei in grado di arrabbiarti con me≫.

La posa rigida delle sue labbra si sciolse  in un sorriso familiare e rassicurante. Al suo volto erano legati la maggior parte dei ricordi che avevo di quando ero piccola. Era sempre stata lei a prendersi cura di me. A farmi giocare, a curare le mie ferite e a incoraggiarmi per dare sempre di più. Era il 1418 e aveva venticinque anni quando Marcus, suo attuale marito e signore di Volterra l’aveva vista per la prima volta. Si era da subito innamorato di quella bellissima umana e, sempre per amore, l’aveva trasformata. Athenodora era come una madre per me, o, ancora una volta, la cosa più vicina che riuscissi ad immaginarvi. Athenodora non possedeva una volontà forte. Rimaneva ai margini, sottomessa, mai al fianco ma sempre un passo dietro al marito. Era affezionata a me, ma poteva soltanto starmi accanto. Non aveva mai preso alcuna posizione in mio favore, né in mio sfavore. Non le facevo una colpa di questo. Ci ero abituata, questa era lei: una volontà fragile e facilmente condizionabile. Era... normale. Le persone non potevano nascondermi nulla: io coglievo la loro essenza, erano nudi davanti ai miei occhi. Tutti coloro che mi circondavano, i membri della guardia, la maggior parte degli umani erano fragili e facilmente condizionabili. Le persone, di solito, tendevano a prendere la strada più facile e breve. Erano condiscendenti e in molti nascondevano propositi malvagi o fini ai propri interessi, come i signori di Volterra. Ma neanche a loro potevo fare una colpa di questo.

≪Potrei anche cambiare la mia prospettiva, signorina. E’ tardi e tu devi ancora finire di prepararti, sai che è un giorno importante...≫.

≪Lo, lo so. Me lo ripeti da settimane≫.

≪Evidentemente non è stato abbastanza visto che non sei preoccupata per niente≫.

Mi voltai, senza risponderle e mi accorsi che il sole era definitivamente scomparso dietro l’orizzonte, lasciando il posto ad un sera calma, leggermente illuminata dal bagliore della luna. In un attimo fu al mio fianco, il naso rivolto al cielo.

≪Non devi preoccuparti; risolveremo tutto≫, disse carezzandomi i capelli.

≪Lo so. So che mi proteggerete≫

Era la verità, lo avevano sempre fatto. Una volta avevo chiesto, senza troppi mezzi termini, il perché ad Aro con una domanda dirette e spontanea. Aveva riso della mia caparbietà e schiettezza e dopo un attimo, aveva risposto: ≪La tua specie è sempre stata il fulcro del nostro mondo. E io ti voglio con noi. Amo te bambina e il tuo dono≫.

≪Sai, non è la prima volta che partecipi ad un’Agorà≫.

Osservai il suo volto meraviglioso, reso ancor più magnifico dai riflessi che gli donava la luce della luna.

≪Eri molto piccola all’epoca; avevi soltanto due anni. Era il 1991≫.

 Rise.

≪Così piccola e già così determinata≫.

≪Perché dici questo≫, le chiesi.

≪Ci furono molti nuovi arrivati. E in particolare furono due a interessare Aro. Uno uno dei due aveva partecipato alle guerre del sud e sai com’è Caius, ama la propria legge≫.

Annuì, conoscevo molto bene la storiografia dei vampiri e il carattere di Caius Volturi, tanto da immaginare perfettamente la scena.

≪Doveva essere punito e la sua compagna, naturalmente, lo affiancò. Eravamo pronti allo scontro, ma una bambina incosciente si frappose tra le due parti e chiese che non fosse fatto del male ai due vampiri≫, concluse.

≪Ho fatto questo? Non ne ho alcun ricordo≫, esclamai.

≪E come potresti! Eri così piccola≫.

≪E poi cosa successe≫, chiesi curiosa.

≪Aro concesse loro la libertà, perché tu ti eri attaccata a uno dei due vampiri, la femmina, e non avevi alcuna intenzione di allontanarti. Avrebbero potuto prenderti come ostaggio per la loro libertà, ma non l’hanno fatto. La vampira ti ha rimesso giù e Aro ha considerato il debito saldato≫.

Non sapevo cosa dire, non me lo aveva mai raccontato prima.

≪Tu sei nata per impedire lo scontro e mantenere la pace, piccola≫.

Sospirai.

≪Sono una prescelta≫.

≪Sì, lo sei. E’ sei anche una ragazzina molto cocciuta. Avanti, entriamo; devi prepararti. Entrerai al fianco dei signori di Volterra; io sarò con te≫.

Annuì ed entrammo in camera. Mi guardai intorno, in cerca di un qualche segno del tempo. Era tutto esattamente come lo avevo lasciato pochi minuti fa: il pavimento ricoperto di moquette grigia, le pareti in pietra levigata, il letto enorme che troneggiava sul muro centrale, la scrivania in mogano, sulla quale c’era un modernissimo computer portatile, e l’armadio troppo grande per i miei vestiti. Mi vestì in fretta e mi ritrovai seduta davanti al grande specchio della mia camera, Athenodora mi spazzolava dolcemente i capelli, lunghi quasi quanto i suoi, ma decisamente più ribelli. Osservavo silenziosa la mia immagine riflessa nel grande specchio. Rimarrò così per sempre, pensai. La mia pelle chiara e liscia non avrebbe mai sofferto delle prime rughe. I miei capelli lunghi e neri non sarebbero mai diventati grigi o bianchi. Non sarei stata ipocrita dicendo che ciò mi dispiaceva, né che avrei mai cambiato me stessa, né rinunciato a ciò che sapevo fare. Io ero questo e non me ne vergognavo. Ciò di cui ero capace, la mia immortalità erano parte di me, mi sarei sentita vuota se non avessi avuto queste uniche consapevolezze. Ma ero e sarei sempre stata questo, da sola. Un giorno avrei dovuto ricreare la mia razza e su di me gravava questo pesante fardello cui non trovavo una soluzione. Fu Athenodora a interrompere la linea caotica dei miei pensieri: posò le mani sulle mie spalle, senza gravarmi con il suo peso.

≪Andiamo?≫.

Annuì, alzandomi.

Corse all’armadio e in un attimo fu di nuovo da me, in mano la mia mantella nera, di una tonalità leggermente più chiara rispetto a quella dei signori di Volterra. La mantella nera fasciava perfettamente il mio esile corpo. Athenodora scostò i miei capelli su un lato e mi sollevò il cappuccio.

≪E’ meglio che tu lo tenga. Cerca di attirare il meno possibile l’attenzione; credo che Aro abbia qualcosa in serbo per te, quando la riunione sarà finita, ma non ho idea di cosa si tratti≫.

≪Lo farò≫.

Mi diressi alla porta.

≪Bella?≫.

≪Sì≫.

≪Ricorda: sei una guardia. Il tuo compito è difendere i tuoi signori. Oggi accompagnerai Aro, in ogni istante. Mi raccomando piccola e cerca di proteggere anche te stessa. Stai all’erta≫.

≪Ho capito; non devi preoccuparti. Me la caverò≫.

≪Bene, allora. Andiamo≫.

Insieme ci dirigemmo all’entrata principale della grande sala affrescata. Quando ci sentirono arrivare gli occhi dei tre vampiri millenari si posarono su di noi. Lo sguardo vispo di Aro brillò per un istante. “Bella, tesoro. Avvicinati”. Quando gli fui di fronte mi prese la mano, un gesto naturale per lui, ma anziché tentare di ascoltare i miei pensieri - privilegio che non gli era concesso - se la portò alle labbra, baciandola dolcemente. Abbassai leggermente il capo, come a ringraziarlo per il cortese gesto.

≪Bene, adesso possiamo anche andare≫, disse.

Sollevò le nostre mani intrecciate all’altezza del mio seno e, con un grande sorriso dipinto sulle labbra, si voltò verso la porta. Due guardie ne spalancarono le ante e finalmente, entrammo nella grande sala.

I miei occhi furono immediatamente colpiti dalla luce abbagliante proveniente dalle piccole imposte disposte ai lati dell’affresco, così bello da sembrare quasi etereo. Ancora prima di vederli, seppi della loro presenza. Disposti in modo da permetterci il passaggio, i nostri ospiti ci osservavano avanzare senza proferire alcun suono. Nascosta dal cappuccio nero, osservavo uno a uno i loro volti bellissimi. Evitai di incrociare i loro sguardi, infondo, dovevo cercare di non attirare l’attenzione, ma, per quanto tentassi, non riuscì a impedire al mio cuore di iniziare a martellare frenetico e al mio respiro di accelerare. Mi sentivo sommersa da tutte quelle nuove presenze che s’insinuavano nella mia mente. Mi ritrovai, ancora una volta, a osservare attentamente ognuno dei vampiri nella stanza, incurante delle parole di Athenodora. Era incredibile pensare con quanta attenzione le persone si curassero del proprio aspetto esteriore, sottovalutando ciò che era realmente importante: la loro vera essenza, se stessi. Avevo capito con il tempo che le persone curavano il loro aspetto esteriore in modo così meticoloso perché era l’unico lato che tutti potevano vedere e giudicare. Perché possedere un volto perfetto, un corpo invidiabile e abiti costosi li faceva sentire più forti. Chiunque li guardasse poteva vedere soltanto la loro perfezione esteriore, poco importava di cosa si celasse sotto la maschera. E questo portava le persone a ignorare il loro lato interiore, a non crescere intellettualmente e culturalmente. Per questo motivo un codardo poteva ritenersi fiero di se stesso, mentre un imperfetto era emarginato. La maggior parte delle volte una volontà forte e indipendente, se emarginata, diventava fragile e attaccabile. I miei occhi vedevano aldilà della maschera di perfezione e condiscendenza che le persone tendevano a costruire su loro stessi, ignorando tutto il resto. E la volontà di agire che in tutti noi, il pensiero, la ragione, o, nel caso degli oggetti viventi ma inanimati, quella linfa vitale che ci dà la vita, sono la nostra ombra, ciò che ci identifica e ci rende tutti diversi, anche se le persone, di solito, tendono a desiderare di essere uguali a qualcun altro. Riuscivo quasi a vedere quella presenza che potevo soltanto percepire, prendere delle sembianze umane e affiancare rispettivamente ognuno dei vampiri nella stanza. Molte erano volontà deboli, anonime, ma bisognava dire che alcune nascondevano una grande forza, anche se non sufficiente a stupirmi.

Ritornai a nascondere il volto nel cappuccio.

Erano strascorsi solamente pochi secondi da quando eravamo entrati nella grande sala luminosa e ancora ci muovevamo aggraziati attraverso il corridoio formatosi dalla divisione in due ali dei vampiri dispersi nella stanza. Fu in quel momento, intenta a soppesare le varie entità nella sala, che la sentì. Non avevo mai percepito nulla di più forte, di più vitale. Non era sola, al suo fianco comparvero immediatamente altre due entità impossibili da ignorare, ma questa... i miei occhi corsero immediatamente alla fonte di tanto stupore. Fu strano dovermi accertare di ciò che il mio senso supplementare mi indicava, ma ero talmente stupefatta da ciò che avevo appena percepito da perdere fiducia in me stessa e dubitare di ciò che sentivo tanto chiaramente. Seppi immediatamente che uno dei miei occhi aveva perso il suo solito color cioccolato in cambio di un rosso brillante e affascinante, regalandomi, in parte, la vista simile a quella di un vampiro . E poi la vidi la perfezione: un volto talmente bello da sembrare irreale. La pelle bianca come gesso, la mascella squadrata, la linea dritta del naso, le labbra piene, capelli scompigliati e bronzei, il corpo, fasciato da anonimi vestiti, nascondeva una perfezione divina. E infine, come se tanta bellezza non fosse già abbastanza da togliere il fiato e far fermare il cuore: i suoi occhi. Incorniciate da ciglia lunghe e fitte, due pozze grandi color miele incatenarono il mio sguardo. Era un angelo e non soltanto per la sua bellezza. Dai suoi occhi d’ambra traspariva tutta la sua forza di volontà. Un’aura di pura bontà lo avvolgeva. Non riuscivo a distogliere lo sguardo dal suo volto, mentre la sua forza diventava la mia, per paura che si dissolvesse come un mero frutto della mia immaginazione. Improvvisamente, il nostro cammino si arrestò ed io fui costretta a distogliere lo sguardo. Una voce bassa, suadente, mormorò al mio orecchio: “Va tutto bene?”. I miei occhi sbarrati, leggermente offuscati, incontrarono lo sguardo indagatore di Aro. Annuì, incapace di proferire parola. Lui sorrise  e, come aveva fatto soltanto qualche secondo prima - era davvero passato così poco tempo?Mi erano sembrati anni - baciò con delicatezza il dorso della mia mano, prima di lasciarla definitivamente. A testa china, mi feci da parte. Una piccola parte di me era conscia della presenza di Athenodora al mio fianco e della voce suadente di Aro che dava il benvenuto ai vecchi amici e ai nuovi arrivati, ma non riuscivo a prestare loro alcuna attenzione. La mia concentrazione confluiva attorno ad un unico punto...

 La sua forza di volontà era così... forte, così evidente da giungere a me senza che io dovessi cercarla tra la folla. Ancora una volta fui assalita dalla paura che potesse svanire e, incurante del resto dei vampiri nella sala, cercai il suo sguardo. Una strana sensazione di pace, di completezza mi invase quando, per la seconda volta, incontrai gli strani occhi, velati da un singolare quando stupefacente color ambra, del giovane. Il ragazzo ricambiò il mio sguardo e io sentì le mie guance tingersi di rosso, mentre il mio cuore perdeva un battito. Scostai velocemente lo sguardo, puntandolo sulla folla, stupita dalla mia stessa reazione. Desideravo ardentemente potermi voltare e scrutare ancora quel volto bellissimo. Non permisi a me stessa di cedere alla tentazione e concentrai la mia attenzione sulle parole di Aro.

Imbrogliai.

Fu inevitabile.

Per quanto facessi, non riuscì ad impedire al mio sguardo di cercarlo, nel bisogno continuo di assicurarmi della sua presenza.

L’ora successiva trascorse tra strani sguardi e occhiate curiose. Ogni volta che mi sorprendeva a fissarlo non troppo velatamente abbassavo lo sguardo, rossa in viso. Un paio di volte lo sorpresi a scrutare frustrato nella mia direzione, ma evitavo di incrociare il suo sguardo. Era ridicolo da parte mia reagire in quella maniera a quello strano sconosciuto. Le sensazioni che stavo provando erano così nuove per me! Era difficile abituarsi al battito accelerato del mio cuore, o al rossore sulle mie guance. Difficile ammettere che il ragazzo mi incuriosiva e che, nonostante la limpidezza dei suoi occhi d’ambra, non riuscissi a comprenderlo. Le persone non avevano mai avuto segreti per me, apparivano così indifesi davanti ai miei occhi: nudi nella loro vera natura. Ma questo strano vampiro... un milione di domande offuscavano la mia concentrazione. La maggior parte di esse riguardavano me stessa e le mie strane reazioni e il mistero che il ragazzo costituiva. Dita fredde sfiorarono il dorso della mia mano ed io mi voltai di scatto. “Bella? Tutto bene?”, chiese la voce dolce di Athenodora. Annuì. “Adesso arriva il momento cruciale. Dopo le presentazioni dei nuovi arrivati si inizia a discutere dei vari problemi. Se qualcuno dovesse parlare , avanzando delle richieste o delle accuse tu dovrai affiancare Aro e stare molto allerta”. “Non vogliamo incidenti”. Annuì ancora. “Non succede quasi mai che i partecipanti all’Agorà abbiano cattive intenzioni, ma non si può mai sapere”. Sospirai. Avrei dovuto smettere di pensare a lui e concentrarmi sul mio dovere. Ligia, affiancai Aro mentre il primo vampiro si muoveva verso di noi con sguardo grave, pronto ad avanzare le sue richieste...

Ero decisamente fiera di me stessa. Non avevo permesso al mio sguardo di cercare il suo volto là dove sapevo che lo avrei trovato. Né al mio dono avevo permesso di captare la sua presenza, concentrandomi più di quanto fosse necessario sui vampiri che avanzavano le loro proposte.

E neanche per un misero istante avevo smesso di pensare a lui.

Era comunque facile da spiegare: non era il ragazzo in se a incuriosirmi, ma la strana forza di volontà che lo caratterizzava. Per tutta la mia vita avevo creduto che mai avrei incontrato qualcuno come lui e scoprire che mi sbagliavo, che in realtà esisteva, era causa di imbarazzo. Questo spiegava il perché del mio improvviso rossore. In fondo non avevo mai sbagliato in tutta la mia vita, perciò non potevo neanche sapere come ci si sentiva ad avere torto. E per questo motivo non ero stata capace di riconoscere le sensazioni provate poco prima. Il mio ragionamento non faceva una piaga.

Ed ero stranamente felice di essermi sbagliata. Felice di aver scoperto che ciò che credevo inverosimile fosse lì davanti ai miei occhi. Inoltre non avevo ancora dimenticato le altre due presenze che mi avevano incuriosito, poco fa, insieme al ragazzo. Ero curiosa all’idea di vedere i loro volti e di poter condividere la loro forza. Adesso che avevo dato una spiegazione alle mie strane reazioni, la curiosità verso tutto ciò che riguardava il ragazzo era riapparsa. E in particolare una domanda m’incuriosiva più delle altre. I suoi occhi ambrati, quello sguardo impossibile da dimenticare. Lo sguardo dell’unico uomo la cui intera esistenza era testimone del mio primo errore. Decisi in quel momento che, non avendo alcun reale motivo per impedire alla mia curiosità di essere saziata, mi sarei concessa un altro sguardo al ragazzo. Provai una strana sensazione nel rivederlo lì, nella stessa posizione in cui l’avevo lasciato, immobile. Non stava guardando nella mia direzione; osservava il vampiro impegnato a discutere con Aro, che io avevo già classificato come un succube approfittatore, con una concentrazione e un’attenzione che non meritava. Decisi perciò di approfondire la conoscenza del suo lato interiore. Sapendo che era uno sbaglio, chiusi fuori il resto, eccetto lui. La sua volontà era ricca e sfaccettata. Avrebbe fatto di tutto per ciò che amava, anche arrendersi.

Ovviamente le mie erano soltanto deduzioni. Potevo captare una presenza, la forza di volontà di una persona, controllarla, ma non leggevo nel pensiero. Fui pervasa da un nuovo desiderio, molto pericoloso e inopportuno: parlare con il ragazzo e accertarmi che le mie deduzioni sul suo conto fossero esatte. Era il caso che impedissi a me stessa di concentrarsi su questo pensiero malsano, così decisi di spostare la mia attenzione sulla ricerca delle altre entità interessanti. Non fu difficile trovarle, come angeli spiccavano tra la folla, con la loro aura particolare e luminosa ed erano molto più vicine al ragazzo di quanto immaginassi. I miei occhi si soffermarono sui loro volti e fui pervasa da una nuova ondata di stupore. Due uomini, diversi eppure identici nella loro bellezza diafana. Ma non fu questo a catturare la mia attenzione. Sui loro volti brillavo due stelle di oro caldo e liquido. Che ogni persona dalla forte volontà presentasse le stesse caratteristiche, bellezza inumana e occhi d’ambra? Il primo dei due uomini, il più “anziano”, poteva dimostrare venticinque anni. I suoi capelli erano biondi, quasi bianchi sotto la luce abbagliante che illuminava la stanza. Il suo volto bianco e bello mostrava una saggezza che non si addiceva ai suoi tratti giovanili. La curva delle sopracciglia, persino il modo in cui storceva le labbra nascondeva una piccola traccia di compressione, compassione e amore. I suoi occhi inducevano sicurezza, serenità. Era un volto rassicurante. Per alcuni versi mi ricordava molto Athendora, ma le differenze tra loro due erano visibili a occhio nudo. Quest’uomo sconosciuto era in grado di prendere le sue decisioni, ero certa che sapesse sempre qual era la cosa migliore da fare e come agire. Era affidabile. Al suo fianco la terza presenza interessante non mi stupì. Ero certa che avrei ritrovato gli stessi lineamenti bellissimi classici dei vampiri e gli strani occhi dorati. Eppure l suo aspetto non mi stupì: con la mia vista acuta riuscì a scorgere i classici segni dei morsi sulla sua pelle, ne era ricoperto. Con il mio occhio sinistro non lo avrei mai notato. La sua forza mi lasciò ancor più sconcertata del suo aspetto inquietante. La vita lo aveva sottoposto a varie prove, ma lui le affrontava, combatteva contro qualcosa che non era capace di controllare e questo gli richiedeva un grande sforzo. Ma non ero certa di cosa si trattasse, o quale fosse la prova cui era sottoposto. Di una cosa ero certa: possedeva una forte volontà, quasi da soldato. Impossibile non rimanere affascinata. Qual era la storia di questi tre personaggi così particolari e sfaccettati? Erano soli? Automaticamente ampliai il mio raggio di ricerca e mi guardai intorno. Stretta tra le braccia del vampiro-soldato vi era una ragazza dai capelli neri corvini, aggraziata anche nello stare immobile, minuta. Mi chiesi come potesse quella figura così piccola contenere tutta la sicurezza e la forza che caratterizzava quella strana ragazza. Anche lei osservava la scena con occhi curiosi, attenti e ambrati. Al fianco dell’uomo dal volto rassicurante, una donna dallo sguardo dolce, gli occhi color miele e i capelli color caramello gli teneva la mano. Il mio cuore iniziò a battere forte e i miei occhi corsero ad Athenodora sottomessa alle mie spalle. Questa donna, invece, rimaneva di fianco al marito, entrambi partecipanti attivi. La sua forza di volontà non era da sottovalutare e certo non doveva invidiare il compagno in quanto a risolutezza. Avrebbe fatto di tutto per l’uomo che gli stava di fianco, era certo. Incapace di passare inosservato un ragazzo nerboruto riccio di capelli sovrastava la donna dai lineamenti dolci. Non era granché particolare in confronto agli altri, ma non era debole. Era l’amore per il resto della sua congrega e per la donna bellissima al suo fianco che gli dava la forza. E per ultima, proprio lei, con quella bellezza che mi ricordava tanto Athenodora, come il compagno non passava inosservata. Mi rattristai quando intuì che la sua forza era uno scudo che avrebbe dovuto difenderla dal provare qualsiasi tipo di dolore emotivo. Per un attimo mi chiesi cosa avrebbe pensato l’annoiato Marcus se avesse prestato attenzione ai legami che di certo univano quel clan. Il loro amore ara la loro forza. Tutti e sette brillavo di luci diverse e intense e mi chiesi come potessero passare inosservati agli occhi degli altri. Che ingiustizia! Ero diventata dipendente dalla forza che questi sconosciuti emanavano, e in particolare il giovane, solo con la sua luce. Scrutavo il suo volto e mi chiedevo per quale scherzo del destino quel giovane non avesse trovato l’amore. Quel sentimento che più di chiunque altro là dentro meritava di ricevere. Intenta nelle mie congetture non notai subito che il ragazzo, sentendosi probabilmente osservato, aveva ritrovato il mio volto. Benché in quella strana giornata fosse già successo altre volte, incontrare nuovamente il suo sguardo mi causò quelle stesse reazioni che io avevo attribuito al fatto di essere stata colta in fallo, in errore. Le mie guance s’imporporarono e il mio cuore iniziò a battere violentemente, preoccupandomi. Sostenni il suo sguardo, certa che il mio volto fosse per metà nascosto dall’enorme cappuccio nero. Il ragazzo ricambiò il mio sguardo, scrutandomi attentamente, come se tentasse di vedere il mio volto aldilà di uno spesso strato di fango. Ed ecco di nuovo quell’espressione frustrata: corrugò le sopracciglia e sbuffò leggermente, infastidito. Il suo fastidio mi divertiva, era molto simile a quello di un bambino cui non compravano il gioco che tanto desiderava, mi fece sorridere. E lui reclinò leggermente la testa di lato, concentrato, come se stesse cercando nei miei occhi l’origine di quel sorriso ingiustificato che mi aveva sorpreso per la sua spontaneità. Sorrisi ancora dell’intensità della sua concentrazione. A sorpresa gli angoli delle labbra piene del ragazzo si sollevarono leggermente, come se il mio sorriso, inevitabilmente, lo contagiasse. E quel lieve accenno di sorriso rese, se possibile, il suo volto ancor più stupefacente. Non avevo mai visto angelo più bello. “Bella, Bella, Bella. Zzz”. Una voce glaciale, fin troppo familiare mormorò al mio orecchio. Sussultai e la presenza al mio fianco rise sommessamente. Automaticamente mi voltai nella sua direzione, il suo volto e le sue labbra vicine al mio orecchio mentre scuoteva la testa. “Colta di sorpresa; c’è sempre una prima volta”. Rimasi impietrita, troppo stupita per muovere anche soltanto un muscolo. Due errori. Adesso, all’esistenza del ragazzo si aggiungeva la vicinanza inaspettata di Jane. Nessuno mi aveva mai colto di sorpresa. Il mio raggio d’azione era molto esteso, diversi chilometri, mi avvertiva sempre quando qualcuno stava per avvicinarsi. Sentivo le persone e le aure che le avvolgevano bussare prepotentemente alla porta della mia mente. Potevo decide di tenerle fuori, lontano da me, ma la maggior parte delle volte, soprattutto nelle situazioni di pericolo il mio senso supplementare non mi tradiva mai. Non avevo mai abbassato la guardia tanto da farmi cogliere di sorpresa da qualcuno; non avevo mai trovato nulla che valesse la pena di essere esaminato così attentamente. La piccola figura al mio fianco, più bassa di me di qualche spanna, si allontanò, mentre una risata bassa e cristallina, simile a quella di una bambina innocente, la scuoteva. I capelli biondi raccolti in un’anonima acconciatura, le labbra piene serrate a trattenere le risa, gli occhi grandi e rossi brillavano di una luce malvagia e birichina che le illuminava il volto angelico.

≪Il gatto ti ha mangiato la lingua?≫ chiese, nelle sue parole, freddi e taglienti, una punta d’ilarità.

≪Sei una guardia... Bella. Dovresti comportarti come tale, prestando la tua attenzione ai tuoi signori e non al giovane Cullen≫.

Stupita dalla presenza inaspettata di Jane, non mi ero accorta immediatamente dell’assenza di Athenodora...

≪Lei non è qui≫, chiarì Jane.

≪Non so dirti dove sia. Ha ricevuto un ordine da Marcus ed è corsa via≫.

≪Ma tu non te ne sei accorta. E come avresti potuto. La tua attenzione gravitava decisamente altrove≫.

La cattiveria che celava la sua voce mi fece rinsavire e ripresi il controllo della situazione: ≪Non credere di poter approfittare di una mia momentanea mancanza, Jane≫.

≪Approfittare? Oh, no. Perché dovrei? Ti stavo soltanto aiutando a ritrovare la concentrazione che evidentemente avevi perso. Tutto qui≫.

≪Grazie dell’aiuto≫, risposi, contraccambiando il suo tono gelido.

Sorrise.

Jane e Alec, tra tutti i vampiri che componevano la guardia, erano i più sadici, pericolosi e dispettosi. Gli unici che probabilmente avrebbero goduto di una mia prematura dipartita. Avevano una volontà debole. Si affidavano troppo ai loro poteri supplementari e godevano nell’utilizzarli per fare del male agli altri. Senza di essi erano persi. Per questo motivo mi odiavano così profondamente: la mia immunità li rendeva vulnerabili. Perciò, semplicemente, non li badavo e non davo loro alcun pretesto per importunarmi. A mal’ in cuore ammisi che sarebbe stato più saggio smettere di osservare il ragazzo: non volevo dare a Jane alcun vantaggio su di me e, era difficile ammetterlo, non volevo che il giovane... Cullen, si chiamava, diventasse un suo bersaglio. Concentrai la mia attenzione su Aro. Lo vidi prendere un respiro profondo e fare un cenno con il capo a Felix, il quale mi affiancò svelto e silenzioso. Mi nascosi alle sue spalle, nel tentativo di rendermi invisibile al nostro pubblico. Ero certa Aro avrebbe parlato loro del pericolo che i Licantropi costituivano per noi, ancora una volta.

≪Amici, fratelli, per quanto possa essere lunga l’eternità, sono più che certo che non basterà per farci comprendere tutti i profondi misteri della natura e della nostra specie. Con il tempo a noi si sono aggiunti dei meravigliosi esemplari. Nuove razze elette≫.

La sua mano e il suo sguardo corsero a me, nascosta da Felix che si fece istintivamente da parte per permettere a tutti di vedermi. Non mi piaceva essere oggetto dei loro sguardi e delle loro attenzioni, sbuffai. Aro sorrise notando la mia esitazione e il mio mal celato fastidio. Poi il suo sguardo ritornò serio e concentrato e si rivolse nuovamente ai vampiri nella sala: ≪Ma, come per ogni altra razza a questo mondo, anche gli immortali hanno i loro nemici, qualcosa in grado di ucciderli, se si da loro la possibilità di arrivare a tanto. Vi chiederete certamente perché siete stati convocati qui, a soli così pochi anni di distanza dall’ultima volta che ci siamo riuniti. Ebbene, vi ho chiamati qui oggi, per informarvi di un pericolo imminente e da non sottovalutare≫.

Un silenzio tombale calò nella stanza, interrotto solamente da pochi respiri.

≪Qualche tempo fa un nostro manipolo di uomini si è avventurato nelle terre dell’Europa orientale nel tentativo di debellare alcuni Licantropi che avevano trovato dimora sui monti più alti. Dei nostri uomini ne ritornarono quattro. I Licantropi erano stati uccisi. I superstiti erano riusciti a comunicarci i loro piani. I Licantropi creano un esercito, mordendo esseri umani e infettandoli. Io vi prometto qui, oggi che i Volturi sconfiggeranno questa minaccia per sempre. Per il momento chiedo a voi, soprattutto ai miei vicini Europei di stare all’erta. Non vorrei perdere nessuno di voi≫.

Si soffermò a osservare i volti bellissimi di alcuni vampiri, probabilmente Europei e poi continuò: ≪Ciò che mi preoccupa è la possibilità che la voce si sparga e colpisca anche altri continenti≫.

≪Per questo motivo dobbiamo fermarli, subito≫.

Quell’ultima parola riecheggiò nel silenzio della stanza.

≪Perché? Perché all’improvviso i Licantropi creano un esercito. Cosa li ha spinti a ciò?≫.

Uno dei vampiri sul cui volto si erano posati gli occhi di Aro poco prima e che adesso stringeva protettivo la sua compagna, era stato l’unico ad avere il coraggio di porre la domanda che interessava tutti, l’unica cui Aro non avrebbe mai voluto rispondere.

≪E’ vero, che cosa li ha spinti a questo?≫.

Dal fondo si levò un’altra voce e un mormorio sommesso si diffuse nella stanza: ognuno faceva le proprie congetture. Aro aggrottò le sopracciglia e rispose: ≪I Licantropi cercano qualcosa cui non possono rinunciare, ma che non deve assolutamente cadere in mano loro... l’ultima dei prescelti≫.

E in quell’istante tutti gli occhi dei vampiri puntarono il mio volto. Felix mi affiancò protettivo e vigile. E poi arrivò, ciò che più di ogni altra cosa Aro temeva.

≪E noi tutti dovremmo rischiare la vita per lei?≫.

Felix ruggì al vampiro e mi si parò davanti, nascondendomi quasi completamente. Aro lo ammonì con un gesto secco ma cordiale della mano.

≪Pace, mio caro Felix. So quanto tieni a lei≫.

Poi, si rivolse al vampiro a me sconosciuto dicendo: ≪Mio giovane amico dei Carpazi mi dispiace che tu la pensi così. Esattamente sedici anni fa io vi ho parlato di lei e vi ho rivelato ciò che è, e i suoi straordinari poteri. Non oso neanche immaginare cosa farebbero di lei i figli della luna se cadesse nelle loro mani. E noi non possiamo permettere questo, mi capisci? E nostro compito proteggerla≫.

≪La tua è forse una lamentela formale, discuti la mia parola?≫.

Il vampiro rimase impietrito, in fine chinò il capo e rispose: ≪No, signore≫.

≪Bene≫, Aro sorrise, soddisfatto.

≪Io e i miei fratelli ci uniremo alla spedizione≫.

≪Non vi angosciate, ne usciremo vincitori, questa è una promessa≫.

≪Naturalmente chiunque di voi desideri unirsi alla missione è ben accetto≫, dichiarò Aro.

 

Dopo alcuni minuti di una pausa che mi parve troppo lunga, iniziarono ad avanzare. Al centro della fila, un vampiro alto e muscoloso quanto Felix parlò: ≪Io sarò con voi, voglio difendere il mio territorio. Non permetterò a dei luridi cani di prendere ciò che è mio≫.

Ai suoi lati i vampiri annuivano.

≪Ottimo, sarete dei nostri figli miei≫.

Un delicato chiacchiericcio si disperse nella stanza. C’erano vampiri eccitati in vista della nuova battaglia, alcuni sembravano preoccupati, altri mi lanciavano occhiate sospettose. Coloro che avevano deciso di prendere parte allo scontro si coordinavano con la guardia, oppure parlavano con Aro che offriva loro gentilmente di occupare una delle numerose stanze della rocca finché non fosse stato il momento di partire.

≪Jane, cara avvicinati; devo parlarti≫.

≪ì, mio Signore≫, rispose lei, petulante.

Non prestai attenzione al loro scambio. Rimanevo nascosta di fianco a Felix nell’attesa del ritorno di Athenodora.

≪Felix, sai dov’è Athenodora?≫.

Il grosso vampiro si chinò su di me e sussurrò:≪Non ne ho idea. Marcus le ha chiesto qualcosa ed è filata via≫.

≪Oh, grazie≫, gli sorrisi.

≪Di niente, piccola≫, disse, ricambiando il mio sorriso.

Poteva sembrare un tipo spaventoso, ma in realtà, quando mi sorrideva, i lineamenti del suo volto mostravano molta più dolcezza di quanto volesse dare a vedere.

A un tratto Aro richiamò l’attenzione dei presenti, distogliendomi dai miei pensieri: ≪Signori, nella stanza a fianco, troverete un banchetto preparato per voi. Chiunque voglia parteciparvi segua Felix, sarà lieto di scortarvi. Non fate complimenti≫.

 Deglutì, scuotendo la testa.

≪Allora è il caso che noi andiamo Aro≫.

Il mio sguardo si posò su un volto bianco, illuminato da due occhi splendidi color ambra.

≪Come desideri, mio buon amico. Non posso fare nulla per convincerti ad accettare il mio invito≫.

Il vampiro rise.

≪Credo di no, Aro≫.

≪Allora vai in pace, mio buon Eleazar≫.

≪E’ stato un piacere rivederti Aro≫, rispose questo.

≪Anche per me, amico mio≫.

Il vampiro di nome Eleazar annuì e, seguito dal resto dei membri del suo clan, lasciò la stanza scortato da una delle guardie, Demetri. Chi erano questi strani vampiri dagli occhi dorati? Che cosa aveva spinto questo strano clan a rifiutare l’invito di Aro? Automaticamente i miei occhi percorsero il perimetro della stanza, alla ricerca del ragazzo e degli altri occhi gialli. Non c’era. Doveva essere già andato al banchetto...  Non avevo idea del perché mi sentissi. Come? Delusa? In fondo era normale; lui era un vampiro...

≪Bella, tesoro, perché non ti avvicini?≫, la voce bassa e amichevole di Aro catturò la mi attenzione.

Mi voltai.

Tendeva la sua mano nella mia direzione; mi feci avanti e la afferrai, fredda e dura in confronto alla mia, calda e morbida.

≪Mi sembri un po’ distratta quest’oggi. C’è qualcosa che ti preoccupa?≫.

Strinse la mia mano tra le sue e mi fissò negli occhi, attentamente, in attesa di una mia risposta. Il rosso rubino del suo sguardo brillava d’impazienza e cercava nelle profondità dei miei occhi color cioccolato la risposta che non poteva leggere direttamente, come gli capitava con chiunque altro.

≪No, mio signore. Nulla di cui preoccuparsi≫.

 Sorrise, raggiante.

≪Bene, ne sono lieto. Sono certo che la nostra Athenodora ti abbia già accennato qualcosa, ma ho qualche sorpresa per te, che spero gradirai≫.

≪Di cosa si tratta, maestro?≫.

≪Lo scoprirai tra breve≫, mi rispose.

≪Mi pare di aver capito che le sorprese siano più di una≫.

I suoi occhi rossi si posarono sul mio volto con una tale intensità da costringermi quasi ad arretrare, deglutì.

≪Pazienza, pazienza. Ti verrà rivelata a tempo debito≫.

Ero curiosa di scoprire cosa mi stesse riservando Aro, ma, al tempo stesso, lo temevo. Qualcosa mi diceva che non avrei gradito la sua seconda sorpresa, la stessa che aveva accesso nei suoi occhi quella luce talmente intensa che il solo ricordo mi procurò un brivido lungo tutta la schiena.

≪Adesso che i nostri amici si sono ritirati per il banchetto, noi possiamo andare≫.

≪Demetri, Jason, accompagnateci≫.

≪Agli ordini, mio signore≫, risposero entrambi in coro, chinando il capo.

Aro si alzò con una grazia e un’eleganza d’altri tempi e i fratelli lo imitarono. Mi fece segno di precederlo ed io mi portai al fianco di Demetri. Mentre attendevo che Jason aprisse la grande porta in legno Demetri si chinò vicino al mio orecchio e sussurrò:

≪Tieniti pronta, piccola. Ti aspettano dei momenti molto interessanti≫.

Dopo di ché si ritrasse e si allontanò, imboccando uno dei lunghi corridoi della rocca. Il mio istinto mi diceva che qualcosa stava per cambiare.

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Capitolo 3
*** sorprese ***


 

Buongiorno! Prima di tutto vorrei ringraziare chi ha recensito gli scorsi capitoli, chi mi ha aggiunto alle seguite, alle ricordate e alle preferite e chi semplicemente legge la storia. Grazie! In questo capitolo scopriremo cosa Aro ha in serbo per la nostra Bella e ci saranno delle svolte importantissime per la trama. Ps alla fine del cap potreste volermi uccidere, lettore avvisato...      

≪Mio signore, non ho mai gradito le sorprese. Non mi piace essere colta impreparata di fronte ad un evento≫, sussurrai.

≪Lo so, ma ti prego, concedimi la tua fiducia≫ mormorò Aro, in risposta.

Ci trovavamo davanti alla grande porta in mogano che celava una delle stanze più riservate del castello. Solitamente veniva utilizzata per le riunioni dei cinque membri della famiglia. Oggi, nascondeva la mia prima sorpresa. Aro si ostinava a non volermi rivelare ciò che mi aspettava, nonostante conoscesse la mia avversione per le sorprese, ma non potei che annuire davanti alla muta richiesta che quegli rosso rubino celavano nelle loro profondità. Aro sorrise, mostrando la lunga schiera di denti bianchi. Mi voltai e scostai il grande cappuccio nero dal mio volto, impegnata ad osservare le venature nascoste della grande porta,  finché Demetri e Jason non ne spalancarono le ante.

La prima cosa che notai fu il grande tavolo ovale al centro della stanza. In un secondo momento i miei occhi misero a fuoco le figure che sedevano intorno al tavolo lungo e sottile. Nonostante lo stupore offuscasse ogni mio altro pensiero, la bellezza inumana dei volti che ci osservavano circospetti non mi lasciò indifferente. Avevo già visto e apprezzato ogni singolo volto e la forza che traspariva vanitosa da quegli occhi d’ambra, segno distintivo dei diavoli dai cuori d’angeli. La piccola stanza sembrava incapace di contenere le loro presenze, arretrai, sommersa da quella forza che rischiava di schiacciarmi. Mi accorsi in quell’istante che gli occhi gialli non erano soli: Jane rimaneva immobile nell’angolo più lontano della stanza.  I grandi occhi rossi passavano in rassegna i volti dei nostri ospiti. Aspettava paziente, di poter utilizzare il suo potere malefico. La vedevo lanciare occhiate assassine in direzione della ragazza minuta dai capelli corvini. Non avevo idea del perché, ma ero più che certa che la odiasse con tutte le sue forze. Poi il suo sguardo si posò sul giovane Cullen con un odio pari a quello che riservava alla ragazza. Un brivido freddo lungo tutta la schiena mi fece trasalire. Non capì questa nuova emozione. Sentivo un freddo glaciale invadere il mio corpo e il sangue pompare a una velocità preoccupante nelle mie vene. Mentre osservavo gli occhi vispi di Jane scrutare attentamente il ragazzo, capì: il mio era terrore. Viscido, strisciante, si insinuava nella mia mente e nel mio cuore. Temevo per il ragazzo, fin troppo consapevole del sadico compiacimento di Jane nell’utilizzare il suo dono già di per se malefico... Fu in quel momento di terrore che i miei occhi incontrarono ancora una volta quelli del ragazzo. Non prestai alcuna attenzione alla mano di Aro che mi spingeva verso il tavolo, mi spostavo con movimenti apatici, automatici, mentre mi perdevo nelle profondità di quegli occhi ambrati. Il clan degli occhi gialli era disposto in modo molto compatto nei propri posti. A capotavola sedeva l’uomo dall’espressione rassicurante e stringeva la mano alla compagna dalla volontà simile a quella di una leonessa, ma capace di dare tanto amore quanto era grande l’universo. Al lato della donna, sedeva la ragazza bellissima, ci osservava con espressione cupa, mentre il suo compagno, i muscoli flettevano sotto la maglietta bianca e leggera, le cingeva le spalle. Di fianco all’uomo biondo sedeva lui, composto e aggraziato, valutava la scena, consapevole. Al suo fianco stavano la ragazza dai lineamenti simili a quelli di un folletto e il suo compagno dalla volontà di un soldato. Dall’altro capo del tavolo, separati dal clan dagli strani occhi gialli da una linea invisibile, Aro sedeva a capotavola, alla sua sinistra, silenziosi ed eleganti, posavano i due fratelli, alla sua destra c’ero io. Mi soffermai a osservare Aro, mentre nel silenzio della stanza, un’angoscia crescente m’invadeva. Non capivo il motivo della presenza degli occhi gialli e tanto meno quanto potessero centrare con la sorpresa di cui parlava Aro. Lui mi restituì uno sguardo sereno, fin troppo sicuro, poi posò delicatamente i gomiti sul tavolo, le mani di fronte al volto e parlò: ≪Benvenuti. Prima di tutto vorrei ringraziarvi per aver accettato il mio invito≫.

≪Dopo tutto, ero certo che non avreste apprezzato la sorpresa che ho riservato al resto dei nostri ospiti≫, aggiunse con un sorriso.

≪E’ un piacere, Aro, ma mi incuriosisce questa tua esigenza di parlarci in privato; di cosa si tratta?≫, fu l’uomo che sedeva a capotavola a rispondere alle parole di Aro.

La sua voce rispecchiava il suo aspetto, era calma e rassicurante, stranamente, non nascondeva ironia o diffidenza, sembrava... sincero.

≪Prima di iniziare a parlare di cose serie gradirei fare le presentazioni, c’è ancora qualcuno che non ha avuto l’onore di conoscervi≫, e dicendo questo si voltò nella mia direzione.

Gli lancia un’occhiata eloquente: mi metteva una strana ansia essere presentata ufficialmente a questo strano clan. Eppure avevo conosciuto centinaia di vampiri e aiutato Aro nelle situazioni più spinose molto volte, utilizzando la mia capacità di controllare la volontà altrui. Non riuscivo a capire. Sentì semplicemente le mie guance tingersi di rosso, ancora una volta. Aro sorrise: ≪Isabella, questa è la famiglia Cullen≫.

Seguì il suo sguardo che si posò sul volto dell’uomo biondo, sorrideva. Quel sorriso mi lasciò abbagliata, inverosimilmente rese il suo volto ancor più luminoso, sembrava... il sole. Li presentò, indicando uno a uno i loro volti.

≪Loro sono Carlisle, la sua dolce moglie Esme e i suoi figli: la bellissima Rosalie, Emmet, la nostra talentuosa e incantevole Alice, il suo compagno Jasper e il giovane Edward≫.

Il mio cuore perse un battito quando pronunciò il suo nome. I miei occhi rimasero fissi nei suoi per pochi istanti, finché non spostai lo sguardo, ero certa di essere arrossita violentemente in volto. Si aprirono tutti in un grande sorriso, a parte lui. Mi soffermai più del dovuto sul sorriso rassicurante di Carlisle e su quello dolce di Esme, ai lati della sua bocca comparvero due adorabili fossette. Possibile che su un volto di pietra ci fossero delle fossette? Nessuno, neanche Athenodora, mi aveva mai sorriso in quella maniera, mi sentivo quasi in dovere di ricambiare il suo affetto sincero. Nonostante non mi conoscesse, benché non ci fosse alcun legame tra di noi, nel suo sguardo e nel suo sorriso c’era dell’affetto.

≪E’ un piacere conoscerti Isabella≫.

Nessuno aveva mai pronunciato il mio nome in quella maniera, senza quella punta di possessività nella voce.

≪E’ un piacere anche me, signore≫.

Sembrò stupito dalla mia riverenza, sorrise: ≪Chiamami Carlisle≫.

≪Carlisle≫, mormorai.

Ci guardammo negli occhi per un attimo eterno finché Aro non mi riportò alla realtà:  ≪Vedi Bella, la famiglia Cullen è molto particolare. Diversissima dal resto della nostra specie≫.

Lo guardai con un punto interrogativo negli occhi.

≪Carlisle è mio amico da tanto, tanto tempo. Ed stato quando ho conosciuto lui che per la prima volta ho visto un vampiro rinnegare la propria natura. Avrai certamente notato i loro occhi, sono frutto di una scelta diversa. I Cullen non si nutrono di sangue umano, ma di sangue animale≫.

Spalancai la bocca e la richiusi in un attimo. Il mio udito mi stava forse giocando un brutto scherzo. Era impossibile, nessun vampiro aveva mai rinunciato... eppure la loro forza di volontà. Forse era questo a renderli così forti: l’astinenza. Era l’unica spiegazione per i loro occhi. Adesso quegli sguardi avevano assunto un significato diverso: erano la testimonianza di una scelta comune. Mi voltai in direzione di Carlisle, attendeva una mia reazione.

≪Questo è...≫, sussurrai.

≪Impossibile?≫, rise Aro.

≪A quanto pare no e sono molto lieto che Carlisle sia stato capace di seguire una strada così poco usuale per la nostra specie≫.

I due si sorrisero. I miei occhi si soffermarono su ognuno dei loro volti, fino ad incontrare lo sguardo curioso e attento di Edward Cullen. E in quel momento la mia unica domanda fu: perché? Perché lo facevano? E la risposta era lì, davanti ai miei occhi. Loro erano così. L’astinenza non aveva fatto altro che rafforzarli, ma era tutto merito di ciò che erano, della bontà dei loro cuori muti.

≪Bene, adesso che abbiamo fatto le presentazioni sarà meglio chiarire immediatamente la vostra posizione qui, oggi≫.

≪Naturalmente, non siete obbligati ad accettare la mia richiesta, ma gradirei che lo faceste. Carlisle sei l’unico cui potrei chiedere una cosa del genere. E i Volturi non dimenticano un favore≫.

Carlisle reclinò leggermente il capo, lanciando uno sguardo ai suoi compagni e alla donna al suo fianco, lei annuì e lui chiese: ≪Parla Aro, ascolteremo e valuteremo≫.

Aro sospirò e si accinse a parlare: ≪Sono certo che abbiate prestato attenzione a quanto successo oggi e alla nostra discussione≫.

≪Alcuni tuoi figlioli, Carlisle, sono dotati di doni stupefacenti, che certamente avranno permesso loro di avere una percezione più chiara delle intenzioni, dello stato d’animo e dei pensieri dei presenti≫.

Gli occhi rossi di Aro brillarono come rubini, somigliava molto allo sguardo che aveva quando guardava me, ma in fondo sapevo di essere il gioiello più prezioso della sua collezione.

≪E’vero≫, dichiarò Carlisle, una luce nuova nei suoi occhi, che rese il suo volto cupo e pieno di preoccupazione.

Temeva per la sua famiglia. Conosceva bene Aro e quanto si ostinasse quando voleva qualcosa a tutti i costi e, dal tono della sua voce, era ovvio che desiderasse i poteri di cui vantava i membri del clan dei Cullen.

≪Si tratta forse del pericolo dei licantropi, Aro non ci coinvolge in prima persona e...≫.

≪Tranquillo, Carlisle. Non voglio che la tua famiglia entri in guerra, non ti sto chiedendo questo≫.

≪Allora cosa?≫.

≪Riguarda il pericolo dei Licantropi, ma non nel modo in cui intendi. Come ho già accennato anche agli altri, anche io e i miei fratelli parteciperemo a questa spedizione. Sai bene che è molto raro che noi ci muoviamo da Volterra, ma questa volta è necessario≫.

Non capivo dove volesse arrivare. Ero certa di avere lo stesso sguardo confuso di Carlisle e degli altri.

 

≪Con la nostra assenza la rocca rimarrà scoperta... e c’è qualcuno che noi dobbiamo tenere al sicuro, mi capisci Carlisle≫.

Tutti gli sguardi puntarono immediatamente il mio volto. Mi sentì sciocca a non aver pensato a questo.

≪Aro, non c’è motivo di preoccuparsi; so badare a me stessa≫.

≪Ah, lo so≫, acconsentì, carezzandomi la guancia con le dita fredde.

Poi, si voltò nuovamente verso Carlisle e continuò: ≪Avete visto come hanno reagito oggi appena saputo che la causa dello scontro era lei≫.

Sentì un nodo allo stomaco. Tutti loro, Athenodora, Felix, Demetri, scendevano in guerra e combattevano per me. Se fosse successo loro qualcosa, sarebbe stata tutta colpa mia.

≪Non vorrei che qualcuno approfittasse della nostra assenza per vendicarsi e non possiamo portarla con noi in battaglia, rischia di cadere in mano ai Licantropi. Ciò che noi stiamo tentando di evitare≫.

≪Cosa mi stai chiedendo, precisamente, Aro?≫.

≪Ti chiedo di portarla con te Carlisle, nel nuovo mondo. Il posto in cui vivete voi, nessuno penserebbe mai che potrebbe trovarsi laggiù. E’ perfetto. Inoltre, siete gli unici che sono certo non portano rancore, gli unici che hanno rispetto per la vita umana e non penserebbero di fare di lei il proprio pasto≫.

≪Vi chiedo solo ospitalità. Naturalmente sarà necessario troncare ogni rapporto con la rocca finché non vi sarà detto che la guerra è finita. Non vorrei che qualcuno vi seguisse. Il nostro accordo dovrebbe rimanere segreto. Vi garantisco che nessuno verrebbe mai a cercarvi e lei è capace di proteggere se stessa e voi in caso. Il vostro aiuto non sarà dimenticato≫.

Ero completamente a bocca aperta. Era  questa la mia prima sorpresa. Sarei dovuta andare via con i Cullen. Io non ero mai uscita dalla rocca, benché meno dall’Italia. Io non volevo scappare o mettere loro nei guai, costringendoli a ospitare me e la mia disgrazia. Come... come avrei potuto vivere con loro. Io non li conoscevo... io. Ero in piena crisi di panico. Cercavo di respirare regolarmente, ma non ci riuscivo. Lancia un’occhiata ad Aro, ma lui guardava Carlisle. I miei occhi si soffermarono sul suo volto, osservava la sua famiglia, in cerca del loro parere.

≪Forse è il caso che vi lasciamo discutere; dovrete valutare attentamente la proposta e pensare sia ai pro che ai contro≫.

Lanciò uno sguardo alla vampira sadica in fondo: ≪La nostra Jane sarà qua fuori la porta, quando avrete deciso vi condurrà alla sala dei troni per comunicarci le vostre intenzioni≫.

Jane annuì e ci affiancò in un attimo. Aro si alzò, seguito dai fratelli e mi offrì la mano. Mi aggrappai a lui: avevo bisogno di un sostegno per non cadere a terra. Sentivo le gambe tremare e le orecchio fischiare. I miei occhi vagavano da un punto all’altro della stanza, in cerca di un aiuto, un suggerimento su come affrontare ciò che mi attendeva; sia che i Cullen avessero accettato la proposta, sia che non lo avessero fatto. Prima di lasciare definitivamente la stanza rivolsi un ultimo sguardo alla famiglia Cullen che ci osservava turbata. Li avevo condannati: se avessero accettato li avrei resi un bersaglio, se non lo avessero fatto Aro non avrebbe di certo dimenticato. Non sapevo cosa sperare. E attraverso la piccola fessura ancora aperta della porta che celava la stanza ormai non più misteriosa incontrai lo sguardo ambrato e rassicurante del capostipite del Clan dei Cullen.

Non ricordo come, i miei occhi non riuscivano ad allontanare l’immagine di quell’ultimo sguardo, arrivammo alla sala dei troni. Quando tutti e tre i signori di Volterra furono comodi sui loro troni, Aro afferrò entrambe le mie mani in una delle sue e mi avvicinò a se. Con l’altra mano carezzò la mia guancia, più pallida e fredda del solito.

≪Bella tesoro, sei pallida. Cosa c’è≫.

Presi un respiro profondo, mordendomi il labbro inferiore e lo guardai negli occhi.

≪Maestro... io non sono mai uscita dalla rocca. Non ho idea di come sia il mondo al di fuori di essa. Io non credo di... non conosco i Cullen, non...≫.

Aro mi zittì, posando una delle lunghe dita sulle mie labbra e sorrise teneramente.

≪Tesoro, la tua è una paura lecita ma inopportuna. Non c’è alcun motivo per cui tu debba preoccuparti o avere paura del mondo esterno, tantomeno dei Cullen. Con le tue capacità, non devi temere niente≫.

≪Non ho paura di loro, signore≫.

≪Allora cosa ti preoccupa≫.

≪Ho sempre vissuto con voi; siate qualcosa di... familiare, ma i Cullen...≫.

≪Ti spaventa ciò che non conosci≫, sintetizzò Aro.

≪Credo sia colpa mia≫, continuò, ≪ti ho sempre rinchiuso qua dentro per proteggerti, ma è bene che tu faccia esperienza di ciò che c’è oltre la rocca≫.

≪Forse, avete ragione≫.

Rise sonoramente.

≪Forse≫, concordò.

≪Potrebbero anche non accettare maestro≫.

≪Io credo che lo faranno, è nel carattere di Carlisle: correre in soccorso di chi ha bisogno. Non tradirebbe mai la nostra amicizia≫.

≪Amicizia!≫, sputò Caius.

≪Il suo modo di fare e di essere è contro natura, Aro. Non smetterò mai di ripetertelo. E la sua famiglia si è ingrandita con il tempo, potrebbero diventare pericolosi. Rinunciare al sangue umano! Salvare delle vite anziché cibarsi della loro linfa è una cosa malsana e si sta espandendo≫.

Concluse con una smorfia di disgusto. Che cosa intendeva dire con si stava espandendo, forse i Cullen non erano l’unica eccezione? E poi ricordai Eleazar e il suo strano clan, i loro occhi avevano lo stesso singolare color ambra dei Cullen...

≪Salvare delle vite?≫, chiesi.

≪Sì≫, rispose Aro.

≪Carlisle ha sempre studiato come medico e oggi pratica questa professione≫.

≪Co... cosa, ma come può stare a contatto con il sangue umano e non desiderare di uccidere?≫.

≪Anni e anni di allenamento suppongo≫.

Ero basita. Come poteva avere un autocontrollo così eccezionale. Carlisle era un uomo migliore di quanto pensassi.

≪Probabilmente tu sei l’unica che riuscirebbe a fargli bere sangue umano, se decidessi di controllare la sua volontà≫, mi sorrise affettuosamente.

≪Dove andremmo, signore. Se dovessero accettare la proposta≫.

≪Accetteranno. Dalle informazioni in nostro possesso, attualmente i Cullen vivono in una piccola cittadina dello Stato di Washington, nelle periferie della penisola Olimpica≫.

≪Il clan di Olimpia≫, mormorai.

≪Esatto≫.

≪Ma come possono vivere lì permanentemente; gli umani non si accorgono di nulla?≫.

≪Tesoro gli umani sono molto più cechi di quanto si possa pensare. Ma d’altronde il loro comportamento è così umano che a volte si confondono totalmente con quelle che dovrebbero essere le loro prede≫.

≪Ihm≫, Aro sospirò, ≪che spreco≫.

≪Cosa intendete mio signore?≫.

≪Come ho già accennato il clan dei Cullen ha alcuni elementi molto validi≫.

M’incupì osservando i suoi occhi e il desiderio che trapelava da essi.

Fraintese.

≪Tranquilla, nulla a che vedere con te, però la giovane Alice, il suo compagno e Edward...≫.

Mi sentì nuovamente invadere da quella sensazione di panico, di puro terrore quando Aro pronunciò il suo nome. Mi osservò per un istante, mentre il mio volto passava dal bianco al viola in pochi secondi. Cercai di respirare, per allontanare quella sensazione di gelo.

≪Sì≫, lo incitai a continuare.

Dopo pochi instanti proseguì: ≪Be’, loro hanno dei doni invidiabili≫.

Improvvisamente curiosa, ancora una volta, verso tutto ciò che riguardava il ragazzo, lo esortai a parlare.

≪Alice può vedere il futuro. Ti ho già detto tempo fa, che con il passare degli anni anche i prescelti acquistano delle capacità premonitrici≫.

≪Ricordo≫.

≪Il suo compagno è in grado di controllare l’umore altrui. E il giovane Edward≫, trattenni il respiro, ≪lui ha un dono in comune con me≫.

≪Può leggere i pensieri delle persone?≫, chiesi.

≪Legge i pensieri delle altre persone, ma a differenza di me può farlo senza il contatto fisico≫.

D’un tratto mi ritrovai a ringraziare mentalmente di essere immune al potere di ogni immortale, senza ben sapere il perché. Probabilmente non volevo che lui sapesse di essere il mio primo errore. In quell’istante ripensai all’espressione frustrata del ragazzo e capì: tentava di leggere i miei pensieri, ma naturalmente non ci riusciva. Sorrisi al ricordo del suo fastidio. Il mio sorriso non sfuggì ad Aro ed io mi affrettai a ritornare seria e composta. Come se i miei pensieri lo avessero chiamato, avvertì la sua presenza e quella del resto dei membri della sua famiglia avvicinarsi sempre di più, scortati dalla volontà debole ma spavalda di Jane. Aro si voltò, seguendo il mio sguardo, attratto, probabilmente, dai passi lievi e veloci dei nostri ospiti e si alzò dal suo trono. Arretrai, portandomi alle sue spalle e abbassando lo sguardo.

≪Jane, cara. Hai riportato qui i nostri ospiti≫, sorrise Aro.

Non mi azzardai a guardare la famiglia, spaventata da ciò che avrei potuto leggere nei loro occhi. E in quel momento un nuovo pensiero mi balenò in mente. Più che altro si trattava di una sensazione che non riuscivo a tradurre in pensieri o parole. Riguardava il ragazzo, su cui avevano converto i miei ultimi pensieri e scoprì che l’idea di non rivederlo più - ammesso che la sua famiglia avesse deciso di rifiutare la proposta di Aro – mi provocava un dolore non indifferente. Non un dolore fisico, visibile agli latri, ma qualcosa che era destinato a rimanere segreto e ciò lo rendeva ancor più insopportabile.

≪E bene, Carlisle≫, dichiarò Aro, ≪qual è la vostra decisione?≫.

Il dolore mi colpì come uno schiaffo, costringendo il mio sguardo, senza che io avessi prima deciso razionalmente, a incontrare il volto del ragazzo. E stranamente lo trovai lì, a fissarmi. Non abbassò lo sguardo, nonostante lo avessi sorpreso a guardare il mio volto così apertamente e i nostri occhi si fusero, oro e cioccolato insieme, incatenandoci.

≪Accettiamo la tua richiesta Aro. Prenderemo con noi la ragazza e la proteggeremo. Hai la mia parola≫.

In quel momento eterno, occhi negli occhi, soltanto le parole di Carlisle riuscirono a distrarmi. E il mio sguardo si posò sul suo volto, candido e sincero, sul suo sorriso. Il sorriso di un uomo che non sapeva di essere migliore. Con una velocità impensabile mi voltai nella direzione di Aro. Sorrideva, era sempre stato certo della risposta di Carlsile e in quel momento mi chiesi: avevano altra scelta? Mi sentì un peso, un dovere. Anche se, negli occhi di Carlisle e nel suo sorriso sincero, non c’era ira, né astio.

≪Bene, molto bene. Ottimo≫, esultò Aro.

≪Partirete domani mattina. Qualcuno si sta già occupando del viaggio. Per il momento potete sistemarvi nelle stanze che la nostra Jane vi indicherà. Questa sera sarete nostri ospiti≫, fu Marcus a parlare per la prima volta.

≪Naturalmente ogni sua spesa sarà coperta. Ma vi pregherei di farle vivere la vostra quotidianità; non è mai uscita dalla rocca, perciò non ha esperienza del mondo esterno o degli umani≫, continuò Aro.

Mi infastidiva il fatto che parlasse di me come se non fossi lì. Ci sentivo. Sbuffai.

≪Non ci sarà alcun problema. I miei ragazzi frequentano la scuola superiore. Se vorrà, lì sarà al sicuro≫.

Guardai Carlisle, doveva aver notato la mia espressione. Mi sorrideva comprensivo, arrossì violentemente.

≪Jane, accompagnali alle loro camere. So che non eravate preparati a trattenervi qui più di qualche ora, perciò mi sono permesso di sistemare alcune camere in modo che poteste trascorrere tranquillamente la notte, in caso aveste accettato la nostra richiesta. Domani mattina all’aeroporto di Firenze troverete un volo a vostro nome. Di qualsiasi cosa abbiate bisogno chiedete a Jane e vi sarà data. Ti devo davvero molto, amico mio≫.

Carlisle annuì. Jane si avvicinò loro e fece strada.

≪Passate una buona notte≫.

Con questo augurio i Cullen lasciarono la stanza.

≪Adesso è davvero tutto perfetto. Bella, va pure in camera. C’è Athenodora che ti aspetta. Si è occupata del viaggio; so che la cercavi≫.

Annuì e mi avviai verso la mia camera.

≪Ah, Bella?≫.

Mi voltai.

≪Si, mio signore?≫.

≪Non dimenticare la tua seconda sorpresa. Quando sarà il momento, ti farò chiamare≫.

Senza proferire parola uscì dalla stanza e mi diressi nella mia camera. Naturalmente vi trovai Athenodora. Era impegnata a osservare il cielo buio aldilà dei vetri del balcone che dava sulla terrazza. Quando mi udì entrare, sistemò le tende bianche al loro posto e si voltò nella mia direzione. Sorrideva. Quel sorriso, l’unica vera certezza in ogni mio ricordo, mi parve inappropriato. Stupidamente confrontai la sua espressione con quella della donna dagli occhi dorati, Esme. Sul volto bellissimo di Athenodora non c’erano fossette, il suo affetto era contenuto, come se avesse paura di affezionarsi a me. Non riuscì a ricambiare quel sorriso che un tempo avevo trovato rassicurante, il mio unico porto sicuro. Scrutò attentamente la mia espressione e mi si avvicinò, con passo lento ed elegante: ≪Com’è stata la giornata? So di aver promesso che sarei stata al tuo fianco, ma Marcus mi ha chiesto di preparare le tue cose e di organizzare il viaggio. Non ho capito molto, ma ho obbedito. Mi spiegherai?≫.

Sospirai e mi sedetti sul letto.

Sentì il peso della giornata ricadere sulle mie spalle in un unico istante. Athenodora si sedette al mio fianco e carezzò la mia schiena, dandomi due pacche sulla spalla. Quelle poche ore mi erano parse durare un’eternità. Il mio corpo era più resistente alla stanchezza rispetto a quello di un comune mortale, ma oggi mi sentivo più umana che mai.

≪La sorpresa di cui mi avevi accennato... Aro ha chiesto a un clan di vampiri...≫.

≪I Cullen≫, mi interruppe.

La guardai e lei si affrettò spiegare.

≪Marcus mi ha chiesto di prenotare un volo a loro nome≫.

Annuì.

≪Sì, loro. Perciò sai già che domani mattina dovrò partire≫.

≪Probabilmente sono stati i tre fratelli a concordare tra loro, io e Sulplicia non sapevamo nulla di tutto questo≫.

≪Probabilmente Aro non voleva rovinarti la sorpresa, di solito quando vuoi qualcosa la ottieni≫.

≪E’ vero≫, acconsentì.

Se avessi capito che Athenodora mi nascondeva qualcosa e non fossi riuscita a farmelo dire spontaneamente, avrei utilizzato su di lei il mio potere. In fondo, odiavo le sorprese. Athenodora si alzò e ritornò alla finestra, scostando ancora una volta le tende delicate per osservare il cielo.

≪Athenodora, com’è. Là fuori, il mondo, intendo≫.

Mi lanciò uno sguardo che non capì, sfoderando la sua migliore espressione da Poker. Rivolse il volto al buio della notte.

≪La maggior parte delle volte ingiusto. Per alcune creature, gli umani soprattutto, pericoloso. Sono esseri così fragili, fisicamente soprattutto e influenzabili. Perché ogni creatura, che sia licantropo, vampiro, umano, prescelto, soffre. Anche se alcuni sono bravi a non darlo a vedere. Il mondo... non è innocente, o semplice da comprendere. A volte ci ritroviamo a chiederci il perché e spesso, anzi quasi sempre, non riusciamo a trovare la risposta. Per gli umani è fondamentale vivere al meglio il tempo che anno, una sola breve vita. La maggior parte di loro la spreca, nascondendosi, fingendo di essere ciò che non sono. Rinnegando se stessi, per essere conformi ad una certa società e alle sue regole. In fondo, come possiamo dare torto a chi non vive la propria vita, nel mondo non c’è così tanto che vale la pena vedere. Alcuni pensano troppo al futuro, altri non riescono a dimenticare il passato, rovinando il proprio presente. Altri vivono talmente tanto il loro presente da non pensare minimamente al proprio futuro o a ciò che hanno imparato in passato. In molti hanno bisogno di aggrapparsi a qualcosa. Alle divinità ad esempio. Prefabbricando religioni di tutti i tipi. Forse esiste qualcosa la fuori, ma non ciò che loro pregano, ciò per cui combattono, hai studiato le crociate in storia! Si massacrano in nome di qualcosa che forse esiste, forse no. Credono perché non si fidano di loro stessi. Hanno bisogno di qualcuno in cui sperare per risolvere i loro problemi o a cui dare la colpa. O solo semplicemente perché la religione esiste da quando l’uomo ha ricordi. E viene insegnata da padre in figlio, ma sono rari gli umani che si pongono delle domande a riguardo. Per noi essere immortali, il tempo non ha alcun significato. Alcuni ritengono che avendo la possibilità di vivere più di una vita alla fine si riesca a trovare ciò che realmente si vuole. Molti immortali si lasciano guidare dall’istinto, pensando semplicemente al proprio piacere, in fondo ci saranno domani e dopodomani... a questo punto perché negarsi qualcosa. Ma la maggior parte di noi, umani o immortali, non riceve ciò che vuole. Perché non sa cosa vuole o perché non lotta per ottenerlo, o non sa lottare. Che tu abbia una vita davanti o centinaia, se troverai il tuo senso della vita, allora non avrà più alcuna importanza. Perché ogni istante che avrai vissuto, avrà avuto un senso≫.

Non avevo mai sentito Athenodora fare un ragionamento tanto lungo, tanto sincero e profondo.

≪Sembra complicato≫, sussurrai.

≪Sembra≫, sospirò.

≪Sai≫, continuò, ≪ho sempre creduto che nell’Universo esistesse una specie di giustizia divina≫.

≪Cosa intendi?≫.

≪E’ più probabile che sia un umano a trovare il proprio senso. Credo che possedere l’immortalità ci precluda di trovare il giusto motivo per cui valga la pena viverla≫.

≪Credi che una escluda l’altra≫.

Chinò il capo.

≪Non penso che tu abbia ragione≫.

≪Come puoi dirlo?≫, chiese.

≪In fondo anche gli immortali possono amare e penso che l’amore sia un buon senso della vita≫.

≪Oh, Bella. Gli umani hanno narrato tanto dell’amore, ma non hanno mai vissuto qualcosa alla Romeo e Giulietta, o all’Elisabeth  Bennet e Darcy≫.

≪Non puoi dirlo e anche se fosse, questo non significa che non esiste. Credo che l’amore, qualsiasi forma d’affetto sia l’unico motivo...≫.

Guardò i miei occhi a lungo, tentava di nascondermi qualcosa: un sentimento. Scatenato forse dalle mie parole, ma non ne ero certa. Qualunque cosa fosse la costrinse a voltarsi, impaurita all’idea che mostrandomi il volto potessi scoprire ciò che mi nascondeva.

≪Ho preparato le tue cose. Sono in quelle valige. Ho messo anche alcuni dei tuoi libri preferiti e il tuo portatile. Nella borsa ci sono un passaporto e alcuni documenti che ti saranno utili≫.

Mi avvicinai alla scrivania e osservai ciò che Athenodora aveva preparato.

≪Cos’è questa≫, chiesi, osservando la valigetta in cuoio nero.

≪Ci sono parecchi soldi la dentro, dollari. Non avrai problemi, parli correttamente l’inglese e anche se non hai mai vissuto fuori dalla rocca, conosci bene come funzionano le cose≫.

 Annuì.

≪Adesso ti lascio; penso che tu abbia bisogno di farti una doccia e di cambiarti. Metti l’abito che ho preparato per te in bagno e una mantella pulita, so che Aro ti manderà a chiamare. Se non dovessimo vederci fino a domani mattina, buona notte Bella≫.

≪Buona notte Athenodora≫, mormorai.

Prima di chiudersi la porta alle spalle incrociai i suoi occhi, per un misero, breve istante e lo riconobbi quel sentimento: senso di colpa.

Scrollai il capo, tentando di eliminare quell’immagine dalla mia mente. Oggi non ero più certa di nulla, perciò, probabilmente, mi ero... sbagliata. Era ancora difficile pensare razionalmente a questa possibilità. Mi diressi in bagno e andai in doccia. Il getto d’acqua calda sciolse i muscoli in tensione e mi ritrovai inevitabilmente a ripensare alla mia giornata. Strana. Non trovavo altro aggettivo. La scoperta del ragazzo e della sua famiglia, la perdita di concentrazione e l’aver abbassato la guardia, la sorpresa di Aro, l’espressione di Athenodora. Non sapevo bene di cosa si trattasse, ma ero certa che stesse per avvenire un cambiamento nella mia altrimenti monotona vita quotidiana. I Volturi sarebbero partiti tra qualche giorno per combattere la mia battaglia e io avrei dovuto lasciare la rocca per andare a vivere con una famiglia di vampiri dalla morale un po’ bizzarra dall’altro capo del mio mondo. Pensai ironicamente a tutte le volte in cui Athenodora mi aveva costretta a stare sui libri per imparare perfettamente l’inglese. All’epoca dubitavo che avrei mai dovuto utilizzarlo, ma lei diceva sempre che nella vita non si può mai sapere. A tredici anni parlano e scrivevo perfettamente la lingua. Adoravo la letteratura inglese e mi piaceva leggerla com’era in origine, molte volte si perdono cose importanti con le traduzioni. La mia mente spaziò facilmente nel pensiero di ciò che mi attendeva domani. Mi sentivo pervasa da una strana eccitazione. Ed era normale, pensai. Il posto più lontano in cui fossi stata era il giardino, sovrastato da alte mura, del palazzo. Internet era stata una manna dal cielo, ma non c’era confronto tra vedere le cose da uno schermo e dal vivo. A volte, soprattutto quando ero bambina, non poter uscire era stato un vero e proprio sacrificio e motivo di molta tristezza ma crescendo ci avevo fatto l’abitudine. Mi sentivo eccitata e inquieta al tempo stesso. Non avevo idea di come s’interagisse con gli umani, o forse era meglio dire che non avevo idea di come s’interagisse con le persone in generale. In tutta la mia vita avevo frequentato sempre e solo vampiri. Come sarebbe stato stare vicino a qualcuno che non desiderava assaggiare il mio sangue? Strano, supposi. Improvvisamente sentì il mio volto tingersi di rosso. Questa era un’altra cosa strana della giornata. Con il passare degli anni il mio volto aveva assunto la freddezza e la compostezza tipica dei vampiri. Avevo imparato a non mostrare alcuna forma di debolezza, alcuna emozione. Sentì un moto istintivo d’irritazione verso il ragazzo: era colpa sua se avevo abbassato le mie difese. Non avevo idea di come ci fosse riuscito, ma questo mi faceva sentire preoccupata e inquieta, prevedibile. Uscì dalla doccia e mi guardai intorno in cerca dell’abito di cui aveva parlato Athenodora. Era perfettamente piegato su di uno sgabello del mio bagno. Mi avvicinai a osservarlo. Era un Valentino nero, corto che lasciava la schiena scoperta, ma di un’eleganza insostenibile, con tanto di tacchi coordinati. Mentre mi vestivo la mia mente, si perse inevitabilmente nelle possibilità di cosa potesse essere la sorpresa di Aro. Ricordavo perfettamente il suo sguardo e il tono della sua voce mentre me ne parlava, ma non avevo idea di cosa fosse. Ripercorsi mentalmente alcune conversazioni, in cerca di un qualche indizio: fu vano. Nulla che mi lasciasse presagire ciò che mi aspettava. Quando finì di vestirmi uscì dal bagno e presi una mantella pulita dall’armadio. Non capivo il motivo di tanta preparazione ed eleganza. E poi... solitamente i Volturi partecipavano ad alcuni eventi umani di massima importanza. Che Aro avesse intenzione di condurmi a uno di essi? Pensai a quale potesse essere l’evento in questione, ma non c’era nulla di così importante in questo periodo dell’anno. Buio. Non avevo idee. E smisi subito di pensare quando incontrai la mia immagine riflessa nel grande specchio dorato della mia camera. L’abito sembrava cucito su misura per me - e forse era davvero così - marcava i miei punti più forti, accentuando le curve giunste sul mio esile corpo. I tacchi davano alla mia figura immobile uno slancio sensuale e femminile. Il medaglione, simbolo del clan dei Volturi, ricadeva sul mio collo scoperto, fino al taglio del seno non molto prosperoso ma valorizzato dal vestito. Rimasi a osservare la mia immagine allo specchio per alcuni minuti finché non udì una presenza familiare avvicinarsi. Allacciai la mantella al collo e lasciai che i capelli ricadessero sulle mie spalle. Qualcuno bussò alla mia porta.

≪Entra Demetri≫.

La porta si aprì e mostrò un Demetri sorridente.

≪Aro mi ha mandato a chiamarti≫.

≪Ascoltami Demetri≫.

≪Sì?≫.

≪Hai idea di cosa stia organizzando Aro≫.

≪Certo che no, altrimenti non avrebbe mandato me. Ti conosce troppo bene≫.

≪Lo supponevo≫, sospirai.

≪Forza andiamo, non vorrai farlo aspettare. Devo dire che sei davvero bellissima stasera≫.

Sorrisi al tono imbarazzato della sua voce.

≪Grazie, Demetri≫.

Uscì, richiudendomi la porta alle spalle e seguì Demetri verso la mia seconda sorpresa.

Il viaggio fu silenzioso, quando fummo ad uno dei vari incroci della rocca che rendeva il castello un vero e proprio labirinto, Demetri ruppe il silenzio: “Devo chiederti di chiudere gli occhi, adesso”. Gli lanciai un’occhiataccia che perse il suo effetto, visto che lo stupore superava la rabbia per la sua richiesta..

≪E’ un ordine di Aro≫, si giustificò.

Obbedì e serrai gli occhi, lasciandomi guidare dalla mano di Demetri sulla mia spalla. Ovviamente Aro non voleva che sapessi in anticipo dove Demetre mi stava conducendo. Ad occhi chiusi, ogni altro mio senso era all’erta. Il mio raggio d’azione si ampliò - riuscivo a cogliere ogni presenza nella rocca e la “voce” familiare dei Cullen nell’ala sud del palazzo - e udì l’aura di Aro farsi sempre più vicina. Era ovvio che mi stesse conducendo da lui, ma per quale ragione? D’un tratto il nostro cammino si arrestò e udì la voce bassa di Demetri sussurrare al mio orecchio: ≪Tieni gli occhi chiusi, non aprirli finché non te lo dirò≫.

Annuì, deglutendo rumorosamente. Sentì Demettri bussare alla porta di una stanza e una voce familiare all’interno rispondere con un tono tanto basso da essere quasi inudibile, almeno per le mie orecchie. La mano di Demetri sulla spalla mi spinse all’interno della stanza - avvertivo la presenza di Aro, ma non potevo vederlo - e mormorò: ≪Adesso puoi aprire gli occhi≫.

Obbedì.

Aprì gli occhi e mi guardai intorno. Ci trovavamo in una stanza, come avevo supposto, ed era enorme, tre volte più grande della mia e decisamente più lussuosa. Un lampadario di cristallo diffondeva una luce soffice e soffusa all’interno della stanza. Il pavimento e le mura erano in pietra. La grande stanza perfettamente quadrata era divisa in due ali. Nella prima parte spiccava un divano di pelle bianca, al suo capezzale c’erano un tavolino in vetro e un vaso in ceramica con fiori bianchi e arancioni. Dietro al divano c’era una libreria che ricopriva l’intera parete, piena zeppa di libri. Al di sotto di un basso gradito, troneggiava al muro un letto enorme, le lenzuola di un delicato panna contrastavano in modo spaventoso con il rosso vivo dei tappeti disposti ai lati del talamo. Di fronte al letto, incastonato alla parete in pietra, disposto a qualche centimetro da terra, vi era l’armadio. Sul lato destro del letto enorme spiccava una portafinestra completamente spalancata, la luce della luna bastava a illuminare la grandezza esagerata del balcone che celava. Quella stanza era bella e inquietante al tempo stesso. Gli accostamenti di colori e la grandezza dell’ambiente mettevano decisamente in soggezione. Eppure aveva qualcosa di familiare...

≪Bella, tesero≫.

La voce melodiosa di Aro mi ridestò dai miei pensieri. Con un movimento fulmineo fu immediatamente davanti a me. Sbattei le palpebre più volte nel tentativo di ridestarmi dal mio stupore e dire qualcosa, ma non ci riuscì. Aro, come qualsiasi altro elemento, combaciava perfettamente con lo stile gotico ma moderno della stanza. Reclinò leggermente la testa di lato, in attesa di una mia reazione. Quando incontrò il mio sguardo si aprì in un grande sorriso. Mi offrì la mano che afferrai automaticamente. Lentamente la portò alle labbra e vi posò un lieve bacio, indugiando sul profumo della mia pelle, chiuse gli occhi. Sentì le mie guance tingersi di rosso. Qualche giorno fa sarei stata in grado di nascondere o camuffare il mio imbarazzo, ma oggi ero succube delle mie emozioni. Aro scostò il volto dalla mia mano e annusò l’aria. Si avvicinò al mio viso e il mio cuore iniziò a battere forte, quella vicinanza mi metteva a disagio, ma non dissi nulla: attesi. Scoppiò in una risata fragorosa e si allontanò da me, spalancando i grandi occhi rossi. Con la mano che non era occupata a stringere la mia mi carezzò una guancia: ≪Non ti vedevo arrossire da quando avevi dieci anni≫.

Lanciò un fugace sguardo al mio abbigliamento e sorrise.

≪Be’, sei decisamente cresciuta da allora e devo dire che quest’abito ti dona particolarmente. Questa sera dei decisamente meravigliosa≫.

Deglutì, incapace di scostare lo sguardo dai suoi occhi.

≪Grazie, mio signore≫, mormorai in fine.

Aro sorrise e si allontanò.

≪Non c’è bisogno di essere così formale. Siamo da soli≫.

Lo seguì con passi lenti e misurati, mantenendo quanta più distanza possibile tra i nostri corpi e chiesi: ≪Avevate parlato di una sorpresa mio signore... Aro≫.

Il vampiro si arrestò di fronte a una delle pareti, osservava le pietre con singolare attenzione, la mente altrove. All’improvviso si voltò nella mia direzione.

≪Qui, tu hai fatto questo≫, disse, indicandomi la parete spoglia.

≪Non capisco≫, replicai osservando la parete, non mi sembrava che avesse nulla di particolare.

≪Guarda con più attenzione≫.

Feci come aveva detto e mi sorpresi di vedere come le pietre che formavano la parete non seguissero un disegno perfetto e continuo con le altre. Capì che questa parete era stata costruita con un progetto diverso. Inoltre le pietre erano decisamente meno consunte delle altre. Probabilmente l’architetto che aveva costruito le restanti tre pareti era lo stesso che aveva dato vita a Palazzo dei Priori, perciò era morto molto tempo prima.

≪Questa parete è diversa≫, sussurrai.

≪Esatto≫.

≪Vedi, quando eri molto piccola venivi spesso nella mia stanza. Cosa che non è mai stata permessa a nessuno. Ma tu eri speciale. Sono stato il tuo maestro fin da quando sei nata e ti ho aiutato a sviluppare le tue capacità≫.

Mentre parlava carezzava la parete con sguardo assente, perso nei ricordi.

≪Il controllo della volontà... e della vita e della morte≫.

Deglutì. Solitamente non parlavamo delle mie capacità quando queste rientravano nell’ambito della vita e della morte. Avevo scoperto, tempo fa, che i prescelti erano in grado di uccidere o di far vivere qualsiasi essere vivente: persone, animali e vegetali. Naturalmente non ero ancora in grado di fare un cosa del genere, mi allenavo sulle piante ma mi costava un grande sforzo. Aro aveva ripetuto più volte che avrei imparato con gli anni.

≪E’ un potere eccezionale≫, disse, ridestandomi dai miei pensieri.

≪Succedeva che un vampiro desiderasse ritornare ad essere un mortale e i prescelti, dopo aver esaminato attentamente il caso, potevano decidere di esaudire il suo desiderio. Ma era una cosa molta rara. Ed erano in pochi a essere in grado di fare un cosa del genere. Per questo i prescelti godevano di grande rispetto. Gli dei in terra, vi chiamavano. La specie più evoluta di tutte, avete sempre goduto di quel pizzico di... magia che ad alcuni manca≫.

Tornò ad osservare il mio volto e sorrise.

≪Perdonami, sto tergiversando. Dicevo: trascorrevi molto tempo nelle mie camere e decisamente eri una bambina cocciuta. Quando non avevi quello che desideravi, oppure ti facevo stancare troppo mettevi il broncio. Naturalmente non eri come tutti gli altri bambini, perciò non ti fermavi a questo. Un giorno ti feci stancare e arrabbiata, facesti esplodere la mia parete≫.

Mi sorrise orgoglioso.

≪E così che scoprimmo la tua capacità di controllare non soltanto la volontà altrui, ma anche la materia. Facesti implodere la parete, rimase poco o niente≫.

≪Non ne ho ricordo≫.

≪Avevi solo sei anni e questo non è l’unico disastro che hai combinato. Perciò dovetti smettere di farti venire qua dentro. Prima o poi mi avresti distrutto la camera≫.

≪Mi dispiace≫, mormorai arrossendo e abbassando lo sguardo.

Dita gelide mi sollevarono il mento: ≪Non scusarti. E’ stato un piacere. E tu ti divertivi così tanto a far saltare gli oggetti. Le tue risa riecheggiavano nel castello. Eri davvero una piccola peste≫.

Sorrisi. Improvvisamente Aro si allontanò e mi voltò le spalle.

≪Seguimi≫, ordinò.

Seguì i suoi passi finché non fummo sull’immensa terrazza circolare. Non osavo guardarlo in volto, osservavo le venature delle mattonelle bianche del balcone. Quando il silenzio divenne pesante, decisi di alzare gli occhi e lo trovai a fissarmi. Il suo sguardo era indecifrabile.

≪La luce della luna rende il tuo volto ancor più magnifico≫, esordì all’improvviso.

Non ebbi il tempo di replicare alcunché, fu immediatamente davanti a me, gli occhi rosso rubino si specchiarono nei miei con una tale intensità da costringermi ad arretrare. E mi sarei mossa se lui non avesse stretto le mie mani tra le sue.

≪Ti avevo parlato di una sorpresa Isabella..≫.

Annuì, incapace di proferire alcun suono.

≪E bene...≫

≪Sposami. Diventa mia moglie, Isabella≫.

Ero completamente basita. Non c’era un termine che potesse descrivere pienamente il mio stato d’animo in quel preciso istante. Non ero pienamente certa dell’aspetto che aveva assunto il mio volto. Sentivo un freddo innaturale invadere il mio corpo e il nulla sostituire ogni mio pensiero e ogni mia emozione. Nella mia mente e nel mio cuore non c’era niente. Sentivo semplicemente le parole di Aro ripetersi e accavallarsi, come cercassi un significato nascosto in quella breve, misera frase. Il mio sguardo era perso nell’immensità del buio della notte. In quel momento mi chiesi: quando?Perché? Qual era lo scopo di questa proposta? Aro provava davvero qualcosa per me? No, era impossibile. Il motivo doveva essere un altro. “Tesoro, sulle tue spalle grava un grande fardello. La tua specie deve continuare a esistere. Il mio desiderio e che ritorni prosperosa e forte come lo era alle origini”. Prese il mio mento tra le mani e mi costrinse a guardarlo. “Per questo la nostra unione è importane e inevitabile”. Per un istante rimasi sorpresa dal ritorno di una qualche emozione, poi la analizzai e capì di sentirmi sciocca. Ero stata una stupida a non averci pensato. Era ovvio che il suo scopo fosse questo. Me ne aveva parlato così tante volte... lui voleva... mi sentì invadere da un conato di vomito che ricacciai con cattiveria.

≪Sposami Bella. Ti prometto che avrai tutto, ogni cosa. Non sentirai mai la mancanza di nulla. Infondo devo ricambiare in qualche modo ciò che tu hai portato nel mio cuore... qualcosa per cui avevo pensato che non ci sarebbe mai stato spazio: amore≫.

Con la mano fredda carezzò la mia guancia e i miei capelli, portandosi una ciocca al naso.

≪Da quando Demetri ti ha portato a me da quell’orfanotrofio, ho capito che era così che doveva andare. Per la tua specie, perché possa ritornare fiera e rigogliosa, sposami. So che non hai mai pensato che io potessi provare questo sentimento per te, per questo motivo nessuno saprà niente finché la battaglia non sarà finita. Quando tornerai, io m’inginocchierò davanti a te e ti chiederò in moglie. E tu risponderai di sì, Bella?≫.

 Cosa avrei dovuto rispondere? Avevo scelta? Improvvisamente i miei pensieri ritornarono alla conversazione con Athenodora, rividi la sua espressione, quella luce nei suoi occhi: senso di colpa. Non avevo capito, ma adesso mi era fin troppo chiaro. Lei sapeva cosa volesse Aro, quale proposta avrebbe avanzato e si sentiva in colpa. Le avevo detto chiaramente che l’amore era un buon senso della vita per me: l’avevo sorpresa. Non si sarebbe mai aspettata che io potessi trarre una simile conclusione. Lei sapeva che avrei detto di si ad Aro, benché non provassi per lui alcun sentimento. Sapeva che non avevo scelta.

Non gliene facevo una colpa, anche lei non aveva mai avuto altra scelta. Appena Marcus aveva capito di amarla l’aveva resa un immortale, strappandola alla sua vita e alle persone che tenevano a lei. Adesso il suo senso era servire i suoi signori e vivere nell’ombra di Marcus. E il mio? Qual era il mio senso? E se il mio destino fin dall’inizio fosse stato questo? Sposare Aro e ricreare la mia specie. Potevo tradire ciò che ero e quelli che fin dall’inizio erano stati per me la cosa più vicina a una famiglia? Per cosa? Niente, non avevo niente. Allora perché non immolare la mia eternità per questa causa?

≪Si≫, sussurrai, rispondendo alla sua domanda.

Aro sorrise, gli occhi rubino brillarono e illuminarono il suo volto, reso ancor più pallido dai riflessi della luna.

≪Hai fatto la scelta migliore, tesoro≫.

Si chinò.

Le sue labbra erano a pochi centimetri dal mio volto. Il mio respiro accelerò. Avrei voluto sottrarmi dalla sua presa, respingere il tocco delle sue mani che non era mai stato più viscido o indesiderato e fuggire. Ma ormai avevo fatto la mia scelta, avrei dovuto dare me stessa... cos’era un bacio in confronto. A sorpresa le sue labbra fredde sfiorarono delicate la mia guancia. Rabbrividì. Non era freddo, né piacere ma disgusto. Un irrefrenabile, insostenibile disgusto s’impossessò di ogni mio pensiero ed emozione quando le sue labbra sfiorarono la mia pelle. Il contatto fu breve, ma lungo sufficientemente da farmi desiderare la morte. In quell’istante non volevo altro che cadere nelle mani dei licantropi, che un vampiro dell’Europa orientale cercasse vendetta, che Jane m’infliggesse il suo potere malefico. Volevo morire, disgustata da lui e da me stessa. Da quello stesso destino che mi aveva portato in quella camera, nelle mani del vampiro che avrei dovuto fingere di amare finché morte non ci avesse separato.

Aro mi permise di ritornare in camera, con l’augurio di trascorrere una buona notte. Mi mossi lungo i familiari corridoi della rocca senza badare alla strada che stavo percorrendo. Non riuscivo, non volevo realizzare ciò che era appena successo. La mia mente si rifiutava di pensare a ciò che avrei dovuto affrontare al mio ritorno. L’eternità è lunga, pensai con cupa ironia, prima o poi mi ci abituerò. Non volevo pensare che sarei diventata sua moglie. Non riuscivo a immaginare di poter essere sua in quel modo... in nessun modo. Camminare divenne improvvisamente troppo difficile. Sentì le lacrime inondare i miei occhi e i miei passi divenire pesanti e affaticati. Mi accasciai contro uno dei muri del corridoio deserto e cadetti a terra, sfinita. Strinsi le ginocchia al petto, raggomitolandomi in un angolo. Sentivo il mio corpo ghiacciato, potevo ancora avvertire le sue mani sul mio corpo, le sue labbra sulla mia pelle. Scoppiai a piangere. Lacrime mute, disperate, ricche di quella richiesta d’aiuto che nessuno avrebbe mai accolto. Non avevo mai provato una sensazione simile, un tale sconforto. Non avevo mai desiderato la morte prima d’ora, neanche quando le giornate rinchiusa nella rocca avevano pesato come macigni sulle mie spalle. Adesso non desideravo altro che un fulmine mi colpisse in pieno. Mi alzai, non ero in me. Non riuscivo più a pensare razionalmente. Spalancai una delle finestre che davano sul corridoio: pioveva. A differenza del resto degli immortali il mio corpo era fragile, umano. Sarei riuscita a saltare giù dalla finestra prima che qualcuno mi prendesse al volo? M’illudevo che il rumore della pioggia avrebbe coperto quello dell’impatto del mio corpo con il suolo. Guardai in basso. L’altezza era sufficiente a uccidermi con l’impatto? Non potevano trasformarmi: il veleno dei vampiri non aveva alcun effetto sui prescelti, se non quello di ucciderci. Mentre guardavo la strada deserta, illuminata soltanto dai lampioni, tutto iniziò a girare. Sentivo la testa pesante e vedevo la terra aprirsi e trasformarsi in un buco nero, pronto a risucchiarmi. Chiusi di scatto la finestra. Il suono riecheggiò nel silenzio, ridestandomi dalla mia pazzia. Cosa diamine stavo facendo? Dovevo allontanarmi da lì, ritornare in camera. Mi guardai intorno, asciugandomi gli occhi con la mantella e tentai di orientarmi. E alla fine riconobbi il luogo, mi c’ero persa quando avevo nove anni. Sapevo di dover andare a destra per ritrovare la strada. Tentai di muovermi utilizzando le ultime briciole di energia rimastami. Percorsi il corridoio e mi trovai in un luogo familiare, lo stesso che avevamo imboccato con Demetri per raggiungere la stanza di Aro. Rabbrividì e sarei caduta a terra se non mi fosse aggrappata al muro. Mi tirai su e proseguì. Da lì fu facile ritrovare la mia camera. Entrai e mi tolsi le scarpe. Non avevo più forza e tremavo per il freddo. M’infilai sotto le lenzuola calde e mi coprì fino alla testa. In quel momento ripensai alla pazzia del mio gesto, a quanto vicina fossi stata dal togliermi la vita e questo scatenò la seconda crisi di pianto. C’era la possibilità che facessi implodere qualcosa, ma non m’importava. I brividi di freddo continuavano a scuotere il mio corpo stanco e soltanto quando cessarono, riuscì a prendere sonno.

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Capitolo 4
*** Forks ***


 

Buon pomeriggio! Oggi a scuola hanno dato le vacanze di pasqua, perciò da domani potrei postare anche di mattina, vedremo. Dunque... In questo cap vedremo la comparsa dei Cullen, spiegherò un pò le ragioni di Bella e cosa intende fare della sua vita futura e ci sarà un primo, piccolo, breve contatto tra Edward e Bella... Baci al prossimo cap:-D.    

Mi svegliai all’improvviso, urlando. Sentivo i battiti accelerati del mio cuore e il suono spezzato del mio respiro irregolare. Avvertivo chiaramente il tremore del mio corpo. Passai il braccio sulla mia fronte, tentando di ripulire il mio volto dallo strato di sudore che lo imperlava. Non ricordavo il momento preciso della notte, tra brividi e singhiozzi, in cui mi fossi addormentata, né l’incubo che mi aveva fatta svegliare urlando. Presi qualche respiro profondo, nel tentativo di calmare i tremori che ancora mi scuotevano. Mi guardai intorno, investita dalla luce che proveniva dalla portafinestra. Una luce fioca, grigio perla: il colore dell’alba. Doveva essere ancora molto presto. L’alba stava sorgendo su Volterra. Quando i miei occhi si furono abituati alla luce osservai il mio corpo e mi accorsi di indossare ancora il Valentino nero. Mi raddrizzai, tirandomi su nel letto. Le lenzuola erano sgualcite, il piumino penzolava a terra, dovevo essermi mossa parecchio quella notte. Improvvisamente, fui lieta di non ricordare l’incubo che mi aveva sconvolto in quel modo. Mi sentivo ancora intontita, ma decisi di alzarmi, visto che riprendere sonno era fuori discussione. Sapevo che mancava ancora un po’ prima che Athenodora venisse a svegliarmi. Decisi di fare una doccia e di indossare vestiti puliti. Mi alzai, scostando le coperte, tentando di mantenere l’equilibrio. Quando fui stabile mi avviai verso il bagno. Prima di entrare, notai i due trolley rossi vicini alla scrivania e un’idea mi balenò in mente. Con tutto ciò che  era successo la sera precedente - m’imponevo con tutta me stessa di non pensarci - avevo quasi dimenticato il viaggio, la mia prima sorpresa. Adesso era decisamente il minore dei miei mali. Andai in doccia. L’inquietudine e la paura erano passate decisamente in secondo piano, sovrastate dall’eccitazione e dalla gioia. Dover lasciare Volterra non costituiva più un gran sacrificio. Tentai di pensare ai lati positivi. La battaglia sarebbe durata a lungo. I Volturi avevano intenzione di setacciare l’Europa e sterminare ogni misero branco di Licantropi prima della grande battaglia, erano certi che non sarebbe stato difficile. Perciò, immaginavo che la cacciai gli avrebbe portato via parecchio tempo. Mesi. Dovevano agire con cautela, accertarsi di aver sterminato ogni loro avversario. Stirai i capelli e con un asciugamano stretto intorno al mio corpo uscì dal bagno. Mi diressi alla portafinestra e l’aprì. Uscì fuori sulla terrazza. A piedi nudi mi portai alla ringhiera e vi poggiai gli avambracci. Sentivo il contatto freddo con il ferro, chiusi gli occhi e ispirai. Gli odori e i profumi del mattino mi investirono. La mia stanza era collocata in modo che non affacciasse sulla piazza della fontana ma sul giardino cinto di mura e sui terreni della campagna toscana, in una zona deserta e non facilmente visibile. Sentivo l’odore dei girasoli e del terreno bagnato. Udivo gli uccelli appollaiati sugli alberi del giardino pigolare: il loro modo di salutare il nuovo giorno. Sentivo il vento scompigliarmi i capelli e scuotere le chiome degli alberi, portando con se tutti gli odori di una normale mattina a Volterra. Tutto questo mi sarebbe mancato, ma oggi non era un giorno come gli altri. Sarei dovuta andare via, in una terra sconosciuta con persone sconosciute, nonostante queste avessero la mia piena fiducia. L’angoscia m’invase, tormentandomi. Era inutile che sentissi nostalgia, presto sarei ritornata, per rimanere per sempre al fianco di Aro... Sapevo fin da adesso che non mi sarei comportata come Athenodora. Non avrei accettato di vivere all’ombra di mio... marito, ma al suo fianco. Partecipe, forte a sufficienza da prendere le mie decisioni e disobbedire. Potevo già vedere i miei bambini dai capelli neri e gli occhi color cioccolato giocare nei giardini della rocca e divertisti a scoprire le loro capacità. Le leggende dicevano che i bambini nati da un prescelto e un’immortale - o un umano - divenivano prescelti a loro volta. Naturalmente la prole di due prescelti era più forte rispetto a quella di una coppia mista, ma nel mio caso non c’erano altre possibilità. Sentivo già la presenza di quei piccoli per cui avrei dato la mia eternità. Non avrei permesso che rimanessero segregati nella rocca. Avrebbero visto il mondo, sotto il mio sguardo vigile e la mia protezione. Avrei dato loro la possibilità d’incontrare la persona che amavano e non li avrei mai costretti a combinare un matrimonio. Loro avrebbero sempre avuto una scelta, ciò che a me non era concesso. Decisi di rientrare prima di scoppiare in lacrime. Mi vestì, indossando un anonimo paio di jeans e una maglietta e in quell’istante, udì la presenza familiare di Athenodora farsi sempre più vicina.

Aprì lentamente la porta, cercando di non fare rumore. I suoi occhi osservarono il letto per non più di una frazione di secondo, poi incontrarono i miei.

≪Sei sveglia?≫, chiese.

≪Non riuscivo a dormire≫, ammisi.

La guardai in volto, in attesa che aggiungesse qualche altra cosa. Sentivo come non mai il bisogno di essere confortata e stretta in un abbraccio. Avevo il disperato bisogno che qualcuno mi dicesse che andava tutto bene... che sarebbe andato tutto per il meglio. Non arrivò nessuna gentile parola di conforto, nessun abbraccio, neanche una carezza o una pacca sulla spalla. Entrò e senza degnarmi di uno sguardo si avvicinò alla finestra.

≪E’ meglio chiudere, fuori fa freddo e sta per piovere. Non avrete alcun problema con il viaggio, Firenze sarà coperta dalle nuvole per tutta la giornata≫.

Manteneva le distanze, forzatamente fredda nei miei confronti. Mi voltai e richiusi l’armadio.

≪Demetri si occuperà di portare le tue cose≫.

Non replicai, non avevo nulla da dire. Mi avvicinai alla scrivania e presi la tracolla nera in seta con dentro il passaporto. Rimasi lì, immobile, a osservare le venature scure della mia scrivania e le parole vennero senza che io le avessi prima pensate o calcolate: ≪Ho detto di sì, ma tu questo lo sapevi già≫.

Nel mio tono non c’era accusa, né risentimento ma rassegnazione e consapevolezza. Alzai il volto e incontrai gli occhi di Athenodora, carichi di un dolore che trasformò il suo viso meraviglioso in una maschera di antica tristezza e desolazione.

≪Sì, lo sapevo≫, non sembrava voler aggiungere altro e capì che temeva la mia reazione nei sui confronti.

≪Non preoccuparti della mia reazione verso di te. Non te ne faccio una colpa. Mi hai detto chiaramente che il mondo è ingiusto e che ognuno deve trovare il suo senso della vita. Chissà, magari il mio è proprio questo. Sposare Aro... ricreare la mia specie. Probabilmente è il mio motivo di esistere. Non ho mai conosciuto i miei genitori. Voi siete sempre stati la mia famiglia e questo è il mio destino. L’ho capito, sai. Non sono arrabbiata con te, davvero≫.

Fu talmente veloce che non la vidi. In un istante fu al mio fianco. Mi tirò a se per un abbraccio e io rimasi immobile, basita. Non si era mai lasciata andare a una tale dimostrazione d’affetto. Non riuscì a ricambiare il suo abbraccio, per quanto sincero, rimaneva freddo e distaccato. Non emanava alcuna sicurezza, alcun conforto. Quando si staccò da me per potermi guardare meglio, rimasi abbagliata dal sorriso meraviglioso che splendeva sul suo volto perfetto. “Sapevo che alla fine avresti capito quel era il tuo destino e il tuo senso. Sono fiera di te, piccola”. Non potevo replicare alcunché, mi limitai a sorriderle. Un sorriso breve, tirato che non accese il mio sguardo, ma fu abbastanza per convincerla e soddisfarla. Qualcuno bussò alla porta, interrompendo quel momento.

≪Demetri?≫, chiesi.

≪Oh, si≫, esclamò,≪deve essere qui per prendere le tue cose e portarle in macchina. Entra Demetri≫.

Il vampiro entrò, i suoi occhi passarono in rassegna prima il mio volto, inespressivo e poi quello sorridente di Athenodora.

≪Disturbo? Devo portare le valige in macchina. Aro mi ha fatto noleggiare una limousine nera, con vetri oscurabili, per il viaggio fino all’aeroporto di Firenze≫.

≪Una limousine!≫, esclamò Arthenodora, poi voltandosi nella mia direzione: ≪Questo è il segno che hai fatto la scelta giusta≫.

Deglutì, incapace di ricambiare il suo sorriso e soprattutto la sua felicità. Gli occhi di Demetri spaziavano dal mio volto a quello di Athenodora con pause di un secondo.

≪Non ho idea di cosa lei stia parlando≫, disse rivolto a me.

Poi continuando: ≪Sembra che i Cullen amino le auto veloci, pinguini! L’astinenza li ha rammolliti, evidentemente non gli piace correre con i loro piedi≫.

Alzò gli occhi al cielo. In un’altra circostanza avrei riso per il tono della sua voce e per la sua espressione fintamente stizzita, ma sentivo che se mi fossi lasciata andare avrei pianto e non volevo perdere il controllo come la sera precedente, mai più. Perciò mi limitai a rimanere immobile, padrona delle mie emozioni e delle mie azioni. Veloce e silenzioso come solo un vampiro sapeva essere, Demetri recuperò i due trolley e la valigetta in cuoio nero e sparì, richiudendosi la porta alle spalle.

≪Ottimo≫, esultò Athenodora.

≪Se sei pronta possiamo anche avviarci alla sala dei troni≫.

Sapevo cosa intendeva con la sua domanda, ma non potei fare a meno di chiedermi la stessa cosa. Ero pronta a rivedere Aro? Avrei saputo mantenere il controllo davanti a lui? O sarei crollata, come la sera precedente? Non avevo molta scelta, prima o poi avrei dovuto affrontare questo momento, perciò annuì. Desiderosa come non mai di lasciare la rocca. Prima di andare lanciai un ultimo sguardo alla mia stanza, il mio rifugio. Il luogo più sicuro che conoscessi...

Camminavamo in silenzio, perse nei rispettivi pensieri. A un tratto la voce squillante e cristallina di Athenodora ruppe il silenzio: ≪Non te l’ho mai detto, ma Aro mi chiedeva spesso di te≫.

Mi voltai nella sua direzione, confusa. Lei ricambiò il mio sguardo aprendosi in sorriso magnifico e mozza fiato e si affrettò a spiegare: ≪Naturalmente voleva sapere dei tuoi progressi, ma da qualche tempo a questa parte mi chiedeva sempre cosa pensavi di lui, se lo preferivi agli altri. Il modo in cui lo consideravi e come ne parlavi in sua assenza≫.

Strabuzzai gli occhi e lei rise.

≪Non preoccuparti, gli ho sempre detto la verità≫.

≪O... ovvero?≫, balbettai.

≪Gli dissi che non conoscevo le tue preferenze, ma che parlavi di lui molto bene e che lo hai sempre considerato il tuo maestro≫.

Tirai un sospiro di sollievo e lei rise ancora, fragorosamente.

Varcare la soglia della porta che conduceva alla sala dei troni, non era mai stato così difficile. Avvertivo la presenza familiare di Felix, Aro, Caius e Marcus. Loro erano la mia quotidianità, la mia normalità eppure... la proposta di Aro e la prospettiva di questo futuro che non avevo mai preso prima in considerazione, aveva rovinato tutto. Perché le cose dovevano cambiare? La mia vita mi andava benissimo così com’era organizzata. Presi un respiro profondo, nel tentativo di calmare la mia rabbia e la mia irritazione e spalancai la grande porta in mogano.

≪Isabella, tesero. Non ti aspettavamo così presto, è una gioia vederti≫.

La voce acuta e cristallina di Aro irruppe, sovrastando le altre nella stanza e mi provocò un brivido lungo tutta la schiena. Inevitabilmente i ricordi invasero la mia mente. Ricordavo con perfezione quasi maniacale la bellezza di quella stanza dai caratteri antichi ed eleganti; il tono della sua voce, bassa e roca e la luce nei suoi occhi mentre pronunciava le parole che avrebbero cambiato ogni cosa. Adesso, mentre avanzavo lentamente attraverso la stanza, nella sua voce e nei suoi occhi non c’era traccia di quel sentimento di cui non avrei mai immaginato l’esistenza. Dovevo aspettarmelo, aveva detto lui stesso che non avremmo reso ufficiale la cosa finché la battaglia non fosse finita. Questa consapevolezza mi provocò un istantaneo sollievo. In quel momento compresi, per la prima volta nella mia vita, come dovesse apparire il mondo a un umano, un mortale. Il tempo non mi aveva mai scalfato, sapevo da sempre che la mia vita sarebbe stata eterna. Ma adesso che il tempo a mia disposizione era limitato, avvertivo prepotente il desiderio di fermare lo scorrere inevitabile delle lancette della vita, così che il futuro potesse non arrivare mai. Quando gli fui di fronte, Aro prese la mia mano, come d’abitudine, e ne baciò il dorso. Non indugiò sul profumo della mia pelle, così che non avrebbe destato alcun sospetto in chi era ignaro della sua proposta, ma io reagì diversamente. Desiderai scostarmi dal suo tocco, viscido e indesiderato, per quanto dolce e delicato sulla mia pelle.

≪Spero che nulla abbia turbato il tuo sonno, cara. Non devi avere alcun tipo di preoccupazione. Il viaggio andrà bene, potresti perfino divertirti. E ciò che avverrà dopo... be, di certo non è nulla di cui tu debba preoccuparti≫.

Arretrai, ma gli occhi di Aro, ancora una volta fissi dentro i miei, m’immobilizzarono. E in quel momento, mentre il suo sguardo curioso scrutava il mio volto, seppi che ciò che la vita aveva in serbo per me non mi avrebbe mai reso felice. Nella mia mente era chiaro il ricordo del sorriso che aveva acceso il volto di Athenodora. Lei era certa che sposare Aro e ricreare la mia specie fosse il motivo della mia esistenza. Io ero l’ultima e questo comportava delle responsabilità, ma non riuscivo a credere che per me non ci fosse nient’altro. Chi trovava il proprio senso della vita non doveva sentirsi completo e il pace con se stesso e con il mondo? Ricordavo con chiarezza cristallina le parole di Athenodora: “Che tu abbia una vita davanti o centinaia, se troverai il tuo senso della vita, allora non avrà più alcuna importanza. Perché ogni istante che avrai vissuto, avrà avuto un senso”. Dov’era tutto questo? Era stupido pensare che con l’eternità le cose sarebbero cambiate. Ero certa che la sensazione di completezza e serenità fosse istantanea per colui che trovava il proprio senso, un po’ come accadeva con la morte e la pace eterna, cosa che agli esseri immortali non era concessa...

Le dita fredde e sottili di Aro carezzarono la mia guancia, ridestandomi dai miei pensieri.

≪Qualsiasi cosa turbi il tuo animo, sentiti libera di confidarti con me, tesoro≫.

≪Nulla mi turba mio signore≫, mentì.

La mia frase risultò falsa e poco credibile persino alle mie orecchie. Aro rise: ≪Un tempo sapevi mentire meglio≫.

Sospirai, scuotendo la testa. E nel più totale imbarazzo li udì, inconfondibili. Le loro aure avanzavano, sovrastando l’eco debole di Jane e Alec. Era strano che le loro presenze mi apparissero così familiari, come se le conoscessi da una vita anziché da poche ore. Le dita di Aro abbandonarono la mia guancia e sul suo volto si dipinse un sorriso amichevole e rassicurante. Come avevo fatto il giorno prima mi portai al fianco di Felix, nascondendomi dietro la sua figura grossa e imponente. Lui mi sorrise, mentre io, rossa in volto, abbassavo lo sguardo. Le porte si spalancarono e ne entrò uno strano corteo. Jane e Alec erano in testa. I gemelli si avvicinarono, mentre un Aro amichevole dava il benvenuto ai nostri ospiti.

≪Ben tornati, amici. Spero che le stanze siano state di vostro gradimento e che ci farete l’onore di essere ancora nostri ospiti in futuro≫.

Mi accorsi in quel momento, osservando il sorriso ampio di Aro, che probabilmente ero stata l’unica a conoscere un lato di lui agli altri oscuro. La sera precedente ero rimasta sorpresa nel vedere la sua maschera cadere e lasciare il posto a delle emozioni vere, sincere, reali. Mi lusingava e mi spaventava al tempo stesso. Avevo un debito nei suoi confronti e una gratitudine che pesava non poco sulla mia bilancia. Non avrei potuto rifiutare la sua proposta, sapevo che il mio posto era e sarebbe sempre stato qui, nel clan dei Volturi.

≪Erano ottime Aro. Vedo che con il tempo la cortesia della tua ospitalità non è cambiata≫.

≪Sai di essere sempre il benvenuto qui, amico mio. E come te la tua famiglia. Desidero ringraziare ancora tutti voi per aver accettato la mia proposta. Un’ultima cosa. Vi pregherei di non sottovalutare le sue straordinarie capacità. Come avete potuto notare nell’attuarle avvengono dei cambiamenti fisici che difficilmente passano inosservati...≫.

Lanciò uno sguardo d’intesa ai Cullen. Naturalmente si riferiva ai miei occhi e al cambio improvviso di colore, ma non capivo, dove volesse arrivare con le sue raccomandazioni.

≪Uno dei motivi che mi hanno spinto a farla rimanere nella rocca era la possibilità che potesse farci uscire allo scoperto. Per lei è naturale utilizzare le sue capacità e non sono certo che riesca a rimanere in incognito come tutti noi≫.

Mi ero allontanata dalla figura nerboruta di Felix e osservavo Aro irritata. Non mi aveva mai parlato di questa sua preoccupazione. Credeva che non sarei riuscita a controllarmi? Sentì il desiderio di sfogare la mia ira. La mia vista cambiò improvvisamente e il mio occhio destro, soggetto al cambiamento di colore, divenne una potente arma a mia disposizione. Vedevo tutto con assoluta chiarezza, un ottavo colore nascosto al mio occhio sinistro, persino la polvere posata sulle superfici. Ma soprattutto riuscivo a cogliere la volontà di ognuno dei quattordici presenti e la sostanza di ogni materia. Avrei potuto costringere la polvere a implodere su se stessa, oppure disintegrare una delle finestre quadrangolari in alto. Aro si voltò nella mia direzione, rivolgendomi un ampio sorriso, certo che avrebbe incontrato il mio sguardo fisso su di lui: ≪E’ di questo che parlavo≫, disse rivolto agli altri. I Cullen sorrisero ed io mi rabbuiai.

≪E’ giovane e ha una certa maestria nel combinare disastri di ogni genere≫.

Era ovvio, mi provocava per dare una dimostrazione ai Cullen. Davvero spiritoso. Tentai di calmare la mia irritazione e la mia vista ritornò umana e sfocata. E in quel frangente i miei occhi incontrarono il sorriso splendido di Edward Cullen. Anche lui rideva della mia presunta mancanza di autocontrollo. Il suo sorriso, quel sorriso sghembo che rendeva il suo volto ancor più magnifico, mi affascinava. Il ragazzo scosse la chioma scompigliata e bronzea e incontrò i miei occhi. Ormai mi sarei dovuta abituare al suo sguardo, ma riusciva ancora a sorprendermi come fosse la prima volta.

≪Per quanto possa essere immortale e in grado di difendersi, il suo corpo e le sue esigenze rimangono umane, perciò... la affido a voi≫.

≪Non temere Aro. Abbiamo tutto ciò che necessitano le sue esigenze umane, a casa. E’ per le apparenze, naturalmente≫.

≪Certo≫, acconsentì Aro.

≪Bene, allora. Direi che è ora di andare≫.

Alle sue parole la porta si spalancò, Demetri aspettava sull’uscio.

≪Mi sono preso il permesso di sostituire l’auto che avevate noleggiato con un mio regalo, che naturalmente non è l’unico. Vi spiegherà tutto il nostro Demetri≫.

Aro si avvicinò a Carlisle e gli strinse la mano, entrambi sorrisero. Quel muto gesto d’amicizia mostrava due persone totalmente diverse, due scelte di vita. Mentre osservavo i due uomini scambiarsi il loro reciproco affetto e la loro stima Athenodora mi si avvicinò. Mi strinse in un timido abbraccio e mi carezzò i capelli.

≪Sta attenta. Cerca di controllare il tuo caratteraccio se puoi e non stare in pena. Vedrai che presto sarai di nuovo con noi. Quando tutto sarà finito, riceverai una lettera e qualcuno verrà a prenderti all’aeroporto≫.

Annuì.

≪Penso che mi mancherai, sai≫, continuò, stringendo la mia mano.

≪Mi annoierò a morte fin quando non tornerai≫.

Sorrisi, non conosceva altro modo per dirmi che le sarei mancata, era già abbastanza.

≪Anche tu mi mancherai Athenodora≫.

≪Si be’, mancherai.... mancherai anche a me≫.

Entrambe ci voltammo e osservammo un imbarazzato Felix fingere indifferenza, sorrisi. Felix mi aveva sempre protetto, fin da quando ero piccola. Con un’audacia che non pensavo di avere mi alzai sulle punte e gli schioccai un bacio sulla guancia. Felix divenne ancor più immobile, se possibile. Lentamente girò la testa nella mia direzione, i suoi occhi rossi mi fissavano inespressivi. Era terribilmente buffo quando s’imbarazzava. Come risposta al mio riso divertito sbuffò, poi si aprì anche lui in un sorriso. O, quantomeno, nella sua maldestra imitazione. Improvvisamente sentì due blocchi freddi di ferro sollevarmi per le ascelle, come se pesassi un grammo anziché cinquantacinque chili.

≪Felix, per amor del cielo, mettimi giù≫.

≪Non ti conviene prenderti gioco di un vampiro ragazzina≫.

≪Un vampiro≫, sbuffai.

≪Tu non sei un vampiro Felix, sei un buffone≫.

Lui inarcò un sopracciglio e ringhiò in risposta. Un ringhio che si confondeva tra le risate e che di certo non avrebbe spaventato nessuno, neanche il peggiore dei fifoni. Felix perdeva ogni parvenza di malvagità quando stava al mio fianco. Le risa di Aro risuonarono nella stanza.

≪Per carità Felix, mettila giù. Mancherà a tutti, non soltanto a te≫.

Felix obbedì e mi poggiò a terra, poi sussurrò in tono minaccioso: ≪Quando torni, me la pagherai≫.

≪Certo, certo≫, lo canzonai, lisciando i miei abiti e le pieghe sui jeans.

Alzai gli occhi e incrociai lo sguardo di Aro, la sua mano protesa nella mia direzione. La afferrai e lui mi avvicinò al suo fianco. Mi guardò negli occhi per un attimo eterno e le sue uniche parole furono: ≪Quando sarai di nuovo al mio fianco, sarà per sempre≫.

Dopo di ché mi lasciò andare.

La sorpresa per quella dichiarazione m’immobilizzò, congelandomi. Un freddo innaturale e fin troppo familiare invase il mio corpo. Alzai lo sguardo in cerca di un appiglio che m’impedisse di crollare ancora come la sera precedente e lo trovai: due volti, tanto belli quanto sinceri, stupendi nella loro purezza diafana. Carlsile ed Esme, due sorrisi meravigliosi splendevano sui loro volti giovani, si abbracciavano teneramente. Alle loro spalle i giovani Cullen attendevano: ognuno di loro aveva assunto una posa sciolta e rassicurate. Poi accadde una cosa che non mi sarei mai e poi mai aspettata: Esme, dopo aver lanciato un veloce sguardo a Carlsile, lasciò il posto al suo fianco e si fece avanti. Con un affetto spontaneo e la naturalizza di chi risolverebbe ogni contrasto con un sorriso mi abbracciò. Le sue braccia fredde, ma allo stesso tempo capaci di emanare un calore infinito, mi strinsero a se con delicatezza, come fossi un oggetto fragilissimo. Poco le importava che, con quella vicinanza, avrei potuto facilmente porre fine alla sua vita eterna... L’abbraccio fu breve: le sue braccia scivolarono velocemente lontane da me.

≪Andiamo?≫, chiese.

Annuì e sorrisi a quella donna dagli occhi dolci. Il mio fu un sorriso spontaneo, sincero, che non nasceva dal desiderio di appagare qualcuno, ma da quello di esprimere la mia gioia e il mio affetto per quella donna sconosciuta. Con una delle braccia forti e bianche mi cinse le spalle e insieme ci avvicinammo alla sua famiglia. Il primo a venirci in contro fu Carlisle. Il suo portamento e il suo sguardo infondevano pace e sicurezza. Era impossibile non fidarsi di quell’uomo e della sua assoluta buona fede.

≪Sarà un piacere averti con noi, bambina≫, disse porgendomi la mano.

E si vedeva che era davvero un piacere per lui. Le sue parole non sembravano semplici convenevoli di circostanza, ma confessioni sincere; come la sua offerta, impossibile da ignorare. Timidamente poggiai la mia mano sulla sua. Carlisle la strinse, con un gesto dolce e deciso al tempo stesso. Anche lui, come la sua compagna, non mostrava il minimo timore. Nonostante le raccomandazioni superflue - a mio avviso - di Aro.

≪Sarà un piacere anche per me, signore≫.

Arrossì e lui sorrise,  in un modo che metteva subito a proprio agio. Esme mi sorrise nel tentativo di darmi coraggio. Scostai gli occhi dal suo volto e incontrai i sorrisi dei giovani Cullen. Il più ampio era quello della ragazza dai capelli corvini e la volontà troppo grande perché il suo piccolo corpo potesse contenerla. Il suo sorriso era contagioso. Sentì il desiderio di ricambiare la sua gioia e quella luce maliziosa che potevo leggere nei suoi occhi. Lo sguardo di chi è sempre certo delle proprie decisioni. Con un altro gesto repentino e inaspettato, a passo di danza mi si avvicinò e mi strinse in un abbraccio, decisamente meno impacciato rispetto a quello della donna. Mi strinse a se come fossimo amiche di vecchia data, che non si vedevano da troppo, troppo tempo.

≪E’ un piacere rivederti Bella≫, trillò, con la sua voce acuta da soprano.

Non avevo idea di cosa intendesse, ma il suo entusiasmo fanciullesco mi fece sorridere. Vidi il suo compagno scuotere la testa, divertito.

≪Alice, coraggio lasciala. La spaventi≫, ghignò il grosso vampiro dai capelli scuri.

≪Non dire stupidaggini Emmet. Io e Bella saremo grandi amiche≫, rispose al fratello, tirando fuori la sua piccola lingua e lanciandomi un sorriso raggiante.

Immediatamente valutai la possibilità che le sue parole avevano espresso. A parte Athenodora non avevo mai avuto un’amica. Sarebbe stato interessante poterla conoscere, constatai. Iniziammo a muoverci, avviandoci alla porta dove ci aspettava Demetri. Quando uscimmo, prima che le guardie chiudessero la porta, mi guardai alle spalle, lanciando un ultimo sguardo ai signori di Volterra.

Demetri era in testa allo stano corteo che stavamo conducendo, procedeva a passo spedito lungo il corridoio principale della rocca. Quando parlò fu per dare alcune informazioni.

≪Non usciremo dall’entrata principale, ma dalla porta a est. Lì c’è una macchina che vi aspetta. Spero che il regalo di Aro vi piaccia. Ha chiesto che venisse noleggiata un auto a vostro nome. Un modo per ringraziarvi per la vostra generosità. La battaglia e la caccia potrebbero durare diversi mesi. Lo saprete a tempo debito. Se per qualche motivo dovreste lasciare la vostra attuale abitazione vi pregiamo di comunicarlo a Volterra. Qualcuno riceverà la vostra informazione. Nessun’altro vampiro dovrà venire a sapere della sua presenza, la riservatezza è necessaria. Vi prego di tenere gli occhi aperti in caso qualcuno tentasse di avvicinarsi a lei≫.

A quelle parole, sentì la mano di Esme stringere forte la mia.

≪Vi assicuro che è in grado di proteggere se stessa, ma come vi è già stato fatto notare è umana≫.

Demetri mi lanciò uno sguardo molto eloquente. Sapevo bene come difendere me stessa. Mi era stato insegnato a combattere ancor prima che a camminare e lui era stato uno dei miei insegnanti.

≪Dubito che il gene si sia esteso fino al nuovo mondo, ma la prudenza non è mai troppa, in alcuni casi≫.

≪Certo Demetri; non ci saranno problemi≫, disse Carlisle.

Poi mi sorrise dolcemente: ≪Puoi rimanere con noi per tutto il tempo che sarà necessario piccola≫.

Sbattei le palpebre, confusa dal suo modo di fare. Perciò ritardai la mia risposta al suo sorriso. Era impossibile non rimanere affascinati da Carlisle. Incantata a osservare l’uomo, non mi accorsi immediatamente che avevamo svoltato l’angolo per imboccare il corridoio che portava all’uscita est. Era l’entrata più utilizzata dalle guardie e dai vampiri in visita. Dava su una strada deserta che conduceva all’uscita della città, lontana da abitazioni e tratti trafficati. Ben presto raggiungemmo la porta, più basa e larga rispetto alle altre. Demetri la spalancò per permetterci il passaggio e finalmente uscimmo sotto le prime luci di Volterra. Fu un’azione involontaria, automatica: il mio occhio destro perse il suo color nocciola, regalandomi una vista acuta, da predatore. Involontariamente mi ritrovai a scandagliare la zona, bisognosa di avere il controllo su ogni cosa. Non c’era nessuno nelle vicinanze, ma in lontananza potevo “udire” le aure di alcuni umani, né analizzai la forza. Nulla di speciale. Avvertì la mano di Demetri stringere delicatamente il mio braccio,  mi voltai nella sua direzione.

≪E’ il caso che tu sappia una cosa, di certo prima o poi e te ne accorgerai da sola. Quando avevi cinque anni abbiamo provato a farti uscire dalla rocca, ma non andò bene. Non riuscivi a impedire i cambiamenti del tuo corpo≫, disse indicando i miei occhi, ≪sentivi il bisogno di controllare la situazione, esattamente come un predatore, un vampiro. Fu uno sbaglio. Eri piccola e non riuscivi a controllarti. Adesso potresti farcela se ti impegnassi. Perciò cerca di nascondere la tue doti e di non utilizzare troppo le tue capacità. E’ necessario che tu finga di essere un normale essere umano≫.

Annuì. Sì, me n’ero accorta. Non pensavo che fosse così difficile, ma d’altronde non avevo mai dovuto controllarmi. Speravo ardentemente di non fallire. Demetri sorrise e mi lasciò il braccio, permettendomi di guardarmi intorno. La zona era silenziosa, tranne per il trillare di qualche uccellino appollaiato sugli alberi. L’uscita ci aveva condotto a un grande spiazzale che dava sulla strada. Ai lati il classico verde dei giardini della rocca. Ma a sorprendermi non fu la grandezza dello spiazzo o la bellezza del giardino perfettamente curato. Al centro del piazzale, di fronte a noi, troneggiava una limousine scura, lunga ed estremamente lussuosa.

≪Wow≫, esclamò Emmet, avvicinandosi alla vettura per osservarla meglio.

Poi, si chinò per sussurrare all’orecchio della sua compagna e aprirle la portiera: ≪Dovrò noleggiarne una per il nostro prossimo anniversario piccola. Sarebbe interessante poterla sperimentare...≫.

Rosalie rise della sua battuta allusiva. Intanto tutti si stavano avvicinando alla macchina per osservarla nel dettaglio. Carlisle si avvicinò per stringere la mano a Demetri: ≪Ringrazia Aro da parte mia, ma digli che non era necessario. Per noi è un piacere≫.

≪Lo farò≫, acconsentì il vampiro.

Carlisle annuì e mi si avvicinò, con un sorriso che illuminava il suo volto d’angelo. Mi fece cenno di precederlo e, seguiti da Demetri, ci avvicinammo all’auto. Carlsile si allontanò per aprire la portiera a Esme e farla accomodare. Demetri si avvicinò all’auto e aprì la mia portiera. Ancora una volta mi sentivo eccitata ed inquieta allo stesso tempo all’idea di dover entrare in una macchina. Era un’esperienza nuova per me. Sperai di non vomitare e di non soffrire il mal d’auto. Quando fui comoda all’interno dal mezzo, Demetri richiuse la portiera. I vetri erano talmente scuri che la figura del vampiro all’esterno divenne una macchia sfocata. Sospirai. La mano fredda di Esme mi carezzò i capelli, sorrisi per l’affetto di quel suo gesto. Mi guadai attorno. Il resto della famiglia, a parte Carlsile che si era messo al volante, ci sedeva intorno. L’auto partì e io sobbalzai. Esme mi carezzò ancora i capelli e abbassò il finestrino così che arrivasse un po’ d’aria. Non era poi così terribile. Sentivo la strada scivolare dolcemente sotto le ruote e il panorama era meraviglioso. Nonostante vedere gli alberi e le case sfrecciarci accanto incutesse una certa soggezione, il vento che mi scompigliava i capelli era un sollievo. Sorrisi, me la cavavo molto meglio di quanto credessi. Mi voltai, distogliendo lo sguardo dalla strada. Emmet e Rosalie discutevano tra loro. Alice e Edward si guardavano intensamente. Lei saltellava sul posto al mio fianco, incapace di stare ferma e lui sorrideva scuotendo la testa. Poi alzò gli occhi e incrociò il mio sguardo. Fu un istante: mi sorrise e i battiti del mio cuore accelerarono. Ritornai con lo sguardo fuori dal finestrino. Era una situazione strana, quasi inverosimile e... divertente. Era talmente strana da risultare esilarante. L’imbarazzo stava via, via lasciando il posto alla serenità e alla sicurezza. Nell’auto aleggiava una tranquillità salutare per me. Ciò che mi aspettava al mio ritorno mi avrebbe privato di tutte le forze, fisiche e psicologiche, perciò avrei approfittato del tempo che mi rimaneva. Mi fidavo dei Cullen, ero certa che mi avrebbero tenuta al sicuro, con loro potevo abbassare la guardia. In fondo, avevo capito fin da subito che erano diversi dal resto della loro specie. Erano diversi da chiunque altro avessi mai conosciuto prima di allora. Anche adesso, mentre li osservavo con la coda dell’occhio ridere e scherzare uniti come una vera famiglia, le loro differenze mi erano chiare. I Cullen erano essere umani e, ancora, migliori della maggior parte di essi. Erano buoni. Insieme a loro mi sentivo bene. Forte della loro stessa forza, che li differenziava da chiunque altro. I miei occhi inevitabilmente cercarono il suo volto. Forse avrei avuto l’occasione di ampliare la mia conoscenza del ragazzo. Parlarci e capire se le mie deduzioni erano esatte. Il mio occhio destro cambiò colore e la mia vista ritornò, per metà, acuta e puntigliosa. Non era mai stato un fastidio per me e non avevo mai dovuto chiederlo, semplicemente succedeva. Il mio corpo avvertiva il mio bisogno ed esaudiva il mio desiderio. Adesso tutto mi era chiaro e limpido. Solitamente una forza di volontà diminuiva quando l’analizzavo con la mia vista migliore, ma con loro, con lui le cose erano diverse. La sua forza era così pura e piena di energia, luminosa. E la sua luce si irradiava agli altri, come una conseguenza. Non riuscivo a ignorarlo o a fare a meno di osservarlo e analizzarlo. Adesso, così vicini l’uno all’altro, sentivo la sua forza divenire la mia, come un manto di luce mi avvolgeva e mi dava sicurezza. Era ridicolo, ma mi sentivo protetta, al sicuro. Come se nulla potesse penetrare la sua barriera, la sua luce. La stessa che mi avvolgeva e mi cullava dolcemente. L’unico luogo in tutto il mondo dove mi sentissi davvero in pace: al suo fianco. Ero talmente assorta nei miei pensieri che non mi accorsi immediatamente del suo sguardo che scrutava il mio volto. Osservava i miei occhi, la mia iride rossa con concentrazione, come se volesse leggera la mia anima. Poteva farlo? Distolsi lo sguardo e fui colpita dalla consapevolezza che al di fuori del nostro mezzo sicuro ci fosse qualcuno. Eravamo arrivati in una zona affollata: Firenze. Voltai ancora una volta il mio sguardo all’esterno. Con la mia vista acuta mi persi nella bellezza delle città al mattino. Le strade erano già affollate. Le persone entravano nei bar e nei negozi. Alcuni tenevano in mano buste della spesa, altri sacchetti con le marche dei negozi d’abbigliamento. Altri avevano tutta l’aria di essere dei turisti, nonostante fossimo a Marzo. Mentre l’auto scorreva cambiavano i paesaggi. C’erano chiese e monumenti antichi e perfettamente conservati. Splendidi. Mentre l’auto passava davanti a una chiesa in mattoni, impegnata a osservare i piccioni, incrociai lo sguardo di un uomo anziano che passeggiava con la moglie. Strabuzzò gli occhi e si fermò di colpo, facendo sobbalzare la donna. Era rimasto a bocca spalancata per lo stupore. Reclinai la testa di lato, non capivo.

Avvenne tutto molto velocemente: due mani fredde, la cui forza era irresistibile, mi costrinsero a voltare il capo e a distogliere lo sguardo dall’uomo. E il quel momento i miei occhi incontrarono quelli dolci, caldi e di un oro intenso e profondo di Edward. Stringeva il mio volto tra le sue mani, con delicatezza e decisione. Spalancai gli occhi e socchiusi le labbra, sorpresa. Fu immediato: la sua luce, la sua forza mi avvolse, come fossimo una cosa sola. Il suo sguardo incrociò il mio per un istante, un battito di ciglia, un attimo eterno, dopodiché le sue mani abbandonarono il mio volto e l’incantesimo si spezzò. La nostra bolla scoppiò e io mi sentì vuota. Come qualcuno che era costretto a lasciare la propria cosa... il suono della sua voce mi riscosse dai miei pensieri: ≪Era per gli occhi. Forse non te ne sei accorta, ma loro rischiavano di spaventarsi≫.

Mi ci volle un secondo in più di quanto mi sarebbe occorso se fossi stata nel pieno delle mie facoltà per capire di cosa stava parlando. Adesso l’espressione dell’uomo era chiara e comprensibile. Aveva visto il mio sguardo, il rosso vivo del mio occhio destro e si era spaventato. Non avevo mai visto qualcuno temere il mio sguardo e non mi ero mai dovuta preoccupare di nasconderlo. Era più difficile di quanto pensassi. Quello che era normale per me era spaventoso per gli esseri umani; avrei dovuto prestare più attenzione.

≪Oh≫, fu la mia brillante risposta.

Chiusi gli occhi e quando li riaprì la mia vista ritornò sfocata e umana. Esme si sporse per chiudere il finestrino e sorridermi.

≪Non preoccuparti piccola, non è nulla di grave. Capiamo che per te è difficile≫.

Annuì, rabbuiandomi.

≪Non posso certo dagli torno, quello che fai è inquietante≫, commentò Emmet nel tentativo, ne ero certa, di strapparmi un sorriso.

≪Parli proprio tu≫, lo rimbeccò Alice sporgendosi per dargli una gomitata che lo centrò in pieno.

Mi sfuggì un sorriso.

≪Ahi≫, si lamentò il vampiro.

≪Ti ho toccato appena≫, si scusò lei.

≪Non litigate≫, intervenne Esme.

≪Avrete anche l’eternità davanti≫, continuò, ≪ma rimarrete per sempre dei bambini≫.

Il battibecco andò avanti ancora per alcuni minuti. Sorridendo, discostai la mia attenzione dai loro scherzi. Ancora una volta mi ritrovai a fissare Edward. Era buio in volto, osservava cupo il finestrino chiuso. Era stupido crederlo, ma mi chiesi ugualmente se, con la mia vicinanza, avesse avvertito anche lui la stessa sensazione di pace e sicurezza che mi aveva avvolto come un manto. Quando le sue mani avevano toccato la mia pelle era stato scosso dalla stessa scarica elettrica che mi aveva fatta sobbalzare? Non sapevo dare una spiegazione alla sua improvvisa tristezza. Poggiai la testa al finestrino e picchiettai con l’indice sul vetro scuro.

≪Siamo arrivati≫.

La voce di Carlisle interruppe il litigio e nell’auto calò il silenzio. D’un tratto la macchina si fermò e Esme mi carezzò il braccio, incitandomi a scendere. Aprì lo sportello dell’auto e mi guardai attorno. Mi sentì immediatamente spezzata in due: da una parte c’era il mio desiderio irrazionale di voler scandagliare la zona e accertarmi che non ci fossero pericoli, né volontà interessanti e potenzialmente pericolose. Dall’altra c’era la parte di me razionale, quella che poteva sopportare di vedere le cose in modo umano e sfocato. Quella che poteva sopportare di analizzare soltanto le volontà nel raggio dei cento metri e non oltre. E il peso di questi due desideri così contrastanti tra loro mi schiacciava. Era un conflitto del tutto nuovo per me e non sapevo come gestirlo. Quando non potevo controllare la situazioni mi sentivo tesa, indifesa, scoperta. Bastava un nulla per farmi scattare. All’improvviso avvertì una presenza al mio fianco, mi voltai di scatto e i miei sforzi di mantenere il controllo fallirono. Mi sentì immediatamente soddisfatta nel poter vedere nuovamente le cose con la mia vista migliore. Ero felice di avere il controllo, mi sentì immediatamente meglio e mi soffermai sulla presenza al mio fianco.

≪Tranquilla, sono io. Non volevo spaventarti≫.

≪Scusami, Alice≫.

≪Di nulla≫.

≪E’ un po’ difficile non controllare le cose. Mi sento...≫.

≪Scoperta≫, intervenne una voce nuova.

≪Sì≫, risposi a Jasper che si era avvicinato e adesso affiancava Alice.

≪Sei come un giovane neonato≫.

≪E’ un giusto paragone≫, mi complimentai.

≪Ma la cosa non mi fa piacere. Non è mai stato un problema prima. E’ più difficile di quanto pensassi≫.

≪Ti ci abituerai≫, disse e mi sorrise.

La cicatrice sulla sua mascella si tese, per quanto spaventoso, rimaneva bellissimo, come tutti loro.

≪Ti aiuterei volentieri, ma come ci hanno già spiegato i nostri poteri non hanno effetto su di te≫.

≪Ti ringrazio≫.

