Marauders

di Daicchan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quinto Anno ***
Capitolo 2: *** Corridoi e amicizie ***
Capitolo 3: *** Hogsmeade ***
Capitolo 4: *** La notte dei Malandrini ***
Capitolo 5: *** Quidditch, parole e lacrime. ***
Capitolo 6: *** Presentimenti ***
Capitolo 7: *** Agguati verde-argento (parte I) ***
Capitolo 8: *** Agguati verde-argento (parte II) ***
Capitolo 9: *** Natale (parte I): Quando casa non è casa. ***
Capitolo 10: *** Natale (parte II): al suon di famiglia, ospedali, fantasmi del passato e cincin ***
Capitolo 11: *** Ritorno ad Hogwarts: in attesa di un compleanno ***
Capitolo 12: *** Sole Freddo ***
Capitolo 13: *** Lo scherzo. ***
Capitolo 14: *** Chiarimenti, segreti e conversazioni poco piacevoli ***
Capitolo 15: *** Flirt, romanticismo, parenti e pozioni. ***
Capitolo 16: *** Quando dal brutto si ricava qualcosa di buono ***
Capitolo 17: *** Lumaclub: prima parte ***
Capitolo 18: *** Lumaclub: seconda parte ***



Capitolo 1
*** Quinto Anno ***


L’animo dei giovani è in armonia con l’indole naturale dell’uomo, spontaneamente buona, felice, brillante.
 Ma giunge il momento,
 prima o poi,
in cui il mondo corrode tale luce, trascinandola in una voragine di male, odio e guerra.
 Ma non per questo caleranno le tenebre.
 Perché, per chi l’aspetta, per chi ci crede, c’è sempre una speranza.


Marauders


 
 

Capitolo I: Quinto anno.
 
Sirius Black era da molti considerato, e non a torto, l’emblema del giovane ribelle, l’affascinante rampollo di un’antica casata che si era rivoltato contro gli ideali della sua stessa stirpe, rifiutando ogni sorta di privilegio legato alla purezza del suo sangue e al nome della sua famiglia. La sua figura, ad Hogwarts, esercitava un misto di timore e fascinazione, perché nessuno sapeva davvero come sentirsi di fronte a quel giovane che, con quell’aria distinta, sembrava appartenere ad un altro tempo e luogo, e che poi invece ti sorprendeva con un ghigno birichino, o con… dei comportamenti decisamente ridicoli.
Come quello che stava tenendo in quella giornata di Dicembre, nel dormitorio Grifondoro.
Entrando nella stanza, un ragazza occhialuto e con arruffati capelli scuri rimase a bocca aperta, sorprendendo il famigerato Sirius Black ad intonare ad alta voce un allegro motivetto natalizio, accompagnandolo col gioioso movimento della bacchetta.
Tenendo una mano poggiato su una guancia stranamente arrossata, James Potter studiò l’amico colto con fare critico.
<< Per Godric… Padfoot, si può sapere cosa stai combinando? >>
Sirius non rispose, né sembrò accorgersi della domanda, impegnato ammirare con aria ebete e compiaciuta la ghirlanda dorata appena apparsa sul cornicione della finestra.
Di rimando, anzi, allungò una mano verso il moro, non degnandolo però di uno sguardo.
<< Tienimi questa, James… >>
Il ragazzo si ritrovò in mano una paffuta renna di plastica che lo osservava mielosa con due occhi dalle dimensioni abnormi, sbattendo le ciglia.
<< Terrorizzante, vero? È tutta la sera che fa così. >> esclamò alla sua destra Remus Lupin, semi sdraiato sul letto, con gli occhi plumbei immersi nella lettura di un grosso tomo.
La sua voce aveva un non so che di rassegnato, ma non era una sorpresa, nel caso di Moony.
Accanto a lui, un Peter Minus più rubicondo del solito seguiva ogni singolo movimento della bacchetta di Sirius a bocca aperta, con fare meravigliato.
James si buttò con malagrazia sul materasso, lanciando la renna sul libro di Remus: << Terrorizzante, dici? Qui si sfiorano i limiti del grottesco! >>
La renna sollevò la testa con un gesto che doveva essere di stizza, ma che Prongs ignorò tranquillamente.
<< Comunque, sempre meglio dell’anno scorso. >> rise Peter.
<< Già. >> assentì Prongs << O del secondo anno, quando ha cominciato a prepararsi per il Natale con due mesi d’anticipo. >>
Peter ridacchiò, con enorme soddisfazione del moro, mentre le note stonate di “Buon Natale, strega del mio cuor” riempiva il loro dormitorio.
Eccola, puntuale come sempre, la bizzarra ed insensata fissa di Sirius Black col Natale.
James non poteva dimenticare quando negli ultimi di Novembre del primo anno, rientrando da una delle lezioni a cui era miracolosamente andato, aveva trovato il dormitorio interamente addobbato con pupazzi di neve e ghirlande, e Padfoot con quell’ espressione giuliva che gli chiedeva cosa ne pensasse.
Inutile riportare la risposta opportunamente volgare e derisoria dell’amico.
Comunque, da quel momento, ogni anno gli studenti Grifondoro si trovavano sommersi, fin troppo in anticipo, da motivetti ed addobbi natalizi, tanto pomposi quanto terribilmente smielati.
Mentre James si perdeva –con sommo orrore- in quei ricordi, qualcosa distolse l’attenzione di Remus dal libro che stava leggendo con palese attenzione. Alzò lo sguardo da esso, e lo rivolse verso la guancia arrossata di Prongs, su cui questo teneva, distrattamente, ancora poggiata la destra.
<< Che cosa hai fatto alla guancia? >>
<< Oh, questo? >> domandò il moro, come cascando dalle nuvole. << Una sciocchezza. . . Solo il risultato dell’ennesima sfuriata della Evans. >>
Remus scosse la testa, sospirando. Era dal loro primo anno ad Hogwarts che James non perdeva l’occasione per stuzzicare Lily Evans, ragazza bella e promettente della loro Casa.
Non sapeva come fosse tutto iniziato, ma ben presto i battibecchi tra i due erano diventati di routine, nonché celebri nell’intera scuola.
Ogni talvolta che la ragazza riusciva a rimbeccarlo- il che accadeva praticamente sempre-, James la stuzzicava, chiedendole di uscire. Improbabile il fatto che dietro battute simili non si celasse un vero e proprio interesse.
La risposta era sempre e comunque la stessa: un secco ed imperioso “no”, accompagnato spesso da una bella fattura.
Tuttavia, Remus non riusciva a biasimare James: Lily era davvero carina, con i capelli rosso scuro e gli occhi verdi, e anche se un po’ introversa, era una persona piacevole e spiritosa. Per non contare il bel cervello che i professori non facevano altro che decantare.
Ciò che invece Remus, e così tutti gli altri studenti di Hogwarts, non riuscivano a spiegarsi era perché un tipo brillante e popolare come James Potter perdesse il suo tempo dietro l’unica ragazza che non gli cascasse ai piedi.
Probabilmente era una questione d’orgoglio.
In ogni caso, ora che Lily era stata nominata prefetto, la situazione era precipitata.
James adorava canzonarla per il ruolo che rivestiva, e Lily coglieva al volo ogni occasione per metterlo in punizione o, peggio, levare punti a Grifondoro, e non a caso i battibecchi tra i due stavano attirando sempre maggiore malcontento tra i compagni della loro casa.
Ma dopotutto, risultava piuttosto improbabile che Grifondoro riuscisse a vincere la coppa delle case, con i Malandrini che indossavano i suoi colori.
Comunque, Remus non riusciva proprio a capire il perché l’amico si ostinasse ad infastidire la ragazza.
<< Si può sapere cosa hai combinato questa volta? >>
Sul volto di James si tinse un sorriso innocente. << Io? Assolutamente niente! >>
Lupin alzò gli occhi verso l‘alto, sbuffando.
<< E pretendi che io ci creda? >> chiese, mentre l’altro gli cingeva le spalle con un braccio, e sospirava con un tono di finta disapprovazione.
<< Moony, >> scosse lentamente la testa << Moony. Possibile che non ti fidi del tuo migliore amico? >>
<< Prongs, mi passeresti la renna? >>
James si voltò esasperato verso Sirius << Sai dove te la puoi ficcare questa maledetta. ..  >>
Ma prima che potesse continuare, in modo piuttosto indecoroso, la suddetta frase, un urlo squarciò la quiete della sera, diffondendosi nell’intero dormitorio, facendo sobbalzare i quattro Malandrini.
<< JAMES POTTER, SCENDI SUBITO QUI!  >>
Peter quasi stramazzò al suolo per lo spavento, e mentre Sirius e Remus lo sostenevano, sul viso del giovane Potter si allargò un sorriso sornione, uno di quelli che non presagivano altro che guai.
Perché James conosceva quella voce, solitamente gentile, che però se rivolta a lui assumeva toni così alti e furiosi.
Con tutta calma, si affacciò dalle scale del dormitorio, e quasi sobbalzò per lo spavento.
La sala comune dei Grifondoro era. . .  dorata.
Letteralmente.
Una cascata di polvere dorata sembrava aver ricoperto ogni cosa, dai divani, ai muri e al caminetto, ed altra polvere persisteva nel piovere dall’alto, incessantemente.
Al centro della sala il livello del pulviscolo si era alzato di una buona manciata di centimetri, tanto che alcuni bambinetti del primo anno vi erano immersi fin sopra le caviglie.
Ed in mezzo a tutto quel casino, lei, con la divisa e i capelli ricoperti d’oro.
Nonostante si sforzasse di sfoggiare un’espressione beffarda e disinvolta, James non poté non sentì il cuore gonfiarglisi in petto per l’emozione.
Slanciata, capelli rosso scuro e occhi grandi, di un verde intenso e brillante.
Eccola là, Lily Evans.
La ragazza che era riuscita a catturargli il cuore.
La detestava, perché era l’unica a non ridere per le sue buffonate, e di uscire con lui non ne voleva sapere.
La detestava, perché lo rimproverava sempre, in continuazione e non faceva altro che spedirlo in punizione.
La detestava, perché era amica di uno schifoso Serpeverde, ma “nemica” sua.
La detestava, perché era intelligente, giusta con tutti, e lo guardava con occhiate di fuoco.
Ma, Merlino, se non si divertiva da matti a stuzzicarla.
Sfoggiò uno dei suoi miglior sorrisi da mascalzone, appoggiandosi mollemente sullo stipite della porta.
<< Ehilà, Evans. Cos’è, non riesci a stare un attimo senza di me? >>
La ragazza le rivolse uno dei peggiori sguardi che avesse mai visto, quasi degno di uno della McGranitt.
Dio, come si assomigliavano quelle due.
<< Potter. >> sibilò Lily << esigo una spiegazione. >>
James scoppiò a ridere, portando le mani davanti a sé come per schermirsi. << Ehi, rossa, non dare la colpa a me. Questo genere di cose non mi si addicono. >>
<< Certo. D’altronde immagino che sia un incantesimo troppo complicato per te. >>
<< Al contrario. Il mio genio non può ridursi a certe banalità.  >>
La ragazza sbuffò, con il volto paonazzo.
A James sarebbe piaciuto pensare che la causa di quel rossore fosse l’imbarazzo, ma ovviamente si trattava di qualcosa di diversamente diverso e, per la precisione, di molto più minaccioso, e nocivo alla salute del malandrino.
James rimase quasi stupito dal non vederle in mano la bacchetta o dal non ritrovarsi già schiantato da qualche parte.
Tuttavia il tono della Evans fu tagliente, gelido. Forse più spaventoso di qualsiasi incantesimo.
<< Questa volta te la faccio passare, Potter. >>
E con un gesto secco della mano, si voltò dall’altra parte con aria quasi offesa, dirigendosi verso la porta del ritratto.
Ma all’ultimo momento si girò verso di lui, fulminandolo con lo sguardo.
<< Fa in modo che quando torno trovi tutto a posto. >>
James scoccò la lingua, socchiudendo appena le palpebre. << Contaci, bocconcino. >>
Le successive imprecazioni della ragazza furono tali che gli studenti del primo intrappolati in quel deserto dorato la guardarono con aria stravolta e terrorizzata.
James sospirò, e in quel momento si accorse che i suoi amici erano sempre stati dietro di lui.
Stancamente, si voltò appena verso Sirius, che aveva osservato il tutto con un’espressione allo stesso tempo attonita ed imbronciata.
<< Allora? >>
<< Che c’è? >> domandò l’erede dei Black, con aria seccata << mica è colpa mia se quella non ha un minimo di buon gusto! >>
***
Lily Evans chiuse in mal modo la porta del bagno, battendosela alle spalle e scivolando contro di essa con un grugnito di rabbia.
Dall’altra stanza, quasi poteva immaginarsi gli sguardi attoniti delle sue amiche, ma, onestamente parlando, in quel momento non le poteva importare meno.
Era fin troppo arrabbiata per curarsi di mantenere un minimo di dignità, nonché un certo contegno di fronte a loro.
Ma d’altronde, in che altro modo poteva comportarsi? Che biasimo aveva, in fondo?
Giorno dopo giorno, quello stramaledetto Potter la stava facendo impazzire.
Era dal primo anno che non faceva altro che assillarla, una volta chiedendole un appuntamento, un’altra torturandola con quei suoi scherzetti da emerito imbecille.
Da quello sguardo sarcastico. al suo irrefrenabile istinto nel mettersi in mostra, fino a quella dannata mano sempre occupata nello scompigliarsi una chioma già di suo scompigliata, ogni singola peculiarità di James Potter la mandava in bestia.
Ma non si trattava di semplice antipatia, della banale assenza di feeling che ci può essere tra due persone, e che si risolve col facile ignorarsi a vicenda.
Perché Lily Evans era un tipo pacifico, e se qualcuno non le andava a genio, semplicemente decideva di non averci niente a che fare.
Oh no.
Potter era un chiodo fisso nella sua testa, una vera tortura.
La seguiva, le parlava, non la lasciava in pace un solo momento: era dal primo giorno di scuola che tentava inutilmente di liquidarlo, ma ciò non sembrava sortire alcun effetto, anzi; pareva che ad ogni suo rifiuto Potter provava sempre più gusto nell’infastidirla.
Da quando era stata nominata prefetto, poi. . . Dio, da quel momento era tutto peggiorato.
Rammentava benissimo di quando le era arrivata, insieme alla lettera, la spilla, quella bellissima spilla color rosso ed oro con la “P” di prefetto sovrapposta allo stemma della sua Casa.
Se l’era rigirata per chissà quanto tempo tra le mani, osservandola brillare sotto la luce che filtrava dalla finestra della sua stanza, e aveva percepito il cuore riempirsi di gioia ed orgoglio.
Così contenta ed appagata, non aveva minimamente riflettuto sulle disastrose conseguenze a cui quella spilla avrebbe portato.
Solo quando aveva incrociato Potter e Black alla stazione, si era resa tragicamente conto dell’anno infernale che avrebbe dovuto sopportare.
E per “migliorare” il tutto, era praticamente certa che l’altro prefetto non le sarebbe stata di grande aiuto con i Malandrini.
Non che avesse qualcosa contro Remus, anzi, tra quei quattro scalmanati era l’unico con cui andava d’accordo e spesso si era domandata cosa ci facesse un ragazzo diligente e pacato come lui nella banda di un tipo come Potter, ma Lily dubitava seriamente che sarebbe riuscito a tenerli sotto controllo.
La ragazza, sospirando, si alzò, avvicinandosi al lavandino e appoggiando le mani accaldate sul marmo gelato.
Sollevò il volto verso lo specchio, incontrando il riflesso del proprio viso, in cui persistevano gli ultimi residui di rabbia.
Le gote delicate erano leggermente arrossate, spiccando sulla pelle chiara, le iridi verdi luccicavano, il petto si alzava e si abbassava a ritmo irregolare, affannosamente.
Sembrava quasi che stesse per scoppiare in lacrime, ma in realtà mai Lily Evans si era trovata così determinata.
Quell’ anno, costi quel che costi, James Potter non sarebbe riuscita a passarla liscia così facilmente.
 
 
***
 
Nella scuola di magia e stregoneria di Hogwarts, le lezioni di Storia della Magia non erano note per destare l’interesse degli studenti.
O almeno, non l’interesse legato alla suddetta materia: chi ne approfittava per ripassare per l’ora successiva, chi per scambiarsi bigliettini o chi, semplicemente, ne usufruiva  per riparare al sonno perduto; insomma, coloro che si avventuravano nel seguire le monotone spiegazioni del professor Ruf erano pochi.
Una manciata di Corvonero, ovviamente, smistati nella casa dai colori blu e bronzo per la mente acuta e il fine intelletto.
E il giovane Remus J. Lupin che, da audace Grifondoro, trovava la buona volontà necessaria per rimanere costantemente attento a quella lezione senza fine.
La sua piuma, tenuta saldamente nella destra, scorreva rapidamente lungo la pergamena, le orecchie erano ben tese ad ascoltare la voce del professore, la testa china sul banco e la mente impegnata a recepire le informazioni più importanti.
Era sempre stato uno studente modello, lo sapeva.
Tuttavia, quella glaciale mattina di Dicembre, la sua concentrazione era messa a dura prova dai fastidiosi bisbigli dietro di lui.
Due ragazzi chini su un grosso libro che, sicuramente, non riguardava Storia della Magia.
Qualsiasi altro studente diligente – che d’altronde quasi non ce n’erano- avrebbe detto loro di darci un taglio. Ma Lupin, oltre ad essere un alunno modello, era dotato di un’ammirevole pazienza.
O almeno, questo credeva anche lui, fino a quando non gli erano cominciati a saltare su i nervi.
Si voltò verso i due con un gesto di stizza, rischiando di rovesciare l’inchiostro del calamaio sulla pergamena.
<< Se non vi dispiace. >> disse, leggermente innervosito << starei cercando di seguire. >>
Sirius gli rivolse un’occhiata beffarda.
<< Sai, Rem, io mi leverei quella spilla da prefetto, fossi in te. Ti sta corrodendo l’animo. >>
<< Io, invece, fossi in te, mi metterei a studiare. Sai com’è, abbiamo i G.U.F.O quest’ anno. >>
Padfoot rise, con quella risata così simile ad un latrato.
<< Pensi davvero che un genio del mio calibro abbia bisogno di studiare? >>
Remus sospirò, rassegnato, tornando sui suoi appunti, mentre Sirius continuava a ridacchiare.
Stavano decisamente facendo un bel po’ di rumore, ma il professore non sembrava nemmeno essersene accorto e continuava imperterrito nella sua spiegazione.
Scocciato dalla lezione –che come al solito gli appariva incomprensibile- , Peter Minus si voltò a verso James e Sirius, incuriosito.
<< Che state facendo? >>
James gli si rivolse con un ghigno.
<< Allarghiamo il nostro repertorio in fatto d’incantesimi. >> a quel punto lui e Sirius si scambiarono un’occhiata complice. << Sai, possono sempre tornare utili. >>
Remus, che per sua sfortuna godeva di un udito eccezionale, si volse per l’ennesima volta verso gli amici, inarcando un sopracciglio.
<< E in che cosa vi servirebbe la magia di secondo anno, di grazia? >> chiese, sbirciando il titolo nella copertina del libro.
Prongs si espresse in uno dei suoi sogghigni più perfidi, mentre le iridi color cioccolato puntavano inesorabilmente verso l’altra parte della classe.
Lily Evans sedeva al primo banco, i capelli ramati legati in una mossa coda di cavallo, e gli occhi verdi rivolti verso la pergamena su cui scriveva febbrilmente, china sul banco.
James provò quasi l’istinto di portarsi la mano ai capelli, nonostante la ragazza non lo stesse nemmeno guardando.
Fra poco ci sarebbe stata la gita ad Hogsmeade …
Sirius, notando lo sguardo perso dell’amico, sbuffò.
<< Ancora Evans? Amico, inizi a diventare monotono. >>
Anche Peter, dal banco davanti, si sporse verso James, sorridendo divertito. << Non è che ti stai innamorando? >>
La risata rumorosa del giovane Black invase l’aula, e l’unico a non accorgersene probabilmente fu l’insegnante.
Qualcuno iniziò seriamente a pensare che il professor Ruf si fosse scordato le orecchie nell’oltretomba.
Frattanto Sirius, con le lacrime agli occhi, si era piegato sul banco, tenendosi la pancia per le risate.
<< Rimbeccato da Wormtail! Questa me la segno! >> commentò, facendo arrossire il diretto interessato. Peter infatti chinò il capo, lusingato, mentre James si voltava perplesso verso l’amico intento a sbellicarsi dalle risate.
Sul suo viso di aprì un ghigno beffardo, di superiorità e. . . malandrino.
Terribilmente malandrino.
Si portò le mani dietro la nuca, appoggiandosi pigramente sulla schienale della sedia e facendola dondolare pericolosamente.
Attraverso le lenti degli occhiali, scrutò i suoi due amici con sarcasmo.
<< Certo. Figuratevi se io, il grande James Potter, possa perdere la testa per una ragazza. Tsè, semplicemente assurdo. >>
Sirius sghignazzò leggermente, cercando di reprimere almeno in parte le risate.
<< Certo, se lo dici tu… >>
Prongs lo fulminò con lo sguardo.
<< Vedi che non è la Evans l’obiettivo che avevo in mente. >> liquidò in fretta, riprendendo a sfogliare con noncuranza il tomo d’incantesimi. << Al contrario, è da troppo che non ci divertiamo con qualche Serpe. >>
Niente di più falso, ovviamente.
Proprio la settimana scorsa avevano costretto due Serpeverde del quarto anno a sigillarsi per giorni nel loro dormitorio, la faccia piena di foruncoli.
In ogni caso, a parte qualche risata, quella bravata non lo aveva soddisfatto come si aspettava. Era arrivato il momento per i pesci grossi.
Anche Sirius sembrava condividere i suoi pensieri, e nei suoi occhi chiari poté scorgere una strana luce.
<< E’ da tanto che non scambiamo due parole con Mocciosus, eh? >>
Remus sobbalzò, ed abbandonando definitivamente il proposito di mantenere un buon voto in Storia della Magia, si girò di scatto verso i due, con aria di rimprovero.
<< Ragazzi, vi ricordo che sono prefetto! Non costringetemi a mettervi nei guai! >>
Ma le sue parole furono coperte dal suono della campana, che segnava il passaggio alla prossima ora.
Mentre il giovane prefetto raccoglieva le sue cose, e si affrettava ad uscire dall’aula insieme al resto dei malandrini, aggiornò il suo promemoria mentale.
Cercare disperatamente qualcuno che avesse preso appunto durante la lezione –ahi, ardua impresa- e farseli prestare.
E, oh certo, ricordarsi di sbranare i propri amici alla prossima luna piena.
 
***

Ah, la vecchiaia.
Oh, maledetta, sacrosanta, vecchiaia.
Ognuno ha un modo diverso di reagirvi, di confrontarsi con l’inesorabile passare degli anni.
Modi che, grosso modo, ci possono suddividere in due grandi categorie.
Ci sono i grandi uomini, a cui l’ingente canizie  può conferir solo maggior esperienza e venerabilità.
Quelli che, nonostante la pelle raggrinzita e gli occhiali a fondo di bottiglia, i giovani guardano con rispetto, aspirando a divenir almeno la metà di quelle ammirevoli persone.
Ci sono quelli che –ahimè- con gli anni tendono ad allontanare la via della ragione, fino a smarrirla del tutto. Magari accompagnando ciò con una buone dose di cinismo o follia.
E infine c’erano quelli come il professor Lumacorno.
Che, con la vecchiaia, perdono solo la pazienza.
Oh certo, anche la cara bellezza andata è fonte di un po’ di rimpianti, tuttavia è la  calma per sopportare un gruppo di infervorati quindicenni ciò per cui si prova più nostalgia.
La stessa calma che il caro professore invocava con tutto sé stesso ogni sacrosanto giorno ad Hogwarts.
Ah, perché non aveva aperto un negozio di manici di scope, anziché divenire insegnante?
Da dove diamine gli era venuta fuori quella brillante idea?
Questo era ciò che pensava, quella mattina d’inverno.
Osservare i disastri, le chiacchiere, gli sguardi persi di una classe del quinto anno non era il massimo per iniziare la settimana, d’altronde.
Soprattutto se quell’adorata classe dovevano spartirsela Grifondoro e Serpeverde.
A quel punto, la situazione diventava davvero insostenibile. 
Perché osservare due alunni come James Potter o Sirius Black sghignazzare senza alcun motivo apparente, mentre guardavano con insistenza un alunno della casata verde argento… Insomma, era davvero preoccupante.
E in quei momenti il professor Lumacorno avrebbe desiderato di essere… strabico.
Ebbene sì, perché era impossibile tenere d’occhio due scalmanati nel genere mentre si è costretti ad occuparsi di elementi come Peter Minus o Alice Goddard.
O meglio, di occuparsi che le loro pozioni – se così quelle potevano definirsi- non esplodessero.
Se poi si aggiungeva la necessità impellente di osservare gli studenti più brillanti – per rincuorarsi e non considerarsi un emerito fallimento come insegnate- allora capire l’impossibilità della situazione risultava semplice.
Si, diventare strabici era la soluzione migliore.
E siccome Lumacorno, purtroppo per lui, tra i tanti difetti non aveva quello di possedere una pupilla che se ne andasse per conto suo. . . Beh, bisognava ritenere che la sua frustrazione era del tutto fondata.
L’insegnante sospirò e si decise ad intraprendere nuovamente un bel giro tra i banchi.
Il suo cuore e la sua autostima, come da copione, persero un bel po’ di punti già ai primi banchi.
Blu,verde, giallo. . . Possibile che non vi fosse un solo preparato incolore, come richiedeva la pozione?
<< No, Samantha, non tagliare a fette la mandragola prima d’inserirla. .. >>
<< Mescoli in senso anti-orario, signor Collins! >>
<< Mi dispiace dirglielo, ma con una pozione simile non otterrà mai un’ “Accettabile” ai G.U.F.O! >>
<< Non assaggi la pozione, signor Davis!  >>
Lumacorno trattenne un sospiro. C’era ancora una fila e. . . Oh, Merlino ,quale santa visione!
Gongolante, si diresse verso l’ultimo banco alla sua destra.
Con gli occhietti acquosi illuminati di gioia, e un’espressione di esultanza e compiacenza nel viso rotondo, il professore s’avvicinò alla sua cara, cara studentessa Grifondoro.
<< Signorina Evans! Ottimo, ottimo lavoro! >> esclamò trionfante l’uomo, quasi come se la pozione fosse opera sua.
Ma d’altronde, difficilmente persino lui sarebbe riuscito a fare di meglio.
Perché la pozione della ragazza non era incolore.
Era limpida, trasparente.
Quasi non la si vedeva.
Ecco perché Lumacorno aveva deciso d’insegnare.
Per quelle piccole soddisfazioni.
***
Quando il professore le fece i suoi complimenti, Lily rispose con un timido sorriso, pur non potendo non rimanerne compiaciuta.
Era felice che Lumacorno la trovasse veramente così brava.
<< Ho aggiunto un po’ di asfodelo. >> disse << sa, per aumentarne la durata. >>
Ma il professore quasi non l’ascoltava, eccitato com’era.
<< Si, ottimo, ottimo lavoro. >> esclamò, euforico, e Lily sorrise ancora. Poi, come da copione, il suo buonumore fu guastato dalla vista di ciò che accadeva dall’altra parte della classe. James Potter, infatti, proprio in quel momento, stava esibendosi in una perfetta imitazione del professore, saltellando sul posto e battendo le mani come un ebete.
Ma d’altronde, non c’era niente in quel ragazzo che non lo ricordasse.
Un ebete, ovviamente, non Lumacorno.
Lily scelse, per l’ennesima volta, d’ignorarlo, abbassando lo sguardo sul suo lavoro mentre il professore assegnava dieci punti a Grifondoro.
Ah.
Potter, Potter, Potter.
Quanti problemi le procurava quell’individuo.
Era certa che, appena terminata la lezione, l’avrebbe invitata ad uscire.
Ed al suo categorico “no!”, avrebbe insistito, insistito, insistito. . . Fino allo sfinimento.
Lo sfinimento di Lily, più che altro, perché Potter era instancabile.
Dio, se era instancabile… Ai limiti dell’idiozia, probabilmente.
Insomma, quale persona dotata di un ben minimo di intelligenza – e di orgoglio- si ostinerebbe a chiedere di uscire alla stessa ragazza che lo rifiuta da cinque anni?
Ma Potter, si sapeva, non era famoso per il suo cervello.
Non che Lily dubitasse che fosse intelligente –anzi, sarebbe stato tra i migliori allievi se si fosse impegnato un po’ di più- ma dopo una vita dedicata all’imbecillità più assoluta, tutto il suo buon senso doveva essere andato a farsi benedire.
La giovane sospirò, sentendosi ribollire di stizza.
Doveva pensare ad altro, sennò il proprio autocontrollo sarebbe andato a fare compagnia al cervello di Potter in chissà quale luogo dimenticato da Dio.
<< Dieci punti a Serpeverde! >>
Lily si voltò, incontrando, al di là delle spalle di Lumacorno, un volto scarno che le sorrideva
Ecco, se c’era qualcuno che riusciva a rendere sopportabile un’esistenza con Potter alle calcagna, quello era lui.
Severus.
Il suo primo amico, il suo migliore amico.
Davvero, non avrebbe saputo cosa fare senza di lui.
Ricambiò il suo sorriso, senza accorgersi che qualcuno, qualche banco più dietro, li stava osservando.
 
 ***

James quasi rovesciò il calderone, appena li vide.
Sì, quasi, perché al resto ci pensò Peter che aveva tentato di non far cadere un calderone che non stava cadendo, ma che era riuscito comunque a fare cadere.
Ma questi erano dettagli futili, per James, che ignorò i lamenti afflitti di Wormtail, il quale non sapeva se suicidarsi per il suo essere maldestro o per la prospettiva l’ennesimo brutto voto che avrebbe preso.
Nella testa di Prongs, in quel momento, c’era spazio soltanto per Mocciosus, per Mocciosus, che stava sorridendo a Lily.
Ok, James non poteva proprio rivendicare nulla di Evans, che, inspiegabilmente, lo rifiutava, disprezzava, insultava e bla bla bla da più di quattro anni.
Però… Insomma, si parlava di Piton.
Severus Mocciosus Piton.
Come diamine poteva una persona dotata di un buon minimo di buon gusto sorridere a Piton e sbraitare contro di lui?
Nessuno, ecco chi, o almeno nessuno che fosse normale.
Ma, in effetti…  Lily non era normale.
Oh, no.
Era molto, molto di più.
La sua mano andò a stringere convulsamente la bacchetta.
Al diavolo Mocciosus, al diavolo Lumacorno, pozioni e l’espulsione.
E al diavolo anche Remus, che dopo la sua bravata gli avrebbe fatto un testa tanta a mo’ di prediche e rimproveri.
Lui, James Potter, avrebbe ucciso Piton, prima o poi.
Oh, sì.
Lo avrebbe fatto, per tutta la sacrosanta barba di Merlino!

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Capitolo 2
*** Corridoi e amicizie ***


Lily Evans percorreva i corridoi di Hogwarts con un’andatura che, beh…era tutto fuorché tranquilla.
Passo dopo passo, cercava di andare sempre più veloce, per porre maggior distanza fra lei e una certa persona di sua conoscenza.
Tuttavia, sapeva che le stava praticamente alle costole, forse per il fatto che, dopo esser uscita dall’aula di Pozioni, lo avesse visto affrettarsi dietro di lei.
Forse perché quella scena si ripeteva regolarmente ogni giorno.
Forse perché, ormai avvezza, aveva imparato a percepire l’aurea di un imbecille a chilometri di distanza.
O forse, semplicemente perché il suddetto ora le si era piazzato davanti, con quella faccia da idiota che tanto affascinava le altre ragazze, tagliandole la strada.
Lily si fermò di colpo, ricorrendo all’autocontrollo coltivato dopo tanti anni.
Sospirò, cercando di non perdere la pazienza.
"Ok, Lily. Stai calma."
Alzò lo sguardo verso il ragazzo, con un sorriso forzato.
<< Potter. >>
<< Evans. >>
Lily cercò di ostentare tranquillità << Ti spiacerebbe spostarti un po’? Sai, non riesco a passare. >>
L’altro sorrise, con un certo charme. << Ed io non riesco ancora a capire come fai a rifiutare ogni mio invito, Evans. >> asserì << Quindi, che ne diresti di venire ad Hogsmeade con me questo fine settimana? >>
<< No. >>
<< No? >>
<< No. >>
Sul viso di Potter si tinse un espressione di veritiera incredulità.
Ma, da bravo James Potter –nonché idiota- qual eraera, si riprese subito.
<< Ma non ci vuoi nemmeno pensare? >> domandò, con una certa ironia mista ad arroganza.
<< Mmm… Fammi ci riflettere. . . >>Lily alzò gli occhi verso il soffitto, grattandosi il mento con falsa aria pensierosa. << ehm.. NO. >>
E così dicendo, approfittò del momento per allungare una gamba e superare Potter con un solo passo.
Se lo lasciò alle spalle, pregando che quel cretino potesse ricevere tutto ad un tratto l’illuminazione divina, che connettesse finalmente il cervello e capisse che lei non era. . .
<< Avanti, Evans. So che non puoi resistere al mio fascino. >>
…interessata.
Sospirando, Lily si voltò verso di lui, lentamente.
Molto lentamente.
"Calma, Lil’. Non incenerirlo."
<< Dimmi, Potter, >> disse, irritata << cos’è che avresti in più rispetto agli altri che mi spingerebbe a dirti di si?  >>
Il ragazzo sorrise, con aria maliziosa.
<< E cos’è che invece ti spinge ogni volta dirmi di no? >>
“Non si risponde ad una domanda con un’altra domanda” avrebbe voluto rispondere la studentessa, ma non lo fece.
Non lo fece, perché Potter gli aveva appena offerto su un piatto d’argento un’occasione da non perdere.
Quella di spiattellargli in faccia tutti i suoi dannati difetti.
Oddio. Non c’erano limiti alla stupidità di certe persone.
La ragazza accennò ad un sorrisetto soddisfatto.
<< Vediamo… Sei sbruffone, egocentrico. .. >>
<<   Ironico, sicuro di sé.. >>
<< …prepotente, prendi tutto alla leggera.. >>
<<  determinato, spensierato… >>
Lily decise – con grande sforzo di volontà- d’ignorarlo.
<< … Infantile, vanitoso… >>
<< Divertente, affascinante… >>
La ragazza sbuffò, sull’orlo di perdere definitivamente la pazienza.
<< Potter, ma la vuoi piantare? >>
Il giovane sfoderò uno di quelli che doveva ritenere uno dei suoi sorrisi più beffardi.
<<  Sto solo cercando di farti capire che non hai scusanti, Evans. >> disse, malizioso. << Avanti, esci con me. >>
“Ecco, sorridi ancora una volta in quel modo e vedrai come ti finisce.” pensò Lily, convinta che l’espulsione non poteva essere un’eventualità così terribile. Almeno avrebbe liberato il pianeta dall’inutile, fastidiosa presenza di James Potter.
<< Potter… >> esclamò, tentando di non perdere il controllo << … giuro che se non sparisci immediatamente dalla mia vista, te ne pentirai. >>
L’altro sorrise.
Ancora.
Probabilmente, quel sorriso ebete non sarebbe svanito nemmeno dinnanzi all’Apocalisse.
O almeno finché qualcuno non ne avesse ucciso il proprietario.
Oh, si.
Finalmente Lily aveva scoperto quale fosse lo scopo della sua vita.
<< Sennò che farai, Evans? >> chiese intanto Potter, ironico.<< Mi denuncerai alla Mc Granitt? Leverai cinquanta punti alla mia Casa? Mi schiaffeggerai di nuovo?  >>
Le labbra della ragazza s’incresparono in un sorriso sarcastico.
<< Niente di tutto questo, Potter. >>
<< Allora cosa? >>
<< Qualcosa per cui, credimi, tutte le tue spasimanti piangeranno a lungo. >>
Potter la osservò divertito. << E che sarebbe, di grazia? >>
Sempre sorridendo, la giovane finse di simulare il movimento della bacchetta con la mano libera, leggermente sollevata e rivolta verso il ragazzo.
Verso un punto pericolosamente basso, del ragazzo.
La voce di Lily si ridusse ad un sussurro malizioso, ma al contempo amabile ed intriso di falsa innocenza.
<< Reducto. >>
E James  Potter, per una delle rare volte nella sua vita, impallidì.
E mentre il ragazzo pensava e temeva per i suoi “ingenti” gioielli di famiglia, Lily Evans, prefetto di Grifondoro, sollevava il mento con aria di superiorità, e lo superava una volta per tutte, proseguendo per la sua strada.
<< Ah, Potter? >>
<< Si? >>
A Lily ci volle un attimo per convincersi a proseguire. Di solito detestava infierire sull’aspetto fisico delle persone, ma a Potter non avrebbe fatto che bene vedersi sgonfiare l’orgoglio tutto d’un colpo. << L’accompagnatore di solito è più alto della ragazza. E non sembra questo il nostro caso. >>
Mentre si allontanava, sentì nitidamente Potter imprecare a gran voce.
 
***
 
James rimase allibito per un momento, osservando quella chioma color cremisi allontanarsi sempre di più –e maledicendo i suoi miseri centosessantotto centimetri d’altezza.-
Pensava ancora alle sue parole, ai suoi occhi smeraldini brillanti di rabbia, al suo sguardo tagliente, ai suoi insulti.
Pensava a quanto lo avesse maltrattato, a quanto avesse sgonfiato il suo orgoglio con poche parole e. . .
Uao.
Stra e stra ri-uao.
Quella ragazza lo stava facendo letteralmente impazzire.
Avvertì a malapena la mano di Padfoot dargli una pacca sulla spalla, scherzosamente.
<< Ehilà, Prongs! >> esclamò, col solito tono giovale. << Un’altra buca, eh? >>
James si voltò verso l’amico, con un sorriso beffardo. << Oh, non ti preoccupare. Cederà, prima o poi. >>
Sirius scoppiò in una fragorosa risata. << Oh, certo, James. Ma anche questa gita ad Hogsmeade te la passi da solo! >>
<< Gne, gne, non ti sento! >> esclamò l’altro, tappandosi le orecchie con le mani e facendogli la linguaccia.
Padfoot continuò a ridere. << Godric, ecco perché la Evans non uscirà mai con te! >> disse, divertito, ma il sorriso gli morì sulle labbra.
Appena vide l’espressione dell’amico adombrarsi, infatti, si pentì subito delle sue parole.
Tuttavia, accennò ad un sorrisetto ironico.
<< Oh, avanti, James. Non vorrai mica farmi credere che sia una cosa seria, eh? >>
Il  giovane Potter sollevò appena lo sguardo.
Poi, sotto l’espressione vagamente sarcastica di Sirius, anche sulle sue labbra s’increspò un sorriso.
<< Figurati, Sir. E’ un gioco. >> disse, con una punta di amarezza nella voce.
Una punta che, tuttavia, l’amico non sembrò scorgere. << Solo un gioco. >> ripeté, ancora una volta.
E Sirius, ovviamente, gli credette.
Aprendosi in un raggiante sorriso, sfoggiò una delle sue migliori espressioni da cucciolo eccitato.
<< Bene! Perché questa volta ho in programma un bel pomeriggio da malandrini! >> esclamò, quasi urlando, euforico.
Questa, però, fu la volta di James di accigliarsi.
<< Non dirmi. Il bellissimo Sirius Black non ha un’accompagnatrice? >>
Come per scacciare una mosca, Sirius agitò una mano, con aria annoiata.
<< Naaà, odio tutte queste ragazzette sovraeccitate. >>
James scosse leggermente la testa, lasciando tuttavia trasudare un punta di divertimento.
Poi fece la voce grossa.
<< Sei incorreggibile, Sirius Orion Black!“ >> esclamò, con una verosimile imitazione di Moony.
Padfoot scoppiò a ridere, attirando l’attenzione di quelle poche studentesse non ancora occupate dall’osservare da lontano i due studenti più popolari della scuola.
<< A proposito.. Dove si è nascosto il nostro lupacchiotto prefe... AHIA! >>
Sirius s’interruppe non appena una forte botta lo colpì alla nuca.
Emise un guaito non proprio virile e si voltò, massaggiandosi la zona lesa.
Remus era appena uscito dall’aula di Pozioni, e adesso si trovava alle loro spalle, con il pesante tomo ancora in mano.
<< Prova a chiamarmi di nuovo in quel modo, e giuro che sarai tu a doverti nascondere. >>
Padfoot quasi si sorprese che la mascella non gli fosse caduta a terra, tanto era rimasto a bocca aperta.
Era stato aggredito da Remus!
Il loro dolce e caro Remus!
Assunse una delle sue migliori facce indignate.
<< Oh, Remus! Come hai potuto! >> asserì, in perfetto stile soap-opera << Colpire un amico alle spalle! Oh, sciagurato! >>
E, mentre James pensava seriamente che fosse giunto il momento di procurarsi una camicia di forza, Moony si limitò ad innalzare un sopracciglio con aria perplessa.
Probabilmente, se avesse sentito i pensieri di Prongs, si sarebbe trovato in totale disaccordo.
Perché in quei casi non serviva la camicia di forza.
Oh, no, bisognava direttamente passare alla soppressione.
Sospirò.
Diamine, stare a presso alla stupidità dei suoi amici era davvero una gran fatica.
<< Beh, quando avrai deciso di dare ascolto al tuo unico neurone, avvertimi eh! >> iniziò, con tono chiaramente rassegnato. << Se non vi dispiace, desidererei andare a Trasfigurazione adesso. >>
Così dicendo, il giovane licantropo superò i suoi amici, affrettando il passo.
In effetti, sarebbero già dovuti essere in classe, e ciò che meno voleva in quel momento era che quei due lo disturbassero.
<< Ehi, Moony, aspetta! >>
Si, come no.
Parole gridate al vento.
Sbuffò, ma non fece nemmeno in tempo a voltarsi, che Sirius e James gli si erano appiccicati e preso a braccetto.
E tutto, per il prefetto, fu chiaro.
Le espressioni affettuose di James, lo sguardo amorevole di Sirius.
I loro occhi che, prima di tornare amabili, s’incontravano in uno sguardo d’intesa.
Remus sapeva cosa stavano per fare.
Quasi senza accorgersene, si ritrovò a supplicare qualsiasi forza divina di tirarlo fuori da quella dannata situazione.
"Merlino, no! Non adesso, prima della McGranitt!"
La prima mossa fu di Padfoot.
<< Remus… Oh, Remus… >>
James, se fosse stato possibile, s’avvinghiò ancor di più al suo braccio. << Caro, carissimo Remus… >>
<< Nostra infallibile guida nelle imprese più ardue! >>
<< Genio dal cuore d’oro! >>
<< Fidato dispensiere  di saggezza…. >>
<< Luce dei nostri occhi! >>
<< Godric, volete finirla?! >> chiese Remus, in un attimo di esasperazione.
Con la coda dell’occhio, notò i due assumere un’espressione da cucciolo bastonato.
Remus sapeva che, inesorabile, quella sarebbe arrivata.
Folle, diabolica, senza via di scampo: la richiesta.
<< Pensavo fossi nostro amico, Moony. >> guaì Prongs, alla sua sinistra. << Sei cattivo.  >>
<< E tu sei patetico, James. Credevo fosse Padfoot il canide, qui. >>
<< Ehi! >> esclamò, alla sua destra, l’animagus in questione << E dire che noi volevamo solo farti una proposta amichevole! >>
Malgrado tutto, a quella parole, il licantropo deglutì.
Eccola.
<< Già, già! >> confermò James, con tono infantile. << Volevamo solo chiederti una cosuccia innocente! >>
Remus lo guardò, scettico.
Come se le parole “James” ed “Innocente” fossero compatibili.
<< E di che si tratta? >> chiese ugualmente, con una punta di curiosità.
Ahi, Remus –pensò il licantropo- il masochismo è una brutta cosa, sai?
Sul viso di James apparve un sorriso malandrino, quasi…diabolico.
Nei suoi occhi scuri brillò una strana luce.
<< Vieni con noi ad Hogsmeade. >>
Vieni.
Con noi.
Ad hogsmeade.
Le parole di James risuonarono per un momento nella testa del giovane prefetto, associandosi, poco alla volta, l’una accanto all’altra nella sua mente.
Mentre invece, nel suo animo, erano le emozioni ad accavallarsi, impetuose.
Gioia.
Curiosità.
Scetticismo.
Entusiasmo.
E poi una, che sopraffaceva inevitabilmente tutte le altre.
Un’emozione che prese quasi subito forma nella parole del ragazzo.
<< MA ANCHE NO! >> sbraitò, tanto da far sobbalzare entrambi i suoi amici.
Sia James che Sirius si ritrassero leggermente, ma – cocciuti com’erano- non gettarono la spugna, e non lasciarono la presa.
<< Avanti, RemRem! Non lasciarci soli soletti! >>
<< No arete goli goledii! >> tentò di dire il licantropo, mentre Sirius –in una perfetta imitazione di qualsiasi zia che ha superato la sessantina- gli tirava la guancia sinistra, tenendola stretta nell’incavo tra il pollice e l’indice.
<< Come hai detto, patatino? >>
<< Eh? Esprimici i tuoi pensieri, bel bimbo della mamma! >>
<< Si, che cosa c’è? >> disse infine una quarta voce alle loro spalle, ed i tre malandrini si zittirono all’istante.
Poi, quasi fossero un’unica cosa, subito si girarono contemporaneamente verso il nuovo giunto.
Facile immaginarsi lo stupore di Peter Minus, appena vide i suoi migliori amici in quell’assurda posizione, con Sirius che cercava di provare l’elasticità della guancia di Remus, Remus che tentava col gomito di castrare James –in chissà quale maniera- e James che si era appiccicato a Remus, con tale voga da poter trasformare il povero prefetto nella probabile vittima di una marea di ragazze di Hogwarts rodenti d’invidia.
Wormtail rimase così, imbambolato, a fissarli per un po’, mentre anche i tre ricambiavano il suo sguardo.
<< AAAAAAAAAARGH!!! >>
Sia Remus, che Sirius e James urlarono all’improvviso, rischiando di far venire un infarto al povero Peter.
<< Peter! Ma che cavolo ci fai qui?! >>
<< E dov’eri finito?! >>
<< Ti sembra il modo di spuntarci alle spalle?! >>
<< E da quando sei diventato così silenzioso?! >>
Wormtail arrossì, abbassando il capo con aria mortificata.
<< Scusate. >> disse << Non volevo spaventarvi. >>
A ciò seguì un breve silenzio.
 Peter continuava ad attorcigliarsi nervosamente le mani, Remus si scervellava su un modo per inventarsi una scusa credibile con la McGranitt col sempre più grave ritardo, James meditava sul fatto che i suoi amici erano davvero strani e Sirius… beh, lui, ricordandosi della bella Corvonero che l’aveva mollato – perché al contrario di ciò che aveva detto a tutti, era stata lei a lasciarlo- pensava alla sua virilità perduta.
Ed in quel silenzio snervante, e completamente fuori luogo, fu Moony – il buon e saggio Moony- a parlare per primo.
<< Visto, ragazzi? >> esclamò, giovale << Non sarete soli! Ci sarà anche Peter con voi, no? >>
Sirius lo guardò con aria interrogativa.
Sgranò gli occhi grigi, mentre la sua mente cessava di concepire perversi pensieri sul fisico della bella ragazza andata.
<< Peter? >>
<< Peter. >> Remus annuì, con la solita aria tranquilla e sapiente, mentre i visi dei due malandrini al suo fianco sembravano illuminarsi.
<< PETER! >> gridarono all’unisono, correndogli incontro.
E ben presto, sotto lo sguardo del giovane licantropo, la scenetta di prima di ripeteva, con la differenza che lui non vi era più coinvolto.
Il piccolo e rubicondo Grifondoro si trovava adesso stretto dai due, che sembravano guardarlo con occhi adoranti.
<< Peter, nostro caro fratello! >>
<< Piccola polpettina! >>
<< Fringuello dall’animo puro! >>
<< Tu ci sarai ad Hogsmeade, vero? Non ci abbandonerai come quell’infame traditore della patria, eh? >>domandò James, con fare entusiasta, mentre Sirius si affrettava ad imitarlo.
<< Eh? >>
<< Eh? >>
<< EH? >>
Peter, fra i due, rivolse loro un’occhiata confusa, non riuscendo a capire esattamente le motivazione del soliloquio degli amici.
<< C-certo… >> balbettò, spaventato.
Remus aveva proprio ragione: quei due, quando volevano, sapevano essere davvero spaventosi.
Intanto, i visi dei ragazzi più agognati e “mascoli”-chi mai avrebbe capito il gergo delle ragazzine di primo anno?- di tutta la scuola, s’illuminarono come. ..  come il volto di un bambino di tre anni che ha ricevuto la sua prima paperella di gomma.
No, non molto virile, in effetti.
Né tanto meno “mascolo”, qualsiasi cosa volesse dire quel termine.
<< Bravo, Peteruccio! >> urlarono all’unisono i due malandrini, abbracciando insieme Codalisica.
E mentre il povero Peter moriva tra i più atroci e terrificanti dolori by Prongs&Padfoot’s love, Remus si allontanò dai tre con nonchalance, verso l’aula di Trasfigurazione.
Chissà, magari sarebbe riuscito a seguire gli ultimi cinque minuti di lezione.
 
***
 
James Potter si era davvero trovato un bizzarro gruppo di amici.
Merlino, li adorava, e per loro avrebbe fatto di tutto, ma diamine, se erano bizzarri.
Bizzarrissimi, a dirla tutta.
Bislacchi, come avrebbe detto Remus.
Perché non c’è niente di più strano nell’osservare i Malandrini a pranzo.
Niente di niente.
Peter era l’unico che riuscisse a mangiare budino, melanzane e panna contemporaneamente.
Davvero, nel suo piatto ci poteva stare di tutto.
Non che James si trovasse nella posizione adatta per criticare –dato che era sicuro di avere la divisa completamente imbrattata di succo di zucca- ma era disgustoso.
Molto disgustoso.
Per non parlare di Sirius.
Il caro e beffardo Sirius!
Ma come diamine faceva a sopravvivere in casa Black con quelle maniere?
Pareva che nessuno gli avesse insegnato a tenere forchetta e coltello in mano!
E poi. . . poi c’era Remus. In certe situazioni, quel ragazzo era in grado di allietarti l’animo, di farti scordare quanto di sporco e disgustoso c’è al mondo.
Peccato che non fosse quella la situazione. No, decisamente.
Oh, non voleva certo contestare l’educazione di Remus a tavola, certo che no.
Pareva quasi che fosse un principe, tutto diritto e con la bocca perennemente chiusa mentre masticava.
No. Il problema non era come mangiava, ma il cosa.
Perché nel suo piatto, non c’era altro che cioccolato.
Torta al cioccolato, budino al cioccolato, tavolette di cioccolato. .. C’era addirittura l’aragosta, col cioccolato!
Bislacco, decisamente bislacco.
Proprio nel culmine delle sue elevate considerazioni, James si accorse che Moony lo stava guardando.
Con uno sguardo perplesso, scettico, manco fosse lui quello che si stesse ingozzando unicamente di dolci.
<< James, mi spieghi perché continui a fissarmi? >>
Prongs sbattè le palpebre un paio di volte, prima di rendersi conto della situazione. Cavolo, quel ragazzo si accorgeva sempre di tutto.
Ma lui, tuttavia, aveva sempre la risposta pronta. Sempre.
<< Eh?  >>
Già. Proprio una risposta geniale.
Remus lo squadrò attentamente con gli occhi plumbei, cercando in qualche modo di verificarne la sanità mentale.
<< Mi fissi, Jam. Mi guardi, mi osservi, mi studi, o quel che ti pare. Non mi stacchi gli occhi da dosso. Perché?  >>
Il cercatore accennò ad un sorriso malandrino. <<  Ma perché ti amo, bel lupacchiotto.  >>
<< Oh si, certo. >> rispose l’altro, arrossendo leggermente. << Se si tratta ancora di Hogsmeade, comunque, ho già dato la mia risposta. >>
<<  Perché, non vieni? >> domandò allora Peter, servendosi dai piatti di portata per l’ennesima volta. E poi si lamentava di dover mettersi a dieta.
<<  No, Wormtail. >> rispose Sirius, fulminando al contempo  il prefetto con lo sguardo. << Remus ha definitivamente deciso di darci buca. >>
<< Davvero? >>
<< Davvero. >> asserì Moony, addentando tranquillamente la sua barretta di cioccolato.
Il giovane Black, tuttavia, si mostrò infastidito dalla calma con cui lo diceva. << e senza una motivazione valida, d’altronde. >>
Le parole fatali.
Remus abbandonò la tavoletta di Mielandia, riponendola nel piatto e squadrando l’amico con aria di sfida.
<< Devo ricordarti che tutte le volte che andiamo insieme ad Hogsmeade… >> iniziò, placidamente << Rischiamo una volta su quattro di finire in punizione? >>
<< Una su quattro? >> chiese Sirius, confuso. << Non mi sembrano così tante. >>
<< Appunto. Nelle altre quattro ci finiamo, in punizione. >>
Padfoot sbuffò, accasciandosi sulla sedia. << Merlino, come sei esagerato, Remus. >>
<< sono solo preciso, Pad. >> rispose il prefetto, sospirando. << E poi sabato. . . Ho già un. . . impegno. >>
Il viso di Sirius s’illuminò, e su di esso apparve un sorriso. << Non dirmi che si tratta finalmente di un appuntamento! >>
Remus, dall’altra parte del tavolo, accennò ad uno dei suoi sorrisi divertito ed al contempo esasperati. Tuttavia, sul suo sguardo calò, indecifrabile, un velo di malinconica tristezza.
<< Certo. Un appuntamento al . .. Chiaro di luna, non so se mi spiego. >>
Nonostante l’evidente allusione –che persino Peter era riuscito a scorgere- Sirius ci mise un po’ a mettere insieme i pezzi.
E quando lo fece, se ne uscì con un brillante: << Oh. >>
<< Già. Oh. >>
James, a quel punto, inarcò un sopracciglio, pensando bene d’intervenire. << E qual èè il problema, scusa?  >>
Remus sollevò lo sguardo triste verso di lui, continuando a giocare nervosamente con la forchetta con il cibo nel piatto.
Il caro e vecchio James, che cercava sempre di minimizzare i problemi.
Anche quelli impossibili da risolvere, e chi ti avrebbero marchiato per sempre.
Tuttavia, apprezzò il tentativo, ed abbozzò ad un sorriso.
Non uno di quei sorrisi falsi, che spesso adottava, per ingannare la gente, per non farla preoccupare, per rassicurarla che stesse bene.
No, si trattava di un sorriso sincero, di reale gratitudine.
<< Dai, Prongs. >> disse << sai che devo portarmi avanti con i compiti. >>
Remus pronunciò quelle parole con tranquillità, senza saper di aver, involontariamente, firmato la sua condanna.
Se ne accorse poco dopo, dalle bocche spalancate dei suoi amici.
E dal fatto che Peter –e ripeto, Peter- avesse smesso di mangiare.
E se Peter rinunciava, seppur per poco, ad ingozzarsi di qualsiasi si voglia schifezza, era davvero un brutto segno.
Un brutto, bruttissimo segno.
Deglutendo, Moony si accorse a stento che Sirius si era buttato come una belva su di lui, dall’altra parte del tavolo, afferrandolo per il bavero.
<< E SAREBBE QUESTO IL PROBLEMA?? >> urlò, scuotendolo ed  attirando l’attenzione dell’intera Sala Grande. << MA CHE RAZZA DI MALANDRINO SEI?! >>
<< Ehm… Sirius… >>
<< SECCHIONE DELLE MIE PLUFFE!! QUELLA SPILLA DA PREFETTO TI HA DAVVERO FATTO MALE! TE LA DOBBIAMO SUBITO FARE TOGLIERE  >>
<< Sirius, scusami… >>
<< ANZI, SAI CHE FACCIAMO? ANDIAMO SUBITO DALLA Mc GRANITT E… >>
<< Pad, ascoltami..  >>
<< JAMES, SI PUO’ SAPERE CHE CAZZO VUOI? >> urlò infine, voltandosi verso l’amico accanto cui –teoricamente- era seduto.
Ed appena lo fece, le parole gli morirono in gola.
<< Oh, non si disturbi, Signor Black. >> esclamò placidamente la professoressa Mc Granitt, accanto a James. << Se deve dirmi qualcosa, io sono qui. >>
Sirius rimase senza parole.
Non perché non avesse una scusa pronta, figurarsi.
Di quelle ne aveva a bizzeffe, ed una meno credibile dell’altra.
Ma collegare il cervello alla bocca mentre si tenta di strangolare uno dei  propri migliori amici di fronte ad un’insegnante, è davvero complicato.
Soprattutto, se sei piegato su un tavolo col sedere all’aria.
E se il tuo sedere è praticamente spiattellato in faccia alla suddetta insegnante, a quel punto diventa davvero impossibile pronunciare qualsiasi verso di senso compiuto.
E se ancora, si ci è appena ingozzati come maiali e ci si è accumulati un’incredibile quantità d’aria nello stomaco –ricordarsi la posizione del fondoschiena, di grazia-, allora c’è proprio da suicidarsi.
Già.
<< Lasci libero di respirare il signor Lupin, signor Black. E…Punizione, Signor Balck. Stasera alle otto, nel mio ufficio. >> e così dicendo, la Mc Granitt si allontanò nuovamente verso il tavolo degli insegnanti, portando con sé il silenzio che aveva accompagnato la sua comparsa.
Ben presto, il solito chiacchiericcio da Sala Grande rinvase.. la Sala grande, per l’appunto, e tutto tornò alla normalità.
Sirius ricadde sulla propria sedia, sbuffando e borbottando qualcosa del tipo “quella vecchiaccia”.
Remus, invece, dal canto suo, scivolò sulla propria, con espressione ancora scioccata.
<< Va bene. . . >> disse, infine, col fiatone. << Vengo. >>
 
 
***
 
 
<< Il primo a descrivere l'unicorno fu un babbano greco, che lo collocò in India, attribuendo al suo corno straordinarie proprietà terapeutiche. Nella religione cristiana, l'unicorno divenne simbolo di purezza e castità: si pensava infatti che l'animale potesse essere avvicinato solo dalle vergini…>>
Lily sospirò, voltandosi verso la grande finestra che illuminava la biblioteca.
La neve cadeva a ritmi delicati ed armoniosi, candidamente.
Le era sempre piaciuta la neve, fin da bambina.
<< …alle quali si addormentava in grembo, permettendo così ai cacciatori di catturarlo. Il corno della creatura, infatti, era molto ricercato perchè si riteneva che potesse scoprire e neutralizzare i veleni. >>*
Chissà se anche i bambini nate in famiglie di maghi giocavano a palle di neve.
O costruivano pupazzi di neve.
Strano.
Era ad Hogwarts da più o meno cinque anni, e non aveva ancora avuto modo di soddisfare questa curiosità.
Avrebbe chiesto ad Alice, una volta tornata nel Dormitorio.
Lei era una Purosangue..
<< Lily, mi stai ascoltando? >>
La ragazza sobbalzò, voltandosi di scatto verso Severus.
Il Serpeverde, era chino su un grosso tomo rilegato in pelle, e la squadrava con espressione indecifrabile.
Lily abbozzò ad un sorriso dispiaciuto. << Scusami… Non mi è mai piaciuta Cura delle Creature magiche. >>
O meglio, alcuni di quegli animali l’affascinavano.
Oh, se l’affascinavano.
Tuttavia, era conscia che quella materia non le sarebbe servita in futuro.
Perché, solitamente, aveva un pessimo rapporto con gli animali.
Davvero, davvero pessimo.
Basti considerare il fatto che, in ben cinque anni, aveva dovuto cambiare gufo tre volte.
<< Già.. >> disse ad un tratto Severus << Credo che abbandonerò anch’io questa materia, l’anno prossimo. Ma dobbiamo completare la ricerca per giovedì, quindi… >>
Lily sbuffò.
<< In ogni caso, non siamo costretti a parlare per forza di due creature. >> disse, osservando con aria distratta ciò che aveva scritto fin ora.
Mancava poco più di mezza pergamena, per completare la ricerca.
Sollevò gli occhi verdi, accennando ad un sorriso.
<< Dai. >> disse << Allunghiamo la parte su Minotauro* e tagliamo la testa al toro, no?  >>
Severus alzò lo sguardo dal libro, squadrandola con un’espressione tra lo scettico ed il divertito.
<< Doveva essere una battuta? >>
<< Dipende. Ti ha fatto ridere? >>
Il Serpeverde la osservò per un po’, perplesso, e Lily si sentì arrossire.
Certo, lei non era decisamente un asso dell’umoristica, ma neanche lui scherzava.
Almeno ci ho provato, no?
Ad un tratto, il ragazzo scosse leggermente il capo, chiudendo il tomo delicatamente.
<< Hai ragione. Per oggi, credo che basti. >>
<< Bene. >> commentò la rossa, sollevando leggermente la manica della camicetta<< Perché è già ora di cena, e io sto morendo di fame. >>
Severus la osservò, serio. <<  Perché indossi quella robaccia anche qui? >> le chiese, alludendo all’orologio babbano da polso che portava la ragazza.
Lily chinò il capo verso di esso, guardando distrattamente Topolino che indicava le sette e mezza di sera. *
Si sentì vagamente offesa.
Gliela avevano comprato all’età di nove anni, quando ancora ignorava di essere una strega.
Lo aveva allargato leggermente con la magia, in modo che potesse indossarlo ancora.
Un’ondata di tristezza la pervase all’improvviso.
Era stata Petunia a regalarglielo, quando ancora si rivolgevano la parola.
<< Ci sono molto affezionata.>> disse semplicemente, e Severus preferì troncare là il discorso.
Dopotutto, non aveva alcuna voglia di ricominciare a discutere.
Lily, nel frattempo, stava arrotolando la pergamena, infilandola nella sua cartella, mentre il Serpeverde s’impegnava nel raccogliere i volumi sul tavolo.
<< Posiamo i libri ed andiamo, d’accordo? >>
La ragazza annuì distrattamente, dandogli una mano con gli ultimi tomi rimasti, e si diressero verso gli scaffali per metterli a posto.
L’operazione durò giusto un paio di minuti.
Tuttavia, l’eseguirono nel più completo silenzio, e non tanto per rispettare le regole della Biblioteca –dato che erano ben pochi gli studenti di Hogwarts che si dedicavano veramente allo studio.-
No.
Il muro di disagio era tornato, riallontanandoli.
Ed ultimamente sembrava che niente potesse scalfirlo. Né le risate, né i sorrisi, né i pomeriggi trascorsi insieme.
Niente.
Sentiva Severus distante, distratto. E, con una punta di gelosia e preoccupazione, Lily si era resa conto che erano molto meno le giornate che preferiva passare con lei rispetto a quelle con il suo nuovo giro di amicizie.
Lily chinò lo sguardo, mentre l’amico riponeva l’ultimo libro nello scaffale di Erbologia.
Diamine, stava andando tutto a rotoli, nella sua vita.
Sentì distrattamente la voce di Severus al suo fianco.
<< Bene. Abbiamo finito. Io vado. >>
Lily non sollevò il capo, e rispose semplicemente: << D’accordo. >>
Il Serpeverde, tuttavia, non si mosse, e rimase lì, come in attesa di qualcosa, e la ragazza potè avvertire il suo sguardo su di lei.
Finse di guardare l’orario –di nuovo- e non alzò lo sguardo.
Infine, dopo qualche attimo, avvertì i passi di lui allontanarsi.
La giovane si morse il labbro inferiore.
"Diamine…"
Ultimamente non le andava una giusta.
Tunia non le parlava, in un solo giorno era riuscita discutere sia con Alice che con Severus, senza contare quell’idiota di Po… Pot..
<< Sev! >>
La ragazza si voltò di colpo, illuminata da un’idea.
Il Serpeverde, appena la sentì, si voltò a sua volta. << Si? >>
Lily percepì un’ondata di disagio pervaderla, assieme ad un lieve rossore sulle guance.
Tuttavia, decise di andare fino in fondo.
Prese un respiro profondo e…
<< Ci vieni ad Hogsmeade con me? >>
 
 
Angolino di zia Daicchan
allora vediamo di tirare le somme di questo capitolo...
1) ho aggiunto qualcosa al dialogo tra Lily e James... tra cui il riferimento alla loro altezza. James non è più basso di Lily, in questo momento sono entrambi quasi ad un metro e settanta. Perchè, vi chiederete voi.La spiegazione è semplice: Lily è una ragazza alta, e così diverrà anche James, ma di solito le femmine crescono prima dei maschi... quindi Prongs -mi sono rifatta anche alla crescita che secondo me ha subito Harry in altezza- svilupperà dopo, eheh. (ma chissene frega, poi? )
2)ho assemblato un po' quelli che nella versione precedente erano il secondo e il terzo capitolo.
questo un po' per aumentare il ritmo narrativo, in parte perchè mi son oresa conto che la discussione in cortile tra Lily e Severus, sebbene mi fosse piaicuta, è molto simile a duna che per la Rowling avranno in seguito, più o meno dopo il famoso "scherzo". Dovendo inserire questo spezzone nella mia ff, mi è sembrato inutile ripetere due situazioni molto simili.
 

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Capitolo 3
*** Hogsmeade ***


Capitolo 3

 Hogsmeade

 

 

 

In pochi sanno cos’è un vero e proprio “pallore mortale.”

Be’, Remus J.Lupin lo conosceva benissimo, invece. E proprio in quel momento, aveva l’onore di ammirarne uno.

Guardò il proprio riflesso salutarlo dallo specchio con aria abbattuta, il volto più pallido del solito e gli occhi chiari circondati da occhiaie violacee.

Uno schifo.

Era, e si sentiva uno schifo.

Davvero, ma chi glielo aveva fatto fare?

Una giornata trascorsa ad Hogsmeade con gli altri malandrini proprio nel giorno del plenilunio, corrispondeva ad un suicidio.

Sospirando, finì di vestirsi ed uscì dal bagno.

La luce del sole filtrava appena attraverso le tende color cremisi del Dormitorio, e come previsto, i suoi amici stavano ancora dormendo.

Nelle posizioni più svariate e ridicole, d’altronde.

Fino a qualche tempo fa, sarebbe toccato a Remus svegliarli. Almeno, fino a quando il prefetto aveva ben pensato di portarsi da casa una sveglia.

Una sveglia puramente babbana, d’altronde, che aveva comprato qualche tempo prima a Londra.

James, Sirius e Peter ci avevano messo un po’, prima di capire cosa fosse-e molto più tempo per imparare ad usarla-.

Tuttavia, alla fine c’erano riusciti.

Certo, la maggior parte delle volte –se non tutte- quando la sveglia suonava puntualmente alle 7.45, loro decidevano democraticamente d’ignorarla –o schiantarla contro il muro, a secondo dell’umore generale.-

Ma in questo modo, Remus poteva dire almeno di avere la coscienza a posto.

Ignorando dunque i grugniti ed il russare dei tre malandrini, il ragazzo scese le scale del loro Dormitorio.

Effettivamente, era ancora presto.

Considerando soprattutto che era sabato, e per la gita ad Hogsmeade avrebbe dovuto aspettare ancora qualche ora.

Ma era sempre così, in prossimità della luna piena.

Il lupo scalciava furiosamente, cercava invano di uscire prima del momento, senza lasciargli tregua.

Una lotta, una tortura, che lo lasciava senza forze, ma che al contempo gli impediva di dormire.

Percepiva la furia del lupo, lo sentiva dibattersi dentro di sé per liberarsi dalle catene invisibili che lo trattenevano.

Già. Il lupo.

Gli piaceva chiamarlo così, come se fosse una creatura a sé stante.

Ma al contempo, sapeva che non era così.

Oh, no.

Non lo era affatto.

Si trattava di un’altra parte di sé, diversa, brutale, ma pur sempre sua.

Perché era lui il lupo.

Era lui il mostro.

Remus sospirò, lasciandosi cadere su una delle poltrone della Sala Comune.

Ultimamente, almeno, le notti di luna piena erano migliorate.

Non poteva dimenticare il giorno in cui James e gli altri gli avevano rivelato di esser diventati Animaghi, tre mesi prima.

Una notizia che gli aveva portato una delle più grandi gioie della sua vita.

Ma anche una delle peggiori preoccupazioni.

Era giusto così?

Non era troppo pericoloso?

D’altronde, se fosse successo qualcosa a Peter. .. a James, Sirius. .. Non sarebbe mai riuscito a perdonarselo.

Il primo tentativo, comunque, era andato bene.

Più che bene.

E così anche il secondo, il terzo.

Tuttavia, Remus non riusciva, tuttora, a tranquillizzarsi.

Andare a spasso con un lupo mannaro non è una cosa sicura.

E se li avessero scoperti…

Non riusciva neanche ad immaginare.

Ad immaginare l’espulsione.

Hogwarts era una seconda casa per tutti loro, e… e Sirius, cosa avrebbe fatto?

Come sarebbe potuto tornare a vivere a Grimmauld Place?

In una famiglia dove non ci sarebbe stato nessuno ad accoglierlo a braccia aperte?

Remus si passò una mano sul volto, chiudendo gli occhi.

Aveva messo la vita dei suoi amici in pericolo, e tradito la fiducia di Silente.

Ed era colpa sua.

Tutta, e soltanto sua.

Non avrebbe dovuto rivelare il suo segreto.

Né entrare ad Hogwarts, o permettere che i suoi amici diventassero Animaghi, né. ..

<< Remus? Sei tu? >>

Il ragazzo girò la testa di lato, abbozzando un sorriso.

<< Ehi, Lily. Ciao. Neanche tu riesci a dormire? >>

La rossa ricambiò il sorriso, sedendosi accanto a lui. << Già. Soffro un po’ d’insonnia, ultimamente. E tu? >>

<< Niente. Troppi pensieri per la testa. >> rispose semplicemente, alzando le spalle.

Solo dopo si accorse che Lily lo stava studiando con occhio critico, indagatore.

Si sentì leggermente in imbarazzo.

<< Lily? >>

<< Sei un po’ pallido, Rem. Anzi, no, sembra che tu stia per morire. Sicuro di stare bene? >>

Il prefetto chinò lo sguardo.

Diamine, quella ragazza era in grado di accorgersi di tutto.

Ed era sempre così diretta!

<< Non ti preoccupare. >> rispose, sorridendo << Sto benone! >> aggiunse poi, allegramente.

Tuttavia lo sguardo di Lily sembrò assottigliarsi maggiormente, fino ad assumere un cipiglio perplesso.

<< Come sta tua madre? >>

<< Chi? >>

<< Tua madre. >>

<< Mia madre? >>

<< Si, Remus. >> disse lentamente la ragazza, tra il sospettoso e il preoccupato.<< Sei veramente sicuro di stare bene? >>

Prima di rendersene conto, il giovane licantropo scoppiò in una risatina isterica.

Godric, ma che stava combinando?!

<< Certo, mia madre. >> rispose, nervoso << Come al solito, grazie. Senti, scusa, ora devo andare. Sai com’è, se non lo faccio io, quelli dal letto non li butta giù nessuno! >>

<< Ma. .. >>

<< Ciao, Lily! Ci vediamo! >> e così dicendo, si catapultò su per le scale che portavano al Dormitorio maschile.

Lily rimase a dir poco allibita, sobbalzando appena quando udì sbattere la porta con violenza.

Oh, Merlino.

Allora era vero.

L’influenza di Potter riusciva a rincretinire chiunque!

 

***

 

Un urlo squarciò l’aria tranquilla del cortile innevato di Hogwarts, facendo sobbalzare almeno la metà dei presenti.

<< COSA!?! >>

La Mc Granitt si sistemò le piccole lenti rotonde sul naso, cercando di mantenere la calma e di darsi un contegno.

<< Signor Potter, mi può illustrare il motivo di tanto fracasso? >>

James si strinse nelle spalle, frettoloso.

In un’altra occasione avrebbe risposto a modo, magari con una battutina maliziosa, ma in quel momento non ne aveva il tempo.

Aveva altre cose a cui pensare.

<< Niente, professoressa. Scusi, professoressa. >>

L’insegnate lo squadrò da capo a piedi, come aspettandosi qualcos’altro –la già citata “battutina maliziosa”, insomma.-

Cercò di individuare dove stesse lo scopo di tanta docilità, ma quando giunse al fatto che non vi fosse nessun trucco, alzò le spalle.

Magari anche Potter stava iniziando ad imparare le buone maniere.

<< D’accordo, signor Potter. Ma veda di moderarsi, altrimenti mi vedrò costretta a levare altri punti alla sua casa. >>

“Che inoltre è anche la tua, stregaccia!” pensò il ragazzo, osservando la donna allontanarsi.

Poi si ricordò del suo intento iniziale, quello per cui aveva lasciato perdere quella donna invecchiata troppo in fretta.

Si voltò rapidamente verso Alice, che lo osservava preoccupata.

<< Cosa vuol dire, esattamente, che Lily non viene ad Hogsmeade con te? >>

La brunetta alzò le spalle, con fare vago. << Te l’ho già detto, James. Ci va con Piton. >>

Si, glielo aveva già detto.

Ma per credere che una qualsiasi forma di vita femminile –persino la Evans- preferisse quel… quel.. coso a lui, doveva sentirselo ripetere almeno altre cento volte.

Mille.

Diecimila.

Insomma, come diamine faceva la Evans a rendersi contemporaneamente tanto desiderabile quanto odiosa ed incomprensibile?!

Godric, se gli avesse preferito… chissà, magari Sirius… Infine –dopo aver trucidato l’amico, s’intende- James sarebbe riuscito a farsene una ragione.

Ma, insomma, stavano parlando di Piton!

Severus Mocciosusu Piton, che al posto del naso aveva il monte Everest e che sembrava aver giurato eterno odio a qualsiasi marca di shampoo!

<< James…Tutto ok? >>

Il ragazzo si voltò, incontrando lo sguardo ansioso dell’amica.

Uno sguardo che sì, era anche un po’ perplesso, perché vedere un compagno di scuoila grugnire e pestare i piedi sulla neve, non è affatto normale.

Soprattutto se il suddetto individuo è pure uno dei ragazzi più agognati della scuola. Così piccolino e rabbioso, le ricordava tanto uno gnomo malefico.

James sospirò, abbattuto.

Merlino, era impossibile che la vita potesse andargli così bene e, allo stesso tempo, così male.

<< Si.. Tutto a posto. >>

Ed era vero.

Figurarsi se James Potter si perdeva d’animo perchè rifiutato da una comune ragazza.

Tsè, le sarebbe piaciuto, alla Evans!

La sua reputazione non sarebbe certamente stata gettata nel fango solo per un minuscolo, insignificante, insuccesso.

Soprattutto, se la ragazza in questione usciva con tipi come Mocciosus!

Anzi, sotto questo punto di vista James doveva sentirsi sollevato dal non piacerle!

Sollevatissimo!

D’altronde, il mare era pieno di pesci, no?

Bastava solo avere la rete giusta,  e lui possedeva la migliore.

Quindi, basta Evans e basta sforzi inutili.

Scompigliandosi in capelli scuri con la destra –ed ignorando del tutto Alice- mosse un passo verso un gruppo di Tassorosso che si stava distrattamente avvicinando.

Gli era sembrato di scorgere una deliziosa biondina, in mezzo a tutto quel chiacchiericcio.

S’avvicinò, sfoderando uno dei suoi più affascinanti sorrisi.

Già, quella bionda era davvero un bel pezzo di ragazza.

<< Hai sentito cos’ha detto Juliet? >>

James pensò a cosa dire.

<< No. Che cosa?>>

Si, vabbè.

Come se uno come lui avesse bisogno di parlare, per conquistare una ragazza.

Ormai era quasi arrivato, e poteva sentire le sue parole distintamente.

<< Piton! Ha visto la Evans con Piton! >>

James si bloccò di colpo, spiazzato.

D’accordo, Prongs. Stai calmo. Avevamo detto di farla finita, no?

Già. Oramai Evans era acqua passata.

Che le importava se usciva con quel…

Quel..

<< E mi ha detto che si tenevano per mano! Per mano, capisci? >>

BASTARDO!

Lurido, schifoso, bruttissimo, maledetto…

 

 

 

<< VERME! >> esclamò Lily, disgustata << Che schifo! >>

Severus osservò l’amica, pensando.

Caspita, quella ragazza non aveva alcuna fortuna con le Tutti Gusti+1!

Poche volte l’aveva vista trovare un gusto che fosse, se non piacevole, almeno decente!

Tuttavia, per qualche assurda ragione, Lily s’intestardiva nel voler continuare a provare.

Severus sorrise.

O almeno, provò a farlo, perché ciò che gli uscì fu un’accennata smorfia divertita.

<< Lily, sinceramente… >> iniziò, aprendo il proprio pacchetto di caramelle << Credo che dovresti smetterla. >>

La ragazza sollevò il viso dal tovagliolo su cui -Severus poteva solo supporlo- aveva appena sputato la gelatina.

La rossa lo scrutò con gli occhi smeraldini, inarcando un sopracciglio.

In contrasto al pallore dovuto al freddo glaciale delle strade di Hogsmeade, quel verde brillava come non mai.

<< Scherzi? >> disse, con un tono scherzosamente altezzoso << Ti ricordo che sono una coraggiosa Grifondoro! Non posso mica arrendermi alla prima difficoltà! >>

Già, una Grifondoro. E lui un Serpeverde.

In tutti quegli anni ad Hogwarts, Severus non aveva mai badato a simili divergenze, ma… adesso c’era qualcosa di diverso.

Qualcosa che era cambiato, gradualmente.

Tutto era iniziato da quando aveva iniziato a parlare con Lucius.

A parlare, certo, ma anche ad ascoltare.

Ad ascoltare i suoi discorsi sull’utopia di un mondo perfetto, privo di qualsiasi essere… impuro.

Era discorsi di odio, disprezzo.

Discorsi sui Grifondoro, sui magonò, sugli ibridi.

E sui Nati Babbani.

Di quanto fossero malvagi, inutili, inferiori.. ..sporchi.

Discorsi strani, certo. Ma che da una parte lo incuriosivano, quasi lo attraevano.

Perché… Come potevano non farlo?

Come poteva non attrarlo ciò che Lucius sognava?

Si trattava di un mondo diverso, migliore, in cui quello ad essere deriso, insultato ed umiliato, almeno per una volta, non era lui.

Un mondo in cui tutto questo poteva essere riservato ad altri.

In cui lui, Severus, poteva finalmente essere accettato, e rispettato.

Come poteva dunque non essere affascinato da un qualcosa che gli avrebbe potuto dare tutto ciò che non aveva mai avuto? Che aveva sempre desiderato?

Poi, però, pensava a Lily.

Alla sua dolcissima e straordinaria Lily.

Al suo viso diafano.

Ai suoi lunghi capelli rossi, al suo fare gentile ma fiero, coraggioso.

Alla sua bontà, alla sua forza.

Ed ai suoi occhi, ai suoi magnifici occhi verdi.

E le parole di Malfoy gli apparivano assurde, senza senso, blasfeme.

Tuttavia, nel profondo della sua anima, il dolore ed il desiderio persistevano.

E di nuovo, si ritrovava ad ascoltare Lucius e i suoi amici.

Severus chinò lo sguardo, cercando di non incontrare quello smeraldino della Grifondoro.

Se ne vergognava, certo, ma al contempo si sentiva così turbato, confuso.

Non sapeva cosa pensare, né come comportarsi.

<< Sev, tutto a posto? >>

Il Serpeverde sollevò lo sguardo.

In preda a tutti quei turbolenti pensieri, a stento si era reso conto che erano già arrivati dinnanzi al negozio di animali di Hogsmeade.

Lily aveva insistito per farvi un salto, poiché –come suo solito- si era scordata di comprare il cibo per Evelyn, il gufo della ragazza, e quella povera bestia rischiava il collasso a forza di nutrirsi di briciole di pane.

Il fatto era che il gufo odiava Lily, e Lily odiava quel uccellaccio incapace di andare a caccia come tutti gli altri volatili.

E così impegnata nel detestarla, si era casualmente scordata di comprarle da mangiare, almeno finché una sua amica –così la rossa aveva raccontato a Severus- le aveva fatto notare che l’animale non mangiava da settimane.

D’altronde, era noto a tutti: Lily Evans detestava gli animali.

E non c’era verso di farle cambiare idea.

<< Allora, io entro un attimo. >> disse la ragazza, sorridendo gentile << Aspettami pure qua fuori. >>

Severus accennò ad un lieve segno di assenso col capo, prima che l’amica entrasse.

Appena la porta si richiuse alle sue spalle, Piton sospirò, iniziando a passeggiare lungo la strada.

Non aveva intenzione di allontanarsi troppo, ma sentiva anche la necessità di fare due passi, da solo.

Per riflettere, pensare.

Già, aveva troppi pensieri per la testa, ultimamente.

Tuttavia, aveva accettato l’invito di Lily, quel giorno, in biblioteca.

 

 

<< Ci vieni ad Hogsmeade con me? >>

Severus, quasi di riflesso, aveva spalancato la bocca e sgranato  gli occhi, sentendosi avvampare.

<< Come, scusa? >> aveva balbettato, confuso.

<< Hogsmeade… Volevo sapere..  >> Lily, se possibile, appariva ancor più imbarazzata di lui. << Se ti andava… di andarci con me, insomma. >>

Il Serpeverde era rimasto in silenzio per un po’, osservando l’amica di fronte lui che, a capo chino, sembrava come aver l’intenzione di sprofondare sotto terra.

La scena gli aveva causato un moto d’improvviso affetto e tenerezza.

Loro due insieme, ad Hogsmeade.

Ancora una volta.

Come ai vecchi tempi.

Aveva accennato ad un sorriso. << Si, certo. >>

 

 

Severus osservò distrattamente la sagoma della ragazza attraverso la vetrina opaca, di fronte la bancone.

Poi, una gentile presa alla spalla lo fece sobbalzare.

<< Salve, Severus. >>

Il Serpeverde si voltò lentamente, spaventato dallo scoprire chi vi fosse alle sue spalle.

Come se poi non l’avesse già capito.

Avrebbe riconosciuto quella voce tra mille.

Eccola lì, Bellatrix Black.

Bella come una dea, malvagia come la più oscura delle creature.

Pelle chiarissima, mossi e lunghissimi capelli neri, corpo sensuale e flessuoso.

Una bellezza mozzafiato, allettante, sinistra.

Una bellezza che sembrava essere stata raggiunta solo dal maggiore dei fratelli Lastrange, Rodolphus.

Il grande, grosso e muscoloso Rodolphus, che ora si trovava al fianco della ragazza

Ma si vociferava che anche lui venisse trattato con freddezza, dalla giovane Serpeverde del quinto anno.

A completare la comitiva, come Severus sospettava, infine c’era lui.

Lucius Malfoy, Serpeverde, ultimo anno.

Colui che aveva accolto Severus nel gruppo, suscitandone la curiosità.

<< Severus… >> lo salutò << Cosa ci fai qui? >>

Il più giovane s’immobilizzò, non sapendo cosa rispondere.

Malfoy detestava i Grifondoro, ed era disgustato dai Nati Babbani.

Solitamente, Severus non si faceva mettere in soggezione.

Ne aveva – e lo faceva tuttora- passate troppe, per poterselo concedere.

Tuttavia, il suo sguardo nobile ed arcigno aveva uno strano effetto su di lui.

<< Ecco, io… >> confuso, i suoi occhi si diressero involontariamente verso il negozio di animali, nel quale s’intravedeva distintamente, attraverso la vetrina, l’inconfondibile chioma rosso fuoco di Lily.

E la smorfia che si tinse sulle labbra di Malfoy, fu una delle più cariche di disgusto che Severus avesse mai visto.

<< Sprechi ancora il tuo tempo con quella Sangue Sporco, Severus? >> domandò il biondo, con aria sprezzante.

Ma Severus scorse, nella sua voce, qualcosa di più.

Odio. Disprezzo. Disgusto.

Per la sua Lily.

Qualcosa scattò in lui, qualcosa che gli mostrò quanto di sbagliato ci fosse in quell’espressione.

Tuttavia, quando controbatté, la sua voce era debole, insicura, ridotta ad un patetico sussurro. 

Un po‘come lo erano lui e le sue certezze.

<< Lily… lei non. .. >>

<< Lei cosa? >>

Il sussurro di Bellatrix, china su di lui, lo fece sussultare.

Era un sussurro amabile, malizioso, sensuale.

Ma anche infido, malvagio e sinistro.

Severus poteva avvertire il suo fiato all’orecchio, e il suo attraente profumo pervaderlo.

<< Cosa, Severus? Cos’ha la Evans di diverso rispetto al resto di quella feccia? >>

Già, anche il quindicenne continuava a domandarselo.

Cos’aveva Lily di diverso? Perché, per lui, era così speciale?

Perché non riusciva a considerarla come tutti gli altri Sangue Sporco?

<< Io… >>

<< Sev! Tutto bene? >>

Lily!

Quand’era arrivata?

Con la coda dell’occhio, scorse la sua figura dall’altra parte della strada, in rapido avvicinamento.

Fiera, audace e coraggiosa, come sempre.

<< Forza, Sev… >> gli sussurrò Bellatrix con un suadente sibilo. << Corri dalla tua Mezzosangue. >>

E Severus non se lo fece ripetere due volte.

Sapeva quanto Lily sapeva essere irascibile e dannatamente coraggiosa.

Non voleva immaginare cosa quei tre le avrebbero fatto, se si fosse presentata l’occasione.

Allontanandosi di fretta, Severus giunse dinnanzi all’amica, agguantandola gentilmente per un braccio.

<< Non ti preoccupare, Lily. >> disse, col tono pacato di sempre. << Andiamo. >>

 

***

Si era soliti credere, di tanto in tanto, che il piccolo villaggio di Hogsmeade fosse uno dei ritrovi preferiti degli spettri.

Si trattava di una credenza abbastanza diffusa, per lo meno tra i maghi superstiziosi.

E, si sa, i maghi sono tutti superstiziosi.

O almeno, la maggior parte.

Ecco perché, i pochi che le notarono, non furono così sbalorditi nel vedere comparire nel candido strato di neve che ricopriva la strada verso il bosco, tante impronte frettolose.

Certo, si stupirono –vedere uno spirito, a differenza di un fantasma, non è un avvenimento così frequente- tuttavia, non rischiarono di uscire fuori di testa.

Affatto.

Nonostante ciò, se c’era qualcosa che non riuscirono a spiegarsi, furono le risate.

Risate fragorose, allegre, che in mezzo a tutto quel chiacchiericcio solito delle visite degli studenti, pochi avrebbero potuto notare.

Risate malandrine.

Sotto un prezioso, nonché rarissimo, mantello dell’invisibilità, quattro ragazzi si dirigevano verso il confine del bosco adiacente al villaggio.

Un posto isolato, tranquillo, adatto per spartirsi equamente un ingente bottino di guerra.

Raggiunta la destinazione, il primo ad emergere da sotto il magico tessuto, fu un giovane dai capelli e gli occhi chiari, e dall’aria a dir poco furibonda.

Con rabbia, afferrò un lembo del mantello, tirandolo verso di sé.

Le teste dei suoi tre amici, sghignazzanti, apparvero come dal nulla.

<< MA SIETE IMPAZZITI? VI RENDETE CONTO DI CIO’ CHE AVETE APPENA FATTO?! >>

Nonostante la voga con cui il giovane Lupin urlò quelle parole, i suoi tre amici rimasero impassibili, masticando con solenne e pacata indifferenza le loro caramelle.

<< PASSI PER GLI SCHERZI AI SERPEVERDE, MA QUESTO SI CHIAMA RUB.. >>

Non fece in tempo a finire, che un piccolo oggetto dalla forma rettangolare gli volò incontro.

Il licantropo lo afferrò prontamente, chinando lo sguardo su di esso.

Un dolce, avvolto in carta rossa e dorata.

Le lettere scritte su quest’ultima,  stampate a caratteri cubitali, attirarono immediatamente la sua attenzione.

“CIOCCOLATO”.

Un tasto da non premere mai.

Il suo tallone d’Achille.

Remus sentì lo stomaco stringersi in una morsa, mentre già immaginava il sapore dolce del cioccolato a latte, o l’intensità stravolgente di quello fondente, o il gusto forte e particolare del…

No, doveva essere forte!

Non poteva lasciarsi abbindolare –e fregare- così facilmente da un ammasso di zucchero e cacao!

Già, di dolce e squisito cacao…

Ok.

Era una battaglia persa.

Sbuffando, si sedette sul grosso masso accanto ai suoi amici, fulminando con lo sguardo colui che l’aveva attirato in quella trappola.

Sirius, dal canto suo, rispose con una linguaccia, mostrando i non tanto amabili resti di cioccolato sulla lingua.

<< Sei facilmente corruttibile, Lunastorta. >> esordì James, scuotendo la testa con fare melodrammatico. << Brav’uomo, brav’uomo. >>

<< Semplicemente.. >> rispose allora Remus, addentando frattanto la tavoletta di cioccolato << ..Sono troppo stanco per farvi una predica degna di questo nome. >>

Una caramella –prontamente scagliata da Codaliscia- non mancò di arrivargli in testa.

E mentre il prefetto sbuffava nel modo che solo lui sapeva fare, e Sirius scoppiava a ridere; James –il sempre attento James- squadrò il licantropo con aria indagatrice.

<< Ehi, Rem.. Sicuro di stare bene? Sembra che tu stia per morire! >>

Remus sgranò gli occhi, non tanto per ciò che il ragazzo aveva detto, ma per un ricordo giuntogli all’improvviso.

“Assurdo” pensò, incredulo “ Ha usato le stesse parole di Lily! ”

Tuttavia, il ragazzo sorrise ugualmente.

<< Tutto a posto, non preoccuparti. >>

<< Sicuro? >> rimarcò allora, Peter, sollevando un sopracciglio. << Davvero, non hai una bella cera! >>

Remus sbuffò.

<< Ho detto che sto bene, quante volte devo ripetervelo?! >>

<< Wow, Moony, calma! >> esclamò Sirius, alzandosi pure lui accanto al licantropo –che in quello sbotto d’impazienza era scattato in piedi- e poggiandogli una mano sulla schiena. Non si era arrabbiato per la scortesia dell’amico, ma, piuttosto, preoccupato. << Che succede? >>

Remus chinò lo sguardo, colpevole. Gli dispiaceva essere scoppiato in quel modo, e gli dispiaceva per Sirius, per Sirius che sfoggiava quell’espressione accorata e che era sempre così protettivo, con tutti loro.

Sospirò.

<< Scusami. >> disse, chiudendo gli occhi e rimettendosi a sedere. Ora che ci faceva caso, si sentiva uno schifo. << Scusatemi tutti. Deve essere la luna piena. >>

James, dal canto suo, guardò l’amico. Era preoccupato, ma anche perplesso. Era vero, vicino al plenilunio Remus diventava un pochino irritabile –in modo da poter quasi competere con Evans, o con una qualsiasi ragazza nel suo “periodo del mese”-, ma non scattava mai per così poco. Di solito perdeva il suo ammirabile autocontrollo soltanto quando lui e Sirius gli chiedevano di copiare i compiti, o quando Peter consumava la sua terza merenda del pomeriggio sui suoi libri.

Fece per dire qualcosa, ma fu Codalsicia a precederlo, dalla sua postazione un po’ in disparte.

<< Non ti senti in colpa, vero? >> chiese, incerto, guardando Remus. Questi sollevò il capo verso di lui, sorpreso.

<< Come? >>

<< Intendo… Non ti stai facendo complessi perché accompagniamo il lupo durante le trasformazioni, no? >> spiegò l’altro, quasi timidamente.

Sirius guardò prima Peter –stupito dalla sua perspicacia- poi James, incredulo quanto lui, ed infine Remus, sebbene con questi non sapeva bene quale delel tante reazioni che gli stavano sorgendo spontanee assecondare.

Osservò il prefetto distogliere lo sguardo, mordersi il labbro inferiore, ed optò per quella che in quel momento gli veniva naturale.

<< Merlino, mi prendi per i fondelli, vero?! >> sbottò, furioso per quell’eccessiva, solita, ed incurabile dose di vittimismo ed auto-compatimento.

Remus non rispose, ma James lo vide più pallido, e fece un passo verso di lui: << Remus, è stata una nostra idea, mia, per l’esattezza. Quindi, se devi prendertela con qualcuno, lascia in pace te stesso e dammi pure un cazzotto. Tu non c’entri niente. >>

<< , invece! >> Lunastorta sollevò lo sguardo verso di lui, verso tutti loro, con una faccia che rasentava la disperazione. << E’ tutta colpa mia. >> aggiunse poi, debolmente, e con un rumoroso sospiro si prese la testa fra le mani. << Dovevo essere più prudente, non dovevo dirvi nulla. E’ un problema mio, non vostro. >> la sua voce si fece ancora più bassa, e James si chiese se si stesse effettivamente rivolgendo a loro, oppure a se stesso, o a qualcun altro, qualcun altro che non era lì. << E’ stata colpa mia. >>

Prongs rimase in silenzio.

Di che stava parlando, Remus? Del fatto che lui, Sirius e Peter fossero diventati Animagus, o del giorno in cui era stato morso?

Ora che ci pensava, Lunastorta non ne aveva mai parlato, e nessuno di loro sapeva come si sentiva al riguardo. Anche se, conoscendolo, probabilmente s’incolpava anche di quello.

<< Moony, >> iniziò, piegandosi sulle ginocchia, davanti all’amico, in modo da poterlo guardare dritto negli occhi. Voleva che vedesse il suo viso, il suo sguardo, e che capisse che tutto ciò stava per dire nonera altro che la pura e semplice verità. << Moony, nessuno ci obbliga a farlo. Nessuno. Lo facciamo perché siamo tuoi amici, perché sei solo stato sfortunato e perché tu non hai fatto nulla di male. Ed ora ti chiedo un favore: ti prego, lasciati aiutare. >> aggiunse poi, supplichevole << Per favore, è a questo che servono esistono gli amici. >>

Remus non rispose, ma era quasi possibile vedere i mille pensieri che gli passavano per la testa, mentre sul suo volto affiorava l’aria assorta che soleva accompagnare i suoi momenti di riflessione. E James aveva paura, perché di solito, più Remus pensava, più trovava forzati motivi per ritenersi un mostro. Era in quelle occasioni che Prongs avrebbe tanto voluto conoscere un incantesimo per infilarsi nella sua testa e gridargli “Ehi, brutto cretino! Ti vuoi rendere conto che sei una delle persone più buone, e gentili, e meravigliose del mondo?”.

Ma, dato che era impossibile –almeno credeva-, si limitò a sorridergli.

<< Forza, Rem. Lasciaci fare. E, sei ha ancora qualche dubbio, vedi di nasconderlo, perché la faccia di Sirius inizia a preoccuparmi, e temo che ti voglia picchiare. >>

<< Se non lo fa lui, ci penserò io! >> esclamò Peter, con aria solenne. << Non puoi impedirci di darti una mano. E’ per questo che esistono i Malandrini. >>

James osservò il loro rubicondo amico, e sentì un’ondata d’orgoglio e d’affetto per la fedeltà dimostrata dal caro Codaliscia.

E, con estremo piacere, notò che anche sulla bocca di Remus era apparso un sorriso.

Il prefetto chiuse gli occhi, scosse la testa.

Certo, sapeva di essere colpevole, e tuttavia non poteva frenare quel dolce senso di calore che gli proveniva dal profondo, pervadendogli l’animo. 

Potevano il commovente affetto, e il disinteressato sostegno dei suoi amici, commuoverlo e confortarlo a tal punto da fargli dimenticare di essere un mo… be’, di essere quello che  era?

Con i Malandrini, sentiva di essere accettato, amato; poteva stare con loro, poteva non dovere affrontare lo sguardo compassionevole di sua madre o quello pieno di rimorso di suo padre.

Era bello illudersi di poter condurre una vita normale, di essere normale… Era bello aver fiducia, cullarsi in una vana ma calda speranza… almeno per un po’.

Poggiò le mani sulle ginocchia, e facendo forza su quelle si tirò in piedi.

<< Propongo allora di andare a mangiare un boccone. Per stendermi avrai bisogno di energie, Peter. Sono un avversario temibile, sai? >>

Codalsicia rise, seguendolo, così come James, che studiò Remus con un’espressione serissima.

<< In effetti… Insomma, quanto potrà mai pesare questo colosso umano? Cinquanta chili? >>

Remus scosse le testa, con altrettanta serietà. << Scherzi col fuoco, Potter. >>

<< Oh, non ne dubito. Non temere, Codaliscia, scriverò io il tuo elogio funebre. Sarà brillante. Come ogni cosa che faccio, d’altronde. >>

<< Già me lo immagino. >> rise il prefetto << Un’abbondare di termini forbiti, senz’altro. Sicuramente meglio di Sir… Sirius? >>

I tre si voltarono, notando che Felpato era rimasto indietro.

Il ragazzo, in effetti, stava in piedi a fissarli, l’espressione seria ed imperscrutabile. Sollevò lo sguardo, puntò gli occhi grigi su Remus, che dal suo canto non poté trattenersi dal deglutire, soprattutto quando l’amico iniziò ad avanzare a grandi passi verso di lui, la faccia adombrata.

Ricordandosi delle parole di Prongs, indietreggiò un po’, preoccupato. Col suo metro e ottanta, Padfoot sì che era un avversario pericoloso.

Per poco non chiuse gli occhi con codardia, quando se lo trovò ad un centimetro di distanza. Era pronto a beccarsi un pugno in faccia, accettando la degna ed inevitabile punizione, quando Felpato fece qualcosa di inaspettato.

Lasciando tutti a bocca aperta, gli poggiò le mani sulle spalle, in modo tale che la distanza fra i due si riducesse ancora di più.

Fu allora che Remus capì che l’altro non l’avrebbe picchiato –ormai era evidente-, ma impallidì comunque, e per ben più temibili ragioni.

<< Ehm… Siriu.-? >>

Senza che gli lasciasse finire la frase, Padfoot lo tirò a sé, stringendolo in un abbraccio. Scioccato, il prefetto si lasciò dare delle calorose pacche sulla schiena, rimanendo immobile e non avendo la benché minima idea di come comportarsi.

<< Sei un idiota, amico. >> disse intanto l’altro, abbracciandolo con più forza e chiudendo gli occhi. << ti voglio bene, ma ti odio così tanto che vorrei prenderti a sberle. >>

James, da qualche parte vicino a loro, rise: << Pads, stai dicendo un sacco di cose senza senso. >>

<< Taci, Potter. >> sbottò lui, continuando ad abbracciare un Remus sempre più sconvolto.  << Sono già incazzato con lui, ti prego di non peggiorarmi l’umore. >>

<< Va bene, ma ora lascialo, o finirai col traumatizzarlo a vita. >>

Sirius sembrò pensarci per qualche istante. Dopo un’ulteriore pacca sulla schiena, decise di lasciarlo andare.

Il licantropo era più pallido che mai, sul viso un’irrigidita espressione traumatizzata.

Prongs –il vecchio Prongs, che adorava rigirare il coltello nella piaga- scoppiò in una fragorosa risata. << Per tutta la barba di Merlino, per un momento ho creduto che l’avresti baciato! >>

Mentre Peter, sconvolto alla pari del prefetto, annuiva lentamente, Remus non mosse un muscolo, ma le sue pupille si spostarono in direzione del giovane Potter: << Non scherzarci sopra, Jam. Non c’è niente da ridere. >>

Sirius sbuffò.

<< Quanto siete stupidi. >> sbottò, infilando le mani nelle tasche dell’ampio mantello << Sempre a pensare male. >>

<< La tenera storia tra Sirius Black, il principe dannato, e l’adorabile Lupin. >> infierì James, sfoggiando un’espressione sognante. << Oh, le ragazze ci impazziranno. >>

Felpato ghignò. << Oh, ma sta’ un po’ zitto. Sei solo geloso perché in caso di… “ conversione”,  troverei Moony più attraente di te. >>

Mentre Remus squittiva un disperato “Non dire queste cose!”, James assottigliò lo sguardo, prendendola sul personale.

<< E perché mai, scusa? >>

Felpato ricambiò l’occhiata con un’espressione beffarda, identica alla sua: << Perché sei un tappo. >>

<< Sirius! >>

 

***


Notte di sangue a Manchester, sterminata una famiglia di Babbani.

Gli Auror sospettano una talpa al Ministero.

 

Lily sospirò, leggendo con amarezza l’intestata della Gazzetta del profeta che una strega di fronte a lei stava sfogliando con poco interesse.

Il mondo stava precipitando nel caos, e lei non poteva che rimanere in un perpetuo stato di preoccupazione per la sua famiglia, indifesa nella loro casetta a Spinner’s End.

Severus, accanto alla ragazza, gli rivolse un’occhiata, seguì i lsuo sguardo fino al titolo dell’articolo.

Le posò una mano sul braccio, con timidezza.

<< Va tutto bene? >>

Lily si riscosse all’improvviso, battendo gli occhi, e si voltò verso l’amico. Notò la sua espressione preoccupata, ed abbozzò un sorriso rassicurante. << Sì, certo. Mi porti da madama Piediburro? >>

Fu il turno del Serpeverde di sbattere le ciglia, incredulo. E, tuttavia, un lieve rossore non poté che imporporargli il viso scarno, mentre le parole del prefetto lo inducevano ad un’inevitabile pensiero.

Madama Piediburro era il ritrovo preferito delle coppiette.

<< Sei seria? >>

<< Certo. >> replicò semplicemente la ragazza, con un sorriso sincero.

<< Ma è per… Ha tutti quei cuoricini… >>

<< Emmeline Vance ha detto che lì fanno delle ottime cheesecake e... >> aggiunse lei, innocentemente << Oh, andiamo, hai mai visto una cheesecake, ad Hogwarts? >>

Ogni ambiguo pensiero di Severus si dissolse con quelle parole. Ora era certo che nella richiesta dell’amica non ci fosse nessun doppio fine: infatti, sebbene Lily –come la maggior parte delle ragazze della loro età- non amasse abbuffarsi, nutriva per i dolci un’insana ossessione.

Tuttavia, Severus chinò lo sguardo.

Lucius e gli altri dovevano essere ancora nei dintorni e lui… be’, lui non voleva che lo rivedessero con Lily.

Non in un locale costruito ad hoc per le coppiette, perlomeno.

…. Merlino, quanto era stupido.

Doveva davvero delle spiegazioni, a quei tipi? Si vergognava di Lily, quando sarebbe dovuto essere il contrario?

“Non è per questo. “ disse una vocina nella sua mente. Provò ad ascoltarla.

Il problema, in effetti, era un altro: conosceva Lucius, Bellatrix e tutti gli altri abbastanza bene.

 Li aveva osservati, studiati di nascosto, all’ombra riparatrice dei propri silenzi.

Sapeva che molti di loro lo consideravano una mezza cartuccia, per via delle sue origini e del suo sangue; d’altra parte, era però consapevole che nemmeno i più ferrei pregiudizi avrebbero permesso loro di negare le sue evidenti qualità.

Era sveglio, brillante pozionista e promettente intenditore di Arti Oscure.

 Lo avrebbero ben accolto nel loro gruppo, ma solo dopo aver messo alla prova la sua fedeltà.

Ecco, sapeva che in questo, il suo legame con Lily lo avrebbe ostacolato. Tuttavia, non poteva rinunciare a lei, era fuori discussione. Per questo, all’esterno, doveva dare l’impressione che il loro rapporto fosse solo una banale amicizia.

Non dovevano capire quanto tenesse a lei, o lo avrebbero obbligato a dirle addio.

Chiuse gli occhi, incerto.

L’unica cosa di cui aveva bisogno era che li vedessero insieme da madama Piediburro, ma al contempo non voleva fare un torto alla Grifondoro, o insospettirla.

Tuttavia, fu proprio la ragazza a percepire qualcosa di insolito, nell’amico.

<< Non… Non fa niente! >> esclamò, tutto ad un tratto. << D’altronde, sarebbe sconveniente. Meglio andare ai Tre Manici di Scopa. >>

Severus la guardò: << Sei sicura? >>

<< S-sì. >> replicò lei, sebbene con una strana emozione. Si sentì una stupida: magari l’amico aveva frainteso le sue parole, e cercava il modo di declinare delicatamente la proposta. Diamine, aveva messo in imbarazzo entrambi.

Il Serpeverde l’osservò per qualche istante, in silenzio.

“Al diavolo.”

<< No. >> decretò, sicuro. << Andiamo. >>

Lily lo guardò con stupore, poi sorrise con allegria.

Severus la condusse per le vie innevate di Hogsmeade, osservandola mentre lei gli parlava di qualcosa che non il ragazzo non sarebbe mai riuscito a ricordare, tanta era la dedizione spesa nel contemplare la Grifondoro, che serena camminava al suo fianco.

Lily aveva un naso perfetto, dalla linea delicata, leggermente all’insù, e le orecchie un po’ a sventola che teneva perennemente nascoste sotto i capelli. Era un difetto talmente accennato dall’essere praticamente invisibile, eppure Lily nutriva per esso una buffa ed ostinata ossessione.

Odiava quando la McGranitt costringeva le studentesse a legarsi i capelli, eppure con lui soleva sistemarsi le ciocche sciolte dietro le orecchie, lasciando scoperte quest’ultime, senza nessun imbarazzo.

E Severus amava guardare quelle orecchie bianche su cui non brillava nessun orecchino, per poi passare al viso minuto, dai lineamenti regolari, un po’ più delicati della norma. Lo stesso viso su cui capitava finissero davanti i capelli rosso scuro, quando studiava di fronte a lui sul tavolo della biblioteca, e come al solito finiva col chinarsi troppo sui libri; ed allora si raddrizzava e si scostava bruscamente i capelli dal volto, sollevava i grandi occhi verdi su di lui e rideva, perché si era resa conto di aver sbuffato come una locomotiva a vapore in sua presenza.

Severus si diede dello stupido.

Queste elucubrazioni mentali non gli si addicevano e, per di più, erano del tutto inutili.

Sospirò, attirando l’attenzione di Lily.

<< Che c’è? >>

<< Niente. >> replicò lui, scuotendo la testa. << Siamo arrivati. >>

I due sollevarono lo sguardo verso il locale, e la sua sfavillante insegna color confetto.

Severus rimase a bocca aperta: a dire il vero, era la prima volta che arrivava così vicino a quell’inquietante luogo, così poco Serpeverde –così poco maschio, in generale.-

<< E’ tutto molto… >> cercò di trovare il termine appropriato, mentre ancora entrambi erano col naso all’insù nell’osservare il luogo. << …rosa. >> disse, ed arrossì di colpo.

Lily, accanto a lui, deglutì: << Avanti, non può essere così orribile. >>

<< E’ così orribile. >> ripeté il ragazzo, in quell’occasione estremamente loquace, e Lily abbassò lo sguardo verso di lui, decisa. Lo guardò malissimo –con un’espressione molto Grifondoro- e gli diede una spinta da dietro verso l’ingresso.

<< Forza, è solo un ristorante! >> sbottò e, prima che potesse fare qualcosa, si ritrovò contro la porta: la campanella sopra di essa tintinnò, e Severus si trovò immerso in uno disgustosamente sdolcinato ambiente di innamorati.

Poltrone liberty color salmone dalle spalliere elaborate in sottili –quanto pacchiani, s’intende- intarsi ritraenti putti e cuori attorniavano tavolini circolari dalle tovaglie pesca e lilla, su cui poggiavano vasi di rose e fiori in tinta col resto dell’arredamento, e teiere di porcellana. Dalle grandi finestre a forma di cuore entrava la luce del sole che, riflettendosi sulle pagliuzze rosa e viola dei lampadari a soffitto,  si diramava in melliflui raggi dai medesimi colori.

Severus, scuro e magro e tetro nel suo mantello nero, si limitò ad una smorfia.

Non credeva in Dio, ma se uno di quei puttini dorati dimensione naturale attaccati al muro fosse crollato a terra, portandosi appresso anche le pareti –magari quando lui si fosse trovato all’esterno, preferibilmente- e segnando la fine di quell’obbrobrio architettonico, avrebbe urlato al miracolo e al compimento della giustizia divina.

Lily, al suo fianco, gli rivolse un’occhiata atterrita.

<< Sembra un posto… carino… >> provò, neanche fingendo di credere in quello che stava dicendo.

Di fatti, Severus storse il naso, inarcando le sopracciglia: << Certo. Con un incendio nell’angolo cucina e uno di quelle grosse macchine demolitrici babbane al centro della sala, sarebbe davvero un luogo delizioso. Mi ci trasferirei subito, se non fossi già troppo magro per permettermi di rimettere alla sola vista di ogni singolo millimetro di moquette. >>

Lily lo guardò, divertita: << Quella del pavimento o delle pareti? >>

<< Dipende da quale riuscirò a scorgere prima di essere sfuggito a gambe levate da qui. >>

Lily rise, a bassa voce per non attirare l’attenzione dei clienti, molti dei quali erano impegnati in uno sviscerale sbaciucchimaneto coi corrispettivi partner.

<< Allora prendo la fetta di torta e torno. >> bisbigliò, dirigendosi verso il bancone. Severus annuì, si tolse la sciarpa, poggiandola su una poltroncina libera davanti a lui, e rimase ad aspettarla, fissandosi le scarpe nell’attesa, in modo da non dover sostenere la vista del deplorevole spettacolo di baci che si stava tenendo davanti a lui. Si sentiva un po’ a disagio, a dire il vero.

Da una parte, trovava tutta quella frivolezza ed ipocrisia fatta da amori giurati dopo pochi giorni e simili davvero nauseante. D’altra, una piccola vocina dentro di lui gli diceva che no, non sarebbe stato così male essere come tutti gli altri suo icoetanei, spensierato, senza che si prendesse così sul serio.

Sarebbe stato più bello, forse.

Più facile, di certo.

<< Andiamo? >>

La voce di Lily, tornata con la sua fetta di torta, lo fece sobbalzare. Annuì, e la seguì all’esterno.

…Si ricordò solo in quel momento della sciarpa.

<< Scusa, ho dimenticato una cosa dentro. >> disse, rientrando un attimo nel locale.

 

***

 

Godric, non poteva crederci!

Ci era cascato un’altra volta!

Aveva giurato e rigiurato sul proprio onore che era finita, che l’avrebbe piantata una volta per tutte, e invece. ..

Merlino, cosa gli stava succedendo?!

“ Ramoso, ora tornerai indietro dai  tuoi amici! “ si ripeté mentalmente James, cercando di persuadersene.

A quanto pareva, però, non era così convincente quanto credeva di essere.

In men che non si dica, non appena, dall’interno di Zonko, aveva visto quella testa rossa dalla vetrina, era uscito di corsa, dandosi contemporanemanete del cretino e cercando invano di prendersi a pugni da solo.

Tutto questo a causa di quell’odiosa, stupenda, maledetta….

<< Ehi, Evans. >>

Ecco, appunto.

Era cascato nuovamente nella sua trappola.

Però, Merlino, la reazione della Evans fu impagabile.

La vide sobbalzare, buttarsi la fetta di torta che aveva in mano sul cappotto, imprecare a gran voce  e rivolgergli quello sguardo tanto gentile con cui lo guardava da anni.

O meglio, quello venne dopo.

Perché prima fu il momento della sorpresa, in cui James vide solo i suoi occhi verdi spalancarsi in una muta esclamazione di stupore.

E poi… be’, sì, venne l’odio.

<< Potter. >> disse la ragazza, con ostentata –e palesemente falsa- tranquillità, e a lui venne quasi da ridere.

Sforzarsi di apparire così calma e composta con un imbratto di vaniglia e fragole spalmato sul cappotto era qualcosa di cui solo Lily Evans era capace.

Certo, come se digrignare i denti e ruggire ad ogni sillaba pronunciata possa aiutare a mostrare serenità, quello lo sapeva solo Evans. << Che ci fai qui? >>

<< Che sciocchina che sei, Evans. >> rispose lui, scuotendo la testa. << Cosa vuoi che si faccia da… Madama Piediburro?! >> quasi saltò in aria dalla sorpresa. << Che ci fai tu da Madama Piediburro! >>

Evans inarcò un sopracciglio: << La tua gelosia è davvero inappropriata, sai? >>

<< Non importa! Dimmi almeno che sei da sola! >>

<< Io non ti dico un bel niente, Potter. >> sbuffò lei, esasperata. << comunque, ho comprato una fetta di torta, non si vede? >>

James inarcò un sopracciglio, con ironia, senza riuscire a trattenersi.

<< Quale, Evans? >> chiese, allusivo. << Quella che hai spiaccicata sul davanti? >>

La ragazza sembrò arrossire leggermente, non mancando però di rivolgergli un’occhiata d’odio.

Ok, era stato un po’ acido.

Ma, accidenti, lei usciva con Piton!

<< Davvero galante, Potter. >> sibilò la prefetto, fulminandolo con gli occhi verdi. << Sul serio, sono colpita. >>

James ci mise un pochino a rendersi conto che si stava allontanando.

Imprecò sottovoce, e, senza neanche pensarci, l’afferrò per il polso.

<< Lily, aspetta! >>

 

***

 

Lily sobbalzò, sentendo la voce di Potter prima della sua mano serrarle il polso.

Si trattava tuttavia di una presa gentile, e non violenta come si era aspettata.

Un semplice tocco, sufficiente ad attirare la sua attenzione, a non lasciarla andare.

A farla voltare verso di lui.

Ma non fu quello che indusse la ragazza a girarsi, a guardarlo in faccia.

No.

Fu il suo nome, semplice e corto, pronunciato con quel tono addolorato.

Triste.

Sofferente.

Per questo, quando si voltò e vide l’espressione di Potter, rimase a dir poco a bocca aperta.

Vide quel sorriso, quel maledetto sorriso che detestava e che tante volte aveva sognato.

Già.

L’aveva sognato, ma nei suoi peggiori incubi.

<< Che fai, te ne vai senza neanche darmi un bacino? >>

Lily lo guardò un attimo a bocca aperta, con un espressione che-ne era certa- la faceva sembrare una totale idiota.

E solo quando giunse a quella conclusione, si decise a richiuderla, trasformandola in una smorfia furiosa.

<< Vaffanculo, Potter. >>

E con questa brillante ed elegante uscita, la ragazza di voltò definitivamente, pronta ad andarsene per la sua strada.

Che la fermasse di nuovo.

Che ci provasse soltanto, quel perfetto idiota!

“ Ecco, ha rinunciato. “  pensò la ragazza, non sentendo la mano di Potter bloccarla nuovamente.

E stranamente, non fu la gioia a pervaderla, ma lo scetticismo.

Possibile che l’intelligenza avesse colto quel bradipo rincretinito tutto ad un colpo?

Il Signore era davvero così misericordioso?

<< Non ci credo! Evans che dice una parolaccia! >>

No.

Non lo era affatto.

La ragazza si voltò verso Potter, che in pochi passi l’aveva affiancata.

L’aveva affiancata, con quel dannatissimo sorriso sulla faccia!

<< Potter >> disse, cercando di esprimere più acidità possibile. << Ringrazia che non ne abbia la voglia, o estrarrei la bacchetta. Devo ricordarti la minaccia di qualche giorno fa? >>

<< Avanti, Evans. So che non faresti un tale torto alle tue compagne di scuola. >>

Lily sorrise, ironica. << Dici? Io non credo che noterebbero la differenza. >>

Potter, rimase un attimo zitto, ma la prefetto restò guardinga, pronta ad un’eventuale risposta.

Risposta che, tuttavia, non arrivò.

Lily quasi rischiò di fare la stessa figuraccia di prima, rimanendo a bocca aperta.

Diamine… non poteva crederci!

Signori e signori, edizione straordinaria! Potter in silenzio!

Uno a zero per. . .

<< Vuoi verificare tu stessa? >>

… ODDIO.

<< POTTER! SEI DISGUSTOSO! >> strillò la ragazza, proprio mentre ila porta del locale si apriva alle sue spalle.

<< Potter. Che stai facendo? >>

Lily riconobbe la voce ancor prima di vederne il proprietario.

Tante volte l’aveva sentita parlare, fin troppe ridere e piangere.

Ma quando ebbe la conferma dei suoi pensieri, quasi si sentì male.

Severus.

Severus, che puntava la bacchetta contro Potter.

<< Ehilà, Mocciosus. >>

 

 

 ***

 

<< Potter, cosa stai combinando? >>

<< Questo l’hai già chiesto, Mocciosus. Sai, stai diventando ripetitivo. >> commentò James, sarcastico come sempre.

Per poco non scoppiò a ridere nel vedere il viso giallastro del Serpeverde contrarsi in una maschera di rabbia.

Godric… Avrebbe fatto di tutto pur di vedere quell’espressione patetica!

<< Non ti conviene scherzare, Potter! >> esclamò l’altro di rimando, con rabbia, e James lanciò un’occhiata timorosa alla sua bacchetta, dal quale iniziava ad uscire, frenetica, qualche scintilla.

Se non ne fosse valso del suo orgoglio, avrebbe decisamente deglutito.

Merlino, Piton non scherzava.

E chissà quante maledizioni aveva imparato stando insieme a Malfoy ed ai suoi amichetti.

Non che avesse paura, chiaro.

Lui, James Potter, spaventarsi di…. Mocciosus?

Al diavolo!

Solo che… be’, non è facile fare lo spavaldo quando si è disarmati.

Nient’affatto.

<< Sta’ calmo, Mocciosus. Non sono venuto qui per rubarti la ragazza. >>

Ecco, si.

Invece per l’acidità e l’ironia fuori luogo lo spazio c’era sempre e comunque.

 “Complimenti, James. Davvero una grande mossa.“

Tuttavia, a quelle parole, James vide il volto –se volto si poteva chiamare quella cosa che aveva Mocciosus al posto della faccia- del Serpeverde cambiare.

Un leggero colorito roseo spandersi  lievemente sulle sue guance sciupate.

Arrossito.

Piton era arrossito!

Tuttavia, il suo sguardo trasudava ancora rabbia, solo quella.

<< Ti avevo avvert… >>

Troppo tardi.

L’istante di un battito di ciglia, un rapido gesto, e l’aria attorno ai tre sembrò congelarsi.

James, con un repentino movimento della mano, aveva afferrato la propria bacchetta, e puntata contro il Serpeverde.

Tuttavia, ciò che vide non fu il grosso ed unto promontorio che Mocciosus aveva al posto dell’appendice nasale.

No.

Ciò che vide fu lei.

Evans, che si era piazzata tra lui e Piton.

<< Adesso basta! >>

La sua voce, seppur ferma e severa, sembrava essere incrinata da un tono di supplica.

Lily stava pregando, cercava di aggrapparsi ad una fiducia che, però, non era riservata nei confronti di James.

Oh, no.

Merlino, se solo fosse stato così.

Si trattava di quella fiducia che il Grifondoro aveva sempre invidiato e desiderato di nascosto, poiché basato su u rapporto di amicizia e complicità.

Si trattava della fiducia covata dalla Evans nei riguardi di Mocciosus, e che lui, James, lottava ancora per ottenere.

La ragazza guardava Piton, solo lui.

<< Sev, ti prego… Abbassa la bacchetta. >>

Le parole della ragazza furono un colpo ancor più forte.

Si pentì subito di quei pensieri.

Godric, lui era James Potter!

Certe elucubrazioni da innamorato non gli si addicevano!

Tuttavia…. Tuttavia il gesto della Evans lo aveva fatto stare male.

Esatto, proprio così.

Male.

E questo, per quanto potesse sforzarsi, non sarebbe mai cambiato.

Perché Evans… Lily gli dava le spalle, si appellava e credeva in Piton.

In Piton, e non in lui.

Con un gesto lento e desolato, James fece qualcosa che nemmeno lui avrebbe mai potuto credere di essere in grado.

Abbassò la bacchetta, rinunciando a tutto.

Al suo orgoglio.

Alla sua beffardagine.

Al suo coraggio.

E forse, anche a lei.

Neanche lui riusciva a spiegarsi il perché di quel gesto.

Mocciousus era un idiota, un idiota che lo aveva appena minacciato.

Sfidato.

Tuttavia, Evans voleva che smettessero.

E lui l’aveva fatto.

La ragazza l’aveva chiesto a Piton, non a lui, ma James l’aveva fatto ugualmente.

<< Oggi deve essere il tuo giorno fortunato, Mocciosus… >>

Gli altri sembrarono ricordarsi della sua presenza solo in quel momento, e lo guardarono, mentre gli occhi verdi della Grifondoro si spalancavano all’improvviso.

James si trattenne dall’esibirsi in un gesto infastidito.

Lo sguardo sbalordito della Evans lo irritava e, al contempo, intristiva.

Era sorpresa dal fatto che fosse lui quello a rinunciare a fare il culo all’altro.

Come se, tra James e Piton, fosse lui lo spregevole patito di arti oscure.

<< … Ringrazia la presenza della Evans, Piton. Ho meglio da fare che privare una ragazza dal suo fidanzatino. >>

E mentre si allontanava, Lily arrossì, non riuscendo al contempo a trattenere una nuova ondata di stupore.

Uno stupore scioccante ma, allo stesso tempo, piacevole.

E mentre osservava il Grifondoro sparire al di là della porta della locanda, non poté fare a meno di pensare che Potter forse non era così idiota, sbruffone, violento ed imbecille come aveva sempre creduto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NDA: PRIMA COSA, RINGRAZIANDO JUST A LITTLE WIZARD PER AVERMI FATTO SORGERE IL DUBBIO, COMUNICO CHE SIRIUS E REMUS NON SONO UNA COPPIA, NE' LO SARANNO. autocitandomi: "il rapporto tra sirius e remus ed eventuali battute è...come dire, una sorta di strizzatina d'occhio alquanto ironica a tutte le ff -molte delle quali belle e ben scritte, ovvio- che li vedono come coppia."

ok, non odiatemi. come avrete notato ho...eliminato Tonks dalla storia. Aaaah, per tutti quelli a cui è venuta voglia di uccidermi, non uccidetemi.

E' che il suo personaggio era talmente anti-canon, per via di tutta la questione cronologica...poi ho deciso, dopo attenta rilettura di HP5 ed accenni all'ordine delle fenice, di integrare con altri personaggi, e il suo sarebbe stato superfluo. e fuori lugo. E, ripeto, anti-Canon.

non importa se magari qualcuno non leggerà più la ff per questo.

sosterrò la mia decisione con stoica resistenza, eh!

...disse mentre sperava di non essere abbandonata da tuti i pochi lettori.

vabbè, comunque...

passiamo alle altre aggiunte che, in sintesi, sono quella sui Malandrini e su Lily e Severus. 

...spero solo che vi siano piaciuti, eheh.

adieu!

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Capitolo 4
*** La notte dei Malandrini ***


 Capitolo 4

La notte dei Malandrini

 

 

 

 

Indelicato.

Già, forse era questo il miglior termine per definire Sirius Black.

O sicuramente quello che decine di ragazze ad Hogwarts avrebbero adoperato per descriverlo con una sola parola.

Ma cosa ci si poteva aspettare, d’altronde, da un play boy semi-bulletto che passava il tempo a far strage di cuori e a marinare le lezioni?

Niente, ecco la risposta.

Tuttavia, come qualsiasi amico e/o persona degna di questo nome, anche lui era dotato di un minimo di sensibilità.

Poca, certo, quasi invisibile, ma pur sempre esistente.

E fu grazie a questa fortuita dose di sensibilità che, in poco tempo, si rese conto che c’era qualcosa che proprio non andava.

Stavano tornando da Hogsmeade in tutta tranquillità, diretti laddove si sarebbero riuniti al gruppo dei Grifondoro per far ritorno ad Hogwarts.

E no, non era nel “in tutta tranquillità” che c’era qualcosa che non quadrava –anche se, diciamocelo, era leggermente strano che loro quattro riuscissero a fare qualcosa in modo calmo e sereno.-

No, ciò che il giovane Black non riusciva a spiegarsi era il silenzio che era calato sul gruppo più frenetico e scalmanato di Hogwarts.

Peter si stava ingozzando dei dolciumi rimanenti dal loro furtarello –per il quale, d’altronde, Sirius attendeva ancora la sgridata di Remus.- ed era pertanto ovvio –e benedetto- il fatto che stesse in silenzio.

Lunastorta, invece… be’, anche se strano, da Lunastorta ce lo si poteva anche aspettare un momento di quiete. Soprattutto poche ore prima della luna piena, in cui non si riusciva a capire se stesse calando in una delle sue solite fasi di depressione o semplicemente fosse in procinto di morire seduta stante.

E questo, quindi, era relativamente normale.

Quello davvero assurdo, invece, era lui.

James.

In silenzio.

Davvero, davvero assurdo.

L’avevano visto allontanarsi dal loro tavolo ai Tre Manici di Scopa con una faccia assatanata, per poi farvi ritorno con un’aria disastrata.

Ora, Sirius Black non poteva vantare di essere particolarmente dotato di tatto.

Quindi, fu per questo che decise, dopo centinaia di arrovellamenti, di andare dritto al punto.

Allungando il passo, sorpassò i suoi amici in un attimo, favorito dalla propria statura.

Poi si piazzò dinnanzi a James, e cercò di imprimere nel proprio sguardo più severità possibile.

Qualcosa del tipo “rispondi e basta”, per intenderci.

<< Prongs, si può sapere che ti prende? >>

<< No. >>

Una risposta breve e spiazzante.

Qualcosa che incrinò la determinazione di Felpato.

<< Ma… dai! >> lo scongiurò Sirius, passando rapidamente dalla severità alla supplica.

James si voltò appena, scettico, verso l’amico che gli saltellava a fianco, sorprendendosi di sollevare automaticamente un sopracciglio con aria perplessa.