≪Sei la prima persona che incontro di cui non riesco a vedere il futuro≫, intervenne Alice, un broncio sul suo volto adorabile.

≪Mi dispiace≫, sussurrai.

≪Come se fosse colpa tua≫, disse alzando gli occhi al cielo e ritornando di buon umore.

Nel mentre la famiglia si era avvicinata e ci circondava. Emmet sembrava una ridicola guardia del corpo, guardinga e pericolosa. Alice mi cinse un braccio e mi sorrise.

≪Andiamo, penseremo noi a te. Vedrai, ci divertiremo. Sapevo fin dall’inizio che saremmo diventate grandi amiche≫

≪Dall’inizio?≫.

Annuì pensierosa: ≪Esattamente sedici anni fa≫.

≪Dovrei sapere di che parli?≫, chiesi, lanciando un’occhiata a Jasper. I Cullen risero in coro soprano. Si imbronciò.

≪Oh, non ricordi?≫, chiese avvilita.

≪Alice, aveva soltanto due anni. Non puoi pretendere che si ricordi di te≫, la ammonì Rosalie. Insofferente alle parole di Rosalie, continuava a sporgere in fuori il labbro inferiore, con un’espressione talmente triste da farmi desiderare di confortarla in qualche modo.

≪Magari se mi rinfreschi la memoria, ricordo≫, le dissi nel tentativo di tirarla su.

≪Era la prima Agorà a cui partecipavamo io e Jasper. Ci siamo presentati ad Aro e lui ha fatto a Jasper una colpa per aver partecipato alle guerre del sud≫. Le sue parole stuzzicarono i cassetti della memoria...

≪Stavano per ucciderci, ma tu mi sei saltata addosso e mi hai abbracciata. Lasciando tutti sbalorditi≫.

≪Certo, potevi uccidermi ma mi hai restituita ad Aro. A vostro rischio e pericolo≫, le dissi.

≪Perciò ricordi≫, esultò cingendomi le spalle per stringermi a se.

≪Lo sapevo. E’ stato incosciente da parte tua, ma carino. E io dal canto mio ho fatto solo quello che farebbe un’amica≫, trillò, abbagliandomi con un meraviglioso sorriso. Non ricordavo l’episodio in se, ma ciò che mi aveva raccontato Athenodora. Comunque non volevo offenderla, perciò non dissi nulla.

Mi limitai a sorriderle, come se fossimo... amiche.

Fui immediatamente certa del fatto che ci trovassimo all’aeroporto. C’erano voci e presenze. Incuriosita mi guardai attorno. Una parte della mia mente era costantemente concentrata sul mio corpo, l’altra osservava curiosa ciò le era ignoto. L’aeroporto era affollato. C’erano altoparlanti che annunciavano i voli, gente che correva, o faceva il Check-in. C’erano lacrime, abbracci e bimbi che piangevano. Mi soffermai spesso a osservare i volti degli umani, ben attenta ai miei occhi. Guardavo la loro imperfezione. Il colore roseo della loro pelle e le sfumature dei loro occhi. Li confrontavo con me. La mia bellezza era superiore alla media, anche se non paragonabile a quella di un vampiro. Ero conscia del fascino che esercitavo, maggiore di quello di un qualsiasi umano. La mia capacità di controllare le volontà altrui ne era una prova. Chissà come doveva essere la loro vita? Senza mostri assetati di sangue e lotte per il potere. Come potevano vivere senza utilizzare alcun tipo di potere, ignari di ciò che il mondo era i realtà. Come potevano essere... normali? Rabbrividì. Era strano dover stare in mezzo alla gente. Sentivo una certa agitazione. Osservai i Cullen, composti nel loro ruolo, quasi sorpresa di non intravedere alcuna traccia di desiderio nei loro occhi ambrati. Mi strinsi ancor di più a Alice, piena d’angoscia. Lei mi carezzò il braccio.

≪Mi sembri agitata. Non sarò una crisi di panico?≫.

L’angoscia cresceva e non poter controllare la situazione rendeva tutto ancor più difficile.

≪Bella mi senti?≫.

Scossi la testa, tentando di riordinare i miei pensieri.

≪Sei pallida≫.

Potevo farcela, potevo farcela, mi ripetevo come un mantra. Vivevo con i Volturi, cos’era qualche umano in confronto. Sollevai il capo, sentendo i loro occhi addosso, e incrociai lo sguardo di Edward. Sembrava preoccupato. Quando incrociò i miei occhi la nostra bolla mi avvolse, dandomi ancora una sensazione di sicurezza e familiarità e il panico iniziò a svanire, lentamente.

≪Più del solito vorrai dire≫, canzonai Alice per alleggerire la tensione, senza però scostare lo sguardo da Edward.

La ragazza tirò un sospiro di sollievo e lui si rilassò, conscio che il peggio era ormai passato.

≪E’ normale che tu sia agitata a stare in mezzo alla folla. Non ci sei abituata, vedrai che sono innocui≫. Mi rassicurò Carlisle.

≪Più di Jane e Alec di sicuro≫, cantilenò Alice..

Le sorrisi: ≪Puoi dirlo≫.

Avevamo fatto il Check-in e mostrato i biglietti e i passaporti. Per tutto il tempo non avevo fatto altro che sorridere e sgranare gli occhi. Ogni cosa era nuova per me, anche se agli altri appariva semplice e monotona. Io mi stavo divertendo come una bambina. Superati i primi momenti d’angoscia e agitazione, avevo capito che non era affatto male. Alice mi sorvegliava e il resto dei Cullen mi lanciava occhiate furtive, ma io non li badavo. Anche il più piccolo dettaglio era in grado di distrarmi e divertirmi. E adesso ci trovavamo all’esterno, l’aereo troneggiava imponente sulla pista. Era molto più grande di quanto appariva in TV. Era mostruosamente enorme.

≪Te la senti?≫, mi chiese Alice all’orecchio.

Per tutta risposta sussurrai: ≪Più grande è, più rumore fa quando cade≫.

Il suono argentino della sua risata si perse nell’aria.

≪Pensi di soffrire il mal d’aria≫, chiese Carlisle.

≪Non lo so≫, risposi sincera.

≪Ma non penso≫, continuai.

≪Cento dollari che vomita≫, mi canzonò Emmet, dando un gomitata d’intesa a Jasper.

Gli lanciai un’occhiataccia e lui ghignò.

≪Lo scopriremo≫, sospirò Carlisle dandomi un buffetto sulla testa.

Salimmo sull’aereo. Avevo sempre desiderato poter volare. Sarebbe stato divertente. E il viaggio da Firenze a Roma durava poco. Nel peggiore dei casi non avrei dovuto sopportare il tormento a lungo. Per il viaggio ci aspettavano dei comodi posti in prima classe. Alice si sedette al mio fianco, ai nostri lati c’erano Edward e Jasper. Gli altri sedevano dietro di noi. La prima classe era deserta, sospettavo ci fosse lo zampino di Aro e Athenodora. Quando l’aereo decollò seppi che Emmet avrebbe perso la scommessa. Non soffrivo né di vertigini, né di mal d’aria. Era eccitante. E il panorama dall’oblò era magnifico. Quando Emmet si avvicinò per chiedermi come mi sentissi, risposi con un sorriso abbagliante. E lui si ritirò sbuffando. Era troppo buffo. La sua stazza mi ricordava terribilmente Felix... in quel momento mi resi conto di non aver pensare a Volterra neanche per un istante mentre stavo con i Cullen. Sapevo che vivere con loro sarebbe stata una distrazione efficace. Avrei lasciato il futuro al suo posto, ancora lì da venire, cioè.

≪Alice, come funzionano le tue visioni?≫.

Lei si voltò nella mia direzione, con un punto interrogativo nello sguardo.

≪Aro mi ha messo al corrente delle vostre doti≫, spiegai.

≪Vedo le conseguenze delle decisioni. Se una decisione cambia, muta anche la visione. Con il tempo è più facile. Perciò posso prevedere se ci sarà il sole, il ché è molto utile≫.

≪Capisco≫.

Era chiaro il perché della luce maliziosa negli occhi di Aro mentre parlava di lei, Edward e Jasper.

≪Ma adesso dimmi qualcosa di te. In fondo, non sappiamo granché≫.

≪Cosa vuoi sapere?≫.

≪Uhm, dove sei nata? Hai sempre vissuto con i Volturi?≫.

≪No, Demetri mi ha trovato in un orfanotrofio che condividevo con gli umani. Avevo un anno quando mi hanno portato alla Rocca≫.

≪E tu? Da quanto tempo sei un vampiro?≫.

≪Non ricordo la trasformazione, né chi sia il mio creatore o perché l’abbia fatto. So soltanto che la prima cosa che vidi, fu il volto di Jasper≫.

Sorrise beata al ricordo, lanciando uno sguardo al suo innamorato. Quando si riprese, chiese: ≪Che cosa fa un prescelto?≫.  

≪Ti assicuro che fa un mucchio di cose. Alcune anche “inquietanti”≫.

Le dissi mimando le virgolette e riutilizzando le parole che aveva usato poco prima Emmet.

≪Ad esempio? Cosa succede quando i tuoi occhi cambiano colore?≫.

L’intera famiglia stava ascoltando la nostra conversazione, ma non avevo problemi a parlare con loro. Non era saggio svelare le proprie mosse, ma con i Cullen mi sentivo al sicuro.

≪La mia vista migliora. Suppongo che sia come la vostra, in quei casi. Ma non è soltanto questo. I riesco a controllare le volontà altrui. E’ un po’ come quello che fa Jasper≫.

Dissi, lanciando uno sguardo al ragazzo che sembrava avere occhi soltanto per Alice.

≪Ma di gran lunga più potente, immagino≫, ripose lui.

 Annuì.

≪E quando la mia vista cambia, riesco a vedere le volontà altrui con maggiore chiarezza. E a quel punto e anche più facile controllarle≫.

≪Lo fai anche con gli oggetti?≫, chiese curiosa.

Annuì.

≪Dovremmo combattere≫.

Tutti ci voltammo in direzione di Emmet.

≪Che c’è?≫, chiese lui.

≪Emmet, è umana≫, lo ammonì Esme.

≪Non proprio, l’ha detto lei stessa≫.

Rosalie gli diede un buffetto sulla tesa, forte a giudicare dall’espressione di lui.

≪Lascia stare lo scimmione, continua≫.

Mi rabbuiai, non era il caso di parlarle del resto.

≪C’è qualcosa che non puoi dire?≫.

≪E più saggio non saperlo. E’ un argomento... delicato≫.

≪Capisco≫.

Era chiaro che morisse dalla voglia di saperlo, ma non insistette. Cambiò discorso.

Il viaggio da Roma ad Atlanta sarebbe stato più lungo, ma, a differenza della prima volta, non vedevo l’ora di prendere l’aereo.

Anche per questo volo ci erano stati riservati dei posti in prima classe, rigorosamente deserta. Jasper guardava Alice con aria sognante, così io le dissi: ≪Siediti con lui. Gli manchi≫.

Lei mi sorrise e mi diedi un bacio sulla guancia, prima di fiondarsi al fianco di Jasper.

Carlisle ed Esme sedevano nei primi posti, abbracciati teneramente, impegnati a seguire un vecchio film che stavano trasmettendo. Rosalie ed Emmet si guardavano negli occhi, seduti nei posti più periferici della prima classe. Alice e Jasper ridevano sottovoce, in disparte, come le altre coppiette. Mi accomodai in un posto centrale, dal lato dell’oblò, lontana dai Cullen, in modo da concedere loro un po’ di privacy e riflette sulla giornata più strana che avessi mai vissuto. Intenta a osservare le nuvole e il cielo limpido fuori dall’oblò, sorridendo di tutte le nuove scoperte che questa strana giornata aveva portato con se, non mi accorsi immediatamente di una presenza che si stava avvicinando. Avrei riconosciuto la sua aura tra mille. Era diventata familiare, benché la conoscessi da pochi giorni. E se la sua presenza non fosse stata abbastanza, lo avrei riconosciuto dalle emozioni che la sua vicinanza scatenò al mio cuore e al mio corpo. Arrossì violentemente e i mie battiti aumentarono. E, ancora, avvertì quella sensazione di sicurezza e pace che soltanto la sua vicinanza poteva regalarmi. Voltai il capo e lo vidi. Aggraziato come solo un vampiro sapeva essere, Edward aveva occupato il posto vicino all’oblò, sul sedile di fianco al mio. Due posti ci dividevano, ma riuscivo ugualmente a sentirmi parte della nostra bolla. Sentendo probabilmente il mio sguardo addosso si voltò nella mia direzione. La mia vista cambiò e potei ammirare il suo volto d’angelo in tutta la sua bellezza. Come aveva fatto già altre volte mi sorrise e il mio cuore impazzì. Proprio non riuscivo ad abituarmi alla sua bellezza. Invece di abbassare lo sguardo come facevo ogni volta, insofferente alle mie gote rosse e al battito accelerato del mio cuore, ricambiai il suo sorriso; padrona del mio stato d’animo, almeno apparentemente. Non potevo lasciarmi scombussolare così da lui, dai suoi sorrisi o dalla sua bellezza mozza fiato, alla quale era impossibile abituarsi. Avrei dovuto viverci insieme per un bel po’ di mesi e sarebbe stato imbarazzante doverlo ignorare. Persi nei rispettivi sguardi sobbalzammo all’unisono quando udimmo un gridolino acuto spezzare l’atmosfera di voci soffuse. Erano Rosalie ed Alice, braccate da Emmet e Jasper. Carlisle ed Esme ridevano. Io sospirai e sorridendo mi voltai in direzione di Edward. Anche lui rideva per il gioco dei suoi fratelli, scuotendo la testa. Quando incontrò ancora i miei occhi, feci spallucce. Lui ricambiò con un cenno del capo ai suoi fratelli e una scrollata dei suoi capelli bronzei. Mi fece ridere. Era ovvio che anche lui si fosse allontanato per lasciare loro un po’ di privacy, essendo l’unico membro della famiglia a non avere una compagna. Ancora una volta mi chiesi il perché, ritornando seria a scrutare il suo volto. Possibile che le persone fossero così cieche. Non vedevano la bellezza oltre la maschera di diafana perfezione che aveva costruito sul suo volto? Ero più che certa che, anche se non avessi avuto questo mio dono particolare, non sarei stata cieca davanti a lui. Ritornai con lo sguardo all’esterno e la stanchezza della notte insonne e dell’alzataccia mattutina si fecero sentire all’improvviso e mi resi conto di essere a pezzi. Non so quando o come riuscì ad addormentarmi - per me era difficile dormire in un ambiente estraneo, con presenze nuove al mio fianco - ma bastò l’entrata silenziosa della hostess per svegliarmi. Grazie al cielo non mi stava guardando, avrebbe certamente notato i miei occhi. Non era un bene farmi svegliare di soprassalto. Notai il silenzioso ammonimento di Carlisle, le risa trattenute di Emmet e Jasper e il sorriso di Edward - sul quale mi soffermai più del dovuto - davanti alla mia espressione. In compenso la hostess mi portò qualcosa da mangiare. Non dormì per il resto del viaggio.

Il nostro ultimo volo, che ci avrebbe condotti all’aeroporto di Seattle, cancellò ogni tracia della mia stanchezza. Riuscì a parlare soprattutto con Alice e Carlisle. Era facile cedere al fascino e alla bontà di Carlisle Cullen. Mi raccontò la sua storia e del periodo che aveva trascorso a Volterra. Nella sua vita non c’erano altro che sacrifici e rinunce. Non aveva mai assaggiato sangue umano, e non perché avesse nulla di cui rimproverarsi, semplicemente, aveva deciso di non adattarsi alla sua sorte. Sapeva ciò che voleva essere: un medico. Perché non c’era nulla che lo soddisfacesse più che salvare vite umane, soprattutto quando la sua natura poteva essergli d’aiuto e non d’impaccio. Seppi in quel momento che il volto di Carlisle era quello che immaginavo indosso a mio padre. Non c’era da meravigliarsi se la sua volontà era così forte.

Quando finalmente giungemmo a Seattle era ormai calata la sera. Ero riuscita persino a vedere il sole tramontare dietro i tetti della città. Nonostante avessi scoperto una passione che non pensavo di avere per i voli oltreoceano, ero felice di essere finalmente scesa dall’aereo. Nel parcheggio dell’aeroporto ci attendevano tre auto: una decappottabile rossa, una Jeep enorme e una Volvo argentata. Strabuzzai gli occhi davanti all’auto rossa fiammante. Dovevo ammettere che aveva il suo fascino. “Carina”, mormorai. Rosalie mi lanciò uno sguardo d’intesa e un sorriso meraviglioso. Era davvero bellissima. Non avevo mai incontrato una vampira che fosse minimamente paragonabile ad Athenodora, ma lei reggeva degnamente il confronto. Mentre Alice mi prendeva per mano e mi trascinava alla Volvo, Rosalie salì al posto di guida, affiancata da Esme. Carlisle si sedette alla guida della Jeep, seguito da Jasper. Emmet si accomodò dietro, richiudendosi lo sportello alle spalle. Sembrò salirci senza grandi difficoltà, fossi stata io avrei avuto certamente bisogno di qualcuno che mi prendesse in braccio. Io ed Alice ci accomodammo nella Volvo, con Edward al volante. L’auto era confortevole, nonostante fosse ghiacciata. Avvertivo la morbidezza dei sedili in pelle e il profumo dolce dei membri del clan dei Cullen. Ma soprattutto sentivo il profumo di Edward, amplificato rispetto agli altri. Un profumo inconfondibile, che non somigliava a nient’altro che già esistesse in natura. Un profumo in grado di attirare le prede più sconsiderate. Rabbrividì per il freddo. Vidi Edward lanciarmi un occhiata dallo specchietto retrovisore. Dopodiché si chinò e accese i riscaldamenti, rendendo l’abitacolo caldo e assolutamente confortevole. Preferivo decisamente la Volvo alla limousine. Il viaggio fu silenzioso, posai la testa sulla spalla di Alice e mi lasciai cullare dal buio e dal suo dolce profumo. Mi ritrovai spesso a fissare Edward dallo specchietto, fingendo indifferenza. Guidare non gli costava alcuno sforzo e nonostante non conoscesse il significato di limite di velocità, l’auto non deviava di un solo millimetro. Sapevo che non si stava concentrando sulla guida, la sua mente era altrove, come la mia. Prima di quanto immaginassi, il paesaggio cambiò. Mi allontanai da Alice per guardare fuori dal finestrino. Nonostante il buio, grazie alla mia vista migliore e ai lampioni che illuminavano la strada quasi deserta, riuscì a scorgere un cartello con su scritto: città di Forks, benvenuti. La cittadina era delimitata da una fitta foresta che brulicava di vita. C’erano tronchi d’albero e muschio dappertutto. La luna era coperta da una coltre spessa di nubi, che ne celavano lo splendore. Non riuscivo ancora a scorgere delle abitazione, ma, inaspettatamente, virammo lungo un sentiero sterrato. Mi sentì stupida. Era ovvio che i Cullen abitassero in una zona isolata, il più lontano possibile dalle abitazione e da occhi indiscreti. Memorizzai il sentiero, sarebbe stato facile perdersi. Mentre osservavo il paesaggio, iniziai a notare le differenze con la calda, assolata, gialla Volterra. Qua sembrava tutto troppo scuro. Era tutto verde viscido, di un marrone cupo e angosciante. Degna dimora di vampiri, pensai. Eppure, mentre mi guardavo attorno, riuscì a intravedere, al di sotto della maschera cupa e grigia di quella cittadina, tutto il suo splendore. Quel luogo sapeva di qualcosa di nuovo, di libertà. Poi, d’un tratto, l’auto si arrestò e noi scendemmo. Avevo vissuto nella rocca per diciassette anni e l’avevo sempre trovata affascinante. Lo stile medievale e l’enormità degli spazi, la vista e la storia che celava erano meravigliosi. Eppure, ciò che adesso avevo di fronte non era semplicemente affascinante, era bellissimo. Una villa a tre piani, piena di finestre e portefinestre. Ariosa. Qualcuno aveva accesso le luci, valorizzandone l’enormità.

≪Ti piace?≫, chiese Alice.

≪Me lo chiedi, è bellissima?≫.

≪Non è palazzo vecchio≫, spiegò.

≪Io la trovo meravigliosa≫.

≪Ne sono contenta, perché sarà la tua casa per i prossimi mesi. Lo sarà ogni volta che ne avrai bisogno≫.

Le sorrisi ed entrammo in casa. Il resto dei Cullen ci attendeva, uniti come una famiglia, sorrisi meravigliosi splendevano sui loro volti bellissimi e luminosi che si addicevano perfettamente alla chiarezza degli interni. Come aveva già fatto una volta, Esme mi venne incontro, seguita da Carlisle. La vampira mi abbracciò, ricambia la sua stretta.

≪Benvenuta a casa≫.

Le sue parole mi riempirono il cuore di gioia. Avrei potuto far parte del clan dei Cullen, anche se soltanto per pochi mesi.

≪Grazie Esme≫, sussurrai.

Il suo dolce sorriso riusciva sempre a scaldarmi il cuore.

≪Spero che tu possa trovarti bene nel tempo che trascorrerai con noi, piccola≫.

≪Certo, Carlisle. Grazie, a tutti voi per avermi accolto. Vi ringrazio≫.

≪E’un piacere per noi averti qua≫, mi rassicurò Esme.

≪Adesso saliamo, su! Ti mostro la tua stanza, sarai stanca. Purtroppo non sapevamo della proposta di Aro. Perciò non abbiamo preparato la casa, ma rimedieremo≫.

≪Non fa niente, davvero≫.

Esme mi accompagnò su per tre rampe di scale, indicandomi i proprietari delle varie stanze e il bagno, per poi fermarsi a una porta bianca, chiusa. Era nella zona più periferica della casa. Dava su un corridoio con altre stanze. Esme spalancò la porta e i miei occhi ne scrutarono l’interno. La camera era di medie dimensioni. Più piccola rispetto a quella che avevo a Palazzo Priori, ma dall’aria confortevole. Il pavimento era in legno e le pareti di un bianco immacolato. Nella stanza c’era una finestra che dava sul fiume, una scrivania, una libreria vuota, un televisore al plasma, un lettore CD dall’aria costosa e un divano bianco. Esme entrò sorridendo e indicò la stanza come una valletta a premi.

≪Non c’è un letto, ma rimedieremo domani≫.

≪Davvero Emse, posso dormire sul divano≫.

≪Sciocchezze, dormirai in un letto, da domani≫.

Come potevo resistere alle sue fossette, era impossibile.

≪Ok≫, sussurrai.

≪Io vado. Ti lascio disfare la valigia e riposare. Se hai bisogno del bagno e qui, accanto alla porta. Ognuno ha il suo bagno in casa, perciò è giusto che ce l’abbia anche tu. Ci vediamo domani mattina≫.

Annuì.

Esme si avvicinò e mi posò un bacio sulla fronte, un gesto gentile, materno.

≪Buonanotte, piccola. Fai bei sogni, ci siamo noi a proteggerti≫.

Rimasi immobile, ancora una volta basita dall’intensità del suo affetto e da un suo gesto. Qualcosa che nessuno aveva mai fatto per me. Sorridendo, uscì, richiudendosi la porta alle spalle dolcemente. Sola nella stanza mi avvicinai al divano. Mi sedetti, scuotendo la testa e guardandomi intorno. Carezzai la pelle morbida del divano bianco. Lentamente mi alzai e mi portai alla finestra, aprendola. Chiusi gli occhi e inspirai gli odori della notte. La luna, coperta dalle nuvole, infrangeva i suoi raggi sul fiume cristallino. Era uno spettacolo meraviglioso, impagabile. Sospirai e ritornai con lo sguardo alla stanza, passandomi una mano tra i capelli annodati e sudaticci. Aprì la valigia e presi il mio set da bagno e uno dei miei pigiami: un baby-doll in seta blu. Uscì silenziosamente ed entrai in bagno. Era davvero vicino: una comodità in più. Chiusi la porta e andai in doccia. Seppure bello ed eccitante, un’intera giornata in aereo era massacrante. Quando finì in bagno ritornai nella stanza. Qualcuno aveva portato delle coperte e un cuscino. Sorrisi. Non avevo ancora sonno, perciò decisi di disfare le valigie. Nel farlo soltanto le mie mani erano occupate, la mia mente era libera di pensare e ricordare. Ogni cosa era indelebile nella mia mente. Ogni emozione, ogni scoperta aveva il suo posto nelle novità. Potevo identificare e distingue diverse delle sensazioni provate, ma alcune mi erano del tutto ignote. La sensazione provata tra le braccia di Esme, con la compagnia di Alice e soprattutto... quello provato con la vicinanza di Edward. Il tocco della sua mano, i suoi sorrisi, quella risata adorabile. Scossi la testa per riordinare i pensieri e, dopo aver sistemato gli ultimi vestiti nell’armadio e nella cassettiera, mi infilai sotto le lenzuola. Sarebbe stato strano dormire su un letto - divano - così piccolo, di dimensioni decisamente minori rispetto a quello della mia vecchia camera. Eppure era comodo, molto più di quanto immaginassi. Morbido, confortevole. Chiusi gli occhi e attesi che il sonno mi cogliesse. In quel momento, tra sogno e realtà, capì che, per la prima volta nella mia vita, non sapevo cosa il domani mi riservasse.

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Capitolo 5
*** Libertà ***


Non mi dilungo troppo, vi lascio subito al capitolo, vorrei soltanto ringraziare chi segue la storia e dire a chi a lasciato una straordinaria recensione... oltre che naturalmente a tutte voi, che nello scrivere la storia il mio intento era quello di far immergere il lettore in un mondo in cui i Cullen, seppur molto umanizzati come nel libro originale, sono circondati da un alone di fintasia e magia, perché, ahimè, è quello il mondo cui appartengono. Non voglio am anticiparvi nulla, solo ci sarà un minuscolo indizio x il futuro... Vi sfido a trovarlo:-P spero solo di non essere stata frivola, poco magica e coinvolgente nel descrivere la libertà... Ps recensite in molte, baci!



I  miei occhi furono colpiti da un raggio proveniente
dalla finestra della mia nuova stanza. Mi soffermai per alcuni minuti su questo fugace pensiero. Fui pervasa dall’idea che potesse essere stato tutto un sogno. Magari mi trovavo ancora a Volterra, rinchiusa nella fortezza. Mi decisi ad aprire gli occhi: avevo bisogno di accertarmi che fosse tutto reale. Lentamente, quasi timorosa di scoprire la verità, aprì i miei occhi. La luce era fastidiosa ma sopportabile. Mi guardai attorno. Con felicità riconobbi le bianche pareti della mia nuova stanza, il legno dei pavimenti, la libreria e la finestra dalla vista magica. Sorrisi compiaciuta. Avvertivo vagamente la nostalgia dei miei risvegli a Volterra: la voce morbida di Athenodora che mi chiedeva di aprire gli occhi, la luce accecante delle calde giornate in Toscana. La luce che adesso colpiva i miei occhi era debole, grigia: il sole si nascondeva timido, dietro le nuvole perenni di questa cittadina. Eppure, come la sera precedente, riconoscevo in questi piccoli cambiamenti della mia vita il sapore della libertà: un aroma nuovo, dolce nelle sue varie sfaccettature. Riconoscevo che nella libertà c’erano anche delle complicazioni. Ad esempio - sapevo che era sciocco, ma era più forte di me - mi vergognavo terribilmente all’idea di dover scendere di sotto. Non avevo idea di come mi sarei posta ai Cullen questa mattina. Riuscivo a sentire chiaramente le loro presenze al piano di sotto. Ancora una volta mi sorpresi della facilità con cui riuscissi a sentire le loro aure. Li avvertivo con la stessa facilità con cui sentivo la presenza di Felix o Demetri. Vampiri che conoscevo da diciassette anni, con cui vivevo da sempre. La mia concentrazione fu catturata da una presenza familiare che si allontanava, probabilmente stava scendendo le scale, troppo silenziosamente perché le mie orecchie - relativamente umane - ne percepissero il passaggio. Edward si fermò all’improvviso e il mio respiro accelerò. Perché non scendeva? Avevo la stupida sensazione che i suoi occhi d’oro stessero bucando la mia porta. Sapeva che potevo sentirlo? Se fossi uscita adesso, lo avrei incontrato, accidentalmente, mentre scendeva le scale? Non del tutto conscia delle mie azioni mi alzai dal letto e presi dei vestiti puliti a caso dall’armadio e il mio set da bagno. Era ancora immobile, sentivo la sua vicinanza. Uscì dalla stanza, rossa in viso, dopo essermi resa conto di indossare un semplice e striminzito baby-doll e le mie speranze di riuscire a vederlo svanirono. Anche se non lo avessi visto con i miei occhi, avrei sentito ugualmente la sua presenza allontanarsi. Mi richiusi la porta alle spalle e l’unica cosa che riuscì a vedere furono i suoi capelli bronzei e perfetti nel loro disordine, prima che sparisse al piano di sotto. Sospirai: era meglio così. Davanti allo specchio del bagno, rimasi immobile per alcuni minuti a osservare la mia espressione. Il mio volto era luminoso, quasi radioso, in un modo che non avevo mai visto. Potevo spiegare questo eccessivo buonumore con il mio appagato desiderio di novità. Adesso, non potevo di certo lamentarmi che la mia vita fosse monotona. Qualunque ne fosse la causa, mi sarei goduta il buonumore finché durava.
Dopo aver finito in bagno, ritornai in camera. Spalancai la finestra e presi qualche respiro profondo. Dopo tutto, che cos’era dover scendere di sotto? Nulla, pensai. Erano semplicemente i Cullen: Esme, Alice, Carlsile... eppure, l’ansia non accennava ad abbandonarmi. Ridicolo, pensai. Inspirai ed espirai e uscì dalla stanza, dirigendomi con passo svelto verso le scale. Arrivata al primo gradino, decisi che era meglio fare le cose con calma. Mentre scendevo i gradini uno per volta, pensai a come avrei salutato; sarebbe bastato un semplice buongiorno? Sapevo come pormi ai signori di Volterra, ma con loro, niente. Perché doveva essere così maledettamente difficile? Sapevo in parte in cosa consistesse la mia giornata a palazzo, ma qui? Che cosa avrei fatto? Potevo aiutare in qualche modo, per ripagarli del loro aiuto? Mi sentivo impreparata ad affrontare la normalità e questo mi faceva star male. A casa Cullen c’erano soltanto tre piani e alla fine dovetti arrendermi al fatto che non potevo tornare indietro e rifare le scale. Presi un lungo respiro e, avvertendo il mio occhio cambiare colore, entrai in cucina.
Nell’instante esatto in cui misi piedi nella stanza, un uragano di capelli corti e corvini mi si fiondò addosso. Se non avessi avvertito in lei alcun desiderio di attaccare, avrei pensato che mi stesse aggredendo. Mi abbracciò con delicatezza e sentì la sua risata cristallina all’orecchio. Ero rimasta immobile, sorpresa da tanto affetto e buonumore. Prima che potessi dire qualsiasi cosa, si allontanò da me, un sorriso meraviglioso sul suo volto adorabile. ≪Buongiorno, Bella≫.
≪Buongiorno≫, sussurrai, arrossendo.
 I Cullen mi sorridevano, seduti sul divano. Alice afferrò la mia mano e mi trascinò al centro della stanza, davanti a una cucina nuova e moderna. Esme mi sorrideva raggiante, mostrando i denti splendenti. ≪Abbiamo preparato la colazione per te, Bella. Spero che sia buona. E’ la prima volta che cucino. Dovrai accontentarti delle nostre qualità di cuoche≫, esordì.
≪Oh≫, risposi sorpresa.
E pensare che mi fossi fatta tutti quei problemi! I Cullen erano davvero unici. Con loro tutte le mie preoccupazioni perdevano d’importanza. ≪Non ce n’era bisogno≫, rassicurai Esme.
≪Non è un problema per noi. Devi mangiare qualcosa tesero, sei così magra≫.
≪Ti prego, facci contente≫, m’implorò Alice. Era impossibile non cedere ad Alice ed Esme.
≪D’accordo≫, mi arresi. Entrambe sorrisero e mi trascinarono in un’altra stanza. Il resto dei Cullen in cucina sogghignava, per la mia resa incondizionata davanti alle due vampire. Ancora scuotevo la testa sorridendo, quando ci fermammo al centro della stanza. Davanti a me troneggiava un tavolo da pranzo, che naturalmente non era mai utilizzato per il suo scopo primario, imbandito per una colazione che avrebbe sfamato un esercito. C’erano uova strapazzate e pancetta, dei toast affiancati da vari barattoli di marmellata e del miele, una tazza di latte, del the, del caffè e una spremuta d’arancia. Il tutto disposto perfettamente sul lungo tavolo, con dei fiori come addobbi. Rimasi a fissare il tavolo senza parole per svariati secondi, finché non riuscì a pronunciare una frase di senso compiuto: ≪Bastava una tazza di latte e dei cereali≫, sussurrai, la disperazione nella mia voce.
Non volevo offenderle, ma non sarei mai stata in grado di mangiare tutta quella roba. ≪Bella, piccola mia, non sapendo cosa ti piaceva ci siamo sbizzarrite. Impareremo≫.
≪Ma non è necessario≫.
≪Non voglio ascoltare obiezioni, mangia quello che desideri≫.
≪Ok≫, risposi e mi avvicinai al tavolo, tentando d’individuare qualcosa da mangiare. Esme si allontanò per tornare in cucina e Alice si sedette al mio fianco. Optai per il latte e dei biscotti che sembravano promettere bene.
≪C’è voluto un po’ per preparare le uova e la pancetta. Ho visto in diversi film che gli umani amano mangiarli la mattina≫.
≪Grazie, ma la colazione all’americana non fa per me≫.
≪In effetti hanno un odore disgusto, soprattutto la pancetta≫. ≪Adesso sappiamo che mangi latte e...≫, continuò osservando il nome dei biscotti scritto sulla confezione, ≪i magici al cioccolato≫. Ridemmo entrambe.
≪Mi dispiace buttare via tutta questa roba, è uno spreco. Spero che non abbiate intenzione di cucinarmi anche il pranzo, non oso immaginare la desolazione nel supermercato che avete depredato...≫.
 Alice rise, osservando il finto panico nella mia espressione. ≪Per oggi no, perché mangerai fuori≫.
Non capì.
≪Fuori? Che cosa intendi dire?≫, chiesi.
≪Intendo dire, che uscirai con noi e non ammetto un no come risposta. Ci sarà il sole qui a Forks ed è troppo rischioso andare a scuola, perciò... devi recuperare il tempo perduto≫.
≪Tutto in un giorno?≫, chiesi preoccupata.
≪No, poco alla volta, sciocchina. Ma  inizieremo oggi≫.
≪ E’ mi è concesso almeno sapere dove andiamo?≫.
≪No≫, rispose, con aria risoluta.
≪Lo immaginavo≫.
Quando finì di fare colazione - dopo essere salita di sopra per lavarmi i denti - trovai Alice e Carlisle impegnati in una discussione. Lui le sorrideva bonario, con il suo fare tranquillo e pacato. Lei saltellava, le mani giunte, implorandolo con lo sguardo, sporgendo il labbro inferiore. Quando entrai nella stanza, Alice mi si avvicinò, prendendo le mie mani tra le sue e guardandomi con un’espressione che avrebbe fatto sciogliere anche il cuore più freddo. ≪Bella, ti prego, ti prego, di a Carlisle che vuoi venire a scuola con noi, con me≫.
≪Alice, è Bella a dover decidere. Noi non possiamo obbligarla e neanche tu≫.
≪Ma tu lo vuoi, vero? Ci divertiremo e ti proteggeremo noi. Non hai mai frequentato una vera scuola, in fondo. Sarà bello≫.
≪In effetti ho sempre ricevuto lezioni private≫. Alice iniziò a battere le mani e a ridere come una bambina.
≪Sapevo che avresti accettato≫. Non avevo idea di cosa dire, era così contenta... ≪Non mi sembra che abbia detto di sì, Alice≫, la rimbeccò Carlisle, venendo in mio aiuto.
≪Ma lo dirà, vero?≫, m’implorò lei. Ci pensai su, non sarebbe stata una cattiva idea, forse. Poteva anche essere una bella esperienza. Inoltre sarei sempre stata con i Cullen.
≪D’accordo, perché no?≫.
 ≪Sì, sì, sì≫, esultò Alice.
≪Perfetto, allora questo stesso pomeriggio andrò a iscriverti≫.
≪Grazie, Carlisle≫. Il vampiro mi sorrise.
≪Noi invece dobbiamo andare≫, esultò Alice all’improvviso. Le lanciai uno sguardo pieno di domande.
≪Te ne ho parlato cinque minuti fa≫, si lamentò lei. Sorrisi colpevole.
≪Vengo soltanto se mi dici dove andiamo≫, la minacciai.
≪Dimmelo≫.
 ≪No, non puoi obbligarmi≫. Quelle parole fecero scattare una molla.
≪Ne sei totalmente certa≫, sussurrai, un sorriso consapevole sulle mie labbra. Alice mi osservò,un punto interrogativo negli occhi.
≪Evidentemente non sono l’unica che dimentica le cose≫, la provocai. I Cullen sogghignarono mentre una profonda consapevolezza le sbarrava lo sguardo.
≪Non userai il controllo della volontà. Sarebbe moralmente scorretto≫. ≪Anche negare di dirmi dove andiamo è moralmente scorretto≫.  ≪Oh, dai per favore. Ci divertiremo. E’ un’esperienza che non hai mai provato e che non deve assolutamente mancare nella vita di una persona, fallo per me?≫. Scossi la testa.  
≪Non...≫. Non le lasciai il tempo di dire alcunché. Mentre il mio occhio destro cambiava colore e la sua volontà diveniva fin troppo chiara alla mia vista, le imponevo il mio volere.
≪Dimmi dove andiamo≫, le imposi. Sapevo bene come appariva la mia voce al “condannato” o a chiunque mi stesse ascoltando. Sensuale, come la musica di un incantatore di serpenti, come un predatore.
≪A Seattle≫, mormorò.  
≪Per fare?≫.
≪Shopping≫.
 Le sue parole mi lasciarono sorpresa.
≪Shopping≫, replicai.
Nel frattempo, la mia amica aveva ripreso il controllo della propria volontà e mi guardava accigliata.
≪Sei la prima che riesce a costringerla a rivelare una sorpresa, è un miracolo≫, scherzò Carlisle. Il faccino triste di Alice mi fece pentire immediatamente, alzai gli occhi al cielo.
≪Non lo farò più, lo prometto. A patto che tu non mi faccia altre sorprese≫. Continuava a rimanere imbronciata. Così mi avvicinai a lei e le scompigliai i capelli. ≪Sono perdonata? Anche se sono piena di vestiti, di marche più o meno notevoli, verrò con te a fare shopping≫.
Alice si riprese e mi abbracciò.
≪Lo sapevo. Shopping!≫, trillò.
 ≪Shopping≫, replicai.
Tre quarti d’ora dopo eravamo fuori dalle macchine. I Cullen sembravano angeli sotto la luce grigio perla di Seattle. Degli angeli nel parcheggio di un centro commerciale. Alice era su di giri, il suo volto risplendeva raggiante. Emmet e Jasper sembravano dei condannati al patibolo, Edward rideva delle loro espressioni, ma anche lui non era contento. Alice e Rosalie si affiancarono in un modo comico e teatrale che mi fece ridere. Sembravano dei veri predatori, tutti i sensi aperti a cogliere l’abito migliore. Io non avevo bisogno di altri vestiti, ma non si poteva dire di no ad Alice. Quando i ragazzi mi si avvicinarono, fui tentata di dare loro una pacca sulla spalla. ≪Tutto bene?≫, chiesi. Emmet scosse la testa, sembrava sul punto di mettersi a piangere.
≪E’ come un dejà-vu. Rivivo questa situazione almeno una volta a settimana≫. ≪Almeno loro sono contente≫, commentò Jasper, guardando Alice negli occhi. Emmet annuì a malincuore e si riprese.
≪E dopo una giornata di shopping sono piene di energia. Quantomeno Rose≫. ≪Emmet≫, lo ammonì. Edward e Jasper scossero tristemente la testa.
≪Edward ormai è rassegnato all’inevitabile≫, disse Jasper indicando Edward. Capì all’istante e mi sfuggì un sorriso verso il ragazzo, che scosse la chioma bronzea. ≪Forza Bella, andiamo≫, disse Alice prendendomi per mano e allontanandomi da suo marito e dai suoi fratelli.
Avevo ricevuto l’addestramento delle guardie, battuto Jane e Alec in combattimento, ma nulla era più faticoso e pericoloso che fare shopping con Alice e Rosalie Cullen. Non c’era un negozio che non avessimo visitato, né un prodotto che non avessimo comprato. Avevo male ai piedi nonostante indossassi un comodo paio di scarpe da ginnastica. Eppure, nel sommario, mi stavo divertendo. Alice e Rosalie si divertivano a guardare le mie espressioni. Era tutto decisamente nuovo per me. Le vetrine dei negozi, i fast-food, persino i commessi attiravano la mia attenzione. Nonostante fosse tutto una novità per me, il centro commerciale non mi affascinava più di tanto. Il rumore, le voci, andare avanti e indietro; non faceva per me.  Preferivo decisamente il silenzio e la solitudine. O quanto meno, passare il mio tempo con le persone che conoscevo e con cui mi trovavo bene, i Cullen ad esempio. Rosalie ed Alice sembravano amare tutto ciò che io consideravo superfluo o fastidioso. Odiavo cambiarmi e scambiarmi d’abito, ma le ragazze lo rendevano un’esperienza divertente. Le due chiedevano apprezzamenti ai mariti, che le seguivano docili. I ragazzi non potevano fare altro che apprezzare, mentre io scuotevo la testa. Comprammo un sacco di cose, alcune decisamente inutili. In un negozio d’ottica comprai un paio di occhiali da sole neri, mi sarebbero serviti se non fossi riuscita a controllare i cambiamenti del mio corpo. Ogni tanto, quando alzavo gli occhi sentendomi osservata, trovavo Edward a fissarmi, per poi scostare velocemente lo sguardo. Non parlò quasi mai, un po’ come me. Rimanevo ai margini, a osservare Alice e Rosalie che facevano di tutto per rendermi partecipe. Mi sentivo davvero bene. Mi gustavo come mai prima d’ora il sapore dolce della libertà, della normalità. Anche se, a un occhio esterno, poteva sembrare la cosa più anormale del mondo fare shopping con dei vampiri, per me era la normalità. Di solito sceglievo gli abiti dalle riviste, oppure venivano cuciti su misura per me, dei modelli non disponibili sul mercato, unici, come quelli che indossavo. Il ché poteva essere molto comodo, ma mancava più di quanto sembrasse andare a comprare i vestiti con le proprie mani. Entrare in un outlet. Poco m’importava che i vestiti non fossero di marca. Era bello poter ridere - sorridere, chissà perché mi era difficile lasciarmi andare a una risata - senza temere di infrangere qualche regola, o essere inopportuna. Non c’erano molte risate e sorrisi a Volterra, avevo quasi perso la capacità di farlo. Al centro commerciale trascorsi alcuni dei minuti più imbarazzanti della mia vita. Avevo appena mangiato qualcosa - l’unica pausa che mi era stata concessa fare - e il ragazzo che mi aveva servito si avvicinò al bancone per consegnare alcune ordinazioni. Inaspettatamente e mostrando molta più audacia di quanta immaginassi, si voltò nella mia direzione e mi parlò: ≪Allora come ti chiami?≫.
Alzai un sopracciglio e risposi: ≪Perdonami?≫.
≪Ti ho chiesto come ti chiami≫, rispose.
≪Chiedi il nome a tutti i tuoi clienti?≫, chiesi.
≪Soltanto se sono carine≫. Apprezzai lo sforzo, era il modo migliore che conoscesse per fare un complimento.
≪Comunque, signorina, tra cinque minuti stacco, se vuoi puoi venire a fare un giro con me≫. Compresi in quell’istante che era un suo patetico tentativo di flirtare. Non avevo molto tatto per queste cose. Per un attimo mi sfuggì un sorriso: chissà se sarebbe stato altrettanto audace se avesse saputo che ero la promessa sposa di uno dei signori di Volterra? Fraintese il mio sorriso: ≪Allora, molli i tuoi amici e vieni con me?≫, chiese speranzoso, lanciando uno sguardo al nostro tavolo. I miei occhi si posarono sui Cullen. Nonostante tentassero di mostrare indifferenza erano tutti concentrati sulla nostra conversazione. Rosalie e Alice sogghignavano, tentando di evitare di guardare nella mia direzione, con scarsi risultati. Emmet e Jasper erano impegnati nel patetico tentativo di non scoppiare a ridere, spaventando tutti i presenti. Edward... lui sembrava un angelo. Le sue sopracciglia erano curve in un cipiglio che rendeva la sua bellezza cupa e grigia. A differenza dei suoi fratelli non riusciva a fingere indifferenza e non sembrava affatto divertito. Ritornai allo sconosciuto, in cerca delle parole migliori per dirgli che non ero interessata, non volevo offenderlo. Le mie prospettive cambiarono quando la sua mano si posò come se niente fosse sulla mia spalla, stringendo tra le dita una mia ciocca di capelli.
≪Sei davvero niente male, piccola. So che vuoi dirmi di sì, avanti. L’ho capito dal primo momento≫.  Di che... A quel punto sentì l’irritazione e la rabbia montare. Abbassai lo sguardo nel tentativo di nascondere i miei occhi, la rabbia che nascondevano e il rosso fuoco, il colore del diavolo. Avrei potuto fare molto peggio, ne ero conscia. Sarebbe bastato alzare gli occhi per costringerlo ad allontanarsi da me. Eppure, la mia prima idea da adolescente libera fu anche ciò che feci. Aprì il bicchiere della coca cola che avevo in mano - era stato emozionante mangiare per la prima volta in un fast-food - e con tutta la delicatezza che avevo ne rovesciai il contenuto addosso all’ignaro ragazzo. Dopodiché infilai il prezzo della cola e del panino nel suo taschino e mi allontanai per ritornare dai Cullen. Tentarono di contenere le risa, ma non fu facile. Le ragazze si complimentarono con me.
Quando il piacevole tormento terminò, potemmo ritornare a casa: potevo davvero considerarla tale. Io e i ragazzi ringraziammo insieme il buon Dio che ci aveva salvato.
Mi trovavo sotto la chioma quasi spoglia di uno degli alberi del giardino, l’unico che sembrava non appartenere alla foresta che delimitava la casa. Sedevo sotto il fresco dell’albero, beandomi del vento che mi scompigliava i capelli e degli aromi che quella giornata aveva portato con se. Muschio, tronco d’albero, sole. Il sole... splendeva alto nel cielo, facendomi quasi ricredere sulla natura cupa di quella cittadina. Alice mi aveva assicurato che non ne avremmo visto per un po’, perciò avevo deciso di godermelo appieno. Beandomi dei suoi raggi e del suo calore sulla pelle. Esme, Alice, Jasper e Carlsile erano andati a caccia. Rosalie stava lavorando alla sua auto in garage - ero rimasta stupita sapendo di questo suo impensabile talento e hobby - mentre Emmet le faceva da assistente, nella spasmodica attesa di ricevere il suo “compenso”. E probabilmente anche Edward si era unito al gruppo di caccia. Misi le cuffie e aprì il libro, Romeo e Giulietta, nonostante lo conoscessi praticamente a memoria. Intenta a rileggere per la milionesima volta la storia dei due giovani e il modo drastico in cui il destino sembrava aver segnato le loro vite, una voce limpida, morbida come il velluto mi fece sussultare. ≪Ciao≫, disse. In quel momento avvertì due tipi diversi di sorpresa. La prima fu dovuta alla mia mancanza di concentrazione: non avevo sentito alcuna presenza avvicinarsi. Avevo abbassato la guardia, perché con i Cullen mi sentivo al sicuro. La seconda, quella più importante, era la sorpresa nell’aver riconosciuto il possessore della voce dolce e vellutata. Alzai lentamente lo sguardo, rossa in volto. Edward mi osservava assorto, un sorriso sul suo volto bellissimo. Per un attimo rimasi incantata a osservare la proiezione del sole sul suo volto. Il lato destro era ricoperto di piccoli diamanti che lo rendevano ancor più meraviglioso ed etereo. Il suo sorriso era bellissimo. Avevo visto gli effetti della luce del sole su altri vampiri. Li vedevo brillare come diamanti quando, per caso, passavano sotto la luce irradiata dalle numerose finestre disposte nella rocca. Ma nulla era paragonabile all’immagine di Edward sotto la luce del sole. Quell’angelo, la cui apparizione nella  mia vita era sempre stata impensabile e impossibile, non era spaventoso o inquietante. La luce del sole gli rendeva a malapena giustizia, perché niente era più luminoso della sua anima. Persa nelle mie congetture, impiegai qualche secondo più del dovuto per rispondere al suo saluto. ≪Ciao≫, sussurrai imbambolata. Il suo sorriso in risposta fu assolutamente la cosa più bella che avessi visto nella mia breve vita immortale. Era odioso il modo in cui riusciva a farmi abbassare la guardia. Non riuscivo a smettere di guardarlo, il mio sguardo era incatenato alla bellezza devastante della sua pelle. Rimaneva immobile, sorridente, le braccia lungo i fianchi. La pelle delle sue braccia nude brillava con le stesse sfaccettature di un diamante pregiato. ≪Posso?≫, chiese, indicando il posto al mio fianco.
Rimasi interdetta per alcuni istanti prima di rispondere alla sua domanda. ≪Certo≫.
Sorrise e si sedette al mio fianco. Automaticamente mi scostai di lato per lasciargli un po’ di posto: il tronco dell’albero era abbastanza ampio perché entrambi potessimo poggiarci. Edward poggiò la schiena all’albero con grazia spontanea, allungando una gamba e stringendo l’altra al petto, vi ci poggiò il braccio.  Io lo fissavo e lui continuava a sorridermi come un angelo. Attesi che dicesse qualcosa, scostando le cuffie dall’orecchio. Fingendo di prestare la mia attenzione a qualsiasi cosa non fosse lui o le sensazioni che, ancora una volta, provavo grazie alla sua vicinanza.
≪Allora, ti piacciono i classici?≫, chiese con voce melodiosa. Mi voltai nella sua direzione, sorridendo. Sentivo il sangue riscaldarmi le guancie e il mio cuore battere con più forza del solito, senza poter fare nulla per fermarli, conscia che lui se ne sarebbe accorto. M’importava poco. Mi sentivo avvolta nella nostra bolla e il resto perdeva d’importanza. Era una sensazione meravigliosa. ≪In effetti, ho una certa passione per tutto ciò che è antico≫.
 Sorrise scuotendo la chioma bronzea. ≪Allora ti trovi nel posto giusto≫, commentò.
≪Suppongo di sì≫, acconsentì.
≪Spero che la famiglia Cullen non ti abbia ancora fatto impazzire≫, disse.
≪Resisterò≫, scherzai, ma poi continuai.
≪Sono tutti così carini e simpatici≫.
≪Anche Alice?≫, chiese scherzando, per schernire la sorella.
≪Lei è una persona molto... solare≫, risposi, individuando il termine giusto. Ridemmo entrambi.
≪Sei fortunato a vivere con loro≫.
≪Lo so≫, acconsentì, una luce di antica consapevolezza accese il suo sguardo. Improvvisamente ricordai il mio desiderio iniziale di scoprire il più possibile sul ragazzo e capire se le mie deduzioni erano esatte, perciò chiesi: ≪Da quanto tempo vivi con loro?≫. Mi sentivo in imbarazzo a fare domande, non volevo offenderlo o turbarlo. Ma lui sorrise e rispose con tranquillità alla mia domanda.
≪Carlisle ha trasformato tutti noi, a parte Alice e Jasper. Loro sono due casi straordinari di come la coscienza si formi da sola, senza che qualcuno ti indichi la strada, un po’ com’è successo a mio padre. Carlsile mi ha trovato in un ospedale di Chicago nel 1918. Avevo diciassette anni e stavo morendo di spagnola, sono stato il secondo a unirmi alla famiglia. Dopo di me Carlsile trovò Esme e la trasformò. E benché sia più giovane di me, in un certo senso, la considero mia madre a tutti gli effetti≫. Annuì, affascinata.  
≪Hai sempre vissuto con Carlisle ed Esme?≫, chiesi. Lui si rabbuiò e capì di aver posto una domanda cui era difficile dare una risposta. Mi morsi il labbro. La sua espressione era talmente triste, che sentì il bisogno di confortarlo, in qualche modo. Sembrava arrabbiato, con se stesso. Lo capivo dal modo in cui si stringeva nelle spalle e fissava lo stemma della sua famiglia, sul braccio sinistro.
≪Qualsiasi cosa sia successa, non devi rimproverarti di nulla. Non lasciare che il tuo passato gravi sul presente o sul futuro≫. Parlai senza pensare. Edward alzò di scatto la testa e mi osservò per un lungo istante. Dopodiché sorrise, ritrovando una scintilla di buonumore.
≪Sembra che tu mi legga nel pensiero. Non c’è niente che dovrei sapere, piccola donna saggia?≫, chiese, fingendosi costernato. Risi, una vera risata. Qualcosa cui non mi lasciavo andare da tempo. Un suono che le mie orecchie non avevano mai sentito e al quale non ero abituata.
≪Non temere, non leggo nel pensiero. Mi incuriosisce che tu ti preoccupi così tanto. Che cosa potrei scoprire di così traumatizzante, in tal caso?≫.
Edward esitò per un istante: ≪In realtà non ho sempre vissuto con Carlsile ed Esme...≫, cambiando magistralmente discorso. Risi ancora.
≪Tutto pur di non parlare dei tuoi pensieri, interessante≫. Edward mi sorrise in un modo che avrebbe potuto far fermare il cuore di qualsiasi donna. Ritornando seria, dissi: ≪Dicevi che non hai sempre vissuto con Carlisle ed Esme≫. Anche lui ritornò serio e composto, bellissimo, intento a raccontare la propria storia.
≪Sì, non ho sempre vissuto con loro. Odiavo che Carlsile m’impedisse di saziare la mia sete e andai via. Vagai da solo per dieci anni...≫, si fermò per potermi osservare. Lo incitai con lo sguardo a continuare. Sospirò.
≪Trovai un compromesso con la mia natura. Odiavo l’idea di dover uccidere delle persone innocenti, ma non potevo stare senza sangue umano. Così iniziai a uccidere gli assassini, i ladri. Credendo che questo mi rendesse meno mostruoso; mi sbagliavo. Non sopportavo più i miei occhi rossi, né tanto meno dover uccidere la gente, benché questi non potessero certo considerarsi più umani di me. Io non volevo essere un mostro. Così ritornai da Carlsile, gli occhi d’ambra. Naturalmente mi accolsero come il figlio al prodigo”. Ascoltavo e i pezzi del puzzle si ricomponevano. Finalmente potevo capire il perché di tanta forza. Diventare un vampiro ed essere sottoposto a questa prova, lo aveva reso più forte. Scindere i propri desideri perché non voleva essere un mostro... Non tutti erano in grado di farlo. La sua bontà era superiore a qualsiasi istinto imposto per natura dal vampiro. Per un attimo ebbi la sensazione che la luce che lo avvolgeva brillasse ancor di più.
≪Adesso capisco...≫, mormorai. Naturalmente lui mi udì e si voltò nella mia direzione con un punto interrogativo nello sguardo. Scossi la testa, arrossendo e portai i capelli sulla mia spalla destra così che potessero coprirmi il volto.
≪La tua volontà è una delle più forti che abbia mai percepito≫, confessai bisbigliando.
≪Anzi, è assolutamente la più forte. Questa è la caratteristica dei Cullen. Spiccate con facilità, è impossibile non notarvi. Perciò non dubitare di te stesso≫, dissi, tutto di un fiato. Sapevo di essere rossa come un peperone. Ma era la pura verità ed era giusto che lui lo sapesse. Improvvisamente avvertì le sue mani scostare con gentilezza i miei capelli. Li lasciò cadere sulla mia spalla sinistra, in modo che non nascondessero il mio volto. Scacciando l’odioso sipario che ci divideva. Mi osservava con l’espressione più dolce che avessi mai visto, i suoi occhi d’ambra erano un porto sicuro. Il modo migliore per accedere alla sua anima. Mi sorrise.
≪Non butterai qualcosa addosso anche a me, spero≫.
≪No≫, risposi seria. Edward continuò a fissarmi per alcuni minuti, prima di aprirsi in un sorriso sereno.
≪Com’è vivere con i Volturi?≫, chiese all’improvviso. Ci pensai un po’ su.
≪Strano≫, decisi.
≪Non hai mai avuto paura di loro?≫.
≪So che sembra una cosa fuori dal normale, ma con me sono sempre stati gentili≫.
≪E tu sei affezionata a loro≫, non sembrava una domanda, più che altro una constatazione.
 ≪Sì, sono la mia famiglia≫. Edward spostò lo sguardo all’orizzonte.
≪Può sembrare strano e orribile che... fondamentalmente io sono un essere umano Edward e non potrei biasimare qualcuno se mi giudicasse male≫. Lo vidi scuotere energicamente la testa e inchiodarmi con il suo sguardo magnetico.
≪Nessuno ti giudica male, Bella≫, sentì un brivido lungo tutta la schiena quando pronunciò il mio nome. Fu molto diverso da un qualsiasi brivido di terrore che avessi provato in precedenza. Perché la paura, il terrore erano le uniche cose in grado di farmi provare una qualche emozione interessante. Ma insieme ai Cullen e con Edward accanto, le cose erano diverse. Avvertivo emozioni nuove nascere dentro di me. Emozioni cui non riuscivo ad assegnare un nome o una spiegazione.
≪I Volturi sono la tua famiglia. E la famiglia rimane tale, anche se fa cose che a noi non piacciono, non li giudichiamo≫, disse.
≪Non pensare che non provi repulsione per ciò che fanno agli esseri umani. Non ho mai bevuto sangue e non ho intenzione di farlo in futuro≫, sussurrai, rabbrividendo al pensiero. Rise della mia espressione. Mi piaceva l’idea che iniziasse ad aprirsi con me. Era l’unico della famiglia con cui non avessi mai parlato, tecnicamente. Edward sembrava capace di leggere nelle profondità della mia anima e avvolte, quando mi guardava, avevo l’impressione che quella visione gli piacesse. Edward meritava una famiglia come quella dei Cullen. Meritava tutta la gioia e la felicità che questo mondo ingiusto poteva offrire. Io non ne avrei visto alcuno spiraglio, ormai ero rassegnata a questo. Ma mi sembrava ingiusto che a qualcuno come Edward, oppure come Carlisle, fosse stato riservato questo destino. Fatto di mostri e mostruosità.
≪Com’era la tua vita da umano?≫, chiesi all’improvviso.
≪Che cosa vuoi sapere per l’esattezza≫, rispose.
≪Parlami dei tuoi genitori naturali≫. Edward puntò i suoi occhi nei miei e riuscì a leggere, nelle profondità di quello specchio limpido e ambrato che era il suo sguardo, la tristezza. Una tristezza infinita, di un uomo solo, il cui destino lo aveva sradicato dalla propria vita felice troppo in fretta. Fui pervasa dal desiderio di prendere le sue mani tra le mie e infondergli un po’ di coraggio. Esternamente era forte, la sua volontà era invincibile ma Edward era triste, bisognoso di amore e fiducia. Fu naturale per me. Non avevo alcuna esperienza in ragazzi e roba simile e sperai che non considerasse il mio gesto come un’intrusione. Eppure, lungi dal sentirmi imbarazzata - stranamente - strinsi una delle sue mani fredde tra le mie. Edward rimase sorpreso dal mio gesto; non se lo aspettava. Io reclinai la testa di lato, un sorriso che voleva incoraggiarlo e infondergli fiducia, pieno di sincero affetto per quel vampiro dallo sguardo triste, alleggiava sul mio volto. Attesi, persa nel suo sguardo ambrato, finché non vidi svanire la tristezza dai suoi occhi. Ricambiò il mio sorriso con il suo, sghembo e mozza fiato. Ero pronta a lasciare la sua mano, ma lui non me lo permise. Sovrappose alle mie mani la sua, con delicatezza. Rimanemmo così, aggrappati in quel groviglio di mani che si stringevano e si cercavano, ancora una volta oro e cioccolato insieme.
≪Mia madre si chiamava Elisabeth. Elisabeth Meson. Più che altro di lei ricordo la sua bellezza. Aveva i capelli come i miei e gli occhi verdi. Li paragonavo alla pietra di smeraldo, la stessa che portava al collo, un regalo di mio padre. All’epoca avevamo lo stesso singolare colore degli occhi. Appariva come una figura eterea al mio sguardo. Non soltanto per la sua bellezza, ma per la sua grazia ed eleganza. Qualcosa di spontaneo, che non veniva insegnato da nessuna scuola di buone maniere. Mi insegnò a suonare il piano e a trattare le donne con il dovuto rispetto. Mio padre... la sua caratteristica migliore era l’amore che provava per mia madre. Lo si capiva dal suo sguardo, dal modo in cui le parlava. Edward Meson era un uomo onesto, forte. Il suo cuore era buono. Le giornate che trascorrevamo insieme erano molto belle, ne conservo ancora il ricordo. Erano una coppia perfetta. Sono cresciuto con il loro amore. Credo fosse impossibile non amare mia madre. Elisabeth Meson era una donna coraggiosa, le persone che amava erano la sua forza. Era il 1918, l’età della mia adolescenza, e nel modo imperversava la Grande Guerra. Così la chiamavano. Io naturalmente non vedevo l’ora di arruolarmi. Mentre pregavo di partire il più in fretta possibile, mia madre pregava che la Grande Guerra finisse. La malattia mi colpì... Mio padre non resistette alla prima ondata, mia madre rimase a vegliare me. Non ho molti ricordi dell’ospedale, tranne il dolore per l’arsura della febbre. Ma Carlisle conserva in  modo indelebile nella sua mente il ricordo della supplica di mia madre. Elisabeth lo implorava di fare per me, ciò che per gli altri non era concesso... fu così che Carlsile si decise a trasformarmi≫.
 Concluse il suo racconto con un sorriso un po’ triste, che si aprì in quello sghembo che mi piaceva tanto, quando incrociò il mio sguardo assorto.
≪Adesso voglio sapere qualcosa in più su di te≫, disse risoluto.
≪Non c’è molto da sapere. Ho già raccontato ad Alice che Demetri mi ha trovato in un orfanotrofio. Da allora vivo con i Volturi≫. Annuì.
≪Come ha fatto Demetri a trovarti? Voglio dire, non penso sia stato un caso≫. Rimasi sorpresa. ≪Non conosci il suo potere?≫, chiesi.
≪Sì, ma ti stava cercando? Era nelle vicinanze ed è stato davvero un caso fortuito?≫.
≪Ho chiesto ad  Aro e mi ha risposto che all’epoca giravano delle voci, si trattava sempre di Licantropi. Così ha chiesto a Demetri di trovarmi prima di loro. Ha rastrellato il pianeta per me≫.
≪Non sai nulla dei tuoi genitori?≫. ≪No, non li ho mai visti. Probabilmente sono stati loro a portarmi nell’orfanotrofio, anche se non capisco perché. Forse avevano sentito le voci che riguardavano la minaccia incombente e avevano deciso di nascondermi in un luogo impensabile. Sono l’ultima, Demetri ci ha cercati, ma non ha mai trovato nessuno oltre me. Quindi devono essere morti≫.
≪Ci sono un sacco di buchi neri nella tua vita≫, constatò.
≪Già, la mia vita è un immenso buco nero. Ma ho smesso di farmi domande≫. Sembrava pensieroso, chissà perché. Chinai lo sguardo sulle nostre mani intrecciate. Eravamo entrambi nella stessa posizione: gambe incrociate, uno di fronte all’altro. Il mio passato era troppo buio, perciò evitavo di concentrarmici. Mi limitavo a pensare alpresente, ora che ogni speranza per il mio futuro si era dissolta nella proposta di Aro...  Il presente era un luogo sicuro, qualcosa di rassicurante a cui aggrapparmi con le unghie e con i denti. Ad esempio, quel preciso istante: avrei voluto che non finisse mai. Mi sentivo bene, per la prima volta nella mia vita. All’improvviso avvertì delle dita fredde carezzarmi la guancia. Alzai lo sguardo, rossa in volto. Non riuscivo più a seguire il mio cuore, batteva tropo velocemente e in modo disordinato. Sapevo che quello che stavo provando non era semplice sorpresa o imbarazzo, ma non riuscivo a dargli un nome. Edward carezzò dolcemente la mia guancia, prima di scostare la mano e riporla sulle mie, intrecciandole come prima. Rimanemmo per un istante infinito a guardarci negli occhi. Io ero imbarazzatissima. Edward sorrise ancora e chiese: ≪Parlami della tua infanzia≫.
≪Solo se tu mi dirai qualcosa della tua≫, lo schernì.
≪D’accordo≫, acconsentì. ≪Comincia tu≫, dicemmo all’unisono. Ridemmo insieme.
≪Prima le signore≫.
≪Non usare le regole del gentiluomo per trarmi in inganno≫. Sul suo volto si dipinse l’espressione più angelica e falsa che avessi mai visto.
≪D’accordo, comincio io. Però, bada bene, se capisco che mi stai nascondendo qualcosa quando sarà il tuo turno, te lo estorcerò con la forza≫. ≪Ti prendo in parola≫.
 ≪Sinceramente, non posso lamentarmi”, iniziai.
≪Certo, la mia non è stata un’infanzia normale. Alcune cose, anche le più futili, possono mancare a una bambina di cinque anni. Il primo giorno d’asilo, per fare un esempio stupido. Oppure giocare con i bambini della mia età anziché guardarmi le spalle da Jane e Alec. Dopo un po’ ti abitui a non abbassare mai la guardia per paura che qualcuno, preso da una sete improvvisa, possa attaccarti. Una delle cose che ricordo con maggior chiarezza sono gli allenamenti. Ho ricevuto l’addestramento delle guardie, sai?≫. Rimase basito per qualche istante.
≪Il mio addestramento era un po’ speciale. Più che altro ho sviluppato le mie capacità intellettive≫, conclusi, picchiettandomi le tempie.
≪Ho sviluppato la capacità di controllare le volontà altrui per aiutare Aro e il resto dei signori di Volterra. Posso percepire una volontà da grandi distanze, soprattutto quando sono concentrata≫.
≪E i tuoi occhi cambiano colore≫, concluse lui per me. Annuì.
≪Sembra che con il tempo io acquisterò capacità premonitrici, certo, non al livello di Alice, ma...≫.
≪Capisco. Ma mi pare di aver sentito che puoi fare qualche altra cosa, oltre a controllare le volontà altrui≫. Sorrisi.
≪Forse un giorno te lo dirò≫. Sbuffò, imbronciandosi e corrucciando le sopracciglia. “E’ fastidioso non riuscire a leggerti nel pensiero. So che non sono l’unico ad avere questo problema, ma è frustrante≫. Non riuscì a trattenere le risate davanti alla sua espressione da bambino scontento. Anche Edward sorrise, abbandonando l’espressione corrucciata di chi non ha ciò che vuole.
≪Raccontami qualcos’altro≫, continuò.
≪Alcuni dei ricordi più belli che ho sono legati ad una donna≫.
≪L’ho vista. Quando siamo venuti a Volterra sedici anni fa e anche qualche giorno fa era al tuo fianco≫. ≪Sedici anni fa?≫.
≪L’Agorà in cui ci hai salvato dal diventare cenere≫, sorrise tristemente, lo sguardo magnetico puntato nei miei occhi. Edward era indubbiamente affascinante, possedeva una personalità magnetica  ed era molto intelligente, oltre ad essere dotato di umorismo e buon gusto e di un cuore d’oro. Si poteva capire molto di una persona in poco tempo e con Edward per me era stato estremamente semplice, come lo conoscessi da sempre o sentissi di conoscerlo...
≪Oh, capisco≫, risposi.
≪Non posso credere che tu ricordi l’episodio di Alice, eri così piccola≫, e nel dire quelle parole la sua voce si riempì di insostenibile dolcezza.
≪E infatti non lo ricordavo≫, sussurrai abbassando la voce.
≪Mi è stato raccontato, ma non volevo offenderla≫.
 ≪Scelta saggia, ti avrebbe tenuto il muso per... qualche minuto altrimenti≫. Sorrisi, era ovvio che fosse molto legato ad Alice. Continuai con la storia. ≪Si chiama Athenodora. E’ la moglie di Marcus. Lei è in quasi tutti i miei ricordi. Si è occupata di me fin da quando ero nella culla. Ma è raro che si lasci andare a qualche dimostrazione d’affetto, a differenza di Esme. A volte ho come l’impressione che abbia paura di affezionarsi a me≫. M’interruppi all’improvviso, cupa in volto. L’unica volta che si era lasciata andare era stato quel giorno, in camera mia, quando le avevo detto quale risposta avevo dato ad Aro. Era contenta che io avessi trovato quello che lei reputava il mio scopo nella vita. Io non né ero altrettanto certa. Ma cos’altro potevo fare? Domanda retorica, non c’era nulla che potessi fare.  
≪Tutto bene?≫, chiese Edward, preoccupato della mia improvvisa tristezza.
≪Sì, è tutto Ok... Non tentare di salvarti. Ora tocca a te raccontare≫, lo schernì.
≪Fino all’età di dieci anni ero una peste. So che è difficile crederlo, ma non davo pace a mia madre. Mi cacciavo in un sacco di guai e odiavo i vestiti eleganti che dovevo indossare per andare alle cerimonie ufficiali. Però, dopo averla fatta arrabbiare, tornavo con un mazzo di margherite selvatiche ed Elisabeth mi perdonava. Trascorsa l’età infantile ho smesso di combinare guai e ho iniziato ad aiutare mia madre e mio padre. Davo loro meno gatte da pelare e ho iniziato a interessarmi ad altre cose. Ad esempio...≫.
≪Le ragazze≫, conclusi per lui. Mi guardò sorpreso.
 ≪Stavo per dire la musica. Non ho mai trovato nessuna che fosse adatta a me. All’epoca erano tutte troppo impegnate ad apparire e a fare carriera in società. Non che adesso sia cambiato molto, hanno soltanto meno pudore≫.
≪Nessuna dolce vampira che abbia ceduto al fascino di Edward Cullen? Neanche qualche occhio giallo come i membri del clan di Denali, la maggior parte sono donne?≫. Era talmente stupito che la sua espressione mi fece ridere.
≪Scherzavo≫, gli dissi per tranquillizzarlo.
≪Come fai a conoscerli?≫, chiese.
≪Li ho visti a Volterra, voi occhi gialli non passate inosservati≫. Edward sembrava improvvisamente in imbarazzo, se fosse stato umano sarebbe arrossito.
≪E’ successo, quindi. Ho davvero delle capacità premonitrici≫. Ci scherzavo su, ma sentivo uno strano nodo alla gola e alla bocca dello stomaco. Una rabbia incomprensibile stava prendendo il sopravvento sul mio controllo. Avvertì il mio sguardo cambiare.
≪ Tanya si era presa una piccola cotta per me, le ho spiegato in modo molto cortese che non ero interessato, tutto qui≫.
≪Ah≫, sussurrai. Era comprensibile che qualcuna lo desiderasse, io stessa rimanevo affascinata da Edward. Come biasimare questa Tanya. Non capivo perché mi sentissi così irritava, non ero stata io a sperare che trovasse l’amore? Alzai gli occhi e mi ritrovai ancora una volta a fissare Edward. Non mi stava guardando, il suo sguardo si posava malinconico sull’orizzonte, la dove il sole lambiva la terra con i suoi ultimi raggi, prima di lasciare il posto a una notte serena. Gli ultimi raggi del sole sfioravano Edward con la stessa delicatezza con cui una madre carezza il figlio appena nato. La sua pelle brillava di mille sfaccettature. Era bellissimo. Quella malinconia nel suo sguardo mi apparteneva, sentivo il suo dolore come se fosse il mio. Eppure, il quel preciso momento e in quell’esatto posto nel mondo, io mi sentivo al sicuro. Protetta dalla sua luce che ormai era un po’ anche la mia, come il suo dolore. La sua forza mi apparteneva. Succedeva spesso in questi giorni che compiessi delle azioni senza ragionare, senza riflettere, né preoccuparmi delle conseguenze. In quel momento stavo per fare un altro di quei gesti non calcolati e istintivi. Con il dorso della mia mano, carezzai le sfaccettature sfavillanti della sua pelle. Come se volessi scoprire cosa si nascondeva dietro quella maschera di brillante perfezione, quasi a voler scacciare via quella sua malinconia con il semplice tocco della mia mano. E fu fuoco e ghiaccio, insieme. Quella carezza che voleva rassicurarlo divenne qualcosa di più. Sentì un brivido scuotere il mio corpo, come se avessi appena ricevuto una scarica elettrica, irradiata dal suo corpo al mio. Il contatto con la sua pelle era qualcosa di nuovo e allo stesso tempo conosciuto, come se le emozioni, che invadevano la mia mente e il mio cuore, mi fossero appartenute da sempre e le stessi riscoprendo ora, dopo un’assenza troppo, troppo lunga. Era trascorso non più di qualche secondo da quando avevo posato la mia mano sul suo volto e Edward si era girato nella mia direzione. La malinconia era sparita dal suo sguardo, per lasciare lo spazio alla sorpresa e a qualcos’altro che non riuscivo a interpretare. I suoi occhi d’oro brillavano nei miei in un modo tanto intenso da farmi pensare che avesse sete del mio sangue. Il mio cuore prese a battere velocemente, impazzito. Eppure in lui non c’era la furia del predatore, ma soltanto tanta, tanta dolcezza. Man mano che l’oro dei suoi occhi si scioglieva divenendo quasi liquido quell’intensità spaventosa lasciava il posto alla dolcezza e alla tranquillità. Come un bambino cullato dalla madre. Allo stesso modo Edward lasciava che il mio tocco lo cullasse e lo tranquillizzasse. I battiti del mio cuore iniziarono a rallentare e mi godetti il freddo della sua pelle a contatto con la mia mano. Edward sembrava sereno, mi osservava in un modo che non riuscivo a capire, visto che mi rifiutavo d’incontrare il suo sguardo. Forse la luce gialla-arancione del tramonto riusciva a nasconderlo, ma le mie guancie erano tinte di un rossore ormai familiare, per il mio gesto non calcolato. Con cautela scostai la mia mano dal suo volto e abbassai gli occhi. In quel momento mi accorsi che le nostre mani sinistre erano ancora allacciate, con molta naturalezza. Come se non ci fosse niente di più giusto al mondo. Con la sua mano destra Edward catturò la mia, improvvisamente molto timida. Lo guardai, ma lui osservava le nostre mani, mentre con la sua tracciava ghirigori immaginari sul mio palmo. Scattammo entrambi, le nostre teste si voltarono verso la casa. Il gruppo di caccia era tornato. Lui probabilmente ne aveva sentito i pensieri, io le aure che erano diventate familiari e inconfondibili.
≪Sarà meglio entrare≫, mormorai. Edward annuì e mi lasciò la mano, alzandosi da terra con uno scatto fluido ed elegante. Mi sentì improvvisamente vuota senza il suo contatto. Le mie mani bruciavano per la sua assenza. M’intristì. Quando vidi una mano bianca protesa nella mia direzione. Alzai gli occhi e incrociai quelli di un sorridente Edward. Un gentiluomo che offriva il suo aiuto a una signora. Sorrisi. Accettai il suo aiuto, afferrando la sua mano e Edward mi alzò da terra come se pesassi un grammo. Mi sentì girare la testa. Lui rise per la mia espressione sorpresa. Io gli diedi un buffetto scherzoso sulla spalla.
≪Sarai anche un prescelto≫, disse mimando le virgolette sulla parola prescelto, ≪ma rimani una piccola, fragile umana≫. Mi fermai.
 ≪Perché quel prescelto tra virgolette≫, chiesi stizzita. Lui non mi degnò di uno sguardo e si affrettò ad aprirmi la porta di casa. Lo raggiunsi, oltrepassandola; mentre lui continuava a ridere. Salimmo le scale.
≪Gesto molto umano≫, mi complimentai con lui per la porta, ma aggiunsi: ≪Da ventesimo secolo, ma umano≫. Edward alzò le mani in segno di resa e aggiunse: ≪La accetto come vendetta per quello che ho detto prima≫. Quando arrivammo al secondo piano, stavamo ancora ridendo. Eravamo più vicini di quanto lo fossimo mai stati. Sentivo la sua forza sommergermi a onde e stavo bene. Mi sentivo al sicuro. In casa aleggiava un’atmosfera tranquilla, perfettamente in sintonia con la quiete del pomeriggio. Alice e Jasper sedevano sul divano del salotto, abbracciati teneramente, troppo impegnati a guardarsi negli occhi per accorgersi di chiunque altro. Erano l’uno il senso dell’altra. Carlsile era di sopra, lo sentivo. Esme stava trafficando in cucina, i rumori che provenivano dalla stanza erano preoccupanti. Emmet e Rosalie non c’erano, ed ero certa, che non avrei voluto sapere dove si trovavano o casa stavano facendo. D’un tratto Esme fece capolino in salotto e ci venne incontro. Indossava un grembiule bianco con le arricciature, sotto un Cavalli color indaco. I boccoli color caramello le rimbalzavano in testa. Aveva un sorriso smagliante in volto e una luce strana negli occhi: l’entusiasmo di chi fa qualcosa per la prima volta.
≪Bella, ho fatto la spesa≫, esordì.
≪Oh≫.
≪Ho preso un po’ di tutto e ho fatto qualche ricerca in internet sulla cucina Italiana≫. Prese me e Edward per mano e ci trascinò verso la cucina. Lanciai uno sguardo complice al ragazzo e un sorriso.
≪Però, dovete aiutarmi. Perché, a parte questa mattina, non cucino un vero pranzo da un secolo. E non è un modo di dire≫. La stanza in cui Esme ci trascinò non era una cucina, più che altro un magazzino. Esme aveva comprato cibo in quantità industriale.
≪Tutto questo non era necessario e, inoltre, io non ho mai cucinato in vita mia≫.
≪Tesoro, io non posso assaggiare le pietanze e assicurarmi che abbiano un buon sapore≫.
≪Capito, devo fare da cavia≫.
≪Esatto≫.
≪Ottimo, allora, mettiamoci a lavoro≫, trillò Esme, con un leggero battito di mani. Il suo entusiasmo era incontenibile. Edward mi sorrise.
≪Falla divertire≫, mormorò. ≪Le piace l’idea di prendersi cura di te≫.
≪D’accordo≫, acconsentì. Edward si accostò a Esme: ≪Che cosa cuciniamo mamma?≫.
 ≪Lasagne≫, esordì la donna.
 ≪Lasagne≫, mormorammo all’unisono io e Edward.
In quella serata tranquilla di fine Marzo, capì che cucinare poteva anche essere un’esperienza divertente. Grazie ai Cullen stavo scoprendo il piacere della normalità. C’erano dei buchi nella mia vita, cose che non avevo mai fatto e di cui non avevo mai sentito la mancanza. Eppure, mentre pian piano scoprivo il mondo al di fuori della fortezza, capivo che in realtà la normalità di una serata in famiglia poteva mancare. Mi divertì e risi tanto, osservavo Edward ed Esme e le loro espressioni disgustate davanti agli ingredienti crudi. Molto spesso io ed Esme ci ritrovammo a fissare Edward che aveva una certa maestria in cucina. In fondo, anche se alla fine non avessimo cucinato niente, potevamo dire di aver scoperto un nuovo talento in Edward. Preparare la pasta per la lasagna fu una tra le esperienze più assurde che avessi mai fatto. L’incidente che ne seguì fu naturalmente tutta colpa di Edward. Ero concentrata più del dovuto sull’impasto giallognolo della pasta e avevo visto una nuvola di polvere bianca cadere dal cielo sulla mia testa, per finire tra i miei capelli neri. Mi ero voltata, allerta. Avevo sentito il mio occhio destro cambiare colore. Esme stava preparando il sugo e Edward fingeva d’impastare a pochi metri da me. Lo guardai, truce. Lui alzo gli occhi, innocente. Eppure, davanti a una Bella ricoperta di farina che tentava di soffiare lontano un ciuffo bianco di capelli, non riuscì a trattenere le risate. Mi ero avvicinata, costringendolo con il mio potere di persuasione a rimanere immobile. Lui aveva tentato di arretrare e la sua faccia dopo essersi accorto che non poteva muoversi era più di quanto una vita intera potesse offrire. Con molta tranquillità gli avevo rovesciato un bel po’ di farina addosso. Rendendo la sua figura diafana ancor più bianca. Per poi liberarlo dall’immobilità. Naturalmente aveva tentato di vendicarsi, ma, il getto di farina che avevo prontamente schivato, finì addosso a un’innocente Esme che tentava di porre fine alla nostra piccola faida. Entrambi pensavamo che fosse finita lì, certi che Esme non avrebbe reagito... eravamo degli illusi. Con uno scatto repentino Esme rovesciò la farina addosso a uno strabiliato Edward, facendomi piegare dalle risate. Prima che la stessa sorte si abbattesse anche su di me, scatenando l’ilarità di chi aveva deciso di assistere alla nostra missione impossibile: cucinare.
Provai un piacere immenso mangiando quel pasto che c’era costato tanta fatica.  A un certo punto della cena mi resi conto che non avevo mai mangiato un piatto più buono, migliore di qualsiasi spuntino di alta cucina offerto a Volterra.
Ero in bagno, intenta ad asciugare i capelli che avevo dovuto assolutamente lavare, un sorriso perenne splendeva sul mio volto. Uscì dal bagno per rientrare in camera, con indosso i pantaloncini e una canottiera in cotone che utilizzavo per dormire. Ero con le mani sulla maniglia quando avvertì la presenza familiare di  Edward. Mi voltai e nello stesso istante il ragazzo uscì dal bagno. Era impeccabile come al solito, se non per i capelli ancora un po’ bagnati. Incrociò il mio sguardo e mi sorrise. Il mio cuore iniziò a battere forte e arrossì di botto. Mi sentivo non poco a disagio a stare di fronte a lui in pantaloncini. Fu troppo veloce per me, ma ebbi la sensazione che per un attimo mi avesse squadrato dalla testa ai piedi. Chinai il capo e quando alzai lo sguardo notai che Edward rimaneva immobile di fronte alla porta di una camera, doveva essere la sua stanza. Quando incrociai ancora il suo sguardo Edward sorrise e sussurrò: ≪Buona notte, principessa≫.
Rimasi interdetta per un attimo, prima di aprirmi in un sorriso timido e tanto dolce. Osservai i suoi occhi color miele e risposi: ≪Buona notte≫.
Dopodiché aprì la porta della mia camera e con dolcezza la richiusi alle mie spalle. Poggiai la schiena contro il legno bianco e sospirai, posando una mano sul mio cuore impazzito. Ora ne ero certa, avevo appena vissuto la giornata più bella della mia vita.  

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Capitolo 6
*** Ingiustizia ***


Buongiorno a tutti! Come avevo annunciato qualche capitolo fa, posto di mattina. Prossimamente dovrei riavere il pc, prima di quanto pensassi:-o e di riuscire perciò a mettere l'html(non prometto nulla sull'arrivo del pc). Sempre per questo motivo potrei non postare tutti i giorni, vorrei aspettare il pc. Se dovessi capire che x il pc ci vorrà ancora un pò, posterò come sempre. Tornando al capitolo, potremmo definirlo di passaggio, ma l'ultimo pezzo è molto importante x Bella, capiremo qualcosa in più sul significato della sua specie e di conseguenza sul suo carattere. Devo dire che io adoro il mio personaggio di Bella, che capirà cosa significa essere una prescelta soprattutto verso la metà della storia "il vivo" della narrazione... Non vedo l'ora di arrivare a quei cap:-D vi lascio al cap, grazie a chi segue e a chi recensisce.


Quella mattina avevo aperto gli occhi schiacciata da una consapevolezza assoluta e opprimente, la certezza di dover fare qualcosa che non avevo mai fatto prima: frequentare una scuola pubblica. Il cielo all’esterno era grigio, coperto da uno spesso strato di nuvole che mi rendeva claustrofobica. Eppure, mi resi conto di preferire il grigio perla di quella cittadina nebulosa al sole perenne e asfissiante di Volterra che con gli anni aveva assunto i caratteri cupi di una gabbia, una prigionia destinata a durare in eterno. Avevo passato diversi minuti davanti alla scorta infinita di vestiti che albergavano nel mio armadio. Avevo il sospetto che - a parte i Cullen - nessuno indossasse vestiti d’alta moda per le strade di Forks. Alla fine dovetti arrendermi al fatto che non possedevo nulla che non fosse unico o di marca, e dubitavo che Alice o Rosalie avrebbero potuto aiutarmi. Optai per dei jeans stretti firmati Dolce & Gabbana, un paio di ballerine nere di uno stilista sconosciuto e una maglietta blu di Dior. L’unica cosa che desideravo era passare inosservata. Speravo di non destare l’attenzione degli umani così che nessuno potesse accorgersi di quanto fossi strana. Ricordavo perfettamente le parole di Demetri prima che mi lasciasse andare. La riservatezza prima di tutto. Ed io avevo compreso che la riservatezza non era il mio forte. Anche il più piccolo dettaglio poteva farmi scattare. Mi chiesi se non fosse il caso d’indossare gli occhiali neri che avevamo comprato al centro commerciale. Da una parte ero certa che i Cullen mi avrebbero aiutato, ma, ancora una volta, mi sentivo impreparata ad affrontare la normalità. Indossai la giacca bianca di lana firmata Valentino e presi la borsa che conteneva i miei libri e gli orari delle lezioni. Presi un profondo respiro e lascia liberi i capelli di ricadere sulle mie spalle, in modo che mi coprissero il volto. Dopodiché scesi di sotto. Ero certa che l’ansia e l’insicurezza fossero leggibili sul mio volto. Era inutile che mi prendessi in giro, non avevo idea di come s’interagisse con gli umani. Ero certa che i miei occhi e i loro vedessero due mondi completamente diversi. In fondo avevo vissuto tutta la mia vita con dei vampiri. Il mio modo di fare e di essere era completamente differente rispetto a qualsiasi ragazza di diciotto anni. Ero molto più matura, avevo visto e vissuto cose che loro neanche immaginavano e che, probabilmente, avrebbero sconvolto le loro tranquille e brevi vite mortali. Forse sarebbe stato meglio non tentare l’esperimento. Forse avrei dovuto riconoscere che non sapevo controllarmi, che non sarei riuscita a integrarmi e rimanere a casa con Esme. Non era da me gettare la spugna, rinunciare senza neanche aver provato. Odiavo ammetterlo, ma avevo paura. Come una bambina il primo giorno d’asilo che teme il distacco dalla famiglia. Oramai non potevo tirarmi indietro: Carlisle aveva già fatto l’iscrizione. Avrei dovuto interpretare il ruolo di Isabella Evenson, come riportato sui miei documenti falsi, ragazza diciassette appena trasferita dall’Italia e presa in custodia dai Cullen, essendo nipote di Esme. Orfana dall’età di due anni avevo vissuto con i miei zii paterni prima di trasferirmi a Forks da zia Esme. Questo era quanto mi aveva detto Carlsile. Nessuno si sarebbe stupito più di tanto se i Cullen avessero adottato un altro ragazzo. Quando entrai in salotto notai immediatamente la figura esile della piccola Alice, affiancata da una Rosalie seria e annoiata e da un’Esme sorridente. ≪Ti stavamo aspettando, è ora di andare≫, trillò Alice.
 Il mio stomaco protestò con uno spasmo. Nonostante fosse vuoto sentì sopraggiungere un conato di vomito. Esme mi si avvicinò, preoccupata: ≪Tesoro, sei pallida. Forse dovresti mangiare qualcosa≫.
≪Non credo che sia il caso≫, sussurrai.
Esme aggrottò le sopracciglia, guardandomi apprensiva.
≪Sei sicura di farcela, non ha una bella cera?≫, commentò Rosalie, lanciandomi un’occhiata preoccupata.
≪Sì, ce la farà. Non è nulla di che. Non c’è motivo perché tu ti agiti≫. Alice mi cinse le spalle trascinandomi fuori dalla stanza. Rosalie ci seguì, sistemandosi al mio fianco. Pronta a sorreggermi in caso svenissi. ≪Carlsile ha detto che devi andarci cauta. Se ti senti prendere dall’ansia fai dei respiri profondi. Ok?≫, disse Esme, che ci aveva seguite.
Annuì.
≪Se non te la senti...≫, aggiunse, vedendomi incerta.
≪No, andrà bene. Spero soltanto di non farci uscire allo scoperto, di sapermi controllare. E soprattutto di passare inosservata, non voglio che comincino a girare voci su quanto sia strana la nuova ragazza Cullen≫.
≪Tesoro, siamo a Forks≫, chiarì Alice, ≪e poi tu non passeresti mai inosservata. E non sto parlando soltanto dei tuoi vestiti. Perciò niente panico. Andrai bene≫. Alice mi carezzò i capelli. Sorrisi, rincuorata dalle sue parole.
≪Grazie≫.
≪Comunque, vedi di non vomitare perché oggi viaggeremo con la mia cabriolet≫.
 Rosalie mi guardò truce. Nonostante il cipiglio di preoccupazione sul suo volto, rimaneva bellissima.
≪E poi vedrai che nessuno oserà guardarti se starai con noi. Imparerai presto che i ragazzi della Forks High School hanno un po’ di avversione verso i Cullen. Ci temono, inconsciamente≫, continuò Rosalie, aprendosi in un sorriso mozzafiato.
Rimasi sorpresa: chissà perché immaginavo che i Cullen godessero di una certa popolarità. La loro bellezza e la loro unicità evidentemente era considerata inquietante dagli studenti e non merito di lode e acclamazione. Dovevo perciò supporre che stare in compagnia dei Cullen mi avrebbe relegata nei gradini più bassi della piramide sociale scolastica. Non che m’importasse, ma non era certo il modo migliore per iniziare, essere additata come il nuovo mostro Isabella/Evenson/Cullen.
 Quando arrivammo all’esterno del garage dove i ragazzi ci attendevano tranquillamente poggiati alla Volvo, Esme iniziò a bombardarmi di raccomandazione. Ne persi la metà. L’unica che mi lasciò un po’ sorpresa fu quel: ≪E stai attenta ai giovani uomini≫, sovrastata da un’altra ondata di parole che sembravano scorrere a fiume dalla sua bocca.
Chissà cosa intendeva...
Forse nella modesta scuola di Forks c’erano ragazzi come il cameriere del fast-food. Speravo ardentemente di no. Il tatto e la pazienza non erano il mio forte.
Mentre, aggrappata ad Alice, attendevo che Rosalie portasse l’auto fuori dal garage tentai di pensare ai lati positivi. Avrei passato del tempo insieme ai Cullen, il ché era un bene. Lanciai un’occhiata fugace a Edward. Mi stava guardando, sembrava preoccupato. Eppure, quando incrociò il mio sguardo velato dal panico, si aprì in un sorriso rassicurante. In quel momento volevo più di qualsiasi altra cosa la sua vicinanza. Ero certa che mi avrebbe calmato, esattamente com’era successo all’aeroporto. Avrei preferito viaggiare nella Volvo insieme a lui. Non riuscì neanche a ricambiare il suo sorriso, arrossì e chinai il capo. Di positivo c’era che avrei passato del tempo anche con lui. La cosa che più di ogni altra mi preoccupava era il mio scarso controllo. Di solito, appena entravo in un ambiente estraneo, con persone sconosciute, utilizzavo la mia vista migliore per scandagliare ogni pericolo. Avvertivo prepotente il desiderio di analizzare tutte le volontà presenti in cerca di qualcosa di interessante o pericoloso. Così da essere pronta a ogni evenienza. Ma oggi non avrei potuto utilizzare questa mia risorsa supplementare. Avrei dovuto guardare le cose con occhi umani e sfocati, accontentarmi di un resoconto mediocre. Sarebbe stato fastidioso. Immediatamente il mio occhio destro acquistò la sua vista acuta e puntigliosa. Sapere di non poter utilizzare il mio sguardo mi portava a desiderare di farlo ancor di più. In ché era un guaio. Qualcosa che andava evitata. Riservatezza. Questa era la regola e io non potevo infrangerla. Jasper aveva ragione: ero come un neonato. Un vampiro appena nato diventava irritabile se non aveva il sangue che la sua gola tanto bramava. Ed io mi stavo irritando. Sentivo il desiderio di far esplodere qualcosa, tanto per scaricare un po’ i nervi. Mi concentrai sulla polvere che vorticava in garage, come le foglie che cadono dagli alberi, spinte dalla leggera brezza autunnale. Era bellissima. Non era affatto difficile per me raggrupparla. Adesso, sotto il mio controllo, la polvere danzava come in una coreografia di cui io ero l’artefice. Ero intrappolata da quello stesso spettacolo di cui io era il maestro, assolutamente affascinante. Qualcuno mi diede una gomitata nelle costole. Mi voltai di scatto, allontanando lo sguardo dalla polvere che si disperse nuovamente nella stanza, finalmente libera dal mio controllo. Alice mi guardava, nei suoi occhi un misto comico di ammirazione e disapprovazione.
≪Scusate≫, mormorai, guardandomi intorno. Dopo essermi accorta degli sguardo sbalorditi degli altri che avevano assistito al mio spettacolo.
 Emmet rise: ≪Sei una combina guai ragazza. Aro aveva ragione≫. Arrossì. M’incamminai verso l’auto, affiancata da Alice. Passando Emmet mi scompiglio i capelli. In quel frangente incontrai lo sguardo divertito di Edward. Ricambiai il suo sorriso meraviglioso.
Sfrecciavamo noncuranti degli sguardi dei passanti per le strade di Forks. Io mi sentivo un po’ a disagio in quell’auto così appariscente; non sarei mai riuscita a passare inosservata. La cittadina sembrava tranquilla, ma non c’era nessuno che non lanciasse sfacciatamente uno sguardo alle auto dei Cullen.
Arrivare a scuola fu nello stesso tempo un sollievo e un motivo d’ansia. L’edificio, come ogni altra casa della zona, era immerso nel verde. Una foresta delimitava il piccolo parcheggio della scuola. Guardando gli altri mezzi capì che le auto dei Cullen erano le più lussuose. La maggior parte dei veicoli che affollavano il parcheggio erano dei pick-up e molte auto di seconda mano. La campanella non era suonata e c’erano molti ragazzi ancora nel parcheggio. Parlavano con gli amici, alcuni si affrettavano a concludere qualche compito che avevano tralasciato il giorno prima, appoggiandosi comicamente alla’auto, altri si affrettavano ad entrare, pensando di essere in ritardo. Non avevo mai visto così tanti ragazzi umani prima dall’ora. I loro volti sembravano pacifici e sicuri. Nulla che tormentasse amaramente le loro vite. Il nostro arrivo non passò inosservato, come temevo. I ragazzi nel parcheggio abbandonarono qualsiasi cosa stessero facendo e strabuzzarono gli occhi davanti alla cabriolet rossa fiammante. Rosalie sorrise compiaciuta. Io mi coprì il volto con i capelli per evitare di essere vista. Quando l’auto si arrestò, alzai gli occhi, ansiosa. Alice mi carezzò la schiena, sorridendomi. Presi un lungo e profondo respiro e all’unisono io, Rosalie ed Alice uscimmo dall’auto. Ispirai, catturando tutti i nuovi profumi che mi circondavano. Attendemmo che anche i ragazzi fossero scesi dall’auto e li affiancammo. Mi rifiutavo con tutta me stessa di guardarmi intorno. Con un gesto automatico e per me naturale, mi portai al fianco di Edward. Mentre Alice aggrappata a Jasper mi proteggeva sull’altro fianco. La vicinanza a Edward riuscì a calmarmi. Mi sentivo protetta nella nostra bolla. Il ragazzo mi sorrise e mi affiancò.
 Eravamo così vicini che avvolte sfioravo senza accorgermene il suo giubbino leggero. In fine, forte della protezione dei Cullen, alzai lo sguardo e quello che vidi fu molto peggio di qualsiasi cosa avessi immaginato. Gli stessi sguardi che avevano desiderato l’auto lussuosa di Rosalie adesso erano puntati su di me. Analizzavano la mia figura come se anche loro fossero dotati di un potere di persuasione. I ragazzi si davano delle gomitate a vicenda, le ragazze bisbigliavano e ridacchiavano. Sentivo il mio cuore battere forte. Mi nascosi a fianco di Alice. Non avevo mai sentito così forte il desiderio di utilizzare il mio sguardo infernale. Avvertivo le aure dei presenti, nulla che potesse realmente catturare la mia attenzione o destare la mia preoccupazione. Non c’era nessun pericolo, niente per cui io dovessi sentirmi ansiosa...
 Passai una mano sulla mia fronte, nel tentativo di scacciare quel fastidioso strato di sudore freddo che la imperlava. Non riuscivo a rallentare i battiti del mio cuore, né l’intensità del mio respiro. All’ improvviso avvertì delle dita gelide stringere la mia mano. Riconoscevo quel tocco, lo stesso che aveva lasciato un immenso vuoto, una scia di ghiaccio bollette sulla mia pelle quando si era allontanato, in quel pomeriggio di sole. La solitudine non mi aveva mai spaventata, era diventata anzi una compagna di vita. Eppure, in assenza del suo contatto avevo avvertito una strana sensazione di costrizione al petto, la dove batteva il cuore. Mi voltai e incrociai lo sguardo di Edward. I suoi occhi erano dolci, caldi, ricchi di meravigliosi incoraggiamenti. Mi sorrise, ma il suo sguardo era serio, intenso e scrutava il mio volto. In quel momento rividi la stessa preoccupazione che mi aveva incuriosita all’aeroporto. E capì. Io stessa, il giorno prima, colpita dalla sua tristezza avevo tentato di rincuorarlo con il semplice contatto della mia mano. Che avesse sentito il mio stesso, impellente bisogno?
 Non capivo il perché l’avesse fatto, ma la sua mano stringeva la mia e del resto non m’importava. Il suo contatto era in grado di donarmi sensazioni che non avevo mai avvertito nei miei diciotto anni di vita. Non riuscivo a paragonarli con nient’altro. Eppure, la sua anima bellissima e luminosa si specchiava nei miei occhi color cioccolato, il desiderio di controllare le volontà presenti e analizzarle con la mia vista migliore era sparito. Avvertivo soltanto la magia del suo contatto. Con naturalezza strinsi le mie dita tra sue, calde e fragili contro quello di Edward, forti e fredde, e camminammo così, mano nella mano. Non m’importava nulla degli altri, né dei bisbigli e dei risolini, né delle occhiate truci degli studenti, gli invidiosi, che osservavano la bellezza dei Cullen senza riuscire a cogliere la loro vera essenza. Niente riusciva a rassicurarmi coma la vicinanza di Edward, per non parlare del suo contatto. Quella semplice stretta di mano aveva unito i nostri corpi, le nostre anime, allacciandole. La sua volontà mi apparteneva, il suo coraggio mi dava forza.
Compatti in un fronte unito, entrammo nell’edificio grigio. Sui volti degli studenti che mi permettevo di osservare c’era noia, soprattutto. Alcuni sbadigliavo, ancora assonnati. Per loro era tutto così monotono e insignificante. Mentre per me era tutto così nuovo. Mentre pian piano scioglievo la tensione e, tranquillizzata dal tocco ghiacciato della mano di Edward, mi permettevo di alzare gli occhi sull’ambiente che mi circondava, trovavo qualcosa di affascinante. Leggevo la poesia di generazioni e generazioni su quelle pareti gialle e scolorite, la muffa evidente nelle zone più alte. Ascoltavo quasi con emozione lo sbattere degli armadietti depositati alle pareti e il vociare dei ragazzi. Mi feci sempre più audace, al punto di guardare non troppo velatamente gli studenti che ci osservavano circospetti. A un tratto, incrociai lo sguardo sbalordito di un ragazzo dal volto paffuto e i capelli biondi. Aveva l’aria di essere un classico bravo ragazzo. Gli lanciai un’occhiata veloce da sotto, per poi scostare velocemente lo sguardo. Lo vidi scuotere la testa con decisione e mi sfuggì un sorriso.
Udì la risata cristallina di Alice: ≪Vedi, non è così difficile≫. Le restituì un sorriso ampio e tranquillo.
≪Però smettila di abbagliare i poveri ragazzi innocenti della Forks High School, non è carino≫, disse schernendomi e circondandomi le spalle con un braccio minuto.
Arrossì e chinai il capo.
Con la mano che non era intrecciata a quella di Edward cercai tra il disordine della mia borsa l’orario delle mie lezioni.
≪Cos’hai alla prima ora≫, chiese Alice.
≪Uhm... letteratura inglese≫.
≪Allora starai con me≫.
≪Be’, è già qualcosa≫, mugugnai.
Alice annuì.
Quando la campanella suonò, ci dividemmo. A malincuore dovetti lasciare la mano di Edward; mi sentì ancora una volta persa. Il suo sguardo era indecifrabile, eppure, per un attimo, un istante, nelle profondità dei suoi occhi ambrati lessi lo stesso panico che aveva attanagliato il mio cuore il giorno prima. Sospirai e mi voltai in direzione di Alice. Mi scrutava con preoccupazione, il suo volto, per la prima volta da quando la conoscevo, aveva assunto serietà e compostezza. Non capì il perché della sua espressione e non feci domande. Insieme ci dirigemmo verso l’aula. Mi sentivo elettrizzata e anche spaventata, per ovvie ragioni. Quando entrammo in aula sentì i loro sguardi puntare il mio volto. Mi concessi una rapida occhiata alla stanza prima di dirigermi dal professore per fargli firmare i moduli che mi aveva consegnato Carlsile il giorno prima. L’insegnante mi squadrò con una curiosità non inferiore rispetto a quella dei suoi alunni e mi sorrise, leggermente impacciato, prima di ricomporsi e aggiustare distrattamente il nodo della cravatta. Lo vidi schiarirsi la gola. Evitai di ridergli in faccia: non sarebbe stato un buon inizio. Con naturalezza analizzai la sua volontà. Era un tipo tutto fumo e niente arrosto. ≪Lei deve essere la signorina Evanson, ben venuta a letteratura. Occupi un posto e tenti di seguire la lezione. Se dovessero esserci dei problemi si rivolga pure a me≫.
 Annuì e mi mossi lungo il corridoio che divideva l’aula in due ali distinte di banchi e posti a sedere. Mi guardavano come se fossi un premio della lotteria, oppure un pezzo di torta, soprattutto i ragazzi. In quel momento ricordai la raccomandazione di Esme, che intendesse questo? Quando raggiunsi il posto vuoto di fianco ad Alice tirai un sospiro di sollievo. Mi sedetti, estraendo i miei libri e mi accorsi del buonumore della mia amica.
≪Sono davvero contenta che tu abbia deciso di venire a scuola con me≫, trillò felice, a bassa voce perché l’insegnante aveva già iniziato la lezione.
Le sorrisi.
≪Sono felice anch’io di aver accettato, tutto sommato. Non sembra male. Mi piace≫, decisi.
Alice mi abbagliò con un sorriso. Ogni tanto mi guardavo intorno e incontravo sempre lo sguardo di qualche alunno che mi guardava non troppo velatamente, per non parlare delle occhiate fugaci che lanciava il resto dei ragazzi nell’aula. L’insegnate stava parlando di cime tempestose, un libro che avevo letto e riletto, non era necessario che seguissi la lezione con concentrazione. Dubitavo che avrei potuto apprendere qualcosa che già non conoscessi. Avevo avuto i migliori insegnati del mondo, molti dei quali avevano vissuto nella stessa epoca di scrittori famosi - che poi sarebbero divenuti materia di compiti ed esami - e guerre importanti, conservandone dei ricordi indelebili.
≪Bella≫, mi chiamò Alice in un sussurro.
La guardai.
≪Posso farti una domanda?≫, chiese con estrema concentrazione e forse anche un filo di imbarazzo, cosa che mi sorprese non poco.
≪Certo≫, bisbigliai.
≪Cosa c’è tra te e mio fratello Edward?≫.
≪Cosa?≫, chiesi con voce un po’ troppo alta.
L’insegnate ci lanciò un’occhiataccia.
≪Shhh, non urlare≫, mi ammonì lei.
≪Che razza di domande sono, Alice≫.
≪Domande semplici≫, rispose come fosse ovvio.
 ≪Perché lo chiedi?≫.
≪Vi ho visti, quando state insieme sembrate... diversi. Più felici≫.
Riflettei sulle sue parole. Era così che apparivamo ad uno sguardo esterno? Probabile. Quando stavo con lui mi sentivo bene, al sicuro. Le emozioni che la sua vicinanza mi scatenava erano bellissime ma per me incomprensibili. Era forse felicità? Non potevo dirlo con assoluta certezza perché non l’avevo mai provata prima, e non sapevo come ci si sentisse ad essere felici. Inoltre c’era un altro punto da valutare: Edward. Era possibile che sentisse le stesse cose che provavo io? Lui certamente doveva avere le idee più chiare di me. Io non avevo mai provato nulla di quello che stavo sentendo in questi giorni: meraviglia, per le mie nuove scoperte, sicurezza, sincero affetto e stima, felicita?
Era tutto troppo incerto, perciò la mia risposta fu: ≪Non lo so≫.
≪Amicizia, credo. Non ho le idee molto chiare su questi... legami≫.
 Alice scosse energicamente la testa.
≪Io non penso che sia semplice amicizia, voi due...≫.
 La bloccai prima che potesse dire qualsiasi altra cosa, Alice non sapeva, ma io sì. E non potevo permettermi di provare niente per nessuno, la felicità non era contemplata nel mio futuro e nel mio destino e certamente non volevo far pesare i miei problemi a qualcuno, tantomeno ad Alice o ai Cullen.   
≪Alice, quello che stai dicendo è impossibile≫.
≪Perché≫, chiese, strabuzzando gli occhi.
 Nella sua voce la sorpresa per il tono soffocato della mia. Mi strinsi le braccia intorno al petto. Sentivo lo stesso dolore che, quella notte a Volterra, mi aveva scosso fino al mattino successivo. Quello stesso dolore che mi aveva portato a cercare la morte, salvo poi riprendermi e capire che stavo per fare una sciocchezza.
≪Bella?≫, mi chiamò.
≪Fa troppo male, parlarne. Ti prego, Alice≫, la implorai cercando la sua comprensione.
 Sentì Alice trattenere il respiro, mentre io stringevo convulsamente le braccia intorno al petto, nel tentativo di riprendermi. Le sue mani forti come l’acciaio mi costrinsero a sciogliere la mia posa aggroviglia. Mi strinse la mano tra le sue e sorrise dolcemente: ≪D’accordo. Scusami se ne ho parlato≫.
≪Non fa nulla. E’ colpa mia. Mi piacerebbe parlarne con qualcuno, ma ancora non me la sento≫, tralasciai di dire che non lo avrei mai fatto per le ragioni sopra citate.
≪Va tutto bene tesoro, tranquilla. Io sono qua, se vorrai parlarne ti ascolterò. Siamo amiche≫.
Rimasi un attimo sconcertata davanti quella dimostrazione d’affetto. Sapevo che io ed Alice eravamo amiche, ma quella notte a Volterra avevo pensato che mai nessuno sarebbe stato disposto ad ascoltare le mie mute urla di dolore e la mia silenziosa invocazione d’aiuto. Forse... forse qualcuno c’era.
≪Sì, lo siamo. Sei la prima amica che ho. La migliore che potrei mai avere≫, e mi stupì di quanto quelle parole fossero vere, e non una semplice frase fatta, e di quanto fiera fossi di poterlo dire. Avevo un’amica: Alice Cullen.
Alice mi abbagliò con un sorriso luminoso. Ci guardammo a lungo negli occhi.
D’un tratto il professore le rivolse una domanda che io non avevo sentito. ≪Signorina Cullen?≫. Alice si voltò per rispondere all’insegnate, non abbandonando la mia mano. La tenne stretta tra le sue per tutta l’ora. Sì, era davvero la mia migliore amica.
La prima ora di lezione passò in fretta, molto più velocemente di quanto avrei potuto sperare. Non condividevo altre lezioni con Alice, perciò avrei dovuto cavarmela da sola. La vicinanza della mia migliore amica rendeva le ore di scuola persino divertenti, ma adesso che non avrei avuto lei al mio fianco avrei dovuto affrontare sguardi curiosi e bisbigli da sola. Il ché mi rendeva un po’ ansiosa. Sconsolata lasciai che Alice raggiungesse l’aula di Francese, che si trovava dall’altro lato dell’istituto, e m’incamminai per raggiungere la lezione di Trigonometria. Recuperai la cartina dell’edificio dalla mia borsa e mi concentrai per seguirne le istruzioni. Sarebbe stato molto più semplice ordinare a qualcuno di accompagnarmi, ma ricordavo con esattezza le parole di Demetri: non dovevo utilizzare i miei poteri se non in caso di assoluta emergenza.
≪Sei Isabella Evenson?≫, incuriosita dalla voce stridula che aveva pronunciato il mio nome con timore, alzai lo sguardo. M’imponevo con tutta me stessa di non tentare di analizzare la volontà che mi stava di fronte, ma non era facile. Mi rassicurai, intuendo, senza bisogno di utilizzare la mia vista migliore, che la volontà della ragazza dai capelli ricci e gli occhi vispi che mi scrutava nel dettaglio, non era nulla d’interessante o che potesse minimamente sfiorare i confini della mia infinita curiosità. Impiegai più del dovuto per rispondere alla sua domanda, chiedendomi se ci fosse un secondo fine o uno scopo preciso per la sua vicinanza. Sembrava semplicemente curiosa di conoscere la nuova ragazza, magari era in cerca di qualche pettegolezzo; dovevo riconoscere che aveva coraggio. O forse era semplicemente la sua curiosità a spingerla a tanto.
≪Si≫, assentì.
Continuai a fissarla, in attesa che aggiunse dell’altro. Visto che tardava a rispondermi mi chiesi se non si aspettasse che io aggiungessi qualche altra cosa alla sua semplice domanda, ma che pure nascondeva un segreto che nessun essere umano avrebbe mai dovuto conoscere.
≪Oh≫, esclamò.
≪Be’, io so... sono Jessica. Jessica Stenley≫.
≪Piacere di conoscerti≫, dissi, continuando a camminare.
Forse avrei dovuto porgerle la mano.
≪Mi chiedevo... sì, ecco, quale fosse la tua prossima lezione≫.
Mi sembrava un modo abbastanza umano per cominciare una conversazione. La ragazza che adesso mi camminava affianco si comportava in modo genericamente corretto nei miei confronti. Evidentemente non le incutevo lo stesso terrore che i Cullen suscitavano negli umani. Forse mi vedevano più umana rispetto a loro. Non immaginavano minimamente che potevo essere molto più pericolosa di un branco di cinque vampiri. Chissà cosa avrebbe letto Edward nei suoi pensieri se fosse stato al mio fianco, in quel momento... sentì qualcosa muoversi nel mio stomaco. Non era dolore, né il classico brontolio della fame. Era qualcosa che mi rendeva totalmente soddisfatta ed appagata. Come se avessi davvero mangiato tutto il cibo racchiuso nella dispensa di Esme.
≪Trigonometria≫, risposi, ricordandomi improvvisamente della domanda di Jessica.
≪Anch’io, possiamo andarci insieme≫.
≪Grazie≫, dissi.
≪Apprezzo il tuo aiuto. Così posso evitare di camminare con la mappa in mano≫.
≪E’ un piacere≫.
 Seguì Jessica fino all’aula di trigonometria, mi avrebbe riservato il posto al suo fianco, essendo uno dei tavoli ancora liberi. L’insegnate mi presentò alla classe, dopo aver firmato i miei moduli. Fu breve e in dolore, tirai un sospiro di sollievo quando mi sedetti di fianco a Jessica. La ragazza non era rassicurante come la mia Alice, sembrava impaziente. Avevo capito che aveva tentato in tutti i modi di trattenersi dal farmi domande durante il tragitto, adesso si sarebbe sbizzarrita. Mi preparai alla recita e nell’istante in cui l’insegnate iniziò a spiegare, Jessica mi chiamò sottovoce, nel tentativo di catturare la mia attenzione.
Dover salutare la ragazza fu un sollievo. Avevo compreso, nel poco tempo che avevamo trascorso insieme, che non era necessario rispondere o starla ad ascoltare, bastava semplicemente annuire e fingere di essere interessati per renderla contenta. Durante le ore successive di scuola incontrai altri ragazzi umani molto coraggiosi. Si avvicinavano a me e si presentavano. Conobbi il ragazzo dai capelli biondo cenere e gli occhi azzurri che avevo incontrato in corridoio. Era davvero un bravo ragazzo, come avevo supposto, anche se mi pentì immediatamente di quell’occhiata. Sembrava così speranzoso, avvertì un immediato senso di colpa. Durante una lezione incontrai anche la ragazza umana più gentile che avessi mai conosciuto - l’unica che avessi mai conosciuto. Era una persona riservata, tranquilla. Non sprecava parole inutili e concentrava la sua attenzione sulle cose importanti. Parlammo a vicenda delle nostre famiglie, non riuscì mai ad essere realmente sincera con lei anche se tentavo di avvicinarmi il più possibile alla verità delle cose. Le spiegai quanto fossero severi i miei zii paterni e quanto fossero incredibili i Cullen. Angela, così si chiamava, si mostrò gentile anche nei loro confronti e questo le fece guadagnare dei punti. A differenza di Jessica e Mike, non provava alcun risentimento nei loro confronti. Evitai le domande sul mio conto e la feci parlare dei suoi fratellini più piccoli e dei suoi genitori. Il pastore Weber e signora.
Incontrai Mike, Jessica e Angela a diverse lezioni e presto le loro aure divennero familiari, le riconoscevo con più facilità. Magari questo mi avrebbe aiutato ad evitare la petulante ragazza dai capelli ricci, non volevo essere scortese con lei, ma era insopportabile.
Per un attimo sentì la mancanza di Jane.
Nonostante tutto notai con piacere che le mie paure erano infondate. Non era stato difficile integrarsi, né interagire. Bastava soltanto un po’ di pratica. I Cullen non venivano accettati perché non tentavano di farsi accettare. Ma io, la prescelta, metà mortale, metà immortale, esercitavo un certo fascino sugli adolescenti, forse sulle persone in generale. A differenza dei Cullen il mio essere diversa li affascinava, anziché spaventarli. Ne ero contenta in un modo un po’ capriccioso. Alice aveva ragione: non dovevo preoccuparmi di nulla.
 L’arrivo della pausa pranzo fu causa di un sollievo incalcolabile. Naturalmente Mike e i suoi amici m’intercettarono. Durante il tragitto osservai attentamente Jessica, pendeva dalle labbra di Mike, ridendo anche a battute niente affatto divertenti. Sembrava che Mike non se ne accorgesse, eppure era lampante. Non avevo bisogno dei poteri di Jasper o di Edward per capirlo. La comitiva mi circondava. Mi sistemai con insofferenza al fianco di Angela, che tra loro era quella che preferivo. Notai che Angela lanciava spesso degli sguardi a uno dei ragazzi della nostra compagnia, mi pareva si chiamasse Ben. Non era difficile comprendere neanche ciò che stava succedendo ad Angela. Osservai con piacere che anche Ben sembrava avere una certa attrazione verso di lei. Mi ritrovai a sperare che il loro amore sbocciasse, lo meritavano entrambi. Mike, Eric e Taylor, invece, parlavano soprattutto con me, scatenando l’irritazione e la gelosia di Jessica e Loren. Non mi piaceva essere al centro dall’attenzione e dover sopportare le occhiate truci delle due ragazze invidiose. Non amavo essere messa su un piedistallo. Mi concentrai su Angela e Ben. Erano entrambi così timidi e carini. Forse, pensai, un piccolo strappo alla regola per una buona causa non avrebbe fatto male a nessuno. Decisi che era il momento giusto di mettere in atto il mio piano. In un istante in cui Angela era impegnata a parlare con Jessica mi avvicinai a Ben e sussurrai: ≪Parla con Angela≫. La mia voce, il timbro suadente e irresistibile, risuonò con il tono dell’ordine, l’incantatore di serpenti. Chinai la testa, nel tentativo di nascondere il momentaneo cambiamento dei miei occhi.
≪Penso che lo farò≫, sussurrò il ragazzo.
Lo vidi avvicinarsi ad Angela e iniziare una conversazione. Quel suo “improvviso” scatto di coraggio lasciò sorpresa la ragazza, ma sembrò felice. Sorrisi. Lo sciolsi dal suo obbligo, volevo che fosse se stesso. Ero certa che sarebbe andato tutto per il meglio. In fondo, avevo soltanto velocizzato le cose. Prima o poi sarebbe successo. Quando fummo nella caffetteria, il mio primo pensiero corse ai Cullen. Volevo, anzi, avevo bisogno, di guardare la dove saprei che li avrei visti. Alice, Edward... sentivo le loro presenze chiare e limpide, nonostante la mensa fosse affollata. Eppure, non riuscì a lanciare loro neanche uno sguardo. Mike catturò la mia attenzione, trascinandomi al bancone e illustrandomi nei minimi dettagli la cucina “d’alta classe” della mensa. Mi mostrò quando le pietanze erano fresche e cosa non mi conveniva mangiare, gesticolando sulle conseguenze in caso lo avessi fatto. Guardai le pietanze, nonostante il mio stomaco fosse vuoto dalla sera precedente, non avevo fame. Ancora una volta avvertivo quella sensazione nello stomaco; mi sentivo appagata, piena.
≪Forse Bella non apprezza questi pranzi modesti, non sono certamente al livello dell’alta cucina Italiana≫, insinuò Loren.
Alzai involontariamente un sopracciglio a quello che doveva essere un commento velenoso della ragazza e ancora una volta fui felice di aver dovuto trascorrere la maggior parte della mia vita a sostenere schermaglie e conversazioni poco gentili con la sadica vampira...  
Avevo corretto tutti, pregandoli di chiamarmi Bella, anziché Isabella. E quel tono nasale che era la caratteristica dominante nella voce della ragazza m’infastidiva. Decisi di rispondergli per le rime.
≪Hai ragione Loren, la classe non è per tutti≫.
Il volto della ragazza divenne verde giada. Vidi Angela sogghignare. Mi avvicinai alla cassa e presi una bottiglia di limonata. Iniziai ad allontanarmi, decisa ad andare dai Cullen.
≪Bella, puoi mangiare con noi≫.
 Quella di Mike era una proposta, ma sembrava più che altro una supplica. Mi voltai e gli sorrisi: ≪Mi dispiace Mike, ma pranzo al tavolo dei Cullen≫.
Dopodiché mi voltai e finalmente i miei occhi incrociarono i sorrisi dei ragazzi Cullen. Sedevano a un tavolo vicino alla finestra, immobili e bellissimi. Spiccavano con la loro unicità e perfezione in quella stanza grigia e affollata, come sarebbero stati notati degli angeli all’inferno. Il mio sorriso si allargò. Con naturalezza, senza curarmi degli sguardi che mi osservavano circospetti, mi avvicinai al loro tavolo, con passo svelto ma aggraziato. Desiderosa di raggiungere... la mia famiglia. Alice poggiava la testa sul petto di Jasper, che la stringeva a se protettivo, carezzandole i capelli. Emmet e Rosalie parlavano sottovoce e Edward... lui più dei suoi fratelli appariva fuori luogo. Come un angelo seduto tranquillamente nella caffetteria di una scuola pubblica, in un luogo impensabile. Impossibile che non destasse sospetti! Com’era possibile scambiarlo per un essere umano? Le sue labbra si curvarono in un sorriso. Sembrava divertito per qualche strana ragione che non comprendevo. Lanciò un veloce sguardo alle mie spalle, prima d’incontrare i miei occhi. Affrettai il passo e fui immediatamente da loro. Alice picchiettò soddisfatta sul posto al suo fianco. Tra lei ed Edward. Chissà perché avevo l’impressione che l’ordine dei posti non fosse casuale.
≪Com’è andata≫, chiese Alice.
≪Abbastanza bene, a dire il vero≫, risposi.
 ≪Ottimo, avrei voluto tenerti d’occhio, per essere certa che non incappassi in qualche problema, ma quando provo a vedere il tuo futuro, non c’è altro che buio. E ho notato che, quando qualcun altro è con te, il suo futuro non sparisce. Semplicemente tu non ci sei, come se non fossi lì. Il ché mi irrita parecchio≫.
≪Tranquilla, non ho dato fuori di testa≫, la rassicurai, aprendo la lattina di limonata.
≪Nessuno si è accorto di quanto io sia strana. Sono stata impeccabile. Non ho utilizzato alcun potere supplementare≫. Quasi, mi corressi mentalmente, sorridendo.
≪Speravo in qualche scandalo≫, sbuffò Emmet.
≪Mi hai fatto perdere la scommessa. Eri così terrorizzata che...≫,Rosalie gli diede una gomitata nelle costole.
≪Mi dispiace deluderti, progetterò una strage se ciò ti farà sentire meglio≫, commentai.
≪Così mi piaci≫, rispose.
Sorrisi, portando alle labbra la bottiglia di limonata. Mi guardai intorno, osservando con attenzione ogni volto nella stanza. Rimasi stupida osservando quanti sguardi fossero puntati al nostro tavolo.
≪Pensavo che nessuno prestasse attenzione ai Cullen≫, mormorai.
 ≪Deve essere a causa tua≫, rifletté Jasper.
≪Ho notato...≫, continuò pensieroso, ≪che hai una certa attrazione sugli umani. Il fascino che emani non gli è indifferente≫.
≪Mi piacerebbe ascoltarti di persona, ma dovrò limitarmi a percepire ciò che sentono gli altri. La tua vicinanza dà loro un senso di pace e sicurezza. Perciò ti gravitano attorno senza neanche accorgersene. Penso sia a causa del tuo potere di persuasione≫.
≪In effetti gli umani sono molto più facili da influenzare dei vampiri. Non c’è neanche bisogno che io mi concentri per controllarli≫.
 Lo notavo adesso per la prima volta, non avendo mai avuto occasione di controllare un essere umano.
≪Più stai loro vicino, più il tuo potere di seduzione aumenta≫, rifletté ancora, lanciando uno sguardo pensieroso ai miei nuovi amici.
≪Sembra che sugli uomini l’attrazione sia maggiore≫, sorrise ironico. Osservai i ragazzi che avevo conosciuto aggi, Mike, Taylor, Eric - notando con soddisfazione che Ben prestava tutta la sua attenzione a Angela. Distoglievano raramente lo sguardo dal nostro tavolo.
Arrossì e mi voltai.
≪Penso che tu abbia ragione Jasper, in fondo io sono questo. La mia razza... i prescelti nascono per portare la pace. Noi non siamo fatti per la guerra. Io esisto perché nel mondo ci sia un equilibrio. Il mio obbiettivo, il sogno della mia razza, il mio sogno e che tra tutte le creature, un giorno, ci sia parità e amore. Niente più lotte per il potere o per il territorio. Io dovrei evitare la guerra tra vampiri, licantropi, mutaforma. Comincio a chiedermi se non sia sbagliato che io mi nasconda, quando il mio compito e d’impedire ciò che sta avvenendo sotto i miei occhi. Io sono la diplomazia e dovrei procedere per vie diplomatiche. La mia razza è l’emblema della pace e ora, la mia stessa esistenza, è causa di guerre e spargimenti di sangue≫.
 La mia improvvisa dichiarazione lasciò tutti sorpresi. Nel mio cuore c’era ansia, senso di colpa, insoddisfazione. Ciò che stava succedendo, ciò da cui ero fuggita era tutto ciò che avrei dovuto evitare. I Vampiri che stavano combattendo per me, tutti i Licantropi che, per vendetta, desideravano i miei poteri, erano stati uomini. I licantropi, lontani dall’effetto della luna piena, lo erano ancora. Perché dovevano morire? Perché non potevano vivere in pace? Dov’era la giustizia che tanto vantava Aro in tutto questo? Accettavo che uccidessero per sfamarsi, ma non per me. Ogni creatura era preziosa, nessuno meritava la morte. Gli animali grandi uccidevano quelli più piccoli. Le persone uccidevano gli animali. I vampiri uccidevano le persone, tranne qualche rara eccezione. Ma questo era il ciclo della vita. Le morti di cui io sentivo il peso fin dentro la mia anima erano inutili. Ogni vita strappata, quella degli amici e dei nemici, era un dolore per me. Il mio cuore era in mille pezzi. I prescelti sentivano su di essi il peso del mondo e lo sostenevano. Io non riuscivo ad essere degna della mia razza. Mi nascondevo. Se fossi andata via con i Volturi, se mi avessero concesso l’opportunità di parlare con i Licantropi, forse...
≪Non credo che tu abbia ragione, Bella≫, mi corresse Jasper.
≪Da quanto ci hai detto, i prescelti devono mantenere la pace. E’ non può esserci pace se qualcuno pensa di sfruttarti per vendetta. I licantropi sono una razza malsana, ora più di prima. La pace è la vittoria del bene sul male. Ed evidentemente i Licantropi sono il male.≫.
≪Questo è il punto di vista di un soldato Jasper. Ma io non la vedo così. Nessuna razza è malvagia. C’è sempre qualcosa di buono, negli umani, nei vampiri, nei licantropi... se io fossi stata in grado di mantenere la pace, tutto questo non sarebbe successo. Se fossi stata all’altezza dei miei avi anziché nascondermi, tutto questo non sarebbe successo. Non c’è bene nello sterminio di una razza. La vittoria del bene è riuscire a salvare ogni razza dalla perdizione e dall’estinzione. Non c’è alcuna giustificazione in una guerra, qualunque sia il fine che intende raggiungere≫.
 Il peso della verità nelle mie stesse parole era opprimente. Nessuno replicò nulla, la nostra conversazione fu interrotta dal suono della campanella. Alice mi carezzò i capelli: ≪Qual è la tua prossima lezione?≫.
≪Biologia e poi educazione fisica≫.
≪Allora starai con Edward≫, esclamò entusiasta. Lanciai uno sguardo al ragazzo.
 Il suo sorriso era raggiante, eco del mio. Sentivo il bisogno della sua vicinanza. Avrei voluto poter stringere ancora la sua mano, sentirmi forte della sua stessa forza, ma non volevo approfittarne e rischiare un suo rifiuto. Mi limitai ad avvicinarmi al suo fianco e mi sentì immediatamente sommergere dalla sua luce. Tutta l’ansia sparì e il mio cuore si riempì di gioia. Ogni mia paura si era dissolta, sciolta dalla sua luce come la neve al sole. Alice ci sorrise, lanciando una strana occhiata la fratello e così ci allontanammo. Prestai pochissima attenzione agli sguardi sconsolati dei ragazzi che speravano di potermi accompagnare. Le mie attenzione erano tutte per Edward e le sensazioni che stavo provando. Desideravo incapsularle in una parte della mia mente e del cuore, così da non dimenticarle mai. Neanche quando fossimo stati lontani. A quel pensiero sentì una fitta acuta nel petto. Era dolore. Un dolore insopportabile.
≪E’ stato un bel gesto≫.
 La voce cristallina e vellutata di Edward mi fece rinsavire. Lo guardai: avevo bisogno di specchiarmi nei suoi occhi per dimenticare i miei brutti pensieri e il dolore appena scoperto, ma che sentivo come già parte di me. Edward mi sorrise. E io rimasi affascinata dalla dolcezza dei suoi occhi d’ambra. Erano così belli. Chissà quanto mi sarebbero mancati. Anche Edward mi scrutò con attenzione. La sua espressione indecifrabile. Allontanai lo sguardo scuotendo la testa. Non potevo permettermi di amare la sua anima più di quanto già non facessi. Non potevo farmi prendere in quella maniera da lui, era... impossibile.
≪Cosa intendi?≫, chiesi. Edward rispose dopo un istante di pausa che mi parve lunghissimo.
≪Quello che hai fatto per Angela e Ben≫.
 Le sue parole mi costrinsero a voltarmi nella sua direzione, curiosa. Il tono della sua voce era cambiato. Era più distaccato eppure riuscivo a leggere, nelle incrinature roche della sua voce, la disperazione. Non mi stava guardando, i suoi occhi erano fissi davanti a se.
≪Ho letto nella mente di Ben: è rimasto sorpreso dal suo improvviso desiderio di parlare con Angela. E anche nei pensieri della ragazza c’era della sorpresa. Mi è bastato osservare il tuo volto mentre parlavi con Alice e ho ricollegato tutto. Sto diventando bravo, sai? Non posso leggerti nel pensiero, ma ho bisogno di sapere cosa stai pensando, sempre, in qualche modo... non mi rimane che osservare≫.
 Fui abbastanza codarda da non chiedergli il perché di quel suo bisogno, spaventosamente simile al mio.
≪Angela è la ragazza più gentile che abbia mai conosciuto e anche Ben è un bel tipo. Ho pensato di dargli una mano≫, sussurrai.
≪Vedi≫, disse. Il tono della sua voce era improvvisamente cambiato, ritornando dolce e vellutato.
≪Sei una ragazza... una prescelta meravigliosa. Tu fai del bene, tu porti l’amore, lo fai sbocciare. Sei in grado di rendere le persone felici. Una volta qualcuno mi ha detto che. non dovevo mai dubitare di me stesso. Segui quel consiglio, principessa≫.
 Si voltò per sorridermi prima di entrare in classe e dirigersi, impassibile e bellissimo, al suo posto vuoto.  