<< Ho detto di no. >>

<< Tipregotipregotiprego! >> accanto a lui, Felpato continuava a saltellare come un forsennato, adottando uno sguardo che di tenero aveva solo l’intenzione.

Altro che cane.

In quel momento Sirius gli sembrava solo un canguro strabico.

E ce ne vuole, per farsi insultare la vista da uno che praticamente è nato con dieci gradi di miopia.

Davvero.

La scena andò avanti in quel modo per qualche minuto, fino a quando giunsero in prossimità delle carrozze che li avrebbero riportati ad Hogwarts.

Il gruppo dei Grifondoro si erano accalcati sulla stradina, in attesa di far ritorno nella scuola, sotto il vigile occhio della Mc Granitt.

I quattro si misero in fila, mentre Sirius perseverava nella sua litania.

<< Tipregotiprego >>

<< Pad, per favore…  >>

<< Tipregotipreg… >>

<< Dai, Sirius. Lascialo in pace. >> disse infine una terza voce.

Sirius e James si voltarono verso la sua origine.

Un’origine che, d’altronde, aveva appena ottenuto l’effetto desiderato: zittire il giovane Black.

Godric, allora le dicerie sul conto di Remus erano fondate.

Non udendo più l’insopportabile tono squillante di Sirius, Ramoso decise infatti di ritenerle veritiere: quel ragazzo era davvero un santo.

<< Tu taci, Rem. Ne ho anche per te. >> asserì Felpato, assottigliando gli occhi grigi verso il licantropo.

Questi adottò una delle sue migliori espressioni sarcastiche. << Ma davvero? >>

<< Certo! >> sorrise lui, affabile. Poi, inaspettatamente, protese le labbra verso il prefetto. << Lo vuoi un bacino? >>

Remus, già pallido di suo, se possibile assunse un colorito ancora più cereo.

<< Piantala. Non è divertente. >>

<< E’ vero. >> concordò Peter, annuendo con vigore. << Questa storia sta iniziando a diventare inquietante. >>

<< Non temere, Pete. Riserverei il mio amore anche per te. >>

<< Ah sì? >> domandò il ragazzo, con un’espressione che Remus trovò eccessivamente lusingata. Sirius, intanto, annuiva con nonchalance.

<< Certo. Dopo essermi dato alla pazza gioia con Moony, andrei subito da te. >> disse, mentre il prefetto si tappava le orecchie con orrore e James, che fino ad allora era rimasto unpo’ estraneo alla conversazione, simulava un conato di vomito. << Insomma, alla lunga il corpicino tutto ossa di Remus finirebbe con lo stancarmi. Voglio avere un po’ di sana ciccia, sotto le mani. >>

Prongs lo guardò storto e-non esclamando ad alta voce il proprio disappunto per il fatto che il suo migliore amico lo avesse senza troppi riguardi escluso dalla sue immaginarie vicende amorose- arrivò alla conclusione che Sirius Black non fosse altro che un malato perverso.

Remus, invece, sollevò gli occhi verso l’alto.

<< La tua demenza è per noi sempre grande fonte di divertimento, Pad. >> disse, nascondendo il proprio imbarazzo con un ostentato e palesemente finto distacco. << Davvero esilarante. >>

James Potter, Peter Minus e Sirius Black si erano ammutoliti tutto ad un tratto, ed osservavano con espressione indecifrabile il prefetto.

Antipatia?

Stupore?

Divertimento?

Confusione?

Impossibile definire cosa esprimessero con esattezza i loro volti.

Tanto che Lunastorta si limitò a celare il suo sbalordito spavento con una risatina isterica.

<< Ehm… Che c’è? >>

I tre amici si guardarono tra loro, con un espressione divenuta impassibile.

Poi, si limitarono ad alzare le spalle.

Fu James a parlare per loro.

<< No. Niente. >> rispose lentamente, con estrema monotonia. << Saliamo? >> aggiunse poi, con il medesimo tono, indicando la carrozza dinnanzi alla quale erano giunti.

Timoroso, Remus si concesse un ultima occhiata preoccupata.

Ok.

Quello era strano.

Davvero, davvero strano.

In ogni caso, ormai c’aveva fatto il tallo, dunque tanto valeva sorvolare.

Entrò nella carrozza, decidendo di tralasciare l’ennesima stranezza inspiegabile di quei tre.

James, Sirius e Peter lo seguirono subito dopo, ognuno interrogandosi, nella propria mente, sull’inafferrabile e recondito significato della parola “esilarante”, poco prima utilizzata dal loro sapiente amico, e su cosa quel termine volesse significare.

Fu per queste elevate analisi, ed inestimabili pensieri, che nessuno dei tre si rese conto della quinta persona all’interno della carrozza.

O meglio, lo fecero, ma solo all’ultimo secondo.

D’altronde, anche sul viso di Lily Evans comparve una bizzarra successioni di emozioni e stati d’animo, all’entrata di ciascun Malandrino.

Di amichevole cortesia, per Remus Lupin.

Di diffidenza, per Sirius Black.

Nei riguardi di Peter Minus, il terzo ad entrare, solo di gentile indifferenza.

Ed infine, lui.

Entrò col suo giaccone grigio inumidito dalla neve, le guance arrossate per il freddo sulla carnagione lievemente olivastra ed i capelli neri arruffati sulla fronte.

James Potter.

Lo stesso ragazzo di cui occhi scuri aveva visto, tantissime volte, brillare per malizia, sarcasmo, vanità.

I medesimi occhi in cui, in quel momento, Lily scorse solo cupa e sofferente indifferenza.

La rossa chinò lo sguardo.

Da un lato, una parte di sé rimaneva guardinga, in attesa di qualche battutaccia maliziosa e pronta a ribattere e ad urlargli contro, come sempre.

Dall’altro, invece, qualcosa le suggeriva che non ci sarebbe stato nulla di tutto ciò.

E questo, anziché sollevata, la faceva sentire… strana.

Non male, ma semplicemente strana.

Ed era bizzarro.

Perché, nonostante fosse Potter quel ragazzo davanti a lei, Lily sentiva ardente la necessità di ringraziarlo per ciò che aveva fatto poco fa.

Tuttavia, non ne trovava il coraggio.

Perché, anche se non faceva altro che sgridarlo e togliergli punti dal mattino alla sera, quel ragazzo bello, brillante e spiritoso… la metteva in soggezione.

A lei, una piccola e scorbutica secchioncella Mezzosangue, quel giovane adorato da tutti la faceva sentire semplicemente così.

Inadeguata.

Per questo, appena gli occhi mortalmente gelidi del Grifondoro incontrarono i suoi, Lily distolse lo sguardo.

Adesso, inoltre, si sentiva anche un po’ in colpa.

Per averlo subito mal giudicato, forse solo per invidia.

L’invidia di una vita facile, in compagnia.

L’invidia di una vita perfetta.

<< Evans. >>

Una sola parola, pronunciata con freddezza insolita.

Una sola parola, esalata in segno di un gelido saluto.

Una sola parola che le fece male come mai si sarebbe aspettata.

Rispose con un breve cenno del capo al suo saluto, voltandosi poi subito da un’altra parte.

Perché diamine si faceva così tanti problemi?

Era solo Potter.

L’arrogante e vanitoso Potter.

Così persa nei suoi pensieri, a stento si rese conto che i ragazzi avevano già preso posto, e che la carrozza era partita.

Bene.

Voleva uscirne e tornare ad Hogwarts al più presto.

Anche perché, il silenzio sceso tra i cinque, si era davvero fatto pesante.

Oltre che triste, per Lily la situazione stava assumendo persino una piega imbarazzante.

Percepiva lo sguardo gelido di Potter studiarla, Remus sembrava a disagio almeno quanto lei, Minus –al fianco della ragazza- si fissava i piedi dondolanti –dato che non riuscivano a toccare terra- e Black sembrava perso nei suoi pensieri.

Milioni di ragazze avrebbero pagato per essere al suo posto.

Lei, invece, voleva soltanto scappare di lì al più presto.

<< Allora, Lily… passato un buon pomeriggio? >>

La ragazza sollevò lo sguardo, incontrando l’espressione cordiale dell’altro prefetto.

Era palese che anche lui si sentisse a disagio.

Tuttavia, Lily apprezzò lo sforzo, ed accennò anche lei ad un sorriso. << Ehm… Si, grazie. >>

<< Bene. >>

<< Già. Bene. >>

E con quelle poche parole, morì pure quel misero tentativo di intrattenere una conversazione degna di tal nome.

Il resto del tragitto lo trascorsero come avevano fatto fino a quel momento: in silenzio.

Di tanto in tanto Lily provava a guardare Potter di sfuggita, solo per scoprire che stava continuando a fissarla in quel modo spettrale.

Fu per questo che, appena giunsero ad Hogwarts, attese febbrilmente il momento in cui sarebbe potuta scendere dalla carrozza, e tornarsene nella sua stanza.

Purtroppo, dato il posto su cui era seduta, fu l’ultima a poter mettere i piedi sul suolo innevato dinnanzi al cancello della scuola.

Remus fu l’unico che le concesso un saluto decente.

<< Be’, ciao Lily. Ci si vede. >> disse, con un sorriso gentile, e la prefetto sollevò lievemente la mano in segno di saluto.

<< Ciao. >>

Black si limitò ad un cenno col capo, e Minus fece altrettanto, seppur con minore eleganza.

L’unico a mancare era Potter.

Potter, che non si era allontanato con i suoi amici.

Potter, che la studiava, gelido.

La carrozza partì in quel momento, proprio mentre i loro occhi s’incontravano.

Soltanto loro due, in silenzio, da soli.

Iniziò a nevicare, ed i candidi e soffici fiocchi di neve cominciarono a danzare, lievemente, attorno ai due.

Solo in quell’istante, in cui Lily potè osservarlo senza rabbia, ma unicamente con un gran senso di dispiacere ed imbarazzo, la Grifondoro si accorse di quanto fosse veramente attraente quel ragazzo. Forse non si trattava di una bellezza canonica –data la statura, che forse avrebbe spinto a definire il ragazzo più “carino” che “affascinante”-, ma comunque evidente e spiazzante.

I lineamenti ben modellati sulla carnagione perfetta –perennemente con un omogeneo accenno di abbrozzantura-, i capelli corvini che gli danzavano sulla fronte.

E, dietro gli occhiali, quelle incredibili iridi di un marrone caldo e languido, che la osservavano, che le scavavano nell’animo.

Che, con la sola forza dello sguardo, riusciva ad immobilizzarla, a mozzarle il fiato.

Solo in quel momento Lily capì finalmente perché Potter riuscisse ad incantare ogni ragazza, a conquistarla.

Per quegli occhi scuri.

Solo per quelli.

<< Stai con Piton, Evans? >>

Le parole di Potter ruppero quell’attimo di quiete, e l’incantesimo andò in frantumi.

Come all’improvviso, Lily si riscosse, insieme al senso d’astio che soleva raggiungerla appena il ragazzo se ne usciva con quelle sue sparate di delicatezza.

<< Non vedo perché dovrebbe interessarti, Potter. >>

Gelida, tagliente.

Esattamente come sempre era.

 E come sempre detestava essere.

<< Vi hanno visto tenervi per mano. >> continuò il moro, ancora con quella freddezza insopportabile.

Seriamente, Lily non riusciva a sostenerla.

La metteva a disagio.

Ma insieme a quelle sensazione, ne giunsero altre.

Imbarazzo, perché lei e Sev erano solo amici.

Rabbia, perché quelli non erano di certo affari di Potter.

<< Non dovresti credere a tutti gli stupidi pettegolezzi di questa scuola, Potter. >>

E d’incredulità.

Perché forse, a James Potter, importava seriamente qualcosa di lei.

<< Lo devo prendere come un no? >>

La voce del Grifondro era sempre la medesima, così come il suo viso, i suoi occhi.

Distante.

Fredda.

Tuttavia, qualcosa sembrava essere cambiato, e Lily avvertì nel tono del ragazzo una sfumatura diversa.

Incrinata, leggera, quasi di… sollievo.

Possibile che James Potter fosse realmente sollevato dal fatto che non uscisse con Piton?

<< Te l’ho già detto: n o n   s o n o    a f f a r i    t u o i. >> proferì infine la prefetto, scandendo le ultime parole e scartando, mentalmente, l’ipotesi appena concepita.

Per Potter lei era solo una come le altre, un preda che non riusciva a raggiungere.

Solo un’ulteriore ragazza da poter prendere in giro.

Anzi no.

Forse per lui era solo una curiosità, qualcosa di diverso da scoprire.

Chissà come sarebbe stato stare con la noiosa cocca dei professori?

Chissà come sarebbe stato ottenere le grazie della Evans-la prefettoperfetta-chenonladàanessuno?

O magari, chi lo può sapere, forse era solo una questione d’orgoglio.

Come poteva, d’altronde, esistere una ragazza che non cadesse ai piedi del grande Potter?

Era sempre stata certa di rappresentare una brutta macchia sull’onore del Cercatore più bravo di tutta Hogwarts.

Una macchia che era di sicuro un gran bel problema, che andava subito risolto.

Tuttavia, la ragazza fu costretta a ricredersi, in quel momento.

O meglio, rivalutare Potter sarebbe stato da stupidi.

E lei –almeno questo poteva concederselo- non era stupida.

Ma… be’, forse lui era diverso da come se lo era sempre immaginato.

Forse.

<< Ed io, Evans, te lo ripeto: devo prenderlo come un no? >>

La serietà e l’acidità con cui lo disse colpì Lily come un lama affilata.

Le squarciò l’animo, e per un attimo pensò che il cuore avrebbe iniziato a sanguinarle, per quanto male le faceva.

Tuttavia, dai suoi occhi uscirono solo lacrime.

O meglio, tentarono di farlo, perché la ragazza le trattenne, fiera ed orgogliosa come sempre.

Si sentiva maledettamente fragile in quelle occasioni.

Lui era Potter.

Solo Potter.

Eppure gli occhi le bruciavano, mentre la lacrime lottavano per uscire.

Perché si trattava di lacrime di dolore, di rabbia, tristezza, furore.

Non capiva neanche lei quale fosse la loro natura, o la loro causa.

Ma non l’avrebbe fatto.

No.

Non avrebbe pianto.

Non davanti a lui.

<< Prendila come vuoi. >> disse semplicemente, gelida.

Poi s’affrettò a superarlo, incamminandosi rapidamente verso il castello.

Ora, il suo animo aveva spazio solo per la tristezza.

Una tristezza assurda, inspiegabile –certo-, ma pur sempre soffocante, tagliente.

In grado di farti sentire l’essere più solo nel pianeta.

Potter non le avrebbe più rivolto la parola, perché lei, non sapeva come, l’aveva ferito.

E ciò che aveva da sempre desiderato, dopo anni ed anni di torture… anziché renderla felice, la rattristava.

Assurdamente, era così.

<< Evans. >>

Lily si bloccò di scatto.

Chiuse gli occhi, e si voltò verso di lui.

E, appena notò la sua espressione, fu pervasa dal panico.

Quello…. Il suo odioso sorriso sornione era ricomparso, sbruffone e malizioso come sempre.

Oddio…

<< Ti hanno mai detto che hai un fondoschiena mozzafiato? >>

<< POTTER! >>

 

 

***

 

Alice, buttata a pancia all’aria sul letto, rivista di Quidditch in mano, con la testa sulla parte finale del letto e i piedi sul cuscino, guardò con curiosità Lily entrare in Dormitorio con un’insolita espressione in faccia.

<< Sei arrabbiata? >> domandò, interessata.

La prefetto si voltò verso l’amica che, essendo sdraiata sulla schiena e dal verso sbagliato del letto, la guardava a testa in giù.

Era buffa, Alice.

…Ed anche la sua domanda, in effetti.

<< No. >> soffiò tutto d’un colpo, e si accorse solo in quel momento che il cuore le andava a mille. << Perché? >>

L’altra la guardò con ovvietà: << Sei tutta rossa. >>

Battendo le palpebre, Lily si portò una mano sulla guancia, trovandola stranamente calda.

Be’, forse quello “stranamente” era un po’ immotivato.

Quando Potter, con il suo aprezzamento fuori luogo, le aveva fatto comprendere di non essere arrabbiata con lei, la Grifondoro aveva provato un bizzarro senso di leggerezza, come se le fosse stato tolto un macigno dal petto.

Sollievo, ecco cos’era.

Peccato che quella presa di coscienza fosse avvenuta estremamente in fretta, e proprio mentre si trovava dinnanzi a Potter.

E, dato che era risaputo ed ovvio e da non mettere in dubbio, che lei Potter lo odiava, e che il ragazzo non doveva assolutamente venire a conoscenza di quel suo sentimento inspiegabile che doveva essere stato causato senz’altro dall’aria delle feste –a Natale si è tutti più buoni!-, come brillante e dignitosa soluzione Lily, dopo un attimo di silenzio, aveva deciso di darsela a gambe, correndo via senza dire una parola.

Ecco qual’era la risposta alla domanda di Alice, la stessa che non le avrebbe mai dato.

Guardò l’amica. << Non è niente. Troppo fard. >>

<< Troppo che? >>

<< Fard. >> rispose al suo posto Amy Wilson, una delle loro compagne di stanza, impegnata nell’intelletualissima attività di acconciare i capelli biondi di Mary MacDonald, seduta a gambe incrociate sul letto assieme a lei, in un’eleaborata treccia. << E’ un trucco babbano. >>

<< Ah sì? >> trillò Mary, incuriosita. << Dovevi vederti con qualcuno, Lily? >>

Lily non disse nulla: Mary ed Amy erano un po’ troppo frivole e pettegole, per i suoi gusti. Nonostante i loro rapporti fossero decenti, non si sentiva a suo agio nel confidarsi con loro –aveva già qualche difficoltà con Alice, quindi…-

<< No. >> tagliò corto, un po’ imbarazzata, un po’ decisa a concludere lì la discussione. Si sentì avvampare, e dovette arrossire notevolmente, data l’espressione divertita delle sue compagne.

<< Sì, invece! >> esclamò Amy. << Era Potter, vero? >>

<< James! >> ripeté Mary, chiudendo gli occhi e congiungendo le mani di fronte al viso, sognante. << che belli, i Malandrini! >>

Persino la sua amica Amy non poté trattenersi dal rivolgerle uno sguardo perplesso. Lily, d’altra parte, distolse il suo, contrita.

Possibile che James Potter fosse sempre in mezzo ai piedi anche quando non era materialmente accanto a lei?

Sbuffò.

<< Non mi sognerei mai di andare ad Hogsmeade con Potter. Ero con Severus. >> replicò, cupa, mentre le tornava in mente ciò che era avvenuto davanti a Madama Piediburro.

Si sentì invadere dal cattivo umore, a tal punto che ignorò le espressioni disgustate che Mary ed Amy assunsero udendo il nome del suo amico, e pure quella contraria di Alice, convinta come quasi ogni Grifondoro che qualunque Serperverde fosse una cattiva compagnia.

Lily, dal canto suo, pensò che forse l’amica non aveva tutti i torti.

Merlino, ovviamente non aveva alcun dubbio riguardo Severus, ma forse i suoi compagni di Casa stavano sortendo su di lui una brutta influenza.

Eppure… Eppure Severus non era quel tipo di persona.

Per quel che ne sapeva lei –che, obiettivamente, riteneva di conoscerlo abbastanza bene- il giovane aveva sempre pensato con la sua testa, lontano dai pregiudizi che lo circondavano. Il fatto che fossero amici ne era la prova.

Tuttavia, constatò con amarezza, quel pomeriggio Severus l’aveva delusa.

Davvero.

<< A te come è andata, Alì? >> chiese intanto Mary.

<< Normale. E’ Alice, comunque. >>

<< Mary, io speravo che Dearborn m’invitasse ad uscire, ma quello non ha occhi che per la McKinnon! >>

<< Come tutti, del resto. >> replicò l’altra, tranquilla. << Dicono che abbia persino avuto una storia con Sirius, sai? >>

<< Ma va? >>

<< Lils. >>

Quando una mano le si posò sulla spalla, la prefetto sobblazò, colta di sorpresa. Era talmente assorta nei suoi pensieri da non rendersi conto che Alice era scesa dal letto e le si era avvicinata, prendendola in disparte.

<< Lily. >> ripeté la ragazza, guardandola preoccupata. << Sicura che non sia successo nulla? >>

La prefetto ricambiò lo sguardo, guardò gli occhi scuri dell’amica, scuri come quelli di Severus che sguainava la bacchetta, come quelli di Potter che abbassava la sua.

Lily chinò lo sguardo.

Si sentiva triste, e stanca.

<< No. >> mormorò, piano. << Non è successo nulla. >>

 

***

Sirius scattò all’inpiedi.

<< Ohi, ragazzi! >> esclamò, cercando di richiamare l’attenzione di Peter e James. << E’ quasi ora! Codaliscia, chiudi quel libro! >>

L’amico, tetro, si voltò verso di lui, col grosso libro posato sulle gambe. << E’ Erbologia. La professoressa dice che mi dovrà dare ripetizioni pomeridiane, se non riparo il Troll del compito di questo mese. >>

<< Perché, quanto hai preso in quello di Novembre? >>

<< Troll. >>

Sirius aggrottò le sopracciglia: << E in quello di Ottobre? >>

Peter parve mortificato.

<< Troll. >> rispose con ovvietà. Un silenzio pesante calò nella stanza.

Felpato era in difficoltà; se avesse potuto, si sarebbe volentieri impiccato con la cravatta della divisa –avrebbe usato James come sgabbello e si sarebbe appeso all’asta del baldacchino. Sì, non faceva una piega.-

<< E’ inutile chiederti il voto di Settembre, vero? >>

Peter chinò lo sguardo, arrossendo. << Già. >>

<< Bene. >>

<< Sì, bene. >>

<< James! >> esclamò Padfoot, senza ancora sapere cosa gli avrebbe detto. Basta che si levasse da quella situazione imbarazzante << Tu… I tuoi occhiali oggi sono particolarmente vitrei, sai? >>

Ramoso, seduto a gambe incrociate sul pavimento non lo degnò di uno sguardo. << Zitto, Pad. Sto pensando. >>

E, in effetti, aveva un’aria piuttosto assorta.

<< A cosa, James? >> domandò Peter, decretando che il suo fallimento scolastico era qualcosa di predestinato ed inevitabile, e  pertanto studiare era del tutto inutile. L’amico, che smebrava non stesse aspettando altro che quella domanda, sorrise, radioso. << Al fatto che credo di aver guadagnato un paio di punti con Evans, oggi. Sìsì. >>

Aveva una faccia talmente radiosa ed allegra da sembrare una di quelle lampadine elettriche babbane.

 Sirius assunse un’espressione annogliata: parlare di Lily Evans, diversamente dall’amico,sortiva su di lui un bizzarro, ma a suo avviso del tutto comprensibile, effetto soporifero.

<< Ma va? >> domandò, manifestando un volutamente falso interesse. Subito dopo, assunse un’espressione accigliata nell’abbassare lo sguardo verso James. E poi giù, sempre più giù.

<< Prongs, quella è la mia camicia? >> domandò, contrariato.

<< Quella che sto usando come tappetino? Ovviamente sì. >>

Peter fece una risatina. Sirius assottigliò lo sguardo.

<< Leva le tue chiappe da lì. >> intimò, minaccioso. << Immediatamente. >>

James, come c’era da aspettarsi, si limitò a fargli una linguaccia.

E, in modo ancor più prevedibile, Sirius gli si buttò addosso, pronto a dargliele di santa ragione, mentre Peter se la rideva di gusto.

 

***

 

Frattanto, giunse la sera, e con essa, la notte.

La maggior parte degli studenti, ad Hogwarts, aveva appena finito di cenare, e si era rintanata nelle diverse Sali Comuni.

Molti già si trovavano nell’accogliente calore delle loro coperte, avvolti dall’invitante abbraccio di Morfeo.

Remus J. Lupin, invece, nella Stamberga Strillante attendeva solo quello gelido e doloroso della luna.

Senza vestiti, giovato solo dall’inconsistente calore di una vecchia coperta, aspettava il momento della trasformazione.

La luna piena sarebbe sorta a momenti.

E, come al solito, lui non era pronto.

O meglio, lo era solo in termini pratici: la porta sigillata, gli abiti ben custoditi nell’armadio.

In quell’ambito, aveva già preparato ogni cosa.

Lui, invece, non ce la faceva.

Non ce la faceva ad affrontare quell’ansia, quel terrore lancinante del lupo.

Avrebbe fatto del male a qualcuno?

Lo avrebbe ucciso?

Sempre le solite domande, e sempre la solita assenza di risposte.

Chiuse gli occhi, aspettando il fatidico momento.

Era vicino, e lui lo sapeva.

Ogni singola vertebra, ogni fibra del suo corpo lo avvertiva, e glielo suggeriva gelidamente.

Il lupo lottava e ruggiva dentro di lui.

Presto, la sua prigionia sarebbe finita.

Presto, avrebbe finalmente ottenuto la libertà.

Una libertà agognata ed immeritata.

Una libertà pericolosa ed allettante.

Una libertà che, in ogni caso, sarebbe giunta.

Remus ormai aveva imparato a smettere di lottare.

Sapeva che era inutile, solo l’ennesima illusione di poter sfuggire al suo destino.

Alla sua maledizione.

E da sé stesso, da un certo punto di vista.

Perché lui era un mostro, e presto la sua vera natura si sarebbe svelata sotto il crudele sguardo della luna.

Era inutile combattere.

Era inutile fuggire.

Ed era inutile sperare.

Remus aprì gli occhi, e guardò verso la finestra malridotta della Stamberga.

Eccola.

Quella piccola sfera lucente, che risplendeva, placida, su un cielo senza stelle.

Odiosa, terrorizzante.

E terribilmente affascinante.

Finalmente, la luna era giunta, pronta a reclamare la sua creatura.

Ed essa, il lupo, era decisa a rispondere alla sua allettante chiamata.

La coscienza del ragazzo resistette solo per un altro attimo, in un vano tentativo di opposizione.

Ma il lupo era più forte, lo era sempre stato.

Mentre la luna splendeva come non mai, Remus urlò.

Ed infine, la trasformazione ebbe inizio.

 

 

 

Intanto, tre ragazzi, celati da un mantello invisibile, percorrevano i corridoi di un antico castello.

Se qualcuno fosse stato in grado di vederli, avrebbe probabilmente pensato che si trattasse di un’altra delle loro scorribande notturne.

Quei giretti per la scuola per organizzare scherzi che, ancora una volta, avrebbero attirato l’attenzione di decine di studenti ammirati verso di loro.

Si, questo era ciò che si sarebbe potuto credere.

Tuttavia, i tre erano lì per qualcosa di più importante.

Per una buona ragione, per una promessa, per un amico.

Per qualcosa che li univa, più salda di una catena.

Un legame indissolubile, che nessuno mai sarebbe riuscito a spezzare.

James Potter, il cervo.

Sirius Black, il cane.

Peter Minus, il topo.

E Remus Lupin, il lupo, che li attendeva sanguinante in una vecchia stamberga.

Hogwarts, quella notte, potè assistere ad uno spettacolo indimenticabile, che sarebbe però rimasto celato per sempre.

Quattro anime che, perennemente unite, si rincorrevano gioiosamente sui suoi giardini innevati, nella sua foresta, lontano dagli occhi di tutti.

Così diverse, ma al contempo così vicine.

Le preoccupazioni, la paura, le tristezze ed i problemi, passarono in secondo piano.

Furono dimenticati, almeno per il momento.

Perché quella fu una notte unica, per loro.

Di gioia e spensieratezza, perché finalmente insieme.

Di un’amicizia profonda ed incondizionata.

Di un segreto, e di una promessa.

Quella, fu la notte in cui fu celebrato, ancora una volta, il giuramento di un legame indistruttibile.

Quella, fu una notte speciale.

La notte dei Malandrini.

 

 

 

 

 

 

NDA: anche questo è andato, ci avviciniamo ai nuovi capitoli! :D

Lily è una cara ragazza, ma è un po' prevenuta quando si parla dei Malandrini, o anche di persone un po' più "frivole" (vedi Mary ed Amy )
Fatemi sapere cosa pensate del capitolo, non siate timidi lettori, so che ci siete!

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Capitolo 5
*** Quidditch, parole e lacrime. ***


Capitolo 5

Quidditch, parole e lacrime.

 

 

<< Ehilà, Evansanuccia! >>

Lily si voltò, sospirando.

Trovava che la mattina fosse il momento meno idoneo –e di gran lunga il più fastidioso- per trovarsi spiattellato in faccia il brutto muso di Potter.

Per questo, dovette ammetterlo, accarezzò per un breve istante l’idea di allontanarsi senza voltarsi verso di lui, fingendo di non averlo sentito.

Anche se, in effetti, non udire le urletta stridule e da femminuccia di cui stava facendo mostra Potter in quel momento, sarebbe stato impossibile anche per il professor Ruf.

Detto ciò, vi era anche qualcos’altro che la spinse infine a voltarsi verso il ragazzo: il fatto che, in ben cinque anni trascorsi a studiare nella più importante scuola di Magia della Gran Bretagna, vi era una cosa che aveva veramente imparato.

Non dare mai le spalle a James Potter.

<< Lilyuccia caraaaa… >>

Sbuffando, la Grifondoro rivolse la sua attenzione a Potter con la docilità di cui poteva disporre un Ungaro Spinato.

<< Potter >> sbraitò la giovane, voltandosi di scatto verso il ragazzo << si può sapere che diavolo vuoi? >>

A quelle parole, l’altro ostentò un’espressione di candido ed innocente stupore.

Lily si trattenne dal ridacchiare.

Certo. Come se candido ed innocente fossero concetti attribuibili a James Potter.

<< Oh, Evans. Ed io che cercavo solo di dimostrarti il mio inestimabile amore. >> esclamò lui, con un eccessiva dose di melodrammaticità.

Lily lo osservò di sottecchi. Di solito non era da Potter perdersi in così tanti giri di parole.

<< Potter, se non vai dritto al punto giuro che ti schianterò talmente forte da farti ringraziare il fatto che quel cespuglio che ti ritrovi al posto dei capelli sia in grado da funzionare da airbag. >>

Dal canto suo, Potter rimase un attimo in silenzio, con un’espressione alquanto ebete dipinta sul viso.

Probabilmente –pensò Lily- quel suo cervelletto bacato doveva impiegare un po’ di tempo ad analizzare la situazione.

“ Io ho sempre pensato che fosse un po’ tardo, in effetti. “

Mentre trovava conferma sull’elevato livello di demenza del ragazzo, che a dispetto di tutti, lei aveva sempre sospettato, quella beneamata cosa chiamata comprensione decise di graziare anche il povero Potter.

O almeno, fu questo che Lily dedusse dal repentino cambio del suo volto, che assunse un’espressione di gran lunga più dignitosa rispetto alla precedente.

<< Evans, premettendo che la mia lucente chioma è impeccabile e che io non abbia la minima idea di cosa sia questo “eirbeg”, non so assolutamente di cosa tu stia parlando. Io.. >> e a questo punto il suo sguardo si fece fin troppo sornione << Io volevo solo farti una proposta innocente. >>

Lily lo osservò con scetticismo, perplessa ancora dal concetto di “innocenza” che Potter, più o meno direttamente, continuava ad associarsi.

<< Potter, se vuoi chiedermi di uscire per la prossima gita ad Hogsmeade dopo le vacanze natalizie, la mia risposta è sempre la stessa. >>

<< Naaà >> disse il ragazzo, assumendo un’aria infastidita ed agitando la mano come a scacciare quell’idea << quello lo davo già per scontato. >>

Lily sollevò d’istinto un sopracciglio, in un moto di perplessità.

Ma il suo scetticismo fu ignorato da Potter alla grande, poiché il giovane continuava imperterrito il suo insensato discorso. << Ciò che volevo chiederti è qualcosa di ben diverso, e di più immediata necessità. >>

<< E sarebbe? >>

<< Ecco… >>

Lily gli lanciò un’occhiata sospettosa, mentre il viso di Potter riassumeva quell’espressione di beato candore.

Godric, credeva davvero di dargliela a bere?

Potter, nel frattempo, aveva sollevato quello sguardo da troglodita verso di lei, con il palese scopo di intenerirla.

Illuso.

<< Evans, sai che ti amo, vero? >>

La ragazza sbuffò. <<  E’ da quattro anni che non fai altro che ripetermelo. >>

<< E che ti reputo una persona davvero stimabile, no? >>

<< Potter… >>

<< E che non farei mai del male, no? E che sono solo una povera anima disgraziata bisognosa d’affetto, vero? >>

A quest’ultima osservazione, Lily lo osservò perplessa, indecisa se scoppiargli a ridere in faccia o scappare a gambe levate urlando al pazzo.

Probabilmente, legata alla propria dignità quel minimo indispensabile alla propria dignità, avrebbe optato per la seconda soluzione, se quel fin troppo loquace Potter non stesse continuando a parlare.

<< E che ti ammiro molto, lo sai? >>

Merlino, quel suo divagare le stava dando su i nervi.

<< E che stimo molto il tuo lavoro da prefetto? E che gli unicorni rosa, a mio parere, dovrebbero andare di gran moda? E che… >>

<< POTTER, TI DECIDI AD ARRIVARE AL PUNTO?! >> urlò Lily, ormai spazientita.

Questo, però, prima di ricordarsi l’ultima frase detta da Potter. << Aspetta, che diavolo c’entrano gli unicorn… Naà, lascia perdere. >> s’interruppe infine, decidendo che non era decisamente in vena di ascoltare gli sproloqui di Potter riguardo le sue tendenze vagamente omosessuali.

Optò invece per quella che era la sua iniziale intenzione: scoprire l’insana richiesta di Potter.

A tal pensiero, un brivido non potè che attraversarle la schiena: Remus le aveva parlato molte volte di quanto potessero essere temibili le richieste di un Malandrino.

Tuttavia, si decise a rischiare.

<< Allora, Potter, si può sapere che vuoi? >>

<< Ecco… Hai presente il tema di Storia della Magia per domani, no? Diciamo che non l’ho ancora…ehm…terminato, ecco, e che dopo le lezioni devo scappare agli allenamenti… In un’occasione normale li avrei copiati da Remus, ma lui è uscito dall’Infermeria solo ieri, e il professore gli ha concesso di portarlo venerdì, e diciamo che lui allora se la sta prendendo un po’ comoda e… >>

Lily fu pervasa da un terribile sospetto. << E quindi? >>

<< Ecco, io mi chiedevo… >> continuò Potter, con faccia inverosimilmente docile << …cioè, non è che mi faresti dare un’occhiatina al tuo? >>

Ok.

Lì c’era davvero qualcosa che non andava, qualcosa che storpiava l’ordine naturale delle cose.

Lily era difatti rimasta stupefatta.

James Potter le chiedeva di uscire, di baciarlo, di cedere ai suoi patetici corteggiamenti, non di copiare i compiti.

La ragazza, nel vano tentativo di reprimere quell’incontrollabile senso di rabbia che la stava prendendo, sospirò sonoramente.

Una, due, tre volte.

Infine, si decise a sollevare lo sguardo smeraldino verso il giovane, sforzandosi palesemente di non prenderlo a calci seduta stante.

<< Potter. >> esalò quel nome con una calma spaventosa << dammi almeno una ragione per cui dovrei permettere che un bradipo inetto come te si avvalga del mio duro lavoro per tirarsi fuori dai guai. >>

Potter –quel maledetto idiota di Potter- scoccò la lingua, e dietro le lenti degli occhiali, Lily poté notare lo sguardo sornione con cui la osservava. << Oh, Evans, non preoccuparti. Ce l’ho davvero, un motivo. >> le disse il ragazzo, con quello che egli doveva un tono di voce maledettamente affascinante.

Lily si trattenne a stento dal fargli notare che in quel modo a lei appariva più che altro come un troll balbuziente.

Tuttavia, si limitò a guardarlo di sottecchi. << Ma davvero? >>

Potter annuì, sempre con quell’aria da perfetto malandrino. << Oh, se ce l’ho. E te l’assicuro, è davvero un’ottima ragione. >>

 

 

***

 

 

Pochi minuti dopo, accomodatosi sulla scomoda sedia della scomoda aula di Trasfigurazione, James Potter si sentiva a dir poco un genio.

Pensando al tema di Storia della Magia dentro la sua cartella, al sicuro e con un nitido “Lily Evans” scritto sopra, il ragazzo a malapena si tratteneva dallo sghignazzare.

Godric, convincere Evans era stato fin troppo semplice: gli era bastato scovare i suoi punti deboli, ed utilizzarli a suo vantaggio.

Per il primo punto, non vi era stato alcun problema.

Lily Evans, ad Hogwarts, era conosciuta infatti per tre cose:

1)      era l’unica ragazza che non aveva ancora capitolato alle lusinghe del magnifico James Potter.

2)      Covava un ingiustificato odio per i suoi gufi.

3)      Impazziva, letteralmente, per il Quidditch.

 Detto ciò, e considerando che prima o poi –James ne era certo- il primo punto sarebbe scomparso dalla lista- quello che realmente interessava al ragazzo era il terzo.

Ok, probabilmente mettendo insieme Evans ed una scopa, sarebbe stato come metterci Lunastorta. O peggio ancora, Peter.

Tuttavia, non si poteva certo non notare che l’attenta e meticolosa prefetto Grifondoro fosse una tifosa sfegatata.

Non si perdeva una partita, e James non avrebbe mai potuto dimenticare di quando, poiché se l’era presa un po’ comoda nel catturare il boccino, Evans l’aveva minacciato di morte dagli spalti.

Davvero un terribile ricordo, doveva ammetterlo.

Comunque –tornando la punto della questione- se lui si fosse casualmente scordato di consegnare al tema, era quasi assicurato che gli sarebbe stato impedito di partecipare all’imminente partita.

E la sua assenza equivaleva alla sconfitta della squadra, e questo –Merlino, se ne era sicuro- persino Evans doveva ammetterlo.

Se invece avesse dovuto saltare gli allenamenti, per dedicarsi all’inutile stesura di una materia ancor più vana, non sarebbe stato in perfetta forma per l’incontro.

In poche parole, anche in quel caso la sconfitta era assicurata.

Quando aveva esposto la sua brillante analisi alla Evans (tralasciando l’ultima parte) il viso della ragazza aveva assunto un’espressione indimenticabile.

Il viso improvvisamente cereo, gli occhi verdi spalancati in un’aria di sorpresa e rabbia.

In sintesi, il volto della sconfitta.

Oh oh, era un genio, maledizione!

Un mito!

Un grande, una divinità, un…

<< Psst, James. >>

Oh, eccola là.

La voce che accorreva sempre nei suoi momenti di gloria, per distruggerli ,a dispetto di colui che ne fosse il proprietario.

James si voltò con fare scocciato verso il suo compagno di banco.

<< Peter, si può sapere che vuoi? Ero impegnato. >>

“.. A cantare le mie lodi. “ completò mentalmente il ragazzo.

Ma insomma, avrebbe dato l’impressione del presuntuoso se l’avesse detto allo stesso Peter che ora lo fissava con aria spudoratamente terrorizzata, no?

<< Scusa Prongs, ma… Credo che la Mc Granitt inizierà ad arrabbiarsi, se continui a sghignazzare sottovoce. >>

James sorrise, prendendo l’amico sottobraccio con un movimento decisamente vistoso. << Oh, avanti, Peter. Pensi davvero che si possa accorgere di… Ahi, Pad! >> s’interruppe il ragazzo con un bisbiglio, voltandosi leggermente verso il banco dietro di lui.

Sirius era impegnato ad accartocciare, con una nonchalance decisamente fuori luogo, l’ennesima pallina di carta da lanciare in testa all’amico.

Al richiamo di James, si limitò a sollevare lo sguardo dalla sua inestimabile opera con fare indifferente. << Si? >>

Ramoso aggrottò le sopracciglia, vagamente offeso per quella totale mancanza d’interesse, mentre con la mano si massaggiava la nuca.

Si, perché una pallina di carta può fare veramente male.

<< Si può sapere che fai? >>

Felpato lo studiò, per qualche istante, con la solita aria di superiore incuranza.

Poi, tutto nel suo volto, dagli occhi blu ai lineamenti regali, si tramutò in una maschera di completa… beh, sì, disperazione.

<< James, non so che fare! E’ così cattivo! >>

Il tono insolitamente implorante di Sirius, spinse anche Peter a voltarsi verso il banco dietro di lui, e a fissare l’amico con curiosità. << Chi, è così cattivo? >>

Felpato rivolse l’espressione da cucciolo bastonato che adottava praticamente in ogni situazione verso di lui, e Peter ne poté constatare l’effettivo abbattimento. << Chi? Lunastorta, ovviamente! >>

<< Lunastorta? >>

<< Lunastorta! >>

A quelle parole, James inarcò un sopracciglio, spostando ripetutamente lo sguardo da Sirius, che lo fissava con quella patetica aria afflitta, a Remus, che prendeva placidamente appunti al suo fianco.

Quando infine la sua attenzione tornò su Felpato, lo sguardo di Prongs non trasudava altro che perplessità. << Scusa, ma stiamo parlando della stessa persona? >>

Sirius si girò verso di lui con un improvviso scatto d’impazienza. << Scusa, ma quanti Lunastorta conosci? Certo che parlo di lui! Non mi parla, non mi considera, non mi ascolta e… >>

<< Così ... >> proferì improvvisamente Remus con indifferenza, senza distogliere lo sguardo dalla pergamena su cui appuntava le parole della Mc Granitt  << … Non riesco a seguire la lezione. Sirius, sta’ zitto. >>

Felpato si voltò di nuovo verso James, con aria supplichevole.

<< Visto? >> sussurrò, implorante.

Ramoso sospirò e, sistemandosi meglio gli occhiali sul naso, afferrò una delle palline di carta di Sirius e la lanciò in testa a Remus.

<< Ehi! >> esclamò questi, sollevando lo sguardo e portando una mano sul capo.

James a stento trattenne un sorriso.

“L’avevo detto che le palline di carta fanno male, no?”

Comunque, quello era il momento di cose decisamente più importanti. << Remus! Piantala di fare cose inutili come seguire questa lezione, e presta attenzione al tuo comandante! >>

Sentendo l’ultimo appellativo con cui James  si era definito, Remus aggrottò le sopracciglia con aria ironica.

E, per tutta risposta, gli arrivò in testa un’altra pallina.

<< Va bene, va bene! Ti ascolto! >> esclamò il ragazzo, vedendo Ramoso già pronto a lanciargliene un’altra.

James, che aveva già il braccio sollevato a mezz’aria, si limitò ad aprire il pugno, e il pezzo di pergamena arrotolato che era oramai divenuto una potenziale arma di persuasione, per una qualsiasi burla della fisica cadde in testa al povero Peter, che si era chinato –per qualche assurda ragione- a raccogliere le precedenti palline dal pavimento.

Ovviamente, Sirius e James ignorarono del tutto i suoi gemiti sicuramente spropositati, mentre Remus si limitò a dargli un’amichevole pacca sulla spalla  e a confortarlo con un “Su, forza.“

Fatto sta che, pochi secondi dopo, Peter Minus si era ritirato sul suo banco, con aria afflitta e  disperandosi per l’avere degli amici così insensibili.

James, intanto, preda delle sue solite manie di grandezza, si era nuovamente rivolto agli unici due Malandrini rimasti ad ascoltarlo – o almeno così lui credeva, dato che dopo la brillante scenata dello schema di Quidditch, a colazione, sia Remus che Sirius erano poco propensi a prestargli attenzione- riprese a parlare: << Allora, come ben saprete si avvicinano le vacanze di Natale e… >>

<< Oh, che bello. Le vacanze di Natale. >> esclamò Felpato, con un entusiasmo tale da far raggelare i morti.

James, stupito ed offeso –poiché inclinato a considerare quell’assenza di felicità come un sabotaggio alle sue idee- si voltò verso di lui con aria scocciata. << Ehi, aspetta un secondo. Tu adori il Natale. >> disse il ragazzo, pronunciando quelle parole come fossero una semplice constatazione di fatto.

Perché, d’altronde, si trattava della pura verità: Sirius era talmente attaccato a quella festa che Ramoso era ben propenso a credere che se il Natale fosse stato una donna con tanto di top e gonnella, l’amico le sarebbe già saltato addosso.

<< Ovvio che mi piace il Natale… >> spiegò Felpato, distogliendo lo sguardo con aria imbronciata << ...Ma forse tu non hai mai avuto il piacere di trascorrerlo a casa Black. >>  disse infine, e sia Remus che James poterono notare una sfumatura più malinconica nella sua voce, così come nella sue espressione, che si era d’un tratto rabbuiata.

Ramoso si scambiò un’occhiata preoccupata con Remus.

Era raro vedere Sirius incupirsi in quel modo, ed ogni talvolta che ciò accadeva, era dovuto alla sua famiglia.

E cercare di consolarlo, o comunque di parlargli, era del tutto inutile, a causa di quella sua dannata tendenza a rinchiudersi in sé stesso, protetto da un’insormontabile barriera di orgoglio e fierezza.

James, come ogni volta che assisteva a scene simili, non poté trattenersi dal sentirsi vagamente… colpevole.

Sirius costretto a combattere col disprezzo da parte della sua famiglia, o Remus, col suo piccolo problema peloso… e persino Peter, con i suoi evidenti complessi d’inferiorità… Spesso James si ritrovava a chiedersi il perché i suoi amici dovessero affrontare così tanti problemi, mentre a lui era spettata quella vita dannatamente facile, bella…perfetta.

Ed anche quando provava ad aiutarli, l’unica cosa che poteva fare, falliva fin troppo spesso, per i suoi gusti.

Il ragazzo sospirò, tornando ad osservare Sirius.

Studiò la sua espressione distaccata per pochi attimi, poi si decise, ed allungò una mano verso il banco di Felpato.

Questi sussultò non appena l’ennesima pallina di carta lo colpì in testa.

Sollevò lo sguardo, solo per incontrare quello beffardo e determinato di James.

<< Oh, Sirius, sei davvero egocentrico. >> esclamò il ragazzo, ironico << Com’è che ogni volta che parlo io, devi sempre attirare l’attenzione su di te? >>

Sirius, accovacciato sul suo banco, osservò dal basso l’espressione decisa dell’amico, con aria sbalordita.

Poi, mentre nei suoi occhi passava fugace uno sguardo di riconoscenza,  sul suo viso si tinse un piccolo ghigno sarcastico. << Non saprei. Forse perché certe volte sai essere esageratamente insopportabile? >>

<< Io?! Scherzi? >> scherzò James, portandosi una mano al petto e sgranando gli occhi << Lo sanno tutti che sono una personcina adorabile! Vero, Pet? >> domandò infine all’amico seduto di fianco a lui, piazzandogli una calorosa pacca sulla schiena, che ottenne come risultato quello di farlo ruzzolare a terra con un gridolino degno di James ogni qualvolta che non riusciva a trovare la sua scopa.

Ciò comportò inoltre il brusco dissolversi della pazienza della Mc Granitt, che si costrinse a smettere di ignorare i Malandrini per concentrare la propria attenzione su di loro.

Non appena spostò lo sguardo su quella parte dell’aula deliberatamente trascurata fino ad allora per ovvi motivi –d’altronde, era pur sempre Natale, no?- non poté non assumere un’espressione perplessa.

<< Signor Black, le dispiacerebbe dirmi di che cosa lei, il signor Potter e il signor Lupin state argomentando così ardentemente? >>

Sirius –ignorando le occhiate omicide di Lunastorta- sorrise: << In realtà sì, professoressa. Sono questioni personali, ed onestamente sono sempre stato un assiduo difensore della privacy. >>

<< Come la comprendo, Black. Credo allora che per voi sarebbe molto più…intimo chiacchierare durante una punizione, no? >>

<< Ma professoressa! >> intervenne James, sfoderando una delle sue migliori espressioni innocenti << c’è il Quidditch questa settimana, ricorda? >>

Bianchissima.

Ecco come divenne il volto della professoressa, non appena il ragazzo ebbe terminato di pronunciare la parola “Quidditch”.

Subito la Mc Granitt si riprese, tuttavia, nello sguardo severo che gli rivolse, Ramoso poté ben scorgere l’indecisione.

Mandare Potter a pulire i bagni o rinunciare alla Coppa di Quidditch?

Questo è il dilemma.

<< Quindici punti in meno a Grifondoro. E per questa volta ve la lascio passare. >>

<< Oh, grazie professoressa. >> esclamò James, con una palesemente falsa espressione d’ingenuità sul volto, al quale seguirono un “com’è misericordiosa!” di Sirius ed un “Scusi, professoressa” decisamente più sincero di Remus.

La Mc Granitt sospirò, scuotendo leggermente il capo.

Poi si rivolse al resto della classe.

<< Bene, ora riprendiamo la lezione e… oh, dimenticavo. >> s’interruppe la donna, tornando a guardare verso il banco di James Potter. O, più precisamente, sotto, il banco di James Potter. << Signor Minus, potrebbe smettere di rotolarsi sul pavimento, per favore? >>

 

***

 

Lily uscì dall’aula, esasperata da come Potter l’avesse fatta franca, ancora una volta.

E l’aveva persino fregata, per Godric!

Aveva impiegato un sacco di tempo per quel diamine di tema, e Potter sarebbe giunto al suo medesimo risultato con una fatica pari a zero. –o poco più, se fatica poteva essere considerata ricopiare a meno un rotolo di pergamena.-

Ed era preoccupata, tra l’altro, a causa delle dubbie capacità di “astuto copiatore” del ragazzo.

Pensò con amarezza a quel giorno del secondo anno, quando l’ insolita professoressa di Difesa di turno aveva chiesto loro di scrivere un tema sulla loro infanzia.

Stranamente, Remus, che Potter, Black e Minus erano tutti e quattro cresciuti in un villaggio di maghi perso nella campagna scozzese, con le amorevoli cure di una madre affettuosa e gli insegnamenti di papà John.

Sospirò, avvilita.

Non le rimaneva che sperare per il meglio.

“Consolati, Lily.” Pensò tra sé e sé, con una punta di orgoglio. “L’hai fatto per la tua squadra. Grifondoro quest’anno vincerà la coppa di Quidditch!”

Bastò la parola Quidditch a farle venire in mente l’immagine di James Potter che afferrava con straordinaria abilità il boccino d’oro, e che con un sorrisone a trentadue denti lo mostrava alla folla acclamante.

Lei stessa, a quell’ultima partita, era scoppiata in un applauso a suo favore.

Se lo meritava, soprattutto dopo che lei l’aveva minacciato, dagli spalti, di morte nel caso non fosse riuscito a prendere il boccino.

Aveva sentito un enorme senso di ammirazione, verso il ragazzo.

Avvampò, seppur non potendosi trattenere dal constatare che, Merlino, Potter poteva essere un idiota rimbecciliito, ma non esagerava quando diceva di aver davvero talento.

E poi, quando sorrideva in quel modo, non con fare arrogante, ma semplicemente a causa della genuina e sportiva gioia di aver vinto una partita ed aver portato alla vittoria i propri compagni, Potter le sembrava davvero… carino.

Godric, se il ragazzo avesse potuto leggere nella sua testa –e forse ne era in grado, considerando che sapeva sempre dove si trovava e come spuntarle alle spalle col suo sorriso ebete e richieste assurde-, le avrebbe rinfacciato di avere ragione, riguardo al fatto che lei fosse follemente innamorata di lui.

Ma non c’era niente di implicito o alcun doppio senso in quella constatazione. Era un semplice ed obiettivo apprezzamento, su un ragazzo che avev al’aria simpatica e dei bei lineamenti. Stop.

Avvertì qualcosa di caldo a contatto con la sua faccia, e solo allora si rese conto che, in effetti, era la sua faccia, ad essere calda.

… Oh diamine, era arrossita?!

“Stupida, stupida Lily.”

Percorse il corridoio, buttando un’occhiata a due Tassorosso che giocherellavano con qualche incantesimo in mezzo al corridoio.

Prese un profondo respiro.

La sua spilla da prefetto le incitava di intervenire, ma la pigrizia, mescolata ad un sentimento di benevolenza e timidezza, la invitavano a fregarsene ed andare oltre.

Nonostante fosse nota con l’adorabile nomignolo di miss-prefettina-prefetto-Evans –scaturito dalla geniale e cordiale mente di Black e Potter, ovviamente-, lei detestava assumersi quel genere dei compiti.

Certo, era orgogliosa di essere stata nominata prefetto.

Aveva passato quattro anni di studio meticoloso e perfetta disciplina, non poteva non provare un gran senso di soddisfazione nel vedere ricompensati i propri sforzi.

Tuttavia, Lily era quel genere di persona che si sarebbe limitata a compiere il suo dovere di brava studentessa e farsi gli affari propri.

Detestava dover rimproverare i suoi compagni di scuola, quasi assurgendo al ruolo di insegnante.

Era troppo insicura per farlo, e probabilmente mancava anche del necessario carisma per farsi ascoltare.

E gli sguardi infastiditi che le rivolgevano tutti ogni qualvolta che era costretta a sottrarre punti… Non riusicva a sopportarlo.

In effetti, ora che ci pensava, l’unico che le riusicva bene di rimproverare a dovere era James Potter.

Perché lui, fra tutti gli sguardi inopportuni che le aveva indirizzato, mai si era rivolta a lei con fastidio.

Forse era per questo che l’altro giorno, dopo Hogsmeade, la momentanea freddezza del ragazzo l’aveva atterrita.

Non le andava che anche una delle poche persone che non la ritenesse solo una sciocca e fastidiosa secchiona Sangue Sporco, la detestasse.

Allora perché lo trattava così male? Perché lo respingeva?

“Perché Potter è un ragazzino viziato, un bulletto arrogante di cui non ci si può fidare.” Rispose una vocina nella sua testa.

Eppure con lui si trovava decisamente a suo agio.

Lily scosse la testa.

Forse era un po’ ipocrita, o forse, semplicemente, si era rincretinita.

Non ci capiva più nulla.

<< Lily. >>

La ragazza, non appena sentì pronunciare il suo nome, sussultò, ed il cuore parve smettere di battere.

Era strana, quella voce.

Una voce tra l’austero, il triste e l’intimidito.

Una voce che non sentiva da almeno quattro giorni, dall’ultima volta che si erano visti.

Una voce che, tuttavia, riconobbe immediatamente.

Percepì un inusuale brivido di disagio salirle lungo la schiena, ma decise d’ignorarlo.

Lentamente, si voltò, solo per ottenere la conferma dei suoi sospetti.

Severus si stagliava proprio in mezzo al corridoio, a pochi metri di distanza.

La sua figura, magra, scura e ricurva come sempre, era in parte illuminata dalla tiepida luce invernale che filtrava dalle finestre, e trasmetteva un senso di gran desolazione.

Lily trattenne il respiro.

Lo vedeva triste, ed il suo primo impulso fu quello di corrergli incontro.

Ma qualcosa, forse il ricordo di quanto era successo ad Hogsmeade, la trattenne.

Così, frenando il suo solito istinto protettivo, si limitò ad alzare il capo verso di lui.

Non seppe perché, non appena parlò, la sua voce assunse quella sfumatura incerta.

<< Se-Severus. >> balbettò, per poi riprendersi con un tono più fermo. << Che cosa vuoi? >>

<< Riguardo ad Hogsmeade… Dobbiamo parlare. >>

Lily chinò lo sguardo.

Eccolo di nuovo, quel tono leggermente autoritario.

Un tono che la lasciava stupefatta, da quando il ragazzo aveva iniziato a frequentare Malfoy e i suoi amici.

Certo, da Severus, timido e freddo, non si poteva di certo aspettare il massimo della dolcezza… E lei mai l’aveva richiesto.

Tuttavia, era sempre stato gentile con lei.

Almeno, fino all’estate scorsa.

Con gli occhi verdi chini a fissare il pavimento, la giovane cercò di imprimere nelle sue parole le medesima autorevolezza.

<< Non c’è niente da dire. >> esclamò, gelida, voltandosi dall’altro parte.

Fece per allontanarsi, ma qualcosa di aspro, forte, le impedì di muoversi.

Lily si voltò di scatto, sorprendendosi di trovare le dita magre di Severus serrarle il polso con decisione.

Ed, incredibile a dirsi… le stava facendo male.

Il contatto spinse Lily a tornare con la mente ai ricordi di molti anni prima…

 

Erano nel giardino dietro casa di Severus, e lei di dieci anni si teneva la mano, dolorante.

Stava solo correndo, stava solo giocando, ed era inciampata.

Non aveva mai immaginato che nel giardinetto di Sev potessero esserci dei cocci di bottiglia.

Ora osservava le gocce di sangue uscire dal taglio sulla mano, le lacrime che le scendevano copiose lungo le guance.

Non avrebbe voluto piangere, si sentiva una stupida a farlo.

In confronto alle ferite che si vedevano in  quei film di Sean Connery che sua padre guardava tutto il tempo, quel graffietto sembrava una sciocchezza.

Ma faceva male lo stesso, e i suoi tentativi di trattenere i singhiozzi si rivelarono vani.

Ad un tratto, qualcuno le cinse la mano con delicatezza, facendola sussultare.

Lily sollevò lo sguardo, ed i suoi occhi verdi incontrarono il sorriso gentile di Severus.

Dimenticando il dolore, la bambina osservò i gesti attenti dell’amico, la meticolosità con cui avvolgeva una benda bianca attorno al taglio, la delicatezza con cui la teneva sollevata.

E Lily, semplicemente, smise di piangere.

Alzò il  capo, e sorrise all’amico.

<< Grazie… >>

 

 

Lily si riscosse, e fissò per un attimo il viso di Severus.

Ora non vi era nessuna bontà nella sua presa, nessun affetto nel suo sguardo.

La ragazza si liberò bruscamente dalla sua mano, allontanandosi di un passo.

Per un attimo, dovette ammetterlo, aveva pensato che si sarebbe messa a piangere, come quella volta di tanti anni fa.

Per la delusione.

La tristezza.

Per il tradimento del suo amico.

Ma lei non era più quella bambina.

E le uniche lacrime che in quel momento avrebbe potuto versare sarebbero state di rabbia.

<< SEVERUS, PIANTALA! SI PUO’ SAPERE COSA TI STA SUCCEDENDO?! >>

Non avrebbe voluto urlare.

Ma le emozioni erano troppe, ed impossibili da controllare.

Alle sue parole, comunque, Severus spalancò gli occhi, e Lily se ne sentì stranamente ferita.

Forse anche lui la riteneva la bambina di tanti anni fa.

Tuttavia, lo stupore del Serpeverde si tramutò presto in qualcosa di diverso, qualcosa di più brusco e travolgente.

Rabbia.

La medesima con cui la giovane prefetto di Grifondoro lo osservava in quel momento.

<< DA QUANDO, EH LILY? >> urlò il ragazzo, a sua volta << DA QUANDO TIENI COSI’ TANTO A JAMES POTTER?! >>

Il silenzio.

Ecco ciò che calò fra i due, mentre gli occhi smeraldini della studentessa si spalancavano per la sorpresa.

<< Come, scusa? >> domandò, confusa.

<< MI RIFERISCO A QUANTO E’ ACCADUTO AD HOGSMEADE, LILY! >> continuò il ragazzo, non intenzionato a calmarsi << ANZI DI RINGRAZIARMI PER CIO’ CHE HO FATTO, NON MI HAI PARLATO PER GIORNI E… >>

Lo schiaffo arrivò improvviso, inatteso.

Fu questione di un attimo, e Severus percepì un forte bruciore alla guancia sinistra.

Sollevò lo sguardo, stupito e confuso, verso quello furente di Lily.

Gli occhi verdi brillavano, leggermente inumiditi, e la mano della ragazza era ancora sollevata di fronte al viso del Serpeverde.

<< Hai puntato la bacchetta contro uno studente, Severus. Non potrò mai esserti riconoscente per questo. >> sibilò Lily, gelida. << E per questo, non credo che tu possa ritenerti tanto superiore a quell’idiota di Potter. >>

Non riusciva a sentire nulla, in quel momento.

Voleva solo correre, scappare via.

Scappare da Severus.

E nel frattempo, una bizzarra consapevolezza.

Quella che, quando il giovane l’aveva afferrato così violentemente la mano, i suoi pensieri non erano corsi solo a quell’estate di cinque anni fa,  ma a qualcos’altro.

Un episodio più recente, che coinvolgeva un’altra persona.

Potter, che le cingeva il polso delicatamente, ai Tre Manici di Scopa

E la sua voce, calda, gentile ed allo stesso tempo supplichevole.

 

<< Lily, aspetta! >>

 

 

Lily chiuse gli occhi e, quasi senza rendersene conto, iniziò a correre, lontana.

Severus, invece, rimase lì nel corridoio, la guancia dolorante.

Ora, le dita della stessa mano che tanti anni fa aveva curato con tanto affetto, si trovavano stampate sul suo volto, con rossastri segni di rabbia, lacrime e delusione.

 

 

 

 

 

 

 

NDA: nulla da dire. Non vedo l'ora di arrivare ai nuovi capitoli!!

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Capitolo 6
*** Presentimenti ***


CAPITOLO 6

PRESENTIMENTI

 

 

 

 Lily  rientrò cupa nel suo Dormitorio.

Prese un respiro profondo, e poi ancora un altro, mentre il battito si regolarizzava.

Si sfiorò una guancia, sorprendendosi di trovarla liscia ed asciutta come sempre.

A quanto pareva, Severus non possedeva il potere di farla piangere.

Eppure… Eppure, in quel momento si era davvero sentita a pezzi.

Allontanò la mano dal volto, e le iridi smeraldine si posarono su di essa.

Eccola.

La mano con cui l’aveva schiaffeggiato.

Ora che la rabbia si era acquietata, iniziava a farsi avanti il senso di colpa.

Che subito ricacciò indietro.

Ok, forse era stata un po‘ troppo dura, però…. Però lui aveva torto.

Torto marcio.

E lei era del tutto innocente.

Non era Lily a frequentare compagni razzisti e diabolici.

Non era Lily ad aver puntato la bacchetta su un compagno di scuola.

E, soprattutto… lei non era affatto interessata a James Potter.

E non riusciva davvero a capire come a Severus potesse essere solo balenato in mente quest’ipotesi del tutto infondata.

Cioè, era da anni che lei –a differenza di tutte le altre ragazze della scuola- non faceva altro che insultarlo e respingerlo!

Insomma, il semplice pensare che a lei importasse qualcosa di quel tipo era davvero un delirio!

Ma…. Sì, c’era un “ma”.

In effetti, ora che vi ci pensava, Lily ricordò di come si fosse sentita dispiaciuta, dopo la gita di Hogsmeade, quando Potter l’aveva guardata così freddamente – eh si, dieci minuti dopo era a rincorrerlo e scagliargli maledizioni per il giudizio poco raffinato che Potter aveva dispensato sul suo fondoschiena.-

Ricordava anche della propria amarezza nell’incontrare il suo sguardo dispiaciuto, quando ai Tre Manici di Scopa aveva abbassato la bacchetta.

E, più di tutti… Quando Severus l’aveva presa per il polso, Lily aveva pensato a lui.

Probabilmente, l’ultima delle persone a cui dovrebbe dovuto rivolgere la propria mente, in una situazione in cui lui non c’entrava assolutamente niente.

Lily sospirò, poggiando il capo alla colonna dietro di lei.

Insomma, cosa le stava succedendo?

<< Ehi, stai bene? >>

La ragazza sobbalzò, voltandosi. A parlare era stata Mary, comodamente sdraiata sul suo letto a leggere una rivista.

Ma studiava mai, quella?

Insomma, avevano i GUFO, quell’anno.

Sbuffò di nuovo, incrociando le braccia davanti al petto e distogliendo lo sguardo. << Tutto a posto, grazie. >> rispose, con un tono che, decisamente, non sarebbe riuscito ad ingannare nessuno.

Dietro di lei, udì Mary sospirare: << Oh, Lily, non capisco come fai ad essere triste! >> esclamò la ragazza, con voce sognante << Cioè, James Potter ti rincorre da cinque anni! Insomma, parliamo di James Potter! >>

“Oh, uao.” Si ritrovò a pensare Lily, con davvero poco entusiasmo.

Ci mancavano solo i cuoricini e le farfalle attorno, e il quadro della perfetta innamorata sarebbe stata a posto.

<< Oh Lily, come sei fortunata! >>

La rossa si lasciò cadere distesa sul proprio letto, con un sospiro. << Già. Evviva. >> disse, con un tono che di eccitato aveva a dir poco niente.

Comunque, ora aveva cose più importanti a cui pensare.

Prime fra tutte, la discussione con Severus.

Non potevano andare avanti in quel modo, con un litigio uno dietro l’altro.

Insomma, dov’era finito quel rapporto così dolce che avevano instaurato ancor prima di giungere ad Hogwarts?

E dove, quello così saldo che aveva permesso loro di continuare ad essere amici, anche dopo essere smistati in Case tradizionalmente nemiche?

Cosa era successo? Cosa, era cambiato?

E soprattutto, a cosa doveva essere attribuita la colpa?

Alle discutibili amicizie di Severus? Alle attenzioni di Potter?

O magari… Era a causa sua, se tutto ciò stava accadendo?

Lily sospirò, ignorando gli sproloqui di Mary sull’immenso fascino di Potter.

Non ci capiva più niente, ed onestamente, non sapeva proprio dove andare a parare.

Senza contare che in primavera sarebbero iniziati i G.U.F.O e…

<< Il bagno è libero! >>

Lily si riscosse e, sollevandosi sui gomiti, rimase sbalordita nel vedere un’Alice davanti alla porta del bagno stranamente in ghingheri.

Indossava un vestitino di lana, i corti capelli neri erano tirati indietro da un cerchietto color fragola, e il volto era … decisamente truccato, seppur in maniera non eccessiva.

La rossa la guardò attonita per un momento.

Certo, stava benissimo, ma dove doveva andare conciata in quel modo alle sei del pomeriggio?

Fece per dire qualcosa, ma Mary, dimenticatasi di Potter per un momento, la precedette. << Alice, ma sei bellissima! Cos’è che devi fare, eh? Eh? >> esclamò la ragazza, con voce talmente stridula che per un momento Lily fu tentata di tapparsi le orecchie.

“ Ma questa quanto caffé si beve, la mattina?!”

<< Ecco, io… >> Alice chinò il capo, mentre arrossiva << … ho un appuntamento. >>

Lily per poco non svenne.

Un appuntamento? Alice?

 La stessa ragazza di cui il rapporto con l’altro sesso si limitava –salvo rare eccezioni- a scagliargli bolidi in faccia durante le partite?!

La voce acuta –ed improvvisamente insopportabile, bisognava ammetterlo- di Mary rischiò di farle venire un infarto.

<< Ma davveroo?! E con chi? Di che Casa è? >> domandò tutta su di giri, e Lily fu tentata dal farle notare che era Alice, non lei, ad avere un appuntamento.

Tuttavia, non le andava di mandare a monte la sua fama di perenne cortesia con qualsiasi individuo fuorché James Potter e i suoi degni compari.

<< Ehm… E’ di Tassorosso, frequenta il nostro stesso anno… >> disse intanto Alice, evidentemente imbarazzata.

<< Chi è? >> domandò immediatamente Lily, determinata a precedere la loro compagna di Dormitorio, in modo da non dover più rischiare l’incolumità dei suoi poveri timpani.

<< Frank Paciock. >> rispose l’amica, con un sorriso.

Lily dovette impiegare qualche istante per focalizzare l’immagine del timido Tassorosso seduto sempre in ultima fila.

Fisicamente non era niente di eccezionale, tuttavia –pur non conoscendolo bene- alla rossa era sempre sembrato un bravo ragazzo, tranquillo ed educato.

Guardò l’amica, che la fissava come in attesa di un qualsiasi commento.

Tuttavia, si poteva ben capire quanto sperasse che quest’ultimo fosse positivo.

<< Penso sia un tipo a posto. >> disse Lily, con un sorriso << Sono contenta per te, Alice. >>

A quelle parole, l’altra sorrise a sua volta, radiosa, e per un istante Lily si trovò a credere che la ragazza fosse veramente felice.

<< Ma chii? >>

La voce di Mary giunse, fin troppo acuta, come un fulmine a ciel sereno. << Paciock? Quello sfigato? >>

Lily si voltò verso la biondina, fulminandola con lo sguardo e pronta a far uso di tutti quegli anni di pratica nell’insultare Potter.

Tuttavia, Alice lo precedette, guardando Mary in un modo che avrebbe fatto scappare a gambe levate persino un troll. << Mary, che ne dici di tapparti quella fogna, eh? >>

Lily per poco non scoppiò a ridere, chiedendosi dove fosse finita la dolce ragazza innamorata che era spuntata dal bagno qualche secondo fa.

Mary, invece, guardò Alice per un momento, ammutolita. Poi, con fare indignato, si alzò dal letto, con in mano la rivista che stava sfogliando fino a poco fa. << Be’, almeno poteva invitarti a fare qualcosa di più romantico che un passeggiata nel parco della scuola, no? Ad Hogsmeade, per esempio, sabato c’era una fantastica luna piena! Sarà proprio una cosuccia squallida, fattelo dire e… >> 

Alice sospirò. << Sbaglio o ti avevo chiesto di stare zitta? >>

Lily osservò come in trance Mary borbottare indignata e scendere offesa verso la Sala Comune, mentre la brunetta diceva qualcosa come “finalmente!”.

 

 

***

 

Giunse la sera.

Remus se ne stava appoggiato con la schiena al muro di fianco al ritratto della Signora Grassa.

Finalmente, udì dei passi arrivare dalla parte opposta del corridoio. 

<< Lily, allora sei qui! Ti aspettavo venti minuti fa! >>

Lily arrossì, colpevole.

Dopo cena, si era subito diretta in Biblioteca, dove aveva studiato fino a tardi.

Non che fosse sua abitudine ridursi fino a quegli orari, ma immergersi nei libro l’aiutava a non pensare ai propri problemi.

E, tra Potter, i GUFO, sua sorella e Severus, in quel periodo di problemi ce ne aveva anche troppi.

Lily sospirò.

Almeno la spilla da prefetto aveva comportava i suoi vantaggi, oltre che a tanti doveri e compiti.

Uno tra i molti era il fatto di poter rimanere a gironzolare per il castello anche durante orari indecenti, senza importanti conseguenze.

Sorrise a mo’ di scusa.

<< Mi dispiace >> disse << ma ero in biblioteca e non mi sono resa conto di quanto fosse tardi. >>

Quella sera, inoltre, toccava ai prefetti di Grifondoro –e quindi a lei e a Remus- fare il controllo del castello, e pertanto sarebbe comunque dovuta tornare in Sala Comune ben oltre il Coprifuoco.

Anche quando frequentava le scuola babbane, studiare riusciva a farle perdere il senso del tempo.

A quella parole, sul volto pallido dell’amico comparve un’espressione comprensiva. << Ok, non ti preoccupare. >> disse, sorridendo.

Lily si trovò a pensare che, conoscendo il tipo, anche lui doveva aver iniziato a prepararsi per i G.U.F.O, e si sentì sollevata nel constatare che almeno sotto quel punto di vista, c’era qualcuno che la capiva.

Onestamente, ne aveva abbastanza delle espressioni incredule ed ironiche che regolarmente affioravano sulle facce delle sue amiche ogni qualvolta che diceva loro di aver già iniziato a studiare per gli esami.

Si voltò verso il ragazzo accanto a lei.

<< Remus? >>

<< Si? >>

Lily sospirò. << Davvero, non riesco a capire come tu possa essere amico di Potter e gli altri. >>

Remus, come sempre di fronte ai duri pareri della rossa sugli altri Malandrini, scoppiò a ridere.

Non in modo derisorio, ma semplicemente divertito. << Lily, davvero, James, Sirius e Peter sono migliori di quanto possano sembrare. >>

La ragazza, a quella spiegazione, sbuffò, fingendosi offesa. << anche meno idioti? >>

<< Be’ >> disse l’altro, scuotendo il capo con un sorriso divertito << questo non te lo posso assicurare. >>

Lily rise con allegria.

Era contenta di aver stretto amicizia con Remus, davvero.

L’aveva sempre ritenuto una brava persona, ma il loro legame era nato solo alla fine del quarto anno, quando era divenuto evidente il fatto che solo loro due potevano esser eletti prefetti della loro Casa.

<< Che ne dici, andiamo? >>

La ragazza annuì. << D’accordo. >>

 

Trascorsero la maggior parte della ronda scherzando e parlando della scuola e di tutto il resto, e tra una risata e l’altra, Lily si trovò a pensare che sì, avere accanto Remus Lupin era davvero un bene per lei, in quel momento.

Soprattutto considerando ciò che stava succedendo con Severus.

A quel pensiero, la ragazza trattenne a stento un fremito.

Già… Severus.

Ultimamente non riusciva a  pensare ad altro che come sanare il loro rapporto.

E, soprattutto, a quanto l’amico fosse cambiato.

Lily era più che disposta a comprendere e perdonare il comportamento poco gentile e inspiegabile di quel periodo, ma… giravano delle voci, su Severus e le compagnie che frequentava.

Ora, lei non era sicuramente tipo da dare ascolto ai pettegolezzi, tuttavia ignorare ciò che facevano certi amici di Sev era impossibile.

Quasi tutti futuri Mangiamorte e con praticamente prenotato un biglietto di sola andata per Azkaban.

E anche Severus stava cambiando…

Un tempo, un ragazzo indipendente e intelligente come lui non si sarebbe mai fatto tirare in ballo in quelle compagnie del tutto discutibili.

E per quanto ne sapeva, Severus non si era ancora fatto coinvolgere in niente di grave o stupido.

Ma… per quanto tempo?

In un lampo di timore, Lily s’immaginò il pallido e magro avambraccio dell’amico, e su di esso un marchio scuro che il mondo magico stava cominciando a temere più di ogni altra cosa.

Rabbrividì, quasi istintivamente.

No, Severus era diverso.

Lei, a detta del Serpeverde la sua migliore amica, era una Nata Babbana.

Per i Mangiamorte e i seguaci di … Tu-sai-Chi, solo una fetida Sanguesporco.

Ma Severus le voleva bene lo stesso, e non l’aveva mai disprezzata od insultata per il suo sangue.

Questo doveva pur contare qualcosa, giusto?

Comunque… Sarebbe stato meglio chiarire la questione, subito.

Gliene avrebbe parlato durante le vacanze di Natale, dato che entrambi sarebbero tornati a Little Whinging, dalla famiglia.

E a proposito di famiglia… Lì avrebbe trovato anche Tunia.

E quindi le sue malevole allusioni sul suo essere diversa, e i loro litigi, e il disprezzo della sorella che riusciva sempre a scorgere quando quella la guardava.

Si sentì improvvisamente triste.

Sia nel mondo dei maghi, che in quello babbano, lei era diversa.

Sua sorella la disprezzava perché era una strega, la maggior parte dei maghi perché non lo era abbastanza.

Era una Mezzosangue.

Un essere, a metà tra due mondi, nessuno dei quali l’avrebbe mai completamente accettata.

Nel mezzo di questi pensieri, fece distrattamente scorrere lo sguardo al di fuori di  una delle tante vetrate.

Da lì si poteva scorgere il Lago Nero, su cui imponente si specchiava il castello, ed il parco innevato, con il Platano Picchiatore che, scuotendo i rami, si liberava dai candidi fiocchi di neve, e la capanna di Hagrid, ai limiti della Foresta Proibita.

Quello scenario, nel buio freddo di Dicembre, appariva quasi inquietante, spettrale, tuttavia…

Lei non poteva fare a meno di amarla.

Hogwarts, intendo.

Non era solo una scuola, per Lily, ma quasi un rifugio, di cui le porte –ne era certa- sarebbero state sempre aperte per lei, così come qualunque altro ne avesse bisogno.

Perché, sì, aveva bisogno di Hogwarts, di quello che era l’unico luogo in cui, ormai da tempo, si sentiva veramente a casa.

<< E’ bellissima, vero? >>

Lily sussultò.

Non si era resa nemmeno conto di essersi avvicinata alla grande vetrata, e di essersi fermata lì imbambolata a fissare il paesaggio.

Ora che Remus se ne era accorto, avvicinandosi, forse avrebbe dovuto perlomeno sentirsi vagamente imbarazzata, a causa dell’espressione pateticamente commossa che le era spuntata in viso nell’osservare la scuola.

Tuttavia… Non fu così.

Anche perché qualcosa nel volto e nelle parole dell’amico le fecero capire che pure lui doveva provare qualcosa di simile.

Ma probabilmente non erano gli unici due a considerare Hogwarts come una seconda casa, in quel posto.

Così, con un lieve sorriso sulle labbra, la ragazza annuì. << Già. >> disse, girandosi verso Remus, e notando che anche lui stava sorridendo.

Niente di particolarmente allegro ed esagerato, semplicemente un sorriso sereno e… vero.

Lily ne fu colpita.

Aveva sempre ritenuto gran parte dei sorrisi del ragazzo come di cortesia e circostanza, privi di una vera e propria contentezza.

Era difficile vedere Remus Lupin realmente contento.

Ora che ci pensava, era solo coi suoi amici, Black, Minus e Potter, che il prefetto sembrava abbandonare quella maschera di sorrisi falsi e malinconici, e che appariva quindi veramente… felice.

Sì, era questa la parola giusta.

Istintivamente, ripensò a ciò che poco prima aveva detto Remus:

 

 

<< Lily, davvero, James, Sirius e Peter sono migliori di quanto possano sembrare. >>

 

 

E in fondo, se erano gli unici a farlo sorridere in quel modo…forse quella parole non erano così sbagliate.

 

 

***

 

 

James aveva imparato a riconoscere i brutti segni da qualche anno, ormai.

Ed uno di quelli era certamente l’irritante sensazione all’addome che lo coglieva  ogni qualvolta che stava per accadere qualcosa di brutto.

Esattamente ciò che provava poco prima che la Mc Granitt li sorprendesse a piazzare caccabombe davanti all’ufficio di Gazza; la stessa sensazione che aveva provato pochi giorni prima che, al secondo anno, Peter si beccasse una strana malattia babbana chiamata “varicella”, trasmettendola a lui e a Sirius –Remus, invece, conoscendola già, si era tenuto alla larga.-

Si trattava, in poche parole, di… un brutto presentimento, ecco.

Lo stesso che, mentre stava spaparanzato sul proprio letto, meditando su quale scherzo giocare ai Serpeverde prima di Natale, l’aveva colto da ormai qualche minuto.

Inizialmente, aveva deciso di ignorarlo, concentrandosi invece nell’ingozzarsi della cioccolata sgraffignata direttamente dalla scorta personale di Remus.

Probabilmente si trattava solo di suggestione, o stanchezza, o chissà quale altra innocua stupidaggine.

Tuttavia… passavano i minuti, ed ancora quella dannata sensazione non accennava ad andarsene.

Una persona normale –e probabilmente dotata di un minimo d’intelligenza- non vi avrebbe prestato alcuna attenzione, di questo James ne era consapevole.

Ma –a parte il fatto che lui non era una persona solamente normale- il giovane Potter aveva imparato che non era saggio ignorare quella sensazione.

<< Ehi, Pad. >> disse, rivolgendosi all’amico intento a leggere una rivista di Quidditch sul proprio letto.

Sirius non sollevò lo sguardo: << Si? >>

<< Passami la Mappa del Malandrino. >>

D’altronde, forse quel presentimento si poteva giustificare con un paio di Serpeverde ad aspettarli fuori dalla Sala Comune, per tendere loro un agguato.

In effetti, qualche mattina fa, uno del terzo anno della Casata di Salazar aveva ricevuto un enorme d inquietante pacco pieno di caccabombe.

Insomma, era meglio controllare.

Intanto, sentita la richiesta dell’amico, Sirius sbuffò, passando a leggere un’altra pagina del giornale: << Prenditela da solo. >>

<< Ma Sirius!! >> esclamò Ramoso, con tono di protesta. << E’ sul tuo comodino! >>

<< E io sono sul mio letto. Qualche problema? >>

Un attimo dopo, James si era alzato dal letto, ed era andato a prendere la mappa borbottando una serie di improperi verso la pigrizia di quello che riteneva essere suo amico.

Non appena se la ritrovò tra le mani, non poté trattenere un moto d’affetto per quel vecchia pergamena, e per il tanto impegno che avevano dovuto affrontare tutti e quattro per crearla.

Ok, stava diventando fin troppo sentimentalista.

Puntò la bacchetta verso la mappa, ben augurandosi di interrompere quel lento processo che lo stava portando a diventare una ragazzina disgustosamente romantica.

<< Giuro solennemente di non avere buone intenzioni. >>

Una flebile luce apparve sulla punta della bacchetta e, d’incanto, la Mappa del Malandrino si rivelò agli occhi di uno dei suoi creatori.

Sul curato disegno che mostrava anche i più reconditi angoli di Hogwarts, James osservò i nomi dei pochi studenti che non si trovavano nei loro Dormitori.

Narcissa Black, la cugina di Sirius, al terzo piano. Ma d’altronde, la ragazza era un prefetto.

Ah, c’era anche Gazza, diretto verso il suo ufficio. Forse per una volta, aveva deciso di risparmiare qualche studente fuori orario dalle proprie grinfie, ritirandosi in anticipo.

Ed ecco Remus con Evans…

Remus con Evans…

No, no, no.

Diamine, Remus e Evans suonava decisamente meglio.

Doveva ammettere di sentirsi leggermente invidioso del suo amico, in quel momento, anche per il buon rapporto che lo legava con Lily Evans.

Certo, ancor più suo amico era quel idiota di Piton… Ma lui non avrebbe mai potuto provare invidia per Mocciosus.

Mai.

Comunque, i due prefetti Grifondoro si trovavano nei pressi della Biblioteca, all’interno della quale c’erano…

Oh, cavolo.

Cavolo, cavolo, cavolo!

<< James, come mai quella faccia da pesce lesso? >> chiese d’un tratto Sirius, notando l’espressione pallida e ad occhi sgranati dell’amico.

Prongs si limitò a passargli la mappa, trattenendo un’imprecazione.

Quando invece Felpato giunse alla medesima conclusione a cui era arrivato James, fu decisamente meno fine.

<< Oh, merda. >>

Poi si voltò verso Ramoso, e i due amici, dopo un attimo, di confusione, si scambiarono uno sguardo d’intesa.

<< Peter, esci immediatamente da quel fottutissimo bagno e vieni qui! *>> urlò Sirius, all’indirizzo del bagno in cui Codaliscia si era rinchiuso da ore, e al contempo cercando d’infilarsi le scarpe con una mano sola.

In un’altra situazione, James avrebbe commentato la sua delicatezza con qualche battutina sarcastica, ma ormai sapeva che Felpato era solito diventare intrattabile e perdere la calma, quando era preoccupato.

Lui, invece… Sì, lui doveva ricorrere a tutto il suo buon sangue freddo.

<< Sirius >> cominciò, con calma forzata << prendi la Mappa, io penserò al mantello. >> disse, dirigendosi verso il baule in cui teneva nascosto il mantello dell’invisibilità. <<  E Peter, datti una mossa! >>

Dovevano fare in fretta.

 

 

***

 

 

Lily, assorta nei propri pensieri, vide Remus fermarsi all’improvviso, smettendo di camminare.

Sorpresa, la ragazza si voltò verso l’amico, che ora si trovava qualche passo indietro.

Ma non appena guardò il giovane, non poté non avvertire un moto di preoccupazione pervaderla.

La sua figura si stagliava pallida nell’oscurità del lungo corridoio, gli occhi spalancati ed intrisi di un’inquietante parvenza di paura, il viso improvvisamente sbiancato.

Lily lo vide, quasi impercettibilmente, storcere il naso, in un’espressione timorosa ma infastidita.

La ragazza mosse un passo verso di lui, preoccupata.

<< Remus, che hai? Ti senti mal.. >>

Non fece in tempo a terminare la frase, che Remus scattò.

Mentre l’affiancava, e poi superava correndo verso la direzione opposta, Lily rimase basita.

Dovette impiegare qualche istante prima di rendersi conto della situazione, e non appena ci riuscì, si voltò, iniziando ad inseguire l’amico.

<< REMUS! REMUS, CHE TI PRENDE? >> gli urlò dietro, ansimando già a pochi attimi di corsa.

Non era mai stato un tipo fisico, lei.

Fatto sta che, quando non ottenne alcuna risposta, Lily fu colta da una strana sensazione.

Qualcosa di strano… Forse come un presentimento, legato al suo essere una strega…gli suggerì che Remus, diversamente da ciò che aveva creduto per un istante, non stesse scappando.

No, non era affatto così.

Si stava dirigendo, correndo con lei a perdifiato, verso un determinato punto.

Un punto, un luogo che Lily scoprì subito essere poco distante da loro.

La Biblioteca.

Quando il prefetto si fermò ansante davanti alla porta della sala, per poi spalancarla all’improvviso, Lily fu colta da una bruttissima sensazione.

Credeva… Anzi, no, sapeva che lì dentro avrebbero trovato qualcosa di orribile.

Questa assurda ma terribile convinzione giunse solo un attimo prima dell’odore acre che li investì entrambi non appena entrarono nella biblioteca.

Seppur trattenendo l’impulso di tapparsi il naso, Lily se en sentì immediatamente disgustata.

Era qualcosa di forte, acre, ma al contempo… familiare.

Si voltò esitante verso l’amico.

<< Remus… >>

Il ragazzo, ora col volto trasformato in una maschera imperscrutabile, la ignorò per una seconda volta, ed iniziò ad avanzare tra gli alti scaffali, come se sapesse esattamente dove andare.

Lily lo seguì, e l’odore era sempre più forte, la tensione, inspiegabilmente cresceva.

Avrebbe voluto chiedere spiegazioni a Remus, ma la Grifondoro si sentì insolitamente terrorizzata, sempre di più.

E ne aveva capito il motivo.

Quell’odore orribile, quello che ora impregnava insopportabilmente l’aria della biblioteca… Lily pensava di averlo riconosciuto.

Ma non poteva, non voleva crederci.

Perché, se le sue supposizioni si sarebbero rivelate veritiere, ciò avrebbe significato che era accaduto qualcosa di orribile.

Proprio lì, nella sua Hogwarts.

Improvvisamente, non volle né vedere né scoprire cosa avrebbe potuto trovare da lì a pochi passi.

Si fermò, pallida, cessando di seguire Remus come un automa, e distolse lo sguardo.

Fu in quel momento che lo vide.

Un movimento impercettibile, quasi invisibile.

Un’ombra muoversi, tra due scaffali poco lontano da loro.

La ragazza battè più volte le palpebre, incredula.

L’aveva visto davvero?

Oppure si era trattato del frutto della suggestione, della stanchezza, dell’oscurità che regnava la grande stanza?

<< Remus, mi è sembrato di.. >>

S’interruppe.

Remus, verso cui si era voltata, era immobile a qualche passo da lei, e guardava un punto verso destra, tra gli scaffali.

Le possenti librerie impedivano a Lily di vedere cosa il ragazzo stesse osservando.

<< Remus… >> iniziò debolmente la giovane, muovendo un passo esitante verso di lui.

<< Lily, va’ a chiamare Madama Chips. >>

Lily si bloccò.

Madama Chips? Perché?

<< Cos’è… successo? >> domandò, timorosa della risposta che avrebbe ricevuto. Fece un altro passo.

Remus si voltò verso di lei, una strana espressione in viso. << Lily, per favore…. >>

<< Cos’è successo? >> chiese nuovamente, ad un tratto più decisa.

Doveva sapere, maledizione, doveva sapere!

S’affrettò all’indirizzo di Remus, che tentò inutilmente di fermarla, parandosi davanti a lei in modo tale da impedirle di guardare verso il corridoio tra i due scaffali.

Neanche il tempo di provare a bloccarla, che Lily lo scansò malamente da un lato, l’odore di… be’, sì, sangue, ormai ben riconoscibile.

Tuttavia, la sua fermezza e il suo coraggio da Grifondoro scemarono non appena vide ciò che stava davanti a lei.

Spalancò gli occhi, sconvolta, e quasi si sentì venire meno.

Arretrò d’un passo, e la voce di Remus la raggiunse, in un sussurro.

<< Lily… >>

Ma la ragazza non ascoltava, fin troppo sconvolta per parlare.

Avrebbe volut distogliere lo sguardo, fare qualcosa, chiamare aiuto… Ma non ci riusciva. Era paralizzata.

 Per la prima volta nella sua vita, Lily Evans seppe cos’era il vero e puro terrore.

Terrore dovuto a quella visione oscena… alla vista di Mary MacDonald, inerme sulla pietra fredda ed immersa in un lago di sangue.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** Agguati verde-argento (parte I) ***


Capitolo 7

Agguati verde-argento

(parte 1)

 

 

 

 

Lily guardava sconvolta la stessa ragazza a cui poche ore prima aveva dato dell’esasperante pettegola, e che ora era riversa sul pavimento, senza dare alcun segno di vita.

Cos’era successo?

Era ancora viva?

Avrebbe voluto…anzi, dovuto aiutarla, controllare le sue condizioni.

Ma c’era così tanto sangue…

Come in un sogno, vide Remus avvicinarsi e poi chinarsi sulla ragazza, senza alcun segno di sconvolgimento.

La vista e l’odore di tutto quel sangue non sembravano turbarlo più di tanto.

<< Respira ancora. >> disse il prefetto, ancora chinato su Mary.

Si sarebbe dovuta sentire sollevata, ma la verità era che aveva paura.

Terribilmente paura.

E il sangue… Sangue sul pavimento, sui vestiti, sui capelli biondi, sul volto…

Colta da un forte senso di nausea e vertigine, a stento Lily si rese conto di essere crollata a terra come un sacco di patate, battendo duramente le ginocchia sul solido pavimento.

Remus accorse subito verso di lei, prendendola per le spalle. << Lily! Lily, stai bene? >>

La Grifondoro sollevò gli occhi verdi verso di lui, con una strana espressione sul volto improvvisamente pallido.

<< Levami… >> iniziò debolmente la ragazza << levami le mani di dosso. >>

Remus la osservò sbigottito, battendo più volte le palpebre. << Co-come? >>

<< Le mani, Rem… Sono tutte sporche di sangue. Mi danno la nausea. >>

<< Oh. >> disse il ragazzo, ritirando le mani ed accorgendosi solo in quel momento di avercele intrise di sangue << Scusami. >>

Lily si sentiva un’idiota. Insomma, che razza di Grifondoro era?

Doveva pensare ad aiutare Mary e a scoprire il colpevole…

Perché, be’, era ovvio che ce ne fosse uno.

Mary non si poteva di certo essersi ridotta in quelle condizioni da sola, con un incantesimo finito male o chissà che altro.

<< Lily..? >>

La ragazza sollevò lo sguardo verso l’amico. << Si? >>

<< Bisogna subito avvertire Madama Chips, e tu non mi sembri in grado di reggerti sulle gambe… >>

Remus lasciò la frase come in sospeso, e per un attimo Lily attese che dicesse qualcos’altro.

Solo dopo un po’, la giovane capì.

<< Oh. >> esclamò << Non ti preoccupare, rimango qui. >>

<< Sicura? Non vorrei che ti sentissi male. >>

La Grifondoro cacciò la preoccupazione dell’amico con un gesto spazientito della mano. << Non ti preoccupare, ho detto. Starò benissimo. >>

Remus le rivolse uno sguardo carico di preoccupazione, che tuttavia Lily sostenne con fermezza, seppur sentendosi vagamente in imbarazzo.

In effetti, fino a pochi attimi prima aveva rischiato di svenire solo dando un’occhiata al corpo di Mary, come una qualsiasi bambinetta paurosa.

Remus, però, infine parve convincersi.

Con un’ultima occhiata a lei e a Mary, si alzò, rivolgendosi alla giovane col chiaro intento di rassicurarla << Faccio subito, non preoccuparti. >>

Lily lo vide correre verso la porta e poi sparire oltre di essa.

Udì quasi subito i passi del ragazzo allontanarsi dalla sala.

Sospirò, appoggiandosi ad uno scaffale per constatare la capacità di sostegno delle proprie gambe.

Con felice sorpresa, riuscì ad alzarsi abbastanza facilmente, e decise di allontanarsi da quella puzza insopportabile, ben decisa a non guardare nella direzione di Mary.

Camminò a capo chino e ad occhi chiusi, la mano appoggiata alla libreria per non inciampare sui propri passi, intenzionata a non voler vedere neppure le macchie di sangue sul pavimento.

Stranamente, si sentì una stupida.

Remus aveva mantenuto il sangue freddo, mentre lei aveva dovuto fare tutta quella scenata…

Immersa in quei pensieri, a stento si rese conto di essere andata a sbattere contro qualcosa… o meglio, qualcuno.

Arretrando di un passo e massaggiandosi il naso dolorante, Lily aprì gli occhi. << Remus, che cosa… >>

“… c’è?” sarebbe stato il continuo della frase, se la persona davanti a lei fosse stata il prefetto Grifondoro.

Ma, con stupore, Lily si rese conto che non era così.

Al posto di Remus, infatti, c’era un ragazzo allampanato, dai capelli scuri e gli occhi di un azzurro chiaro, cupo e slavato.

Non era la prima volta che lo vedeva, anzi.

Frequentava anch’egli il quinto anno, ma a differenza sua era stato smistato nella casata verde-argento.

Anche se non gli aveva quasi mai rivolto la parola, Lily sapeva per certo che proveniva da un’intollerante famiglia Purosangue, e che sempre più spesso lo vedeva in giro con Severus.

Con Severus, e con tutti gli altri suoi amici futuri Mangiamorte…

La mente di Lily impiegò pochi istanti a fare un rapido calcolo della situazione.

Trovavano Mary ferita di notte, in Biblioteca, lo stesso luogo in cui casualmente si trovava senza permesso –in quanto non era stato nominato prefetto- un Purosangue razzista e che più volte aveva insultato la ragazza perché proveniente da … com’è che la chiamava?

Ah, sì, “insulsa famiglia mezzosangue e  babbanofila”.

Non poteva essere un caso.

Lily s’appellò a tutta la sua calma, e cercò di far sembrare naturale il gesto con cui portò la mano sotto la mantella, a stringere l’impugnatura della bacchetta.

<< Mu..Mulciber. Non hai il permesso di stare qui. >> esclamò la ragazza, non trovando niente di meglio da dire. << Il coprifuoco è già scattato da un pezzo. >>

Alle sue parole, sul volto del Serpeverde si susseguirono un  bizzarro insieme di emozioni, tra le quali predominavano sicuramente il disgusto e una derisoria ironia.

<< Proprio non riesci a capire quando è il momento di starsene al proprio posto, vero? >> disse il ragazzo, sprezzante.

Poi le rivolse un’occhiata di autentico disgusto. << D’altronde, non accetto che una piccola Sangue Sporco si rivolga a me in questo modo. >>

<< E io non accetto insulti da coloro di cui quoziente intellettivo supera a stento quello di un babbuino. >>

Inaspettatamente, Mulciber sembrò divertito.

Probabilmente trovava la sua sfrontataggine a dir poco patetica.

<< Ci tieni proprio.. >> iniziò il Serpeverde, mentre sulle labbra sottili si disegnava un sorriso malevolo << .. a fare la fine della tua amichetta laggiù, eh? >>

Lily, non appena sentì quelle parole, sussultò, ed arretrò di un passo.

A quanto pareva, i suoi sospetti era fondati.

Strinse la presa sulla bacchetta, ancora celata sotto la mantella.

Il sentimento che la pervadeva, stando di fronte ad un ragazzo capace di certi orrori… Non era la paura, bensì rabbia, rabbia allo stato puro.

Lo stupore lasciò spazio a questa sensazione e, con un gesto veloce e furente, Lily estrasse la bacchetta, puntandola contro il ragazzo, proprio nello stesso istante in cui Mulciber sfoderava la propria, lunga e scura.

Il tempo parve fermarsi.

Erano in una situazione di stallo, entrambi armati, entrambi senza alcuna via di fuga.

Tenevano le bacchetta puntate l’uno contro l’altra, ma nessuno dei due si decideva a scagliare il primo incantesimo.

Lily era furiosa.

Mary MacDonald non era il certo il tipo di persona che preferiva, e talvolta sapeva essere irritante, ma era una brava ragazza, del tutto innocua.

Non era mai stata un asso nelle materie pratiche, e lui, quel Mulciber… Aveva avuto il coraggio di prendersela con lei.

<< Sei… Sei un lurido bastardo, lo sai? >>

Mulciber sostenne il suo sguardo furioso con uno apertamente di scherno.

Sembrava tranquillo, quasi felice della situazione.

<< Sai, Evans… >> disse il ragazzo, con tono mellifluo << ..ho sempre desiderato fare il culo ad una Sangue Sporco. >>

Lily digrignò i denti, la presa sulla bacchetta più ferma che mai. << Provaci, se ne hai il coraggio. >>

 

***

 

 

Nei lunghi e scuri corridoi del castello, Remus correva, così come i suoi pensieri.

Sarebbe riuscito ad avvertire Madama Chips in tempo?

Aveva fatto bene a lasciare Lily là da sola?

E soprattutto… Cos’era successo in Biblioteca?

Era confuso, e in quel momento si sentiva smarrito, mentre correva verso l’infermeria.

Ricordava benissimo come si era sentito quando aveva avvertito l’odore del sangue.

I suoi sensi solitamente non erano affinati fino a tal punto, ma la luna piena era passata da poco, e l’influenza del lupo si faceva ancora sentire.

Quanto a riconoscere l’odore del sangue… Non gli era servito molto tempo.

Fin troppe volte era stato costretto a sopportare la puzza del proprio.

Tuttavia… Com’era potuto succedere?

Proprio lì, ad Hogwarts…

Remus svoltò l’angolo, ormai col fiatone, ma non appena giunse nel corridoio che l’avrebbe portato all’infermeria, un bizzarro formicolio alla nuca lo fece frenare di colpo.

Rimase  fermo in mezzo al corridoio in penombra, voltando il capo a destra e a sinistra, in cerca di qualcosa.

No… Non c’era nessuno.

Il prefetto riprese a muoversi verso l’infermeria, questa volta camminando e guardandosi attorno, all’erta.

I flebili raggi della luna provenienti dalle finestre creavano giochi di luce, con lingue d’ombra che formavano inquietanti figure sulle pareti di pietra.

Finalmente, Remus giunse a destinazione. Poi, udì un rumore: si fermò di nuovo, voltandosi di scatto verso… una porta, una porta chiusa.

L’aula di Incantesimi.

All’erta, posò cautamente una mano sulla maniglia e, con un torsione del polso, spinse verso il basso.

Non incontrò alcuna resistenza, e la porta iniziò ad aprirsi, lentamente.

Vuota.

Ecco com’era la sala, a la luce sbiadita della luna davano un aspetto ancor più desolato.

Remus fece qualche passo avanti, perplesso.

… E la porta si chiuse di botto alle sue spalle, facendolo sussultare.

Si voltò di scatto verso l’ingresso.

Alto, e grosso quanto un armadio, Fabian Avery lo fissava coi suoi occhi neri, poggiato allo stipite della porta.

Gli sorrise, con un ghigno crudele.

<< Buonasera, Lupin. I mezzosangue si divertono ad andare in giro di notte, eh? >>

Remus gli rivolse un’occhiata seccata, ignorando il non tanto implicito insulto. L’atteggiamento ostile del Serpreverde non presagiva nulla di buono. << Sono un prefetto, Avery. Tu, piuttosto, si può sapere che cosa vuoi? >>

Avery alzò le spalle, con aria noncurante.

Quasi stessero parlando del tempo. << Io? Io voglio tante cose, Lupin. D’altronde, noi Serpeverde siamo ambiziosi, no? >>

Lo disse con un sorriso, ma il Grifondoro non rise, continuando a guardarlo con espressione seria.

Avery lo studiò per un istante, poi proseguì il suo monologo, con la medesima aria tranquilla di prima. << Voglio il potere. Voglio liberarmi di tutti voi pezzenti dal sangue infetto, e dei luridi Babbanofili come il tuo amichetto Potter. *>> disse il ragazzo, soppesando con noncuranza la propria bacchetta, tranquillo.

 Remus non gli staccava gli occhi di dosso, pronto a scattare.

Quello di Avery era il discorso di un folle.

Un folle fanatico e pericoloso, che sicuramente aveva a che fare con ciò che era successo a Mary MacDonald.

Il Serpeverde alzò nuovamente lo sguardo verso di lui, ma questa volta non vi era più alcuna traccia di quel falso tono amichevole.

Ora, i suoi occhi scuri lasciavano trasudare solo un’implicita minaccia.

<< Voglio moltissime cose, Remus J.Lupin. >> disse con freddezza, puntando la bacchetta verso di lui << Solo che tu non vivrai abbastanza per scoprire quali. >>

 

***

 

 

Tre dei quattro Malandrini stavano uscendo proprio in quel momento dal ritratto della Signora Grassa, sotto il mantello dell’invisibilità.

Sirius era rimasto piacevolmente sorpreso nello scoprire che in tre riuscivano ancora a starci comodamente.

D’altronde, Peter era piuttosto bassino, e l’unico tra i Malandrini ad essere particolarmente alto era lui.

<< Sirius… >> la voce di James lo riscosse << ..che mi dici? >>

Felpato chinò lo sguardo sulla mappa del Malandrino, che teneva tra le mani.

La osservò attentamente, prima di rispondere.

<< Moony è nell’aula di Incantesimi con… >> impallidì << ... con quello schifoso Serpeverde di Avery. >> disse, rammentando il gigantesco studente della casata di Salazar.

Mentre scendevano le scale, Sirius si rese conto di avere lo sguardo di James addosso.

<< E..? >> domandò il ragazzo, come per incitarlo a dire qualcos’altro.

Felpato gli rivolse un’occhiata perplessa. << “E” cosa? >>

<< GLI ALTRI, SIRIUS! CHE MI DICI DEGLI ALTRI? >> chiese James, perdendo il suo solito sangue freddo e facendo sobbalzare Peter, in mezzo ai due e già tremante come una foglia. 

<< Se ti riferisci alla tua cara Lilyuccia, si trova in biblioteca. >>

Ok, forse aveva utilizzato un tono fin troppo acido.

Ed infatti, James sembrò rimanerci male.

Sirius roteò gli occhi, sospirando. << James… >>

<< E’ pur sempre una nostra compagna di casa... >>

<< Lo so. >> esclamò Felpato. <<  Scusami. Sono un po’ nervoso. Me la sta facendo sotto. >>

Prongs abbozzò un sorriso: << A chi lo dici. >>

Peter, invece, rimase in silenzio, e Sirius riportò la propria attenzione alla mappa. << Evans… è ancora insieme a MacDonald, e a… Mulciber. >> concluse, con una certa esitazione. Se infatti il volto di James poco prima era pallido, ora era facilmente paragonabile a quello di un fantasma.

Finirono di scendere le scale, giungendo al terzo piano.

Quello della Biblioteca.

<< Ok… >> la voce controllata di James attirò l’attenzione degli altri due << Io vado da Evans e dalla MacDonald. Sirius, tu va da Remus e Peter… cerca aiuto. Da qualsiasi professore, da Ruf, se necessario. >>

Peter sembrava terrorizzato, tuttavia annuì, e corse via.

James attese di sentire i suoi passi allontanarsi, ed infine svanire, poi si rivolse a Felpato.

<< Prendi tu la Mappa e il mantello, ok? >>

Sul bel volto di Black si dipinse un ghigno sfrontato. << Certo, e a te rimane la benedizione divina. Facciamo che tu prendi il mantello, io la Mappa. >>

Ramoso sembrò soppesare la questione per un momento.

In effetti, a lui la mappa del Malandrino non sarebbe servita, in quanto se qualcuno fosse uscito dalla Biblioteca, in fondo al corridoio, se ne sarebbe accorto senza difficoltà.

Sirius, al contrario, doveva ancora scendere d’un piano.

<< D’accordo. >> disse il ragazzo, porgendogli la mappa.

Poi sollevò lo sguardo, e i suoi occhi nocciola incontrarono quelli decisi di Sirius.

<< Be’, fa attenzione, ok? >>

Felpato si esibì in un ghigno degno di lui. << Ehi, per chi mi hai preso? Sono pur sempre un Black, io! >> esclamò il Grifondoro, in tono scherzoso.

 James sorrise, stranamente commosso. << Scusami. Per un attimo ho creduto di avere davanti un Malandrino. >>

Sirius lo osservò sorpreso, e lievemente imbarazzato.

D’altronde, le smancerie lo mettevano sempre a disagio. << Prongs…vediamo di piantarla. >> disse, con tono incerto << sembra di assistere ad una scena di addio di quei film babbani.  Stiamo solo andando a pestare qualche Serpeverde. >>

<< Certo. >> disse James, accennando un sorriso << solo ordinaria amministrazione. >>

Sirius annuì, ed uscì da sotto il mantello.

Fu strano avere James davanti, e poi vederlo scomparire un attimo dopo.

Guardò incerto davanti a sé, dove doveva esserci l’amico.

<< Be’.. >> iniziò con un ghignetto divertito, sperando tuttavia di non stare parlando da solo << … Va’ a salvare la tua dama, no? >>

Detto questo, si allontanò con la mappa in mano, in direzione delle scale che lo avrebbe condotto al secondo piano.

 

***

 

 

Sirius scese le scale in fretta e furia, e percorse il primo corridoio, passando di fronte all’aula di Incantesimi.

Correva, tenendo la mappa in tasca e quindi non potendola degnare di uno sguardo.

La verità era che…aveva paura.

Lui, Sirius Black, colui che aveva sfidato le idee di tutta la sua famiglia, senza alcun riguardo… era terrorizzato.

Non per sé stesso, fosse chiaro.

Ma per James, per Remus, Peter… eh sì, un po‘ anche per Evans e quell’altra ragazza, Mary.

Tuttavia, c’era qualcos’altro, un altro timore.

Per l’esattezza, quello di scoprire che in qualsiasi cosa stesse succedendo, vi era immischiato anche… be’, anche “lui”.

Fece per svoltare l’angolo, quando sentì un rumore.

Lieve, leggero, ma pur sempre percettibile.

Passi.

Qualcuno si stava avvicinando, da dietro di lui.

Girato l’angolo, Sirius si appiattì alla parete, prendendo la bacchetta.

Se qualcuno aveva intenzione di attaccarlo alle spalle, lui gli avrebbe teso un agguato.

Certo, avrebbe potuto guardare la mappa, ma per prenderla dalla tasca dei pantaloni avrebbe dovuto riporre la bacchetta, ed onestamente l’idea non l’allettava più di tanto.

Anche perché, i neffetti, i passi erano sempre più vicini, e sembravano avanzare con cautela, quasi di soppiatto.

Sì, si trattava per certo di un Serpeverde.

Sirius si poggiò alla parete, chiudendo gli occhi.

“Uno… “

Prese un profondo respiro, cercando di sgomberare la mene e concentrarsi.

I passi erano sempre più vicini.

“..due… “

Strinse la presa sulla bacchetta: era pronto.

“..Tre! “

Il ragazzo balzò fuori dal suo nascondiglio, la bacchetta rivolta contro l’eventuale avversario.

Ma non appena fu allo scoperto, si ritrovò un’altra bacchetta puntata in faccia.

Tuttavia, non fu la bacchetta a stupire il giovane Black.

Bensì, il suo proprietario.

Sirius osservò a bocca aperta la ragazza pallida e sottile davanti a sé, coi lungi capelli chiari –quasi bianchi-, la pelle diafana e gli occhi di ghiaccio, contornati da lunghe ciglia bionde.

Ci aveva messo meno di un attimo a riconoscerla.

<< Cissy! >>

Narcissa Black, sentendo quel nomignolo di vecchia data, storse il naso con aria infastidita. << Sirius, vederti è sempre il solito dispiacere.  Si può sapere che ci fai qui a quest’ora? >>

Il ragazzo sorrise, beffardo, lanciando al contempo un’occhiata alla cugina. << Non ti viene in mente proprio nulla? >> domandò, pungente.

Narcissa distolse lo sguardo, infastidita.

Sirius diede invece una rapida occhiata alla bacchetta bianca della cugina.

Niente.

<< Non so proprio di cosa stai parlando. >> disse intanto la Serpeverde, sprezzante, ma nella sua voce Sirius poté notare un’incrinatura d’incertezza.

Il giovane sbuffò, tornando a ciò che aveva detto Narcissa.

“Non sa di cosa sto parlando... Certo, come no. “

Comunque, che la ragazza mentisse o meno, in quel momento non era rivelante.

C’erano questioni più urgenti, e Sirius non poteva di certo concedersi il lusso di perdere tempo in chiacchiere.

Sollevò lo sguardo verso la bionda, minaccioso. << Narcissa, non so cosa farmene delle tue balle, tuttavia mi dispiacerebbe doverti procurare un biglietto di sola andata per il S.Mungo. Quindi vedi di toglierti dalle scatole. >>

Sul viso pallido della Serpeverde si tinse una smorfia tra lo sprezzante e l’infastidito: << E una tua minaccia dovrebbe spaventarmi? >>

Sirius si trattenne dal pronunciare una colorita imprecazione.

Non era il momento di starsene a litigare con lei.

<< Narcissa >> le intimò << Non te lo dirò una seconda volta: fammi passare. >>

La bionda rimase in silenzio, e i due cugini si studiarono per quella che parve un’eternità.

Sirius stava perdendo la calma.

Narcissa non gli era –per ovvi motivi- mai andata a genio, tuttavia non era in cima alla lista dei parenti che avrebbe piacevolmente picchiato.

La ragazza infatti, pur essendo una Purosangue tronfia e intollerante come tutti gli altri Black, non era mai stata violenta con i Nati Babbani o con i Grifondoro, a cui si era invece mantenuta ad una certa distanza di superiorità.

Per questo Sirius non riusciva a provare un vero e proprio odio nei suoi confronti, ma semplicemente un distaccato disprezzo.

Comunque, se in quel momento non si fosse levati dai piedi, niente gli avrebbe impedito di lanciarle una fattura.

Gli occhi azzurri di Narcissa, intanto, lo studiarono con disattenzione.

Tuttavia, con grande stupore del cugino, quando la ragazza gli parlò, non vi fu alcun cenno di disprezzo nelle sue parole.

<< Tu… Ci tieni molto, vero? >>

Felpato non capì: << Co..Come? >>

<< Ai tuoi luridi amichetti, intendo . >> il Grifondoro sorvolò sul poco gentile aggettivo utilizzato << Sono così importanti per te? Più dell’onore, del tuo sangue, della tua famiglia?  >>

Sirius chinò lo sguardo, incerto.

Non gli era mai importato del suo onore, non almeno dell’idea che ne avevano i Black.

Il sangue, poi… No credeva a quelle sciocchezza da tempo, ormai.

Ma… la famiglia?

I Malandrini erano più importanti?

Istintivamente ripensò al lampo di complicità ed allegria che brillava negli occhi di James ogni qualvolta che stavano insieme, a come ormai lo ritenesse un fratello.

Alle faccia esasperata di Remus quando li rimproverava, e alla sua espressione malinconica, e come Sirius sentisse scaldarsi il cuore ogni volta che riusciva a farlo sorridere davvero.

Al piccolo Peter, che li ammirava così tanto, da rassicurare e proteggere.

E poi ripensò agli sguardi freddi e delusi di suo padre, privi di qualsiasi affetto; e a quelli crudeli di sua madre, ai suoi schiaffi, al suo odio; ed ancora al disprezzo di Reg, delle zie, delle cugine, di tutti…

In un attimo, Sirius trovò la risposta alla domanda di Narcissa.

<< Sono… >> iniziò, guardando la Serpeverde dritto negli occhi << … Sono loro la mia famiglia. Darei la mia vita, per loro. >>

Ed era vero.

Sarebbe morto, pur di salvare ognuno di loro.

Narcissa lo guardò per un momento, poi, lentamente, abbassò la bacchetta, spostandosi di lato.

Sirius la osservò, confuso.

<< Cosa…? >>

La bionda sbuffò, chiaramente infastidita da ciò che lei stessa stava facendo. << Muoviti, per favore. Prima che cambi idea. >>

Felpato batté le palpebre, basito. Poi, riponendo la bacchetta nella tasca dei pantaloni, superò la cugina, voltandosi verso di lei solo all’ultimo.

Accennò ad una smorfia di gratitudine.

Davvero, non ce la faceva a sorridere ad un Black.

<< Be’… Grazie, e… un’ultima cosa. >>

Narcissa si voltò verso di lui, indifferente. << Si? >>

Il Grifondoro esitava.

“Ecco il momento della verità” pensò il ragazzo.

<< Regulus… Ecco, lui c’entra qualcosa in tutto ciò? >>

La prefetto dei Serpeverde lo osservò con uno sguardo imperscrutabile.

Poi, rispose.

<< Come ti ho già detto prima, Sirius, non ho la benché minima idea di cosa tu stia parlando. >>

A quella risposta così insoddisfacente, Sirius digrignò i denti, serrò la mascella.

Tuttavia, preferì non insistere.

Non aveva tempo per pensare anche a quello.

Guardò per un’ultima volta la cugina, dopo si girò ed avanzò nel lungo e buio corridoio.

 

 

***

 

Narcissa osservò per un attimo la figura del Grifondoro correre e poi svanire dietro l’angolo, nella penombra del corridoio.

La ragazza sospirò.

Persino lei era rimasta stupita da ciò che aveva fatto, ma… Sirius la incuriosiva.

O meglio, la incuriosiva ciò che lo legava a quei suoi pezzenti amichetti.

Certo, lei aveva l’amore della sua famiglia, e il loro appoggio; aveva come promesso un ottimo partito, Lucius, che amava con tutta sé stessa.

Tuttavia, l’amicizia era qualcosa che le era completamente estraneo.

E che invece quel nulla di buono di Sirius sembrava conoscere molto bene.

Sospirò, di nuovo.

Cosa le stava prendendo?

Certo, non era un’infervorata come sua sorella Bellatrix, sempre in cerca di qualche Grifondoro e Mezzosangue a cui tendere agguati o chissà che altro.

D’altronde, non era mai riuscita a comprendere i suoi sforzi: loro erano di gran lunga superiori a tutti loro, che senso aveva andare alla caccia di insetti?

In ogni caso, il comportamento mostrato poco fa non era certamente da lei.

Né da Black, né da Serpeverde.

Lanciò un’occhiata al punto buio dove fino a poco fa si trovava Sirius.

D’altronde, lei era un prefetto.

<< Quindici punti in meno a Grifondoro. >>

Ecco, ora si sentiva soddisfatta.

 

 

***

 

Quando Sirius giunse di fronte all’aula di ncantesimi, la trovò chiusa.

Mentre si affrettava ad aprirla, sentì provenire dalla stanza al di là di essa un tonfo terribile e…

Un urlo.

Un urlo di dolore.

Sirius impallidì, afferrò la maniglia quasi aggrappandosi ad essa e…

Chiusa.

La porta era chiusa a chiave.

Sirius si sentì impazzire.

“ No, no, no! ”

<< REMUS! REMUS, CI SEI?! >> urlò il ragazzo, tirando più volte la maniglia della porta, invano.

Dall’altra parte, silenzio.

In quei pochi attimi di quiete, il giovane si sentì morire.

Poi, finalmente, qualcuno parlò.

<< Sirius, sei tu? >>

Felpato sgranò gli occhi, entusiasta, e quasi sentì le gambe cedergli per il sollievo.

<< Si, si, Moony, sono io! Stai bene? >>

Un attimo di silenzio. Poi, il prefetto rispose. << Si, credo di sì. Non ti mangio mica se ti decidi ad entrare, sai? >>

Sirius si sentì sollevato da quel tentativo di sarcasmo.

Tuttavia, c’era ancora qualcosa che non andava.

<< Remus, la porta non si apre! Ci ho provato, ma sembra chiusa a chiave! >>

Giurò di aver sentito Lunastorta sbuffare, dall’interno dell’infermeria. << Chiusa a chiave? E da quando questo dovrebbe essere un problema, per un mago? >>

A sua volta, Sirius sbuffò, indignato.

<< Ti vengo a salvare e devo anche sorbirmi le tue prediche, maledetto lupastro! >> borbottò, offeso.

Remus sembrò ignorarlo. << Mu… Muoviti, va’. >>

Padfoot rimase lievemente perplesso dall’esitazione nella sua voce, che gli era apparsa quasi sofferente.

D’altronde, non era la prima volta che Remus Lupin mentiva sulle proprie condizioni di salute.

Prese la bacchetta e la puntò contro la serratura della porta.

<< Alohomora. >>

Una scatto, e la porta si aprì.

E non appena Sirius entrò, i suoi precedenti sospetti ottennero conferma.

Remus era seduto sul pavimento, con le spalle poggiate alla parete di fronte alla porta, e la gamba destra distorta in una posizione innaturale.

<< Per fortuna. Per un momento ho creduto che avresti usato Bombarda per aprire la porta, come quella volta che al terzo anno… >>

<< Moony! >> lo interruppe Sirius, sconvolto << Che cosa hai fatto? >>

L’altro lo guardò per un attimo, battendo le palpebre, confuso. Solo seguendo il punto che gli occhi sgranati di Felpato fissavano, riuscì a capire a cosa si riferisse.

<< Oh.. Intendi la gamba, temo si sia rotta. Quell’Avery… >> spiegò, accennando ad il ragazzone svenuto per terra, che fino ad allora Sirius non aveva notato << … mi ha colto disarmato. Mi ha schiantato due volte, prima che riuscissi a sfoderare la mia. Fortuna che sono un licantropo. >>

Felpato scosse il capo, accostandosi all’amico. << No, fortuna che hai un gran culo. Ferula. >>

Delle bende apparvero attorno alla gamba di Lupin, fissandola ad una stecca.

Remus rivolse a Sirius un’occhiata stupita. << Ehi, allora qualche incantesimo che non sia puramente offensivo l’hai imparato. >>

<< Sai, mi stai ricordando fin troppo James. >>

Lunastorta sorrise, mentre l’attenzione dell’amico veniva attirata da qualcos’altro.

<< Ehi! >> esclamò difatti il ragazzo, afferrando le mani del prefetto per osservarle meglio. << E questo cos’è, sangue? >>

Remus chinò cupamente il capo.

<< Non è mio… e nemmeno di Avery >> borbottò poi, a mo’ di rimprovero, notando l’espressione celatamente malandrina di Sirius << .. ma di Mary Macdonald. E’ in biblioteca, gravemente ferita, l’ho lasciata insieme a Lily. >>

Felpato annuì, con aria distratta. << Sì, se ne sta occupando James. >>

<< Dobbiamo chiamare qualcuno per Mary! Ero venuto a cercare Madama Chips, ma… >>

<< Non ti preoccupare, Peter è andato a cercare un insegnate. >>

<< Comunque… Sarà meglio raggiungere la biblioteca, prima che James faccia a fettine quel Mulciber. >>

<< Mulciber?! >>

Sirius annuì, perplesso. << Sì, è in biblioteca… non lo sapevi? >>

A quelle parole, Remus parve sbiancare, divenendo più pallido di quanto in realtà lo fosse di solito.

<< No… ho lasciato … ho lasciato Lily là, da sola, e ora anche James… >>

Sirius gli posò una mano sulla spalla, e gli sorrise con fare rassicurante.

<< Ehi, Rem. Stiamo parlando di Prongs, e di quella pazza furiosa di Evans. >> disse << Pensi davvero che qualcuno possa riuscire ad avvicinarsi a quei due? Sta’ tranquillo, andrà tutto bene. >>

Nonostante quelle parole, Remus non riusciva a calmarsi.

Tuttavia, sorrise all’amico. << Si… lo credo anch’io. >>

 

 

 

 

 NDA: eddai che ci stiamo avvicinando ai nuovi capitoli!! :D

 



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Capitolo 8
*** Agguati verde-argento (parte II) ***


il prossimo capitolo è il primo dei nuovi! Evvai! :D

 

 

Capitolo 8

 Agguati verde-argento

(parte 2)

 

 

 

Sirius avanzava lungo il corridoio.

Il corpo di Avery fluttuava, ancora privo di sensi, alla sua destra, incantato dal suo Levicorpus.

Sorretto da lui, Remus camminava con difficoltà, trascinandosi la gamba mal fasciata come un peso morto.

Quando il volto dell’amico si contrasse nell’ennesima e silenziosa smorfia di dolore, Sirius capì di non poter continuare in quel modo.

<< Avanti, Moony, puoi anche lamentarti se vuoi. >> disse, rivolto all’amico << tanto è evidente che ti fa male. >>

Lunastorta rispose con un sorriso di noncuranza. << Non preoccuparti, ho sopportato di peggio. >>

Sirius sbuffò, infastidito: << E’ proprio questo il punto, non ti fai mai aiutare, mentre ti crogioli il cervello con chissà quali pensieri di vittimismi. E’ irritante. >>

Remus non rispose, e chinò lo sguardo, pensieroso.

Gli vennero subito in mente le notti passate al chiarore della luna piena insieme ad un cane, un cervo e un topo; o meglio, ripensò a quelle poche immagini che riusciva a ricordare dopo le trasformazioni.

E capì che quello che aveva detto Sirius era completamente sbagliato; mettendo a rischio la vita dei suoi amici –che di fatto erano ciò che di più bello potesse capitargli-, da quattro mesi a quella parte si stava facendo aiutare fin troppo.

E nonostante si fosse ripromesso che non avrebbe mai permesso che qualcuno venisse ferito a causa della sua maledizione, non riusciva ad attenersi alla parola data: questo perché, ogni qualvolta che si risvegliava in infermeria –con un numero sempre minore di ferite- gli rimaneva quella strana sensazione di aver appena vissuto qualcosa di rischioso, sì, ma al contempo meraviglioso.

I sorrisi e gli incoraggiamenti degli altri Malandrini non facevano che aumentare la sua gratitudine e, insieme ad essa, il senso di colpa.

La voce di Sirius lo ridestò dai suoi pensieri.

<< Scusami.. >> stava infatti borbottando l’amico, lievemente a disagio. << .. E’ che odio sentirmi inutile. Davvero. >>

A quella parole, Remus sospirò, con un vago e mesto sorriso. << Per me, Pad, non lo sei affatto. >> disse, per poi aggiungere, a voce più bassa: << Nessuno di voi lo è. >>

Questa volta, fu il turno di Sirius di rimanere in silenzio.

E pensò, pensò alla propria arroganza –che orde di stupide ragazzine reputavano affascinante-, la quale in fondo non era altro che consapevolezza.

Consapevolezza delle proprie capacità, capacità da utilizzare per difendere coloro che gli volevano bene, per ripagarli dell’affetto e della fiducia di cui per tanto tempo aveva sentito la mancanza.

E, probabilmente, James, Remus e Peter erano i soli a tenere veramente a lui.

Ricordava ancora del suo primo anno ad Hogwarts, quando l’amicizia con i Malandrini era sì, sincera, ma ancora instabile, incerta. 

Dopo i primi mesi di diffidenza si era affezionato, ma certe volte si era ritrovato ad affrontare quell’insuperabile timore: essere respinto.

D’altronde, la sua famiglia l’aveva fatto in un batter d’occhio, senza alcuna esitazione, o preannuncio: e dunque, che ci voleva affinché questo accadesse di nuovo?

E si ero ritrovato stranamente simile a Peter che, pur attaccato a loro in modo commovente, appariva sempre incerto, esitante nell’approcciarsi con la loro amicizia…

Era così che si era ricreduto. Lui, Sirius, era completamente disinvolto nel rapporto con i Malandrini.

Questo, certo, in parte era dovuto ad un fondo di solida sicurezza in sé stesso, ma anche alla profonda fiducia che provava nei confronti di James, Peter e Remus.

Loro non erano Orion e Walburga Black.

E questo gliela aveva detto James, molto tempo prima.

Non l’avrebbero tradito, né abbandonato.

Tuttavia, Sirius avvertiva chiaramente le proprie titubanze nel legarsi a qualcun altro che non fosse stato James, Remus o Peter. Per questo, era praticamente convinto che non si sarebbe mai sposato. Forse, i cattivi rapporti con la sua famiglia l’avrebbero segnato per sempre.

Il ragazzo si lasciò fuggire un sospiro.

Quello non era il momento per pensare a certe cose.

<< Vediamo di darci una mossa. >> disse << Dobbiamo ancora trovare James e la Evans, e sperare che Codalisica non si sia perso nell’ufficio della McGranitt. >>

 

 

***

 

 

No, Codaliscia non si era perso nell’ufficio della McGranitt.

Tuttavia, ci aveva messo un po‘ tempo per ricordarsi dov’era, e per trovare la strada, dato che né Sirius né James si erano presi la cura di lasciargli la Mappa del Malandrino, o qualsiasi altro tipo di aiuto che potesse aiutarlo a scovare la direzione giusta.

Aveva corso un po’ da tutte le parti per del tempo che aveva ritenuto interminabile, e frenetiche erano state anche le emozioni che sentiva accavallarsi dentro di sé.

Senso di colpa, principalmente, ed odio per sé stesso.

Il motivo era uno solo: la paura.

Mentre Remus correva chissà quali pericoli, così come Sirius e James che erano andati –spavaldi come sempre- ad aiutare lui e Lily Evans, lui covava solo e soltanto puro e semplice terrore.

Non per i suoi amici, ma per sé stesso.

Era disgustato dal proprio comportamento, dalla propria natura, dal suo essere un vigliacco; ma soprattutto, se ne vergognava profondamente.

Si sentiva piccolo ed insulso di fronte al coraggio e all’onore dei suoi amici, e di molti altri Grifondoro che –ne era certo- nella sua stessa situazione si sarebbero comportati in modo diverso.

Così, quella che doveva essere una corsa per cercare aiuto, ed aiutare i Malandrini, si era trasformata in una schifosissima fuga.