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Capitolo 7
*** Compleanno ***


Buon pomeriggio:-D chiedo immensamente perdono 0:)per questa attesa così lunga. Avevo detto che avrei postato questo nuovo capitolo col l'html. Ma manca davvero davvero poco e avrò il pc, per non farvi aspettare ulteriormente ho deciso di postare, perché se siete curiosi solo la metà di me, allora odiate le attese. Questo è uno dei capitoli cui tengo di più e già dal prossimo inizieranno i disastri che la me sadica ama scrivere. Ora devo ringraziare davvero con tutto il cuore chi mi ha aggiunto tra le preferite, chi tra le ricordate e chi tra le seguite. Vi prego di lasciare un commento, anche piccolo per sapere cose ne pensate. Grazie a chi fin ora a recensito. Ps vi lascerò un piccolo spoiler alla fin pps la prossima volta che posterò sarà com l' html e aggiusterò tutti gli altri capitoli<3




******

Nei mesi seguenti imparai cosa significasse la parola "felicità". Gli umani usavano impropriamente questo termine così tante volte senza conoscerne il vero significato, facendogli così perdere il proprio valore. Scambiavano brevi momenti di gioia e soddisfazione per la felicità. Io stessa non avevo mai conosciuto questa sensazione, eppure, a differenza degli umani, non mi ero mai permessa di considerarmi tale. In fondo cos’era la felicità? Spesso mi ero posta questa domanda e mai una volta vi avevo trovato risposta. Alcuni descrivono la felicità come una sensazione di totale appagamento e leggerezza. Altri la vedono come la pace eterna, che può essere raggiunta soltanto dopo la morte. In molti cercano la felicità nelle cose materiali, altri nella spiritualità. C’è chi pensa che la felicità non sia altro che un falso luogo comune, alcuni la ricercano per tutta una vita senza mai trovarla. Per Leopardi la felicità era un desiderio che non avrebbe mai trovato soddisfazione nell’appagamento. Mi chiedevo quale tra queste teorie fosse vera. Con il tempo avevo concluso che la risposta si trovasse nel mezzo. Nessuno poteva essere totalmente felice. Esistevano unicamente esserci dei brevi istanti di totale appagamento dello spirito, ma la vera felicità era irraggiungibile, per qualsiasi creatura. Oggi, dopo diciotto anni di monotonia e false certezze, scoprivo la felicità. Quell’ emozione vera,  così intensa nelle sue sfaccettature da farti credere di star vivendo in un sogno continuo, dal quale non vorresti assolutamente risvegliarti. Non avevo mai scoperto cosa si provasse a rimanere semplicemente senza parole, ora non ne trovavo per descrivere il mio stato d’animo in quelle settimane. I giorni erano troppo corti perché scoprissi tutto ciò che non conoscevo: troppo corti perché potessero soddisfarmi. Le mie notti erano serene, tanto da farmi sprofondare in sonni lunghi e ristoratori. Semplicemente sognavo, in un replay delle mie giornate; come se desiderassi vederne una replica per incapsulare quei ricordi nella mia mente. Mi svegliavo presto, desiderosa di vivere ancora un po’ di quella felicità di cui non riuscivo a saziarmi. Per una volta, ero riuscita a metter da parte tutte le ombre della mia vita. Il mio futuro, un vicino abisso oscuro o acque fredde che trafiggono il corpo come spilli, nella prospettiva che me lo faceva apparire buio e grigio. Tutte le tensioni si erano dissolte, in una calma placida come quella del cielo prima della tempesta...
 Non mi ero mai sentita così bene - un aggettivo inusuale per la mia vita precedente - perché con i Cullen vissi il tempo migliore della mia esistenza.
Passavo le mie giornate con la mia nuova famiglia. Amavo ognuno di loro incondizionatamente. Alice, Edward, Esme, Carlisle, Emmet, Jasper, Rosalie... Mi ero abituata alla scuola e avevo imparato a viverne ogni sfaccettatura. Trascorrevo le ore scolastiche con i miei amici umani, avvicinandoli, con un po’ di difficoltà, ai miei vampiri buoni. Ce la mettevo tutta, ma sembrava che Emmet si divertisse a farli scappare a gambe levate. Eppure, l’attrazione che esercitavo sugli umani li portava a stare spesso al mio fianco e poiché io ero sempre con i Cullen, era inevitabile...
Un quarto del mio tempo era giornalmente riservato ad Alice - la cui esistenza mi faceva comprendere come mai la maggior parte dei tornado avesse nomi di donna - che sembrava essersi addossata il compito di farmi vivere in pochi mesi un’intera vita: il ché mi sfiancava. Eppure, la sua presenza era diventata insostituibile.
Durante alcuni dei miei interminabili pomeriggi felici avevo trascorso del tempo anche con Carlsile. Lui e Edward erano rimasti sorpresi vedendo quante cose sapessi sulla medicina. Mi giustificai dicendo che avevo letto molti libri, il ché era vero. Più che altro avevo imparato a badare a me stessa, quando anche Athenodoa era costretta ad allontanarsi... non potevo rischiare, essendo circondata da vampiri, che il mio sangue dilagasse più del dovuto. Carlisle era veramente curioso di mettere alla prova le mie capacità. Mi osservava vagare per l’ospedale. Scrutava il mio atteggiamento curioso nei confronti di tutto ciò che per me costituiva una novità, come osservare così da vicino il dolore della gente...
La parte forse più infantile di me era eccitata all’idea di mettere in pratica ciò che avevo imparato con anni di teoria e lo assistevo; aiutandolo con le diagnosi, benché non avesse alcun bisogno del mio ausilio. Il suo essere vampiro, a volte, era un vantaggio per lui.
Non mi stupì che Carlisle fosse così amato in ospedale, soprattutto dalle donne. Carlsile aveva un talento naturale e non era solo quello di curare i pazienti. Se non fosse stato privato della sua vita, sarebbe stato un padre magnifico. Era comprensivo, dolce, protettivo e inspirava sicurezza con il suo fare calmo e rassicurante. Non dovevi certo temere un suo giudizio.
 Possedeva il raro dono del perdono e ti accoglieva sempre con un sorriso. Legai molto con Carlisle e lui con me. Spesso mi apostrofava come sua figlia e amava rivolgersi a me con un:  ≪Bambina mia≫.
 La prima volta che lo udì rimasi totalmente sorpresa - chiedendomi cosa avrebbe avvertito dentro di me Jasper se avesse avuto l’opportunità di percepire il mio umore - prima di aprirmi in un grande sorriso. Sia lui che Esme mi consideravo come una figlia.
Non osai mai rivolgermi a loro come facevano gli altri, con un mamma e papà. Eppure, loro per me erano questo: una madre e un padre. Li amavo come tali.
Osservavo le loro partite di baseball, invitando a prendere in considerazione anche il gioco del calcio. Mi diedero ascolto e naturalmente la partita andò a favore della squadra in cui Alice era in porta.
Ero certa che la mia felicità non sarebbe stata completa se, dell’arazzo che intesseva la mia vita, non avesse fatto parte anche Edward. Benché trascorressi molto tempo anche con gli altri, ero quasi sempre con lui. Il primissimo periodo era stato imbarazzante per entrambi, poi divenne un’abitudine. Sedevamo insieme tutti i giorni a biologia e all’uscita mi accompagnava a educazione fisica. Avevo scoperto di non avere talento per il badminton e la pallavolo. Quando glielo avevo detto aveva iniziato a spiarmi attraverso gli occhi degli altri, avendo a disposizione diversi punti di vista disponibili, e non perdeva occasione per deridermi. Ritagliavamo in questo modo il poco tempo per noi a scuola.
Spesso sedevamo al fresco dell’albero di quel primo giorno.
Parlavamo.
Scoprimmo di avere diverse cose in comune, soprattutto la musica. Entrambi ascoltavamo classici: a Volterra non si sentiva molto Rock.
Edward aveva una passione spropositata per la musica degli anni cinquanta.
Ogni giorno m’investiva con mille domande, giustificano la sua curiosità col fatto che non potesse leggermi nel pensiero. Alcune cose che all’inizio erano causa d’imbarazzo divennero routine. Il contatto tra di noi, ad esempio, era qualcosa cui entrambi non avremmo mai rinunciato.  A volte, soprattutto quando eravamo da soli, stringevamo le nostre mani, allacciandole. Capì che amava soprattutto quando gli carezzavo il volto. Spesso lo vedevo giocare con le ciocche dei miei capelli lunghi e scuri, che adorava carezzare, perso nei pensieri che lo portavano lontano da me.
Ogni tanto esitava con lo sguardo, oppure con il tocco della mano. Erano attimi eterni. Edward sembrava essere divenuto essenziale per la mia vita. Non mi piaceva, ma non potevo farne a meno. Era suo il primo sguardo che cercavo la mattina, appena alzata o prima di andare a dormire, quando avevo qualche difficoltà. E lui ricambiava sempre con un sorriso, cercando il mo sguardo quando qualcosa lo rendeva ansioso. Entrambi cercavamo la vicinanza dell’altro.
Avevo approfittato dell’assenza di Edward, Alice e degli altri per finire i miei compiti. Naturalmente ero una studentessa eccellente. Avvertivo distintamente la presenza di Carlisle ed Esme dentro casa. Mi soffermai sui problemi di geometria, per i quali più di ogni altra cosa avrei voluto che Edward fosse là. Di solito mi aiutava con la matematica, che tra tutte le materie era la mia spina nel fianco. Si era allontanato dopo avermi carezzato una guancia e i capelli, nell’aria c’era ancora il suo profumo, di cui era impregnato il suo posto al mio fianco. A un tratto avvertì la presenza di Carlsile allontanarsi. Usciva, strano. Non doveva andare in ospedale, che io sapessi, e ormai gli altri erano lontani.
 Inoltre, erano rare le occasioni in cui lasciava da sola Esme, quando avevano la possibilità di stare insieme. Decisi di alzarmi, per accertarmi che andasse tutto bene. Avvertivo la presenza di Esme nel lato ovest del giardino. Di solito non ci andavo mai. Chissà che cosa faceva lei là? Mi sentì improvvisamente ansiosa di raggiungerla, per accertarmi che la donna che amavo come una madre fosse al sicuro. Se i Cullen avevano qualche problema ero pronta ad aiutarli, a qualsiasi costo. Sorrisi. Se Felix fosse stato lì e avesse potuto ascoltare i miei pensieri, mi avrebbe strigliato per bene. Io che ero l’unica speranza per il futuro della mia razza non potevo permettermi di anteporre la vita di altri alla mia. L’avrei ceduta volentieri per loro. Svoltai l’angolo, superando le mura immacolate dell’esterno della casa. Fu in quel momento che la vidi. Stranamente, sembrava non avermi udito, nonostante mi fossi avvicinata piuttosto rumorosamente. Un vampiro poteva essere immerso nei pensieri? Esme era immobile, imprigionata da un ricordo lontano. Il vento scompigliava i suoi boccoli color caramello e il bordo del suo vestito bianco e leggero. Era di una bellezza disumana. Il viso pallido e bellissimo era incorniciato da capelli scompigliati e selvaggi, le labbra di un rosso intenso erano leggermente socchiuse, quasi a voler trattenere quel singhiozzo che sarebbe arrivato, alla fine, a spezzarle la voce cristallina e musicale. Le fossette che tanto amavo avevano lasciato il posto a una smorfia amara di sofferenza. La fronte d’alabastro era corrugata, ma non fu tutto ciò a sorprendermi, bensì i suoi occhi. Gli occhi di Esme, fissi di fronte a un albero spoglio, malinconico e morente, erano da sempre stati un porto sicuro per me; carichi di amore e dolcezza, persino per un estranea che aveva accolto nella sua famiglia come una figlia. Adesso, quei pozzi profondi d’oro caldo erano freddi e distanti, intaccati da un dolore che affondava in lei come i piedi sulla sabbia. Nelle loro profondità potevo scorgere un dolore straziante, difficile da affrontare e dimenticare. Un dolore che avrebbe ucciso qualsiasi essere umano, ma non un vampiro. Un immortale non poteva morire di dolore, né poteva trovare alcun tipo di pace. Il riposo eterno non era concesso, e questo, da solo era sufficiente perché la condizione da vita immortale diventasse una prigione. Non avrei mai potuto immaginare che Esme nascondesse un dolore tanto profondo e struggente. In confronto, ogni mia sofferenza svaniva. Sentivo il bisogno di rassicurarla, in qualche modo. Eppure, una parte di me era contenta di aver rimesso a posto i pezzi. Adesso mi era chiaro cosa avesse dato a quella donna tanta forza. Dover reggere sulle proprie spalle un dolore del genere ti faceva diventare forte. Potevi decidere di soccombere ad esso, oppure lottare. Decidere di costruirti una famiglia e amarla: amare per non provare odio, per non soffrire. Non c’era neanche un ramoscello, nel giardino perfetto di Esme, che potessi calpestare per sbaglio, in modo da preannunciarle in qualche modo la mia presenza. Il mio respiro fu sufficiente. Esme mi udì e si voltò di scatto, improvvisamente all’erta. Quando mi vide rimase sorpresa. La sua esitazione durò soltanto un istante, velocemente si aprì in un sorriso. La smorfia di dolore fu sostituita dalle fossette che tanto amavo, ma quel sorriso non accese i suoi occhi. Quando notò che la fissavo si voltò, ritornando a scrutare l’albero spoglio. Seguì il suo sguardo e per la prima volta mi soffermai sull’arbusto che sembrava aver risvegliato in lei quelle atroci sofferenze. Non avevo mai notato quell’albero prima d’ora. Non mi ero mai avventurata oltre il mio spiazzo verde e tranquillo: lì, i raggi del sole rendevano la pelle di Edward simile al diamante. I rami erano secchi e privi di foglie. La vita lo lasciava lentamente. Concentrarmi sulla pianta mi creava un enorme voragine nel petto e un groppo in gola. L’albero sembrava comprendere il dolore di Esme, per incredibile che fosse, e lo portava a se, come se volesse liberarla da quella sofferenza. I raggi del sole, nascosto dietro le nuvole grigie cui ormai ero abituata, non lambivano la zona che delimitava l’arbusto. La pianta era immersa nel buio. Era un’immagine orribile e spaventosa. Sentì un brivido corrermi lungo tutta la schiena. Adesso il dolore di Esme era il mio. Mi avvicinai, nonostante il dolore mi mozzasse il fiato. Avanzai lentamente e cautamente. Quando fui al suo fianco, Esme non si voltò. Continuava a fissare l’arbusto. Andai oltre e mi portai vicino al tronco dell’albero. Il vento lo colpiva come se volesse abbatterlo. Eppure l’albero resisteva, nonostante fosse ormai agli sgoccioli. Posai la mano sul tronco e mi parve di percepire lo scorrere fluido della linfa sotto i miei polpastrelli. Il dolore era troppo intenso, fui costretta a sfilare la mano, come se mi fossi appena scottata. Esme continuava a non prestarmi attenzione. Mi voltai nella sua direzioni e scrutai attentamente il suo volto, finché la donna non si decise a guardarmi. Non c’era consolazione possibile per quel dolore. Esme sorrise ancora. Fu un sorriso tirato e stanco.
≪Conosci la mia storia?≫, chiese.
 La sua voce, se possibile, era ancor più distante e stanca del suo sorriso. Riconoscevo il dolore nelle incrinature del suo timbro basso e pacato. Scossi il capo. Esme mi guardò per un lungo istante, prima di ritornare a fissare l’albero. Parlò come se non fosse al mio fianco, bensì persa in un epoca lontana e buia. Il suo controllo sopraffatto dalla sua sofferenza infinita.
≪Avevo venticinque anni e vivevo in un epoca molto diversa da quella che conosci tu, Bella. All’ora, l’unica cosa che contasse realmente era il matrimonio. Le donne avevano semplicemente il ruolo di madri e mogli. Capitava spesso che i genitori combinassero dei matrimoni, a volte per interesse, oppure per saldare un debito. E non c’era nulla che tu potessi fare, se non obbedire al volere di tuo padre e degli altri uomini in casa. Devi sapere che all’epoca era importante che ci si sposasse in età molto giovane. E io ero fuori tempo massimo. Avevo visto le mie amiche convolare a nozze una dopo l’altra. Sposavano uomini che a mala pena conoscevano e dopo poco tempo rimanevano incinte, formando nuove famiglie. Non era un caso che io fossi ancora nubile...
Ero stata presentata a decine di uomini. Non passava giorno che mio padre e mia madre non mi ricordassero che ero la loro unica figlia e che sarei rimasta sola per sempre. Tante volte mi avevano detto che ero una delusione per loro, eppure io sopportavo ogni cosa. Perché io avevo già trovato l’amore, ma purtroppo i miei genitori non avrebbero mai accettato colui che io amavo. Eravamo una famiglia modestamente agiata, ma loro volevano di più. A sedici anni avevano iniziato a farmi conoscere i figli dei loro amici, quelli che contavano. Non avevo mai prestato loro attenzione. Non c’era nulla che mi attraesse nelle schiere di giovani figli di papà, circondati da lusso e ignari della miseria. Poi arrivò lui e le cose certamente non cambiarono, almeno non come avrebbe sperato mio padre.
Si chiamava Charles. I miei occhi erano accecati da lui. Charles era veramente bello. Aveva capelli scuri e occhi castani. Il suo viso era bellissimo. Perfettamente simmetrico, squadrato; lo ricordo come se fosse oggi. Un giorno stavo uscendo dalla messa. Vivevo nei pressi di Akron, Ohio, e amavo la mia città. Ogni domenica, dopo che la funzione era terminata fuggivo, dicendo ai miei genitori che sarei ritornata a casa a piedi. Amavo passeggiare per i vecchi vicoli pieni di storia. Studiavo gli antichi palazzi e ciò che si celava dietro ogni pietra e ogni mattone. Durante una delle mie passeggiate domenicali conobbi un architetto. All’epoca stavo spesso con il naso rivolto all’insù, ad ammirare il cielo e la grandezza delle costruzioni. Mi chiedevo se un giorno qualcuno avrebbe costruito un muro abbastanza alto da toccare il cielo. All’epoca sentivo di poter scalare qualsiasi muro. La mia vita era serena, nonostante i miei genitori gettassero ombre sul mio futuro. M’importava poco di loro. Fu una domenica di maggio che, troppo presa a osservare  il cielo, andai a sbattere contro l’architetto di cui ti parlavo prima. Lui sembrava sorpreso e divertito al tempo stesso. Mi disse, con voce roca e virile:
≪Cosa ci fa una signorina in giro per questi vicoli, con il naso rivolto al cielo. Dovresti imparare a stare con i piedi per terra≫.
Sorrise, divertita dal ricordo.
≪Io all’epoca ero molto suscettibile. Posai una mano sul mio fianco e risposi, con tono fermo e deciso:
≪Io preferisco di gran lunga osservare il cielo, piuttosto che la triste terra. L’unica cosa che c’è di bello sono questi palazzi, la loro storia e la loro perfezione. Mattone su mattone, sono il risultato della fatica degli uomini. In sé racchiudono generazioni e generazioni. E lei, signore, chi è per dirmi che una signorina non dovrebbe ammirare queste bellezze. Per sua informazione, sono capace di badare a me stessa≫.
 L’uomo rise sonoramente. Da quel giorno mi prese come sua allieva. All’ora, quando accettai, non sapevo che mister Jonson avesse un altro apprendista... Naturalmente i miei genitori non sapevano nulla di tutto questo, non avrebbero mai accettato che io lavorassi e recassi così loro altro disonore≫.
 Si fermò per un attimo e capì che stavamo arrivando al punto cruciale della storia.
≪Jonson non era un uomo ricco ma onesto. E la sua onestà non gli fruttava molto. Stimavo quell’uomo. Divenni molto brava con il tempo nel mio lavoro. Un giorno, a casa del mio maestro incontrai lui. Fu amore a prima vista. Ci frequentavamo di nascosto, neanche il nostro maestro sapeva della nostra storia. Eravamo bravi attori...≫, un sorriso ironico le si dipinse sul volto, del quale non compresi il significato.
≪Anche se, oggi, ripensandoci, ho come il sospetto che il maestro sospettasse qualcosa . Dopo un paio di mesi capì di essere incinta. Il mondo mi crollò addosso. Era un disonore enorme rimanere incinte senza essere prima sposate, all’epoca. Lo dissi a mia madre, chiedendole di non riferirlo a mio padre. Naturalmente lei gli disse tutto. Mio padre mi schiaffeggiò e iniziò a sbraitare:
≪Ora capisco perché non hai accettato nessuno dei figli dei miei amici. Sei un svergognata. Dimmi chi é costui e io lo ucciderò con le mie mani. Possiamo ancora riparare al torto, nulla è perso≫.
 A quel punto iniziò a fare congetture. Intendeva farmi sposare qualcuno e fingere che il bambino fosse il suo o farmi partorire e dire che era di mia madre. Uccidere mio figlio. A quelle parole mi raggelai. Strinsi forte le braccia intorno al mio ventre, istintivamente≫.
Mentre parlava la vidi stringere le braccia intorno al suo ventre piatto e tonico. Vuoto.
≪Fino a quel momento non avevo realizzato quanto amassi il bambino che portavo in grembo, ma alle parole di mio padre l’istinto materno prese il sopravvento. Amavo quel bambino e lo avrei protetto. Iniziai ad urlare che non potevano fare del male al mio bambino. Mio padre mi scosse per le spalle, io ero in lacrime. Continuava a chiedermi chi fosse il padre e io non rispondevo. Semplicemente piangevo e li pregavo di non fare del male al bambino. In fine, mio padre mi diede un’ ultimatum: dirgli chi era il padre, oppure andare via. Scelsi la seconda opzione≫.
Rimase in silenzio per un altro istante prima di proseguire.
≪Decisi di andare da Charles, chiedendomi durante il tragitto perché non mi avesse raggiunto a casa mia come aveva promesso. Quando arrivai a casa del nostro maestro gli chiesi del ragazzo e lui rispose che se n’era andato. Era rimasto sorpreso dalla mia espressione e dalle mie lacrime imrpovvise. Gli spiegai tutto e lui si prese cura di me, come avrebbe dovuto fare mio padre. Non mi giudicò mai... Ero distrutta. Charles non era con me, mi aveva abbandonato. E non avevo idea di come mi sarei presa cura del mio bambino. Per la prima volta nella mia vita anche io vedevo il buio quando guardavo il mio futuro. Mi aggrappai al bimbo nel mio grembo; era l’unica cosa che mi fosse rimasta. Optai per due nomi: se fosse stato maschio, Daniel, come il signor Jonson, se fosse stata femmina Mary, come sua nonna, alla quale io ero legatissima fin da piccola≫.
 Un’altro istante di pausa, un sorriso e la sua voce si spezzò.
≪Nove mesi dopo nacque Daniel. Era bellissimo. Aveva i capelli come i miei, gli occhi e il viso erano del padre. Ero felice, per la prima volta nella mia vita. Non contava più nulla, soltanto il mio piccolino. Suo nonno, Jonson voleva che il bambino lo considerasse tale, ci ospitò. Io avrei lavorato come architetto insieme a lui e mi sarei presa cura del mio bambino≫.
Esme si avvicinò all’albero e posò una mano sul tronco, come me.
≪Nel piccolo giardino del signor Jonson, nel nostro giardino, c’era un albero di ciliegio: era slendido. Ricordo ancora il suo profumo e  il suono del vento tra i rami. Con il mio bambino assistetti allo spettacolo più bello che avessi mai visto: la pioggia di petali di ciliegio. Jonson, mio padre... costruì una sedia a dondolo per me e la portò sotto l’albero. E là, tutti i giorni, cullavo il mio bambino. Furono le settimane più belle della mia vita, ma non durarono molto. Un giorno Daniel si ammalò. Lo stavo cullando sotto il nostro albero e mi accorsi che aveva la febbre≫. Ebbe un attimo di esitazione e strinse gli occhi come ad accertarsi di un pensiero appena avuto.
≪Ricordo che prima di entrare in casa un petalo rosa cadde e si posò sulla sua fronte morbida e bianca... ≫.
≪Chiamammo un medico, ma non ci fu niente da fare. Il mio bimbo morì dopo ventiquattro ore. E io morì con lui. Il dolore mi distrusse. Ero in stato catatonico.
Un pomeriggio decisi di uscire... il tempo non era dei migliori. Diluviava, ma non m’importava. Camminai sotto la pioggia, seguendo il rumore del mare. E poi, senza accorgermene, mi ritrovai su di una scogliera. Non riflettei sul mio gesto successivo, ma le onde del mare promettevano di cancellare il mio dolore, che si infrangeva sul mio cuore come le onde del mare sulle rocce. Volevo la pace, volevo raggiungere il mio bambino. Mi buttai dalla scogliera e la mia vita finì quel giorno.
Avevo davvero creduto di essere morta, sai?≫.
Un sorriso le spiegò le labbra.
≪Quando aprì i miei nuovi occhi e vidi Carlisle, lo scambiai per un angelo, tanto da indurmi a credere di essere davvero morto e assunta in paradiso≫.  La sua risata musicale riempì il silenzio.
≪Mi avevano portato direttamente all’obitorio, ma il mio cuore batteva ancora. In quel momento Carlisle mi trovò. Non ci pensò più di tanto e mi morse. Con lui ed Edward iniziai una nuova vita, senza mai dimenticare del tutto quello vecchia≫.
Esme sospirò, tracciando con il palmo della mano le venature scure del tronco dell’albero. Rimasi in silenzio, non si udiva alcun suono, a parte il rumore del vento tra le fronde dell’albero. Adesso mi era tutto chiaro. Capivo quale legame la univa a quella pianta dai caratteri inusuali, e quale dolore rivangasse nella sua memoria. Quella tristezza infinita che leggevo nei suoi occhi era normale. Non c’era dolore più grande per una madre che perdere il proprio figlio. Soprattutto quando quel bambino è l’unica cosa che hai. La cosa alla quale ti sei aggrappata fin dall’inizio per sopravvivere alla perdita di tutto il resto. Sfiorai nuovamente il tronco dell’albero. Adesso che ne conoscevo l’origine, la sofferenza irradiata da Esme, alla pianta e a me, come fossimo un’unica persona, sembrava molto più sensato. Avevo capito fin da piccola di possedere la capacità di percepire la sofferenza delle altre persone come fosse la mia. Non ero semplicemente ipersensibile, questo era un dono, ma anche una maledizione.
Con il passare degli anni la mia diversità si faceva sentire in modo sempre più pesante, ma la cosa non mi aveva mai colpito più di tanto. Non sarei mai riuscita a vedere me stessa in modo diverso da ciò che ero.
≪Avrei voluto dire addio a mio padre, il signor Jonson. Carlsile mi ha detto che lui c’era, quando io sono finita all’obitorio. Non meritava tutta quella sofferenza. Non meritava di perdere una figlia e un nipote, così all’improvviso≫.
La sua voce si fece sempre più bassa, fino a spegnersi del tutto. Sentivo un pesante groppo in gola. Quando Esme si voltò nella mia direzione, rimase sorpresa. Sbatté le palpebre un paio di volte e s’incupì. In un attimo fu di fronte a me, le mie mani tra le sue. Carezzò dolcemente la mia guancia, raccogliendo sulla punta del dito una gocciolina trasparente: una lacrima. Piangevo. Non mi ero neanche accorta che il groppo in gola stava tentando di uscire dai miei occhi sotto forma di lacrime. Quella sofferenza che sentivo nella mia anima era insopportabile. Come poteva Esme  riuscire a sostenere un dolore del genere senza sentire il desiderio di versare qualche lacrima? Perché il suo corpo immortale non le permetteva neanche di liberarsi di quel peso attraverso il pianto? Lo trovavo ingiusto, come tutto quello che le era successo. Una persona come Esme non meritava una cosa del genere. Ma, forse, non sarebbero bastate tutte le lacrime di questo mondo per liberarla da quel tormento, che ora era diventato anche il mio.
≪Tesoro, non piangere. Mi dispiace: non volevo renderti triste≫.
Scossi energicamente la testa, allontanando dal mio volto anche le ultime lacrime.
≪Non dirlo: non dire che ti dispiace. Non avrei mai pensato che... e solo che sono un po’ come Jasper per certe cose. Riesco ad avvertire il dolore degli altri, soltanto le loro sofferenze. So quello che provi≫.
Un singhiozzo mi scosse e quando alzai lo sguardo, fui sorpresa di vedere un sorriso sereno sul volto di Esme.
≪Piccola mia, non dimenticherò mai la mia vecchia vita, il mio Daniel. Ma adesso ho una nuova vita. Ho trovato Carlisle, sto con l’uomo che amo. L’uomo più meraviglioso del mondo≫.
 Annuì, tutt’altro che in disaccordo.
≪E ho voi, sei meravigliosi figli. Tutti diversi, eppure tutti così meravigliosi. Dopo molti anni, mi ritengo una donna fortunata≫.
Le sue parole e l’improvviso assestamento del dolore mi fecero rinsavire. Esme si allontanò, ritornando a scrutare l’albero, ma questa volta con un’espressione diversa. Serena.
≪Edward è stato il mio primo figlio, dopo Daniel. Inoltre, lui è il più piccolo di tutti, non posso fare a meno di amarlo. Come non posso fare a  meno di amare tutti voi≫.
La sua espressione ritornò improvvisamente triste, quasi delusa.
≪Ogni tanto vengo sotto questo albero e parlo con il mio angioletto. Io, come Carlisle, credo fermamente in un aldilà. D’ altronde non posso non credere che il mio bambino esista, da qualche parte del mondo. Quando mi trovo sotto questi rami spogli mi sento più vicina a lui. Può anche sembrare ridicolo, ma per me è importante. Ho provato a piantarne uno e a farlo crescere anche qui, ma non ci riesco. O provato tutto quello che potevo, ma evidentemente non è destino. I petali non riescano a sbocciare. Mi piacerebbe rivedere di nuovo la pioggia dei petali di ciliegio...≫.
 Esme sospirò, poi mi guardò e sorrise.
≪Rientriamo, inizia a fare davvero freddo≫.
 Annuì e insieme ci avviammo verso casa. Improvvisamente ricordai il motivo per cui mi ero avvicinata a lei.
≪Esme, posso chiederti perché Carlisle è andato via? E’ successo qualcosa?≫.
≪No, sta tranquilla. Non è successo niente, solo... dopodomani è il mio compleanno e allora...≫.
≪Carlisle è andato a comprarti un regalo≫. Esme sbuffò.
≪Dopo tutti questi anni crede ancora che io non sappia cosa fa. E gli altri, bé conosci Alice. Lei avrà già tutto pronto da un pezzo≫.
≪Oh≫, risposi. Dovevo strigliare per bene Alice, perché non mi aveva detto del compleanno di Esme? I miei soldi non sarebbero stati utilizzati in maniera migliore se non per comprarle un regalo: mi avrebbe fatto piacere. Potevo chiedere a Alice di accompagnarmi... Eppure, mi sembrava così poco. Probabilmente Esme possedeva già gioielli di svariato valore commerciale e altrettanti abiti di marca. Volevo qualcosa di speciale per lei, qualcosa che già non avesse e che desiderava più di qualsiasi altra cosa... In quel momento un’idea mi balenò in mente e fui certa di non averne mai avuta una più geniale o azzeccata. Mentre Esme mi trascinava in casa mi guardai alle spalle, un ghigno compiaciuto sul mio volto. Forse c’era un regalo adatto alle mie richieste, qualcosa di mio e che lei desiderava ardentemente: rivivere un ricordo. Prima di sparire dentro casa lanciai un ultimo sguardo all’albero spoglio, due giorni sarebbero stati sufficienti...
Mi guardai intorno, sciabolando gli occhi da una parte all’altra del giardino. Non c’era nessuno in vista. Sospirai, scuotendo il capo. In quell’istante mi sentì ridicola. Avevo tutta l’intenzione di mettere in atto il piano che avevo studiato il giorno prima, subito dopo aver saputo del compleanno di Esme. Ed ero ben consapevole che nessuno doveva venire a conoscenza della mia idea, perciò dovevo agire con cautela e segretezza. Gli altri erano distanti, in casa, impegnati a confabulare tra loro all’insaputa di Esme. Percorsi silenziosamente il giardino, girando dietro la casa. Quando fui davanti all’arbusto spoglio ma maestoso, trattenni il fiato. Mi sentì invadere dalla tristezza, la stessa che il giorno prima mi aveva fatta piangere. Posai una mano sull’albero e carezzai il tronco ruvido, seguendone le venature con le dita. Chiusi gli occhi e inspirai. Avvertì immediatamente il mio sguardo mutare e fui consapevole come non mai della vita che scorreva silenziosa in quella grande pianta. I fiori erano forse gli esseri viventi più meritevoli di esser considerati tali. Potevo quasi vedere, oltre lo spesso strato di legno chiaro e muschio del tronco e dei rami, la linfa che scorreva dal terreno all’albero, in uno scambio continuo. Esme avrebbe potuto fare tutti gli sforzi di questo mondo, ma non sarebbe mai riuscita a recuperarlo. Ci voleva qualcosa di più, un’imposizione ai miei occhi, un miracolo agli occhi di tutti gli altri. Non avevo parlato con nessuno, neanche con Edward, del mio dono più spaventoso e inquietate. Mi ero sempre tenuta alla larga dal mio potere di decidere della vita e della morte. Ero ancora troppo “giovane” per poter utilizzare questo mio inquietante dono sulle persone -  benché in realtà non avessi mai avuto alcuna intenzione di farlo, non sentendomi in grado, né in diritto di decidere qualcosa di così importante e fuori dalla mia portata - perciò mi allenavo, quando ero obbligata a farlo, sulle piccole margherite bianche che crescevano nel giardino di Palazzo Priori. Nonostante tutto, non mi sentivo tranquilla.
Avevo provato il mio potere soltanto su vegetali di piccole dimensioni, ed era già abbastanza faticoso, ma mai su un albero. E se non ci fossi riuscita? Tirai su col naso. Dovevo farcela. Avrei utilizzato il dono che di più, tra tutti, odiavo, per fare del bene a una persona cui tenevo. Presi un profondo respiro e mi sedetti, incrociando le gambe e posandovi un libro. Dovevo pur fingere di star facendo qualcosa, in caso qualcuno avesse chiesto! Con nonchalance, posai una mano sull’albero, fingendo un gesto casuale. Con la mia vista migliore lo analizzai in modo più approfondito e puntiglioso. Un getto di vento improvviso mi scosse, sollevando i miei capelli scuri come un mantello. Ero abituata a questo, ma sussultai ugualmente. Dalla mia mano la forza cresceva nell’arbusto, rendendolo più vivo di minuto in minuto. Sapevo perfettamente cosa stava succedendo in quel momento alla mia vista. Il mio occhio destro, dall’acceso rosso rubino, avrebbe assunto la colorazione dell’arcobaleno. O almeno così era visto da chiunque avesse la “fortuna” di assistere. Questo dono, in fatti, era utilizzato per lo più in privato dalla mia razza, essendo un momento molto intimo e personale. Ma io vi ero abituata, a causa dei continui spettatori alle mie sessioni di allenamento. Aro mi aveva spiegato cosa vedeva un osservatore esterno guardando il mio occhio destro in quel preciso momento. Lui stesso ne era stato testimone, sperimenatandolo sulla propria pelle. Era come vedere al di là dei confini della terra, nello spazio immenso. Nei miei occhi c’era la verità, la conoscenza. Era strano e al tempo stesso un’esperienza unica, testuali parole, l’effetto che questo mio potere aveva su di me. Ero un tutt’uno con il vegetale. La mia vita e la sua erano collegate a doppio filo, come se fossi la linfa che scorreva nella sua corteccia.
La mia massima resistenza era di due ore, avrei dovuto far molto di meglio.
Non ero totalmente certa di quanto tempo fosse trascorso, forse minuti, forse ore, stava di fatto che, a un certo punto, avvertì la stanchezza sopraggiungere. Di scatto aprì gli occhi. Il respiro affannato, ansimavo. Sentì dei brividi incontrollabili scuotere il mio corpo. Mi sentivo tremare fin nelle ossa. Non riuscivo a calmare il tremore delle mani e delle braccia, che tra tutti, era il più evidente. Annaspavo, sbuffando tra i denti serrati per lo sforzo. La pianta era totalmente cambiata da quando avevo iniziato la mia missione di salvataggio. Era decisamente più forte e più viva. Mi alzai, nonostante tremassi ancora come un pulcino. A fatica riuscì a stabilizzarmi sulle gambe. Internamente la pianta era sana ma esternamente? Per un attimo, al primo impatto visivo con l’albero, pensai di aver fallito. Poi, il mio occhio destro riuscì a intravedere tra il mucchio rinvigorito di rami ancora spogli un piccolo petalo rosa. L’albero stava fiorendo. Sorrisi, stanca ma soddisfatta, passando la manica della maglietta sulla mia fronte, nel tentativo di cancellare il sudore che la imperlava. Ero più forte di quanto pensassi.
Rientrai in casa, pensando tra me e me quale fosse la strategia migliore da attuare. Come avrei mostrato l’albero ad Esme? Avevo bisogno di qualche altro istante per velocizzare la fioritura della pianta, non potevo attendere che la natura facesse il suo corso se volevo che la mia sorpresa riuscisse! Facendo un veloce calcolo mentale, valutai che avrei avuto bisogno di tre minuti circa per completare l’opera... Le mie supposizioni furono interrotte dall’arrivo di una presenza luminosa. Alzai gli occhi e sorrisi, fin troppo consapevole dello sguardo che avrei incrociato. Edward fece capolino in salotto, il suo sorriso mutò in un’espressione ansiosa. In un attimo mi fu davanti, la fronte dal’alabastro corrucciata. Carezzò la mia guancia e mi stupì notando che la sua mano non mi sembrava affatto fredda...
≪Sei fredda, pallida e tremi≫, mi fece notare.
 Capì perché il suo tocco non mi apparisse più freddo o ghiacciato, ma normale. La mia pelle aveva assunto la stessa temperatura della sua, il ché era tutto dire.
≪Sto bene≫, lo rassicurai, carezzandogli il volto con un gesto automatico della mano.
 Edward si posò sul mio palmo. ≪Non credo≫, rispose, testardo come al solito.
≪Dimmi la verità Bella, ti senti girare la testa, forse è un calo di zuccheri?≫.
≪Non ti arrendi mai, vero?≫, lo rimbeccai.
≪No≫, disse e mi trascinò con se in cucina.
 Si muoveva velocemente, tanto che  non riuscivo a seguire i suoi spostamenti, perciò ci rinunciai. Libera da ogni pensiero notai che le preoccupazioni di Edward non erano infondate. Mi sentivo davvero stanca e prosciugata: come se fossi stata privata di tutte le mie forze. Edward ritornò e mi porse il suo giubbino. Mi aiutò ad infilarlo e mi costrinse a sedermi. Pian piano, i suoi scatti frenetici in cucina mi costrinsero a chiudere le palpebre, come se i suoi movimenti mi stessero ipnotizzando. A uno dei suo scatti repentini ed eleganti, infine, persi conoscenza.
Le mie palpebre tremolarono, infastidite dalla debole luce grigia e fioca che somigliava spaventosamente a quella dell’alba. Mi sentivo indolenzita e mi girava un po’ la testa, ma non era nulla che non potessi sopportare. Lentamente aprì le palpebre. Non realizzai immediatamente dove mi trovassi, ogni mattina, quando aprivo gli occhi, avevo il timore di aver sognato tutto. Eppure, questa volta, ciò da cui temevo di risvegliarmi somigliava più a un incubo. Ricordavo di essermi sentita piuttosto debole prima di perdere i sensi, il pomeriggio precedente. In quell’istante realizzai che mi ero addormentata, cullata dal movimento costante di Edward, sul divano del salotto. Spalancai di scatto gli occhi, drizzandomi sulla schiena con uno scatto tanto improvviso da farmi girare la testa. Se due blocchi freddi di ferro non mi avessero sorretto sarei ricaduta tra i cuscini. Reazione immediata, la mia vista cambiò colore e la mia mente scandagliò la zona nel raggio di parecchi chilometri. Eppure, ciò che m’interessava, era la presenza al mio fianco, che continuava a sorreggermi con le sue forti braccia fredde. Mi bastò un istante per realizzare di chi si trattasse. I miei occhi incrociarono due pozzi profondi d’oro caldo. Balbettai, nel tentativo di dire qualcosa, ma non riuscì a emettere alcun suono. Edward si allontanò con un sorriso imbarazzato, dopo essersi accertato che riuscivo a stare dritta senza il sostegno delle sue braccia.
≪Scusa≫, mormorò.
≪E’ solo che ci hai fatto morire di paura Belle, ti sei addormentata all’improvviso. Eri sfiancata.  La prima cosa che ho pensato è stata che una sanguisuga ti si fosse davvero appesa al collo. Eri pallida, fredda, tremavi e poi... mi hai fatto prendere un colpo. Ti ho portata nella tua stanza, dopo aver chiesto a Carlisle di visitarti. Ha detto che avevi soltanto bisogno di riposo, ma che potevi peggiorare, perciò sono rimasto qui ad assicurarmi che non...≫.
 Prese un profondo respiro, aveva parlato velocemente come quando era agitato. Era adorabile quando era in difficoltà. Non potei evitarmi di sorridere, trattenendo a stento una risata.
≪Che cosa c’è≫, chiese.
≪Sei davvero, davvero carino quando ti agiti≫, sputai, senza il minimo pudore.
Lui rimase sorpreso per un istante, prima di aprirsi in un grande sorriso. ≪Perciò non sei arrabbiata?≫.
≪Perché ti sei preso cura di me?≫, risposi retorica, ≪no≫.
 Edward annuì, sembrava sollevato.
≪Quanto ho dormito?≫, chiesi, ancora disorientata.
≪Tutto il resto del pomeriggio e della notte. E’ l’alba≫.  Annuì, seria. Non avevo dimenticato il mio compito... Mi alzai, tentando di mantenermi in equilibrio. Edward si alzò dalla sedia su cui pareva aver trascorso la notte, forse pensava che avessi bisogno di aiuto. Quando fui stabile, Edward fece per andarsene, ancora visibilmente in imbarazzo. Anche se lo desideravo, non gli avrei mai chiesto di rimanere con me.
≪Edward?≫ chiesi.
Lui si voltò, una strana luce nei suoi occhi ambrati, speranza? Scossi il capo e mi avvicinai a lui. Edward s’irrigidì, per poi sciogliersi completamente. Per un momento, un solo istante, rimasi a fissare le sue labbra piene a pochi centimetri dalle mie, per poi riprendere il controllo. Mi alzai sulle punte per sussurrare al suo orecchio: ≪A che ora festeggiamo il compleanno di Esme?≫.
 Edward esitò per un istante, poi si chinò per mormorare al mio orecchio. Il suo alito fresco mi fece rabbrividire.
≪Le daremo i nostri regali a un segnale di Alice, quando Carlisle sarò tornato dall’ospedale. A Alice piace fare le cose in grande e con teatralità≫, sapevo che stava alzando gli occhi al cielo.
Edward aprì la porta della camera e io mi morsi il labbro inferiore. Al diavolo, pensai.
≪Edward?≫, il ragazzo si voltò ed io feci un altro di quei gesti istintivi di cui non sapevo affrontare le conseguenze. Poggiai un lieve bacio sulla sua guancia destra. Le mie labbra calde e morbide sulla sua pelle fredda e marmorea. Un brivido mi scosse da capo a piedi.
≪Grazie≫, sussurrai.
Edward sembrava sorpreso, si allontanò quasi barcollando, ma rimaneva agile e aggraziato come una pantera.
Quando scesi di sotto diverse presenze agitate mi vennero incontro, Edward non c’era. Esme ed Alice mi strinsero in un abbraccio stritolatore. ≪Bambina mia, stai bene≫, disse Esme, mentre Alice aggiungeva: ≪Bella, ci hai fatto prendere uno spavento≫.
≪Adesso sto bene, non preoccupatevi≫, le rassicurai.
≪Questa mattina fai colazione, non voglio obiezioni≫, alzai gli occhi al cielo e mi feci trascinare in cucina.
Ero attenta ad ogni possibile segnale da parte di Alice. Carlisle era appena tornato e la mia migliore amica era imprevedibile, volevo avere la mia occasione di dare ad Esme il mio regalo. A un tratto vidi Alice lanciare un’occhiata piena di significato a Edward ed Emmet. Entrambi annuirono e sparirono di sopra. Alice lanciò uno sguardo anche a me, prima di sparire anche lei, con Rosalie, per le scale. Jasper le seguì a ruota. Non passò neanche un minuto che tutti, a parte Alice, erano di ritorno. I ragazzi portavano i regali, Rosalie gli addobbi. Aiutai Rosalie ad aggiustare la tavola, mentre lei riempiva la stanza di candele profumate e metteva in sottofondo alcune delle canzoni preferite di Esme. I pacchettini erano tanti e di svariate misure, mi sentivo un po’ a disagio, ma presto anche io avrei mostrato il mio regalo. Carlisle era bellissimo, così felice. Sembrava molto più luminoso del sole, il suo sorriso era brillante. A un tratto Alice spuntò dalle scale tenendo per mano una sorridente Esme. Si guardò intorno, catturata dal profumo irradiato dalle candele, per poi osservare uno a uno i nostri volti sorridenti. Alzò gli occhi al cielo e scosse la testa, come per dire:≪Avete esagerato come al solito≫.
Ma tutto sommato sembrava contenta.
 Carlsile le andò incontro e le tese la mano, da vero gentiluomo. Lei l’afferrò, guardandolo negli occhi per un lungo istante. Erano bellissimi. Quel momento era soltanto per loro. Quando Esme allontanò il suo sguardo da Carlisle, incrociò uno a uno quello dei suoi figli. Finse irritazione per qualche istante prima di aprirsi in un sorriso a trentadue denti e correre ad abbracciare uno alla volta tutti noi.
≪Non smetterò mai di ripetervelo, non m’interessa festeggiare il mio compleanno a me bastate voi≫. Sembrava emozionata. I suoi figli risposero in coro.
≪E noi ti rispondiamo ogni volta che devi rassegnarti, perché continueremo a festeggiare il tuo compleanno per questo e per tutti gli anni a venire≫. Esme rise, riempiendo la stanza di un suono simile a quello di campane in festa. Alice le fu al fianco in un istante: ≪Ottimo, adesso apriamo i regali≫.
≪E quest’anno dovrai dire qual è quello che ti piace di più. Non voglio sentire le solite scuse≫.
≪Il regalo migliore siete voi≫, disse, sfiorando leggermente la punta del naso della piccola Alice, che rise nel suo modo acuto e cristallino.
La festa fu un vero successo. Esme era felicissima, Jasper le gravitava attorno come un satellite, distribuendo serenità in tutta la stanza. Nonostante i suoi tentennamenti iniziali, Esme sfoderò un buonumore sorprendente, mentre Alice le danzava intorno incitandola ad aprire i pacchettini, benché conoscesse in anticipo ogni sua espressione. I regali non erano semplicemente di valore incommensurabile, ma anche personali. Io rimasi quasi sempre sullo sfondo, silenziosa. Un sorriso accennato sulle labbra. La mia posa doveva somigliare molto a quella di un soldato in riga. Non ero parte integrante della famiglia, mi resi conto con rammarico. Non dovevo mai dimenticare qual’era il mio posto, il mio destino. La mia vita era legata a Volterra, non ai Cullen. Nonostante l’affetto che provavo per loro non sarei mai stata parte integrante della loro famiglia. Mi sentivo un’intrusa che si era intrufolata nel loro privato. In fondo, non potevo dimenticare che i Cullen non avevano avuto altra scelta se non quella di prendermi con se. A un tratto Alice annunciò, con la sua voce acuta da soprano, il taglio della torta. Rimasi interdetta per un attimo, il tempo necessario ad Alice per prendere la torta e ritornare in un battito di ciglia. Era abbastanza grande considerando che nessuno in quella casa mangiava, a parte me... La torta era ricoperta di candeline.
≪Sono centosette≫, trillò Alice.
≪Devi spegnerli≫.
 Così dicendo accese le candeline con uno scatto quasi invisibile della mano. Esme sorrise e si chinò per soffiare sulle candeline. Il volto diafano illuminato dalla luce fioca del fuoco sottile. Ricacciò una ciocca dei boccoli color caramello dietro l’orecchio e soffiò... Ciò che avvenne dopo, mi lasciò totalmente stupefatta. Alice mi chiamò a voce alta, perché ero dall’altra parte della stanza, urlando che dovevo avvicinarmi a prendere la torta.
≪Perché credi che abbia comprato una torta in una casa di vampiri, se non per te≫, mi rimproverò, vedendo la mia esitazione.
Esme notò la mia espressione e il mio stare in disparte, corrugò le sopracciglia e poi si aprì in un grande sorriso. Si avvicinò a me, prendendomi per mano, in modo da rendermi più partecipe.
≪“Dimmi che non sei avversa alle feste, ti prego≫, disse Alice, con un’aria terrorizzata sul volto adorabile.
≪Un po’≫, le risposi.
≪Ti farò cambiare idea≫, si ripromise.
Sorrisi e afferrai l’enorme pezzo di torta dell’aspetto invitante che mi aveva portato Esme. Teneva il piatto tra le mani, un sorriso meraviglioso e splendente sul volto. La sua espressione era la cosa più dolce che avessi mai visto. Abbassai la testa, guardando a terra e decisi che quello era il momento giusto. Posai il piatto sul tavolo ed Alice s’intristì.
≪Non ti piace?≫.
≪No, certo che mi piace. Grazie per il pensiero. Ma c’è una cosa più importate prima... anch’io ho un regalo per la festeggiata≫.
Nonostante i nostri fossero stati semplici sussurri tutti i presenti ci avevano udito e adesso, mi guardavano con occhi pieni di curiosità. Esme era la più sorpresa di tutti, Alice sembrava pensierosa.
≪Piccola, non dovevi≫, iniziò Esme, ma la fermai prima che continuasse.
≪L’ho fatto con piacere, spero soltanto che ti piaccia≫.
≪Mi piacerà di sicuro≫, rispose Esme, sorridendo.
≪Ma quando hai comprato un  regalo?≫, mi chiese Alice, non le piaceva essere colta alla sprovvista.
Solitamente sapeva sempre tutto, ma io, per lei, ero un’incognita.
≪Non l’ho comprato, in realtà è qualcosa che ho fatto io, più o meno..≫”, la mia voce si affievolì fino a sparire.
≪Ora sono curiosa≫, disse Esme, ≪di che si tratta?≫.
≪Lo vedrai in diretta≫, dissi prendendola per mano e trascinandola fuori con me.
≪Il regalo non è finito, perciò dovresti chiudere gli occhi≫.
≪Ok≫, balbettò eccitata.
Mi seguì docile, mentre gli altri ci venivano dietro, mantenendosi a debita distanza.
≪Ma il regalo è fuori?≫.
≪Si≫, risposi rimanendo sul vago.
La sua impazienza mi faceva sentire più fiduciosa. Chiamai Alice in un sussurro e lei si avvicinò a passo di danza.
≪Non farla sbirciare e, qualunque cosa succeda, non permetterle di aprire gli occhi finché non te lo dirò io≫, annuì solenne.
La curiosità evidente nei suoi occhi ambrati. Incurante degli spettatori che ci seguivano, incuriositi dal velo di mistero che ricopriva la mia sorpresa inaspettata, presi un respiro profondo e mi avvicinai all’arbusto. Sentì qualcuno trattenere il fiato, non mi girai per vedere di chi si trattasse. Posai una mano sul tronco dell’albero, dandogli un paio di colpetti. Era forte, vivo, lo sentivo chiaramente anche senza utilizzare la mia vista migliore. Chiusi gli occhi e di nuovo, fui una cosa sola con l’albero. Avvertivo la sensazione del sole sulla pelle allo stesso modo in cui il vegetale percepiva il suo calore sulla corteccia. Le gocce di rugiada sui rami erano una bella sensazione. Il vento lieve che soffiava dalla foresta non mi scalfiva, non sarei caduta sotto il suo peso. All’improvviso un vento nuovo mi scosse, aprì gli occhi nel momento in cui sentì i miei capelli ricadere sulle mie spalle. Mantenni il mio sguardo arcobaleno fisso sui tronchi dell’albero, in attesa di veder spuntare piccoli petali rosa. Apparvero lentamente, a piccoli gruppi; riempiendo prima uno, poi un altro spazio dell’albero non più vuoto. Era uno spettacolo meraviglioso; ero orgogliosa di me stessa. Avvertì una strana sensazione nel mio cuore. Ne avevo un ricordo molto vago, lontano. Era la sensazione di star concedendo la vita. Mi chiesi per un attimo se fosse paragonabile ai sentimenti provati da una madre che mette al mondo il proprio figlio. Senza il preconcetto che avevo sempre dato a questo mio strano potere, la vidi come una cosa del tutto naturale, come una parte di me. C’era un lato buono nel fardello che era questo mio potere. Se veniva utilizzato per fini nobili. Allo scadere dei tre minuti l’albero era rigoglioso, ricoperto di petali rosa che irradiavano un profumo meraviglioso. Alle mie spalle, sentì Esme inspirare e poi, trattenere il respiro. Orgogliosa, mi guardai alle spalle. Erano tutti impietriti, a bocca aperta. Osservavano l’albero come se avessero appena assistito a un miracolo, il ché non era molto lontano dalla verità. Sorrisi e lanciai uno sguardo pieno di significato ad Alice. Lei rimase impietrita per qualche altro istante, prima di abbassare lo sguardo su di me e liberare, con gesti automatici, la vista di Esme. I miei occhi erano fissi nel suo sguardo sbarrato e indecifrabile. Rimase immobile per un paio di minuti, mentre il mio disagio cresceva. La mia sorpresa le era piaciuta? Avevo forse commesso un madornale errore? I suoi occhi non mi dicevano niente. Avrei voluto poter chiedere ad Edward cosa stava pensando, ma non riuscivo a muovere neanche un muscolo. Poi... avvertì un balbettio senza senso provenire da Esme. Pian piano, il suo sussurro si trasformò in una frase di senso compiuto e comprensibile e udì un:
≪E’ bellissimo≫.
 Il mio sorriso in risposta fu abbagliante. Esme tentava di trattenere i singhiozzi, sbattendo le palpebre sugli occhi che non potevano più versare le lacrime che desiderava. Forte del suo consenso decisi di proseguire. Lanciando un veloce sguardo complice all’arbusto, gli diedi il mio ultimo, piccolo aiuto. E tutti, compreso il resto della famiglia che si era avvicinato, fummo invasi da una pioggia di petali rosa. Mi allontanai dall’albero, ormai totalmente rinvigorito e, come gli altri, osservai incantata quello spettacolo meraviglioso. I petali delicati, sollevati dalla brezza leggera, cadevano atterra creando un manto rosa  a chiazze verdi intorno all’albero.  D’un tratto due braccia forti mi strinsero, decise e delicate al tempo stesso.
≪Grazie≫, sussurrò Esme al mio orecchio.
≪Prego≫, risposi, cingendola con le mie braccia calde e fragili.
≪Adesso potrai venire qui a parlare con il tuo Daniel ogni volta che ne senti il bisogno. Questo è’ il vostro posto ed è il mio regalo per te≫.
Fu così che i Cullen vennero a conoscenza anche del lato più oscuro e spaventoso della mia razza, di me. Le loro reazioni furono diverse e completamente differenti da ciò che avevo immaginato. Lasciarono che Esme si godesse il suo regalo per qualche altro minuto, prima d’inondarmi delle loro domande. Rientrando in casa, incrociai lo sguardo pieno di gratitudine di Carlisle: aveva apprezzato il mio gesto, forse ancor più di Esme. Perché loro due erano una cosa sola, la felicità di uno era automaticamente anche dell’altro.
Diversamente da quanto avevo immaginato, il mio potere non li terrorizzava, ai loro occhi non apparivo come un mostro. Carlisle era il più interessato di tutti. Insieme a Jasper si lasciò andare a una conversazione sulle potenzialità di questo mio dono. Naturalmente Carlisle pensava a quanto sarebbe stato utile il mio dono in campo medico. Nei suoi sogni idilliaci immaginava di poter salvare la vita ad ogni paziente. Capì che, soltanto adesso, avevano realmente compreso le potenzialità di un prescelto. Nei loro occhi c’era persino devozione e riverenza. Jasper visualizzava il mio dono come un’ottima capacità offensiva. Visualizzava la possibilità di uccidere con il semplice tocco della mano. Spiegai loro che non ero ancora assolutamente capace di fare una cosa del genere, ma ciò non smorzò il loro entusiasmo. Esme, Edward ed Alice mi guardavano, gongolando. Emmet, dopo essersi lamentato che il mio regalo avrebbe battuto di certo il rudere che aveva comprato nelle vicinanze perché Esme potesse divertirsi a ricostruirlo, si era lasciato andare a uno sproloquio fantasioso sui modi più interessanti di utilizzare il mio potere.
≪Emmet, non è così facile≫, dissi.
≪E’ già difficile con un albero, mi sfianca. Perciò non mi lascerei andare in questa maniera≫.
 Emmet sbuffò, mettendo il broncio. Esme sussultò. Ci voltammo tutti nella sua direzione.
≪Per questo motivo sei stata male, ieri? Bella, devi promettermi che non lo rifarai mai più≫.
 Il suo sguardo ansioso era insostenibile.
≪Non posso prometterti una cosa del genere, Esme≫, sussurrai.
≪Questi doni costituiscono ciò che sono e io non posso smettere. Fanno parte di me, anche questo fardello≫.
 Esme non replicò nulla, ma sembrava in disaccordo.
≪Ma un giorno potresti essere in grado di farlo con un vampiro, farlo ritornare un essere umano intendo?≫, chiese Rosalie, gli occhi le brillavano di una strana luce.
Il silenzio calò nella stanza, tutti chinarono il capo alle sue parole. Probabilmente era desiderio di tutti i Cullen avere una vita umana, ma michiesi perché fosse stata proprio Rosalie a pormi la domanda. Lei che mi parlava raramente. Non capì, ma risposi ugualmente.
≪Un giorno, potrei, molto probabilmente. Ma il tutto dipende dal vampiro Rosalie. Non ho mai chiesto ad Aro e la documentazione a riguardo è poca. Se si trattasse di un neonato, un vampiro appena creato, non ci sarebbero problemi. Ma un vampiro anziano, di ottanta, centocinquanta anni potrebbe ritornare semplicemente...≫
≪Cenere o ossa≫, mi interruppe lei.
Emmet la strinse al suo petto.   
≪Devo ammettere che i tuoi poteri, in mano ai Volturi, li rendono invincibili≫, rimuginò Jasper, per spezzare l’atmosfera che si era venuta a creare.
Sorrisi.
≪Io ho il mio libero arbitrio, Jasper. Non utilizzerò una forza del genere se non per il bene. Non ho alcuna sete di potere≫.
≪Sì, non lo metto in dubbio. Ma sei una guardia, Bella. E una guardia ha il dovere di obbedire≫.
≪Ma io non sono una guardia qualsiasi, Jasper. Io non sono un vampiro, benché sia immortale. E questo, Aro lo sa bene≫.
 Jasper annuì, rimuginando. Vidi Edward lanciargli una strana occhiata, prima di assumere la stessa aria pensierosa. Non potei osservarli allungo, perché l’uragano Alice mi venne incontro, tra le dita stringeva una rosa rossa. Mi guardò, con sguardo implorante e io alzai gli occhi al cielo.
≪Se non è troppo faticoso≫, implorò.
Annuì e lei mi abbagliò con un sorriso, porgendomi la rosa.
≪Un fiorellino non è niente, dopo quello che ho fatto ieri. Adesso sono molto più forte di quanto fossi quando ero a Volterra≫.
≪Ottimo, allora, facci vedere≫.
 Tutti gli occhi puntarono immediatamente il mio volto, arrossì e abbassai il capo. Concentrai la mia attenzione sulla splendida rosa color rubino.
≪Togliere la vita è molto meno stancante che restituirla. Ma le sensazioni sono diverse. Provo un certo compiacimento nel far vivere, ma uccidere è quasi doloroso. Sento la vita che lascia il proprio contenitore. Perché gli esseri viventi sono dei contenitori. Ogni essere che vive, possiede un’anima. Anche se bisognerebbe dare una definizione più corretta a ciò che è la vita. Gli umani, che non sanno della nostra esistenza, hanno dato una loro definizione. Noi, che abbiamo una conoscenza maggiore, ne diamo un’altra≫, spiegai, osservando nel dettaglio il fiore e la sua bellezza.
Il colore abbagliante dei suoi petali sottili e delicati. Avvertì, senza sussultare, un vento di pura energia fuoriuscire dal mio corpo e sollevarmi i capelli, in quell’istante alzai gli occhi, così che gli altri potessero vedere, fin troppo consapevole del colore che avevano assunto. Li vidi trattenere il respiro, e avvicinarsi, quasi inconsapevolmente. Velocemente la rosa appassì, si spense. Avvertì la vita che la lasciva e i suoi petali cadere ai miei piedi, grigi. Vederli così incantati era divertente. Come fossi un prestigiatore da quattro soldi, feci scorrere la mano davanti al fiore, lentamente. Quando raggiunse il capo opposto e il fiore ritornò visibile, l’immagine si presentò diversa ai loro occhi: la rosa era di nuovo viva e splendida. La portai al naso, ispirando il suo profumo inebriante, mentre i miei occhi riacquistavano la loro naturale vista migliore e il mio occhio destro, color rosso rubino, incatenava i loro sguardi.

Spoiler**7difficile***

"Cosa vedi Alice", le chiesi, improvvisamente ansiosa... "Penso che sentir parlare di neonati gli abbia riportato alla mente il suo passato... "Edward", urlò. Il volto contratto dall'orrore. "Jasper"...

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Capitolo 8
*** Difficile ***


Ho modificato il capitolo, spero che vi piaccia!

Quella mattina il cielo era più buio del solito nella nuvolosa Forks. Anche senza le previsioni di Alice, ero certa che avrebbe piovuto, e sarebbe stato qualcosa di grosso, tanto da ammutolire la foresta. Il vento soffiava quasi inferocito, facendo un rumore tale che, la notte precedente, avevo trovato difficoltà a dormire, più delle altre sere ovvero. Per un attimo, mi persi nel ricordo dei miei risvegli bruschi e improvvisi.

Da quando vivevo con i Cullen non avevo mai avuto neanche un incubo, ma da qualche giorno a quella parte ero perseguitata da un sogno ricorrente e incomprensibile. Scossi la testa, come cercassi di liberare la mia memoria dal ricordo. Mi strinsi nel giubbino, sospirando. Nonostante le temperature fredde e invernali, l’abitacolo della Volvo - la mia Volvo -  era caldo e rassicurante. Avevo occupato il posto davanti - che ormai era diventato mio - accanto a Edward. Dietro di noi, Rosalie, Emmet, Jasper ed Alice parlavano a bassa voce, abbracciati teneramente. Io guardavo fuori dal finestrino, oppure, preferibilmente, il volto di Edward. Non mostrava alcun segno di cedimento, né di concentrazione. Per lui guidare era naturale, quasi una capacità innata, tra le tante...

Sorrisi, colpita da un pensiero improvviso e ridicolo.

≪A che cosa pensi?≫, chiese Edward in un sussurro.

≪Pensavo che non ho una patente, ma che mi piacerebbe guidare un’auto≫.

Edward sorrise.

≪Se riesci a imparare, posso falsificartene una. Così non sarai neanche costretta a sostenere l’esame≫.

≪Ci penserò≫, risposi ridendo.

 Rimanemmo a fissarci negli occhi per alcuni attimi eterni, come sempre. Non sembrava affatto preoccupato di dover guardare la strada: continuava a fissarmi. Con lo sguardo perso nei suoi occhi, il ricordo di un paio di sere fa m’invase la mente, conquistando tutta la mia concentrazione...

Mi svegliai con un urlo, drizzandomi sulla schiena. Scossi la testa, scostando i capelli arruffati dal mio volto. Era la prima volta, dopo settimane, che mi risvegliavo con un incubo. E ne ero rimasta sconvolta.

Non avevo mai sognato qualcosa con una tale chiarezza di dettagli e sensazioni, neanche se fossi cosciente anziché addormentata.

Rabbrividì, come mi trovassi ancora immersa nel sogno. Ero talmente assorta nel ricordo di ciò che avevo appena sognato da non accorgermi immediatamente di una presenza che si avvicinava, fin quando una figura non fece capolino dalla porta, cogliendomi di sorpresa. La luce della luna era sufficiente per illuminare la figura familiare immobile vicino al mio letto e a rendere il suo volto ancor più bello ed etereo. I suoi capelli bronzei sembravano quasi neri e i suoi occhi color oro avevano assunto tonalità grigio-argento. Era bellissimo e terrificante al tempo stesso. Era trascorso appena un secondo da quando era entrato nella mia stanza, ma era stato sufficiente perché io potessi ammirare a pieno la sua bellezza. Edward si chinò carezzandomi una guancia, e io, come consueto, arrossì. Sapevo che, nonostante il buio, lui se ne sarebbe accorto: notava ogni cambiamento sul mio volto. Con Edward, perdevo ogni capacità di menzogna o raziocinio, come se davvero riuscisse a leggermi nel pensiero, o, visto che ciò gli era impossibile, nell’anima.

Come una freccia scagliata dall’arco del migliore degli arcieri, allo stesso modo il suo sguardo mi colpiva.

≪Bella≫, sussurrò, ≪tutto bene?≫.

Aveva pronunciato tante volte il mio nome, facendomi meravigliare del modo in cui suonava sulle sue labbra, ma mai aveva scatenato in me una tale sensazione. Sentì le mie guance avvampare di rosso e il mio cuore battere talmente forte da darmi l’impressione che volesse uscirmi fuori dal petto. Avvertivo una gioia profonda e diversa da qualsiasi altra emozione provata prima. Non sapevo bene il perché di questo cambiamento, forse il buio che ci circondava e ci avvolgeva, cullandoci. Forse la sua bellezza così lontana dal banale aspetto umano, e perché no, anche immortale. Forse la sua semplice presenza. Il fatto che fosse proprio lì, in quel momento, quando ne avevo più bisogno...  

≪Ti ho sentita urlare≫, continuò, quando vide che non rispondevo.

Scossi la testa, allontanando lo sguardo dai suoi occhi ipnotizzatori.

≪Ho avuto un incubo≫, sussurrai. Edward mi carezzò il volto, stringendolo tra le mani forti e fredde, ma tanto, tanto gentili.

≪E’ finito, va tutto bene. Sono qui≫.

La consapevolezza della veridicità delle sue parole mi colpì come un pugno in pieno stomaco.

≪Lo so≫, mormorai.

Edward sorrise e i suoi denti scintillarono al bagliore della luna. A un tratto si allontanò, le braccia lungo i fianchi, un altro sorriso e si voltò verso la porta. Un dolore terrificante mi squarciò il petto. Non volevo che andasse via, che mi lasciasse. Io avevo bisogno di lui, più di quanto, forse, mi fosse concesso. Mi allungai fino a catturare la sua mano con la mia. Edward si voltò, talmente velocemente che il movimento sembrò quasi non esistere e fissò i suoi occhi nei miei. Era incredibile come il mio pudore e la mia timidezza non accennassero mai a mostrarsi in alcuni casi, soprattutto quando ero con lui. Ma non avrei mai creduto di poter arrivare a tanto. In un sussurro quasi inudibile, la mia supplica giunse decisa e assoluta: ≪Non te ne andare≫.

 Edward rimase interdetto per un lungo istante, tanto da farmi pentire della mia sfacciataggine. Chinai il capo, osservando le mie mani che torturavano il piumone, mentre mi mordevo il labbro inferiore. A un tratto, dita fredde mi sollevarono il mento. Edward mi guardò negli occhi per un istante infinito, in cerca. Non sapevo se o cosa avesse trovato, sta di fatto che, con le braccia lunghe e forti mi scostò su un lato, per poi sollevare il piumone e stendersi al mio fianco. Non del tutto certa di non aver soltanto sognato il gesto del ragazzo mi avvicinai a lui, accoccolandomi sul suo petto. Edward mi strinse forte a se, facendomi aderire al suo petto marmoreo e mi coprì meglio con il piumone, legando i nostri corpi, così che la sua vicinanza non mi ghiacciasse. Lo sentì carezzarmi i capelli, e poggiare il mento sulla mia testa, sussurrando una melodia familiare: una delle sue composizioni, qualcosa di recente. Tante volte lo avevo guardato incantata mentre suonava il piano e proprio quella stessa melodia, di una dolcezza assurda e infinita. Osservavo la delicatezza delle sue mani, chiedendomi come nello stesso uomo potessero coesistere tanta virilità e dolcezza. Pian, piano sentì le mie palpebre chiudersi e il sonno avvolgermi dolcemente...

Mi ridestai da quel sogno a occhi aperti solamente quando l’auto si arrestò nel parcheggio della scuola. Mi guardai intorno: eravamo arrivati. Scendemmo dall’auto e ci dirigemmo alle nostre rispettive lezioni. Persa com’ero in Edward, non mi ero accorta immediatamente dello stato d’animo di Alice. Sembrava pensierosa, preoccupata avrei detto. Quando fummo in aula - la nostra entrata, a differenza delle prime volte, non destava più alcun interesse - decisi di chiederle cosa non andasse. Alice non si preoccupava mai se non era qualcosa d’importante. Impilai i mie libri e mi decisi a parlare.

≪Cosa c’è Alice? Mi sembri... preoccupata≫.

 Alice sussultò, come se le mie parole l’avesse appena riscossa da un sogno ad occhi aperti.

Qualcosa nel futuro prossimo la preoccupava.

≪Si tratta di Jasper≫, confessò.

Rimasi sorpresa.

Mi sarei aspettata di tutto tranne che questo, ma era plausibile che lei fosse preoccupata per il suo amore.

≪Cosa vedi, Alice?≫, le chiesi, improvvisamente ansiosa.

≪Sai che tengo d’occhio il suo futuro e questa mattina...≫, esitò, come in cerca delle parole adatte, ≪si è annebbiato, sfocato, affievolito: come la luce di una candela. Non lo vedo bene Bella e questo mi spaventa a morte≫.

Nei suoi occhi c’era il panico.

Le carezzai la schiena, nel tentativo di confortarla.

≪Vedrai che andrà tutto bene, se vuoi, posso tenerlo d’occhio io. Non lo perderò mai di vista≫.

Dissi, mimando le virgolette sull’ultima parola.

E per tranquillizzarla, nascondendo il capo in modo che nessuno notasse il cambiamento, scandagliai la zona. Avvertivo le presenze di ognuno dei membri del clan Cullen. Jasper era in compagnia di Emmet, a lezione di filosofia.

≪E’ a lezione; lo sento chiaramente come sempre≫.

Alice annuì, la preoccupazione non era scomparsa dai suoi occhi.

≪E’ iniziato tutto due giorni fa. Stavamo guardando la CNN; Hanno parlato di due omicidi piuttosto sospetti: entrambi sono avvenuti di notte, il cadavere non è stato nascosto, ma brutalmente martoriato≫.

≪Un neonato≫, dissi, anticipandola.

≪Esatto≫.

Corrugai le sopracciglia.

≪Si sono più verificati omicidi di questo genere?≫, chiesi.

≪No, non più≫.

≪Dove sono stati commessi?≫.

≪A Vancouver. Cosa c’è Bella?≫, chiese sospettosa.

≪Se il neonato dovesse perdere totalmente il controllo di se stesso, dovrebbero intervenire i Volturi, ma loro in questo momento non possono farlo. E toccherebbe a me, l’addestramento mi ha insegnato ad essere pronta a ogni evenienza, Alice≫.

≪Non dire stupidaggini, noi dobbiamo proteggerti≫.

≪Io non posso ignorare il mio dovere, ma soprattutto la mia coscienza e la mia morale...≫.

Scossi la testa vigorosamente.

≪Ma non parliamo di questo, mi stavi raccontando di Jasper≫.

 Mi guardò male per un altro istante, prima di annuire.

≪Penso che sentir parlare di neonati gli abbia riportato alla mente il suo passato. E’ così difficile per lui dimenticare. Da quel momento le visioni sul suo futuro sono state tutte incerte≫.

≪Cosa temi, esattamente, Alice?≫.

≪Non  so neanche questo. Ho paura che qualcuno venga a cercarlo: la sua creatrice ad esempio. Ogni opzione è aperta. Forse, semplicemente, non è niente≫.

≪Ne hai parlato con lui?≫, chiesi.

≪Non voglio preoccuparlo per una sciocchezza. Lo terrò d’occhio, in attesa che il suo futuro ritorni alla normalità≫.

Le sorrisi, avrei voluto aiutarla in qualche modo, ma non potevo far altro che tenere anch’io d’occhio Jasper. Non parlammo per il resto della lezione, entrambe eravamo perse nei nostri pensieri. Alice probabilmente cercava nel futuro di Jasper, io pensavo al presente. Dovevo prestare più attenzione ai telegiornali. Ciò che avevo detto ad Alice era la verità. In caso ce ne fosse stato bisogno sarei dovuta intervenire, facendo le veci dei Volturi.

Era arrivata l’ora della pausa pranzo e insieme ai miei amici umani, mi stavo dirigendo alla mensa. Non avevo perso d’occhio Jasper per tutta la giornata: fin ora non era successo nulla di strano. Speravo di ricevere buone notizie da Alice. Sapevo quanto si amassero. Nessuno dei due poteva sopportare che l’altro fosse in pericolo, neanche nel più piccolo. Avevo prestato poca attenzione ai miei amici oggi, ma adesso potevo notare una certa agitazione in Mike e una felicità smisurata negli occhi di Angela. Con soddisfazione, avevo assistito al fidanzamento di Ben e Angela. Era difficile vederli separati, così mi avvicinai alla ragazza, curiosa.

≪Dov’è Ben?≫, le chiesi.

≪La sua lezione si sarà prolungata. Oh, Bella≫, esultò, abbracciandomi, ≪mi ha invitato al ballo. Sono così felice≫.

Ricambiai la sua stretta.

≪Sono felice per te≫.

Internamente, esultai.

Più ci avvicinavamo alla mensa, più notavo una certa agitazione nei ragazzi. Ogni tanto, quando alzavo lo sguardo, li beccavo a fissarmi intensamente, oppure a lanciarsi occhiate assassine. Sbuffai, prendendo il mio pranzo. Probabilmente avevo perso peso, visto che a scuola non mangiavo quasi niente. Proprio non riuscivo ad abituarmi a quel cibo spazzatura. E agli orari dei pasti.

Qualcuno si schiarì la gola.

Alzai gli occhi: Mike, Eric e Taylor mi avevano circondato e mi guardavano con non poca esitazione nello sguardo. Mike sembrava essere il portavoce di quella strana cerchia. Mi fissava, per poi abbassare immediatamente lo sguardo.

≪Cosa c’è?≫, chiesi spazientita da quella che aveva tutta l’aria di essere un imboscata.

≪Ecco, io... noi, io so che non è il momento migliore: davanti a questo cibo dall’aria poco rassicurante, ma ci chiedevamo se ti andasse di scegliere uno di noi come tuoi cavalieri per il ballo di primavera≫, deglutì, agitato.

≪Oh≫, risposi.

Non riusciva a sostenere il mio sguardo, esattamente come Eric. Taylor sembrava il più sicuro dei tre: mi sorrideva con aria spavalda.  Con uno scatto improvviso di coraggio, Mike fissò i suoi piccoli specchi azzurri nei miei. Mi faceva una tenerezza incredibile, ma mi aveva messa in difficoltà. Non volevo andare al ballo con lui, con nessuno di loro, non provavo niente per quei tre ragazzi. E, inoltre, dubitavo fortemente che avrei presenziato al ballo, a prescindere dal mio cavaliere. Perciò, risposi sinceramente: ≪Non penso che verrò al ballo. Mi dispiace ragazzi≫.

≪Hai altri impegni?≫.

≪No, semplicemente non amo la vita mondana≫, risposi, più irritata di quanto immaginassi.

Mi avevano messo alle corde, potevo benissimo essere arrabbiata. Prima che potessero aggiungere qualsiasi altra cosa, lanciai loro un sorriso stupefacente e mi allontanai.

L’umore di Alice, se possibile, sembrava essere peggiorato. Stringeva il braccio di Jasper come se vi si volesse aggrappare. Il ragazzo sembrava tranquillo e, del tutto ignaro del perché dello stato d’animo di Alice, la stringeva a se protettivo, tentando d’infonderle sicurezza e serenità. Quando mi sedetti al suo fianco, ci guardammo per un breve ma significativo istante. Probabilmente soltanto Edward era al corrente della situazione a parte me, e non per volontà di Alice. Lancia uno sguardo al ragazzo, che mi restituì un’occhiata piena di sottintesi. Emmet e Rosalie sembravano indifferenti a ciò che li circondava. Si guardavano negli occhi, incuranti di tutto il resto, come se si vedessero per la prima volta, come se non avessero potuto vedere nient’altro. Cercavo, ma non c’era nulla nella volontà di Jasper che potesse farmi supporre a un disastro imminente. La pausa pranzo fu silenziosa, quando la campana suonò tirai un sospiro  di sollievo. Io ed Edward ci dirigemmo a lezione e sedemmo al nostro tavolo, mentre gli altri ragazzi prendevano posto. Il suono familiare della risata basa e trattenuta di Edward, mi portò a voltarmi nella sua direzione, con un punto interrogativo nello sguardo.

≪Mike Newton mi odia con tutto se stesso≫, annunciò soddisfatto.

≪Perché?≫, chiesi.

≪Pensa che sia colpa mia il tuo rifiuto al suo invito al ballo e a quello degli altri due sfortunati pretendenti≫, mi sorrise come un angelo.

Una luce maliziosa nei suoi occhi.

≪Gli ho spiegato chiaramente che non ci sarei andata, non ho detto nulla riguardo un altro invito≫, mi precipitai a mettere le mani avanti.

≪Lo so, ma loro non ti hanno creduto. Taylor pensa che se ti avesse invitato da solo, avresti accettato. E’ molto sicuro di se. Pensano di aver sbagliato strategia≫, continuò, riportando la lista dei loro pensieri, sempre con un sorriso in volto.

≪Non avrei accettato ugualmente≫, sospirai.

Ci fu un breve silenzio in cui pensai che la conversazione sul ballo fosse finita, ma, a sorpresa, Edward chiese: ≪Perché?≫.

≪Non voglio illuderli di una possibilità che non hanno. Nel mio cuore non c’è spazio per loro≫, risposi sinceramente.

Edward mi lanciò con sguardo indecifrabile, fin quando l’insegnante non diede inizio alla lezione. Chinai il capo, portando i capelli sulla mia spalla destra, per nascondere il mio volto in fiamme.

Quando la lezione finì Edward mi affiancò come sempre, per potermi accompagnare a educazione fisica. Prima di lasciare l’aula di biologia la mia attenzione fu catturata da un rumore familiare: quello della pioggia. Come avevo supposto quella mattina, stava per arrivare un temporale. Il cielo era scuro e le nuvole dense di pioggia.

Tutto questo aveva il suo fascino.

Con il tempo mi ero abituata all’oscurità e alla solitudine. Il rumore della pioggia era confortevole: riusciva a rilassarmi. L’oscurità era un luogo sicuro in cui rifugiarsi. Non mi ero accorta che nel frattempo avevamo iniziato a muoverci. La mancanza di concentrazione non mi stupiva come un tempo, mi ci ero abituata. Non vivevo più in una bolla di cristallo, in cui nessuno poteva entrare o uscire. Dove non c’erano sbagli, né sorprese. Ero diventata molto più umana di quanto fossi mai stata. In quel momento, mi resi conto di non essere mai stata colpita da un temporale improvviso, come poteva capitare a chiunque, neanche qui a Forks, dove la pioggia rientrava nella quotidianità.

Sospirai.

 Persino questa esperienza mancava alla mia lista. Adesso lo capivo. Avevo un’idea più chiara di ciò che significasse desiderare qualcosa e permettersi di sperare e sognare di averla. Ero molto più padrona di me stessa e consapevole dei miei desideri. Non sarei mai più stata la stessa, quando fossi ritornata a Volterra. In questi mesi avevo vissuto davvero. Avevo imparato a fare i conti con ogni sfaccettatura della vita, non soltanto con il dolore e la solitudine.

Non ero perfetta.

Ero umana.

E vivevo emozioni e sensazioni umane.

Non ero più così certa che sarei stata capace di ritornare alla mia vecchia vita. Questi mesi trascorsi con i Cullen mi avevano cambiata profondamente. Era stato un cambiamento irreversibile. All’improvviso mi sentì invadere dall’angoscia: quanto tempo mi rimaneva? Volevo vivere il più possibile, così da poter insegnare ai miei figli, in futuro, cosa si celasse al di fuori delle mura di Volterra.

Mi fermai all’improvviso e Edward s’immobilizzò al mio fianco.

≪Cosa c’è Bella?≫, chiese ansioso.

≪Vuoi davvero andare a lezione?≫, gli chiesi.

Edward sorrise.

≪Hai qualcosa di migliore da propormi? In quel caso sono tutt’orecchi≫.

Un sorriso luminoso si mostrò sul mio volto e mi avvicinai a Edward, con le stesse movenze di un predatore che ha appena intrappolato la sua preda. Il ragazzo mi sorrise, la luce nei suoi occhi era specchio della mia.

≪Prendimi≫, sussurrai e, prima ancora che potesse capire il significato delle mie parole, avevo già iniziato a correre per i corridoi ormai deserti, finché non raggiunsi il mio obbiettivo: la porta sul retro.

In quel momento realizzai cosa fosse l’emozione che guidava le mie azioni. Trasgredire alle regole, superare gli schemi e lasciarsi alle spalle i freni inibitori,  attraversando i confini che mi venivano imposti: adrenalina, libertà, un’emozione di cui, adesso, avevo una conoscenza migliore. Spalancai le porte e la luce grigia e scura del giorno m’investì.

Non mi fermai.

Corsi sotto la pioggia e alzai il volto al cielo, chiudendo gli occhi ed ispirando il profumo di una nuova esperienza. Le gocce d’acqua mi bagnavano il viso: le sentivo correre lungo il mio volto, sulle palpebre, sui capelli, le labbra, il mento e in fine il collo. Il fuoco che aveva invaso le mie guance a causa della vicinanza di Edward era spento. Sentivo soltanto il sapore della pioggia e della libertà, mentre l’acqua m’inzuppava i vestiti. Sollevai le braccia, quasi ad accogliere l’acquazzone tra le braccia.

Se escludevo il rumore del diluvio riuscivo quasi a sentire il battito accelerato del mio cuore scandire il tempo della mia vita, come non aveva mai fatto fino a quel momento. D’un tratto braccia forti e fredde come l’acciaio mi strinsero per la vita, sollevandomi da terra e facendomi roteare in cielo. Spalancai di scatto gli occhi e iniziai a divincolarmi, senza però riuscire a muovermi di un millimetro. Le braccia di Edward, serrate sulla mia vita, non mi permettevano di allontanarmi. Una risata serena e spontanea mi scosse. Era un suono nuovo, diverso persino dalla risate che scatenava la gioia di stare con la mia nuova famiglia. Era pura felicità quella che stavo provando in quel momento. Battevo i pugni sulle braccia di Edward, mentre la pioggia c’inzuppava entrambi.

≪Lasciami≫, urlai tra le risa.

La risata familiare di Edward si aggiunse alla mia, mentre mi lasciava scendere, senza però scostare le braccia dalla mia vita. Mi strinse a se e io posai le mie mani sulle sue braccia.

≪Presa≫, sussurrò al mio orecchio.

Il suo respiro fresco mi fece rabbrividire. Un’altra risata. Questa volta però Edward non si unì a me. M’immobilizzai quando affondò il volto nell’incavo del mio collo. Tracciava un percorso immaginario con la punta del naso, inspirando il mio profumo.

≪Hai un profumo meraviglioso≫, commentò all’improvviso, cogliendomi di sorpresa.

 Sapevo che a quel punto sarebbe stato saggio scostarmi dalla sua presa, ma non trovavo dentro di me la volontà per farlo. Nonostante il freddo, la mia pelle si era surriscaldata. Mi sentivo come non mai avvolta nella nostra bolla. E la sua vicinanza mi dava tutto il calore di cui avevo bisogno. Le braccia di Edward allentarono la presa e per un attimo mi sentì vuota. Forse aveva dato alla mia immobilità un significato sbagliato; ero pronta a rassicurarlo, ma, anziché allontanarsi da me, mi voltò semplicemente nella sua direzione, stringendomi tra le sue braccia. La sua maglia leggera era diventata come una seconda pelle. Avvertivo la consistenza dura del suo torace marmoreo. Affondai il volto nel suo petto, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Non mi ero mai sentita come in quel momento. I semplici contatti che mi permettevo non erano niente in confronto alla sensazione di stare tra le sue braccia. Mi sentivo al sicuro, cullata dal movimento ritmico del suo respiro che alzava e abbassava il suo torace. Avevo quasi l’impressione di udire il battito del suo cuore, benché ciò fosse impossibile. Era un suono straordinario, più bello persino delle melodie create dalle sue mani e dal suo pianoforte. Non sentivo il bisogno di nulla e non m’importava di niente, neanche della pioggia fredda. Vedevo soltanto lui. Sentivo soltanto lui. C’era soltanto lui.

Troppo presto, sciolse l’abbraccio.

Ci fissavamo negli occhi, silenziosi. Si udiva soltanto lo scrosciare ritmico della pioggia. Osservavo Edward, le gocce di pioggia sul suo volto perfetto, i capelli bagnati e ancor più arruffati del solito e mi chiesi scioccamente come sarebbe stata la mia vita quando lui non ne avesse più fatto parte. Alle gocce di pioggia si aggiunsero le mie lacrime salate. Edward s’intristì e si chinò per raccogliere le mie lacrime con le sue labbra. Non riuscivo a pensare ad un futuro senza Edward e, perciò, semplicemente, non lo feci.

Mi concentrai sulle sue labbra che carezzavano dolcemente la pelle in fiamme delle mie guance. Quando si scostò, sorrisi timidamente. Lui ricambiò con il sorriso sghembo che preferivo. Le sue mani carezzarono i miei capelli bagnati, le mie guance, il naso, le palpebre. Io, nello stesso tempo, mi ritrovai ad accarezzare con gesti frenetici della mano il suo volto perfetto: incantata dalle goccioline che gli rigavano le guance. Fu naturale ritrovarci più vicini di quanto fossimo mai stati, le nostre labbra a contatto le une con le altre. Riuscivo quasi a sentire il suo respiro nella bocca. Sapevo che la mia vicinanza non gli faceva bruciare la gola. Il mio odore non somigliava a quello del cibo, non sarebbe stato come baciare un essere umano, almeno non riguardo quell’aspetto. A sentire Felix il mio odore era diverso da qualsiasi altra cosa avesse mai odorato prima d’allora. Edward esitava, come a voler prolungare quel momento, la tortura dell’attesa. Non avrei avuto la forza di fermarlo, neanche se avessi voluto...

In quel momento qualcosa cambiò e sia io che Edward ci voltammo verso la porta. La rabbia per colei che aveva interrotto il nostro momento durò soltanto una frazione di secondo, per poi scomparire. Io e Edward ci allontanammo, ma quella separazione bruciò come il fuoco sulla pelle, per entrambi. La smorfia di dolore sul suo volto era più che esplicita.  Alice uscì sotto la tettoia spalancando la porta grigia a doppia anta.

≪Edward≫, urlò.

 Il volto contratto dall’orrore.

≪Jasper≫.

 Queste furono le sue uniche parole, ciò che avvenne in seguito furono una serie di movimenti e di pensieri estremamente confusi. Io e Edward ci guardammo per un istante brevissimo, prima di correre entrambi all’interno della scuola. Chiudemmo la porta con gesto automatico, lasciandoci alle spalle il cortile, unico testimone del nostro momento di debolezza. Faticai a seguire il loro passo: si muovevano velocemente per i corridoi. Un espressione agguerrita sui loro volti. Comunicavano attraverso il pensiero, perciò colsi soltanto un’unica frase pronunciata da Edward: ≪Mi dispiace Alice. Avrei dovuto tenere d’occhio i suoi pensieri più attentamente≫.

 Sul volto adorabile di Alice comparve un’espressione di dolore. Prima che il corridoio arrivasse all’angolo della curva a destra comparvero Emmet e Rosalie. Sui loro volti l’espressione di chi non è al corrente del pericolo imminente, esattamente come me.

≪Che succede?≫, chiese Emmet, mentre io dicevo: ≪Cosa vedi Alice?≫.

≪Era tutto troppo incerto, da stamattina non vedevo il futuro di Jasper≫, singhiozzò.

 Emmet e Rosalie si scambiarono un’occhiata ansiosa, mentre io mi avvicinavo ad Alice e le stringevo la mano. Si aggrappò al mio braccio, come se non avesse neanche la forza per continuare a parlare. Le carezzai i capelli corvini, sussurrando parole di conforto. Il panico stava cogliendo anche Emmet e Rosalie. In quel momento compresi quanto fosse essenziale la presenza rassicurante di Jasper...

≪Continua Alice≫, le dissi.

La ragazza annuì.

≪Ho impiegato su di lui tutta la mia concentrazione, lo faccio da giorni ormai, e d’un tratto qualcosa è cambiato. E’ uscito dalla classe e ha iniziato a seguire qualcosa, una scia suppongo. Ha preso la decisione cosciente di seguirla. Potrebbe essere in pericolo, o... cedere a qualche tentazione. Non voglio che soffra≫.

Mi sentì immediatamente in colpa, se avessi prestato più attenzione a Jasper, come avevo promesso ad Alice, anziché ad Edward, avremmo evitato tutto questo.

≪Andremo a piedi, in modo da seguirne le tracce. Emmet avverti Carlisle. Alice vedi quale strada a percorso?≫, disse perentorio Edward, naturalmente sapeva già tutto e pensava alle mosse successive.

≪No, ma non è più a Forks, ne sono certa. E adesso non riesco più a vederlo. E’ come se da questa scelta dipendesse tutto il suo futuro e al momento lui è troppo incerto per permettermi di vedere≫.

≪Non preoccuparti Alice, lo salveremo≫, le dissi.

≪Mi chiedo soltanto se si lascerà salvare≫, sussurrò, in tono così basso che pensai di aver capito male, fin quando gli altri non le lanciarono un occhiata preoccupata e densa di sottintesi.

Quando fummo all’esterno Edward mi lanciò un occhiata preoccupata.

≪Sarebbe meglio che tu rientrassi in classe, Bella≫.

≪Cosa?≫, chiesi sorpresa.

≪Non sappiamo cosa stia succedendo o a cosa andiamo incontro: potrebbe essere troppo pericoloso≫.

≪Non dire sciocchezze, ragiona, potrei esservi d’aiuto. Edward, posso trovarlo molto più velocemente di voi, il tempo è essenziale≫.

≪Non posso esporti a un pericolo del genere. Noi dobbiamo proteggerti≫, disse e poi sussurrò, talmente vicino al mio volto che potei tranquillamente inspirare il suo profumo, ≪io devo farlo≫.

Edward mi guardava intensamente.

Per un attimo, il ricordo di ciò che c’era stato tra noi in cortile mi fece perdere in concentrazione e lucidità. Scossi la testa nel tentativo di riprendere il controllo.

≪Non se ne parla. La mia preparazione a eventi del genere è certamente superiore alla vostra e lo sai. So cosa fare in circostanze del genere e come badare a me stessa. Non temere per me≫.

Lo guardai per un istante prima di abbassare lo sguardo e continuare a parlare, rivolta agli altri.

≪Se ci avviciniamo abbastanza vi dirò la sua posizione esatta. Andiamo?≫, chiesi, alzando il volto e puntando i miei occhi nei suoi.

I ragazzi annuirono.  Edward mi guardava con disappunto. Alla fine mi si avvicinò e mi costrinse ad indossare il suo giubbino. Sollevai il cappuccio, mentre Edward mi faceva segno di salirgli in spalla. Non me lo feci ripetere e a velocità disumana sparimmo nella foresta. Era strano e bellissimo al tempo stesso correre in spalla ad Edward. Mi aggrappavo al suo corpo duro come roccia con sicurezza infinita. Supponevo che, se avessi osservato la nostra corsa semplicemente con occhi umani, avrei sofferto di nausea da movimento, ma con il mio occhio destro riuscivo a vedere la foresta con la stessa limpidezza degli altri e non mi spaventava affatto. Ero padrona di me stessa, quanto potevano esserlo i vampiri ai miei lati. Alice era la più veloce tra tutti, annusava l’aria, seguendo il familiare odore di Jasper, divisa tra presente e futuro. Io ed Edward eravamo subito dietro di lei. Mi strinsi forte al suo petto, chiudendo gli occhi e affondando il capo nell’incavo del suo collo, in modo che la pioggia non m’infastidisse e aprì la mia mente. Ampliai il raggio del mio “udito” supplementare e andai alla ricerca della volontà di Jasper, impressa a fuoco nella mia mente. Nonostante il braccio con cui agivo fosse molto ampio, non c’era traccia di Jasper.

Non ancora.

 Volavamo nella foresta, Alice di fronte a tutti, i nostri cuori pieni di preoccupazione. Ero stanca per lo sforzo cui stavo sottoponendo la mia mente. Ampliai nuovamente il mio raggio di un chilometro, già tirato enormemente, temendo che potesse in qualche modo spezzarsi, come fosse un semplice elastico, ma fu vano. Non sentivo niente a parte le persone che guidavano in strada. Edward virò, avvicinandosi un po’ di più all’autostrada e fu in quel momento che lo sentì.

Era Jasper, senza alcun dubbio.

La mia mente era invasa da centinai di presenza diverse: ci stavamo avvicinando a una città.  

Lui era chiaramente in una zona isolata.

Lo avvertivo distintamente, ma ormai lo avevo individuato e non era solo.  

≪A sinistra≫, urlai ad Edward.

 Il ragazzo mi diede ascolto senza pensarci troppo e virammo nella direzione che avevo indicato loro.

≪Ci avviciniamo a una città?≫, chiesi.

≪Sì≫, rispose Edward.

≪Jasper è distante, in un luogo isolato rispetto al resto. Non si muove, ma non è solo≫, sussurrai, il mio sguardo velato, lontano.

≪E’ qualcuno che conosci?≫, chiese Alice.

≪No, non ho mai sentito questa presenza prima d’ora, ma è... umana. Jasper è...≫.

≪Cosa Bella? Cosa?≫.

 Non riuscì a finire la frase, perché non volevo dare un dolore del genere ad Alice. Jasper era preda dei suoi istinti. La sua volontà precipitava, colando a picco verso il basso.  

Eppure, non era stato questo a lasciarmi senza parole: Jasper e l’umano non erano soli.

Percepivo distintamente due presenze, le loro volontà erano simili in natura a quelle dei Cullen e dei Volturi.

Certamente le loro azioni non avevano fini nobili, quello che li spingeva era la rabbia e la vendetta, emozioni che intuivo chiaramente.

≪Correte, presto≫, fu l’unica cosa che riuscì a dire e tutti aumentarono il passo.

 I piedi di Alice non toccavano più neanche terra, Edward, miracolosamente, riusciva a seguire il suo passo. Tenevo d’occhio la situazione, come mi trovassi lì con loro. Potevo addirittura dire che Jasper sovrastava la debole figura umana, mentre le due presenze dalla volontà imponente si trovavano alle sue spalle.

≪Bella?≫, mi chiamò Alice, la sua voce era incrinata.

≪Dimmi come sta Jasper, ti prego≫.

Era a pezzi, sull’orlo di un crollo di nervi, sempre che fosse possibile.

≪Sta bene, per ora. Si sono aggiunte... due volontà che non conosco, sono forti ma meschine. Jasper sta cadendo, Alice. Potrebbe fare la scelta sbagliata e ferire l’umano≫.

Alice e Edward aumentarono il passo: non credevo che i loro piedi potessero muoversi a una velocità simile. Più ci avvicinavamo alla città, maggiore era la chiarezza con cui avvertivo la presenza di Jasper. La figura del vampiro era immobile, da ciò che potevo intuire. Quasi immaginavo l’espressione di Jasper. Era un soldato: non gli piaceva trovarsi in condizioni di inferiorità numerica.

Ero più che certa si trattasse di mostri, non per la loro natura, ma per la meschinità della loro anima. Concentrata com’ero sulla situazione non mi sfuggì il tentativo da parte dell’umano di allontanarsi. Potevo dire che avesse mosso due passi indietro, prima che qualcosa op qualcuno lo bloccasse. In uno scatto repentino una delle due meschine presenze aveva affiancato l’umano. Se non fossi stata tanto concentrata avrei confuso le due presenze, tanta era la loro vicinanza. Non riuscivo a capire cosa stesse succedendo. Perché perdere il controllo così all’improvviso? Perché ferire Alice e tutta la sua famiglia? Chi erano i due miseri vampiri la cui comparsa sembrava aver sorpreso persino Jasper?

≪Tieniti forte, Bella. Dobbiamo procedere per i tetti≫, sussurrò Edward.

Feci come aveva detto e mi aggrappai più saldamente a lui, affondando il volto nell’incavo della sua spalla. Mi accorsi, in un attimo di pausa della nostra corsa sfrenata, che aveva smesso di piovere.

≪Non possiamo seguire le sue tracce se saliamo sui tetti≫, disse Emmet, che era dietro di noi di alcuni metri.

≪Non possiamo neanche scendere Emmet, è giorno. Non è il caso di mettersi a correre per la città. E’ già una fortuna se nessuno a notato Jasper”. Tutti i presenti chinarono il capo e io intuì quale dovesse essere il loro pensiero, per cui provavano vergogna. Jasper aveva ucciso per gran parte della sua vita e quella natura era radicata in lui. Certamente non avrebbe commesso un errore così banale, vista l’esperienza passata.

≪Posso indicarvi io la strada, una volta che entriamo nella città≫, suggerì.

≪D’accordo≫, acconsentì Edward, nello stesso istante in cui Alice rallentava la sua corsa per affiancarlo, in attesa che dessi loro indicazioni.

Mi aggrappai ancor più forte ad Edward quando si arrampicò sul muro del primo palazzo.

≪Perché venire a Seattle?≫, rimuginò Alice. “La scia lo avrà condotto fin qui”, disse Rosalie, che era rimasta in silenzio per tutto il tempo.

≪Ma perché seguire una scia con così tanto interesse? Se qualcosa non andava, perché non ne ha parlato con me?≫.

≪Forse provava troppa vergogna per parlarne. Sai che Jasper farebbe di tutto pur di non ferirti≫, continuò Rosalie.

≪Stiamo parlando del suo futuro. E’ troppo importante, me ne avrebbe parlato≫.

≪Forse non l’ha fatto per lo stesso motivo per cui tu non gli hai parlato delle tue visioni incerte≫, disse a un tratto Edward.

Alice s’incupì. Era plausibile. Jasper non voleva far preoccupare Alice per qualcosa che considerava insignificante, ma che pure non lo era affatto.

≪A destra, Edward!≫, esclamai all’improvviso.

Edward virò bruscamente, facendomi barcollare.

≪Scusa≫, disse. In risposta, stringendo la presa con il braccio sinistro, gli carezzai il volto, ancora bagnato dalla pioggia.

≪Ha preso l’autostrada. Ci stiamo avvicinando alle zone periferiche di Seattle≫, annunciò Emmet.

≪Siamo vicini≫, li avvisai.

≪Lo sento≫, disse Edward all’improvviso.

Nella sua voce il panico.

≪E’ confuso. I suoi pensieri non sono chiari. C’è un’umana, è spaventata. E... qualcuno che non conosco. Un maschio e una femmina, sono qui per Jasper. La femmina lo conosce molto bene≫.

≪Chi sono, Edward?≫, chiese Alice.

≪Non li conosco≫, ripeté.

≪La femmina è troppo presa da Jasper, non mi lascia intravedere nulla sulle sue intenzioni. Potrebbe essere...≫.

≪Maria≫, sussurrò Alice, nella sua voce un punta d’odio puro.

≪Chi è Maria?≫, chiesi.

≪La creatrice di Jasper≫, rispose Edward.

≪E’ stata lei a immetterlo nelle guerre del sud, lo apprezzava molto≫.

≪E l’altro?≫ chiesi.

≪Non riesco a riconoscerlo. E Jasper è troppo confuso. Non è capace di ragionare lucidamente al momento, ma si sta riprendendo≫.

Edward virò a sinistra prima ancora che glielo dicessi. Un’ultima curva a destra e d’un tratto ci ritrovammo in un enorme spazio aperto. Mi guardai intorno. Eravamo in una zona edile, non c’era nessuno nelle vicinanze. Il cielo buio di Seattle rendeva quel luogo spaventoso. Le nubi incombevano su di noi come una gabbia. In un secondo momento i miei occhi si soffermarono sulla scena che fino ad ora avevo soltanto potuto immaginare. La volontà debole, l’umano femmina, era affiancata da una vampira dai lunghi capelli corvini, gli occhi neri e la carnagione scura. Il suo volto era adorabile e splendeva di un sorriso radioso. Con le dita lunghe e forti come l’acciaio costringeva la testa dell’umana a rimanere inclinata, mostrando la gola candida. L’umana era spaventata a morte ma immobile. Era esile, la sua pelle pallida imperlata di sudore e i capelli rossi e spettinati. Jasper rimaneva immobile, gli occhi dorati coperti da un leggero velo di pazzia e confusione, le labbra erano tese. Davanti a lui un altro vampiro dalla pelle scura e i capelli castani ci osservava circospetto. Qualcosa nel suo volto lo rendeva familiare... Tutti i loro occhi erano puntati su di noi. La nostra entrata improvvisa li aveva sorpresi. Edward mi lasciò scendere dalle sue spalle e mi si parò davanti, nascondendomi quasi completamente. Un sorriso cordiale si dipinse sul volto del ben vampiro scuro, mentre, malizioso osservava la mia famiglia confusa ma pronta a qualsiasi cosa pur di difendere tutti i suoi membri.   

Jasper...

Mi lasciai cadere sulla sedia dell’aula di portoghese, impilando i miei libri sul mio banco. Mio. Perché nessun umano sarebbe stato tanto pazzo - o coraggioso - da occupare il posto al mio fianco. Io, Jasper Whitlock Hale, ero forse il più inquietante e temuto dei membri della famiglia Cullen. Mi bastava sondare i componenti della classe per accorgermene. Chiunque non fosse lontano da me più di tre o quattro metri non poteva fare a meno di voltarsi, per guardarsi alle spalle. Come se temesse che avrei potuto colpirlo e ucciderlo in preda a un qualche raptus omicida. Non avevano idea di quanto quei sospetti su di me fossero fondati. Sentivo chiaramente il calore emanato dal corpo del ragazzo seduto al banco di fronte al mio. Involontariamente mi soffermai sulla vena pulsante nel suo collo candido. Quel velo sottile che era la sua pelle non avrebbe potuto nulla contro i miei denti affilati come rasoi. Nel corso della mia lunga vita avevo appreso varie tecniche di caccia, utili anche nelle battaglie. Avrei potuto spezzare il collo del ragazzo in un millesimo di secondo, per poi assaporare il dolce nettare che scorreva nelle sue vene pulsanti... Scossi la testa e sbuffai. La lezione di portoghese era l’unica che fossi costretto a seguire in solitudine. Solitamente c’era sempre qualcuno con me, Emmet, Rosalie, Alice... sospirai. Inevitabilmente il suo nome riempì ogni frammento della mia concentrazione. Il suo volto colmò il mio orizzonte, il ricordo del suono cristallino della sua voce sovrastò ogni altro suono. Era così dolce la mia piccola Alice. Il suo aspetto così fragile era ingannevole. Perché Alice era una donna forte. Più forte di me. Non riuscivo proprio a immaginare cosa sarebbe stato della mia vita se lei non fosse entrata a farne parte. Con se aveva portato la luce e la speranza nella mia vita buia e vuota. Grazie a lei avevo imparato a fidarmi delle persone, a vedere al di là della sete di potere e di dominio. Mi aveva fatto conoscere un mondo senza sangue, né guerre. Lei era la più speciale tra tutti noi vampiri e non soltanto per il suo potere, tanto stupefacente quanto impensabile. Sapeva amare ed essere amata. Non riuscivo più ad immaginare la mia vita senza quel suo modo di fare, senza la gioia che riusciva a portare a tutti, soprattutto a me. Soltanto con la sua presenza. Non avevo mai sorriso nella mia vita prima d’incontrare Alice. Non veramente. Soltanto sorrisi sarcastici e maliziosi, vuoti. Ma con lei avevo conosciuto la felicità. Era talmente perfetta che, a volte, mi chiedevo come potesse stare con uno come me. Ero il meno umano tra tutti loro. Nonostante fossero passati molti anni, avevo ancora difficoltà a controllarmi davanti al sangue. Il suo richiamo era troppo forte. Era oltremodo inutile fingere che non mi toccasse come succedeva agli altri. Con tutto me stesso tentavo di resistere per amore di Alice e della mia nuova famiglia: tre fratelli e due genitori meravigliosi. Carlisle ed Esme mi avevano insegnato il significato dell’amore e della compassione e  soprattutto il rispetto per la vita altrui. Ma nonostante il ricordo della sofferenza delle miei vittime fosse indelebile nella mia memoria, nonostante sapessi che uccidere era sbagliato, il sangue umano continuava a farmi venire l’acquolina in bocca. Ormai mi ero lasciato alle spalle il mio passato, ma, da qualche giorno a questa parte, mi chiedevo se fosse davvero giusto rinunciare ai miei desideri. Se il mio destino fosse stato quello di essere un mostro, se la mia natura non mi permetteva di resistere alle tentazioni come poteva fare uno qualsiasi dei miei fratelli, perché continuare con questa farsa? La mia vita era una recita: la scuola, la finzione di essere più umano di quanto non fossi. Tutto questo era salutare per me, ma iniziavo a chiedermi se fossi io. Chi era Jasper Whitlock? Il vampiro che poteva fingersi un essere umano oppure il mostro che aveva ucciso così tanti umani e vampiri da aver perso il conto? Bastava così poco per farmi perdere fiducia nel mio stile di vita! Il ricordo del mio passato risvegliava in me domande senza risposta. L’unica cosa di cui ero certo in tutto questo era il mio amore per Alice. La mia salvatrice. Come potevo dubitare quando c’era lei a guidarmi! La mia piccola, dolce veggente. Sorrisi, spaventando il ragazzo che nel frattempo si era voltato a guardarmi. Lo vidi trasalire. Eppure, al ricordo di Alice una ruga mi solcò il volto. Era stata strana per tutto il giorno, qualcosa la preoccupava. Non avevo intenzione di chiederle niente, ancora. Se ne avesse sentito il bisogno me ne avrebbe parlato. Potevo soltanto starle accanto e rassicurarla. Anche se un terribile presentimento mi rendeva irrequieto. Mi mossi convulsamente sulla sedia. Ero agitato, il ché era inusuale per me. La calma irremovibile era il mio punto forte. Passai le mani tra i capelli, nel tentativo di riprendere il controllo di me stesso. In questi giorni ogni cosa mi sembrava troppo stretta. Persino quella stanza mi rendeva claustrofobico. Il ché era impossibile, visto che io non avevo alcun bisogno di respirare. Era soltanto una comodità, un’altra delle mie recite. Mi alzai di scatto dalla sedia, interrompendo l’insegnante che stava spiegando nel silenzio più totale. Tutti i ragazzi puntarono gli occhi sul mio volto, sorpresi e spaventati. Non osavano incrociare i miei occhi furenti.

≪Qualcosa non va signor Hale?≫.

≪Non mi sento molto bene, vorrei il permesso di poter ritornare a casa≫.

≪Vuole andare in infermeria?≫.

≪No, non ce n’è alcun bisogno. In caso andrò da mio padre≫.

≪D’accordo, firmi un permesso alla segretaria e poi può ritornare a casa≫.

 Annuì.

≪Sarà fatto≫.

Velocemente raccolsi le mie cose e uscì dall’aula, lasciandomi alle spalle sorpresa e paura. Mi avviai verso la segreteria. Alice sicuramente mi aveva già visto, speravo non si preoccupasse. Fu in quel momento, ormai fuori dall’istituto che intercettai la scia più promettente che avessi mai odorato in tutta la mia vita. Nonostante la pioggia, l’odore, immutato, mi faceva bruciare la gola. Era un odore dolcissimo, che non somigliava a nient’altro. Era persino migliore del profumo della pelle di Alice. Inspirai ed espirai con un sibilo. Qualcosa cambiò. Ogni tentennamento, tutto ciò che mi teneva legato allo stile di vita che avevo intrapreso perse il suo significato e mi ritrovai a seguire la traccia. Non più uomo ma predatore. Sapevo che non mi sarei fermato finché non avessi trovato il proprietario di quel profumo meraviglioso e non avessi fatto mio il suo sangue. Provai a immaginare il suo sapore, ma non ci riuscì. Non avevo mai sentito nulla di simile prima d’ora, per poter anche solo idealizzare. Mi attraeva come il canto di una sirena. Ecco, il suo sangue cantava per me...

 Non c’era nessuno nei paraggi che potesse vedermi, nessuna vittima collaterale, soltanto la mia preda. D’un tratto la scia si fece più forte e la vidi. Istintivamente mi nascosi dietro uno degli alberi della foresta e la osservai. Era giovane, magari una nuova possibile studentessa della Forks High School. Non avrebbe più avuto alcuna possibilità. Il corpo esile e mingherlino, i capelli rossi arruffati e bagnati dalla pioggia, il volto contratto mentre tentava di armeggiare con l’ombrello che non voleva chiudersi: fragile e impacciata. Era il momento migliore per agire. Mentre la guardavo la sua figura esile e all’apparenza fragile mi ricordò incredibilmente Alice... la mia Alice. Cosa avrebbe pensato di me? Non mi avrebbe giudicato. Certamente mi avrebbe perdonato e amato... forse avrei potuto... un’improvvisa folata di vento le scompigliò i capelli rossi e lisci e spinse il suo odore dritto sul mio volto. Potevo quasi sentirlo sulla lingua e nel mio stomaco. Ringhiai, pronto ad avventarmi sulla sua gola, quando udì qualcuno avvicinarsi. Era un poliziotto con tanto di divisa. Maledizione, non potevo ucciderlo. La sua scomparsa avrebbe destato troppi sospetti. Ringhiai ancora. Nel frattempo la ragazza aveva chiuso l’ombrello ed era uscita dal parcheggio. Attesi che il poliziotto passasse, senza perderla di vista, per poi lanciarmi al suo inseguimento. La seguì attraverso la verde e fitta rete che era la foresta. Avrei dovuto aspettare che fermasse di nuovo l’auto, non m’importava, l’avrei seguita fino in capo al mondo. Quel viaggio mi sembrò lunghissimo, correvo nella  foresta senza neanche guardarmi intorno. Fissavo l’auto - incapace di distogliere lo sguardo - e il volto della mia preda. A un tratto mi resi conto che ci stavamo avvicinando a una città, Seattle probabilmente. La ragazza proseguì sull’autostrada, stava raggiungendo la periferia della città. Sbuffai, si sarebbe fermata prima o poi? Stavo valutando la possibilità di fiondarmi sull’auto in corsa, aprire lo sportello e tirarla fuori. L’auto sarebbe andata a sbattere da qualche parte, e si sarebbe pensato a un incidente d’auto. In fondo, l’autostrada era deserta... Prima che potessi anche soltanto decidere la prossima mossa la ragazza sterzò a destra e l’auto si fermò davanti a un vecchio palazzo. All’improvviso ricordai e capì chi fosse la ragazza. Esme ce ne aveva parlato diversi giorni fa. Era stata lei a ristrutturare la casa della ragazza e delle madre divorziata. Il padre della ragazza, Monica era il suo nome, abitava a Seattle, nel quartiere edile, vicino al suo posto di lavoro... La ragazza suonò al campanello ma nessuno le rispose. Così cambiò direzione, avviandosi, probabilmente, al posto di lavoro del padre. Non prese l’auto e proseguì a piedi. Era una preda troppo facile da catturare. Sembrava quasi invitarmi. La seguì per alcuni metri, finché la strada non fu nascosta dai palazzi e ci ritrovammo in un spiazzo enorme e vuoto. Uscì allo scoperto sotto il cielo buio e grigio. Lo sfondo perfetto per ciò che stava per succedere. Avrei ucciso ancora, dopo cinquant’anni. Avrei deluso Alice e tutta la mia famiglia. Un’altra folata di vento gelido mi soffiò in faccia il suo odore e un ringhio basso e animale risuonò nel mio petto. La ragazza rimase pietrificata. Lentamente, fin troppo lentamente, si voltò nella mia direzione. Il suo cuore batteva forte, pompando sangue nelle sue vene. La ragazza inchiodò i suoi occhi azzurri nei miei. Un mezzo sorriso si dipinse sul mio volto e la ragazza aprì la bocca, nel tentativo di emettere un urlo, ma dalle sue labbra non uscì alcun suono. Mi accucciai in posizione di caccia e le mostrai i denti, avanzando i primi passi. Inspirai, assaporando l’aria che ci divideva. La ragazza balbettò parole insensate, ma non le prestai attenzione. Poi successe qualcosa alla quale, nella mia lunga vita immortale, non avevo mai assistito. La ragazza distolse lo sguardo da me, il suo cacciatore, e guardò alle mie spalle. La sicurezza nei suoi occhi scomparve per lasciare lo spazio a un panico ancor più grande. A differenza di Monica, non avevo bisogno di voltarmi  per sapere chi si trovava alle mie spalle. I respiri lievi e appena accennati, un odore familiare che avevo imparato a riconoscere, perché dai miei riflessi ne andava della mia vita e il cuore immobile, senza battito. Vampiri. Mi voltai con uno scatto invisibile e repentino e incrociai gli sguardi di due vampiri sorridenti e soddisfatti. Un maschio e una femmina. Eppure la mia attenzione fu catturata dagli occhi scuri e vispi della ragazza. Non avevo dimenticato quello sguardo ammaliatore. Quel volto perfetto e gli occhi neri di sete, illuminati da una luce che mi faceva rabbrividire ancora oggi. Una parte della mia mente catalogò anche il volto al suo fianco, ma non era in nessuno dei miei ricordi. I morsi sul suo volto mi diedero la certezza che fosse un soldato. Perché era questo che cercava Maria, la mia creatrice, da sempre: dei soldati. E io ero stato il suo soldato migliore, prima che decidessi di abbandonarla. Mi stupì vedendo che la mia mente, nonostante mi trovassi in una situazione di assoluto pericolo, rimaneva totalmente concentrata sul desiderio non soddisfatto di sangue umano: quello della ragazza, immobile dietro di me. Sentivo il suo respiro pensate e i battiti accelerati del suo cuore. La sentì muovere due passi all’indietro nel tentativo di fuggire. Ringhiai infastidito, voltando appena il capo, senza staccare gli occhi dai due vampiri. Prima che chiunque di noi potesse fare qualsiasi cosa, Maria si mosse e si portò alle spalle della ragazza, rendendole vana ogni via di fuga. Mi girai all’istante, ringhiando per difendere la mia preda. Errore da pivellino. Non si voltava mai la schiena al nemico e per quel che ne sapevo le intenzioni di Maria e del suo nuovo gregario non erano positive nei miei confronti. Mi girai in modo da non dare la schiena né all’uomo, né a Maria.

≪Tranquillo, soldato≫, mormorò Maria con la sua voce sensuale e un marcato accento Messicano.

≪Non voglio la tua preda≫, continuò, facendo scorrere le dita sul collo della ragazza ancora immobile.

Con uno scatto repentino la costrinse ad inclinare la testa di lato, ringhiai. Maria rise. Il suono della sua risata scatenò vecchi ricordi... una capanna, dei combattimenti. Io ero il migliore, nessuno degli altri neonati era ancora riuscito a battermi. Maria assisteva sempre ai miei combattimenti, scatenando l’irritazione di Netty e Lucy, che non capivano il perché del suo interesse. Ogni qual volta atterravo un mio compagno Maria rideva soddisfatta e io le lanciavo uno sguardo d’intesa. Ero il suo prediletto e questo mi dava una carica immensa. Niente mi faceva più piacere che essere lodato e apprezzato.

≪Anche se ha un odore delizioso, devo ammettere≫, aggiunse Maria.

≪Cosa ci fai qua≫, sibilai. Maria sgranò gli occhi.

≪Dov’è finito il gentiluomo del Texas che conoscevo?≫, chiese e la sua espressione stizzita si trasformò in un ghigno.

 Parlò carezzando il collo della ragazza e portando il suo piccolo naso ad annusare il profumo della sua pelle. I miei occhi vagavano dal suo volto, alla ragazza e a l’uomo sconosciuto.

≪Ti ho osservato per un bel po’, Jasper. Non bene come avrei voluto, non potevo rischiare di avvicinarmi troppo. Ho addestrato bene il mio soldato. Attendevo la mia occasione per poterti parlare, da solo. Ma è così difficile separarti dalla tua famiglia... e dalla tua nuova compagna≫.

Pronunciò le ultime parole con evidente disgusto. Un ringhio bestiale mi salì dal petto. Non doveva osare pronunciare neanche il suo nome, non con quella rabbia, non con quel disprezzo.

≪Tieni tanto a lei. Lo immaginavo≫.

Sibilai.

Maria sospirò, il naso sulla giugulare della ragazza. Ero diviso in due tra il bisogno di proteggere me stesso e quello di difendere la mia preda. Ringhiai, un suono basso, più infastidito che rabbioso.

≪Perché mi hai spiato?≫, sussurrai. Maria rise ancora.

≪Oh, Jasper. Non eri così neanche nel tuo primo anno da neonato. L’astinenza deve essere davvero pessima. Controllati ragazzo≫.

 Mi drizzai sulla schiena, come se avessi appena ricevuto una scarica elettrica o ancor peggio, l’ordine di un mio superiore.

≪Bene, vedo che le abitudini sono dure a morire≫, replicò soddisfatta.

≪Ma parlando di cose importanti. Ti voglio Jasper e ti prenderò, come ho fatto a Galveston, tanti anni fa. Ma questa volta sarà diverso. Ti presento una persona Jasper, un mio amico: Benito≫.

Continua...

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Capitolo 9
*** Difficile(parte seconda) ***


Buon pomeriggio a tutti, eccomi di nuovo qui! Ora che tutti i problemi sono risolti mi avrete tra i piedi per un po' XD. Questo capitolo è la continuazione del precedente, perciò capiremo quali sono i piani di Maria e quanto centri Benito in tutto ciò. Vorrei ringraziare davvero le nuove ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo e chi mi ha aggiunto tra i seguiti. Siete voi, a prescindere da chi commenta o semplicemente legge la sotria, a darmi la forza e l'ispirazione per scrivere e postare e sperare che questa mia passione non sia tempo perso, Grazie! Ora vi lascio alla lettura del capitolo, un bacio grande<3

Ps spero che le immagini vi aiutino a comprendere il conflitto interiore di Jasper, quanto e più delle parole XD

Bella...

≪Jasper≫, sussurrò Alice.

Gli occhi di Jasper si posarono sul suo volto: si guardarono a lungo. La donna che sovrastava l’umana, Maria, schioccò rumorosamente le lebbra, interrompendo il loro momento. Alice sibilò e Edward l’ammonì posandole una mano sul braccio. Avrei dato qualunque cosa per sapere cosa si stavano dicendo in quel momento.

≪I Cullen≫, soffiò Maria tra le labbra piene ed esangui.

≪E’ un piacere conoscervi finalmente di persona≫.

I suoi occhi guizzarono su di me.

≪Questa mi era sfuggita≫, commentò a voce bassa.

 Edward mi nascose con il suo braccio, scoprendo i denti. Maria sorrise.

≪Oh, rilassatevi. Non vogliamo fare male a nessuno e soltanto una rimpatriata≫, cinguettò con voce cristallina e musicale.

Alice ringhiò nuovamente e Maria s’incupì, cancellando il sorriso dal suo volto e sostituendolo con un broncio infantile.

≪Devi essere la compagna di Jasper. Alice. Be’, gli amici di Jasper sono miei amici. Vuoi unirti al banchetto? Sono certa che Jasper non avrà problemi a condividere la sua preda con te≫, sorrise alla ragazza umana, immobilizzata dal terrore.

Come temevo.

Alice lanciò uno sguardo carico di significato a Jasper, il quale abbassò il capo, contrito.

≪Mi sembra che la ragazza sia sana è salva, nulla è perso≫, disse Alice, in una rassicurazione non troppo velata al marito.

Jasper alzò il capo e incrociò il suo sguardo, carico di amore e perdono. Le stesse emozioni che dovette leggere dal suo umore, poiché sorrise.

Maria sbuffò sonoramente.

≪Ti sei mai chiesta se la vita che tu hai scelto per lui è quello che Jasper vuole? Perché sono più che certa che il mio Jasper non avrebbe mai seguito o anche solo immaginato una strada tanto monotona come quella dell’astinenza dal sangue umano. Ha seguito di sua spontanea volontà la ragazza fin qui, oggi. E noi abbiamo seguito lui≫.

Lanciai uno sguardo al vampiro che ascoltava e osservava silenzioso e notai che i suoi occhi erano fissi su di me. Non mi ero resa conto che il mio sguardo era cambiato: il mio occhio destro era mutato dal cioccolato al latte al rosso vermiglio. Nascosi il capo dietro il braccio di Edward.

≪Lui è Benito, ne avrete sentito parlare, immagino≫.

Qualcosa scattò nella mia memoria, al suono di quel nome... fu facile ricollegare il tutto. Benito, il primo vampiro della storia a creare un esercito di neonati. Le proporzioni del suo volto e la sua espressione arcigna mi erano stati descritti innumerevoli volte, insieme a un breve riassunto della sua vita e dei suoi atti illeciti. Il vampiro messicano di nome Benito era morto anni a dietro, ucciso dai Volturi perché aveva infranto la legge, rischiando così di far uscire allo scoperto il nostro mondo segreto da secoli. Alzai di scatto la testa e guardai il vampiro che continuava a fissarmi, con le sopracciglia corrugate.

≪Farnetichi, il vero Benito è stato ucciso≫, disse Jasper, rivolto a Maria, senza però staccare gli occhi dal vampiro che continuava a fissarmi.

Edward sibilò, mostrando i denti, ma l’uomo non gli badò.

≪Come vedi, sono qui≫, replicò all’improvviso il vampiro, distogliendo lo sguardo dal mio volto.

≪Non è così difficile imbrogliare i Volturi≫, m’irrigidì.

≪Contrariamente a quanto questi hanno sempre immaginato, la pira che doveva essere letto di morte per il mio corpo, altri non è stato se non la fine di un subordinato. Ho atteso il momento propizio e ora intendo ricreare il mio esercito e riprendermi le terre che mi appartengono. Ho...≫, i suoi occhi si posarono sulla giovane vampira bruna e si corresse, proseguendo, ≪abbiamo saputo di un neonato a Vancouver. La mia intenzione primaria è stata quella di andare a fargli visita, ma Maria ha insistito perché ti chiamassimo, Jasper. A sua detta ne sarebbe valsa la pena e io l’ho accontentata≫.

La sua voce era sensuale come quella di Maria, con uno strano accento che non riconoscevo.

≪Quella non è più la vita di Jasper, lui appartiene al clan dei Cullen. Non uccide, non combatte. Non sai come sia stato male, tu non sai nulla di lui≫, urlò Alice.

E come ad accentuare le sue parole, Rosalie ed Emmet l’affiancarono, così che apparissimo come un fronte unito e compatto: come una famiglia.

≪E tu?≫, replicò Maria, ≪Sei certa di conoscerlo? Sai cosa desidera? O hai semplicemente lasciato che la tua capacità di leggere il futuro parlasse per lui. Tu, lo seguiresti ugualmente, se lui decidesse di abbandonare la vostra famiglia per quella vecchia?≫.

In risposta Alice ringhiò ed Edward, stranamente, le fece eco.

≪Perché lui vuole questa ragazza con tutto se stesso; lo vedo dai suo occhi. Jasper non è fatto per la vita sedentaria, lui è un soldado. *Ya sebes, muchacho. Non ti senti soffocato?≫, chiese rivolta al ragazzo, accennando qualche parola in una lingua che non conoscevo, spagnolo, probabilmente.

Maria era una donna manipolatrice. Jasper la guardò a lungo.

≪Jasper≫, sussurrò Alice.

Il ragazzo la fissò, spostando lo sguardo su di lei, nei suoi occhi confusione e paura.

Jaspe≫, sussurrò Maria,  ≪Decidi. Avanti, non hai dimenticato. Sai cosa si prova. La soddisfazione di essere il migliore, *el ganador. Avere il potere y la sangre. Senza più restrizioni, né finzioni.* Juntos, como una vez. Avvicinati Jasper, prendi la chica.  Es la tua cantante, giusto? Il suo sangue è irresistibile, come il richiamo che senti nella mente. Assaggia cosa vuol dire essere un vampiro e ritorna alla ragione≫.

Jasper mosse i primi passi verso la ragazza, come risucchiato. La giovane tremò.

La volontà del vampiro era frantumata, giaceva a terra come i cocci di uno specchio rotto all’improvviso. Sapevo che avrebbe ceduto al mostro.

 Eppure, riflettei in quel momento, che c’era un’altra possibilità. Mi sporsi oltre Edward, verso Alice.

≪Posso fermarlo≫, le dissi.

Lei mi guardò scuotendo il capo.

La morte nei suoi occhi.

≪E’ lui a dover decidere. Si tratta del suo futuro, della sua felicità. Amare vuol dire anche lasciare andare≫.

Alice aveva ragione, per amore suo avrebbe sopportato persino di perderlo. Se la sua felicità era con Maria, lo avrebbe lasciato andare. Poi qualcosa cambiò. Un altro cambiamento in quella strana giornata. Jasper si bloccò all’improvviso, come se le parole di Alice l’avessero risvegliato da un incubo. La sua volontà ebbe una scossa e ritornò a risplendere. Sorrisi e gli altri mi fissarono come se fossi impazzita. Soltanto Alice non distolse lo sguardo dalla scena. Una mano posata sul cuore, come se volesse impedire che qualcuno glielo strappasse dal petto. Jasper si voltò lentamente e incrociò gli occhi di Alice. In quel momento non c’era niente, soltanto loro due. Si guardavano come se si vedessero per la prima o l’ultima volta. Jasper voltò nuovamente il capo verso la ragazza e avvicinò le labbra alla sua gola. Alice e Edward si mossero in avanti nello stesso istante, li ammonì con un gesto secco della mano. Jasper non stava cadendo, la sua volontà era forte. Maria si allontanò per lasciare lo spazio necessario al vampiro perché potesse saziare la sua sete. Un sorriso compiaciuto sul volto. Jasper strinse la ragazza tra le braccia e, nello stesso istante in cui il sorriso di Maria si trasformava in un’espressione sorpresa, lui spariva, portando con se la giovane. Era alle nostre spalle. Depositò la ragazza e si allontanò da lei.

Tratteneva il respiro. Non l’aveva uccisa: l’aveva salvata.

La ragazza si accasciò a terra, arretrando. Pian, piano Jasper si rilassò e si voltò nella nostra direzione, a capo chino. Alice gli si avvicinò, con passi lenti e aggraziati e con le dita lunghe e magre sfiorò la pelle della sua guancia, costringendolo ad alzare gli occhi. Non avevano bisogno di parole. Semplicemente, Jasper la strinse convulsamente tra le sue braccia nello stesso modo in cui un morente si aggrappa alla propria vita. Alice posò il capo sul suo petto, felice. Un suono stridulo e fastidioso mi fece sussultare. Io, Edward, Emmet e Rosalie ci voltammo all’unisono, parandoci davanti ai nostri fratelli, come a voler proteggere entrambi. Jasper, curvo su Alice protettivo, parlò: ≪Mi dispiace Maria, ma il mio posto non è mai stato con te. Se qualcuno mi ha costretto ad una vita che non desideravo, sei stata tu. Ma devo ringraziarti, se non fosse stato per te ora sarei un cumolo di polvere nella terra, mi senora, e non avrei incontrato i Cullen. E’ rassicurante sapere che esiste, in egual proporzioni, un’altra faccia alla medaglia che tu mi hai mostrato. Io non sono come te, non provo soddisfazione nell’uccidere. L’unica cosa di cui ho bisogno è tra le mie braccia≫.

Il volto di Maria era contorto in una maschera di odio e puro ribrezzo. La risata spontanea di Benito stupì tutti, persino la stessa Maria che lo guardava scocciata.

≪Non sprecare così tante energie per lui, Maria. L’affetto per le persone è qualcosa che in guerra non possiamo permetterci. Io ho un altro obbiettivo≫.

Così dicendo posò i suoi occhi rossi sul mio volto. Edward sibilò.

≪L’umana?≫, chiese scettica Maria.

≪Oh, ma lei non è umana. E’ talmente inverosimile che ancora stento a crederci...≫, prosegui, con una luce spaventosa negli occhi e tono languido.

≪Spiegati!≫, sbuffò Maria, stanca dei suoi giochetti.

≪La prescelta, così ti chiami, non è vero?≫.

Alzai il mento, altezzosa e risposi.

≪Questo è il nome della mia razza, Benito≫.

Il vampiro rise ancora.

≪La tua presenza nel mio esercito sarebbe davvero utile. Immagino già la faccia di Aro quando ti vedrà combattere al mio fianco, non la perderei per nulla al mondo≫.

Non stetti al gioco e dissi: ≪Hai appena confessato di voler compiere un atto illecito, la legge vieta gli eserciti di neonati≫.

La mia voce aveva assunto un tono professionale. Sfiorai con le dita la collana appesa al mio collo, il simbolo dei Volturi. Benito seguì il mio sguardo e corrugò le sopracciglia.

≪Così fai parte della guardia dei Volturi. Deve essere... divertente sottostare ai comandi di una mente malata come quella di Aro≫.

≪Bada alla tue parole e del mio maestro che parli≫, dissi, difendendo spontaneamente il signore di Volterra.

Benito ghignò, sollevando un sopracciglio.

≪Ritorniamo alle questioni importanti...≫, dissi.

≪Ma questa mi diverte. Scommetto che sono tutti molto gentili con te. E’ possibile che tu non abbia mai assaggiato la sete di potere del tuo... signore?≫.

≪Non li conosci. E comunque sia, ho parlato di un maestro, non di un signore. Conosco Aro più di quanto lui conosca se stesso≫, sibilai.

Accorgendomi solo in un secondo momento di quanto le mie parole fossero vere. Conoscevo ogni antro dell’anima di Aro e delle sua mente. La sete di potere era un carattere dominante della sua persona.

≪Non hai mai pensato che la loro potesse essere una farsa? Ti fidi così ciecamente, prescelta? Ora non possono controllarti  e manipolarti, unisciti a me≫.

Le sue parole accesero una lampadina nella mia mente...

≪Tu sai e intendi approfittare dell’assenza dei Volturi per commettere i vostri atti illeciti! Sai che Volterra non è scoperta, non puoi...≫.

≪Cosa è rimasto a Volterra? I neonati? Ho resistito alla guardia al completo, pensi sul serio che possano fermarmi? Ho carta bianca≫.

≪Sbagli un’altra volta≫, sussurrai.

≪Dimentichi una cosa fondamentale in tutto questo≫, proseguì.

≪Cosa?≫.

≪Me≫, esclamai.

≪Questo mi porta a chiedermi il perché della tua presenza qui, oggi, insieme ai Cullen. Ma bando alle ciance... conosco i tuoi poteri e io ho un dono in comune con te. Pensi che il mio subordinato, all’epoca dell’epurazione nel sud,  abbia bruciato tra le fiamme di sua spontanea volontà, al mio posto, per semplice senso del dovere?”, chiese retorico.

Rimasi immobile, ghiacciata.

≪Hai il potere di controllare le volontà altrui≫, sussurrai.

 Avrei dovuto capirlo dal modo in cui suonava la sua voce, così spaventosamente simile alla mia.

≪Più o meno. Tu controlli anche i pensieri delle vittime se non mi sbaglio, io soltanto le loro azioni. E funziona solo con i vampiri e entro certi limiti, ma è sufficiente perché io possa bloccare tutti i tuoi amici≫.

Mi guardai alle spalle e sussultai.

≪Non riesco a muovermi≫, sussurrò Edward.

≪Sei sola. Non hai altra scelta se non accettare la mia proposta. Non puoi fare niente, ora come ora≫.

 Edward ringhiò e Maria rise, affiancando Benito.

Mi voltai nella loro direzione, il fuoco nei miei occhi. Non fu difficile bloccarli nell’immobilità totale.

≪Lasciali”, ordinai con voce suadente.

 Benito non fece una piega. Il suo volto pietrificata, non mi permetteva d’intravedere nulla. Poi scoppiò a ridere, in un suono macabro e ricco di sottintesi, facendomi sussultare.

≪Puoi bloccarmi, ma non puoi ordinarmi di fare nulla. Non sei abbastanza forte per fronteggiare un nemico della mia portata. Ho diversi secoli di esperienza, principessa. Il mio stesso potere ti blocca, come ti scontrassi contro una barriere. Ho dovuto... adattarmi, evolvermi, per sopravvivere. Quest’articolazione supplementare funziona con tutti i poteri mentali, chiedi al rosso al tuo fianco, scommetto avrà trovato delle difficoltà a leggere nel mio pensiero. Se qualcuno cerca di sondare la mia mente, viene respinto. Non ero certo funzionasse anche con te. Sono molto fortunato. Fossi stata un po’ più forte, ti avrei obbedito. Stavo quasi per cedere...≫, rise.

≪Prima o poi ti stancherai e io e Maria saremo liberi. Ho un sacco di tempo e molta più resistenza di te, piccola≫.

Sbuffai.

 Eravamo in una situazione d’impasse... all’improvviso, come un miraggio, qualcosa irruppe nella mia mente.

La presenza di qualcuno molto forte che si avvicinava.

Il sollievo durò la frazione di un istante, il tempo necessario per rendermi conto che la mia distrazione mi era stata fatale. Avevo lasciato andare Benito e Maria. Mi girai tanto in fretta che la figura davanti a me, a un primo impatto, mi parve semplice frutto della mia immaginazione. Poi lo misi a fuoco. Benito mi sovrastava.

≪Farò quello che tutti quei licantropi non sono riusciti a fare: ucciderti≫.

≪No≫, urlò Edward, nello stesso istante in cui un proiettile scaraventava il corpo di Benito contro uno dei muri in costruzione.

L’impatto lasciò la forma del suo corpo sul muro. I miei occhi corsero a Maria, sovrastava un’altra figura femminile. Nella loro danza, notai semplicemente dei boccoli color caramello. Carlisle ed Esme erano qui. L’impatto con il muro aveva distratta Benito che, involontariamente, aveva liberato i ragazzi. Edward mi strinse a se. Jasper ed Alice corsero in aiuto di Esme. Rosalie ed Emmet aiutarono Carlsile a finire Benito e presto dei due non rimase che un cumulo di cenere. Un ricordo. Mi aggrappai ad Edward, ancora scossa. Non avevo mai affrontato un vero pericolo. Per quanto potessero essere spietati Jane e Alec sapevo che non avrebbe mai osato farmi del male... Un singhiozzo alle mie spalle mi riscosse dai miei pensieri e mi costrinse a voltarmi. La ragazza dai capelli rossi, l’umana il cui profumo era irresistibile per Jasper, osservava la scena con occhi sbarrati, le ginocchia strette al petto.

≪Carlsile≫, chiamò Edward.

L’uomo si avvicinò e si chinò sulla ragazza che si ritrasse.

≪Tranquilla, non voglio farti del male bambina≫.

≪Cos’è successo?≫, chiese Carlisle.

≪Ho tentato di... morderla≫, confessò Jasper.

≪Però, poi, l’ha salvata≫, continuò per lui Alice.

Carlisle si alzò e posò una mano sulla spalla di Jasper.

≪Sono fiero di te, figliolo≫, Jasper sorrise.

Esme gli si fiondò addosso, stringendolo forte tra le braccia.

≪Oh, bambino mio, stai bene. Ero così in ansia≫.

Jasper la strinse con un braccio, mentre con l’altro teneva Alice per la vita.

≪Scusami, mamma≫.

Sorrisi, spostando lo sguardo perché potessero godere quel momento in solitudine. Dirottai la mia attenzione sulla ragazza.

≪E’ sotto shock, ma non dimenticherà≫, disse Carlisle.

≪Cosa facciamo?≫, chiese Edward.

≪Non lo so≫.

≪Ci penso io≫, dissi.

≪Cosa vuoi fare?≫, chiese Carlisle.

≪Le farò dimenticare quello che ha visto≫.

≪Puoi?≫, chiese meravigliato.

≪Posso provarci≫, replicai.

Il controllo della volontà includeva inevitabilmente anche quello mentale. M’inginocchiai davanti alla ragazza che non arretrò come aveva fatto con Carlisle. Non riusciva a staccare gli occhi dal mio sguardo, dal rosso rubino del mio occhio destro. Presi il suo volto tra le mie mani e la ragazza ebbe un sussultò. Lasciò cadere le braccia, che non cingevano più le sue ginocchia magre.

≪Tranquilla≫, sussurrai.

≪Va tutto bene. Nessuno qui vuole farti del male≫, continuai.

La mia voce suonava sensuale persino alle mie stesse orecchie, perciò immaginavo come dovesse apparire agli altri, le vittime, come li aveva definiti Benito.

≪Mi credi?≫, le chiesi, esercitando su di lei tutta la potenza del mio sguardo magnetico.

La ragazza iniziava a perdere cognizione del luogo e del tempo. La ragazza annuì, inconsciamente. Un lieve sorriso si dipinse sulle mie labbra: un sorriso che voleva rassicurarla. La ragazza ricambiò, come se fossimo state vecchie amiche.

≪Qual è il tuo nome≫, le chiesi.

≪Monica≫, rispose.

La sua voce mi appariva limpida e dolce, probabilmente perché mi stavo concentrando così tanto su di lei.

≪Monica≫, ripetei, ≪ti basti sapere che io sono tua amica≫.

Non c’era alcun bisogno di aggiungere altri ricordi alla sua mente, come il mio nome, oltre a quello che già aveva visto e sentito.

≪Ascoltami Monica, voglio che tu mi dica tutto quello che hai visto e sentito qui. Tutto quello che ricordi, non avere paura≫.

Un altro sorriso ampio e rassicurante. Monica strinse la testa tra le mani.

≪Mi fa male la testa, ci sono troppe immagini≫, singhiozzò.

≪Shh, va tutto bene. Shh. Guardami Monica≫.

La ragazza scosse la testa.

≪Guardami≫, ordinai, la mia voce, impastata dal doppio timbro dell’ordine, rimaneva dolce e sensuale.

 Monica alzò lentamente gli occhi spaventati sul mio volto. Le sorrisi e sciolsi con le mie mani la sua presa sui suoi capelli rossi e lisci.

≪Così, da brava. So che fa male, ma finirà presto. Te lo prometto. Ti fidi di me?≫. 

≪Sì≫, sussurrò.

Le feci cenno di procedere.

≪Ricordo... ricordo lui≫, lanciò uno sguardo pieno di timore a Jasper, lontano da noi.

 Prestava tutta la sua attenzione ad Alice. Sapevo che stava trattenendo il respiro. Con la coda dell’occhio osservò Monica per un istante, prima di ritornare ad Alice.

≪Ha fatto un suono orribile e io mi sono voltata. Sembrava... un animale. Poi sono arrivati gli altri due. Uno di loro aveva gli occhi rossi. La donna si è mossa, io non sono riuscita a vederla e mi ha preso alla schiena. Ricordo le sue dita, fredde, mentre mi sfioravano il collo≫.

≪Cos’era?≫, chiese.

≪Non è importante≫, sussurrai.

≪La cosa fondamentale è che tu mi dica ogni cosa, tutto quello che ricordi≫.

La ragazza mi guardò dubbiosa.

≪Non è importante≫, sussurrai ancora, intensificando la presa sul suo volto, le carezzai una guancia terrea.

≪Non è importante≫, ripeté.

≪Sei brava Monica≫.

La ragazza mi sorrise.

≪Avevo paura≫, continuò.

“Volevo scappare, ma non ho potuto farlo perché la donna me lo impediva. Poi siete arrivati voi. Ho chiuso gli occhi≫.

≪E cos’hai sentito?≫.

≪La donna, Maria, odia la ragazza di nome Alice. Vuole il ragazzo biondo, Jasper. Lui... stava per uccidermi≫, la vidi trasalire, ≪poi mi a stretto a se e mi ha portato lontano, qui. Non ho visto come. Era forte e... veloce≫.

≪Stai andando bene≫, la incoraggiai.

Una lacrima le rigò la guancia.

≪Non piangere≫, le disse, non era un ordine ma una rassicurazione.

≪Nessuno vuole farti del male, continua≫.

≪Sono arrivati loro≫, indicò Carlisle ed Esme.

≪Non ho capito molto. Ho visto soltanto il fuoco≫.

Annuì.

≪Ascoltami Monica, ricordi qualche nome in particolare?≫.

Scosse la testa.

≪Pensaci≫, ordinai.

≪Maria, Jasper, Alice, Cullen... Volturi≫.

≪Questo è importante?≫, chiese.

≪No≫, risposi.

≪Sei stata davvero, davvero brava. Adesso dimmi. Dove stavi andando prima che tutto questo accadesse≫.

≪Stavo andando... da mio padre. Ho suonato, ma non c’era. E ho camminato fin qui per raggiungerlo a lavoro≫.

≪“Come si chiama tuo padre?≫.

≪Michael è il suo nome. Michael Worrison≫.

≪Michael è un bel nome. Descrivimi tuo padre, visualizza il suo volto≫.

≪Ha i capelli rossi come i miei e gli occhi verdi. E’ alto e gracile, di carnagione chiara≫.