Ma d’altronde, aveva sempre saputo di essere un codardo.

Lo sapeva fin da quando il Cappello Parlante –forse in preda ad un abbaglio- l’aveva assegnato a Grifondoro, la casa dei grandi e dei temerari.

Lo sapeva fin da quando si era trovato a dover affrontare il primo bulletto Serpeverde.

Aveva provato a cambiare, davvero.

Ma i suoi molteplici tentativi erano serviti solamente a confermare l’egoistico attaccamento alla vita che lo aveva sempre caratterizzato: e la perenne preoccupazione per la propria incolumità gli impediva di aiutare i suoi amici come avrebbe voluto.

Non pretendeva di essere coraggioso come James, o Sirius, o Remus, ma semplicemente di valere quel poco sufficiente per non deludere i suoi amici, e non essere lasciato indietro.

Anche lui voleva una qualche ragione per essere amato ed apprezzato.

Finalmente, si trovò dinnanzi all’ingresso della professoressa McGranitt.

Già s’immaginava la donna uscire dalla porta davanti a lui, coi capelli legati come sempre e lo sguardo fiammeggiante, furiosa per essere stata svegliata dal piccolo ed insignificante Peter Minus.

Il ragazzo deglutì, timoroso, ma subito dopo scosse in fretta la testa, come a cacciare quei brutti pensieri.

Non poteva farsi spaventare persino della sua insegnante di Trasfigurazione.

Facendosi forza –e rammentando il motivo per cui si trovava lì- Peter bussò.

Silenzio.

Codaliscia attese qualche altro istante, e riprovò, più forte, aggiungendo: << Professoressa, sono io, Peter Minus! >>

Questa volta, udì dei rumori dall’interno della stanza, e qualche sbuffo infastidito.

Un attimo dopo, Peter rimpianse di non dato retta alle proprie paure.

Se infatti le sue fantasia riguardo alla reazione che avrebbe avuto la McGranitt non erano perfettamente esatte, la realtà vi ci si avvicinava molto.

Quando la porta si aprì, rivelò infatti la professoressa avvolta in una vestaglia dalla fantasia scozzese, i capelli brizzolati stranamente lasciati sciolti sulla schiena, e due dardi fiammeggianti di rabbia esattamente dove ci sarebbero dovuti essere gli occhi.

Sotto quello sguardo carico di celate minacce, Peter si fece più piccolo di quanto in realtà non fosse.

<< Buonasera, professo..- >>

<< Minus! >> sembrò ruggire la donna << Cosa diamine ci fai qui? E dove sono finiti quegli screanzati dei tuoi amici? >>

Peter deglutì, abbassando lo sguardo: << Ehm… Ecco, loro… >>

Si diede immediatamente dello stupido per la sua esitazione.

“Forza, Peter, cerca di darti una svegliata! I tuoi amici hanno bisogno di te!”

E raccontò tutto ciò che doveva raccontare.

 

***

 

 

<< Stupeficium! >>

<< Protego! >>

L’incantesimo di Mulciber rimbalzò sul solido scudo di Lily, la quale si riparò dietro uno scaffale, mentre l’ennesima fattura del Serpeverde s’infrangeva contro di esso.

Lily aveva il fiatone.

Era ormai da un po’ che combattevano, e a parte qualche esercitazione in classe, lei non aveva mai partecipato ad un vero e proprio duello in vita sua.

Con gli incantesimi ci sapeva fare, ma… lo sforzo fisico era tutt’altra cosa.

Un altro schiantesimo da parte di Mulciber s’abbatté sullo scaffale dietro il quale era riparata, facendolo oscillare pericolosamente.

Lily fece aderire maggiormente il proprio corpo ad esso, chiudendo gli occhi.

<< Vieni fuori, maledetta Sangue Sporco! >>

Ancora una volta, la libreria tremò.

Lily imprecò a bassa voce.

Doveva fare qualcosa!

Strinse con più forza la bacchetta, e prese un profondo respiro.

Pensò a Mary, distesa –probabilmente in fin di vita- qualche metro più in là, e sentì crescere la determinazione.

Insomma, era pur sempre una delle migliori studentesse del suo anno!

“Posso farcela.”

Inspirò a fondo, ed uscì dal suo nascondiglio, bacchetta alla mano.

<< Pietrificus Totalus! >> esclamò la ragazza, ma di nuovo Mulciber fu più veloce, ed evocò un sortilegio scudo.

Godric, se era veloce.

Neanche a confermare la sua teoria, un attimo dopo il Serpeverde aveva ripreso una posizione offensiva, la bacchetta puntata verso di lei.

<< Stupe- >>

<< Impedimenta! >> urlò Lily, non dando modo al ragazzo di pronunciare lo schiantesimo.

Un battito di ciglia, un movimento della mano, e l’incantesimo cozzò per l’ennesima volta contro il solido scudo di Mulciber, rimbalzando contro di lei.

Lily si gettò a terra, scivolando dietro uno dei tanti tavoli della biblioteca che avevano rovesciato durante il combattimento, evitando così di finire vittima del proprio incantesimo.

Questo si limitò a schiantarsi contro uno scaffale, innocuo.

Mulciber, invece, rise.

Una risata forte, malvagia, folle.

<< Oh, avanti, Evans! Esci fuori! >>

Nonostante tutto il suo coraggio, la prefetto si sentì rabbrividire.

Era come la caccia del gatto al topo.

E lei, sinceramente, non sapeva quale tra i due ruoli stesse interpretando.

<< Dio… >> sussurrò intanto il Serpeverde, con un tono più placato. << … Non vedo l’ora di dirlo a Lucius… >>

Lily non poteva vedere lo studente in volto, ma era quasi certa che in quel momento la sua maschera di disgusto avesse lasciato posto ad una di autentica venerazione per il compagno di casa più grande.

Per quanto ne sapeva lei, Malfoy veniva considerato come una sorta di “capo”, nella sua banda di futuri Mangiamorte.

Non poté trattenere un sorrisetto beffardo.

Dopotutto, essere acida con certa gente era più forte di lei, in determinate situazioni.

E Potter le dava ripetizioni ormai da cinque anni.

<< E cosa farà, quando lo saprà? >> domandò la ragazza, ad alta voce. << Ti presterà la sua brillantina per capelli? >>

Di nuovo, Mulciber rise, sembrava divertito.

Come può esserlo un aguzzino dalle inutili suppliche della vittima.

<< Ora capisco perché quell’idiota di Potter ti corre dietro da cinque anni. Sei in gamba, Evans. Però… >> disse il ragazzo, facendo una piccola pausa. << …Non capisco come il solo pensare al tuo sangue fetido non lo disgusti. >>
Nonostante la brutalità delle sue parole, Lily non si lasciò impressionare.

Che credeva?

Che bastasse un imbecille come lui a ferirla, dopo anni di umiliazioni da parte dei suoi degni compari?

Ormai ci aveva fatto il callo, a soffrire.

Sapeva benissimo che alla maggior parte dei maghi, gente come lei faceva semplicemente schifo.

E pena, ai più benevoli.

<< Io, invece >> iniziò, il mento alto nonostante il Serpeverde non la vedesse << non riesco a capire come la grandezza del tuo cervello possa essere così facilmente paragonabile a quello di un folletto, Mulciber. >>

L’aveva detto senza paura.

Fiera e spavalda, come sempre.

Come una vera Grifondoro.

E Lily non poté vedere la rabbia prendere forma sul volto affilato del Serpeverde.

Ebbe possibilità solo di udire le sue parole, e capire quanto queste fossero forzatamente calme.

<< Sai, Evans, la tua arroganza inizia ad annoiarmi. Questa scenetta me l’ero immaginata un po’ più… >> fece una pausa, come per trovare le parole giuste. << …esplosiva, non so se mi spiego. >>

Oh, se l’aveva fatto.

O almeno, sufficientemente bene da far sorgere in Lily Evans un terribile sospetto.

Ancora dietro il tavolo, seduta per terra, arrancò indietro, scorgendo il viso pallido e beffardo del Serpeverde, contornato dai capelli scuri.

La ragazza sollevò la bacchetta proprio nell’attimo in cui Mulciber le puntava contro la propria, pronunciando l’incantesimo. << Bombarda… >>

<< Protego! >>

<< … Maxima! >>

Dopo, fu l’inferno.

L’esplosione colpì Lily in pieno, investendola con tutta la sua potenza.

Lo scudo resse perfettamente, ma l’onda d’urto che dovette affrontare fu tale che la Grifondoro fu scaraventata all’indietro, contro uno scaffale, e decine di libri le caddero attorno, insieme a polvere e frantumi di legno.

Lily ricadde a terra con ogni singola parte del corpo dolente, le lacrime agli occhi.

Non si era mai fatta male, lei.

La massima sofferenza fisica che aveva dovuto affrontare era stato il morso di una medusa.

Tossì, circondata da una coltre di fumo.

Non riusciva a vedere niente.

Poi, udì i passi di Mulciber avvicinarsi, lenti, incerti ma al contempo trepidanti, come se l’attesa precedente ad una piacevole scoperta possa aumentare la gioia provocata dalla stessa.

Lily tastò in fretta il pavimento di pietra attorno a lei, per prendere la bacchetta.

… che non c’era.

Trattenne un sussulto, mentre il panico prendeva il sopravvento.

Dov’era, dov’era finita la sua bacchetta?!

<< Evans >> la chiamò Mulciber, con tono amabile. << Evans, dove sei? >>

Lily cercò di farsi piccola piccola, mentre attraverso lo spesso strato di pulviscolo iniziava a scorgere la sagoma del Serpeverde avvicinarsi.

S’impedì di tossire, mentre il fumo le irritava la gola e confondeva i sensi, pizzicandole gli occhi, e cercò di allontanarsi, sgaiottolando verso destra.

Anche se, doveva riconoscerlo, nascondersi in una biblioteca di non troppi metri quadrati era un’impresa leggermente ardua.

E lei, era pur sempre una ragazza.

In uno scontro fisico non avrebbe potuto neanche sognare di avere la meglio.

Le rimaneva solo un’alternativa.

Certo, era un’idea azzardata, ma era pur sempre l’unica.

Doveva solo essere veloce, e sperare che la bacchetta –quella maledetta bacchetta- non fosse lontana.

O, almeno, non troppo.

<< Avanti, piccola Sangue Sporco. Sto aspettando. >>

Lily strinse i pugni, sollevandosi su un ginocchio, pronta a scattare.

Doveva mantenere la calma.

Mulciber stava arrivando.

Chiuse gli occhi.

“Forza, Lils, puoi farcela.”

<< Lumos >>

<< Crucio! >>

Lily rotolò di lato, schivando l’incantesimo, verso un piccolo bagliore poco distante da lei.

Mentre una parte di lei realizzava stupefatta che Mulciber le aveva appena scagliato contro una maledizione senza perdono, l’altra si concentrò solamente sulla bacchetta, finalmente ritrovata.

L’afferrò rapidamente, girò su se stessa e la puntò verso il ragazzo, proprio mentre questi stava per pronunciare chissà quale altro sortilegio oscuro.

<< Expelliarmus! >>

L’incantesimo di disarmo fu talmente forte da far arretrare Mulciber di un passo, mentre la sua bacchetta volava via, dritta in mano alla ragazza.

Ma Lily non ebbe nemmeno il tempo di tirare un sospiro di sollievo.

In un istante, infatti, Mulciber si gettò sopra di  lei, afferrandola per il polso e tirandola su con rabbia.

Lily riuscì solo ad emettere un gemito di sorpresa, non aspettandosi una reazione del genere, prima che il Serpeverde la sbattesse con forza contro uno scaffale.

La giovane si lasciò scappare un lamento quando la sua schiena urtò contro la libreria, mentre la presa sul polso era talmente violenta che fu costretta ad aprire la mano, con un gemito di dolore.

Le due bacchette caddero per terra, il lieve rumore provocato dall’impatto col pavimento riecheggiò nella desolazione della biblioteca.

Lily assottigliò lo sguardo, guardando rabbiosamente Mulciber.

<< Lasciami, idiota! >>

Il ragazzo parve non sentirla, e la studiò avidamente mentre sulle sue labbra appariva un sorriso crudele.

Lei vide la sua espressione famelica, e rabbrividì.

<< Sei carina, Evans. Solo feccia babbana, intendiamoci, ma davvero niente male. >>

Lily, per tutta risposta, si limitò a fare ciò che le venne prima in mente: sputargli in faccia.

Lo schiaffo giunse improvviso ed inaspettato, ma talmente forte da scaraventarla a terra.

Lily cadde sul freddo pavimento di pietra, e sollevò lo sguardo, con una mano sulla guancia dolente, verso Mulciber, che torreggiava verso di lei.

Finché si parlava di duelli magici, d’accordo. Ma la violenza fisica era per lei qualcosa di completamente estraneo, che l’atterriva, e dissipava quel coraggio che bene o male l’aveva sempre caratterizzata.

Nonostante i suoi stati d’animo, Lily sostenne con fierezza e rabbia lo sguardo sprezzante del ragazzo.

Sperava solo che nei suoi grandi occhi verdi non si leggesse la paura che provava in quel momento.

<< Aspetta solo che abbia in mano la mia bacchetta, Mulciber… >> sibilò la ragazza, ostentando la spavalderia di cui, in quel momento, sentiva fin troppa la mancanza.

Il giovane rise, chinandosi su di lei e posando la mano per terra.

O meglio, posandola sulla sua bacchetta.

Il Serpeverde iniziò a giocherellare con essa, passandosela da una mano all’altra.

<< Parli di questa, Evans? >> domandò, con un tono falsamente amabile.

Lily strinse i pugni.

La sua bacchetta era così vicina, ma al contempo irraggiungibile.

Mulciber continuava a gingillarsi con essa, con fare pensieroso, piegato sulle ginocchia.

Poi si raddrizzò, in piedi, e la sua espressione divenne fredda, glaciale, così come la sua voce.

<< Vediamo se le bacchette di voi Sangue Sporco funzionano bene come le nostre… >>

Impotente, Lily chiuse gli occhi, spaventata.

Tuttavia, non poté fare a meno di pensare quanto fosse ironica la sorte.

Sarebbe stata colpita dalla sua stessa bacchetta.

Perfetto.

Fa’ almeno che si limiti a schiantarmi. “

Con davanti solo il buio delle proprie palpebre serrate, la ragazza udì appena la voce di Mulciber iniziare a pronunciare l’incantesimo, distante.

<< Cru-  >>

<< Stupeficium! >>

Un schianto, un tonfo, e Lily aprì gli occhi di scatto, giusto il tempo per vedere Mulciber scivolare al suolo dopo essersi schiantato contro uno scaffale poco più in là.

Poi, come se le sorprese che quella sera le aveva riservato non fossero ancora sufficienti, la testa di James Potter apparve dal nulla.

Esatto, non James Potter, ma solo la sua inutile scatola cranica, che fluttuava a mezz’aria come se niente fosse.

Lily batté le palpebre qualche volta, tanto per assicurarsi che quella non fosse un’allucinazione.

Poi fece ciò che le venne di più naturale: urlò a squarciagola, e la testa di Potter ebbe uno strano scatto verso l’alto –come se avesse sussultato, in effetti- e accadde qualcosa di strano.

Nell’istante esatto in cui la testa si mosse, qualcosa cadde per terra, e il resto del corpo di Potter apparve dal nulla.

In un attimo, quella cosa che presumeva di essere il ragazzo che le dava il tormento da cinque anni scattò verso di lei, e Lily urlò di nuovo, arretrando goffamente sui gomiti e finendo con lo sbattere contro la libreria.

Attorno a lei, caddero un paio di libri, ma non se ne curò.

La figura dinanzi a lei si fermò per un attimo, per poi muovere un altro passo, esitante.

<< STAMMI LONTANO! >> urlò la ragazza, tastando contemporaneamente il pavimento con le mani, in cerca di un’arma. Trovò la bacchetta di Mulciber, e la puntò, tremante.

<< Evans… >>

<< STA’ ALLA LARGA, HO DETTO! >>

A quelle parole, il ragazzo la fissò, basito.

Poi l’espressione stupefatta lasciò spazio ad una stranamente seria, e lui si piegò sulle ginocchia, in modo che i loro visi fossero l’uno dinnanzi all’altro.

Gli occhi nocciola di lui la scrutarono, ma con benevolenza.

Sì, erano proprio quelli di James Potter.

Dello stesso James Potter che poggiò con delicatezza una mano sulla sua, quella che non teneva in pugno la bacchetta. << Lily, sono io. Sono James. >> le disse, con una tranquillità tale da contagiarla. << Calmati. >>

E Lily lo fece.

Il respiro le si regolarizzò, così come i battiti del cuore, che sembrava starle per scoppiare da quando era iniziato quell’inferno.

Smise di tremare, tuttavia la tensione accumulata era troppa, e così la paura, la preoccupazione.

Le prime e calde lacrime iniziarono a bagnarle il viso senza che quasi se ne rendesse conto.

Provò a fermarle, invano. Mentre Potter la guardava con tenerezza, si sentì una stupida ragazzina.

Alla comparsa del ragazzo aveva reagito come una sciocca.

Potter, ancora chinato su di lei, la guardò con un misto di stupore e confusione. << Evans… Stai piangendo? >>

<< No. >> Lily tirò su col naso, cercando di celare l’imbarazzo << mi sono appena entrati dieci chili di polvere negli occhi,  sai? >>

L’altro rimase un attimo in silenzio. << Be’, almeno non hai cercato di negare. >>

<< Sarebbe servito a qualcosa? >>

<< No, in effetti no. >>

La giovane si nascose il volto arrossato ed umido dietro i palmi delle mani. Si sentiva un po’ in imbarazzo a piangere davanti a Potter, ma d’altronde aveva solo quindici anni, ed aveva appena rischiato di farsi male.

Davvero tanto, tanto male.

Sollevò lo sguardo verso il Grifondoro, e la sua attenzione fu attirata dal panno argentato per terra, a pochi passi da lui.

Ripensò alle dinamiche di ciò che era accaduto qualche attimo fa, e non ci mise molto a fare due più due.

<< Potter… >>

<< Sì? >>

La ragazza fissò gli occhi lucidi in quelli scuri di lui. << E’ un mantello  dell’invisibilità, quello? >>

Sul viso del giovane Potter si susseguirono una serie di strane espressioni, perlopiù di stupore. Poi, distolse lo sguardo, scuotendo il capo con una risatina.

<< Ti ho appena salvato, facendo sfoggio della mia eroicità, e l’unica cosa che hai notato è un vecchio panno di stoffa? >>

Lily lo studiò per un attimo, per capire se stesse cercando di dargliela a bere o meno.

Ma non importava. In quel momento, per quel ragazzo che di solito riusciva a causarle solo un’incessante moto di insofferenza, provava unicamente riconoscenza.

Guardò l’altro negli occhi, con serietà.

<< Non lo dirò a nessuno. Lo giuro. >> promise, e lui ricambiò lo sguardo, con espressione indecifrabile.

Si fidava di Lily Evans?

“Sì”, rispose una vocina nella sua testa.

James sorrise alla ragazza: << Grazie. >>

Lei chiuse gli occhi, e scosse il capo, sorridendo a sua volta. << Grazie a te. >>

Rimasero in silenzio per qualche attimo, senza alcuna traccia di disagio o del solito astio. Per la prima volta che i due si trovavano insieme da soli nella stessa stanza, dominava un clima di serenità, nonostante l’assurdità della situazione.

Lily sospirò. Ora come ora, si sentiva abbastanza calma.

<< Sarà meglio occuparci di quello lì. >> disse mentre si rialzava, accennando col capo a Mulciber, disteso a terra privo di sensi. << Devo ammettere che negli Schiantesimi hai talento, Potter. >>

La ragazza non stava guardando il Grifondoro, ma aveva la sensazione che lui la stesse osservando. Con la coda dell’occhio, in effetti, notò che Potter la studiava con una strana espressione.

Ci fu un momento di stallo, non sapendo cosa aspettarsi dal compagno di casa. Poi, sul volto del giovane, vide apparire un sorriso.

Non il solito ghigno beffardo o strafottente, ma un sorriso accennato e tuttavia sincero, che gli illuminò il viso.

In quel frangente, le apparve solo come un ragazzino adorabile con una massa di capelli scuri in testa.

<< Sai, Evans, sto ancora aspettando il momento in cui ti butterai piangendo fra le mie braccia, da brava fanciulla indifesa. >> disse e, stranamente, Lily rise con naturalezza.

<< Questo, Potter, non accadrà mai. >>

 

 

***

 

 

La Sala Comune dei Serpeverde non era certamente uno di quei posti comunemente definibili come “accoglienti”.

La temperatura, soprattutto d’inverno, raggiungeva livelli insopportabilmente bassi anche per gli standard di chi ormai avvezzo al freddo clima inglese.

L’arredo dai colori scuri e sobri risultava freddo nella sua eleganza, la luce verdastra disegnava spettrali figure lungo le pareti di pietra, e chiunque accedesse in quella stanza doveva passare sotto il vuoto sguardo di teschi marmorei decoranti l’unica fonte di calore della sala, un camino in pietra bianca.

La maggior parte degli studenti –tra cui persino qualche raro Serpeverde- avrebbe ritenuto quel luogo spettrale per lo meno inquietante.

Tuttavia, Bellatrix Black, al suo interno, si sentiva completamente a suo agio, così tanto da sembrarne la regina.

Ora, abbandonata mollemente –ma con la solita classe dei Black- sul bracciolo di uno dei divani,  la giovane scrutava Aaron Mulciber con un sorrisetto ed un’espressione vagamente derisoria.

Era passato solamente un giorno dalla notte dell’aggressione a quella Grifondoro Mezzosangue.

<< E così il preside attenderà il resoconto della Mc Donald per prendere provvedimenti, eh? >>

Il giovane, poggiato a braccia incrociate alla parete, annuì, in una muta dichiarazione di vergogna.

Bellatrix sospirò, non potendo trattenere un sorriso.

La dapprima irritante incompetenza dei suoi compagni di Casa oramai la divertiva.

Li esaminò, uno per uno.

Aaron Mulciber, quinto anno, con quella falsa maschera di scaltrezza e potere che s’illudeva di possedere.

Il suo amico Fabian Avery, seduto su una poltrona a fianco del ragazzo, un  grosso gigante senza cervello né aspettative, ora con un umiliante bernoccolo in testa.

Sul divano, con una mano poggiata sulla sua, Rodolphus Lestrange,  sesto anno, colui a cui era praticamente promessa fin dalla nascita, e che probabilmente s’illudeva di aver davvero conquistato il suo cuore; e suo fratello Rabastan, piccolo ed ossuto nonostante i suoi quindici anni, su una poltrona di fronte a loro.

Alla destra di Rabastan, in piedi, Lucius Malfoy, che credeva di comandarli tutti, forte del suo nome e del suo sangue.

Bellatrix doveva ammettere che era un buon elemento, ma aveva grandi ambizioni, e fin troppe poche possibilità di raggiungerle.*

Il migliore – o meglio, colui che le sembrava meno incapace- era Rosier, anche lui del settimo come Malfoy.

Scaltro ed abile con la bacchetta, era di certo destinato a divenire un grande Mangiamorte.

E certo… c’era anche Piton, lo stesso che, all’in piedi vicino alle scale che conducevano al dormitorio maschile, assisteva alla scena con lo sguardo scuro indecifrabile.

Smunto com’era, e con quell’apparenza a dir poco squallida, non ci avrebbe scommesso sopra neanche uno zellino.

Tuttavia… Aveva cervello, doveva ammetterlo, era un gran pozionista e un esperto conoscitore delle Arti Oscure. Considerati i suoi quindici anni, ovviamente.

Peccato fosse un Mezzosangue, e che se ne andasse a spasso con quella lurida Sangue Sporco della Evans.

<< E quindi non siete nemmeno in grado di vedervela con una piccola Grifondoro Mezzosangue, eh? >>

Ancora una volta, il tono palesemente derisorio di Bellatrix suscitò sui volti dei due Serpeverde espressioni di umiliazione e rabbia repressa.

D’altronde, era da un po’ che Avery e Mulciber avevano preso di mira la Mac Donald.

Il padre del primo, e lo zio del secondo, erano infatti stati spediti ad Azkaban dal nonno della ragazza, un Auror anziano ma ammirato nel suo ambiente.

Che razza fastidiosa, gli Auror.

Quasi tutti ex-Grifondoro, sempre a fare gli eroi.

Solo poveri illusi che, aggrappandosi a falsi ideali di libertà ed uguaglianza, non si rendevano conto –o fingevano di non capire- che non c’era niente da guadagnare a  combattere il più grande mago di tutti i tempi.

Silente? Una bazzecola.

L’ascesa del Signore Oscuro era ormai rapida, ed inevitabile.

Nessuno l’avrebbe intralciato.

Nessuno l’avrebbe fermato.

Nessuno l’avrebbe sconfitto.

Tutti coloro che gli si opponevano… Stavano iniziando a cadere, uno alla volta.

Che i mezzi fossero l’omicidio o la corruzione, non importava.

Erano tutti solo dei piccoli e fastidiosi ostacoli, insignificanti dinnanzi al potere dell’Oscuro Signore.

<< Non è così. >>

La voce palesemente trattenuta di Mulciber attirò l’attenzione della ragazza, che si voltò verso di lui con fare falsamente affabile.

<< Come scusa? >>

Mulciber chinò lo sguardo, sul volto evidente l’umiliazione.

Tuttavia, i pugni serrati e la mandibola serrata esprimevano la rabbia che il Serpeverde tentava invano di nascondere.  << Noi… Sarebbe andata tutto liscio, se non fossero spuntati Lupin ed Evans. >>

Severus, che fino ad allora aveva assistito alla scena con vacuo interesse, impallidì impercettibilmente, non appena udì il cognome della Sangue Sporco.

Bellatrix trattenne a stento una risatina.

Eccola lì, la debolezza di Piton, interamente espressa in un unico nome.

In un’unica persona.

<< Siete talmente inetti da non riuscire ad avere la meglio su due pezzenti Grifondoro dal sangue infetto. >> disse intanto Rosier, lo sguardo noncurante rivolto verso le fiamme del camino << Mi fate ridere. >>

Mulciber fece per scattare verso di lui, infuriato, mentre Avery si alzava furiosamente dalla sedia.

<< Senti tu, brutto..- >>

<< Avery, Mulciber. Basta così. >>

Il tono di Malfoy era stato tranquillo e pacato, tuttavia fu riuscì ad ottenere l’effetto desiderato.

I due quindicenni sembrarono infatti calmarsi, mentre Avery riprendeva posto sulla poltrona, e l’altro chinava il capo, quasi mortificato. << Scusaci, Lucius. >>

Dal suo angolino vicino alle scale, Severus trattenne una risata di scherno, divertito dall’ingenuità dei due, e dall’aria importante che aveva appena assunto Malfoy.

Avery e Mulciber lo veneravano come un capo, un comandante di cui bisognava conquistare fiducia ed ammirazione.

Ma Severus… lui l’aveva capito da tempo, com’è che stavano veramente le cose.

Lucius si sentiva il capo, ma era Bellatrix a tirare i fili.

E tutti loro non erano altro che  burattini nelle sue mani.

Una risata giunse dal fondo della stanza.

Seduto su una poltrona di pelle nera, distante da tutto ciò che stava accadendo in quella sala, una ragazzino –di al massimo quattordici anni- dai bei lineamenti e i capelli scuri scuoteva leggermente il capo, lo sguardo apparentemente concentrato su un pesante tomo scolastico.

<< Si può sapere cosa vuoi, moccioso? >> sbottò Avery, evidentemente infastidito.

Regulus Arcturus Black sollevò appena gli occhi color onice verso di lui.

<< Modererei i toni, fossi in te. >> esclamò noncurante il ragazzo, quasi con allegria << o devo forse ricordarti i corrispettivi nomi di entrambi, Avery? >>

L’altro non rispose e chinò lo sguardo, stringendo i pugni.

Bellatrix scese sinuosamente dal bracciolo del divano, e si appoggiò alla schienale, all’in piedi, incrociando le braccia davanti al petto e guardando Regulus con un sorriso interessato.

<< Sai, cuginetto, mi farebbe davvero piacere sentire cosa ne pensi. >>

Il ragazzo continuò a sfogliare il suo libro, con disinteresse. << Be’… Onestamente, Bella, non comprendo appieno il vostro assillarvi per dei fetidi Mezzosangue, e preferisco tenermi alla larga dalle varie faide tra Case. Tuttavia… >> il suo tono si fece leggermente più basso << … Tuttavia, trovo che compiere atti di violenza gratuita sotto il naso di Silente sia da veri idioti. >>

Offeso ed arrabbiato, Rodolphus fu il primo a cercare di alzarsi, il viso trasfigurato in una maschera d’ira, ma Bellatrix gli poggiò delicatamente una mano sulla spalla, a fermarlo.

Il Serpeverde sembrò infatti tranquillizzarsi, e la ragazza tornò a rivolgersi a Regulus.

<< Perché ti preoccupi di Silente, Reg? >> gli domandò, il tono pacato ora aveva assunto una sfumatura divertita. << Concorderai con me che è solo un inutile vecchietto. >>

Il cugino chiuse il libro, e la guardò con aria tranquilla. << Vecchietto o no, rimane il preside, e non vale la pena farsi espellere solo perché si è talmente stupidi da attaccare una Mezzosangue proprio a scuola. Silente è sufficientemente sveglio da accorgersi se qualcuno cerca di far esplodere la biblioteca, non credi? >>

Mulciber accusò il colpo in silenzio.

Bellatrix, invece, assottigliò lo sguardo, e studiò il ragazzo con vivo interesse.

<< Quindi suggerisci di agire al di fuori del castello, eh? >>

Regulus alzò le spalle, e riaprì il volume che stava leggendo, riportando lì la sua attenzione.  << Io non ho suggerito proprio niente. >>

La ragazza sorrise, tra sé e sé.

Regulus era ancora poco più che un bambino, ma era sveglio, di buon nome e con i giusti ideali.

Sarebbe diventato un fedele e perfetto Mangiamorte, ne era certa.

 

 

 

 

***

 

 

Erano quasi le undici del mattino seguente -una Domenica-, quando tre dei quattro Malandrini entrarono in infermeria.

<< Si! Lunastorta si piega, ma non si spezza mai! >> ruggì Sirius, buttandosi sul lettino dell’amico con la grazia di un cigno zoppo.

Divertiti per i gemiti di dolore di Remus –dovuti sicuramente più alla delicatezza di Felpato che alla gamba ingessata- James e Peter si sedettero ai due fianchi del letto, ridacchiando.

Il prefetto notò quasi subito i loro sorrisi divertiti.

Non che fosse difficile, considerando quanto fossero grandi ed ebeti.

<< E’ bello vedere quanto le mie sofferenze vi rallegrino. >> sbuffò il ragazzo, cercando contemporaneamente di levarsi di dosso quei settanti chili di carne inutile, invano.

Peter rise dei suoi inutili tentativi, e gli porse una cesta stracolma di dolcetti e cioccolatini vari.

<< Guarda cosa ti abbiamo portato, anzi di lamentarti! >>

A quelle parole, lo sguardo di Lunastorta cadde inevitabilmente sul piccolo cesto di paglia, impassibile.

 

Cinque minuti dopo, i Malandrini stavano godendo dei piaceri che solo la cioccolata è in grado di offrire al palato, con aria estasiata.

O meglio, Peter, James e Sirius si stavano semplicemente gustando le varie meraviglie di Mielandia.

Era Remus quello che, con aria vagamente inquietante, divorava con gli occhi –poi, ovviamente, veniva il turno della bocca- ogni singola briciola di ogni singolo cioccolatino.

Almeno, il tutto avveniva con un certo contegno, come si addiceva ad un prefetto doc. quale Moony si sforzava continuamente di essere.

O di sembrare, dato che il suo impegno nel tentare di impedire ai Malandrini di combinarne sempre una delle loro non era poi così lodabile.

<< Oh! >> esclamò d’un tratto Sirius, allargando le braccia con quel tocco melodrammatico di cui solo un Black è in grado << Quale potente e meravigliosa arma è la corruzione! >>

Lunastorta, cogliendo la frecciatina, si limitò a borbottare qualcosa del tipo “taci, brutto sacco rognoso di pulci”.

James osservò con affetto i suoi amici scoppiare a ridere, e poi ritornare ad ingozzarsi di cioccolata.

Normalmente, anche lui si sarebbe unito a loro, ai loro scherzi, alle loro risate.

Tuttavia, quella mattina il suo umore era vertiginosamente basso.

Eh sì, anche al sempre allegro e scanzonato James Potter capitava di deprimersi.

Non che fosse qualcosa di così straordinario, in fin dei conti.

Era pur sempre un essere umano, no?

Il fatto era che ogni qualvolta che era triste, depresso e chissà che altro, tendeva a … Nasconderlo, praticamente, o comunque a cercare di reprimere quelle infelici sensazioni.

Dopotutto, lui dalla vita aveva avuto tutto: bell’aspetto, intelligenza, una condizione economica più che soddisfacente, proveniva da una famiglia Purosangue –non che a lui o ai suoi genitori importasse qualcosa di tutte quella sciocchezze dei Sangue Sporco ecc.., ma in quei tempi la purezza del sangue poteva sempre essere d’aiuto- che gli voleva bene e che gli aveva concesso di frequentare una scuola di prestigio. Era persino un asso nel Quidditch.

E poi, ovviamente, c’erano i Malandrini.

James non si vergognava affatto di sembrare infantile quando diceva che fossero gli amici migliori che si potessero desiderare.

Quindi, in poche parole… Che diritto aveva James Potter di lamentarsi o piangersi addosso?

La fortuna gli aveva sorriso e lui, dinnanzi alla vita, doveva fare altrettanto.

E quando non lo faceva, non poteva fare a meno di sentirsi un ingrato.

<< Ehi, Prongs… Tutto bene? >>

Con Sirius, Remus e Peter, però, non se la sentiva di fingere.

Per questo, quando rispose a Felpato, disse la verità, sollevando tuttavia le spalle con noncuranza.

<< Bah… Mi sento un po’ giù. >>

Lunastorta – che in situazione simili James tendeva a ribattezzare l’Onnisciente – sembrò capire immediatamente la causa della sua inquietudine.

Gli sorrise rassicurante. << Non ti preoccupare, Jam. Ho sentito dire da Madama Chips che Mary è fuori pericolo, e che sarà dimessa dal S.Mungo prima dalle vacanze di Natale. >>

James annuì, l’espressione vacua.

Era stata tutta quella brutta faccenda a buttarlo giù di morale, in effetti.

Conosceva ogni angolo e passaggio segreto di Hogwarts e, con la Mappa e il mantello dell’invisibilità, si sentiva quasi come se la scuola fosse in suo possesso.

Aveva sempre considerato Hogwarts come il suo parco giochi personale, un posto che comunque aveva sempre collegato ai Malandrini, alle giornate divertenti passate con loro e ai grandi scherzi agli insegnanti.

E poi… ecco che arriva un pugno di stupidi Serpeverde che trasforma quel mondo di burle e risate in un covo di violenza e odio.

Perché quello che Avery e Mulciber –e chissà chi altri c’era dietro- avevano fatto non si poteva definire in nessun altro modo: malvagio.

Non bastava tutto il casino che avveniva là fuori, con Nati Babbani costretti a vivere nel terrore, con gli attacchi dei Mangiamorte e la sempre più inutile resistenza degli Auror.

No, tutti quei fanatici dei Serpeverde dovevano portare la guerra anche lì dentro, ad Hogwarts, nella sua amata Hogwarts.

James trovava il tutto semplicemente insopportabile.

Sospirò rumorosamente, passandosi una mano fra i capelli, com’era sua abitudine fare.

<< Ehm… James? >>

Il ragazzo sollevò lo sguardo verso Peter, e si rese conto che anche Sirius e Remus lo stavano osservando, preoccupati.

Probabilmente doveva avere un’espressione tra l’ebete e l’omicida.

Sbuffò, accasciandosi ancor più sulla sedia.

<< E’ che… Cavoli, odio le Arti Oscure. >> sbuffò il giovane, con una smorfia imbronciata sul viso.

Remus, che le lenzuola e il pigiamo bianco facevano sembrare più pallido del solito, sorrise tristemente, ma comprensivo. << Le odiamo tutti, James. >>

<< Già. >> aggiunse Sirius, passandogli un braccio attorno al collo e disordinandogli scherzosamente i capelli. << Ma, Prongs, questo non ci deve mica abbattere. Siamo pur sempre i Malandrini, no? >>

Ramoso si raddrizzò gli occhiali sul naso, e vide che, di fronte a lui, anche Peter annuiva, timidamente ma fiducioso. Eccoli là, i suoi Malandrini.

Istintivamente, James sorrise.

<< E’ permesso? >>

 Tutti si voltarono, vedendo Lily Evans apparire dalla porta dell’infermeria, l’aria stranamente intimidita. Forse si sentiva di troppo nell’interrompere i Malandrini.

Indossava una cardigan bianco sopra un pudico abitino blu. Il ragazzo era sempre rimasto incuriosito dal fatto che Evans, pur essendo una ragazza introversa e dal carattere forte, sembrava amare indossare abiti così curati e graziosi.

Peccato che non mettessero in mostra qualcosina in più, certo.

<< Lily, >> disse Remus, con un sorriso gentile << Vieni pure, non preoccuparti. >>

La ragazza non se lo fece ripetere due volte, tuttavia avanzò con insolita timidezza. << Ciao. >> disse, a mo’ di saluto generale. Avvicinò una quarta sedia vicino al letto, posizionandola accanto a quella di James.

Il giovane avvertì una bizzarra sensazione quando la Grifondoro si voltò verso di lui, riservandogli un sorriso.

Fu abbastanza rapido e impacciato, ma per la prima volta Evans lo guardava con un’espressione che non fosse di rabbia o di sarcasmo.

<< Come va la gamba? >> domandò intanto Lily al prefetto, con tono leggermente amareggiato. Remus passava già tanto del suo tempo in Infermeria, le dispiaceva vederlo ancora una volta su quel lettino bianco. Tuttavia, il ragazzo fece spallucce, abbozzando un sorriso rassicurante: << Guarirà presto, non preoccuparti. Vuoi della cioccolata? >>

Mentre lui le porgeva quel cestino incredibilmente ricolmo di dolci, Lily sorrise con tenerezza. Certo, il primato di rubacuori dei malandrini andava a Black, e poi a Potter, e tuttavia era noto che molte ragazze avevano un piccolo debole per l’adorabile e gentilissimo Remus Lupin. Risvegliava lo spirito di mamma chioccia dentro ognuna di loro.

Persa in questi pensieri, ed impegnata a scartare una barretta di cioccolato fondente, si rese conto solo dopo qualche istante che Black la stava fissando, con diffidenza.

Si fermò con il dolce a pochi centimetri dalla bocca, gli occhi verdi fissi in quelli grigi di lui. Al contrario, doveva ammettere, gli sguardi gelidi di Sirius Black -così bello, così regale, quasi- la intimidivano un po’. Ma in pochi attimi, rammentò che dietro quell’aria da principe non c’era altri che un bulletto immaturo ed presuntuoso, e tornò quella di sempre.

<< Che vuoi, Black? >> sbottò con astio, infastidita dall’aria arrogante con cui l’osservava. L’altro di rimando, assottigliò lo sguardo, con circospezione ed antipatia: << James mi ha detto che sai del Mantello. >>

<< Ed hai paura che se spifferassi tutto, non potresti più compiere le eroiche imprese che racconti per portarti a letto le ragazze, vero? >>

Gli occhi del ragazzo rotearono verso l’alto, con esasperazione: << Tu pensi di sapere sempre tutto, vero Evans? >>

Lily si sentì avvampare dalla stizza, irritata da quella che interpretò un’espressione di superiorità. Non le andava che Black si sentisse migliore di lei solo perché tutta la scuola gli sbavava dietro. Non era un motivo sufficiente, no?

Prima che la tempesta scoppiasse fra i due, James si mise in mezzo, con un sorriso che gli andava da una parte all’altra della faccia.

<< Non litigate, ok? Pad, Evans non lo dirà a nessuno. >> si voltò speranzoso verso di lei, << Vero, Evans? >>

<< Certo, Potter, >> rispose Lily, delusa dal fatto che, dopo tutto quello che era successo, il ragazzo la chiamasse ancora per cognome –cioè, no, oddio! Che diamine andava a pensare?!- << T-te… Te l’ho promesso, ricordi? >> balbettò poi, confusa ed imbarazzata dalla strana reazione che aveva avuto. Insomma… Non è che lei e Jam… Potter fossero diventati amici da un momento all’altro, giusto?

I Malandrini non replicarono, rimanendo in un silenzio che la ragazza non seppe come interpretare. Allora alzò la mano e sollevò timidamente le tre dita  centrali: << Parola di scout. >>

Remus soffocò una risata contro il dorso della mano, Black e Minus si guardarono confusi, Potter sbattè le ciglia.

<< Cos’è uno scout? >> domandò il miglior cercatore della scuola, l’aria genuinamente curiosa. Remus si lasciò sfuggire una risatina, e Lily, chissà perché, non poté trattenersi dall’unirsi a lui.

Sui visi degli altri tre rimase la medesima espressione smarrita di prima.

<< Non preoccuparti, Potter. >> disse la Grifondoro, scuotendo la testa, divertita. << davvero, non preoccuparti. >>

 

***

Col suono della sua risata, si voltò e iniziò a percorrere il corridoio nel senso opposto, allontanandosi a grandi passi.

Col cuore a pezzi, si lasciò l’Infermeria alle spalle. Aveva saputo che era andata a trovare il suo… amico ferito, e fin lì, pur trovandosene infastidito, l’aveva compreso ed accettato, perché in fondo Lupin –lasciando da parte le sue teorie- era il più innocuo di quella banda odiosa.

Si era un po’ preoccupato per la probabile eventualità di trovare anche Potter in Infermeria, che l’avrebbe infastidita come suo solito. Si era recato lì in fretta e furia, per evitare che quel imbecille la importunasse con quelle sue battutine fastidiose, e magari avrebbero anche potuto fare pace, chiarire la situazioni. Perché erano amici.

Ed invece, l’aveva trovata a scherzare e ridere con coloro che, da quando aveva iniziato la sua vita ad Hogwarts, riuscivano a rendergli la vita un inferno.

Severus si era sentito ferito, tradito.

Sì, lui e Lily avevano discusso, ma diamine, erano adolescenti, poteva succedere di litigare ed erano pur sempre migliori amici, no? No?

Insomma… se Lily teneva così tanto a lui, come poteva parlare tranquillamente con quei prepotenti, con quei ragazzi che non facevano altro che insultarlo, che umiliarlo?

Forse… Forse Lily non aveva più bisogno di lui.

Le prime lacrime iniziarono a colmargli gli occhi, offuscandogli la vista.

Forse, Lily era come tutti gli altri, pronto a tradirlo, a metterlo da parte, perché… Perché, certo, chi era lui in confronto al mitico Potter?

Ma sì, chi se ne frega di Severus-Mocciousus- Piton?

“ No, smettila. “  pensò il ragazzo, strofinandosi gli occhi col dorso dell’avambraccio. La lana dello sformato maglione che indossava gli pizzicò la pelle del viso, ma non ci fece caso. “ Tu sei forte. Sei superiore a tutto questo.”

Ma, dentro di sé, sapeva che era soltanto un’inutile bugia.

 

 

***

 

Albus Percival Wulfric Brian Silente stava distrattamente sfogliando le pagine di “Folletti della Cornovaglia, storie e leggende” quando Minerva McGranitt fece capolino nel suo studio, con il viso e gli abiti impolverati.

<< Minerva! Cos’è successo? >>

La donna sbuffò, spolverandosi il lungo mantello smeraldo con le mani. << Dovresti far aggiustare i camini, Albus. E’ la seconda volta che usando la metro polvere mi riduco in questo stato. >>

Seduto alla sua scrivania, il preside la scrutò da dietro le lenti sottili, coi suoi penetranti occhi celesti. << Vedrò di provvedere. Notizie dal San Mungo? >>

Minerva sospirò, e un’ espressione stanca sembrò attraversarle il viso austero.

<< Mary Mac Donald è stata curata a dovere, e tra qualche giorno sarà mandata a casa. Ho avuto occasione di parlarle questa mattina >> disse la professoressa, avvicinandosi alla scrivania di Silente << sembrava impaurita, tuttavia le sue parole sono state chiare. E’ stata attaccata la sera scorsa, in Biblioteca. Prima di essere Schiantata, e di perdere i sensi, è riuscita a vedere distintamente i suoi aggressori: Aaron Mulciber e Fabian Avery, entrambi Serpeverde. Sembra che tra le loro famiglie e quella della ragazza non corra buon sangue. >>

Silente annuì, attento. << Conosco i Mac Donald abbastanza bene. Brava gente, Auror, per la maggior parte. Peccato che non si possa dire lo stesso delle famiglie degli altri due studenti. >>

La sua voce aveva un che di sconsolato, e ciò colpì la donna dinnanzi a lui.

Minerva chinò lo sguardo, poi parlò. << Cosa pensi di fare, adesso? >>

Silente rimase un attimo in silenzio, pensieroso, gli occhi celesti chini sulle pagine del libro, senza guardarle realmente.

Lei attese, paziente, ed infine il preside sollevò lo sguardo, con aria stanca.

<< Prima di tutto, possiamo scagionare Potter, Black, Evans, Lupin e Minus da ogni tipo di accusa. Io ed Horace penseremo alla punizione adatta per Mulciber ed Avery. >>

<< Punizione? >> domandò la donna, esterrefatta. Il suo tentativo di trattenere l’indignazione era evidente. << Non è tempo di punizioni, Albus! Qui ci vuole un espulsione! Quei due hanno aggredito una studentessa, e i dottori hanno trovato evidenti tracce di magia oscura su… >>

<< Calmati, Minerva. >> la interruppe Silente, tranquillo. << Capisco esattamente il tuo punto di vista, e sono consapevole del fatto che le voci si spargono i fretta, e che la mia decisione creerà non poche polemiche da parte delle famiglie. Tuttavia… >> l’uomo fece una pausa, e sul suo viso si riaffacciò quell’espressione triste di poco fa.

La McGranitt continuò ad ascoltarlo, in silenzio.

<< Tuttavia… A cosa servirebbe, Minerva? Li lasceremmo soli alle loro famiglie, e quindi ai loro pregiudizi, alle loro terribili convinzioni. Regaleremmo due nuove reclute all’esercito di Voldemort, senza aver fatto alcun tentativo per evitarlo. Li destineremmo alla morte, alla loro, e a quelle di poveri innocenti.

E’ questo ciò che vogliamo? Limitarci a insegnare pozioni e vecchie storie, o istruire i nostri studenti a ciò che importa veramente, e quindi agli ideali di libertà, amicizia, amore?

Dobbiamo lasciargli credere che tutto ciò che i loro genitori purtroppo gli hanno raccontato sull’inferiorità dei Babbani e su Voldemort è reale?

Nonostante tutto ciò che di orribile accade là fuori, è qui, ad Hogwarts, che si tiene la vera battaglia, Minerva. Ogni alunno, qui dentro, rappresenta un’esistenza in bilico tra la guida e la bontà che possiamo fornirle, e l’allettante potere offerto dal Signore Oscuro. In questi tempi bui, è nostro compito di insegnanti aiutare gli studenti a percorrere la strada giusta, e riportarvi quelli che l’hanno smarrita.

Ecco perché non espellerò quei due ragazzi, Minerva. >> concluse Silente, e la donna rimase in silenzio per un momento, a riflettere.

Dopo qualche istante, sospirò, abbassando le palpebre. << Non sono del tutto convinta delle tue parole, Albus. Anzi di allontanare due aspiranti Mangiamorte, li terremmo qui insieme agli altri studenti, e ciò mi sembra davvero una mossa avventata, e rischiosa. >> disse lei, gli occhi color onice riflessi in quelli azzurri dell’uomo. << Ma ho fede in te, e quindi non ho intenzione di protestare contro le tue scelte. >>

Silente abbozzò un sorriso sincero. << Apprezzo la tua fiducia, Minerva. E non temere, Mulciber ed Avery avranno ciò che meritano. >>

<< Lo spero davvero, Albus. >> commentò la donna, con un accenno di riconoscenza nella voce.

Poi, in lontananza, un tuono, e il ticchettio della pioggia sui vetri delle finestre.

L’insegnate di Trasfigurazione osservò le gocce d’acqua scendere copiosamente verso il suolo.

<< Mancava soltanto la pioggia. >> sospirò la donna, con tono mesto << Spero almeno che il tempo migliori per la partita. >>

Silente non rispose, ma fece anch’egli scorrere lo sguardo verso la finestra.

 Tutto ciò che lui invece sperava, era che la partita non fosse l’ultimo dei loro problemi.



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Capitolo 9
*** Natale (parte I): Quando casa non è casa. ***


Aaaah, non ci credo!

Il nuovo capitolo, il nuovo capitolo! Pepeppeee (*suono di tromba)

ooh, finalmente.

Ce l'abbiamo fatta.

Dedico questo capitolo a  Just a little wizard, che mi ha recensito dall'inizio alla "fine" della nuova versione della ff.

Le tue lunghissime recensioni mi sono di grande incoraggiamento, thank you.

Spero che il capitolo ti piaccia, anche perchè riguarda soprattutto un personaggio che, da quel che ho capito, ti piaciucchia abbastanza, eheh.

Ed ora, con un capitolo decisamente fuori stagione, vi lascio alla lettura :D

(non siate timidi e recensite, pusillanimi! In cambio potrete vincere un pat-pat virtuale da parte mia sulla testa. Allettante, eh? )


 

 

 

 

 

Capitolo 9


Natale (parte I)

Quando casa non è casa.


James si risvegliò piuttosto lentamente, ma si rese subito conto di non essere nel suo dormitorio, ad Hogwarts.

Non sentiva Remus russare, né il solito tanfo tipicamente provocato da Peter, fin troppo solito a ingurgitare roba pesante per cena, prima di andare a dormire.

Ricordò in fretta: erano le vacanze natalizie, e lui si trovava a casa sua da quasi una settimana.

Aprì gli occhi, e il soffitto della sua stanza –appannato per l’assenza degli occhiali- accolse il suo risveglio.

Fin troppo entusiasta, Arturo gli diede il buongiorno saltandogli sullo stomaco e facendolo sobbalzare.

<< Ehi! >> esclamò, inforcando gli occhiali e indossandoli << Vattene via, brutto ammasso di ciccia! >>

Certe volte non riusciva proprio a sopportarlo, quel gattaccio di famiglia.

Era ridicolo: un tempo, diceva suo padre, aveva avuto i suoi momenti di gloria, quand’era un gatto snello ed agile, e sembrava un’affascinante creatura della notte, con gli allungati occhi gialli e il lucente manto nero.

… Doveva essere stato una montagna di croccantini e dolcetti fa, considerando l’attuale peso dell’animale.

Di malagrazia, James se lo tolse di dosso spingendolo di lato; il ragazzo ignorò i suoi striduli miagolii di protesta quando cadde –all’in piedi, ovviamente, era pur sempre un gatto, sotto quello strato di lardo- ai piedi del letto.

Mentre si sedeva al bordo del materasso e si stiracchiava, ricordò all’improvviso.

Stupito, spalancò gli occhi e la bocca allo stesso tempo.

Come aveva fatto a non pensarci subito? Era…

<< Natale! >> esclamò ad alta voce. Poi abbassò lo sguardo su Arturo, l’unico possibile interlocutore nella stanza. << E’ Natale! >> ripeté, ancora più entusiasta, prendendo il gatto sotto le ascelle –i gatti avevano le ascelle?- e sollevandolo di fronte a sé. << E’Natale, Arturo! >> disse ancora una volta, più felice che mai. Per un momento ebbe l’istinto di tenere l’animale ancora tra le mani e piroettare insieme a lui.

Ma Arturo era troppo pesante, e gli si erano stancate le braccia.

<< Stupido animale. >> bofonchiò, lasciandolo cadere a terra. Il gatto si allontanò con stizza.

James si sentiva un uragano di energia e felicità. Doveva contattare Sirius, fare gli auguri ai Malandrini, spedire i loro regali –eh sì, anche quest’anno era in ritardo-, scrivere una lunghissima lettera d’amore ad Evans e… No! Prima di tutto, i regali.

Alzandosi di scatto e rischiando di precipitare a mo’ di sacco di patate mentre s’infilava le pantofole, il ragazzo si precipitò fuori dalla stanza, immaginando la montagna di regali che lo aspettava sotto l’albero, in salone, al piano di sotto.

Aveva iniziato a scendere –o, per meglio dire, ruzzolare- giù per le scale, quando udì una voce che lo fece rimanere di sasso.

Non apparteneva né a suoi genitori né a qualche altro suo parente, ma non per questo risultava essergli meno nota.

Quando si affacciò dalla ringhiera per guardare giù in salotto, ebbe la conferma ai suoi dubbi.

Si ritrasse immediatamente, imbarazzato, e sperando di non essere visto. Ora, non gli rimaneva che tornarsene quatto quatto in camera sua, rimettersi a letto e…

<< James, che fai? Vieni qui a salutare. >>

La voce di sua madre fu la peggiore delle condanne.

Non avendo altra scelta, iniziò a scendere le scale, mentre l’ospite lo guardava benevolo.

<< Buongiorno, James. E buon Natale. >> gli disse Albus Silente in persona, mentre lui si presentava al preside della scuola, nonché ad uno dei più grandi maghi di tutti i tempi, coi capelli più spettinati del solito e un pigiama celeste a pois colorati.

<< ‘Giorno, professore. >> biascicò lui, in imbarazzo. Nonostante la sua solita spavalderia con il corpo docente, davanti a Silente James si sentiva sempre un po’ in soggezione. Malgrado l’atteggiamento piacevole e sempre sorridente dell’uomo, il ragazzo percepiva che mancargli di rispetto sarebbe stato da ingiusti. E da stupidi.

<< Sono passato a fare visita per fare quattro chiacchiere coi tuoi genitori, ma credo che sia ora di andare e… No, Charlus, non scomodarti. >> aggiunse, mentre il signor Potter stava per alzarsi dalla poltrona, facendo appoggio su quel bastone in noce che ormai costituiva il suo perenne ausilio per camminare. Cordialmente orgoglioso come sempre, l’uomo non gli diede ascolto, e, una volta in piedi, gli porse la mano. << Non preoccuparti, Albus. E’ stato un piacere averti qui, sicuro di non volerti fermare per la colazione? >>

<< Oh no, grazie. >> replicò il preside, con un sorriso. << Ho ancora molte visite da fare, e purtroppo le giornate non sono mai abbastanza lunghe. >>

<< Rifletteremo sulle informazioni che ci hai dato. >> aggiunse Dorea, in piedi accanto al marito, i capelli neri raccolti in una coda spettinata. << Ma lascia almeno che ti offra del tè e una fetta di torta, è appena uscita dal forno. >>

<< Un po’ della tua torta l’apprezzerei, grazie. >> rispose il mago, allegro. << Per quanto adori le caramelle di fabbrica, i dolci casalinghi rimangono i miei preferiti. >>

<< Ben detto, Albus. >> rise Charlus, cingendo con un braccio la vita della moglie e avvicinandolo a sé. << Le torte di Dorea, poi, sono imbattibili. >> aggiunse, scoccandole un bacio sulla guancia.

James, rosso come un peperone, si coprì la faccia con entrambe le mani.

<< Allora, James, come va? >> domandò il preside, mentre riprendeva posto sul divano. Lui, invece, rimase come uno stoccafisso in mezzo alla stanza. << Ehm… bene. Grazie. >>

<< In quel trambusto con la figlia dei MacDonald , tuo figlio e i suoi amici sono stati molto valorosi. Sebbene abbiano infranto il coprifuoco, hanno aiutato una loro compagna in difficoltà. >>

<< Minerva me l’ha riferito. >> annuì Charlus, velatamente orgoglioso.

<< Sì, mi scusi. >> disse invece James, che dell’intero discorso aveva carpito solo la parola “coprifuoco” . Suo padre lo guardò di traverso.

Silente, invece, continuò: << Certe volte, bisogna essere pronti ad andare contro le regole, se è per una giusta causa. >>

<< …Sì, mi scusi. >>

<< E non vi è causa migliore del difendere chi ti sta a cuore. >>

<< Mi scusi. >>

Charlus gli mandò un’occhiataccia: << James, smettila di scusarti. >>

<< Oh, scus… Mi dispiace. >>

Il padre sospirò, mentre il preside rideva, benevolo.

<< Perdonalo, Albus. E’ come me, ci mette molto a carburare, la mattina. >> disse lo stesso uomo che, alle otto del mattino, aveva già mangiato, letto il giornale, terminato il rapporto all’Ufficio Auror e fatto riunione coi suoi colleghi.

<< Lo comprendo. >> replicò il mago più anziano, clemente. << Piuttosto, James, dimmi: hai già pensato al tuo futuro? >> domandò poi, con palese interesse.

<< Il nostro Jim sogna di diventare un campione di Quidditch. >> rispose il padre, in sua vece. << Vero, James? >>

<< Io… sì, credo di sì. >> rispose lui, sorprendondosi al contempo della propria incertezza. Era sempre stato molto convinto riguardo la sua carriera di giocatore. Che gli prendeva?

<< Non sembri molto sicuro. >> osservò Silente, con una strana luce negli occhi celesti.

James distolse lo sguardo, scompigliandosi i capelli con la mano. << Io… Non so, mi scusi. >>

<< Ancora con queste scuse? >> borbottò suo padre, alzando gli occhi al cielo.

Fortunatamente, Dorea Potter fece il suo trionfale ritorno dalla cucina proprio in quel momento, con un vassoio reggente una gloriosa torta alle fragole, posate, piattini e tazze che le fluttuava accanto.

<< Volete servirvi? >> domandò, allegra.

Silente fu il primo ad alzarsi.

 

 

James, sfinito, si buttò a pancia in su sul letto, sospirando.

Dopo che Silente se ne era andato, un corteo di parenti e regali era spuntato dal camino, trattenendolo per tutta la mattinata. Ognuno aveva portato dolci e dolcetti vari e, per quanto gli piacesse mangiare, il suo stomaco non aveva ancora sviluppato una capienza pari a quello di Peter, capace di reggere tutto quel cibo. Al pensiero del pranzo di Natale,che si sarebbe tenuto da lì a pochi minuti, gli veniva la nausea.

Almeno, c’erano stati i regali.

I suoi gli avevano regalato un nuovo manico di scopa, il migliore sul mercato, aveva poi ricevuto maglioni, goggibiglie, i Malandrini avevano fatto una colletta per regalargli il set di libri “Quidditch –dal XI secolo ad oggi- “ gli unici testi che avesse mai desiderato e che avrebbe mai letto –ad eccezione di qualche sporadica occhiata a quelli di scuola.-

Sempre sdraiato, allungò una mano sul comodino, cercando a tastoni lo specchio gemello con cui si teneva in contatto con Sirius.

Era Natale e non l’aveva ancora sentito, si sarebbe sicuramente infuriato se non l’avesse contattato immediatamente.

<< Ehi, ehi Pad! >> chiamò, con un sorrisone. Tuttavia, l’amico ci mise un po ‘a rispondere. Dovette aspettare qualche minuto, con un sorriso ebete in faccia che iniziava a dolergli, prima che il volto di Sirius apparisse nello specchio. << Ohi, amico. Ciao. >> lo salutò Felpato, un po’ cupo.

<< Buon Natale! Grazie per il regalo! Come va? Sei felice? Buon Natale! >>

<< Ferma la macchinetta, pazzoide. >> sorrise lui, seppur debolmente. << Aspetto ancora il tuo regalo. >>

<< Arriverà, vecchio barboncino impaziente, arriverà. >> ridacchiò lui, di rimando. Poi, come illuminatosi all’improvviso, tornò serio, e disse, con ton preoccupato: << E’ per questo che sei arrabbiato? >>

<< non sono arrabbiato. >> replicò l’altro, apparendo sorpreso. << Solo un po’ giù. >> aggiunse poi, tetro.

<< E’… E’ successo qualcosa? Confidati con zio Jim, ragazzo, avanti. >>

Sirius sorrise, malgrado tutto.

<< Non ora, ti racconto dopo. Adesso devo andare. >>

<< Eh? Ma, Pad, e la nostra chiacchierata di Natale? >> protestò il ragazzo << Non è passato nemmeno un minuto! >>

Il familiare ghigno beffardo apparve sul volto di Sirius: << Dopo, vecchio mio, dopo. E non preoccuparti, non ti tradirò con nessuna, mia cara mogliettina gelosa. >>

<< Sirius! >> lo richiamò lui, invano.

La conversazione era terminata.

Sbuffando, si ributtò sul letto.

Chissà che aveva Sirius? Era successo qualcosa con la sua famiglia?

Sapeva che ogni vacanza in cui non riusciva a sfuggire da casa Black si trasformava in un incubo, per lui. Chissà cosa succedeva tra quelle mura. Non credeva che gli alzassero le mani –Merlino, non riusciva nemmeno ad immaginarlo-, ma ogni volta Sirius tornava dalle vacanze cupo come non mai.

Chiuse gli occhi, mentre la mente si rivolgeva ad altri pensieri. Ripassò gli eventi della mattinata, la conversazione con Silente… e, in particolare, la sua insucerezza riguardo il proprio futuro.

Solo adesso, la verità gli si presentava con prorompente evidenza.

Non gli bastava diventare un campione sportivo, una celebrità. Voleva aiutare la gente, difendere gli ideali di giustizia ed uguaglianza che gli erano stati impartiti dalla famiglia, perché troppe poche erano le persone che disponevano del coraggio e dei mezzi per farlo.

Gli era servito l’incidente di Mary MacDonald per rendersi conto di quanto meschino fosse il mondo, e quanto grande fosse il suo desiderio di aggiustarlo.

<< Voglio fare l’Auror. >> esclamò inconsapevolmente ad alta voce, prendendone atto.

Oh, Merlino.

I suoi sarebbero stati fieri di lui, perlomeno.

 

 

***

Sirius ringraziò mentalmente il fatto che negli specchi gemelli era visibile solo il viso, in modo che James non si accorgesse della maniera ridicola in cui era conciato.

Con quel completo elegante di altri tempi sembrava un dannato damerino. Almeno, la chioma corvina era indomita –sebbene non al pari dei capelli di Prongs, ovviamente- come al solito, ultimo residuo della sua personalità ribelle e vivace, quel giorno.

Ah, Natale.

Quanto gli piaceva, e quanto riuscivano a farglielo odiare. Amava l’atmosfera gioiosa e calda di hogwarts, quella innevata e pacifica di Hogsmeade; detestava quella tetra e formale di casa sua.

Grande riunione di famiglia, il giorno di Natale.

Quando per famiglia s’intendono anche zii e cugini vari, ognuno più palloso, spregevole e Serpeverde dell’altro, allora l’istinto di infilarsi un cappio attorno al collo è difficilmente reprimibile.

Sospirò: era inutile rimandare a lungo l’inizio dell’agonia.