≪Cosa ricordi di lui?≫.

≪I momenti belli quando stava ancora con la mamma. Mi ha insegnato ad andare in bici e a ballare. Mia madre è italiana e ama viaggiare. Siamo stati in Grecia, in Sardegna e in Russia≫, raccontò.

≪Ok, brava. Qual è stato il viaggio che ti è piaciuto di più?≫.

≪Quello in Sardegna≫.

≪Perché?≫.

≪Il mare... era bellissimo≫.

Sorrisi.

≪Riesci a vedere il mare, Monica≫.

≪Sì≫.

≪Tutto quello che hai visto oggi, non esiste≫.

Monica mi guardò indispettita. Scossi la testa e ordinai: ≪Continua a guardare il mare≫.

I suoi occhi si velarono e sul suo volto comparve un sorriso.

≪Bene. Ascolta la mia voce. Hai suonato da tuo padre, non c’era≫.

Monica annuì.

≪Hai camminato per raggiungerlo e nel frattempo hai ricordato tutti i vostri viaggi. Il mare della Sardegna≫.

Monica corrugò le sopracciglia.

≪Ma...≫.

≪Non c’è un ma, è quello che è successo≫, nella mia voce un sorriso.

Monica annuì.

≪Cos’è successo, Monica, dimmelo tu≫.

≪Ho suonato, non c’era nessuno. Ho camminato e ho ricordato i nostri viaggi. Il mare≫.

≪Descrivimelo, io non sono mai stata in Sardegna≫.

≪Era bellissimo. Le acque azzurre e cristalline. La sabbia sottile e calda≫.

≪Brava. Ora dimmi, qual è l’ultima canzone che hai sentito Monica?≫.

≪Call you tonight≫.

≪Whitney Houston≫, mi complimentai.

≪La ricordi? Prova a cantarla nella tua mente≫. Monica si concentrò nel tentativo di ricordare i versi della canzone, poi iniziò a muovere leggermente le labbra. “Piace anche a me. A volte mi capita che delle canzoni mi rimangano in mente e le canto finché non le dimentico. Come hai fatto tu questo pomeriggio, mentre andavi da tuo padre≫.

≪Già≫, concordò la ragazza. Monica si guardò intorno.

≪Chi siete?≫, chiese all’improvviso.

≪Non badare a loro≫, ordinai, ≪non sono qui≫.

≪No, non ci sono≫.

≪Continua a ricordare la canzone e il mare. Se chiudi gli occhi è ancor più bello≫, la ragazza obbedì.

≪Monica, apri gli occhi quando avrai finito di cantare la canzone≫.

La ragazza annuì, persa nel mondo che io le avevo costruito. Con cautela sfilai le mani dal suo volto e mi alzai. Feci un cenno a Carlisle e ci ritirammo, in silenzio. Aspettammo nascosti nell’ombra per cinque minuti buoni, finché la ragazza non ebbe ricordato tutta al canzone. D’un tratto si alzò, un sorriso sulle labbra, un’aria beata in volto e proseguì da dove il suo viaggio si era bruscamente interrotto.

≪A cosa pensi?≫.

La voce di Edward mi ridestò dai miei pensieri. Mi fece scendere dalle sue spalle, posando una mano sul mio avambraccio in modo da mantenermi in equilibrio. Come sempre aveva notato la preoccupazione sul mio volto. In effetti per tutto il viaggio di ritorno un pensiero aveva offuscato la mia mente stanca.

≪Pensavo a Benito≫.

≪Cosa ti preoccupa?≫, chiese.

≪Fin ora non ho mai incontrato qualcuno in grado di tener testa al mio potere. Non mi sono resa utile≫.

≪Ti sbagli. Hai aiutato quella ragazza, sei stata... incredibile. E per quanto riguarda Benito: lui stesso ha ammesso che mancava poco perché ti obbedisse≫.

≪Appunto. Ha detto che non ero abbastanza forte. Se non fossero arrivati Carlsile ed Esme, sarebbe stata la fine≫.

Edward scosse la testa.

≪So che mi giustificherai come sempre, ma Edward... non sono al mio massimo livello. O forse sì, magari sono anomala rispetto agli altri prescelti, se anche un vampiro riesce a battermi≫.

≪Benito è un vampiro millenario, lui ha esperienza. Tu hai soltanto diciotto anni. I tuoi poteri devono ancora nascere. Te l’ho già detto non dubitare di te stessa≫.

Mi prese il volto tra le mani e io arrossì. Con tutto quello che era successo avevo quasi dimenticato il nostro momento in cortile. Un momento di debolezza. Non doveva mai più ripetersi un episodio come quello. Mi scostai dal suo tocco ed Edward abbassò le mani. Entrammo in casa e salimmo le scale. L’avevo ferito, mi odiai nel profondo. Ero tentata di accarezzarlo, come facevo ogni volta che lo vedevo diventare triste. Sapevo che avrebbe alzato gli occhi e mi avrebbe guardato come se non fosse stato del tutto certo della mia presenza di fronte a lui. Strinsi le mani a pugno e mi trattenni dal confortarlo.

≪C’è qualcos’altro≫, disse all’improvviso.

≪Qualcos’altro che ti preoccupa≫, chiarì.

Sospirai, mi conosceva troppo bene.

≪Ho capito che l’assenza dei Volturi potrebbe scatenare altri episodi come questo. Qualcun’altro potrebbe pensare di approfittare della loro assenza per compiere atti illeciti. A quel punto dovrei intervenire io. Dovrò prestare molta più attenzione...≫.

Le mie parole furono interrotte del sibilo di Edward.

≪Non starai pensando di esporre te stessa, mi auguro≫.

≪Be’, in queste condizioni non potrei fare molto, ma è un mio dovere come guardia. Come membro dei Volturi, come prescelta; far rispettare la legge è il mio compito≫.

≪Non a rischio della tua vita≫.

≪Invece è proprio a rischio della mia vita che devo far rispettare la legge≫.

Edward sbuffò.

Il cielo era bellissimo. Abitare a Forks significava rinunciare al sole e alle stelle, entrambi si facevano vedere raramente in quella cittadina nebulosa. Eppure, quella sera qualcosa era cambiato. Non potevo aspettarmi altro vista la strana giornata che avevamo appena vissuto. Io e Edward... la fuga di Jasper... l’incontro con Benito e Maria. Non avrebbe dovuto stupirmi vedere tanti piccoli punti bianchi brillare in cielo, quella sera, ma lo fece ugualmente. Alzai gli occhi al cielo con gioia e meraviglia.

Sedevo sulla panchina del portico, stringendo le ginocchia al petto. Ero troppo stanca per pensare a qualsiasi cosa, il ché era tutto dire. Mi accorsi immediatamente che qualcuno si stava avvicinando. Era una presenza sulla quale mi ero concentrata parecchio quel giorno. Aveva dato a tutti tante preoccupazioni, ma tutto si era risolto con un felici e contenti. Jasper uscì, richiudendosi la porta alle spalle e alzò gli occhi al cielo, come me. Non scostai lo sguardo neanche quando lo sentì sedersi al mio fianco.

≪E’ uno spettacolo bellissimo, non si vede spesso qui a Forks≫.

Annuì: ≪Già≫.

≪Penso di doverti delle scuse, Bella≫.

Spostai gli occhi sul suo volto, sorpresa.

≪Ti ho esposto a un grave pericolo, eppure tu non ti sei tirata in dietro. Mi hai trovato prima che fosse troppo tardi e hai aiutato la ragazza≫.

≪Non è stato niente. Mi sento profondamente legata a voi, Jasper. Ma non mi sono resa così utile, non sono riuscita a...≫.

≪Benito è un vampiro esperto. Hai avuto del coraggio: hai difeso ciò in cui credevi, ciò che ti sta a cuore. Se la tua mente non fosse  tata così stanca per la fatica di cerarmi, probabilmente ce l’avresti fatta≫.

≪Questo non posso saperlo≫.

≪Io ti ringrazio ugualmente. Non è la prima volta che devo esserti debitore≫.

≪A cosa ti riferisci?≫.

Alzò gli occhi al cielo e si soffermò su un punto preciso del manto stellato.

≪Sedici anni fa, a Volterra. Hai salvato me ed Alice. Non potrò mai ringraziarti adeguatamente per averle salvato la vita≫.

≪Non devi ringraziarmi. L’ho fatto con piacere. Come anche oggi, d’altronde. Voi siete la prima vera famiglia che ho, non voglio perderve≫.

≪Sai, Jasper, penso di capirti. So cosa si prova ad essere prigionieri e poi, improvvisamente, liberi. Sono legata a Volterra e a voi. Sono devota ai miei signori e amo Carlisle ed Esme. Ho assaggiato un po’ della mia felicità, ma a differenza tua, non durerà per sempre. Mi sembrava giusto che almeno tu, che la meriti a pieno, potessi averla≫.

≪Perché dici questo? Parli come se fossi condannata≫.

≪C’è qualcosa che non posso assolutamente rifiutarmi di fare: è il mio destino. Anche se non mi fa affatto piacere. Magari più avanti mi ci abituerò≫.

≪Non ti chiederò di cosa si tratta, ti prego soltanto di capire se è davvero questo il tuo fato≫.

≪Sì, credo che sia questo≫.

Nessuno dei due parlò per alcuni minuti.

≪Dov’è Alice?≫, gli chiesi.

Da quando eravamo tornati Alice non lo lasciava neanche un istante.

≪Sta preparando non so quale sorpresa≫, disse, sorridendo.

≪E’ davvero una persona speciale≫, gli dissi.

≪Unica≫, rispose.

≪Se lei non fosse entrata nella mia vita, non so cos’avrei fatto≫.

≪Ti va di dirmi com’è successo≫, chiesi, indicando il suo corpo immortale.

Jasper annuì e mi raccontò la sua storia, svelandomi la leggenda che si nascondeva dietro alle sue infinite cicatrici. Avevo sentito parlare di neonati soltanto dal punto di vista pratico dei Volturi, ma Jasper lo aveva vissuto per davvero. Era molto più terribile di quanto immaginassi e capì che la maggior parte dei vampiri uccisi, probabilmente, era soltanto una pedina in mano a carnefici senza cuore, com’era successo a Jasper.

≪Sai, in Messico le stelle si vedevano ogni notte≫, disse, alludendo al cielo.

≪Per questo ancora oggi ho problemi a controllarmi davanti al sangue. Alice insiste dicendo che, aver salvato la ragazza è stato un gesto significativo, secondo lei ho risolto i miei problemi, ma io non ne sono certo. Sono debole”, continuò.

Scossi energicamente la testa e Jasper mi osservò, curioso di questa mia reazione così risoluta.

≪Ti sbagli. A Volterra, il giorno dell’Agorà, prima che mi portaste via, io vi avevo già notati≫.

Non gli dissi che il primo che notai fu proprio Edward, non sarebbe stato un bene.

≪Naturalmente i vostri occhi gialli m’incuriosivano, ma non era soltanto questo. Tu, Edward e Carlsile possedete le volontà più forti che io abbia mai percepito in tutta la mia vita≫.

Jasper rimase sorpreso, a bocca aperta. Non avevo mai visto qualcuno coglierlo così alla sprovvista, la sua espressione era quasi divertente.

≪Credimi, Jasper. So quello che dico≫.

Jasper si riprese e sussurrò: ≪Posso capire Carlsile e Edward, soprattutto mio padre, ma io. Non sono forte, non ho resistenza≫.

Scossi ancora il capo.

≪Tu stesso hai detto che la tua vecchia vita e quella nuova sono troppo diverse. Nessun vampiro che ha vissuto così tanti anni tra sangue e battaglie avrebbe potuto sostenere un cambiamento così radicale. Questo ti rende forte, probabilmente se avessi fin da subito conosciuto Carlisle anziché Maria, la tua fedina penale sarebbe pulita quanto la sua≫.

Di slancio Jasper mi abbracciò. Rimasi totalmente sorpresa. Non me lo sarei mai aspettata.

≪Grazie, sorella. Voglio che tu sappia che ci sono e ci sarò sempre per te. Sei una delle persone migliori che abbia mai incontrato≫.

≪Anche tu≫, risposi, cingendolo dolcemente per le spalle forti e dure.

≪Oh, siete così carini≫, cinguettò una vocina che sia io che Jasper conoscevamo bene.

Ci allontanammo, guardandoci per un breve istante, prima di alzare entrambi gli occhi al cielo. Sorrisi. Alice prese Jasper per mano e lo fece alzare.

≪Andiamo, su. La sorpresa ti aspetta≫.

≪Puoi dirmi almeno di che cosa si tratta≫, chiese lui implorante.

≪No≫, cinguettò lei, spingendolo verso la porta.

Prima che i due sparissero, Alice mi fece l’occhiolino. Avevo l’impressione di sapere quale fosse la sorpresa di Alice. Mi scoprì a ridere, spensierata. Alzai ancora gli occhi al cielo e sorrisi alla luna. Era davvero una notte bellissima.


* Tu lo sai, ragazzo *il vincitore * insieme, come una volta

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Capitolo 10
*** Pigiama Party ***


 

 

Buona sera, gente! Eccomi qui con un altro capitolo. Sono davvero ansiosa di scoprire cosa ne pensate XD Ho un terribile torcicollo e perciò difficoltà a stare seduta di fronte al pc e per questo motivo chiedo perdono per eventuali errori o imperfezioni del cap, qualora ne trovaste. Qualcuno di voi inizia a leggere tra le righe e a capire un po' eventuali sviluppi futuri, l'interessata sa di cosa parlo... Non ho molto da dire sul capitolo, perché vi lascierà, non per mia sadicità, nel bel mezzo di una situazione critica per la quale apro le scommesse. Fate le vostre puntate e dite le vostre ipotesi, spero di non essere stata banaleXD. Ringrazio tutte voi per il sostegno e le meravigliose recensioni, spero di sentirvi ancora con questo capitolo, sono molto curiosa di sapere cosa ne pensate. Baci a tutti, Francesca.

ps spero che le immagini dei personaggi, così come li ho pensati io per la mia storia, vi piaccionoXD

Non sapevo dove mi trovassi.

I miei occhi non riuscivano a vedere oltre lo strato spesso di buio e grigio che mi circondava. Una parte della mia mente era cosciente che si trattasse di un semplice sogno, eppure ero spaventata ugualmente. Forse la causa era la chiarezza dei dettagli con cui distinguevo il paesaggio che mi circondava: il picco roccioso alle spalle degli enormi abeti che mi sovrastavano, resi ancor più scuri dal cielo buio e nuvoloso, tipico di Forks. Il terriccio sotto i miei piedi era simile a quello di un sentiero. Benché il cielo fosse così buio, ero più certa che non fosse ancora notte, come accadeva nella maggior parte dei miei incubi. Questo sogno, che mi perseguitava ormai da varie notti, era diverso da qualsiasi altro avessi fatto prima d’allora. Percepivo il battito accelerato del mio cuore, il rumore dei miei piedi sul selciato, il trillare dei corvi: animali da incubo. Il fatto che ogni cosa sembrasse così reale, mi spaventava ancor di più. Nonostante sapessi cosa mi attendeva al di là dei confini di quella foresta buia, non riuscivo ad impedire a me stessa di raggiungerla. Non potevo farne a meno; la consapevolezza non mi aiutava affatto. La consapevolezza... un’emozione che può esistere soltanto nella vita reale, non nei sogni. Eppure, avevo sempre saputo, ancor prima che l’incubo divenisse ricorrente, che dovevo seguire quel sentiero e uscire dalla foresta, come fosse inevitabile. Il tragitto non era breve, come accedeva nella stragrande maggior parte dei sogni, sentivo i piedi e le gambe pesanti, come se la fatica del lungo cammino fosse reale e non opera del mio subconscio impazzito.  A un tratto mi ritrovai sotto le fronde del più grande tra tutti gli abeti della foresta e le voci che stavo aspettando arrivarono. Riconobbi immediatamente una voce maschile, furiosa e disperata al tempo stesso.

≪Tutto questo è ingiusto. E’ colpa mia, se solo...≫.

Il ringhio rabbioso che ne seguì non mi stupì più di tanto. Lo stavo aspettando, ed ero anche certa che non somigliasse e nient’altro che avessi sentito prima dall’ora, né al sibilo di un vampiro, né a quello di un umano rabbioso. Era qualcosa di animale, che mi fece accapponare la pelle. Come fossi l’agnello appena braccato dal leone.

Non vi fu riposta da altri.

In compenso, udì il rumore di stoffa che si frantuma e poi, zampe leggere che affondano nel terriccio. Continuai a camminare, benché qualcosa nella mia mente mi dicesse che era molto più saggio fuggire. Pochi passi e mi ritrovai in uno spiazzo aperto, senza alberi, completamente ricoperto dallo stesso terriccio marrone del sentiero. I miei occhi si spostarono, là dove sapevo che lo avrei visto.  E poi eccolo comparire il mostro che avrebbe terrorizzato chiunque, chiunque a parte me. Aveva le dimensioni di un cavallo, ma il pelo e la forma lo facevano somigliare a un lupo: enorme, del colore della pece. Mostrava i denti lunghi e bianchi, affilati come rasoi. La zampa artigliava l’aria che lo divideva dalla sua preda. Sapevo già che non avrei prestato attenzione a ciò che il lupo aveva cacciato, i miei occhi erano ipnotizzati dai suoi, di un nero più chiaro rispetto al pelo che lo ricopriva: erano disperati, velati da un lieve strato di pazzia. Quella disperazione non poteva appartenere a un animale. Somigliava incredibilmente allo sguardo di un uomo che stava per compiere un gesto orribile, ma, nonostante sapesse che ne avrebbe pagato le conseguenze per tutta la vita, non avrebbe potuto impedire che la disgrazia si compisse. E quello sguardo era il motivo per cui, ogni notte, mi risvegliavo di soprassalto, terrorizzata. Quella disperazione mi apparteneva.

Aprì di scatto gli occhi, sussultando, ormai del tutto sveglia. Mi guardai automaticamente intorno, felice di riconoscere la mia nuova stanza. Rimasi a letto per qualche altro minuto, nel tentativo di decifrare il mio sogno. Avevo sperato che l’incubo potesse svanire, così improvvisamente com’era arrivato, ma non succedeva Ogni notte, puntualmente, ero costretta a fare mia la sofferenza che leggevo negli occhi dell’immenso lupo dal pelo nero. Dovevo avere davvero una fervida fantasia, oppure, più probabilmente, ero stata influenzata da qualche brutto programma televisivo. In fondo, Emmet era spesso attaccato alla televisione. Eppure, quello che vedevo, quello che sentivo, era troppo reale. Ancora adesso, ormai totalmente lontana dal sogno, avvertivo la sofferenza del lupo. Potevo quasi vedere i suoi occhi neri, fissi sulla sfortunata preda davanti a lui, e la sua disperazione. Avevo preso in considerazione varie possibilità. La più plausibile era che il lupo avesse dilaniato il ragazzo, la cui voce era sovrastata da quello strano suono simile a un ringhio. Rabbrividì all’idea dei vestiti del ragazzo che si frantumavano sotto le unghie dell’animale. Rimaneva ancora l’incognita del dolore nella voce dell’uomo e della disperazione del lupo, tanto simili quanto diverse, come se l’una si rispecchiasse nell’altra... sospirai e mi rigirai nel letto, tastando il materasso con le mani. Era troppo caldo, troppo grande senza Edward. Avrei voluto che lui fosse lì con me. La prima volta che avevo sognato il lupo, il terrore si era trasformato in un urlo soffocato dai cuscini. Edward mi aveva sentito ed era corso da me, come sempre. In quella circostanza avevo trascorso la notte tra le sue braccia, una mano intrecciata alle sue dita, riprendendo un sonno tranquillo e senza sogni. Fu una notte piacevole. La cosa che mi sorprese fu ritrovarlo, il mattino seguente, al capezzale del mio letto, la schiena contro il muro, le gambe incrociate. Con una mano teneva un libro che era intento a leggere a velocità impressionante, mentre l’altra stringeva la mia, nella stessa posizione in cui l’avevo lasciata la notte precedente. Mi diede il buon giorno con un sorriso smagliante, mentre io chinavo il capo, completamente rossa in viso... scossi la testa, nel tentativo di riprendere il controllo e scrollarmi di dosso l’imbarazzo che il ricordo aveva portato con sé. Da quando avevamo salvato Jasper - erano trascorsi ormai cinque giorni - tentavo di mantenere, per quanto ci riuscissi, le distanze da Edward. Lui sembrava aver capito e mi lasciava tutto lo spazio di cui avevo bisogno. Era inutile aggiungere che mantenere le distanze da Edward significava vivere tra angosce e tormenti. Provavo a stargli lontano, ma, per quanto tentassi, finivo sempre col cercare la sua vicinanza, il contatto con la sua pelle...

Quando quella mattina scesi di sotto, non prestai molta attenzione a ciò che mi circondava. Ero totalmente persa nel mio incubo. Andavo alla ricerca di una spiegazione senza sapere bene il perché. In fondo era soltanto un sogno. Incomprensibile, doloroso ma un sogno. Evitai d’incrociare lo sguardo di Edward, come non facevo ormai da cinque giorni a quella parte, nel tentativo di annullare la dipendenza che avevo da lui, sapendo che avrebbe visto la preoccupazione nei miei occhi e ne avrebbe fatta una questione di stato.  Perciò mi accorsi in ritardo delle due voci femminili che litigavano tra loro.

≪...capisco che è difficile per te lasciarlo, ma non potete rimanere attaccati giorno e notte. Lascia che Jasper vada con gli altri a caccia. Domani pomeriggio tornerà e vi rivedrete, ma dovete imparare ad avere di nuovo fiducia l’una nell’altro≫, dichiarò Esme, soddisfatta della sua logica.

≪Abbiamo fiducia l’una nell’altro e solo che non mi va di allontanarmi da lui. Non ancora≫.

Alice s’imbronciò, stringendo a se Jasper con maggior forza.

≪Alice, tu ami le feste. Perché non organizzate un pigiama party tra ragazze, io rincaserò tardi questa sera, ho un progetto da finire. Sono sicura che Rosalie e Bella saranno disponibili≫.

Sul volto adorabile di Alice comparve un’espressione incerta. Jasper le carezzò un braccio e disse: ≪Stai un po’ con Bella e Rosalie, io tornerò presto, promesso≫.

Si guardarono a lungo negli occhi ed io distolsi lo sguardo. Sapevo ancor prima di sentirle pronunciare le parole nel suo soprano trillante quale sarebbe stata la sua risposta. Dirottai la mia attenzione ancora una volta sul mio strano sogno, masticando distrattamente la mia colazione. Mi posai allo stipite della cucina, guardando un punto fisso davanti a me. Una parte della mia mente era conscia che stavo utilizzando la mia vista migliore, come se avessi  bisogno di vedere con più chiarezza il sogno già fin troppo nitido... Non c’era molto su cui riflettere, continuavo semplicemente a ricordare ancora e ancora le immagini del mio sogno, impresse a fuoco nei miei ricordi. Rivedevo me stessa camminare sul selciato, nel bosco, come se conoscessi all’esattezza il mio percorso... neanche il trillo improvviso del corvo mi aveva sorpresa...

≪Bella?≫, il suono del mio nome mi fece rinsavire.

Alice mi guardava, un po’ ansiosa.

≪Dobbiamo andare≫.

≪Sì≫, acconsentì.

Camminando al fianco di Alice, incrociai per un istante lo sguardo ansioso di Edward.

La mattinata fu piuttosto lenta, continuavo a prestare pochissima attenzione a ciò che mi circondava. Ad esempio, al trillare continuo di Alice su quanto ci saremmo divertite quella sera. Ricambia il suo entusiasmo con un sorriso appena accennato. La cosa più difficile di tutte era tentare dì ignorare Edward. Scostare lo sguardo dal suo volto bellissimo era pari a una bestemmia, non cercare il suo contatto un terribile misfatto.

 Fuori dalla Volvo le cose non erano affatto migliorate.

Sapevo cos’avrei voluto fare, in barba a tutto e a tutti avrei cercato la sua mano e l’avrei stretta nella mia, ma, il mio buon senso aveva  preso il sopravvento: mi allontanai da lui, nel tentativo di recidere ogni legame, occupando il posto di fianco ad Alice e Jasper. Non vederlo per tutto il giorno fu un sollievo, ma non mi aiutò più di tanto.

Edward era costantemente tra i miei pensieri. Nella mia mente albergava uno spazio interamente dedicato a Edward, ma le mie capacità mi permettevano di pensare allo stesso tempo al mio strano sogno, senza però venirne a capo. Avevo letto tanti libri su astronomia e interpretazione dei sogni: il lupo nero era presagio di morte. Ma, benché fossi una prescelta e vivessi con dei vampiri, stentavo a credere a queste leggende. Perciò non avevo nulla in mano.

Come ogni giorno, sedevo in mensa al tavolo dei Cullen. Durante l’ultima lezione prima della pausa pranzo avevo iniziato a scarabocchiare su un foglio, per poi rendermi conto che stavo disegnando il bosco dei miei incubi. Scostai il vassoio con il cibo ancora intatto, posandovi il mio blocco da disegno e continuai da dove avevo interrotto.

Era strano.

Un parte della mia mente rivedeva il paesaggio con esattezza microscopa e l’altra si occupava di riprodurre sul blocco ciò che avevo in testa. Non mi ero resa conto che, ancora una volta, il mio sguardo aveva cambiato colore. Eppure non c’erano pericoli o cose nuove da analizzare. Non mi occorse molto per finire la mia opera. Alzai il blocchetto per ammirare ciò che avevo disegnato e rimasi sorpresa. Non credevo di essere così brava in arte. Il disegno era simile a una fotografia. Le  ombreggiature, i riflessi della luce sul pennuto dalle piume nere che posava su uno degli abeti, le tinte dei colori, perfetti nella loro armonia cupa e grigia e in un’altra pagina il lupo, possente. Tutti i dettagli erano definiti come nella mia memoria. Mi ritrovai, senza accorgermene, a fissare gli occhi scuri dell’enorme lupo e sentì nascere dentro di me lo stesso pesante groppo in gola che mi aveva fatta piangere il giorno in cui Esme mi aveva narrato la sua triste storia dal finale inaspettato. Desiderai poter confortare il lupo o, quantomeno, sapere cosa lo affliggeva in quel modo. I contorni del mio disegno traballarono. Mi ci volle qualche minuto per capire che in realtà ero io che tremavo. Una mano fredda si posò sulla mia, come a voler calmare il tremore che la animava. “Bella”, sussurrò Edward. Incrociai i suoi occhi bellissimi e lui dovette leggere la disperazione nei miei perché aggrottò le sopraciglia e divenne improvvisamente triste. Aprì la bocca come a voler dire qualcosa, ma un suono impercettibile per le mie orecchie umane fece scattare lui e i suoi fratelli.  Seguì i loro sguardi, soffermandomi sulla vetrata nell’ala ovest della mensa, vicino alla porta e lontano dai tavoli. Tremava, impercettibilmente. Edward tornò nuovamente a scrutare il mio volto. Io e la vetrata tremavamo insieme. Succedeva, quando ero arrabbiata o ansiosa che facessi esplodere le cose. Tentai di concentrarmi, ma fu vano. Non con l’immagine del lupo davanti ai miei occhi. Strinsi i denti e nel medesimo istante il vetro tremò convulsamente e si frantumò in mille schegge sparse sul linoleum. Ci furono degli strilli, altri rimasero completamente a bocca aperta, incapaci di emettere alcun suono. Dopo un paio di secondi nella stanza si diffuse un brusio di voci allarmate, qualcuno stava andando a chiamare il preside, mentre i bidelli accorrevano, attirati dal rumore. I Cullen erano immobili, decisamente indecisi se guardare me o il vetro frantumato. Mi alzai di scatto, raccogliendo le mie cose e mi diressi, non vista, verso la lezione di biologia. Camminavo con passo spedito e presto fui in aula. Occupai il mio posto e nascosi il volto con i miei capelli. Inspiravo ed espiravo, nel tentativo di regolarizzare il mio respiro, ma nulla potevo fare per il battito accelerato del mio cuore. Dita fredde mi carezzarono il volto, scostando i miei capelli scuri. Sussultai, accorgendomi in quel momento della presenza di Edward. Avrei dovuto aspettarmi, conoscendo Edward, che mi avrebbe seguito. Intrecciai il mio guardo nei suoi occhi color ambra e mi sentì a casa.

≪Va tutto bene?≫, chiese.

≪Mi dispiace Edward. E solo che... quando sono agitata ho difficoltà a controllarmi. Aro aveva ragione≫.

Prese il mio volto tra le sue mani, costringendomi a guardarlo.

≪Va tutto bene, non è successo niente. Nessuno sospetta un nostro coinvolgimento, a dire il vero, sono proprio curioso di sapere cosa s’inventeranno per giustificare quanto successo. Hai stupito Emmet, sai? Ha detto, testuali parole: ≪Porca miseria, mai visto niente del genere. Quella ragazza è un fenomeno≫.

La sua voce si affievolì fino a spegnersi. Riuscì a strapparmi persino un sorriso. Edward, vedendo i segni del buonumore sul mio volto, s’illuminò.

≪Se c’è qualcosa che ti preoccupa... io sono qui. La cosa che mi preme di più è sapere che cosa ti ha reso così ansiosa o furiosa da farti perdere il controllo. Il resto non ha importanza≫.

≪Non era nulla, soltanto... il ricordo di un brutto sogno≫.

Edward carezzò ancora il mio volto. Il modo in cui mi toccava, soprattutto in viso, come se fossi fragile e preziosa, mi faceva sentire bene. Era un sollievo poterlo guardare ancora negli occhi.

≪So di aver sbagliato in cortile, ma...≫, la sua frase fu interrotta dall’arrivo degli studenti, ancora un po’ su di giri e spaventati per quello che era successo in mensa.

Non parlammo più.

Durante il ritorno a casa, naturalmente Emmet mi sobbarcò di domande. Lo feci tacere promettendogli che un giorno gli avrei dato un’altra dimostrazione.

Trascorsi il pomeriggio con Esme a vedere i progetti del suo nuovo lavoro.

≪I ragazzi mi hanno detto cos’è successo questa mattina a scuola: erano preoccupati per te. E lo sono anch’io. Va tutto bene?≫.

Sorrisi a quella donna che era sinceramente come una madre per me e annuì.

≪Piccola mia, ho cinque figli uno più problematico dell’altro, non puoi fingere che vada tutto bene, non con me≫.

Sospirai, aveva ragione, fingere era inutile. Era palese che avessi qualcosa che non andava.

≪Da un po’ di notti faccio sempre lo stesso sogno, più che altro è un incubo e mi spaventa a morte≫.

Esme si avvicinò e si sedette al mio fianco, carezzandomi i capelli.

≪Ti va di raccontarmelo?≫.

Mi alzai e andai a recuperare il blocco dei disegni, strappando la pagina con il lupo per metterla nella mia tasca, non sapevo perché, ma era un dettaglio privato e lo depositai sulla sua scrivania.

Esme lo prese e lo osservò a lungo. Alzai gli occhi sulla sua espressione mentre cambiava pagina. Vidi chiaramente che aveva posato gli occhi sulla pagina strappata. Aveva capito che c’era qualcosa che le nascondevo, ma non avrebbe chiesto, ne ero certa.

≪Devo dire che hai un certo talento nel disegno, è così dettagliato!≫.

≪E’ proprio questo quello che mi preoccupa, Esme. E’ troppo dettagliato per essere un sogno, non capisco≫.

≪Non posso aiutarti se non mi dici tutto... e non voglio neanche costringerti a parlare, lo farai se vorrai. Posso soltanto dirti che non hai nulla da temere. In fondo, per quanto dettagliato, rimane un sogno≫.

≪Forse hai ragione tu≫, acconsentì.

Esme mi sorrise calorosa e poi cambiò espressione, sembrava quasi imbarazzata.

≪Tesoro, non per impicciarmi nella tua vita, ma... ecco, ho notato che... tu e Edward non state più molto insieme. E’ forse successo qualcosa?≫.

Arrossì e chinai il capo, quella domanda mi aveva colpito con la stessa violenza di uno schiaffo in pieno volto.

≪No≫, mentì.

≪E’ solo che io tengo così tanto a voi due!≫.

≪Lo so≫, la ringraziai.

≪Ma è meglio se io e lui non superiamo alcuni confini≫.

Esme corrugò le sopracciglia.

≪Capisco. E ancora un volta non ti chiederò il perché. Vorrei soltanto che voi non soffriste e noto un netto cambiamento in Edward e in te, quando siete vicini. Sembrate... felici≫,

Felici. Anche lei, come Alice, ci descriveva in questo modo.

≪Penso che sarà inevitabile≫, sussurrai.

Sarebbe stato inevitabile per me, io avrei sofferto. Ci fu un lungo momento di silenzio.

≪Voi due siete simili. Oltre ad essere creature indubbiamente speciali, i vostri cuori sono buoni. Sapete lottare per ciò che amate e avete una dote che in molti hanno perso: il coraggio. Sei una persona splendida, tesoro. Voglio soltanto che tu faccia le scelte migliori per te. Perché ti amo come se fossi mia figlia. Voglio soltanto che tu sia felice≫.

L’abbraccia forte, posando il capo sul suo petto.

≪Grazie Esme≫.

La sentì sorridere, mentre le sue braccia mi cingevano dolcemente e posava un bacio sui miei capelli. Le dovevo molto più di quanto avrebbe mai potuto immaginare.

I ragazzi stavano per partire, sarebbero ritornati l’indomani pomeriggio. Esme era già uscita per discutere del suo progetto con un importante architetto d’interni. Rosalie era stretta ad Emmet ed Alice stava stritolando il povero Jasper in un abraccio. Carlisle ed Edward attendevano, indifferenti o quantomeno abituati alle loro effusioni pubbliche. Avrei voluto più di qualsiasi altra cosa poter colmare la distanza che mi divideva da Edward e abbracciarlo, chiedendogli di ritornare in fretta da me.  Il mio corpo era proteso nella sua direzione, ma il mio sguardo vagava oltre. Anche se continuavo a scrutarlo con la coda dell’occhio. Lo vidi voltarsi nella mia direzione, deciso. Il mio cuore prese a battere all’impazzata, per poi riprendere il controllo quando si ricompose, scuotendo la testa. Quando Rosalie ed Alice si furono staccate dai rispettivi compagni, Carlisle dichiarò che era il momento di partire. Jasper mi sorrise, mentre Emmet, passandomi a fianco, mi scompigliò i capelli. Entrambi uscirono, seguiti dalle compagne. Carlisle ed Edward si avviarono subito dopo di loro. Carlisle mi sorrise calorosamente, Edward abbozzò un sorriso che non accese il suo sguardo.

≪Oh, non andare≫, supplicai sul mio respiro, muovendo appena le labbra.

Edward si voltò di scatto, con un movimento quasi invisibile della testa e inchiodò i suoi occhi nei miei. La mia supplica spontanea e inudibile era giunta fino a lui? Cosa dovevo sperare? I suoi occhi bruciavano nei miei e mi facevano perdere concentrazione, ma sapevo cosa avrei dovuto sperare. No. Non avrebbe dovuto sentire il mio disperato bisogno della sua presenza. Era sbagliato. Abbassai il capo e lo lasciai andare. Quando alzai gli occhi Edward non c’era più. Mi sentì immediatamente invadere dalla tristezza, ma il sentimento non riuscì e penetrare fino in fondo nel mio cuore come la neve che non riesce ad attecchire al suolo, perché Alice e Rosalie erano già di ritorno, pronte per il pigiama party.

Alice aveva un’idea molto chiara in quanto a feste tra ragazze. Aveva trasformato la sua stanza in una sala tutta al femminile. C’erano smalti di ogni colorazione, cuscini sparsi sul pavimento, riviste.

≪Non credi di aver esagerato un tantino≫, le dissi, appena fummo in camera.

≪Non penso. In fondo, questo è il tuo primo pigiama party; bisogna esagerare. Iniziamo con le unghie≫.

Così dicendo mi trascinò a terra, tra i cuscini, pretendendo le mie mani che avrebbe barbaramente dipinto di un argento tappezzato di brillantini.

Tutto sommato fu divertente.

Guardammo un film strappalacrime e parlammo tanto di ciò che ci piaceva e non ci piaceva.

Nonostante mi stessi divertendo, non potevo evitare a me stessa di pensare a Edward.

A quell’ultimo sguardo e, senza l’ombra dell’errore, riuscivo a vedere chiaramente le sensazioni che mi avevano travolta quel giorno in cortile. Mi scoprì più volte ad arrossire. Adesso che Edward non c’era mi mancava terribilmente. Mi chiesi stupidamente se anche lui stesse pensando a me: a tutto quello che era successo tra noi. Perché non potevo fingere che non fosse successo niente, né potevo evitarlo. Dovevamo parlarne. Dovevo raccontargli tutto. Sarei stata sincera con lui. Doveva sapere che non avevo altra scelta.

≪Bella, cosa c’è. Mi sembri distratta≫.

Alice richiamò la mia attenzione sulla festa in corso.

≪Scusami≫.

≪A cosa stavi pensando≫.

Sorrisi, di solito era Edward a farmi quella domanda.

≪A Edward≫, sputai.

Quando mi resi conto di aver confessato i miei pensieri arrossì come un peperone.

≪Ah, lo sapevo. Sono certa che sia successo qualcosa tra voi, racconta...≫.

Alle parole di Alice, Rosalie scattò in piedi e uscì, tanto velocemente che i suoi movimenti mi apparvero sfocati.

≪Scusatemi≫, disse semplicemente, prima di uscire. Rimasi scioccata. Alice aveva una strana espressione in volto.

≪Tornerà≫, annunciò

≪Che cos’ha?≫.

Alice sorrise, ma non rispose alla domanda.

≪Lo saprai≫, disse infine.

≪Allora, racconta≫.

 Sospirai.

≪Il giorno in cui Benito e Maria hanno fatto visita a Jasper≫, Alice s’irrigidì alle mie parole, ma mi fece segno di proseguire.

≪Io e Edward eravamo in cortile e stavamo per...≫.

≪Baciarvi?≫, urlo.

≪Non urlare. Non è successo niente e non succederà niente≫.

≪Ma perché...≫.

Alice si bloccò e si aprì in un sorriso raggiante.

≪Io esco un attimo, devo prendere una cosa. Tornerò tra qualche minuto≫, esordì all’improvviso.

≪Ma che...≫.

Non riuscì a finire la frase, perché Alice era già sparita. Nello stesso istante, Rosalie entrava in camera.

≪Dove sta andando?≫, chiese.

≪Ha detto di dover prendere una cosa≫.

Rosalie annuì e si sedette per terra. Tra noi correva l’imbarazzo. Non volevo essere io a spezzare il silenzio, ma desideravo chiederle il perché della sua strana reazione.

≪Rosalie... ho per caso detto qualcosa che non va? Sei uscita così in fretta!≫.

Rosalie mi guardò, il suo volto bellissimo contratto in una maschera d’imbarazzo. Arrossì violentemente. Avevo notato, in queste ultime settimane, un certo distacco da parte sua nei miei confronti. Era l’unica della famiglia Cullen un po’ ostile. Forse avevo sbagliato in qualcosa.

≪In queste ultime settimane ho forse sbagliato in qualcosa? Non capisco≫.

Rosalie scosse la testa.

≪Non hai sbagliato in niente Bella. Noi dovevamo proteggerti e invece sei stata tu ad aiutare noi. E di questo ti sono debitrice, ma...≫.

≪Ma?≫, chiesi ansiosa.

≪Sono un po’ gelosa≫.

≪Gelosa? Di me? E perché mai?≫.

≪Bella, io conto troppo sulla mia bellezza. Tu sei bella e al contempo così speciale. E in più hai fatto breccia nel cuore di Edward≫.

 M’irrigidì istintivamente, non credendo alla sue parole. Io avevo fatto breccia nel cuore di Edward?

≪Bella, è palese che voi due siate innamorati. E’ chiaro come la luce del sole≫.

≪Non sono certa che tu abbia ragione, ma, in fondo, non sono mai stata innamorata prima: ho paura di non sapere cosa significhi≫.

≪Credimi Bella, è così. All’epoca, quando entrai a fare parte della famiglia di Carlsie, Edward era solo, come lo è ora. Sono rimasta sorpresa del fatto che lui non mi guardasse mai con gli stessi occhi languidi degli altri uomini, divi capire che nella mia vita l’adorazione dei maschi era una delle mie poche certezze. Io pensavo di essere innamorata di Edward e ho provato... a sedurlo. E’ imbarazzante...≫, sospirò.

Poi si aprì in un sorriso.

≪Ma il mio non era amore; più che altro un capriccio. Volevo che fosse mio perché non sopportava di non poterlo aere, questa è sempre stata una mia caratteristica... ero confusa sull’amore esattamente quanto lo sei tu.

Quando incontrai Emmet ogni dubbio fu dissolto... Nessun rancore tra fratelli, anzi≫.

≪Capisco. Ma è una gelosia inutile≫.

≪Non è solo questo, tu hai un’altra cosa che io vorrei: una possibilità. Per capire, però, dovresti conoscere la mia storia. Vuoi sapere come sono entrata a far parte della famiglia Cullen?≫.

Annuì.

La storia di Rosalie fu straziante, quanto poteva esserlo quella di Esme. Ad entrambe avevano perso qualcosa, per mano chi il destino, chi l’uomo, che le costringeva a vivere una vita a metà... e nel loro caso, un’intera esistenza.  

≪Salvare Emmet fu un atto di egoismo, ma a lui sembra non importare. Mi considera migliore di quanto io sia in realtà. Ha bisogno di me come io ho bisogno di lui≫.

 Sorrisi.

≪Il tuo lieto fine l’hai avuto≫, sussurrai.

≪Hai capito cosa invidio di te, Bella?≫.

Scossi il capo.

 Mi ero concentrata troppo sulla sua storia, dimenticando il resto.

≪La tua possibilità di avere dei bambini. Perché tu sei biologicamente umana e puoi avere figli, mi sbaglio?≫.

≪No, non ti sbagli Rosalie≫.

 Sospirai.

≪A volte immagino come sarebbero stati i miei bambini. Emmet sarebbe stato un papà fantastico. E’ ingiusto che lui sia costretto a vivere con me questo dolore, ma il suo buon umore riesce a scacciare anche le mie nuvole. Non vedrei nessuno come padre dei miei figli, se non lui e allo stesso tempo vi rinuncerei per averli. Vivere nella mia testa, a volte, confonde persino me≫, concluse ironicamente.

Accennai un sorriso .

≪Puoi perdonarmi Bella?≫.

La sua domanda mi stupì.

≪Non ce l’ho affatto con te, Rosalie. Come potrei?≫.

Il volto di Rosalie, illuminato dal sorriso, era bellissimo. Ci abbracciammo per diversi minuti, finché altre due braccia non si unirono alle nostre.

≪Alice≫, dicemmo all’unisono io e Rosalie.

≪Ero certa che vi sareste chiarite, alla fine. L’ho visto, più o meno, e ho preferito lasciarvi sole. Adesso è davvero tutto perfetto, ma se volete che io me ne vada, allora...≫.

Io e Rosalie ci guardammo per un breve istante, con sguardo complice, per poi fiondarci su Alice e stringerla in un abbraccio stritolatore. Rosalie non sarebbe stata la mia migliore amica come lo era il folletto dai capelli corvini, ma era un’altra amica nel mondo esterno, qualcun altro su cui avrei potuto contare; era una bella sensazione. Mentre riflettevo sulle incrinature della sua storia, avvertì un nuovo  senso di colpa. Forse ero soltanto un’egoista. Esme aveva perso il suo Daniel, Rosalie desiderava più di qualsiasi altra cosa avere dei bambini, avrebbe dato la sua immortalità, il suo Emmet, per questo. Io avevo la meravigliosa possibilità che a entrambe non era più concessa: diventare madre. E anziché apprezzarla, la vedevo come una condanna a morte. Ero anche conscia che non era il fatto in se di diventare madre a spaventarmi a morte, quanto tutto il resto... Avevo saputo fin da subito che mi sarei aggrappata ai miei bambini, quei piccoli che ancora non esistevano, per continuare a vivere.

≪Chissà come saranno i miei bambini?≫, sussurrai d’un tratto, esprimendo ad alta voce la mia curiosità.

≪Hai l’eternità davanti, prima o poi incontrerai la persona giusta e avrai la tua felicità. Anche se, ho come l’impressione che tu l’abbia già incontrata. Sarebbe bello diventare zia. Già immagino i miei nipotini, sarebbero bellissimi, ne sono certa≫, commentò Rosalie.

Qualcosa si ruppe dentro di me, probabilmente erano state le sue parole, le immagini che avevano figurato nella mia mente... Lacrime calde scivolarono dai miei occhi sulle mie guance. Riconobbi nelle emozioni che invasero il mio cuore, il dolore che mesi prima, a Volterra, mi aveva fatto perdere il controllo.  In quel momento vidi due immagini, tanto simili quanto diverse, affiancarsi l’una all’atra. Entrambe mostravano un bambino, bellissimo e sorridente. Il primo bimbo aveva dei lucidi capelli neri che incorniciavano il suo viso da cherubino e gli occhi color cioccolato. Gli angoli delle labbra piene curvi in un sorriso tirato, che non  accendeva il suo sguardo spento, troppo serio per appartenere a un bimbo così piccolo. Giocava nei familiari giardini della rocca, senza alcun entusiasmo, come se temesse di sbagliare, di oltrepassare i confini che gli venivano imposti: quelli che lo costringevano ad essere un adulto. Nell’altra immagine ritrovai lo stesso bimbo dal volto d’angelo. Questa vota i suoi capelli erano tinti di un singolare color bronzo, le guance sfumate di rosso, un sorriso splendido sul suo viso bellissimo. I suoi occhi color cioccolato cercavano qualcosa o qualcuno. Anche questo angelo giocava in un giardino, con tutta la gioia di un bimbo della sua età. Sfiorava con le dita paffute il tronco dell’albero di ciliegio, lo stesso a cui io avevo ridato la vita. E mentre i petali cadevano intorno a lui, sospinti dalla brezza leggera, i suoi occhi videro finalmente ciò che stavano cercando. Un ragazzo altrettanto bello, il cui sorriso sghembo si rispecchiava in quello del piccolo, i capelli scompigliati e bronzei, le braccia spalancate mentre gli andava incontro e lo sollevava in area, facendolo roteare. I petali di ciliegio continuavano a svolazzare intorno alla figura del ragazzo e del bambino, fin quando non li coprì completamente, rendendoli invisibili. Prima che i due sparissero sepolti dai petali rosa, il bimbo mi guardò da sotto le ciglia folte e scure, un sorriso timido sulle labbra piene. E così l’immagine scomparve dalla mia vista, sovrastata inevitabilmente da quella del bambino dallo sguardo triste, perché così doveva essere. Improvvisamente qualcosa nel volto del bambino mutò. Il cioccolato del suo occhio destro scomparve in cambio di un rosso brillante, la sua vista,  non più umana, era un’ulteriore indizio della sua particolarità, oltre alla smisurata bellezza. Anche sul suo viso, a sorpresa, comparve un timido sorriso, come avesse appena visto l’unica cosa in grado di accendere il suo sguardo e dare un senso alla sua giornata. L’unica persona in grado di dargli l’amore che chiunque altro gli negava. E in questo modo, scomparve anche la seconda immagine.

≪Bella, Bella, che succede? Bella?≫, il suono della voce allarmata di Alice mi riportò alla realtà.

La guardai, benché non riuscissi a vederla chiaramente a causa delle lacrime che m’inondavano gli occhi e i singhiozzi iniziarono a perforarmi il petto.

≪Bella, ho detto qualcosa che non va. Mi dispiace≫.

Rosalie si scusava, attonita di fronte alla mia reazione, mordendosi il labbro inferiore, pieno e perfetto.

Scossi la testa, accucciandomi sul petto di Alice.

E la sentì arrivare, la stessa esplosione che a Volterra mi aveva spinto al gesto estremo. Mi lasciavo cullare da Alice, mentre Rosalie mi carezzava i capelli. Le sorelle si lanciarono vari sguardi pieni di preoccupazione.

Non badavo a quello che avrebbero potuto pensare. Sentivo soltanto il bisogno di liberarmi, attraverso il pianto, di quel peso che mi opprimeva il torace. Per quanto avessi evitato di pensarci in questi ultimi mesi, sentivo che il momento si avvicinava sempre di più. E a quel punto sarei stata costretta ad affrontare ogni cosa a testa alta, senza mai lasciarmi andare. Inoltre, il senso di colpa scatenato dal racconto di Rosalie creò una vera e propria crisi isterica. Sentire la vicinanza di Alice e Rosalie, fu molto importante per me. A Volterra avevo pianto lacrime che nessuno avrebbe mai dovuto vedere, né consolare. Perché chiunque, a palazzo, avrebbe dato ragione ad Athenodora. Come d’altronde io stessa avevo fatto. Ero convinta che esistesse un motivo, se, anziché nelle mani dei Licantropi, ero andata a finire tra le braccia dei Volturi e di Aro, mio maestro e mentore, in particolare. Doveva esserci un fine a tutto ciò. Non vedevo quale se non l’unione tra me e Aro, ma al di fuori della rocca avevo amiche, una famiglia cui importava soltanto la mia felicità. Non sarei mai stata totalmente felice se avessi dovuto abbandonare i Volturi o tradirli. Non sarebbe stato un comportamento da me e di questo ero fin troppo consapevole. Il mio pianto silenzioso e senza pretese si accontentò d’inzuppare il pigiama di Alice d’acqua salata. Quando i singhiozzi cessarono e i miei occhi furono completamente prosciugati, riuscì ad alzare la testa dal petto di Alice. Asciugai le ultime lacrime con il polso e alzai gli occhi, non del tutto certa di essere pronta per incontrare i loro sguardi preoccupati. Timorosa, osservai i loro volti bellissimi e contratti per la preoccupazione.

≪Scusate≫, sussurrai.

Alice mi carezzò i capelli.

≪Bella, non scusarti. Noi siamo soltanto preoccupate per te≫, così dicendo lanciò uno sguardo d’intesa a Rosalie, poi, entrambe, tornarono a fissarmi.

≪A volte io parlo a sproposito, forse ho detto qualcosa che...≫, bloccai le scuse di Rosalie scuotendo la testa.

≪Non è colpa tua. Non era... niente. Su, torniamo a divertirci≫.

Presi un profondo respiro e mi ricomposi.

≪Non dire assurdità, Bella. Adesso devi dirci che cos’hai≫, insistette Alice.

≪Devi farlo, altrimenti continuerò a pensare che sia colpa mia≫, disse Rosalie, facendo leva sui miei sensi di colpa.

≪Noi ti vogliamo bene≫, mormorò Alice, prendendo il mi volto tra le mani magre e fredde, ma forti come l’acciaio e costringendomi a guardarla negli occhi.

≪E’ un nostro diritto sapere cosa ti affligge in questo modo. Se c’è qualcosa che possiamo fare. Quelle lacrime non erano niente≫.

Tirai su col naso. In fondo, che male c’era. Perché non dire loro tutta la verità? Sentivo il bisogno di levarmi quel peso dal cuore.

≪Quello che hai detto Rosalie...≫.

≪Sapevo che era colpa mia, io...≫.

≪No, aspetta. Non è colpa tua. E’ solo che, quello che hai detto, è impossibile≫.

≪Ti riferisci al fatto di avere bambini. Non puoi avere figli?≫.

≪Sì, che posso. Ma non mi è permesso cercare la persona che amo. Perché qualcun altro ha già scelto per me. Il giorno dell’Agorà, voi non siete stati la mia unica sorpresa, purtroppo. Quella sera Aro ha chiesto... la mia mano≫.

Non mi fermai quando le udì trattenere il respiro, né nel momento in cui si scambiarono uno sguardo sbalordito.

≪Non so se la sua proposta fosse dettata anche dall’amore; ha suo dire sì, mi sembrava sincero, ma il motivo principale era un altro. Fin da piccola sono stata messa davanti alla realtà delle cose. Io sono l’ultima della mia specie e il mio compito è ricreare la mia razza attraverso la procreazione. Questo non mi ha preoccupato più di tanto, quando avessi incontrato la persona che amavo, avrei fatto ciò che dovevo. La proposta di Aro mi ha lasciata completamente stupefatta. Non posso dirgli di no, per svariati motivi, anzi...  ho già accettato. Devo molto a loro, a lui. Non c’è un motivo per cui io rifiuti≫.

Avevo ripetuto quelle parole a me stessa così tante volte che risultarono banali. Ci fu un lungo momento di assoluto silenzioso, la prima a spezzarlo fu Rosalie: ≪Mi dispiace che le mie parole ti abbiano riportato alla mente certe cose≫.

≪Sono sempre state lì Rosalie, alla fine sarebbero ritornate...≫.

≪In classe, il tuo primo giorno, era questo che intendevi quando hai detto che era impossibile? Quando hai detto che faceva troppo male parlarne?≫.

Annuì.

≪Non puoi, devi opporti, se ti fa stare così male. Al di là di Edward, se lo ami o no, devi fare ciò che è meglio per te, ciò che ti rende felice≫.

≪Non ho così tanta libertà...≫.

≪Scappa, non ti aiuteremo. Saremo dalla tua parte≫

Rosalie annuì energicamente.

 Sorrisi, scuotendo la testa.

≪Cerca di capire Alice. Ciò che intendevo è che non ho tutta questa libertà, perché devo molto ai Volturi. Come pensi che potrei sentirmi a fare una cosa del genere. Loro stanno combattendo per me, la fuori. Non potrei mai≫.

≪Tu provi qualcosa per Aro?”, chiese Rosalie, rabbrividendo.

Scossi la testa.

≪E’ il mio maestro, ma nulla più. Provo grande rispetto nei suoi confronti. Al di là di ciò che fanno e della loro alimentazione≫.

≪L’ho visto≫, intervenne Alice.

≪Dal modo in cui ne parlavi davanti a Benito≫.

Annuì.

≪Ma questo è troppo, come puoi sopportare...≫, intervenne Rosalie.

≪Di lasciarmi toccare? Di concedermi ad Aro soltanto perché non posso fare altrimenti? Potete giudicarmi se volete, vi capirei≫.

≪Giudicarti?≫, esclamarono Alice e Rosalie all’unisono.

≪Isabella, non ti permetto di pensare questo, nessuno sa meglio di me  cosa si prova a...≫, continuò Rosalie, puntandomi un dito contro.

Alice la ammonì con uno sguardo.

≪Noi siamo soltanto preoccupate per te. Belle, qua stiamo parlando dell’eternità, te ne rendi conto, vero? Forse non lo comprendi perché fin ora sei sempre cresciuta, quindi...≫.

≪So cosa significa≫, risposi.

≪E se dovesse diventare troppo? Se dovessi cedere ad un gesto estremo? Bella?≫ .

 Chinai il capo alle parole di Alice, improvvisamente rossa in viso.

Due sibili furiosi mi costrinsero ad abbassare ancor di più la testa.

≪Tu ci hai già pensato≫, esclamò Alice, inorridita.

≪Ci hai già provato, rispondi?≫, ringhiò Rosalie.

Alzai la testa, nel tentativo di difendermi, ma gli occhi neri e fiammeggianti della mia migliore amica mi costrinsero a tirarmi indietro, contrita.

≪Quella sera, ma è stato soltanto un momento di debolezza dovuto allo stupore e  all’idea su cui non avevo ancora potuto riflettere≫.

≪E dopo averci riflettuto, le cose sono migliorate? Cosa da un senso a questa pazzia?≫, ringhiò Alice, accucciata davanti a me come se volesse attaccarmi.

Strinsi le ginocchia al petto e parlai senza guardare il suo volto, ma il futuro prossimo, come lo immaginavo.

≪Quei bambini che ancora devono nascere. Vivrò per la loro vita. Sono abbastanza forte da farlo. E non permetterò a nessuno di mettermi i piedi in testa. Educherò i miei bambini secondo le mie regole. E con i Volturi saranno al sicuro. Non posso permettermi che qualcuno li cerchi come cercano me≫.

Un’altro sguardo d’intesa tra Rosalie ed Alice prima che quest’ultima uscisse dalla posizione accovacciata e si sedesse ancora per terra, al mio fianco.

≪Ne sei certa, Bella?≫.

≪Non ho altra scelta. E vi prego di non parlare con nessuno di tutto questo. E mi riferisco anche ai vostri pensieri. Fingete di non sapere nulla≫.

≪A questo punto sono preoccupata per Edward≫, sussurrò Alice, per poi scattare, come se fosse venuta a conoscenza di una profonda verità.

≪Per questo lo eviti?≫.

 Annuì.

≪Presto me ne andrò e sarà come se... non avessi mai incrociato il suo sguardo≫, mormorai sul mio respiro.

≪Vedi Rosalie, la tua gelosia era infondata. Sono io ad invidiare voi. Avete l’amore. Niente vi separa dai vostri compagni, nessuna imposizione. Io non ho alcuna possibilità. Io non ho niente≫.

≪Grazie, Esme, ma non c’è alcun bisogno che tu o le ragazze veniate con me. Non mi allontanerò molto, ma voglio fare una passeggiata, da sola≫.

Esme corrugò le sopracciglia, incerta. Quella mattina, al mio risveglio, ero stata accecata da una luce chiara e d’orata, tanto rara a Forks da apparire quasi come un miraggio. Alice aveva previsto che per le prime due ore di scuola il sole sarebbe stato luminoso, per poi scomparire dietro le nuvole. Benché le sue previsioni fossero certamente molto più precise di quelle del tempo, era strano pensare che a un sole così luminoso potessero frapporsi delle nuvole temporalesche, tanto da rendere cupa persino la visione della mia veggente. Per questo motivo Alice e Rosalie erano state costrette a rimanere segregate in casa e io con loro. In città tutti erano al corrente della passione dei Cullen per le escursioni, soprattutto durante le belle giornate ed essendo io un membro della famiglia ero stata inclusa negli amanti dell’escursionismo ed equipaggiata dei più moderni attrezzi da trekking che il negozio dei Newton potesse offrire. Dopo le mie rivelazioni della notte precedente Alice e Rosalie mi tenevano costantemente sottocchio, tentando di non darlo a vedere. Esme aveva capito che qualcosa non andava: c’era troppo silenzio. I ragazzi sarebbero ritornati tra qualche ora e speravo che la loro vicinanza avrebbe distratto Alice e Rosalie, che, per non dare nell’occhio, avrebbero smesso di sorvegliarmi costantemente, in attesa di un qualche cambiamento nella mia decisione inamovibile. Perciò avevo deciso di fare una passeggiata, per allontanarmi un po’ dai loro sguardi, molto più espliciti di qualsiasi altra parola. Esme naturalmente era preoccupata, non venivo mai lasciata completamente sola, ma dubitavo che qualcuno mi avrebbe attaccato o rapito. Non qui a Forks. Lanciai un sorriso ammiccante ad Esme e dissi, prima che potesse contestare: ≪A tra poco≫.

Chiusi la porta, lasciandomi alle spalle le occhiate di Alice, Rosalie ed Esme, diverse ma in egual modo preoccupate. Inspirai l’aria umida del mattino e m’incamminai, senza una meta precisa. Naturalmente non sarei andata a Forks, ma non volevo neanche allontanarmi così tanto da far preoccupare Esme. Feci spallucce e decisi che mi sarei fatta trasportare. Quel giorno non ricercavo la solitudine soltanto per sfuggire a sguardi espliciti e che fin troppo mi ricordavano la disgrazia cui stavo per andare incontro. Avevo tanto su cui riflettere, ad esempio, Edward. Sapevo che Alice e Rosalie avrebbero mantenuto la promessa e tentato in tutti i modi di non pensarci, ma Edward doveva sapere. Non era solo la mia sincerità ciò su cui dovevo riflettere, ma anche sulle parole di Rosalie. “Hai fatto breccia nel cuore di Edward... E’ palese che voi due siate innamorati. E’ chiaro come la luce del sole”. Rosalie era stata forse accecata dalla gelosia che credeva di provare verso di me? Ero forse io quella cieca? Tanto da non vedere quello che stava succedendo a me... e a Edward? Forse eravamo andati troppo oltre e la colpa era soltanto mia. Perché io sapevo e non avevo fin da subito chiarito le cose. Quello che sentivo quando stavo con lui era qualcosa di inspiegabile. Ma come potevo io, spiegare qualcosa che non avevo mai provato prima? E poi, eccola, un’altra di quelle domande da un milione di dollari. Se davvero tra me e Edward c’era qualcosa che andava oltre l’amicizia come avrei potuto abbandonarlo e voltargli le spalle? Come se non fossi stata altro che uno spettro nella sua vita. Quanto mi sarebbe costato? Tanto. Lo vedevo chiaramente quando guardavo l’immagine, ormai impressa a caratteri cubitali nella mia memoria, di quel bambino dalle guance rosse e i capelli bronzei. Perché sapevo che, se le cose fossero andate diversamente, avrei scelto Edward. Quella consapevolezza mi squarciò il cuore e mi sentì cedere le gambe, tanto che dovetti aggrapparmi a qualcosa di solito per rimanere in piedi. E anche se sapevo che non avrebbe fatto altro che portarmi dolore, non potei fare a meno di guardare ancora quel bimbo bellissimo, mio figlio, e Edward che gli andava incontro a braccia aperte. Sarebbe stato bello avere un maschietto e una femminuccia, com’era sempre stato nelle mie fantasie. Tentai di drizzarmi sulla schiena, mentre il mio respiro si regolarizzava. In quel momento, per la prima volta da quando avevo lasciato casa Cullen, mi guardai intorno. Il mio cuore prese a battere all’impazzata e la confusione invase la mia mente. Forse c’era un motivo per cui mi sentissi così agitata, quasi spaventata. Ero molto lontana da casa. Nonostante non fossi mai stata in quel posto ne ero consapevole. A conferma dell’infallibilità di Alice osservai che il cielo era diventato scuro, nessuna traccia della luce luminosa del sole che fino a poco prima aveva scaldato la città. Il cielo buio era quasi notturno, le nuvole grigie coprivano qualsiasi possibile spiraglio di luce. Quell’immagine punzecchiò i miei cassetti della memoria... Sempre più agitata mi guardai attorno. Ero circondata da abeti altissimi, di un cupo verde scuro. Fu naturale sentire il cambiamento della mia vista, ero in una situazione nuova e spinosa. Mossi i primi passi, allontanandomi dell’albero su cui mi ero poggiata, le braccia lungo i fianchi e posai gli occhi sulla foresta che mi circondava. Vedevo chiaramente, nonostante il buio, che l’uscita non era molto lontana. Eppure, chissà perché, esitai. Inconsciamente girai su me stessa, puntando gli occhi sul fitto del bosco. Mossi un paio di passi prima di immobilizzarmi. Sorrisi con cupa ironia, scuotendo la testa: perché non uscivo da lì? Sentivo le gambe pesanti, dovevo aver camminato molto. Chissà quanto mi ero allontanata? Dovevano essere già passate un paio d’ore, se il sole era mutato nelle più appropriate nuvole, consone al paesaggio verde e un po’ viscido di Forks. E mentre mi voltavo, decisa ad allontanarmi, lo udì. Era un gracchiare stridulo e roco, fastidioso. Mi fece accapponare la pelle. Mi voltai di scatto, puntando i miei occhi sul pennuto dalle piume nere e lucide. Il becco leggermente ricurvo, gli occhi neri. Se ne stava appollaiato su uno dei pini più bassi e conferiva al paesaggio un che di spettrale. Fu in quel momento che, ciò che aveva soltanto incuriosito la mia memoria, prese forma. Quel luogo, quel cielo buio e grigio, il gracchiare rauco del pennuto appollaiato sull’albero, un animale da incubo. Perché proprio di questo si trattava: di un incubo. Ciò che mi circondava era spaventosamente simile al sogno che facevo ormai da troppe notti. Per un attimo, un solo istante, mi chiesi se non stessi ancora dormendo. Magari era tutto un sogno. Fui tentata di pizzicarmi una guancia per accertarmene, ma non riuscivo a muovere neanche un muscolo. E questa fu la prova sufficiente a farmi credere che non fosse un semplice sogno. Perché, per quanto dettagliato, il mio intorpidimento o anche soltanto il dolore che poco prima mi aveva piegata non potevano esistere... in un sogno. Conscia che il destino, per qualche strana ragione, mi aveva condotta laggiù, continuai a camminare lungo il sentiero - di cui riconoscevo la forma. Se quello che stavo vivendo era reale, cosa mi attendeva al di là del sentiero, fuori dalla foresta? Il lupo non poteva esistere realmente. Ma se invece fosse esistito? Cosa poteva assicurarmi il contrario, nel mio mondo tutto poteva esistere. Non davo nulla per scontato. Un dubbio mi attanagliò: se il lupo fosse stato reale e mi avesse notato cos’avrei fatto? Forse avrei potuto impedire al lupo di uccidere il ragazzo, se fossi arrivata abbastanza in fretta e se, cosa più importante, la mia teoria era giusta. Automaticamente aumentai il passo. Eppure, quel lupo, non era come un qualsiasi altro animale. A parte la dolorosa consapevolezza nei suoi occhi, c’erano le sue dimensioni da non sottovalutare. E se fosse stato anomalo in tutto? Se il mio potere, su di lui, come su Benito, non avesse funzionato? Ormai non ero più così certa di essere infallibile. Non potevo tirarmi indietro, dovevo tentare. Se c’era un ragazzo da salvare, lo avrei salvato. Non potevo lasciarlo morire. Una parte di me, quella più egoista, era conscia che, se le cose fossero andate male e il lupo mi avesse ucciso, arpionandomi con le sue zampe neri e possenti, sarei stata libera. Una vocina nella mia mente mi ridestò dalla mia pazzia. Non avrei risolto i miei problemi togliendomi la vita. E poi, se fossi morta sotto la custodia dei Cullen, avrei segnato anche la loro fine, per non parlare del dolore che avrei inferto ad Esme, Carlisle, Alice, Edward... alla mia famiglia. E, dovetti ammettere, agli stessi Volturi. Athenodora, Demetri, Felix... Aro. Continuai il mio cammino, consapevole di dover raggiungere, il più presto possibile, la mia meta. Dovevo assolutamente salvare il ragazzo, altrimenti quei sogni sarebbero stati vani... I miei stessi pensieri mi colsero di sorpresa. Questi sogni erano stati degli avvertimenti, ma com’era possibile, non ero mica Alice...? Un’idea mi balenò in mente e rimise ogni pezzo al proprio posto. No, non ero Alice, ma ci andavo molto vicino. Aro me lo aveva detto tante volte, la mia specie, col tempo, acquisiva capacità premonitrici. Quel sogno così dettagliato non era un incubo, bensì una visione. Non avevo mai preso in considerazione l’idea perché ero sicura che mi ci sarebbero voluti anni e anni prima d’imparare una cosa del genere Evidentemente non era così. Forse ero già pronta. Non poteva essere tutta una coincidenza. Mi guardai ancora intorno, provando a riconoscere qualche altro dettaglio del mio sogno/visione. D’un tratto, notai il familiare abete troppo alto. E adesso riconoscevo nell’albero un confine, perché sapevo che, in quel preciso istante, sarebbero arrivate le voci. Una parte della mia mente sperava ancora che mi sbagliassi, che non ci fossero né il lupo, né il ragazzo. Eppure sapevo, in un angolino del mio cuore, che il mio sogno era reale, una premonizione. Fu in quel momento che arrivarono le voci o meglio la voce.

≪Tutto questo è ingiusto. E’ colpa mia,  se solo...≫. Adesso che la sentivo più da vicino notai che la voce disperata e rabbiosa era molto più simile a quella di un uomo che a quella di un ragazzo. Le parole dell’uomo furono interrotte dal ringhio animale che non somiglia a nient’altro.

≪No≫, urlai.

Fu entrando nello spiazzo aperto, dopo aver oltrepassando gli ultimi alberi, che capì che era troppo tardi. Con ribrezzo udì il suono familiare di vestiti lacerati e vidi e sentì al tempo stesso, le zampe dell’animale affondare sul terreno. Mi bloccai al confine con la foresta, terrorizzata e immobile. E lo vidi. Era identico all’animale del mio sogno: immenso, simile a un lupo, nero coma la pece. E nei suoi occhi, la tristezza, la consapevolezza e la rabbia totalmente sovrastate dalla cieca disperazione che emanavano. In un attimo di pazzia pensai che il lupo fosse dispiaciuto per il delitto che aveva commesso. O forse era soltanto la mia immaginazione. Ero arrivata tardi, non avevo impedito al lupo di uccidere l’uomo. Non servivo a nulla come veggente. Alice avrebbe fatto molto meglio di me. Prima di cadere definitivamente nel baratro della disperazione un gesto del lupo, che non sembrava essersi accorto di me, catturò la mie attenzione. I suoi occhi pieni di disperazione erano fissi su un punto davanti a lui, con la zampa artigliò l’aria. I miei occhi seguirono il suo sguardo e la vidi. Una ragazza bellissima. La carnagione scura, quasi dorata, i capelli neri e lisci, gli occhi castani. Immobile e attonita, guardava l’enorme animale davanti a lei. Eppure nei suoi occhi non c’era paura, né lo stesso terrore o la stessa confusione che stava attanagliando i miei pensieri. Sembrava... dispiaciuta, addolorata. Come se la disperazione del lupo si riflettesse su di lei. Il lupo tremò, mostrando i denti bianchi e affilati e alzò la zampa destra. In quel momento una lacrima grande quanto una palla da baseball gli rigò il viso. Rimasi interdetta. Ero troppo confusa per capire cosa stesse succedendo. Troppo confusa per chiedermi dove fosse l’uomo o cosa facesse lì la ragazza. Perché non era terrorizzata dal lupo? Cosa significava quella lacrima, così fuori luogo su quel volto distorto dalla rabbia? Semplicemente agì d’istinto. Uscì dalla foresta e alzai le mani, mostrando i palmi al cielo. Mi bastò una semplice parola per porre fine a quella pazzia di cui credevo di aver colto il senso, ma mi sbagliavo. Con voce sensuale e ingannatrice, sussurrai: ≪Immobile, lupo≫.

Il mio sussurro non sfuggì all’animale, né alla ragazza. Entrambi si voltarono nella mia direzione. L’espressione della ragazza era rimasta immutata, mentre nel lupo, qualcosa era cambiato. La zampa destra, che era rimasta sospesa a mezz’aria, si posò nuovamente sul terreno. Vidi la ragazza posare gli occhi sul lupo e poi tornare a fissare me. L’espressione dell’animale era indecifrabile. Riuscì a scorgere soltanto la sua sorpresa e la confusione. Mosse alcuni passi indietro, allontanandosi dalla giovane. Gemette, come se si trovasse davanti a un predatore più grande di lui. Mi avvicinai lentamente e mi resi conto di essere più prossima all’animale di quanto avessi voluto. Fissai i miei occhi nei suoi e l’espressione del lupo divenne simpaticamente sorpresa, quando notò lo strano colore del mio occhio destro.  L’animale era tre volte più grande di me, ma innocuo, bloccato nel mio ordine dal quale era impossibile fuggire. Il lupo arretrò, allontanandosi sempre di più dalla ragazza. Gemette ancora e chinò il capo, posandosi su due zampe.

≪Immobile. Sta fermo≫, sussurrai.

L’animale gemette ancora e nascose il volto tra le zampe. Un singhiozzo mi fece sussultare. Guardai la ragazza, ma non impiegai molto a capire che non veniva da lei. Fissava qualcosa alle mie spalle, gli occhi spalancati per lo stupore mostravano un terrore che non avevo visto neanche quando era stata inerme davanti al lupo inferocito. Mi voltai di scatto, senza perdere d’occhio l’animale, per non ripetere lo stesso errore che avevo commesso con Benito e rimasi sorpresa. Alle mie spalle, immobili nella loro bellezza statuaria, i Cullen fissavano la scena con occhi sbarrati. Edward, Emmet e Jasper mostravano i denti all’animale. E quel ringhio feroce creava uno strano contrasto con l’espressione sorpresa dei loro occhi. Esme era spaventata a morte. Alice e Rosalie erano impassibili, incredule. Carlisle, a differenza dei suoi figli e di sua moglie, era composto e attento. Fece un passo avanti, i palmi all’insù e mi guardò negli occhi. L’animale gemette e io mi voltai di scatto. Tentava di alzarsi in piedi, ma non ci riusciva, un peso lo teneva bloccato al terreno. Prima che potessi fare o pensare qualsiasi cosa, la voce bassa e dolce della ragazza, la preda, mi fece rinsavire. L’unica cosa che disse, fu: ≪Ti prego, non fargli del male≫.


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Capitolo 11
*** Gratitudine ***


Buon pomeriggio! Ho deciso di postare anche questo capitolo per chiarire le idee di tutti. Non c'è molto da dire, perché ancora una volta sarà il cap a parlare per me. Ringrazio con tutto il cuore le ragazze che recensiscono i capitoli: anonimus - fever- noemi 90- fefe cullen - ary94 e  tutte le 13 e le 31 splendide lettrici che mi hanno aggiunto rispettivamente tra i preferiti e i seguiti. Fatevi sentire e ditemi cosa ne pensate, sono molto curiosa. Spero di non deludervi e che il capitolo vi piaccia.  Il prossimo cap sarà più lungo e sarà il capitolo-bomba, come ho deciso di chiamarlo. Vi ringrazio ad uno ad uno di essere ancora qui a leggere, a presto, vostra, FrancescaXD

10 Gratitudine

Non avevo idea dell’aspetto che avesse il mio volto. Fissavo la ragazza come se non  riuscissi a comprendere le sue parole, come se parlassimo due lingue differenti. I suoi occhi scuri erano terrorizzati. E, constatai con ironia, non dall’enorme lupo nero che aveva tentato di ucciderla. Il suo sguardo si posò prima sul mio volto, poi su quello dell’animale; come  fossi io la minaccia, il pericolo, e non la persona che l’aveva salvata da morte certa. Ero terribilmente confusa, nulla, in quella strana giornata, aveva più senso. Mi ero svegliata come ogni mattina e, notando gli inevitabili sguardi delle mie amiche, avevo deciso di uscire per una passeggiata solitaria. Il destino, o chissà cos’altro, mi aveva condotto fin la giù: all’interno del mio incubo che si era rivelato essere una premonizione.

Non riuscivo, per quanto mi sforzassi, a comprendere i messaggi subliminari del mio sogno. Inizialmente avevo creduto di dover salvare il ragazzo, l’uomo di cui avevo sentito soltanto la voce e che iniziavo a credere non esistesse affatto. E, misteriosamente, mi ero ritrovata davanti questa strana ragazza - strana perché anziché essere terrorizzata dal lupo temeva me, la sua salvatrice. O, forse, era più corretto dire che lei temeva per il lupo. Potevo facilmente spiegarmi il perché della presenza dei Cullen, però. Probabilmente, non vedendomi tornare, avevano seguito la mia scia fin qua giù. Ero quasi tentata di fare spallucce. Magari mi sbagliavo. Forse la loro presenza aveva un altro significato. Anche le cose più banali e semplici iniziavano a sembrarmi complicate. Quella giornata aveva cancellato molte delle mie certezze.

≪Cosa?≫, chiesi  rivolta alla ragazza.

Adesso non guardava più me, fissava il lupo negli occhi. Mi voltai anch’io verso l’animale e rimasi sorpresa, vedendo che anche lui la stava fissando. Sembrava... dispiaciuto, in un certo qual modo.

≪Non fargli del male≫, ripeté la e mosse due passi in avanti.

≪No≫, l’ammonì.

Il lupo ringhiò debolmente. Più che arrabbiato sembrava infastidito. L’immobilità causata dal mio potere, che lo bloccava al  terreno, doveva essere quanto meno irritante per un animale di quella stazza, selvaggio e libero nei movimenti. E probabilmente era la mancanza di libertà a renderlo irrequieto. Benché il ringhio fosse cosa da poco, alle mie spalle udì tre sibili furiosi. Per un attimo fui distratta da uno dei tre suoni, che, per quanto potesse sembrare identico agli altri, distinguevo chiaramente.  Questo mi sorprese... e mi terrorizzò.

Ma ciò non bastò a destarmi dalla mia principale fonte di curiosità: la volontà dell’animale. Non avevo mai provato prima a bloccare una fiera feroce come un lupo, ma ero più che certa che la volontà di un animale non potesse essere così forte, perché seguivano i propri istinti, soprattutto quelli selvatici. Non c’era motivo per cui le loro volontà dovessero essere forti. Prendevano quello che volevano, uccidevano per fame, difendevano se stessi anche a scapito degli altri. Non erano creature ragionevoli, senzienti. E questo li rendeva deboli, moralmente parlando. Ma quest’animale era diverso dagli altri. La sua volontà era forte, troppo simile a quella di un essere umano. Che fosse dotato di una ragione? Di pensieri coerenti? Lo credevo impossibile. Non potevo ignorare ciò che mi si parava davanti agli occhi: avevo percepito delle volontà umane più deboli della sua. Il lupo si voltò nella mia direzione e puntò i suoi occhi neri nei miei.

≪No, Edward≫, sentì Calrisle ammonire.

Non mi voltai, troppo concentrata sul’animale. Ci guardammo a lungo. Io cercavo in quegli occhi neri come la pece una spiegazione, senza riuscire a trovarla. Ero certa che in lui si celasse una storia ed emozioni molto più profonde di quanto avrei mai potuto immaginare. Il lupo era dotato di una parte umana, ragionevole e controllata e di una’altra caratterizzata da un forte istinto animale. Eppure l’una non prendeva mai il sopravvento sull’altra.

In una circostanza diversa, avrei trovato questa nuova scoperta affascinante, ma non quel giorno. Entrambi ci voltammo sentendo dei passi sul terreno: la ragazza si stava avvicinando, malferma sulle proprie gambe ma determinata. Sul suo volto non una traccia di paura, ma bensì una folle determinazione. Troppo presa a fissarla, non riuscì neanche ad ammonirla. Vidi dai suoi occhi che non mi avrebbe dato retta. Serrai la mascella, pronta a contenere l’animale, in caso. Il lupo sembrava stranamente tranquillo, la fissava quasi con timore, come se le parti fossero state invertite e la ragazza, con un semplice tocco della mano avrebbe potuto lacerargli la pelle e strappargli il cuore, neanche avesse unghie affilate e zampe enormi. Il lupo nascose la grande testa sotto la zampa, come sono soliti fare i cani e gemette. La giovane non mi degnò di uno sguardo quando mi fu di fronte, s’inginocchiò e posò le mani sul suo pelo e prese ad accarezzarlo, come fosse un bambino bisognoso di conforto, come fosse un uomo. L’animale gemette ancora, in modo diverso: sembrava stesse facendo le fusa. Alzò il capo e guardò la ragazza negli occhi, che si aprì in un grande sorriso. Il lupo mostrò i denti, ma l’espressione feroce mutò in qualcosa di esilarante, visto che la lingua penzolava di fuori. Possibile che quell’animale avesse delle capacità di giudizio? In fondo, non avevo mai visto un essere del genere, chi poteva dirlo!

≪Cosa sei≫, sussurrai.

Il lupo reclinò la grossa testa di lato e sbuffò dal naso. Fece leva sulle zampe e tentò di alzarsi, ancora una volta senza riuscirci. Mi guardò come volesse dirmi qualcosa. La ragazza parlò per lui: ≪Non so cosa tu stia facendo, ma lascialo andare. Ti sono grata e per questo ti chiedo di fidarti di me. Vedrai, non è pericoloso≫.

Lanciai un fugace sguardo alla ragazza: sembrava tranquilla e sincera nel prendere le parti del suo grosso amico peloso.

≪Allontanati≫, le dissi.

Un po’ riluttante, obbedì.

La seguì a ruota, scostandomi indietro di vari passi, frapponendomi tra lei e l’animale e lo lasciai andare. Dietro di me qualcuno trattenne il respiro, forse Esme. Il lupo si alzò da terra, con un po’ di fatica, issandosi sulle zampe. Scrollò leggermente il pelo e lanciò uno sguardo indecifrabile prima a me, a qualcosa alle mie spalle e un altro alla ragazza al mio fianco. Dopo di ché girò i tacchi e si dileguò nella foresta, trotterellando.

Ehi, non poteva andarsene.

Io non potevo lasciare andare liberamente in giro un’animale così grande e instabile. Feci per seguirlo, ma la ragazza mi bloccò. Scosse la testa e disse: ≪Tornerà≫.

Non del tutto certa sul da farsi, sospirai.

≪D’accordo≫.

D’un tratto sette presenze diverse mi circondarono. La ragazza s’irrigidì e si allontanò da me, al limitare della foresta, aspettando il ritorno del lupo. I Cullen la mettevano a disagio, forse era più appropriato dire che era terrorizzata da loro. Che sapesse? Scossi la testa, sempre più confusa. Mi voltai e osservai sette differenti volti furiosi. Sorrisi innocente, senza sapere cosa dire.

≪Tu sei nei guai≫, esordì Esme.

≪Ti lasciamo per due ore, dico due ore e tu...≫, Alice sembrava troppo incredula per parlare.

Jasper alzò gli occhi al cielo.

≪Sei un’attira disgrazie, ragazza≫, commentò Emmet.

Rosalie gli lanciò un’occhiataccia.

Chinai il capo, imbarazzata e contrita. Carlsile rise della mia espressione colpevole.

≪Abbiamo visto quello che hai fatto, hai agito bene. Sono fiero dite. Però, la prossima volta, si più prudente≫.

Annuì.

≪Spero per te che non ci sia una prossima volta≫, minacciò Esme.

Mi voltai quando avvertì una presenza avvicinarsi.

Il lupo era tornato e non era solo. Prima di girarmi a guardare l’animale, incrociai lo sguardo indecifrabile di Edward.

Voltandomi, m’immobilizzai.

Davanti a me non c’era più il grosso lupo dal pelo nero ma un uomo, al suo fianco altri cinque ragazzi, tutti identici. Stringeva a se la giovane, proteggendola con il suo corpo. Anche lui, come la ragazza, aveva la pelle dorata, i capelli scuri e corti e gli occhi neri. Era dotato di un fisico possente e muscoloso, che non si premurava di nascondere, indossando soltanto un paio di jeans lunghi fino alle ginocchia e nient’altro, neanche le scarpe. I ragazzi che lo circondavano potevano passare benissimo per i suoi gemelli. Si arrestarono all’improvviso: diversi metri ci separavano.

≪Potrei farti la stessa domanda≫, parlò per la prima volta, con la sua voce roca e virile.

Rimasi interdetta per un attimo, ma la mia mente non impiegò molto a capire e a rimettere a posto i pezzi. La sua voce già una volta era giunta alle mie orecchie. Nonostante la prima volta che la udì  fosse distorta dalla rabbia e dalla disperazione la riconobbi. L’avevo già sentita nel mio sogno e poi, ancora, quel giorno. Capì che le mie deduzione erano errate e intuì che l’uomo stava rispondendo alla domanda che poco prima avevo posto al lupo. Non c’erano equivochi possibili. Ripensai alla straordinaria volontà del lupo, mezza umana e mezz’animale. L’uomo non era semplicemente frutto della mia immaginazione.

E il lupo esisteva perché l’uomo viveva.

Il ragazzo davanti a me era un mutaforma.

Un brivido mi attraversò per tutta la lunghezza della spina dorsale e,  gli occhi sbarrati per lo stupore, mossi alcuni passi indietro. Non avevo mai provato così tanta paura in vita mia. O, forse, era più corretto dire che non avevo mai provato paura in vita mia, almeno non per me stessa. La mia incolumità non era mai stata messa in tal modo a repentaglio. A parte Benito, non avevo mai conosciuto nessuno pronto a uccidermi. Qualcun altro uccideva i nemici al mio posto, di solito. Arretrai, nonostante la mia mente ricordasse la prima e fondamentale regola in uno scontro, Demetri la ripeteva ogni volta: mai mostrare paura o insicurezza al nemico. Ma questa volta era diverso. Mi ero nascosta, pensando che qui nessuno mi avrebbe mai trovata, ma probabilmente il destino complottava contro di me. Avrei anche potuto pensare a questa straordinaria coincidenza come a un segno del destino. Ricordavo con assoluta chiarezza la conversazione avuta con Jasper in mensa, qualche mese prima. Avevo compreso che il mio compito non era quello di nascondermi e forse, ora, avrei dovuto pagare il conto delle vite perse in battaglia, a causa mia.

Ciò da cui mi nascondevo era ora davanti ai miei occhi.

Che ironia.

 I Volturi stavano combattendo dall’altra parte del mondo per estirpare ogni possibile nemico che attentasse alla mia vita. Licantropi, mutaforma erano tutti alleati. Disposti a sacrificare qualunque cosa per il loro obbiettivo: me. Sapevo che i Cullen avrebbero combattuto al mio fianco, ma non glielo avrei permesso. Li avrei mandati via, anche con la forza se fosse stato necessario. I Cullen mi guardarono stupiti, riconoscendo i segni del terrore sul mio volto.

≪Mu... mutaforma≫, mormorai.

Tra le fila nemica si diffuse un basso mormorio, sembravano sorpresi. Non me ne curai, perché alla paura sopraggiunse un nuovo sentimento: la rabbia.  I miei occhi fiammeggiarono d’odio mentre mi riprendevo e tiravo su col naso. Ero consapevole di aver perso il controllo sulle mie azioni, ma per una volta non me ne preoccupai, mi rifiutavo di ragionare razionalmente. Davanti a me riuscivo a vedere soltanto volti ostili. Forse è questo lo scopo della mia visione, pensai. Farmi scovare i nemici e ucciderli. Forse tutto il resto non aveva alcun significato. Avrei voluto poter emettere un ringhio, un avvertimento, simile al sibilo del vampiro. L’unica cosa che mi riuscì di fare era tremare per la rabbia. Strinsi i pugni e fissai l’uomo, il lupo dal pelo nero, che evidentemente era il capo.

E la rabbia aumentò.

Un vello color vermiglio ricoprì ogni superficie. Mi sentì invadere da una rabbia cieca. Simile a quella che un patriota deve provare nei confronti degli invasori della propria patria.  La foresta divenne una vittima collaterale della mia furia. Non prestai attenzione al caos che mi si creò intorno: polvere che si sollevava sospinta dal basso da una forza invisibile, alberi che tremavano, foglie che traballavano, cose che si polverizzavano... c’erano soltanto loro, i miei nemici, davanti ai miei occhi. L’incarnazione del lupo nero tirò la ragazza alle sue spalle, gli altri rimasero totalmente sorpresi e immobili, esattamente come i Cullen. Soltanto Carlisle mantenne la sua posa composta, sul suo volto la stessa espressione che avevo intravisto poco prima, appena entrato nella radura. Strinse i miei pugni tra le sue mani.

≪Bella, tesoro, calmati. Capisco che tu sia furiosa, ma loro non sono ciò che credi. Non sanno nulla di te, né della guerra in Europa≫.

≪Sono mutaforma, Carlisle, e stanno distruggendo la mia famiglia≫.

Il mio labbro inferiore tremò, i miei occhi si fecero lucidi.

≪Non loro; sono innocenti. Noi pensavamo che fossero estinti. E’ stata una sorpresa anche per me vedere quel lupo, oggi. Ti prego di credermi. Ricorda chi sei e non dimenticarlo mai, neanche quando sarai di fronte a veri nemici. Perché da questo si distingue una persona tra le altre, dal coraggio che ha di non odiare neanche chi gli fa del male. E’ tu sei la persona più coraggiosa che io conosca≫.

Lo guardai a lungo in quegli occhi dolci, pieni di saggezza e comprensione. Mi fidavo di Carlsile. Lentamente la mia rabbia si sciolse come neve al sole, intorno a noi tutto si calmò e io ripresi il controllo di me stessa. Carlisle mi sorrise. Tirai su col naso e guardai di fronte a me. E vidi quello che Carlisle aveva voluto mostrarmi: ragazzi innocenti, troppo cresciuti e immaturi nel loro stesso corpo.

Carlsile parlò, nel tentativo di calmare le acque.

≪Mi dispiace per l’increscioso equivoco. Vi chiedo di essere comprensivi≫.

≪Prima dovete dirci che cos’è la ragazza. Parlate, abbiamo diritto di sapere: sono le nostre terre≫.

Carlisle mi lanciò uno sguardo eloquente: la scelta era mia.

Annuì e feci un passo avanti.

≪Mi dispiace. Non si ripeterà più qualcosa di simile, è una promessa, mutaforma≫.

≪Cosa intendi quando ci chiami mutaforma?≫, chiese l’uomo.

≪E’ quello che siete≫, risposi confusa.

≪Ti sbagli≫, mi riprese il ragazzo che si trovava alla destra dell’uomo.

≪Cosa pensi di essere, allora?≫, gli chiesi, alzando un sopracciglio.

≪A parte Jacob Black≫, disse, con un sorriso ampio e sincero che mi sentì di ricambiare, ≪un licantropo, signorina: nati per combattere i vampiri≫, così dicendo lanciò uno sguardo alla famiglia alle mie spalle.

≪Non hai mai visto un film dell’orrore, Jacob Black? I licantropi hanno bisogno della luna piena e come vedi è pieno giorno≫.

Inoltre i Licantropi non possedevano la forma esatta di un lupo; erano bensì esseri amorfi, molto spesso li si trovava a due zampe, in posizione eretta simile a quella umana.

Rabbrividì al pensiero.

≪Cosa ti da tanta certezza?≫, chiese il capo.

≪Sono un’esperta del soprannaturale, perché anch’io appartengo alla categoria, come tutti voi≫.

≪Non sei un vampiro≫, constatò.

≪No, sono qualcosa di più. Per metà umana, ma immortale. Dotata dei poteri di cui tu, oggi, hai avuto soltanto un assaggio, mutaforma≫.

≪Chiamami Sem. Io riconosco quei poteri. Una nostra leggenda parla di uno di voi: i prescelti, se non erro≫.

 Sorrisi.

≪Le tue leggende sono veritiere e chiamami Bella≫.

I ragazzi guardarono Sam e poi me.

Nei loro occhi la consapevolezza.

Vidi Sam deglutire.

≪La tua razza è ciò che muove ogni cosa. Siete il fulcro del soprannaturale. L’equilibrio tra tutte le razze, siano esse nemiche o amiche≫.

Annuì e il silenzio calò su di noi. D’improvviso le nuvole lasciarono il posto a un cielo più sereno. Il passaggio fu repentino. Il sole si rifletté sulla pelle dei sette vampiri alle mie spalle. Sam si fece avanti, bloccando con un gesto della mano gli altri che volevano seguirlo e sciolse l’abbraccio della ragazza. Colmò la distanza che ci separava, ignorando la rigidità dei vampiri alle mie spalle e mi si parò davanti. Con un gesto molto naturale, guardandomi negli occhi, s’inginocchiò ai miei piedi. Il suo volto contratto tanta era la concentrazione e l’emozione. Il suo gesto mi lasciò interdetta e per un attimo ricordai le parole che un tempo aveva pronunciato Athenodora: ≪Nel mondo dei mortali esistono i re e le regine. Nel mondo degli immortali esistono i prescelti≫.

Senza distogliere gli occhi dal mio volto, disse: ≪Ti sono grato per avermi impedito di compiere un gesto tanto grave e miserabile, quest’oggi. Ti devo la vita e un giorno, riscatterò il mio debito≫.

≪Ehi, Emily, prima o poi Sam s’inginocchierà anche davanti a te≫, la solennità di quel momento, interrotta dalle battute dei giovani mutaforma, indifferenti al concetto di serietà.

≪Sì, aspetta e spera≫, commentò un altro di loro.

 Sam alzò gli occhi al cielo, mentre la ragazza, Emily, arrossiva.

≪Paul, Embry, siete due idioti≫, li rimbeccò, alzandosi da terra e lanciando loro un’altra occhiataccia. Mi sorrise e si voltò per lanciare loro uno sguardo truce. Quello che si chiamava Jacob e l’altro ragazzo di cui non conoscevo ancora il nome diedero due schiaffi sulla nuca a entrambi in contemporanea, facendomi sorridere.

≪Cerca di perdonarli, sono dei bambini≫, disse Sam.

Sorrisi.

Mai conosciuto ragazzi più strani di loro.

Il mutafroma si voltò in direzione di Carlisle.

≪Avete parlato di una guerra, in Europa e ho come l’impressione che tu sia profondamente coinvolta, perché?”, continuò, guardandomi negli occhi.

Adesso era calato di nuovo il silenzio nella radura.

≪Licantropi e mutaforma combattono per me. Per il mio potere≫.

≪E chi ti difende? Perché sei qui?≫.

≪Avresti dei pregiudizi, se te lo dicessi≫.

≪No, sarò imparziale. Te lo prometto≫.

≪La mia casa si trova in Italia. Fin ora ho sempre vissuto con dei vampiri la cua alimentazione è tradizionale, perciò diversa da quella dei Cullen. Eppure sono loro che oggi combattono per me. Rappresentano la casata reale dei vampiri, per così dire. I Volturi. La causa scatenante del tuo odio nei confronti di tutti i bevitori di sangue≫.

Così dicendo lo indicai, soffermandomi sulle sue mani tremanti e sulla sua posa rigida.

≪E tu credevi che noi fossimo alleati con questi... sovversivi≫.

Annuì.

≪Mi dispiace≫.

≪Non scusarti. Pensarlo era legittimo≫.

≪Grazie≫.

≪Allora noi andiamo≫, disse Carlisle.

Sam annuì.

≪Sono costretto a chiedervi di non trattenervi da queste parti, capirete≫.

Carlsile assentì con il capo.

≪Ricordiamo il patto≫.

≪Il petto?≫, chiesi.

≪A noi non è concesso entrare nelle loro terre e viceversa≫, mi spiegò Carlsile, bonario.

Sam annuì e mi guardò un’ultima volta prima di voltarsi e ritornare dalla sua Emily.

Quando arrivammo a casa tirai un sospiro di sollievo. Mi era mancata davvero tanto quel giorno.

≪Sei cosciente di essere nei guai, vero? Mi hai fatto stare così in ansia! Cosa ti è saltato in mente di arrivare fin laggiù≫.

Attesi che Esme finisse di sfogarsi, silenziosamente.

≪Cos’hai da dire?”, chiese infine.

≪Stavo pensando a... ero immersa nei miei pensieri e ho perso la cognizione del tempo≫.

≪Non mi sembra una valida scusa≫.

Carlisle tentò d’intercedere per me, mentre gli altri guardavano la scena divertiti.

Tutti erano divertiti tranne uno... Esme lanciò un’occhiataccia a suo marito che si zittì immediatamente.

Sorrisi.

≪Mi dispiace, Esme≫, le dissi.

≪Ricordi il sogno di cui ti ho parlato?≫.

Esme si zittì all’improvviso, persa nei propri pensieri.

Spalancò gli occhi quando la verità le si parò davanti.

Edward s’irrigidì.

Naturalmente aveva visto tutto nella mente di Esme.

≪Oh≫, disse, dopo alcuni minuti di silenzio.

≪Spiega anche a noi≫, brontolò Emmet.

≪Da un paio di notti facevo sempre lo stesso sogno: un bosco e cielo buio, tutto molto dettagliato. E alla fine un enorme lupo nero≫.

Rimasero tutti a bocca aperta, la prima a capire fu Alice, naturalmente.

≪Sei diventata una veggente?≫, chiese, raggiante.

≪Sinceramente non so dirtelo. Aro...≫, mi chiesi se qualcuno si fosse accorto della difficoltà con cui pronunciai quel nome, ≪mi ha spiegato che, con il tempo, avrei acquisito capacità premonitrici, ma non pensavo così presto. Perciò non l’avevo preso neanche in considerazione. Era un sogno troppo dettagliato, forse avrei dovuto capirlo≫.

≪Quindi è attraverso i sogni che hai le premonizioni≫, rimuginò Carlisle.

≪Non so neanche questo≫, sussurrai.

≪E’ stato strano arrivare in quella foresta e riconoscere che si trattava dello stesso luogo della mia visione. Era inquietante e bello al tempo stesso conoscere ciò che mi aspettava al di là della foresta. Continuavo a sperare di essermi sbagliata, ma una parte di me sapeva... Non sono come Alice. Non penso che basti concentrarsi per avere queste premonizioni. E’ ancora tutto troppo incerto≫.

≪Mi sembri turbata≫, constatò Jasper.

≪Chi non lo sarebbe≫, rispose Emmet alzando gli occhi al cielo.

≪In realtà mi turba non riuscire a capire cosa significano le visioni. Certo, ho visto Sam, ma non sapevo quale fosse il motivo, né cosa significasse. Adesso lo so: dovevo salvare Emily, ma...≫.

Alice mi si avvicinò e si sedette al mio fianco.

≪Bella, io vedo gli esiti degli eventi, ma non so come succeda ciò che prevedo. Sono gli altri, e in alcuni casi io stessa, a dover fare in modo che alcune cose avvengano. Mi crederesti se ti dicessi che io non credo nel destino? Più di chiunque altro ho chiara la percezione di come le cose avvengano perché siamo noi, con le nostre scelte quotidiane, a volerlo. Il futuro non è altro che un susseguirsi di causa-effetto o per dirlo con parole più semplici, l’insieme delle conseguenze logiche derivate dalle nostre azioni≫.

Sorrisi alla mia migliore amica.

≪Hai ragione≫.

≪E poi, dovresti essere contenta: sei molto più brava di me≫.

≪Io non penso≫.

≪Oh, sì. Ad esempio, io non posso vedere i Licantropi, ma tu ci riesci≫.

≪Cosa?≫, chiese Jasper, portandosi al fianco di Alice.

≪E’ così≫, rispose alla domanda di Jasper.

Poi si voltò nella mia direzione.

≪Quando i ragazzi sono rientrati e tu continuavi a non tornare, abbiamo deciso di venirti a cercare. Abbiamo intercettato la tua scia e quando siamo stati abbastanza vicini, Edward ha iniziato a farci la cronaca di quello che stava succedendo nella radura...≫.

Entrambe lanciammo uno sguardo al ragazzo, che per tutto il tempo era rimasto in silenzio.

Non si scompose, ma evitò d’incrociare il mio sguardo e quel suo rifiuto così categorico mi ferì come una pugnalata in pieno petto.

Chinai il capo.

Non potevo lamentarmi, in fondo, io per prima avevo iniziato ad evitarlo, senza alcuna spiegazione per giunta.

≪Ho tentato di vedere l’esito della situazione, girando intorno alla tua presenza, ma era tutto nero. Quando sei con noi o con gli umani è come se tu fossi invisibile, un buco nero che però non assorbe ciò che lo circonda, perciò riesco comunque a vedere il futuro delle persone che ti circondano. Con i licantropi è buio totale. Anche adesso, se provo a vederli, non ci riesco. Mentre per te non è stato un problema. Evidentemente sono costretta nella mia stessa natura...≫, rifletté in fine.

Annuì, mentre Alice s’imbronciava.

≪Odio essere cieca≫.

≪Io non mi preoccuperei, in fondo, dubito che li rivedremo ancora”, la rassicurai.

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Capitolo 12
*** Inaspettato ***


Buonasera! Ho deciso di postare il capitolo-bomba, questa sera. E' un pò lungo, ma non avrei mai potuto spezzarloXD E' stato interessante scriverlo, perché a tratti avrei voluto ridere e a tratti piangere. Ringrazio come sempre chi ha recensito lo scorso capitolo e chi mi ha aggiunto tra i prefetiti e i seguiti. Inoltre un grazie va a martina89 e a romina-cullen per avermi aggiunta tra gli autori preferiti, per me è un onore. Grazie infinite a tutti. Spero di ricevere le vostre opinioni, ho davvero bisogno di una conferma per questo capitolo. Credetemi, prima di postare, mentre rileggevo, ho iniziato a mangiarmi le unghie, cosa che odio! Perciò, se vi va, vi aspetto in molte. Spero che il cap vi piaccia e sia all'altezza delle vostre aspettative. L'unica cosa che posso dirvi prima di lasciarvi alla lettura è: ricordate la trama che vi ha incuriosito e vi ha portato a leggere il primo cap? Ecco, tenetela a mente<3 

10 Inaspettato   

Quel giorno l’esiguo corpo studentesco della Forks High School  era abbastanza agitato da far pensare chissà quale entusiasmo per una normale giornata scolastica, per di più di martedì mattina.

Non era difficile immaginare il perché.

Tutte le conversazioni di quel giorno convergevano su un unico argomento: il ballo di fine anno. I muri e le bacheche erano tappezzati di volantini, cartelloni con i più sgargianti colori come il giallo o il rosa e persino stelle filanti, nel tentativo - mal riuscito - di ravvivare l’ambiente, in modo tale da renderlo allegro e festoso. Era logico che ragazzi e ragazze umane fossero eccitati e inquieti per la fine delle lezioni e per la festa imminente. Mi sforzai per tutto il giorno di seguire gli entusiasti racconti di Jessica, ma l’unica cosa che riuscì a capire fu che il ballo si sarebbe tenuto in palestra quel venerdì: le ragazze avevano già fatto spese folli a Port Angeles. Fui felice di allontanarmi dagli sproloqui impazziti di Jessica; i riccioli frementi le rimbalzavano in testa ad ogni sobbalzo. Mike l’aveva invitata al ballo ed era felicissima, quasi prossima a “toccare il cielo con un dito”, per dirla con le sue parole. Mi obbligai a non alzare gli occhi al cielo. Angela, con mia soddisfazione, aveva accettato l’invito di Ben. E nonostante non potesse mettere un paio di tacchi come qualsiasi altra ragazza, visto il divario d’altezza, anche lei era al settimo cielo. Taylor avrebbe accompagnato quella spocchiosa di Loren Mallory. Ero stranamente lieta di esser fuori da tutto questo. Quel giorno, miracolosamente, nonostante il sole non splendesse luminoso in cielo, era una bella giornata. Non tanto da costringere me e i Cullen a rimanere nascosti in casa, ma sufficientemente perché si potesse pranzare sulle panchine all’aperto. Mi sedetti sul giubbino, visto che le panchine erano bagnate. La mia mente volò immediatamente altrove, a qualche minuto fa, per l’esattezza. Puntai lo sguardo sulla foresta e ricordai...

Mi ero avvicinata ai Cullen per la pausa pranzo, come al solito. Fu un attimo: passai di fianco ad Edward con una tranquillità che non avevo e una scossa di elettricità mi colpì come un scarica elettrica, potente diecimila volt e che mi lasciò ugualmente spossata, senza far male. Percorse la mia spina dorsale con arroganza e presunzione, irradiandosi nel mio corpo e sulla mia pelle sensibile, come energia pura. I miei occhi, avevano immediatamente fissato a Edward.

Dalla sua espressione avevo capito di non essere stata l’unica a rimanere sconvolta da quel contatto. Avevamo trascorso tanto di quel tempo, sempre di fianco l’una all’altro, allora perché proprio in quel momento? Cos’aveva scatenato quella reazione? Forse la distanza che da troppo tempo, ormai, c’imponevamo. Scossi la testa e alzai lo sguardo. Con sorpresa notai che anche Edward mi stava fissando. Da quanto tempo non incrociavamo i suoi occhi! Anche lui rifletteva su quel che era appena successo e si chiedeva il perché? A differenza mia, era arrivato ad una conclusione? Durante l’ora di biologia le cose non migliorarono. Nonostante fossi praticamente appiccicata al muro e lui sull’orlo della sedia, la stessa potente corrente elettrica c’investì. Era il desiderio irrazionale, pulsante di toccarlo. Com’era stato facile un tempo! Conservavo ancora il ricordo della consistenza morbida e fredda della sua pelle sotto i mie polpastrelli e il palmo della mia mano. Quando l’ora finì Edward mi lanciò un sorriso tirato e stanco e si dileguò in un baleno. Fuori dall’aula, diretta a educazione fisica, tentai di regolarizzare il mio respiro e posai una mano sul mio cuore che batteva frenetico.

Jessica, per una volta distante dall’argomento “ballo di fine anno” mi affiancò, le sopracciglia corrugate.

≪Tu e Edward avete litigato?≫, chiese.

≪No, perché≫, risposi, curiosa del fatto che non provasse alcun pudore nel non farsi gli affari propri.

≪E solo che siete stati strani per tutta l’ora≫.

≪Oh≫, fu la mia brillante risposta.

L’ora di educazione fisica trascorse tanto in fretta, per una volta, che non mi accorsi del tempo che passava, fino a quando il suono ronzante dell’ultima campanella non si diffuse nell’edificio.

All’uscita seguì Mike docilmente, più che mai desiderosa di raggiungere la Volvo e ritornare a casa. Capì che eravamo ormai fuori dalla scuola soltanto dal vento freddo che mi picchiò in volto e che scompigliò i miei capelli. Guardai alla Volvo e notai che Edward rimaneva posato allo sportello dell’auto, le braccia incrociate e la mascella tesa, guardava insistentemente nella mia direzione. Immersa nello sguardo limpido e profondo di Edward un ruggito sordo, cupo mi fece sussultare. Il ringhio feroce balbettò e si spense, come se provenisse dal motore di un’auto. Edward scostò il suo sguardo dal mio volto, quasi con riluttanza e osservò inferocito qualcosa alla mia destra.  Mi voltai, curiosa di qualsiasi cosa avesse catturato la sua attenzione e lo vidi.

Tutti gli occhi erano fissi su quello stesso punto.

Nel bel mezzo del cortile una moto nera e scintillante, lo stesso mezzo che aveva prodotto quel ruggito tonante, era pigramente poggiata su un cavallino color argento. Ma ciò che catturò la mia attenzione e quella della maggior parte dei presenti non fu la moto. Teneva un braccio sul manubrio, l’altro dritto lungo il suo fianco e la mano nella tasca dei jeans logori. I muscoli flettevano sotto la leggera maglietta bianca che indossava e i bicipiti facevano buon sfoggio di se stessi.  La pelle dorata, gli occhi neri e i capelli corti e scuri, sul volto un’espressione tesa e all’apparenza ostile. Riconobbi la sua forza di volontà ancor prima del suo volto, troppo simile a quello dei suoi compagni.

Jacob Black, le narici dilatate, storceva il naso come davanti ad un odore disgustoso e fissava con concentrazione il volto di Edward. I due si lanciarono sguardi fulminanti da un capo all’altro del parcheggio. Con un movimento sprezzante del capo Jacob scostò velocemente lo sguardo, in cera. Fu in quel momento che notò la mia presenza, immobile sui gradini della porta principale. Si aprì in un sorriso smagliante, i denti bianchi contrastavano curiosamente con la pelle ramata, e mosse i primi passi nella mia direzione, senza distogliere lo sguardo dal mio volto. Non prestai alcuna attenzione agli occhi spalancati di Mike puntati sul mio viso: mi concentrai sul suo incedere elegante, nonostante la stazza. Jacob aveva una presenza interessante e una volontà molto forte. Capì solo in quel momento, che era più forte persino di quella di Sam.

Mi scoprì a sorridere a quello strano ragazzo, senza una ragione precisa.

Jacob ricambiò il mio sorriso con uno altrettanto spontaneo e autentico e con poche falcate delle sue lunghe gambe mi fu di fronte. Nessuno dei due badò a Edward che, in guardia, osservava la scena lanciando occhiate truci al giovane mutaforma.

≪Jacob Black≫, mormorai.

Jacob sorrise e con nonchalance afferrò la mia mano destra, stringendola nella sua, incredibilmente calda.  I suoi occhi neri brillarono per un istante, osservando il mio volto quasi con devozione, come si trovasse davanti a un autorità importantissima o a una divinità. Con riverenza chinò il capo e le sue labbra sfiorarono leggere il dorso della mia mano, in un gesto gentile, benché non più in uso nei tempi correnti. Rimasi scioccata da quel gesto, come lo ero stata di fronte alla solennità dell’inchinò di Sam. Mi guardai intorno, imbarazzata da tutti gli sguardi che fissavano la scena.  Mi accorsi in quel momento, posando ancora il mio sguardo sulla Volvo grigio metallizzata, che gli altri si erano uniti a Edward. Rimasi sorpresa vedendo la sua espressione furiosa. La mascella era tesa, il corpo proteso in avanti, gli occhi neri fiammeggiavano, bucando la schiena di Jacob. Potevo vedere i tendini in tensione sul suo avambraccio, non coperto dalla leggera maglietta nera che indossava. Emmet posava una mano sulla sua spalla, sussurrando parole che non riuscivo a sentire al suo orecchio. Jasper osservava la scena, rigido in volto e nella postura. Incrociai ancora gli occhi di Edward e, chissà perché, sentì le guance avvampare d’imbarazzo. Chinai il capo, dirottando la mia attenzione su Jacob, le cui labbra avevano appena abbandonato la mia pelle. Sorrise ancora, notando i segni dell’imbarazzo sul mio volto.

≪Davvero un’entrata d’effetto≫, commentai balbettando appena le parole.

La risata di Jacob era un suono rassicurante.

≪Ci contavo. Comunque, sono qui in qualità di portavoce del branco≫.

Reclinai il capo di lato, sempre più confusa.

≪Devo chiederti, anche in ginocchio se necessario...≫.

≪No, ti prego, non inginocchiarti≫, lo pregai, con voce isterica.

≪Non lo faccio solo se tu accetti il nostro invito≫.

≪Dipende da cosa si tratta≫, risposi, provvedendo a mettere le mani avanti.

≪Non è nulla di speciale. Soltanto una festa tra amici≫.

≪Nelle vostre terre?≫, chiesi.

≪Sì≫, rispose.

≪Ma ai Cullen non è concesso entrare nelle vostre terre≫.

Jacob s’incupì.

≪Be’, ma tu non sei esattamente un membro del clan Cullen, mi sbaglio? A te è permesso entrare nelle nostre terre. Sei la benvenuta≫, sorrisi a quel ragazzino troppo cresciuto.

≪Grazie per la concessione≫.

≪Allora?≫, chiese, sfoderando un’espressione supplichevole.

≪Mi prenderò la responsabilità di riaccompagnarti dovunque tu voglia, persino alla tana dei succhiasangue≫.

Gli lanciai un’occhiata truce e lo dribblai, allontanandomi.

≪Ok, scusa. Ti riaccompagnerò a casa Cullen≫, disse seguendomi.

Guardai prima lui, poi la moto.

Jacob sfoderò una risata tuonante e si avvicinò al mezzo. Prese un casco e me lo porse.

≪Avanti, non sarai una fifona≫.

Punta in viso dalla sua provocazione afferrai il casco e lo rigirai tra le mie mani. Jacob mi abbagliò con un sorriso a trentadue denti ed entrambi i nostri sguardi corsero ai Cullen.

 Notai immediatamente l’assenza di Edward e Jasper.

Mi rabbuiai e mi sentì invadere da una strana sensazione cui non riuscivo a dare un nome. I miei occhi indagatori incrociarono lo sguardo di Alice. La mia migliore amica lanciò un’occhiata eloquente a Jacob. Si guardarono a lungo, poi, Alice annuì: un cenno d’assenso. Mi voltai in direzione di Jacob che era salito in sella alla moto, togliendo l’appoggio che la sorreggeva con un tocco del piede.

≪Avanti Bella, sei sotto la mia protezione. Fidata di me≫, con un sorriso sincero in volto mi porse la mano grande e calda.

Non più riluttante presi posto sulla moto, alle sue spalle e mi aggrappai al suo petto duro e caldo, affondando il volto nella sua schiena. Mentre la moto sfrecciava sul suolo di cemento incrociai un paio di occhi neri, profondi, familiari. Socchiusi le labbra e spalancai gli occhi, conscia del dolore che li animava.   

Aggrappata con una morsa stritolatrice delle braccia alla schiena di un mutaforma, capì per la prima volta che la libertà si presentava spesso sotto diverse forme. Dovevo ammettere che, diversamente da quando avessi sempre pensato, la fortuna non mi era totalmente indifferente. Non tutti avevano avuto la mia stessa fortuna. A molti non era permesso vivere neanche quei pochi mesi di libertà – dalla propria vita e dalle proprie condizioni - che a me erano stati generosamente concessi. L’aria fredda che premeva pesantemente sul mio volto, il vento che scompigliava i miei capelli, la strada che scivolava, silenziosa, sotto le ruote del nostro mezzo e il calore del corpo di Jacob che mi proteggeva dal freddo: la mia mente era completamente svuotata di qualsiasi tipo di pensiero che non riguardasse l’adrenalina nelle mie vene e la gioia, fanciullesca e immatura. Una risata spontanea uscì dalle mie labbra: sprizzavo ebra di gioia.

≪Spero che tu non stia ridendo della mia guida≫, disse Jacob, sopra il rumore del vento e delle ruote.

≪Rido perché sono felice. E’ una sensazione... bellissima. E’ bello avere la mente libera da ogni pensiero, una volta ogni tanto≫.

≪Non sei mai stata in moto?≫.

≪Neanche per sogno≫.

≪Troppa fifa?≫.

≪No, certo che no. E’ solo che, dove vivevo io non c’era molto spazio per un divertimento come questo. Sono stata prigioniera in una bolla di cristallo per tanto tempo, prima di venire ad abitare con i Cullen≫, la mia voce si fece più debole, fino a svanire nel rumore del vento.

Affondai il volto nella schiena di Jacob colta da un improvviso moto di tristezza.

D’un tratto mi sentì più in alto del dovuto: la moto aveva impennato bruscamente, mantenendosi pericolosamente sulla semplice ruota posteriore.

Jacob esultò di gioia mentre io mi stringevo a lui, terrorizzata.

≪Rischiamo di ammazzarci, Jacob≫.

≪Hai detto di aver sempre vissuto in una lucida bolla di cristallo, Bella. Ora, questo lupo di provincia ti insegnerà un po’ di cose. Numero uno: la vita è fatta per essere vissuta. Devi imparare a cogliere le opportunità che ti vengono concesse, signorina. Quanti anni hai, diciassette? Diciotto? Bene. A volte, chi appartiene al mondo soprannaturale come noi, tende a dimenticare i problemi normali della gente normale. Persone che, ti assicuro, preferirebbero la tua vita alla loro. Io ho perso mia madre quando avevo sei anni, eppure, ancora oggi, la considero la più grande tragedia della mia vita, nonostante tutto il resto. Numero due: lascia libera, almeno per una volta, la bimba monella che amava gli scherzi e il solletico, che sono certo non stia aspettando altro che un compagno di giochi. Numero tre: per crescere bisogna prima essere stati bambini. Lasciati andare all’età che hai, Bella. Trova la bimba, il compagno di giochi è arrivato≫.

Le parole di Jacob mi trapassarono da parte a parte con una violenza inaudita, perché erano la pura verità.

Non avevo vissuto un’infanzia, né un’adolescenza normale. Non mi ero mai lasciata andare a gesti stupidi o immaturi, solo per il semplice gusto di provare a uscire dagli schemi. Avevo perso troppe occasioni, che probabilmente, se avessi avute, non avrei neanche preso in considerazione.

≪Fammi vedere di cosa sei capace≫, sussurrai all’orecchio di Jacob, volendolo provocare.

Il ragazzo capì e si aprì in un grande e jacobico sorriso, così avrei definito, d’ora in poi, la gioia che gli illuminava il volto ogni qual volta mostrasse la splendida e perfetta dentatura bianca.

Ben presto la paura per le esibizioni pazze di Jacob lasciò il sopravvento all’adrenalina e al divertimento di chi fa una cosa stupida senza curarsi di giustificare le proprie azioni. Mi unì allo sghignazzare rauco e fanciullesco del mio compagno di giochi, che risuonava lungo la strada deserta.

Quando la moto si fermò eravamo ancora in visibilio.

Mi sentivo carica di energia.

Io e Jacob continuammo a ridere, non perché ci fosse qualcosa di divertente, ma  semplicemente per non dimenticare il gusto e il suono delle nostre risate, perché contenere in corpo tutta quella felicità era un tentativo vano persino per noi, creature di un altro mondo.

Il nostro cammino ci portò di fronte ad una piccola abitazione dall’aspetto accogliente. Non mi aspettavo nient’altro: quel luogo sembrava essere stato costruito su misura per Jacob.

≪Dove siamo?≫, chiesi a Jacob.

≪Ho bisogno di mettermi qualcosa di più comodo, perciò benvenuta a casa Black≫, annunciò solennemente.

 La sua espressione mi fece sorridere.

≪Senza offesa, ma dubito che qui dentro possa entrarci un qualsiasi tipo di festa≫, dissi, nel tentativo di provocare una sua reazione.

≪Ah. Ah. Certo, non è una villa, ma è casa. Se non è alla vostra altezza, sua maestà≫.

Jacob s’inchinò teatralmente.

Stetti al gioco e osservai la casa con sguardo critico, mimando gli atteggiamenti di una vecchia nobildonna.

≪Devo dire, messer che il vostro alloggio è davvero minuscolo, in effetti≫.

 Jacob rise in modo talmente rumoroso che una fanfara trillò spaventosa, lasciando l’albero su cui aveva fatto il nido.

≪Non ti facevo così snob≫, mi prese in giro lui.

Finsi un’arrabbiatura che non avrei mai potuto avere, non con Jacob.

≪Ehi, io non sono una snob≫.

≪Ah, no. Uhm≫, rimuginò Jacob, guardandosi intorno per poi illuminarsi.

≪Dimostrami che mi sbaglio. Getta le tue belle scarpe firmate nella foresta: il terreno è pieno di fango laggiù≫.

Guardai dove Jacob m’indicava.

≪Tutto qui?≫, chiesi sprezzante.

Jacob annuì.

≪L’unica cosa che mi preoccupa e che poi dovrò camminare scalza, ma mi piace stare a piedi nudi≫.

≪Non preoccuparti, te ne presto un paio di mia sorella≫, mi rassicurò Jacob con un sorriso.

Tirai su col naso e gettai le mie belle scarpe al di là degli alberi, con assoluta noncuranza. Se Alice mi avesse visto, certamente avrei dovuto pagarla molto cara. Ringrazia il cielo per il fatto che non fosse in grado di vedere i mutaforma.

Jacob scoppiò in un applauso.

Mi voltai nella sua direzione.

≪Rimangio ogni parola. Non sei una snob, affatto≫.

≪Bene≫, acconsentì illuminandomi.

Io e Jacob ci avvicinammo alla casa deserta. Era accogliente come l’avevo immaginata.

≪Casa, dolce casa≫, sussurrò Jacob.

≪E’ bella; mi piace≫, dissi, guardandomi intorno.

≪Ci vivi da solo≫, chiesi, posando il mio sguardo sul suo volto.

≪Vivo con mio padre. Lo conoscerai più tardi, è in gamba il vecchio≫.

Annuì e sorrisi.

≪Hai anche una sorella?≫.

≪Due, in realtà. Rachel e Rebecca. Rachel ha ricevuto una borsa di studio per l’università di Washington State, mentre Rebecca vive alle Hawaii, inevitabile quando sposi un surfista. Vengono raramente per vedere me e mio padre≫.

≪Sanno ciò che sei?≫, gli chiesi mentre lo seguivo lungo un corridoi breve e stretto:Jacob ci passava a malapena.

≪No, perciò è un bene che io non le veda quasi mai. Sto già pensando a come comportarmi con loro quando verranno, sarà difficile mentirgli. Almeno potrò stare tranquillo fino alla prossima estate. Non muoiono dalla voglia di venire a La Push da quando è morta nostra madre≫.

≪Ah≫, sussurrai.

≪Mi dispiace≫.

≪Loro erano più grandi di me quando è successo, perciò hanno sofferto di più≫.

 Jacob si fermò davanti a un piccolo e basso armadio e si chinò in cerca di qualcosa, forse le mie scarpe. Poteva fare con calma, non gli avevo mentito dicendogli che amavo camminare a piedi scalzi.

≪Io credo che l’età sia poco importante, in realtà. Le opinioni, come anche le credenze personali, possono mutare a qualsiasi stadio della vita umana. Soltanto perché un uomo ha vissuto tanto o troppo poco non significa che non abbia fatto tesoro delle cose apprese e non possa perciò cambiare. L’uomo è fatto per cambiare, sia esso umano, vampiro o per metà animale. Lascia che anche io ti insegni qualcosa, giovane lupo, per ricambiare la tua cortesia. Quando ami qualcuno, di un affetto estremo ed incondizionato, poco importa il tempo che ci hai trascorso insieme, il dolore per la sua perdita non cambia da una persona all’altra. Tanto è vero che siamo in grado di soffrire anche per chi non abbiamo mai conosciuto. Anche se ciò, naturalmente non deve impedirci di continuare a vive, facendo tesoro persino di quella sofferenze, perché a volte è proprio il dolore per la sua perdita, il ricordo più grande che conserviamo di una persona scomparsa. Più grande è il dolore, più grande era il nostro affetto≫.

≪Forse ho sbagliato a consigliarti di tirar fuori la bimba che è in te, sei troppo saggia per fingere di avere l’età che hai≫.

L’improvviso silenzio fu spezzato dalla battuta di Jacob, che fece tornare il sorriso ad entrambi.

≪Dimmi qualcosa di te≫, chiese all’improvviso.

≪Cosa vuoi sapere≫, sussurrai.

≪Ad esempio, come mai vivi con dei vampiri in Italia. Come hai detto che si chiamavano... i Volturi≫.

Raccontai a Jacob il modo in cui i Volturi mi avevano trovata, accolta e protetta.  

≪Prima che tu me lo chieda, no, non so chi mi abbia messa in quell’orfanotrofio. Forse i miei genitori. Non li ho mai conosciuti≫.

≪Devo dire che sei decisamente più incasinata di me, in quanto ad affetti familiari≫.

≪Forse≫, sorrisi.

≪Hai mai conosciuto altri, come te?≫.

≪No, io sono l’ultima della mia razza. Per questo vogliono tutti me≫.

≪Deve essere orribile≫.

≪Neanche lo immagini≫, sussurrai.

≪Ecco≫, esordì Jacob, passandomi un paio di semplici scarpe da ginnastica femminili.

≪Grazie≫.

≪Vado a cambiarmi di là. I vestiti sono un peso quando sei un mutaforma e perciò costantemente pronto a trasformarti. Ho portato mio padre sul lastrico, dovendo rimpiazzare sempre le cose che distruggevo≫.

 Jacob sorrise e si ritirò in una piccola stanza, che doveva essere la sua camera, per cambiarsi. Presi posto sul sofà a due posti, tanto piccolo da sembrare una poltrona, di fianco alla sua stanza, per indossare le scarpe ormai consumate dall’uso.

≪Com’è successo Jacob, la tua prima trasformazione intendo?≫, chiesi.

Non potendolo vedere pensai che Jacob non mi avesse sentito, ma dopo un po’ rispose, con voce atona.

≪Mi sono trasformato qualche mese fa. Sono stato l’ultimo dei miei fratelli a subire la trasformazione. E’ a causa della presenza dei Cullen, sai? I vampiri risvegliano in noi l’istinto e, bham, succede. Se non se ne andranno presto, potrebbe accadere anche ad altri≫.

Pronunciò le ultime parole con voce tutt’altro che distaccata. Capì che non riservava a nessun’altro il suo stesso destino.

≪E’ bastato soltanto che mio padre mi dicesse che avevo una faccia strana e sono scoppiato, letteralmente. Ho fatto a brandelli i vestiti e Jacob non c’era più. Ho rischiato di ferire persino lui. E’ stato orribile≫.

Jacob fece una pausa, poi continuò: ≪Però c’erano le voci nella mia testa, sai com’è, riusciamo a leggerci nel pensiero quando siamo lupi, è un po’ fastidioso, ma utile in battaglia≫.

Le sue parole mi riportarono inevitabilmente alla mente gli occhi di Edward, quel dolore fin troppo palese perché io potessi ignorarlo o sperare di aver frainteso. Sentì un’acuta fitta al cuore e fui contenta che Jacob non potesse vedermi, in quel momento. Il mio leggi-pensieri! Sorrisi al nomignolo che gli avevo dato qualche tempo prima.

≪Mi spiegarono quello che stava succedendo ed io capì≫.

Ritornai con la mente alla storia di Jacob, per non cedere a pensieri tutt’altro che rassicuranti.

≪E’ stata un sorpresa scoprire che in realtà non siamo Licantropi≫, aggiunse poi.

≪In effetti, la scelta del lupo è casuale. Avreste potuto essere qualsiasi altra cosa≫, dissi alzandomi dal divano.

Presi a camminare per la stanza e, senza volerlo, mi avvicinai alla porta della camera di Jacob che lui non si era affatto curato di chiudere. Il mio sguardo si posò inevitabilmente sull’interno della camera. Era davvero minuscola. Mi chiesi come Jacob potesse entrarci. Il mio sguardo, per metà di un rosso brillante, incrociò per un istante la figura di Jacob. Indossava jeans lunghi fino alle ginocchio e si stava sfilando la maglia bianca che mal celava il suo fisico pazzesco.

≪Scusa≫, sussurrai con sveltezza, arrossendo.

Mi voltai per posarmi alla parete, ancora scossa da quel momentaneo istante d’imbarazzo. Sentì Jacob ridacchiare. Quando uscì dalla stanza tentai di non badare al fatto che fosse mezzo nudo, dopo tutto aveva specificato chiaramente che i vestiti erano un fastidio per loro. Jacob mi accompagnò fuori e fui felice di avere dello spazio da poter frapporre fra me e un Jacob mezzo nudo.

≪Begl’occhi≫, commentò all’improvviso.

Alzai lo sguardo sul suo volto e Jacob fissò i suoi occhi scuri nei miei, attirato dallo strano contrasto che il cioccolato creava col rosso.

≪Come...≫, balbettò, indicando i propri occhi scuri.

Sorrisi.

≪Succede quando mi trovo in un posto nuovo e ho qualcosa da analizzare≫.

Sorrise di qualcosa che non ero riuscita a cogliere.

≪Sai, non sappiamo proprio tutto della tua specie, soltanto dettagli. Scommetto che gli altri ti bombarderanno di domande, perciò...≫.

≪A proposito degli altri, posso sapere dove stiamo andando e cos’è questa misteriosa festa≫.

≪In realtà volevamo che tu ascoltassi la leggenda che parla di voi≫.

Annuì e una domanda mi balenò in mente.

≪Come facevi a sapere dove trovarmi, oggi?≫.

≪Forks non è il massimo della riservatezza. Mi è bastato chiedere di una bella ragazza bruna dalla pelle chiara e con gli occhi color cioccolato≫.

Arrossì e chinai il capo, lusingata dal suo velato complimento. Sorrisi, passandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Quando alzai il volto, la prima cosa che notai fu il sorriso di Jacob, poi la mia attenzione fu catturata da un rumore sconosciuto e al tempo stesso familiare. Non avevo mai sentito quel suono con le mie orecchie, ma lo avevo immaginato tante volte: il rumore delle onde del mare. Voltai di scatto la testa e lo vidi. Bellissimo, di un blu sgargiante e sorprendente, il mare giaceva agitato a pochi metri di distanza da noi.

≪Ti piace≫, chiese Jacob in un sussurro.

≪E’ bellissimo, non ho mai visto il mare prima d’ora ma non me lo aspettavo così... immenso≫.

≪E’ impossibile che tu non abbia mai visto il mare, a questo non credo≫, ridacchiò Jacob.

≪Lo so, ma è vivendo con i Cullen che, per la prima volta, sono uscita nel mondo esterno. Ho sempre vissuto a Palazzo Vecchio. Non scherzavo quando dicevo di vivere in una bolla di cristallo, in Italia≫.

Jacob rimase a bocca aperta, poi si fece pensieroso e mi prese per mano, trascinandomi con se.

≪Dove andiamo?≫, chiesi.

≪In spiaggia. Devi vedere il mare più da vicino≫.

Lo seguì ben volentieri, ricambiando il suo sorriso smagliante. Quando fummo sulla spiaggia, su consiglio di Jacob tolsi le scarpe e lascia che i piedi affondassero morbidamente nella sabbia, facendomi catturare dall’acqua quando questa arrivava fin sulla riva. Jacob rideva della mia espressione sorpresa, come quella di una bambina che vede davvero il mare per la prima volta, il ché non era poi molto lontano dalla verità.

Era difficile non lasciarsi andare a un “oh”, di pura meraviglia. D’un tratto sentì le braccia forti e calde di Jacob sollevarmi, senza alcuna traccia di esitazione mi mise sulla sua spalla, mentre io battevo con forza i pugni sulla sua schiena e lo intimavo di lasciarmi scendere: ero fin  troppo consapevole delle sue intenzioni.

≪Non ti azzardare a buttarmi in mare, so essere vendicativa≫, lo minacciai.

Jacob mi rispose con un ghigno sprezzante e mi trascino nell’acqua, che lo lambiva fino alle ginocchia.

≪Lasciami≫, urlai.

≪Vuoi davvero che ti lasci?≫, chiese.

≪No, non farlo≫.

≪Hai paura di sporcarti i vestiti, allora sei davvero una piccola snob≫.

Sbuffai e chiusi gli occhi, pronta al tuffo. Jacob rise e io mi sentì cadere. Sorprendentemente non finì in acqua. Sotto la mia schiena sentivo qualcosa di solido e morbido al tempo stesso: la sabbia. Spalanca gli occhi, furiosa. Jacob si stava letteralmente sbellicando dalle risate, tenendosi la pancia.

≪Ah, ah≫, lo rimbeccai. ≪Divertente≫.

≪Avresti dovuto vedere la tua espressione≫, balbetto tra le risate.

Sorrisi di sbieco, maliziosamente e mi avvicinai al ragazzo. Jacob alzò un sopracciglio, guardandomi in modo interrogativo.

≪Cosa vuoi fare?≫, chiese.

Sorrisi ancora e scatenai su di lui la potenza devastante della mia volontà, costringendolo ad arretrare verso l’acqua.

≪Non provarci≫, mormorò, conscio della direzione in cui le mie azioni lo avrebbero condotto.

Nonostante sapesse cosa stava succedendo, non riusciva ad opporsi. Lo spinsi verso l’acqua, senza neanche sfiorarlo con un dito e lo vidi cadere all’indietro, per poi rialzarsi, bagnato come un pulcino. Scosse la testa, facendo gocciolare i capelli corti e bagnati, come fosse un cane e la mia risata risuonò fragorosa nel silenzio. Mi allontanai per lasciare libero Jacob di uscire dall’acqua. Si scrollò ancora, come se avesse davvero il pelo, bagnandomi tutta.

≪Wow≫, disse.

≪Io, cioè noi abbiamo sentito la potenza del tuo potere attraverso i pensieri di Sam, ma non pensavo che fosse così forte. Mentre lo costringevi a rimanere bloccato attera come se fosse sopraffatto da un ordine alfa, persino noi eravamo più lenti nei movimenti e abbiamo impiegato di più a raggiungervi. Wow≫.

Sorrisi.

≪Ricordami di non farti arrabbiare mai≫, sussurrò.

≪Scusami≫, dissi, ancora divertita.

≪Spero che tu non ti prenda una polmonite, se vuoi possiamo tornare indietro a cambiarti≫.

≪Così avrai ancora la scusa per guardare i miei muscoli, come no≫.

≪Certo, certo≫, dissi.

≪Comunque, non prenderò una polmonite. La mia temperature media e di quarantadue caldi gradi≫.

Continuammo a ridacchiare, camminando per raggiungere la festa che, scoprì, essere sulla spiaggia. Passare del tempo con Jacob era come ritornare ad avere quindici, sedici anni. Era il mio amico giovane e immaturo, nel mondo esterno. Poteva quasi rappresentare la mia adolescenza rubata. Quel periodo della vita in cui essere sciocchi e immaturi, problematici e lagnosi era giustificabile. Pian piano ci avvicinammo a una pineta, di fianco alla scogliera e finalmente, dopo diversi minuti, Jacob esordì con un: ≪Siamo arrivati≫.

Sentì le loro risate ancor prima di qualsiasi altra cosa. Distinguevo chiaramente le voci maschili dei giovani mutaforma. A loro rispondevano, dolci e gentili, voci femminili. E infine, il suono sconosciuto di voci roche, virili, possenti. La prima cosa che vidi fu un giovane ragazzo, smilzo, ma molto simile a Jacob e a ognuno degli altri mutaforma presenti lì quel giorno. Si azzuffava giocosamente con un altro dei ragazzi, più alto e grosso di lui, Paul, se non ricordavo male. Tutti i presenti osservavano la scena divertiti, mentre io e Jacob ci avvicinavamo alla cerchia di amici. Il primo a notarci e venirci incontro fu Sam, seguito dalla sua Emily, che aveva posato su un tavolo un vassoi stracolmo di panini. Il cibo, indifeso, fu preso d’assalto dai ragazzi. Si guardarono negli occhi per un istante, sciabolando lo sguardo primo su uno, poi sull’altro compagno, prima di fiondarsi all’unisono sul cibo. Io e Jacob sghignazzammo.

≪Bella≫, dissero Sam ed Emily all’unisono.

≪Benvenuta≫, esordì Emily, attirandomi a se per un abbraccio.

≪E’così bello che tu sia qui≫.

≪Già≫, acconsentì.

Sam mi guardò negli occhi, un sorriso sul suo volto.

≪E’ un piacere averti qui, Bella≫.

≪E’ un piacere per me essere qui≫.

Emily mi prese per mano, sorridendomi come se fossimo vecchie amiche.

≪Andiamo, devi conoscere anche gli altri≫.

 Sorrisi a quella gentile ragazza, mentre avvertivo il cambiamento repentino della mia vista. Non fece alcun commento sul rosso vivo del mio occhio destro, neanche un sussulto, continuava a sorridere. Sam e Jacob ci seguivano a pochi passi di distanza. Appena fummo anche noi inclusi nella cerchia di amici, uno dei ragazzi, la bocca ancora piena dei panini che stava divorando insieme ai suoi fratelli, mi parlò.

≪Ehi, alla fine sei venuta. Il nostro Jacob ti ha convinto con le sue armi di persuasione≫.

Jacob si avvicinò al ragazzo, Embry, con uno scatto delle sue gambe lunghe, sedendosi al suo fianco. A sorpresa prese la sua testa sottobraccio, in una morsa da cui il ragazzo non riuscì a sottrarsi e gli fregò uno dei panini che teneva in grembo.

≪Porta rispetto≫, lo ammonì con un sorriso, divorando il panino in un sol boccone.

Naturalmente questo diede vita ad una piccola zuffa.

Io ed Emily ridemmo all’unisono.

≪Embry ha ragione, pensavamo che i succhiasangue ti tenessero prigioniera≫, disse Paul.

Non presi le sue parole come una provocazione, quei ragazzi erano semplicemente sinceri: dicevano tutto quello che gli passava per la mente, senza preoccuparsene troppo.

Sorrisi.

Emily diedi uno scappellotto affettuoso al ragazzo: ≪Non si parla con la bocca piena≫.

Paul ingoiò rumorosamente e disse: ≪Scusa, Emily≫.

Divertita da quella scena tanto semplice nella sua quotidianità, quanto strana visto il contesto, non mi accorsi immediatamente della presenza di fronte a me.

≪Bella≫, disse Emily, ≪vorrei presentarti Billy Black, padre di Jacob, nonché anziano della nostra tribù≫.