Si diede un’ultima occhiata disgustata e compiaciuta al contempo allo specchio, ed uscì dalla sua camera.

Il salotto di casa Black era stato trasformato in una sala di ricevimento. Un lungo tavolo coperto da un drappo color porpora occupava il centro della stanza, era posto orizzontalmente rispetto alle scale da cui giungeva il giovane, e alle due estremità due elfi domestici servivano gli aperitivi. Gli ospiti –una decina di parenti- avevano tutti l’aria altezzosa ed austera nei loro abiti sostenuti, scuri e sobri –i parenti dalle quattro S, li aveva chiamati una volta James, aggiungendo alla terna di aggettivi l’iniziale della parola Serpeverde-.

Nel complesso, piuttosto che un pranzo di Natale sembrava di assistere al ricevimento che segue un funerale.

A metà delle scale, Sirius non poté trattenere una morsa allo stomaco, resa più acuta dalla visione di due ragazze ai piedi della rampa.

Bellatrix, in un abito nero e aperitivo in mano, sollevò malignamente lo sguardo verso di lui, affiancata da una Narcissa abbigliata in maniera non meno altisonante.

<< Oh, cugino, guarda chi si vede. >> disse la mora, fingendo di accorgersi soltanto ora del suo arrivo. Ovviamente, pure lei si rendeva conto di quanto palese fosse la sua ostentata recita. << Affascinante, come sempre. >>

<< Cugina. >> l’appellò lui, con disprezzo. << vederti è il solito dispiacere. >>

<< Maleducato, come sempre. >> aggiunse Bellatrix, riallacciandosi alle sue precedenti parole, un ghigno allusivo sul viso pallido.

Sirius la ignorò, spostando il suo sguardo su Narcissa. La bionda lo guardò di sfuggita, ma il messaggio di quella breve e fredda occhiata fu evidente: che non fosse detta una parola, riguardo al favore che gli fece quella notte, la stessa in cui Avery e Mulciber attentarono più o meno consapevolmente alla vita di Mary MacDonald.

<< Tutti a tavola, prego. >> annunciò la voce di Orion Black, mentre, con un colpo di bacchetta, il bancone si trasformava in un tavolo attorniato da sedie e apparecchiato con stoviglie e calici d’argento.

<< Tredici posti. >> commentò sua zia Lucrezia Black, sorella di Orion, mentre prendeva posto. << Speriamo che non porti sfortuna. >>

<< Allora Regulus dovrà guardarsi le spalle. >> commentò Sirius, acido. Ogni cosa, ogni parola di quelle maledette persone lo infastidiva.

<< Speriamo di no, è l’unico erede sano di cui Salazar ci ha reso dono. >> fu l’aspro commento di sua madre.

Un tempo, Sirius avrebbe chinato il capo, incassando il colpo in silenzio. Ma, ultimamente, la sua insofferenza verso atteggiamenti di quel tipo era aumentata a dismisura. Non sapeva quale fosse la causa.

Forse gli ormoni adolescenziali, forse l’influenza di James, forse la crescente evidenza del disprezzo e la delusione che i genitori nutrivano nei suoi confronti.

Sul suo viso si disegnò un lieve ghigno provocatorio: << Forse avete mal deciso a chi rivolgervi. Sono certo che Godric Grifondoro sarebbe stato mille volte più misericordioso. >>

<< Oh, vi supplico, non nominate quello scellerato in mia presenza. >> si lagnò Irma Crabbe, la sua adorata nonnetta materna, una folle e vecchia decrepita, a parere di Sirius.

<< Lascialo perdere, nonna. >> commentò Bellatrix, lanciando frattanto un’occhiata disgustata a Kreacher, che iniziava a servire i primi piatti. << Il nostro Sir è piuttosto, di parte, direi. >>

<< Tu sta’ zitta. >> replicò lui, secco.

<< Sirius. >>

Il richiamo di suo padre fu asciutto, la sua occhiata glaciale, al punto che il ragazzo rimase in silenzio, chinando il capo.

<< Non preoccuparti zio, Sirius non si è mai affermato per educazione e compostezza. >> aggiunse Bellatrix, mentre prendeva delicatamente in mano le posate. << Dovresti vedere quanto patetici riescano a rendersi lui e quel suo amico Potter, a scuola. >>

<< Potter. Altro nome infame. >> mugugnò la vecchia.

<< Era una famiglia importante, un tempo. >> constatò zio Cygnus, discreto. << Imparentato al nobile ramo dei Black. >> aggiunse, rendendo omaggio alla famiglia sollevando di poco il calice in direzione del cognato. Orion sollevò a sua volta il bicchiere.

Tutti assecondarono il brindisi, e suo malgrado Sirius bevve dalla coppa davanti a lui.

Il vino gli scese lungo la gola come veleno.

Posando il calice, Walburga corresse il fratello: << Un tempo, esatto. Adesso, non mi sorprenderei di vederli girare a braccetto con i Babbani. >> ironizzò, provocando una smorfia di disgusto nel viso di molti dei presenti << Capisco la tua totale assenza di buonsenso, Sirius, ma questo è troppo. Devi smetterla di frequentarli. >>

Il ragazzo serrò la mascella. << Non possiamo parlarne dopo? >>

Parole vane: fu ignorato, come sempre.

<< Purosangue che fraternizzano con Sangue Sporco e babbani… E’ un tale disonore. Non immagino quale nullità sia il figlio… James, giusto? >>

James che sghignazza insieme a lui, passandogli un braccio attorno le spalle. Ramoso che si scompiglia i capelli, che è il suo migliore amico, suo fratello.

<< Per non parlare di quel biondino che c’era l’altro giorno con te alla stazione… Quello pallido. >>

<< Lupin? >> azzardò Regulus.

<< Ah, già, grazie Reg. Non so bene lo stato di sangue del padre, ma so che ha sposato… una babbana. E ciò è sufficiente a renderli tutti quanti al pari di quella feccia. >>

Remus che è sempre gentile, Remus che si degrada, che è un campione nel campo della dialettica e dell’ironia. Lunastorta che ha tanto l’aria da bravo ragazzo, che gli sbatte un libro in testa dicendogli di studiare, ma che in fondo è scapestrato tanto quanto loro.

<< Zia, che ne pensi dell’altro, Minus? >> incalzò Bellatrix, divertita dalle dinamiche che stava assumendo la conversazione.

Sirius strinse i pugni.

Peter che è  timido, silenzioso, impacciato. Codaliscia che deve essere protetto, che non crede in sé stesso, che è  fedele e vuole  loro un bene dell’anima.

<< Suo padre è un pezzo grosso, al Ministero, ma il suo sangue è infetto. Se non sbaglio, la madre di suo padre era.. >>

<< Adesso basta! >>

Prima che se ne fosse potuto rendere conto, Sirius era esploso, alzandosi di scatto e sbattendo le palme sul tavolo. I presenti ammutolirono, altri rimasero a bocca aperta. Un bicchiere vicino a lui cadde e rotolò giù dal tavolo, cadendo a terra. Il rumore del vetro che andava in frantumi spezzò il silenzio che era calato in sala.

Sirius guardò i presenti, negli occhi, freddo, furente, tutti, dal primo all’ultimo. Nel suo sguardo vi si leggeva, oltre la rabbia, anche un tono di sfida. Che si azzardassero, se ne avevano il coraggio. Che ci provassero ancora, ad insultare i suoi Malandrini.

Il suo sguardo si posò in quello di sua madre, che ricambiava con stupore, rabbia, disprezzo.

La odiava.

Lei, per quel che ne capiva il ragazzo d’interazioni umane, sarebbe dovuta essere la prima a sostenerlo, a proteggerlo a prescindere da tutto e tutti, a volergli bene ed accettarlo così com’era.

E, invece, era la prima a farsi avanti quando c’era da gettargli fango addosso.

Sapeva che era sua madre, avrebbe dovuto amarla comunque. Ma non ci riusciva, forse quello sbagliato era lui, però non poteva trattenersi dal detestarla. Era piena di odio, razzista, instabile. Era pazza.

<< Non ti permetto di parlare così dei miei amici. >> sibilò, a denti stretti. << Non davanti a loro. >>

<< Siediti. >> ordinò suo padre, l’espressione di ghiaccio. Il giovane guardò anche lui, vide l’imperturbabilità dei suoi occhi, e ne ebbe più paura rispetto al disgusto e la furia in quelli di sua madre.

… Ma non gli importava.

Sostenne il suo sguardo, a testa alta, fiero di ostentare tutta la sua audacia di Grifondoro.

<< Non preoccuparti, Orion. >> esclamò sua madre, passandosi un tovagliolo sulle labbra, chiudendo gli occhi, con aria improvvisamente tranquilla. << Presto Sirius avrà l’occasione di mettere la testa a posto, e portare onore alla sua famiglia, dato che ora sembra voler fare di tutto per metterci in imbarazzo dinnanzi alla comunità magica. >>

Con comunità magica, ovviamente, intendeva i soli Purosangue. Tuttavia, Felpato fu incuriosito dalle sue parole.

<< E questo che vuol dire? >> chiese, mentre uno strano timore s’infiltrava nella sua anima.

<< Diverrai un Mangiamorte, ovviamente. >> spiegò Walburga, in tono scontato. << Ti unirai al Signore Oscuro, e porrai la tua vita al suo servizio, giurandogli fedeltà. >>

Il silenzio scese nuovamente attorno al tavolo. Sirius si sentì morire mentre, al suo fianco, poteva ben percepire Regulus irrigidirsi.

Suo malgrado, rise, nervoso.

<< Stai scherzando, vero? >> domandò, forse nella vana illusione che si trattasse di una beffa. << Potrei finire ad Azkban. Potrei morire. >>

Tuttavia, sua madre era il ritratto della serietà. << Sarebbe una morte onorevole. Almeno, ci riscatteresti da tutto il disonore che ci arrechi ultimamente. >>

Una, due pugnalate. Sirius si sentì morire, tutto ad un colpo.

Ricordò le testate dei giornali, le foto di morti, dolore, le immagini di morte, che vedevano i seguaci del Signore Oscuro come protagonisti o fautori.

Cos’era che gli faceva così male?

Il fatto che quella donna –che, cazzo, era pur sempre sua madre!- gli augurasse un futuro simile? Che lo considerasse una vergogna per la famiglia? Che lo ritenesse soltanto uno strumento, una stupida pedina da sacrificare per l’onore e il buon nome  dei Black?

O forse tutto questo non gli importava. Magari, essendo già da tempo consapevole dei sentimenti che i genitori nutrivano nei suoi confronti, era qualcos’altro ad attanagliarli le viscere, a ferirlo come il gelo di una lama appuntita e letale.

Forse, era il senso d’impotenza per un futuro che non avrebbe potuto evitare.

Forse, era la paura.

Ora, in quel preciso momento, Sirius ne ebbe la certezza.

Non poteva rimanere lì, doveva andarsene. Doveva scappare, scappare come una bestia impaurita, con la coda tra le gambe, il corpo scosso dai brividi e il coraggio gettato da parte. Doveva fuggire, subito.

Guardò suo padre, in un moto di disperata speranza. Lui teneva il viso chino sul piatto, aveva in mano le posate.

Mangiava, come se niente fosse.

Smarrito, Sirius fece qualche passo indietro, guardandoli, guardandoli tutti.

Eccoli là, i Black, disumani, impassibili, fieri e crudeli.

Arretrò e, solo come non mai, uscì dalla stanza.

 

 

 

 

La notte era calata su Londra, fredda come sempre, accompagnata da un manto di neve e silenzio.

Nel momento della giornata in cui Morfeo culla i mortali, tuttavia, vi era qualcuno di cui animo era febbrile, sveglio.

Si trattava di un ragazzo che, infine, s’apparecchiava per mettere in atto una delle scelte più importanti della sua giovane vita.

Sirius terminò d’infilare, un po’ alla rinfusa, i suoi libri nel baule, poi lo chiuse con un colpo secco, facendovi un po’ di pressione sopra per opprimerne il contenuto all’interno.

Aprì la porta della sua stanza, senza guardarsi indietro, e trascinò il bagaglio nel pianerottolo. L’operazione non fu proprio silenziosa, ma poco importava: difficilmente avrebbero tentato di fermarlo.

Sospirò, nel buio del pianerottolo, le scale che portavano al piano di sotto, e poi all’ingresso, apparivano come un ripido dirupo senza fondo, un baratro da cui era impossibile risalire. E, metaforicamente parlando, in un certo senso era proprio così.

<< Che… Che stai facendo? >>

Il ragazzo si voltò, riconoscendo a malincuore quella voce infantile: Regulus, in pigiama e sulla soglia della sua camera, lo guardava, sconvolto ma, al contempo, palesemente consapevole. Non che ci volesse molto a comprendere quali fossero le intenzioni dle fratello, che quatto quatto nella notte si trascinava un enorme baule appresso.

<< Me ne vado, ovviamente. >> rispose lui, secco. Il suo tono risultò più duro di quanto desiderasse, ma che poteva fare?

<< No. Non puoi. Qui si scatenerebbe l’inferno. >>

<< Cosa dovrei fare, Regulus? >> domandò Sirius, sorprendendosi intanto di quanto disperata risultasse la sua voce. Ma, nel profondo, covava anche un gran senso di rabbia e frustrazione, che venne fuori nelle successive parole: << seguire i vostri folli ideali? Diventare un Mangiamorte, andare a farmi ammazzare? >>

Il colpo andò a segno. Scosso ed incerto, Regulus chinò lo sguardo, in difficoltà. Sirius lo osservò abbassare il capo, apparire così indifeso, e per un istante provò un istinto di affetto e protezione che lo fece desistere dalla fuga. Forse il fratello correva lo stesso pericolo da cui lui stava scappando? Avrebbe dovuto portarlo con sé?

Il dubbio s’insediò nel suo animo solo per un attimo.

Regulus, a differenza sua, era amato e protetto, considerato un piccolo tesoro da salvaguardare. Loro madre stravedeva per lui, e il padre l’aveva sicuramente designato come suo erede.

Difficilmente avrebbe buttato allo sbaraglio colui che avrebbe portato avanti il nome e l’onore dei Black, il futuro capofamiglia.

E, poi, Regulus poteva ritenersi perso da ormai molto tempo.

Aveva abbracciato la mentalità della famiglia, le loro idee.

Il suo luogo era quello, quello il suo ambiente. La sua famiglia, il suo mondo.

<< Lei… Mamma potrebbe cambiare idea. >> tentò Regulus, intanto. << Se solo tu potessi cambiare, smetterla di ribellarti… Se tu fosti come noi, tutto si risolverebbe. >>

In quel momento, udite tali parole, Sirius provò un enorme pietà, per lui.

Lui che un tempo era stato il suo più gran confidente, per lui che ora gli si presentava irrecuperabile.

Chiuse gli occhi.

Oh, Regulus…

<< Addio, Reg. >>

Gli voltò le spalle, il cuore a pezzi, ed iniziò a scendere le scale.

Ma, nemmeno il tempo di superare più di due gradini, che il fratello parlò di nuovo. Furono due semplici parole, che però ebbero il potere di bloccarlo, fare fermare lui e anche i battiti del suo cuore per un frangente di secondo.

Furono due parole crude, fredde, vibranti di rabbia.

<< Ti odio. >>

Fu come ricevere un pugno in pieno petto. Cosa gli fece tale effetto?

Il significato di quelle parole? Oppure, il fatto di non esserne così sorpreso?

La consapevolezza dell’astio di Regulus nei suoi confronti era stato evidente dal suo primo anno ad Hogwarts quando, divenendo Grifondoro, aveva portato in casa discussioni, litigi e rabbia.

Tanta rabbia.

Era ovvio che Regulus lo colpevolizzasse. Ma non per questo, Sirius si sentiva in dovere di pentirsi del proprio comportamento.

Non per Regulus avrebbe seguito il volere e le idee della loro famiglia. Non per Regulus avrebbe chiuso gli occhi, tradito i suoi amici e rispettato la volontà dei genitori.

Non per quella persona che, piano piano, stava iniziando a non riconoscere come quel ragazzino riservato ed affettuoso a cui aveva voluto bene.

Gliene voleva ancora, probabilmente. Ma l’affetto stava venendo messo in ombra dal rancore e dal disdegno, nel riconoscere nel suo sguardo di disprezzo quello di suo padre. Disprezzo causato dal disgusto, per i babbani, per i Mezzosangue, per chi non la pensava come loro.

Per lui.

Per Regulus, non poteva fare nulla.

<< Non parlare a voce così alta. >> si limitò a dire, senza voltarsi a guardarlo. << O loro si sveglieranno. >>

Non seppe che espressione si delineò nel viso di suo fratello.

Quella fu forse l’ultima volta che lo vide senza che entrambi si ritenessero nemici.

Scese le scale, superò il salotto, giunse di fronte alla porta d’ingresso.

Era al capolinea.

Bastava poggiare la mano sulla maniglia, spingerla verso il basso, e la sua vita sarebbe cambiata, per sempre.

Se ne sarebbe pentito?

Era pronto?

Scosse la testa: che se la sarebbe cavata o meno, era la cosa giusta da fare.

Era l’unica cosa da fare, in realtà.

Deciso, mise una mano sulla maniglia, determinato a non tornare più indietro.

<< Io ci penserei, prima di farlo. >>

Sirius si voltò: suo padre, in vestaglia, poggiato allo stipite della porta della cucina con un calice di vino in mano, lo guardava con tranquillità.

Il ragazzo sollevò il mento, con aria di sfida: << Sennò che farai, mi disconoscerai come tuo figlio? >>

Orion Black lo guardò, per mezzo dei suoi stessi occhi grigi. Non c’era odio, né rabbia o preoccupazione nel suo sguardo: come al solito, sembrava che nulla del mondo esterno lo potesse turbare, o causare in lui un qualunque sentimento, che la sua natura fosse negativa o positiva.

<< Non ti ritengo più mio figlio da molto tempo, ormai. >>

Più tardi, negli anni, Sirius poté ritenere di aver incassato il colpo piuttosto bene. Non ebbe alcuna reazione visibile, se non un impercettibile tremolio, mentre una voce, nella sua testa, lo incoraggiava con le seguenti parole: “Avanti, Sirius. Sapevi anche questo.”

Ricambiò lo sguardo di quel uomo che, in fondo, per lui era sempre stato un estraneo.

<< Allora, non ho davvero nessun motivo per rimanere qui. >>

Suo padre non disse nulla.

Sirius aprì la porta, e fu fuori.

 

 

 

Il freddo della notte lo investì tutto d’un colpo, insieme a quella forte e totale consapevolezza.

Era libero.

Libero da ogni costrizione, rimprovero, obbligo, preoccupazione.

… Libero dalla sua famiglia.

Due lacrime, solo due, gli rigarono le guance, già arrossate per l’aria gelida, mentre un vento leggero gli scompigliava i capelli corvini.

Era libero, ma anche solo.

Non aveva più un padre.

Non aveva più una madre.

 

<< Ti odio. >>

 

Chiuse gli occhi.

Quella notte, aveva perduto Regulus.

Tuttavia, ciò non voleva dire che non avesse più nessuno da chiamare fratello.

Inspirò profondamente, con l’aria ghiacciata di Dicembre che gli penetrava nei polmoni.

“Ricorda questo momento, sempre. Percepiscilo, assaporarlo in tutta la sua intensità, perché è questo l’istante in cui smetti di essere un Black, ed inizi ad essere semplicemente Sirius.”

Iniziò a camminare, il baule appresso, i piedi che incespicavano sull’asfalto bagnato.

Non si voltò indietro a guardare la sua vecchia casa.

Scese un’altra lacrima, ma andava bene così.

 

 

 

***

 

<< James, suonano alla porta! >>

<< Sì, mamma, scendo! >> urlò il ragazzo, precipitandosi giù dalle scale, e imprecando mentalmente nel frattempo.

Probabilmente era un altro di quegli insopportabili gruppi canterini che intonavano carole natalizie di casa in casa. Aveva trovata una figata assurda il primo, trovati piacevoli gli altri tre ed odiosi il quarto e il quinto. Non ne poteva più.

Il campanello suonò di nuovo.

<< Arrivo! >> gridò James, scavicollandosi verso la porta e rischiando di rompersi l’osso del collo inciampando nel tappeto. Praticamente, precipitò sulla maniglia: << Basta, con questi cazoncine ci avete rotto… >>

S’interruppe a metà frase, guardando colui che si trovava sull’uscio di casa.

Una figura snella, incappucciata, più alta di lui.

Abbastanza riconoscibile.

James si sporse in avanti –incurante di avere addosso soltanto il pigiama- e piegò la testa di lato, cercando di sbirciare sotto il cappuccio. << Pad? >> domandò, perplesso e stupito allo stesso tempo.

<< Posso entrare? >> domandò Sirius, con voce strana.

Ramoso battè le palpebre, confuso. << C-certo. >> rispose tuttavia, facendosi di lato per lasciare passare l’amico. Mentre gli passava accanto, notò che portava con sé un grosso baule.

James si chiuse la porta alle spalle: << Sirius, che succede? >>

<< Scusami, Jam. Non sapevo dove andare. >>

Prongs iniziava a non capirci più nulla.

<< Che vuol dire che non sapevi dove andare? Perché hai un baule con te? E perché ora che sei in casa non ti abbassi quel cappuc-… oh. >>

James si bloccò di colpo, mentre le parole gli morivano in gola. Ora che ora sotto la luce della lampada, riusciva a scorgere con abbastanza chiarezza il viso dell’amico, nonostante il cappuccio del mantello ne coprisse gran parte.

Ci mise un po’ a capire cosa volessero dire il naso rosso, gli occhi lucidi e il viso bagnato.

Sirius, il suo amico Sirius, stava piangendo.

<< Sirius… >>

<< Dovevo andarmene, Jim. Non potevo restare. >> continuò l’amico, la voce forzatamente controllata, le lacrime palesemente represse.

<< James, chi è? >> domandò intanto Dorea, spuntando dalla cucina con ancora i guanti da forno e il grembiule addosso, seguita a ruota dal marito. << Sirius! Che ci fai qui? >>

Il giovane Potter guardò l’amico.

Aveva capito tutto, infine. Rimase in silenzio, sconvolto, a fissarlo imbambolato.

Felpato era lì.

Felpato non aveva più una casa.

Nel frattempo, Sirius distolse lo sguardo, ruotando lievemente il capo verso i suoi genitori.

<< Scusi l’orario, signora Potter. Non volevo disturbare. >>

<< Non… Non preoccuparti, figliolo. >> rispose al suo posto Charlus, mentre la moglie si portava una mano alla bocca. Dovevano aver notato il viso umido di pianto, l’espressione stravolta. Seguì qualche istante di imbarazzato silenzio.

James, dal canto suo, attendeva.

Continuava a guardare l’amico, e aspettava che si sfogasse, che urlasse, che piangesse, che facesse qualsiasi cosa che non fosse rimanere lì, fermo e muto, tenendosi tutto dentro.

Ovviamente, Sirius deluse le sue aspettative.

James avvertì la rabbia crescere dentro di lui.

<< Sei uno stupido! >> sbuffò e, con immenso stupore da parte dei suoi genitori, strinse l’amico in un abbraccio, alzandosi sulle punte e buttandogli le braccia al collo.

Non avvertì nessuna reazione da parte di Sirius, se non un lieve sussulto, e pertanto lo strinse più forte.

Non gli importava se, in quel pigiama ridicolo ed abbracciato ad un altro ragazzo si stesse rendendo patetico.

<< Che vuol dire che non sapevi dove andare? >> gli chiese, di nuovo. << Saresti dovuto venire qui fin da subito, lo sai. >>

Sirius rimase in silenzio per qualche momento. Poi, lentamente, sollevò le braccia.

In pochi attimi, l’amico stava ricambiando il suo abbraccio, disperatamente, piangendo, come un bambino, sulla sua spalla.

 

 

***

 

Lily si chiuse la porta alle spalle e s’accasciò contro di essa, sfinita.

Avere a che fare con sua sorella Petunia stava diventando sempre più estenuante e complicato. Nemmeno tutto il sangue freddo –di cui non ne aveva neanche una goccia, lei- reperibile avrebbe potuto aiutarla a resistere dalle sue frecciatine, sempre più frequenti da un anno a quella parte. Mantenere la calma era piuttosto complicato; il risultato erano bicchieri che si rompevano e lampadine che saltavano a causa di un indesiderato rilascio di magia da parte sua.

Di sotto, era appena andato in frantumi il vaso di vetro regalato loro dalla zia; Tunia aveva colto l’occasione per infierire, rigirare il coltello nella piaga e darle dello scherzo della natura.

Non si offendeva nemmeno più, ormai.

Più che altro, era stanca. E triste. Sebbene i suoi genitori la sostenessero e sgridassero la sorella ogni qualvolta che le rivolgeva insulti ed offese varie, Lily iniziava a sentirsi un’estranea, in quella casa.

Non sapeva più dove sentirsi a proprio agio: nel mondo babbano, quello in cui era nata ma a cui non apparteneva più, o in quello magico, dove le davano della strega a metà.

Si staccò dalla porta e, con decisamene poca grazia, si buttò sul letto.

… Si sentiva sola.

I suoi genitori, sebbene affettuosi come sempre, cominciavano a guardarla in un modo strano.

Sua sorella aveva paura di lei, o la invidiava, ad ogni modo, la detestava.

Con Alice andava d’accordo, ma era poco più di una compagna di scuola.

Aveva litigato col suo unico vero amico.

Chiuse gli occhi, avvertendoli umidi.

“Severus, dove sei?”

Come a rispondere alla sua domanda, un rumore sordo la fece sobbalzare.

In un primo momento, attribuì l’origine di quel suono alla sua immaginazione, ma quando questi si ripeté una seconda e una terza volta, scattò a sedere, voltandosi verso l’origine: la finestra della sua stanza.

Vide il vetro bagnato all’esterno, e capì subito.

Si alzò, corse verso la finestra, decisa a porre fine alla cosa.

<< Vuoi smetterla? Romperai il vetro, in questo modo. >> esclamò, affacciandosi all’esterno, sul lato che dava sulla strada.

Una figura scura stava davanti al cancelletto di casa Evans, una palla di neve in mano.

<< Lily, perdonami. Ti prego, ti chiedo scusa. >> la implorò Severus, nel suo abbondnate e vecchio cappotto nero, l’aria da cane bastonato.

La ragazza rammentò la loro discussione, il litigio che avevano avuto ad Hogwarts.

Avrebbe voluto fare la sostenuta ma la verità era che era felicissima di vederlo.

… Ma non bastava. Dovevano parlare, chiarire la faccenda.

<< Aspetta. >> disse Lily << Vengo giù ad aprirti. >>

Uscì dalla stanza, scese le scale e corse verso la porta, ignorando l’aria interrogativa sulla faccia dei suoi.

Uscì in giardino, dirigendosi verso il cancello.

Severus le rivolse uno sguardo timoroso.

<< Ciao. >> tentò, timido. Lily gli parì il cancelletto: << Entra pure. >>

Quando rientrarono in casa, la ragazza si rivolse ai genitori: << Severus è passato a salutarmi e a farmi gli auguri. Siamo di sopra, ok? >>

Suo padre grugnì un verso di assenso, mentre squadrava malamente il ragazzo che, alle nove di sera, saliva nella camera da letto di sua figlia.

 

 

<< Allora? >>

Severus guardò Lily, incerto. Non sapeva da dove iniziare anzi; non era nemmeno sicuro del motivo per cui era lì.

L’unica certezza che aveva era il profondo sentimento che lo legava a Lily Evans.

Non voleva, non poteva permettersi di perderla.

Perché era di questo che aveva paura: essere lasciato indietro.

Fissò il verde intenso dei suoi occhi, occhi che oramai erano parte integrante e fondamentale della sua vita, della sua anima. Tuttavia, non riuscì a leggervi dentro.

Sebbene conoscesse Lily da molto tempo, la ragazza per lui rappresentava un mistero. Nei primi tempi non riusciva a capire: com’era possibile? Lui era sempre stato bravo a studiare le persone, comprenderne la natura, calcolarne le mosse. Con lei, invece, no. Solo dopo aveva compreso quanto i suoi sentimenti, confusi e potenti, offuscassero il suo giudizio.

La verità, era che stare con Lily lo tormentava. Di gioia, ma anche di timore, di folle terrore per la possibile natura effimera di quella situazione di felicità.

Forse, un giorno Lily si sarebbe stancata di lui.

Ed allora, eccolo lì, ad aggrapparsi a lei con tutte le sue forze. Non poteva, Lily non poteva sostituirlo con qualcun altro. Soprattutto se questi era James Potter, che non faceva altro che umiliarlo e denigrarlo.

… Ma pazienza. Sebbene non potesse neanche concepire il pensiero di lui e la sua Lily uno accanto all’altra, avrebbe sopportato una loro eventuale amicizia.

Tutto, pur di non perderla.

<< Severus…? >>

Al richiamo della ragazza, il Serpeverde sollevò lo sguardo, e il cuore gli si fermò in petto.

La sua Lily, eccola là.

Amava ogni singola cosa di lei, e gli ci era voluto così tanto, per capirlo.

Cadde lentamente sulle ginocchia, le palme a terra, il capo chinato verso il pavimento.

<< Perdonami, Lily. Ti prego. >>

Lei parve in difficoltà: << Avanti, alzati… >>

<< No! >> ribatté il giovane, la voce tremante. << E’ qui che merito di stare. >>

“Ai tuoi piedi. Perché non ti merito, perché non ti avrò mai. Ma sei con me, comunque.”

Sbirciò il viso di Lily: la ragazza parve intristirsi. Severus non sapeva se aveva capito il senso delle sue parole; fatto sta che si inginocchio di fronte a lui, prendendogli il viso tra le mani e costringendolo delicatamente a guardarla negli occhi.

Guardarla negli occhi. Un premio o una punizione, non avrebbe saputo dirlo.

<< Severus Piton, smettila di denigrarti in questo modo. >> iniziò, dolce ma ferma. << Sei una persona meravigliosa. Sei il mio migliore amico. >>

<< Ma, l’altro giorno, ad Hogwarts… >>

<< Era solo una discussione. Può capitare. >>

Severus distolse lo sguardo: << Io… >>

Chiuse gli occhi.

Li riaprì, e tornò a guardarla.

<< Io… ho paura di perderti, Lily. >>

Le parole sembrarono soritre uno strano effetto sulla Grifondoro. In un primo momento, i suoi occhi si spalancarono, in un moto di stupore. Poi, prima che Severus se ne potesse rendere conto o fare qualcosa per impedirlo, essi si colmarono di lacrime.

La ragazza lasciò il viso dell’amico, e portò le mani sul proprio, coprendolo e scoppiando a piangere.

<< Lily… >>

<< Scusa. Scusa se piango. >>

Lo sguardo del ragazzo si addolcì, in un intenso moto d’affetto.

“Non ti scusare mai con me, Lily. Non ce ne sarà mai bisogno.” Pensò il Serpeverde.

Ed era la verità: solo il fatto che lo guardasse, il solo fatto di esistere, avrebbe riscattato la sua Lily da qualsiasi colpa.

La ragazza, intanto, scostò leggermente le mani dal volto, lasciando intravedere un occhio verde.

<< Posso abbracciarti? >>

Severus s’avvertì avvampare, in imbarazzo. Tuttavia, acconsentì, titubante. << C-certo… >>

Un po’ insicura, Lily si sporse in avanti. Poi, pian piano, si strinse a lui, affondando il volto sulla sua spalla. << Anch’io ho paura di perderti, Sev. Sei l’unica certezza rimastami. >> mormorò, chiudendo gli occhi. << Ti prego, dimmi che ci sarai sempre. >>

Lentamente, Severus ricambiò l’abbraccio. << Te lo prometto. >>

 

***

 

Quando Ramoso scrisse loro una lettera, di nascosto all’amico, nel cuore della notte, Remus e Peter si attivarono subito per essere lì per l’indomani.

James aveva appena trascinato Padfoot in cucina a fare colazione con i suoi, quando i due Malandrini ruzzolarono fuori dal camino di casa Potter, sporchi di cenere, con Codaliscia che precipitò sopra il ben più esile amico.

<< Sirius! >> esclamarono all’unisono, dal pavimento. Felpato li osservò stupefatto, sperando nel frattempo che il povero prefetto non si fosse fatto troppo male, sotto un Peter reduce dai numerosi e abbondanti pasti natalizi.

Non fece in tempo a chiedersi cosa ci facessero lì, che Prongs lo precedette, avvicinandosi ai due ed esclamando a gran voce: << Oh, amici! Cosa vi ha portati sino a qui? >> domandò, a voce esageratemente alta ed esageratamente sorpresa.

Peter e Remus si scambiarono un’occhiata interrogativa, poi il viso del licantropo parve illuminarsi.

<< Ah! Noi siamo qui per… Augurarti un buon natale! O meglio, buon giorno dopo natale! >> esclamò, anch’egli con un tono di voce talmente alta da palesare la recita messa in atto –e risultando insolitamente ridicolo.- << Oh, Sirius! Anche tu qui? >> domandò poi all’amico, con sorpresa poco credibile.

Peter, dal canto suo, iniziava a non capirci più nulla: << Ma che stai dicendo, Remus? Siamo venuti apposta per lu-.. >> dovette interrompersi, poiché James si era tolto una pantofola e gliela aveva tirata in testa.

Sirius guardò di sottecchi i suoi amici: era chiaro che James avesse raccontato della sua fuga.

Forse si sarebbe dovuto sentire arrabbiato ma, in realtà, era contento che Prongs li avesse chiamati. E, probabilmente, James stesso sapeva che ne sarebbe stato felice.

Aveva bisogno dei suoi Malandrini, in quel momento.

Voleva che l’unica famiglia rimastagli gli stesse accanto.

Dal pavimento, Remus sollevò lo sguardo verso di lui, preoccupato: << Sirius… >>

Il ragazzo sbuffò, chiudendo gli occhi e scuotendo la testa, mentre un piccolo sorriso increspava le sue labbra.

Si piegò sulle ginocchia, chinandosi sui due.

Scompigliò i capelli di Lunastorta e diede qualche pacca sulla testolina di Codaliscia, trattandoli a mo’di cagnolini.

<< Grazie di essere qui, ragazzi. >>

James, dietro di loro, sorrise.

In fondo in fondo, quelle feste natalizie erano ancora recuperabili.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** Natale (parte II): al suon di famiglia, ospedali, fantasmi del passato e cincin ***


Questo capitolo, invece, lo dedico a  Focosa.

E' stata lei uno dei motivi per cui ho ripreso la ff. Mi hai incoraggiato a continuare, grazie.

Spero che tu stia continuando a seguirmi ma, a prescindere, ti sono grata per avermi dato la spinta a "ricominciare" a immergermi nel mondo di Lily e i Malandrini.

Grazie.

 

 

 


Capitolo 10

 Natale (parte II):

Al suon di famiglia, ospedali, fantasmi dal passato e cincin

 

 

 

 

 

Remus non pensava di poter parlare tanto a lungo.

Certo, di insegnanti esigenti ne aveva incontrati, ma mai un’interrogazione aveva messo così a dura prova la sua salivazione.

Ma Lucy Garrett pendeva dalle sue labbra, con un talmente entusiastico interesse da fargli ritenere il non rispondere alle sue domande profondamente ingiusti. Mentre scendevano verso Pitlenchy, il paese più vicino alle loro proprietà su in collina, la ragazza gli faceva mille domande su Hogwarts e le lezioni che non avrebbe mai frequentato.

Lucy apprendeva con tanta rapidità, ed ascoltava con tale interesse, che Remus pensava fosse un enorme peccato che fosse una Magonò. Sarebbe decisamente stata una studentessa più valida e motivata di molti ragazzi che avevano la fortuna di frequentare Hogwarts.

Quando le aveva espresso la sua opinione, la ragazza, di un anno più grande di lui, aveva modestamente negato, scuotendo le lunghe trecce color paglia. Era lui ad essere un ottimo insegnante. All’idea di se stesso seduto dietro ad una cattedra, Remus aveva riso di cuore.

<< Cosa ti serve? >> gli domandò la ragazza, radiosa come suo solito. Il giovane le fece un elenco sommario delle varie commissioni che gli aveva affidato la madre.  << Dovrei anche comprare la Gazzetta del Profeta. >> aggiunse, ripercorrendo mentalmente le parole di Helena Lupin, interessatissima alle vicende che involgevano la comunità dei maghi.

Era straordinariamente sorprendente, sua madre.

Era una Babbana, ma aveva piacevolmente accettato di seguire il marito in quel paesino di soli maghi, mostrando grande e genuino interesse per quel mondo così diverso.

D’altronde, era una giornalista, le novità e la scoperta erano i motori che animavano la sua esistenza. Tuttora inviava i suoi articoli a diversi giornali e riviste babbane, anche se il suo più intimo desiderio Remus sapeva essere quello di approdare sulla testata della Gazzetta del Profeta.

<< Povero piccolo Remmy, la signora Lupin dovrebbe evitare di caricare cos’ tanto le tue esili spalle. >> sghignazzò la ragazza, le mani nella salopette di jeans e un sorriso simpatico sul viso abbronzato; Remus sperò di non essere arrossito troppo, benedicendo al contempo il fatto che nessuno dei suoi amici fosse presente.

<< Sono poche cose. >> disse in sua difesa << Anche perché devo essere libero per le dodici. >>

Lucy sollevò le sopracciglia, scherzosamente allusiva. << Appuntamento galante? >>

<< Oh, certo. >> replicò lui, facendo spallucce << la mia scopa attende trepidante che ritorni. >>

La ragazza ridacchiò: << Tu non m’imbrogli, Remus Lupin. Ti dispiace se faccio un salto da Zuccotti? Sto morendo di fame. >>

Remus le disse di non preoccuparsi, e mentre la osservava studiare con golosa attenzione la vetrina della pasticceria, pensò che sarebbe stato carino portarle qualcosa da Mielandia, la prossima gita ad Hogsmeade, peccato che avesse a stento i soldi per comprarsi i libri di scuola.

Mentre Lucy poggiava mano e naso sul vetro con l’entusiasmo di un bambino –cosa alquanto paradossale, considerando quanto alta fosse la ragazza-, lui si perse ad osservare le strade tranquille del paesino. Faceva abbastanza caldo, per essere Dicembre, e i muretti in mattone arancione erano illuminati dalla tiepida luce del sole.

Divagò con la mente: pensò a Sirius, sentendosi triste per lui ma ritenendo che forse era meglio così; pensò al fatto che suo padre fosse stato quasi del tutto assente, quelle vacanze, e se ne chiese il motivo; pensò che doveva sbrigarsi perché il giorno prima avevano deciso coi Malandrini di andare a far visita a Mary MacDonald, e che presto Charlus Potter sarebbe passato a prendere lui e Peter per Smaterializzarsi poi direttamente al san Mungo.

Distolse lo sguardo dall’amica, che era infine entrata nel locale, e lo indirizzò casualmente verso i muri delle strade, distratto.

Fu allora che lo vide.

Stropicciato dal vento ma nuovo nuovo di stampa, poiché non ancora ingiallito, un manifesto spiccava tra un’abitazione e una bottega d’animali.

Il mondo si fermò all’improvviso, per Remus J. Lupin.

Le voci della strada s’acquietarono di colpo. Anche il suo cuore parve bloccarsi tutto ad un tratto.

In quella foto color seppia, riconobbe dei lineamenti poco nitidi ma sicuramente presenti nei suoi ricordi, riconobbe l’ampia mascella, il lungo naso, e gli occhi -quei maledetti occhi.

Si sentì morire ancora prima di trovare conferma nelle parole stampate sotto a caratteri cubitali.

 

 

RICERCATO

Fenrir Greyback,

Avvistato nei pressi di Perth

 

Ricompensa di 6.000 galeoni

 

 

Quando Lucy uscì da Zuccotti, masticando un bacchetta di liquirizia, lo vide di profilo, estremamente pallido e con lo sguardo stralunato perso a fissare un punto dinnanzi a te.

Si fermò a qualche passo di lui, preoccupata. << Remus…? >>

Il ragazzo si accostò al muretto dietro di sé, quasi sostenendosi ad esso, le diede le spalle e si allontanò di qualche passo, ritirandosi in un angolo cieco della strada.

Poi si fermò, si piegò in due e vomitò sull’asfalto.

<< Remus! >> Lucy gli corse incontro, posandogli una mano sulla schiena. << Stai male? >>

Lui respirò a fatica, mentre un fiume di ricordi ed immagini riaffiorava impetuosamente, trapanandogli la testa.

Un grosso animale che ansima, un ghigno, suo padre che gli dice che andrà tutto bene.

Zampe, sangue, denti bianchi, denti aguzzi, dolore, ululato.

Occhi rossi, che rimangono tali, mentre tutto il resto cambia.

<< Remus, dimmi che hai! >>

Remus chiuse gli occhi.

Un respiro profondo, e pian piano tutto iniziò ad acquietarsi. Le orecchie parvero stapparsi all’improvviso, mentre la voce concitata di sua madre e la risata sguainata di Greyback lasciavano spazio ai rumori di Pitlenchy.

E la voce di lei.

<< Remus! >>

Il ragazzo, lentamente, si raddrizzò, pulendosi le labbra col bordo della manica.

“Sta calmo.”

Lucy continuava a guardarlo con l’aria disperata di chi non sa come comportarsi.

<< Non preoccuparti. >> la rassicurò, parlando a fatica. << Va meglio. Troppa cioccolata. >>

Con le braccia lungo i fianchi, la ragazza lo fissa, impotente: << Cosa posso fare? >>

<< Non preoccuparti. >> disse nuovamente lui, non accorgendosi di essersi ripetuto. << Cosa… Cos’altro devi comprare? >>

<< Niente, porco ippogrifo! Torniamo a casa! >>

Mentre la ragazza lo afferrava per mano, trascinandolo verso la via del ritorno, Remus meditò sul fatto che Perth fosse ad appena un’ora di viaggio da lì.

All’improvviso, la prolungata assenza di suo padre, i suoi silenzi, e l’ansia di sua madre assunsero un senso.

Oh, cazzo.

 

***

 

Quando riapparvero con un pop in mezzo ad un corridoio bianco, a Lily cedettero le gambe.

L’uomo accanto a lei la sorresse per un braccio: << Attenta. >>

La ragazza, in preda ad un moto di nausea, si sentì un po’ in imbarazzo, per quella situazione un po’ insolita: il padre di James Potter che la sosteneva con premura. Dannato il giorno in cui aveva scritto a Remus per chiederle di andare a fare visita a Mary e in cui come risposta gli era arrivata direttamente una lettera di Potter. Junior, ovviamente.

<< Stai bene? >>

<< Sì, grazie. >> rispose lei, riprendendosi. L’uomo la guardò: << Era la tua prima smateralizzazione? >>

<< Già… >>

<< L’hai retta bene. >> esclamò, gentile. <<< Io ho vomitato, la prima volta. E James continua a farlo, qualche volta. >>

“Ma va?” pensò lei, lieta di aver scoperto uno dei punti deboli del ragazzo e, al contempo, cercando quest’ultimo con lo sguardo. Lo vide proprio a pochi passi da loro, insieme al resto della sua banda. Potter le dava le spalle, Black, di fronte a lui, invece la vide, e con aria annoiata disse qualcosa all’amico. Potter, ovviamente, si voltò di scatto, con un sorriso radioso.

<< Evans! >>

Lei, sebbene i rapporti prima delle vacanze di Natale sembrassero essere migliorati, era guardinga e decisamente restia ad accettare gli eccessi affettivi del Grifondoro. Si preparò a piazzargli un piede in faccia non appena le si fosse gettato incontro, in qualche languido ed indesiderato slancio amoroso, tuttavia non accadde nulla: Potter si limitò a salutarla, seppur evidentemente felice, e poi le diede le spalle, tornando a parlare coi suoi amici.

Ne rimase sorpresa e, forse anche un po’ delusa. Proprio adesso che avevano non proprio seppellito ma messo da parte l’ascia da guerra, lui la ignorava? Aveva forse fatto qualcosa di sbagliato?

Rimase ferma, al centro del corridoio, incerta sull’avvicinarsi o meno, studiando i suoi compagni di scuola. Ora che ci pensava, Remus non l’aveva neppure degnata di uno sguardo; rivolse dunque la attenzione verso di lui e notò che se ne stava un po’ appartato rispetto al semicerchio formato dai tre amici, con lo sguardo perso a fissare il pavimento. Anche Black sembrava un po’ strano: non pareva triste, ma neanche faceva la solita comunella ridacchiante con Potter che, a sua volta, s’agitava come un forsennato, forse cercando di tirare su il morale collettivo.

Effettivamente, vedere i Malandrini così pacati le faceva uno strano effetto.

Capitò che il suo sguardo incrociasse quello di Minus, alla sinistra di Potter. Il ragazzo, seppur avvampando, abbozzò un piccolo sorriso e sollevò la mano in cenno di saluto.

Lily lo prese come motivo per avvicinarsi.

<< Ciao a tutti. >> li salutò timidamente.

Remus sembrò notarla solo in quel momento, quindi sollevò lo sguardo e le sorrise. << Lily, ciao. >>

<< Evans! >> esclamò Potter giovialmente, tentando di cingerla per un fianco. Lei si sottrasse rapidamente, al contempo rasserenata dal constatare che in definitiva il ragazzo non ce l’avesse con lei. Che nessuno di loro, ce l’avesse con lei. Tranne Black, forse, che la guardava con la solita diffidenza.

Ricambiando il suo sguardo, Lily inarcò le sopracciglia, un po’ irritata. << Qualcosa che non va, Black? >> domandò, ostile. 

<< Secondo te, Evans? >>

Lei lo guardò di sottecchi. Potter non disse nulla, ma si allontanò da lei per avvicinarsi all’amico, e cingergli le spalle con un braccio, con fare complice. << Ehi, Pad, guarda, è pieno di Madama Chips qui. Non è fighissimo? >>

Black assunse un’espressione strana, quasi riconoscente –addolcita, avrebbe detto, se non fosse suonato così strano-, e sorrise: << Non ci saranno mai troppe Poppy, al mondo. >>

<< Ben detto! >> concordò l’altro, rivolgendosi poi ad un’infermiera a casaccio. << Poppy numero sette, dobbiamo fare una visita. >>

La donna lo guardò malissimo, Black sorrise, Minus si nascose la faccia dietro le mani, imbarazzato e Lily, probabilmente, guardò Potter come se davanti a lei ci fosse un povero idiota. Remus continuò a fissare il pavimento.

<< James, fa’ silenzio. >> lo riprese il signor Potter, spuntando ora alle sue spalle. Più che seccato appariva rassegnato. << Siamo in ospedale. >>

Il ragazzo si passò una mano tra i capelli: << Scusa, pa’. >> disse, con un sorriso imbarazzato che Lily trovò adorab… No.

<< Non preoccuparti. Piuttosto, che ne dite di cercare la stanza? >>

<< Okay. Chiediamo alla Poppy obesa? >>

 

La stanza era la 206 B.

Mentre il signor Potter si sedeva in corridoio ad aspettare, Lily e gli altri bussarono alla porta.

Quando la voce di Mary esclamò: << Avanti! >> entrarono timidamente nella stanza.

Il letto bianco era posizionato frontalmente alla porta, in modo che il paziente potesse guardare subito in faccia chi veniva a far visita, e viceversa.

Appena li vide, Mary MacDonald sorrise, radiosa. << Ehi, ciao! >> esclamò, col tono allegro che Lily ben ricordava, << Do’, guarda chi c’è! >> aggiunse poi, rivolgendosi alla ragazza seduta vicino alla finestra, intenta a sfogliare una rivista con poco interesse. Lily ci mise poco a riconoscerla. Corporatura esile, piccola quasi quanto Alice, capelli lisci e neri di media lunghezza ed incarnato pallido: Dorcas Meadowes, Grifondoro, di un anno avanti al loro.

L’unica persona con cui si vedesse insieme era Mary, per l’appunto, e Lily si era più volte chiesta cosa un tipetto pimpante e frivolo come lei ed una ragazza seria e silenziosa come la Meadowes avessero in comune.

La ragazza sollevò di poco lo sguardo verso di loro.

<< Oh. >> disse, sebbene la voce atona non rasentasse nemmeno lo stupore. << I tipi rumorosi del quinto anno. Ciao. >>

Potter sussultò, incredulo. Indicò se stesso col dito, poi si voltò repentinamente verso coloro che lo affiancavano: << Ha detto che sono rumoroso. Sono rumoroso? >>

<< Sei un rompiballe, che poi è un po’ la stessa cosa. >> borbottò Lily, aggrottando le sopracciglia.

<< E chi saresti tu, per dirlo…? >> incalzò Black, acido. Lily ci mise un po’ a comprendere che il commento non era rivolto alla Meadowes, bensì a lei, e ne rimase colpita ed irritata. Va bene che i rapporti con Black non erano mai stati idilliaci, ma di solito ogni volta che lei insultava Potter, il ragazzo se la rideva di gusto.  Cos’era questo improvviso accanimento?

Dorcas Meadowes guardò prima lei e poi Black. << Se non sbaglio, anche voi due siete rumorosi. >>

<< Siamo tutti rumorosi, qui dentro. >> constatò felicemente Mary, allargando le braccia verso l’esterno. << Tranne Dorcas, Peter che se ne sta sempre zitto e Remus che è un angioletto. Sirius, noti qualcosa di diverso in me? >> trillò poi, scuotendo il capo. Lily se ne rese conto solo in quel momento.

Intanto, Black alzava le spalle, borbottando un “Perché lo chiedi a me?”, mentre Potter con un saltello e un sorrisone: << Hai tagliato i capelli! >> esclamò, e sembrava quasi che non una lampadina bensì un intero impianto al neon brillasse sulla sua testa, accompagnando l’improvvisa illuminazione.

Dorcas li guardò entrambi, perplessa: << Sono solo capelli. >> e Lily si ritrovò a chiedersi come avesse trovato il tempo di tagliarseli, in ospedale. Mary incontrò il suo sguardo, e sembrò comprendere il motivo della sua espressione dubbiosa. << Hanno dovuto radermi, prima. Avevo una brutta ferita alla testa. >> spiegò, con sorprendente tranquillità. << Mi hanno somministrato una pozione per farli crescere, ma ho preferito tenerli più corti. Mamma dice che cambiare taglio è un buon modo per dimenticare le cose brutte. >>

L’amica al suo fianco la guardò, questa volta con aria comprensiva e un po’ triste. Posò una mano sulla sua, in silenzio.

<< Ti stanno molto bene. >> le disse gentilmente Remus, che era rimasto in silenzio fino a quel momento.

<< Grazie. >> rispose lei, un po’ cupa. Per un attimo, sembrò perdersi nei suoi pensieri, poi continuò: << Non solo per questo, ovviamente. Grazie per avermi aiutata. >>

<< Non preoccuparti. >> mormorò Lily. << Davvero. >>

Mary chiuse gli occhi e sorrise mestamente, scuotendo leggermente la testa.

Dopo un po’, parlò anche Black: << Concordo con Evans. Se non ci si aiuta a vicenda, con tutti questi Serpeverde saremmo fottuti... E’ un piacere aiutare una compare Grifondoro. >>

La bionda lo guardò con un sorriso.

<< Vedi, Sirius? Fai tanto il duro ma alla fine sei un cuore dolce. >>

Il ragazzo rimase un po’ spiazzato, mentre Potter annuì con aria solenne. << Eh già. Dolce come la panna. >>

L’amico lo guardò malissimo, non capendo il perché di tale demenza.

Nel frattempo, Mary aveva nuovamente spostato gli occhi nocciola sulla prefetto.

<< Ah, Lily. >> disse, richiamando la sua attenzione. << Ti prego, chiedi scusa ad Alice da parte mia. Sono sicura che lei e Paciock avranno tanti carinissimi bambini Tassorosso. >>

L’altra sorrise. << Riferirò. >> promise, mentre Potter, al suo fianco, fece un salto immotivato.

<< Ah! >> esclamò, d’un colpo. << Ecco chi distrae la mia squadra dal gioco! Quel Paciock non me l’ha mai raccontata giusta! >> fece una pausa << …Si può sapere chi è? >>

Lily lo guardò storto: quella mattina Potter era troppo esaltato anche per i suoi standard. Meadowes, intanto, scuoteva in maniera impercettibile il capo: << Rumoroso ed anche insensibile. Va al vostro stesso anno. >>

<< E’ quello biondo, muto ed enorme. >> spiegò Mary. << Gli ho dato dello sfigato e mi dispiace. D’ora in poi lo chiamerò “il gigante buono” >> sembrò pensarci un attimo. << “… e biondo. “  >>

<< Il biondo gigante buono. >> meditò Potter, più ridicolo del consueto. << Forte, vero Sirius? >>

<< Uh-uh. >> mugugnò lui, in cenno di assenso.

<< Non sono buffi i Malandrini, Do’ ? >> chiese la bionda all’amica seduta al suo capezzale. << Impossibili non amarl-ahi. >> s’interruppe la ragazza, portandosi una mano al fianco. Dorcas scattò all’in piedi, Lily e gli altri per poco non si precipitarono sul letto.

<< Che hai? >>

<< Niente, solo una fitta. Un taglio che si sta cicatrizzando. >> li rassicurò, con una smorfia che doveva essere un sorriso.

<< Vuoi qualcosa? >> domandò Black con tono che denotava il panico più totale. << L’infermiera, un po’ d’acqua, una scarpa? >>

La Meadowes aggrottò le sopracciglia: << Che se ne fa di una scarpa? >>

<< E che ne so, non sono mica un dottore. >>

<< Dormi distesa sull’altro fianco? >> s’intromise Remus, prendendo la parola dopo lungo tempo, avvicinandosi al lettino. Mary annuì, guardandolo dal basso.

<< Ti conviene dormire sulla schiena. Da un po‘ di fastidio, ma è meglio. >>

<< Che cosa macabra. >> scherzò Potter, rabbrividendo. << Darsi consigli su come facilitare la guarigione di una ferita. Non è vero, Pad? >>

<< Invece è carinissimo. >> replicò Mary, allegra, prima che Black avesse il tempo di aprire bocca. << Grazie mille. >>

 

 

Uscirono dalla stanza più o meno mezz’ora dopo, quando tornarono i genitori di Mary e decisero di lasciarli soli. La sua amica, al contrario, sarebbe rimasta lì, tuttavia li accompagnò fuori, chiudendosi la porta alle spalle. << Sarò breve, anche perché Mary pensa che io e Minus dovremmo metterci insieme, dato che è l’unico ragazzo che potrei baciare senza arrampicarmi su una sedia, e non voglio darle motivo di illudersi su un chissà quale colpo di fulmine. >>

<< Eh? >> squittì Peter, avvampando. La ragazza sembrò ignorarlo.

<< Grazie per averla aiutata. >> disse, diretta, guardandoli uno ad uno. << Mary non ha voluto dirmi chi è stato a ridurla in quello stato, e forse è meglio che non lo sappia, prima che Hogwarts si ritrovi con qualche alunno in meno. Ma grazie, davvero. >> concluse, tendendo una mano in avanti.

James vide che lo sguardo della ragazza era rivolto verso di lui, forse ritenendolo una sorta di portavoce non ufficiale del gruppo. Gli occhi neri della Grifondoro erano seri, e James capì strinse la sua mano, con un sorriso sicuro. << Non c’è di che, Do… Ti chiami Dorcas, giusto? >>

<< Sì. >>

<< Bene. D’ora in poi, allora, ti chiamerò “piccola Do’.”, dato che siamo in vena di soprannomi. >>

Lei lo guardò di traverso: << Perché “piccola”? >>

<< Perché sei la ragazza più minuta che conosco, con l’eccezione di Alice, però lei è meno esile. >> spiegò, con un ghigno simpatico << A quanto pare, le Grifondoro sono tutte bassine –però non è un’offesa.- Tranne quella gran gnocca stangona di Evans, ovviamente. >>

La diretta interessata tossì, come ad attirare la sua attenzione. << Faccio presente che io sarei qui. >> sbuffò la rossa, difatti << E che lo stesso concetto possa essere esteso anche a voi ragazzi. >> aggiunse, considerando tra sé e sé che Minus era minuscolo, Potter era alto più o meno quanto lei e Remus la superava di poco. Black era un caso a parte, ma aveva anche l’aspetto di un modello, quindi, davvero, era un caso a parte.

La Meadowes, intanto, aveva un’espressione sempre più scettica: << Evans non ha tutti i torti, ma se pensi che ora me ne uscirò con un nomignolo del tipo “Il piccolo Potter”, su cui inoltre i tuoi amici potranno fare battute sconce, ti sbagli di grosso. Addio. >>

Gli lasciò la mano e se ne tornò dentro, sbattendosi la porta alle spalle.

James si passò una mano tra i capelli, con un sorriso: << Forte questa tipa. Anche Mary è simpatica. >>

Evans gli rivolse una strana occhiata, piegando il capo di lato. Era l’unica che portava abbigliamento babbano: indossava un maglioncino verde bottiglia che richiamava il colore dei suoi occhi.

<< E’ praticamente la presidentessa ufficiosa del vostro fan-club, sai? >>

James sorrise, pimpante: << Non essere invidiosa, Evans, il mio cuore è tutto tuo. >>

<< E chi ha detto niente? >>

<< Tu. >> s’intromise Sirius, rivolgendole un’occhiata inacidita. Ramoso vide il viso della ragazza assumere diverse sfumature ed espressioni, mentre stringeva i pugni e serrava la mascella delicata: << Si può sapere che ti ho fatto, Black?  Sei più odioso del solito. >>

<< Se ti faccio tanta antipatia, perché non te ne vai? Ti sei appiccicata come una sanguisuga. Nessuno ti ha invitato. >>

“Ad unirti a noi”.

 Era questo l’implicita continuazione della frase. Lei avvampò di rabbia: << Non preoccuparti, non ho alcuna intenzione di passare col tuo gruppo di compagni scalmanati ed incivili più tempo del necessario! Di amici ce ne ho già! >>

<< Chi? >> incalzò Felpato, sarcastico. << Mocciousus? >>

<< Severus, esatto! Che per l’appunto è molto più intelligente e alla mano di voi altri! Arrivederci! >> gettò via tutto d’un fiato la ragazza che, con enorme orrore di un James mai come adesso combattuto, girò i tacchi e si allontanò in fretta.

Prongs entrò nel panico.

<< Evans, cioè Sirius! >> si corresse, quando l’amico si lasciò cadere, infastidito, su una delle sedie nel corridoio. << Rem..-Peter! Inseguila! >>

Lui lo guardò, atterrito: << E che sono, un segugio da sguinzagliare? >>

<< MUOVITI!! >> strillò l’altro, nel panico più totale. Peter non fece nemmeno in tempo a sussultare e prepararsi allo scatto, che Lily Evans fece il suo trionfale ritorno dal fondo del corridoio, venendo verso di loro a gran passi, un broncio irato sul viso.

<< Non posso tornare a casa da sola. >> sbottò, in cagnesco, rivolta verso James. << Dov’è tuo padre? >>

<< Sono qui. >> esclamò l’uomo, cordiale, giungendo in quel momento dall’altro capo del corridoio. << Avete finito? >>

Evans sospirò, in un evidente tentativo di darsi un decoro e riacquistare un minimo di compostezza.

<< Potrebbe riaccompagnarmi a casa per prima, per favore? >> chiese, forzandosi di risultare il più educata e tranquilla possibile. << I miei sono babbani e molto ansiosi. Saranno in pensiero. >>

<< Certo. >> rispose lui, con un sorriso, porgendole la mano. << Andiamo. >>

I due sparirono con un pop.

Il silenzio scese tra i Malandrini. Remus, destandosi dallo stato catatonico in cui sembrava essere piombato quel giorno, rivolse a Felpato un’occhiataccia: << Sirius. >>

<< che c’è? Ho ragione io. >> sbottò lui, aspro. << E’ da un po’ che ce l’abbiamo sempre tra i piedi. >>

<< E’ una nostra compagna di scuola. >>

<< Ma non è una di noi. I Malandrini sono quattro, non hanno bisogno di un’intrusa alle calcagna. >>

Gli altri non seppero che replicare: era un brutto periodo per Sirius, l’ultima cosa di cui aveva bisogno era che lo accusassero in massa. Ma questo non spiegava perché avesse preso Evans come bersaglio.

<< Sei stato scortese. >> provò timidamente James, con tatto. Gli dispiaceva per la ragazza che era stata maltrattata in quel modo e che probabilmente adesso li detestava di nuovo e in maggiore misura; ma gli dispiaceva anche per Sirius, che era appena fuggito da una famiglia insensibile, e a cui non voleva dare maggiori problemi.

Felpato, dal canto suo, lo guardò, e sul suo viso passarono diverse emozioni, tutte una meno interpretabile dell’altra. Sembrava combattuto: << Io… Piuttosto, a tuo padre dispiace lasciarmi al Paiolo Magico? >>

A quella domanda, James fu preso da un terribile dubbio.

<< Che devi fare al Paiolo Magico? >> squittì, stridulo, con enorme scetticismo da parte dell’amico.

<< Che ti prende? Pari una donnicciola isterica. >> disse questi, perplesso.

Pop! –Charlus Potter riapparve nel corridoio, proprio accanto a loro.

<< Ovviamente, devo trovare una stanza. >> continuò Sirius.

<< Cosa?! Non puoi! >> esclamò Ramoso, sempre più acuto. Suo padre annuì: << James ha ragione. Non dire mai una cosa del genere davanti a Dorea, o non potrò farmi garante della tua incolumità. >>

<< E’ da tre giorni che sto da voi. E’ arrivato il momento di levare il disturbo. >>

<< Ma tu non disturbi mai! >> saltò su James, disperato. << Non dire stupidaggini. Sta dicendo stupidaggini, vero Peter? >> domandò poi al primo che gli capitò a tiro. L’amico, più confuso che mai, trovò opportuno annuire con vigore.

Sirius distolse lo sguardo, cupo: << Ho già causato problemi a troppe persone. Non voglio essere un peso. >>

<< Meglio un peso in più che una macchia sulla coscienza. >> commentò Charlus, con un tiepido sorriso. << Hai sedici anni, dove pensi di poter andare? Non possiamo mica lasciarti a te stesso. Ti conosciamo da cinque anni, da almeno quattro passi metà estate da noi. Ormai, ci siamo affezionati. >>

Il ragazzo rimase in silenzio, gli occhi puntati sul pavimento.

L’uomo continuò: << Se non vuoi farlo per te, fallo per noi. Io mi sentirei terribilmente in colpa, Dorea si offenderebbe a morte e ti verrebbe a cercare, non so se per riportarti indietro o se per menarti. >>

<< Io morirei. Poi brucerei la mia scopa. >> aggiunse sapientemente James, sebbene un po’ a casaccio. Non sapeva mai come comportarsi, in situazioni simili, ma Sirius sembrò apprezzare il tentativo, perché fece un abbozzo di risata.

<< Io… Grazie. >>

Charlus annuì, con un sorriso.

<< Grazie a te. >> disse, mentre il figlio abbracciava l’amico per quella che forse era l’ennesima volta in quei giorni. Sirius, con un sorriso, gli diede qualche pacca sulla schiena.

<< Oh, Prongs… sei proprio donna dentro, tu. >>

<< Lo so. >> mugugnò lui, in imbarazzo ma anche del tutto deciso a non staccarsi dal suo migliore amico. Forse, se l’avesse lasciato, sarebbe scappato via, e James non aveva alcuna intenzione di permetterglielo.

Charlus rise, poi porse la mano a Peter. << Andiamo? >>

Il ragazzo deglutì, ricambiò la stretta, ed insieme si smaterializzarono.

Remus guardò i due amici con cui era rimasto, l’uno abbracciato all’altro –sebbene Sirius sembrava sforzassi di apparire il più distaccato possibile.-

Si schiarì la gola: << Potreste staccarvi? Vorrei evitare di dover spiegare a tutti quelli che passano che non siete marito e moglie. >>

I due obbedirono immediatamente, e per un istante il prefetto temette di aver segnato l’inizio di un lungo dibattito su chi dei due dovesse aggiudicarsi il ruolo di uomo nella coppia. Tuttavia, Sirius, inaspettatamente, rivolse il suo sguardo verso di lui, serio.

<< Non pensare di farmela sotto il naso, lupastro. >> disse << E’ tutto la mattina che te ne stai zitto e che sembra che tu abbia visto un fantasma. Che hai? >>

Remus, con le spalle al muro, chinò il capo, mordendosi il labbro inferiore.

James lo osservò per qualche istante, temendo che si rinchiudesse ancora una volta in se stesso. Tuttavia, inaspettatamente, chiuse gli occhi e s’appoggiò al muro, con un sospiro, le mani dietro la schiena.

<< Lui… Fenrir Greyback, è stato avvistato a Perth, a pochi chilometri da casa mia. >>

Sirius sussultò, Ramoso impallidì.

<< E’… E’ quello che ti ha morso, vero? >> domandò il giovane Potter, bianco come un lenzuolo.

Il ragazzo annuì, apparendo forzatamente noncurante. << Esatto. Temo che mio padre sia andato a cercarlo. >>

<< E fa bene! >> esclamò Sirius, furente. << Lo accompagnerei pure, se me lo permettesse! >>

Remus inarcò un sopracciglio: << Non dire idiozie. E’ molto peggio di me, anche in forma di cane ti dilanierebbe prima che tu te ne possa accorgere. >>

Felpato sembrò incupirsi, sebbene la sua rabbia rimanesse evidente.

<< Ovvio che è peggio di te. E’ un fottuto bastardo. >>

“Ovvio che è un bastardo.“ concordò mentalmente Remus.

Ma era anche un bastardo pericoloso.

Per quanto grande fosse la sete di vendetta di suo padre, per quanto il rimorso che lo tormentava giorno per giorno avrebbe trovato fine solo con la morte di Greyback, Remus sperava, sperava ardentemente che John Lupin non trovasse mai quella che da anni era la sua preda.

<< Tuo padre ha collaborato con l’Ufficio Auror, qualche volta. >> esordì James, all’improvviso. << Papà dice che è un osso duro e… >> s’interruppe, notando che Moony aveva aperto la bocca per replicare. Lo bloccò in fretta: << Aspetta, fammi finire! Dice che è un osso duro, ma lui l’ha sempre ammirato per un altro motivo: l’affetto con cui parlava della sua famiglia. Lui ti vuole bene. >> aggiunse, serio << Parlagli, fa in modo che capisca che la cosa più importante per te è averlo sano e salvo a casa. Se poi non ne vuole sapere, abbi fiducia in lui, e sul fatto che starà bene comunque. >>

Remus non disse nulla.

Sapeva che quel discorso era troppo semplicistico per uno come suo padre, e proprio di un idealista come James più che del mondo reale. Ma apprezzava le sue parole, e trovava in esse un grande spirito di saggezza.

<< Ok. >> si limitò a dire, sperando di suonare convincente. Senza che se ne accorgesse, Sirius lo guardò di sottecchi, notando l’accondiscendenza con cui aveva pronunciato quella parola.

Tuttavia, era consapevole di non poter fare nulla per il momento, così rimase in silenzio.

Dopo un po’, disse, tetro: << Chissà che ha detto Charlus del mio, di padre. >>

<< Oh, Sirius! >>

<< No, James, non ricominciare! Era una battuta! >>

Remus rise, mentre Padfoot iniziava ad insultarlo mettendo in dubbio la sua virilità.

Nonostante le offese e gli sguardi spazientiti del personale del San Mungo, James si sentì felice: tutto, pian piano, stava tornando alla normalità.

Un’infermiera piuttosto in carne e dai  capelli chiari, che passava di lì diretta dall’altra parte del corridoio, mandò loro un’occhiataccia.

<< Fate silenzio, per piacere. >> intimò con un tono che, nonostante il “per piacere”, di cordiale aveva poco o nulla.

Diciamo piuttosto che sembrava sul punto di ucciderli a forza di sbattergli sulla zucca la cartella che teneva in mano.

Incurante dell’aria palesemente minacciosa della donna, James si voltò verso di lei con un sorrisone a trentadue denti, passandosi una mano tra i capelli.

<< D’accordo, Poppy bionda. >> disse, allegro, e lei gli rivolse uno sguardo piuttosto intimidatorio.
<< Il mio nome è Clarisse Podmore. >>
Mentre James tormentava la donna scoprendo, al contempo, che non tutte le infermiere erano imparentate, Sirius prese Remus in disparte.
<< Ehi. >> iniziò, a bassa voce, << Vedi di non deprimerti troppo, eh? >>
<< Lo stesso vale per te. Noi Malandrini ci saremo sempre, quindi è inutile che fai il geloso. >>
I due si guardarono, entrambi colpiti a segno. Prongs era sicuramente il più espansivo ed affettuoso del gruppo, ma loro due erano i primi a capire quando qualcosa non andava: avvezzi a migliaia di complessi e problemi, riconoscevano subito quelli degli altri.
Si sorrisero a vicenda, riconoscenti.


 

***


Il signor Potter lo lasciò davanti casa sua, qualche passo fuori dalla bassa recinzione.
Era sera e lì, in cima alla collina, il venticello soffiava freddo, agitando le chiome degli alberi e scuotendo l'erba alta.
Remus vide la luce accesa dalle finestre di casa sua, e senza alcuna ragione ebbe una brutta sensazione. Superò il cancelletto lentamente, ma con i battiti del cuore rapidi, ansiosi.
Posò una mano sulla maniglia della porta, che trovò aperta. Non voleva dire niente, lì, in campagna dove si conoscevano tutti, poteva capitare.
Remus aprì la porta.
Lo accolse il scoppiettio nel fuoco del camino, il rumore delle stoviglie con cui sua madre apparecchiava la tavola.
E un rumoroso sbadiglio di suo padre che, seduto sulla sua poltrona, leggeva il giornale.
Rasserenato, Remus sorrise.

 

 

 

Ora di cena, a casa Minus.

Peter lanciava occhiate nervose alla torta alla vaniglia da una parte, e a sua madre dall’altra, che a sua volta lo guardava con espressione sconsolata.

<< Peter, hai già preso il bis. >>

Il ragazzo avvampò, umiliato dal tono sofferente di sua madre. Aveva già affrontato quel discorso davanti a tutti i suoi parenti, a Natale, trattandolo come un caso disperato.

Peter si sentiva in colpa per quel che era, ma allo stesso tempo, sapeva di essere innocente, e avvertiva tanta, tanta rabbia.

Perché solo i Malandrini dovevano accettarlo per quel che era?

Perché sua madre doveva pretendere un figlio più intelligente, più spigliato, più magro?

<< Dovresti avere più cura di te stesso, Petey. >>

<< Si, mamma. >> mormorò, a capo chino. << Scusa, mamma. >>

 

 

Lily girò le chiavi nella serratura della porta di casa.

Avrebbe salutato, annunciando il suo ritorno, ma le voci che provenivano dalla cucina la bloccarono, facendole morire le parole in gola.

<< Hai sbagliato, Petunia. So che Lily è… diversa, ma è pur sempre tua sorella. >>

Lily s’accostò allo stipite della porta: da lì riusciva a vedere solo Tunia, all’inpiedi, lo sguardo furioso, probabilmente di fronte a suo padre, che aveva appena parlato.

<< Diversa? >> sibilò la ragazza, stringendo i pugni. Sporgendosi un altro po’, Lily riuscì a scorgere sua madre, un’espressione affranta nel viso pallido.

Petunia continuò, imperterrita: << Lily non è diversa, è un fenomeno da baraccone, uno scherzo della natura! Una cosa simile non può essere mia sorella, e neppure voi dovreste considerarla vostra figlia. >>

Lily ebbe un tuffo al cuore, in attesa.

I suoi genitori non dissero nulla, nonostante lo sguardo angosciato di sua madre.

Fu il loro silenzio a colpire Lily, come una pugnalata al cuore.

 

 

 

<< E’ pronto lo sformato! >>

Sirius, a sinistra di Charlus Potter, si trattenne dal tapparsi le orecchie con le mani. Da una cucina decisamente disordinata da cui proveniva una quantità assurda di calore –ma anche un buon profumino- Prongs fece il suo trionfale ingresso con tanto di grembiule, guanti da cucina e vassoio d’argento in mano.

Sirius scosse la testa, divertito.

<< Sei davvero una donna, James. >>

Dorea, di fronte a lui, rise: << Il cielo deve avergli donato il talento della cucina per rimediare al mio desiderio di avere una figlia femmina. >>

<< Smettetela di cianciare! >> intimò James, rumoroso come al suo solito. << La cena è pronta! Tutti a tavola! >>

Charlus inarcò un sopracciglio.

Tuttavia, sul suo viso comparve un sorriso bonariamente divertito.

<< Siamo già a tavola, Jim. >>

<< E allora mangiamo. >> sbuffò il figlio, posando il vassoio al centro del tavolo e prendendo posto accanto all’amico. Questo gli sorrise, scompigliandogli i capelli.

<< Pensavo ti limitassi ai biscotti. >> disse, divertito. James si scostò, ridendo: << Padfoot, credevo lo sapessi: sono uno dagli infiniti talenti, io. >>

<< Certo, Prongs, certo. >>

Qualcuno batté con delicatezza un cucchiaino sul bicchiere, richiamando la loro attenzione.

Era Dorea Potter, che aveva sollevato il proprio bicchiere, con un sorriso.

<< Vorrei fare un brindisi. >> esclamò. << Un brindisi alla nostra famiglia, che ha acquisito un nuovo membro. >> fece un cenno allusivo verso Sirius, che sorrise, commosso.

<< Ben detto, mamma. >> concordò James, sorridendo a sua volta all’amico. Charlus diede a Sirius una pacca affettuosa sulla spalla.

Contatto fisico.

Calore, affetto, sorrisi, accettazione.

Era quello che sempre e soltanto aveva desiderato dalla propria famiglia, e che non aveva mai ricevuto.

Silenzi, sguardi severi, cerimonie solenni, formalità: erano queste invece le uniche cose che i Black gli avessero mai dato.

Ritratti austeri, drappi scuri e preziosi, coppe argentate ricolme di vino.

Abbassò lo sguardo sul proprio bicchiere.

Un bicchiere di carta, rosso, con buffi disegni di renne e campane come unica decorazione. Al suo interno, misero e semplice succo di zucca.

Ok, era un bicchiere.

Ma, per qualche assurdo motivo, guardarlo lo rendeva straordinariamente felice.

I Potter ne avevano tutti uno identico, tenuto sollevato nella sua direzione.

Sirius alzò il proprio a sua volta.

<< Al mio nuovo fratello. >> disse James, sorridendogli. << Che poi, in realtà, tanto nuovo non è. >>

 

****

 

 

<< Perché proprio la stamberga? >> domandò Remus, ben avvolto nel suo mantello, tetro.

James, che avanzava a fatica nella neve davanti a lui, verso la vecchia abitazione, si voltò, con un sorriso: << Perché è l’unico posto in cui potremmo stare per conto nostro. >>

In effetti, nessuno osava avvicinarsi alla Stamberga Strillante, creduta da tutti infestata dagli spiriti più tormentati e violenti. Inoltre, Ramoso voleva che Remus capisse che quello era un luogo importante e significativo, per i malandrini, che il prefetto avrebbe dovuto associare non alle sue trasformazioni, ma alle loro corse notturne, libere e spensierate, a quanto bene gli volessero i suoi amici, perché l’avevano accettato per quello che era.

<< Non pensare sempre negativo, Moony. >>

Il ragazzo sollevò le spalle: << Era solo una domanda. Basta che Sirius non si porti appresso qualche ragazza con cui inaugurare l’anno nuovo, per il resto mi va bene tutto. >>

<< Io sono qui. >> fece presente Felpato, che camminava dietro di loro. << E vorrei smentire questo falso mito. L’anno scorso Marlene è finita nel mio letto solo per caso. >>

James lo guardò inorridito: << Hai fatto entrare una donna nel nostro dormitorio. Tradimento. >>

<< Ho detto che non l’ho fatta entrare io. >> borbottò l’altro. Non sapeva bene i dettagli, ma a quanto pare l’intrufolarsi nel suo letto faceva parte di una scommessa tra Marlene McKinnon e le sue compagne Tassorosso. << E non me ne frega niente delle ragazze, finché sono con voi. >>

<< Questo suona decisamente equivoco. >>

<< Oh, Moony, taci. >> ghignò il ragazzo, rivolto al prefetto. << Tanto non mi avrai mai. >>

Remus fece spallucce: << E chi ti vuole? >>

 


<< Niente firewhiskey? >>
Salendo le scale che portavano all’unica stanza nella Stamberga, Sirius si voltò verso Peter, incerto ma visibilmente sollevato nel porre la domanda. Ghignò: << Scherzi? Tra quella femminuccia di Prongs e quell'anima casta di Moony, non sappiamo chi sverrebbe prima. >>
Gli altri preferirono non fargli notare che se qualcuno lì non reggeva l'alcool, quello era proprio lui.
<< Finiamola di darmi della donna. Comunque, staremo bene. >> s'introdusse James << Abbiamo Api Frizzole, Burrobirra e caramelle in quantità. >>
<< E cioccolata. >>
Ramoso annuì con solennità: << E cioccolata. Bravo Moony. >>
<< Moony è un uomo saggio. >> concordò Sirius, e: << James, che diamine fai?! >> esclamò subito dopo, vedendo l'amico a cavalcioni sulla finestra. Questi si mise in piedi sul davanzale, noncurante, dando loro le spalle.
<< Salgo sul tetto, ovvio. >> rispose, come se, in effetti, arrampicarsi in cima ad un rudere notoriamente instabile fosse cosa comune. << State a vedere. >>
Dopo qualche salto e goffo scalcio dopo, i Malandrini videro in effetti il ragazzo sparire dalla loro visuale, ad eccezione delle gambe che rimasero a penzoloni per qualche attimo, scalciando come se il loro proprietario fosse uno schizofrenico decelebrato.

Cosa abbastanza corrispondente alla realtà, pensarono i Malandrini.
<< Sta' attento! >> squittì Peter, in ansia. Neppure la grande ammirazione che nutriva nei confronti di James gli impedì di trovare piuttosto ridicola la sua prova atletica, però.
Felpato, intanto, guardava nella direzione del suo migliore amico con sufficienza: << E lui si vanterebbe di essere uno sportivo? Finirà con il rompersi l'osso del collo. >>
Remus inarcò un sopracciglio.
<< Non piangere, Sirius. Troverai qualcun altro che ti amerà allo stesso modo. >>
Lui sospirò con aria drammatica, stando al gioco. << Con la mia bellezza, non lo nego. >>
<< Ehi! >> li chiamò James, sporgendosi a testa in giù dalla sommità del tetto, guardandoli dalla finestra. << Muovetevi, voi! >>
<< Cosa?! >>
Dinnanzi all'atterrito tono di Peter, Sirius rise, dandogli una pacca -forse troppo forte, a dedurre dal sonoro "pam!" che ne seguì - sulla schiena, e salendo sul davanzale con un agile balzo. Dall'alto dei suoi centottanta metri di statura, gli risultò decisamente più facile salire sul tetto, impresa che realizzò con sicuramente più grazia ed eleganza di James. Poi, insieme a Remus che era rimasto sotto aiutarono Peter ad arrampicarsi; infine Felpato afferrò l'ultimo rimasto e praticamente lo tirò su lui di peso-non che poi ci volesse tanto, a sollevare Moony.-
Attenti a non scivolare, i tre raggiunsero Prongs, seduto laddove le falde del tetto a capanna s'incontravano, col viso sollevato a guardare le stelle.
<< Bello eh? >>
<< C'è solo neve... >>
<< Che c'entra! E' bello stare qui, tutti assieme. >>
Remus sorrise: << Concordo. >>
<< Oh, James, >> ghignò Sirius << E’ bello anche vedere che qualche volta dici qualcosa di sensato, amico mio. >>

Il prefetto gli rivolse un’occhiataccia.

<< Notare la tua rozza insensibilità invece è orribile, come sempre. >> esclamò il licantropo. Felpato rise con la sua risata da segugio.

Prongs sorrise, chiamando a sé la borsa che avevano scordato di sotto con un incantesimo di Appello. << Anche se non è ancora mezzanotte, propongo un brindisi. >>
<< Così non ci rimane nulla per l’anno nuovo, genio. >>
<< E allora brindiamo con la cioccolata >> si corresse il ragazzo, tirandone fuori una barretta dallo zaino. << A te il primo turno, Pad. >>
<< Mmm... >> Sirius sembrò pensarci su per qualche istante. Ripensò agli eventi di quell'anno, e in particolar modo a quelli di quegli ultimi giorni. S'aspettò di provare tristezza, ma l'unica cosa che avvertì fu un caldo torpore nel profondo del cuore. Ne individuò subito la causa, e sorrise.
Staccò quattro quadratini dalla barretta, ne porse due a James e Peter, accanto a lui, e lanciò l'ultimo a Remus, più distante.
Sirius sollevò la sua porzione verso il cielo, come se fosse un calice. << Brindo a tutti i Black sparsi per Londra, che se ne possono andare al diavolo. Ma soprattutto, brindo ai Malandrini, la mia vera ed unica famiglia. >>
Dopo un attimo di silenzio, James disse: << Cin cin >> e tutti mangiarono il loro quadratino.
La tavoletta passò a Peter.

Questi esitò, un po' nervoso.

Voleva trovare le parole giuste.
<< Io... >> prese un profondo respiro. << Io brindo a voi, ragazzi. Grazie per essermi amici. >>
<< Dovere, Petey. >> ghignò Sirius, ma senza malignità alcuna.

Ed ecco il turno di Remus.
<< Brindo al giorno in cui ci siamo incontrati, cinque anni fa. Mi siete stati vicini come nessun altro -e non parlo solo di essere diventati Animaghi.- Vi voglio bene. >>
Un altro giro di cioccolata. Felpato rise.
<< Oh, Moony, e io pensavo che la checca qui fosse James. >> commentò, ridacchiando.

Remus lo ignorò con un'alzata di spalle: << Riparlamene quando ti sarai tagliato i capelli ad un'altezza mascolinamente accettabile, per favore. >> disse, mentre passava la barretta a James. Questi si alzò in piedi, ridendo, con la solita teatralità.
<< Brindo a questa tua ironia, Remus, e alla tua ostinazione nel fingerti un bravo ragazzo, con quella spilla da prefetto. Brindo a Peter, >> continuò, solenne << che è di poche parole, ma tutto quel che dice è sacro. Sei un grande uomo. >> si rivolse a Padfoot << Brindo a Sirius, che è mio fratello, ma che mi salterebbe addosso comunque, e brindo a me, che a quanto pare mi comporto da donna ma rimango il più figo di tutti. >>
<< Hai finito? >> domandò Peter dopo un po’, rapito.

<< No, ovviamente. Dato che ai malandrini ha già brindato Pad, io brindo all’amicizia che li lega. Che possa durare per sempre. >>

<< Finché morte non li separi. >> aggiunse Sirius, solenne. Mangiarono ognuno la rispettiva porzione di cioccolata, sollevandolo prima verso il freddo cielo di Capodanno.

 

***

 

 

 

<< Grazie per aver passato il Capodanno con me, Severus. >>

Il ragazzo si voltò verso l’amica che, con un timido sorriso, lo stava guardando con riconoscenza, un cappellino bianco in testa e la sciarpa rossa avvolta attorno al collo che si confondeva col colore dei lunghi capelli.

Si sforzò di sorridere anche lui, non pensando a quel che teneva in tasca: << E’ stato bello. Spero solo che i tuoi non si arrabbino per l’ora. >>

Inaspettatamente, Severus vide il viso della giovane rabbuiarsi, mentre questa abbassava lo sguardo.

<< Sono passati solo dieci minuti dalla mezzanotte. >> disse, cupa. << E non m’importa quel che pensano. >>

Le sue parole, dette in tono triste ma risoluto, sembrarono riferirsi a qualcos’altro, qualcosa di ben diverso e più importante dell’orario di rientro.

Severus se ne sorprese: Lily aveva sempre avuto rispetto per le regole impostole dalla famiglia, di cui parlava sempre con affetto e serenità. Quella tristezza, quel rancore celato nei denti leggermente digrignati e negli improvvisamente cupi occhi verdi erano insoliti, per lei.

L’accompagnò fino sotto casa, la guardò esitare sull’ingresso, voltarsi un attimo verso di lui, rivolgergli un sorriso triste e poi entrare in casa.

Anche dopo che la porta si chiuse alle spalle della ragazza, Severus rimase qualche minuto lì, fermo.

Ripensò a Lily, a quanto fosse importante per lui.

E ripensò alla lettera che, nella fretta dovuta all’improvviso arrivo di Lily, aveva frettolosamente nascosto in tasca.

Ora lì, da solo, la prese, estraendola dall’abbandonate cappotto nero.

Un fiocco di neve cadde sulla pergamena, bagnandola un po’.

Severus evitò di rileggere la missiva un'altra volta. L’aveva già letta e letta più volte, curvo su di essa nella penombra della sua misera camera.

La sua attenzione, invece, fu attirata dagli ultimi capoversi, quelli che maggiormente l’avevano colpito.

 

… ma onestamente, non m’importa se verranno espulsi o meno. Sono solo due stupidi, in te ripongo molta più fiducia, Severus. Per questo, ti rivelerò questa lieta notizia.

Ho deciso di diventare un Mangiamorte. Bellatrix non vorrebbe che te lo dicessi, ma anche se è la mia futura cognata, la sua opinione non m’interessa.

Credo che non accetti di buon grado la nostra amicizia; io invece ritengo che si rivelerà profondamente proficua.

Il Signore Oscuro è buono, tra le sue file accetta tutti, anche chi non può vantare un cognome prestigioso. Mio padre ha dei contatti, e dice che non tutti i suoi seguaci sono Purosangue.

Il tuo sogno potrà finalmente coronarsi, Severus. Certo, sei ancora giovane, ma quando uscirai da Hogwarts potrai seguire la tua strada, così come farò io quest’anno dopo i M.A.G.O.

Ti aspetterò, amico mio.

Potrai divenire un Mangiamorte, collaborare alla creazione di un mondo dove saranno quelli come noi a dettare legge, ad essere ammirati, e non certi sbruffoni babbanofili di nostra conoscenza.

Avremo un mondo libero da gentaglia, da babbani rozzi e violenti come tuo padre e da tutti quei fetidi Sangue Sporco ladri di magia.

Buon Natale, Severus.

 

Lucius.

 

 

 

 

 

 

 

 

NDA:

ps: non preoccupatevi. Lucy Garrett non è la nuova fiamma di Remus nè mai lo sarà.

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Capitolo 11
*** Ritorno ad Hogwarts: in attesa di un compleanno ***


 

 

Avverto che parto per un po', quindi avrò qualche difficoltà con il portarmi avanti e pubblicare questa domenica... Tuttavia, e sottolineo il tuttavia (TUTTAVIA !!) vi lascio con un capitolo lunghissimo, che se proprio  volete potete anche leggervi in più sedute perchè, davvero, è lungo.

Ma non sapevo come  -né volevo, a dire il vero- dividerlo in due, quindi pazieenza! :D

Godetevelo, spero vi piaccia!

ps: Faccio pena a dare i titoli ai capitoli, ahah

ps post ps: pregate per gli azzuri, stasera! T__T siamo senza speranza!

ps post ps post ps: Grazie a tutti per le recensioni, spero continuate così e che possiate essere da esempio per i poco volenterosi ;)
 

 

 

 

(eeeeh sì, tu che leggi e che leggi/ami/odi questa ff senza esprimere la tua opinione, parlo proprio con te. )

 

 

 

 

 

 

Capitolo 11

Ritorno ad Hogwarts:
in attesa di un compleanno.

 

 

Sirius, una settimana dopo il rientro ad Hogwarts, aveva trovato l’atmosfera più cupa di quanto si fosse aspettato.

Gli studenti vociferavano per i corridoi, ma inutili pettegolezzi e compiti in classe a suo parere ancora più inutili non erano più al centro delle conversazioni dei giovani maghi e streghe; erano la guerra e la politica e la paura ad occupare i loro pensieri, mentre occhiatacce di disgusto o di timore più o meno ingiustificati venivano riservate rispettivamente a Nati Babbani e a Purosangue e Serpeverde.

Anche lì, la vita iniziava ad essere un maledetto casino, pensava Sirius, mentre suo malgrado entrava nell’aula di Difesa.

Perlomeno, essere lì gli procurava sollievo e distrazione dalla sua irrecuperabile situazione familiare: pian piano, i Black passavano in secondo piano, e il buonumore veniva recuperato.

Guardò i presenti in classe: a parte i Malandrini e i Serpeverde spocchiosi –il che, ovviamente, si riferiva a tutti i Serpeverde- da sfottere/evitare, non prestava mai molta attenzione ai suoi compagni di scuola di cui, a dire il vero, gliene fregava ben poco; ma dai colori delle cravatte e le varie spille, dedusse che oggi avrebbero seguito la lezione di Difesa coi Tassorosso.

E, con una rapida occhiata all’aula, totalmente sgombra dai soliti banchi, capì anche qualcos’altro.

<< Lezione pratica. >> constatò Moony al posto suo, evidentemente entusiasta. Non poteva dargli torto: d’altronde, Remus era un asso in quella materia.

Sirius rivolse un’occhiata al resto dei Malandrini: Peter era ansioso, ma ciò era trascurabile, dato che il povero Codaliscia era sul punto di avere un infarto prematuro ogni volta che dovevano seguire una lezione –persino di Ruf- ed essere soggetti a valutazione; anche James non aveva una bella cera.

Il moro, difatti, non appena udì le parole di Remus, fece una smorfia, con tacito ma malcelato disappunto.

Forse ci si aspettava che uno scavezzacollo come Prongs, al pensiero di poter scagliare incantesimi a destra e manca, e fare sfide e duelli magici, andasse fuori di testa.

James Potter detestava le Arti Oscure e tutto ciò che era ad esse pertinente.

Difesa era quindi scesa verso gli ultimi posti della sua lista di gradimento in campo di materie scolastiche; e tuttavia mostrava una certa predisposizione che veniva puntualmente lodata ogni anno dal professore di turno.

L’attuale insegnate, la professoressa Carlington, una donna bassa, riccia, miope e dall’aria annoiata, sembrava avere un certo interesse nei confronti di James, aveva fatto notare Peter, sebbene non fosse tra i più brillanti del corso. Non che la donna facesse favoritismi; semplicemente, sembrava nutrire un’infondata curiosità riguardo le capacità del ragazzo.

A Sirius, la Carlingotn piaceva.

Trasandata e un po’ bruttina, l’aspetto ostile, si era però sorprendentemente rilevata sarcastica, giusta ed estremamente competente.

Una brava insegnate, sebbene un po’ burbera.

<< Dato che tocca a me inaugurare la settimana con voi mezzi scemetti ormonali, >> sbottò, aspettandoli in piedi in fondo all’aula, fornendo l’ennesima dimostrazione di un’indole poco amabile, << Ho deciso di fare qualcosa di meno tedioso rispetto alla solita lezione, e anche di più utile, considerando i tempi. Non che la teoria non sia importante. >> sottolineò, squadrandoli col suo cipiglio << Dio, non voglio trovarmi una marea di genitori che si lamentano perché vi scoraggio a studiare. Ma studio e applicazione pratica vanno di pari passo, e dopo quattro mesi di teoria, è arrivato il momento di prendere in mano la bacchetta e, Dearborn, chiudi il becco. >>

<< Subito, professoressa. >> si scusò a suo modo –un modo tra lo sghignazzante e il menefreghista, per la precisione- un biondo Tassorosso dall’aria atletica che Sirius era quasi sicuro facesse parte della squadra di Quidditch, intento a parlottare con un suo compagno di Casa.

La Carlington rivolse loro un ultimo e spaventoso sguardo, prima di riprendere a parlare. << Ci eserciteremo negli Schiantesimi e nei Sortilegi Scudo. So che li avete già studiati e che vi credete un asso in entrambi, ma rappresentano la base dei combattimenti magici. >> fece una pausa significativa. << Almeno che non preferiate Maledizioni e magia oscura, ovviamente. >>

Tutti rimasero in silenzio, considerata l’evidenza dell’allusione: chi prima, chi dopo, ognuno aveva saputo di quel che era successo a Mary MacDonald, e sebbene né i colpevoli né le dinamiche della situazione erano chiari, era noto che la ragazza fosse finita al San Mungo, e che Avery e Mulciber fossero finiti in punizione il giorno dopo.

Mary non era ancora tornata a scuola, ma Sirius aveva il vago sospetto che se fosse stata lì, tutti in quel momento l’avrebbero guardata, forse anche lui. In alternativa, passò in rassegna le Grifondoro del suo anno, e ricordò che, in effetti, un’altra di loro non aveva fatto ritorno ad Hogwarts.

Amy Wilson, quella rossa con l’aria simpatica che solitamente divideva il banco con Mary a lezione.

Era Nata Babbana.

Forse i suoi l’avevano ritirata dalla scuola, magari con l’intenzione di allontanarla da un mondo che, per la loro bambina, stava divenendo ostile, pericoloso, letale.

Al pensiero di genitori desiderosi di difendere una figlia, gli tornò, in un odioso balenio, in mente l’espressione furente di sua madre.

Chiuse gli occhi.

“Avanti, Pad, piantacela.”

Mentre cercava di distrarsi, notò che la Carlington li stava facendo dividere in due file, una di fronte all’altra, nelle parti opposte dell’aula sgombera.

Sirius seguì i Malandrini e gli altri Grifondoro, ma l’insegnategli si schiarì la gola: << Troppo facile. Black, Smith, Minus, al posto di McKinnon, Lewis, Tulley, McGarthy e Abbott. >>

Riluttanti, gli studenti obbedirono, resti dal separarsi dai rispettivi compagni di Casa. Non che ci fosse rivalità fra Grifondoro e Tassorosso, anzi, forse erano le Case tra loro più in sintonia.

Il compito era relativamente semplice: a turno, il componente della fila opposta avrebbe lanciato uno Schiantesimo, che loro avrebbero dovuto respingere con un sortilegio scudo.

Mentre i primi delle due file iniziavano, Sirius vide Peter, di due Tassorosso davanti a lui, scrutare l’altro gruppo, in agitazione, per capire contro chi sarebbe capitato.

I primi a fronteggiarsi furono Alice e Damien Tulley, Tassorosso. Con orgoglio Grifondoro –influenzato anche dal buon rapporto che aveva con la ragazza- Sirius non poté che provare soddisfazione quando lo scudo del giovane non resse al potente Stupeficium di Alice, che ottenne di fare sbalzare indietro l’avversario –se così poteva definirsi.-

Tra i plausi della loro fila, Alice fece ritorno al suo gruppo, con un’espressione appagata.

<< Ben fatto, Smith, dieci punti a Grifondoro. >>

Gli applausi dei Tassorosso si spensero all’istante. Sirius sghignazzò, e quando passò accanto a lui, per posizionarsi in fondo alla colonna, Alice gli fece l’occhiolino, con aria talmente malandrina da stupirlo. Poi il sorriso della ragazza, più imbarazzato, si rivolse a qualcuno dietro di lui, ma Sirius era troppo disinteressato per curarsi di a chi fosse riservata quell’espressione di timida dolcezza.

Fu il turno di James e del ragazzo che era stato ripreso prima dalla professoressa, Caradoc Dearborn.

Nonostante l’aria da biondo bamboccione palestrato, il tipo sembrava cavarsela piuttosto bene, tanto che Prongs non riuscì a disarmarlo, e quando la Carlington fece loro scambiare i ruoli, si ripeté la medesima situazione di parità. Infine, furono rimandati ai loro posti, con cinque punti per Casa.

Poi venne il momento di Peter e Remus.

Codaliscia, tra il benevole divertimento generale, squittì, sorpreso e atterrito. Anche Moony sembrava in difficoltà, seppure per ben altri –ed evidenti- motivi.

<< Stupeficium! >>

<< Pr-protego! >>

Il tentativo di aiutare Peter risultò palese, dato che lo schiantesimo fu talmente flebile da non scalfire in alcun modo il debole scudo di Codalisica.

Tentativo reso ancor più evidente dalla ben nota predisposizione di Remus per la materia.

La Carlington, difatti, sembrò capire immediatamente la situazione.

Piegò la testa di lato, con un cipiglio perplesso: << Oddio, non m’interessa se siete amici, non dovete mica farvi la guerra. Lupin, puoi fare di meglio. Chiunque, potrebbe. >> aggiunse, severa << “Chiunque” include anche te, Minus. Cerca di credere un po’ più in te stesso, e fammi vedere di cosa sei capace. >>

I due ripeterono l’esercizio, e anche questa volta lo scudo di Peter resse.

La differenza era che Remus aveva evitato di scagliare uno schiantesimo degno solo di un moccioso di primo anno.

<< Bravo, Minus. >>

Il ragazzo tornò al suo posto a testa china. Quando arrivò accanto a Sirius, arrossì: << Devo ricordarmi di ringraziare Remus, eh? >>

Felpato non disse nulla. Era vero, era ovvio che Lunastorta, nonostante il richiamo della Carlington, si fosse trattenuto: lo aveva visto lanciare Schiantesimi decisamente più potenti, in quegli anni.

Ma il secondo sortilegio scudo di Peter gli era sembrato più che buono.

Gli diede una pacca sulla spalla.

<< Non fare il cretino, topastro. >> disse, a bassa voce, con un ghigno dei suoi, << Sei stato bravo. >>

Wortmail lo ringraziò con un sorriso riconoscente.

Qualche Tassorosso dopo, Sirius ebbe finalmente la sua occasione. Mente colui che l’aveva preceduto si ritirava vittorioso in fondo alla fila, lui sguainò la bacchetta, con un ghigno beffardo di sfida da rivolgere al suo contendente.

A lui, Difesa piaceva.

O meglio, gli piacevano i duelli: l’adrenalina saliva alle stelle, sentiva di avere il mondo in mano.

Sollevò lo sguardo e, di fronte a sé, vide… Lily Evans.

Indossava la divisa con tanto di maglione, camicia ben abbottonata e calzettoni; i capelli erano stretti in un’ordinata coda di cavallo, così come piaceva alla McGranitt.

A James, i capelli in quel modo piacevano: diceva –in uno dei suoi tanti deliri-, che le lasciavano il viso e le orecchie scoperte, dando a lei un’aria più “aperta” e a lui la possibilità di ammirarne i bei lineamenti.

Sirius, al contrario, riteneva che quell’acconciatura conferisse a Miss Prefetto Evans un aspetto ancor più serio e rigido, da brava perfettina qual’era.

La guardò per un istante, e notò che aveva l'espressione più ostile del solito.

Oh, beh, diciamo che l’ultima volta che si erano parlati l’incontro non era stato dei più felici.

In realtà, non aveva alcun problema ad ammettere che il suo comportamento fosse stato piuttosto… scortese.

Ma i suoi sentimenti nei confronti di Lily Evans erano piuttosto ambigui.

Da una parte, le piaceva, in un qualche modo. Era una tipa tosta, ed adorava il modo con cui riusciva a snobbare Prongs e a tenergli testa con poche parole.

Certo, erano decisamente di più le cose che non sopportava di lei, come il suo essere una secchiona rompiballe, una prefetto intransigente, amica di Mocciosus.

…E che, dall’alto della sua spilla e del “oh, io sono brava, buona, perfetta e prefetto, e voi una massa di bamboccioni”, giudicasse senza sapere un emerito cazzo.

Sirius era uno che le cose se le ricordava –oh, se se le ricordava- e non poteva dimenticare di quando, quel giorno in Infermeria, prima delle vacanze di Natale, avesse dato prova di questo suo insopportabile vizio.

 

<< Ed hai paura che se spifferassi tutto, non potresti più compiere le eroiche imprese che racconti per portarti a letto le ragazze, vero? >>

 

Ok, era bastardo e bello da morire –sarebbe stato da ipocriti negarlo-, ma ciò non voleva dire che passasse il tempo a scoparsi una ragazza dopo l’altra.

Prima di tutto, erano ad Hogwarts, e l’idea di farsi una compagna di nascosto, in una classe vuota o nello sgabuzzino di Gazza, non lo allettava per nulla.

In secondo luogo, aveva quindici anni, diamine, non era così arrapato.

Che gliene fregava delle ragazze, a lui? Aveva i Malandrini, non aveva bisogno di altri legami, del resto delle persone non gliene importava assolutamente nulla.

Magari un giorno sarebbe diventato il playboy che tutti lo ritenevano, e avrebbe passato le notti a trascinarsi Grifondoro e Tassorosso in stanza, e non ci sarebbe stato nulla di male.

Ma odiava la presunzione di cui Lily Evans si avvaleva per giudicarlo.

Dall’altra parte, poi, il fatto che i rapporti tra la ragazza e James fossero di poco –ma davvero di poco- migliorati, lo metteva a disagio.

Si sarebbe infilata nella loro vita?

Sarebbe divenuta loro amica? O peggio, la ragazza di Prongs?

Merlino, certo, le probabilità erano miseramente basse, e lui, in ogni caso, non aveva alcuna intenzione di mettere il bastone tra le ruote a James.

Era il suo migliore amico, e gli augurava di ottenere tutto ciò che desiderava.

Ma l’eventualità lo atterriva. E lo irritava.

I Malandrini erano quattro. Punto.

Oh, diamine, non credeva di essere talmente legato… non ai Malandrini –questo già lo sapeva-, ma piuttosto all’idea del loro gruppo, inteso come clan chiuso, come famiglia.

L’unica famiglia rimastagli.

Sollevò lo sguardo verso Evans, bacchetta alla mano.

Non doveva sottovalutarla: era una strega brillante, una studentessa determinata ed una ragazza decisamente isterica.

Una ragazza che ora lo fissava con decisione, gli occhi verdi che brillavano e l’aria concentrata.

Anche lei sollevò la bacchetta.

… E la campanella suonò.

Mentre gli studenti iniziavano ad uscire dalla classe, Sirius non ebbe il tempo di fare nulla che James gli si precipitò addosso.

<< Pads! Per un momento ho creduto che avresti ucciso la mia donna! >>

<< O, più probabilmente, che lei avrebbe ucciso te. >> disse tranquillamente Remus, affiancandoli. Felpato inarcò un sopracciglio, pronto a ribattere, ma fu distratto dalla visione di Prongs che, con la grazia di un ippogrifo zoppo, saltellò verso la Evans, che stava di fretta uscendo dall’aula.

<< Evans! Mio fiore! >>

La ragazza gli riservò un’occhiata perplessa, aggrottando le sopracciglia.

Sirius, che con gli altri aveva seguito l’amico con un’andatura più pacata e dignitosa, rivolse un sorriso sghembo alla ragazza: << Ti avrei stracciato, Evans, lo sai? >>

Lei lo guardò malissimo, del tutto estranea a quello spirito di sfida e competizione.

<< Oh, Black, ma fammi il piacere. >>

<< Parlo sul serio, Evans. >> continuò, serio, e solo dopo si rese conto di quanto inquietante e minaccioso suonasse.

… Ok, non riusciva proprio ad essere gentile con lei, in quel periodo.

Evans, infatti, lo scrutò un po’ a disagio, sebbene inarcando un sopracciglio: stava a contatto con Sirius Black da cinque anni, e dubitava che fosse un tipo pericoloso, se non per il suo elevato e letale grado di idiozia ed arroganza.

Però, l’atteggiamento del ragazzo la mortificava. Nonostante il suo intento fosse solo quello d’intrattenere un rapporto più cortese e benevolo con loro –soprattutto dopo che Potter l’aveva aiutata con Mulciber-, Sirius Black la faceva sentire…. Indesiderata.

Respinta, così come lo era dalla comunità magica, dai babbani, da sua sorella.

Non che ci tenesse particolarmente, ad avere un buon rapporto con quel gruppo di screanzati. Era solo che stava iniziando a ricredersi sul loro conto, e avrebbe voluto riparare alle sgridate di tutti quegli anni con un po’ di gentilezza.

Ma se doveva essere solo una scocciatura, che ben tornassero le ostilità. Non le andava che i suoi sforzi di essere più cortese, in modo che potessero convivere in pace, fossero ripagati con sgarbo e considerati un fastidioso tentativo di stringere amicizia.

Era così…umiliante.

Ed irritante.

I suoi pensieri furono interrotti da Potter o, per meglio dire, dal suo sorrisone a trentadue denti che gli si piazzò davanti alla faccia.

<< Evans, a Febbraio riprendono le uscite ad Hogsmeade. Ci vieni con noi? >>

Fu quel noi a fare irrigidire Sirius e a far scattare un campanello d’allarme nella testa di Lily, che aveva notato la reazione del ragazzo.

E poi, d’accordo, si era ripromessa di essere più cordiale, ma qui si trattava sempre dello stupido Potter e dei suoi amici che si divertivano a prendersi gioco di Severus, di Severus che era il suo unico, migliore amico.

Cosa credeva, Black? Che morisse dalla voglia di ricevere il loro apprezzamento? Che andasse ad elemosinare la loro amicizia, solo perché erano più popolari di lei?

Aprì la bocca per replicare, la richiuse, chinò lo sguardo, lo rialzò e gonfiò le guance. Poi avvampò –non sapeva se d’imbarazzo, rabbia, frustrazione o altro- e, non sapendo bene cosa dire e come farlo, semplicemente girò sui tacchi e se ne andò via senza dire una parola.

James rimase a bocca aperta, sconvolto, prima di mettersi ad urlare il suo nome e ad agitarsi come un ossesso. Sirius lo guardò con pietà per la sua reazione ridicola, poi, perplesso: << E’ solo Evans, amico. >>

James si bloccò di colpo.

Quel “solo” lo urtò terribilmente, ma forse Sirius in quel momento era sull’orlo della depressione e, se si fossero messi a litigare, lui si sarebbe depresso ancora di più e sentito completamente solo e triste e abbandonato, e si sarebbe buttato dalla torre di Astronomia, e Evans ora lo odiava, che doveva fare?!

“Calma, Jim. D’altronde, Evans ti odiava già prima.”

Però, diamine, in quell’ultimo mese la situazione sembrava aver preso una svolta così favorevole… Stupido Pad.

Avrebbe potuto avere l’occasione di portare Evans ad Hogsmeade e farle vedere quanto, nonostante tutto, in realtà fosse un tipo fighissimo e divertente.

E invece no.

Con immenso disgusto e fastidio, immaginò la ragazza passeggiare –di nuovo- per le vie di Hogsmeade mano nella mano con Piton.

Oh, che schifo.

Schifoschifoschifo.

Sospirò: aveva bisogno di qualcosa per distrarsi.

<< Che ne dite di uno scherzo a Mocciosus? >>

Il viso dello stupido Pad s’illuminò: << Che sarebbe una grande idea! >> esclamò, tendendogli la mano chiusa a pugno. James fece altrettanto, e i le loro nocche s’incontrarono in un gesto d’intesa.

<< Io… Io ci sto. >> sorrise intanto Peter, un po’ invidioso di quella complicità da cui sembrava essere stato escluso.

<< Certo che ci stai, Petey adorato. >> commentò James, con ovvietà. << Sei un Malandrino. Piton avrà una bella sorpresina. >>

Remus si schiarì la gola, sperando che qualcuno notasse la sua spilla da prefetto o che si rendesse conto di quanto ingiusto e sciocco fosse il loro accanirsi col Serpeverde.

Ovviamente, fu ignorato.

Mentre s’incamminavano per uscire dal castello e raggiungere le serre, per la lezione di Erbologia, James si passò le mani dietro la nuca e, con un sorriso, si voltò verso Sirius, continuando a camminare. Tuttavia, non disse nulla, e solo dopo avergli mandato qualche occhiatina di sfuggita, Felpato non ce la fece più.

<< Prongs, sei inquietante. >> sbottò, inarcando le sopracciglia, << Cosa vuoi? >>

Il sorriso birichino dell’amico s’allargò maggiormente.

<< Non credere che me ne sia scordato. >>

<< Di cosa? >> domandò l’altro, perplesso, e l’espressione di James si fece spaventosamente malandrina.

<< Del tuo compleanno, Pad. >>

Il gelo.

Ecco a cosa fu paragonabile la reazione dei Malandrini, a quelle parole.

Tutti e tre si fermarono di colpo, mentre Peter impallidiva e Sirius si faceva più cupo. Remus, dal canto suo, pensava con orrore allo scorso anno.

<< James, prova ad organizzarmi un’altra festa a sorpresa e giuro che i tuoi stupidi occhiali saranno l’ultima cosa che rimarrà di te. >> commentò Felpato, piuttosto tetro.

<< Se lo scoprisse di nuovo, la McGranitt ti farebbe a pezzi. >> aggiunse il prefetto, scoraggiato, << E terrebbe le nostre teste come souvenir. >>

<< L’anno scorso io ho mangiato troppo e il giorno dopo l’ho passato in bagno. >> disse Peter, rinforzando la  dose e, probabilmente, apparendo un po’ fuori luogo, considerati gli sguardi perplessi che gli rivolsero gli amici.

Tuttavia, quell’infierire fece porre James sulla difensiva, che si affrettò dunque a fornire una spiegazione.

<< Ragazzi, calma! >> esclamò, ponendo le mani davanti a sé a mo’ di difesa, << Ho imparato la lezione, tranquilli. Volevo solo chiedere a Padfoot cosa volesse per regalo. >>

Tutti lo guardarono perplessi.

James annuì con fervore, aggiungendo un “Parola di Malandrino” con solennità.

Scampato il pericolo, Sirius si limitò comunque a fare spallucce.

<< Non voglio niente, Jim. Sai che non mi piacciono i compleanni. >>

<< Questo perché sei storto di tuo, Felpato. Ma io e i signori Codalisica e Lunastorta non possiamo assecondare i tuoi capricci in questo modo. >>

<< E’ vero! >> commentò Peter, annuendo energeticamente, << Tutti amano i compleanni! >>

<< Soprattutto i propri. >> aggiunse il saggio Lunastorta, sostenendo la causa. << Avanti, Pad, è solo un regalo. >>

Sirius rimase in silenzio, incerto.

Pensò alla famiglia Potter che gli aveva offerto ospitalità e, di conseguenza, un sostegno economico fino alla maggiore età, guardò il sorriso incoraggiante di Peter e notò che la divisa di Remus -accanto a lui- era più malconcia di quel che ricordava e che probabilmente l’amico non aveva un soldo da spendere.

Le parole uscirono da sé prima ancora che potesse pensarci: << Non voglio niente. >> ripeté, automaticamente.

D’altronde, anche se non sapeva per quanto, disponeva ancora del patrimonio Black, e se avesse desiderato qualcosa, l’avrebbe potuta facilmente acquistare da sé.

Non gli andava di far spendere inutilmente denaro ai suoi amici.

Al contempo, però, non poteva ignorare l’espressione entusiasta di James, e come questa si fosse tramutata in delusione al suo rifiuto.

Conoscendolo, probabilmente si sarebbe dispiaciuto di più al pensiero di non regalargli nulla, piuttosto che di spendere una barca di galeoni. Né avrebbe potuto mentirgli affermando di volere una qualche sciocchezzuola, James lo conosceva fin troppo bene, e lui, a sua volta, conosceva James: quel ragazzo amava fare le cose in grande.

Fu allora, che gli sovvenne un’idea.

O meglio, l’idea.

<< Serpeverde. >>

<< Eh? >> domandò James, non capendo. Anche Remus e Peter aggrottarono le sopracciglia, confusi. Soprattutto perché il loro amico aveva un’espressione stralunata stampata in faccia.

<< Sirius, cosa intendi? >> gli chiese, fin troppo lentamente, Lunastorta, squadrandolo al contempo come se avesse di fronte un grave caso clinico.

<< Serpeverde, per il mio compleanno. >> esclamò il ragazzo, convinto, con enorme perplessità ed orrore da parte degli altri tre, << Fate loro uno scherzo. >>

Ovviamente, furono le parole magiche.

James sorrise di scatto, entusiasta.

Remus, al contrario, scosse le testa: << Scordatelo. >>, mentre Ramoso esclamava: << Certo! >>

<< Grande Prongs. >> approvò Sirius, e subito dopo: << Cattivo, Moony. >>, ma le sue parole sembrarono scivolare addosso al prefetto senza sortire alcun effetto.

<< Dovreste darvi una calmata. >> iniziò Remus, serio. << saranno anche Serpeverde, ma sono pur sempre dei nostri compagni di scuola. E coi vostri scherzi non fate che umiliarli, il più delle volte. >>

Sirius sospirò, prima di adottare il suo solito sorriso beffardo e cingere le spalle di Lunastorta con un braccio, per poi tirarlo verso di sé. L’altro rimase piuttosto impassibile.

<< E’ proprio questo il bello, Rem. >> disse dunque Felpato, malandrino. << E poi, forse intendevi dire “coi nostri scherzi”, giusto? >>

Il licantropo avvampò, irrigidendosi, colpevole. << Capisco l’enorme amore per il tuo ego, Sirius, ma non c’è bisogno di usare il pluralia maiestatis. >> tagliò corto, sebbene incerto.

Sirius si trattenne a stento dallo scuotere il capo con aria divertita. Non conosceva il significato di quell’astrusa espressione usata dall’amico, ma ricorrere all’ironia per sottrarsi a situazioni scomode era davvero così Remus, che non poté non perdonarlo immediatamente per il suo rifiuto.

Rise: << Povero, piccolo, ingenuo Moony. Guarda come respinge la sua natura. Perché respinge la sua natura? >> aggiunse poi, rivolgendo la domanda a James.

Questi, dal canto suo, sollevò le spalle, complice, entrando nella parte.

<< Non saprei. L’avremo allevato male? >>

<< Oh, no! >>

Remus alzò gli occhi al cielo.

<< Allevato? E che sono, un animale? >> domandò, rivolto più che altro a sé stesso.

La farsa, intanto, proseguiva.

<< Oh, Pad, sentilo! Il nostro bambino si paragona ad un cane? >>

<< O ad un pesce rosso, magari! Che non si senta amato? >> sospirò Sirius, melodrammatico, << Forse lavoriamo troppo? >>

<< Per fortuna ci pensa il piccolo Peter, a riempirci d’orgoglio! >> aggiunse James, teatralmente, e al sentirsi coinvolto Codaliscia sorrise, grato e divertito.

Remus, intanto, sospirò, con ancora Sirius avvinghiato a lui, chiedendosi allo stesso tempo se esistesse qualcosa che potesse tirarlo fuori da quella deplorevole situazione.

<< Ma io cosa ci faccio ancora qui con voi? >>

<< Il problema è che siamo dannatamente divertenti, Moony. >> esclamò James, sorridendo. << E fra qualche minuto mi stimerai ancora di più. >>

<< A te non stima nessuno, Prongs. >> sghignazzò Sirius, scuotendo la testa.

 

 

 

 

 

 

 

***

 

 

 

Qualche giorno dopo, i Malandrini percorevvano il medesimo corridoio.

Sirius stava ridendo.

<< Hai fatto un ottimo lavoro, con quella pozione. >> esclamò, rivolto a James. << Quel povero Corvonero sarà felice di ricomprarsi un altro calderone. >>

Il ragazzo sbuffò, sebbene con aria non poi così tanto dispiaciuta: << E’ stato un incidente. I Corvonero sono un po’ troppo presi di sé, ma di certo non sono le Serpi. >> spiegò, ridacchiando, << Di certo non meritano i miei brillanti scherzi. >>

Sirius lo guardò, con un ghigno beffardo: << E da quando i tuoi scherzi sarebbero brillanti? >>

<< Aspetta di vedere il tuo regalo di compleanno. >> disse, infilando una mano nella cartella.

Peter, s’avvicinò a lui, incuriosito: << Ce l’hai lì dentro? >>

<< Diciamo di sì. >> rispose il ragazzo, mentre gli altri due amici di sporgevano verso di lui. Dopo qualche istante, James trovò quello che stava cercando, e lo estrasse dalla cartella con aria trionfante.

<< Ta-dan! >> esclamò, euforico.

In mano, teneva una piccola ampolla di vetro, contenente un liquido verde acceso.

Remus aggrottò le sopracciglia, Sirius parve confuso.

<< … Grazie? >>  domandò, ironico. James lo guardò malissimo: << Non fare lo scemo, non sai nemmeno cos’è. >>

<< E allora illuminaci. >>

<< Questo, messer Felpato. >> iniziò il Grifondoro, solenne. << E’ il mio scherzo a Mocciosus in tuo onore. >>

Il viso di Sirius s’illuminò, mentre Remus alzava gli occhi al cielo.

<< Ma và? >> sospirò, sconfortato. La spilla da prefetto, purtroppo fulgidamente appuntata sul suo petto, gli ricordò gli innumerevoli doveri a cui non aveva mai adempiuto.

… E probabilmente se ne stava aggiungendo un altro alla lista, considerata l’espressione malefica sul viso di James.

<< Wingardium Leviosa >> diceva intanto Ramoso. La boccetta si sollevò leggiadra dal palmo della sua mano.

<< Cosa vuoi fare? >> domandò Codaliscia, affascinato. James ghignò.

<< I Serpeverde avevano Trasfigurazione e ora devono andare a Storia della Magia. Quindi, Piton passerà sicuramente di qui. >>

<< Merlino, hai anche fatto delle ricerche, per questo? >> domandò Sirius, commosso.

Lunastorta appariva più sconsolato che mai.

<< Sei irrecuperabile. >> disse, sconfortato.

James rise, mentre insieme ai Malandrini si acquattava dietro una colonna, all’incrocio tra il corridoio in cui si trovavano e quello da cui sarebbero giunti i Serpeverde.

Prongs si sentiva emozionato, come ogni volta che si preparava ad uno scherzo.

Si sentiva eccitato, invincibile.

<< Quando il caro Mocciosus arriverà, io… >>

<< Io cosa? >>

James sobbalzò, riconoscendo immediatamente quella voce.

Si drizzò di colpo, stampandosi in faccia un sorriso innocente –come se servisse a qualcosa-.

L’ampolla ondeggiò pericolosamente sopra di lui, a causa del movimento brusco che aveva fatto nel nascondere le mani – con la bacchetta- dietro la schiena.

<< Ciao, Evans! >> esclamò, forzatamente allegro.

La ragazza, le braccia incrociate e i lunghi capelli rossi che le ricadevano morbidi sulle spalle e il petto, inarcò un sopracciglio, squadrandolo da capo a piedi.

<< Che stai combinando? >> domandò, sospettosa. Il sorriso di James si allargò maggiormente.

<< Nulla, mia cara. >>

Lei assottigliò lo sguardo.

<< Mi credi davvero così stupida? >> chiese, scettica. << Hai la bacchetta in mano ed una boccetta sospetta ti fluttua sulla testa. Cos’è? >>

James fece spallucce, sorridendo.

<< L’hai detto tu. >> rispose, sereno << La mia testa. >>

<< Potter… >>

<< Oh, Evans, chiudi il becco! >> sbottò Sirius, alla sua destra. Ramoso quasi si sentì male: ecco che ricominciava.

O meglio, ricominciavano, considerata l’espressione furente della ragazza.

James sospirò: da quando lui e Sirius si erano scambiati di ruolo nel meritarsi l’odio di Evans?

Intanto, la sopracitata Evans era rossa quasi quanto i suoi capelli. Inspirò a fondo, pronta ad una delle sue solite ramanzine.

Prongs s’infilò una mano in tasca, sapendo bene cosa cercare. Doveva evitare che la discussione degenerasse altrimenti, per l’ennesima volta, non avrebbe saputo da che parte schierarsi.

<< Senti, Black, non… >>

Non fece in tempo a finire la frase che James, confuso dalla precipitosità della situazione, le ficcò una chewgum babbana in bocca. Evans la sputò subito, guardandolo poi con rabbia e stupore.

<< Potter! >> urlò, paonazza. << Sei scemo?! >>

<< Sono buone! >> tentò il ragazzo, a mo’ di giustificazione. Poi, per equa misura, se ne mise in bocca una anche lui. << Vedi? >> disse, rivolgendosi alla rossa, << Non sono avvelenate. >>

<< Ce ne è una anche per me? >> domandò Peter, piano.

James scosse con decisione la testa, e l’amico si ritrasse nel suo angolino, mentre Remus gli dava qualche pacca consolatoria sulla schiena.

Per niente distratta da quel ridicolo quadretto che di fatto erano i Malandrini, Evans portò le mani ai fianchi e li guardò con severità.

<< Ho sentito chiaramente il nome di Severus uscire dalla tua bocca, Potter, e…  >>

Il ragazzo la interruppe, ridacchiando e mollando una gomitata amichevole a Sirius.

<< In realtà, io ho detto Mocciosus. >> disse, e poi s’illuminò, buttando un’occhiata dall’altra parte del corridoio: << Oh, guarda, sta arrivando. >>

La prefetto sobbalzò, all’erta.

Poi, imperterrita, si rivolse nuovamente ai due.

<< Potter, Black, fareste meglio a dirmi cosa avete in mente, ve l’assicuro. >> continuò, cercando di apparire il più minacciosa possibile.

James inarcò le sopracciglia.

Si avvicinò alla ragazza, con aria maliziosa.

<< Altrimenti? >> domandò, soffiando in modo tale che la chewgum si gonfiasse in una bolla rosa.

Lei, trattenendo l’istinto di fargliela scoppiare sugli occhiali, gli diede uno spintone per allontanarlo.

E successe il finimondo.

Per riprendere il controllo della pozione, che al suo arretrare era guizzata all’indietro col rischio di colpire qualcuno che non fosse Mocciosus, James era riscattato in avanti, ancora con la gomma babbana gonfiata a bolla in bocca, col volto a pochi millimetri da quello di Evans.

BUM!

La pozione esplose, a distanza a pochi centimetri da Piton, come previsto, ma non sopra la sua testa, bensì all’altezza della faccia. Nel frattempo, il frastuono inaspettato aveva fatto sobbalzare Evans e James, il quale stava ancora riportandosi avanti, vicino alla rossa: la piccola esplosione colse di sorpresa anche lui, e in parte per evitare di affogarsi, in parte a seguito di quella sfortunata concatenazione di eventi, sputò la chewgum ancora gonfia. La bolla, ovviamente, scoppiò, ed contemporaneamente andò a finire, come un’appiccicosa ragnatela rosa…. Sui capelli di Evans.

Questa strabuzzò gli occhi, mettendoci poco a capire cos’era successo.

<< POTTER! >> urlò, più disperata che arrabbiata, portandosi nel frattempo i lunghi capelli sulla spalla per controllare i danni. La cicca le si appiccicò sulle mani e su altre ciocche, peggiorando la situazione, e James –più atterrito di lei- cercò di bloccarla: << Ferma, ferma! >>

<< Non mi toccare, idiota! >> sbottò la prefetto, in ansia e con le lacrime agli occhi. << Guarda cos’hai combinato e… Severus! >>

Entrambi si voltarono verso il Serpeverde. La pozione di James aveva funzionato, sebbene con degli effetti collaterali inaspettati. Come previsto, i capelli erano passati dal consueto nero a un verde acceso, ma anche il volto, vicino cui era esplosa la boccetta, si era tinto di verde, ottenendo un risultato ancor più soddisfacente. Tuttavia, l’intruglio doveva aver causato una qualche reazione allergica: pustole e brufoli enormi e dall’aria dolorosa stavano riempiendo il volto del ragazzo che, sofferente, si piegò su se stesso con un lamento.

<< Sev! >> la ragazza corse verso di lui, preoccupata. << Sev, stai bene? >>

Con un mugugno, ancora piegato su se stesso, col viso rivolto verso terra, Piton andò a cercare la spalla dell’amica con la mano, per trovarvi un sostegno. Tuttavia, andò inevitabilmente a toccare i capelli di lei, impasticciati di chewgum, e Piton ritrasse di scatto la mano.

<< Lily, ma cosa…? >>

<< Ahi! Ahi, Severus, non tirare! >> strillò lei, e la mano del ragazzo era ormai appiccicata alla gomma che era attaccata inesorabilmente ai capelli della Grifondoro, e più lui cercava di rimediare allontanando la mano, più le tirava i capelli e più lei esclamava “ahi” con voce acuta e piegava la testa di lato.

Ben presto, la scena divenne alquanto patetica, e gli studenti nel corridoio cominciarono a ridere. Prima piano, poi sempre più fragorosamente.

Sia Evans che Piton s’immobilizzarono, e James vide con orrore la ragazza avvampare, in un misto di rabbia ed imbarazzo, gli occhi lucidi non appena si rese conto della situazione.

Il labbro del Serpeverde fremeva, mentre il volto gli si riempiva di orribili pustole, e la prefetto tremava per l’umiliazione, forse sul punto di mettersi a piangere o affatturarli tutti.

Remus, avvalendosi per una buona volta della sua spilla da prefetto, fece un passo avanti, incerto.

<< Fareste meglio ad andare in classe. >> esclamò, rivolgendosi alla folla. << E’ vietato affollare i corridoio durante gli orari di lezione. >>

Non che fosse proprio vero, ma era abbastanza credibile come regola scolastica.

E poi, prefetto e Caposcuola erano il massimo quando c’era da impartire ordini, e gli studenti, sotto l’implicita minaccia di avere sottratti punti, cominciarono ad andarsene ognuno verso la rispettiva aula.

In mezzo alla confusione, però, James non poté non guardare Lily Evans, fissarlo.

Non era uno sguardo gentile, il suo.

Era lo sguardo di una ragazza ferita e arrabbiata.

James provò a fare un passo avanti, esitante.

<< Evans, io… >>

La prefetto non l’ascoltò neanche.

Afferrò Piton per una mano e se lo tirò via, portandoselo chissà dove.

 

 

 

***

 

 

James si chiuse la porta del dormitorio alle spalle, accasciandosi contro di essa con aria scoraggiata.

Sirius, dal suo letto, disteso su un fianco e con il viso sostenuto dal dorso della mano, lo osservò con espressione serafica.