Lanciai un veloce sguardo a Jacob, che, ancora intento a masticare un hot dog fatto in casa, osserva la scena, concentrato sulle espressioni del mio volto. Con un sorriso sincero in volto afferrai la mano dell’uomo, senza mostrare la mia sorpresa. Il padre di Jacob non era come me lo aspettavo. Innanzitutto non avevo messo in considerazione che potesse essere sulla sedia a rotelle. Forse perché, nonostante conoscessi Jacob da poco tempo, ero certa che fosse uno ti quei tipi che non riusciva proprio a stare seduto e immobile per non più di qualche secondo. E andava da se che il padre dovesse essere simile a lui caratterialmente, almeno un po’, benché le sue condizioni non fossero certo dipese da lui. Il volto rugoso di Billy Black era amichevole, c’era anche qualcosa di dolce in quegli occhi scuri. Eppure, una parte di lui, che potevo chiaramente vedere mentre mi fissava negli occhi, nascondeva la forza del lupo, anche se, immaginavo, scrutando attentamente la sua volontà, troppo diversa da quelle del resto dei mutaforma, che la magia non avesse toccato la sua generazione. Gli occhi scuri di Billy Black brillarono per pochi istanti, come se stesse tentando di contenere la sua devozione. Non ero mai stata trattata con tanta riverenza, neanche dai Volturi.

≪La bellezza della tua specie non è soltanto una leggenda. Ammiro l’ultima dei prescelti, perché tra tutte le creature lei è la più bella≫.

Sorrisi apertamente, imbarazzata del suo stesso imbarazzo.

≪Grazie≫, sussurrai.

≪E’ la verità≫, disse con nonchalance e un sorriso amichevole sul volto.

Adesso, nel suo modo di fare, riconoscevo il giovane Jacob. Billy Black mi fece segno di precederlo e girò la sedia a rotelle con un movimento esperto e automatico.

≪E’ davvero un onore averti qui con noi. I ragazzi mi hanno parlato di te, di ciò che hai fatto, di ciò che sei. E non sono l’unico a desiderare di fare la tua conoscenza≫.

Billy si fermò davanti a un manipolo di persone: tre uomini e una donna adulti.

≪Bella, loro sono Herry e Sue Cleawother. E il giovane Quil Athera≫.

Il signor Athera rise con voce arrochita dagli anni.

≪La gioventù è andata da tempo, amico mio≫.

≪Ah, sciocchezze≫, lo rimbeccò Billy.

Il vecchio Quil Athera posò su di me il suo sguardo carico di quella saggezza che solo gli anni e la conoscenza possono dare e mi sorrise, sollevando le piccolo rughe intorno alla sua bocca.

≪Tu devi essere l’ultima. E’ un onore conoscerti. Troppi anni sono trascorsi dall’ultima volta in cui un prescelto ha messo piede nelle nostre terre. Sei un miracolo, ragazza≫.

≪E’ un piacere conoscerla signor Athera≫.

≪Siamo lieti che tu ti sia unita a noi≫, esordì una voce femminile.

Mi voltai in direzione dei coniugi Cleawother.

≪Ti siamo debitori per aver aiutato la nostra Emily e il nostro Sam≫.

≪Ero soltanto nel posto giusto al momento giusto≫.

≪Mia cara, di un prescelto non si può dire semplicemente che si trovasse al posto giusto nel momento giusto. Ciò che fate non è mai casuale o insignificanTe. Credi a me≫.

Sue mi sorrise bonariamente. Non dimostrava più dei suoi quaranta, quarantacinque anni. La sua pelle aveva il colore del rame e il suo volto poteva anche dirsi bello. Il marito, al suo fianco, più vecchio di lei di qualche anno, possedeva la stessa maestosa forza di Billy Black e Quil Athera. Ma ero certa che, la magia, non avesse contagiato neanche loro.

≪Sue ha ragione, ti siamo grati. Benvenuta tra noi≫.

Sorrisi a entrambi e li ringrazia per la loro cortesia.

≪Avanti, non manipolate l’ospite≫, li ammonì Emily.

≪Ti va di mangiare qualcosa, Bella?≫.

Annuì.

≪Perché no≫.

Emily mi trascinò al tavolo imbandito, preso letteralmente d’assalto dai giovani mutaforma.

≪Maiali≫, commentò Emily, ma nelle sue parole c’era tanto affetto che la critica perse ogni significato.

Recuperai uno dei dolci preparati da Emily e mi sentì in dovere di complimentarmi: erano buonissimi. Passai parecchio tempo a parlare con Emily. Mi disse che considerava i ragazzi la sua famiglia allargata, che cucinare per loro non era un peso. Mi raccontò della casa che condivideva con Sam e del suo lavoro come insegnante di scuola materna, giù alla riserva. Mi piaceva parlare con lei, era una persona davvero gentile, sempre con il sorriso sulle labbra, in grado di trovare il lato positivo in ogni situazione. Le parlai di me, come persona e non come prescelta e capì che mi aveva accettata. Emily era mia amica, esattamente come Jacob. I giovani lupi mi chiesero anche di mostrare loro ciò che ero in grado di fare. Abbondarono in quanto a complimenti e battutine. Notai una strana luce negli occhi saggi degli anziani della tribù e uno sguardo di devozione suo volto di Jacob.

≪Seth, Paul smettetela di fare i bambini≫.

Una voce femminile, bassa e acida, irruppe, interrompendo i loro giochi. Il piccolo Seth si lisciò i vestiti, mentre Paul alzava gli occhi al cielo e addentava un hamburger.

≪Te l’ha mai detto nessuno che sei una rompiscatole Leah≫.

≪Sì, in molti≫, rispose lei, con un sorrisetto, la sua espressione immutabile.

 Ero più che certa che, anche se non fossi stata un vero e proprio talento nel percepire le sofferenze e le volontà altrui, avrei visto la sofferenza di Leah e la forza che si nascondeva dietro quel bellissimo volto di pietra. I suoi occhi incrociarono il mio sguardo indagatore, ma scostò velocemente l’attenzione altrove, allontanandosi. Emily lanciò un’occhiataccia a Paul e Sam lo picchiò violentemente, senza fargli alcun male. Sam si avvicinò a me e ad Emily. Le baciò la fronte, stringendola tra le braccia. Seth sospirò e si avvicinò a noi, un sorriso raggiante sul volto. Lanciò un’occhiata a Sam, il quale alzò gli occhi al cielo.

≪E d’accordo. Bella, questo è Seth Cleawother, il figlio di Harry e Sue e il fratello di Leah≫.

La sua voce s’incrinò quando pronunciò l’ultimo nome, fu un cambiamento veloce, ma non sfuggì né a me, né a Emily. Il giovane e allampanato Seth mi porse una mano, la strinsi con un sorriso. Mi ricordava tanto Jacob.

E’ un piacere conoscerti, avrei voluto esserci anch’io, ieri. Ho visto tutto nella mente degli altri. E’ stato troppo fico quello che hai fatto≫.

Risi dolcemente per l’entusiasmo di quel bambino.

≪E’ un piacere anche per me Seth≫.

A quel punto Jacob catturò l’attenzione del ragazzo che si dileguò, un po’ in imbarazzo.

≪E’ da ieri che mette il broncio perché anche lui non è venuto con noi nella radura, perciò...≫.

≪E’ simpatico≫, dissi, per rassicurare Sam.

≪Ehi≫, urlò Emily ai ragazzi, che avevano iniziato una lotta con il cibo.

≪Non cucinerò mai più niente per voi≫, li minacciò.

Mi sorrise e diede un veloce bacio a Sam prima di allontanarsi nella loro direzione. Io e Sam ridemmo all’unisono, per poi rimanere in silenzio ad osservare la scena. Paul, Seth e un’altro dei ragazzi, che capì si chiamasse Quil come il signor Athera, in ginocchio davanti ad Emily a mani giunte, la pregavano di continuare a cucinare per loro. L’indifferenza della ragazza era un semplice gioco, potevo vedere chiaramente il sorriso che iniziava a spuntare sulle sue labbra. Sam sospirò e io mi voltai a guardarlo. Osservava Emily, con sguardo assorto, come un cieco che vede il sole per la prima volta. Era talmente innamorato che nulla al mondo avrebbe mai potuto distrarlo dalla sua Emily.

≪La ami davvero tanto, vero?≫, sussurrai.

Sam mi guardò.

≪Sì≫, confessò in fine.

Rimanemmo in silenzio per qualche altro minuto.

≪Non smetterò mai di ringraziarti per avermi impedito di farle del male≫.

Sorrisi.

≪Potresti ringraziarmi spiegandomi il perché. Mi sembra così assurdo≫, riflettei ad alta voce.

Sam sospirò.

≪Ero furioso, con me stesso, non con Emily. Come potrei! E solo che, quando perdiamo l’autocontrollo e ci trasformiamo così all’improvviso, non siamo più padroni delle nostre azioni. E se qualcuno è abbastanza vicino a noi, come Emily, rischiamo di ferirlo, se non ucciderlo, in modo irreparabile≫.

Annuì.

Non volli insistere oltre, nonostante la mia curiosità divampasse con la stessa intensità di un incendio.

≪Quando conobbi Emily ero fidanzato con Leah. Nel primo periodo immediatamente dopo la mia trasformazione, è stato difficile gestire la nostra relazione. I giorni e le notti erano fatte di bugie e dubbi. Perché a lei non potevo dir nulla nella mia mutazione in lupo. Le nostre leggi lo vietano. Ma con Emily è stato diverso, perché le è il mio imprinting: la mia anima gemella. Il mio universo gira intorno a lei. E le regole della tribù non vietano di raccontare della nostra natura alle nostre anime gemelle≫.

≪Per questo motivo Leah soffre così tanto?≫, chiesi.

≪Te ne sei accorta? La prima impressione che da Leah, da qualche tempo a questa parte, è tutt’altro≫.

≪A chi non legge nei suoi occhi≫.

≪Per questo motivo io odio me stesso e ho rischiato di perdere il controllo e ferire Emily. Ed è anche per questo motivo che odio i Cullen più di quanto tu possa immaginare. Se loro non fossero mai arrivati a Forks, noi non ci saremmo mai trasformati e io non avrei mai spezzato il cuore a Leah e frantumato tutte le promesse che le avevo fatto≫.

La voce di Sam s’incrinò ancora.

≪Tempo fa, in un libro, ho sentito parlare dell’imprinting. E so che è qualcosa d’incontrollabile, Sam. Non devi rimproverarti di nulla. E poi, il tuo odio per i Cullen, è mal riposto, credimi≫.

≪Non posso essere comprensivo con loro, so che mi dirai che sono diversi e...≫.

≪Non stavo per dirti questo. Voglio dirti che se non fosse stato per i Cullen tu non avresti mai amato Emily. Preferiresti vivere una vita normale, ma senza di lei?≫.

Sam mi guardò, corrugando le sopracciglia scure.

≪Forse hai ragione, ma non mi perdonerò mai per quello che ho fatto a Leah≫.

≪Lei è forte, lo sento≫.

≪Posso chiederti una cosa?≫.

≪Certo”≫.

≪Come hai fatto a sapere dove trovarmi?≫.

≪Incubi≫, risposi.

≪Una premonizione≫, sussurrò.

≪Esatto≫.

Sospirammo.

≪So che Leah è forte, l’ho sempre saputo. La conosco abbastanza da sapere cosa le passa per la mente. So che si pone infinite domande e non trova mai la risposta che cerca. Pensa che se fosse stata idonea, io avrei avuto l’imprinting con lei. Al momento Leah è l’unico Licantropo... mutaforma femmina è questo le dà da pensare≫.

≪Ma si sbaglia, non è l’unica≫, disse, alzando i toni della conversazione tanto che Sam ebbe un sussulto.

≪Cosa?≫, chiese Sam.

≪Devo parlare con lei≫, decisi.

Lasciai il posto di fianco a Sam e seguì la giovane mutaforma, la dove sapevo che l’avrei trovata.

Non ero certa di cosa stessi facendo, sapevo soltanto di doverla aiutare, in qualche modo.

Sedeva su una roccia, il suo sguardo scuro e profondo scrutava le onde del mare in lontananza. Mi mossi cautamente sulle rocce. La testa di Leah puntò leggermente nella mia direzione, senza scostare lo sguardo dal mare. Mi aveva sentita.

≪Di che sto arrivando, se state per cominciare≫.

≪No, Leah. Sono io. Volevo parlare con te≫.

Non rispose.

Mi avvicinai a lei, sedendomi su un masso al suo fianco, lasciandole lo spazio necessario in modo tale che non si sentisse inquieta, a scrutare la linea dritta dell’orizzonte.

≪Allora, cosa vuoi?≫, chiese, una punta di acidità nella voce.

≪Sam mi ha spiegato perché stava per fare del male ad Emily, perché ha perso il controllo≫.

≪Quindi? Cosa mi dirai adesso? Che gli dispiace? Lo so già≫.

≪So che lo sai. Non è di questo che parlavo. So che ci stai male...≫.

Leah si alzò di scatto, con un movimento fluido ed elegante e iniziò a tremare.

Non mi mossi.

≪Vattene! Non ti aspettare che io ti tratti come fanno gli altri. Non mi farò scrupoli ad attaccarti, prescelta≫.

≪Ti credo≫.

≪So che credi di sapere tutto≫.

≪Ti sbagli. Io non so proprio niente, Leah Cleawother. Non alzare le tue difese anche con me; non sono qui per farti del male≫.

Il mio non era stato un ordine, non la stavo manipolando, ma lentamente Leah si calmò e riprese posto al mio fianco.

≪Allora cos’è che vuoi≫.

≪Non ti dirò che voglio aiutarti. Perché le ferite del cuore sono inguaribili, lo so bene. Ma posso rispondere ad alcune delle tue domande. So che ti affligge essere l’unica donna nel vostro branco, ma sappi che i mutaforma femmina sono in gran numero. Le vostre leggende non sono tutte esatte. Ogni popolo ha la sua leggenda. Potresti trovare persino branchi formati da semplici mutaforma femmine. Io li ho visti. Ero ancora piccola quando conobbi un mutaforma, non sono molti a presentarsi a Volterra. La vidi da lontano. Era una ragazza bellissima, con lunghi capelli dorati. Si trasformava in un cavallo bianco, dalla folta criniera. Non so che fine abbia fatto. Non hai idea di quanti siano i mutaforma femmina, camminano per strada come persone normali e di nascosto cambiano forma. Sono brave a nasconderlo, perché hanno un controllo maggiore rispetto agli uomini. Quando non si trasformano più per molto tempo, riprendono una vita regolare. Puoi avere tutte le possibilità che vengono offerte ad un qualsiasi umano, ma in più hai un dono. Io che ho il potere di percepire e controllare le volontà altrui vedo la differenza nella vostra forza. Perché voi siete uomo e animale. E avete la possibilità di essere liberi come animali, ma ragionevoli, intelligenti come esseri umani. Direi che siete perfetti, in molti ricercano ciò che voi avete per natura . Se un giorno  le ferite del tuo cuore dovessero guarire, potrai avere anche una famiglia. Certo, da una femmina e molto probabile che nasca un mutaforma. Nel novantanove per cento dei casi, direi≫, conclusi senza più fiato.

Rimanemmo entrambe in silenzio per alcuni minuti, a fissare il mare.

≪Non ero in forma di lupi quando Sam ci ha chiamati, nella radura. Quando mi hanno raccontato quello che stava per succedere, ho provato quasi soddisfazione, nel sapere che Sam stava per ferire Emily. E ti ho odiato, per alcuni minuti, perché l’avevi salvata. Ma, mi è bastato poco per capire che far soffrire Emily significava far soffrire Sam e non era certo quello che volevo. Non sono certa che questo dolore passerà mai≫.

≪Io non posso dirti se passerà Leah. Tu hai il diritto di essere incavolata, arrabbiata con chiunque ti pare e piaccia, ma è al tuo futuro che vorrei tu pensassi. Non rivangare per sempre il passato. Va avanti. Se tu e Sam non state insieme, vuol dire che lui non era quello giusto. So che sembra una frase fatto, ma io ci credo≫.

≪Invece io penso che in un mondo normale, in cui non esistono né mutaformma, né strani imprinting io e Sam saremmo stati anime gemelle≫.

≪Ma è questo il mondo in cui viviamo. Perciò deve esserci qualcuno, non credi?. Nessuno al mondo e mai completamente solo. L’ho provato sulla mia pelle. Pensavo che non avrei mai avuto una vera famiglia, una quotidianità umana e poi ho incontrato i Cullen. Anche se immagino che tu, come Sam, li odi≫.

≪Be’, sono sanguisughe, cosa pretendi?≫.

≪Già≫, acconsentì.

Io e Leah ridemmo all’unisono e, senza quella punta di acidità, riuscì ad udire tutta la dolcezza della sua voce.

La guardai in volto. Non aveva più quell’aria corrucciata, ma gli occhi tradivano ancora molta sofferenza. Ci sarebbe voluto del tempo, ma forse, ero stata in grado di aiutarla. Chissà, magari la mia visione non si limitava a dover salvare Emily. Forse dovevo aiutare anche Leah. D’un tratto l’espressione di Leah mutò.

≪Cosa c’è≫, le chiesi, consapevole del suo dolore.

≪La cosa che fa più male sono i ricordi. Fin ora non mi sono mai permessa di ritornare indietro con la memoria. Andavo soltanto avanti, immaginando cos’avremmo potuto avere. Sognando che Sam avesse avuto l’imprinting con me e non posso farne a meno, nonostante io sappia che questo porterà soltanto altro dolore. E di dolore ce n’è già molto≫.

≪Io credo che dovresti provare a ricordare ciò che avete avuto, anziché immaginare ciò che avreste potuto avere≫.

Leah scosse la testa.

≪Fa troppo male≫.

Mi avvicinai a lei.

≪Sono qui con te≫.

Leah mi guardò a lungo, poi il suo sguardo si fece vacuo, lontano e iniziò a parlare.

Mi raccontò di come si fossero conosciuti e innamorati. Dei tre anni più belli della sua vita: le giornate a La Push, le estati insieme. All’improvviso scoppiò a piangere e io le strinsi la mano, conscia che fossimo arrivate a un punto cruciale: la sparizione di Sam. Mi disse come si sentì, quando il suo ragazzo sparì senza lasciare alcuna traccia dietro di se. E poi, al suo ritorno, la preoccupazione, le risposte che mancavano, le bugie, le paure.  Non le rimaneva che fidarsi ciecamente di lui, fu una grande prova per il loro amore. E in fine l’arrivo di Emily. Mi disse che la notizia dell’arrivo di sua cugina era stata molto gradita. Sperava che la sua vicinanza avrebbe potuto darle forza. Emily era sempre lì per lei, ogni volta che ne aveva bisogno. Non aveva idea che quella volta le cose sarebbero andate diversamente.

≪Sai, non ho mia pianto da quando Sam mi ha lasciata, neanche una volta. E’ stato bello lasciarsi andare, grazie Bella≫.

≪A che servono le amiche sennò≫.

≪Sei molto più buona, altruista e... alla mano di quanto ti avessi giudicata. Sono stanca di dovermi guardare le spalle per paura di poter soffrire ancora. E’ una sensazione orribile≫.

≪So quello che provi≫.

≪Ma adesso non dovrai più guardarti le spalle, perché hai qualcuno che prenderà a calci nel sedere chiunque tenti di farti del male≫.

Leah rise.

≪Ti prendo in parola. Ho visto nella mente degli altri cosa si rischia a farti incavolare. Grazie≫, mi strinse in un abbraccio, che ricambiai.

Leah era forte, lo avrebbe superato. E un giorno, anche lei avrebbe trovato qualcuno o qualcosa che avrebbe dato senso alla sua vita. Ciò che l’avrebbe grata di ogni giorno della sua vita: un motivo per sorridere. E tutto quel dolore non sarebbe stato che un ricordo lontano, una nuvola passeggera.

≪Andiamo, stanno per cominciare≫, m’informò.

Annuì e ci alzammo, incamminandoci per ritornare dagli altri.

≪Ho conosciuto tuo fratello≫.

≪Seth≫, disse.

≪Sì, è simpatico≫.

≪Strano ma simpatico”, confermò.

≪Ti sfido a trovare uno solo di questi pazzi lupi che sia del tutto normale≫.

≪Almeno loro non rosicchiavano la vernice delle sbarre del lettino≫, rimuginò pensierosa.

Risi.

≪Non dirgli che te l’ho detto, ha la mania di sembrare più adulto di quanto non sia in realtà≫.

≪Lo avevo notato≫.

Ridemmo ancora.

Sembrava che Leah lo facesse per il semplice gusto di sentirsi ancora felice, senza quella pesantezza che l’aveva perseguitata per troppo tempo. Quando ritornammo alla spiaggia stavamo ancora ridendo sull’infanzia del povero Seth e tutte le teste si voltarono nella nostra direzione. Sorpresi dalla nostra ilarità o forse, semplicemente, da quella di Leah. La ragazza mi sorrise e si avvicinò alla madre. Tutti gli sguardi la seguirono. Seth mi si avvicinò, era il più sorpreso di tutti, dopo Sam.

≪Le hai fatto un incantesimo?≫, chiese.

≪No, questa è semplicemente Leah≫.

Seth scosse la testa, troppo sorpreso per dire alcunché.

Qualcuno si schiarì la gola per catturare la nostra attenzione e, con un passaggio improvviso e molto naturale, ogni cosa cambiò. I ragazzi si allontanarono dal tavolo e presero posto sulla sabbia, formando un semicerchio intorno agli anziani. Sue si allontanò dal marito per sedere vicino alla figlia e compresi che gli anziani erano quattro: Billy, il signor Athera, Herry Cleawother e Sam. Jacob mi affiancò con un sorriso e m’invitò a sedere al suo fianco sulla sabbia morbida mista a ghiaia e terra. Billy si fece avanti sulla sedia a rotelle e giunse le mani, i gomiti posati naturalmente sui braccioli del mezzo.

≪Sono consapevole che la maggior parte delle nostre storie parlano di eroi con folti manti di pelliccia e straordinaria forza≫, iniziò, ≪ma, ahimé, l’ingordigia umana dei nostri antenati ha macchiato anche l’animo puro del lupo. Tutti noi conosciamo la leggenda sulle nostre origini, ma ci fu un periodo talmente buio che la tribù quiliute per anni si ostinò a nascondere, nel vano tentativo di dimenticare. Eravamo preparati a combattere i freddi, com’era nella nostra natura, ma non eravamo pronti a combattere gli amici, i fratelli e, soprattutto, noi stessi. La nostra tribù è stata decimata ma mai sterminata. Nella memoria di molti il ricordo era quello di un angelo o un miracolo, ma i salvatori non giungono mai se non c’è bisogno di esser salvati... Era il 1881≫,  Jacob al mio fianco mi strinse la mano, ≪sono in pochi a conoscere la storia, si perse molto di quegli anni, con il tempo. All’epoca i mutaforma impegnati a difendere la nostra tribù erano sei, molti di più di quanti ne avessimo avuto negli anni precedenti. Tra questi vi erano due lupi, in particolare. Il primo possedeva uno straordinario manto bianco come la neve, molto raro. Soltanto i membri della famiglia Hoheyn possedevano quel manto così particolare. Eyden Hoheyn era il capobranco, un uomo dal cuore buono ma superbo in alcuni casi. L’intero villaggio si recava da lui per un consiglio, una benedizione. Tutti lo stimavano e lo rispettavano, riconoscendo in lui il grande leader che era, temendolo quanto fosse giusto. Hoheyn era un uomo solitario. Aveva soltanto due persone al suo fianco: la moglie, con la quale non riusciva ad avere bambini e il suo migliore amico, Godrick Taaki. Non conosciamo il nome della moglie.

Il migliore amico di Hoheyn era anche la sua spalla nel branco che guidava. La famiglia di Godrick era una delle più importi, insieme agli Hoheyn. Eyden aveva molte responsabilità sulle proprie spalle. Oltre ad essere il capobranco era anche il capo del villaggio, in più temeva che al suo “trono” mancasse un erede. Confidava spesso le sue paure e le sue preoccupazioni a Godrick, che aveva già una splendida famiglia. Godrick era una persona molto semplice e generosa, gli bastava poco per essere felice. Eyden, per quanto non lo avrebbe mai ammesso, era geloso di ciò che lui aveva: un imprinting, un figlio. Godrick non aveva grandi aspirazioni, ma vedeva che sua moglie era infelice. Il suo imprinting, la ragione per la quale esisteva, era infelice e questo bastava a scatenare in lui pensieri che altrimenti non avrebbe mai avuto. Sapeva che sua moglie sarebbe stata più felice se avesse avuto ciò che aveva la moglie sterile di Hoheyn. Era una donna molto, molto pretenziosa e avida, ma Godrick non poteva fare a meno di amarla. Era qualcosa che andava oltre il suo volere. Altrettanto forte era, però, l’amicizia tra lui ed Eyden, perché potesse tradirlo alle spalle. Un giorno, uno dei membri più giovani del branco fiutò qualcosa che non aveva mai percepito prima dall’ora. Eppure, tante volte aveva sentito, nei racconti, di quell’odore dolciastro, freddo, che faceva bruciare il naso. Avvisò gli altri con un ululato e il branco seguì la traccia, scoprendo che non portava da nessuna parte. Era troppo debole e spariva dopo qualche chilometro. Passarono tre giorni senza che nessuno dei lupi percepisse ancora un odore simile. La notte del terzo giorno il lupo più anziano la percepì a ovest della riserva. Il vampiro non era solo. Erano in tre. Fu inutile dargli la caccia, il branco non riuscì a scovare i freddi. Passò una settimana e un giorno Godrick ed Eyden uscirono in perlustrazione. Si separarono. Uno andò a ovest e l’altro a est. Il primo ad annusare la traccia fu Eyden. Avrebbe voluto avvisare Godrick con un ululato, con il pensiero, ma lui non c’era. Probabilmente doveva essersi momentaneamente ritrasformato. E nessun ululato fu tanto veloce da fuoriuscire dalle fauci del grande lupo bianco, che tre vampiri gli si pararono di fronte. Il grande lupo ringhiò loro, mostrando i denti, ma la leggenda vuole che i tre fossero scoppiati a ridere, scatenando la furia di Hoheyn, un lupo già di per se molto orgoglioso. Avrebbe voluto avventarsi alla gola del primo dei tre vampiri, che, tra tutti, era due passi avanti. Teneva le braccia incrociate. Il freddo rise ancora e qualcosa in Eyden cambiò. Si narra che fosse una sensazione orribile. Tutto il suo amore per le cose cui teneva, sua moglie, il suo migliore amico, il suo branco, il suo villaggio, se stesso mutò in odio. Tutte le sue paure, le sue preoccupazioni, le sue cupe idee e ogni altra cosa che di oscuro celava nel profondo del suo animo presero il sopravvento sulla sua ragione.

Fu sopraffatto dalla sete di vendetta, di potere e in fine, dall’odio per il suo migliore amico e dall’invidia. Desiderava ciò che lui aveva già e nulla contava più di questo. Barcollò, i suoi occhi velati dal buio: aveva perso la vista. Il suo olfatto percepì che i tre vampiri erano spariti. Vagò, seguendo la propria scia per ritornare al villaggio. Nel frattempo i tre vampiri raggiunsero l’altro lupo, ancora in forma d’uomo. Quando lo circondarono, lui, con voce piena di ribrezzo, chiese: ≪Chi siete, mostri?≫.

Sorprendentemente i vampiri compresero la sua lingua e il primo di loro, che aveva corti capelli neri e occhi scuri, rispose: ≪Ciò che hai detto. Comunque, il mio nome è Boris e loro sono Felipe e Gustavo≫.

L’uomo ringhiò, ottenendo lo stesso effetto che il lupo bianco aveva avuto dopo il suo sibilo animale. E lo stesso avvenne in lui. L’odio prese il sopravvento e si scoprì che l’animo gentile di Godrick celava del marcato ribrezzo per quello che era un suo amico. Lo odiava perché il suo imprinting lo disprezzava. E non contò più nulla, se non la vendetta. Anche lui perse la vista, tutto divenne buio e barcollando, ritornò al villaggio. I due non si videro per i due giorni seguenti. Rimasero chiusi in casa, crogiolandosi nel proprio odio. Avevano ritrovato la vista, ma ciò non significò vedere la luce... Il primo ad agire fu Eyden. Attese che Godrick fosse lontano e, protetto dal manto buoi della notte, si presentò a casa sua. Naturalmente la signora Taaki lo fece entrare. Di lui ci si poteva fidare, era il capo del villaggio. Non notò la luce selvaggia nei suoi occhi. Quella notte Eyden compì due gesti, orribili in egual misura. Oltraggiò l’imprinting di un fratello... e rapì suo figlio. Accecato dall’odio, lo portò nel centro esatto del villaggio, come se volesse giustiziarlo pubblicamente...≫, a quelle paroli ebbi un sussulto.

≪Quando Godrick ritornò a casa, la moglie gli raccontò quello che era successo e lui raggiunse Hoheyn al villaggio, dove si era riunita una folla sconvolta, testimone del brutale gesto di Hoheyn. Seguì il pianto di suo figlio finché questo non cessò... Era troppo tardi per poter salvare il piccolo. Eyden lo aveva ucciso, strangolandolo, finché quel pianto disperato di terrore non si spense, annullandosi nel rumore del vento. Quando i due furono faccia a faccia, il tremore li trasformò nel grande lupo bianco e in quello grigio. Iniziò uno scontro: nessuno dei due si sarebbe fermato finché l’altro non fosse morto. Gli altri lupi, leggendo quello che stava succedendo nelle loro menti li raggiunsero. Stranamente Godrick non provava odio per ciò che Eyden aveva fatto a suo figlio e a sua moglie. Lo odiava perché desiderava ciò che lui aveva, solo questo gli interessava. E mentre i due lupi combattevano Godrick lo pretese attraverso il pensiero. Disse al grande lupo bianco: ≪Voglio il tuo posto come capo branco e capo del villaggio. Io ho un’erede. Dammi ciò che è tuo≫. Sembrava che non si fosse ancora reso conto di quello che era successo alla sua famiglia. I suoi pensieri erano rimasti congelati da quel giorno, nella foresta, come il suo odio. I lupi arrivati in soccorso non sapevano cosa fare, incerti di fronte a tanto odio e tanto rancore. Certo non avevano mai visto una cosa del genere. Pian piano, Eyden e Godrick tentarono di portare dalla loro parte i membri del branco. E anche tra loro si diffuse l’odio. Due membri di schierarono dalla parte di Godrick, gli altri due da quella di Eyden. Si massacrarono a vicenda. Fu orribile. I tre freddi arrivarono al villaggio, ma i lupi non si fermarono per difendere la popolazione. Continuarono a lottare, mentre i freddi uccidevano e bevevano, soddisfatti della loro opera. Il capo dei freddi, Boris, aveva il potere malefico di far nascere l’odio, anche tra fratelli. C’erano urla, pianti di dolore, ma i lupi non si fermavano. I loro occhi erano completamente neri, la pupilla sembrava inghiottire la parte bianca. Era uno spettacolo orribile, quasi quanto la strage che si stava svolgendo loro intorno. La popolazione fu decimata, nessuno fu risparmiato, né donne, né bambini≫.

Gli occhi di Billy si fissarono sul mio volto.

≪Alcuni mesi prima uno sconosciuto era giunto al villaggio. La tribù era così piccola che chiunque avrebbe notato l’arrivo di uno straniero. Ogni nuovo arrivato doveva essere accettato dal capo del villaggio. Hoheyn aveva permesso alla sconosciuta di rimanere. Affascinato da quella meravigliosa creatura. Il lupo bianco non aveva mai ammirato una bellezza simile. Non credeva nella perfezione, prima d’incontrare il suo volto diafano.

Questo splendeva, illuminato da una chioma di capelli castani, lunghissimi. Il suo profumo era diverso da qualsiasi cosa Hoheyn avesse mai odorato prima d’allora. I suoi occhi erano azzurri come le onde del mare e limpidi. Le sue guance e le sue labbra avevano il colore dei petali di rosa. Ma non era soltanto per la sua bellezza che concesse alla giovane di rimanere. La ragazza emanava sicurezza, tranquillità, pace. Nessuno vedeva mai la giovane al villaggio, nessuno sapeva dove andasse o cosa facesse. Quando Hoheyn le aveva chiesto il suo nome, lei aveva risposto: ≪Chiamami come tu desideri, signore≫. I suoi occhi e le sue parole erano piene di saggezza. Era bella come la primavera, fresca e radiosa. Alcuni la vedevano spesso nei boschi.

Quel giorno, era lì, al villaggio.

Il capo dei tre freddi, Boris, fu il primo a vederla. Gettò a terra la donna  che aveva tra le braccia, ripulì la sua bocca con la mano e sorrise alla ragazza. Naturalmente provò a traviarla, come aveva fatto con gli altri. Ma in lei non trovò odio, solo tanto, tanto dispiacere e amarezza. La ragazza fissava ciò che la circondava: il dolore, le urla, i pianti e, in fine, i lupi. Per tutto il tempo del massacro i sei non avevano mai smesso di lottare.

 Mosse alcuni passi avanti, senza badare al vampiro e fu tanto vicino ai lupi da sfiorare il manto bianco con i lunghi capelli. Il freddo le andò incontro, ma qualcosa lo bloccava. La ragazza continuò a non prestargli attenzione, come i lupi continuarono a non prestare attenzione a lei. E poi successe qualcosa che congelò ognuno al proprio posto. Una lacrima rigò la guancia della ragazza, mentre il suo occhio destro mutava colore e alzava i palmi al cielo, cantando una nenia in una lingua sconosciuta. Ogni  cosa si fermò e ci fu solo silenzio. I lupi si bloccarono e osservarono la ragazza. I vampiri smisero di uccidere e fissarono i loro occhi su di lei. Quella canzone era straziante per quanto dolore evocava. In fine la ragazza, pronunciando gli ultimi versi, fissò i suoi occhi in quelli di Eyden e qualcosa dentro di lui iniziò a cambiare. L’odio mutò in amore e consapevolezza di quel che aveva fatto e di quel che stava facendo. I suoi occhi ritornarono alla normalità e lui vide ogni cosa nello stesso modo in cui lo vedeva la ragazza e gemette. Il cambiamento fu istantaneo anche negli altri. Godrick si accasciò sulle zampe, sopraffatto dal dolore improvviso per la perdita del figlio e per quello che era successo alla moglie, anch’egli consapevole delle sue azioni. Gli altri quattro lupi, più svelti dei loro compagni e inferociti per quello che i freddi avevano fatto al villaggio, alle loro famiglie, si avventarono sui vampiri sorpresi e li uccisero. A nulla servì il debole ammonimento della ragazza. L’odio era ancora troppo forte, per quanto avesse cambiato obbiettivo. Vampiri e mutaforma si massacrarono. I lupi erano troppo deboli dopo lo scontro con i loro fratelli e, nonostante fossero in vantaggio numerico, morirono insieme ai vampiri. La ragazza, straziata dal dolore, si fece forza e si chinò davanti ai due lupi. Con la sua voce melodiosa, mormorò: ≪L’odio ha accecato il vostro giudizio. Mai amici e fratelli dovrebbero combattere fra loro. Ho sbagliato, non sono stata in grado di impedirvelo. Nonostante i miei tanti anni≫, il suo sguardo si posò sull’orizzonte.

≪Il tempo dei prescelti è giunto al termine. L’odio prende velocemente il sopravvento sugli altri sentimenti, mentre le generazioni avanzano. Ma vi dico una cosa, fratelli. Non portate rancore. La vendetta porta altra vendetta e occhio per occhio renderà il mondo cieco. E c’è così tanto da vedere! Alzatevi amici. Non portate il peso dei morti, quel compito spetta a me≫.

I lupi si guardarono negli occhi, nessuno, neanche la ragazza sa cosa si dissero attraverso il pensiero, sta di fatto che si alzarono, sfregarono i loro musi sui rispettivi colli pelosi e si allontanarono. Eyden sparì nella foresta per non fare più ritorno. Godrick si avvicinò alla folla e cercò sua moglie, il suo imprinting. Ne trovò il cadavere e anche lui si allontanò per non ritornare mai più. La giovane si voltò e guardò la folla, ferita e stupefatta. Si mosse e andò loro di fronte, la sua voce risuonò nel silenzio.

≪In questi mesi ho protetto un bambino: un orfano. Lui ha il gene del lupo nel suo sangue≫.

Poi, i suoi occhi azzurri si posarono su una donna, la moglie sterile di Hoheyn e le indicò dove trovare il bambino.

≪Sarai tu a prendertene cura e lo amerai come un figlio, l’ho visto. Il mio compito era proteggere il bambino. E’ questo che mi ha condotto fin qua giù. Tutto il resto evidentemente doveva avvenire. Neanche io so tutte le risposte”, il suo sguardo tornò a posarsi sull’orizzonte.

≪Non so perché, ma la vostra razza deve continuare ad esistere. Oggi il mio tempo finisce. Da troppi anni non vedo il mare. Sì, credo che sarebbe un buon modo di morire...≫. Sul suo volto si dipinse un sorriso beato e voltò le spalle alla nostra tribù, che grazie a lei è sopravvissuta fino ai nostri tempi≫.

 Billy prese un profondo respiro ed arretrò sulla sedia a rotelle. Strinsi con forza la mano di Jacob. Mi sarebbe piaciuto conoscere il nome di quella ragazza. Qualcuno come me, una prescelta. Ero fiera di essere diversa e di appartenere alla stessa specie della giovane. Non avrei mai cambiato me stessa, ma di questo ero sempre stata consapevole. Adesso, mi chiedevo se sarei stata all’altezza della ragazza, all’altezza delle aspettative.

≪Non conosciamo il nome del bambino, ma grazie alla ragazza sopravvisse, crebbe e divenne un uomo, un lupo, un padre e un marito≫, intervenne Herry.

≪Difese la nostra tribù fin quando un altro lupo non nacque e lo sostituì. Da allora tutti portiamo il ricordo di quella giovane, la prescelta. E non c’è creatura più meravigliosa che non una che appartenga a quella razza≫.

Gli occhi di Herry si posarono sul mio volto. Tutti gli occhi erano puntati sul mio viso.

≪E oggi ritorna a noi, porta amore e amicizia≫, lanciò un fugace sguardo alla figlia Leah, ≪sicurezza e protezione≫.

Così dicendo il suo sguardo si posò su Emily e Sam, teneramente abbracciati. Il sole stava tramontando e portava con se il ricordo della giovane prescelta. Aveva detto chiaramente che il nostro tempo stava finendo. Che, con l’avanzare delle epoche, l’odio cresceva. Forse non c’era alcuna speranza, non se io ero l’ultima. Cosa importava della mia vita, della mai felicità, quando nel mondo c’era così tanto buio. Probabilmente io non sarei riuscita a sconfiggerlo, non da sola.

≪Non lodate ciò che non merita di essere lodato. Non credo di essere ciò che voi pensate. La mia presenza non farà alcuna differenza. Come potrebbe. C’è così tanto odio, una persona sola non può sconfiggerlo≫.

Jacob, al mio fianco, scosse la testa.

≪Ma Bella, tu non sei sola. Hai noi dalla tua parte. Forse per questo motivo, all’epoca, la giovane salvò il bambino. Noi dovevamo continuare ad esistere per aiutare te, un giorno≫.

Nell’oscurità della sera ancora giovane, Jacob imboccò il sentiero sterrato di casa Cullen. Era stato triste dover lasciare tutti loro: Emily, Leah, Sam, i giovani mutaforma e gli adulti, non più seri dei piccoli lupi. Jacob sbuffò.

≪Bleah, odore di sanguisuga≫.

Lo picchiai alla nuca: ≪Scemo≫. Jacob sghignazzò.

≪Ti conviene trattarli bene se vuoi avere ancora a che fare con me≫, lo minacciai.

≪Certo, certo. Scusami≫.

≪Così va meglio≫.

Quando fummo davanti alla casa, Jacob sibilò: ≪Che diamine ci fa qui fuori il succhiasangue?≫.

≪Di chi parli, non vedo? E comunque è casa loro Jacob≫.

≪Io dico che questa è una provocazione≫.

≪Comportati bene≫, lo ammonì.

La moto si arrestò con una sgommata sul terreno che sollevò parecchia polvere e Jacob mi aiutò a scendere, sfilandomi il casco dal volto con delicatezza. I miei occhi corsero alla grande casa e, non con una certa sorpresa, riconobbi il vampiro di cui parlava Jacob. Fiero e bellissimo, Edward rimaneva elegantemente poggiato alla parete, le braccia incrociate al petto. E nell’oscurità, i suoi occhi incontrarono i miei e, quella maschera di dura indifferenza che aveva fin ora indossato, si dissolse nel nulla. Il sollievo sul suo volto e la dolcezza nei suoi occhi mi fecero sperare e temere al tempo stesso. Sospirai di sollievo. Per quanto amassi passare il mio tempo con i giovani Quileutes, sentivo di essere tornata a casa. Sulle mie labbra iniziò ad affiorare un timido sorriso e il volto di Edward s’illuminò, come succedeva ogni volta che gli sorridevo. Mi voltai verso Jacob, per un saluto veloce e di slancio e con foga mi strinse tra le braccia e affondò il volto tra i miei capelli.

≪Scusami, ma questa puzza è insopportabile. Almeno c’è il tuo profumo≫.

Sentì immediatamente il fuoco invadere le mie guance. Era una situazione troppo intima: abbracciare qualcuno mezzo nudo. Sentivo il petto di Jacob aderire al mio cuore e questo m’imbarazzava terribilmente. Un suono aspro, agghiacciante, da far accapponare la pelle, sovrastò i battiti impazziti del mio cuore. Con delicatezza Jacob sciolse l’abbraccio e lanciò un ghigno divertito a Edward. La sua espressione era molto simile a quella che avevo visto quel giorno a scuola. Era furiosa, senza alcuna traccia della sua solita dolcezza. Guardava Jacob come se stesse analizzando il modo migliore e più doloroso di ucciderlo. E quest’ultimo non faceva nulla per migliorare le cose, fissava Edward con un ghigno di sfida sul volto. Notai, con un fugace sguardo alla casa, che Emmet fissava la scena dalla vetrata, pronto a intervenire. Immediatamente mi frapposi fra i due, voltandomi in direzione di Jacob.

≪Adesso puoi andare Jacob. Grazie per la bella giornata, grazie per tutto≫.

≪Di niente piccola. Dobbiamo rivederci≫.

≪Certo≫, lo rassicurai.

Edward ringhiò, con un suono basso e inquietante.

Jacob non si scompose, ma chiese: ≪Che cosa c’è, succhiasangue?≫.

Edward ringhiò ancora.

≪Edward≫, lo ammonì.

Lui puntò i suoi occhi neri nei miei e vi lessi una cieca disperazione. Per la prima volta da giorni, mi rivolse la parola.

≪No, Bella. Ascoltami. Tu potrai anche non volermi al tuo fianco per ovvie ragioni, ma io non posso saperti in un qualsiasi pericolo. E un mutaforma giovane ed instabile è molto pericoloso≫.

Ci guardammo a lungo, c’era qualcosa nel suo sguardo che non riuscivo a cogliere, qualcosa che stava nascondendo molto bene, per paura che io avrei potuto trovarlo. Ferita, sorpresa, emozionata dalle sue parole, non mi accorsi immediatamente del tremore del corpo di Jacob.  

≪Bella≫, sussurrò Edward, mentre la sua mano afferrava la mia, pronto ad allontanarmi, in caso.

≪Aspetta≫, gli dissi.

Mi guardò per un lungo istante, incerto, poi mi lasciò andare. Mi avvicinai a Jacob e presi il suo volto tra le mani.

≪Va tutto bene, Jacob. Sono io≫.

Il ragazzo fissò i suoi occhi nei miei e pian piano il tremore del suo corpo scemò in un impercettibile tremolio delle sue mani. Jacob sospirò e scosse la testa, dopodiché si chinò per darmi un rapido bacio sulla fronte, scoccò un un’ultima occhiata a Edward e si allontanò in moto, lasciando dietro di se soltanto una scia di polvere. Sospirai, presi un lungo respiro e mi voltai. Edward rimaneva immobile, rigido e distante. Continuammo a fissarci per alcuni lunghissimi minuti. Sembrava decisamente più calmo, adesso che Jacob era andato via.

≪Mi dispiace≫, disse dopo un po’.

≪Non avrei dovuto reagire in quel modo≫.

Le sue scuse, per quanto sincere, erano fredde. Continuavo a scrutare la sua anima attraverso le pozze scure dei suoi occhi e le parole vennero da sé, senza che io le avessi prima pensate.

≪Edward, io e Jacob siamo soltanto amici≫.

Non so perché lo dissi. Non ce n’era motivo. Edward non poteva aver reagito in quel modo soltanto per... cosa? Gelosia?

≪Non devi giustificarti con me≫.

≪Lo so≫, sussurrai.

Ci fu un’altra lunga pausa, prima che io trovassi il coraggio di porgli la domanda che più m’interessava.

≪Quello che hai detto prima, cosa significa?≫.

≪Dimentica le mie parole≫, disse, voltandosi per rientrare in casa.

Lo bloccai, afferrando la sua mano.

≪Aspetta, devo saperlo. Cosa significa?≫.

Edward spostò il suo sguardo sulle nostre mani intrecciate, come aveva fatto tante volte.

≪Pensavo di essere stato abbastanza chiaro. Non mi piace l’idea di vederti in pericolo, benché tu sia più che in grado di difenderti da sola, in alcuni casi. Ti prego, non chiedermi il perché≫, sussurrò e fissò ancora i suoi occhi nei miei.

≪Forse è per lo stesso motivo per cui io non riesco a lasciarti, neanche per poche ore≫, confessai.

Sentì Edward trattenere il respiro.

≪Ti prego, non pensare certe cose, Edward. Non credere che io non ti voglia al mio fianco, non pensarlo mai≫.

≪Allora perché mi eviti? Da quel giorno in cortile, io... io non capisco e sto impazzendo. Ti prego devi dirmi perché≫.

≪Non posso≫.

≪Dimmelo, prima che io impazzisca del tutto. Credo che a questo punto sia colpa mia≫.

≪No, non è colpa tua. Non assumerti pene che non ti appartengono≫.

≪Allora qual è il motivo?≫.

Scossi la testa.

≪Dimmelo≫, insistette.

≪Perché farebbe soltanto soffrire entrambi. E’ meglio così≫, dissi.

≪Continuo a non capire. Qual è il problema? Il ritorno a Volterra?≫.

Scossi ancora la testa.

≪Bella?≫, mi chiamò, la sua voce fredda come ghiaccio.

 E fu in quel momento che la sentì arrivare: la consapevolezza di ciò che sarebbe stato. Lacrime calde iniziarono a rigarmi il volto e capì che non avrei più mentito: Edward doveva sapere.

≪Quando tornerò a Volterra sarà per sempre, Edward. Qualcuno ha già scelto il mio destino per me...≫.

≪No, Bella≫, urlò qualcuno, una voce che conoscevo bene.

Ma né io, né Edward prestammo attenzione ad Alice.

≪Io sposerò Aro e sarò sua moglie per tutte le ere a venire di questo mondo. Dalla nostra unione nasceranno altri prescelti, perché così deve essere≫, mormorai tra le lacrime, con tutto il fiato che avevo in corpo, fissando i suoi occhi. E nel silenzio assoluto della notte, il cui unico rumore era quello della pioggia, ogni segreto venne svelato. All’improvviso, sotto il mio sguardo offuscato dalle lacrime, Edward cadde in ginocchio ai miei piedi, il capo chino, lo sguardo lontano, perso nella consapevolezza che era sempre stata mia e che ora, apparteneva anche a lui.

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Capitolo 13
*** Amare ***


Buon pomeriggio a tuttiXD Abbiamo superato le mille visite solo per il prologo, per me è già una grande vittoria. Ringrazio tutti, nessuno escluso, per l'interesse che mostrate per la mia sotria, vi adoro. Forse ho sbagliato a definire lo scorso capitolo-boma, perché certo questo non sarà di meno. Spero di fare felici molte di voi e di ricevere le vostre opinioni. So di ripetermi, ma mi sento ansiosa anche questa volta. Perciò aspetto di sentirvi in molte<3 Posso dirvi che mancano nove capitolo più un epilogo alla fine della storia. Ancora non so se dovrò dividerne alcuni perché troppo lunghi, perciò potrebbero esserci più aggiornamenti rispetto ai capitoli così come li ho contati io. Ora vi lascio alla lettura, un bacio a tuttiXD

11 Amare

Sospirai, osservando le gocce di pioggia scivolare dolcemente sui vetri dell’unica finestra dell’aula di biologia. Quel giorno non avevo prestato alcuna attenzione alla vita, alla gioia e all’entusiasmo che mi circondavano. E le cose non erano per niente migliorate durante quell’ultima ora - essendo l’ultimo giorno di scuola, la sera del grande ballo, avevamo il permesso di rientrare a casa con un’ora d’anticipo rispetto agli altri giorni. Forse avrei dovuto prestare più attenzione alle chiacchiere del professor Banner, ai suoi saluti e agli auguri di trascorrere una bellissima estate, ma non riuscivo a trovare dentro di me la volontà per allontanare lo sguardo dal vetro, perché sapevo ciò che avrebbe comportato. I miei occhi avrebbero cercato e trovato il buio, o, per meglio dire, il posto vuoto sulla sedia al mio fianco, la superficie nera, lucida e sgombra della sua parte del nostro banco, e il mio cuore sarebbe stato colpito dalla delusione con la forza di uno schiaffo in pieno volto, con l’unica differenza che avrebbe fatto molto più male.

Sospirai.

Erano passati tre giorni da quella sera, dal momento in cui lui era venuto a conoscenza del mio destino, del motivo per cui non avrebbe mai potuto esserci un noi. Il ricordo di quel momento s’insinuò viscido tra i miei pensieri e il mio sguardo vide nella pioggia sul vetro le lacrime amare, versate da occhi dorati, che avevano segnato un volto distrutto.

E ciò mi riportava al pensiero precedente.

Era impossibile dimenticare il sapore delle mie lacrime salate sulle labbra. Impossibile dimenticare la consapevolezza negli occhi sbarrati di Edward o l’espressione del suo volto bellissimo distorto dal dolore, un vile che temevo potesse uscire dalle ombre in cui era stato rinchiuso dalle mie omissioni, e che pian piano artigliava il suo cuore allo stesso modo in cui aveva preso il mio, impossibile dimenticare il suono del mio pianto davanti a un Edward così fragile. E poi loro, i Cullen. Ricordai Alice, lei che aveva tentato di fermarmi, venirmi incontro e stringermi in un abbraccio, trascinandomi verso la casa, mentre sentivo le gambe cedere e desiderare di accasciarsi al suolo. E ricordai Emmet, Jasper e Carlisle andare incontro a Edward. Rividi Carlsile chinarsi al capezzale del figlio e mormorare parole che il rumore della pioggia copriva. E rividi Emmet e Jasper sostenere Edward per farlo rialzare da terra e poi sparire con lui nella foresta, lontani da cose potenzialmente fragili, e lontani da me.  Mentre scuotevo il capo, nel vano tentativo di eliminare simili pensieri dalla mia mente, mi sentì invadere da qualcosa peggio del semplice senso di colpa.

Perché sapevo che, per quanto potessi continuare a girarci intorno, l’unica colpevole di quanto successo ero io. Il mio egoismo nel desiderare di vivere la semplice quotidianità, quando sapevo bene che ciò era impossibile, aveva portato me e l’intera famiglia Cullen a quel punto d’impasse, fatto di rumorosi silenzi e parole non dette. Fin dall’inizio avrei dovuto mettere in chiaro le cose con Edward, o, comunque, impedire a me stessa di creare quel legame così profondo e ancora non ben specificato che ci univa.

Certamente non avrei mai potuto immaginare che tra noi nascesse qualcosa, ma questo non mi giustificava. Edward si rimproverava spesso la sua stessa natura, benché la maggior parte delle volte fossi io a leggerlo nei suoi occhi anziché nelle sue parole e sapevo cosa gli avrei detto, in quel momento, se fossi stata con lui:≪Ora chi è il mostro?≫.

Prima che una crisi di pianto mi facesse collassare, la campanella suonò per l’ultima volta e i ragazzi esultarono, sbrigandosi a uscire dall’aula. Qualcuno si fermava per salutare il prof Banner, io mi diressi, lentamente e apaticamente, fuori dall’aula ormai vuota. Non avevo molta voglia di tornare immediatamente all’auto, sapendo già cosa mi attendeva. Da quella sera non avevo più visto Edward, né avevo avuto l’occasione di parlargli. Anche se, pensandoci bene, non avrei saputo cosa dirgli.

Era difficile da credere, vivendo nella stessa casa, che non riuscissimo a incontrarci, anche se ovviamente ciò non era casuale. Da tre giorni non frequentava più la lezione di biologia. Io avevo smesso di andare in mensa e passavo il tempo chiusa in bagno. Non avrei mai avuto il coraggio di chiedere ad Alice se Edward frequentava ancora la mensa, ma lei, conoscendomi bene, mi aveva confermato che trascorreva il tempo in auto, oppure, semplicemente, tornava a casa.

Era ancora peggiore di un imbarazzante incontro sulle scale, che avrei preferito notevolmente al non vederlo. Era stato un taglio troppo netto, ma giusto. E forse per questo motivo non avevo fatto nulla per impedirgli di allontanarsi.

Ormai avevo rovinato tutto, non avrei certo peggiorato le cose. Non sarei neanche andata a lezione di biologia se non avessi percepito che lui non c’era. Sentì un groppo in gola. La consapevolezza che probabilmente mi odiasse per avergli mentito per tutto quel tempo e per essergli stata accanto, benché sapessi che avrebbe soltanto fatto soffrire entrambi, era la cosa peggiore da sopportare. Anch’io mi odiavo per questo.

≪ Ehi, Bella≫, non mi voltai attesi che Mike mi raggiungesse.

≪Ti va di venire con noi? Andiamo alla spiaggia, a La Push≫.

Jessica gli fu immediatamente a fianco, seguita da Angela e Ben.

≪Mi dispiace Mike, ma non sono dell’umore≫.

≪Allora, noi andiamo≫, disse Jessica, cercando di catturare l’attenzione di Mike che però non le badò.

≪Perché? Avanti Bella, la scuola è finita≫.

≪Mi dispiace Mike≫, replicai. Lui mise il broncio ed io di slancio gli schioccai un bacio sulla guancia. Non ero certa che lo avrei mai più rivisto. Supponevo non mancasse molto tempo al ritorno dei Volturi e con molte probabilità, non avrei frequentato un altro anno di scuola. Mi sarebbero mancati i miei amici umani.

Barcollando si allontanò con Jessica che salutai con un sorriso. Angela e Ben mi si avvicinarono.

≪Mi mancherai. Dobbiamo tenerci in contatto quest’estate, Bella≫, esordì Angela, stringendomi in un abbraccio.

≪Mi mancherai anche tu≫, le dissi, evitando di fare promesse che non ero certa di poter mantenere.

Salutai anche Ben con un abbraccio e li lasciai andare. Fui felice di conservare una loro immagine in cui erano teneramente abbracciati, almeno qualcosa di giusto l’avevo fatta. Sospirai ancora e uscì dall’edificio, tirandomi su il cappuccio della giacca. Mi avvicinai alla cabriolet rossa di Rosalie e lì mi preparai a sopportare la cosa peggiore di tutta quella storia: i loro sguardi pieni di preoccupazione e tristezza. Dov’era la rabbia nei miei confronti? E il risentimento per aver fatto soffrire il loro fratello? Dove si trovava l’odio, lo stesso che io provavo per me stessa, in tutto questo? Ma sapevo, mentre occupavo il posto di fianco ad Alice, che non era nel DNA dei Cullen odiare qualcuno, soprattutto se quel qualcuno ero io.

Da quella sera la gioia non aveva più bussato alla nostra porta, ma un silenzio pesante, che innervosiva Jasper quasi quanto intristiva me, aleggiava costantemente in casa. Poggiai la testa sulla spalla di Alice e questa volta, anziché sospirare, sbuffai. Quando fummo al grande garage dei Cullen, percepì immediatamente che lui era a casa, nella sua stanza al piano superiore. Eppure, nonostante il dolore che questo aveva provocato, non mi pentivo di avergli rivelato la verità. Non sarei potuta andare via, senza concedergli le risposte che meritava. Era una persona meravigliosa, alla fine avrebbe incontrato qualcuno. Certo, nessuno sarebbe mai stato alla sua altezza, come non lo ero io d’altronde, ma la ragione e l’amore vanno di rado di pari passo. Adesso lo sapevo.

≪Questa storia è ridicola≫, sbottò a un tratto Alice.

≪Non potete continuare a evitarvi per sempre, perché non vi parlate? Vuoi davvero che finisca in questo modo Bella?≫.

≪E’ meglio così Alice≫.

≪Per chi?≫.

≪Per entrambi. Ho fatto troppi danni, ora mi toccherà scontarne le conseguenze≫.

La mia voce si spezzò sull’ultima parola e quel nodo alla gola, troppo alungo trattenuto, scoppiò in un pianto silenzioso. Emmet e Jasper si lanciarono uno sguardo pieno di preoccupazione, mentre Rosalie faceva loro cenno di lasciarci sole e Alice fu immediatamente al mio fianco. Mi strinse al suo petto e mi cullò dolcemente. In quello stesso istante percepì la presenza di Edward allontanarsi e il mio pianto si trasformò in una crisi isterica.

≪Alice, ho paura≫, confessai, per la prima volta ad alta voce.

≪Ho paura di ciò che deve succedere mio futuro. Non voglio che arrivi il futuro, fermalo. Non voglio che tutto finisca. Aiutami, ti prego≫.

Alice non rispose, ma continuò a mormorare parole di conforto al mio orecchio, mentre la crisi di pianto scemava in una più appropriata rassegnazione. Non sapevo come fossimo arrivate sul divano del salotto, ma a quel punto le mani di Esme si aggiunsero a quelle che mi carezzavano i capelli. Le sue braccia occuparono il posto di quelle di Alice ed io mi lasciai cullare dal suo tocco materno.

≪Va tutto bene, bambina mia. Va tutto bene. Andrà tutto bene≫.

≪Lui mi odia non è vero. Edward?≫, chiesi, già consapevole della risposta.

≪No, certo che no. Non pensare questo≫, mi rispose la donna.

≪Lui ti adora, bambina mia. Per questo motivo deve starti lontano. Come te, sa ciò che è meglio. Non giusto, affatto. Ma lo fa per te; credimi≫.

Non sapevo se le sue parole fossero sincere o se le avesse dette soltanto per rassicurami, sta di fatto che mi calmai e pian piano ripresi il controllo di me stessa. Esme mi cullò sul suo petto per qualche altro minuto, prima di farmi allontanare da lei, con un timido sorriso sulle labbra piene.

≪Perdonami≫, le dissi.

≪Perdonarti? Bella, piccola mia, non dirlo neanche per scherzo. Non tutti avrebbero il coraggio di fare ciò che tu stai facendo. Ma io non posso approvare≫, rimasi sorpresa.

≪Cerca di capirmi≫, continuò, ≪io ti voglio bene come a una figlia e non posso tollerare che tu faccia qualcosa che ti rende così infelice≫.

Chinai il capo. Dita fredde mi sollevarono il mento.

≪Benché io non approvi, sono con te, dalla tua parte. Se un giorno tu dovessi avere bisogno di qualcosa, di qualunque cosa noi siamo qui. Ci saremo sempre per te, ormai fai parte della famiglia≫.

≪Lo so≫, le dissi, sollevando leggermente gli angoli della mai bocca.

≪Naturalmente questo è reciproco. Avrò un certo potere tra un po’, potrò almeno sfruttarlo per dar sollievo alle persone che amo≫, continuai.

Alice ed Esme si lanciarono uno sguardo pieno d’angoscia. Poi gli occhi di Alice si fecero vitrei, lontani. Un secondo dopo stava scuotendo la testa di ritorno al presente. Non ci badai: se fosse stato qualcosa d’importante me lo avrebbe detto. I miei pensieri convergevano interamente sulle parole di Esme. Era per questo motivo che Edward mi evitava? Era troppo legato a me per sopportare l’inevitabile giungere del mio destino? Legato più di quanto entrambi avremmo mai immaginato?

≪Bella, tesoro≫, la voce melodiosa di Alice mi riscosse dai miei pensieri. ≪Perché non usciamo questa sera?≫.

≪Alice ha ragione, ti farebbe bene≫, intervenne Esme.

Come resistere alle loro espressioni imploranti!

≪Non so se...≫.

≪Oh, ti prego...≫, implorò Alice.

≪E comunque, dove andremmo?≫.

≪In realtà, dovresti lasciarmi il beneficio del dubbio, dopo l’ultima volta≫.

Sorrisi, intendendo immediatamente a cosa si riferisse: la nostra prima pazza uscita a fare shopping.

≪Ma se ci pensi puoi indovinarlo benissimo da sola≫, disse in fine.

Riflettei sulle sue parole. Conoscendo Alice doveva trattarsi di qualcosa inerente a feste o vestiti, impiegai poco per comprendere quale fosse il grande evento a Forks, quella sera. ≪Il ballo di fine anno≫.

≪Sì≫, trillò il piccolo folletto.

Le scompigliai i capelli, sconvolta all’idea che sarebbe giunto il momento in cui non avrei più potuto udire la sua voce.

Quel pensiero scatenò un’ondata improvvisa di nostalgia. Non ero affatto dell’umore adatto per una festa, ma vedevo chiaramente l’eccitazione soffocata negli occhi di Alice. Come negarle qualsiasi cosa. Perché no! Sarebbe stato un buon modo di dire addio ai miei amici umani. E forse, m’illudevo che una banale festa tra ragazzi avrebbe potuto distrarmi dalla sofferenza che sentivo nel mio cuore. Se avessi messo da parte tutto il resto, forse, sarei riuscita a godere un po’ del sole prima che giungesse la tempesta.

≪Penso che possiate avere ragione, ma non vi garantisco un eccesso di buon umore. Ho una strana sensazione, sento qualcosa incombere. Mi fido troppo delle mie percezioni ultimamente, per non esserne terrorizzata≫.

******

≪Allora, cos’ha detto?≫, chiesi ad Alice, fingendo un’indifferenza che non avevo.

La ragazza alzò un sopracciglio, per nulla convinta del tono della mia voce, ma poi si aprì in un lieve sorriso di comprensione.

≪Non è dell’umore adatto. E poi lui non ha mai partecipato a queste cose, balli di fine anno, feste. Non quando non siamo noi ad organizzarle≫.

Rosalie sbuffò, volteggiando davanti allo specchio con in mano un bellissimo abito color argento.

≪Non avendo nessuno al suo fianco, non partecipa a feste in cui si dovrebbe andare in coppia. Edward è un tipo solitario≫.

Scossi la testa, lo sapevo bene.

Non mi ero permessa di sperare, quando Alice aveva annunciato che avrebbe chiesto ad Edward di unirsi a noi. Né io, né lui eravamo amanti delle feste. La solitudine non era un problema per noi, ci avevamo convissuto troppo a lungo per sentirne ancora il peso sulle spalle e sul cuore. L’unica compagnia che preferivamo alla solitudine era quella l’uno dell’altra. Un tempo era stato così. Ma, nonostante non avessi osato immaginare come sarebbe stato ballare tra le sue braccia, la delusione si abbatté su di me e il mio umore peggiorò ancora, se possibile.

≪Oh, avanti, niente broncio. Hai già scelto il tuo vestito?≫.

≪Prima tu≫, dissi.

Alice alzò gi occhi al cielo e, un sorriso raggiante sulle labbra, sparì per poi ritornare con i mano un meraviglioso abito blu. Me lo illustrò con dovizia di dettagli, mentre io annuivo, la mente altrove.

≪E’ bellissimo≫, le dissi sinceramente.

≪Non tentare di tergiversare, fammi vedere cos’hai qui! Se non troviamo nulla di appropriato te ne presterò uno dei miei, ma tu verrai a questo ballo≫.

 I suoi occhi fiammeggiarono di convinzione per un attimo, poi il suo volto assunse un’espressione indaffarata e le sue abili mani presero a catalogare i miei abiti da cerimonia che Athenodora aveva infilato in valigia. L’espressione di Alice era indecifrabile mentre leggeva le marche dei miei abiti, unici nel loro genere.

≪Sono edizioni uniche, c’è l’imbarazzo della scelta. Oh, sono bellissimi≫.

Continuò così per un paio di minuti prima di riprendersi e tentare di decidere quale fosse il più adatto.

≪Questo≫, esordì in fine.

Presi tra le mani l’abito che aveva scelto, mi fidavo ciecamente del parere della mia amica. Non ricordavo di possedere un abito del genere, ma d’altronde, Athenodora riforniva il mio guardaroba giornalmente, avevo smesso da un pezzo di fare l’inventario. Trovavo sciocco possedere tutti quegli abiti, quando non potevo metterli per uscire a fare una passeggiata. Ma adesso rimasi affascinata dalla bellezza e dalla femminilità del vestito tra le mie mani.

≪Indossalo≫, ordinò, ≪io intanto cerco un paio di scarpe da abbinarci e mi vesto≫.

≪Agli ordini≫, scherzai, mimando il saluto militare.

Alice annuì e sparì in un batter di ciglia. Indossai l’abito, attenta a non rovinare i mie boccoli, accuratamente acconciati da Alice e Rosalie e attesi il ritorno del mio uragano preferito. Nel frattempo Rosalie aveva appena infilato il suo abito: le donava alla perfezione, naturalmente. I suoi occhi dorati brillavo, illuminati da un ombretto che faceva al paio con il vestito e con le scarpe. Alice e Rosalie avevano commentato che il mio volto possedeva una radiosità particolare e che ogni tipo di prodotto per la pelle sarebbe stato inutile. Ma Alice, naturalmente, aveva dovuto metter mano, se non altro alla zona occhi, come l’aveva chiamata lei. Quando ritornò nella stanza teneva in mano un paio di tacchi color argento, con un tacco vertiginoso. Le infilai, allacciando il cinturino delicato alla mia caviglia, sempre più certa che la mia era stata una pessima idea.

Quando io, Alice e Rosalie scendemmo al piano di sotto, percepì immediatamente che Edward non era in casa, bensì nel giardino dietro l’abitazione.

La tentazione di raggiungerlo era tremendamente forte. Non prestai attenzione ai commenti di Emmet e Jasper quando videro le loro meravigliose compagne. Mi sentivo irrequieta. Fremevo dal desiderio di vedere Edward. Le parole di Alice mi ritornarono alla mente.

≪Vuoi davvero che finisca in questo modo, Bella?≫.

No, no che non lo volevo, ma avevo altra scelta. Se lo avessi rivisto, avrei sopportato mi dicesse che mi odiava? Che non voleva più avere nulla a che fare con me?

≪Tesoro, sei bellissima≫, sentì le braccia di Esme circondarmi.

≪Oh, la mia bambina≫.

Sembrava sul punto di piangere, la strinsi dolcemente a me. Quando sciogliemmo l’abbraccio ci sorridemmo a vicenda.

≪Esme ha ragione: sei meravigliosa”, disse Carlisle, con la sua voce morbida e delicata, abbagliandomi con un sorriso.

Alice mi si avvicinò e mi cinse le spalle, sorridendomi.

≪Vedrai, ti divertirai tanto. Il ballo di fine anno è un esperienza importante≫.

≪Come lo shopping?≫.

≪Come lo shopping≫.

I ragazzi ci fecero accomodare in auto e ci lasciammo alle spalle la grande casa. L’immagine che conservai fu quella di Carlsile ed Esme, teneramente abbracciati. Prima di sparire lanciai un veloce sguardo al giardino dietro casa, ma non vidi nulla. Non c’era nulla da vedere.

Alice e Rosalie iniziarono uno sproloquio senza sosta sul ballo, coinvolgendo i loro compagni. L’unica cosa che afferrai fu che c’era di mezzo una scommessa. Non feci altro che scrutare il cielo buio fuori dal finestrino. Emmet e Jasper aiutarono le loro compagne a scendere dall’auto e poi aprirono la mia portiera. Ed entrambi afferrarono una delle mie mani.

 Entrammo insieme dalla porta della palestra. Io ero al centro della nostra fila, tra Emmet e Jasper. I ragazzi pagarono i biglietti per farci entrare, mentre noi ci guardavamo intorno. La palestra era stata addobbata con una marea di palloncini color blu e argento. Le luci erano soffuse e in pista c’erano già molte coppie che ballavano. In quel momento fui invasa da una consapevolezza spaventosa.

≪Alice!≫, la chiamai allarmata.

≪Cosa c’è≫.

≪Io avevo detto di no a Mike, Taylor ed Eric. Se mi vedranno qui, ci resteranno male≫.

≪Ops, è vero. Non pensarci≫, mi liquidò.

≪Certo, certo≫, brontolai.

Quando anche Jasper ed Emmet ci ebbero raggiunte ci mischiammo alla festa, non visti. O almeno così speravo.

≪Bella≫, urlò una voce familiare, eccitatissima. Lanciai un’occhiataccia ad Alice che rise sotto i baffi e mi voltai verso Mike. Gli altri si allontanarono mentre lui si avvicinava.

≪Alla fine sei venuta anche tu, sei sola?≫, chiese, corrugando le sopracciglia.

≪No, sono con i Cullen. Alla fine mi hanno convinto a venire≫.

≪Ottimo≫, sorrise.

≪Allora che ne dici... di ballare?≫.

Il suo imbarazzo mi faceva così tanta tenerezza che era impossibile dire di no.

≪D’accordo≫.

Mike rimase interdetto per un attimo, prima di riprendersi e trascinandomi sulla pista da ballo. Mi sentivo a disagio in quella situazione, con le braccia di Mike intorno alla mia vita.

≪Devo dire che sei... davvero bellissima≫, balbettò dopo un po’.

≪Grazie≫, sussurrai imbarazzata.

D’un tratto qualcuno picchiettò sulla spalla di Mike e quest’ultimo, gongolando, si voltò. Arretrò visibilmente spaventato, sovrastato dalla figura leonina di Jasper. L’espressione del mio inquietante fratello rimase impassibile, soltanto le sue labbra si mossero.

≪Posso?≫, chiese.

Mike non rispose, ancora troppo spaventato, si limitò a lasciarmi andare e ad allontanarsi barcollando. Lo vidi scuotere la testa e fare una terribile smorfia di disgusto. Io e Jasper ridemmo all’unisono, mentre mi prendeva tra le braccia e iniziavamo a volteggiare per la sala. Con Jasper era molto meno imbarazzante che con Mike e non soltanto perché lui era un ballerino decisamente migliore del mio amico umano. Noi ci conoscevamo per quello che eravamo realmente, avevamo anche alcuni tratti in comune e cosa più importante, ci legava un affetto sincero, quello tra fratello e sorella. Perché era questo che eravamo e lo saremmo stati sempre, anche quando il destino ci avesse condotti in luoghi diversi. Lo saremmo stati per sempre.

≪Sai, Bella, credo che non dovresti sentirti in colpa per come sono andate le cose≫.

Alzai il volto e fissai gli occhi dorati di Jasper.

≪Penso fosse inevitabile... La prima volta che ti abbiamo visto eri soltanto una bambina, molto, troppo coraggiosa. Adesso sei cresciuta, diventando una splendida giovane donna immortale. Ma per quanto riguarda coraggio e testardaggine, oh, quello non è cambiato. Quello che stai per fare, sinceramente, neanche io mi sento di approvarlo, ma posso capirti. So cosa significa avere dei superiori ed essere legati a loro, soprattutto quando con questi istauri un rapporto che va oltre quello ufficiale. So cosa significa non avere altra scelta e provare un legame profondo come quello che tu hai verso i signori di Volterra... ma capisco anche Edward. So cosa significa tenere a qualcuno e avere paura di perderlo. Non riesco neanche a immaginare, ora come ora, la mia vita senza Alice. Se fossi costretto tra una sua scelta e ciò che io desidero, dovrei comportarmi esattamente come mio fratello. Non potrei andare oltre quello che è il suo volere, ma saprei che starle accanto farebbe ancora più male, sia a me che a lei. Non avrei altra scelta Bella≫.

Rimanemmo in silenzio per alcuni secondi, poi la voce di Jasper cambiò d’intensità.

≪Ma se pensassi che la sua scelta è sbagliata, che le provoca dolore o una sofferenza paragonabile a quella che stai provando tu, non la lascerei andare; combatterei per lei≫.

I miei occhi si fecero lucidi, lo sconforto s’impossessò del mio cuore.

≪Tu faresti questo Jasper, ma Edward non ha intenzione di combattere; lui ha rinunciato≫.

Jasper si chinò vicino al mio orecchio e sussurrò: ≪Ne sei certa≫.

Così dicendo mi fece volteggiare, bloccandomi con una mano sulla spalla in direzione della porta della palestra.

Fu in quel momento che lo vidi.

Il debole riflesso della luce che illuminava la pista da ballo era sufficiente a far risplendere il suo volto e il fisico statuario, fasciato da un completo scuro di giacca e pantaloni, senza cravatta e con la camicia un po’ sgualcita di chi si è vestito in gran fretta. Nessuno prestò attenzione alla sua entrata silenziosa. Rimaneva immobile, come soltanto un vampiro può fare, davanti all’entrata della palestra. I suoi occhi scrutavano il mio volto come se lo vedessero per la prima volta, come se fosse la cosa più bella e preziosa di questo mondo. Le labbra erano socchiuse in un’espressione di puro stupore e il volto contratto tradiva una grande emozione. Immediatamente il sangue colorò le mie guance. Non c’erano parole per descrivere le emozioni che sconvolsero il mio cuore, il quale, naturalmente, prese a battere all’impazzata davanti all’unico uomo degno di questo nome. Come poteva farmi provare simili sensazioni semplicemente con la sua presenza? In quel momento, persa nel suo sguardo dorato e profondo, capì che non avrei mai potuto tornare indietro. Non c’erano modi per evitare quello che era successo tra noi. Ciò che ci legava era eterno e indissolubile, più forte di qualsiasi altra cosa. Non era amicizia, né fratellanza, né qualsiasi altro legame che non comprendesse una devozione assoluta, un desiderio crescente e palpitante, una felicità smisurata. Amore, ecco cosa ci legava. Ma ancora mi sembrava troppo poco per descrivere il nostro essere l’una per l’alto. E mentre la consapevolezza di ciò che il mio cuore aveva sempre saputo si svelava ai miei occhi, Edward iniziò ad avanzare nella mia direzione. Non mi accorsi dell’assenza di Jasper al mio fianco. Non c’era più niente, soltanto lui, soltanto Edward, solamente il mio amore. Quella sera osservavo il suo incedere elegante con occhi diversi, nuovi. E poi si fermò, a pochi centimetri da me, e io potei ammirare il suo volto bellissimo come non facevo da troppo tempo. Mi soffermai sui suoi lineamenti squadrati, sulle sue labbra disegnate, sui suoi occhi meravigliosi, di un oro intenso e profondo: lo specchio perfetto per la sua anima candida. Anche Edward mi guardava negli occhi, ammirava il mio volto con uno sguardo che non riconoscevo, simile a quello dei  Quileute, pieno di un’antica devozione, lo stesso che Sam riservava ad Emily, solo e soltanto a lei, ma era molto, molto più intenso. Come se avesse potuto vivere solamente di me, con me, per me. Come se ogni altra cosa a questo mondo avesse potuto passare in secondo piano. Riconoscevo il suo sguardo, altrimenti indecifrabile, perché vi vedevo le stesse emozioni del mio cuore. La mia mano cercò il suo volto e il sollievo fu qualcosa di nuovo e assolutamente potente quando la pelle fredda come ghiaccio della sua guancia entrò in contratto con il mio palmo. Una scossa percorse entrambi e ci ritrovammo ancora una volta occhi negli occhi, cioccolato e oro insieme, una combinazione perfetta. Edward avanzò di un passo, pochissimi centimetri ci separavano, adesso. Le mani di Edward si chiusero a coppa sulle mie guancie e io mi poggiai ai palmi delle sue mani. Una sua mano carezzava la mia guancia, il profilo del mio volto, l’altra stringeva la mia vita sottile, fasciata da un abito elegante e delicato come una seconda pelle. Edward posò la sua fronte dal’alabastro contro la mia. Potevo quasi sfiorare, con il mio, la punta del suo naso. Il suo respiro fresco mi faceva girare la testa: lo sentivo sulle labbra. Soltanto una volta ci eravamo permessi tanta vicinanza, ma sapevo che, ora, nessuno ci avrebbe interrotti. Non c’erano conseguenze, né il futuro, né il passato. L’unica cosa che contava erano le sue labbra straordinariamente vicine alle mie. Non mi ero mai sentita tanto bene in tutta la vita. Sapevo di essere parte della nostra piccola bolla privata, in cui mi sentivo protetta e al sicuro, completa. La sua mano scivolò dietro la mia nuca, tra i miei capelli e mi attirò a sé con dolcezza. E infine le sue labbra furono sulle mie, freddo marmo su petali fragili e caldi. Il mio cuore scoppiò nel mio petto tanta era la gioia. Ancora una volta non trovavo parole in grado di descrivere il mio stato d’animo. Le sue labbra si muovevano dolcemente sulle mie, in un bacio dapprima dolce e delicato, ma che pian, piano perse ogni traccia di pudore e contegno. Il nostro non era un semplice bacio, ma un modo per sancire ciò che provavamo l’uno per l’altro. Perché non c’erano parole che potessero riassumere il modo disperato in cui ci amavamo, c’erano soltanto gesti, dal più breve sguardo, al più significativo contatto. Avevamo imparato ad amarci giorno dopo giorno, durante tutto il tempo trascorso insieme. Ma, mentre la sua lingua s’insinuava nella mia bocca, capivo che il nostro amore non era nato, bensì era sempre stato lì, fin dal primo incontro a Volterra. Ora rivedevo l’amore nei miei gesti, nei miei sguardi a quello strano ragazzo dalla volontà impressionante. Perché ora sapevo cosa significava amare qualcuno e dipendere totalmente dall’amore che quest’ultimo può darti. Non m’importava più di niente che non fosse Edward, le sue labbra sulle mie, il suo respiro nella mia bocca. Non m’importava delle coppie che ballavano alle nostre spalle, né dei nostri fratelli che probabilmente si stavano gustando la scena, né del luogo, né del tempo. Ad occhi chiusi mi godevo quel momento. Ritornai alla realtà soltanto quando sentì le labbra di Edward abbandonare la mia bocca. Lo sentì indugiare sulle mie labbra e poi allontanarsi definitivamente. Aprì gli occhi sul suo volto, entrambi i nostri respiri erano accelerati. Il mio cuore batteva violentemente. Edward carezzò ancora il mio volto, le mie guance rosse, mentre i nostri occhi s’incatenavano.

≪Ciao≫, sussurrai con un finto tono disinvolto.

Edward sorrise.

≪Ciao≫, mormorò con la sua voce dolce e bassa, morbida come velluto.

E quel suono perfetto mi scaldò il cuore come non aveva mai fatto prima. Mi sentì improvvisamente molto in imbarazzo e abbassai lo sguardo dal suo volto. I miei occhi caddero sul colletto sgualcito della sua camicia chiara, di solito sempre così impeccabile. Sorrisi e portai le mie mani sul colletto, sfiorando di tanto in tanto la pelle del suo collo, nel tentativo di aggiustare quel disastro.

≪Hai dimenticato di guardarti allo specchio prima di uscire di casa?≫, chiesi balbettando.

Le dita di Edward mi sollevarono il mento e fu una sorpresa ritrovare il suo volto così vicino al mio.

≪Andavo un po’ di fretta, in effetti, mormorò sulla mia bocca, prima di scontrare ancora le sue labbra con le mie: il suo sguardo bruciava≫.

Strinsi le braccia al suo collo, mentre le sue mi attiravano a sé per la vita. Sorrisi sulle sue labbra, mentre avvertivo la sua bocca spostarsi sulla mia guancia e poi sul collo, finché non ci ritrovammo stretti l’una all’altro. Sentivo il suo respiro gonfiare i miei capelli.

≪Ti amo≫, mormorò sul mio collo e il mondo smise completamente di girare.

Tutto ciò che era stato importante in precedenza perse ogni significato. Adesso ogni cosa girava interamente intorno al vampiro meraviglioso che stringevo tra le braccia. Posai le labbra nell’incavo del suo collo e mormorai con tutto l’amore che provavo per lui: ≪Ti amo anch’io. Tanto, tantissimo≫, aggiunsi.

≪Più della mia stessa vita≫, dicemmo all’unisono e un sorriso rischiarò il mio volto, mentre incrociavo lo sguardo di Edward, che aveva sciolto l’abbraccio e mi teneva per la vita. Posava una mano sul mio fianco e compresi che ci stavamo muovendo a tempo di musica.

≪Stiamo ballando≫, lo rimproverai.

≪Mi sembrava proprio il caso, principessa, visto che siamo a un ballo≫.

Principessa: non mi chiamava così da tanto tempo. Lo sentì posare un bacio tra i miei capelli e annusare il mio profumo.

≪Sei bellissima stasera. Lo sei sempre, soprattutto quando dormi≫, disse, facendomi volteggiare e lanciandomi uno sguardo malizioso.

Arrossì immediatamente al ricordo delle due diverse circostante in cui era stato nella mi stanza, mentre io vagavo nel mondo onirico. Sospirai ritornando tra le sue braccia. Ci fu un lungo momento di silenzio, mentre la canzone giungeva la termine.

≪Edward, perché hai deciso di venire, alla fine?≫.

La mia voce era bassa, ma la mia tristezza era udibile. Edward prese il mio volto tra le mani, costringendomi a fissarlo. Mi guardò a lungo, poi mormorò: ≪Ti va di venire con me? Dobbiamo parlare≫.

Annuì, conscia che era il momento di chiarire ogni cosa. Edward mi prese per mano e insieme ci dirigemmo all’uscita della palestra, lasciandoci alle spalle la festa. Incrociai lo sguardo di Alice, raggiante, e di Jasper che mi fece l’occhiolino, il modo perfetto per concludere la nostra conversazione interrotta. Sentivo nel profondo del mio cuore che l’arrivo di Edward era il suo modo di dirmi che lui avrebbe combattuto per me.

≪Andiamo a piedi?≫, chiesi, quando vidi che ci allontanavamo dal parcheggio.

≪Non voglio lasciare i miei fratelli senza auto e io sono arrivato di corsa, perciò≫.

≪Sai≫, disse, continuando, ≪ho trovato questo vestito sul mio letto. Ho l’impressione di sapere chi sia l’artefice di tutto questo≫.

≪Alice≫, dicemmo all’unisono.

La nostra piccola, dolce sorellina veggente. Almeno riuscì a spiegarmi perché teneva così tanto che io partecipassi a questo ballo. Sorrisi. Quando fummo lontani dall’edificio scolastico, nel bosco, Edward mi prese tra le braccia, posò un bacio sulla mia fronte e iniziò a correre. Non avevo idea di dove stessimo andando, forse tornavamo semplicemente a casa, o stavamo per prendere il mare e non fare più ritorno, non m’importava. L’unica cosa veramente importante era Edward, le sue braccia sotto di me, il respiro regolare nonostante la corsa. Avevo corso altre volte sulle spalle o tra le braccia di Edward, ma non avevo mai percepito i muscoli delle sue braccia e la sua stessa postura così sciolta e rilassata. Come se fosse tanto leggero da poter volare. O almeno, io mi sentivo così. Quando riconobbi, con l’ausilio della mia vista migliore, la foresta che delimitava la proprietà dei Cullen e lo vidi evitare spontaneamente il sentiero quasi invisibile intuì che la nostra meta non era la casa e la curiosità s’impossessò di me.

≪Dove stiamo andando?≫, gli chiesi.

≪Vedrai, ti piacerà, ne sono certo≫, fu l’unica cosa che disse.

≪Fammi indovinare è una sorpresa≫, intuì.

Edward si limitò a sorridere come un angelo e ad affondare il volto nel mio collo. Mi sfuggì una risata di gioia e Edward sembrò rimanere incantato da quel suono, perché mi fissò a lungo con adorazione. Quando d’un tratto Edward si fermò sussultai, spaventata dall’improvvisa immobilità. Edward posò un bacio sulla mia guancia e mi lasciò scendere e per la prima volta mi guardai intorno. Eravamo nel fitto della foresta, ma, a sorpresa, tra alberi e muschio vidi chiaramente era una casetta in pietra, piccola e graziosa. Ai lati vi erano delle rose rampicanti. Edward rise della mia espressione sbalordita. ≪Ti piace? E’ casa mia. Esme ne ha costruita una per Alice e Jasper, ed Emmet e Rosalie, perché potessero rimanere un po’ soli. E naturalmente ne ha fatta una anche a me, per i momenti in cui era la solitudine la compagna che cercavo. E per lasciare un po’ di privacy alle coppiette più calorose ed espansive di casa. Le sono grato per questo≫.

Edward mi si avvicinò e prese il mio volto tra le mani.

≪Ma adesso voglio condividerla con te, e poi non c’è nessuno nel raggio di parecchi metri e un buon posto per parlare≫.

Con quelle parole Edward mi trascinò dentro casa, tenendomi stretta a se. L’interno della piccola abitazione era splendido, come appariva. Il pavimento era un patchwork di pietre levigate e il soffitto era basso, attraversato da lunghe travi. L’arredamento era eterogeneo ma armonioso. C’era una libreria piena zeppa di libri e CD, all’angolo c’era un caminetto in pietra e un piccolo corridoio che conduceva ad altre stanze.

≪Bella, non è vero?≫.

≪Edward, è meravigliosa. Esme è un architetto eccezionale≫.

≪Sa che a me piacciono le cose semplici. Ha aggiunto alcuni quadri che prima erano in casa, i miei preferiti. Ma d’altronde è mia madre, è ovvio che conosca i miei gusti≫.

Gli lanciai un’occhiata e un sorriso, immensamente affascinata dalla casa, ma il suo volto mi distrasse da qualsiasi altra cosa. Edward mi sorrise e mi prese per mano, trascinandomi sul divano del salotto. Mi fece accomodare in braccio a lui, dopo che mi fui tolta le scarpe decisamente troppo scomode ed ebbi sciolto i capelli, lasciandoli liberi di ricadere sulle mie spalle, con l’approvazione di Edward e rimanemmo in silenzio a guardarci. Non mi sarei mai stancata di fissare il suo volto; ero certa di conoscerlo alla perfezione, ormai. Avrei voluto prolungare quel momento all’infinito, ma sapevo che prima o poi avremmo dovuto parlare, di noi due e nient’altro. Nient’altro contava. C’era una cosa importantissima che dovevo dire prima di qualsiasi altra. Presi un profondo respiro e mormorai: ≪Mi dispiace≫.

Edward mi fissò stupito, confuso.

≪Perché ti stai scusando?≫, chiese, carezzando una mia guancia.

≪Per questo≫, indicai noi due, dolcemente abbracciati sul divano.

≪Per non aver previsto una cosa del genere. Per esserti rimasta affianco. Per avere preteso la tua presenza, anche quando era chiaro che ciò avrebbe fatto soltanto del male a entrambi. Per averti mentito e fatto soffrire, per...≫.

Edward bloccò il mio sproloquio impazzito di scuse posando un dito sulle mie labbra.

≪Non devi scusarti Bella. Non devi farlo mai. Non ho alcun ripensamento. Non mi pento di esserti stato accanto. Anche se tu mi avessi respinto, io non avrei obbedito. Ci s’innamora in due, Bella! Ma se proprio vuoi scusarti, fallo per essere così meravigliosa. Perché se tu non fissi... tu, io non mi sarei mai innamorato così perdutamente, principessa≫.

Sorrisi inevitabilmente, davanti alla sua espressione costernata.

≪Mi dispiace≫, dissi con aria colpevole.

≪Così va meglio≫, acconsentì.

≪Ma dimmi, adesso sono curiosa, quando ti saresti perdutamente innamorato di questa meravigliosa creatura?≫, chiesi, per punzecchiarlo un po’.

Edward sorrise e affondò il volto nel mio collo, lasciandovi una scia di piccoli baci. All’improvviso lo sentì ribaltare le nostre posizioni e mi ritrovai schiacciata tra il suo corpo marmoreo e perfetto e la superficie morbida del divano. Si poggiò con un gomito al sofà bianco per non pesarmi addosso e avvicinò le labbra alle mie, per un piccolo dolce bacio. Risi ancora mentre le sue mani mi carezzavano una guancia e i capelli. Era impossibile resistere allo sguardo pieno di adorazione di Edward.

≪Sei bellissima quando ridi, meravigliosa≫.

Sorrisi imbarazzata. Era ancora così strano sentire Edward esprimere i suoi sentimenti per me.

≪Non hai ancora risposto alla mia domanda≫, gli feci notare, ancora in imbarazzo.

 Edward sorrise e posò un bacio sulla mia guancia.

≪Non c’è un momento preciso, penso di averlo sempre saputo, dalla prima volta che ti ho visto a Volterra e non sto parlando di qualche mese fa, ma di sedici anni orsono, quando eri ancora una bambina. Dopo aver lasciato Volterra, in pace, grazie al tuo intervento tempestivo≫, Edward mi lanciò un sorriso dolcissimo, ≪non ho mai smesso di pensarti, di pensare a quella bambina bellissima... e triste≫.

Il mio amore posò un bacio sulla mia fronte, con fare protettivo.

≪Ogni tanto capitava che tu ritornassi a spuntare tra i miei pensieri. Da quando Alice ci disse che a breve sarebbe arrivato l’invito di Aro, poi, non ho più smesso di pensare a te. Sono state due settimane lunghissime. Chissà perché, ero certo di ritrovare quella meravigliosa, adorabile bambina... e invece mi sbagliavo. La bambina era cresciuta. Non so spiegarti come mi sentì quando ti vidi varcare la soglia della porta, di fianco ai tre signori di Volterra. Dio! Eri la cosa più bella che avessi mai visto in tutta la mia lunga vita, e, quando incrociasti il mio sguardo e riconobbi i tuoi occhi persi ogni bricioli di razionalità e di lucidità. Non riuscivo a vedere oltre  il tuo volto. E in più, ero confuso dalle emozioni che sentivo nascere dentro di me. Erano talmente forti e intense da confondere persino Jasper, l’unico, oltre me, ad aver notato il cambiamento≫.

Sorrise, per qualcosa che non capivo e poi continuò.

≪Naturalmente tentai di leggerti nella mente, ma fu inutile. Eri un vero mistero per me. Un bellissimo, meraviglioso misero... E poi Jane ci ha scortati in quella camera, dicendoci che Aro aveva necessità di parlare con noi. Aro è bravo a nascondermi i suoi pensieri, perciò non hai idea di che sorpresa sia stata per me sapere che saresti potuta venire via con noi≫.

Edward chinò il capo, come se fosse in imbarazzo.

≪Carlisle tiene molto alla mia opinione, soprattutto grazie alle informazioni in più che la mente altrui può darmi. Naturalmente confermai i suoi sospetti: non sarebbe stato saggio dire di no ai Volturi, ma non ero imparziale. Consigliai a Carlisle di accettare, con troppa enfasi forse≫.

Rise ancora al ricordo.

≪E la mia vita è cambiata, da quel giorno≫. Gli carezzai il volto, conscia del fatto che la situazione era nuova per entrambi.

≪Non sei stato l’unico a sentirsi strano, te lo assicuro. Ti ho già detto che la tua volontà, con la quale sono talmente in sintonia che potrei percepirla a miglia di distanza, è una delle più forti che abbia mai sentito in tutta la mia vita. Be’, è stato questo che ha catturato la mia attenzione, all’inizio. Era raro che io avessi torto su qualcosa, forse era giusto che fossi tu il primo a smentirmi. Non pensavo che potesse esistere qualcuno come te, Jasper o Carlisle. Pensavo che si trattasse soltanto di sentirsi in errore, ma ora so che non era così. Mi ci è voluto un po’ per capire che ti amavo: è cambiato tutto troppo in fretta. L’amore è un sentimento che non avevo mai preso in considerazione per me stessa. Soltanto oggi ho pienamente realizzato che è quello che ci unisce, anche se mi sembra ancora troppo poco. Come può una sola parola sintetizzare tutto ciò che sento in questo momento? Mi sento scoppiare, quasi sopraffatta. E’ assurdo. Non ci sono parole≫.

Edward prese il mio volto tra le mani, nei suoi occhi una scintilla che non riuscì a comprendere, ma che rese il suo sguardo molto più intenso di quanto non fosse mai stato e poi le sue labbra incontrarono le mie per la terza volta in quella meravigliosa serata. Fu un bacio lungo, adorante e passionale, che cresceva d’intensità ad ogni battito del mio cuore. Le labbra di Edward si staccarono dalle mie soltanto per concedermi di riprendere fiato e in quel frangente i miei occhi incrociarono i suoi.

≪Lasciai che io te lo dimostri≫, sussurrò, con il respiro accelerato.

 Il significato delle sue parole penetrò nella mia mente e il mio cuore prese a battere all’impazzata, il mio volto andò in fiamme e il mio respiro accelerò. La mia mente non riusciva più a formulare un pensiero coerente. L’unica cosa a cui ero in grado di pensare era il desiderio devastante che provavo per lui. Non c’era nulla che potesse catturare la mia attenzione in quel momento, se non il volto meraviglioso di Edward a pochi centimetri dal mio, il suo corpo freddo e perfetto sopra il mio. Sapevo che Edward stava attendendo un mio consenso, mi guardava come se... mi desiderasse, come se fossi fragile e preziosa e non una macchina da guerra, con tanto amore e tanta dolcezza, senza alcuna fretta, come se la mia felicità fosse la cosa più importante. Come se fosse la sua priorità. Ma io sapevo cosa mi avrebbe reso felice: appartenergli, spontaneamente e per amore. Perché non c’era nessuno di cui mi fidassi più che di Edward, perché quando ero con lui mi sentivo al sicuro. Perché non c’era sensazione più bella che stare tra le sue braccia. Per tutte queste ragioni avvicinai il mio volto al suo e pretesi le sue labbra perfette. Edward restituì il bacio, intravedendo nel mio gesto il consenso di cui aveva bisogno. Le sue braccia mi legarono a sé con un gesto deciso ma gentile e in un istante mi ritrovai avvinghiata al suo corpo. Edward mi sollevò tra le braccia senza interrompere il bacio e in un battito di ciglia fummo in una stanza diversa di cui non notai assolutamente nulla, se non il grande letto su cui Edward mi adagiò dolcemente.

Quando quella stessa notte mi accasciai, stanca ma appagata, tra le braccia di Edward capì di aver raggiunto l’apice della felicità. Mi bastava ripescare a caso uno dei ricordi appena vissuti per accertarmene. Sorrisi, mentre sentivo la dolce seta delle lenzuola scivolare dolcemente sulla mia schiena. Sempre a prendersi cura di me, il mio amore. Strinsi forte i suoi fianchi con le mie braccia e posai il capo sul suo petto. Amare Edward era una sensazione indescrivibile. A parte le emozioni che soltanto lui sapeva farmi provare, c’era qualcosa in più, che andava oltre il desiderio e la possessività che ci legavano. Lo sentivo parte di me e non soltanto per l’atto in sé di amarsi. Grazie al mio dono sentivo la forza della sua volontà penetrare nella mia mente e legarmi a lui come se fossimo una cosa sola: una sola volontà. Non sapevo quanto tempo fosse passato, ore, un intero giorno, non m’importava. Avrei voluto voltare il capo e osservare l’espressione di Edward, ma ero troppo stanca per muovere anche soltanto un muscolo, troppo felice per spostarmi. Perciò chiusi gli occhi, cullata dalla dolce consapevolezza della notte appena trascorsa.

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Capitolo 14
*** Segreto ***


Buon pomeriggio! Scusate per il ritardo, ma il capitolo non riusciva a convincermi e per un po' l'ho messo da parte. Oggi però mi sono detta che avrei dovuto correggerlo e postarlo e con la forza di volontà ci sono riuscita. Il capitolo non è esageratamente lungo ma neanche breve. E' un pov Edward come ho già detto e, visto che ancora non è stata inventata una forza maggiore della bomba atomica, non saprei come altro descriverlo, forse come l'esplosione di una supernova. Un grazie come sempre va a chi ha recensito e chi continua ad aggiungermi tra i seguiti, i preferiti e i ricordati. Questo capitolo lo dedio a tutte voi lettrici. Recensite e ditemi cosa ne pensate, ho bisogno delle vostre parole per avere la certezza di aver fatto un buon lavoro. Grazie in anticipo<3 Spero che il cap vi piaccia, armatevi di fazzoletti e di forconi, io porto le fiaccole... XD

12 maggio 1918, in un ospedale qualsiasi di Chicago

≪Dovreste riposare, Elisabeth. In tempi simili non è saggio pretendere troppo da noi stessi≫.

Nonostante il tono appena udibile con il quale il dottor Cullen le si rivolse, Elisabeth non poté evitare di sussultare e sobbalzare sulla sedia che occupava dalla notte precedente. Aveva smesso di preoccuparsi del tempo e del suo incedere costante, l’unica cosa che ancora le dava una percezione dello spazio erano i respiri che, a fatica, il giovane Edward tossiva tra le labbra serrate, ma era certa che fosse l’alba. Come a darle ragione, timidi raggi di luce le colpirono la pelle candida delle guance e i capelli color del bronzo.

≪Potrei dire la stesa cosa di voi, Carlisle. Siete sempre l’ultimo ad andare via e il primo a ritornare. Non riposate abbastanza, eppure insistete nel convincermi che dovrei prendermi più cura di me stessa, senza che poi seguiate il vostro stesso consiglio≫, era stata la risposta di Elisabeth.

Carlisle sorrise alla donna esausta, che non aveva staccato lo sguardo dal volto livido del figlio neanche per il tempo di un battito di ciglia. Dietro la facciata, in realtà, il dottor Cullen temeva che la risposta sarcastica e sagace della donna nascondesse una conoscenza maggiore di quanto volesse lasciare intendere sulla sua natura.

≪Questo è il mio lavoro≫, rispose, senza traccia d’incertezza nella voce. ≪Quando ho scelto la medicina sapevo a cosa andavo incontro e, ancora oggi, non mi pento di quella scelta≫.

Il dottore era stanco delle menzogne, ma ad Elisabeth non aveva detto una vera e propria bugia. La medicina era la sua vita.

≪E questo è il mio lavoro, Carlisle≫, disse lei, accarezzando dolcemente la fronte del figlio con un panno bagnato.

Il dottore sospirò, sapendo che la sua sarebbe stata una battaglia persa in partenza. Anche lui si avvicinò al giovane sofferente nel letto. La maggior parte degli altri infetti dormiva, sfinita dalla battaglia contro il morbo. Edward aveva difficoltà a riposare e anche per questo motivo peggiorava di giorno in giorno. La temperatura era stabile, benché fosse alta e la tosse continua lo spossava. Mentre giaceva su un fianco, una smorfia gli segnava il bel volto, segno che i dolori lombari non era ancora passati.

Il contatto con il consueto gelo della pelle del dottore alleviò leggermente la sofferenza per il calore che Edward sentiva in corpo. Il suo volto si distese e sospirò.

Carlisle avrebbe trascorso ore con la mano sulla sua fronte, se ciò fosse stato possibile, purché il ragazzo riposasse. Il suo nome si udì tra le voci sempre più alte di altri colleghi che stavano cercando di lenire una crisi respiratoria. Perciò fu costretto ad allontanarsi e a lasciare il ragazzo nella mani della madre, che sostituì immediatamente alla sua mano un altro panno bagnato. La differenza tra le due temperature disturbò il giovane che biascicò il nome di Carlisle.

≪Torna presto, cerca di riposare≫, lo incitò la madre.

Elisabeth era una donna molto intelligente e certamente non le era sfuggita l’insolita temperatura gelida del dottore, ma non era neanche una donna superficiale e poteva dire di conoscere abbastanza Carlisle da sapere quanto fosse altruista il suo cuore e finché la sua presenza avesse giovato al figlio non le sarebbe dispiaciuto averlo a fianco. La mancanza del marito era un peso che le opprimeva il petto e la parte di lei più egoista sperava nella morte, perché una vita senza di lui era inconcepibile, ma non avrebbe mai permesso che il figlio la seguisse.

Edward aprì i grandi occhi verdi color smeraldo e puntò il volto della madre. Erano legati in modo viscerale e perciò riconobbe immediatamente la malinconia che le oscurò lo sguardo.

≪Mio padre vi manca≫, sussurrò tra un colpo di tosse e l’altro.

La donna si limitò a chinare il capo.

≪Manca anche a me≫, continuò il giovane.

Edward senior ed Edward junior erano legati da qualcosa che andava ben oltre il nome e la parentela. Le loro idee, la caparbietà e l’intelligenza con la quale valutavano ogni gesto per poi seguire il proprio istinto erano i veri lacci che li legavano.

 La donna sentì che quello era il momento di strappare al figlio una promessa. Prese le sue mani tra le proprie, sfregandole nel tentativo di dargli conforto.

≪Edward≫, iniziò, ≪devi promettermi che sari un uomo come lo è stato tuo padre. Devi promettermi che farai da te e in modo onesto la tua fortuna, che non mollerai mai la vita, perché ha i tuoi occhi e il tuo nome... Quando la malattia sarà vinta e la guerra sarà finita rifletterai su cosa è davvero importante e quando l’avrai capito userai il coraggio e la forza che ti caratterizzano per conquistarli e non lasciarli andare. Siano essi una donna, un mestiere o entrambi≫.

Elisabeth attendeva con impazienza un cenno d’assenzio da parte del figlio. Per molti uomini le parole non contavano quanto un’arma o un foglio scritto, ma per il padre di Edward la parola data era il mezzo più onorevole per assicurare qualcosa e aveva tramandato questa idea al figlio fin da piccolo. Per questo motivo Elisabeth era certa che Edward non avrebbe mai disonorato la propria parola e che fosse, perciò, il modo migliore per avere una sicurezza, quella promessa.

Il ragazzo annuì: ≪Lo prometto, madre≫.

Quelle parole, nonostante la voce rauca e debole, furono pronunciate con determinazione e non con leggerezza. Neanche Edward aveva dimenticato i valori che il padre gli aveva insegnato e in cui lui credeva fermamente. Sapeva perfettamente di averlo deluso decidendo di andare in guerra...

Dopo poco il giovane si assopì.

Quando Carlisle fu di ritorno trovò così il ragazzo e la madre decisamente più serena.

L’odore di sangue catturò la sua attenzione.

Si voltò nel momento stesso in cui Elisabeth fissava lo sguardo sulla propria mano insanguinata, prima che un altro colpo di tosse le sconvolgesse il petto...   

27 giungo 2010, casa Cullen, mattina

Quella notte, tra le braccia della donna che amavo, avevo lasciato che ricordi di una vita umana passata e poi di un’esistenza come essere immortale e immutabile mi cullassero, nell’attesa del suo risveglio. Pensando a lei la mia mente aveva ripescato un ricordo da una mattina di decenni fa. Sarebbe stato un giorno come gli altri, trascorso in attesa della morte, se non fosse stato per le parole di mia padre e la promessa di rivalutare le miei priorità. Elisabeth mi aveva chiesto di essere l’uomo che era stato mio padre e di imparare a combattere per le cose che avrei considerato importanti. Forse memore di quella promessa avevo raccolto l’abito posto sul mio letto e avevo corso, tanto veloce quanto le gambe me lo permettevano, diretto al mio ballo di fine anno...

Ora ero consapevole, che, seppur inconsciamente, avevo sempre fatto in modo di rispettare la promessa fatta a mia madre. Avevo scelto di essere un Cullen, cosciente di ciò che fosse davvero importante per me, oltre all’affetto che provavo per Carlisle ed Esme. Eppure, non ero ancora riuscito a capire cosa fosse fondamentale, prima di incontrare Isabella. Senza che me ne accorgessi era diventata la mia priorità. Non ero certo del momento esatto in cui avessi perso la ragione, se fosse successo quel giorno a Volterra o nel momento in cui la vidi china su un libro consunto, prima che alzasse il volto e incrociasse i miei occhi, ma era successo. Potevo affermare che Isabella fosse la mia unica benedizione e la mia dannazione eterna, il mio angelo e la mia tentazione, la mia coscienza e il mio istinto. Per tutte queste ragioni, la realizzazione che non sarebbe mai potuta essere mia, perché già promessa ad un altro uomo, mi aveva sconvolto a tal punto da credere che fosse meglio rinunciare a lei. Perché se l’avessi avuta e poi persa non sarei sopravvissuto.

Era stato Carlsile, mio padre e mentore, a farmi capire che l’amassi. La notte precedente al compleanno di Esme aveva bussato alla porta della sua stanza, in cui io attendevo che la sua pelle riacquistasse colore prima di poter prendere fiato, e aveva sorriso. Io avevo alzato il capo e incrociato i suoi occhi, in cui vidi riflesso il mio volto, e avevo sorriso anch’io a quell’immagine. Avevo lasciato che l’angoscia sparisse, sostituita da una risata bassa e silenziosa. Avevo scosso la testa, come a scacciare quell’improvviso senso di ilarità e poi avevo alzato gli occhi e fissato il suo volto sospirando, questa volta. Carlisle si era limitato a una pacca sulla spalla prima di uscire e richiudersi la porta alle spalle, lasciandomi solo con la mia consapevolezza.

Le scostai una ciocca dal volto e carezzai delicatamente la piccola cicatrice che le segnava la spalla destra, segno di un taglio profondo. Bella parlava raramente della sua vita a Volterra, ma, anche se non l’avessi conosciuta così bene, avrei notato la strana luce che le accendeva lo sguardo, pensando ai vampiri Italiani.

I suoi occhi, che non avevano perso la loro innocenza e determinazione di bambina nascondevano mille volte tanti più segreti di quanti avrei potuto immaginare. Era una creatura straordinaria e per questo motivo non potevo biasimare chiunque ne rimanesse affascinato, che fossero i nostri compagni di scuola o il tale Jacob Black, grazie al quale avevo riscoperto la mia sopita sete di sangue...

La mia gelosia non era, al momento, la nostra prima preoccupazione. Avevo rifiutato di pensare a ciò che ci attendeva per tutto il giorno precedente, ma il fantasma del distacco incombeva su di noi. L’idea di ricevere la compassione di Aro, nel caso in cui gli avessimo illustrato la situazione, era fuori discussione. L’idea di combattere era altrettanto difficile da portare a termine: avremmo pagato tutti con la morte. Se l’unica possibilità era che Bella ritornasse semplicemente a Volterra perché lei e la mia famiglia avessero salva la vita, io cos’avrei fatto? Come potevo pensare di abbandonare Bella ad un destino del genere? L’idea che fosse costretta a sposare un uomo che non amava e a dividere con lui l’eternità, senza il sopraggiungere inevitabile della morte che le alleviasse le pene... non era concepibile.

****************

Dopo essermi rivestito le lascia un bacio sulla fronte e mi diressi al piano di sotto. La mia famiglia aveva fatto ritorno dalla caccia della notte precedente e i pensieri scandalosi e chiassosi di mio fratello Emmet rimbalzavano nella mia mente come una pallina da ping-pong. Naturalmente non aveva perso tempo a scommettere sulla mia vita sessuale con Jasper.

Quando fui in cucina mi avvicinai ad Esme che stava preparando la colazione per Bella, le diedi un bacio sulla guancia e dissi: ≪Lascia, faccio io≫.

Esme mi sorrise e mi scompigliò i capelli prima di dirigersi al piano di sopra.

≪Eh allora, Edward≫, cominciò Emmet.

Alzai gli occhi al cielo per la prevedibilità di mio fratello.

≪Io e Jasper abbiamo fatto una scommessa, ma ci serve il tuo aiuto per risolvere la questione≫.

≪Non prendere neanche in considerazione l’idea di andare di sopra o mi vedrei costretto a staccarti gli arti inferiori e a darti in pasto a Rosalie≫, lo minacciai.

Emmet proruppe in una sonora risata ed io in un ringhio che fece vibrare le fondamenta della casa.

 ≪Allora ci dirai tu quello che vogliamo sapere, fratellino?≫.

≪No Emmet, la stanza e ancora in piedi. Non abbiamo rotto niente≫, mormorai, già consapevole che Emmet l’avrebbe avuta comunque vinta, alla fine.

Jasper ghignò e tese la mano a nostro fratello.

≪Dammi le chiavi della Jeep≫, lo spronò.

≪Edward≫, strepitò Emmet, ≪un secolo di verginità e neanche un misero cassetto fuori posto≫.

Tirò fuori dalla tasca le chiavi della sua adorata jeep. Immaginavo che non me l’avrebbe mai perdonata e inoltre, ferito nell’orgoglio di uomo, aggiunsi:  ≪Qui è tutto in piedi... nella casa nel bosco c’è un piccolo buco sulla parete, nulla di rilevante≫.

Emmet ghignò e ciondolò le chiavi della jeep davanti alla faccia di Jasper prima di rimettersele in tasca. I due si lanciarono in un’agguerrita riconsiderazione della scommessa. Jasper sosteneva che il loro accordo si limitava alla grande casa, mentre Emmet dichiarava che non avevano mai detto una cosa del genere e che perciò la scommessa era valida. Sorrisi mentre mi prodigavo a preparare le omelette. Nonostante sapessi che Bella non amava mangiare molto di mattina, ero convinto che le avrebbe fatto piacere e che dopo la notte precedente avrebbe avuto fame... Sorrisi al ricordo e per poco non rovinai tutto il lavoro che avevo fatto. Decisi di dirigere i pensieri su sentieri meno... stimolanti. Rosalie stava osservando i due litiganti, sbuffando di tanto in tanto. Alice gironzolava per casa, con sguardo assente e i pensieri lontani. A un certo punto si accorse che la stavo fissando e si avvicinò a me sorridendo, con il suo passo elegante ed aggraziato. Tra tutti i miei familiari lei era la più felice, insieme ad Esme, dell’amore tra me e Bella. Adorava colei sulla quale era ricaduta la mia scelta. Le si era affezionata fin da quando l’aveva tenuta in braccio, sedici anni prima. Mi sorrise e iniziò a preparare la spremuta per Bella. Era sempre stato così tra di noi: non avevamo bisogno di parole per comunicare.

Sei felice, Edward, pensò, volteggiandomi a fianco.

Le sorrisi, ma il mio sguardo si fece cupo d’improvviso.

Alice capì e corrugò le piccole labbra in una smorfia.

Anche io sono preoccupata. Non c’è minuto che passi in cui non cerchi di vedere una possibile soluzione del nostro... problema. Il tuo futuro è incerto e le mie visioni sono di conseguenza nulle, la cosa è terribilmente frustrante, ma non lascerò che finisca così, tentò di rassicurarmi.

Le cinsi le spalle minute con un braccio.

≪So che fai del tuo meglio≫, le dissi, posandole un bacio sui capelli corvini, ≪troverò una soluzione≫.

La stanza si era fatta improvvisamente silenziosa. Alice parlò ad alta voce.

≪Da qualche giorno ho lampi di visioni incomprensibili. Qualcosa è cambiato nel momento in cui tu hai saputo la verità da Bella, ma non capisco cosa e perché sia  così rilevante. Perché le cose non sono semplicemente cambiate nel momento in cui io e Rosalie siamo venute a conoscenza della verità? Perché tu?≫

≪Forse è la mia incertezza che ti impedisce di vedere chiaramente≫, dissi.

≪O quella di Bella≫, sussurrò lei, in tono talmente basso che pensai di aver capito male.

Alice si riscosse dai pensieri e rispose alla mia affermazione.

≪Cosa intendi?≫ chiese.

≪So ciò che vorrei, Alice, ma non so come ottenerlo senza che finisca in un bagno di sangue. Se dipendesse da me, mi limiterei a trasferirmi nei pressi di Volterra per l’eternità, ma come potrei permettere a Bella di compiere una scelta che le porterà tanto dolore? Ho paura per lei≫.

 ≪Anch’io≫.

≪E’ un bel guaio≫, commentò Jasper ed Alice si staccò da me per andare tra le sue braccia.

≪Anche se combattessimo contro i Volturi non ne usciremmo mai vivi≫, continuò.

≪Se Bella si schierasse dalla nostra parte...≫, rimuginò Emmet.

≪No≫, ringhiai. ≪Non voglio costringerla a lottare contro persone a cui lei vuole bene. Emmet, sono la sua famiglia≫.

≪Stupidaggini, noi siamo la sua famiglia≫, m’imbeccò Rosalie.

Alice si scostò da Jasper e si avvicinò alla vetrata. La sua voce risuonò chiara e cristallina.

≪Ma è cresciuta con loro, Rosalie. Hai visto anche tu, a Volterra, l’affetto che la circonda. Ricorda Felix. Non credo di aver mai visto quel vampiro tanto vicino ad un essere umano, se non per ucciderlo, naturalmente≫.

≪Ciò non vuol dire che siano la sua famiglia. Il loro affetto è gelido come una lastra di ghiaccio. Non le daranno mai ciò che noi le diamo≫.

Le parole di Rosalie furono, per qualche strana ragione, l’innesco di una bomba ad orologeria. Nello stesso istante in cui le pronunciò, nella mente di Alice un’immagine prese forma e dimensione.

Si trattava senza dubbio di una quartiere umano e benestante.

Il sole alto nel cielo ci costringeva ad indossare i cappucci delle felpe, in modo tale da proteggere il volto, ma avevamo chiara la visuale. Spiccammo un balzo silenzioso ed aggraziato dal grosso ramo di un alto albero, atterrando sul tetto di un abitazione. Per chilometri si stendevano una serie di villette dai muri bianchi e i tetti marroni, ad entrambi i lati della strada. Alice indicò, con un dito lungo e sottile della sua mano, una delle case sul lato a est della via e il sorriso sulle sue labbra fu l’immagine con la quale entrambi ritornammo al presente.

Fissai immediatamente lo sguardo negli occhi di mia sorella, ancora abnormemente spalancati a causa della premonizione. Nessuno dei due immaginava cosa potesse celarsi all’interno dell’apparentemente innocua abitazione.

≪Alice...≫,sussurrai.

Mia sorella scosse la testa.

≪Non so cosa significhi, Edward≫, rispose lei.

 ≪Dobbiamo andare?≫, le chiesi.

≪Penso... di sì. Non so dirti perché, ma credo sia quello che stiamo cercando. Lo sento≫.

Annuì: mi fidavo delle percezioni di Alice più di quanto facessi con me stesso. Eppure, l’incertezza si fece largo nella mia mente. Non riuscivo ad immaginare come potesse esserci d’aiuto raggiungere quella casa, per di più in pieno giorno, rischiando di essere scoperti. Notando la mia incertezza Alice prese immediatamente il controllo della situazione e mi riscosse dalla mia immobilità.

≪Edward, lascia un biglietto a Bella: dobbiamo partire subito. Ho l’impressione che la nostra meta non sia dietro l’angolo. Io nel frattempo cercherò l’indirizzo della casa, conoscere la via mi sarà utile in questo caso... comunque sono certa che si trovi da qualche parte a sud. Prenderemo la Mercedes, i finestrini oscurati ci saranno d’aiuto≫.

Annuì con un gesto secco del capo e sparì di sopra.

Infilai un po’ di soldi in uno zaino e scrissi un biglietto a Bella. Nel salutarla sentì un fitta acuta al cuore. Odiavo l’idea di doverla lasciare, senza sapere per quanto tempo non l’avrei rivista. Non potevo portarla con me, perché non sapevo incontro a cosa stessimo andando. E sapevo che, se l’avessi svegliata, non avrei avuto la forza di lasciarla. Non se mi avesse implorato con lo sguardo di rimanere con lei. Chiusi la porta della mia camera e mi diressi alla stanza di Bella.

Appena entrai il suo profumo mi riempì le narici; stava dormendo sodo, non si sarebbe accorta di nulla. Sorrisi e mi avvicinai al letto. Era così bella. Carezzai la pelle rosea e calda della sua guancia e mi ritrovai a sperare come non avevo mai fatto in vita mia. Speravo che questo viaggio non fosse inutile. Speravo che avremmo trovato una soluzione, qualunque essa fosse. Speravo in un futuro che avrebbe compreso me e Bella insieme. Perché sapevo che lei sarebbe stata l’unica, per l’eternità, comunque fosse andata. Posai un bacio sulla sua fronte a mi avviai alla porta. Prima di uscire lanciai un ultimo sguardo al suo volto e corrugai la fronte e le sopracciglia. Era strano e spaventoso il modo in cui mi appariva il suo viso da lontano. Era più bello di qualsiasi altra cosa avessi mai visto prima d’allora, troppo bello. Era una figura eterea ed evanescente, lontana e irraggiungibile. Uscì dalla stanza, scosso mio malgrado da quei pensieri tutt’altro che rassicuranti. Presi un lungo respiro e ritornai in salotto. Tutta la famiglia era riunita intorno ad Alice. Mancavano soltanto Carlisle ed Emmet all’appello. Il primo era già in ospedale, il secondo si trovava in garage, probabilmente stava prendendo l’auto. Avrei voluto poter salutare mio padre, chiedere un suo consiglio, ma non c’era tempo. Alice era inquieta, scrutava nel futuro senza riuscire a vedere ciò che ci aspettava, ma aveva l’indirizzo. Jasper le teneva la mano, tentando di alleggerire la tensione che si era creata intorno a noi, ma lui stesso era preoccupato.

≪Andiamo?≫, le chiesi.

Alice si riscosse e tornò al presente, annuendo vigorosamente.

≪Potrei venire con voi, Alice?≫, la implorò Jasper.

≪No, devi rimanere qui. Non ti ho visto con noi. E poi, non so cosa ci sia dietro Jasper, ti prego≫.

I due si guardarono a lungo. Non avevano bisogno del mio dono, per indovinare i pensieri dell’altro. Alla fine Jasper sospirò e si fece da parte.

Esme mi si avvicinò.

≪Non chiami Bella?≫, chiese.

≪E’ meglio lasciarla dormire. Non riuscirei a salutarla≫, ammisi sospirando.

Esme mi abbracciò e poi stritolò Alice, carezzandole dolcemente i capelli.

≪Mi raccomando, fate attenzione≫.

Entrambi sorridemmo, nel tentativo di rassicurarla e ci lanciammo un’occhiata complice. In un batter di ciglia fummo in garage e poi sull’auto. Gettai sul sedile posteriore lo zaino e mi misi al volante della Mercedes.

≪Dove?≫, le chiesi.

Arizona, Phoenix, pensò.

Schiacciai l’acceleratore e l’auto ringhiò ferocemente, per poi lanciarsi, al massimo della velocità consentita dallo stesso mezzo, sulla strada che ci avrebbe condotto alla nostra meta, per quanto incerta fosse.  

Il nostro viaggio fu apparentemente silenzioso, ma io ed Alice non avevamo bisogno di parlare per esprimere i nostri sentimenti, le nostre preoccupazione e le nostre gioie. E ciò non dipendeva dal fatto che io fossi in grado di leggere nel pensiero e lei di vedere nel futuro. Eravamo fratello e sorella, anche se biologicamente parlando non avevamo nulla in comune. L’affetto che ci legava era sincero. Per quanto amassi Rosalie, nonostante tutte le sue paranoie e il suo modo di fare, non avrebbe mai potuto prendere il posto di Alice nel mio cuore. Fin da quando era entrata come un uragano nella mia vita e in quella di tutti gli altri, si era guadagnata il mio affetto e la mia stima. Noi due, nella nostra stranezza, potevamo risultare arroganti  anche a quelli della nostra specie, ma eravamo uniti. E adesso mi stava aiutando nella più importante battaglia della mia vita. Avrebbe lottato per me e per Bella con tutte le sue forze. Noi costituivamo la famiglia di cui lei non aveva ricordo. Non mi stupì che i suoi pensieri fossero in accordo con i miei. Stava ripensando alla nostra prima conversazione, se tale si poteva definire, e alla mia espressione di ritorno dalla caccia, dopo aver trovato tutte le mie cose in garage. Ripensava alla prima occasione in cui dovemmo utilizzare entrambe le nostre capacità, presente e futuro, per aiutare la nostra famiglia: avevamo subito trovato una sintonia. Le sorrisi, senza preoccuparmi di guardare avanti. Se Bella fosse stata con me, mi avrebbe certamente sgridato. Sospirai di frustrazione ed Alice mi strinse il braccio.

Vedrai che andrà tutto bene, Edward. Voi due siete fatti per stare insieme. L’ho capito fin da subito. E non ho bisogno di vedere il futuro per esserne certa.

Le scompiglia i capelli.

≪Cosa credi che troveremo una volta arrivati?≫, chiesi.

Non lo so, ma non penso che ci attendino dei pericolo. E non parlo soltanto perché ha l’aria di essere un posto innocuo. Sono le mie sensazioni a guidarmi, più che la visione. Ed è strano, non è mai successo. Non che non abbia mai avuto delle percezione, ma non sono mai state così forti. Credo che sia importante ciò che stiamo per fare, di qualunque cosa si tratti.

Nei pensieri di Alice, oltre ad impazienza, c’erano anche fiducia, sicurezza e tranquillità. Non era affatto turbata. Non l’avevo mai vista così fiduciosa di una sua visione, nonostante avesse previsto eventi in modo molto più dettagliato.

≪Mi fido di te≫, le dissi semplicemente.

≪Scommetto tutte le mie scarpe che andrà bene≫.

Risi sonoramente.

≪Allora devo crederci≫.

Alice mi rispose con una linguaccia che diede il via ad altre risate.

La luce abbagliante dell’Arizona non riusciva a penetrare dai finestrini oscurati della nostra auto. Alice indossò i suoi costosi occhiali da sole, dei guanti e un foulard. Forse avrei dovuto pensare di portare un cappello o qualcosa del genero. Mi sarei dovuto accontentare di un paio di occhiali scuri.

Svolta su quella strada, pensò Alice, ≪è un quartiere di periferia.

≪Credi che il sole sarà un problema?≫, le chiesi.

Alice chiuse gli occhi per un attimo, in cerca.

≪Non credo. E’ il crepuscolo ormai. Semmai, aspetteremo≫.

Annuì, nonostante l’idea di stare con le mani in mano mi rendesse ansioso. 

≪Puoi parcheggiare qui, non è molto distante. Proseguiremo a piedi≫, esordì Alice dopo qualche minuto.

La zona era deserta, ma poco più in là percepivo dei pensieri, tutti diversi l’uno dall’altro; rispecchiavano la quotidianità degli abitanti del quartiere. Parcheggiai in uno spiazzo vuoto, vicino ad alte mura. Io ed Alice riuscimmo ad infilarci tra gli alberi, scalando le mura in mattoni. Avevamo una strada precisa da percorrere, benché non fossimo mai stati in quel posto, sapevamo come muoverci. Per un attimo la mia concentrazione fu attirata dal pensiero di Bella. Ero triste all’idea di essermi perso il suo risveglio.

≪Edward≫, la voce di Alice mi ridestò dai miei pensieri.

≪Siamo arrivati≫, annunciò.

Io ed Alice scalammo le mura e spiccammo un salto lungo abbastanza da attraversare il giardino di una delle case e atterrare dolcemente sul tetto. C’era ancora abbastanza luce perché qualcuno notasse la nostra presenza, ma noi eravamo degli esperti nell’arte del sottrarsi alla vista altrui. Cautamente scendemmo dal tetto balzando sulla strada ed Alice indicò, come nella sua visione, la casa con il numero 112 sulla facciata principale.

≪Come procediamo?≫, le chiesi.

Alice alzò le sopracciglia e fece spallucce, come se fosse ovvio.

≪Bussiamo alla porta≫.

La guardai con diffidenza e scetticismo.

≪Stai scherzando mi auguro≫.

≪Affatto≫.

Alice si allontanò da me e danzò con grazia fino alla villetta. Strabuzzai gli occhi e rimasi interdetto per due secondi, prima di andarle dietro.

≪Alice, ragiona. Cosa diremo agli abitanti della casa, dopo aver bussato alla porta?≫.

Alice non mi diede ascolto e proseguì spedita.

≪Finiremo con il camuffarci da venditori porta a porta≫, borbottai.

Analizzai i pensieri nella casa, due voci mentali, un maschio e una femmina, intuì: dei semplici umani. Alice aveva avuto ragione: non c’erano pericoli.

Cosa senti?, pensò.

≪Sono umani≫, risposi.

Già!. Questo la preoccupava: aveva sperato in qualcosa di diverso.

Qualcuno che sapesse della nostra esistenza e di quella dei prescelti: che appartenesse al nostro mondo. Nonostante tutto non abbandonò la sua idea di bussare alla porta come se fossimo dei vecchi amici in visita. Decisi di fidarmi di lei. Alice stava sperimentando delle nuove e strane percezioni, di cui si fidava totalmente, senza sapere pienamente il perché. Quando fummo davanti alla porta d’ingresso ci lanciammo un’occhiata preoccupata. Alice sospirò e bussò dolcemente. Nonostante sapessi che si trattava di semplici umani non abbassai la guardia e mi portai di fianco a mia sorella con fare protettivo.

Chi sarà, pensò la donna. Sentimmo dei passi leggerI e poi... la porta si aprì.

Davanti a noi, una donna dai grandi occhi castani, ci fissava attonita. I suoi pensieri erano confusi tanto che non avrebbe potuto articolare un pensiero coerente. Inizialmente, pensai che fosse affascinata dalla bellezza di cui tanto ci vantavano gli umani, ma d’un tratto corrugò le sopracciglia e guardò alle nostre spalle, come a controllare che nessuno ci avesse visto, poi si fece da parte e disse: ≪Entrate, prima che il sole smascheri la vostra vera natura≫. 

******************

La mia mente urlò domande.

Chi era quella donna? Era davvero a conoscenza del mondo degli immortali? Come? Si poteva attribuire il merito alla sua fervida immaginazione? E soprattutto, perché non sembrava avere paura di noi? Dalla sua mente percepivo la grandezza della sua angoscia, ma non per i motivi più ovvi. Sembrava quasi che ci stesse aspettando. Aveva qualcosa da dire e noi l’avremmo ascoltata. Posai una mano sulla spalla di Alice, confusa quanto me, ma anche compiaciuta, e la spinsi dolcemente dentro casa. L’abitazione era accogliente come appariva all’esterno, dipinta con colori caldi e arredata con gusto e mobili antichi.

Siamo nel posto giusto, Edward, pensò Alice.

Annui impercettibilmente, ma gli lanciai un’occhiata eloquente. Alice si sforzò di non alzare gli occhi al cielo.

So cosa ti stai chiedendo: il posto giusto per cosa?Abbi fiducia, Edward.

 Lanciai uno sguardo al soffitto e poi al pavimento, solo Alice poteva capire che le stavo dando la mia fiducia, come sempre. Quando la donna si rivolse nuovamente a noi ci stavamo ancora guardando. Fissò i suoi grandi occhi prima sul mio volto, poi su quello di mia sorella, poi con un gesto della mano c’indicò il salotto.

≪Prego, accomodatevi≫.

Alice s’incamminò nell’altra stanza, con me al fianco e la donna alle nostre spalle. Non mi sentivo a mio agio in quella circostanza, a differenza di mia sorella. La donna era molto acuta. Aveva intuito la conversazione silenziosa che era avvenuta tra me ed Alice e si chiedeva se io e mia sorella fossimo dotati di qualche potere supplementare come leggere nel pensiero.  E stava perciò tentando di proteggere la sua mente dalla mia intrusione, facendo trapelare poco o niente di ciò che m’interessava. Si chiedeva il perché dei nostri occhi dorati, dando il merito alle lenti a contatto. Quando fummo in salotto, prima che chiunque di noi potesse dire qualsiasi cosa, un uomo in divisa da poliziotto, con baffi e riccioluti capelli neri, fece capolino nella stanza.

≪Chi era?≫, chiese alla donna, prima di notare la nostra presenza.

Ci fissò senza parole per un interminabile minuto.

≪Venditori porta a porta?≫, chiese.

Se la situazione non fosse stata tragica avrei riso.

≪No≫, rispose semplicemente la donna, lanciando uno sguardo ricco di significati al marito.

Questo tornò nuovamente a fissarci, per poi dischiudere le labbra in una “oh”, di puro stupore e consapevolezza.

Si portò a fianco della donna, con fare protettivo e le lanciò uno sguardo eloquente. Nei suoi pensieri lessi confusione e paura. Anche lui era a conoscenza della nostra vera natura, come la moglie. Intuì dai suoi pensieri che era stata proprio lei a rivelargli della nostra esistenza, ma non aveva mai visto uno di noi prima d’allora, per questo motivo aveva avuto difficoltà a riconoscerci all’istante. Non aveva mai preso realmente coscienza del nostro mondo, evidentemente non così segreto, prima d’oggi.

La moglie era molto più consapevole e arguta di lui.

Entrambe le loro menti convergevano intorno ad un unico punto: il loro figlio. Un bambino di sette anni, Jeremy. Erano sollevati che non fosse in casa, ma a dormire da un amico. Per quanto lei sembrasse non temerci, il figlio era una questione a parte. La donna, Reneé, c’invitò a prendere posto sul divano bianco. Probabilmente in un tentativo di mostrarsi educata, benché fosse in realtà ostile nei nostri riguardi.

Mi sembri preoccupato, pensò Alice.

Le lanciai un’occhiata di sottecchi, annuendo leggermente.

Non sfuggì alla donna.

≪Rendeteci partecipi della vostra conversazione, signori. Cosa vi porta in Arizona? Di solito questo stato non è molto frequentato dai vampiri. E’ difficile che quelli della vostra specie escano durante le ora di luce. Cos’era così urgente da non poter attendere il calar delle tenebre?≫.

Lanciai un’occhiata ad Alice e lei acconsentì, quasi divertita dalla situazione. Mi rivolsi alla donna con il tono di voce che utilizzavo con gli umani, ma non sapevo che espressione avesse il mio volto. Guardavo quegli occhi castani e sentivo affiorare la speranza. Lei era forse la risposta che cercavo?

≪Il mio nome è Edward Cullen, signora, e lei è mia sorella adottiva, Alice≫.

La donna aggrottò le sopracciglia di fronte ai nostri legami di parentela.

≪Per cancellare ogni dubbio e rassicurarvi sulle nostre intenzioni vi dico fin da subito che noi siamo vampiri vegetariani≫.

Charlie e Renée si lanciarono uno sguardo confuso, attesi che avessero metabolizzato la cosa e continuai.

≪A differenza del resto dei nostri simili non ci nutriamo di sangue umano ma animale. Non siamo gli unici, in effetti. Gli altri cinque membri della nostra famiglia condividono il nostro stile di vita e nei pressi della nostra abitazione permanente c’è un altro clan come il nostro. L’unico motivo per cui siamo qui oggi è perché cerchiamo delle risposte≫.

≪E io e mia moglie come potremmo darti le risposte che cercate?≫, chiese Charlie.

Alice posò una mano sul mio braccio, desiderando di poter intervenire e io le lasciai la parola.

≪Come avete intuito da voi≫, trillò con la sua voce scampanellante, ≪io è mio fratello possediamo dei doni. Il mio potere consiste nella preveggenza: sono in grado di vedere il futuro. Non sono onnisciente e stare qui a studiare ogni sfaccettatura del mio dono richiederebbe troppo tempo, cosa di cui noi non disponiamo≫.

≪Cos’hai visto che ti ha condotto qui?≫, chiese la donna, nella sua mente tante congetture.

≪Ho visto la vostra casa e niente più. C’è un pericolo che incombe su di noi e speravamo di trovare qui la soluzione ai nostri problemi≫.

Alice fece un cenno nella mia direzione e continuai da dove aveva lasciato.

≪Il pericolo non è prettamente fisico, ma non perciò meno pericoloso. La persona che amo - so che potrebbe sembrarvi assurda l’idea che un vampiro possa provare questo sentimento, lo capirei- rischia di sposare un uomo per il quale non prova alcun sentimento e io non posso permetterlo. Perciò ho bisogno del vostro aiuto≫.

≪Mi dispiace≫, disse l’uomo, ≪ma noi non possiamo fare nulla per voi. Qualsiasi cosa la ragazza abbia visto, vi ha portati nel posto sbagliato≫.

Mi rifiutai di accettare e metabolizzare le sue parole, ma pian piano la veridicità di esse affondava nella mia mente. Cosa avrei dovuto aspettare da due umani, in fondo, nonostante questi fossero a conoscenza del nostro mondo? Abbassai il capo, soprafatto. Alice mi strinse una mano, nella sua mente due parole: ≪Abbi fiducia.

Reneé rifletteva su ciò che le avevamo detto, tentava di trovarvi un senso, ma non capiva. Non si aspettava questo. Sapeva che prima o poi qualcuno l’avrebbe trovata, o per ucciderla oppure per ricongiungersi con pezzi della sua vita...

≪Non state mentendo, siete davvero vegetariani?≫.

Alice annuì.

≪Nostro padre, il creatore dei miei fratelli, ha condotto tutti noi su questa strada. Lui è un ottimo medico. Noi cerchiamo soltanto di ritrovare un po’ di quell’umanità che abbiamo perso. I nostri occhi ne sono la prova. Non è un trucco≫.

La donna lanciò un altro sguardo al marito, ancora assorta nella mia espressione.

≪Vi crediamo, ma, come ha già detto mio marito,  non possiamo fare nulla per voi. Tu e la donna che ami siete vampiri, non potete fuggire?≫.

≪No, non possiamo≫, risposi.

≪I Volturi, di cui voi sarete certamente a conoscenza≫, dissi, i due annuirono e negli occhi della donna lampeggiò una luce nuova e inquietante, ≪sono la causa dei nostri problemi. La mia compagna è promessa ad Aro. Non ci lascerebbe mai liberi di amarci. Inoltre, lei è cresciuta con loro ed è legata ad essi da un profondo sentimento d’affetto≫.

Nella stanza calò il silenzio, poi la donna si soffermò su una delle mie parole in particolare, ricamandovi sopra più di quanti potessi immaginare.

≪Hai detto che è cresciuta, ma è un’immortale, intendevi forse in senso metaforico?≫.

Alice al mio fianco s’irrigidì. In tutto questo non avevamo ancora parlato loro di una cosa fondamentale: la natura di Bella.

≪Lei non è un’immortale come lo siamo noi≫.

≪Aro ha chiesto in moglie un essere umano?≫, chiese Reneé.

≪Lei non è neanche umana≫, proseguì Alice.

Qualcosa brillò negli occhi della donna e un’emozione riempì la sua mente e di riflesso la mia: speranza. Era già giunta alla conclusione cui noi volevamo portarla.

≪Cos’è la ragazza?≫, chiese, nonostante già sapesse la risposta.

≪Lei è l’ultima... dei prescelti≫, sussurrai.

Una mano della donna si levò dalla stretta del marito e corse alla sua bocca per lo stupore, gli occhi le si riempirono di lacrime e la mente tacque.

≪Isabella≫, mormorò, affondando il volto nel petto del marito che la strinse a se, stupito ed emozionato quanto lei.

Io ed Alice ci lanciammo uno sguardo sorpreso e lucido di consapevolezza.

Quando la donna si riprese a scostò il volto dall’abbraccio del marito fissò i suoi occhi nei miei e iniziò a subissarmi di domande, con una tale intensità e gioia da sorprendermi.

≪E’ viva? Sta bene? Dov’è? Perché non è con voi? Oh, ti prego parlami di lei!≫.

Sorrisi a Reneé e la rassicurai.

≪E’ viva e sta bene. E’ al sicuro con la nostra famiglia. Ho preferito non dirle del nostro viaggio perché non ero certo dei pericoli cui stavamo andando incontro≫.

Reneé tirò un respiro di sollievo.

≪Grazie al cielo≫, sussurrò.

Poi i suoi occhi si fissarono sul mio volto.

≪E’ lei la donna che adori così profondamente? La stessa che rischia di vivere un’eternità insieme ad un uomo che non ama?≫, chiese.

≪E’ lei≫, risposi.≪ La cosa che amo più di qualsiasi altra a questo mondo. La stessa per cui darei la mia vita. Credetemi, il mio amore è sincero≫, continuai.

Reneé sospirò e sorrise: mi credeva.

≪Lo leggo nei tuoi occhi. Ma dimmi ancora di lei≫, chiese, con la gioia di una bambina.

≪E’ una giovane donna splendida e meravigliosa: buona, bella e dotata≫.

≪Come potrebbe essere altrimenti≫, mormorò Reneé, con un sorriso sulle labbra.

≪Come fate a conoscerla?≫, le chiesi. Il sorriso della donna si allargò.

≪La conosco perché lei... è mia nipote≫.

Lo scatto della mascella di Alice che si spalancava risuonò immediatamente in seguito al mio. Quella rivelazione aveva lasciato entrambi interdetti. Reneé ridacchiò. Le ostilità erano state, ormai, totalmente messe a parte. Poi la sua espressione si fece seria e intuì che stava per parlare.

≪Dovete sapere, giovani Cullen, che vi fu un tempo in cui ogni creatura, mortale e immortale, aveva diritto alla vita. Non esistevano faide, né guerre, né litigi. La pace regnava sul creato e sugli uomini. Il mondo di cui vi sto narrando vive, oramai, soltanto nei ricordi dei pochi che ne hanno memoria. Per quanto non abbia avuto occasione di vivere personalmente quella realtà  non ho mai smesso di credere alla sua veridicità, dal momento in cui seppi che la mia vita non sarebbe mai stata come quella di un qualsiasi umano ignorante. Io avrei avuto la conoscenza di ciò che il mondo era realmente. Quello che agli umani viene insegnato e inculcato nella mente fin dalla culla non è che la superficie di ciò che ci circonda. Ripenso alle vecchie storie, tramandate da padre in figlio, e spero che un giorno il mio bambino possa vedere quel mondo; lo stesso che cerco nei miei sogni ed evito nei miei incubi. Non sono certa che voi siate consapevoli di ciò che è il realtà un prescelto e di ciò che costituisce. I normali esseri umani, nel loro modo ristretto di vedere la vita, si posizionano al capo della piramide di potere, senza sapere quanto siano in realtà lontani da esso. Sopra di noi, vivono nel mistero che ricopre la loro figura, gli immortali: vampiri, licantropi, mutaforma. Non dico che la morale di questi sia sempre eccellente, o che meritano il posto che occupano, ma in quanto a potere e pericolosità sono certamente superiori rispetto agli esseri umani. I vampiri, in particolar modo, hanno dato vita a molti dibattiti. Un tempo un vampiro era un essere umano, perciò mi chiedo: se gli umani ne avessero la possibilità, anche coloro che non mostrano alcun desiderio di supremazia sugli altri sarebbero clementi? La scoperta della vostra esistenza, cari Cullen, mi fa capire che il realtà il mondo non è diviso tra mortali e immortali, ma tra coloro che hanno rispetto per la vita altrui e coloro che la insabbiano senza ritegno. Sono fermamente convinta che ci sia sempre qualcosa di buono in ogni razza, umana e immortale. Eppure, come un’erbaccia in un giardino di bellissime rose, nessuna razza, per quanto forte essa sia, può evitare alla malvagità di penetrare e oscurare i colori sgargianti e i profumi di primavera. Naturalmente bisogna sempre tentare di rimanere estranei ed immuni all’influenza negativa, cercando di essere migliori di ciò che ci circonda. Ma alla fine anche l’animo più buono è costretto a lottare continuamente con una parte malvagia. Ogni specie... tranne loro.

Nei loro cuori non c’è malvagità, nelle loro intenzioni non ci sono secondi fini. Non incontrerete mai uno di loro capace di fare del male a qualcun altro senza poi soffrirne, che sia nel giusto o nel torto verso gli altri e se stesso, che abbia colpe o sia innocente. Loro, i prescelti, si trovano a capo della nostra piramide. Forse hanno a disposizione un simile potere perché sono gli unici esseri al mondo che non utilizzerebbero mai le loro conoscenze per ferire qualcun altro. Come per ogni altro essere vivente non si sa chi li abbia creati, se siano nati grazie all’evoluzione: opzione molto probabile... I prescelti, un tempo, si incenerivano al contatto con il sole, come dovrebbe succedere ad un vampiro, secondo i canoni comuni. La leggenda narra che il sole fosse geloso della loro bellezza e radiosità e per ripicca li avesse resi fragili al contatto con la sua luce. E probabile che, evolvendosi, abbiano sviluppato una protezione particolare...

L’epoca della pace non durò a lungo. Lentamente tra le razze si diffuse l’odio.  Le erbacce iniziarono a uccidere le belle rose. La causa di ciò non fu un singolo episodio, ma, come per ogni altra cosa, ci volle del tempo. Non appena qualcuno rompeva la pace, un altro chiedeva ai prescelti che questo venisse ucciso. Così dall’odio nacque altro odio. I prescelti erano sconvolti da quello che stava avvenendo. Come potevano, loro, uccidere qualcuno? Com’era possibile che venisse proposta una soluzione tanto drastica? Non giunsero in tempo ad una conclusione. Uccidere qualcuno andava contro la loro natura e ormai il danno era fatto: avrebbero dovuto distruggere tutti. Anche chi, all’inizio, aveva buone intensione ormai aveva perso la ragione. I prescelti furono gli unici a non essere contagiati dalla frenesia dei conflitti. L’odio non li costrinse mai ad odiare a loro volta≫.

Reneé fece una pausa, sospirò e poi continuò con la storia.

≪Con il sopraggiungere dalla nuova era i prescelti iniziarono a sparire. Maggiore era la forza e il numero delle persone infette da simili sentimenti barbari più loro si indebolivano.  Molti avevano dato la vita per impedire i vari scontri fino ad arrivare all’estinzione della loro razza. Durante gli anni che riguardano la nostra storia i prescelti ancora in circolazione erano quattro. Uno di loro, di cui non conosco il nome, viveva in Europa. All’età di cinquant’anni, nonostante ne dimostrasse soltanto diciotto, morì. Cinque decenni di vita erano un numero esorbitante, a quel tempo Oramai i prescelti avevano dimenticato il significato della vita eterna...

In Arizona viveva una donna, che insegnò tutto quello che sapeva alla figlia ormai adulta, prima di morire anch’ella. Elena era il nome della giovane, mia sorella, o per meglio dire, la mia sorellastra. Dovettero passare dieci anni dalla morte della madre di Elena prima che il padre, un umano, si risposasse. Amava tantissimo sua moglie, non l’avrebbe mai dimenticata. Nessuno avrebbe preso il suo posto nel suo cuore. Fu proprio Elena a convincere nostro padre a rifarsi una vita. Lei non invecchiava, perciò voleva che lui avesse qualcuno al suo fianco nel tempo che gli rimaneva da vivere. Fu così che conobbe mia madre, un’umana, e nacqui io. Crescendo, legai molto con mia sorella. Si prendeva cura di me come fossi sua figlia. Ho il ricordo di una giovane donna straordinariamente bella, un esempio di bontà e semplicità. I suoi occhi erano profondi come nascondessero tutte le verità dell’universo e perciò lucidi di saggezza. L’altruismo era un tratto dominante del suo carattere e non perché lo fosse per natura... Fu la mia guida e la mia sicurezza, la pace nei momenti di inquietudine e il sorriso nei momenti di sconforto. Era radiosa. Qualsiasi cosa entrasse in contatto con lei prendeva luce, per questo motivo non ho mai avuto paura del buio... Inoltre, era dotata di poteri straordinari, il ché era inusuale per la progenie di una coppia mista. Elena aveva affinato tutte le sue capacità: la preveggenza, la scelta di vita e di morte, il controllo della volontà... Venni così a conoscenza del vostro modo, come mia madre aveva fatto prima di me.

Un giorno d’inverno Elena incontrò Sebastian Williams, il quarto ed ultimo prescelto. Sebastian aveva vagato a lungo, senza mai incontrare nessuno come lui, a parte Elena. Il padre di Isabella era ancor più talentuoso della madre. Bella somigliava così tanto a lui, per la forma del volto e il colore dei capelli. Gli occhi e il carattere erano un’eredità della madre. Formarono una famiglia e si sposarono. Andarono ad abitare in una grande casa sul fiume. Vivevano in condizioni agiate e possedevano tutto ciò che avrebbero mai potuto desiderare, finché qualcuno non glielo strappò dalle mani≫.

Ero talmente estasiato dal racconto, dal pensiero di Elena e Sebastian, i genitori di Bella, da percepire a malapena la furia nella voce di Reneé.

≪Dopo nove mesi dal loro matrimonio nacque Isabella. Elena e Sebastian erano felicissimi. Amavano tantissimo la loro bambina. Sebastian intuì fin dai primi mesi della sua nascita che la figlia era dotata di un potere straordinario. E non poteva essere altrimenti con due genitori così talentuosi. La speranza iniziò ad affiorare nei loro cuori. Guardavano la loro bambina e vedevano la pace di quel mondo che ormai era soltanto un ricordo. Erano una famiglia perfetta. Trascorrevo tanto tempo con loro, a perdermi nelle moine e nei sorrisi della loro bambina. L’ho tenuta con me così tante volte, stringendola tra le mie braccia come se fosse mia figlia≫, la voce di Reneé s’incrinò e Charlie le massaggiò un braccio.

≪Sebastian vide qualcosa... e iniziò ad avere paura. Non capì in tempo il senso dei suoi presagi... quando vi riuscì era troppo tardi. I Volturi, la giustizia dei vampiri, li avevano trovati. Io ero là. Lo ricordo come se fosse ieri. Era un giorno di pioggia, il ché era raro nella terra assolata dell’Arizona. Erano in centinaia... Non sarebbero mai stati in grado di uccidere mia sorella e suo marito, altrimenti. Sebastian si portò davanti a me ed Elena, che teneva Bella tra le braccia. Gli chiesero di unirsi a loro, così che tra tutte le razze immortali fossero i vampiri a dominare. Fu un madornale errore. Nessuno dei due accettò. Il ricordo di quel momento ancora mi sconvolge... Sebastian lanciò uno sguardo ad Elena, prima di prenderla per mano. Soli contro la personificazione del male, i lori occhi fissarono quei volti bianchi uno ad uno e le loro voci si levarono nel silenzio di una landa di morte.

≪Non vi concederemo ciò per cui siete venuti. Per la vile sete di potere avete causato morti e pene, ingannando chi aveva fiducia nel vostro operato. Non avrete mai la nostra vita e la speranza che costituisce per ogni creatura di questo mondo≫, urlarono in tono perentorio, perché anche le fila più distanti potessero udirli.

Elena e Sebastian erano consapevoli della fine che li attendeva ed entrambi affrontarono la morte con coraggio, senza chinare il capo di fronte ad essa.

L’attacco fu fulmineo.

Elena mi urlò di fuggire e io corsi, il più velocemente possibile lontano dalla battaglia. Non mi affidò Bella perché sapeva che altrimenti mi avrebbero inseguito per uccidermi e prendere la bambina. Prima di fuggire, sentì Elena mormorare all’orecchio di Bella: ≪Ti amo bambina mia. La tua mamma ci sarà sempre. Ora tocca a te≫.

Probabilmente avrebbero vinto lo scontro, per cui poi avrebbero portato il lutto, ma decisero di dare la vita per quella della loro bambina... nella speranza che lei riuscisse un giorno là dove loro avevano fallito≫.

Il silenzio calò nella stanza. L’unico suono ancora percepibile erano i battiti dei cuori e i respiri di Reneé e Charlie. Un ringhio feroce vibrò nel mio petto e fece tremare il divano ed Alice, seduta al mio fianco, attonita. Entrambi eravamo giunti alle medesime conclusioni: i Volturi avevano mentito a Bella per diciotto anni, approfittando della fiducia che riponeva in loro.  

Fu Demetri, probabilmente,a guidare i Volturi fino ad Elena e Sebastian e, una volta uccisi loro,  rapirono Bella. La ragazza sarebbe cresciuta nella loro stima e non avrebbe mai dubitato della storia che loro avrebbero inventato. Con Bella dalla loro parte i vampiri avrebbero avuto la supremazia, i Volturi l’avrebbero avuta. Tremai convulsamente, sconvolto da una rabbia cieca e da un dolore lancinante al petto.

La consapevolezza dell’immensa sofferenza che lei aveva dovuto sopportare, tutta la malinconia, l’assenza di una famiglia che l’amasse per davvero, un futuro che la costringeva per sempre a fianco di un uomo spregevole e bugiardo, si riversò sulle mie spalle. Tutto a causa dei Volturi: era il mio pensiero costante. L’unica cosa di cui fossi realmente certo in quell’istante di pazzia.

Non avevo mai desiderato una vita con una tale intensità, neanche nel periodo più oscuro della mia esistenza, ma in quel momento ero certo che, se Aro fosse stato davanti a me, non avrei esitato a strappargli il cuore dal petto, così da fargli provare in minima parte lo stesso dolore che aveva inferto a Bella per anni.

≪Shh, Edward, Shh, tranquillo≫, tentò di rassicurarmi Alice, ma la sua voce mi giungeva lontana. “

≪Edward, c’è una speranza≫, sussurrò lei e la mia rabbia esplose.

≪Una speranza≫, ringhiai, inveendo contro di lei, nonostante sapessi che non lo meritava affatto. Avevo bisogno di sfogare la rabbia che sentivo in corpo e che rischiava di farmi impazzire.

≪Quello che hanno fatto a Bella è spregevole. Nessuno le restituirà una madre e un padre, nessuno la proteggerà dalla sofferenza che la verità le causerà. Non. C’è. Alcuna. Speranza≫, scandì bene le parole. ≪Pensi che conoscere la verità possa esserci d’aiuto? Sapere ciò di cui sono disposti i Volturi pur di averla per se in che modo risolverà i nostri problemi? Non c’è alcun futuro per noi o per lei. Non c’è speranza≫, dissi, terminando il mio pessimistico resoconto della situazione in un sussurro.

Alice lasciò che mi sfogassi, senza battere ciglio davanti alla mia rabbia. Quando fui calmo la mia sorellina mi strinse una mano tra le sue piccole dita.

≪Non mi hai lasciato finire, Edward. Rimani troppo accecato dalla rabbia per vedere ciò che vedo io≫.

≪Di cosa stai parlando?≫, le chiesi.

Alice lanciò uno sguardo a Reneé.

≪Mi hanno colpito le sue parole quando ha detto che i Volturi istigano la faida contro i licantropi. Perciò mi chiedo: le ragioni della guerra che si sta combattendo in Europa sono davvero quelle raccontate da Aro il giorno dell’Agorà?≫.

Aggrottai le sopracciglia.

≪Edward, pensaci. Se tutte le guerre che sono state fin ora combattute dalla nostra specie e dagli uomini-lupo avessero a che fare con i Volturi? Se fossero stati loro, fin dall’inizio, ad aizzarli contro di noi e viceversa? Basterebbe che noi ci schierassimo  dalla parte dei licantropi in guerra per...≫.

≪Se anche tu avessi ragione≫, la interruppi, ≪i licantropi saranno stati sterminati a questo punto. Dubito che la guerra fosse una menzogna. E’ troppo tardi per...≫.

Alice chinò il capo con un’espressione contrita nello sguardo dorato e celò i propri pensieri.

≪Cosa mi nascondi?≫.

Alice prese un lungo respiro e mi fissò negli occhi.

≪Non sapevo cosa significasse Edward e ho preferito non parlarne. Sentivo che doveva rimanere un segreto soltanto mio. Quella sera in cui Aro ci chiese di rimanere a Volterra ho visto...≫.

≪Cosa?≫, la incitai.

≪Ho visto un esercito, Edward. Un esercito di licantropi. Pensai immediatamente che si trattasse della guerra di cui aveva parlato Aro e ho continuato a cercare. Prima dell’alba ebbi un’ulteriore premonizione. Vidi nostro padre parlare con un uomo. E fin lì tutto bene, finché la luna non spuntò dalle nuvole e l’uomo si trasformò, la pelle divenne pelo e il volto e il corpo assunsero sembianze di lupo≫.

≪Perché non ne hai parlato?≫, le chiesi scioccato.

≪Non lo so. Ero certa che prima o poi lo avrei rivelato, quando fosse arrivato il momento. Edward, sai cosa significa? La guerra non è finita≫.

≪C’è una speranza≫, sussurrai.

Gli occhi pungevano delle lacrime che non potevo versare.

≪Se i Volturi stanno approfittando nella fiducia che i vampiri ripongono in loro, allora dobbiamo fermarli. Tutto questo va oltre l’amore tra te e Bella. Qualcosa sta per cambiare, Edward: lo sento. Il mondo degli immortali subirà un radicale mutamento, spetta a noi far si che le cose cambino in meglio≫.

*************

Io e Alice correvamo spediti verso l’auto nella leggera brezza serale. Saremmo arrivati l’indomani pomeriggio, verso mezzogiorno. Reneé mi aveva fatto promettere che avrei parlato di lei a Bella: doveva sapere che aveva una zia che l’amava e sulla quale poteva contare. Forse questo avrebbe alleviato il dolore per la perdita di quella che aveva sempre considerato la proprio famiglia... Strinsi tra le dita la foto che Reneé mi aveva consegnato perché a mia volta la donassi a Bella. Vi erano immortalati i suoi genitori: Elena la teneva tra le braccia, mentre fissava il suo viso con lo sguardo adorante di una madre innamorata. Era una bambina bellissima. Sospirai ripensando a Bella. Una parte di me non vedeva l’ora di ritornare da lei, impaziente di rivederla e riabbracciarla. Dall’altro lato non avevo alcuna fretta. Non volevo anticipare il momento in cui Bella avrebbe saputo la verità: sulla morte dei suoi genitori, sulla falsità dei Volturi e della guerra in atto. Sentì una fitta acuta al cuore all’idea del suo dolore, inevitabile ed insopportabile, per me. Quando fummo all’auto mi misi immediatamente al volante. Nonostante tutto ciò che avremmo dovuto affrontare da quel giorno in avanti saremmo stati insieme. E sapevo che era questo l’importante, infondo. C’era la possibilità concreta di un futuro per noi e io avrei combattuto fino alla morte pur di raggiungerlo. Schiaccia con forza l’acceleratore, impaziente di raggiungere la mia Bella.   

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Capitolo 15
*** Felice ***


Buon pomeriggio! Non c'è molto da dire su questo capitolo, se non che sarà un po' più breve del solito, ma è pur sempre una pausa o come si suol dire la calma... prima della tempesta. Capirete leggendo il significato dell'immagineXD Vi annuncio che il prossimo capitolo sarà pov Edward e niente, vi lascio alla lettura. Non senza aver ringraziato come sempre chi ha lasciato una recensione, chi mi ha aggiunto tra i seguiti, i preferiti e i ricordati e naturalmente a voi che leggente in silenzio. E' un piacere sapere che, comunque ci siete e siete arrivati fin qui. Un abbraccio, Francesca. Ps è la prima volta che descrivo situazioni del genere, benché non approfondite non essendo nel mio stile né incluso nel rating, spero di non aver combinato un disastro e che vi possano appassionare e coinvolgereXD

12 Felice                

 Quella mattina mi svegliai con strani pensieri per la mente... immagini vivide, che mi provocarono un rossore visibile sul volto. E non solo immagini, ma sensazioni, strani appetiti e scariche elettriche lungo tutto il corpo che mi facevano fremere e sussultare, non abbastanza impercettibilmente perché il vampiro al mio fianco non se ne accorgesse. Dita fredde mi carezzarono la schiena, con movimenti delicati e circolari che di certo non mi aiutavano. Le labbra di Edward si posarono sulla mia spalla nuda e una scossa mi percorse, costringendomi a spalancare gli occhi.

≪Potente≫, sussurrai.

≪Buongiorno. Ti ho svegliata, scusami≫.

Le labbra di Edward si posarono sull’incavo del mio collo e ne tracciarono il profilo con la lingua. Sorrisi e mi avvicinai a lui, stringendomi al suo corpo marmoreo. Edward mi avvolse tra le sue braccia, posando un bacio sulla mia testa.

≪Buongiorno≫, mormorai, baciando il suo petto freddo e scolpito.

Strusciai il mio naso contro il suo prima d’incontrare la sua bocca. Edward tracciò il contorno delle mie labbra con la lingua, che s’insinuò ben accetta nella mia bocca prima di spostarsi sulla mascella e poi dietro l’orecchio. Inarcai la schiena e m’incastrai perfettamente al corpo di Edward. La mia mossa lo fece sussultare, lo sentì ruggire al mio orecchio e poi fu sopra di me, sollevando le lenzuola per coprirci entrambi dalla luce irradiata dalla finestra e le sue mani s’insinuarono sul mio corpo, sotto la mia schiena e tra i miei capelli. Con tutt’altro che una mossa delicata lo costrinsi a cambiare posizione, non ci sarei riuscita se lui non avesse collaborato. E mi trovai sopra di lui, adagiata dolcemente tra le sue gambe. Edward rise, nel suo modo inconfondibile, mentre le mie labbra assaltavano la pelle del suo collo.

≪Pensavo di essere io il vampiro≫, lo sentì sussurrare al mio orecchio.

≪Mi piace invertire i ruoli≫, lo stuzzicai.

Edward, invece, invertì ancora le nostre posizioni e scostò il lenzuolo dalle nostre teste. La luce del giorno mi colpì in pieno viso, chiusi gli occhi e mi persi nel profumo della pelle di Edward. Soltanto quando non sentì più il suo corpo premere contro il mio, aprì gli occhi. Edward rimaneva poggiato con la schiena contro la testiera del letto, le braccia dietro la testa.

≪Sai, mi sento un po’ in colpa≫, sospirò, ma quando si voltò nella mia direzione un sorriso smagliante splendeva sul suo volto.

≪In colpa?≫, chiesi, posando il capo sul suo petto.

≪Sì. Io sono nato in un’epoca diversa dalla tua Bella e mi è stato insegnato a rispettare le donne. E ciò implica niente sesso prima del matrimonio≫, lo vidi chinare il capo e lanciare un’occhiata scura al lenzuolo immacolato.

Rimasi sorpresa da quella sua improvvisa dichiarazione, ma, per quanto potesse sembrargli assurdo, lo capivo. Vivendo tutta la mia vita con dei vampiri, alcuni dei quali avevano più di mille anni, era logico che anche la mia educazione fosse stata diversa. Mi era stato insegnato a rispettare alcune tradizioni, anche se datate. Posai una mano sulla guancia di Edward.

≪Non sentirti in imbarazzo. Penso che tu abbia ragione, anche se vecchio stampo, condivido la tua opinione. E l’avrei anche rispettata, ma quando sono con te, non capisco più niente, non riesco a essere lucida≫, confessai arrossendo. Edward si aprì nel suo meraviglioso sorriso sghembo e catturò le mie labbra con le sue.

Il nostro bacio, che stava decisamente andando oltre ciò che io avrei definito casto, fu interrotto da un brontolio secco e rumoroso del mio stomaco. Finsi di non averlo sentito e mi concentrai su Edward, sulle sue labbra. Ma evidentemente il mio stomaco non aveva intenzione di collaborare, ruggì ancora, più violentemente di prima e Edward sorrise sulle mie labbra, interrompendo il bacio.

≪No≫, mi lamentai, ≪ignoralo≫.

Così dicendo cercai ancora le sue labbra, portandomi sopra di lui. Edward drizzò la schiena contro la testiera e con le sue braccia mi sollevò, stringendomi a se, tra le sue gambe. Allacciai le mie gambe alla sua schiena e Edward mi depositò dolcemente all’indietro. Inarcai la schiena e gettai indietro la testa mentre le sue labbra percorrevano il mio collo, i seni e più giù, sullo stomaco e la pancia. In quel momento, con le labbra di Edward a lambire i contorni del mio ombelico, sentì ancora il mio stomaco brontolare. Edward rise e sciolse il groviglio delle mie gambe intorno alla sua schiena, posò un bacio sulla mia fronte  e si alzò dal letto, infilando al volo un paio di boxer neri di cui avevo un vago ricordo. Mugolai, imbronciata ed Edward sorrise. Si chinò sul mio volto e mormorò: ≪Andiamo a mangiare qualcosa, principessa, non voglio che tu stia male≫.

E poi posò un bacio sulla punta del mio naso prima di allontanarsi. Mi alzai con cautela, infilandomi la camicia di Edward che mi arrivava fino alle ginocchia e un dubbio invase la mia mente, scrutando attentamente i pezzettini di stoffa color lilla sparsi sul pavimento: ciò che rimaneva del mio costoso vestito.

≪Due domande≫, dissi.

≪Primo: perché hai ridotto a brandelli il mio Valentino? E secondo: adesso come ritorno a casa? Ho idea che in quell’armadio ci siano soltanto abiti maschili, a meno che tu non abbia portato altre ragazze in questa casa prima di me≫.

Finsi un tono di voce indifferente. Edward mi circondò con le sue braccia.

≪E’ un modo gentile per chiedermi se ero ancora vergine, o di farmi confessare qualche scappatella da dongiovanni?≫, arrossì e chinai il capo, fingendo di esaminare i poveri pezzi di stoffa.

Edward mi voltò nella sua direzione e mi prese il volto tra le mani.

≪Amore mio, te l’ho già detto: non ho mai incontrato qualcuno da amare e che mi amasse. Ti assicuro che negli ultimi cento anni ho avuto a che fare con donne straordinariamente tenaci, disposte a tutto per... Umane o vampire che fossero non hanno mai visto in me altro se non una maschera bianca e perfetta, per la quale ho dovuto cedere in cambio la mia... umanità. Non sai quanto abbia agognato la semplicità, la banalità anche, delle vite dei nostri compagni di scuola. Ho conosciuto donne straordinariamente belle e seducenti, ma nessuna mai aveva ciò che hai tu: ciò che cercavo. A volte mi chiedo come una persona così piccola possa essere così tante cose insieme≫.

Non potevo non credere alla veridicità delle sue parole e la loro dolcezza era un balsamo per ogni mia insicurezza, perciò sorrisi.

≪Non hai ancora risposto alle mie domande≫.

Edward sorrise.

≪Per quanto riguarda il tuo bel vestitino, mi dispiace. Ma sai, in quel momento non ci stavo badando molto. Non avrei mai avuto la pazienza di sfilarlo con la dovuta delicatezza... E per quanto riguarda la seconda domanda, non ti dispiacerà indossare vistiti da maschio, vero?≫.

≪Se hanno il tuo profumo, non ci sarà alcun problema≫, confessai.

Edward sorrise e prese a baciare il mio collo, strinsi le sue mani, portandole intorno alla mia vita, mentre i respiri si trasformavano in ansiti. E poi mi ritrovai schiacciata contro la parete, senza bene sapere come ci fossi arrivata, mentre le mie mani seguivano, con gesti frenetici, il profilo perfetto del corpo di Edward.

≪Adesso, però, bisogna vedere se ti lascerò rivestire≫.

Sorrisi e presi a baciare e mordicchiare il lobo del suo orecchio. Edward mi sollevò ed io intrecciai le gambe alla sua schiena, mentre le sue mani carezzavano le mie cosce scoperte. Allacciai le braccia al suo collo e mi concentrai sulla pelle dietro il suo orecchio. Edward inarcò la schiena e si posò con le mani alla parete, scoprendo leggermente i denti.

≪Ti amo≫, alitai nel suo orecchio ed Edward premette le mani alla parete con tanta forza da sbriciolarla e lasciare un buco profondo.

Sussultai e poi sorrisi. Il modo in cui ci amavamo, era come se non potesse mai essere abbastanza. Edward sciolse la presa e mi mise giù.

≪Dobbiamo vestirci e tornare alla casa, gli altri saranno preoccupati≫, sussurrò col fiato corto.

Annuì, controvoglia. Edward mi prese per mano e mi trascinò al suo armadio. Ne spalancò le ante e mi mostrò la vasta scelta di cui disponevo. Tra il mucchio ben ordinato dei suoi vestiti intravidi qualcosa che di certo non poteva appartenere ad un maschio. Presi tra le mani il completino intimo di slip e reggiseno e li mostrai ad Edward.

≪C’è qualcosa che dovrei sapere?≫, gli chiesi, con un’occhiata truce e un’improvvisa fitta di gelosia.

Edward spalancò gli occhi e frugò nel suo armadio fino a trovare un delizioso abitino bianco, decisamente appariscente, non il mio genere. Alzai le sopracciglia quando notai il bigliettino che vi era allegato.

Cara Bella

Sono Alice. Avevo visto, e ti prego non chiedermi come, che probabilmente avresti avuto bisogno di questa roba, perciò mi sono prontamente prodigata a sistemarla nell’armadio di Edward.

Baci, Alice.

Tirai un sospiro di sollievo.

≪Alice≫ mormorai.

Nonostante tutte le interruzioni e i tentennamenti... alla fine io e Edward riuscimmo a vestirci e a renderci presentabili. Con me aggrappata alla sua schiena, Edward iniziò a correre e presto fummo di fronte casa. Decidemmo di mantenere quanta più distanza possibile, per non far intendere nulla, ma non rinunciammo al contratto tra le nostre mani. Entrammo in casa con un sorrisetto sulle labbra, senza smettere di fissarci. Nella grande casa aleggiava un’atmosfera leggera e gioiosa. O forse ero troppo poco obbiettiva, al momento. La gioia era tanta da colmare tutto lo spazio disponibile nella mia anima, perché potessi provare una qualsiasi altra emozione.

La nostra intenzione era di arrivare in cucina senza che nessuno si accorgesse di noi, ma naturalmente fu impossibile.

≪Ehi, ragazzi≫, tuonò una voce possente, ma sempre allegra e giocosa.

Emmet.

≪Casa avete fatto tutta la notte, su, raccontate. Sono curioso!≫.

Io e Edward alzammo gli occhi al cielo, decisi ad ignorarlo. Emmet ci raggiunse e mi strappò dalle braccia di Edward. Mi cinse le spalle con il braccio.

≪Voglio i dettagli piccanti, Bella, me li devi. Scommetto che Edward ti ha annoiato per tutto il tempo, anziché arrivare al dunque, non è vero? Sentiti libera di confidarti”.

Tentai di divincolarmi e d’un tratto qualcuno mi salvò dalle grinfie di Emmet e mi strinse a se. Mi poggiai al petto di Edward e lo cinsi per la vita con le mie braccia.

Emmet rise sonoramente.

≪Lo sapevo, ci avrei scommesso e pensandoci bene, l’ho fatto≫.

≪Sei un buffone... Comunque, mi dispiace Emmet, ma è mia. Non ho intenzione di lasciartela≫.

Ci guardammo negli occhi e fissai con gioia i suoi ridenti e vitali.

≪Edward≫, esordì una vocina familiare.

≪Da voi mi aspetto dei ringraziamenti. Il modo in cui ti ho visto Edward cambierà per sempre il nostro rapporto. E parlo soprattutto perché nella mia visione Bella non si vedeva, perciò, ti lascio immaginare... Ma vedo con piacere che il vestito che ti avevo preparato ti è stato utile, bene≫, esordì Alice.

≪Edward, pensavo fossi più delicato e controllato, mi hai piacevolmente sorpreso fratello≫, disse Rosalie facendo così la sua comparsa nella stanza ed affiancando Emmet.

Entrambi sghignazzarono. Jasper la seguiva a pochi passi di distanza. Quando ci raggiunse si portò immediatamente al fianco di Alice. Io ero rossa come un pomodoro e nascondevo il volto nella camicia di Edward.

≪In effetti, devo ammettere di esservi grato per aver scelto un posto molto lontano da questa casa≫, rimuginò Jasper.

≪Anche tu≫, lo rimbeccò Edward.

≪Non si può avere un po’ di privacy in questa casa?≫.

Edward si voltò portandomi con se e ci lasciammo alle spalle le risate sguaiate dei nostri fratelli. Per quanto potessero essere irritanti, a volte, era impossibile non adorarli. Li amavo tutti, dal primo all’ultimo. Quando fummo in cucina Edward mi fece accomodare su una sedia e mi diede un bacio in fronte per poi allontanarsi e frugare nei cassetti.

≪Che cosa fai?≫, gli chiesi, quando lo vidi armeggiare con il cartone del latte.

≪Preparo la colazione alla mia principessa. Non può essere così difficile mettere il latte sul fuoco≫.

Mi alzai dalla sedia sorridendo quando lo vidi prendere la pentola più grande, quella che usavamo per la pasta.

≪Forse è meglio se usi questo≫, gli dissi, prendendo da uno dei cassetti ciò che ci serviva e mettendo il latte sul fornello al suo posto.

≪Prima o poi imparerò≫, mi promise quando mi fui voltata.

≪Ne sono sicura≫, mormorai, avvicinando le sue labbra alle mie.

Dapprima il bacio fu lieve, delicato, un piccolo accenno della passione che ci aveva travolti la sera precedente, poi crebbe d’intensità. Infilai le mani nei capelli di Edward e lui mi sollevò sul bancone della cucina. Strinsi le mie gambe al suo bacino e mi mossi leggermente. Edward rabbrividì e le sue mani si avventurarono, audaci, sulle mie cosce, per poi raggiungere i miei fianchi. Le dita di Edward presero a giocherellare con l’elastico dei miei slip ed io sorrisi sulle sue labbra.

≪Per amor del cielo non sulla mia cucina≫.

Improvvisamente consapevole del fatto che non eravamo soli mi staccai da Edward e balzai giù, tentando di darmi una sistemata. Lanciai un fugace sguardo al mio vampiro, che sembrava imbarazzato quanto me. Esme ci fissava con sguardo truce, ma in realtà un sorriso iniziava a rischiarare il suo volto. Poi s’illuminò di un sorriso smagliante e ci venne incontro, stringendo entrambi in un abbraccio.

≪State così bene insieme. Vi amo tanto≫, cantilenò.

Io ed Edward restituimmo l’abbraccio. Esme era una madre, per entrambi e come tale l’amavamo. Quando la dolce e tenera vampira sciolse il groviglio delle nostre braccia, diede un bacio sulla guancia a me e ad Edward e si allontanò con un sorriso raggiante sulle labbra. Prima di sparire definitivamente dalla stanza e lasciarci soli, la vidi lanciare un fugace sguardo ad Edward. I suoi occhi erano seri, pieni di preoccupazione avrei detto, ma forse fu solo una mia impressione.

Bevvi le ultime gocce della mia enorme tazza di latte e alzai gli occhi sul volto di Edward. Sembrava pensieroso, tanto concentrato da non notare neanche che avevo finito di fare colazione. Mi alzai silenziosamente dal tavolo, senza che lui se ne accorgesse. Continuava a scrutare il paesaggio fuori dalla finestra.

Ero certa che non stesse guardando qualcosa in particolare, qualche pensiero lo teneva lontano da me. Con cautela mi avvicinai a lui e circondai il suo collo con le mie braccia, posando le mie labbra sulla sua guancia. Edward sembrò riprendersi all’improvviso, la sua posa rigida si sciolse sotto il tocco delle mie labbra e qualsiasi pensiero avesse oscurato la sua mente si dileguò. Edward mi fece sedere in braccio a lui e mi strinse al suo petto, affondando il volto nei miei capelli.

≪Che cosa ti va di fare, oggi? Siamo in vacanza, ricordi?≫, sussurrò.

≪Voglio stare con te. Soltanto noi due e nessun’altro≫.

≪Mi piace questo progetto”, acconsentì con un sorriso, ≪ma dobbiamo trovare il posto adatto...≫.

Edward ci rifletté un po’ su, mentre mi occupavano della pelle candida del suo collo...

≪Così non mi aiuti≫, mi rimproverò.

Non gli badai, ma continuai con quello che stavo facendo fin quando Edward non esordì con un: ≪Ho trovato≫.

≪Ottimo, sono pronta. Ti seguirei dovunque≫.

Qualche minuto dopo eravamo già in viaggio, comodamente seduti nella Volvo. Edward mi stringeva a se con un braccio e con l’altra mano teneva il volante. Naturalmente i miei tentativi di farmi dire dove stessimo andando erano stati vani. La mania delle sorprese che aveva contagiato i Cullen era insostenibile.

≪Quindi non saprò dove siamo diretti finché non arriveremo a destinazione, mi sbaglio?≫.

In risposta Edward mi sorrise con tanto amore e calore che la mia espressione perse ogni traccia di irritazione.

≪Posso soltanto dirti che il viaggio non sarà lungo e che saremo a casa per questa sera≫.

Evidentemente non avrei ottenuto altro, perciò mi godetti il viaggio, tentando di indovinare la nostra meta.

Quando l’auto si arrestò e Edward si aprì in un sorriso trionfante, capì che eravamo arrivati. Con un po’ di riluttanza dirottai la mia attenzione a ciò che ci circondava, distogliendo lo sguardo dal sorriso di Edward e rimasi sorpresa. L’auto si era fermata davanti a una piccola baia in legno, la più isolata rispetto a tutte quelle disposte sul lungomare. Edward mi aprì la portiera e mi aiutò a scendere, tenendomi per mano.

≪Cosa...?≫, chiesi balbettando.

≪E’ uno dei nostri tanti acquisti, nulla di che. Ma è perfetto se si desidera avere un po’ di privacy, lontani da fastidiosi familiari impiccioni e da occhi indiscreti≫, sussurrò le ultime parole con un tono di voce che mi fece rabbrividire per il piacere. Edward rise della mia rigidità a mi trascinò con se fino alla casa.

≪Andiamo, ti faccio vedere l’interno≫.

L’interno della baia era arredato con colori chiari, tipici dei Cullen. Edward mi mostrò la cucina, il bagno e la camera da letto. Era un luogo romantico, utilizzato soprattutto dalle coppiette di casa, o almeno così disse lui.

≪Ti piace? Non ci vengo spesso, più che altro sono Emmet e Rose a utilizzarla. Ma penso che non si arrabbieranno se la occuperemo per un giorno≫, l’espressione del suo volto era talmente maliziosa che non potei trattenere un sorriso e una risata.

Edward mi portò in un ristorante vicino alla baia per mangiare qualcosa e poi ci dirigemmo alla spiaggia. Avevo già visto il mare in compagnia di Jacob, ma quel giorno capì che ogni cosa aumentava d’interesse sa la si condivideva con la persona amata. E io amavo Edward più della mia stessa vita. La zona era deserta e fu come se fossimo realmente soli: lontani dal mondi. Una giornata soltanto io e lui, come desideravo. Naturalmente la vicinanza del mare diede vita a parecchie battaglie d’acqua e alla fine sia io che Edward ci ritrovammo completamente zuppi. Lui certamente aveva la forza del vampiro dalla sua, ma io, dal canto mio, avevo altri metodi per costringere le persone a fare ciò che volevo.

≪Mi arrendo≫, ansimai, accasciandomi stremata sulla coperta che Edward aveva sistemato in spiaggia.

Il mio vampiro mi raggiunse e prese posto al mio fianco, stringendomi al suo petto e coprendomi con il lenzuolo. Non c’era il sole e di certo non era il tempo ideale per un tuffo, ma a noi non importava. Ciò che contava realmente era stare insieme. Perché stare con Edward significava uscire fuori dagli schemi, fuori dallo spazio e dal tempo. Nulla che non ci riguardasse ci toccava. Edward mi carezzò distrattamente una ciocca di capelli bagnati.

≪A cosa pensi?≫, chiesi.

≪Pensavo a quel giorno in cui sei andata alla spiaggia, a La Push≫.

≪Ah, sì≫.

Edward sospirò.

≪E’ stato uno dei giorno più... lunghi, per usare un eufemismo, della mia vita≫, confessò all’improvviso e mi sentì morire, perché credevo volesse parlare della mia rivelazione e io non ero pronta a questo, non ancora.

≪Quando ti ho vista andare via con Jacob - quando ho visto il modo in cui ti guardava., in cui ti toccava - avrei voluto ucciderlo. La mente di Jacob Black è forse la più indifesa che abbia mai avuto occasione di leggere e ciò non ha fatto altro che rendere le cose ancor più difficili, perché i suoi apprezzamenti, le sue sensazione a causa della tua vicinanza erano lì, fastidiosi come il ronzio di una mosca. Avrei vomitato se ne fossi stato in grado. Quando poi ti ha chiesto di andare via insieme a lui non ci ho visto più. E ti giuro che ho odiato me stesso. Continuavo a ripetermi che io non avevo alcun motivo di essere geloso, che nulla ci legava, che non avrei dovuto sentirmi furioso all’idea di non vederti per un giorno intero: all’idea che tu fossi con dei licantropi giovani e instabili. Avrei dovuto farmene una ragione. Non avevo alcun diritto su di te. Non avrei potuto dirti: non andare, resta con me. E questa consapevolezza... mi distruggeva. Jasper ha dovuto portarmi via, ero troppo instabile emotivamente. Non avevo intenzione di vederti allontanare con lui, ma non ho resistito e sono tornato indietro...≫.

Mi morsi il labbro all’idea del dolore che gli avevo causato. Se solo lo avessi saputo, non sarei mai andata via con Jacob. Edward mi sollevò il mento per guardarmi negli occhi. Anche se, forse egoisticamente, una parte di me non intendeva rinunciare a quel giorno, perché avevo preso maggiore coscienza del mio ruolo e della mia specie e, soprattutto, avevo avuto l’occasione di aiutare Leah .  

≪Non voglio che tu sia triste, adesso è passato: tranquilla≫, mi rassicurò.

Annuì, non del tutto convinta.

Sarebbe stato difficile conciliare la mia anormalità nell’anormalità con Edward? Avrei dovuto essere io a consolare lui e non viceversa.

Edward mi prese il volto tra le mani.

≪Adesso ne sono felice. L’ho capito immediatamente, appena sei ritornata a casa. Vedere quella scintilla di serenità nei tuoi occhi è stata la ricompensa per le ore più lunghe della mia vita, ma devo ammettere che quel ragazzo è di una strafottenza unica o forse sono semplicemente io. Avrei odiato chiunque avesse osato pensare a te negli stessi termini in cui ha fatto lui. In fondo come posso biasimarlo≫, continuò carezzandomi una guancia, ≪se adora il profumo della tua pelle e la bellezza del tuo volto? Per non parlare del tuo meraviglioso carattere, tanto dolce quanto impetuoso, tanto fragile quanto forte≫.

Arrossì e chinai il capo.

≪Hai dimenticato un aggettivo: cattiva≫.

Edward alzò un sopracciglio, prima di scoppiare in una fragorosa risata.

≪Se tu sei cattiva allora il mondo è pieno di mostri≫.

≪Ti ho fatto soffrire tanto, ho iniziato ad evitarti senza darti una spiegazione, ma sapendo ciò che... avevo capito che era meglio fermarci≫, lo interruppi. ≪Ora so che era troppo tardi per impedire quel che è successo. Non sarebbe stato possibile evitarlo≫.

Edward avvicinò il mio volto al suo e posò le sue labbra sulle mie per un bacio tenero e adorante. Quando si staccò da me fissò i suoi occhi nei miei.

≪Quel giorno in cortile, mi sono lasciato trasportare e non avrei dovuto farlo, perché quando hai iniziato ad allontanarti da me, mi sono sentito morire. Avrei preferito averti come amica, come sorella piuttosto che niente. Anche se ero certo che mi sarei smascherato da solo, alla fine. La cosa che mi faceva stare più male in tutta quella storia era che credevo fosse quello che volevi anche tu. E anche quando ci siamo allontanati, non potevo credere che non provassi i miei stessi sentimenti, la forza di ciò che ci legava. Non hai idea di che pena sia stata non poterti dire ciò che provavo. Non trovavo la forza per starti lontano allo stesso tempo il coraggio per avvicinarmi. Ho tentato di... scacciare dalla mente quelle... sensazioni, credimi, ma non ci riuscivo. Ad esempio, quella sera dell’incubo≫, arrossì al ricordo, ≪prestavo spesso la mia attenzione alla tua stanza e quando ti ho sentito urlare non ci ho pensato un istante: sono corso da te. Non so descriverti come mi sentì quando mi chiedesti di rimanere; non avrei mai potuto dire di no, neanche se l’avessi voluto. E’ stata una tortura: la più piacevole e dolorosa della mia vita≫.  

Edward mi strinse al suo petto e affondò il volto nei miei capelli.

Sarei voluta rimanere per sempre sulla spiaggia, ma ci trovavamo pur sempre nello stato di Washington e arrivò l’inevitabile pioggia. Edward mi portò di corsa alla baia. Feci una doccia e indossai un paio di jeans e una maglietta che trovai nell’armadio di Rosalie: speravo non se ne avesse a male. Dopo la doccia con Edward avrei voluto approfittare del grande letto della stanza affianco, ma il mio vampiro sembrava avere un piano tutto suo e dichiarò chiaramente che non si sarebbe fatto sedurre da me.

Al tramonto Edward ed io eravamo in viaggio di ritorno verso casa.

Mi sorpresi scoprendo che la grande villa era deserta, ma poi mi rallegrai: saremmo stati soli ancora per un po’ di tempo. Edward sembrava gioire quanto me di quella privacy che i Cullen ci avevano generosamente concesso. Esme ci aveva lasciato la cena pronta e Edward allestì un tavolo sulla terrazza, quella che dava sul fiume. Lo spettacolo era bellissimo, ma non riuscì mai a distrarre più di tanto la mia attenzione dal suo volto. Quando finì di cenare trascorremmo un po’ di tempo nella camera di Edward, davanti al suo schermo piatto che raramente veniva accesso. Non guardammo a lungo la noiosa sit-com che TV stava trasmettendo. Edward sembrava seriamente preso dagli intricati misteri della famiglia protagonista della storia, ma sapevo che stava bleffando. Perciò iniziai a stuzzicare con le labbra il lobo del suo orecchio, il collo, il volto. Quando Edward non rispose alla mia provocazione, m’imbronciai. Ma prima che potessi anche soltanto pensare a qualsiasi eventuale disgrazia, le immagini della tv e le loro voci squillanti scomparvero in cambio di silenzio e oscurità e le labbra di Edward assaltarono la pelle candida della mia giugulare. Le sue mani furono sotto la mia maglietta e una risata spontanea uscì dalle mie labbra serrate. L’ultimo briciolo d’ilarità prima che la potenza del mio desiderio e il bisogno che provavo di Edward si trasformassero in un dolore insostenibile, che solo lui avrebbe potuto guarire. Le mie mani si mossero audaci sulla sua camicia, sbottonandola, e poi sul suo petto. Edward rabbrividì e inarcò la schiena mentre con le dita carezzavo il suo basso ventre, nel tentativo di raggiungere la cintura dei suoi pantaloni. Nonostante tremasse sotto il tocco delle mie mani, riuscì a sussurrare al mio orecchio: ≪Nella tua stanza, sul letto≫.

 Non avevo preferenze, ma il divano era decisamente scomodo per certe cose perciò alitai al suo orecchio: ≪In fretta≫.

Edward scoprì i denti e nell’arco di un millesimo di secondo eravamo già nella mia stanza, allacciati sul grande letto che Esme aveva comprato per me, all’inizio. Le labbra di Edward si mossero dolcemente e lentamente prima sul mio collo poi vicino al taglio del mio seno. Proseguì sulla stoffa sottile della maglietta di Rosalie e con i denti la dilaniò, finché non ne rimase alcuna traccia sulla mia pelle.

≪Rosalie ti ucciderà≫, sussurrai tra gli ansiti, mentre le sue labbra percorrevano avide la pelle del mio ventre.

≪Ma noi non le diremo nulla≫, sussurrò con voce roca, mentre le sue mani sfilavano i jeans dalle mie gambe.

Deglutì e mi riscossi, tentando di armeggiare con la sua cintura. Edward fu più veloce e rimase in boxer. Le sue mani alzarono la mia schiena e mi spinsero verso di lui. Sentì le sue dita seguire il profilo della mia spina dorsale e bloccarsi sul gancetto del reggiseno.

≪Ho atteso questa sera perché volevo rendere concreta una piccola fantasia. Volevo te, nello stesso letto in cui ho vegliato il tuo sonno e ammirato la tua innocenza, tentando di zittire il vampiro cattivo≫, alla sue parole sentì il cigolio del gancetto del mio reggiseno, che finì da qualche parte nell’oscurità.

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Capitolo 16
*** Ufficiale ***


Buona sera! L'ora è insolita, lo so, ma ho appena finito di correggere il cap e ho deciso di postare. Non posso dire nulla come anticipazione se non che ero davvero sull'orlo delle lacrime, mentre scrivevo il capitolo e di nuovo mentre lo correggevo. Grazie infinite a chi ha recensito lo scorso capitolo e in particolar modo ad Anonimous... Grazie a tutte. Spero di aver fatto un buon lavoro, che il cap vi conquisti e che non vogliate uccidermi... Ps Scusate eventuali erroriXD

Se al mondo esiste un luogo peggiore dell’inferno, io mi trovo lì...

                    Abramo Lincoln

Quel giorno, distante tonnellate di acqua e acri di terra dai propri sogni, Isabella vide spalancarsi con immensa forza le porte dell’inferno. Il diavolo, che nella sua realtà possedeva una pelle bianca come il gesso, lunghi capelli neri e occhi rossi come il sangue, la accolse con un sorriso sulle labbra vermiglie e un bacio sul dorso della mano piccola e tremante. E cosa peggiore di quella situazione, fu l’immediato senso di colpa per il pensiero appena avuto. Nessuno, tanto meno l’uomo che la fissava con occhi lucidi di sentimento, aveva colpa del gelo che le scorreva nelle vene. Paradossale pensare che, all’inferno, si potesse ancora provare una simile sensazione... Però la giovane sapeva per esperienza personale che il fuoco - sia che questo colorasse il sangue o accendesse il volto e la pelle - era una conseguenza dell’amore, nel bene e nel male, e che una volta provato sulla propria persona non si potava tornare al ghiaccio e all’inverno, non dopo aver provato il calore del sole di primavera, senza rischiare di rimanere scottati o uccisi...

15 ore prima che la terra si aprisse e l’inferno accogliesse la giovane Isabella...

Quella mattina non avrei mai aperto gli occhi e abbandonato i miei sogni, se non fossi stata consapevole che ad attendermi ci fosse qualcosa di infinitamente migliore. Aprì lentamente le palpebre e la consueta luce grigio-pallida di Forks mi infastidì per qualche istante. Benché fossimo a Giugno inoltrato il sole fuggiva ancora e l’estate ritardava ad arrivare. Il calore che riscaldava la mia anima e la luce che accecava il mio sguardo non avevano, però, nulla a che fare con la presenza o meno del sole, che, timido, giaceva alle spalle delle nubi di pioggia, ma con le miriadi di sensazioni che non cessavano di sconvolgere il mio cuore e il mio corpo dalla sera precedente: euforia, appagamento, leggerezza, amore... La reazione immediata del mio corpo e della mia mente a quel pensiero fu il contrarsi dello stomaco, un brontolio al basso ventre e la nostalgia improvvisa per la visione del volto che amavo alla follia. Rotolai sull’altro fianco, accarezzando con il palmo la sottile seta delle lenzuola, alla ricerca del contatto con il corpo freddo e scolpito di lui. La coscienza del posto vuoto e... caldo al mio fianco cancellò ogni accenno di torpore. Mi drizzai di scatto sulla schiena e assecondai il primo istinto che m’impose di ricercare la presenza dell’uomo che amavo, per assicurarmi che non fosse svanito nel nulla e quello non fosse il mio ennesimo sogno irrealizzabile con conseguente risveglio traumatico.

Edward non c’era.

Non era in casa, né in giardino.

La presenza del resto dei Cullen mi tranquillizzò relativamente: non mi sfuggì l’assenza di Alice. Probabilmente sono a caccia, pensai.

Prima che il panico mi mozzasse il respiro, notai un foglio perfettamente ripiegato sul cuscino di Edward. Lo afferrai tra le dita con impazienza e lo aprì. Era vergato nella sua perfetta calligrafia.

Per Bella,

Amore mio, quando ti sarai svegliata non sarà già più al tuo fianco. Ti guardo dormire e vorrei più di ogni altra cosa non dover andare via. Questa mattina Alice ha finalmente avuto la visione che attendeva da giorni e abbiamo deciso di partire immediatamente. Se ti avessi svegliata non avrei avuto la forza per allontanarmi. Non temere per noi, non siamo in pericolo. Mi mancherai, ti amo.

Tuo, Edward  :-D

Mi sfuggì un breve risata e un sospiro. Edward mi aveva parlato della sua dipendenza per gli emoticon...

Per quanto avesse tentato di sdrammatizzare non mi sfuggì il fatto che avesse evitato di menzionare la durata del loro viaggio. Per quanto tempo saremmo stati lontani? Edward Cullen era definitivamente un testone... Avrebbe dovuto svegliarmi e portarmi con se, anziché lasciarmi a casa, nostalgica e in pena per la sua incolumità e quella di Alice. Un vocina nella mia testa mi suggerì che, forse, non aveva voluto portarmi con sé per non mettermi in pericolo, visto che stavano andando incontro a seri rischi. Mi rifiutai di valutare questa ipotesi. Il pensiero che neanche Jasper - paranoico e protettivo quanto Edward - avesse seguito Alice, mi rincuorò un po’. Mi lasciai ricadere tra le lenzuola e affondai il volto nel cuscino di Edward, pregno del suo odore. I ricordi della sera precedente mi colorarono il volto di un imbarazzate rosso porpora.  Decisi di darmi una sistemata e scendere di sotto, nella speranza che gli altri potessero darmi qualche informazione in più.

Quando fui di sotto notai immediatamente che Jasper aveva perso il solito controllo e passeggiava nervosamente avanti e indietro.

≪Ehi, Bella≫, esordì Emmet. ≪Alla buon ora. Capisco che sia stata una notte faticosa e movimentata... ma sono le dieci del mattino≫.

Alzai gli occhi al cielo, come avrebbe fatto Edward se fosse stato lì.

≪Buongiorno anche a te, Emmet≫.

Il mio grosso fratello si aprì in un sorriso che avrebbe spaventato chiunque - chiunque non conoscesse il suo animo buono e il suo carattere giocoso - in un batter di ciglia mi fu di fronte e mi sollevò in aria come se fossi una bambolina. Il contatto con le sue braccia forti e fredde mi fece sospirare. Emmet mi mise giù e sbuffò rumorosamente.

≪Non metterai anche tu il broncio come Jasper, mi auguro!≫.

Il mio sguardo si posò sulla figura di nostro fratello, teso e inquieto.

≪Ci sta rovinando l’umore, con le sue paranoie≫.

Mi avvicinai a Jasper e bloccai il suo passeggio frenetico posando una delle mie mani sulle sue. Jasper si fermò e fissò i suoi occhi scuri nei miei. Di slancio lo abbracciai e lo cullai fin quando non sentì i suoi muscoli e i tenditi rilassarsi.  Sciolsi l’abbraccio e Jasper mi scompigliò i capelli, sorridendo in un modo che era soltanto suo.

≪Sai cosa sta succedendo?≫, mi chiese.

Annuì.

≪Edward mi ha lasciato un biglietto dicendo che Alice aveva visto qualcosa, ma che non c’era pericolo≫.

 Aggrottai le sopraciglia e mi morsi il labbro inferiore, preda della stessa preoccupazione che leggevo neghi occhi di mio fratello. Jasper mi rivolse uno sguardo comprensivo.

≪Non ne sappiamo molto più di te. Alice ha visto una casa umana, all’apparenza abbastanza innocua. L’indirizzo della via li conduceva nella città di Phoenix, in Arizona. Non penso che corrano dei pericoli, ma non ti nascondo che potrebbero aver mentito. In fondo, Edward legge nel pensiero...≫.

≪Pensi che sappiano qualcosa che non ci hanno detto?≫, gli chiesi apprensiva.

≪Non lo so, Bella. Avrei capito se Alice mi avesse mentito. Sembrava molto... risoluta≫.

≪Non ci resta che fidarci e aspettare≫, sospirai.

Era più facile a dirsi che a farsi. L’idea che Edward fosse in pericolo e  che non avrei potuto vederlo per chissà quanto tempo mi terrorizzava. Esme mi si avvicinò.

≪Tesoro, perché non vai a fare colazione?≫.

≪Non so se riuscirei a mangiare, sono troppo preoccupata≫.

≪Agitarsi non serve a nulla≫, disse dolcemente.

≪Non sappiamo cosa significhi la visione di Alice, Esme... o quando... e se torneranno≫.

≪Andrà tutto bene. Edward ed Alice sono vampiri forti e talentuosi. Non c’è nulla che possa coglierli di sorpresa, con le loro capacità: dovresti saperlo. Tu sei l’unica in grado di metterli fuori uso, tesoro. E comunque, non rincaseranno prima di domani, anche se dovessero semplicemente andare e tornare dall’Arizona≫.

≪Hai ragione≫, sussurrai.

≪E poi, non vorrai che Edward ci rimanga male, si è impegnato così tanto per prepararti la colazione!≫.

≪Lui ha... di solito sei tu a...≫.

Esme sorrise.

≪Voleva farti una sorpresa≫.

Il mio cuore si scaldò e corsi nella sala da pranzo. Edward si era dato un gran da fare. Aveva preparato molto più cibo di quanto potessi mangiarne, ma lo avrei fatto, per ripagarlo dell’impegno e del tempo impiegato in cucina.

Del buonumore di quella mattina non era rimasta traccia. Il pomeriggio senza Edward ed Alice si prospettava terribilmente lungo ed insopportabile. Avrei voluto avere notizie di loro, sentire il suono rassicurante della voce di Edward. Mi sentivo inquieta, una strana sensazione, diversa da quella della mattina, m stringeva lo stomaco. Eppure ero stata lontana da Edward altre volte! Perché rivedere il suo volto nei miei ricordi faceva così male, come se temessi di non rivederlo? Mi alzai da tavola, decisa a scacciare quei pensieri cupi dalla mia mente. Nonostante il tempo non fosse dei migliori decisi di sedere sotto le fronde del nostro albero, in cerca di un po’ di pace. Immaginai il momento in cui sarebbe ritornato da me. Lo vidi mentre mi veniva incontro a braccia aperte, il sorriso sghembo che tanto amavo sulle labbra, una luce maliziosa negli occhi dorati. Dietro di lui, bellissima e adorabile, nostra sorella danzava elegantemente verso Jasper.

Il pomeriggio trascorse con inesorabile inerzia e pigrizia. Constatai che, con il passare dei minuti, la mia inquietudine non accennava a diminuire. Il mio cuore batteva con un ritmo che sembrava voler scandire il passare dei secondi senza Edward, senza della sua dolce luminosa presenza al mio fianco. Il quel momento avrei tanto voluto non essere immune a tutti i poteri dei vampiri, per essere influenzata dalla tranquillità che Jasper regalava a chiunque altro. Stufa di quell’attesa angosciante mi alzai e ritornai in casa. Mi tuffai tra le braccia di Esme che disegnava canticchiando seduta sul divano. Lei, niente affatto sorpresa, mi strinse al suo petto e mi carezzò i capelli. Non disse nulla, ma mi cullò dolcemente. Avevo soltanto bisogno del suo abbraccio che mi rassicurasse sulla sua presenza costante.

Con il capo sulla spalla di Esme e i pensieri in Arizona qualcosa catturò la mia attenzione. Mi allontanai dalla vampira con uno scatto fulmineo e repentino.

Qualcuno si stava avvicinando.

Che fossero già di ritorno? Mi bastò un istante per capire che la presenza che avevo udito non era quella di Edward, né quella di Alice.

Sospirai.

≪Chi è?≫, chiese Esme.

≪Non lo so≫, risposi, ≪ma sta venendo qui≫.

Rosalie, che per tutto il tempo era rimasta seduta davanti al computer, reclinò la testa di lato, i capelli biondi a circondarle il bel volto e gli occhi dorati fissi sulla mia figura.

≪E’ un vampiro?≫, chiese Jasper che aveva fatto capolino nella stanza, con Emmet immediatamente al suo seguito.

≪No, credo che sia umano≫.

Emmet e Jasper si lanciarono uno sguardo sorpreso.

Carlisle sbucò sulle scale, naturalmente aveva sentito tutto, benché fosse al piano superire.

≪Chi potrebbe mai venire qui?≫, rimuginò.

Qualcuno suonò al campanello, un suono nuovo da sentire in quella casa.

≪E’ meglio che vada tu Bella≫, disse Carlisle, ≪chiunque sia, se vedesse uno di noi, potrebbe spaventarsi≫.

Annuì e scesi al piano di sotto.

Aprì la porta, sorpresa dall’uomo in uniforme davanti a me.

≪Casa Cullen?≫, chiese.

≪Sì≫, risposi, ≪è questa≫.

≪C’e una lettera≫, sussurrò con aria indaffarata, frugando tra il mucchio che teneva tra le mani.

≪E’ indirizzata ad una certa... Isabella≫.

≪Sono io≫, mormorai, mentre nella mia mente si faceva spazio un’idea che non avrei mai voluto considerare.

≪Una lettera?≫, mormorai e il postino dovette scambiarla per una domanda, perché rispose: ≪Sì, mi è stato chiesto di consegnarla a questo indirizzo al più presto possibile. Ecco a lei signorina≫.

Mi accorsi, mentre prendevo la lettera, che la mia mano stava tremando.

Non avevo bisogno della conferma, ma il mio sguardo si posò automaticamente sul mittente.

La lettera veniva dall’Italia.

Sentì le gambe tremare convulsamente e poi cedere. Sarei caduta a terra se l’uomo non mi avesse afferrata per gli avambracci.

≪Signorina si sente bene?≫, chiese l’uomo, ma la sua voce mi giungeva lontana.

Decisi di ricompormi per non destare sospetti. Scossi la testa e tentai di rimettermi in piedi: a fatica ci riuscì.

≪Si, va tutto bene, la ringrazio≫.

Il porta-lettere annuì, scettico. Gli rivolsi un sorriso stanco e dissi: ≪Arrivederci≫.

Chiusi la porta, lasciando l’uomo interdetto per un attimo. Mormorò qualcosa che non sentì perché attutita dal vetro e si allontanò. Quando non fui più in grado di vederlo mi accasciai contro la parete e strappai la carta costosa della lettera. L’aprì e riconobbi immediatamente la calligrafia di Aro, che era anche il mittente dell’epistola. Lessi:

Mia carissima Bella

Come avevamo previsto ogni cosa è andata per il meglio. Mi scuso enormemente per il ritardo con cui abbiamo sistemato le cose, posso immaginare quanto ti sia mancata Volterra. Spero che tu abbia trascorso dei mesi piacevoli con i Cullen e che abbia conosciuto i “piaceri” di una spensierata gioventù quale donna libera e indipendente. Per rassicurati ti comunico che le perdite sono state minime. So che tu tieni in particolar modo ad alcuni elementi della nostra famiglia, come Athenodora, che non vede l’ora di rivederti. Sappi che Felix, Demetri, Gregori e Lucas godono di ottima salute e hanno dimostrato di essere degli eccellenti soldati e degli straordinari strateghi, naturalmente. Conoscendoti, sono più che certo che varrai essere messa al corrente di ogni dettaglio sulla battaglia. E bene mi accingo a raccontare. Le prime due settimane della nostra spedizione sono state molto deludenti. I Licantropi, abbiamo scoperto, sono molto più astuti di quanto pensassimo nel celare le tracce del proprio passaggio: impronte e odore. Hanno un istinto di sopravvivenza che supera quello di qualsiasi altra specie. Riescono a nascondere la loro presenza persino ad un ottimo segugio come Demetri. Ma, come per molte altre cose, la pazienza ci ha in fine ripagato. Allo scadere della terza settimana Demetri è stato in grado di indicarci il primo branco di figli della luna. Come tu ben sai, questi esseri sono molto forti, anche quando non assumono la forma di lupo e, persino durante il giorno, vincere è stato difficile. Nel mentre del primo conflitto alla luce del giorno, abbiamo subito la perdita di sette dei nostri neonati. Combattere durante le ore di luce era rischioso per loro e per noi. Non potevamo permettere a qualche umano di vederci e loro ne erano consapevoli, perciò gli scontri si svolgevano vicino a  centri abitati. Molte battaglie sono stato combattute durante la notte proprio per questo motivo. Ma andando avanti con il racconto. Sono stati dei mesi difficili. I figli della luna inventavano ogni sorta di strategia per metterci in difficoltà, ma noi siamo sempre stati superiori a loro in quanto ad ingegnosità. Non posso essere certo di questo, ma ti assicuro che ogni branco cercava tra le nostra fila la tua presenza. Siamo stati molto attenti a non lasciar fuggire nessuno di loro e a non far trapelare la tua posizione attuale. E questo è quanto ci ha portato alla vittoria finale.  Spero che in questi mesi tu non abbia corso alcun pericolo: ne dubito. Per parlare più dettagliatamente dei giorni che ci hanno visti lontani l’uno dall’altro avremo tempo dopo. L’eternità è molto lunga, amore mio, per poter stare insieme. Se la lettera ti sarà recapitata, come ho chiesto, mercoledì 29, la mattina seguente recati all’aeroporto dove ti aspetterà un volo - e una sorpresa che certamente gradirai - che ti riporterà a casa. Troverai nella busta l’orario prestabilito per il volo di ritorno. Mi conosci bene e sai quanto io ami scrivere, ma, per non dilungarmi troppo, chiudo con queste parole: Io ti ho vista crescere, Isabella, sei diventata una donna sotto i miei occhi. Non so se i tuoi sentimenti per me siano assoluti e sinceri quanto i miei. A dir la verità, non so quale sia il sentimento che ti lega a me, ma so che, per la prima volta, quella sera sulla terrazza della mia stanza, quando mi hai detto sì, ho avuto paura. Non sono mai stato insicuro su qualcosa, ma per la prima volta nella mia lunghissima vita, il dubbio ha tormentato la mia anima - se ne posseggo una. Per così tanti anni sono stato solo, senza mai trovare l’amore o una compagna con cui condividere la mia millenaria esistenza. A esser sinceri, non sono certo di capire e saper spiegare a parole ciò che per me significa amare un’altra persona. L’amore è un sentimento troppo umano perché io possa comprenderlo fino in fondo. Per me l’amore sei tu, Isabella. L’amore ha il tuo nome e il tuo volto. Sono ansioso di rivederti e di farti diventare mia moglie. Spero che ti abituerai alle parole che sto per scrivere in questa lettera, mio cara, perché le sentirai spesso d’ora in avanti: Ti amo, Isabella. Sei mia, lo sei sempre stata e lo sarai per sempre.

Tuo, Aro.                     

Nel momento in cui le parole divennero macchie sfocate d’inchiostro, realizzai di essere scoppiata in lacrime. Gocce d’acqua salata bagnarono la costosa carta da lettere e il mio volto contratto. Cercai inutilmente un luogo della mia mente in cui fuggire le parole della lettera, in modo che non potessero nuocermi. Le gambe cedettero nuovamente, ma non trovando questa volta alcun sostegno, mi trascinarono a terra. Strinsi le ginocchia al petto, nel tentativo di mantenermi integra. Lentamente cadevo a pezzi, come una torre di lego, come una bambola spezzata e scucita. La casa silenziosa si riempì del suono del mio pianto disperato. Il mio primo pensiero razionale, in seguito al mi crollo di nervi, aveva grandi occhi dorati e il volto di un angelo... Avrei voluto che Edward fosse lì con me, per gettarmi singhiozzante tra le sue braccia e affondare il volto nel suo petto: il suo dolce profumo mi avrebbe certamente consolato. Avrei voluto che qualcuno mi rassicurasse su ciò che sarebbe successo di lì a quel momento. Avrei voluto poter ritornare a quella mattina, a quel breve istante di totale beatitudine prima di spalancare le palpebre sul giorno che aspettavo e temevo da settimane. Nessuno, neanche Esme, osò scendere di sotto. Probabilmente comprendevano e rispettavano il mio dolore, o, forse, la notizia aveva semplicemente sconvolto loro quanto me. La notizia. Come se non l’aspettassimo. Come se l’avessimo dimenticata. Nell’istante in cui il mio pianto si arrestò e concretizzai l’idea che avevo voluto evitare per i due giorni precedenti, concepì quanto fossi stata... stupida. Avevo evitato la verità, senza capire quanto fosse fondamentale. Se le avessi dato ascolto, quella sera in palestra, non avrei mai ricambiato il bacio di Edward. Non esisteva una soluzione al nostro problema e di conseguenza un futuro che comprendesse me ed Edward insieme. Ero talmente sconvolta, dal mio amore per lui, dal suo amore per me, da perdere di vista una simile ovvietà. Commettendo un ulteriore errore.

Confessare ad Edward che l’amassi era stato un errore.

Fare l’amore con lui era stato un errore.

La mia intera, stramaledettissima esistenza era un errore. Uno scherzo del fato. Il gioco di una bambino capriccioso.

Casa avessi pensato sarebbe rimasto un mistero. I suoi occhi troppo belli e il suo volto troppo perfetto, quel bisogno inconcepibile di confessargli l’immensità del mio sentimento e di dar sfogo alla mia ingiusta passione verso di lui, mi avevano fatto perdere la ragione. Inarcai il capo all’indietro, contro il muro, e mi tappai le orecchie con i palmi delle mani per un sentire ancora quella maledetta voce nella mia testa che mi ripeteva i miei errori e le mie debolezze.

In un mondo in cui io non fossi stata legata a Volterra, ad Aro, io ed Edward saremmo rimasti insieme, ma in quella realtà non c’era spazio per noi due.

Poteva una sola persona essere destinata a due vite tanto diverse? La prima era dettata da obblighi e doveri, la seconda da veri sentimenti. Io ero sempre stata consapevole di quale fosse la mia... eppure avevo continuato, imperterrita, ad amare e sperare.

Capì che fosse un bene l’assenza di Edward, lontano miglia e miglia.

Lui avrebbe combattuto per me, anche a costo della propria vita e io non avrei potuto permettere una cosa del genere. La vita di Edward era troppo importante. E sapevo che, insieme a lui, anche i Cullen si sarebbero schierati dalla mia parte e sarebbero morti. Non c’era alcuna forza su questo pianeta che potesse contrastare quella immensa dell’esercito dei Volturi. Conoscevo fin troppo bene Aro per non saper immaginare la sua furia. Odiava più di ogni altra cosa che gli venisse tolto ciò che considerava di sua proprietà e avevo notato che questo suo comportamento ossessivo/possessivo peggiorava quando in ballo c’ero io, il gioiello della sua collezione. Per tutte queste ragioni mi rialzai da terra, asciugai le mie lacrime e costrinsi il mio volto ad assumere un espressione neutra. Tutto ciò che fin ora aveva animato la mia esistenza fu oscurato, come in un eclissi, da quel futuro cui non potevo più voltare le spalle. Non ero più Bella, né una prescelta, né un’amica, né una sorella, né una figlia. Non ero più niente. avevo rinunciato all’unica cosa in grado di rendermi completa: Edward. Avevo accettato, per amore suo e dei Cullen, ciò che mi attendeva a Volterra e non mi sarei tirata indietro. Ne ero consapevole mentre salivo le scale per ritornare dalla mia famiglia e informarli della mia decisione. L’unica cosa in grado di confortarmi, in tutto questo, era la consapevolezza che, per quanto forte e potente fosse Aro, per quanto lunga fosse l’eternità, gli anni non sarebbero mai stati abbastanza da farmi dimenticare Edward. Aro avrebbe potuto avere il mio consenso, anche il mio corpo, ma mai avrebbe avuto il mio cuore o la mia anima. Quella sarebbe per sempre appartenuta a Edward. Ero parte del clan dei Volturi, ma - adesso conoscevo la differenza - sarei per sempre appartenuta al clan dei Cullen.

Il salotto era diventato un museo di statue di cera. Nessuno parlava o anche solo respirava. Il rumore del silenzio era assordante. Nessuno di loro aveva osato muoversi di un millimetro dalle posizioni in cui erano prima che io scendessi di sotto. Non ci fu bisogno di parole o gesti: la mia espressione era eloquente. Carlisle discese gli ultimi gradini e si avvicinò ad Esme, che affondò il capo nella sua spalla, tentando di trattenere i singhiozzi. Rosalie si spostò velocemente al fiacco del marito e lo cinse per la vita. Per una volta, neanche Emmet aveva nulla da dire. Jasper era rigido, serrava con forza la mascella.

≪Vuoi lasciarci, non è vero?≫, sibilò in tono accusatorio, ma nella sua voce il dolore vibrò come corde di violino trapassandomi l’anima e l’accusa perse ogni significato.

Non risposi, ma chinai il capo.

≪Perché≫, continuò, ≪non pensi alle conseguenze, a te stessa? Non pensi ad Edward...≫.

≪E’ proprio ad Edward che sto pensando≫, replicai, alzando lo sguardo in segno di sfida.

Jasper sostenne il mio sguardo, nei suoi occhi lessi le centinai di parole che avrebbe voluto pronunciare e tutto il suo affetto che si tramutava in rabbia. Il ricordo del nostro scontro con Maria e Benito mi ritornò alla mente, in particolar modo le parole di Alice: ≪Amare vuol dire anche lasciar andare≫. Ed io amavo Edward: quella era l’unica certezza che mi fosse rimasta.

≪Ho sbagliato più volte. Mi sono lasciata coinvolgere sentimentalmente nella vostra famiglia. Non avrei dovuto. Adesso ne pagherò le conseguenze≫.

Quelle parole, così fredde e scostanti, bruciarono come una vecchia ferita mai rimarginata.

≪Per amor del cielo, Bella, ascolta te stessa≫, ringhiò Jasper.

≪Guardami negli occhi e dimmi la verità≫, continuò.

Alzai lo sguardo sul suo volto deformato dalla furia ma bellissimo e non desiderai altro che buttarmi tra le braccia di mio fratello, che, nonostante il suo potere su di me non avesse effetto, riusciva ugualmente ad infondermi tanta serenità. Bloccai i miei muscoli nella totale immobilità.

≪Ricordi quella sera in palestra? Mi hai fatto capire che Edward avrebbe combattuto per me, come tu lo avresti fatto per Alice, se le parti fossero state invertite. E io lo so, l’ho sempre saputo, ma sono io a non potergli permettere di combattere, perché perderebbe. Non è saggio sfidare i Volturi. Non potrebbe mai vincere contro di loro. Solo l’idea è una follia≫.

≪Non sarebbe solo, noi...≫, iniziò Emmet.

≪Cosa, Emmet? Combattereste al suo fianco? Lo so, vi ringrazio. Ma pensate sul serio di riuscire a battere i Volturi? Non c’è esercito che possa farlo. E io non posso permettervelo. Non per me. Io vi amo ma devo lasciarvi≫.

Nessuno di loro seppe replicare alle mie parole, per qualche istante il silenzio calò su di noi.

≪Come potete vivere l’uno senza l’altra≫, chiese Esme in un sussurro che mi fece pensare stesse parlando tra se e se.

≪Rifiuta almeno la proposta di Aro, tesoro... non puoi accettare di...≫, sussurrò, in cerca di una soluzione.

Cara, dolce Esme. Nel suo immenso cuore di madre, non accettava l’idea che i suoi figli soffrissero...

≪Non posso tornare indietro, Esme. Aro non è stupido, s’insospettirebbe se rifiutassi la sua proposta e nella rocca ci sono spie dappertutto...≫, dissi, ripensando alle parole di Jane, il giorno dell’Agorà.

≪Ma...≫, cominciò Esme.

≪No, Esme≫, sussurrò Carlisle, posando una mano sulla sua spalla, intervenendo per la prima volta nel nostro dibattito.

Carlisle sorrise bonariamente alla moglie e poi fissò i suoi occhi sul mio volto.

≪Bella ha fatto la sua scelta ed è anche l’unica accettabile≫.

Carlisle mi si avvicinò lentamente, senza scostare lo sguardo dal mio volto. Fissavo i suoi occhi dorati e pieni di saggezza e vedevo tutta la comprensione di un padre. Carlisle prese le mie mani tra le sue e disse: ≪Combatterei per te, con te, figlia mia, se tu me lo chiedessi, ma so che non lo farai. Ho temuto questo momento fin dall’inizio e ti chiedo scusa. Non avrei dovuto incoraggiare Edward al vostro amore≫.

≪Non mi pento di aver amato, Carlisle, ma ho paura delle conseguenze che questo comporterà≫.

≪Anch’io, bambina mia, anch’io≫.

La mia maschera si sciolse sentendo il dolore racchiuso in quelle poche parole. Con dolcezza presi il volto perfetto di mio padre tra le mani e lo guardai negli occhi con tutto l’amore che provavo per lui.

≪Domani mattina io partirò, prima che Edward faccia ritorno a casa. Ti prego, ti prego, impediscigli di fare qualche sciocchezza. Non deve cercarmi, né osare mettere piede alla rocca. Se Aro leggesse i suoi pensieri lo ucciderebbe. Io lo amo, Carlisle. La sua vita è troppo importante per me. Deve saperlo. Deve sapere che nonostante la distanza e il tempo io non smetterò mai di amarlo. Come non smetterò mai di amare tutti voi≫.

Sul volto di Carlisle, adesso, vedevo riflesso lo stesso dolore del resto dei suoi familiari. Avrebbe dato la sua vita per la mia, ma non avrebbe mai rischiato quella degli altri. A volte, il mestiere di padre era orribilmente difficoltoso. Carlisle si riprese e mi fissò intensamente: era un modo per sancire la nostra promessa. Carlisle amava Edward come un figlio e non gli avrebbe mai permesso di fare qualche sciocchezza che potesse mettere a repentaglio la sua vita. In quella battaglia eravamo insieme.

≪Ti prometto che non lascerò che gli accada nulla, Bella. Anche a costo di farmi odiare da lui≫.

Capì perfettamente cosa intendesse. Se qualcuno mi avesse impedito di raggiungere Edward lo avrei odiato con tutte le mie forze, di chiunque si trattasse.  

********

Lasciai i vestiti per il giorno seguente su una sedia nella mia stanza e chiusi una delle mie enormi valigie che avevo già sistemato. Mentre mi accingevo ad organizzare il secondo trolley, di dimensioni più accettabili, lasciai che i miei pensieri divagassero. La mia memoria ritornò a quegli ultimi mesi. Mi soffermai con il pensiero sui momenti felici trascorsi nella grande casa bianca e tra i banchi di scuola. All’inizio ero stata certa che Volterra mi sarebbe mancata tantissimo. Ero rassegnata all’idea che non sarei  mai riuscita ad ambientarmi, ma stare con i Cullen si era rivelato molto più semplice e naturale del previsto. Forse avrei dovuto immaginare che il vero problema non sarebbe stato convivere con loro, ma doverli lasciare. Rifletterci non mi aiutava, ma iniziavo a chiedermi come avrei potuto sopravvivere senza la mia famiglia? Come sarebbero state le mie giornate senza la risata cristallina di Alice, senza al dolcezza di Esme, la comprensione di Carlisle, l’allegria di Emmet, la testardaggine di Rosalie, l’arguzia di Jasper. Il mio Jasper. Non avrei mai pensato di affezionarmi così tanto a lui o alla sua dolce compagna. La mia migliore amica, la mia Alice. Mi sforzai di non pensare al più giovane dei membri della famiglia, l’uomo meraviglioso del quale ero follemente innamorata. Come sarei sopravvissuta senza di lui? Non riuscivo neanche a immaginarlo. La sua presenza era diventata essenziale, il suo amore  necessario come l’aria. E come tale non avrei potuto vivere senza di esso. Inutile soffermarmi su idee così nocive per la mia salute mentale, non avrei potuto comunque cambiare la mia decisione. Nonostante desiderassi più di qualsiasi altra cosa poter rivedere il suo volto, almeno un’ultima volta, non potevo permettermi questa debolezza. Ero certa che Edward non sarebbe ritornato prima di mezzogiorno e per quell’ora io sarei già stata sull’aereo, di ritorno a... casa. Dovevo sforzarmi di rivederla ancora una volta in quel modo.

Quella mattina il risveglio fu decisamente diverso rispetto al precedente. Le differenze fondamentali, tralasciando le altre centinaia, erano due. La prima consisteva nella certezza che Edward non fosse al mio fianco. La seconda nella consapevolezza che non avrebbe mai più potuto esserlo. Era straordinario come sembrassero trascorsi pochi minuti, anziché ore, dalla sera precedente. Le lancette dell’orologio correvano impazienti, schiave del tempo meschino che le trascinava, dall’istante esatto in cui avevo realizzato che la lettera veniva dall’Italia.

Avevo idealizzato per quella notte incubi capaci di far accapponare la pelle, ma, forse, non esisteva un orrore peggiore della realtà. Sarebbe stato sufficiente un trailer della mia vita futura ad uccidermi e forse il mio subconscio aveva voluto risparmiarmelo, in un atto di inaspettata generosità. Anche Forks sembrava volermi salutare, a modo suo: pioveva a catinelle. Sentivo che persino quel piccolo angolo di mondo, sperduto tra viscide foreste e coltri di nebbia perenne, mi sarebbe mancato. L’intero Stato di Washington, tutta l’America, che non avevo avuto occasione di vivere e visitare come avrei voluto, mi sarebbe mancata. In casa aleggiava una calma placida e piatta, un po’ come la calma prima della tempesta, che non si risparmiava di infuriare all’esterno, quasi volesse abbattere le solide mura della nostra abitazione.

Esme aveva preparato la colazione, senza accennare che sarebbe stata l’ultima volta. Lo fece come fosse una mattina qualsiasi. Carlisle aveva preso un giorno di riposo dall’ospedale, per potermi accompagnare all’aeroporto, ma la sua presenza non pesava in casa. Leggeva un giornale sulla poltrona in salotto, mentre Emmet guardava la tv, a volume talmente basso che non avrei saputo dire se la giornalista della CNN stesse parlando per davvero. Rosalie posava dolcemente la testa in grembo ad Emmet e Jasper... qualcosa si era irrimediabilmente spezzato nel grande cuore di mio fratello. La sua espressione era illeggibile e nel suo sguardo non brillava alcuna luce. Non ero certa che fosse il suo potere a rendere tutti così calmi o una recita tacitamente concordata. Quando entrai in cucina, tutti alzarono lo sguardo per sorridermi, per poi riportarlo immediatamente alla sua precedente occupazione. Jasper chinò il capo e strinse le mani che teneva incrociate tra loro sotto il mento, sorreggendosi sulle braccia che posavano sulle sue ginocchia, senza incrociare i miei occhi, per paura dell’inevitabile momento in cui non avrebbe più potuto farlo.

Sgranocchiai la mia colazione lì con loro. Esme non aveva portato da magiare sul tavolo grande, come al solito. Evidentemente non voleva perdermi di vista, fin quando ne avesse avuta l’occasione.

Sarei dovuta essere all’aeroporto alle 11:45, perciò avevo parecchio tempo.

Lo trascorsi con loro.

Parlai soprattutto con Rosalie, Esme ed Emmet. La prima mi spazzolava dolcemente i capelli, mentre mi assicurava che mi avrebbe certamente invitata al suo prossimo matrimonio con Emmet. Quest’ultimo mi pregava di dissuadere la moglie a costringerlo a sopportare un altro matrimonio. Esme fu di poche parole. Si limitò a sorridermi e fissare il mio volto.

Carlisle e Jasper erano rinchiusi a riccio su loro stessi. Non proferirono parole per tutto il tempo. Il primo non avrebbe parlato, perché non avrebbe potuto dire ciò che desiderava. Non era in grado di aiutarmi, trovando una soluzione al mio problema e questo lo logorava. Nonostante la maschera di tranquillità che aveva dipinta sul volto, potevo immaginare quali pensieri gli vorticassero in mente. Ero certa che fossero gli stessi per entrambi.

Quando i miei tre dolci aguzzini mi concessero di respirare, decisi di fare un giro per casa. Mi soffermai su tutti quei dettagli cui non avevo dato importanza o prestato attenzione. Tentai di non notare l’ironia della grande croce in legno posta sulle scale come ornamento. In fine uscì all’esterno, sotto un grande ombrello nero. Alzai gli occhi, quando fui certa di trovarmi sotto al grande albero che era mio e di Edward. La pioggia mi bagnò il volto e l’acqua piovana si confuse con quella salata delle mie lacrime. Li avevamo parlato per la prima volta.

Quando raggiunsi l’albero di ciliegio di Esme mi sentì invadere dalla tristezza. Era malinconica l’idea di dover abbandonare una mia... creatura, ma ero certa che nelle mani di Esme fosse più che al sicuro. E pensandoci bene, quel regalo, sarebbe ato per sempre un ricordo tangibile della mia presenza nelle loro vite.

Dopo qualche altro minuto rientrai in casa.

Emmet andò a prendere le mie valigie per portarle giù. Esme mi stritolò in un abbracciò e iniziò a singhiozzare sulla mia spalla.

La tempesta era iniziata.

≪Tesoro, mi mancherai tantissimo. Puoi ancora cambiare idea, ti prego, sì certa della tua scelta prima di compiere questo passo≫.

≪No, Esme. Non ho mai potuto cambiare idea, mi dispiace. Mi mancherai tanto anche tu≫, le dissi, ricambiando il suo abbraccio, in modo tale da conservare il ricordo del calore materno e trarne forza quando ne avrei avuto bisogno.

Carlisle la tirò dolcemente a se per staccarmi dalla sua presa. Rosalie mi si avvicinò, mi strinse tra le braccia e mi carezzò i capelli, senza dire nulla: il suo sguardo era sufficiente. Emmet, anziché sollevarmi in aria come suo solito, mi strine forte al suo petto. Tra le sue braccia mi sentivo come una bambina piccola. Posò un bacio sui miei capelli e si allontanò.

Jasper non era lì.

Non mi aspettavo nulla di più e nulla di meno da lui.

Non accettava la mia scelta. Nonostante sapesse, meglio di chiunque altro, che era la cosa migliore. Sospirai e mi voltai in direzione di Carlisle.

≪Andiamo?≫, chiesi.

Lui annuì.

Prima che potessi muovere anche soltanto un passo, Jasper fu nella stanza, il capo chino si sollevò fino ad incrociare il mio sguardo. In un baleno gli saltai tra le braccia.

≪So che è la scelta giusta, ma non riesco ad accettarlo≫, sussurrò, posando le labbra sui miei capelli.

≪Lo so, ma non posso fare altrimenti≫, risposi.

≪Mi mancherai, sorellina≫.

≪Anche tu. Di ha Alice che le voglio bene e gliene vorrò sempre. Dopotutto è la mia migliore amica e non la dimenticherò≫.

Jasper mi lasciò, fissò i grandi occhi dorati e lucidi nei miei e annuì alla mia richiesta. Non devo piangere, non devo piangere. Queste parole sarebbero state il mio mantra per molto tempo. In quel momento era difficile mantenervi fede e resistere all’istinto di scoppiare in lacrime. Ero certa che, se mi fossi lasciata andare al pianto, sarebbe stato più difficile per tutti. Dover guardare per l’ultima volta i loro volti bellissimi e i loro straordinari occhi color ambra, segno tangibile di quanto fossero buoni e migliori di altri, fu la cosa più difficile da fare, tra tutte. Ero ancora più felice che Edward ed Alice non fossero lì. Non avrei mai potuto fissare i loro volti con la certezza che non li avrei mai più rivisti.

Io e Carlisle prendemmo posto nella Volvo e mi lasciai per sempre alle spalle l’unico luogo che potessi davvero chiamare casa.

Il viaggio fino all’aeroporto di Seattle fu piuttosto silenzioso. Presi un profondo respiro, conscia che avrei dovuto dire alcune cose a Carlisle prima che tutto finisse.

≪Grazie≫, sussurrai.

Carlisle mi rivolse uno sguardo interrogativo.

≪Per tutto. Per avermi accettato nella vostra famiglia, benché non aveste molta scelta... Per avermi fatta sentire a casa e amata. Per avermi salvato la vita. Per essere il padre che non ho mai avuto...≫.  Carlisle non disse nulla e dopo un po’ alzai lo sguardo in cerca del suo volto.

Stava sorridendo.

≪Non devi ringraziarmi, bambina. Hai portato tanta gioia nella nostra famiglia. E... che tu mi consideri come un padre è soltanto motivo di orgoglio. Semmai sono io a doverti ringraziare. Nonostante tutto hai condotto l’amore nel cuore di Edward≫.

Il sorriso sparì dal volto di Carlisle, per lasciare il posto alla tristezza.

≪Non devi sentirti in colpa, Carlisle. Non c’era una soluzione che tu potessi trovare. E quello che è nato tra me ed Edward penso fosse inevitabile, come tante altre cose≫.

Io e Carlsile sospirammo.

≪Carlisle, se Edward ed Alice non dovessero tornare, ti prego, fammelo sapere≫.

 Il fatto che fossero sopraggiunti nuovi problemi non significava che avessi dimenticato i vecchi.

≪Non succederà, ma se dovesse, lo saprai, te lo assicuro≫.

Annuì. Gli credevo.

La mia seconda volta in un aeroporto internazionale non fu dissimile dalla prima. E anche in questo caso, il panico era dettato dalla paura della distanza da cose e persone familiari. L’unica differenza consisteva nel fatto che non avrei dimenticato i Cullen e che la loro presenza sarebbe stata insostituibile. Mentre camminavamo un dubbio affiorò nella mia menta. Nella lettera - cui mi sforzavo di non pensare – Aro aveva menzionato una sorpresa. Forse avrei dovuto chiarire questa questione, quando fossi stata alla rocca. Basta sorprese. Non erano di mio gradimento, certo, a parte una...

Capì immediatamente di cosa si trattasse quando notai, ad aspettarmi, il volto bellissimo di Athenodora, scortata da due impassibili e composti Felix e Dimetri. Athenodora si allargò immediatamente di un sorriso abbagliante e mi venne incontro, seguita dai due vampiri in abiti formali. Quando mi raggiunse mi strinse immediatamente in un abbraccio. Lì commisi il primo fallo di una lunga serie: paragonare la stretta delle sue braccia a quella di Esme.   

Quando mi lasciò andare, trillò un: ≪Sorpresa≫.

≪Finalmente, Bella. Mi sei mancata≫, continuò.

≪Anche tu, Athenodora≫, sussurrai. Compresi che la mia non era totalmente una menzogna.

≪E’ un piacere rivederti≫, assentirono in coro Felix e Demetri.

Sorrisi a entrambi.

Carlisle strinse la mano di Athenodora a mo’ di saluto.

≪E’ un piacere rivederti, Carlisle. Io e Volterra ti siamo debitori. Aro ti manda i suoi saluti e mi ha esplicitamente chiesto di dirti che, di qualsiasi cosa tu o la tua famiglia abbiate bisogno, potete contare sul nostro aiuto. Permettimi di darti qualcosa in cambio della tua gentilezza≫.

Athenodora schioccò le dita in direzione di Demetri che teneva in mano un cofanetto che da solo era un regalo inestimabile. Carlise la fermò ancor prima che potesse prendere il cofanetto dalle mani di Demetri, con un sorriso allegro sul volto, ma io riconoscevo nel suo sguardo la tristezza.

≪Aro mi offende se crede che io voglia qualcosa in cambio. Ti prego di portargli i miei saluti e di rassicurarlo. Ospitare questa ragazza è stato un onore. La sua compagnia vale molto più di qualsiasi gioiello. Credetemi se vi dico che ormai fa parte della nostra famiglia quanto della vostra. In futuro sarà sempre la benvenuta≫.

 Carlisle mi sorrise dolcemente e io ricambiai con affetto.

≪Molto bene, allora. Porterò ad Aro i tuoi saluti Carlisle. E’ ora di andare Bella; il nostro volo è stato annunciato≫.

 Annuì e mi avvicinai a Carlisle. Gli altri iniziarono ad avviarsi per lasciarci un po’ di privacy. Carlisle mi cinse per la vita e posò un bacio sui miei capelli.

≪Addio, figlia mia≫.

≪Addio, padre≫, con quelle parole mi allontanai, consapevole che la mia presenza nelle loro vite non sarebbe mai stata dimenticata.

Io, Athenodora, Felix e Demetri prendemmo posto sui comodi sedili della prima classe e l’aereo decollò. Il distacco del mezzo dalla terrà bruciò come il fuoco sulla pelle, perché sentì la distanza fisica tra me e Carlisle, tra me e i Cullen, tra me ed Edward ancor più pesantemente. Athenodora al mio fianco mi strinse la mano e disse: ≪Si felice Bella, tra poche ora sarai di nuovo a casa≫.

Quando l’aereo atterrò all’aeroporto di Firenze, quella stessa sera, trovammo un auto nera ad attenderci. Mi soffermai a guardare fuori dal finestrino per tutto il viaggio, finché la campagna Toscana non ci sfilò accanto. D’un tratto le alte mura di Volterra ci si pararono davanti. Chiusi gli occhi per qualche minuto, in cerca di concentrazione e presi un profondo respiro. Fissai il mio sguardo sulla città. Sì. Ero tornata a casa.

Demetri posò le mie valigie accanto alla scrivania e poi sparì oltre la porta.

≪Ti lascio dieci minuti di privacy, vorrai darti una rinfrescata. Fai in fretta, il tuo signore ti attende≫.

Athenodora mi fece una carezza sulla guancia ed uscì, richiudendosi la porta alle spalle. Mi guardai intorno, incerta. Conservavo un ricordo fotografico della mia vecchia stanza, non era accogliente come quella che avevo a Forks. Non avrei mai notato quanto fosse fredda e spoglia, se non avessi conosciuto il calore di un rifugio diverso, colmo di ricordi. Rabbrividì, sfregandomi le braccia e mi diressi in bagno. Lavai la faccia e pettinai i capelli, tentando di fare dei respiri profondi. Athenodora aveva detto chiaramente che Aro mi stava aspettando e io dovevo essere pronta a rivederlo. Non potevo rischiare che il mio volto tradisse alcunché, altrimenti sarebbe stata la fine. E soprattutto non dovevo permettere a me stessa di paragonarlo ad Edward. Meditare il suo nome lo riportò al centro dei miei pensieri. Non lo vedevo da due giorni e già mi mancava terribilmente. Sentivo di fare un terribile torto all’uomo che amavo, permettendo a qualcun altro di avermi, allo stesso modo in cui ero appartenuta a lui...

Cosa avrei dovuto sperare per noi? Era giusto augurarsi che lui si rifacesse una vita? Sì, lo era. Allora perché al solo pensiero la gelosia mi mozzava il respiro e mi stringeva il cuore?

L’entrata silenziosa di Athenodora mi fece rinsavire. Reclinò la testa di lato davanti alla mia espressione e mi si avvicinò. Mi sistemò i capelli e la maglietta.

≪Cosa c’è, Bella? Sai strana. Non sembri felice di essere tornata a Volterra≫, constatò.

M’irrigidì immediatamente.

≪Lo sono≫, mi affrettai a dire.

≪E’ soltanto il cambiamento e la stanchezza≫, aggiunsi.

≪Ti capisco. Mi raccomando, però, Aro è molto ansioso di rivederti. Questo è un bel giorno, la mia presenza all’aeroporto non è l’unica sorpresa che ti attende≫.

Athenodora non aggiunse altro, ma mi trascinò nella stanza accanto e mi aiutò ad indossare un lungo abito bianco, molto semplice, e mi acconciò i capelli.

≪Athenodoa, che cosa...?≫.

≪Shh, non chiedere nulla. Capirai≫.

Un angosciante presentimento si fece largo nella mia mente. Lo stomaco sobbalzò, agitandosi come un mare in tempesta. Quell’abito spaventosamente bianco e candido e l’accortezza con la quale Athenodora acconciava i miei capelli non potevano significare ciò che temevo. Le porte degli inferi si spalancarono e mi accolsero troppo in fretta. Non quella sera, pensai. Avevo ancora impresso nelle narici il suo profumo e le sue carezze sul mio corpo. Le mani che tenevo posate in grembo tremarono, tanta era la paura che i miei incubi stessero per concretizzarsi. L’unica cosa che fui in grado di pensare fu il suo nome. Edward. Edward. Edward. Invocai il suo nome e pregai il suo volto, come fosse il mio santo ed io la sua devota. Aiutami, avrei voluto urlare perché, anche a dispetto della distanza, lui mi udisse. Athenodora mi aiutò a sollevarmi e mi permise di specchiarmi. L’unica cosa che notai, dell’immagine riflessa allo specchio, furono gli occhi spenti della donna che mi fissava con la morte nello sguardo e nel cuore. Benché non sentissi più la presenza delle gambe come arti inferiori del corpo, in fine, ci avviammo alla sala dei troni.

Avevo sperato di avere giorni, settimane a disposizione, prima del passo che mi avrebbe definitivamente catalogata come proprietà di Aro Volturi, l’avvoltoio. L’etimologia del suo nome mi sembrava più che mai adatta ad un uomo come lui: incredibilmente intuitivo e capace di vedere anche le più piccole possibilità nelle più piccole imprese. La stima che provavo nei suoi confronti non avrebbe mai potuto mutare in qualcosa di più profondo. Temevo soltanto che, le sue qualità, lo inducessero a comprendere il cambiamento e mandassero a monte tutti i miei tentativi di salvaguardare la famiglia Cullen, la mia famiglia.

Nel momento in cui compresi che la nostra destinazione non fosse la sala dei troni, ma bensì una sala più grande del palazzo, i miei dubbi divennero fatti concreti. Tremai convulsamente e un nodo alla gola mi soffocò la voce e il respiro. Non mi stupì nel percepire che all’interno della stanza vi fossero radunate tutte le presenze del palazzo. Le gambe opposero un’immediata resistenza, mentre Athenodora spalancava la porta. Come avevo intuito la stanza era affollata. Mi guardai intorno terrorizzante e tremante. I membri della guardia costeggiavano il lato est della sala e mi osservavano, alcuni totalmente confusi e altri consapevoli. Per un istante incrociai lo sguardo furente di Jane. Era sempre stata gelosa delle attenzioni che Aro mi riservava, da diciotto anni a quella parte non era più lei il gioiello della sua collezione. La voce acuta e carezzevole di Aro mi riportò alla realtà e capì di essere rimasta immobile di fronte all’entrata. 

≪Mia cara≫, disse Aro.

≪Ben tornata a Volterra. Avvicinati tesoro: lascia che io ti guardi≫.

Athenodora mi posò una mano sulla spalla e m’incitò a camminare. Avanzai lentamente verso un sorridente Aro. Ed errai, cedendo alla mia debolezza. Paragonai Aro ad Edward. Il suo volto, la sua voce, il suo sorriso, così diverso da quello del mio maestro, come i suoi modi, il suo cuore, l’anima candida. La differenza tra la bellezza disarmante del volto del mio amore e quello di Aro era quasi ironica. In realtà, non avevo mai provato a vedere Aro sotto quella luce, nemmeno nel momento in cui avevo accettato di diventare sua moglie. Non riuscivo ad intuire se fosse bello o meno. Comunque, la sua bellezza non avrebbe mai oscurato quella di Edward. Non c’era  nulla che potesse farlo. La forza luminosa della sua volontà era sufficiente ad annientare chiunque: con me c’era riuscito. Mi aveva annientata completamente.

Il mio cuore gli apparteneva, avrebbe potuto calpestarlo senza che io opponessi resistenza, la mia anima, i miei desideri più casti e lussuriosi, la mia concentrazione. Anche sulla via per l’inferno il suo nome risuonava tra i miei ricordi.

Ero sua.

Rimaneva poco di me per Aro.

Non annullava il suo volto dai miei pensieri, neanche mentre mi parlava, dopo un’assenza di mesi.

Non sarei mai più stata la stessa. Non sarei mai potuta tornare indietro.

 La parte migliore di me era a miglia di distanza.

Dovevo vedere Edward, avevo bisogno di rivederlo.

Sbuffai.

Non riuscivo a resistere senza di lui neanche poche ore, figurarsi l’eternità. Era così facile cedere alla tentazione di ritornare da lui...

Le mani fredde di Aro strinsero le mie ed io resistetti alla tentazione di scrollarmelo via.

≪Bella≫, sussurrò.

≪La distanza ti ha resa ancor più meravigliosa, ai miei occhi, mia promessa. Mi racconterai ogni cosa a tempo debito, a meno che non ci sia qualcosa che tu voglia dirmi immediatamente≫.

Aro mi sorrise gentilmente, mostrando i denti bianchi.

Incrociai il suo sguardo, senza mostrare alcuna emozione con l’espressione del mio volto e dissi: ≪No, signore. Non c’è nulla di così rilevante da non poter attendere un momento più consono≫.

≪Ottimo≫, rispose con un leggero battito delle mani.

≪Ti starai chiedendo perché ti ho fatto vestire in questa maniera. Suppongo che Athenodora ti abbia già accennato qualcosa in merito ad una sorpresa, ma adesso capirai...≫, così dicendo si voltò nella direzione delle guardie impegnate a conversare tra loro silenziosamente.

Un enorme punto interrogativo mi oltrepassò lo sguardo. Le cose non erano già abbastanza chiare?

Aro mi cinse per la vita e mi attirò a se, con dolce possessività e io tentai di trattenere le lacrime che, impetuose, mi supplicavano di lasciarle libere.

≪Fratelli, figli miei. Oggi assistete a un lieto evento. E bene, prima di partire per la grande battaglia di cui per i secoli a venire vi saranno riconosciute le gesta, questa splendida fanciulla al mio fianco, la creatura più eccezionale che il nostro mondo mitologico possieda, ha accettato di diventare mia moglie. Vi rendo partecipi, signori, di questo momento di felicità che ha colto entrambi. Per alcuni di voi non è una sorpresa, perché vi state prodigando a preparare il nostro matrimonio. Tra tre giorni, infatti, celebreremo la nostra unione, per la prosperità della razza dei prescelti e quella dei vampiri. Il mattino del terzo giorno le due razze si uniranno sotto un’unica grande potenza. Io e la mia futura sposa abbiamo deciso di renderlo ufficiale proprio al termine dello scontro, così che a morte e dolore si affianchi la gioia... e la vita≫.

Quando Aro concluse, per un attimo, nella stanza calò il silenzio. In fine i due anziani signori di Volterra applaudirono leggermente e questo diede il via alle dimostrazioni di giubileo di ognuno dei presenti. Aro si chinò, tanto velocemente che stentai a vederlo, per posare un casto bacio sulla mia guancia. Un brivido mi percorse la pelle insieme a una sensazione di gelo. Mi carezzò la stessa guancia che aveva appena baciato con le labbra, le stesse che avevano avidamente e sadicamente succhiato il sangue di centinai d’innocenti, e disse: ≪Mi sembri pallida, mia cara. Voglio vederti serena e felice. Questo è l’inizio di un nuovo capitolo della vita di entrambi. Per il matrimonio non dovrai preoccuparti di nulla. Penseremo a tutto noi. Qualcuno si sta anche occupando degli inviti, ma sarà una cerimonia intima, soltanto pochi amici che festeggino con noi la nostra felicità. Sai, sarà proprio il nostro caro vescovo Marcus a celebrare questa nostra unione, nella stanza del dipinto≫.

Vi ero stata soltanto una volta. Era la stanza più grande del palazzo e la più lussuosa, ampia e luminosa. Alle pareti vi erano alcuni rivestimenti in oro. L’altare era grande e antico. E sul soffitto era appunto raffigurato un bellissimo dipinto. Quella sala incantevole sarebbe stata testimone del giorno e del gesto più brutto della mia vita.

≪So che sei sorpresa dei tempi così brevi, ma ho chiesto che i preparativi iniziassero subito. Sarà tutto magnifico, mio amore. Vedrai. Ma adesso va, mi sembri stanca≫.

Aro mi lasciò andare ed io mi allontanai, con uno scatto repentino e assoluto. Mi voltai, in cerca della solitudine che agognavo da ore.

≪Ah, Bella, quasi dimenticavo≫, mi voltai nella sua direzione e la luce nei suoi occhi mi terrorizzò.

≪Quando saremo sposati, provvederò perché le tue cose vengano trasferite nei miei appartamenti. Saremo una famiglia, non dimenticarlo. E io ti voglio con me, sempre. Anche se, ormai, abbiamo l’eternità davanti a noi≫.

Athenodora mi accompagnò in camera, ciarlando inutilmente di vestiti e cerimonie. Io mi lasciavo trascinare dalla sua mano che stringeva la mia, dal flusso delle sue parole, ma la mia mente era vuota. Non mi accorsi neanche che fossimo arrivate in camera mia fin quando le mani di Athenodora non fecero scendere la zip del mio abito e una vestaglia davvero corta prese il suo posto.

≪Adesso ti lascio da sola, piccola. Avrai sonno. E’ stata una giornata pesante≫.

Si avvicinò alla porta, mi soffiò un bacio con la punta delle dita e si allontanò, dopo aver mormorato un “sogni doro”.

Mi trascinai sul letto e mi coprì con le lenzuola fin sopra la testa. Mi curvai in posizione fetale, stringendomi, immaginando che fossero le dolci braccia di Esme. Le lacrime che per tutto il giorno mi ero sforzata di trattenere sgorgarono dai miei occhi e inzupparono il mio cuscino. Per troppo tempo mi ero permessa di essere felice, adesso ne scontavo le conseguenze. Avevo amato, di un amore inumano e totalitario, oltrepassando forse qualche confine immaginario, per cui adesso avrei dovuto pagare. Il ricordo di quell’amore era l’unica cosa rimastami e di cui nessuno, mai, avrebbe potuto privarmi. Avrei voluto che le braccia di Edward mi cingessero la vita e mi stringessero a se nell’oscurità. Potevo quasi sentire il dolce profumo della sua pelle mentre scivolavo nel dormiveglia. Nel sonno percorsi il suo corpo con i miei occhi, per poi soffermarmi sul suo volto, sul suo sorriso sghembo e rassicurante. Quel sorriso felice che le sue labbra dipingevano ogni volta che incrociava il mio sguardo. I suoi occhi dorati brillavano e illuminavano la mia notte, come stelle del firmamento. Vidi me stessa sopra di lui, con un sorriso complice sulle labbra e una luce dolce ma maliziosa negli occhi, chinarmi e posare un bacio sulla sua bocca. Sognai, perché non avevo altro. Sognai, perché l’immaginazione era l’unica cosa che ancora mi teneva con i piedi per terra...  

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Capitolo 17
*** Destino ***


Buon pomeriggio! Eccomi di nuovo qui con l'aggiornamento. Non so cosa dire per quanto riguarda il capitolo. Le espressioni sui volti di ciascuno dei Cullen nelle immagini si associano al loro ruolo e al loro stato d'animo. Io non sono molto sicura delle parole che ho utilizzato, spero che a voi il cap piaccia. Vi lascio alla lettura con un grande bacio, ci sentiamo nei commenti<3

15 Destino(Edward)

L’istante occupa uno stretto spazio fra la speranza e il rimpianto, ed è lo spazio della vita.

Marcel Jouhandeau, algebra dei valori morali, 1935

Riconoscere il sentiero che portava a casa, tra il fogliame e la nebbia fitta che inquinava l’aria, fu un gran sollievo. Avevo quasi la sensazione che le membra fossero intorpidite per il lungo viaggio, ma sapevo che era soltanto un effetto della tensione della mente. La mia casa... Per decenni la compagnia della mia famiglia era stata l’unica distrazione da una vita notturna e solitaria, ma, benché amassi ognuno di loro con ogni singola cellula del mio corpo di fredda pietra, ero sempre stato certo che al quadro dei miei affetti mancasse qualcosa. Con il passare del tempo le generazioni, le mode, le auto e le canzoni cambiavano. I bambini diventavano uomini e gli uomini padri. Avevo imparato a non affezionarmi agli oggetti materiali e in particola modo alle abitazioni che mia madre riportava alla luce e rendeva straordinariamente accoglienti. La grande casa bianca costituiva la mia unica eccezione. Sapevo che il vero motivo del mio cambiamento non era dovuto a quell’impensabile cittadina, dal paesaggio verde e viscido, che offriva la possibilità di uscire alla luce del giorno, ma a Bella...

Con la sua comparsa quasi imposta nella mia vita aveva portato la consapevolezza del luogo cui appartenessi da sempre e per sempre: il suo fianco. Bella altro non era se non una parte di me, allo stesso modo in cui io ero una parte di lei. Anche Alice era sollevata al pensiero che pochi metri la separavano dal suo Jasper, la sua casa. Quando aveva rischiato di perderlo, qualche settimana prima, si era sentita morire. Tutte le sue certezze erano crollate come un castello di carta. Lei era andata a cercare Jasper, certa che appartenesse alla sua vita allo stesso modo in cui lei apparteneva alla sua, ma le parole di Maria l’avevano fatta impensierire. Era davvero ciò che Jasper voleva? Gli aveva mai concesso una scelta? Vederlo lasciare Maria di sua spontanea volontà per tornare da lei, l’aveva fatta rinascere. Il loro amore era più forte che mai. Più forte di ogni tentazioni, sia che fosse quella del sangue umano che del desiderio di ritornare ad una vecchia vita mai realmente dimenticata. Parcheggiai la Mercedes di Carlisle in garage. La mia Volvo non c’era: Carlisle doveva averla prese per andare a lavoro. Alice mi volteggiò a fianco, tutta contenta, e insieme ci avviammo alla porta d’ingresso.

Lo percepì immediatamente, appena varcata la soglia di casa, il gelo artico, la sensazione di vuoto... e perdita. Alice non si era accorta del clima che aleggiava in casa, ma la sorprendeva che Jasper non l’avesse raggiunta immediatamente, come si aspettava. Benché fosse ignara di ciò che io percepivo, la preoccupazione angosciò anche i suoi pensieri. Mi lanciò un’occhiata ansiosa e insieme raggiungemmo il salotto, dove tutti erano riuniti.

Lo spettacolo che si presentò ai nostri occhi fu agghiacciante. Esme sedeva sul divano scossa da tremiti e singhiozzi. Rosalie le sedeva accanto e le teneva la mano, come se stesse tentando di consolarla. Emmet era poggiato allo schienale del divano a braccia conserte, lo sguardo basso. Jasper era immobile nella stessa posizione di nostro fratello, ma poggiava la schiena alla parete; non alzò lo sguardo da terra. Ciò che più mi preoccupava erano i loro pensieri. Nulla che mi lasciasse intendere cosa stesse succedendo o cosa fosse successo. Le loro menti erano piene di sciocchezze, cose futili e insignificanti: distrazioni. E allora fui certo che stavano tentando di nascondermi qualcosa. Alice fu da Jasper in un batter di ciglia e gli alzò il mento con le dita, in cerca del suo sguardo. Lo scrutò a lungo, preoccupata di ciò che il marito le nascondeva. Lui, dal canto suo, continuò a non dire o pensare alcunché, si limitò a stringere a sé Alice, come se avesse bisogno di aggrapparsi a lei, come se avesse bisogno di sostegno, ma allo stesso tempo protettivo.

≪Che cosa è successo?≫, chiesi, turbato dalla situazione.

Il nulla.

Nessuna risposta e nessun pensiero. L’unica cosa che ottenni fu l’aumento istantaneo dei loro pensieri incoerenti e rumorosi.

≪Smettetela di pensare sciocchezze, mi farete impazzire≫, sibilai, ma nessuno di loro mi prestò ascolto.

Sovrastato da tutti quei pensieri senza senso, faticavo ad ascoltare le mie idee, finché una non riempì la mia mente fino a farla scoppiare.

Rabbrividì e il tono della mia voce si alzò di due ottave.

≪Dov’è Bella?≫, chiesi.

Istintivamente annusai l’aria, per la casa aleggiava il suo profumo, ma la scia non era recente.

Lei non era qui.

La mia mente vagliò tutte le possibilità.

Che fosse in ospedale con Carlisle?

Era plausibile, ma non diminuì la mia ansia. E la mancanza di chiarimenti da parte dei miei familiare non fece che inquietarmi ulteriormente.

≪Allora?≫, continuai, ≪è in ospedale con Carlisle? Lui sta bene?”, chiesi rivolto a mia madre che aveva ricominciato a singhiozzare.

≪Esme?≫, sussurrai, sconvolto dalla sua reazione.

Vederla in quel modo frantumò i pezzi appena risaldati del mio cuore. Il sollievo fu istantaneo quando udì lo stridio familiare delle ruote della mia Volvo sull’asfalto e i pensieri di Carlisle. Tra tutti i miei familiari mio padre era il più esperto nel celare i propri pensieri. Mi conosceva da più tempo e mi aveva aiutato ad affinare questa mia dote così che non mi deconcentrasse troppo. Carlisle era sempre stato un punto di riferimento per me, come io lo era stato per lui, essendo il primo membro della sua famiglia. Nel nostro rapporto erano rare le volte in cui sentiva la necessità di nascondermi qualcosa e viceversa, e questo non fece che aumentare la mia preoccupazione. Attesi che ci raggiungesse, in cerca del suo sguardo rassicurante. Eppure, la sua espressione quando fece capolino nella stanza silenziosa, non era poi molto diversa da quella degli altri. Il suo volto, dai tratti sempre dolci e amichevoli, era duro come la pietra e gli occhi dorati erano inespressivi. Mi lanciò uno sguardo carico di dispiacere e... compassione.

Un moto d’irritazione mi attraversò la mente e il corpo che tremò convulsamente e quando pronunciai il suo nome suonò come una minaccia tra i miei denti serrati.

≪Carlisle≫, dissi.

≪Che cosa sta succedendo? E dov’è Bella? Perché non è con te?≫, chiesi.

Per un attimo pensai che fosse tornata a La Push. Dove altro poteva andare? Ma non potevo credere che, nonostante le avessi detto quanto dolore mi causava saperla in pericolo e a chilometri di distanza da me, lo avesse fatto ugualmente.

≪Dov’è Bella?≫, insistetti, scandendo le parole con voce tremante. Mentre la rabbia faceva tramare il mio corpo come un diapason, i miei occhi puntavano il volto di mio padre, rinchiuso nel suo snervante silenzio, con una furia che non gli avevo mai rivolto, neanche quando i suoi principi si dimostravano d’intralcio tra me e le prede che promettevano di saziare la sete in gola.

≪Figliolo...≫, iniziò.

≪Dimmi dov’è Bella, Carlisle≫, ringhiai, in tono basso e minaccioso.

Non mi ero mai permesso di rivolgermi così a mio padre, ma questo non mi fermò.

≪E’ andata via, Edward. Bella è tornata a Volterra. Ieri pomeriggio le è arrivata la lettera di richiamo; sono appena tornato dall’aeroporto. Edward, era la scelta più saggia...≫.

Non ascoltai il resto della parole pronunciate da Carlisle.

I miei pensieri avevano cementato le proprie radici sulle parole iniziali.

Bella era andata via.

Era ritornata a Volterra, tra le grinfie dei suoi aguzzini: tra le grinfie di Aro.

Non c’era più: fu una consapevolezza dolorosa da ammettere con me stesso.

Ero arrivato troppo tardi: fu il pensiero seguente.

Ero certo che qualcuno, in quel momento, stesse ridendo e traendo buonumore dal mio dolore , quel alcun che giocava con me da anni.

Mi era stata strappata dalle mani la mia unica ragione di vita, la parte migliore di me stesso.

La mia Bella.

Il senso di perdita e vuoto furono travolti da una rabbia cieca e cocente, tanto intensa che il mio corpo stentava a trattenerla. Rabbia verso me stesso, verso il mondo, verso il tempo e verso Carlisle. Era la prima volta che, guardandolo in viso, non riuscivo a riconoscerlo. Vedevo i suoi tratti come fossero quelli di un alieno.

Non riuscivo più a riconoscere mio padre.

Lui, che mi aveva fatto ammettere con me stesso il mio amore per Bella. Lui, che mi aveva sempre sostenuto ed aiutato adesso mi aveva tradito. Lui l’aveva lasciata andare come se nulla fosse. Me l’aveva tolta, senza curarsi di avvertirmi, consapevole che non sarei arrivato in tempo. Un ruggito sordo mi perforò il petto, un ringhio feroce che non avevo mai emesso. I mio occhi fiammeggiarono d’odio mentre fissavano il volto di un uomo che non riconoscevo e che mi guardava con compassione e puntarono alla sua gola. Ero consapevole che, grazie alla forza che sentivo fluire nei muscoli e nelle ossa, sarei stato in grado di distruggerlo, annientarlo. E vedere chiaramente nei suoi occhi che lui non mi avrebbe fermato né contrastato, mi fece provare ancor più odio e repulsione. Scoprì i denti, come avrei fatto se fossi stato a caccia davanti ad una preda, per quanto piccola e indifesa in confronto a me, doveva almeno sapere con chi aveva a che fare e mi preparai a scattare. Le mie mani si arcuarono come uncini, come artigli. Sentivo il desiderio di distruggere colui che avevo amato come un padre con una tale intensità da sovrastare qualsiasi altro pensiero logico e razionale. Pronto a balzare sulla mia preda due paia di braccia mi serrarorono la vita e altre due le braccia, in una morsa tanto potente da farmi gemere per il dolore. Un dolore fisico, un nonnulla in confronto ai due differenti fuochi che mi stringevano il cuore. Il primo, quello che bruciava più di tutti, era la consapevolezza di aver perso Bella. La certezza che lei aveva deciso di andarsene, di lasciarmi. Il secondo era quello dovuto al tradimento di mio padre. Tentai di divincolarmi dalle morse dei miei fratelli, ma non potevo nulla contro la forza devastante di Emmet. Continuai a ringhiare e a mostrare i denti al volto stupito ma composto di Carlisle, tentando di avanzare. Mi trascinavo verso di lui, ma spostare anche Emmet e Jasper era impossibile. Carlisle non arretrò neanche di un passo. Il dolore nei suoi occhi non fu sufficiente a fermarmi o a diminuire la mia rabbia.

≪Edward, calmati≫, sussurrò Jasper.

Ringhiai, strattonandolo, ma le sue braccia erano pesanti intorno alla mia vita.

≪Jasper ha ragione. Devi calmarti ragazzo, Carlisle ha fatto ciò che era giusto≫, lo spalleggiò Emmet.

Le sue parole mi fecero rinsavire per un attimo e una profonda verità mi si parò davanti agli occhi.

≪Voi lo sapevate e non l’avete fermato. L’avete lasciata andare come se non v’importasse nulla di lei. Come se non aveste alcuna idea del destino cui sta andando incontro, cui l’avete mandata. Dov’era tutto l’amore fraterno che vantavate nei suoi confronti?≫, urlai, rivolto soprattutto a Jasper.

Questo chinò il capo ed io approfittai della sua distrazione per muovere un passo avanti. Immediatamente giunsero le braccia di Emmet a trattenermi, per dare il tempo a Jasper di ritrovare la concentrazione.

≪E’ stata una sua scelta≫, sussurrò Jasper.

≪E’ stata una scelta sbagliata. Come avete potuto?≫.

Poi mi voltai in direzione di Carlisle, in modo lento e letale, fulminandolo con lo sguardo.

≪Ti considerava come un padre. E tu hai pensato bene di rinchiuderla nuovamente nella sua prigione di cristallo! Non ho mai pensato che sarebbe giunto il giorno in cui lo avrei detto, Carlisle... io ti odio≫.

Tutti trattennero il respiro a quella mia improvvisa dichiarazione che mi lasciava indifferente e Carlisle arretrò, quasi lo avessi colpito in volto con un potente manrovescio, visibilmente ferito, ma mai quanto lo ero io dal suo gesto. Prima che chiunque di noi potesse dire qualsiasi cosa, una figura algida e femminile mi fu di fronte. Esme sollevò la mano e colpì il mio volto tanto violentemente da farmi voltare il capo. Tra lo stupore generale le sue parole risuonarono chiare e autoritarie, come non le avevo mai sentite.

≪Non osare rivolgerti in questo modo a tuo padre, Edward Anthony Masen Cullen. Pensi che sia stato facile per noi lasciarla andare? Pensi che io e Carlisle non l’amassimo come una figlia? O che i tuoi fratelli non l’adorassero come una sorella? Edward, eravamo tutti consapevoli che sarebbe potuta finire in questa miniera. Devi accettare la scelta di Bella, per quanto tu non la condivida. Lo ha fatto per proteggere tutti noi. Lo ha fatto perché ti ama, perché tiene alla tua vita più che alla sua. Non hai idea, ragazzino, di quanto sia stato difficile per tuo padre prendere questa decisione. Scegliere tra noi e lei. Non l’avrebbe mai fatto se non fosse stata Bella a chiederglielo≫.

Rimasi immobile, gli occhi sgranati, le labbra socchiuse e la veridicità delle sue parole, insieme alla consapevolezza di ciò che stavo per fare ricaddero sulle mie spalle, pesanti come macigni, e dovessi reggerli con non altro se non una misera forza umana, e tutta la mia furia si dissolse, sciogliendosi come neve al sole. I ragazzi, non avvertendo più la mia rigidità né alcun segno di voler attaccare ancora, mi lasciarono andare con cautela. Per la seconda volta nella mia vita mi sentì talmente sopraffatto dal peso delle mie stesse emozioni, da non riuscire a reggerlo e caddi a terra, in ginocchio. Esme non ci pensò due volte a stringermi contro il suo ventre e carezzare i miei capelli, come se fossi un bambino bisognoso di conforto, sempre pronta a consolarmi nonostante i miei comportamenti e i miei sbagli. Non disse nulla, si limitò a consolarmi silenziosamente, ma sapevo che non sarebbero bastati tutti i singhiozzi di questo mondo per liberarmi del peso che sentivo nel cuore. Ero stato stupido, troppo accecato dalla rabbia e dal dolore per riuscire a vedere la sofferenza degli altri. Come avevo potuto trattare in quel modo mio padre? Non me lo sarei mai perdonato. Carlisle non aveva mai fatto nulla contro di me. Non aveva mai smesso di amarmi, neanche quando, a causa della mia sete, diventavo come i mostri che lui tanto odiava. Carlisle era l’uomo migliore che conoscessi, tanto da rimanere immobile nel momento in cui mi acquattavo, pronto a saltargli alla gola. Lentamente e con cautela mia rialzai da terra, grato ai miei fratelli che si erano allontanati da me per lasciarmi un po’ di privacy.

≪Grazie, mamma≫, le dissi imbarazzato.

Esme mi sorrise dolcemente. Sospirando mi voltai in direzione di mio padre. Mi fissava comprensivo, non un briciolo di odio o disgusto mentre mi avvicinavo a lui. Quando gli fui di fronte chinai il capo e dissi: ≪Mi dispiace, papà. Il mio comportamento è stato ingiustificabile. Se ti avessi fatto del male, non me lo sarei mai perdonato≫.

Non alzai lo sguardo mentre attendevo la risposta di Carlisle. Mio padre posò una mano sulla mia spalla e io alzai gli occhi, fissandoli nei suoi, saggi e belli.

≪Non devi scusarti, figlio mio. Non avrei mai preso una decisione del genere, se non avessi ritenuto che fosse l’unico modo. Sai quanto amassi Bella e quanto mi rendesse orgoglioso vedervi insieme. Mi sarei meritato tutto il tuo odio, Edward. Ti ho strappato ancora una volta di mano la pace e la felicità, figlio mio, puoi perdonarmi?≫.

La pace: regalo della morte alle anime mortali. Non avrei mai pensato che Carlisle potesse sentirsi in torto per avermene privato. Non gliene facevo una colpa; mi aveva salvato la vita, compiendo il suo primo vero gesto da padre.

≪Io non ti odio, Carlisle. Non potrei mai. Sei miei padre da tanto tempo. Dovresti sapere che non ti faccio colpe e non te ne farò. Hai fatto ciò che ritenevi giusto. E devo dire che anche io, pochi giorni fa, avrei detto che non c’era altra soluzione. Non che io vi potessi costringere ad affrontare≫.

Carlisle mi tirò a se per un abbraccio che ricambiai ben volentieri. Nella stanza si diffuse una pace melliflua e finta, almeno per quanto mi riguardava, opera probabilmente di Jasper. Quella falsa serenità che non mi apparteneva mi aiutò, però, a riacquistare un altro po’ di lucidità. Quando mi allontanai da Carlisle, ci fissammo negli occhi, uno sguardo che diceva molto più di mille parole. Nonostante l’atmosfera fosse molto più tranquilla ora, l’angoscia non mi abbandonava e poco poteva il potere di Jasper contro il dolore che sentivo al centro del mio petto.

≪Edward?≫, mi chiamò Carlisle, ≪ho forse capito male o hai parlato di una soluzione?≫.

≪Non hai capito male Carlisle. La visione di Alice ci ha condotti in un abitazione, come già sapete. Vi abitavano due umani e sono dei parenti della nostra Bella≫.

Tutti i presenti, esclusi me ed Alice, rimasero a bocca aperta.

≪Racconta≫, disse Carlisle, ≪ho idea che sia una storia lunga≫.  

Io ed Alice facemmo un resoconto dettagliato del nostro viaggio, riportando le esatte parole di Reneé e le nostre sensazioni, per poi condividere le nostre riflessioni finali sulla falsità dei Volturi e della guerra in atto.

≪Ora capisco≫, sussurrò Carlisle in fine, accarezzandosi il mento e valutando le nostre parole.

Per lui era più difficile che per chiunque altro accettare la nostra storia. Aveva vissuto un periodo della sua vita con i  Volturi e col tempo aveva maturato un certo rispetto nei loro confronti e un’amicizia sincera, almeno da parte sua. Gi risultava difficile credere che Aro potesse essere capace di un atto tanto meschino, ma non poteva neanche mettere in dubbio le nostre parole e le nostre riflessioni.

≪Questo spiega i buchi neri nella vita di Bella≫, dissi.

≪Ci rifletto dalla prima volta che le ho parlato≫, sussurrai, mentre un sorriso mi sfiorava le labbra al ricordo.

Alice mi carezzò una spalla.

≪Devo dire≫, rimuginò Jasper, ≪che il loro piano, per quanto meschino, è perfetto. Non ha falle. Tutti noi siamo a conoscenza del rispetto, dell’affetto anche che lega Bella a Volterra. Aro lo ha sempre saputo e immaginava fin dall’inizio che Bella non avrebbe cercato le origini del suo passato, credendo ciecamente a ciò che le veniva raccontato. E nella sua natura e, più genericamente, nella natura dei prescelti: avere fiducia negli altri≫.

Annuì a mio fratello: entrambi eravamo giunti alle stesse conclusioni.

≪O mio Dio≫, singhiozzò Esme.

≪Non avremmo mai dovuto lasciarla andare, la mia bambina≫, sussurrò posando il capo sul petto di Alice che tentava di consolarla.

≪Edward≫, disse Carlisle, ≪figliolo, se solo avessi immaginato che dietro tutto questo ci fosse un tale atto di malvagità non le avrei mai permesso di andare, ma l’ignoranza non mi giustifica. Non mi perdonerò mai di...≫.

Posai una mano sulla spalla di un angosciato Carlisle.

≪Non c’è tempo per i rimorsi, Carlisle, non potevi immaginarlo. Adesso è tempo di reagire≫.

Mio padre annuì.

≪Ma come?≫, chiese Esme.

≪Andremo a riprendercela con la forza, a costo di farci spazio tra i cadaveri di quei vermi≫, tuonò Emmet.

≪No, Emmet≫, dicemmo all’unisono io e Jasper.

≪Moriremmo ancor prima di varcare la soglie di Palazzo Priori, non è questo il modo giusto di agire≫, disse Jasper.

≪Sono d’accordo con lui, Emmet, anche se mi piacerebbe agire come hai immaginato. Comunque sia, non lascerò che me la portino via. Io decido del mio destino, non un suo stupido scherzo. Se solo fossimo arrivati prima...≫, mormorai, crogiolandomi nella mia stessa disperazione.

≪Lo hai detto tu stesso, Edward. Non c’è tempo per i rimorsi≫, mi fece notare Carlisle.

≪Se le cose stanno davvero in questo modo, tutto ciò è molto più grande della famiglia Cullen≫, continuò a rimuginare Jasper.

I suoi pensieri erano confusi, ma emergeva spesso da essi la descrizione di Alice della sua visione: Carlsile intento a conversare con un figlio della luna.

Una cosa insolita, che lo lasciava interdetto.

≪A cosa stai pensando esattamente?≫, gli chiesi.

Jasper sollevò lo sguardo sul mio volto.

≪I Volturi sono esseri millenari, probabilmente i più vecchi tra tutti noi. Mi chiedo adesso se non facessero parte di quei... malvagi che hanno sconvolto il mondo pacifico di cui tu ci hai parlato≫.

≪E’ probabile≫, risposi.

≪Forse le lotte tra vampiri e licantropi risalgono ai loro tempi. Forse sono stati proprio loro la causa scatenante. Tutti noi abbiamo sempre avuto fiducia nei Volturi. Hai visto quante persone si sono schierate con loro contro i Licantropi, mesi fa, all’Agorà. E’ bastato che Aro ci dicesse che sono colpevoli, per farcelo credere. Nessuno di noi ha dubitato della sua parola≫.

≪Non possiamo sapere se sono così anziani, Jasper. Comunque questo non cambia le cose≫, dissi.

≪Ma potrebbe aiutarci a capire≫, continuò lui.

≪Di una cosa sono certo: la proposta di Aro a Bella era premeditata. Sono sicuro che fin dall’inizio il suo scopo fosse questo. Aro, per quanto poco lo conosca, ha l’aria di uno che ha sempre un piano B. Doveva immaginare che Elena e Sebastian avrebbero risposto di no alla sua proposta. Sapeva della nascita della loro bambina, giusto? Scommetto che il suo obbiettivo fin dall’inizio fosse lei. L’ultima prescelta appartiene ai Volturi adesso, appartiene a lui≫. 

Serrai la mascella e strinsi i pugni, accecato da rabbia e gelosia.

≪Inoltre≫, proseguì mio fratello nel suo monologo, ≪è ovvio che noi siamo coinvolti in questa storia, altrimenti la visione di Alice su Carlisle sarebbe scomparsa≫.

Lanciò uno sguardo alla moglie che annuì: la sua visione era ancora chiara nella sua mente. Il futuro non era cambiato con l’assenza di Bella.

≪Forse il modo di salvare Bella è contattare questi Licantropi≫, suggerì Rosalie, arricciando il naso.

≪No, Rosalie≫, disse Alice.

≪C’è un piccolo buco nero nella mia visione, deve trattarsi di Bella. Quindi è con noi... ma questo non ci garantisce che riusciremo a salvarla. Se non troviamo un modo, quel futuro scomparirà≫.

≪Non possiamo entrare con la forza, qual è la nostra alternativa?≫, chiese Emmet, impaziente.

≪Non lo so≫, rispose nostra sorella.

Sbottai, irritato.

≪Entrerò anche con la forza a riprendermela se sarà necessario≫.

≪No≫, disse Carlisle, la sua voce più alta di due ottave.

≪Ho promesso che ti avrei impedito di fare delle sciocchezze e questa è una sciocchezza≫.

≪Carlisle≫, lo implorai.

≪Non posso più vivere senza di lei. E non permetterò che si rovini la vita, lei non merita tutte queste bugie e tutto questo dolore≫.

≪Lo so, ma so anche che tiene più a te che a se stessa e morirebbe se ti succedesse qualcosa≫.

Ci fissammo negli occhi, nei suoi lessi che non avrebbe ceduto.

≪Non c’è fretta≫, sussurrò Alice e tutti ci voltammo nella sua direzione.

Prima che potessi azzannarla alla gola notai che il suo sguardo era vacuo, ma non stava vedendo nulla. Più che altro percepiva qualcosa, com’era successo a casa Swan.

≪Troveremo una soluzione prima che il sole tramonti di  nuovo≫, assicurò, con sguardo limpido.

≪Come fai a dirlo?≫, le chiesi.

≪Lo sento, Edward. Fidati di me. Per questa sera non c’è nulla che possiamo fare.  Non ci resta che aspettare. Aspettare fino al prossimo crepuscolo≫, concluse con i grandi occhi dorati lontani in una dimensione che, ora, apparteneva davvero soltanto a lei.

L’idea di dover attendere fino al giorno dopo, a suddetta di Alice, non mi allettava affatto. Non vedevo altre possibili soluzioni. Sapevo che il dolore, la paura e la gelosia non mi permettevano di ragionare lucidamente e rischiavo di commettere qualche sciocchezza, mandando tutto a monte. Questo a detta di Alice, ancora una vola.

Eppure, non riuscivo a capire cosa dovessi mandare a monte: non avevamo nulla in ballo. Solo supposizioni e poche certezze e neanche un piano. Carlisle mi raggiunse su per le scale, prima che entrassi in camera.

Edward, pensò.

Ho una cosa per te. E’ stata Bella a chiedermi di dartela, prima che raggiungessimo l’aeroporto, per quando fossi tornato a casa.

Al suono del suo nome scattai irrequieto e Carlisle mi fissò comprensivo. Lo ringraziai e presi la lettera, entrando in camera, ansioso di leggerne il contenuto. Ancor prima di sedere sul mio divano sentì il suo profumo, la stanza ne era satura. Doveva aver trascorso la notte nella mia camera. Il dolore mi squarciò il petto al pensiero che lei era stata lì, in quella stessa stanza, su quello stesso divano dove ora sedevo io, soltanto poche ore prima. Scossi la testa e mi concentrai sulla lettera, le sue ultime parole per me. Avvicinai il foglio al viso ed inspirai. Potevo perfettamente immaginarla intenta a scrivere la lettera: una ruga causata dalla concentrazione a solcarle le sopracciglia e le sue dita che, di tanto in tanto, sfioravano il foglio. Se fossi stato umano sarei probabilmente arrossito al pensiero delle sue mani, le sue piccole morbide mani. Quanto conforto era in grado di darmi una sua carezza? Quanto amore c’era nel semplice gesto di stringere le mani l’una nell’altra? E quanto desiderio di me celavano le sue dita ogni volta che percorreva con malizia le linee del mio torace. Il ricordo era talmente vivido che riuscivo a sentirle come se fossero realmente lì, le sue piccole mani a carezzare il mio corpo. Nei miei ricordi i suoi palmi si posavano dolcemente sulle mie guance e mi cullavano, rilassandomi a tal punto da chiudere gli occhi come se potessi davvero dormire... e sognare. Ricordare era fin troppo doloroso e forse ora era il dolore l’unica cosa rimastami e di cui avrei dovuto fare tesoro.

Caro Edward

Se questa lettera è giunta fino a te, come desideravo, ciò vuol dire che non sono più con voi... Voglio chiederti di non avercela con Carlisle, né con gli altri. Questa è una scelta soltanto mia e dovresti sapere, ormai, quanto sia difficile farmi cambiare idea. Più di ogni altra cosa, Edward, voglio ringraziarti. Se non fosse stato per te non avrei mai capito il significato dell’amore. Quello vero. Questi mesi con voi sono stati i più belli della mia vita e porterò questo ricordo con me per sempre, comunque vada. Voglio scusarmi con te, ancora una volta, per non aver impedito la nascita di questo sentimento, anche se io non me ne pento, tu lo farai. Posso assicurarti che durante gli ultimi due giorni trascorsi insieme non ho mai pensato che potesse finire così. Accecata dalla mia stessa felicità, ho dato per scontato ciò che era ovvio. Ho dimenticato quale fosse il mio posto o il destino che, evidentemente fin dalla nascita, mi è stato dato. L’arrivo della lettera da Volterra mi ha fatto ritornare e in me e ho capito quanto fosse inevitabile ciò che fino a quel momento avevo tralasciato. Te l’ho già detto Edward, quel mattino, quando sono con te non riesco ad essere lucida. Tu riesci a farmi abbassare la guardia, lo hai fatto fin da subito. Sei in grado, con un  solo sguardo, di farmi credere in qualsiasi cosa, persino in un futuro per noi due. Ma entrambi abbiamo errato. Avrei voluto rivederti almeno un’ultima volta, Edward. Mi mancherai terribilmente, in ogni istante. Ma ho capito che era meglio così. Non avrei sopportato di dirti addio e so che tu non mi avresti lasciato andare. Sai forse meglio di chiunque altro, che Aro non ama essere derubato di ciò che considera suo. Non potevo permettere che tu e la tua famiglia diveniste dei bersagli. Io vi amo. Io ti amo, più della mia stessa vita e così sarà per sempre. Non potrò mai essere di Aro. Perché io sono tua, anche se siamo lontani, io sono con te. E ti prego di non fare sciocchezze. Non cercarmi, non metterti contro i Volturi. Fallo per me e l’unica cosa che ti chiedo. Ti prometto che non ti cercherò, anche se la tua lontananza dovesse far male come una lama conficcata nel petto, non m’imporrò mai più nella tua vita. Quello che sto per dirti è la cosa giusta, dentro di me ne sono consapevole, ma ciò non toglie che la gelosia pian piano fa soccombere la mia razionalità. Non pensarmi, ama qualcuno il cui destino non la costringerà lontano da te, si felice. Perché io non posso fare la tua felicità, Edward. Conoscevo l’amore verso gli altri, ma non quello verso me stessa. Tu me lo hai insegnato. Sarei una bugiarda se ti dicessi che la mia vita sarà semplice, che non sentirò la tua mancanza, che non ti penserò in continuazione e non voglio questo. Voglio che tu lo sappia, perché non basterebbero tutte le ere di questo mondo a farmi cambiare idea. Ecco, penso che sia la fine. La fine... è una cosa così brutta. Lo è quando sei costretto a scriverlo sull’ultima pagina di un libro o leggerlo prima dei titoli di coda in un film. Non voglio credere, almeno per me stessa, che una fine porti sempre un nuovo inizio.  Perché non voglio che finisca, non voglio dimenticarti, non voglio dimenticare il significato dell’amore. Perché è orribile non saper amare, non saper ridere o piangere. Grazie a te ho imparato il significato di ciascuna di queste parole, ti ringrazio. Come ogni fine che si rispetti c’è anche un addio. Ti amo, Edward Cullen, ma devo lasciarti. Per il tuo bene e quello delle persone che entrambi amiamo.

Tua per sempre, Bella.  

Lessi e rilessi le ultime frasi, in cerca di qualcosa che potesse smentire ciò che aveva scritto. Ma era lì, in bella mostra e spiccava in mezzo alle altre con prepotenza, quella parola dal suono orribile: addio. In quel momento avrei voluto fare tante cose. Avrei voluto piangere e urlare. La prima non mi era più concessa da molto tempo, la seconda, per un motivo a me sconosciuto, non mi riusciva. Quelle parole avevano fatto sembrare tutto più vero. Mi aggrappavo alla speranza che leggevo nei pensieri di mia sorella, ma era sempre più difficile. Per la prima volta, realmente, da quando ero entrato in casa, valutai la possibilità di un futuro senza di lei. Il dolore che scatenò quel pensiero mi mozzò il respiro di cui non necessitavo. Strinsi automaticamente le braccia intorno alla vita, come se temessi di cadere a pezzi. E poi sentì montare la rabbia.  Che cosa passava per la mente di quella ragazza? Credeva sul serio che avrei mai potuto amare qualcun’altra? Pensava che potessi ricominciare o anche soltanto vivere senza di lei? Come se potesse davvero scomparire dalla mia vita così facilmente, come se potessi semplicemente buttare via il ricordo di noi due. Come faceva Alice con i vestiti che avevamo già messo una volta, li buttava via o li dava in beneficienza. Tutto questo era semplicemente ridicolo. Né io né lei potevamo tornare indietro. Né io né lei volevamo farlo. La rabbia iniziò lentamente a scemare e la nostalgia per ciò che avevo perso ritornò. Mi alzai e uscì dalla mia camera. Non era lì che volevo stare. Non c’era un posto nell’Universo che potesse catturare la mia attenzione, l’unico luogo dove avrei voluto essere mi era impossibile raggiungerlo. Ma, tra le mie riflessioni, intuì che c’era un posto nei confini della terra che potesse catturare il mio interesse. Lo stesso che avevo desiderato per notti intere e che, adesso, mi ricordava me e lei insieme. La sua camera. La sua vecchia stanza. Aprì lentamente la porta, come se lei fosse lì e io avessi semplicemente paura di svegliarla. Ero preparato a ciò che avrei potuto trovare, ma non alle sensazioni che provai. La camera era vuota: segno tangibile della sua assenza. Nei mesi che aveva trascorso qui le aveva dato un tocco personale, ma adesso avevo portato via tutto. Rimaneva soltanto il letto. Mi avvicini e mi sedetti al centro del talamo, ricordo di una notte di passione, per poi posare la schiena alla testiera. L’odore nella stanza era l’unica cosa rimasta di lei. L’unica che non avrebbe semplicemente potuto infilare in valigia e portare con se.

La notte trascorse molto lentamente.

Avevo perso il conto di  quante notti avessi trascorso in solitudine nei miei cento anni, ma mai erano state tanto pesanti e insopportabili. Come se non potessi attendere il sorgere del sole. Sentivo di poter impazzire da un momento all’altro. Quando il mattino bussò alla finestra mi sentì immediatamente fremere dall’impazienza. Oggi avremmo trovato una soluzione, secondo Alice. Lei sembrava fidarsi ciecamente delle sue percezioni, ancor più che delle visioni. La prima volta poteva esser stato un caso fortuito: avevo ormai intrapreso la strada del pessimismo. Quando scesi di sotto era ancora l’alba. I miei familiari erano riuniti nella sala da pranzo, che non veniva mai utilizzata per quello scopo, almeno prima che arrivasse Bella... Alice era seduta a capotavola, alla sua destra e alla sua sinistra sedeva il resto della famiglia. Jasper le teneva la mano e scrutava il suo sguardo vacuo e lontano pieno di aspettativa e irrequietezza. Emmet era decisamente annoiato e ansioso, amava le sfide fisiche e stare con le mani nelle mani lo innervosiva quasi quanto me. I pensieri di Esme erano un tumulto di sensazioni diverse, tra tutte spiccava la nostalgia. Come me si aspettava di veder Bella sbucare nella stanza, con il suo fare aggraziato e un sorriso sulle labbra. Rosalie fissava Emmet con timore, non voleva si arrivasse ad uno scontro, ma non era estranea alla faccenda. Era dispiaciuta per me, il suo fratellino che aveva trovato l’amore, adesso che era stata in grado di mettere da parte la gelosia, ed era dispiaciuta all’idea di ciò che Bella avrebbe dovuto affrontare. Carlisle era immerso nelle sue congetture, ripensava a ciò che gli avevamo raccontato, quel mondo di pace che ormai era soltanto un ricordo e tutte le vite che sarebbero state risparmiate se non fosse stato per la sete di sangue e potere dei Volturi. Nessuno di noi si mosse per le due ore successive, poi qualcosa cambiò. Alice reclinò la testa di lato e si rivolse a nostro padre.

≪Carlisle, qualcuno sta venendo qui, non so chi sia≫.

Le sue parole accesero un moto improvviso di speranza dentro di me.

≪E’ Bella?≫, chiesi, forse a voce un po’ troppo alta.

≪Non penso Edward. Sembra umano, ma credo sia ciò che stiamo aspettando. Perché non vai ad aprire, Carlisle?≫.

Qualche secondo dopo udimmo un’auto sul vialetto. Carlisle scese velocemente di sotto. Ero intenzionato a seguirlo, ma Alice mi bloccò con un gesto secco della mano, che si posò sul mio petto come a volermi trattenere. M’immobilizzai, bloccando i miei muscoli per non avere la tentazione di correre anch’io giù per le scale. Udimmo Carlisle aprire la porta. I suoi occhi mi mostrarono la figura tozza e grassoccia di un porta-lettere. Da quando in qua venivano dei postini a casa nostra? Non era la prima volta che l’uomo consegnava qualcosa ai Cullen. Riconobbi dai suoi ricordi il volto di Bella: la sua espressione terrorizzata, l’improvviso pallore e lo svenimento che aveva costretto l’uomo ad afferrarla prontamente perché non cadesse a terra. Gemetti e gli altri si voltarono nella mia direzione, soltanto Alice non mi prestò attenzione, troppo concentrata su un futuro che non riusciva a vedere. Il postino consegnò una lettera a Carlisle e si dileguò.

≪Cos’è≫, chiese Esme quando Carlisle fu di ritorno.

≪Viene dall’Italia≫, sussurrò Carlisle.

Quelle parole bastarono per riaccendere la fiammella della speranza. Mi precipitai di fianco a mio padre che mi consegnò la lettera. L’aprì, con troppa fretta forse, perché la busta si strappò sotto la presa ferrea delle mie dita. E i miei occhi fissarono ciò che conteneva. Due biglietti. Il primo era vergato direttamente da Aro.

Cari Cullen

Vi ringrazio ancora una volta per l’amicizia che mi avete dimostrato nel momento in cui più avevo bisogno di alleati. Tra tutti gli amici della rocca voi sareste i più graditi, se ci faceste l’onore di accettare il nostro invito. Sono più che certo che Bella sarebbe felice se anche voi vi uniste a festeggiare la nostra felicità.

Vostro, molto grato, Aro.   

Allegato vi era un biglietto sfarzoso ed elegante, poche parole erano incise sulla carta pesante e pregiata:

Isabella

&

Aro Volturi

Insieme alla loro famiglia

E’ richiesto l’onore della vostra presenza

per celebrare il loro matrimonio e la felicità della loro unione.

Il ricevimento si terrà alle 10:00 del mattino. Il 2 Luglio presso la sede di Palazzo Vecchio a  Firenze.

Il foglietto scivolò dalle mie dita e sfiorò con leggerezza il pavimento, sotto lo sguardo attonito dei miei familiari ignari. Era raro che qualcosa sfuggisse alla presa infallibile di un vampiro, ma in quel preciso istante della mia immortale esistenza non mi sentì tale, né un uomo. La concezione dello spazio e del tempo non mi apparteneva: mi sfuggiva la differenza che contraddistingueva un minuto dalle ben più lunghe ventiquattro ore giornaliere. Entrambe le quantità di tempo non contavano nulla per me, ma erano egualmente pesanti. Cosa potevano significare d’altronde i minuti e le ore quando hai a disposizione un tempo infinito?

In quel momento, miracolosamente, il tempo riprese a scorre, prima di arrestarsi. Presente e futuro diedero alla luce l’unica emozione del mio tempo attuale: la disperazione. Non badai a Carlisle che si chinava per raccogliere il foglio e leggerlo. Non osservai le espressioni dipinte sui loro volti. Mi sentivo estraneo a tutto questo, al di sopra. La voce di mio padre mi giungeva in modo distorto, come se non possedessi un udito a dir poco eccellente. Il singulto di terrore di Esme fu tanto lento da farmi pensare di stare vivendo una scena al rallentatore. Notai soltanto di sfuggita gli occhi dei miei familiari puntati sul mio volto; non mi prodigai ad osservare l’espressione del mio viso dai loro pensieri. Non riuscivo a trovare un senso alle parole appena lette. Poi qualcuno mi sfiorò un braccio e iniziò a parlarmi, senza sapere che io non potevo ascoltarlo. Era come se avessi le orecchie tappate dalla cera bollente. Riuscivo soltanto a vedere il movimento delle sue labbra. Per un solo istante incrociai gli occhi di mio fratello, il suo volto solcato dalla preoccupazione, senza riuscire a riconoscerli. Jasper era sempre stato un tipo un po’ particolare, silenzioso e quieto, come un soldato in ricognizione, che badava bene a non farsi notare dai suoi nemici. Capì che stava tentando, con il suo singolare potere, di calmare il mio stato d’animo.

Questo mi confuse particolarmente.

Non succedeva mai che Jasper si sbagliasse quando valutava l’umore di qualcuno, ma allora perché stava tentando di calmarmi se io ero già calmo? Che motivo avevo, poi, per essere agitato? In realtà mi sentivo stranamente leggero. Mentre aguzzavo l’udito, nel tentativo di capire di cosa stesse parlando Jasper o cosa lo rendesse così ansioso, captai tre parole e quelle furono sufficienti a farmi ritornare con i piedi per terra: ... Bella e Aro... .

Bella avrebbe sposato Aro tra tre giorni e i Cullen erano stati ufficialmente invitati alla cerimonia dallo sposo. Ero sicuro che lei non avesse nulla a che fare con quell’ironico scherzo di pessimo guasto.

Isabella non amava lo humour nero e mi aveva già dato il suo addio, con quella lettera, promettendo che non avrebbe mai più interferito con la mia vita. Trattenni a stento l’istinto di alzare gli occhi al soffitto. Solo l’idea era una pazzia: come se fosse possibile! Il matrimonio... la mia natura vampiresca mi aveva permesso di portare nel ventunesimo secolo un mentalità vecchio stampo per cui ritenevo il matrimonio uno dei passi più importanti nella vita di una persona. Era un legame solido e attraverso di esso Bella sarebbe appartenuta definitivamente ad Aro. Sarebbe stata sua moglie, la sua compagna di vita. Conobbi così quell’oscura emozione che andava oltre la gelosia, oltre l’odio e l’amore.

La consapevolezza di ciò che era stato, fino a quel momento, un presagio nell’aria, si concretizzò attraverso quel biglietto. Tre giorni e lei non sarebbe più stata la mia Bella. Questo era inaccettabile. Il loro rapporto sarebbe stato basato su bugie e bugie. Bella non sarebbe mai stata felice al fianco di Aro. Ma oramai era ufficiale: le guardie si stavano muovendo per organizzare il matrimonio. E io non avrei potuto far nulla per fermare tutto questo. Atra rabbia si riversò sul mio corpo sfinito. Non era rivolta a nessuno in particolare, ma sentivo il desiderio di sfogare la mia ira. Con uno scatto che sorprese tutti quanti mi scrollai Jasper di dosso e questo barcollò all’indietro; serrai la mascella e i denti stridettero tra loro, provocando un suono agghiacciante. Un ruggito tetro e cupo mi risuonò nel petto e Jasper si fece avanti con cautela, seguito a ruota da un movimento fulmineo di Emmet che si avvinò dalla mia destra. Prima che i due potessero essere abbastanza vicini da tentare di trattenere la mia furia, una voce acuta e cristallina, su di giri avrei detto, irruppe in quel silenzio irreale, spezzato soltanto dai miei sibili incontrollabili.

≪Ragazzi allontanatevi. Edward non perderà la calma, perché se tentasse di trattenere la sua rabbia capirebbe che abbiamo appena trovato una soluzione≫.

Tutti gli sguardi puntarono il volto di Alice. Scoprì i denti e ringhiai a mia sorella. Aveva forse perso la ragione? In cambio Alice mi restituì un sorriso a trentadue denti.

≪Edward, fidati di me≫, ripeté per l’ennesima volta.

Il suo sguardo così fiducioso, il suo sorriso così raggiante e in fine i suoi pensieri dal tono rassicurante mi diedero la forza per riprendere un briciolo del mio autocontrollo.

≪Che cosa intendi, Alice≫, chiese Jasper che le fu subito accanto una volta accertatosi che avevo ritrovato la calma.

≪Rifletti, Jasper. Fin ora non avevamo idea di come riprenderci Bella senza morire nel tentativo, naturalmente, ma adesso possiamo. Anche se vi avverto che sarà comunque pericoloso. Avremo bisogno di una certa dose di fortuna, perché il mio piano vada a buon fine≫.

≪Dicci la tua idea≫, la esortai, di nuovo lucido e agguerrito.

Emmet mi affiancò sorridente. Alice si curvò in avanti e guardò i nostri volti uno per uno.

≪Entrare con la forza a Volterra era una pazzia e presentarsi senza una scusa altrettanto pericoloso, per via di Aro, ma adesso le cose sono cambiate...≫.

Non ci fu bisogno che andasse oltre. Il piano si delineò nella mia mente alla perfezione, come se lo avessi da sempre conosciuto, ma stessi aspettando soltanto un pretesto per metterlo in atto.

≪L’invito...≫, sussurrai.

≪Esatto≫, acconsentì Alice e potei vedere la lampadina che si accendeva nella mente degli altri mentre giungevano alle mie stesse conclusioni.

≪Il giorno del matrimonio per Volterra si aggireranno un bel po’ d’invitati, gli stessi presenti all’Agorà, l’ho appena visto. Nella confusione, tu, Edward, dovresti trovare Bella e metterla al corrente di ogni cosa, perché si tenga pronta alla fuga. E mentre lei fuggirà da Volterra, noi saremo lì, seduti ai nostri comodi posti, come il resto degli invitati. Dobbiamo soltanto parlarle, farle capire come stanno le cose, e a quel punto sarà fatta≫.

≪Piano eccellente, Alice≫, si complimentò Emmet, scompigliandole i capelli.

Jasper le diede un bacio leggero sulle labbra ed entrambi si sorrisero.

≪Come vi ho già detto, c’è il cinquanta per cento di probabilità che ci scoprano. Se Aro riesce a leggerci nel pensiero è la fine. Se qualcuno becca Edward è la fine. Se Bella non è abbastanza veloce è la fine. Ricordate, abbiamo una sola possibilità ed è quel giorno, non possiamo fallire se rivogliamo la nostra Bella≫.

≪Non falliremo≫, dissi, accesso di un nuovo entusiasmo.

Non avrei sprecato la mia unica occasione.

≪Mi occuperò io di portare Bella fuori dal palazzo...≫.

≪No≫, mi ammonì Alice.

≪Noi dobbiamo essere in sala, abbiamo tutti bisogno di un alibi≫.

≪Alice, non posso lasciarla scappare da sola≫, le feci presente.

≪Tu di certo non puoi aiutarla≫, mi rimbeccò mia sorella.

≪Io so chi può≫, esordì Carlisle dopo qualche minuto di silenzio.

I suoi pensieri furono espliciti e mi maledissi mentalmente per non averci pensato prima.

≪I lupi≫, concordai.

I mutaforma di La Push avevano un debito nei confronti di Bella e, mi bastò ricordare i fastidiosi pensieri di Jacob Black per ricordarmene, provavano anche dell’affetto nei suoi confronti.

≪Ma come li contattiamo?≫, chiese Emmet.

Carlisle ci pensò su per qualche istante.

≪C’è un infermiere in ospedale, con cui mi è capitato più volte di lavorare, che sta facendo delle visite a casa di alcuni pazienti che non possono muoversi all’interno della riserva. Posso chiedergli di parlare con Sam e fissarci un incontro per questa sera stessa. Va a La Push ogni mattina, forse è ancora lì≫.

Annuimmo e Carlisle si precipitò ad agguantare il suo cellulare. Sperai ardentemente che l’infermiere fosse ancora a La Push e che i lupi accettassero d’incontrarci. Ascoltammo con ansia la telefonata di Carlisle. Dopo i convenevoli iniziali, Carlisle affrontò l’argomento che più c’interessava. L’infermiere si trovava al confine della riserva, ma sarebbe potuto tornare indietro. Tirai un sospiro di sollievo. Carlisle gli disse le parole che avrebbe dovuto riferire con particolare attenzione ai dettagli perché non fraintendessero. Menzionò Bella come giustificazione e diede un orario e un luogo neutrale nel nostro patto dove ci saremmo dovuti incontrare. L’infermiere accettò. Carlisle chiuse la telefonata e fissò i nostri volti uno per  uno, non c’era nulla da aggiungere. Ancora una volta non ci toccava che aspettare e sperare che la dea della fortuna, per una volta, ci sorridesse. Rifiutai immediatamente di stare con le mani in mano e, insieme agli altri, iniziammo a definire i contorni del nostro piano. Carlisle ci raccontò nei dettagli ciò che ricordava della rocca ed Esme fece un lieve schizzo del progetto. Era importante conoscere ogni via di fuga e la disposizione delle stanze, per non imbattersi in vicoli ciechi. Ricordavo che una volta Bella mi aveva parlato della camera che aveva a Volterra, rispondendo ad una delle mie tante domande sulla sua vita, indicandomi, approssimativamente, la posizione.

Qualche minuto prima dell’orario prestabilito ci avviammo verso il luogo d’incontro. Nel frattempo pensavo a qualche altro modo per contattare quei cani pulciosi... i mutaforma,  in caso non fossero venuti. Non ce ne fu bisogno. Anche se con dieci minuti di ritardo, lentamente i lupi iniziarono ad affiorare dalla foresta. Soltanto tre di loro erano in forma umana, tra cui Sam e Jacob e un terzo di cui ricordavo vagamente il nome. I lupi si fermarono a diversi metri da noi - alcuni di loro arricciarono il grosso naso peloso per il nostro odore - in formazione a V, come uno stormo in volo. Sam era in testa, con Jacob alla sua destra e Paul alla sua sinistra, le braccia conserte, lo sguardo truce, scrutava i nostri volti in cerca di quello di Bella.

≪Abbiamo ricevuto il vostro messaggio≫, tuonò la voce possente dell’alfa.

Uno dei lupi uscì dai ranghi e trotterellò scodinzolando vicino a Sam, premette il muso sulla sua schiena. I loro sguardi s’incrociarono e Sam annuì. Il piccolo lupo dal pelo chiaro aveva una mente diversa rispetto a quella degli altri. Intuì, con un certo stupore, che era una donna. Leah. Dal tono ansioso dei suoi pensieri capì che era profondamente legata a Bella ed era preoccupata per lei. Immagini della loro conversazione le riempirono la mente. Bella era la prima vera amica che la capiva davvero dopo tanto tempo. L’unica che era stata in grado di farle ritornare un po’ di quel buon’umore che la vita le aveva brutalmente strappato. Il suo ricordo di Bella era il regalo migliore che potessi ricevere. Sam si voltò nella nostra direzione e parlò.

≪L’infermiere che ci ha recapitato il vostro avviso; ha aggiunto che si trattava di un problema riguardante la nostra Bella, ma lei non è qui≫.

Il modo in cui apostrofò Bella mi fece ben sperare. Nei pochi mesi che aveva trascorso qui era stata capace di portare dalla sua parte un sacco di persone che l’amavano e che avrebbero combattuto per lei, anche a costo della propria vita.

≪Sta bene?≫, chiese Jacob.

Non ci concesse il tempo per una risposta, ritornando immediatamente all’attacco, sulla difensiva.

≪Se le avete fatto qualcosa di male...≫, ruggì e il suo sguardo si posò sul mio volto.

Il lupo al suo fianco mostrò i denti e si piegò sulle zampe, pronta a spiccare il balzo.

≪Jacob, Leah≫, li richiamò Sam.

≪Non è il caso di muovere accuse infondate, la violenza non ci porterà da nessuna parte; ascoltiamo ciò che hanno da dire≫.

Leah ritrasse gli artigli e serrò la mascella, mentre Jacob serrò i ranghi, sbuffando. Il suo sguardo continuò a scrutare il mio, come se non attendesse altro che un passo falso da parte mia. Come potevo biasimarlo per ciò che provava per lei? Conoscevo benissimo le emozione che facevano a botte nella sua giovane mente. La presenza di Bella aveva sconvolto anche la sua vita e la sua pace mentale. Il dolore mi straziò il petto. Alice notò la mia espressione e mi strinse una mano, nel tentativo di darmi conforto. Anche a lei mancava Bella. La sua migliore amica, la sua sorellina tutta speciale, così la vedeva. I suoi pensieri avevano un tono talmente tenero e nostalgico mentre ripensava a lei che non potei evitare a me stesso di rivolgerle uno sguardo pieno di comprensione.

≪Non fraintendete le nostre intenzioni, vi prego≫, cominciò Carlisle, ≪noi amiamo Bella, non le faremmo mai del male≫.

Tra i lupi si diffuse un basso mormorio, Sam lanciò uno sguardo ai suoi compagni, dopodiché tornò a guardare Carlisle.

≪Vi crediamo≫, annunciò, parlando per se stesso e a nome degli altri.

≪Detto questo, possiamo parlare liberamente di ciò che ci ha spinto a richiedere questo incontro, oggi. Quando vi assicuro che il nostro amore per Bella è sincero, lo faccio perché ormai fa parte della nostra famiglia. Di fatto sta con uno dei mie ragazzi ed entrambi si amano profondamente≫.

Per un attimo i grandi occhi neri dei lupi e quelli più piccoli ma ugualmente scuri dei tre umani si posarono sul mio volto e per la prima volta sembrarono cogliere realmente l’espressione che vi era dipinta. I pensieri di Jacob in particolare si tradussero in rabbia e gelosia, un’emozione che conoscevo bene. I nostri sguardi s’incrociarono per un tempo che parve lunghissimo. Se il dolore non fosse stato così straziante, avrei sorriso per la mia piccola rivincita.

≪Intuisco dalla sua espressione che è successo qualcosa di tragico. Rispondete alla nostra domanda: Bella sta bene?≫, chiese Sam.

≪Fisicamente sta benissimo...≫, rispose Carlisle.

≪Cosa intendi≫, chiese il lupo a mio padre.

≪Da non molto tempo a questa parte abbiamo scoperto che Bella era promessa a uno dei tre signori di Volterra, uno dei vampiri più anziani che esistano. Questa consapevolezza non ha potuto impedire che l’amore sbocciasse tra i due ragazzi. Non è colpa di nessuno, forse soltanto del destino. Ma il problema principale non è questo. Siamo recentemente venuti a conoscenza del passato di Bella. Edward ed Alice hanno rintracciato alcuni suoi parenti che lei neanche sapeva di avere e questi ci hanno raccontato del modo in cui i Volturi hanno ucciso i genitori di Bella e rapito la stessa quando era ancora in fasce. Bella è andata via prima che potessimo spiegarle l’accaduto. E’ legata da affetto a Volterra,  ma principalmente l’ha fatto per non farci correre rischi, per non farci diventare dei bersagli. Va detto che io l’ho lasciata andare, anche se ancora non conoscevo questo segreto. Capirete che si tratta di tradimento, è un doppio gioco. E non possiamo permettere che Bella sposi Aro. Dobbiamo fermarla, ma il matrimonio è imminente: tre giorni≫.

I mutaforma, umani e animali, avevano assunto la stessa identica espressione, tanto sorpresa da far quasi ridere, se non avessi avuto tanta voglia di piangere e urlare. Il primo a riprendersi fu Sam.

≪Cosa possiamo fare, noi, per impedire che questo avvenga?≫, chiese.

Fermai Carlisle con un gesto della mano e feci un passo avanti, era il mio momento di parlare, di chiedere aiuto.

≪Io e la mia famiglia abbiamo ideato un piano. Aro ci ha mandato un invito per il matrimonio e quello sarà il nostro lascia passare per il loro palazzo. Sarà compito mio, a quel punto, avvertire Bella e dirle di fuggire. Però non posso lasciarla scappare da sola dal castello, c’è bisogno che qualcuno la aspetti fuori dalle mura. Nel frattempo noi rimarremo nella sala del ricevimento che ci darà un alibi, così che nessuno sospetti di noi e ci lasci liberi di fuggire con Bella. Il piano è pericoloso, suicida direi. Aro ha il dono di leggere nel pensiero con il contatto della mano, se dovesse scoprire il nostro piano sarebbe la fine. Ci sarà bisogno di una buona dose di fortuna, ma Bella ha bisogno di voi per fuggire. Io ho bisogno di voi. Vi prego, aiutatemi a salvarla. Sono disposto a qualsiasi cosa pur d’impedire questo matrimonio≫.    

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Capitolo 18
*** Matrimonio ***


 

 

 

 

Buon pomeriggio a tutti! Grazie come sempre per l'entusiasmo che dimostrate nei confronti della storia. Capitolo di svolta, ditemi cosa ne pensateXD Spero vi piaccia, Fra<3

16 Matrimonio(Bella)

Sfiorai con le dita il legno liscio e duro della testiera del letto nella mia camera, la seta delicata dei cuscini e delle lenzuola, mentre vi scorrevo a fianco, le uniche cose che mi fossero rimaste. Aro - un brivido di terrore mi percorse la schiena per tutta la lunghezza della spina dorsale mentre pronunciavo il nome del mio futuro quanto prossimo sposo - aveva provveduto a portare ogni cosa nei suoi appartamenti: i miei libri, il PC, i vestiti. La stanza enorme era ancor più vuota e insignificante di quanto fosse sempre stata. L’unica cosa rimasta era il mio vestito da sposa, appeso al manichino vicino al grande specchio dorato. Dovevo ammettere che il vestito, da solo, con il suo bianco luminoso e sfarzoso illuminava le superfici e le pareti. Quel vestito avrebbe fatto brillare lo sguardo di qualsiasi esperto di moda, di qualsiasi collezionista. Il consueto abito bianco era sontuoso. Intermente ricamato a mano, il corpetto era decorato con intarsi in oro bianco. Da esso scendeva una gonna ampia, con uno strascico lunghissimo, anch’essa ricamata a mano e arricciata in punti che la rendevano femminile ed elegante. Era un abito di grande valore  ma semplice. Era bellissimo: lo odiavo. Comminai intorno al letto, sfiorando con lo sguardo gli angoli della mia stanza che sarei stata costretta a lasciare da lì a qualche ora. Il giorno che più di altri avevo temuto era giunto. Nei due precedenti non si erano verificati eventi tanto importanti da meritare di essere narrati. Mi ero rinchiusa in una bolla di totale indifferenza e freddezza, come un condannato al patibolo che sa di non avere alcuna speranza di salvezza, e va incontro alla morte a testa alta. Seduta sulla mia terrazza ad adorare il tramonto, attendevo che il tempo passasse.  Forse mi lamentavo troppo. Infondo cos’era dover rinunciare alla metà di se stessi, al vero amore? Cos’era dover rinunciare a una famiglia: madre, padre e fratelli amati? Cos’era dover trascorrere l’eternità, un arco di tempo ignoto, privi della propria libertà, a fianco di un uomo per il quale non si prova altro se non affetto paterno?

Sì, forse ero io a lamentarmi troppo.

Quella mattina, graziata da un miracolo in cui non speravo, la disperazione non mi aveva ancora colta. Ero stata in grado di mantenere la mia indifferenza, che sperai durasse per tutto il tempo dell’eternità, per quanto lunga fosse.

Athenodora, agitata ed estasiata più della sottoscritta, mi aveva tirata giù dal letto alle sei de mattino. Non che io non fossi già sveglia. Mi chiedevo che fretta ci fosse. Era troppo chiedere che mi concedessero qualche minuto in più per sognare e vivere? Per il resto avevo fin troppo tempo... Potevo impedire a me stessa di soffermarsi su ciò che avevo perso, ma il mio subconscio non mi concedeva un lusso tale. Ogni notte, puntualmente, Edward s’intrufolava nei miei sogni. Una pace melliflua e irreale mi cullava. Nonostante il mattino dovessi poi scontarne le conseguenze, pregavo perché i sogni non mi abbandonassero. Spaventosamente consapevole e cosciente, un’idea che non avevo considerato si fece largo nella mente. Avevo seguito il consiglio di Aro e lasciato alle mani esperte di Athenodora i preparativi per il matrimonio, comoda nel mio disinteresse. E se tra gli invitati scelti da Aro, ci fossero stati anche i Cullen? Chi meglio di loro, agli occhi del mio promesso sposo, poteva meritare l’appellativo di amico della Rocca? Una crepa si formò sulla superficie in ferro della mia bolla: la speranza. Riscaldò il mio cuore e ne ravvivò il battito cardiaco La ricacciai con cattiveria. Carlisle me lo aveva promesso: nessuno di loro avrebbe messo piede a palazzo.

Ma avrebbero osato rifiutare l’invito di Aro?

Avrebbero dovuto, con una scusa qualsiasi. Edward non avrebbe mai accettato di assistere al matrimonio. Eppure, mi chiesi, mentre Athenodora e Sulplicia si avvicinavano alla porta della camera, se avessi avuto la possibilità e fossi stata al suo posto, non avrei colto al volo l’ultima occasione per rivederlo?

Le mie damigelle fecero capolino nella stanza, entrambe bellissime nei loro abiti. Athenodora era una bellezza primaverile nel suo vestito dorato. Dai ritratti di Didime, precedente moglie di Marcus, non sfuggiva allo sguardo il fatto che fosse totalmente l’opposto di Athenodora.  Sulplicia  era decisamente una bellezza più selvaggia, con i lunghi ricci e neri che le ricadevano morbidi sulla schiena, anch’ella fasciata da uno splendido abito color oro.  Le mie future cognate mi sorrisero e si avvicinarono a me. Athenodora mi abbracciò, soffocandomi nella sua stretta.

≪Sei nervosa?≫, chiese sentendo la rigidità delle mie spalle contratte

≪E’ normale≫, aggiunse. ≪Vedrai, sarà tutto meraviglioso≫.

≪Sì≫, aggiunse Sulplicia, ≪la sala è bellissima e gli invitati stanno prendendo posto≫.

Volterra si era riempita fin dalle nove di quella mattina, popolandosi di vari gruppi etnici di vampiri proveniente da ogni parte del mondo. Nuove presenze affollavano il castello, ma non mi ero curata di valutarne la forza.

Mi era stato vietato vedere la sala del ricevimento fin quando non avessi iniziato a percorrere la navata principale ed io non avevo insistito, stupendo Athenodora.

≪Avanti adesso, infiliamo questo vestito. Naturalmente badando a non rovinare la tua acconciatura perfetta≫.

Quella mattina un esperto si era occupato dei miei capelli e di quelli delle mi damigelle. Dovevo ammettere che aveva fatto un ottimo lavoro con loro. Di me stessa non potevo dire altrettanto visto che non mi era stato concesso neanche di guardarmi allo specchio. Athenodora e Sulplicia mi aiutarono ad entrare nel vestito e acconciarono il mio velo ai capelli. Entrambe fecero due passi indietro e i loro occhi rossi brillarono d’ammirazione.

≪Sei bellissima≫, dissero all’unisono.

≪Un incanto≫, aggiunse Athenodora, avrei detto che fosse commossa, se non l’avessi conosciuta così bene. Le ricambiai con un accenno di sorriso.

≪Vedo che l’agitazione non è ancora passata, piccola. Noi per il momento ti lasciamo. Manca ancora mezz’ora, hai tutto il tempo per ritrovare la calma. Quando sarà il momento Felix verrà a prenderti e ti porterà nella sala, dove c’è Aro che ti aspetta≫.

Il suo sorriso era abbagliante mentre pronunciava quelle parole. Mi lanciò un bacio con la punta delle dita e si allontanò insieme a Sulplicia.

E così rimasi da sola. Mancava mezz’ora al mio matrimonio. Sarebbe stato bello conoscere il mio cognome da nubile, per sapere cos’avrei abbandonato. Io ero semplicemente Isabella, una donna senza un passato e, per quanto mi riguardava, un futuro. Mi sembrò tutto improvvisamente sbagliato. Non era così che doveva andare. Avrei dovuto sposare la persona che amavo, mio padre avrebbe dovuto accompagnarmi all’altare e mia madre sarebbe dovuta essere lì, a versare lacrime di gioia per me. Quale maleficio aveva ordito contro di me perché tutto fosse così tremendamente sbagliato? Avevo sempre ripugnato la normalità, ma adesso la agognai. O forse era semplicemente la disperazione, che era appena riapparsa, a farmi parlare in questa maniera. Io amavo ciò che rappresentavo. Non sarei stata felice se privata delle mie capacità. Forse non sarei neanche stata la stessa persona, quella che Edward amava, se la mia vita non fosse andata in questa maniera. Gli errori e gli eventi spiacevoli ci fanno crescere, per questo motivo, fin quando si è vivi, non si smette mai d’imparare né di migliorare. Invocai i numi, alzando gli occhi al cielo: neanche nella mia fantasia trovavo una scappatoia.

Ero così sconvolta dalla disperazione che mi colse impreparata che, al suono lieve di qualcuno che apriva la porta, mi voltai di scatto. Non avrei saputo dire se a prevalere nell’istante esatto in cui riconobbi il suo volto fosse il mio stupore, la felicità o la rabbia. Insieme si fusero e si tramutarono nell’espressione del mio volto, inintelligibile. La mia unica ragione di vita, l’unico uomo cui avrei mai potuto realmente appartenere, mi fissava, dando le spalle alla porta della mia stanza. I suoi occhi dorati mi fissarono con la stessa ammirazione presente in quelli di Athenodora e Sulplicia. Sul suo volto un misto comico di sollievo e dolore. Edward sollevò una mano, come se volesse toccarmi, benché tre metri ci separassero, e capì che era davvero lui. Era davvero Edward. Perfetto e bellissimo come lo ricordavo, il suo corpo era fasciato da un abito da cerimonia impeccabile. Non mi soffermai a lungo sul suo abito, non riuscendo a distogliere lo sguardo dal suo volto. Non avevo idea del perché fosse lì, proprio nella mia stanza, né come avesse fatto a trovarmi, ma quell’incertezza non mi fermò dall’andargli incontro,  molto lentamente. Quando Edward mi vide avanzare mosse i primi passi verso di me e lo sentì mormorare, con tono basso e malinconico: ≪Sei bellissima≫.

Pronunciò quelle parole come se fossero la confessione di un crimine per il quale avesse dovuto pagare con la vita, come una verità innegabile, come se ciò fosse il motivo di tutti i suoi problemi. La mia mano si posò sulla sua guancia  e mi sentì a casa. Edward chiuse gli occhi e si posò sul mio palmo, inspirano a fondo il mio profumo. Aprì piano gli occhi e fissò il mio volto ancora e ancora, come se fossi il miraggio di una pozza d’acqua in un deserto caldo e minacciassi di sparire da un momento all’altro.

≪Sei qui?≫, chiesi.

Edward sorrise, un sorriso pieno di sollievo, come se il suono della mia voce lo avesse rianimato e si avvicinò a me, finché la sua fronte non sfiorò la mia. Le sue braccia circondarono la mia schiena e lo sentì affondare il volto nell’incavo del mio collo. Con le mie braccia circondai la sua vita e lo attirai a me, come se non potessi farne a meno, come se dipendessi dalla sua vicinanza. Edward mi stritolò nel suo abbraccio, mentre io inspiravo il suo profumo familiare, che mi era mancato tantissimo nel tempo in cui non eravamo stati insieme. Edward pronunciava il mio nome ripetutamente, con un tale ardore e un dolore così espliciti nella voce e io scoppiai a piangere: lacrime di gioia e di dolore. Tra i singhiozzi chiedevo scusa. Lo pregavo di perdonarmi per essermene andata, per averlo fatto senza dirgli niente, per ciò a cui avrebbe assistito da lì a poco. Edward tentava di consolarmi, accarezzandomi la schiena e mormorando parole di conforto al mio orecchio. Il suono vellutato della sua voce era sufficiente a farmi desiderare di non essere mai nata. Edward sciolse l’abbraccio e afferrò il mio volto tra le mani, asciugando le mie lacrime con le labbra, finché non fui di nuovo in grado di vederlo. Con cautela avvicinò le sue labbra alle mie e le carezzò prima dolcemente, poi con impeto crescente. Lo vezzeggiavo con gesti frenetici, riappropriandomi dei tratti del suo viso e lui faceva lo stesso, ma con molta più gentilezza. Edward fu il primo ad interrompere il nostro bacio, si staccò da me con forza, come se temesse di non riuscire a fermarsi altrimenti. Fissò i suoi occhi nei miei e il suo sguardo era pieno d’amore, mentre si apriva nel sorriso sghembo che amavo.

≪Ti amo≫, mormorò dolcemente.

≪Ti amo≫, risposi.≪Tu questo lo sai, nonostante io sia andata via, vero?≫, gli chiesi timorosa.

 Sorrise dolcemente.

≪Certo, l’ho sempre saputo. Benché sia ancora un po’ arrabbiato. Non so se hai una vaga idea di cosa abbia passato quando sono tornato a casa e non ti ho trovata≫.

Chinai il capo, rossa in volto.

≪Scusa≫.

Edward sorrise sulla mia guancia e mi costrinse a guardarlo.

≪So perché l’hai fatto. Hai sbagliato certo, ma non saresti la mia Bella se non fossi così dolce e altruista≫.

Sorrisi, posando un bacio sulle sue labbra.

≪Bella≫, disse Edward. ≪Dobbiamo fare in fretta, non abbiamo molto tempo≫.

≪Per cosa?≫, chiesi.

Edward si guardò alle spalle, prima di portarmi a sedere sul letto.

≪Quando io ed Alice siamo andati via abbiamo scoperto qualcosa che ti riguarda, Bella. Soffrirai e quest’idea mi distrugge, ma è inevitabile. Vorrei proteggerti, ma devi saperlo≫.

≪Edward, mi spaventi. Di che si tratta≫.

Prese un profondo respiro e poi disse: ≪Sei stata ingannata. Tutto ciò che ti hanno raccontato i Volturi è una bugia. In quella casa abitavano tua zia e suo marito, Charlie e Reneé. Non abbiamo tempo per i dettagli, perciò ti dirò semplicemente che i Volturi hanno trovato i tuoi genitori. E quando questi si sono rifiutati di collaborare con loro, perché potessero avere tutto il potere... li hanno uccisi e ti hanno portato via. Noi pensiamo che il loro obbiettivo fin dall’inizio sia stata tu. E che la guerra che hanno combattuto contro i licantropi non sia per i motivi che ti hanno spiegato. Sono stati loro a incoraggiare l’odio tra la nostra razza e i Licantropi, per sete di potere. Crediamo che i figli della luna siano nel giusto. Alice ha avuto una visione, tempo fa, in cui uno di loro parlava pacificamente con Carlisle. Quindi è probabile che li rintracceremo...≫.

Non prestai attenzione a ciò che disse in seguito. La mia mente elaborava lentamente le sue parole, in cerca di una spiegazione logica e razionale ad esse. Secondo Edward erano stati i Volturi ad uccidere i miei genitori. No, impossibile.

≪Menti≫, sussurrai, con un tono talmente basso che orecchie umane non lo avrebbero mai percepito, ma Edward mi udì e il dolore straziante che lessi nel suo sguardo alle mie parole provocò un brivido lungo tutta la mia spina dorsale.

≪Bella≫, le sue mani sfiorarono il mio volto con delicatezza, come se temesse un mio rifiuto, come se potessi sottrarmi dal suo tocco ghiacciato. Lo scansai, come un riflesso involontario del mio corpo.

Edward chiuse gli occhi ed ispirò, quando li riaprì mi fissò con tenacia.

≪Io so quanto possa sembrarti assurdo. Tu non sei in grado di credere a un tale atto di malvagità, va troppo oltre rispetto a ciò che sei. Ma tu hai il dono straordinario di capire le persone ancor meglio di quanto queste riescano a capire loro stesse. E tu sai che io non ti mentirei mai, che preferirei morire piuttosto che vedere il dolore della consapevolezza nei tuoi occhi. Guardami≫, ordinò.

Un dito freddo mi sollevò il mento e mi costrinse ad incrociare lo sguardo del mio amato. Come potevo dubitare di lui? Dell’assoluta devozione che leggevo nei suoi occhi, specchio perfetto della sua anima e della mia. Perché io ed Edward eravamo una cosa sola. E il mio cuore lo aveva capito fin dall’inizio. Edward non mi avrebbe mai mentito.  Sapevo di avergli creduto fin dall’inizio, ma la mia mente aveva tentato automaticamente di proteggersi da una simile verità.

Le persone che avevo creduto essere la mia famiglia, Atehnodora, Felix, Demetri, non erano che dei bugiardi assassini. Avevano ucciso i miei genitori per prendere me. Sapevano che crescendo li avrei amati come la mia famiglia e perciò non avrei mai dubitato delle loro parole. Non ero altro che un arma nelle loro mani. Adesso capì che le ragioni che Aro aveva dato all’Agorà sulla guerra contro i Licantropi, non erano altro che l’ammissione delle sue intenzioni nei miei confronti.

I Licantropi cercano qualcosa cui non possono rinunciare, ma che non deve assolutamente cadere in mano loro... l’ultima dei prescelti... Esattamente sedici anni fa io vi ho parlato di lei e vi ho rivelato ciò che è, e i suoi straordinari poteri. Non oso neanche immaginare cosa farebbero di lei i figli della luna se cadesse nelle loro mani. E noi non possiamo permettere questo....

Tutta la mia vita era una bugia.

Avrei dovuto sposare l’assassino dei miei genitori? Come avevo potuto essere così cieca, così fiduciosa? Le dita di Edward carezzarono la mia guancia e mi accorsi solo in quel momento di essere scoppiata in lacrime.

≪Bella. Io...≫.

≪Come ho potuto non vedere la verità. Come ho potuto vivere con loro e amare gli assassini dei miei genitori? Come ho potuto affidargli i miei poteri, diventando un’arma e vanificando il sacrificio dei miei genitori? Sono stata una sciocca≫.

Edward mi strinse a se e posò un bacio sulla mia fronte.

≪Non avresti potuto immaginarlo. Nessuno avrebbe potuto. Non dare la colpa a te stessa, amore mio. Nonostante la loro influenza non sei diventata malvagia, né hai mai fatto nulla che andasse contro la tua morale. I tuoi genitori sarebbero fieri di te, come lo sono io≫.

≪Edward, parlami di loro≫, chiesi.

≪Tua madre si chiamava Elena e tuo padre Sebastian. Sebastian Williams. Erano gli ultimi della vostra razza e straordinariamente forti. Sembra che tu somigliassi tanto a tuo padre, ma il colore degli occhi e il tuo carattere sono un’eredità di tua madre. E’ bellissima sai, proprio come te≫.

Sorrisi al pensiero dei miei genitori, rincuorata dalle sue parole.

≪Come puoi dirlo?≫, chiesi.

Edward estrasse qualcosa dalla tasca dei suoi pantaloni e me la posò tra le mani. Era una fotografia. Riconobbi immediatamente Elena e Sebastian Williams, i miei genitori. Elena teneva tra le braccia un fagottino minuscolo e le sorrideva con dolcezza. Sebastian cingeva entrambe con gesto protettivo. Elena era bellissima. Notai immediatamente me stessa nei loro tratti. I loro volti erano così belli, colmi di pazienza e saggezza. Sfiorai con le dita il volto di mia madre: la creatura più luminosa e meravigliosa che avessi mai visto.

≪E’ bellissima, non è vero? I vostri sguardi sono così simili≫, sussurrò Edward, il suo respiro mi solleticò la pelle delle guance.

≪Credi?≫, gli chiesi, assuefatta al suo profumo.

≪Ne sono certo. Il modo in cui guardi le persone è impossibile da imitare. Fai sentire tutti speciali, come se ogni vita avesse un valore inestimabile. E quello sguardo si amplifica soprattutto quando guardi me, credimi. Non potrei vivere senza quello sguardo. Non vivo senza di te≫.

≪E’ come se...≫, ≪mi mancasse l’aria≫, dicemmo all’unisono e sorridemmo.

≪Ma Edward, adesso cosa facciamo?≫, chiesi, dopo quell’improvviso momento di ilarità.

≪Fuggiamo≫, rispose.

≪Come?≫.

≪Abbiamo un piano. La mia famiglia è già in sala, Aro non ha badato molto a noi. Non ha avuto l’occasione di stringerci la mano, il ché è stato un colpo di fortuna. Basta che tu vada via mentre noi siamo al ricevimento ed è fatta. Avremo un alibi e potremo andarcene indisturbati≫.

≪Felix deve venire a prendermi tra qualche minuto, in effetti≫.

≪Ottimo. Conosci qualche passaggio da cui potresti fuggire?≫.

≪Uno≫, risposi, ricordando le vie di fuga che un tempo proprio Demetri mi aveva mostrato. Era vicino alla mia stanza.

≪Porta all’interno della città≫, ricordai.

≪E’ proprio quello che ci serviva. Allontanati il più possibile da Palazzo Priori, incontrerai qualcuno che ti scorterà≫, disse, ed entrambi ci alzammo dal letto.

≪Chi?≫, chiesi.

≪Vedrai, non c’è tempo per spiegare≫.

Edward recuperò i miei vestiti e mi si avvicinò.

≪Devi indossarli, non puoi andare in giro vestita in questa maniera. Saresti troppo appariscente≫.

≪Aiutami≫, dissi arrossendo.

Edward sorrise e mi si avvicinò. Con estrema delicatezza mi aiutò a sfilarmi l’abito e attese che mi fossi vestita. Tirai su il cappuccio della felpa. Dopodiché osservai l’anello luccicante al mio dito e senza alcuna esitazione lo sfilai, gettandolo di fianco all’abito meraviglioso. Ricordai la mattina in cui Aro me lo consegnò, il giorno seguente all’ufficializzazione del matrimonio. Ero uscita per una passeggiata nei giardini, ritornando in stanza quando il sole era ormai alto sulle mura, per il pranzo che mi attendeva da li a qualche minuto. Mi sarei limitata a buttarlo nello scarico... L’insofferenza nella quale sopravvivevo dalla notte precedente non mi permise di percepire in tempo la presenza nella mia camera. Poggiava elegantemente alla portafinestra, il volto raggiunto da flebili raggi di luce che riflettevano il corvino dei suoi lunghi capelli. Aro mi sorrise amabilmente e mi fece cenno di avvicinarmi a lui, sollevando un braccio e una mano bianca. Mi mossi con il terrore nel cuore. Quando la mia mano sfiorò la sua un brivido mi sconvolse le membra irrigidite. Nella mano che non stringeva la mia, una scatolina in velluto blu faceva mostra di se sul suo palmo. Deglutì e attesi.

≪Nessun gioiello varrà mai quanto te. Non mi è consentito di chiudere in cassaforte la tua bellezza e il tuo cuore, così che possa considerarmi davvero ricco, ma quando sarai mia potrò almeno dire di possedere il gioiello più prezioso che sia mai stato creato≫.

Con una sola mano aprì il cofanetto e fu subito chiaro il valore del gioiello che custodiva. Le lunghe dita lo estrassero e lo infilarono al mio anulare sinistro, un ghigno sul volto e un scintilla negli occhi color cremisi.

Ritornai al presente. Edward non commentò il mio gesto. Quando fu il momento di andare mi sentì invadere dall’ansia. Mi avvicinai ad Edward e lasciai che mi stringesse nel suo abbraccio.

≪Edward, se dovessero scoprivi... non fare pazzie. Fuggite in fretta≫.

≪Non preoccuparti≫, sussurrò. ≪Adesso che ti ho trovato, non permetterò a nessuno di portarti via da me≫.

Così dicendo posò ancora una volta le sue labbra sulle mie, nel tentativo di placare la mia paura crescente. Era un sollievo poter respirare a pieni polmoni, finalmente, dopo giorni di apnea. Io ed Edward uscimmo dalla stanza. Questa volta non mi guardai alle spalle, non lasciavo nulla che contasse davvero per me in quel posto. Tutto ciò di cui avevo bisogno per vivere era al mio fianco. Adesso sapevo che il mio scopo nella vita  non era sposare Aro e con lui ricreare la mia specie. Era quello che avevano tentato di farmi credere. Io decidevo della mia vita, per cosa valesse la pena viverla e per cosa gettarla nella caldaia dell’inferno. La soddisfazione di Athenodora assunse un significato diverso. Il suo tradimento bruciava più degli altri.

Ci guardammo intorno, benché i nostri poteri fossero molto più efficaci, come allarmi, della nostra vista. Edward mi strinse ancora in un lungo abbraccio stritolatore. La mia via di fuga era a sinistra, mentre la sala del ricevimento si trovava nell’ala est del palazzo. Era peggio di un crimine fuggire mentre lui tornava per me nella tana del lupo.

≪Sta attento, ti prego≫, supplicai posando una mano sulla sua guancia.

≪Ci vediamo fuori, da liberi≫, rispose.

≪Adesso va, corri e non fermarti finché non sei fuori, mi raccomando≫.

Edward posò le mai sulle mie spalle e mi fece voltare dall’altra parte. Posai un ultimo bacio sulle sue labbra, gettandogli le braccia al collo e sentirlo rispondere con tanta enfasi mi fece quasi desistere. Quando fui in grado di staccarmi da lui gli lanciai un ultimo sguardo pieno di amore e preoccupazione e inizia a correre.

Corsi a perdifiato lungo il corridoio deserto, senza voltarmi indietro. Speravo ardentemente che i Cullen riuscissero a fuggire indisturbati da Volterra...

Conoscevo bene i Volturi, sapevo che avrebbero preso delle precauzioni perché qualcuno non approfittasse del caos del matrimonio per infrangere la legge proprio nella loro città. Ci sarebbero state guardie ad ogni angolo e soprattutto davanti alle porte di ognuno dei passaggi segreti della Rocca. Se i Cullen a fine giornata non fossero usciti, sarei ritornata a Volterra, scambiando la mia vita con la loro. Mi rifiutavo di contemplare un’eventualità simile. Mi chiedevo, però, chi fosse stato tanto pazzo da assecondare i Cullen in questa missione suicida. Altri vampiri?

Avevo spalancato i sensi, pronta a cogliere qualsiasi movimento, perciò non mi stupì quando udì due presenze molto vicine alla mia unica via di fuga. Dovevano essere di guardia al passaggio. In questa missione il mio potere di controllo sarebbe stato molto utile. I Volturi erano pronti a tutto, ma non all’eventualità che io utilizzassi i miei doni contro di loro. Non avrebbero saputo affrontarmi. Strinsi forte tra le dita la foto dei miei genitori. Elena e Sebastian avrebbero saputo come fare, non sarei stata una delusone, non sarei stata di meno. Per quanto fossi in collera, per quanto odiassi ogni membro appartenente al clan dei Volturi, non avrei usato la violenza. Non avrei deluso i miei genitori, né me stessa. Non avrei salvaguardato la mia vita in cambio di quella di altri, anche se si trattava di esseri spregevoli come i Volturi. Bisognava che utilizzassi tutta la mia cautela. Non dovevano vedermi né sentirmi. Si sarebbero allontanati dal passaggio senza bene sapere il perché... Non avrebbero saputo spiegarsi la cosa, e quando lo avessero fatto, una volta che Felix non mi avesse trovato nella stanza, sarebbe stato troppo tardi. E avrebbero comunque impiegato del tempo per mettere insieme i pezzi. Senza farmi notare li costrinsi ad allontanarsi. Quando furono ormai lontani dal mio raggio visivo uscì dal mio angolo e corsi verso il passaggio: una piccola porticina in legno che, apparentemente non aveva serratura, ma bastava alzare la maniglia verso l’alto per riuscire ad uscire. Sogghignai all’idea che sarebbero stati proprio i loro insegnamenti a farmi fuggire. Varcai la porticina ed entrai, richiudendomela alle spalle. Grazie alla mia vista migliore distinguevo chiaramente ogni dettaglio e trovai facilmente l’interruttore. Le luci al neon ronzarono e si accesero, illuminando un corridoio lungo e privo d’imposte. C’era soltanto una guardia all’uscita della porta. Pensai a come neutralizzarla. L’avrei “invitata” ad arrampicarsi sulla torre fin quando non mi fossi allontanata.

Fuggire dalla Rocca era stato un gioco da ragazzi, molto più facile di quanto mi aspettassi. Inspirai a pieni polmoni l’aria del mattino, dirigendomi a passo spedito verso la piazza. Chiusi gli occhi per un istante e visualizzai, grazie alle volontà dei presenti, una mappa della città, ideando un percorso per evitare le guardie. Erano dappertutto. Quando passai davanti ad una delle panchine della piazza rubai un cappello a righe bianche e blu che doveva appartenere all’uomo lì seduto. Lo indossai, cercando di mascherare al meglio il mio volto. Edward aveva detto che sarebbero stati loro, chiunque essi fossero, a trovarmi. Come li avrei riconosciuti? Non ci pensai. Quando mi era possibile correvo, per poi fermarmi all’improvviso. Fui costretta a passare sotto ad una delle guardie, appollaiata sul tetto, soltanto una volta. Non mi notò. Mi affiancai ad una famiglia di turisti, americani dall’accento, fingendo di essere una di loro. La cosa che più di ogni altra temevo era il mio odore. Tentai di mescolarlo a quello delle altre persone, sperando che nessuno mi riconoscesse né notasse il mio strano aroma. Ero quasi fuori dalle mura, ma sperare era inutile, lo avevo capito orami da tempo. Eppure mi ostinavo  a credere che ci fosse qualcosa per me. Qualcuno posò una mano sulla mia spalla, trattenendomi. Il mio cuore si fermò per un istante, prima di ripartire ancor più velocemente di prima. Eppure c’era qualcosa di strano in quel tocco, nonostante la felpa avvertivo un calore impressionante. Mi costrinsi a voltarmi e incrociai un volto che conoscevo bene. La carnagione bronzea e gli occhi neri. Il contrasto con i denti bianchissimi gli conferivano una bellezza particolare e acerba. Jacob mi fissava sorridente, come se non ci vedessimo da troppo, troppo tempo. Al suo fianco Leah mi sorrideva con altrettanta gioia. Di slancio mi abbracciò. Ero ancora impietrita, ma pian piano, mentre la consapevolezza si faceva strada nella mia mente confusa, mi sciolsi e mi aprì in un grande sorriso; ricambiando il suo abbraccio. I miei lupi, i miei mutaforma erano venuti a salvarmi. Chi altri potevano essere così pazzi, a parte i Cullen, da mettersi contro i Volturi per me.

≪Leah, Jacob≫, esultai.

≪Allora siete voi. Siete due pazzi. Come vi è saltato in mente di venire qui e...≫.

Jacob sbuffò, accompagnato da un gesto della mano, mentre Leah scioglieva il nostro abbraccio.

≪Ma figurati. Sai che questo è il mio primo viaggio in assoluto. L’unica pazzia è stata doversi fingere il suo ragazzo per passare inosservati, come turisti, capisci? Quella si che è stata una follia≫.

Leah gli diede uno scappellotto sul bicipite e lui la prese sottobraccio, sorridendo.

≪Come...?≫.

≪Non c’è tempo per le spiegazioni, ti dico soltanto che sono stati i tuoi vampiri a chiederci aiuto. Il tuo succhiasangue era disperato≫, disse la ragazza.

Sorrisi dolcemente. Leah alzò gli occhi al cielo vedendo dalla mia espressione che mi trovavo ormai in un universo alternativo e mi trascinò con se. Riuscimmo ad uscire da Volterra senza troppi intoppi.

≪Come avete fatto a trovarmi?≫, chiesi.

Fu Jacob a rispondermi.

≪Il tuo odore è molto particolare e il nostro olfatto è più sensibile rispetto a quello dei vampiri: non è stato difficile≫.

Annuì.

≪Adesso cosa facciamo?≫, chiesi ancora.

≪Qui fuori ci sono gli altri ad aspettarci: Sam, Embry, Quil, Jared, Paul... e Seth≫, rispose Leah.

Notai il suo disappunto e mi scusai.

≪Non scusarti, lui è fatto così. Non avremmo mai potuto trattenerlo a La Push≫, sospirò.

≪Ci aspettano con delle auto≫, continuò Jacob.

Alla parola auto i suoi occhi brillarono d’entusiasmo. Conoscendo i Cullen, potevo perfettamente immaginare i mezzi adottati per la nostra causa.

≪Ci fermeremo in un luogo già concordato finché i vampiri non tornano e poi filiamo via. Letteralmente, quelle auto sono... wow≫.

Io e Leah alzammo gli occhi al cielo.

≪Avete lasciato la riserva indifesa?≫, chiesi angosciata.

≪No, ci sono Colyn e Bredy di guardia. Sono nuovi, ma basteranno fino al nostro ritorno≫.

 Quando fummo ormai fuori dalle mura, Jacob fece quel che sembrava un ululato umano e una testa ciondolante spuntò fuori da un angolo. Quil sorrise.

≪Sono loro≫, annunciò.

A quel punto altre teste ciondolanti si mostrarono e io non potei che sorridere.

≪Bella≫, esultò Sam che si mostrò completamente, venendo allo scoperto. Si avvicinò e mi abbraccio.

≪Avrei dovuto esserci io al posto di Jacob, ma ha il ragazzo ha un olfatto straordinario e poi... ha insistito così tanto≫.

Jacob si schiarì comicamente la gola ed io e Sam ridemmo.

≪Sì, Jacob. Hai slavato la povera fanciulla in difficoltà. Adesso ti aprirà le porte del su cuore≫, lo schernirono i suoi amici.

Jared diede di gomito a Paul e si chinò per sussurrargli qualcosa all’orecchio. Udì un: ≪E anche qualcos’altro magari.

 Jacob ringhiò ai suoi fratelli.

≪Come no, ormai il cuore della nostra Bella è del succhiasangue≫, ghignò Embry.

Quella parole mi fecero incupire. I Cullen stavano bene? Felix aveva già scoperto che ero fuggita?

≪Non preoccuparti≫, sussurrò Sam, ≪loro sanno quel che fanno≫.

≪Lo spero≫.

Dopo qualche istante di silenzio Sam disse: ≪Dobbiamo andare. E’ il caso di allontanarci≫.

Annuì e prendemmo posto sulle  nostre auto. Due Ferrari, una Porsh. Auto fulminee, adatte ad una fuga.

Quando l’auto incredibilmente e pericolosamente veloce si arrestò sussultai. La nostra Porsh aveva frenato bruscamente, alzando un polverone sulla strada sterrata di un bosco. Nonostante fossi impietrita sul sedile, riuscì, chissà come, a muovermi e scendere dall’auto. Davanti a noi si ergeva un cottage abbastanza grande, ma ero certa che i ragazzi Quileutes lo avrebbero occupato per intero. I ragazzi corsero all’interno immediatamente, io, Sam, Jacob e Leah fummo più lenti.

≪Hai fame?≫, chiese Sam.

≪I Cullen hanno provveduto a tutto≫.

≪No, grazie Sam. Non riuscirò a mangiare fin quando la mia famiglia non tornerà...≫.

Sam annuì, nei suoi occhi tutta la comprensione di questo mondo. Lanciò uno sguardo ai ragazzi che si erano fiondati sul frigorifero o davanti alla televisione con un sorriso appena accennato sulle labbra. Sapeva, forse meglio di chiunque altro, cosa significasse avere una grande famiglia.

Sedevo sui gradini del portico, in attesa. Era ormai mezzogiorno, ma dei Cullen nessuna traccia. Con lo scorrere dei minuti sentivo avanzare la paura e l’angoscia. Passavo il tempo rigirandomi tra le mani la foto dei miei genitori. Ne studia i volti per imprimerli nella mia mente, per non dimenticarli mai. Chissà come sarebbe stato averli al mio fianco? Avrei imparato da loro tutto ciò che mi occorreva conoscere. Avrei saputo cosa significava amare fin dalla nascita. Loro avrebbero sempre saputo cosa fare o cosa dire. Nella mia vita avevo dovuto cavarmela da sola. Nessuno mi aveva mai dato un consiglio, se non per il proprio interesse personale. Avevo rimesso insieme i pezzi della mia vita, ma sentivo che alcune cose non sarebbero mai state risolte. Alcuni buchi non sarebbero mai stati tappati.

≪Chi sono?≫, chiese Jacob, sedendosi al mio fianco.

≪Mio padre e mia madre. Elena e Sebastian Williams≫.

≪Posso?≫, chiese, indicandomi la foto. Gliela diede, un po’ gelosa dell’unico ricordo che avevo di loro.

≪Sono... ti somigliano moltissimo≫.

≪Sì, è vero. E’ stato Edward a darmela, prima che andasse alla cerimonia≫, il mio sguardo si adombrò e sospirai.

≪Vedrai che sta bene≫, aggiunse all’improvviso, un po’ impacciato.

≪Per quanto io di già ami i miei genitori naturali, la prima vera famiglia che abbia mai avuto sono loro. E sapere il pericolo che stanno correndo a causa mia...≫.

≪Loro ti amano. E’ difficile pensare che un vampiro possa provare dell’affetto, ma questo è palese. Devo ammetterlo≫.

≪Lo so≫, sorrisi.

≪Isabella Williams è un bel nome≫, disse, restituendomi la foto.

Già, suonava davvero bene.

≪Adesso ho un cognome, è una bella sensazione≫, concordai.

Le nostre chiacchiere furono interrotte dal suono di un’auto che si avvicinava. Trattenni il respiro e mi alzai di scatto. Non badai a Jacob che rientrava in casa, il mio sguardo e la mia mente vagava oltre. E poi le auto si arrestarono. Le riconobbi immediatamente. La mia amata Volvo e la Mercedes di Carlisle. Sentire le loro presenze era un sollievo inimmaginabile. Uscirono all’unisono dalle auto, sbattendo le portiere, con dei sorrisi luminosi sui loro volti bellissimi. Tutti, tutti loro mi erano mancati incredibilmente. Il mio sguardo catalogò i loro volti per alcuni istanti infiniti, mentre permettevo al sollievo e alla leggerezza di accarezzare il mio cuore, per poi soffermarmi su Edward. Sul suo viso meraviglioso e sul suo sorriso abbagliante. Senza neanche accorgermene avevo preso a correre verso di lui, pochi metri ci dividevano. Edward mi accolse di buon grado tra le sue braccia, sollevandomi da terra senza alcuno sforzo. Riempì la sua gola candida di tanti piccoli baci ed Edward rise al mio orecchio. Quando mi depositò a terra prese il mio volto tra le mani, senza baciarmi. Si limitò a fissare i miei occhi, quello sguardo che lui tanto amava. Un movimento impercettibile catturò la mia attenzione. I Cullen si stavano avvicinando. La prima a venirmi incontro fu Esme, come aveva fatto qualche mese fa a Volterra. Mi sorrise e strinse a se in un abbraccio stritolatore.

≪Grazie al cielo stai bene, eravamo così in pena per te≫.

≪Mi dispiace, mamma. Adesso so e non vi lascerò mai più, sempre che voi abbiate intenzione di sopportarmi per l’eternità≫.

Jasper mi venne incontro e mi strinse nel suo abbraccio protettivo, scompigliandomi dolcemente i capelli.

≪Certo che ti sopporteremo, è questo che fanno le famiglie. Bentornata≫.

≪Grazie≫.

≪Siete così sdolcinati≫, ghignò Emmet che si era avvicinato a noi e aveva provveduto a scansare Jasper per prendere il suo posto.

≪La nostra famiglia è una noia senza di te≫.

≪La mia vita è una noia senza di te, Emmet≫, gli dissi.

≪Lasciala respirare≫, lo ammonì Rosalie.

≪Bentornata tra noi, tesoro≫.

≪I tuoi fratelli hanno ragione, bambina, sei mancata a tutti≫, riconobbi la voce dolce e rassicurante di Carlisle e capì di essere tornata finalmente a casa.

Mi allontanai da Emmet per avvicinarmi a nostro padre e lo strinsi per la vita, posando il capo sul suo petto. Carlisle si chinò per sussurrare al mio orecchio: ≪Perdonami, figlia mia. Non ho mantenuto la mia promessa. Ma le cose sono cambiate parecchio da allora e non potevamo permettere che gettassi la tua vita in questo modo. Tu meriti tutto il meglio che questo mondo può offrire≫.

Sorrisi e risposi: ≪Ho voi è questo mi basta≫. Detto ciò mi staccai dal suo abbraccio paterno.

Fu in quel momento che la notai. Se ne stava zitta e immobile accanto all’auto, oscillando la braccia magre come una bambina. Era raro che Alice riuscisse a stare ferma e in silenzio per più di dieci secondi, sembrava troppo emozionata per parlare. Quanto mi era mancata la mi piccola dolce Alice. Il suo volto adorabile e lo scampanellio della sua voce. Mi fissava quasi imbarazzata, un po’ in disparte. Mi avvicinai a lei. Le presi le mani tra le mie.

≪Ciao≫, dissi.

≪Ciao≫, rispose.

Sorrisi e lei ricambiò. Lentamente si aprì nel suo sorriso caratteristico a trentadue denti e qualsiasi cosa l’avesse resa silenziosa e impacciata scomparve. Mi si fiondò contro, stritolandomi in un abbraccio e tutti intorno a noi risero.

≪Sono molto arrabbiata con te. Te ne se andata senza salutarmi. Il perdono ti costerà un eternità di shopping senza lamentele≫.

≪Certo, certo≫, le dissi, con tono condiscendete, ma la strinsi ancor di più a me.

Quando ci allontanammo ci fissammo negli occhi, felici di essere di nuovo insieme.

≪Adesso entriamo, ci sono molte cose di cui parlare≫, disse Edward che si era avvicinato ad entrambe.

Il salotto era affollatissimo. I giovani Quileutes stipavano a fatica i loro corpi nella stanza. Mentre i Cullen, con la loro eleganza e agilità occupavano pochissimo spazio. Eppure, nonostante entrambi i clan si fossero alleati per salvare la mia vita, una linea invisibile li divideva ancora. Benché io, Carlisle e Sam tentassimo di stemperare le tensioni, c’era ancora diffidenza e insofferenza nei confronti gli uni degli altri. Licantropi e vampiri non erano mai stati pacifisti. Gli stessi lupi uccidevano esseri umani senza portarne il peso e li infettavano, per proteggere la propria specie dall’estinzione. Non erano molto diversi rispetto ai vampiri classici. Ma i mutaforma, che tra tutti erano i più umani, erano anche i più litigiosi. Odiavano i vampiri e i licantropi per ciò che facevano e qualsiasi forma assumessero tentavano di combatterli.

≪Prima di iniziare≫, cominciò Carlisle, ≪vorrei ringraziarvi per averci aiutato a salvare la nostra Bella≫.

≪Carlisle≫, dissi, ≪penso che spettino a me i ringraziamenti≫.

Edward tentò di fermarmi, ma io lo zittì con un gesto cortese della mano.

≪Sento di dovervi dei ringraziamenti. Li devo a tutti voi. Avete rischiato davvero tanto con il gesto di oggi e ancora non siamo fuori pericolo. Non avete esitato a rischiare le vostre vite per la mia. Sono davvero fortunata ad avere ciascuno di voi≫.

Tutti, la mia famiglia e i miei amici, si aprirono in un sorriso che diceva molto più di qualsiasi parola.

≪Abbiamo espresso le nostre opinioni, ma adesso bisogna affrontare questioni più spinose. Gradirei più di qualsiasi altra cosa poter dichiarare questa storia conclusa e  che siamo tutti fuori pericolo, ma non è così. Naturalmente, voi≫, disse Carlisle indicando i giovani lupi, ≪siete liberi di ritornare a casa. Nessuno sospetterebbe un vostro coinvolgimento. E se aveste bisogno in futuro di alleati non esitate a chiamarci. Ma noi siamo interamente coinvolti in questa faccenda. Come tutti sapete Alice mi ha visto in compagnia, evidentemente amichevole, di un figlio della luna. Perciò ci tocca decidere se andare incontro al nostro futuro≫.

Il silenzio calò nella stanza. Fu Edward a spezzarlo per primo.

≪Non so, Carlisle. Siamo certi che i Licantropi non abbiano cattive intenzioni nei confronti di Bella? Come i Volturi potrebbero semplicemente volere i suoi poteri≫.

 Gli lanciai uno sguardo eloquente ed Edward mi strinse più forte a se.

≪Non penso, Edward≫, intervenne Alice. ≪Altrimenti la nostra presenza insieme a loro non avrebbe alcun significato logico, noi non tradiremmo mai Bella. Sono certa che i Licantropi siano nostri amici≫.

≪Come puoi dirlo, Alice? Non riesci a vederli≫, le disse lui.

≪E’ vero. Credo che, non essendo nulla che mi riguarda personalmente, io non riesca a vederli quando assumono le sembianze di animali, come d’altronde succede con i mutaforma, ma non credo di sbagliarmi≫.

≪Non posso affidare la vita di Bella a semplici supposizioni, Alice≫, disse Edward alzando gli occhi al cielo.

≪Edward≫, intervenni, ≪io mi fido di Alice. Se lei dice che non c’è pericolo le credo. In fondo, cosa mi dice che la cattiveria dei Licantropi non sia un’altra bugia dei Volturi? Non sarebbe certo la prima...≫.

 Gli occhi di Edward si fecero tristi quando udì l’incrinatura nella mia voce e mi carezzò una guancia, nel tentativo di darmi conforto.

≪E comunque, come li troveremo?≫, chiese Rosalie.

≪Dovremo raggiungere gli stati più a est dell’Europa e da lì, i luoghi che io non posso vedere≫, rispose Alice, come se fosse ovvio.

≪Potremo anche star andando incontro alla morte≫, fece notare Jasper.

≪Non sarà così≫, lo rassicurò Alice.

≪Bene≫, sospirò Carlisle, ≪prenoto un volo. Partiamo subito. Naturalmente provvederò anche per voi≫, Carlisle rivolse uno sguardo ai lupi.

≪Non è saggio rimanere a lungo in questo luogo≫.

≪No, aspetta Carisle≫, lo bloccò Alice. ≪Partiremo questa sera, non prima del tramonto≫.

≪Sei fissata con questo tramonto Alice≫,  la prese in giro Emmet per qualcosa che non capivo.

Alice gli fece la linguaccia e tornò a prestare attenzione a nostro padre.

≪Fidati, Carlisle. C’è tempo≫.

 Il sorriso raggiante di Alice era talmente rassicurante che Carlisle non osò discutere le sue ragioni.

La vidi lanciare uno sguardo fugace ad Edward, talmente in fretta che pensai di averlo immaginato.

≪Ehi, aspetta≫, esordì Sam.

≪Noi non abbiamo intenzione di tornare a casa, vogliamo venire con voi. Siamo coinvolti almeno quanto voi in questa faccenda≫.

Lanciò uno sguardo ai suoi ragazzi che annuirono.

≪Sam... non per me≫, gli dissi, commossa.

≪Bella, tu fai parte della nostra famiglia e noi difendiamo la famiglia. Ma se c’è una guerra da combattere, noi siamo coinvolti e questo va al di là del nostro affetto per te≫.

≪Nessuno ha parlato di una guerra≫, gli feci notare.

≪Chiedilo a loro≫, rispose.

Mi voltai verso Edward.

≪Bella, non sappiamo se... non ci sarà una guerra. Ma se esiste un esercito di Licantropi è molto probabile che accada. Non lasceranno impunita la violenza dei Volturi verso i propri simili≫.

≪No≫, urlai. ≪Non un’altra guerra. Li raggiungeremo: lo impediremo. Non permetterò che venga versato dell’altro sangue, di chiunque esso sia. La guerra è una reazione a catena, Edward. Oltre agli esseri immortali pagheranno anche gli umani. Usati come spuntino oppure infettati per aumentare il numero dei combattenti. Sarà una strage, di nuovo≫.

≪Lo so≫, rispose, attirandomi a se per un abbraccio, affondai il volto nel suo petto.

≪Non ci resta che aspettare e vedere come andranno le cose≫, esordì Alice, tutt’altro che ansiosa. Sembrava di ottimo umore. Sul suo viso era dipinta la classica espressione di quando aveva un’idea eccessiva e festaiola in mente. Edward le lanciò un’occhiata carica di significato e lei gli restituì un sorriso brillante.

≪Cosa state architettando voi due?≫, chiese Emmet scocciato.

≪Noi≫, risposero all’unisono con aria fin troppo innocente, ≪niente≫.

Emmet sbuffò.

≪Come si fa a sopportarvi, siete irritanti≫, intervenne Jacob.

Emmet fece un gesto di assenso.

≪Cosa dovrei dire io che li sopporto da cinquant’anni?≫.

Emmet e Jacob sghignazzarono e ciò stemperò un po’ la tensione.

≪Siete certi che abbiamo tempo fino a questa sera. Non sarebbe meglio partire ora?≫, esordì Sam.

≪Non ci sarà alcun problema con i tempi, non sospettano minimamente di noi≫, lo rassicurò Alice.

≪Adesso sono curiosa≫, dissi ad Edward, ≪cos’è successo a Volterra? E perché avete tardato tanto? Ero così in ansia≫.

Edward posò un bacio sulla mia guancia, sghignazzando.

≪Devo dire di non essermi mai divertito tanto in vita mia≫, disse, esordendo in una clamorosa risata, seguito dai suoi fratelli.

≪Divertito?≫, chiesi.

≪Sì≫, rispose Jasper. ≪Abbiamo dovuto trattenerlo e tappargli la bocca perché non scoppiasse a ridere facendoci uccidere tutti≫.

Gli lanciai uno sguardo interrogativo.

≪Racconta≫, dissi.

Edward serrò le labbra nel tentativo di trattenere le risate e iniziò a parlare.

≪Dopo che ci siamo separati ho fatto il giro dei corridoi, tenendo a mente i racconti di Carlisle su ciò che ricordava del castello, per arrivare nella sala del ricevimento dal lato opposto della tua camera. La mia entrata non ha destato molti sospetti. Devo ammettere di aver più volte contemplato la strage. Sapere quello che ti avevano fatto, quello che avrebbero fatto, dover sopportare il ghigno di soddisfazione sul volto di Aro era troppo per i miei nervi. E poi Felix è venuto a prenderti. La sua espressione al ritorno è stata... impagabile. Se fosse stato umano avrebbe sudato freddo... comunque Felix ha chiamato Aro in disparte≫.

≪E’ stato a quel punto che abbiamo dovuto trattenerlo dal ridere≫, lo schernì Emmet.

≪Se avessi letto i suoi pensieri, Emmet, mi avresti dato ragione. Aro tiene molto a mantenere un certo comportamento in pubblico, ma questa volta si è dovuto sforzare davvero tanto. Era nel panico. Non sapeva cosa dire agli ospiti o che fine avessi fatto. Sai per quanto io odi ammetterlo... credo che il suo sentimento, alla fine si fosse tramutato in qualcosa di reale. Nulla a che vedere con l’amore vero e puro, ma abbastanza da renderlo furioso. Si è scusato e ha annunciato agli ospiti che il ricevimento avrebbe avuto un leggero ritardo. In fondo cos’è un ora per un immortale? A quel punto è iniziata la caccia. Io ed Alice tenevamo sottocontrollo i loro pensieri e le loro mosse successive. Due guardie hanno parlato di un loro strano comportamento, che non erano riuscite a capire e Aro è arrivato alla giusta conclusione. Non avrebbe mai immaginato che tu fuggissi di tua spontanea volontà, ma evidentemente non c’era altra spiegazione possibile. L’imbarazzo di Aro mentre affermava che la cerimonia non avrebbe avuto luogo quel giorno per degli inconvenienti... ho davvero rischiato di mandare tutto all’aria. E neanche i tuoi cari fratelli erano così seri e composti. Non ero l’unico a trovare la cosa divertente. E poi si è verificato ciò che temevamo: Aro ha salutato personalmente ognuno dei presenti≫.

Trattenni il respiro, ansiosa nonostante sapessi che era finito tutto bene.

≪E cosa è successo?≫, chiese Sam.

≪Abbiamo messo su una messinscena, ma sono stati Carlisle ed Esme a salvarci. Prima che Aro avesse l’occasione di toccarlo, Carlisle lo anticipò. Posò una mano sulla sua spalla e disse: ≪Mi dispiace, Aro, mio figlio ha sentito tutto, benché non fosse sua intenzione. Spero che la troviate presto, ormai fa parte della nostra famiglia e temo che possa succederle qualcosa≫. A quel punto Esme gli si avvicinò, stringendogli un braccio e singhiozzando. ≪E’ una figlia a cui teniamo molto, vi prego d’informarci se ci fossero delle novità. Se dovessimo rivederla, sarete i primi a saperlo≫. Aro ci ha creduto e noi ci siamo congedati, raggiungendo questo luogo e badando bene che nessuno ci seguisse≫, concluse Edward.  

≪E bravi i nostri succhiasangue≫, esordì Paul.

≪Già≫, confermò Embry.

≪Siete dei pazzi≫, dissi, alzando il tono di voce di due ottave.

Emmet e Jasper alzarono gli occhi al cielo.

≪Bella, è andato tutto bene≫, disse Emmet.

≪Ma avrebbe potuto...≫.

≪Ma non è successo≫, mi fece notare Edward, stringendomi per la vita.

≪E non è ancora finita≫, sospirai.

≪No, non ancora≫, concordò.

************

Braccia forti e fredde mi strinsero per la vita. Non avevo bisogno di voltarmi per sapere di chi si trattasse. Mi limitai a posare il capo sul petto di Edward.

Dopo che mi ebbe costretta a mangiare qualcosa, mi rifugiai sul portico nel retro, mentre lui pianificava con Alice il percorso esatto da seguire: ovvero tutte le strade e i luoghi che lei non riusciva a vedere grazie al suo dono di preveggenza. Edward posò un bacio sulla mia gola e poi si sedette al mio fianco, stringendomi al suo petto. Come avevo potuto anche soltanto pensare di vivere per sempre senza di lui, se tra le sue braccia mi sentivo così bene? Me stessa. In pochi potevano affermare di aver mai provato questa sensazione nella loro vita. Sapevo che saremmo potuti rimanere per l’eternità uno di fianco all’altra, senza mai sentire il desiderio di allontanarci. Ciò che ci legava era assoluto e inevitabile, ora ne avevo la certezza.

≪Dopo che tutto questo sarà finito, potremmo andare a trovare Reneé: le farebbe piacere rivederti≫.

Annuì.

≪Non è una prescelta come me, vero?≫, chiesi.

≪E’ un essere umano: la sorellastra di tua madre. Non abbiamo avuto molto tempo per parlarne, vuoi che ti racconti qualcosa di lei?≫.

≪Dimmi ciò che sai su di loro, io non ne ho memoria≫.

 Edward posò un bacio sulla mia fronte.

≪Posso soltanto dirti ciò che sai già. I tuoi genitori erano persone meravigliose. Il ché è ovvio visto che tu sei il frutto del loro amore≫.

Sorrisi.

≪Tua nonna ha insegnato tutto ciò che sapeva a tua madre, che era molto forte nonostante fosse nata da una coppia mista. Così dice Reneé. Quando tu eri ancora in fasce vivevate in Arizona, in una bellissima casa sul lago≫.

In quell’istante li vidi, i miei genitori. Vidi me stessa in braccio a mia madre o a mio padre, teneramente abbracciati davanti allo spettacolo di acque azzurre e cristalline. D’improvviso Edward si alzò e mi si parò davanti, asciugando una lacrima che rigava la mia guancia. Con una mano mi aiutò ad alzarmi e mi abbracciò, stritolandomi contro il suo corpo marmoreo.

≪Ho passato così tanto tempo a guardare da lontano l’amore degli altri, ad invidiare i piccoli gesti, la scintilla nello sguardo e il calore nel petto, rassegnato all’idea che tutto ciò non avrebbe mai sfiorato il sentiero tortuoso della mia vita infinita. Passavano gli anni e io convincevo me stesso di non avere bisogno dell’amore di una donna, per non soffrire della sua, la tua, assenza. Quando vedi le generazioni passare e mutare, gli amori finire e iniziare, cominci a credere che quella persona non esista. Credi che l’amore non sia contemplato nel tuo destino. Mi sbagliavo. Tu, piccolo essere speciale, hai rubato il mio cuore fin dalla prima volta che hai incrociato il mio sguardo e mi hai sorriso. E’ stato così difficile capire ciò che provavo per te perché non lo avevo mai provato prima, perdonami per la mia ignoranza. Adesso so. Conosco la dedizione, la totale dipendenza da un’altra persona, il desiderio, la passione, la gioia più devastante e la disperazione più brutale. Se oggi fossi morto, anche mentre bruciavo tra le fiamme della mia distruzione, non mi sarei pentito di averti incontrato, né di essere corso a salvarti. Per la prima volta nella mia esistenza, mentre credevo davvero che sarei morto, ero felice, perché non avevo rimpianti. A volte ti amo così tanto da permettere che il sentimento mi offuschi la ragione≫.

Edward si staccò da me e mi fissò con i suoi occhi caldi e dolci.

≪Io vorrei darti tutto, tutto ciò che meriti. Vorrei vivere con te in una casa sul lago, con i nostri bambini intorno. Vorrei vivere la mia eternità con te≫.

D’improvviso, con un gesto inaspettato, Edward s’inginocchiò davanti a me. I suoi occhi non abbandonarono per un istante il mio sguardo mentre estraeva dalla tasca dei pantaloni un cofanetto in pelle bordò. Con uno scatto il coperchio si aprì, mostrando un anello bellissimo d’epoca.

≪Non è esattamente né il posto né il momento perfetto, ma il motivo e il mio amore sono sinceri. Non posso garantirti un matrimonio elaborato visto che non abbiamo molto tempo, né una luna di miele che non si concludi con una guerra. Ma ti assicuro la mia presenza per l’eternità al tuo fianco, qualunque cosa succeda. Ti prometto che saprò renderti felice, che non dimenticherò mai la mia grande fortuna nell’averti incontrato. Isabella Williams, ti amo più di qualsiasi altra cosa al mondo, mi faresti l’onore di diventare mia moglie? Qui, oggi?≫.  

Rimasi a fissare il piccolo anello ornato di diamanti per qualche istante, cercando di decidere se ciò che stavo vivendo era reale o meno.  Era difficile credere, dopo tutto quello che avevamo vissuto, distanza inclusa, che Edward fosse davvero in ginocchio davanti a me, con in mano un anello di fidanzamento. In quel momento tutto divenne reale, ero davvero con Edward, il mio futuro e il mio presente, e lo amavo come nessuno aveva mai amato prima. L’immagine di Aro, che soltanto qualche mese prima mi aveva fissato dalla stessa posizione in cui era Edward, mi attraversò la mente. All’epoca non sapevo che cosa significasse amare qualcuno, ma non avevo trovato un buon motivo per rifiutare la sua proposta. Ero stata stupida e immatura. Il matrimonio era un legame serio e profondo. Nessuno avrebbe mai dovuto sposare qualcun altro se non per amore. Non avrei mai dimenticato la disperazione, né tantomeno la sensazione irrefrenabile di disgusto quando le labbra del mostro che aveva ucciso i miei genitori avevano sfiorato la mia guancia, ma Edward non era Aro. Come potevo dubitare di lui nel momento in cui mi fissava negli occhi come se fossi la cosa più bella mai capitatagli. Sapevo qual’era il mio posto, al fianco di Edward per l’eternità, perciò sussurrai: ≪Si≫.

Edward boccheggiò per qualche istante, mentre entrambi lasciavamo alla mia risposta il tempo di attecchire. Pian piano mi aprì in un sorriso e allo stesso tempo Edward si alzò di scatto e mi abbracciò. Mi stritolò contro il suo petto e riuscì a sentirla la potenza della sua emozione, straordinariamente simile alla mia. Con gentilezza infilò l’anello all’anulare della mia mano sinistra, dopodiché prese il mio volto tra le mani e avvicinò le sue labbra alle mie. Prima che potessi anche soltanto sfiorarle o sentirne il sapore sulle mie, qualcuno mi allontanò bruscamente dalle sue braccia.

≪Alice, Emmet, Jasper≫, urlammo all’unisono io ed Edward.

≪Mi dispiace, ma alla fine mi ringrazierete. Non vi bacerete, non vi abbraccerete, né tantomeno vi vedrete se non sull’altare. Non transigo sulle regole base di un buon matrimonio≫.

Io e Edward sbuffammo. Emmet e Jasper bloccavano Edward nelle loro morse inarrestabili, mentre Alice cingeva saldamente le mie spalle con il suo braccio lungo e snello.

≪Aspetta≫, dissi, improvvisamente folgorata da un’idea.

≪Per questo motivo hai ritardato la partenza. Tu...≫.

≪Avevo preso in considerazione un’eventualità del genere. Avete tutto il tempo di convolare a nozze, prima del nostro viaggio≫.

Alice si fece improvvisamente cupa. ≪Potreste non avere un’altra possibilità≫.

Il mio sguardo corse ad Edward e capì finalmente l’urgenza di ciò che stavamo per fare. Avevamo poco tempo, l’eternità era ancora lontana dalla nostra portata. Tante cose avrebbero potuto strapparcela dalle mani, ma qualsiasi cosa fosse ci avrebbe trovati uniti, come marito e moglie.

≪Penso che tu abbia ragione≫, dissi.

Alice mi strinse una mano.

≪Vedrai, ho già pensato a tutto io. Edward sa dove andare, mentre noi ci prepariamo≫.

≪Non mi dirai che hai comprato un vestito, io posso sposarmi anche in jeans≫.

Alice mise da parte la sua aria seriosa e mi lanciò un’occhiataccia, sbuffando.

≪Tu pensi seriemente che io ti permetterò di sposarti vestita in jeans e maglietta?≫.

≪Certo. Stupida io che avevo preso in considerazione la cosa...≫, borbottai.

≪Oggi festeggeremo un’unione: la vostra. Perciò niente lamentele≫.

Così dicendo mi prese per mano e mi trascinò all’interno della casa, potei soltanto lanciare un ultimo sguardo ad Edward, mentre spariva nella foresta seguito da Emmet e Jasper. I miei familiari erano in fermento, naturalmente avevano sentito ogni cosa. Si congratularono con me con sincero affetto. Anche i lupi sembravano felici per me, benché un po’ sconcertati. Leah e Sam si congratularono con me, mentre i ragazzi si lasciarono andare a battute fin troppo facili di matrimoni con delle sanguisughe. Jacob... lui era stranamente silenzioso. Evitò d’incrociare il mio sguardo, osservava cupo il pavimento. Alice mi trascinò al piano di sopra, chiamando a sé Rosalie. Venni trascinata in una stanza molto grande, sul letto vi era adagiato un abito bianco, dritto e lungo, semplice.

≪Non è granché, avrei potuto fare molto meglio. Ma è successo tutto così in fretta e un abito da sposa non si cuce in un giorno≫.

Alice sembrava scocciata dalla semplicità anonima del mio abito, ma io lo preferivo di gran lunga all’altro... La abbraccia, stringendola per la vita.

≪Grazie, sei la sorella migliore del mondo e sono certa che tu e Rose sarete della favolose damigelle. Chiunque invidierà la mia fortuna sfacciata nell’avervi≫.

Rosalie si unì al nostro abbraccio collettivo ed entrambe presero a ringraziarmi, con troppa enfasi forse.

≪Adesso basta smancerie≫, esordì Alice all’improvviso, ≪dobbiamo vestirti, Edward ti aspetta≫.

Quelle parole bastarono a farmi dimenticare qualsiasi cosa, persino il futuro che, ancora una volta, incombeva minaccioso.

Nonostante tutte le critiche di Alice al mio abito, al fatto che non avesse potuto conciarmi i capelli perché qualcuno l’aveva fatto al suo posto, quando iniziai a scendere i primi gradini delle scale non poté evitare, insieme a Rosalie e Jacob, che se ne stava silenzioso nell’angolo, di alzare gli occhi e socchiudere le labbra, meravigliata. Carlisle mi sorrideva, una mano protesa nella mia direzione, pronto ad accompagnarmi all’altare. Quando lo raggiunsi e afferrai la sua mano, sentì che finalmente ogni cosa stava andando per il verso giusto. Benché mio padre e mia madre non fossero lì con me, avevo Carlisle ed Esme al mio fianco. Ero circondata da persone che mi amavano davvero, senza trucchi né sotterfugi.  E, cosa più importante, stavo per sposare l’uomo che amavo, la mia metà. Quando raggiunsi Carlisle afferrai la sua mano ed entrambi ci scambiammo un enorme sorriso. Alice e Rosalie erano entusiaste.

≪Tesoro, sei splendida≫, cinguettò Alice.

≪La nana ha ragione, sei davvero bellissima≫, esordì una voce bassa e ruvida, un tono che conoscevo bene. Alzai gli occhi e incrociai lo sguardo del mio Jacob, un mezzo sorriso sulle labbra carnose.

≪Noi andiamo≫, sussurrò Alice. Carlisle posò un bacio sulla mia fronte e insieme si diressero all’esterno.

Jacob mi si avvicinò e vidi la tristezza nei suoi occhi. Era difficile capirne il motivo, era troppo distante da ciò che stavo provando io. Mi limitai a posare una mano sulla sua guancia e Jacob si posò automaticamente sul mio palmo.

≪Che cosa c’è≫, chiesi.

≪Stai per sposarti, è un giorno felice per te?≫, rispose, ma suonò come se mi stesse ponendo una domanda.

≪Sì≫, risposi automaticamente.

≪Ami davvero tanto il succhiasangue?≫.

Non riuscì ad offendermi per il modo in cui lo chiamò, tanto era avvilito il tono della sua voce.

≪Sì≫, risposi semplicemente.

≪Perché sei triste? Non voglio che tu lo sia, non oggi≫.

≪Invece e proprio il giorno perfetto≫, sbottò, allontanandosi da me.

≪Jacob≫, sussurrai.

≪Sai qualcosa che io non so? Forse non vuoi venire con noi, non sei costretto. Puoi ritornare a La Push, nessuno te ne farebbe un torto...≫.

≪No, per amor del cielo, non è questo≫, disse.

≪Allora cosa?≫.

Le sue braccia indicarono imperiose la mia figura fasciata di bianco.

≪Io?≫, chiesi sconvolta, arretrando davanti a quell’accusa.

≪No, Bella.  Non sei tu. E probabile che tu non lo abbia capito, in fondo ci siamo incontrati pochissime volte, ma quei pochi istanti passati insieme sono tutto per me. Io, credo... so per certo di essermi innamorato di te. E tu stai per sposare...lui≫.

Le ultime parole furono ringhi, usciti dalla sua bocca. Io non sapevo cosa dire. Non avrei mai pensato... Jacob soffriva per colpa mia e lui non lo meritava. Con cautela mi avvicinai. Presi le sue grandi mani tra le mie e lo fissai negli occhi.

≪Senti, so che per te non è la stessa cosa, so che non provi nulla per me...≫, iniziò.

≪Ti sbagli≫, lo corressi.

Jacob spalancò la bocca, sorpreso.

≪Io ti amo... come un fratello, come un amico. Allo stesso modo in cui amo Emmet e Jasper, ma non c’è altro. Non potrebbe esserci e tu lo sai. Mi dispiace non poterti offrire l’amore che cerchi, ma il mio cuore appartiene a Edward. Ora Jacob, non ti costringerò ad assistere. Vorrei soltanto sapere se puoi accontentarti della mia amicizia, se non vuoi che io sparisca una volta che tutto questo sarà finito. Eppure, se tu vuoi tornare indietro sono certa che gli altri capiranno, Sam...≫.

Jacob posò un dito sulle mie labbra, impedendomi di continuare a ciarlare.

≪Non voglio perderti, Bella. Non voglio che tu sparisca, ma avevo bisogno di dirtelo. E comunque, non mi perderei per  nulla al mondo il tuo matrimonio≫.

Il mio sorriso in risposa fu raggiante, Jacob ricambiò immediatamente e mi scortò all’esterno, dove le mie damigelle e mio padre mi attendevano.

Carlisle mi aiutò a scendere dall’auto, la mia Volvo, la mia amata Volvo. Mi strinse forte una mano, lanciandomi un’occhiata eloquente. Lui era lì e ci sarebbe sempre stato. Quella consapevolezza mi aiutò a calmarmi, inspirai ed espirai mentre le mie due damigelle mi precedevano. Il tutto era stato organizzato in una piccola chiesa al limitare del bosco. Tutto era calmo e tranquillo, c’era una tale sensazione di pace nell’aria e nel mio cuore da farmi dimenticare il luogo e il tempo. Tutta la mia ansia. Stavo per abbandonare il mio cognome dopo averlo appena ritrovato, ma ero fiera di diventare una Cullen. Quando fummo all’interno i miei occhi perlustrarono il piccolo edificio in pietra. Ai muri, lungo la navata e sull’altare vi erano mazzi di fiori e nastri bianchi. I miei amici e la mia famiglia mi scrutavano con ammirazione, devozione, gioia. Le mie damigelle danzavano di fronte a me, lanciando petali bianchi sul tappeto rosso. Ma tutto ciò passava in secondo piano, i miei occhi non riuscivano a lasciare neanche per un istante l’immagine della splendida creatura che mi attendeva, bello come un angelo, all’altare. I suoi grandi occhi d’orati erano talmente belli e luminosi, tanto caldi e accoglienti, ricchi di sogni e speranze, da lasciarmi senza fiato. Le sue labbra perfette mostravano un sorriso rassicurante e angelico. In quel momento finalmente colsi l’importanza del cammino lungo la navata, un qualcosa che io avevo sempre considerato superfluo e teatrale. Quei passi avevano un profondo significato. Rappresentavano il cammino di due persone, la strada compiuta prima di arrivare alla loro unione. La vita, l’incontro di due anime affini, i litigi, i momenti felici, le separazioni. Tutto questo, per poi giungere uno tra le braccia dell’altra. E poi c’era colui che ti accompagnava dal tuo amato, allo stesso modo in cui ti aveva accompagnato durante il percorso della vita. Non sapevo immaginare persona migliore di Carlisle. Mio padre, lui, i Cullen erano stati il vero inizio della mia vita. E lui, fin dal primo sguardo che avevamo condiviso, era sempre stato lì per me. Un porto sicuro nella mia vita incerta. Carlisle, nel gesto più tradizionale, posò la mia mano su quella di Edward. Ci scambiammo un lungo sguardo e un sorriso raggiante, non c’era persona che amassi come Carlisle. Silenziosamente si fece da parte e il mio sguardo incrociò quello di Edward. La devozione che leggevo nei suoi occhi mentre scrutava il mio sguardo era inimmaginabile. Sfiorò la mia guancia con le dita e rimanemmo così, immobili a fissarci fin quando il prete non si decise a schiarirsi rumorosamente la gola per attirare la nostra attenzione. Pronunciammo le classiche promesse, ma con tanta intensità da sorprendere persino il povero sacerdote, ignaro dell’amore e della devozione che ci legavano. La cerimonia fu breve ma intensa. La sensazione più intensa fu durante il nostro primo bacio da marito e moglie. C’era tanto desiderio e tanta gioia nelle nostre labbra che si muovevano in sincrono, tanto da far arrossire il piccolo ometto che ci aveva sposati e far scoppiare l’intera platea in applausi, fischi e gridolini.

E questo fu tutto, Alice e Rosalie mi aiutarono a cambiarmi e prendemmo il primo aereo per Mosca, comodamente adagiati sui sedili della prima classe. Io ed Edward decidemmo di rimanere un po’ in disparte e gli altri, molto gentilmente, ci concessero quanta più privacy potessero. Seduti sui sedili, mano nella mano, aspettavano che ciò che doveva essere si compisse. Posai il capo sulla sua spalla e lui mi strinse tra le braccia. Le sue labbra sfiorarono la mia fronte e i miei capelli, scesero lungo la linea del mio naso e in fine sulle mie labbra. Prese il mio volto tra le mani e mi fissò da una distanza inesistente, potevo toccare la punta del suo naso.

≪Ti amo≫, disse, con tanta solennità che era impossibile non credergli.

≪Ti amo≫, risposi.

≪Vedrai, in un modo o nell’altro ne usciremo≫, mi rassicurò.

≪Insieme≫, conclusi e pretesi ancora le sue labbra, in cerca di quel conforto che soltanto la sua vicinanza poteva darmi.

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Capitolo 19
*** Origini ***



Buon pomeriggio! Il capitolo sarà più breve del solito, ma è in terzultimo senza contare l'epilogo. Prometto che l'ultimo sarà più lungo. Comparirà un nuovo personaggio e se non capirete qualcosa, non preoccupatevi perché sarà tutto più chiaro nel prossimo. Ringrazio le persone fantastiche che continuano a recensire e chi legge in silenzio. Mi avete resa orgogliosa della mia prima fanfiction, perciò non potrò dimenticare nessuno di voi. Siete nickname e non conosco quasi nessuno personalmente, ma abbiamo almeno un paio di passioni in comune tra scrittura, lettura, Twilight e il vostro sostegno è stato importante. Vi lascio alla lettura, un bacio, Francesca<3

17 Origini

Una strana inquietudine mi afferrò il torace e angosciò l’umore, come se sentissi che qualcosa era vicino, qualcosa d’importante. Fin dal momento in cui l’aereo aveva toccato terra, nel principale aeroporto di Mosca, Russia, il mio stato d’animo era peggiorato. Mi sentivo esausta e non per il lungo viaggio. Mentre raggiungevamo il nostro albergo, il peso di un intero anno era ricaduto sulle mie spalle come un fardello di emozioni contrastanti. Osservando la mia fede e il meraviglioso anello al mio dito, avevo realizzato pienamente quanto i mesi precedenti fossero stati intensi, colmi di novità, sconvolgimenti, scoperte alcune niente affatto piacevoli...

Sbuffai, sedendo sul letto e lasciandomi cadere la testa tra le mani.

Era davvero tanto chiedere un po’ di tranquillità? Quanto altro dolore ci attendeva? Non avevamo idea di ciò che sarebbe successo d’oggi in avanti, durante tutto il viaggio in aereo, Alice aveva cercato di individuare una possibile conclusione del nostro viaggio nell’Europa dell’est, provando a superare i buchi neri creati dalla presenza dei mutaforma e dei Licantropi, senza riuscirvi.

Aveva tentato, per quanto poteva, di creare un percorso preciso. Alice era fiduciosa ed io confidavo nel suo giudizio.

Cosciente della fiducia che riponevo in lei, non riuscivo a comprendere l’origine del mio turbamento. Avevo scoperto da qualche tempo, però, che le mie percezioni erano precise quanto le sue...

Le braccia di Edward mi avvolsero e mi sentì immediatamente più tranquilla.

≪Come stai?≫, chiese, posando un bacio sulla mia fronte, per poi aggiungere, ≪signora Cullen≫.

Sorrisi mentre le sue braccia mi adagiavano dolcemente sulle lenzuola. Eravamo soli nella stanza che condividevamo, ma avevamo soltanto pochi minuti a disposizione prima di ripartire. Edward sfiorò il mio volto con le dita.

≪Mi sembri inquieta, cosa ti preoccupa di preciso?≫.

≪Non sopporto l’idea di non sapere cosa ci attende. Ho paura di poter perdere chiunque di loro. Ho paura per te. Sai che non riuscirei a vivere... se tu non ci fossi. I Volturi non sono riusciti a separarci, neanche la morte potrà farlo≫, dissi, baciando la fede che portava al dito. Le sue labbra furono immediatamente sulle mie, le sue mani tra i miei capelli.

≪Non succederà nulla di tutto questo≫, sussurrò sulle mie labbra.

≪Non lo permetterò. Torneremo a casa, tutti quanti≫.

≪Ricorda che mi devi una notte di nozze≫, sussurrai al suo orecchio.

Edward sghignazzò.

≪Non lo dimenticherò. Non preoccuparti≫, rispose.

Le sue labbra presero a carezzare il mio collo fin quando una voce femminile non irruppe nella stanza, cancellando l’atmosfera che si era venuta a creare.

≪Non voglio vedere quello che state facendo, per amor del cielo, ma dobbiamo andare, subito≫.

Leah, col capo voltato nella direzione opposta alla nostra, esordì con questa frase, per poi richiudere immediatamente la porta della camera. Edward ed io sbuffammo. A malincuore mi scostai da lui, trascinandolo con me via dal nostro letto.

********

 ≪Alice, sei certa che sia la direzione giusta?≫, chiese Carlisle.

Alice non aprì gli occhi per rispondere alla sua domanda: non aveva alcun bisogno di guardare la strada che stava percorrendo.

≪Non perdetevi d’animo, siamo sulla via giusta≫, rispose la ragazza.

Stavamo correndo nella foresta innevata, ormai vicinissimi alla Siberia. Lungo il tragitto avevamo fatto alcune pause, in diverse città. Avevo trascorso la notte tra le braccia di Edward, instancabile nella corsa come qualsiasi altro vampiro. Per quel che ne sapevo, avevamo oltrepassato ormai da qualche ora l’Altopiano della Siberia e non eravamo ancora giunti a destinazione. Un lupo alle nostre spalle mugolò.

≪Sam chiede se manca ancora molto≫, disse Edward, parlando per il lupo.

≪No, ci siamo quasi≫, informò Alice.

Edward mi strinse tra le sue braccia, coprendomi meglio con il giaccone pesante e mi posò un bacio in fronte. Alzai gli occhi alla luna piena sopra le nostre teste. Lo spettacolo era inquietante ma meraviglioso. I fiocchi di neve gravitavano sopra di noi  come polvere.

≪Sono vicini≫, urlò Alice.

≪Al limitare del bosco, sotto la montagna≫.

Trattenni il respiro, ansiosa. D’un tratto i vampiri in prima fila si arrestarono. Edward mi aiutò a scendere e mi prese per mano, stringendomi tra le braccia. L’espressione sul suo volto era molto concentrata.

≪Sanno della nostra presenza≫, sussurrò.

≪Sono ostili al nostro odore, ai vampiri≫, continuò.

I lupi ci circondarono e Jacob fu immediatamente al mio fianco. Mi sporsi per accarezzarlo sulla testa pelosa. Rabbrividì e lui premette la sua pelliccia contro di me. Feci un mezzo sorriso. Dopodiché si sporse oltre e lanciò un’occhiata a Edward.

≪Tre≫, rispose lui all’ovvia domanda del ragazzo.

Questo annuì, consapevole che, in caso di scontro, avremmo certamente vinto.

≪Avanziamo≫, mormorò Alice che, insieme a Jasper e Carlisle, si era avvicinata a noi.

Edward e Jacob sì irrigidirono. D’istinto affilai lo sguardo e li vidi anch’io, gli esseri che a lungo avevo combattuto. Due di loro erano curvi, i loro corpi lunghi e snelli si protendevano nella nostra direzione. Il terzo ci osservava da una strana posizione eretta. I loro denti a sciabola erano scoperti e puntavano i nostri volti. Avevano un’espressione feroce e furiosa sul volto peloso. Edward mi coprì interamente con il suo corpo, nascondendomi alle spalle di Jacob. E poi comparvero dall’oscurità. La loro espressione era spaventosa. Tremai e Edward mi carezzò un braccio. Gli strinsi forte la mano, terrorizzata all’idea che uno qualsiasi di quei tre potesse avventarsi sulla sua gola. I licantropi, nonostante fossimo chiaramente in maggioranza, non arretrarono. I due curvi lanciarono uno sguardo al Licantropo in posizione eretta. Molte cose successero contemporaneamente.

≪Jacob≫, urlò Edward ed io mi sentì trascinare lontana da lui. Prima che chiunque di noi potesse muovere un muscolo, il lupo che evidentemente doveva essere il capo si avventò su Edward.

Ognuno di noi rimase impietrito al proprio posto, immobili come statue. Il mio cuore si frantumò con un suono quasi udibile, tanto era il dolore e la disperazione. La mia rabbia, che rese vana la mia vista e annullò la mia ragione, accese qualcosa dentro di me: un fuoco nuovo, una scintilla che mi percorse da capo a piedi. Vidi ogni cosa con assoluta lucidità, per la prima volta nella mia vita, compresi realmente la simmetria nascosta del tempo e dello spazio. E poi tutto divenne confuso e indefinito persino alla mia vista migliore. Un istante prima stavo osservando l’espressione stupita di Edward, mentre il lupo ancora gli si fiondava addosso, un istante dopo ero di fronte a lui, le braccia spalancate, come a voler coprire la sua figura con il mio corpo. E il lupo, il mostro che minacciava di portarmi via la cosa più bella che avevo, si bloccò davanti allo sguardo fiero e furente dei miei occhi. I suoi occhi neri come la notte si spalancarono e arretrò, barcollando all’indietro.

Nessuno di noi osò emettere alcun suono, persino un respiro, in quel momento, sarebbe parso rumoroso. L’espressione sui volti dei miei familiari, dei miei amici e, all’apparenza, dei miei nemici era identica. Stupore e incertezza li caratterizzavano. Soltanto negli occhi del lupo che aveva tentato di attaccare Edward, c’era qualcosa di diverso: consapevolezza, gioia anche, in quel momento di assoluta tensione. L’animale arretrò fino a ritornare dai propri compagni. Mi fissava come se avesse appena visto un fantasma, non avrei saputo spiegare la sua espressione altrimenti. La posa rigida di Edward alle mie spalle si sciolse e udì un ≪Ah≫, provenire dalle sue labbra.  Edward si fece avanti, mi lanciò un veloce sguardo e mi strinse una mano, nello stesso istante il Licantropo che lo aveva attaccato si piegò in avanti nella sua posizione eretta e in un battito di ciglia la sua forma mutò. Divenne un uomo, dai capelli biondi e il volto di un giovane. A differenza dei mutaformi, gli abiti non lo avevano abbandonato.

≪Seguitemi≫, disse e, insieme ai suoi compagni scomparve nella foresta.

Edward mi strinse tra le braccia e mosse i primi passi in avanti. Carlisle lo bloccò posandogli una mano sulla spalla.

≪Capirete≫, fu l’unica cosa che disse prima di iniziare a correre.

Durante la nostra corsa un ululato si levò nel cielo e squarciò la quiete della notte. Il viaggio fu breve. Edward si arrestò a qualche metro di distanza dai tre Licantropi e noi ci ritrovammo a fissare uno spettacolo straordinario. In uno spiazzo immenso e sterrato centinai di licantropi, differenti per dimensioni, posizioni e colore del pelo ci osservavano. Alle nostre spalle iniziarono ad affiorare altri lupi e capì che ci trovavamo nel bel mezzo di un cerchio, circondati da un esercito la cui forza non avremmo mai potuto contrastare. Alcuni mostravano i denti, in tensione, altri, la maggior parte, mi fissavano. Il giovane biondo e muscoloso parlò. La sua voce si levò poderosa come l’ululato di qualche istante fa e risuonò nella radura. I suoi occhi scuri fissarono il mio volto.

≪Se non fossi dotato di una vista acuta come quella del lupo crederei che i miei occhi mi stiano ingannando. Mentre vi guardo in volta signorina Williams, non posso che credere alla vostra esistenza. A lungo abbiamo combattuto, ma ogni vita caduta in battaglia non è stata persa. Abbiamo ingannato i Volturi, coloro che a loro volta hanno ingannato il vostro cuore con falsità che nulla possono contro la verità di ciò che siete e di ciò che siamo. Il nostro intento è sempre e solo stato quello di salvarla. Io conosco vostro padre, il mio caro amico Sebastian, da un tempo ormai immemorabile. Lui ha salvato la mia vita e da allora siamo fratelli. Vostro padre ci ha chiesto di prenderci cura di voi, perdonateci perché abbiamo fallito per diciotto anni. A lungo abbiamo atteso il vostro ritorno, mia signora. La vostra presenza è un regalo. La vostra forza pari soltanto alla bontà del vostro cuore, che è la caratteristica della vostra specie. Adesso sappiate che noi siamo dalla vostra parte, che nessuno qui oserebbe farvi del male o mentirvi≫, un ululato si levò da ognuno dei lupi presenti.

≪Voi ci rappresentate, siete la legittima erede del nostro mondo. Troppo a lungo il regno dei mostri, dei miti e rimasto in governato. Nessuno ha più diritto di voi qui. Siamo pronti a qualsiasi cosa per la nostra principessa, la creatura più bella e luminosa nel nostro mondo pieno di crudeltà e buio≫.

A quelle parole i lupi che ci circondavano si curvarono, stendendo i loro lungi corpi in un inchino pieno di riverenza. Il giovane chinò il capo e cadde in ginocchio e al mio fianco, la mia famiglia e i miei amici li imitarono. Persino Edward, mio marito, s’inchinò alle sue parole, stringendo la mia mano tra le sue, un sorriso pieno d’adorazione sul suo volto. Mi guardai intorno, emozionata da ciò che mi circondava e dalle parole del giovane. Tutti loro credevano in me come nella loro salvezza, la loro guida. Ero la loro principessa, adesso comprendevo il mio ruolo in questo mondo. Al fianco di chi aveva bisogno del mio aiuto. La dové c’erano ingiustizie e massacri. Osservando i loro corpi e i loro volti chini di fronte a me, capì di essere tornata, finalmente, nel posto che da sempre mi apparteneva di diritto.

Quella stessa sera, Lionel( così si chiamava il giovane) ci scortò all’interno di un enorme casa bianca e antica, sia nella costruzione che nel mobilio. Era talmente grande che non avrei saputo ritrovare l’uscita, tante erano le stanze. Quella in cui fummo condotti era ampia ma accogliente. Un lungo tavolo troneggiava nella sala. Dall’esterno provenivano gli schiamazzi dei lupi, accampati in numerosi cottage o tende. Ci disponemmo sui posti, tutti disponibili, Lionel ed io sedevamo a capotavola, uno di fronte all’altro. Mi guardai intorno, curiosa di tutto ciò che mi circondava. Sentì Edward stringermi una mano, nell’istante esatto in cui Lionel cominciò a parlare.

≪Prima di tutto, vorrei ringraziarvi≫, disse rivolto alla mia famiglia, vampiri e mutaforma, ≪mi pare di capire che Isabella vi sia molto affezionata e da ciò che brevemente mi avete raccontato lungo il tragitto, è solo merito vostro se oggi e qui con noi e non in mano ai Volturi. Ovviamente non sarà fatto alcun male a nessuno di voi, siete diversi dalle sanguisughe che hanno rapito la nostra Bella e questo non può che farvi onore. Devo anche chiedervi perdono≫ e questa volta si rivolse in particolare a Edward, alle nostre mani intrecciate e alla fede che portavamo al dito.

≪Non vi avrei mai attaccati se avessi saputo...≫.

Edward annuì.

≪Ne sono certo≫, rispose.

Lionel gli rivolse uno sguardo indagatore.

≪Sembri consapevole di ciò che sto per dire, mi sbaglio?≫. Tutti i nostri occhi puntarono il volto di Edward.

≪Ne sono consapevole. Ho il dono di leggere nella mente, so già ogni cosa. E questo non allevia affatto il mio tormento≫.

Lionel annuì e tornò a rivolgersi a me, in particolar modo.

≪Il vostro volto è un caro ricordo del mio amico Sebastian, Isabella. Gli somigliate moltissimo≫.

Il mio cuore sussultò e strinsi la mano di Edward.

≪Cosa sapete di mio padre, Lionel?≫.

≪Come vi ho già detto mi ha salvato la vita, tempo fa. Vedete, vostro padre aveva un’ottima concezione del mondo e di ciò che è bene e male. I vostri avi rifiutavano di strappare qualsiasi vita, anche la più ignobile. E vostro padre era consapevole che questa loro indecisione aveva portato alla distruzione del nostro mondo e alla quasi estinzione della vostra specie. In quel momento Sebastian fu costretto a scegliere tra me e un mio subordinato infedele. Lesse la profonda cattiveria nei suoi occhi e scelse di salvare la mia vita. Ciò naturalmente non gli impedì di piangere ciò che aveva fatto e il corpo del mio nemico. Stimavo molto vostro padre, mi ha insegnato tantissimo. E leggo la sua stessa saggezza e testardaggine nei vostri occhi, Isabella. Vostro padre una volta mi disse: ≪Lionel, non credo nel male. Questa parola ha un gusto amaro e un senso ambiguo. Il male è la conseguenza delle gesta di persone che non riservano rispetto agli altri, che si beffano della vita e della dignità altrui e della propria, a volte. Per questo motivo “il male” non potrà mai essere totalmente contrastato, soltanto l’evoluzione dell’uomo e delle specie può riportarci allo splendore di un tempo e a quel mondo che in molti agogniamo. Uccidere è scorretto, ma è ancor più ingiusto vedere delle vite innocenti spegnersi. Non possiamo salvare tutti, siamo noi stessi gli artefici della nostra salvezza personale. Per quanto tempo mi sono crucciato su questo; anni e anni della mia vita, fino a giungere a tale conclusione. I mostri non sono quelli che uccidono per fame, ma quelli che lo fanno per vendetta, odio, piacere. Allora, quel “male” c’è permesso combatterlo. Non possiamo mai scegliere per gli altri, dobbiamo far sì che siano loro stessi a prendere la decisione più giusta. A trovare un equilibrio che soddisfi sia il leone sia l’agnello, sia il cacciatore sia la preda. Siamo noi a dover decidere di elevarci sopra ciò che siamo. Quando ognuno di noi saprà far questo, allora la pace tornerà e sarà duratura, senza squarci né difetti, ma fino a quel momento non ci resta che aspettare e sperare≫.

Le parole di mio padre si fissarono a fuoco nella mia mente. Quante volte io stessa mi ero posta questa domanda. Lui lo sapeva, lui aveva capito. Ma, se quella verità pesava sul suo cuore quanto sul mio, il suo dolore era allora insopportabile.

≪Conoscete la storia della morte dei vostri genitori≫, disse Lionel.

 Annuì.

≪C’è un altro punto di vista che dovete conoscere:il mio. Alcuni giorni prima della sua morte, Sebastian mi aveva chiesto di raggiungerlo per proteggervi, perché qualcosa lo inquietava. Sono partito immediatamente e vi ho raggiunto, ma era troppo tardi. Ho assistito alla morte del mio amico senza poter fare nulla. La devozione e la stima che mi legavano e mi uniscono ancora oggi a vostro padre e al suo ricordo mi hanno spinto a uscire allo scoperto per affrontare faccia a faccia i Volturi. Aro rise di me e mi disse ciò che sarebbe successo, ciò che avrebbe fatto di voi. Più di qualsiasi altra cosa voleva i vostri poteri, ciò che non mi aspettavo era che avrebbe fomentato il nostro odio, scandagliandoci contro i suoi leccapiedi e altri vampiri plagiati, come lo siete stati anche voi Cullen, fino a poco tempo fa≫.

Lionel si alzò all’improvviso e prese a camminare per la stanza.

≪Conoscete anche la storia del mondo antico, suppongo?≫, chiese.

≪Si≫, risposi.

Edward mi aveva parlato di un vecchio mondo in pace e della storia narratagli da Reneé.

≪Il male s’instaurò nei nostri cuori all’epoca a causa di alcuni vampiri pretenziosi, egocentrici e avari di potere. A capo di questo clan vi era un vampiro anziano, evidentemente aveva subito la trasformazione in veneranda età. Gli eventi che portarono alla scissione finale furono molti, ma la causa principale è stata la loro presenza... In pochi conoscono questa storia, tutti quelli che ne erano a conoscenza sono stati prontamente eliminati. Non conosco il nome dell’anziano, ma so che duranti gli scontri, il suo clan fu eliminato. Lo stesso si credeva di lui... qualche secolo più tardi lui ricomparve. Delle voci iniziarono a circolare nel nostro mondo tra quelli cui la leggenda era stata tramanda dai propri creatori: lui stava cercando di ricostruire il proprio clan. Li selezionò accuratamente... La mia famiglia conosce la leggenda alla perfezione. All’epoca vi erano tre fratelli. Uno di loro, dalla lunga chioma nera, nonostante fosse il più giovane, era anche il più ambizioso. Non faceva nulla che non fosse per interesse e cercava il potere. Lui e i suoi fratelli erano dei personaggi in vista della società Italiana. Era risaputo che Aro fosse un essere spietato e come lui Caius e Marcus. I tre fratelli avevano ogni cosa, gli mancava soltanto l’immortalità. Un giorno lui fu scoperto a cacciare nella loro città e fu scortato al loro cospetto come prigioniero, avrebbe potuto liberarsi facilmente delle guardie, ma non lo fece. Una volta nella stanza le guardie annunciarono con disprezzo visibile: ≪Quest’uomo ha brutalmente martoriato due ragazze del villaggio, bevendone il sangue≫.

A quelle parole l’uomo uccise le guardie e ne bevette il sangue, tutto davanti agli occhi dei tre fratelli. Marcus e Caius sussultarono, ma Aro non fece una piega, né batté ciglio, si limitò a osservarlo e una volta che ebbe finito, gli chiese: ≪Chi sei, straniero dal volto pallido?≫.

Lui si rivolse ai tre, in particolar modo al più giovane, quello che di più lo rispecchiava nei modi, nella falsità, nella cattiveria.

≪Vi basti sapere, per adesso, che io sono colui che può farvi dono del regalo che gli uomini a lungo hanno ricercato: l’immortalità. La vita eterna... potere, ricchezza, forza, intelligenza e sensi acuti come quelli di animali≫.

≪E cosa vuoi in cambio?≫, chiese Aro.

Lui sorrise.

≪Nulla, mio signore. Ma l’immortalità ha un prezzo, sarete costretti, per mantenere il vostro anonimato, a vivere come esseri notturni e a cibarvi del sangue di altri uomini. Altre vite, perché la vostra possa durare in eterno≫.

Alle sue parole Aro sorrise e gli si avvicinò, l’unica cosa che disse fu: ≪Lo voglio, voglio ogni cosa≫.

≪Fu così che i tre fratelli subirono la trasformazione. Il vecchio aveva dato loro una conoscenza sul mondo dei vampiri quasi assoluta e non soltanto. Li rese ottimi combattenti e narrò loro la storia dei prescelti. Passarono diversi decenni prima che lui tentasse di riscattare il suo debito. I tre accettarono immediatamente ciò che l’anziano aveva loro proposto: impossessarsi del potere dei prescelti. Lui è da sempre stato nemico della mia famiglia, sapeva che noi, e molti altri licantropi, non avremmo mai permesso loro d’impossessarsi dei vostri poteri. Perciò sarebbe stato opportuno che i Licantropi perdessero la loro credibilità, che la mia famiglia fosse disonorata. Fu un errore. Lui pensava che i suoi figli, le creature nate dal suo veleno, lo avrebbero adorato e che avrebbero fatto qualsiasi cosa per compiacerlo, in fondo gli aveva fatto un grande dono. Ma Aro non prova devozione, né qualsiasi reale sentimento positivo se questo non può portargli dei vantaggi. Perciò, una volta venuti a conoscenza del piano di potere dell’anziano lo uccisero, uccisero il loro creatore e attuarono ciò che lui aveva in mente. Aveva scelto i suoi figli con troppa cura, erano troppo simili a lui, mi stupisce che non avesse calcolato un’eventualità del genere... ma i prescelti non erano così facili da trovare come si pensava. I tre abbandonarono il loro piano per un po’ e conquistarono la città di Volterra, creando i Volturi. Ma... come noi d’altronde, sapeva che la vostra razza si stava lentamente estinguendo a causa dell’odio che loro stessi fomentavano. Non sapevano cosa fare. Da una parte era giusto che noi fossimo considerati nemici, ma le guerre portavano odio e l’odio portava la vostra morte. E poi Aro seppe della nascita di una bambina. Non siamo certi di come questo sia avvenuto, ma tutto il nostro mondo teneva sottocontrollo la situazione della vostra razza. Negli anni Aro aveva badato a circondarsi di segugi, perciò vi trovò abbastanza in fretta e il resto lo conosci...≫.

Il silenzio calò nella stanza, sapevo che gli altri stavano aspettando che dicessi qualcosa.

≪Ho vissuto con loro così a lungo, credendo di sapere per certo ciò che erano. Spietati, assassini, ma anche la giustizia... la mia famiglia. Era tutta una bugia, una messa in scena. Non ho saputo distinguere tra bene e male. Ho vissuto nell’ignoranza... soltanto al pensiero che tutti coloro di cui mi fidavo non hanno fatto altro che complottare contro di me per tutto questo tempo... siete sciocchi a pensare che io possa guidarvi o salvarvi in qualche modo, quando non sono neanche in grado di salvare me stessa≫.

Mi allontanai da Edward, come se sentissi di non meritare il suo conforto.

≪Ti sbagli≫, disse Lionel, che mi si era avvicinato.

≪Non hai idea del potere che è racchiuso dentro di te. Sei la figlia di un grande uomo e di una grande donna, non lasciare che lo sconforto prenda il sopravvento sulla tua vita≫.

Lionel afferrò le mie mani e le voltò, mostrando i miei palmi.

≪Nelle vostre mani risiede il destino di tutti. Non possiamo permettere ai Volturi di continuare a governare il mondo dei vampiri e di conseguenza il nostro. Deve tornare la pace, tra tutte le razze del mondo. Sarà un cammino lungo, ma abbiamo bisogno di voi. So che quanto sto per dirvi non vi farà affatto piacere, il vostro cuore è buono e non riuscite a portare rancore neanche ai mostri, ma la guerra è vicina e non può essere evitata. E’ già tutto deciso: faremo in modo che i Volturi sappiano che non siamo estinti, lo avrebbero scoperto ugualmente, e li uccideremo≫.

≪Una trappola...≫, sussurrai ripugnata.

Avrei attratto le persone con cui avevo vissuto per diciotto anni in un inganno, per ucciderli.

Lionel annuì.

≪Conosco le vostre preoccupazioni, uccidere qualcuno è sempre un dolore per un prescelto, per te, Isabella, ma non possiamo fare altrimenti. Non possiamo permettere che si approfittino così di tutti noi. Sono loro la causa delle ingiustizie. Quante persone innocenti hanno ucciso! Ciò che voi conoscete, che i vampiri in generale conoscono, non è altro che la superficie: ciò che mostrano e non ciò che realmente fanno. Dobbiamo farli uscire allo scoperto, c’è la possibilità che si arrendano, ritirandosi, ma è minima. Non priverei mai nessuno di quest’opportunità. I Volturi non hanno ancora scatenato la loro reale forza, il loro esercito è immenso. Non possiamo batterli, se siamo da soli. Ma c’è un potere che nessun esercito può contrastare ed è il vostro, quello dei prescelti. Non avete ancora sviluppato le vostre capacità, Aro non lo avrebbe permesso fin quando voi non foste stata totalmente sua. Noi vi aiuteremo in questo, ma voi sarete al nostro fianco nella battaglia?≫.

Che cosa rispondere alla sua domanda? Ecco l’infinitesima lotta tra ciò che è bene e male. Avrei detto di sì a Lionel e ucciso i Volturi? C’era possibilità di redenzione per loro? Potevo condannare la mia famiglia, se non avessimo vinto la guerra? D’un tratto Edward si alzò e mi si avvicinò, mi strinse la mano, mi fissò negli occhi e sussurrò.

≪Nel bene e nel male, nella gioia e nel dolore, finché entrambi vivremo. Io sono con te, qualsiasi cosa tu decida di fare≫.

≪Anche noi siamo con te≫, disse Carlisle, parlando anche in nome degli altri.

≪Siamo una famiglia e i Cullen non abbandonano la famiglia≫.

≪Bella, sei parte della nostra tribù e dei nostri cuori, conta sul nostro aiuto≫, continuò Sam.

Gli altri annuirono solennemente. Conscia del loro supporto e della loro presenza al mio fianco, mi voltai verso Lionel.

≪Sarò dei vostri, figlio della luna. Non permetterò che il male consumi anche ciò che c’è di bello. Dovesse costare la mia vita e l’estinzione della mia specie≫.

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Capitolo 20
*** Tempo ***


Buon pomeriggio!Sono qui con il penultimo capitolo. Bella scoprirà altri lati di se stessa e riceverà un bel dono. Non dico altro e vi lascio alla lettura, sperando di sentire le vostre opinioni. Grazie a tutti, un bacio!

19 Tempo

Era trascorsa una settimana dal nostro arrivo nell’esercito per la riconquista del libero arbitrio di qualsiasi creatura mitologica che popolasse il nostro mondo. Questo mirava alla disfatta e alla possibile disintegrazione della mia ormai ex famiglia Italiana.  Il nostro esercito era attualmente composto da seicento elementi, compresi la famiglia Cullen e pochi altri vampiri illuminati. Con il passare dei giorni avevo stretto parecchie amicizie nell’esercito, il mio esercito. A detta di Lionel e di Edward, che avevano sorprendentemente stretto una profonda amicizia in un così breve tempo, il reale motivo consisteva nel fatto che era facile volermi bene... e amarmi. Le persone avevano immediatamente fiducia in me, senza che dovessi fare alcuno sforzo concreto per meritarla, sorprendendo loro e me stessa. Lionel mi aveva confermato che il mio arrivo nelle nostre legioni aveva scatenato un entusiasmo generale e una grandissima voglia di mettersi all’opera. Imparai velocemente tutto ciò che occorreva sapere sulla licantropia. Uno dei nostri era un eccellente medico - è superfluo dire che Carlisle passava molto tempo in sua compagnia - il quale era appunto colui che Alice aveva visto insieme a nostro padre nella sua visione di qualche tempo fa, e aveva da parecchi anni messo a punto un farmaco che, preso regolarmente, impediva ai lupi la costrizione della luna piena, ovvero erano liberi di trasformarsi ogni volta che lo desideravano. Non si trattava altro che di una scarica di ormoni e adrenalina che abituava il corpo a una frenesia costante ma non pericolosa. Lo scontro avvenuto nei mesi precedenti era stata un’idea di Lionel: voleva trovarmi senza essere costretto ad eliminare totalmente i Volturi. Mio padre aveva avuto un’influenza incredibile su di lui. Volterra era stata presa d’assalto durante l’assenza dei Volturi, esattamente come aveva immaginato Aro, ma nessuno dei lupi era stato in grado di trovarmi. Non potevano immaginare che io fossi dall’altra parte del mondo, con i Cullen... Alcune decine di Licantropi era nata dal veleno e non dall’eredità genetica e di questo Lionel si faceva una colpa. Nessuno dei nostri sembrava scontento, però. La maggior parte degli umani infettati discendeva da lupi reali che non avevano ereditato la possibilità di trasformarsi e questo, scagionava Lionel da molte colpe.

Ognuno di noi aveva il proprio compito nella nostra piccola società. I mutaforma erano esaltati dalla situazione e amavano combattere scherzosamente contro i nostri nuovi alleati. Jasper, in particolar modo, ma anche il resto della mia famiglia, insegnava ai lupi le tecniche migliori in uno scontro con vampiri esperti e neonati, che i Volturi arruolavano giornalmente. Per quanto riguardava me, Lionel aveva mantenuto la sua promessa e io stavo velocemente imparando a sviluppare i miei poteri pienamente. Edward assisteva scrupolosamente ai miei allenamenti, attento che non fosse troppo stancante o troppo pericoloso per me. Come lui anche il resto della famiglia assisteva, quando gli allenamenti non erano a porte chiuse.

Ricordai il primo giorno del mio addestramento.

Io ed Edward avevamo raggiunto Lionel in uno spiazzo erboso. La mia famiglia, insieme a Jacob e Sam, ci attendeva, pronta ad assistere allo spettacolo. Quando gli fummo di fronte, Lionel mi sorrise, per poi lanciare uno sguardo ironico ad Edward, protettivo al mio fianco.

≪Perché il nostro allenamento dia dei frutti ha bisogno del tuo sostegno, non della tua protezione. Perciò qualsiasi cosa succeda, non intervenire; sai bene, immagino, che non le farei mai del male≫.

Detto questo lo dileguò con un cenno del capo. Edward, imbronciato, mi posò un bacio in fronte e si accostò ad Emmet. Lionel mi si avvicinò e fece un cenno del capo alle sue spalle. Mi sporsi oltre di lui e notai un uomo e una donna, rispettivamente licantropo e vampiro, attenti a fissare il mio volto e a squadrate la mia postura. Lionel li chiamò a sé e questi si avvicinarono. Lui era molto alto e muscoloso, scuro di carnagione e con capelli neri e lunghi fino alle spalle. Lei era bellissima naturalmente, aveva capelli ricci e castani e occhi rossi che contrastavano con il suo volto pallido da cherubino. (I vampiri arruolati nel nostro esercito tendevano a cibarsi di sangue donato e non uccidevano umani, per il quieto vivere).

≪Permettimi di presentarti alcuni dei nostri più promettenti elementi. Evelyn e Mark. Saranno i tuoi insegnanti insieme a me≫.

Mark mi lanciò un sorriso amichevole e si curvò in un inchino da gentiluomo. Ricambia il suo sorriso che mi ricordava tanto quello di Jacob con gioia. Evelyne ghignò ironicamente alla mia figura minuta e all’apparenza umana. Il nostro rapporto non sarebbe stato dei migliori, ne fui immediatamente certa.

≪Prima di iniziare il nostro addestramento ci sono alcune cose che devi conoscere. Come ti ho già spiegato, Aro non poteva permettersi di farti acquisire coscienza dei tuoi reali poteri, né tantomeno poteva aiutarti a svilupparli. Lo avrebbe fatto soltanto dopo il matrimonio, di questo sono certo... noi, invece, abbiamo bisogno che tu sia al massimo. Hai mai distrutto qualcosa accidentalmente? Hai mai avuto difficoltà a controllare i cambiamenti del tuo corpo al mutare del tuo umore?≫.

Annuì.

≪Immagino tu abbia capito il perché a questo punto. La tua forza tenta di emergere non appena perdi la calma e l’autocontrollo. L’energia che ti scorre nelle vene non è fatta per rimanere sepolta, è selvaggia. Noi la tireremo fuori: imparerai a gestirla e ad utilizzarla nel momento più consono. Dimmi: quando hai iniziato a distruggere gli oggetti? Da quanto tempo hai capito di non saperti controllare?≫.

≪Razionalmente, credo di averlo compreso qualche mese fa, quando sono uscita per la prima volta dalla rocca≫, risposi.

A quelle parole Lionel strinse i pugni e voltò in capo, proseguì come se non lo avessi notato.

≪Ma Aro mi ha raccontato che il mio autocontrollo non è mai stato ottimale, fin da quando ero poco più che una neonata...≫.

≪Lo immaginavo≫, m’interrupe Lionel.

≪Cosa intendi?≫, chiesi.

≪Normalmente i poteri dei prescelti si sviluppano verso i sette-dieci anni, ma tu, con il tuo potenziale e il tuo pedigree, sei un’eccezione. Suppongo che i Volturi abbiano cercato di contenerti≫.

Annuì ancora.

≪E’ un errore. Dobbiamo far si che la tua forza sia libera di venir fuori, devi sentirla, devi percepirla come una parte di te, così che possiate essere in totale sintonia. A quel punto saprai controllarla≫.

Assentì con il capo e Lionel prese a camminarmi in torno.

≪Hai ricevuto l’addestramento delle guardie, non è vero?≫, chiese.

≪Sì, da quando avevo cinque anni. Aro si è occupato personalmente della mia formazione≫, risposi, in tono rispettoso.

≪Ormai la formazione militare ti appartiene nei modi e nei sacrifici...≫ mormorò Lionel, con tono malinconico.

≪Sei agile, attenta, puntigliosa≫, aggiunse con voce più alta.

≪E’’ ciò che mi è stato insegnato≫, risposi.

Lionel annuì.

≪Bella, ci sono alcune cose sulla vostra specie che i Volturi non ti hanno detto e che soltanto un prescelto conosce. Ciò che so su di voi mi è stato detto da tuo padre, io sono un’eccezione alla regola. Ma certamente Aro ne era a conoscenza e ha preferito tacere. Devi sapere, che come per molte altre specie, i prescelti si dividono in clan. Tuo padre apparteneva al clan di Fort Worth, vicino a Dallas, essendo originario del Messico. Uno dei clan più antichi, forti e ricchi di conoscenza che esistessero. Tua madre apparteneva al clan di Tucson, Arizona. Ogni clan aveva un potere particolare. Il clan di Fort Worth era eccellente nel nascondere le proprie tracce,nel celarsi alla vista. Il vostro clan poteva viaggiare alla velocità della luce, come una specie di teletrasporto...≫.

≪E’ in questo modo che sei riuscita a fiondarti tra le mie braccia, sedici anni fa, a Volterra≫, cantilenò Alice, con la sua voce squillante.

Lionel mi fissò con sguardo interrogativo.

≪E’ una lunga storia≫, dissi.

 Lionel annuì e continuò.

≪Questo è uno dei motivi per cui tuo padre è sopravvissuto così a lungo, ma questo dono ha una restrizione. Nessuno può viaggiare con colui che decide di teletrasportarsi: la velocità lo disintegrerebbe. Tuo padre avrebbe potuto fuggire dappertutto, ma non avrebbe mai lasciato voi due, perciò è rimasto e ha affrontato la morte a testa alta...  Alcuni clan erano semplicemente migliori nei doni che già possedevano e questo è il caso del clan di Tucson. Non pensare che sia un qualcosa di unitile. La conoscenza così ferrata delle vostre arti ha permesso a tua madre di sopravvivere. Quando Tucson e Fort Worth si unirono, accentrarono nella loro progenie della capacità straordinarie. In tempi migliori, secoli fa, i clan si mischiavano regolarmente, ma da diversi decenni prima della morte dei tuoi genitori, ormai, si tendeva a non mescolarsi più. Si univano i membri dei rispettivi clan, perché questo non andasse perso. Siamo certi che, in un modo o nell’altro, i prescelti sarebbero scomparsi ugualmente. Ora so che il dono di tuo padre si e trasmesso anche a te. Ieri, quando hai protetto il tuo compagno dal mio attacco, hai viaggiato alla velocità della luce, inconsapevolmente, mossa dalle tue emozioni. Il ché vuol dire che possiedi anche il dono del clan di tua madre, perché era attraverso le emozioni che loro sviluppavano fino all’apice la loro forza. Prima della battaglia, sarai al loro livello, questa è una promessa. Ne hai tutte le potenzialità, abbi fiducia≫.

Presi un profondo respiro e feci un passo avanti.

≪Ottimo, iniziamo. Voglio verificare il livello delle tue conoscenze iniziali. Hai già sperimento i tuoi doni? Anche quello della vita e della morte?≫, chiese.

≪Sì, utilizzavo le piante per quello. Non ho mai ucciso un uomo e non lo forò se non sarà strettamente necessario≫, risposi.

≪Ne sono consapevole. Evelyn e Mark adesso proveranno ad attaccarti, uno alla volta. Voglio vedere come schivi gli attacchi. Prova a non utilizzare la vista, ma il tuo udito supplementare≫.

Feci cenno di sì e sbarrai gli occhi, concentrata a cogliere anche il minimo movimento da parte dei miei avversari... Percepì immediatamente i movimenti fluidi e veloci di Evelyn intorno a me. Contavo i secondi che passavano senza che lei si decidesse ad assalirmi, sapevo cosa cercare. D’un tratto la udì, la sua intenzione, la volontà di attaccarmi. Tentava di nasconderla come meglio riusciva, ma non poteva annullare totalmente se stessa. Era vicina, ma riuscì a schivarla, muovendomi di lato. Uno dei suoi ricci sfiorò il mio volto. E poi iniziarono a susseguirsi vari attacchi. Non riuscì mai ad afferrarmi. Mi muovevo di lato, a volte abbassandomi totalmente. Conoscevo bene la regola: la pazienza. Dovevo aspettare finché non fosse stata a un millimetro dal mio corpo e poi scostarmi, così da non darle modo di percepire la mia direzione e cambiarla a sua volta. Mark non fu più fortunato, benché la sua stazza sia umana sia animale fosse molto più grande di quella di Evelyn: non arrivò mai a sfiorarmi. Suppongo fu in quel momento che Edward e Lionel legarono, tra ghigni e risolini, mentre mi vedevano schivare i colpi dei miei avversari, decisamente inferiori al mio livello...

 A dir la verità non fu sempre tutto rose e fiori.  Non provai mai alcun dolore per i loro assalti, ma spesso finivo a terra, sull’erba morbida e la ghiaia. Eppure, molto più spesso di quanto avrebbe consentito Lionel, Edward correva ad afferrarmi prima che potessi schiantarmi al suolo. Lionel ed io sapevamo che quello non era niente in confronto a ciò che gli allenamenti di Volterra mi avevano insegnato a sopportare. Ma lo ringraziavo sempre ben volentieri con un bacio, scatenando l’ilarità di Emmet che aveva trovato un ottimo passatempo nell’osservarmi...

La sera del terzo giorno del mio allenamento, Lionel trovò occasione di parlarmi in privato: era raro che Edward mi lasciasse...

Quel giorno non ero stata affatto motivata, colta dall’inesorabile dubbio che mi affliggeva tutti i giorni. Era giusto combattere questa guerra? Come li avrei affrontati, quando me li fossi ritrovata di fronte? Conscio dei miei dubbi, Lionel mi aveva portato un regalo: un diario. Il diario di mio padre. Glielo aveva consegnato prima di lasciarlo. Lo aveva scritto durante il periodo passato insieme. Lionel non aveva mai capito perché lo avesse dato a lui. Lo lesse, ma sentiva che quel diario non gli apparteneva. Chissà, forse Sebastian aveva visto se stesso mentre glielo consegnava: non avremmo mai saputo la verità. Lionel era certo che quel quaderno, dalla copertina di pelle rossa, mi appartenesse. La prima volta che lo afferrai tra le mani sentì la forza vibrare fin nelle mie ossa. Quella era la sicurezza di essere Isabella Williams, la fiducia che soltanto le parole di mio padre, incise sulla carta, potevano darmi.

Quel giorno, io e Lionel avremmo iniziato gli allenamenti sulla mia forza interiore. Sarebbe stata una lunga giornata. Come ogni mattina, da quattro giorni a quella parte, recuperai il diario di Sebastian dal mio cassetto e lo aprì all’ultima pagina letta. Il diario narrava giorno per giorno il percorso della sua vita fatta di solitudine e incertezza, benché avesse trovato in Lionel un amico sincero. Era facile immaginare mio padre curvo su quei fogli. Compresi molto della sua personalità. Eravamo più simili di quanto pensassi. Lessi a: quinto giorno dall’inizio.

Sono ormai trascorsi venticinque lunghi anni dall’ultima volta che un prescelto ha incontrato il mio cammino. Avverto nel mio cuore che la speranza inizia lentamente ad abbandonarmi. Troppi anni mi hanno visto vagare in solitudine, in cerca delle risposte alle mie domande. Domande infinite, come infinito è l’universo. Maggiore è la distanza da quei tempi così felici e pacifici che la mia famiglia mi ha da sempre narrato, prima di scomparire e affidare a me il compito di far rivivere il nome del clan di Fort Worth, maggiore è l’odio che avverto, che mi circonda e, a volte, mi sovrasta. Lentamente mi uccide, come ha ucciso il resto della mia specie. Ma come posso, io, portare avanti il nostro nome, quando l’incertezza, ogni giorno, mi logora come mille lame piantate nel petto? Ora so cosa fare, cosa devo combattere, ma riuscirò davvero a cancellare il “male”? La mia forza è sufficiente? Mi sento così debole e solo, che a volte mi chiedo se il destino, ovvero le scelte preso durante il corso delle nostre vite, non abbia già deciso per l’estinzione della nostra specie e il dominio assoluto dell’ingiustizia, della noncuranza e della trasgressione delle leggi morali. Da qualche notte a questa parte, un sogno- o un incubo?- mi rincorre. E’ un volto. Il volto bellissimo di una donna, qualcuno come me: lo leggo dai suoi occhi. Ma è davvero giusto far rivivere la nostra specie, basando la nostra progenie da un matrimonio senza amore, dettato dall’obbligo?  Se la vedessi, potrei scambiare il semplice dovere verso il mio clan per amore? Saprò distinguere? Da troppo tempo sento che il concetto di vero amore, di devozione e adorazione mi è precluso, seppur non del tutto estraneo. Dovrei forse cercare tra i licantropi che mi circondano o gli umani? Posso ignorare ciò che vedo, per paura di fare un errore e cercare altrove?

I miei poteri s’indeboliscono: il teletrasporto mi costa più fatica. Mi sto lasciando andare. E forse tutto questo il preludio alla mia fine? I miei fratelli vi sono passati e hanno perito? Cerco di mantenere vivo il ricordo dei miei primi allenamenti insieme a mio padre e mia madre, entrambi appartenenti al nostro onorevole clan, ma è sempre più difficile. Ricordo la forza scorrermi nelle vene, la sensazione di essere in accordo con spazio e tempo. Il desiderio di cambiare il mondo e la certezza di riuscirci. Rivedo me stesso attingere alle mie emozioni, le più forti mai provate e riuscire a dar sfogo a tutta la mia forza. Adesso non ho emozioni da cui attingere. Non ho speranze da cui trarre forza. In fondo al mio cuore so che non mi darò per vinto. Non l’ho mai fatto, neanche davanti alle prove più ardue. Non cadrò adesso. So di dover aspettare prima di giungere alla conclusione che mi porterà a prendere una decisione. Nel frattempo tenterò di resistere e combattere contro ciò che tenta di portarmi, con ogni sua forza, alla deriva dei miei giorni solitari.

Tuo, sempre più incerto, Sebastian.

Fissai il mio sguardo sull’ultima frase, sul suo saluto. Non riuscivo a togliermi dalla mente che quel “tuo”, fosse diretto a me in particolare e non a Lionel. Nonostante Sebastian, durante la stesura del diario, non avesse neanche la più pallida idea che io potessi esistere. Poteva aver deciso di concludere così ogni pagina a causa di una visione cui lui stesso non riusciva a dare un senso... Le sue parole, fisse nella mia mente, mi spinsero ad alzarmi, riporre il quaderno nel cassetto a correre in cerca di Lionel. Le emozioni forti, questo era il segreto per sviluppare le mie capacità. Ancora non sapevo che sarebbe stato più facile a dirsi che a farsi.

≪Sei certo che Edward non possa accompagnarci?≫, chiesi a Lionel in tono implorante.

≪No, mi dispiace Bella, non possiamo. Devi capire che è per il suo bene. Quando la forza fuoriuscirà dal tuo corpo, chiunque non si trovi a una certa distanza da noi, rischia grosso. Io stesso rischierò, ma sono l’unico cui potrei affidare questo compito≫.

Chinai il capo, conscia della saggezza nelle sue parole, ma anche spaventata all’idea di poter fare del male a qualcuno. Lionel comprese l’espressione del mio volto.

≪E’ un luogo isolato, qui saranno al sicuro. E sarà anche un buon allenamento per me, se riuscirò quantomeno a non farmi spazzare via, potrò degnamente guidare i miei fratelli in guerra≫.

 Feci un cenno d’assenso con il capo e proseguimmo, lontani da qualsiasi cosa cui avrei potuti attribuire, dalla mia prospettiva, l’aggettivo “fragile”.

Capì che Lionel non mentiva quando parlava di un posto lontano e deserto. Non avvertivo alcuna presenza intorno a noi e il nostro campo d’addestramento mi sembrava esageratamente grande per due sole persone.

≪E’ un po’ piccolo, ma non ho trovato di meglio≫, mormorò Lionel.

≪Piccolo!≫, esclamai, guardandomi intorno, tentando d’identificare i confini di quel posto immenso.

≪Non perdiamoci in chiacchiere, iniziamo! Il motivo principale per cui ti ho dato il diario di tuo padre è perché speravo che le sue parole potessero essere dei buoni consigli. Sai come sviluppare la tua forza? Pensa a tua madre≫.

≪Certo, utilizzando le emozioni forti≫.

≪Esatto. Ho preparato alcuni bersagli per te, accentra la tua forza e colpiscili≫.

≪Dove≫, dissi.

≪Davanti a te≫, rispose.

Guardai dove aveva indicato, ma non vedevo nulla che potesse somigliare alla mia idea di bersaglio. Gli lanciai uno sguardo interrogativo. Lionel sorrise.

≪Le tre montagne che vedi davanti a te≫, rispose.

Sposati il mio sguardo e le notai, alte e appuntite, il picco roccioso mi guardava dall’alto e potei quasi intravedere lo stesso sorriso ironico di Evelyn.

≪Non lasciarti scoraggiare dalle dimensioni. Una volta che avrai capito come fare, sarà un giochetto≫.

Passarono diverse ore, tanto che il cielo divenne di un intenso rosa arancio, ma nulla cambiò. Fissavo il picco roccioso, in attesa di sentire la forza di cui tanto mi vantava Lionel, con scarsissimi risultati. Avevo saputo fin da subito quali emozioni avrei utilizzato per far scattare la scintilla. La mia prima uscita fuori dalla rocca, i giorni con i Cullen, i momenti con Edward... Sbuffai e mi alzai da terra.

≪Hai già gettato la spugna?≫, mi canzonò Lionel, comodamente seduto lungo il tronco di un albero, con un libro in mano.

≪Lionel, è inutile. Sto attingendo a tutti le emozioni più forti e belle che abbia mai provato, ma non sento niente≫.

La mia vista cambiò radicalmente, a causa dell’irritazione. Lionel mi si avvicinò con calma e posò le mani sulle mie spalle.

≪Forse sono le emozioni a non essere abbastanza forti≫, disse.

La rabbia montò.

≪Sono i momenti più belli che abbia mai vissuto≫, sibilai.

Ma né io né tuo padre abbiamo mai parlato di bei momenti, mi pare≫, replicò lui.

≪Non capisco≫, sussurrai.

≪Bella, a volte le emozioni più forti sono quelle più spiacevoli. Non è facile rievocarle, lo so, ma ognuno di noi ha il suo bagaglio di ricordi che vorrebbe cancellare. E forse tu, più di tutti, ne avresti motivo, e di questo mi assumo tutte le responsabilità, ma è da quelle emozioni che devi trarre forza se vuoi avere dei risultati. Devi elevarti al di sopra di essi, devi affrontarli ed uscirne vincitrice. Sei abbastanza forte per farlo?≫.

 Non volevo rievocare i miei brutti ricordi che a fatica avevo sepolto in una cripta mai aperta, ma non intendevo deludere Lionel, la mia famiglia e tutti i miei amici. Non ero una codarda, ma si trattava di affrontare la prova più grande: il mio passato.

≪Sì≫, mormorai.

≪Sì, cosa?≫, chiese.

≪Sì, lo farò≫, dissi.

Lionel sorrise e si allontanò.

≪Sono qui≫, furono le sue uniche parole.  Ripresi il mio posto, seduta per terra a gambe incrociate e ripercorsi la mia vita, in un flashback che era peggiore del più orrendo degli incubi. Dagli avvenimenti più recenti e dolorosi, ai miei ricordi d’infanzia. Le miei paure, l’angoscia che portava con se la consapevolezza di non poter mai più rivedere i Cullen... ed Edward. La mia indifferenza anche. Un dolore con cui non avevo mai voluto fare i conti: la sensazioni di non avere radici, né una famiglia. Il dolore per la morte dei miei genitori. E mentre i ricordi si susseguivano uno dietro l’altro iniziai a sentire la forza che mi scorreva nelle vene. La fermezza che l’animo umano guadagnava dopo esser sopravvissuto a tanto dolore. Non badai alle lacrime che mi rigavano le guancie, andai oltre. Nuove immagini iniziarono a scorrermi davanti agli occhi.

Immagini di storie che avevo soltanto sentito raccontare. Le prime ritraevano un uomo e una donna, chini e protettivi su una bambina, sovrastati da un esercito immenso che nulla avrebbe potuto contro di loro se non avessero anteposto alla propria vita quella della figlia amata.

E poi, dopo tanto dolore, mi sentì pervadere da una pace reale e celestiale. Al di fuori si udirono un guaito e un boato che non riuscirono a penetrare la barriera che avevo creato intorno a me. E finalmente lo vidi, quello che i miei antenati avevano vissuto. Quella realtà pacifica e lontana penetrò nel mio cuore e nel mio animo sereno e mi concesse la totalità della sensazione più forte dell’uomo: la vera libertà.

La libertà della morte e della vita insieme. La libertà di essere al di sopra del proprio dolore eppure, in accordo con quello altrui. Compresi il vero significato della mia razza e mi sentì forte come non lo ero mai stata.

D’improvviso aprì gli occhi.

Intorno a me un polverone si era sollevato dalla terra, oltre il picco roccioso ogni cosa era stata abbattuta da una forza inimmaginabile. E poi udì un guaito, senza neanche accorgermi che mi ero alzata in piedi e osservavo tutto come se ogni cosa mi fosse da sempre nota. Lionel, sdraiato sul fianco, mi osservava con meraviglia. Lo avevo ferito. Mi mossi verso di lui e posai le mani sul suo volto. Un’altro guaito. La sua spalla era stata lussata a causa dell’impatto. Posai le miei mani su di essa e il mio contatto, con una rapidità di cui non sapevo di essere capace, lo guarì. Lionel la mosse un paio di volte, soddisfatto.

≪Adesso sei completa, adesso sei tu, mia principessa≫, fu l’unica cosa che udì prima di cadere tra le sue braccia, che mi avevano prontamente afferrato, priva di tutte le mie forze fisiche.

Riaprì gli occhi soltanto quando altre braccia, molto più fredde, presero il posto di quelle di Lionel. Riconobbi immediatamente i suoi occhi dorati e cerchiati di preoccupazione. Edward mi carezzò una guancia.

≪Che cosa è successo?≫, chiese con un sibilo.

Non vi fu alcuna risposta, ma ero pronta a scommettere che Lionel gli stesse spiegando ogni cosa attraverso il pensiero, infatti poco dopo Edward esclamò: ≪Ah≫.

≪Guarda il suo volto Edward, ti accorgi anche tu che è cresciuta. Ha subito una metamorfosi. E’ una donna prescelto. Seconda a nient’altro su questa terra≫ .

≪E’ stupenda≫, mormorò una voce che riconobbi come quella di Esme.

≪Lo è sempre stata≫, replicò Edward, ≪solo che ora non potrà più negarlo≫, continuò, un sorriso nelle sue parole

≪Adesso andate, Edward. Ha bisogno che tu le sia vicina questa notte≫.

Edward posò un bacio sulla mia guancia e, consapevole della sua vicinanza, chiusi gli occhi e caddi in un sonno profondo.

La mattina seguente, al mio risveglio, ero sola. Lo percepì immediatamente, ma non me ne preoccupai. Edward era al piano di sotto. Potevo quasi percepire la sua ansia, il desiderio di ritornare di sopra per essere la prima cosa che i miei occhi avrebbero visto al mio risveglio. Ero in grado di cogliere l’aroma dei suoi pensieri. Mi alzai dal letto, niente affatto stanca e infilai al volo qualcosa. Pronta ad uscire dalla stanza, incrociai la mia figura allo specchio. Il mio volto e il mio portamento avevano qualcosa di diverso, qualcosa di regale. Senza aver deciso di tenere in quel modo il mio corpo, la mia schiena era perfettamente dritta e il mio collo si ergeva verso l’alto. E poi c’era il mio viso, il mio riflesso pallido era luminoso, come i miei capelli, come i miei occhi nei quali riconobbi immediatamente lo sguardo di miei madre e la dolcezza dei suoi tratti, ma anche la testardaggine e il coraggio che avevo duramente conquistato. Adesso le somigliavo davvero tantissimo. Somigliavo ad entrambi. Quella mattina ero Isabella Williams, la progenie del clan di Fort Worth e Tucson. 

Mi diressi al piano di sotto con passo leggiadro e silenzioso. Nulla avrebbe potuto avvertirli del mio arrivo, il mio odore si confondeva con l’aria e l’ossigeno. Io ero questo, libertà, la sensazione di respirare a pieni polmoni. Erano riuniti nel salone principale, i Cullen, Lionel e i mutaforma. Soltanto quando feci capolino dalla porta, i loro occhi si alzarono sul mio volto. E non ci fu presente che non spalancò la bocca e sgranò gli occhi nell’osservarmi mentre avanzavo lentamente verso di loro. Eppure i miei occhi non vedevano altro che lui, il suo volto splendido, il luccichio fanatico nei suoi occhi mentre lentamente si apriva in un sorriso adorante. Edward avanzò di qualche passo e ci ritrovammo di nuovo insieme, mani nelle mani, occhi negli occhi. Con le dita sfiorai la sua guancia bianca come neve ed Edward chiuse gli occhi, in un tacito consenso e nel totale abbandono alla mia carezza. Gli altri scostarono lo sguardo, improvvisamente molto indaffarati, lasciandoci così un po’ di privacy. Edward rinchiuse il mio volto tra le sue mani a coppa, la sua carezza così delicata sulla mia pelle, da farmi pensare che non mi stesse neanche toccando e allo stesso tempo, quel contatto appena accennato fu in grado di farmi provare straordinarie sensazioni. Edward si chinò lentamente sulle mie labbra e ancora una volta, il contatto, seppur casto irradiò nel mio corpo una serie di piccole scosse, scariche elettriche dovute dalla vicinanza di mio marito. In fine affondai il mio volto nel suo petto, mentre con la stessa dolcezza di prima, Edward mi stringeva a se.

≪E’ stato difficile?≫, sussurro.

≪Lionel ci ha più o meno spiegato ciò che hai dovuto affrontare, sono fiero di te; sei uscita vincitrice da una battaglia davanti alla quale la maggior parte dei cuor di leoni sarebbe fuggita. In fondo ho sempre saputo che mia moglie è una donna coraggiosa≫.

≪E’ stato doloroso≫, ammisi, ≪ma nulla che non rifarei pur di riuscire a proteggere tutti voi dalla minaccia che ci sovrasta. Adesso mi sento me stessa, una sensazione che soltanto con la tua vicinanza ero riuscita a provare fin ora. Eppure, continuo a sentirmi completa soltanto se ci sei tu. E’ una debolezza cui non riuscirò mai a sottrarmi≫, sussurrai.

≪Non voglio che tu lo faccia. Egoisticamente desidero essere per sempre una parte fondamentale della tua vita, come tu lo sei per me. Sei la cosa più bella e preziosa che possieda. L’ho notato subito sai, tutti noi lo abbiamo fatto, il tuo cambiamento... in meglio. Il tuo volto risplende costantemente, la luce nel tuo cuore, che io ho sempre visto chiaramente, adesso succede anche agli altri, ti avvolge. Non esiste creatura più celestiale al mondo, amore mio. E non puoi più dirmi che il mio è un giudizio di parte, ti basta chiedere a chiunque abbia avuto la mia stessa fortuna di vederti e conoscerti≫.

Arrossì, chinando il capo. Quel lato del mio carattere, come il resto d’altronde, non era cambiato. Edward mi strinse una mano ed insieme ci voltammo verso la nostra famiglia, avvicinandoci. I loro volti brillarono di grandi sorrisi. I Cullen mi circondarono e potei leggere nei loro occhi, soprattutto in quelli di Esme e Carlisle, un certo compiacimento. Jasper si posizionò immediatamente al mio fianco, quasi più velocemente di Alice, sul suo volto un’espressione pacifica. Lanciai un’occhiata a Edward e lui rispose: ≪Sente tanta pace e serenità provenire da te, ancor più di quanto succedesse prima, adesso che sei pienamente cosciente della tua forza. Sai quanto è sensibile a queste cose≫.

Jasper, riprendendosi dalla sua espressione beata, mi sorrise.

≪Per quanto io sia molto ottimista e fiero di te Isabella, questo è soltanto l’inizio. Adesso conosci la tua forza, devi imparare a controllarla, contenerla anche. I prossimi allenamenti saranno duri e pericolosi, più che altro per chi ti starà intorno, ma sono certo, vista la velocità con cui hai imparato a comprendere te stessa e le tue capacità, che un mese dovrebbe bastare≫.

Non mi sfuggirono le sue ultime parole.

≪Un mese?≫, ripetei incerta.

Edward mi strinse a se e lo sentì irrigidirsi. Sfiorai il suo volto, in cerca della risposta che non voleva darmi. Fu Alice a rispondermi.

≪Li ho visti questa mattina, Bella. Stanno organizzando il loro esercito. I sotterranei di Volterra sono piuttosto movimentati. Creano neonati e addestrano più rapidamente gli altri. Aro ha capito che i Licantropi sono ancora vivi, sapevamo che sarebbe successo. Crede che siano stati loro a prenderti≫.

≪Chi?...≫, chiesi.

≪Demetri probabilmente≫, rispose lei.

≪Aro non lascia mai nulla al caso...≫, mormorai.

≪Certamente gli avrà chiesto di tenere sottocontrollo la situazione, per quanto tentiamo, non avremmo mai potuto nasconderci per sempre≫, disse Lionel.

≪Un mese? Ne siete certi? Sono convinta che ci voglia molto più tempo per l’esercito al completo≫.

Nessuno rispose e allora mi voltai verso Edward. Il suo sguardo si addolcì notando la mia confusione. Mi carezzò una guancia.

≪Vogliono arrivare prima che i Licantropi riescano a convincerti... della verità su ciò che hanno fatto. Aro non immagina che tu lo sappia di già e che siamo stati noi a dirtelo. Pensa che tu veda i Licantropi come nemici, rapitori, e che non daresti mai loro ascolto. Mentre di noi non hai dubitato≫.

Capì il perché della sua riluttanza a rivelarmi ogni cosa. Non voleva che soffrissi per le bugie e la cattiveria dei Volturi e di Aro. Io avevo affrontato le mie paure e per quanto l’idea delle loro menzogne mi ferisse, non mi sarei mostrata debole. Ormai avevo compreso che il male era costantemente parte delle nostre vite, delle vite di tutti, in un modo o nell’altro, chi più chi meno, senza possibilità di scelta.

≪Non preoccuparti Edward, ho scelto da che parte stare. Ho superato tutto questo. Adesso voglio impegnarmi insieme a Lionel ad affinare le mie capacità, finché il tempo non sarà scaduto≫.

E così fu.

Per le settimane a seguire, trascorsi tutto il mio tempo in compagnia di Lionel e di chiunque altro tanto pazzo da offrirsi volontario ad aiutarmi. Allo scadere della seconda settimana da quando il nostro allenamento aveva avuto inizio, ero perfettamente in grado di controllare me stessa, con gran sollievo di Lionel e chiunque altro si fosse trovato a tiro. Grazie a Lionel imparai anche come padroneggiare il dono del teletrasporto, eredità di mio padre. Non avrei avuto alcun bisogno di utilizzare la mia scarsa forza fisica, nessuno avrebbe potuto avvicinarmi se io avessi desiderato il contrario. Il controllo della volontà era ormai un giochetto da ragazzi, un mio comando non veniva dimenticato né rifiutato. I miei riflessi erano molto più pronti e la mia resistenza fisica e mentale molto più pronunciata. I primi tempi Edward era stato costretto a riportarmi in casa al sicuro tra le sue braccia, essendo io totalmente incapace di muovere anche soltanto un arto. Notavo sempre nei suoi occhi un scintilla diversa del solito quando mi guardava. Quell’adorazione e quella riverenza che aveva sempre dimostrato in mia presenza era improvvisamente triplicata, come se non potesse distogliere lo sguardo dal mio volto, come se la separazione, seppur minima, dalla mia persona potesse ucciderlo. La sua vicinanza mi aiutava a dimenticare le parole di mio padre, incise sul suo, il nostro diario. Con il passare dei giorni la sua speranza vacillava sempre più, finché un giovedì non smise di scrivere, lasciando in sospeso la sua decisione che l’avrebbe portato da mia madre... Non avevo mai dimostrato alcun tipo di riluttanza durante l’addestramento, qualsivoglia fosse l’esercizio proposto da Lionel, finché un giorno non suggerì di allenare quella parte così significativa e inquietante del mio essere. Grazie all’esperienza con Esme avevo imparato a vederne i lati positivi, ma rimanevo scettica verso l’utilizzo del mio dono decisionale su vita e morte. Lionel ed Edward mi avevano confortato e il primo, per non turbarmi troppo, mi aveva concesso di iniziare con il “dai la vita”, piuttosto che toglierla. In pochi giorni avevo rigenerato tutto ciò che la mia forza devastante aveva reciso durante gli allenamenti iniziali. Mi cimentavo nella fioritura di una splendida flora che adesso circondava il nostro accampamento. Ma l’inevitabile giunse. Come un tempo proprio Jasper aveva affermato, il mio dono poteva essere utilizzato come un’ottima arma offensiva. Naturalmente non osai mai utilizzare questo mio dono su uomini o animali, adesso era decisamente più facile. Non ero certa se dovermi compiacere della facilità con cui potevo togliere una vita o dispiacermene.

Non ero stata certamente l’unica a darmi così tanto da fare in quelle ultime settimane, intorno a me ex nemici si coalizzavano e combattevano tra di loro, con tutta la forza di cui disponevano . In fondo, cos’altro potevo aspettarmi dal nostro esercito. Noi non combattevamo per odio o vendetta, il nostro fine era proteggere i rispettivi fratelli, di qualunque razza essi fossero.

Mancavano due giorni all’arrivo dei Volturi, come stabilito da Alice, e quella sera Lionel aveva organizzato un ricevimento in modo che tutti noi potessimo godere degli ultimi istanti di gioia prima della battaglia. Avevo da subito considerato superfluo il desiderio di Lionel di insegnarmi ad utilizzare il mio dono come arma: il mio unico obbiettivo era proteggere i miei compagni e impedire che i Volturi si avvicinassero a noi, così che nessuno avrebbe corso rischi, con la speranza che si arrendessero. Naturalmente Edward era stato d’accordo con Lionel, voleva che io avessi armi con cui difendermi. Io avevo obbiettato. Non ne ero del tutto certa, ma avevo l’impressione che Edward avesse capito i miei motivi. Non potevo ancora credere che uno qualsiasi di loro avrebbe avuto il coraggio di uccidermi, di farmi del male. Non riuscivo a capacitarmene e ancora speravo che non ci sarebbe stata nessuna guerra, che si sarebbero semplicemente ritirati. Quest’ultima speranza era davvero minima. Non avrei mai potuto costringerli con la mia capacità a ritirasi, i vampiri sono essere immortali e la mia influenza non sarebbe durata così allungo: prima o poi sarebbero ritornati. Non avrei potuto costringerli a cambiare, dovevano essere liberi e consapevoli di scegliere tra una e l’altra fazione.

Infilai il lungo abito preparatomi da Alice, color blu notte, con una dolce scollatura sulla schiena, attenta a non rovinare l’acconciatura da quest’ultima approntata. Un paio di lunghe dita da pianista mi aiutarono con la zip lungo la schiena, prima di stringersi intorno alla mia vita. Mi voltai verso Edward e lo osservai in tutta la sua meravigliosa perfezione. Sorrisi.

≪Niente cravatta neanche questa volta?≫.

Mio marito si passò una mano tra i capelli scompigliati, regalandomi il suo sorriso sghembo.

≪Ormai ci ho preso l’abitudine, credo≫.

Scossi la testa e andai a recuperare quella che Alice gli aveva gentilmente fornito, naturalmente aveva vestito da capo a piedi l’intera famiglia insieme a Rose e la passai intorno al suo collo. Edward mi fissò mentre completavo la mia opera, gentilmente posò un bacio sui miei capelli, dopodiché prese la mia mano e baciò la mia fede.

≪Sei bellissima≫, disse.

Circondai i suoi fianchi con le braccia.

≪E’ l’ultima occasione che abbiamo per essere tutti insieme in un momento lieto. Edward ho tanta paura per quello che succederà tra due giorni. Vorrei conoscere l’esito della battaglia≫.

≪Alice ha il tuo stesso tormento≫, mi rispose ironicamente, tentando di stemperare la tensione.

≪Sì, è cieca a causa dei lupi e dei licantropi≫, lo appoggiai.

≪Bella≫, mi chiamò, stringendo il mio volto tra le mani, ≪andrà tutto bene. E come potrebbe essere altrimenti? Io ho totale fiducia in te, in ciò che sei, nel tuo coraggio. So che tutto andrà per il meglio, l’importante e che noi restiamo insieme, in ogni caso≫.

Inghiottì il magone e lo fissai. Lionel si sbagliava, anche i prescelti conoscevano l’egoismo. In fondo io non stavo pensando in quel momento che le parole di Edward non potevano che rispecchiare  il mio stato d’animo? Cosa importava che perdessimo la battaglia, in barba al futuro di tutti, l’unica cosa che desideravo era rimanere per sempre con lui, anche dopo la morte. Neanche io, che tra tutte le creature ero la cosa più vicina a un dio, secondo Lionel, sapevo cosa ci attendesse dopo la fine della vita terrena. Avevo ben chiaro, però, cosa desiderare.

La festa procedeva meravigliosamente. Tutti gli sforzi e tutta la tensione delle ultime settimane sembravano aver abbandonato gli animi. Era incredibile come una combriccola di creature di razze miste potesse rivelarsi così ben assortita. Intorno a noi vampiri, licantropi e mutaforma ridevano, ballavano e parlavano insieme. Con uno sguardo notai che Mark, il mio ex insegnante, stava invitando la mia dolce Leah per un ballo. E, cosa più importante, mi ritrovai a fissare con gioia gli occhi lucidi di lei. Riconoscevo fin troppo bene quello sguardo. Con mia grande gioia la mano di Leah si schiuse in quella di Mark, in un tacito consenso. Mi strinsi ad Edward con un sorriso. Il primo amore di tanti stava sbocciando, adesso avevo un motivo in più per far sì che ogni cosa andasse per il meglio. Lionel venne a reclamarmi dalle braccia di Edward e questo, con rammarico, mi cedette a lui. Notai un suo sguardo torvo rivolto a Lionel, non ne capì il motivo.

≪Come stai?≫, mi chiese.

≪Abbastanza bene. Accetterò ciò che verrà, ma non mi chiedere di essere pronta, perché non lo sarò mai≫, risposi.

≪Non te lo avrei chiesto, Bella. Non si è mai pronti a perdere ogni cosa, ma ciò non deve impedirci di metterci in gioco, di tentare con tutte le nostre forze di raggiungere l’obbiettivo che ci siamo prefissati. La cosa peggiore non è perdere ciò che si ha, ma non sapere cosa si vuole o non combattere per averlo. Prima o poi tutti troviamo il nostro posto nella vita, anche se inizialmente siamo scettici. Anch’io credevo di essere solo, di non avere uno scopo. Guardavo alla vita come a un obbligo, come qualcosa senza uno scopo e mi chiedevo perché fossi stato messo al mondo. E poi ho conosciuto tuo padre. Ho preso a cuore le vecchie leggende del mio clan, che prima ritenevo inutili. Ho imparato come guidare il mio branco e mi sono prefissato un obbiettivo: salvarti. Non ne sono stato in grado, ma ho avuto un’altra possibilità. Ti ho insegnato tutto ciò che so, tutto ciò che ho imparato da tuo padre. Ho fatto tutto ciò che era in mio potere, fin ora. Ti assicuro che non mi tirerei indietro qualora fosse necessario sacrificare la mia vita per te o per il bene dei miei fratelli. Per loro ho tentato di fare sempre e soltanto il meglio, ma so riconoscere quando è il momento di farmi da parte... So riconoscere un mio superiore quando lo vedo e tu Bella lo sei sempre stata, ancor prima che io ti allenassi. Per questo motivo, consapevole che il bene dei miei fratelli sarà dato dalle tue decisione e dalle tue capacità, ti affido il comando del nostro esercito. Naturalmente io ti rimarrei sempre a fianco, sarei il tuo beta se tu lo desideri, ma ti prego di accettare. Questo esercito ti appartiene; guardati, sarebbero tutti disposti a morire per te. Accetta, Isabella≫.

Non mi accorsi che nel frattempo ci eravamo fermati.

≪Lionel, tu sei un capo straordinario, io non potrei mai prendere il tuo posto. Non sei soltanto un capo, sei un padre. Sono i tuoi figli e fratelli, tu sei la loro guida≫.

Lionel mi fece voltare e mi accorsi che tutti ci stavano fissando e in quel momento capì. Non era una semplice festa, ma un’iniziazione.

≪Guardali Bella≫, disse, invertendo la frase di prima, ≪hanno fiducia in te. Sono pronti a seguirti. Hanno bisogno di te≫.

Davanti ai miei occhi, i miei compagni mi fissavano con risolutezza e grandi sorrisi sui loro volti.

≪Prendi il posto che ti spetta≫, esordì uno dei licantropi.

≪Guidaci≫.

≪Ti seguiremo≫.

≪Siamo con te≫.

Frasi su frasi si susseguirono. Il mio sguardo perso incrociò gli occhi di Edward. Era immensamente orgoglioso, seppur preoccupato. Ora capì il perché del suo sguardo torvo. Temeva che io potessi espormi troppo in questo modo, ma era dalla mia parte e aveva fiducia. Tutti loro avevano fiducia in me ed io non li avrei delusi. Consapevole di ciò mi voltai in direzione di Lionel e dissi semplicemente: ≪Accetto≫.

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Capitolo 21
*** Ruolo ***






Buon pomeriggio! Oggi posto con un po' di tristezza, perché è l'ultimo capitolo, anche se manca ancora un epilogo prima che mi levi definitivamente dai piedi. Piccolo avvertimento: il capitolo è un po' lungo ma ne vado davvero fiera e mi auguro che vi tenga con il fiato sospeso. Devo ringraziare ognuno di voi con tutto il cuore per aver seguito la mia storia, per avermi aggiunto tra i seguiti, i preferiti, i ricordati e gli autori preferiti, ma anche chi ha letto in silenzio. A chi ha recensito un ringraziamento speciale. Ho notato che il numero di recensioni è calato negli ultimi due capiloti, anche se ho notato qualche nuova presenza, spero non sia dovuto alla storia. Comunque, vi aspetto numerosi per questo capitoloXD sperando che, anche chi non ha mai lasciato un'opinione, lo faccia adesso e se qualcosa non va, ditelo, lo preferisco al silenzio:-) Grazie ancora a tutti per esserci stati. Vi lascio alla lettura, un bacio<3

E in fine giunse: l’inevitabile.
Le nostre forze furono radunate sotto un unico vessillo.
Nemici, ora amici, si prepararono a combattere.
Avrebbero lottato per se stessi, per la propria libertà, per la giustizia e per l’amore. Avevo capito immediatamente, subito dopo aver preso il posto di Lionel a capo del nostro esercito, che noi avevamo qualcosa che loro non avrebbero mai avuto: uno scopo nobile. Tra le nostre fila erano nati sinceri legami basati sull’affetto: amicizia, amore, fratellanza. Ognuno di noi era disposto a morire per l’altro. Eravamo tutti, indistintamente, sullo stesso piano, poco contava chi fosse la guida chi il soldato, chi il vampiro, chi il mutaforma, chi il licantropo, chi il prescelto. I rancori e le ragioni di dissenso erano state dimenticate e sostituite dalla voglia di collaborare per un obbiettivo comune. Questo ci rendeva immensamente forti, molto più dei Volturi e del loro grandissimo esercito di marionette. Eppure, nelle ombre che si allungavano su di noi, minacciose mani dai taglienti artigli, come neanche Jasper poteva fare, percepivo la paura. Il terrore strisciante di perdere gli amici e gli amori, la paura di rimetterci la propria libertà.
Il timore di perdere ogni cosa.
E la loro angoscia vibrava inevitabilmente nelle mie vene, nei battiti frenetici del mio cuore, quasi fossi in simbiosi con il mio esercito, con i miei fratelli.
Una straziante agonia mi piegava al solo pensiero che qualcosa potesse accadere ad Edward e all’eventualità che qualcuno potesse separarmi da lui. Temevo per i Cullen, gli stessi vampiri che mi avevano accolta nella loro famiglia fin dal primo istante, accettando che io ne stravolgessi gli equilibri e la perfetta armonia, dimostrando il propria affetto con un semplice sorriso o un gesto. Sapevo, dalla prima volta che i miei occhi incrociarono lo sguardo dolce e compassionevole di Carlisle, che la mia vita sarebbe cambiata. Certamente, tra le preoccupazione che affliggevano il mio povero cuore non potevo dimenticare i giovani Quileutes. Anche loro mi avevano accolto immediatamente come membro della tribù. Potevo permettere che, a causa mia, Emily perdesse il suo Sam? Potevo permettere che la speranza di Leah, appena ricomparsa, venisse nuovamente frantumata?
E poi c’erano tutti loro: i soldati del mio esercito di cui a stento ricordavo il primo centinaio di nomi e riconoscevo i volti. Era un numero esorbitante di uomini pronti a sacrificare la propria vita, ognuno di loro mi era caro, benché non li conoscessi personalmente. Non potevo permettere che accadesse loro qualcosa di male. La conseguenza peggiore di possedere qualcosa - e qualcuno-  è la paura e la possibilità di perdere tutto. Le possibilità erano poche, ma la speranza era molta.
Mi accostai alla cassettiera bianca nella stanza mia e di Edward ed dal cassetto estrassi il diario di mio padre. Nell’ultimo periodo anche lui aveva perso le speranze...
Come potevo guidare un esercito alla guerra e alla vittoria, quando una parte di me si ribellava all’idea di un ulteriore spargimento di sangue? Il mio arrivo nell’esercito aveva condannato tutti. Io gli avevo dato una speranza, un motivo per lottare. Le parole di Lionel mi risuonarono nelle orecchie.
Guardati, sarebbero tutti disposti a morire per te.
E poi, ancora, le parole di mio padre sul suo rapporto con mia madre. Ero forse il frutto di un matrimonio senza amore? Potevo io, nata da un obbligo, dare speranza a chi speranza non aveva? Un foglio quasi giallo di carta cadde dal mucchio nel diario. Lo raccolsi. Non lo avevo mai notato prima. Non vi era data, ma mi accinsi a leggerlo, riconoscendo la calligrafia di mio padre.
 
Sciocco, ero stato uno sciocco. Un uomo vile o, ancor peggio, io non ero stato affatto un uomo. Un uomo non teme se stesso, non arriva mai a dubitare così tanto di ciò che è da temere di poter confondere obbligo con amore. Avrei dovuto saperlo: l’amore è inconfondibile. La prima volta che la vidi, dopo tanto tempo, sentì rinascere la speranza. Vidi, senza alcun bisogno di una delle mie spesso incomprensibili visioni, il nostro futuro, la nostra vita insieme. Elena era la cosa più bella che in anni e anni di vita avessi mai visto. Il suo volto e la luce nei suoi occhi erano la mia speranza. La luminosità che l’avvolgeva, rendendola eterea ai miei occhi, tanto fragile e innocente, quanto forte e testarda, da togliermi il fiato... Non avrei mai potuto confondere il sentimento che riscaldò il mio petto con nient’altro. Sentì che insieme avremmo potuto affrontare qualsiasi cosa, persino la morte. Non temevo più niente. Nulla avrebbe potuto più spaventarmi. Non ero più solo, non lo ero mai stato. Lei era sempre stata lì, ad aspettarmi. Elena era il senso della mia vita. E finché fossimo rimasti insieme nulla avrebbe potuto renderci prigionieri. Sapevo per cosa avrei lottato per il resto della mia vita, sapevo cosa non avrei mai permesso a nessuno di portarmi via. Fu in quel momento, perso nella contemplazione del mio angelo, che Elena si voltò e incrociò il mio sguardo. E nei suoi occhi sorridenti e luminosi lessi tutto ciò che fino a quel momento avevo cercato.   
La lettera non era firmata, ma sul retro vi era incisa una frase: ≪Non permettere a nessuno di portarti via la speranza, né la fiducia negli altri. Non desistere, tu sei speciale. Se tu non riuscirai nel tuo compito, nessun’altro potrà. Vivi e sì ciò che sei nata per essere. Il tuo cuore è grande, mio dolce angelo, il tuo coraggio ineguagliabile. Combatti per lui, combatti per te stessa, combatti perché ciò che vi lega non sia soltanto un ricordo in questo mondo, ma il senso della tua vita oggi e  per tutte le ere a venire≫.
Lo stupore per quella lettera così improbabile e significativa, indubbiamente indirizzata a me in un tempo incerto e indefinito, centrò i miei dubbi e le incertezze e le guarì. Sebastian aveva capito la differenza. Mi chiedeva di non perdere la speranza, di vivere e combattere per ciò in cui credevo, per ciò che amavo. Vivi, ecco qual’era il desiderio di mio padre e io non avevo alcuna intenzione di lasciare questo mondo, né di perdere nessuno dei miei amati senza combattere, non adesso che finalmente avevo trovato una valida ragione per cui valesse la pena di esistere.
Depositai il quaderno nel cassetto. Le parole avevano fatto il loro dovere. Mio padre mi aveva dato la forza, come avrebbe fatto se fosse stato al mio fianco. Elena e Sebastian erano con me alla resa dei conti. Sciolsi i capelli e li lasciai ricadere selvaggiamente sulle spalle, sul mio volto riflesso nello specchio era dipinta un’espressione determinata. La figura algida di Edward comparve nello specchio alle mie spalle, la sua espressione era il riflesso della serenità, ma sentivo la sua tensione anche a distanza. Mi voltai e aprì le mie braccia, in attesa che il suo corpo ne colmasse il vuoto. Lo strinsi dolcemente a me, mentre mio marito affondava il volto nel mio collo.
≪Andrà tutto bene≫, lo rassicurai.
≪Lo hai detto anche tu, ricordi? Finché siamo insieme nulla potrà renderci prigionieri≫, sussurrai, ripetendo le parole di mio padre.
Edward si tirò su e mi prese il volto tra le mani, per un bacio colmo di disperazione, dettata della paura di perdere la propria metà di se stessi, dopodiché annuì, porgendomi una della sue mani. La afferrai, stringendola saldamente nelle mie. Nulla sarebbe stato abbastanza forte da separarci, perché io non lo avrei permesso.
Era ancora buoi quando arrivammo dagli altri. Erano le cinque del mattino e una fitta nebbia ci sovrastava. Secondo i calcoli di Alice, benché, essendo cieca a causa dei lupi e dei licantropi, non fossero precisi come al solito, mancava mezz’ora al loro arrivo. Il tutto si sarebbe tenuto nello stesso immenso luogo del mio allenamento con Lionel. Io e Edward, che non accennava a volermi lasciare, insieme a Jasper e Lionel, stavamo disponendo le nostre fila. Nessuno meglio di me avrebbe potuto farlo: conoscevo alla perfezione le strategie dei Volturi. I vampiri schierati al nostro fianco sarebbero stati in prima fila. Naturalmente avremmo disposto ai lati quelli con abilità difensive e al centro quelli con abilità offensive. Subito dopo i mutaforma, sia i Quiliutes che gli altri. Avevamo formato un folto gruppo di muta-forma dalla varie forme, tra cui lupi, pantere e aquile. E a seguire l’immenso esercito di Licantropi. Nessuno dei Volturi avrebbe mai sospettato che avessi rivelato ai licantropi i loro segreti: mi credevano prigioniera. Chissà, forse soltanto Aro sarebbe stato tanto diffidente. Io e i Cullen avrebbe colmato gli spazi centrali della prima fila, in modo che io fossi ben visibile ai nostri nemici e le nostre intenzioni immediatamente chiarite. Quando fummo pronti chiusi gli occhi e mi poggiai a Edward, in cerca di concentrazione. Avvertivo la paura dei miei compagni, insieme alla determinazione e all’adrenalina.
≪Manca poco≫, annunciò Alice e in quel momento seppi che avrei dovuto portare a termine uno dei miei compiti come guida: incoraggiare i miei fratelli.
Mi allontanai da Edward, rassicurandolo con un sorriso e raggiunsi una posizione favorevole, dopodiché mi voltai in direzione del mio esercito. Si estendeva per chilometri, ma ero certa che, con il loro orecchio finissimo, mi avrebbero udito ugualmente.
≪Compagni≫, dissi, ≪in quest’ultimo periodo abbiamo imparato qualcosa di fondamentale: diffidare dalle apparenze. Questa compagnia non è soltanto un gruppo numeroso di soldati ma una famiglia. I nemici sono diventati amici e non potrei essere più felice di quanto non sia già, per questo. Uno dei nostri obbiettivi si è realizzato. Nulla sarà stato vano, indipendentemente dall’esito di questa battaglia, sia che ci veda vincitori o sconfitti. Come tutti voi sapete ho trascorso la maggior parte della mia vita con coloro che stiamo per fronteggiare in questa guerra. Il mio cuore è lacerato, ma ciononostante desidero che ogni cosa si risolva in modo pacifico. Uccidere non è mai la cosa migliore. Non posso parlare per voi, né mi ritengo la persona adatta per decidere ciò che giusto o meno, perché non sarà mai così per tutti. Ognuno pensa e vede le cose in modo diverso dall’altro. Posso assicurarvi che la vendetta e l’odio non sono mai la soluzione migliore e non comportano nulla di buono. Tutti noi porteremo il lutto dopo questa battaglia, sia che vogliate ammetterlo o meno. Per quanto vorrei evitare tutto ciò, ormai è tardi e non ci resta che combattere. Farlo per la pace. Combattete per ciò che ritenete importante: i vostri compagni, gli amici, i fratelli. Combattete per difendere chi amate e non sarà mai una battaglia persa. E vivete, perché la vita è un valore. Non buttatela via con tanta leggerezza. Non lasciate che vi tolgano la speranza, perché potrebbe succedere. Io so cosa succederà. Davanti ai vostri occhi apparirà un esercito immenso, fatto di lunghi mantelli scuri e occhi rossi. I loro sorrisi maligni vi trapasseranno il cuore come una lama e la forza dei loro sguardi vi schiaccerà a terra. Dall’altra parte di questo campo si scatenerà una forza devastate e brutale, il nero odio, e voi cadrete sotto di esso? Le vostre gambe tremeranno di paura o guarderanno in faccia la morte e le restituiranno uno sguardo compassionevole? Perché chi prova tanto odio non ha mai provato la felicità o l’amore e questo è peggiore di qualsiasi punizione fisica. Io ho vissuto in quel mondo brutale, ma adesso sono qui. E combatterò con voi contro di loro, ma ho bisogno di sapere che la paura non vi terrà incollati al terreno e che l’odio non vi farà odiare a vostra volta. Vampiri, mutaforma, licantropi decidete in fretta e preparatevi a un giorno che non dimenticherete mai, perché vi perseguiterà anche nei sogni. Cosa decidete?≫.
Il silenzio calò tra di noi, in fine una voce esordì.
≪Non ci faremo fermare dalla paura≫, urlò con tutto il fiato che aveva in gola uno dei vampiri in prima fila.
Alle sue spalle degli ululati iniziarono a squarciare la quiete del mattino. Ringhi animali, sbattiti d’ali e in fine altri ululati, talmente sincronizzati tra loro che ciò che sarebbe stato un rumore assordante si rivelò una melodia piacevole.
≪Arrivano≫, sibilarono Edward e Alice all’unisono.
 Raggiunsi Edward, afferrando la sua mano e il mio sguardo inquisitore si posò sul limitare della nostra visuale. Finché dalla nebbia fitta i primi neri mantelli non iniziarono ad affiorare. Assottigliai lo sguardo mentre l’orizzonte si macchiava di chiazze nere e grigie. Il loro avanzare lento ed elegante sembrava non finire mai. Erano in tantissimi, molti più di quanto avessi immaginato nei miei sogni più cupi.
Lo sfregare delicato delle loro mantelle si arrestò all’improvviso. L’orizzonte fu colmato dalla loro oscura presenza. Con un movimento unisono i cappelli scoprirono i loro volti e dozzine di occhi rossi e fiammanti si fissarono sul nostro esercito. Non un sospiro uscì dalle loro labbra di fronte alla vastità dei nostri soldati, in fondo, cos’avrebbero mai potuto contro il loro numero. Non ci sarebbe stato esercito umano o immortale in grado di distruggerli. Erano in tantissimi, molti più di quanto avrei pensato. Conoscevo Aro come le mie tasche, avrei dovuto immaginare che il suo esordio sul campo di battaglia, da solo, avrebbe dovuto far fuggire a gambe levate gli avversari e i deboli di cuore. Perché li sentivo, i loro occhi sui nostri volti, sul mio volto e quelli dei Cullen. A quel punto tutti avevano avuto occasione di vederci e capire. Capire il tradimento della famiglia Cullen e il mio. Tra la foschia cercai il volto di quello che un tempo era stato il mio signore, sapevo cos’avrei visto: la sua rabbia. Naturalmente avrebbe tentato di nasconderla sotto ad una maschera di finta correttezza. Non avrebbe osato dimostrarsi deluso, sapeva che io ero al corrente di tutto: del suo doppio gioco, della sua malvagità. Avrebbe avuto il coraggio di mostrarsi per ciò che era? Di gettare la maschera e confessare i suoi crimini? Avrebbe trovato una scappatoia anche a questo? Alice aveva ragione: Aro non lasciava nulla al caso. Certamente aveva valutato l’opportunità che io sapessi e aveva agito di conseguenza. Aveva radunato un esercito immenso e cercato un modo per non mostrarsi debole o colpevole ai miei occhi e agli occhi dei suoi nemici. Aro sapeva bene che la sua finzione con me non avrebbe avuto buon esito, io potevo leggere dentro di lui e non mi sarei più fatta ingannare. I miei occhi non erano più offuscati da gratitudine e affetto, ma neanche dall’odio e dal desiderio di vendetta. Potevo vedere obbiettivamente senza alcun ostacolo. Eppure, non riuscivo proprio ad immaginare quali potessero essere le sue mosse.
Finalmente, tra la foschia e i mantelli neri, i miei occhi incontrarono i volti dei tre signori di Volterra. Il mio sguardo si soffermò sui volti familiari, Felix, Demetri... Athenodora. La mia bellissima Athenodora. A capo chino, stipava il suo corpo alle spalle del marito, un passo dietro di lui, come sempre. No, lei non avrebbe mai voluto mentirmi, ma non riusciva ad evadere dalla sua eterna prigione: l’ombra del suo signore. Vedere i loro volti, i loro occhi bassi sul terreno, mi fece sperare che almeno il loro affetto nei miei confronti non fosse stato del tutto una menzogna. Non avrei mai voluto ritrovarmi in battaglia contro di loro. Li avrei voluti dalla mia parte. Il mio sguardo malinconico si posò in fine sul suo volto. Non avevo idea dell’effetto che mi avrebbe fatto rivederlo. Fin da subito avevo avuto paura di me stessa. Paura di poter provare un odio talmente inteso che avrebbe accecato la mia ragione, ma così non fu. La sua presenza mi lasciava indifferente. Il mio cuore non era in grado di provare tutto l’odio che meritava. Provavo soltanto tanta compassione per lui, al ricordo della sua storia raccontataci da Lionel. Aveva ucciso il suo stesso creatore e due delle più pure creature che fossero mai esistite: i miei genitori. Aro Volturi non era in grado di provare amore, né gioia. Era un involucro vuoto, tanto oscuro che la luce non avrebbe mai più potuto penetrarvi. Il suo sguardo passò in rassegna i volti che riconosceva, soffermandosi sui Cullen e su Edward. Rabbrividì quando i suoi occhi si posarono sulle nostre mani unite, sulle nostre fedi. Uno strano luccichio gli attraversò lo sguardo quando rimise ogni cosa al posto giusto e i fili del suo ricamo s’intesserono perfettamente tra di loro. Il suono della sua risata musicale riecheggiò nel grande spazio aperto che era il nostro campo di battaglia. Alle mie spalle qualcuno ringhiò e qualcun altro gemette. Quando il suono si fu dissolto nella nebbia Aro riacquistò la sua posa composta e trattenne le risate in un ghigno sul suo volto.
≪E così≫, esordì, ≪devo dedurre che tutto questo sia colpa mia. Ho errato, fratelli miei. A mia discolpa va detto che non avrei mai potuto immaginare che una cosa del genere accadesse... ≫.
Così dicendo i suoi occhi puntarono la mia figura e quella di Edward al mio fianco. Tutti gli altri osservarono nella stessa direzione e un basso mormorio si diffuse tra le fila nemiche prima che Caius li zittisse con uno schiocco della mano bianca. Lo sguardo allegro di Aro mutò in delusione e rancore mal celato.
≪Pochi mesi sono stati sufficienti a farti innamorare di lui, Isabella? Cos’aveva costui che io non avrei potuto darti?≫, sussurrò, ma si riscosse immediatamente, come se quelle domande fossero un lusso che non avrebbe potuto concedersi.
Il suo sguardo passò da me ad Edward in un battito di ciglia, reclinò la testa di lato e lo scrutò con occhi indagatori. Edward sostenne il suo sguardo, stringendomi a se con un braccio.
≪Non lo saprai mai≫, urlò a un suo pensiero mio marito, ≪ma posso dirti che sono stato io il primo a scoprire la verità che per diciotto anni hai tentato di tenerle nascosto. Pagherai per tutto ciò che le hai fatto. Se dovesse essere necessario, perirai per mano mia≫, concluse, rivolgendogli uno sguardo gelido.
Aro ghignò e senza rispondere spostò lo sguardo alla mia destra. I suoi occhi vispi si soffermarono sul volto di Carlisle. Come la prima volta vidi due uomini completamente diversi, benché accomunati dalla stessa natura.
≪Carlisle≫, cantilenò Aro.
Mio padre non fece una piega, ma continuò a scrutare il suo volto con freddezza.
≪Ti avevo affidato la cosa più preziosa che avessi, contando sulla tua amicizia…≫.
≪Proprio tu parli di amicizia, Aro?≫, gli rispose Carlisle, ≪quando per primo ne hai tradito i valori. Hai compiuto un atto malvagio senza giustificazioni e ora ci minacci con un il tuo immenso esercito, sebbene la nostra unica colpa sia stata quella di cercare la pace e la mia quella di favorire l’amore tra due giovani≫.
Aro sorrise.
≪Mio buon Carlisle, da troppo tempo ti ostini a credere di essere umano. Noi vampiri siamo egoisti, crudeli e assassini per natura. Tutto il resto non è altro che ipocrisia. Ho soltanto tentato di fare mio ciò che volevo, di spianare il nostro sentiero in modo che la nostra razza potesse avere piena libertà di agire, ma oggi vedo qui volti familiari di amici pronti a uccidere me e i miei figli e questo mi riempie di delusione≫. Il vampiro sospirò con sguardo affranto e tinto di falsa innocenza.
Qualcuno ringhiò, altri sibilarono.
≪Ognuno fa le sue scelte, Aro. Io ho fatto la mia e come me il resto della mia famiglia. Tu non hai mai provato a combattere contra la tua natura...≫, disse Carlisle.
≪Perché dovrei?≫, chiese allora Aro.
≪Perché puoi≫, rispose Carlisle, gli occhi dorati sfidarono lo sguardo rosso con fermezza.
≪Ma anche se non desideri farlo, ti pregherei almeno di mantenere la pace Aro. Guardati intorno, anche chi non è vegetariano come noi non apprezza i tuoi metodi, né il fatto che tu ti approfitti così tanto del potere che gli stessi immortali ti hanno concesso, né le tue azioni malvagie verso questa ragazza innocente. Torna sui tuoi passi, Aro e dimostra di saper fare di meglio≫, mormorò Carlisle bonariamente.
Aro non gli badò e passò oltre, una ruga sulla sua fronte d’alabastro. Il suo sguardo ebbe un guizzo.
≪Lionel Drake≫, sussurrò, ≪immaginavo tu fossi coinvolto. La tua famiglia è stata a lungo mia nemica≫.
≪Chiunque abbia tentato di fermare la tua follia e di contrastare le tue azioni è tuo nemico. Immagino tu non sia l’uomo più affabile del mondo≫, rispose Lionel, tra l’ironia e il disprezzo. Aro sorrise ancora.
≪Cosa ti fa pensare che voi riuscirete a distruggere il mio esercito, Drake?≫, chiese Aro.
Lionel rispose al sorriso di Aro con un ghigno altrettanto sarcastico.
≪Noi abbiamo già ciò che tu desideri...≫, rispose, per poi continuare sibilando con ferocia, ≪come hai potuto pensare che lei sarebbe stata ai tuoi ordini? Ho atteso a lungo il momento in cui saremmo stati faccia a faccia, mostro. Tu, vile, hai ucciso il mio fratello di sangue. Quale forza ha mosso la tua mano? Come hai potuto massacrare due creature così...≫.
Lionel fu scosso dalle convulsioni e posò due pugni sulle tempie in cerca di concentrazione. Aro non attese che si fosse calmato e ritornò con lo sguardo a me.
≪Sei silenziosa, mia cara. Silenziosa e bellissima. Ho tanto immaginato il momento in cui avresti preso possesso delle tue capacità. Ho immaginato come sarebbe potuto essere... Tu mi conosci meglio di chiunque altro Bella e io conosco te. So cosa pensi, cosa desideri, cosa speri di ottenere, ma non ci riuscirai≫, mi disse, reclinando il capo in attesa di una mia risposta.
≪Ti sbagli, Aro. Io non ti conosco affatto. Come potrei conoscere la tua anima quando e così buia da allontanare persino la mia luce? E con te, in quel buio profondo da cui non si può far ritorno, condurrai il tuo esercito e tutti coloro che ti circondano e ti seguono≫.
Feci un passo avanti, rassicurando Edward con uno sguardo e lasciando la sua mano.
≪Conosco molti di voi fin da quando ero bambina e gli altri... so bene le pene che siete stati costretti ad affrontare prima di giungere a questa battaglia, questo esercito non è la vostra famiglia, contrariamente a quanto vi è stato detto. Voi siete stati strappati dalle vostre vite e costretti a diventare assassini, ad affrontare una guerra che non vi appartiene. Per tutte queste ragioni, abbandonate questa follia e riprendete in mano le vostre vite≫, dissi, poi volsi il mio sguardo ai più anziani.
Sentendo i miei occhi su di loro Felix, Demetri e Athenodora alzarono il capo.
≪Non temete la mia ira, non è ancora troppo tardi≫, lacrime calde bagnarono le mie guance e Felix fece un passo avanti, come richiamato dal mio dolore.
≪Non siamo costretti a combattere, oggi. Avete una scelta, ve ne prego, fate quella giusta≫, li pregai.
Demetri boccheggiò e Athenodora mosse un passo nella mia direzione. In quel momento Caius ringhiò, richiamando a se i suoi soldati e Marcus afferrò violentemente il polso della sua compagna, strattonandola e tirandola alle sue spalle, così che non potesse vedere neanche il mio volto.
≪Vi sta ammaliando≫, sibilò Caius.
≪Il suo potere è cresciuto, non lasciatevi ingannare. Ricordate qual è il vostro posto≫, sibilò, poi si rivolse a me.
≪Non convincerai nessuno di loro a seguirti. I più giovani, in precedenza, non avevano una vita a cui fare ritorno. Ci credi così sciocchi e meschini?≫, ghignò l’ultima parola, ben sapendo quanto in realtà fossero ignobili e proseguì: ≪Li abbiamo strappati dalla morte, dalla prigione, da una vita infelice, regalando loro l’immortalità e il potere≫.
≪Io non sto tentando di convincere nessuno, Caius. Loro sono semplicemente liberi di andare via, non devono scegliere né una né l’altra fazione. Credi davvero che la vita che gli avete “donato”, sia migliore? La vita di un assassino non è mai migliore≫, lo rimbeccai.
Caius sbuffò. Lo ignorai e proseguì.
≪Felix, Demetri, Athenodora≫.
Appena pronunciai i loro nomi alzarono il capo e mi fissarono fiduciosi... e impauriti.
≪Siete stati la mia famiglia più di altri, ora chiedo a voi di non scegliere la via della guerra. Andate e altri vi seguiranno. Voi siete i Volturi, i vostri signori non sono nulla da soli. Non date ascolto alle loro parole, sono menzogne e io so che voi non siete malvagi. Lo vedo nei vostri occhi. L’ho sempre saputo, fin da quando ero poco più che una neonata. Demetri, mi hai insegnato tantissimo e crescendo ho imparato a vederti come un confidente, un amico. Felix, il mio grande, grosso Felix. Mi hai sempre protetto, quando non sapevo camminare e ancora, una volta divenuta adulta, con costanza e devozione. Mai stufo di giocare, quando ne avevamo l’occasione... Athenodora. Tu ti sei sempre presa cura di me, regalandomi quanto più affetto potessi. Non lasciare che il tempo della tua vita sia scandito dall’inerzia. Non essere per sempre la comparsa della tua vita, so che vali molto di più...≫, sussurrai dolcemente.
≪Adesso basta≫, tuonò Marcus, non lo avevo mai sentito alzare la voce.
≪Questa storia deve finire. Tu ci appartieni, Isabella Marie Williams, sei una guardia dei Volturi, che ti piaccia o meno≫, urlò.
≪Marcus, fratello mio, non è il caso di perdere la calma≫, lo rabbonì Aro, che volse nuovamente il suo sguardo su di me.
≪Come dicevo prima, Bella, per quanto tu possa considerare questa un’ingiustizia, come ha appena detto Marcus, ci appartieni. Hai fatto il giuramento di fedeltà ai Volturi. La nostra legge non accenna alla possibilità di lasciare la guardia, per i motivi che tu porti oggi in causa. Quelle stesse leggi che gli immortali hanno approvato e che noi ci impegniamo a proteggere≫, alle sue parole si levarono fischi e ululati, ma Aro continuò a parlare sul baccano.
≪Torna con noi ed eviteremo la guerra. So quanto tu sia poco incline alla violenza. So che non vorresti essere costretta a batterti contro di noi, contro Felix, Demetri e Athenodora. Sei il loro capo, Bella, ordinagli di arrendersi e lo faranno. Sono certo che chiunque di loro sarebbe disposto a morire per te≫, disse, utilizzando anche lui le stesse parole di Lionel, ≪non permettergli di gettare così le loro vite. Se verrai con noi le faide finiranno. Tu sei una creatura compassionevole, Isabella Williams, non tradire ciò che sei proprio oggi, quando hai la possibilità di porre rimedio con un semplice gesto, soltanto per egoismo≫, concluse, indicando, con un gesto del capo, senza spostare lo sguardo dal mio volto, Edward alle mie spalle.
≪Saremmo disposti ad accettare anche il tuo compagno≫, aggiunse Marcus.
Aro voltò il capo nella sua direzione con un movimento invisibile e gli rivolse uno sguardo truce. Questo gliene restituì uno altrettanto grave e proseguì.
≪Possiamo accettare questa tua ribellione e il tradimento del clan di Olimpia, li lasceremo liberi. A patto che tu ti unisca nuovamente a noi≫, proseguì l’anziano.
Aro distolse lo sguardo dal fratello, Non aveva avanzato lui stesso quella proposta perché gli sarebbe costata troppo sforzo. Desiderava che il suo gioiello ritornasse nel forziere, tanto da accettare un colpo così forte al suo orgoglio di uomo... La sua proposta era allettante e ributtante al tempo stesso. E se questo fosse stato il massimo che avrei potuto ottenere? Potevo salvare le vite dei miei fratelli e quelle dei Cullen? Cos’era giusto fare? Il mio cuore desiderava evitare che del sangue, sia degli uni che degli altri, venisse versato. Ma potevo davvero condannare Edward, che mi avrebbe seguito senza remore, a tutto ciò? Il mio cuore si opponeva strenuamente a questa possibilità. Una creatura buona come Edward non poteva vivere nella rocca, senza luce né ossigeno. Costretto a diventare un assassino per amor mio. Ovviamente avrei potuto costringerlo a rimanere con la sua famiglia, ma se l’idea del distacco lo faceva soffrire anche soltanto una minima parte di quanto accadeva a me, gli avrei inflitto una pena orribile. Io ed Edward eravamo stati creati per stare insieme, non potevamo vivere diversamente. E ancora, avrei potuto consegnare il mio potere nelle mani di un essere spietato come Aro? Fin ora ero sempre stata certa che non mi avrebbe mai costretta a fare nulla contro la mia volontà, che lui agiva per la giustizia, anche se a volte utilizzava metodi violenti e sanguinari, ma le recenti rivelazioni mi avevano portato a scoprire una verità orribile: Aro Volturi non agiva in nome della pace. Un sibilo furioso mi riscosse dai miei pensieri.
≪Bastardo impenitente≫, ringhiò Esme. I suoi occhi bruciavano d’odio.
Edward mi strinse a se ed io posai il capo sul suo petto. Le parole di Esme avevano messo fine all’inquietante silenzio che ci aveva avvolti nei secondi precedenti e adesso ognuno si sentiva in dovere di esprimere il proprio parere. Ma le uniche parole sulle quali mi concentrai furono quelle di Edward: ≪Non ascoltare ciò che dice, Bella. Conosce i tuoi punti deboli; sta tentando di ingannarti, lo so. Non devi neanche prendere in considerazione l’idea di tornare da loro, oppure ogni cosa sarà stata vana. Non puoi farli vincere. Pensa ad Elena e Sebastian, hanno dato la loro vita per te. Hanno riposto tutta la loro fiducia in te, non puoi fargli questo, non puoi farlo a me. Non devi neanche prendere in considerazione l’idea di lasciarmi. Perché so che non mi permetteresti mai di seguirti a Volterra≫, arrossì, chinando il capo per nascondere il mio sguardo colpevole.
Edward prese il mio volto tra le mani.
≪Non gettare la tua vita, perché è un valore. Lo hai detto tu stessa poco fa. Ti prego, Bella≫.
Fissai i suoi occhi con intensità bruciante. Edward aveva ragione, non potevo dargliela vinta, annullando i sacrifici di mia madre e di mio padre. Lo avrei fatto, permettendogli di avere ciò che desideravano sopra ogni altra cosa: me. Mi alzai in punta di piedi e posai un dolce bacio sulla labbra di Edward, in fine mi voltai in direzione dei nostri nemici. Aro aveva ridotto gli occhi a due fessure, intento a scrutare gli scambi tra me ed Edward...
≪Aro... so che probabilmente dovrei odiarti dopo tutto quello che hai fatto, ma non ci riesco≫, i suoi occhi brillarono per un istante.
≪L’unica cosa che provo nei tuoi confronti e tanta, tanta compassione. Non riesco a guardare fino in fondo alla tua anima, non ci sono mai riuscita e adesso ne capisco il motivo. La tua anima è nera come una notte senza stelle. Nonostante tutto ciò che tu e i tuoi seguaci avete sempre fatto, io continuavo ad ostinarmi che in te ci fosse qualcosa. Evidentemente mi sbagliavo: sono stata una stupida a crederlo. E il momento che il mondo veda un po’ di luce ed è mio preciso dovere far si che questo avvenga. Per questo motivo non posso consegnare me stessa e i miei poteri nelle tue mani. Arrenditi Aro e va via, permettimi di credere che in te esista ancora un barlume di umana ragione≫.
Quando finì di parlare Aro rimase in silenzio, giungendo le mani sotto il mento e scrutandomi attentamente. Osservai Edward, ma evidentemente Aro era ben attento a nascondergli i suoi pensieri. In fine, parlò.
≪Hai ammesso di non conoscermi, Bella e forse hai ragione, ma io ti conosco molto bene. Conosco i tuoi punti deboli, come ha sottolineato Edward, e quelli della tua specie... Ti propongo un accordo... Dovrai battere e uccidere, sempre se ci riuscirai, un avversario che io sceglierò per te. Qualora tu ci riuscissi ti scioglierò dal tuo obbligo di guardia ed eviteremmo la guerra tornando sui nostri passi, come ha gentilmente consigliato Carlisle, in caso contrario...  sarai tu a perire sotto i colpi del tuo avversario≫.  
Ringhi, fischi e ululati giunsero dalle mie spalle. Eravamo tutti consapevoli che si trattava di una trappola, ma Aro conosceva bene la mia avversione a questa guerra, sapeva che avrei accettato, anche a costo della mia vita, questo accordo. Benché il suo primo tentativo fosse miseramente fallito, sapeva che avrei ceduto a questo. Lo avrei fatto, spinta dalla sicurezza in ciò che ero. Una sicurezza che avevo sempre avuto, ancor prima di prendere totale coscienza dei miei poteri. Questo nuovo accordo non includeva la mia prigionia o che io consegnassi i miei poteri, e quindi me stessa, nelle mani di Aro. In un modo o nell’altro, avrei vinto... Mi voltai in direzione del mio esercito; non osai incrociare lo sguardo di Edward. Avrei fatto tutto ciò che era in mio potere, pur d’impedire questa guerra. Non avrei potuto affidare a nessun’altro questo compito...
≪Non interferite, qualunque cosa dovesse succedere d’ora in poi≫, dissi semplicemente e il baccano cessò. Ritornai con lo sguardo ad Aro, al suo ghigno di soddisfazione e seppi per certo che era una trappola, eppure risposi: ≪Accetto il tuo accordo, a patto che tu ti impegni in una promessa≫.
≪Sulla mia vita≫, rispose ed io mossi i primi passi verso di lui.
Non avevo idea di quali potessero essere i suoi pensieri, mentre mi osservava avanzare, nel silenzio più totale. Non sapevo quale genere d’inganno avesse escogitato e si celasse dietro quell’accordo. Aro sapeva bene che ero immune al potere di qualsiasi vampiro. E nessun licantropo si sarebbe mai schierato dalla loro parte, tantomeno i mutaforma... E se ci fosse stato un vampiro cui io non ero immune? Se la sua intenzione non fosse mai stata quella di uccidermi? Se, stremata dal combattimento e dai colpi infertami, mi avessero presa per poi avventarsi sui miei fratelli? Senza di me avrebbero avuto una qualsiasi possibilità di uscirne vivi?
Ormai era troppo tardi per tornare indietro, avrei tentato, contando su ciò che ero e su ciò che sapevo fare. E questo, ero certa, mi avrebbe donato una grande forza. Mi fermai a metà del nostro campo di battaglia, attendendo il mio avversario. Aro schioccò le dita, con gli occhi rossi e luminosi fissi sulla mia figura. Ero certa che fosse entusiasta di vedere ciò di cui ero capace ora.
≪Shanna, Adam, venite avanti, miei cari≫.
Sono in due, fu il mio primo pensiero.
Che fosse questo il tranello? Lo ritenevo improbabile. Aro sapeva che, nel mio caso, il numero di avversari non faceva alcuna differenza, che fossero in due o in cento, non avrebbero potuto nulla contro di me.
≪Li ho cercati a lungo, Isabella. Posseggono un dono che, a mio avviso, è l’unico capace di fermarti. Ora, dopo i recenti avvenimenti, lo credo molto più probabile di un tempo≫, disse Aro, notando la confusione sul mio volto.
L’esercito dei volturi si aprì in due ali di soldati con un movimento unisono e silenzioso e davanti al mio sguardo attonito comparve una ragazza. Una vampira. Certamente non poteva avere più di vent’ anni, con i suoi lunghi capelli castani e lo sguardo basso, intimorita e timida, almeno era questa l’impressione che dava. Il suo comportamento mi strabiliava. Cercai immediatamente d’individuare la sua forza di volontà e la trovai lì, al suo posto, come quella di chiunque altro. Non mi sbagliavo: la ragazza non era soltanto timida ma succube di qualcosa o di qualcuno. Mi aspettavo che alle sue spalle comparisse il mio secondo avversario: Aro non poteva realmente aver scelto lei. Sarebbe stato troppo semplice per me batterla. Eppure i vampiri si richiusero su loro stessi e nessun’altro si fece avanti. Cercai il volto di Aro, in attesa di una spiegazione...  Il mio sguardo non fu abbastanza svelto da allontanarsi dal volto della timida ragazza che un cambiamento vi avvenne altrettanto rapidamente. Al suo posto, con la velocità di un battito di ciglia, comparve un ragazzo. Aveva certamente la sua stessa età e, notai, il suo volto era identico a quello di Shanna, ma le loro volontà erano molto diverse. A differenza della prima, il secondo era dotato di una forte determinazione, quasi a voler compensare la mancanza della giovane. In un battito di ciglia la ragazza riapparve al suo posto. Aro rise della mia espressione strabilia.
≪Adam e Shanna in origine erano due gemelli identici, fin quando Adam morì. Lui e la sorella erano molto legati, lei ne era dipendente, essendo lui il più forte della coppia. Non sappiamo come successe, ma si fusero durante la trasformazione di Shanna in vampiro, la quale a sua volta aveva rischiato di morire. E adesso sono un tutt’uno, identici nell’aspetto e nella forza, combattono come un sol uomo≫, spiegò Aro.
Scostai il mio sguardo dal volto di Aro per fissare quello di Adam e Shanna che si succedevano in scambi continui al secondo. Continuavo a non capire. Neanche così avevano alcuna possibilità contro di me. Aro mi stava davvero sottovalutando?
≪Bene, direi che potete iniziare. Ammesso che tu lo voglia ancora, Isabella e che non abbia cambiato idea≫, disse.
Sbuffai e fissai il mio sguardo sui miei avversari. Aro fece un passo indietro e questo fu il segnale che diede inizio allo scontro.
Mi sorpresi di riuscire a bloccarli nella loro immobilità senza grandi sforzi. Forse Aro contava proprio sul fatto che io continuassi a chiedermi, durante lo scontro, da cosa dovessi guardarmi le spalle, distraendomi dal mio obbiettivo. Non mi sarei lasciata ingannare.
Senza avvicinarmi costrinsi entrambi a scontrarsi con il terreno, sollevando un nuvola di polvere, forse con troppa forza. Mi avvicinai con cautela al corpo riverso sul terreno, che mi fissava in un primo momento con gli occhi impauriti e innocenti di Shanna e in un secondo momento con la freddezza e la compostezza di Adam. Un tocco sarebbe bastato per ucciderli. Li sovrastai, fingendo di essere pronta a compiere un omicidio, finché qualcosa non cambiò.
Sia Adam che Shanna scomparvero, lasciando il posto ad una figura familiare.
La mascella squadrata, la linea dritta del naso e gli occhi dorati che m’imploravano di non farlo, Edward mi fissava, accasciato a terra...
L’orrore di quella scena mi sconvolse quanto l’idea di essere stata io la causa di quella sofferenza nel suo sguardo, fin quando anche lui non svanì ed io fui scaraventata, da una forza devastate, dall’altro lato del campo di battaglia. Atterrai su un fianco. Tentai di riprendermi velocemente. Mi alzai tenendomi il fianco dolorante. Edward mi si avvicinò e mi fissò dall’alto del suo metro e ottanta, con i suoi caldi occhi color ambra, e si dileguò. In cambio mi ritrovai a fissare l’espressione dolce e rassicurante di Esme. Si chinò su di me... e ancora una volta fui scaraventata lontano, sbattendo la testa contro il terreno duro. Un ringhio feroce alle mie spalle fece tremare la terra sotto il mio corpo. Lo riconobbi come un suono familiare, ma non riuscì a voltarmi per confermare i miei sospetti. Accasciata al suolo, giunsi all’ovvia conclusione sulla strategia di Aro. Ripensai alle sue parole e capì.: ≪Li ho cercati a lungo, Isabella. Posseggono un dono che, a mio avviso, è l’unico capace di fermarti. Ora, dopo i recenti avvenimenti, lo credo molto più probabile di un tempo.
Che ironia.
Quale punizione peggiore se non farmi uccidere dalle persone che amavo. Shanna e Adam avevano il potere di cambiare aspetto e non soltanto, anche la loro volontà mutava. Ed era proprio questa che mi traeva in inganno. Non ero immune al loro potere perché l’illusione non avveniva nella mia mente, il loro dono non mi colpiva direttamente. Tutti vedevano ciò che vedevo io. Ed Aro sapeva che non avrei mai avuto la forza di attaccare Edward o Esme o chiunque altro di loro. E adesso Shanna e Adam mi avevano in pugno. Tentai di alzarmi, ma un calcio sulle gambe mi fece ricadere a terra, urlando per il dolore. Un’unica, semplice, distrazione mi aveva portata alla sconfitta. Aro mi aveva colpito negli affetti, il mio più grande punto debole. Il mio corpo, semplicemente umano, era scosso da tremori e singhiozzi. E in quel momento capì che la punizione non era semplicemente mia, ma di tutti loro. Dei Cullen specialmente e di Lionel, che vedevo avanzare adesso verso di me. Questa mia morte avrebbe distrutto Edward, consapevole che era stata la sua immagine a fermarmi. Adam, Shanna, Alice, Jasper, Emmet, Rosalie, Carlisle si susseguivano ad ogni attacco. Non mi sorpresi del ringhio bestiale che stava facendo tremare la radura, certamente più forze bloccavano Edward, per impedirgli di correre verso di me. Fui loro grata. Benché per me non costituissero un grande sforzo, in realtà, Shanna e Adam erano molto più forti dei comuni vampiri. Edward avrebbe avuto la peggio e se si fosse avvicinato, i Volturi lo avrebbero ucciso, trovando in lui un pretesto per dare inizio alla guerra.
Già, la guerra.
Dalla mia morte sarebbe conseguito l’inizio della battaglia finale, che vedeva sfavoriti i miei fratelli e i Cullen. Non riuscivo ad impedire gli attacchi che si susseguivano con il volto dei miei familiari. Mi proteggevo il viso con le braccia, ma non avevo le forze per far nulla. Alice mi si avvicinò con il suo passo aggraziato e un sorriso obliquo sul volto, mi prese per mano in un gesto amichevole, per poi scagliarmi lontano diverse centinai i metri: lontano da tutti. Mi accovacciai in posizione fetale e da quello stato non riemersi...
Un silenzio innaturale, quasi pacifico, accompagnò la mia anima. Il silenzio della morte, supposi.
Il suono di voci irruppe nel mio personale oblio, traguardo di una vita conclusa nel peggiore dei modi: in attesa che altre esistenze la raggiungessero...  
Sentivo i toni rassicuranti di quelle voci d’accoglienza appartenermi, benché non le avessi mai udite prima. Mi alzai da terra, sorprendendo me stessa di riuscirci.
Ero nel pieno delle mie forze fisiche, come se non fossi stata ripetutamente percorsa da vampiri con i volti delle persone a me care. Consapevole di ciò che fosse successo, mi guardai intorno, confusa dalla rapidità della morte. Una sensazione di formicolio alle piante dei piedi mi costrinse a chinare il capo. Ciuffi d’erba sorprendentemente verdi e bagnati di rugiada si insinuavano tra le dita, solleticandomi piacevolmente. Mi trovavo in un campo d’erba, perfetto e illuminato da una luce di dubbia provenienza. Seguì le voci che udivo sempre con più chiarezza man mano che mi avvicinavo. E li vidi. La foto, unico ricordo che avevo di loro, non era stata capace di rendergli giustizia. Elena e Sebastian mi guardavano con gioia, ma anche infinita tristezza, teneramente abbracciati. Mi avvicinai a loro, attonita e incerta.
Mamma, papà, sussurrai.
Loro sorrisero.
Come se fossi una bambina corsi a perdifiato verso di loro, gettandomi tra le loro braccia. Elena e Sebastian ricambiarono con altrettanta passione quel mio gesto infantile ed istintivo. Mi lasciai andare ad un pianto liberatorio, mentre Elena mi carezzava i capelli, in un gesto così materno e carico d’affetto che mi sentì immediatamente al sicuro, beata nella serenità della morte. Mi stavano aspettando. Mi avevano aspettata per tutto quel tempo e adesso eravamo di nuovo insieme. Mi persi negli sguardi di mia madre e di mio padre. Erano come li avevo sempre immaginati negli ultimi tempi, gli unici momenti in cui mi ero permessa di pensare a loro. Eppure c’era qualcosa che stonava, nel loro sguardo, con la mia gioia.
Non siete felici che io si qui con voi?, chiesi incerta. Elena e Sebastian si scambiarono uno sguardo vago.
Certo che siamo felici di essere con te, bambina mia, rispose mia madre. Mi attirò a se, stringendomi sul suo petto, come a voler recuperare ogni istante in cui non aveva potuto farlo. La sua voce mi trafisse il petto e si incise su di esso. Sebastian le sfiorò un braccio e questa mi lasciò andare, seppur di malavoglia.
Siamo entusiasti che tu sia con noi, amore mio, continuò mio padre, ma non è ancora giunto il tuo momento.
Cosa?, chiesi.
Tu non puoi morire, mio dolce angelo, chiarì mio padre . Cercai il volto di mia madre, bramando una conferma e lei annuì.
Tu sei destinata a cose ben più grandi della morte. Tu sei coraggiosa figlia mia, non puoi arrenderti, non ancora, disse.
Ho fatto tutto ciò che potevo, le risposi.
Non è così, disse mio padre. Ricordi le parole del mio diario?, chiese poi.
Le ricordo tutte, risposi.
Non permettere a nessuno di portarti via la speranza, né la fiducia negli altri. Non desistere, tu sei speciale. Se tu non riuscirai nel tuo compito, nessun’altro potrà. Vivi e sì ciò che sei nata per essere. Il tuo cuore è grande, mio dolce angelo, il tuo coraggio ineguagliabile. Combatti per lui, combatti per te stessa, combatti perché ciò che vi lega non sia soltanto un ricordo in questo mondo, ma il senso della tua vita oggi e  per tutte le ere a venire, recitarono Elena e Sebastian.
≪Come posso fare? Non riuscirò ad evitare la guerra!.
Certamente non potrai farlo se ti lasci andare alla morte, mi ricordò Sebastian.
Tesoro, mia madre mi carezzò una guancia, qui hai noi, certo, ma lì... hai qualcuno che ti ama con tutto se stesso. Hai una famiglia splendida di cui io sono orgogliosa. Edward è un ragazzo meraviglioso e il vostro amore è molto più forte di qualsiasi ostacolo la vita possa mettervi davanti, anche la morte... Sono fiera delle tue scelte.
Anche io lo sono, è un uomo d’onore, mi sorrise mio padre.
Niente potrà salvarli se tu non riapri gli occhi, Bella. Ricorda, figlia mia, dalla morte nasce sempre una nuova vita, disse Elena.
Ricorda sempre che sei Isabella Marie Williams, la nostra figlia adorata. L’unione d’amore tra due dei clan più forti del nuovo mondo.
Ricorda di non dubitare mai dell’amore, aggiunse Sebastian,  perché arriva quando meno te lo aspetti. E ti colpisce direttamente al cuore≫, disse, rivolgendo ad Elena uno sguardo adorante. Lui aveva provato personalmente ciò che diceva con mia madre.Sebastian posò una mano sul mio petto, dove il mio cuore, sorprendentemente, ancora batteva.
Non arrenderti mai e quando sarà il momento, tornerai da noi. Ricorda Bella che hai delle persone vicino a te, che non sei sola. E alcune di queste persone sono in grado di sorprenderti≫, continuò mia madre.
Elena posò una mano sul mio fianco, in un gesto affettuoso. Le loro voci si affievolirono, pian piano ritornava il silenzio, e le loro carezze sfioravano appena il mio corpo e il mio volto.
Aspettate, non sono pronta a lasciarvi andare. Ho bisogno di voi, mi siete mancati così tanto!.
Elena e Sebastian sorrisero, persi nei rispettivi sguardi innamorati. Il loro amore era una certezza solida e innegabile.
Devi lasciarci andare, amore. Vai, torna  a casa. Contano tutti su di te, non puoi abbandonarli. Non puoi abbandonare lui: lo uccideresti. Noi ti proteggeremo, come abbiamo sempre fatto. A presto, amore mio, sussurrò mia madre.
Così Elena e Sebastian sparirono.
Fui catapultata con violenza nella realtà. Percepivo nuovamente il terreno freddo ed ispido sulla guancia. Tremai, accorgendomi di essere ancora  in posizione fetale. Ebbi bisogno di un attimo per assimilare tutto ciò che era successo. Le parole dei miei genitori e la consapevolezza che mi avessero salvato dalla morte. Un impeto di gioia  riscaldò il mio cuore: approvavano Edward e i Cullen. Ero il loro angelo. Le voci di mia madre e di mio padre continuavano a sussurrare alle mie orecchie parole di fiducia e amore. La voce di mia madre era stata in grado di donarmi un’incredibile sensazione di sicurezza. Nella morte avevo appreso cosa si provasse nell’abbraccio dei propri genitori. Avevo visto con i miei occhi l’amore tra Elena e Sebastian ed io ne ero il frutto.
Ero coscienti di poter dare molto più di quanto avessi fatto fin ora, fin quando non avessi perso di vista chi ero. Mentre mi riscuotevo dall’intorpidimento del mio presunto decesso, non sentì sopraggiungere il dolore per le varie ferite infertami. Mi sentivo bene nel mio corpo e non il mucchietto di ossa rotte che avevo immaginato. Poi capì.
Le carezze dei miei genitori... loro mi avevano guarito, come io avevo fatto con Lionel. Ciò voleva dire che non avevo semplicemente sognato... Era stato reale... non frutto della mia immaginazione.
In lontananza  una voce familiare sussurrò il mio nome. I sussurri divennero presto suoni molto più forti ed acuti, mentre riprendevo coscienza di me stessa, del luogo e del tempo. Edward stava urlando il mio nome da chissà quanto tempo e questa volta ero certa che fosse lui. Volevo rispondere a quella voce, tranquillizzare mio marito, immaginando ciò che stava provando. Era facile mettermi nei suoi panni: al suo posto sarei impazzita. Mossi le mani e le braccia, felice di trovarli entrambi. In fine, senza tutta la fatica che avrei dovuto fare se i miei genitori non mi avessero guarita, riuscì ad issarmi da terra facendo leva sulle braccia. E il suono straziante di Edward che invocava il mio nome si spense, in cambio di un silenzio ricco di stupore e meraviglia.
Mi drizzai sulla schiena, illesa, e alzai lo sguardo su ciò che mi circondava. Amici e nemici mi fissavano, immobili e attoniti, lieti e desolati di sentire il mio cuore battere tanto chiaramente. Come avevo immaginato Emmet, Jasper e Lionel stringevano Edward nelle loro morse possenti, impedendogli qualsiasi movimento. Allentarono la presa sul corpo di mio marito, che sembrava non voler opporre più alcuna resistenza, ma che mi fissava con lo sguardo più sollevato che avessi mai scorto indosso al suo meraviglioso volto. Esme, che aveva fin ora singhiozzato tra le braccia di Carlisle, si allontanò dal suo compagno con uno sguardo altrettanto sollevato. I miei occhi perlustrano la radura, fino ad incontrare lo sguardo del mio nemico, talmente stupefatto da risultare divertante ad una persona dal cupo umorismo. Avanzai un passo nella loro direzione e Adam e Shanna indietreggiarono con un movimento unisono. Per la prima volta durante tutto il tempo del nostro scontro che li aveva visti in vantaggio su di me, vidi, nei loro occhi rosso rubino, un barlume: terrore. Mossi un altro passo nella loro direzione e questi indietreggiarono ancora. Sollevai il mento, in tutta la mia altezza e fronteggiai quei volti impauriti.
≪Cosa. Diavolo. Sei. Tu≫, sibilarono le parole prima con una poi con l’altra voce, entrambe celavano la medesima paura.
Non risposi, mi limitai a sorridere. Un sorriso che non mi era mai appartenuto. Talmente fiero e sicuro, cupo e inquietante, ma al contempo rassicurante e compassionevole verso il mio sfortunato nemico, che Shanan e Adam indietreggiarono ancora, sibilando tra i denti. Quello che doveva essere un suono minaccioso, apparve alle mie orecchie come un gemito di paura.
≪Non. E’. Possibile. Il. Tuo. Cuore. Si era. Fermato. Non. Batteva. Più≫.
Quella notizia mi lasciò per un attimo perplessa. Non avevo idea che il mio cuore si fosse fermato. Nonostante fossi praticamente ritornata dall’oltretomba, quella notizia era il primo vero indizio che mi faceva capire quanto vicina fossi stata alla morte. Non permisi a me stessa ulteriori distrazioni e con un semplice gesto del capo e una fuoriuscita equilibrata ma impressionante per chiunque non fossi io di energia scaraventai il corpo rigido del mio nemico al di là del mio campo visivo. Il corpo atterrò con un terribile frastuono sul terreno e vi lasciò una profonda increspatura. Shanna e Adam si issarono da terra con un ringhio profondo e gutturale. Li bloccai sul posto mentre mi avvicinavo a loro lentamente e con passo cadenzato. E ancora una volta, quando gli fui vicina, la loro immagine mutò. Gli occhi di Edward mi fissarono con lo stesso terrore di quelli del mio nemico.
≪No, Bella≫, urlò il mio Edward, dalla mia destra.
Non mi voltai a guardarlo, mentre un nuovo sentimento m’invadeva fin nel profondo.
≪Bella≫, sussurrò la perfetta imitazione di mio marito, ≪non puoi uccidermi. Ti prego, guardami≫.
Il suono dell’imitazione possedeva sorprendentemente lo stesso tono vellutato e musicale dell’originale, ma non fu questo a stupirmi. Riuscì a riconoscere il sentimento di poco prima, scoprendo che in realtà si trattava di due emozioni distinte. Da una parte c’era l’amore. Un amore incondizionato e sconsiderato, un’adorazione profonda e radicata verso quella figura e il suono di quella voce. Dall’altra parte c’era odio. Un odio cieco e cocente, che la prima volta non avevo sentito perché tutto era successo troppo in fretta. Odio verso quel mostro assassino che aveva osato prendere le sembianze di alcune delle persone migliori che avessi mai conosciuto. Odio perché aveva osato assumere l’aspetto, la voce, la volontà del mio amore. Una determinazione unica e ineguagliabile, che il corpo del mio nemico non avrebbe mai potuto contenere. Il mio nemico non riconosceva la straordinaria fortuna che aveva nel prendere sembianze e volontà di Edward Cullen. Senza più riuscire a trattenerlo, gli urlai contro tutto il risentimento che avevo in corpo.
≪Tu, creatura aberrante, come puoi appropriarti in questo modo della vita di qualcun’altro, costringendolo a gesti che neanche nei suoi momenti più neri avrebbe mai compiuto. Tu non sai quanto sia splendida e unica la sua volontà, non ti permetto di appropriartene. Non per fare del male a me. Non puoi più sperare che questo patetico trucco possa cogliermi ancora in fallo. La tua vita è stata segnata nel momento esatto in cui hai deciso di combattere contro di me≫.
In fine, volsi il mio sguardo in direzione di Aro.
≪Ho appena sfiorato la morte, Aro Volturi. E lì, tra vita e non vita ho incontrato le meravigliose creature che diciotto anni orsono tu hai ucciso, portandole via da me. Eppure, com’era facile immaginare, il tuo odio non li ha separati, privandoli del reciproco amore. Hai fallito. Hai tolto loro la vita terrena, ma la stessa sorte non spetterà a me. Elena e Sebastian Williams mi hanno salvato nuovamente dalla morte, da te, guarendo il mio corpo e dando nuova speranza alla mia anima. Hai detto di conoscermi, Aro, ma la persona che conoscevi non esiste più, non è mai esistita. Tu credi che io non possa uccidere, che anteporrei ancora i maligni a me stessa, anche coloro che non hanno alcuna possibilità di redenzione. Non è più così. Ora so distinguere tra cosa è giusto e sbagliato. E tu non hai idea di cosa io sia pronta a fare per le persone che amo, perché tu, da creatura abbietta e insignificante quale sei, non ha mai amato nessuno≫.
Così dicendo mi voltai verso Adam e Shanna e mi mossi verso di loro. Questi tentarono di arretrare, ma una forza mille volte più grande della loro li teneva fermi. Quando fui loro di fronte posai una mano sul cuore muto. Se avessi voluto avrei potuto rendere il mio contatto mortale per loro. Fissai lo sguardo dorato e impaurito di Edward, sperando nella reazione che desideravo.
≪No, ti prego≫, sussurrò e il mio cuore perse un battito, sentendo la sua voce incrinarsi, ma ciò non mi fermò.
Quello non era Edward.
Premetti sulla sua pelle con ancor più forza. Immaginai che, vista da uno spettatore non direttamente coinvolto, la scena sarebbe sembrata alquanto strana. Edward s’irrigidì.
≪Allora≫, urlai, ≪m’implori come Edward, Esme, Alice, Carlisle, Jasper, Rosalie, Emmet Cullen e Lionel Drake, coloro cui hai rubato l’aspetto, oppure chiedi perdono e compassione  in nome di Adam e Shanna?≫.
 Il mio nemico mi guardò come se non riuscisse a capire le mie parole. Premetti sul suo cuore.
≪Ho chiesto se siete voi, gemelli, a chiedere il mio perdono e a pentirvi delle vostre malefatte, senza trucchi né cambi d’immagine. Siate sinceri ed io vi concederò il perdono≫.
Una scintilla di consapevolezza attraversò il loro sguardo e la loro immagine mutò. I loro volti ritornarono a fissarmi, limpidi e contriti.
≪Ti prego, perdonaci≫, dissero entrambi, prima con una e poi l’altra voce. Fissai i loro occhi e volli credere che la mia iniziativa avesse portato qualcosa di buono. Se fossi riuscita a salvare anche soltanto uno dei miei nemici, mi sarei ritenuta una donna fortunata. Allontanai il mio tocco e indietreggiai di vari passi, per poi lasciarlo libero di muoversi.
≪Ti seguiamo≫, dissero.
Annuì e mi voltai, affiancata da Adam e Shanna.
Successe tutto troppo velocemente, ma ciò che vidi in seguito, mi riportò immediatamente alle parole dei miei genitori.
Adam e Shanna si fermarono alle mie spalle, improvvisamente privi di qualsiasi accenno di volontà. Avevano per così tanto tempo mescolato la loro con quella degli altri che mutarla non gli costava alcunché. Per questo motivo non intuì immediatamente le loro intenzione.
≪Noi. Non. Conosciamo. Il perdono. Né. La. compassione≫, dissero nello stesso istante in cui Edward urlava: ≪No≫e cogliendo tutti di sorpresa si scrollò di dosso Emmet, Jasper e Lionel e corse verso di me. Mi voltai e incrociai il sorriso sarcastico del mio nemico nel momento in cui si fiondò sulla mia gola.
Sapevo che Edward non sarebbe potuto arrivare abbastanza in fretta e che quindi nessun’altro dei miei amici avrebbe potuto impedirgli di finirmi. Eppure, quando il corpo di Adam e Shanna fu allontanato da me e in due abili mosse atterrato intuì che qualcosa o qualcuno era comunque corso in mio soccorso. Mentre fissavo l’agile figura che sovrastava il mio nemico capì che non si trattava di Edward e intuì cosa nel mio stesso pensiero di pochi istante prima non andasse. Avevo calcolato che nessuno dei miei amici sarebbe stato abbastanza veloce da raggiungermi. La mia mente non aveva preso in considerazione l’idea che un mio nemico potesse sorprendermi. I miei genitori avevano ragione. Athenodora, la mia splendida Athenodora, la creatura più veloce che conoscessi, più veloce persino di Edward ed Alice, aveva afferrato il mio nemico per le spalle con tanta grazia ed eleganza da far invidia a qualsiasi predatore e con un tale odio nello sguardo e un istinto materno che non avevo mai visto in lei, ne appiccò il fuoco con un gesto rapido della mano per poi balzare alle sue spalle.
Tutto divenne silenzioso nella radura, a parte le  urla strazianti del mio nemico che bruciava nel fuoco del suo stesso odio, ma dovevo immaginare ormai, che le cose non avrebbero potuto sistemarsi tanto facilmente.
≪Allontanati≫, urlò Edward e sia io che Athenodora pensammo che si stesse riferendo a me, ma all’improvviso, quel corpo bruciante la afferrò per la vita sottile, trattenendola per il collo finché le fiamme non la inghiottirono e fu in quel frangente che incontrai il suo sguardo e mi sorpresi di ciò che vidi. Nei suoi occhi non c’era paura della morte, né risentimento, soltanto tanta gioia e serenità. Un sorriso le si dipinse sulle labbra. Il sorriso di chi accoglie la morte come la libertà eterna.      
Ogni cosa sfuggiva dalle mie mani troppo velocemente, neanche stessi tentando di afferrare dell’acqua. Nel silenzio tombale calato improvvisamente nella radura dopo le urla di Adam e Shann, immediatamente susseguito alla morte di Athenodora, si udì soltanto il tonfo delle mie ginocchia contro il terreno quando fui in ginocchio, accanto ai resti carbonizzati di quella che era stata la mia madrina per diciotto anni. Una sorella lontana, una madre un po’ fredda e adesso non c’era più. I ricordi iniziarono a scorrere nella mia mente e in quel momento intuì quanto davvero infelice fosse stata Athenodora in vita. Come me, era stata strappata alla sua famiglia e da un futuro felice per capriccio, senza possibilità di scelta. Niente era giunto per salvarla, come Edward e i Cullen avevano salvato me. Per quale motivo quella sorte era spettata a lei? Elena mi aveva assicurato che non ero sola, che le persone che mi circondavano mi avrebbero sorpreso. Athenodora era stata una di quelle persone. Ma  a quale prezzo? Tempo fa, quando la mia vita sembrava seguire un percorso già scritto, Athenodora, in tutta la sua straordinaria bellezza, si era chinata al mio capezzale, afferrando la mia mano di bambina e posandola sul suo cuore, dicendo: ≪Giuro, bambina, che non ti lascerò mai. E ti proteggerò sempre, anche a costo della mia vita. Perché da quando tu ne fai parte brilla costantemente di luce e di una nuova speranza. Se dovessi morire per te, piccola, lo farei con il sorriso sulle labbra.
E così era stato. Mi aveva dimostrato il suo valore, benché per pochi istanti. Era riuscita a fuggire dall’ombra del suo signore. Era libera, finalmente. In quel momento, avvolta dall’odore dolciastro emanato dal corpo di Athenodora, compresi che quella battaglia non era mai stata solo mia, ma di tutti coloro cui i Volturi avevano distrutto la vita, senza pentimento alcuno. Mi alzai da terra e con un gesto della mano bloccai Edward che stava per seguirmi; qualcosa nel mio sguardo gl’impedì di disubbidire al mio ordine. Mi diressi con passo lento ma determinato  verso i miei nemici, arrestandomi a qualche metro di distanza da loro. Aro mi fissava, tentando probabilmente di carpire le mie mosse. Non gli badai e mi voltai verso Marcus, attonito a fissare ciò che rimaneva di sua moglie.
≪Sei consapevole di averla uccisa?≫, chiesi.
Marcus mi fissò in modo indecifrabile.
≪Sto parlando di secoli orsono, nel momento esatto in cui, senza alcun consenso, hai conficcato i tuoi denti nella sua carne, rendendola come te≫.
Marcus deglutì ma non rispose alla mia accusa.
≪Non ti chiederò ciò che provi, perché temo la tua risposta. Ma ti prego di fissare il tuo sguardo su ciò che rimane di lei e di pensare come sarebbe stata la sua vita se quel disgraziato giorno non avessi incontrato la sua strada≫.
Allontanò lo sguardo, chinando il capo. Per troppi millenni aveva indossato la maschera del dio per accettare di avere torto. Fissai nuovamente il mio sguardo su Aro.
≪Sei adirata, Bella. Non credo di averti mai vista così furiosa≫.
Gli restituì il ghigno sarcastico.
≪All’inizio Aro, mi hai chiesto come fossero potuti bastare quattro mesi a farmi innamorare di Edward. Ti assicuro che sono stati più che sufficienti. E’ bastato un solo sguardo, quel giorno a Volterra, perché io capissi di appartenergli. Tutti gli anni che abbiamo passato insieme non sono stati sufficiente a farmi provare la stessa cosa nei tuoi confronti. Per quanto tu mi abbia sempre considero una tua proprietà è giunto il momento che tu capisca che le persone non possono essere comprate come fossero giocattoli per bambini. Athenodora  lo ha capito e prima di morire si è liberata delle catene che per tanti anni tuo fratello le ha imposto di portare. Io mi sono liberata di quelle catene tanto tempo fa e adesso capisco che non c’è modo per evitare questa guerra, perché non è più una battaglia soltanto mia, non lo è mai stata. Io sono soltanto la portavoce di un urlo che chiede la tua morte. Là≫, dissi, indicando i fratelli alle mie spalle, ≪ci sono storie al cui confronto quella di Athenodora sembra una barzelletta divertente. Con il veleno della tua anima hai rovinato la vita a tante persone innocenti, le stesse le cui anime ancora oggi ti perseguitano, attendendo il tuo trapasso nel regno dei morti, dove pagherai per i crimini di cui in vita ti sei macchiato.  E tu morirai, Aro Volturi, con la consapevolezza che la tua avidità è stata la tua rovina. E sarà proprio il tuo desiderio più grande, quello di possedere me, l’unico desiderio che non si è mai avverato, neanche per un istante e mai si avvererà a segnare la tua fine e la fine di un’era≫.
Il ringhio che fuoriuscì dalle sue fauci fece sobbalzare i rigidi soldati della sua guardia e si perse nell’aria e nella nebbia. Improvvisamente me lo ritrovai alle spalle. Mi aveva afferrato per la vita e stringeva il mio collo con una delle sue mani bianche e ossute. Rabbrividì per il disgusto. Provai a costringerlo a lasciarmi ed allontanarsi, ma, come soltanto una volta era successo, tempo addietro con Benito, non funzionò. Aro rise, amplificando la presa sul mio corpo.
≪Lo hai detto tu stessa, Bella. La mia anima è nera, neanche la tua luce è in grado di penetrarvi. Non puoi obbligarmi a fare alcunché. Mi sono allenato a lungo contro il tuo potere, ricorda che io ho diciotto anni di vantaggio≫.
≪Diciotto anni di menzogne e falsità. Tu sei il male, la sua aberrante personificazione≫.
≪Sei sempre stata piuttosto arguta, ma hai fatto il madornale errore di perseguire la verità... e l’amore≫.
Il suo alito freddo soffiò sul mio collo e nell’orecchio, facendomi rabbrividire ancora.
≪Li perderai tutti e pagherai per la tua disobbedienza. Non ho mentito quando ti ho detto di amarti≫, sussurrò.
≪Tu non conosci il significato dell’amore≫, risposi.
≪Forse avrei potuto, se tu fossi diventata mia moglie. Hai mai pensato che la mia speranza di redenzione fossi tu? La tua presenza al mio fianco per l’eternità?≫, disse.
≪L’eternità non sarebbe sufficiente a cambiarti≫, sibilai.
≪Credi?≫, sussurrò.
Nello stesso istante un ringhio furioso giunse alle mie orecchie. Edward era di fronte a noi, fissava Aro con tanto odio e disprezzo che i lineamenti del suo bel viso si distorsero in una maschera totalmente sconosciuta. Eppure, in quegli occhi riconoscevo il mio amore e senza pensarci lo implorai che mi salvasse, che lo facesse ancora.
≪Lasciala immediatamente. Leva le mani di dosso a mia moglie≫, sibilò.
La scelta delle parole non era stata casuale, Aro rise.
≪E’ stata sotto la mia ala fin da quando era in fasce, cosa ti fa pensare di avere più diritti su di lei di quanto non ne abbia io?≫, gli chiese.
≪Perché io non l’ho costretta a preferire me, è stata lei a scegliere di volermi appartenere. O forse nessuno dei due a potuto scegliere≫, continuò, addolcendo il tono della sua voce, incontrando il mio sguardo.
Aro ringhiò.
≪La porterò via con me, nessuno può opporsi, neanche lei. Per quanto lo voglia, la sua volontà non è sufficiente contro la mia≫.
Quelle parole mi trafissero il petto. La sua volontà era guidata dalla follia, lui non aveva nulla da perdere e questo lo fortificava; io avrei perso tutto. E capì. La mia volontà non sarebbe stata sufficiente, ma  c’era qualcosa in tutto l’universo in grado di distruggere un male così profondo. Alzai lo sguardo e incrociai gli occhi pieni di preoccupazione di Edward. La sua angoscia e il suo amore erano echi delle mie emozioni. Non avrei mai potuto sottrarmi da quella presa per me stessa, ma avrei potuto farlo per Edward. Grazie agli insegnamenti di Lionel riuscì ad incapsulare la spaventosa quantità di energia che quel pensiero aveva portato con se e spinsi con tutte le mie forze contro la follia e l’odio di Aro. Fu uno scontro tra titani, invisibile ad occhio nudo. Chiusi gli occhi e sbuffai per lo sforzo, cui non avevo mai dovuto sottopormi. Ogni volta il buio minacciava di sommergermi, ma io resistevo, spingendo con più forza verso quel muro invisibile e invalicabile.
≪Forse tu non hai niente da perdere, Aro, ma io ho troppo per cui lottare≫, e così dicendo, con un ultimo invisibile sforzo, Aro fu sbalzato all’indietro ed io corsi immediatamente tra le braccia di Edward.
Non potevo permettermi di perdere la concentrazione, eravamo entrambi troppo vicini ai nostri nemici. Edward mi si parò davanti, stringendomi per la vita e trascinandomi indietro di alcuni passi. Aro ringhiò stupefatto.
≪Come ci sei riuscita?≫, chiese Aro.
≪Te l’ho detto, ho troppo per cui lottare≫, risposi.
≪Sei testarda e sciocca come i tuoi genitori, Isabella. Elena e Sebastian Williams... ridicolo come tanto potere sia stato conferito a mani tanto incapaci≫.
Tremai per l’improvviso moto d’odio che accese i miei pensieri. Quella stessa energia che avevo imparato a controllare esplose, in uno scoppio simile al primo.
≪Non osare pronunciare i loro nomi, non ne hai alcun diritto≫, urlai.
≪Io, il loro carnefice, oggi li sbeffeggio. Il primo a morire dei due fu tuo padre. Tua madre era troppo ostinata. Si era chinata con te tra le braccia, uno scudo invisibile vi proteggeva. Prima che io stesso la uccidessi con la forza che tu oggi hai sovrastato, mi fissò negli occhi e disse: ≪La mia bambina vivrà una vita normale e umana. Non permetto a nessuno di sfruttare i suoi doni, tantomeno a te. Che di lei faresti la tua arma migliore≫. Fu sciocca, sprecò troppe energie a proteggere te e ben presto lei ne rimase sprovvista, divenendo così un bersaglio facile...≫.
Edward strinse la mia mano con la sua.
≪E adesso tu farai la sua stessa fine, sei troppo debole, come tua madre hai sprecato troppe energie nel tentativo di proteggere coloro che ami. L’amore è un lusso che in battaglia non ci si può permettere≫.
Edward al mio fianco ghignò.
≪Ti sbagli, mostro. Stai dimenticando un particolare, a differenza di Elena e Sebastian, Bella non è sola≫.
Alle sue parole avvertì delle presenze sopraggiungere: il mio esercito si muoveva. I primi a raggiungerci furono i Cullen, serrarono la fila di fronte a noi, a protezione mia e di Edward. E davanti a loro i soldati dei Volturi indietreggiarono. Nello stesso istante, Felix e Demetri, che avevano fin’ora assistito alla scena in religioso silenzio, mi lanciarono uno sguardo contrito che supplicava il mio perdono, dopodiché  si voltarono in direzione dei propri compagni ringhiando furiosamente, avventandosi sui vampiri che li circondavano con una furia devastante, terribilmente agguerriti e motivati. Rimasi interdetta per un istante, fin quando non capì. L’avanzata dei Cullen aveva dato inizio alla battaglia, alle nostre spalle un’ orda di licantropi, vampiri e mutaforma si avventarono furiosamente sui nostri nemici, immobili grazie al mio potere.
La prima fila serrò immediatamente i ranghi intorno ai tre signori di Volterra - prima che io riuscissi a capire cosa stesse succedendo e li influenzassi con il mio potere - , frapponendosi fra loro e il nostro attacco, con un movimento tanto fulmineo da apparire quasi involontario. Furono i primi a perire. Fui immediatamente consapevole dell’avanzata lenta e silenziosa del potere di Alec e, dalle urla lancinanti dei miei fratelli, intuì che anche Jane si stava dando da fare. Renata proteggeva con dovizia Aro, Caius e Marcus, dando adito a tutta la sua forza.
Controllare il numero spropositato di soldati sul campo di battaglia non sarebbe stato affatto semplice. Nelle settimane precedenti avevo imparato a riconoscere le volontà dei miei fratelli, su consiglio di Lionel, così da non confonderli con quelle già familiari dei nostri nemici.
≪Edward≫, sussurrai, ≪di loro di tenere duro per trenta secondi, devo concentrarmi per imprigionare le loro volontà≫.
Edward annuì.
≪Jasper≫, urlò.
Nostro fratello, che tra tutti era il più vicino, annuì.
≪Tranquilla, non permetterò a nessuno di avvicinarsi≫, mi rassicurò Edward ed io mi nascosi alle sue spalle, rincuorata e allo stesso preoccupata dal suo sguardo fiero e agguerrito.
Chiusi gli occhi e immediatamente vidi ogni cosa da una nuova prospettiva.
≪Prendete la ragazza, non datele tempo≫, ringhiò Caius ed Edward al mio fianco s’irrigidì.
Uno di loro sfuggì alla battaglia, ma Edward riuscì ad atterrarlo e ad ucciderlo abbastanza velocemente. Tirai un sospiro di sollievo e mi estraniai da tutto ciò che non potessi vedere direttamente senza sollevare le palpebre. Mi concentrai sulla volontà familiari - a parte Felix e Demetri naturalmente -  le più pericolose. Quelle che avevo imparato a riconoscere ben conscia che ne andasse della mia vita. Jane e Alec erano i primi della mia lista. La loro più micidiale offensiva. Bloccai Jane e in fine arrestai la nebbia di Alex, liberando alcuni dei miei fratelli dalla sua cecità. Passai immediatamente al fianco sinistro, individuando i nemici e poi al fianco destro. Jasper si era prodigato a guidare un piccolo battaglione dedito all’uccisione dei neonati, era ovvio che i Volturi ne avrebbero fatto uso. La mia attenzione fu immediatamente catturata da qualcosa di orrendo, che mi rifiutai di accettare.
Il mio Jasper era circondato. Probabilmente era stato dato l’ordine che venisse eliminato, Aro sapeva della sua precedente esperienza. E per quanto Jasper fosse in gamba, non poteva cavarsela contro un numero così grande di neonati. Uno di loro, il ragazzo alla sua destra, si decise ad attaccare, impaziente. Jasper riuscì ad allontanarlo, ma i neonati dei Volturi erano diversi da quelli che aveva fin ora conosciuto. Loro avevano strategia. Nello stesso istante in cui Jasper si liberò dalla stretta del neonato un secondo gli si fiondò alle spalle. Presa da una panico irrefrenabile scandito dalla paura per la vita di mio fratello, lo allontanai con tanta forza, che nel volo portò con se un’intera fila di suoi simili. Al che, i neonati sconvolti dal vedere il proprio compagno spazzato via da una forza invisibile, arretrarono impauriti e subito il battaglione di Jasper ne approfittò per eliminarli. Tirai un sospiro di sollievo. I miei nemici erano fermi, non potevano muovere i propri corpi o utilizzare le proprie capacità, ma su una cosa Aro aveva ragione, non avrei resistito a lungo. Spalancai gli occhi, con il respiro affannato per lo sforzo. Controllare tante menti in una sola volta richiedeva un sacrificio non indifferente. Edward mi si avvicinò e mi strinse una mano.
≪E’ quasi finita, Jane è morta e Lionel si sta occupando di Alec≫.
≪Non sono loro a pesarmi, ma i tre...≫, sussurrai, lanciando uno sguardo ai ben protetti ex signori di un impero ormai caduto.
≪Aro, Caius e Marcus hanno volontà simili. Sono oscure e profonde. Mi spaventa soltanto tentare di entrare in contatto con loro. Combattere per controllarle è orribile. Buio e ombre mi sovrastano≫.
Edward mi carezzò una guancia, nel tentativo d’infondermi la sua forza.
≪Renata è protetta dall’ala di Aro, le loro menti sono in sintonia, lei fa parte di lui e non riesco a far abbassare quello scudo. Se almeno non avessi il peso degli altri≫, continuai.
≪L’esercito è decimato, ma adesso devi fare un piccolo sforzo, amore mio. Dobbiamo avvicinarci. E’ il momento di estirpare il male alla radice≫, disse, prendendomi il volto tra le mani.
≪Sì, lo so≫, mormorai.
Edward posò un bacio sulla mia tempia, dopodiché, mano nella mano, ci avvicinammo allo scudo di Renata, facendoci largo tra i nostri familiari intenti a strappare teste e bruciare cadaveri. Emmet, alla mia destra, riuscì a staccare la testa di un nostro nemico con un semplice calcio ben assestato. Alice, piccola e agile, si arrampicò sulle spalle enormi di un soldato grigio, spezzandogli il collo. Quando io e Edward fummo loro di fronte, Aro ghignò con impertinenza.
≪Potrai farcela con me, Isabella, ma non puoi battere tutti e tre. Sei sola e non sei abbastanza forte≫, mi canzonò Aro.
≪Pensavo avessi smesso di sottovalutarmi, Aro≫, risposi.
Questo sorrise ancora. Il mio sguardo si posò sul volto trasfigurato di Caius. Vagava con lo sguardo intorno a se, in cerca di una via di fuga.
≪Non puoi fuggire, Caius. E’ finita≫, dissi.
≪Sono molto più vecchio di quanto tu possa immaginare, non beffarti di me≫, sibilò.
≪Non mi beffo di te, non ne ho bisogno. Il tuo sguardo vagante mi fa comprendere che tu non hai onore, signore di Volterra≫.
≪Fuggire davanti alla morte non è da codardi, non farlo è da stolti≫, mi fece notare.
≪Lo è fuggire dalle proprie responsabilità≫, aggiunsi e Caius si zittì, digrignando i denti.
≪Guardati intorno, Aro. Il tuo tempo è finito≫, gli dissi.
≪Allora, Bella, perché sono ancora qua, ad insozzare l’aria con il mio respiro e a calpestare la terra con i miei passi≫.
Non risposi, Edward lo fece per me.
≪Non per molto, puoi starne certo≫.
Aro rise.
≪Caro Edward, Isabella non ti ha forse spiegato che ammesso e non concesso che riuscisse a controllarci e renderci vulnerabili ciò la priverebbe delle energie fisiche e psicologiche necessarie... per vivere?≫.
Lo sguardo di Edward passò dal suo volto al mio in un millesimo di secondo. Lesse la conferma nei miei occhi e il suo sguardo si riempì di dolore. Posai una mano sulla sua guancia.
≪Edward, sono scampata alla morte ben tre volte, non ho intenzione di lasciarti. Voglio vivere la mia eternità con te, abbi fiducia. Posso farcela≫.
Edward deglutì, ma non obbiettò. Serrai le palpebre e, per la prima volta, mi soffermai sulle loro volontà. Sul buio e sulle ombre, affrontandole anziché evitarle. Non vi era nulla di più spaventoso, ma io avevo già affrontato quel cammino. Avevo affrontato le mie ombre per diventare più forte, avrei fatto altrettanto con i loro demoni. Accettando che tanta cattiveria e malvagità potessero esistere, prendendo sulle mie spalle i loro pesi. Pura energia iniziò a scorrermi nelle vene, quei demoni smisero di spaventarmi e iniziai a provare compassione per quelle tre anime nere e dannate, che non avevano mai visto la luce. Spalancai gli occhi e avanzai il primo passo. Il ghigno di Aro si trasformò in una smorfia mentre entravo nel campo magnetico dello scudo di Renata senza difficoltà, continuando a fissare i miei occhi nei loro sguardi. La donna fu spazzata via dalla forza che era la mia aura fisica. Caius arretrò, fuggendo, ma qualcuno lo bloccò immediatamente. Marcus cadde in ginocchio, come un vecchio cui avevano tolto il proprio appoggio per camminare e presto anche lui scomparve dalla mia visuale. Aro arretrò, visibilmente spaventato. Provavo troppa pena per quell’essere, per ucciderlo. Aro ringhiò in direzione del mio volto ed Edward mi fu immediatamente di fronte. Posò un bacio tra i miei capelli e mormorò: ≪Non guardare, i tuoi occhi innocenti sono già stati testimoni di troppa violenza, perché vi si aggiunga anche questo≫.
Scostai lo sguardo, serrando le palpebre sui miei occhi e un piccola lacrima solitaria mi rigò la guancia. L’ultima lacrima per colui che era stato il mio maestro, il mio signore e il mio peggior nemico.
Seppi immediatamente che la guerra era finita, quando anche l’ultima delle volontà che avevo consapevolmente immobilizzato, spirò. Aprì gli occhi e il mio sguardo rammaricato vagò lungo quello sterminio. Di ciò che ci aveva minacciato, non rimaneva altro che un cumulo di cenere. Il trapasso delle loro anime scandito dal grigio fumo delle pire infuocate, il cui odore dolciastro impregnava l’aria. Mi accorsi che la nebbia di quella mattina si era dissolta. Adesso potevo chiaramente intravedere il cielo sopra le nostre teste, testimone silenzioso della nostra battaglia di cui per secoli, nel nostro mondo, sarebbero state ricordate le vite perse.
I Volturi erano sconfitti.
La violenza che per secoli avevano propinato a chi dava loro fiducia come giustizia moriva con loro. Avevo tentato in tutti i modi possibili di evitare l’inevitabile, ma non avevo rimorsi. Ognuno nasce con uno scopo. Anche nel suo piccolo contribuisce alla progressione del nostro pianeta. Ogni cosa, anche gli immortali, nasce per poi scomparire. In un modo o nell’altro. E il tempo dei Volturi era giunto molti anni fa, nello stesso istante in cui i miei occhi avevano visto per la prima volta la luce. Nell’istante in cui ero venuta al mondo.  
Intorno a me le persone che amavo si guardavano attorno, confuse, come se non riuscissero a credere nell’esito che li vedeva vincitori anziché sconfitti. Delle vite perse oggi avrei portato il lutto, ma, osservando i loro occhi rincuorati, i loro sospiri di sollievo, scrutando i volti di quelli che miracolosamente carezzavano i propri compagni o gli amici, a credere di averli ancora al proprio fianco, compresi che le cose, alla fine, erano andate per il meglio. Non c’erano molte vittime, ma parecchi feriti. Il mio sguardo corse immediatamente ad Edward, scrutava le fiamme, giaciglio di morte del nostre nemico, la cui presenza aveva a lungo gravato sulle nostre teste, tentando di soffocare il nostro amore, con espressione cupa e intensa. Mi avvicinai a lui e presi la sua mano tra le mie. Edward si riscosse e fissò i miei occhi, che si riempirono immediatamente di un sollievo tanto intenso da incatenarmi al suo sguardo. Mi alzai sulle punte dei piedi e gli strinsi la vita con quanta forza avevo in corpo, posando il capo sul suo petto. Edward mi avvolse nel suo abbraccio rassicurante e nascose il volte nell’incavo del mio collo, in un gesto tanto dolce e protettivo, carico di promesse.
Quello stesso giorno, chi ancora in forze trasportava in casa i feriti e i morti. Io affiancai Carlisle, nonostante la stanchezza e i rimproveri di Edward, occupandomi di chi era ferito più gravemente. Curando ossa rotte e gambe spezzate, con il tocco della mano. Mi avvicinai a Lionel e posai una mano sul suo fianco, là dove vi era un graffio profondo, macchiando le mie mani del suo sangue.
≪Per un attimo, ho davvero temuto che tutto fosse finito oggi, sai?≫, disse, con il fiato smorzato dal dolore.
Alzai lo sguardo.
≪Quando ti ho vista atterra, priva di vita. Non riuscivo ad accettare il battito nullo del tuo cuore. E’ stato come rivivere la morte di Elena e Sebastian, ma mille volte peggio≫.
Scossi la testa, posando una mano insanguinata sulla sua guancia. Il suo fianco era totalmente guarito, perciò riuscì a sollevarsi e ad afferrare la mia mano, tenendola stretta contro il suo volto, prima che io potessi dire qualsiasi cosa.
≪Mi sono sempre considerato parte della vostra famiglia, Isabella, sei come una figlia per me. So che il tempo è stato poco, ma queste settimane sono bastate perché imparassi ad amarti allo stesso modo in cui ti ama Carlisle≫.
Lionel abbassò lo sguardo.
≪Devo chiederti perdono, nonostante ciò che avevi detto, io ho odiato. Quando ho visto quell’essere colpirti ripetutamente, quando ti ho vista atterra, quando ho realizzato di averti perso, ho odiato come non mi era mai capitato prima. E per un istante ho odiato anche te, perché sapevo che tu non avresti mai provato disprezzato per colui che ti aveva tolto la vita, mai. E odiare te ha significato odiare me stesso, perché io non sarei mai stato capace di fare altrettanto, nonostante tutto ciò che tuo padre mi aveva insegnato≫.
Mi chinai su di lui e posai un bacio sulla sua fronte.
≪Noi siamo ciò che siamo, Lionel. Tu sei un uomo buono e meriti cose buone. Ho fin troppo sentito parlare d’odio, quest’oggi. Non pensare che io ne sia immune,  sono soltanto capace di andare oltre e voglio che tu faccia lo stesso. E’ finita, siamo liberi. Non hai più un obbiettivo da raggiungere, Drake, vivi. Vivi la tua vita. E’ l’unica cosa che ti chiedo e che mi aspetto da te... Eppure, c’è qualcos’altro che vorrei chiederti≫, aggiunsi.
≪Chiedi e ti sarà dato≫,m’incitò.
≪Se lo desideri vorrei che fossi tu, d’ora innanzi, ad occuparti del mondo degli immortali. Naturalmente io ci sarò sempre e mi occuperò di mantenere la pace insieme a te, se lo vorrai. I vampiri spargeranno la voce che i Volturi sono morti, che fin ora ci hanno sempre presi in giro. E tra le razze tornerà la pace. Occorreranno degli anni, ma sono certa che alla fine ogni cosa tornerà com’era in origine≫, dissi.
Gli occhi di Lionel si accesero di una nuova luce.
≪Sarebbe un onore per me, combattere ancora al tuo fianco, per la pace≫, rispose.
≪Così sarà≫, lo rassicurai.
 Dopo essermi lavata le mani e accertata che nessun’altro avesse bisogno di me, raggiunsi la mia famiglia e i lupi. A parte Quil, nessuno degli altri aveva riportato gravi ferite, ma questo non aveva affatto bisogno del mio potere per guarire in fretta. Quando mi videro avanzare i loro sguardi brillarono d’ammirazione. Lo stesso sguardo che avevo ricevuto da tutti. Esme mi abbracciò appena le fui di fronte, stritolandomi contro il suo petto.
≪Non farmi mai più prendere un simile spavento≫, singhiozzò.
≪Scusami≫, risposi, sorridendo a mia madre.
≪Esme ha ragione≫, intervenne Alice, ≪Bella il tuo cuore si è fermato≫.
≪Ti dirò, Alice, che a volte bisogna soltanto andare avanti, senza chiedersi il motivo di tutto ciò che ci succede≫.
Jasper mi carezzò i capelli: ≪Ti devo la vita, forse più di altri. So che sei stata tu≫.
Gli sorrisi, finalmente felice dopo settimane. La mia mente, o meglio quella parte esclusivamente dedicata a lui, si chiese improvvisamente dove fosse Edward.
≪E’ fuori≫, rispose Esme, accorgendosi della mia espressione.
Edward sedeva sui gradini del portico, lo sguardo lontano. Silenziosamente mi sedetti al suo fianco ed Edward si voltò nella mia direzione. Portai una mano ad accarezzare la sua guancia. Cosa c’è. Chiesero i miei occhi. Edward sospirò.
≪Non riesco a credere che sia finita. Non riesco a dimenticare il dolore, fin troppo radicato nella mia anima, al pensiero di averti perso per sempre, per poi vederti ritornare da me, chiedendomi quali angeli debba ringraziare per questo≫.
Edward chiuse gli occhi, assaporando il contatto con la mia pelle.
≪Elena e Sebastian ti approvano≫, dissi in fine.
Edward spalancò gli occhi. Sorrisi.
≪L’ho detto ad Aro, ricordi. Sono stati loro a salvarmi≫.
≪Ma è impossibile≫, balbettò.
≪Eppure è successo, evidentemente ancora molte cose di questo modo o di altri ci sono oscure≫.
Edward mi strinse tra le braccia.
≪Li hai visti?≫, sussurrò.
≪Oh, Edward, sono bellissimi. Sono felici per me. Sono felici che io ti abbia trovato. “E’ un uomo d’onore”, testuali parole di mio padre≫, dissi, imitando la sua voce.
≪Non hai idea di quanto ciò mi faccia piacere. Adesso abbiamo l’eternità davanti a noi. Niente potrà più separarci e comunque sia, ci troverebbe insieme≫.
≪Come sempre≫, risposi.
Edward prese il mio volto tra le mani e posò le sue labbra sulle mie, in un bacio carico di nuova passione. Si allontanò da me per permettermi di respirare e mi strinse nuovamente a se.
≪La sola cosa che non capisco è il comportamento di Aro. Prima che io lo uccidessi, mi ha guardato negli occhi, dicendo: ≪Contrariamente a quanto pensi, sono felice che tu mi uccida, Edward Cullen. Non potrei sopportare di vivere anche con questo peso. Il tormento di aver tentato di uccidere una creatura tanto meravigliosa. L’unica creatura, per la quale posso dire di aver provato dell’affetto≫.  
Quelle erano state le ultime parole di Aro. E ciò mi stupì non poco. Poteva davvero un uomo che avevo considerato l’incarnazione del male chiedere il perdono e invocare la morte per mano del suo rivale come ultimo gesto? Una verità impensabile si aprì ai miei occhi. Forse... forse non avevo mai realmente compreso Aro. Forse, oltre le profondità più oscure e nascoste della sua anima, vi era la luce, condotta in lui dall’affetto per una bambina che aveva visto crescere sotto i suoi occhi. Un affetto non abbastanza forte da cambiare la sua natura oscura, ma sufficiente perché, almeno nella morte, comprendesse i propri errori.

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Capitolo 22
*** Epilogo ***


Epilogo

Erano già trascorsi due anni dalla fine della battaglia e ben presto quel ricordo, seppur presente costantemente nei nostri cuori, era velocemente passato in secondo piano. La notizia della scomparsa dei Volturi, insieme a molti segreti sul loro operato svelataci da Lionel, Felix e Demetri si diffusero velocemente nel mondo degli immortali. In molti avevano appoggiato la fine delle faide contro i licantropi e i mutaforma. Nuove leggi vigevano ora nel nostro mondo, oltre a quella sulla segretezza e tutte le sue conseguenze. Era severamente vietato uccidere un proprio simile e qualsiasi essere appartenente alla nostra realtà mitologica. La cacciai agli umani era stata vietata ai vampiri nei territori appartenenti ad altre specie, per non creare incomprensioni. Inoltre, erano severamente proibiti eserciti di ogni tipo.

I grattacapi erano molto pochi.

Nessuno sentiva il bisogno d’infrangere queste leggi o di attaccare me e i Cullen. A differenza dei Volturi, noi non avevamo un esercito né un potere da mantenere. Capitava che qualcuno venisse a chiedere il mio aiuto o il mio intervento diplomatico per questioni spinose. Vivendo i Cullen a stretto contatto con gli umani eravamo costretti a spostarci spesso e questo comportava non avere una fissa dimora facilmente rintracciabile, come lo era stata Volterra, ma nessun vampiro aveva mai avuto difficoltà a rintracciarci, essendo noi in contatto con Lionel e i lupi, l’unico cui era permesso richiamare i vecchi amici per un esercito, nel caso in cui fosse stato strettamente necessario. Una novità era stata la mia visita a Charlie e Reneé, oramai parte integrante della mia vita.

Non eravamo mai più ritornati a Forks, dopo la battaglia. Abitavamo in Columbia, nel Canada. Nessuno di noi frequentava la scuola e, nonostante fosse costretto a percorrere molti chilometri ogni giorni, Carlisle lavorava all’ospedale di Vancuver. Così che, una volta divenuto evidente che non invecchiava, avrebbe potuto cambiare lavoro senza che fossimo costretti a spostarci di città in città. In quel periodo ricercavamo la stabilità...  

Era un giorno di primavera, abbastanza caldo per gli standard del Canada.

Quel pomeriggio in casa aleggiava una tale serenità e pace, che nulla avrebbe potuto guastare il momento.

La nostra casa era affollatissima.

Lionel, Leah e Mark – per il quale lei aveva lasciato La Push – i mutaforma al completo e le loro compagne, il clan di Denali, con i quali membri avevo molto legato, persino Charlie e Renée erano venuti a farci visita, per nulla sconcertati dalla presenza di così tante creature mitologiche.

Uscì in giardino e mi persi con lo sguardo ad indagare l’inconsueta limpidezza del cielo, godendo della brezza leggera che mi scompigliava i capelli, inspirando quella sensazione di pace e serenità di cui avevo realmente raggiunto gli apici.

A conferma del mio ultimo pensiero, percepì il silenzioso avanzare di due presenze molto simili a familiari. Mi voltai e li vidi entrambi fare capolino dall’angolo della casa. I miei occhi furono immediatamente abbagliati dal sorriso sghembo e perfetto di mio marito. Il suo sguardo rifletteva la mia stessa felicità e niente appagava maggiormente l’altro, se non essere testimone della rispettiva gioia.

C’era un volto sul quale entrambe le nostre felicità si riflettevano come uno specchio o un cielo limpido. Un volto bellissimo e adorabile. Una volontà con la quale ero talmente in sintonia, quasi che le sue gioie fossero le mie i suoi dolori mi appartenessero. La piccola mano stringeva con possessività due delle dita di mio marito, i suoi grandi occhi color cioccolato fissavano il mio volto, con la serenità tipica dei bambini ma un’intelligenza da far invidia agli adulti più facoltosi. Il volto perfetto da cherubino era incorniciato da lunghi capelli color del bronzo, mentre le labbra rosee si curvavano in un sorriso splendido. Si staccò da mio marito con impazienza assurda e prese e correre verso di me, nel momento in cui le mie braccia si aprivano pronte ad accoglierla...

Capì che mia madre aveva avuto ragione nuovamente, quando compresi, la settimana seguente alla battaglia, di essere incinta. Dalla morte nasce sempre una nuova vita. E così era stato. Lei era stata con me per tutto il tempo, nei pochi giorni di separazione da Edward, nel mio ritorno a Volterra, durante gli allenamenti con Lionel e la guerra.

La sollevai tra le braccia e ci scambiammo un grande sorriso. La mia bambina, la cosa più bella che avessi. Era incredibile come riuscissi a rivedere mia madre nel suo sguardo ed Edward nel suo volto. Reneesme Elena Elisabeth Cullen. Non avevamo saputo scegliere. Ognuna di esse era una grande donna ed io avevo espressamente voluto che il suo nome fosse composto da tutte loro. Quel 9 Giungo la mia bimba compiva due anni e quell’evento aveva attirato nella nostra casa numerosi visitatori. Ogni compleanno mi rendeva sempre un po’ malinconica. Non riuscivo a credere che il tempo potesse essere trascorso così velocemente da quel giorno. Avrei voluto che Elena e Sebastian fossero lì con noi, ma una parte di me sapeva che loro c’erano e ci proteggevano. E sorridevo al solo pensiero che, in realtà, avevano avuto la possibilità di conoscere la loro nipotina, perché salvando me avevano salvato anche lei. Adesso riconoscevo nel tocco di mio padre e di mia madre sul mio fianco una carezza a Reneesme. Edward ci raggiunse e ci strinse sul suo petto. Reneesme afferrò il colletto della sua camicia con le mani e si strinse al mio petto, come faceva sempre in un riflesso involontario del suo desiderio di tenerci con lei, al sicuro nella nostra piccola bolla privata. Io ed Edward ci eravamo immediatamente calati nel ruolo di genitori. Davamo alla nostra bambina tutto l’amore di cui disponevamo e stranamente, sembrava non avere alcun limite, quando si trattava di lei. Proteggevamo il nostro angioletto vegliando su di lei come Elena e Sebastian avevano fatto con me, immensamente grati di quel dono. Non mi pentivo di nulla e non rimpiangevo niente. Non passava giorno, ora o minuto in cui non ringraziassi per tutto ciò che avevo e per quella felicità che ero stata in grado di guadagnare e poi difendere con i denti e con le unghie.

 

                                                       Fine

 

Sono qui, davanti al pc e non so da dove iniziare. Non ho parole per ringraziare tutte le persone che hanno seguito la mia storia, onorandomi delle loro opinioni o semplicemente rassicurandomi con la loro presenza costante. Il capitolo, l'ultimo, è breve, ma non avrei potuto concludere diversamente la storia. Per citare: "Adoro i lieto fine, sono così rari!". XD Era la mia prima storia, scritta un anno fa, che ho deciso di postare nonostante la difficoltà iniziale di doverlo fare dal telefonino. I consigli e le vostre parole mi hanno aiutata a crescere come "scrittrice". Non citerò tutte le persone che mi hanno aggiunta tra le seguite perché risulterebbe più lungo del capitolo ma vi ringrazio davvero con tutto il cuore, insieme naturalmente a chi mi ha inserita tra le preferite e le ricordate e gli autori preferiti. Un grazie particolare a chi ha recensito, siete state tutte angeli, regalerei un Edward a tutte quante, o un Jacob, dipende dalle preferenzeXD Non so se scriverò altre storie in questo fandom, ma ho postato il prologo di una storia originale, the libertyu's perfume, se qualcuno volesse passare a leggerla, mi farebbe piacere ritrovarvi lì. Grazie ancora infinite<3

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