<< Allora? >>

Con un sospiro, Ramoso sollevò lo sguardo verso di lui: << Allora cosa? >> domandò, abbattuto. << E’ in infermeria. >>

Sirius inarcò un sopracciglio, domandandosi perché la tirasse tanto per le lunghe.

<< E… >> incalzò, lasciando in sospeso la frase in modo da esortarlo a continuare. Ma, in quell’istante, sembrava che, per tirarla fuori dalla bocca dell’amico, bisognasse agganciare ogni parola ad una scopa ed incantare quest’ultima in modo che schizzasse dalla parte opposta a tutta velocità.

<< E nulla. Non l’ho vista. >> bofonchiò, imbronciato.

Sirius non poté trattenersi dall’abbozzare un ghignetto divertito: << Chi ti ha cacciato fuori a calci? Lei o Madama Chips? >>

Ramoso gli rivolse un’occhiata contrita, con tanto di sopracciglia aggrottate e muso lungo.

<< Evans non lo farebbe mai. >> disse, in un borbottio offeso, << Sono io che non sono voluto entrare a vederla. Metti caso che l’hanno dovuta rasare a zero, poverina. >> continuò, e non potè fare altro che pensare ai bellissimi e rossissimi e lunghissimi capelli di Evans.

“Sono un mostro.”  pensò, disperato, mentre al contempo rifletteva su quale era la maniera meno dolorosa per suicidarsi.

Una volta individuata, l’avrebbe esclusa a priori, perché di certo si meritava una morta lunga e dolorosa.

Sirius, intanto, notò la sua espressione esageratamente amareggiata –insomma, era solo Evans e Dio, erano solo capelli.- e lo scrutò, perplesso.

<< Amico, sta calmo. >> disse, serio. << In caso, si tratterebbe solo di una Evans con la tigna. >>

Il mugolio che ricevette in risposta gli fece intuire di non aver usato l’approccio più adeguato.

Sospirò, rotolando sulla schiena in modo che, dinnanzi a lui, si profilasse soltanto il soffitto della stanza.

… Aveva chiesto lui a James di organizzare uno scherzo.

Non gli andava che fosse triste per questo motivo.

<< Andiamo nelle cucine. >> propose, praticamente senza neanche pensarci un momento.

L’altro, però, non sembrò accogliere l’idea con così tanto entusiasmo: << Non ho fame. >> borbottò, in un tono che ricordava tanto gli ostinati capricci di un bambino.

Sirius, allora, si rigirò su un fianco, in modo da poter guardare l’amico dritto in faccia.

<< Ma in cucina ci sono ingredienti, forni e pentolini vari. >> continuò dunque, allettante. << E Merlino solo sa quanto ti piace cucinare. >>

James arrossì di botto, cosa piuttosto insolita per un tipo spavaldo come lui.

<< Solo quando sono depresso. >> borbottò, a mo’ di difesa.

<< Certo, signorina Potter. >>

<< Smettila di paragonarmi ad una donna, Pad. >> bofonchiò Prongs, sempre più rosso, << Proprio tu che stai ore davanti allo specchio a pettinarti. >>

<< Che avete tutti contro i miei capelli? >> domandò lui, scocciato, prima di rendersi conto che, nuovamente, era ricorso alle parole sbagliate. James, difatti, impallidì miseramente non appena udì quel “capelli” uscire dalla sua bocca.

<< Oh, che cosa ho fatto? >> mugolò il giovane Potter, portandosi le mani sul viso.

<< Avanti, Jim, non fare il tragico. >>

L’amico sollevò il volto da dietro le mani, con un sorriso entusiasta. << Ok! >> esclamò, con una velocità di ripresa che lasciò Sirius palesemente sorpreso.

<< Sei serio? >> domandò dunque il ragazzo, incerto.

Ma James sembrava più convinto che mai.

<< Ovvio! Cucinerò dei biscotti meravigliosi e li regalerò ad Evans in modo che mi perdoni! >> disse tutto d’un fiato, con evidente eccitazione.

Sirius sospirò. Non era questo ciò che aveva in mente, ma andava bene lo stesso. Si alzò dal letto, proprio mentre, inaspettatamente, James vi balzava sopra.

<< Che fai, cretino?! >>

<< Forza, Malandrini a raccolta! >> esclamò l’altro, con rinnovato entusiasmo, sollevando i pugni all’aria. << Dove sono Remus e Peter? >>

<< Peter a ripetizioni di Erbologia, Moony ad una qualche riunione di prefetti. >> rispose Felpato, e l’amico s’irrigidì all’improvviso.

Riunione di prefetti voleva dire Evans, e Evans voleva dire capelli di Evans.

<<  Tu va a chiamaere Remus, io penso a Peter. >> disse, nuovamente atono.

Sirius lo guardò contrariato, e pensò che anche sua cugina Narcissa era prefetto, e l’ultima persona che desiderava incontrare era un Black. << E dovrei infilarmi in un gruppo di secchioni prefettini? Non se ne parla. >> sbottò, cercando di non lasciar trapelare la sua vera preoccupazione. Nel frattempo, con molta nonchalance, aveva già messo una mano sulla maniglia, pronto ad anticipare l’amico ed andare a strappare Peter dalle grinfie della Sprite.

James, ancora in piedi sul letto, notò la cosa ed intese le sue intenzioni, improvvisamente all’erta.

Assottigliò lo sguardo, minaccioso, mentre si abbassava piegandosi sulle ginocchia, forse pronto a scattare. La sua mano, invece, andò a cercare qualcosa dietro di lui, una potente arma con cui avrebbe senz’altro ottenuto la resa dell’avversario.

<< Non oserai… >> disse, intanto, come ultimo avviso.

…Ma, ovviamente, Sirius decise di non stare al gioco e di fare il figo come suo solito, facendolo quindi sembrare un emerito idiota.

Quello stupido cane, infatti, si limitò a girare la maniglia, mentre l’altra mano stava mollemente nella tasca dei pantaloni della divisa, e a liquidarlo con nonchalance.

<< Ci vediamo dopo, James. >>

Il cuscino che Prongs scagliò contro di lui colpì, inutile, la porta che oramai l’altro si era chiuso alle spalle.

 

 

 

Sirius uscì dalla Sala Comune con le mani in tasca, scuotendo la testa, più divertito del solito.

Di solito si abbassava ai livelli di demenza di James, facendo comunella assieme a lui, ma anche snobbarlo in quel modo costituiva uno spasso impagabile.

Attraversò il corridoio a falcate –dato che era giornata, si annotò mentalmente di ricordare a Prongs la loro differenza d’altezza-, facendo mente locale sulla via più veloce per arrivare alle serre.

Non aveva un senso dell’orientamento brillante –diciamo pure che avrebbe potuto trovare il modo di perdersi in uno spazio di dieci metri quadrati-, tuttavia anni di coprifuoco infranti e passeggiate notturne gli erano stati utili, costituendo un certo vantaggio rispetto al resto della scolaresca di Hogwarts, in modo che ormai conoscesse il castello come le sue tasche.

E poco importa se nelle sue tasche finiva sempre per ritrovarsi carte, biscotti e schifezze varie che non ricordava di avere mai messo lì e che probabilmente non erano manco sue.

Decise di passare per l’ala ovest, e tagliare per il secondo piano. Anche coordinarsi con il moto discontinuo delle scale era ormai un gioco da ragazzi.

Mentre svoltava l’angolo, da lontano, apparve una figura femminile. Dato il naso pronunciato e la corporatura troppo mingherlina, nonché il suo totale disinteresse per le ragazze –dovevano essere gli ormoni pre-compleanno, che forse anche i maschi avessero un loro “periodo” ? – Sirius la ignorò fino a quando non se la trovò sbattuta davanti, col viso sollevato verso di lui.

Il ragazzo sobbalzò quando si trovò quegli enormi occhi marroni puntati in faccia.

Si fermò, ricambiando lo sguardo, in attesa. << E tu sei…? >>

La ragazza, un po’ bassa e sì, un po’ troppo magra, inarcò le sopracciglia. Aveva l’aria di essere una sveglia, nonostante tutto. << Siamo nello stesso anno. Sono Emmeline Vance. >>

Lui aggrottò le sopracciglia. Tentò la sorte.

<< Tassorosso? >>

<< Corvonero. >>

<< Ah. >> ecco spiegata l’aria saccente. O era normale che una ragazza si seccasse o comunque rimanesse perplessa per il fatto che un suo compagno non si ricordasse della sua esistenza?

Ad ogni modo, Sirius sbuffò. Femmine che gli giravano attorno volevano dire una sola cosa, ed era già infastidito di suo per permettersi altre scocciature.

<< Volevo… >>

<< Alt. >> disse calmo Sirius, sollevando di poco la mano per anticiparla. << No, non ricambio il tuo folle amore per me. E neppure voglio semplicemente andare assieme ad Hogsmeade.  Né…! >> aggiunse, notando che la Corvonero aveva aperto bocca per ribattere. << Né, tantomeno, condividere un’erotica notte proibita ed accettare le tue virginee grazie. >>

Ovviamente, lei lo guardò malissimo. Come sempre, tutto programmato. Ora o sarebbe scoppiata in lacrime, o gli avrebbe mollato un ceffone, ma per fortuna la tipa sembrava piuttosto deboluccia.

Eppure, Vance fece qualcosa di inaspettato.

Inarcò –di nuovo- un sopracciglio, ed aprì la bocca.

Per parlare.

<< In realtà, Black, volevo dirti che il tuo amico Minus ti stava cercando, e dato che ha detto di dover scappare dalla Sprite e siamo in buoni rapporti, gli ho fatto il favore di venire a dirti che ti aspetta sul cortile est per un affare urgente. >>

Di tutto quel discorso, Sirius colse solo una frase.

<< Tu e Peter siete in buoni rapporti? >> domandò, stupefatto, ed incerto su cosa “buoni rapporti” volesse dire.

La Corvonero sollevò gli occhi al cielo, con un sospiro: << Addio, Black. >>

Nel voltargli le spalle e tornarsene da dove era venuta, sollevò e sventolò con grazia la mano in cenno di saluto.

 

 

***

 

Sirius rabbrividì non appena uscì all’aperto.

Si sarebbe dovuto portare il mantello, l’aria era gelida.

Stringendosi le mani sotto le ascelle nel tentativo di riscaldarsi, si guardò attorno, fino ad individuare una piccola e tonda figura ai piedi del portico che percorreva il perimetro quadrato del cortile.

Sirius corse verso di lui, fermandoglisi di fronte e saltellando da un piede all’altro, cercando di riscaldarsi.

<< Peter! Torniamo al chiuso per fav… >> s’interruppe, notando subito l’espressione amareggiata dell’amico, che lo guardava mestamente, l’aria dispiaciuta.

<< Codaliscia, cosa… >>

<< Scusami, Sirius. Ho avuto paura, non sono come voi, io. >>

Felpato aggrottò le sopracciglia, mentre lo coglieva un brutto, bruttissimo presentimento, che si manifestò in una morsa allo stomaco.

 << Di che cosa stai parlando? >> chiese, ma Peter si limitò a chinare lo sguardo. Sembrava che da un momento all’altro sarebbe scoppiato a piangere. << Scusa. >>

Sirius non fece in tempo a domandare altro che qualcosa di freddo, liquido e vischioso gli piombò addosso dall’alto, come una cascata. Una cascata rossa del cui fetore poteva benissimo essere associato ad aglio o vomito.

Senza fiato e parole, udì subito l’infrangersi di risa alle sue spalle.

Fradicio, puzzolente e stupefatto, il ragazzo si voltò di scatto verso la loro origine: un gruppo di Serpeverde si stava piegando in due dalle risate a pochi passi da loro e Sirius, tra Malfoy, i fratelli Lastrange e due studenti più piccoli, un maschio ed una femmina, non ebbe difficoltà nel riconoscere un ragazzo più alto e snello rispetto ai suoi coetanei, proprio come lui.

Sirius avrebbe voluto morire.

Dotato della sua stessa innata eleganza, suo fratello sembrava un principe anche mentre si sbellicava dalle risate come il più misero degli idioti.

Aprì la bocca, non certo di cosa ne sarebbe uscito.

E, difatti, non ne uscì proprio nulla.

<< Oh, Black, chiudi la bocca, perlomeno! >>

Le risate crebbero, con l’eccezione di quelle di Regulus che, tornato alla solita compostezza, lo guardava ora con un sorriso cattivo in viso.

Sirius non voleva crederci.

Ma, subito dopo, l’amaro stupore lasciò spazio alla collera. Strinse i pugni.

<< Sei soddisfatto, adesso? >> ringhiò, irato.

Non aveva fatto nomi, ma lo sguardo rabbioso puntato verso il fratello non lasciava dubbi su chi fosse il destinatario di quelle parole.

Regulus fece spallucce: << Ho sentito che eri coinvolto in quello spiacevole scherzo a Severus. Non che fosse difficile immaginarselo, del resto. >>

<< Ah, adesso tu e Piton sareste amici? >>

<< Amici? >> Regulus apparve ingenuamente stupito. << Non essere stupido. Diciamo che si tratta di semplice solidarietà Serpeverde. >>

Sirius sbuffò, sarcastico. << Tsè, e voi Serpeverde sareste in grado di provare qualcosa al di fuori dell’odio e dell’ambizione? >>

Alcuni dei presenti –tra cui i due ragazzi più piccoli, che dovevano essere amici di Regulus- sembrarono offesi dalle sue parole. Tuttavia, una voce ugualemtne ironica e tagliente si sollevò dal gruppo.

<< Nella stessa misura in cui voi Grifondoro siete mossi dalla sola, patetica, boriosa esigenza di mettervi in mostra, Black. >>

Mentre Peter, alle sue spalle, mugugnava un lamento impaurito, sul viso di Sirius il ghigno ironico s’espanse, non appena vide colui che aveva pronunciato quelle parole.

<< Bei capelli, Mocciosus. >> disse, alludendo alle ciocche più vicine al viso che, reduci del lavoretto di James, avevano assunto un colorito verdognolo.

Piton sospirò, fingendo noncuranza: << Madama Chips mi ha curato la faccia, ma per i capelli dovrò aspettare qualche settimana. Ma non temere, >> aggiunse, freddo,  << Ti ho reso il favore. >>

<< Spero che il rosso stia bene coi tuoi belli occhioni grigi, cugino. >> aggiunse intanto Bellatrix, ironica, alla destra di Mocciosus. Sirius si voltò di scatto verso di lei, sentì la collera prendere il sopravvento e, incurante di essere in minoranza, nonché spinto dalla sua ben nota impulsività, estrasse la bacchetta dai pantaloni.

<< Experlliarmus! >> gridò Regulus, pronto, non dandogli nemmeno il tempo di puntarla contro la ragazza.

Il fatto che fosse stato proprio suo fratello a disarmarlo, lo mandò su tutte le furie: << Sei un idiota, Regulus! >> sbraitò, lasciandolo, tuttavia, impassibile.

Il maggiore dei Lastrange rise, rise di cuore.

<< E’ stata sua l’idea, sai? Si è anche occupato di rendere invisibile il calderone. >> disse, alludendo al grosso contenitore nero sospeso sopra la testa di Sirius, il quale notò l’oggetto soltanto in quel momento. L’incantesimo doveva essere svanito da poco, ed ora il ragazzo poteva ben vedere l’arruginito calderone grondante di melma rossa che doveva essere stato sgraffignato direttamente dall’aula di Pozioni.

Di fronte alla sua espressione smarrita, Lastrange sorrise. Continuò: << Certo, alla pozione ci ha pensato Severus, ma il resto è tutta opera sua. Una geniale mente malandrina, non trovi? >> Pronunciò le ultime parole con tono apertamente derisorio, e ciò fece imbestialire Sirius, ed atterrire Peter, sempre più demoralizzato.

Uno dei ragazzi più piccoli rise, un po’ incerto. << Deve essere un dono di famiglia, eh? >> tentò, e sia Sirius che Regulus lo fulminarono con lo sguardo –chi per un motivo, chi per un altro-, mettendolo a tacere. Facendosi piccolo piccolo, il ragazzino si ritrasse alle spalle di Piton, mentre il più giovane dei Black sbuffava.

<< Lui non fa più parte della famiglia. >> sibilò, con un misto di cupezza e cattiveria.

Un ghigno beffardo comparve sul volto di Sirius.

Eccola lì, la solita storia, le frasi fatte che sentiva pronunciare ormai da anni.

<< Me ne sono fatto una ragione molto tempo fa, non temere. >> disse, ironico.

Regulus sollevò il capo verso di lui, guardandolo come se si trovasse davanti ad un idiota.

<< Parlo seriamente. >> asserì, il tono grave, << La nostra stessa madre si è occupata di eliminare il tuo nome dal ritratto di famiglia. >>

Fu davvero un colpo basso, uno di quelli in grado di mozzarti il fiato e lasciarti letteralmente a bocca aperta, mentre il cuore sembra fermarsi ed una morsa dolorosa attanagliarti lo stomaco.

Walburga Black che premeva la punta della bacchetta sul punto dell’arazzo di famiglia in cui era ritratto il suo volto, con uno sguardo crudele in quegli occhi scuri così simili a quelli di Regulus.

Fu questa l’immagine gli balenò nella mente, lasciandogli uno sconfortante senso di delusione ed amarezza.

Pensò alla macchia nera dai bordi inceneriti che aveva sostituito la sua faccia su quella parete, la stessa che riportava tutti i suoi parenti ed antenati.

La stessa parete su cui, ormai, non esisteva più nessun Sirius Orion Black.

Era davvero così tragico?

In fondo, oramai, era libero, estraneo da quell’infida ed odiosa concatenazione di legami sanguigni dalla quale si era sempre sentito oppresso e frustrato.

Inspirò profondamente.

Sollevò il capo, lo sguardo sicuro e determinato.

… Ed un sorriso ghignante, di sfida.

<< Non potevo sperare di meglio, Reg. >> disse, sarcastico. << E, davvero, ti auguro la mia medesima fortuna. >>

Pronunciò quelle parole con convinzione, con una sfrontatezza tale da innervosire il fratello, che lo guardò con un misto di irritazione e perplessità.

<< Non vedo come tu possa andare fiero di essere un traditore,  fratello, e ti prego di non coinvolgermi nei tuoi ragionamenti insensati. >> iniziò, con una freddezza tale da sfociare nell’imperturbabilità. << Inoltre, non capisco di come tu possa compiacerti della tua condizione. Non hai più una casa, una famiglia. >> il tono di voce assunse una sfumatura di rancore, rendendola più tagliente e vibrante. << Sei solo, Sirius, non lo capisci? >>

La sua voce era gelida, ma la sue espressione sembrava denotare qualcos’altro. Lo stesso Regulus, mentre pronunciava quelle parole, sentiva la propria volontà incrinarsi.

Forse, una parte di lui, sperava ancora nel ritorno del fratello?

Forse era per questo che, istintivamente, non si era trattenuto dal fargli notare quanto infelice doveva essere la sua condizione, magari in modo che si pentisse di essersene andato e tornasse sui suoi passi?

“No, Regulus. Ricorda le parole di tua madre.”

Sirius non era più suo fratello.

Era un traditore del proprio sangue, così come quell’imbecille di Potter e la maggior parte di quegli stupidi Grifondoro balordi.

Certo, non che avesse piena coscienza di cosa volesse dire esattamente essere un traditore del proprio sangue, ma cavolo, Sirius era scappato, lo aveva abbandonato.

Aveva abbandonato proprio lui, che era suo fratello!

Traditore.

Come altro poteva definirlo?

E, soprattutto, come poteva più rivolgere verso di lui un qualsiasi pensiero positivo, o provare un qualunque moto d’affetto?

Ricordava ancora il suo vecchio fratellone, quello che ancora non era stato smistato a Grifondoro e a cui non era ancora stato fatto il lavaggio del cervello…. Ma, ora come ora, non provava altro che rabbia.

<< E’ una bugia. >>

Ad infrangere il silenzio, era stata una voce flebile ed incerta, ma ben riconoscibile.

Tutti, sia Sirius che i Serpeverde, volsero la propria attenzione verso il piccolo Peter Minus, di cui si erano, a dirla tutta, praticamente dimenticati l’esistenza.

Eppure, eccoli lì, rosso dalla vergogna e la paura, il labbro tremante come la voce, ma lo sguardo determinato, mentre ognuno lo fissava con curiosità e sorpresa.

<< Come, prego? >> domandò Piton, quasi disgustato, inarcando un sopracciglio.

Sirius, tuttavia, notò come il disprezzo di Mocciosus scivolò su Peter senza sortire alcun effetto; anzi, ora Codaliscia pareva più sicuro.

<< Questa è una bugia. >> ripetè, a voce più alta. << Sirius non è affatto solo. E’ amico mio, e di James, e Remus.  Siamo noi la sua famiglia. >> aggiunse, voltandosi verso l’amico. Sirius gli rivolse uno sguardo riconoscente, abbozzando un sorriso.

I Serpeverde si scambiarono qualche occhiata confusa.

Poi, ovviamente, scoppiarono a ridere.

<< E di questo che hai bisogno, Black? >> esclamò Rabastan, con ilarità << Che Minus ti difenda? >> continuò, calcando sul cognome dell’altro Grifondoro.

Peter chinò lo sguardo, umiliato.

… E Sirius non ci vide più.

Con un moto di rabbia, grondante di melmosa pozione, con dei ridicoli capelli rossi e totalmente dimentico di essere un mago, il ragazzo si scagliò contro il più giovane dei Lestrange, urlando.

Caricò il pugno, e gli ruppe il naso.

 

 

***

 

 

 

<< E’ stato piuttosto eroico, da parte tua. >>

<< Peter, ti prego. >>

<< Davvero. Avresti fatto anche fatto una bella figura, se l’amica di tuo fratello non ti avesse steso con un calcio in quel punto. >>

Prongs, da bravo insensibile qual’era, scoppiò ovviamente a ridere, rischiando di far cadere a la ciotola con l’impasto. Remus tentò una maggiore discrezione, sperando che nessuno si fosse accorto che aveva quasi sputato il cioccolatino che poco prima si era infilato in bocca con nonchalance.

Sirius, con un ridicolo cappello di lana in testa per mascherare i capelli rossi –sarebbero tornati a posto tra qualche giorno-, sbuffò, guardando in cagnesco il suo migliore amico.

<< Smettila subito, James. >> gli intimò, gelido.

Ovviamente, la freddezza del suo sguardo non sortì alcun effetto, e mentre Ramoso continuava a sbellicarsi, lui sospirò, amareggiato, borbottando un “che bello avere degli amici”.

James, provando al contempo –invano- di ricomporsi, lo sentì, e mentre si asciugava le lacrime, disse: << Oh, Pad, mettiti nei miei panni. Sei svenuto perché una ragazzina di dodici anni ti ha colpito nelle palle. >>

Sirius mise su un patetico broncio.

<< Ne ha tredici, di anni. >> borbottò, come se ciò fungesse da attenuante. <>

<< Posso dire la mia? >>

<< Ovviamente no, Moony. >> sbottò il ragazzo, lanciando all’amico un’occhiataccia.

Remus fece spallucce. << D’accordo. Allora non ti dirò di prestare molta attenzione al tavolo dei Serpeverde, domani. >>

Sirius si zittì all’istante, perplesso.

James smise di mescolare l’impasto dei biscotti, ma non si trattenne dal colpire in testa Peter col mestolo non appena questi provò ad infilare un dito nella ciotola per assaggiarne il contenuto.

Il prefetto rimase in silenzio, estraendo con tranquillità un altro cioccolatino dalla busta che aveva sgraffignato dalla dispensa della cucina.

Stava per infilarselo in bocca, quando Sirius parlò.

<< Cosa intendi? >> domandò il ragazzo, aggrottando le sopracciglia.

La mano di Remus si bloccò a mezz’aria, il tondo cioccolatino tra le dita.

<< Sta arrivando il tuo compleanno, no? >> domandò, pacato, e James abbozzò un sorrisetto, nello stupore generale.

<< Lunastorta, vecchio lupastro, cosa hai combinato? >> chiese, divertito ed eccitato al contempo. La mente malandrina di Moony era simile agli attacchi di rabbia della gente tranquilla: rari, ma titanici nel loro verificarsi.

Ecco, quando il prefetto Lupin diventava il Malandrino-Remus-meglio noto come Monsieur Lunastorta, i suoi piani erano maledettamente malefici.

E geniali.

Anche Peter e Sirius guardarono Remus con curiosità.

Questo rimase un attimo in silenzio, come pensieroso.

Poi, si lasciò cadere l’ennesimo cioccolatino in bocca e solo dopo averlo ingoiato quasi senza masticarlo, parlò.

La sua risposta fu piuttosto breve.

<< Lo vedrete. >> disse, semplicemente.

 

 

E, in effetti, la mattina seguente non furono solo loro a vederlo, ma tutti gli studenti.

Studenti perplessi, divertiti, scioccati, ma ben consapevoli che, in quella assurda, ridicola e spassosissima storia ci dovevano per forza essere di mezzo i ben noti Malandrini.

Perché il fervore al tavolo della nobile ed austera casata di Salazar non poteva che spiegarsi con l’intervento del gruppo di canaglie più popolare di Hogwarts.

D’altronde, chi altro avrebbe potuto far finire nei loro calici un estratto di filtro d’amore?

Di certo Severus Piton non aveva sviluppato dal nulla un profondo amore per Narcissa Black, motivo per cui si era buttato sulla ragazza –con tanto di capelli verde pistacchio- nel tentativo di strapparle un bacio, né si sarebbe potuto spiegare altrimenti il perché Lucius Malfoy e Fabian Avery si stessero scambiando effusioni talmente passionali, e nemmeno perché Narcissa si fosse improvvisata pedofila verso alcuni primini che, sebbene terrorizzati, si spupazzavano Regulus Black, tirandoselo da una parte all’altra –più di quanto non facessero di solito, s’intende.-

Mentre la McGranitt cercava di riportare la calma ed urlava a Lumacorno di rimettere in riga i suoi studenti –ed Albus Silente se la rideva di gusto-, furono molti quelli che seguirono l’esempio dell’anziano e saggio preside.

In effetti, da quando la guerra era scoppiata nel mondo magico, era da tanto che nella scuola di magia e stregoneria di Hogwarts non si levavano tante risate.

Sirius, mentre James si rovesciava a ridere sul suo braccio, guardò Remus, di fronte a lui, rivolgendogli un sorriso riconoscente.

E dire che all’inizio non voleva neache farglielo, quel tipo di regalo.

 

 

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Capitolo 12
*** Sole Freddo ***


Capitolo 12

 Sole Freddo.

 

 

 

 

 

Quando quel mattino Lily Evans si guardò allo specchio, non si stupì affatto di quanto il proprio riflesso le apparisse infuriato.

Detestava le sue orecchie giganti, detestava quei capelli corti che le mettevano in mostra e detestava Potter perché era la causa di tutto il suo isterico, irrisolvibile, detestabile detestare.

Finì di allacciarsi il cravattino e di appuntarsi la spilla da prefetto sul maglione, spilla che ogni sera levava e riponeva sul comodino con orgoglio.

…Tuttavia, la sua attenzione era tutta focalizzata su quelle dannate orecchie, e poco importava se Alice aveva minacciato di porre fine alle sue lamentele ficcandole una pluffa in bocca –e, nota la natura violenta dell’amica, non dubitava che l’avrebbe fatto.-

Quindi si era decisa a celare il suo disagio, almeno finché sarebbe stata sotto lo sguardo vigile di Alice che, mentre s’infilava i calzettoni della divisa, la scrutava con attenzione ed intimidazione.

Purtroppo, però, Lily non era mai stata brava a nascondere le proprie emozioni, che le si leggevano perennemente in faccia, ed illudersi che Alice avrebbe scambiato il rossore sulle guance per qualcosa dovuto alla temperatura rinomatamente alta del Gennaio inglese non era che una futile ed ingenua speranza.

Nello specchio, Lily vedeva l’amica che dietro di lei stava a braccia incrociate e con aria corrucciata, e che a sua volta guardava la faccia di Lily nella superficie vitrea.

In un clima di attesa, le due si guardarono per qualche istante.

Poi, cedendo, Lily si portò le mani a coprire le orecchie, mortificata. << Le odio. >> sbuffò, atterrita.

<< Non puoi odiare un paio di orecchie. >>

<< Hai ragione. >> asserì la prefetto, sconsolata. << Non odio loro, ma il fatto che siano giganti. E, già che ci sono, odio anche Potter. >>

Alice la guardò malissimo. Era una ragazza bassina, coi capelli neri portati molto corti ed un simpatico viso rotondo, eppure in quel momento la sua aria era decisamente minacciosa.

La ragazza sospirò. << Lils, vuoi davvero che ti malmeni? >>

<< Fa’ pure. Userò le mie enormi orecchie come scudo. >> languì la prefetto, lasciandosi cadere sul letto dietro di lei. Non fece in tempo a fare nulla, che il cuscino di Alice le piombò in faccia.

<< …Ahi. >> si limitò a dire, con più apatia del solito. L’amica la osservò, divertita: tutta tranquilla, sdraiata a pancia in su sul letto, le braccia incrociate davanti al petto e un cuscino spiaccicato in faccia, Lily Evans rappresentava davvero uno spettacolo ridicolo.

Ridacchiando, le sollevò il cuscino dalla faccia, scoprendo l’espressione pacatamente sconsolata sul viso della prefetto.

<< Muoviti, dai. >> esclamò, divertita << Abbiamo Cura delle Creature Magiche esattamente tra un quarto d’ora, e dobbiamo ancora fare colazione. >>

Al pensiero di ben sessanta minuti occupati dal dover tenere a bada decine di animali, con un sorriso stampato in faccia in modo da non far capire all’insegnante quanto noiosa trovasse la sua materia, Lily avvertì ancor più impellente il bisogno di suicidarsi. Chiuse gli occhi, e sospirò per quella che doveva essere l’ennesima volta, quella mattina.

<< Odio Cura delle Creature Magiche. >>

<< Ed infatti è la materia in cui hai i voti più bassi. >> le fece notare l’amica, << Quindi sarebbe saggio evitare di fare tardi, non credi? >>

Lily, ancora in posizione supina, le rivolse un’occhiataccia. << Ti odio. >>

Alice rise: << Oggi non sei proprio in vena di sentimenti positivi, eh? >> scherzò e, per tutta risposta, la rossa le fece una linguaccia.

Poi si alzò di colpo, avvertendo un accenno di capogiro, mentre lo stomaco iniziava a protestare una notte di digiuno.

Doveva andare a mettere qualcosa sotto i denti.

Quando già era davanti alla porta della loro stanza, pronta a scendere di sotto, Alice si fermò, voltandosi indietro.

In quel momento, Lily notò l’espressione improvvisamente cupa sul suo volto.

<< E’ strana la camera con solo noi due, vero? >>

La rossa seguì il suo sguardo, verso l’ambiente circolare occupata dai quattro letti, due dei quali insolitamente ordinati e puliti, la luce flebile delle prime ore di una giornata invernale filtrava dalle finestre, illuminando il pulviscolo leggiero che aleggiava nell’aria.

<< Mary dovrebbe tornare presto. >> iniziò, incerta. << Per quanto riguarda Amy, l’importante è che stia bene. >>

A quelle parole, Alice s’irrigidì subito, chiedendo: << Credi davvero che… che abbia fatto bene ad andarsene? >>

Il suo tono insicuro e titubante rivelava quanto studiate fossero le parole che la bruna aveva adoperato, e Lily fece finta di non rendersene conto, così come nascose il fatto di aver notato immediatamente l’espressione preoccupata che l’amica le aveva rivolto.

Considerato che Amy Wilson si era ritirata da scuola perché era una Nata Babbana come lei, la domanda celata tra le parole di Alice non risultava essere poi così implicita.

E, d’altra parte, anche Lily era più che convinta della sua risposta.

Se il posto più sicuro in cui si possa essere è la propria casa, allora non aveva altro luogo dove andare.

Perché la sua casa non era più quell’abitazione a Cokeworth, la sua città natale, dove abitavano i suoi genitori e Petunia, quella stessa famiglia che percepiva sempre più distante e fredda ed ostile.

Non era quello il luogo in cui si sentiva protetta, a suo agio, a cui sentiva di appartenere.

Così, risoluta, disse: << Non c’è posto più sicuro di Hogwarts. >>

Alle sue parole, Alice tirò un sospiro di sollievo.

 

 

***

 

James, con le spalle al muro di fianco al ritratto delle Signora Grassa, deglutì, abbassando lo sguardo sul pacchetto in tessuto bianco che teneva in mano, stretto in cima da un nastro del color dei lillà.

Si sentiva nervoso, ed anche un po’ scemo, a dirla tutta.

Forse Sirius aveva ragione, forse quello che stava facendo era un po’ da femminuccia.

O forse, peggio ancora, ad avere ragione era quella vocina nella sua testa che gli diceva “C’est l’amour, Prongs” e che aveva la faccia di un cameriere francese con baffetti grigi arricciati, rosa in bocca e mandolino alla mano.

La stessa vocina di cui proprietario avrebbe volentieri preso a pedate.

Era una persona gentile ed educata lui, tutto qui. Per questo aveva preparato quei biscotti per Evans, per chiederle scusa.

…E no, non aveva intenzione di cucinare per Mocciousus, nonostante le brutte pustole che gli aveva procurato.

Si era sentito un po’ in colpa, a dire il vero, e non avrebbe mai detto a nessuno di essersi sporso dalla porta dell’infermeria per sbirciare il lettino su cui Madama Chips stava curando Piton.

Inutile dire che, non appena aveva constatato che stava bene e che l’unico danno riportato era l’improbabile colore di capelli, si era fatto una bella risata.

Aveva riso anche quando Sirius era tornato in sala comune coi capelli rossi pomodoro, ma questa era un’altra storia.

Ora, doveva concentrar… cioè, no, niente, non doveva fare nulla in particolare.

Doveva dare un pacco di biscotti ad Evans, perché era sua compagna di casa e da qualche settimana una sorta di pseudo-quasi-amica, e perché lui era uno ben educato.

Sì sì.

Non c’era di mezzo nessuna stupida cotta.

Stupido Sirius, e stupido cameriere/musicista francese.

E, già che c’era, diede della stupida anche alla porta nel ritratto, che aprendosi in quel momento gli fece rischiare l’infarto.

Infarto che, per l’esattezza, lo colpì non appena vide chi era appena uscito dalla sala comune dei Grifondoro.

Non che avesse motivo di essere nervoso per Evans, ovviamente.

Accompagnata da Alice, la ragazza di cui non gliene importava nulla si fermò sussultando nel vederlo, e lui a sua volta fece un sobbalzo non appena vide i suoi capelli.

Ok, non era calva come aveva sognato nei suoi più tormentati incubi quella notte, e nemmeno si trattava di un caschetto simile a quello di Alice, ma Merlino, erano decisamente corti, considerando che Evans era la stessa che fino al giorno prima li portava ben al di sotto delle spalle.

Ora, invece, i suoi bei capelli rossi superavano il mento e s’interrompevano a circa metà collo.

James si sentì come se un troll gli si fosse sdraiato sopra per schiacciare un pisolino –e finendo con lo schiacciare soltanto lui.-

Certo, le stavano comunque bene, ma… oh Godric, aveva distrutto una buona dozzina di centimetri dei capelli di Lily Evans!

E, a giudicare dall’espressione che le rivolse, nemmeno la ragazza sembrava aver gradito quel drastico cambio di stile.

In effetti, dire che la prefetto gli riservò la stessa occhiata che avrebbe potuto avere Peter davanti a sua madre quando in estate provava a sottoporlo ad una delle sue misere diete forzate, era un eufemismo.

Lily Evans pareva sul punto di estrarre la bacchetta a Cruciarlo con enorme piacere e soddisfazione.

A dir la verità, in quel breve scambiarsi di sguardi, James si sorprese di avere ancora la testa attaccata al collo.

Era ancora là, vero?

<< Ehi, Jim… >> lo salutò Alice, in evidente difficoltà. Il ragazzo avrebbe volentieri ricambiato il saluto se, tanto preoccupato e terrorizzato per l’aria omicida di Evans, si fosse ricordato della nobile arte del parlare.

Dopo una serie di tentativi a vuoto, gli uscì fuori qualcosa tra il “buongiorno”, “gnomo” e “mi è caduto il nonno”.

Probabilmente fu una delle ultime due, a giudicare dall’espressione più che perplessa che gli rivolse Alice e, dato che l’alternativa era sentirsi un imbecille completo, Prongs decise di passare oltre, aggiungendo un : << A tutto e due. >>

Detto ciò, volse la sua attenzione verso la prefetto e, sentendosi insolitamente timido ed impacciato, disse tutto ad un fiato: << Oggi la tua camicia è più bianca del solito, sai? I capelli ti stanno bene. Questi sono per te. Scusa! >> aggiunse poi, allungando verso di lei il pacco di biscotti, correndo il rischio di darle un pugno sul naso.

Si sentì miseramente scemo.

Evans rimase per un attimo interdetta, sbattendo le ciglia con un’aria tra lo scettico e lo stupito.

Poi, sospirò.

<< Alice, ti dispiace lasciarci un attimo da soli? >> domandò all’amica, con espressione stanca. L’altra rimase un secondo in silenzio, spostando lo sguardo da lei a lui, e viceversa.

Infine, annuì, incerta: << Sicuro. Ti aspetto in Sala Grande, ok? >> esclamò, mentre già iniziava ad allontanarsi.

<< Faccio subito. >> rieplicò la prefetto, non facendo presagire nulla di buono.

Alice scese le scale, e i due rimasero da soli.

James guardò timoroso la ragazza.

Lei lo osservava con aria severa, le braccia incrociate davanti al petto e i capelli tirati dietro le orecchie.

Ramoso si trattenne dal deglutire, non potendo invece fare a meno di stupirsi della propria condotta. Si sentiva nervoso, timido, preoccupato, e questo non gli capitava da molto, molto tempo.

Non a lui, che aveva sempre una risposta pronta.

Non a lui, che era brillante, spavaldo, strafottente.

Non a lui, il grande James Potter.

<< Non hai preso i biscotti. >> borbottò, con un tono un po’ ambiguo.

Per qualche assurdo motivo, si era sentito avvampare –doveva essere il caldo, già-, e ciò lo irritava inspiegabilmente. Che gli prendeva?

Evans, un po’ guardinga, inarcò un sopracciglio, abbassando lo sguardo verso il curato pacco che lui teneva ancora in mano. James cercò invano di decifrare la sua espressione, fino a quando la ragazza sollevò il suo sguardo verso di lui.

<< Perché mi stai dando dei biscotti? >> domandò la rossa, cauta.

James gonfiò le guance. Faceva caldo, il cuore gli batteva e parlare gli risultava stranamente complicato. << Per l’incidente di ieri pomeriggio, ovviamente.  >>

Oh, ecco, era il momento. Abbassò lo sguardo, pronto a pronunciare quelle parole che così raramente uscivano dalla sua bocca. << Ti chiedo scusa. >> disse infine, alzando poi lo sguardo verso la ragazza.

…Avrebbe voluto sprofondare.

Di tutto si sarebbe aspettato, meno che quell’espressione furiosa ed indispettita che era comparsa sul viso della prefetto.

<< E credi che questo sia sufficiente? >> sibilò, nell’evidente tentativo di trattenersi dall’urlare. James si fece piccolo piccolo, dispiaciuto.

<< E’ per i capelli? >>

<< Ovvio che non è per i capelli! >> sbraitò lei, decisamente con poca eleganza. << E’ per quello che hai fatto a Severus, e per quello che tu e la tua stupida banda di palloni gonfiati continuate a fargli! >>

Ramoso sobbalzò, e poi lo stupore lasciò spazio all’irritazione, che in meno di un battito di ciglia si tramutò in un indomabile moto di rabbia.

<< Ehi! >> sbottò, indispettito. << Non ti permetto di parlare così dei miei amici! >>

<< E come dovrei parlarne?! State sempre a darvi arie, e a trattare il resto di noi poveri mortali come mezze cartucce insignificanti! >> urlò la ragazza, gli occhi lucidi. E, in effetti, in quello sguardo furente James riuscì a cogliere anche un’espressione ferita. << C’è già un’intera comunità magica a trattarmi come feccia, ci mancava solo il tuo amico Black! >>

James, con la bocca aperta già pronta per replicare, rimase interdetto. Che c’entrava Sirius, in tutto quello?

<< Cosa intendi dire? >> domandò difatti, confuso.

La ragazza sospirò rumorosamente, con rabbia.

<< Non fare il finto tonto. E’ da prima delle vacanze di Natale che mi tratta come se fossi una sorta di rifiuto umano! Perché lui è un Black, per la miseria! Ha soldi che gli escono da tutte le parti, e la sua famiglia è così importante! >> aggiunse, ironica, facendo la voce grossa. << Noi povere persone comuni non meritiamo di certo il suo rispetto, no?! >>

<< Smettila. >> tagliò corto James, scuro in volto. Il crescente tono di ironia e rabbia stava iniziando ad innervosirlo. << Tu non lo conosci. >>

<< Conoscerlo?! Non c’è bisogno di conoscere una persona quando è così tronfia dal guardarti dall’alto in basso, perché non sei bello come lei, perché il tuo sangue è meno puro del suo! >>

<< Sta zitta! >> urlò James, a sua volta, prima ancora che potesse rendersene conto. Il pacco di biscotti gli era caduto di mano, sbattendo sul pavimento, ma quasi non se ne accorse. << Tu non sai niente di quello che sta Sirius sta passando! >>

Ma ciò non sembrò affatto calmare Evans. Anzi, la frustrazione covata in quelle settimane, ma anche in tutti quegli anni, veniva fuori con rabbia e veemenza, come un’irrefrenabile fiume in piena.

<< E voi? Voi lo sapete cosa passa Severus da cinque anni?! Lo sapete come si sente, a causa vostra?! >>

<< Non me ne frega niente di Piton! >> gridò il ragazzo, di rimando. Ormai sembrava una gara a chi urlava più forte. << A nessuno importa di Piton! >>

 << Importa a me, invece! >>

<< Be’, a nessuno importa nemmeno di te, allora! >>

<< Neanche di te, se per questo! >> urlò Evans in risposta, rossa in viso. << Pensi di essere al centro del mondo solo perché tutti gli studenti sbavano ai tuoi piedi, ma la verità è che nemmeno per loro conti qualcosa! E’ solo che sei troppo egocentrico e sbruffone per rendertene conto!  >>

<< La verità? La verità è che sei invidiosa! >>

Lei rimase sbigottita, poi scoppiò in una risata sarcastica: << Oh, Potter, non essere ridicolo. >>

<< Non sono affatto ridicolo! Sei solo invidiosa perché tutti mi adorano mentre tu sei sola come un cane! Quella ridicola sei tu, perché non riesci a capacitarti del fatto che io non piaccia solo a te, mentre il resto del mondo è in disaccordo con l’infallibile giudizio di Miss Prefetto Evans! Sei troppo piena di te per accettare il fatto di aver sbagliato!  >>

<< Questo non è vero! >>

<< Certo che lo è! >>  urlò James, frustrato. << Sennò perché ti ostineresti a non voler uscire con me, eh? >>

A quelle parole, Evans rise, rise a voce alta. << Oh, Potter, sei davvero più narcisista di quanto non pensassi! Non riesci proprio ad accettare di non piacere a qualcuno, vero? >>

<< Lo accetterei anche, se solo il giudizio di quella persona fosse fondato! Tu non sai assolutamente nulla, di me! >>

<< So solo che non ti fai nessun problema ad umiliare il mio migliore amico! >>

Fu il turno di James, di ridere: << Oh, certo che gli amici te li sai scegliere proprio bene, Evans. >> sentenziò, spietato.

La prefetto rimase un attimo a bocca aperta, senza parole. Poi, avvampò, irata. << Ce-certo che sei proprio incredibile! >> esclamò, acuta, quasi con incredulità. << E poi sarei io quella a sparare giudizi! Tu, invece, tu cosa sai di Severus, eh? >>

<< Il necessario. >> decretò lui, improvvisamente calmo. << So che frequenta un infido gruppetto di futuri Mangiamorte e che è insanamente appassionato di Arti Oscure. Non negarlo. >>

Lei rimase in silenzio, improvvisamente pallida. James la vide chinare i grandi occhi verdi verso il basso, con aria incerta.

<< Io… non puoi giudicare una persona dai suoi interessi. >>  

<< Ah no? >>

Calò un silenzio piuttosto pesante.

Si sentiva arrabbiato, James.

Perché Lily Evans non si rendeva conto di chi le stava accanto? Di con chi trascorreva le giornate, con chi condivideva risate, gioia, amicizia?

Perché lo preferiva a lui?

Non riusciva a capire se la ragazza fosse davvero così ingenua o se si limitasse semplicemente a serrare le palpebre e far finta di non vedere.

E, soprattutto, se era così indulgente con Piton, perché era talmente integerrima e dura nel giudicare lui, invece?

Merlino, perché si ostinava ad odiarlo?!

Rivolse il suo sguardo verso di lei, che teneva ancora gli occhi chinati verso il basso. La vedeva insicura, combattuta.

<< Libri… Non si tratta altro che di libri… >> mormorò, forse più a sé stessa. Ma a James non interessava: detestava il fatto che, anche dinnanzi all’evidenza, continuasse a prendere le difese di quel viscido di Mocciosus.

Era un qualcosa che lo irritava profondamente.

<< Non m’importa. >> disse quindi, risoluto. << Odio le Arti Oscure. >>

A quelle parole, la ragazza sollevò di scatto la testa, e questa volta James poté vedere in quegli occhi verdi una scintilla di collera.

<< Questo non ti permette di maltrattare Severus, Potter. >> esclamò, arrabbiata. << Non hai niente che ti renda migliore di lui, niente. La conversazione si chiude qui, per me. >>

Detto questo, senza quasi che lui avesse il tempo di capacitarsene, girò i tacchi e si allontanò in fretta, verso le scale.

James rimase un attimo di stucco, a fissarla, poi prese un gran respiro, mentre la collera tornava a salire: << CHI TI HA DETTO CHE ABBIAMO FINITO?! IO SONO MILLE VOLTE MEGLIO DI MOCCIOSUS! TORNA QUI! >>

Inutile dire che non gli soggiunse alcuna risposta.

James attese qualche attimo, in silenzio, e poi quasi si sorprese nel ritrovarsi a ringhiare per la rabbia.

Il suo sguardo, inevitabilmente, cadde sul pacco di biscotti a terra, lo stesso pacco che aveva confezionato con tanta cura e che sul momento aveva trovato delizioso, e quei biscotti che aveva impastato con entusiasmo e positività.

Mentre osservava la stoffa bianca rigonfia laddove i contorni dei biscotti erano più evidenti, con il nastrino un po’ sfilacciato, percepì la frustrazione prendere il sopravvento.

I biscotti scricchiolarono nell’infrangersi, quando il ragazzo li calpestò con rabbia.

 

 

***

 

Accasciato col viso contro il banco, osservato dalle ragazze estasiate che si affacciavano alla porta dell’aula di trasfigurazione per lanciargli un’occhiata adorante, e con l’anonimo cappello grigio in lana a coprirgli i capelli non ancora del tutto neri, Sirius si sentiva più cupo che mai.

Il suo compleanno si avvicinava e, come quasi ogni anno, presagiva che la vigilia della sua nascita sarebbe stata accompagnata da qualche sventurato evento.

Era talmente giù che aveva addirittura saltato la colazione e, direttosi direttamente in classe, aveva ottenuto il suo primo arrivo in anticipo a lezione della sua vita.

Peccato che nessuno fosse lì a vederlo.

Mentre la classe iniziava a riempirsi –oggi avevano lezione coi Serpeverde, che schifo-, qualcuno piombò sulla sedia accanto alla sua, con un sospiro.

Roteando di un pochino la testa, Sirius guardò il nuovo giunto.

<< Moony, hai una cera orribile. >> disse, schietto.

<< Senti chi parla. >> replicò Remus –più bianco che mai- mentre iniziava a disporre le sue cose sul banco. << Malessere o depressione canina? >>

Padfoot ridacchiò –proprio come un cane, guarda caso-, sebbene con aria un po’ cupa: << La seconda, ovviamente. Al contrario tuo, io sono una roccia. >>

<< Lieto che Jim e Pete non debbano procurarsi un abito per il tuo funerale, allora. >>

 << Tu, invece? >> domandò Sirius, scherzoso << Ne hai uno nascosto che tieni per l’occasione? >>

L’amico scosse la testa: << Tra i GUFO e i doveri da prefetto, non ne avrò bisogno, dato che con ogni probabilità mi ritroverò nella fossa accanto alla tua. >>

<< Che discorsi macabri. >> esclamò Peter, spuntando dal nulla come suo solito. Nonostante fosse abbastanza rotondetto ed impacciato, sapeva muoversi rapido e sgaiattolare tra i corridoi senza farsi notare. Proprio come un topo.

<< E tristi, pure. Non voglio assistere a nessuno dei vostri funerali. >> continuò il ragazzo, guardandosi poi attorno. << Dov’è James? >>

<< Al rapporto, signore. >> borbottò una voce alle loro spalle.

Ramoso era appena entrato in classe, scuro in volto, e si sedette bruscamente nel posto affianco a Peter. Questi, spaventato dalla sua brutta faccia, fu tentato di ritrarsi, intimorito, ma si limitò ad uno squittio sorpreso quando l’amico uscì il libro di trasfigurazione dalla borsa e lo sbatté con forza sul banco.

<< B-brutta giornata? >> balbettò, spaventato.

<< Di’ pure pessima. >> sbottò James, come risposta, << Ma non temere Lunastorta, per la luna piena di domani sarò in gran forma. >> aggiunse poi, voltandosi verso il prefetto e sforzandosi di apparire entusiasta.

Considerato che solitamente i sorrisi di James erano più che smaglianti, l’espressione moderatamente allegra che ne venne fuori risultò abbastanza deludente. Ma, dato che Sirius sembrava piuttosto depresso e Remus sul punto di morire lì, non se ne preoccupò più di tanto, e si limitò ad accasciarsi con la faccia spiaccicata sul banco.

In tutto quell’allegro quadretto, Peter, che quella mattina si era svegliato particolarmente di buon umore, si sentì abbastanza fuori luogo.

<< Avanti! >> esclamò allora, nel tentativo di risollevare il morale. << pensate a quanto ci divertiremo domani notte! >>

<< Perché, dove dovete andare, domani notte? >> sibilò una quinta voce.

Peter sussultò, rendendosi conto solo in quel momento di aver parlato a voce troppo alta e nel momento sbagliato, dato che Piton si era ritrovato a passare di fianco al loro banco per raggiungere la prima fila. Non ebbe nemmeno il tempo di pensare ad un qualsiasi patetica risposta che non avrebbe pronunciato comunque, data la sua timidezza, che James e Sirius , chi per un motivo e chi per l’altro, gridarono all’unisono: << FATTI GLI AFFARI TUOI, MOCCIOSUS! >>

La risposta fu talmente bruca che il Serpeverde sussultò e, perplesso, preferì allontanarsi di gran carriera.

Padfoot, in virtù forse della sua forma di Animagus, sembrò quasi ringhiare.

<< Non lo sopporto, quel Piton. >>

<< A chi lo dici. >> bofonchiò James, più cupo che mai.

 

 

***


Sirius uscì dall’aula di Trasfigurazione da solo.

Aveva detto ai suoi amici di dovere andare in bagno, ed invece il suo stimabile scopo era quello di saltare le lezioni.

Era troppo depresso per doversi sortire le inutili ciance dei professori.

Che gliene importava di come preparare pozioni e della successione dinastica dei giganti di montagna?

In quel momento, non riusciva a pensare a nient’altro che la sua misera condizione.

Era stato ripudiato, per Godric.

Merlino, era un dannato miserabile.

Era finito come sua cugina Andromeda.

… Non che poi fosse una brutta fine, in effetti.

C’era solo una piccola differenza: Andromeda si era sposata.

Aveva qualcuno che l’amava, che la stringeva a sé nel cuore della notte, qualcuno con cui mettere su famiglia.

Lui, invece, era condannato a rimanere solo come un cane.

Il difficile rapporto con la sua famiglia l’aveva condizionato a tal punto da fargli temere di non potersi fidare più di nessuno.

Se persino sua madre l’aveva tradito, cosa avrebbe trattenuto una donna dal non spezzargli il cuore?

Sirius sospirò, cupo.

Aveva i Malandrini, certo, ma prima o poi anche loro si sarebbero fatti una vita, con mogli e figli, e non poteva contare di avere riservato tutta la loro attenzione, il loro affetto.

Immerso in quei pensieri, si accorse solo all’ultimo momento della figura estremamente familiare che scorse al di là del portico, vicino al chiostro innevato.

Una ragazzina con una massa di capelli biondi stava di fronte a suo fratello Regulus.

Al collo portava una sciarpa dei colori di Cornovero; a giudicare dall’altezza, doveva essere del primo, massimo secondo anno.

Tenendo il capo chino, gli allungò qualcosa.

Regulus esitò un istante, parve sorpreso. Poi, accettò ciò che la ragazzina gli porgeva, prima che questa scappasse via.

Sirius si avvicinò, le mani in tasca.

Il fratello nemmeno si accorse del suo arrivo, intento com’era a fissare quella busta che doveva contenere una lettera d’amore.

<< A quanto pare, hai successo, fratellino. >> disse, e il Serpeverde sussultò leggermente, colto di sorpresa. Sirius lo osservò con interesse. Quella bambina, coi suoi enormi occhi blu, l’aveva colpito il giorno dello Smistamento; per questo si ricordava di lei. 

<< Sei stato gentile. >> constatò, rivolto al fratello minore. << I suoi genitori sono babbani, lo sai, vero? >>

Regulus si espresse in una semplice, muta, smorfia di fastidio.

<< Sono solo stato educato. Che cosa vuoi, Sirius? >>

Il ragazzo sospirò, mentre il lieve venticello gli scompigliava i capelli. Gli sembrava tutto così dannatamente complicato. Merlino, com’era stancante.

Si sedette sui gradini del portico: magari così gli sarebbe tutto venuto più facile.

<< Parlare, solo questo. >> sollevò lo sguardo verso di lui. << e capire perché ce l’hai con me. >>

Regulus, sempre freddo, sempre contenuto, non mostrò alcuna reazione. << Avercela con te implicherebbe un coinvolgimento emotivo. Ma tu non sei più nessuno, per quel che mi riguarda. Non conti più nulla. >> disse, gelido, e tuttavia non era riuscito a pronunciare quelle parole senza prima distogliere lo sguardo, ed entrambi ne conoscevano il motivo.

Per quanto Regulus si sforzasse di convincersi del contrario, non era possibile fingere che i tredici anni passati assieme non fossero mai esistiti.

Sirius conosceva suo fratello come le sue tasche, e non avrebbe avuto alcuna difficoltà nel leggere l’esitazione nei suoi occhi.

D’altronde, anche in quel momento, per quanto il Serpeverde avesse tentato di apparire calmo e imperturbabile, al fratello la sua incertezza era risultata immediatamente evidente.

Chiara come l’acqua.

E forse, forse era vero.

Magari ogni traccia d’affetto che Regulus provava per lui era scomparsa, seppellita dal rimorso e chissà quali sentimenti negativi inculcatigli dai loro genitori.

Ma che per lui avesse smesso di esistere, questo non poteva riuscire a crederlo.

Regulus era arrabbiato.

E Sirius poteva comprenderlo, ma non accettarlo.

<< Non c’è motivo per cui tu debba avercela con me, Regulus. >> disse, calmo. << Sono tuo fratello, d’altronde. >>

Un’espressione d’ira a stento trattenuta deformò per un attimo il viso del tredicenne.

<< No. >> replicò, a denti stretti. << Forse lo eri un tempo, ma non ora. Adesso, non sei che un estraneo, uno schifoso Babbanofilo traditore del tuo sangue. >>

Sirius rimase di stucco, per un istante, incapace di rispondere. Tutta quella rabbia l’aveva colto alla sprovvista, eppure, gli ci volle solo qualche attimo per carpire quell’astio come qualcosa di maledettamente famigliare.

Si lasciò sfuggire un accenno di risata.

Era questo ciò che pensava di lui, quella vecchia strega?

“Divertente” pensò fra sé e sé, con amara ilarità. “Ma non di certo inaspettato.”

<< Traditore del tuo sangue. Babbanofilo. >> il ragazzo ripeté le parole del fratello non senza un tocco di cupo divertimento. << Belle parole, davvero. Peccato che non siano le tue, vero? >>

Regulus, malgrado la sua indole composta, avvertì un moto di rabbia ruggire dal profondo del suo animo.

Guardava l’espressione di Sirius, come sempre così presuntuosa, convinta di essere nel giusto e di poterli giudicare tutti dall’alto della sua santa rettitudine da Grifondoro; guardava quell’espressione, la sua faccia, gli occhi identici a quelli di suo padre, e non provava altro che odio.

Strinse i pugni, sull’orlo di scoppiare.

<< Smettila. >> sibilò a denti stretti, ma Sirius parve non sentirlo.

Lo guardava con comprensione, lui. Come se avesse bisogno di una qualche forma di pietà.

Era lui ad essersene andato, era lui il reietto, ad aver compiuto una scelta stupida ed irreversibile, lui quello da compatire.

E invece no, Sirius si comportava come colui che aveva preso una decisione di certo sofferta, ma giusta.

Perché a quanto pare allontanarsi dalla propria famiglia era stata una liberazione.

E intanto, continuava, a fissarlo con i suoi occhi grigi e quell’aria comprensiva che così poco gli si addiceva, e che tanto faceva infuriare il fratello minore.

<< Regulus, io ti conosco. >> disse il traditore, tranquillo, mentre il suo animo fremeva, prossimo all’esplosione. Il Serpeverde cercò di trattenersi.

<< Smettila. >> ripeté, fremente di rabbia.

Tuttavia, il fratello sembrava imperterrito. << So chi sei tu, e chi sono loro. Tu sei diverso. >>

<< NO! >> urlò Regulus, incapace di contenersi. << SEI TU QUELLO DIVERSO, QUELLO CHE HA SBAGLIATO, IL TRADITORE! >> le parole uscivano senza controllo, con rabbia e disperazione. << PENSI DI ESSERE MIGLIORE DI NOI, MA NON FAI ALTRO CHE DARTI ARIE E DISPREZZARE PERSINO LA TUA FAMIGLIA! NON HAI OCCHI CHE PER I TUOI AMICI, IL RESTO DEL MONDO NON E’ ALTRO CHE FECCIA! PURE I TUOI GENITORI, PURE IO! MI FAI SCHIFO, TI ODIO!>>

Rimase senza fiato, affannato. Avvertiva gli occhi bruciargli e il resto del corpo in fiamme, nonostante non li circondasse altro che neve.

Fissava Sirius, e lui ricambiava il suo sguardo, sorpreso.

Sorpreso e, poi, arrabbiato.

<< Ora è colpa mia, no? >> disse, digrignando i denti. << E’ colpa mia se la nostra famiglia non è composta che da psicopatici razzisti, se volevano che m’immolassi per i loro stupidi valori da fanatici, vero? >>

Regulus cercò di riprendere fiato dalla precedente sfuriata. << Non sarebbe andata così se tu ti fosti comportato diversamente. >> disse semplicemente.

Qualcosa sembrò scattare in Sirius. Qualcosa che sapeva di rancore, furia, astio.

<< Diversamente? >> non c’era traccia di sarcasmo nella sua voce, solo rabbia. << E come, per l’esattezza? Come un cagnolino che obbedisce agli ordini senza pensare? Come te? >>

Regulus sollevò il mento con fierezza. Non sarebbe bastato il disgusto di suo fratello a denigrarlo, a demolire le sue certezze e a fargli credere di essere in torto.

<< Esatto. >> rispose dunque, con un’austerità insolita per i suoi tredici anni, ma consueta per ogni Black che si rispetti. << Sono i nostri genitori. Gli dobbiamo obbedienza, e rispetto. >>

Sirius inarcò un sopracciglio.

Non poteva crederci. O meglio, cazzo, non voleva, per quanto fosse evidente.

<< Sono pazzi, lo sai, vero? >>

<< L’opinione di un traditore non ha nessuna rilevanza. >> disse lui e a Sirius, per un attimo, parve di rivedere suo padre.

<< Tuttavia, per quello che vale, io sono come loro. Sono un Black. >> continuò Regulus, con altezzosa fierezza. << se hai deciso di rompere con la dinastia dei Black, non puoi farlo a metà, dovrai farlo anche con me. Decidi da che parte stare. >>

Sirius, seduto ancora sulla fredda pietra, lo guardò dal basso.

Fu allora che capì.

Non era il suo fratellino quello che aveva di fronte.

Era Regulus Arcturus, l’erede della dinastia Black.

Si fece scuro in viso, cupo.

Per quel che lo riguardava, la parte da cui stare l’aveva ormai scelta da tempo.

<< Se è così, >> iniziò, tetro. << Non abbiamo più nulla da dirci. >>

Regulus, con sua sorpresa, chinò lo sguardo, con apparente tristezza.

Che fino alla fine avesse conservato una qualche speranza?

<< Proprio come pensavo. >> si limitò tuttavia a dire il Serpeverde.

Mentre lo superava, Sirius preferì non guardarlo.

Dicevano che un ricordo visivo s’imprime con maggiore facilità e saldezza nella memoria, e lui preferiva non portarsi appresso l’immagine dell’ultima volta che aveva considerato suo fratello tale.

Regulus se ne andò senza dire una parola, salendo i gradini su cui il Grifondoro era seduto e percorrendo il breve portico in pochi passi.  S’imbatté contro una persona che veniva dal senso opposto, esitò un attimo e rientrò nel castello.

Attirato dalla breve imprecazione che Regulus aveva borbottato nell’urtarsi contro il nuovo venuto, Sirius si voltò e quel che vide, senza una determinata ragione, lo infastidì parecchio.

<< Piton. >> sibilò, seccato. La sua presenza sortiva sempre un brutto effetto su di lui, figurarsi dunque in una circostanza simile. << Che diamine vuoi? >>

Mocciosus lo guardò di traverso. Perplesso come un dottore davanti ad uno psicopatico che si è appena infilato un calzino in bocca.

<< Assolutamente nulla. Devo andare in un posto e questa era la strada più breve. >>

Sirius assottigliò lo sguardo.

<< Non ti credo. Origliavi come tuo solito, vero? >> domandò, diffidente.

Il Serpeverde rimase incredulo per qualche secondo, forse incerto su quale reazione assumere. Poi, a quanto pare, decise di classificare la sua sospettosità come qualcosa di assolutamente patetico, e sollevò gli occhi verso l’alto.

<< Sei ridicolo. Per quel che tu ne creda, non sei al centro dei miei pensieri, sai? >> sospirò, esasperato, acido.

…E Sirius, per qualche strana ragione, scoppiò, come se una piccola molla dentro di lui fosse scattata, e avesse fatto saltare gli argini che tenevano a sotto controllo tutta la frustrazione e la rabbia serbate in quelle settimane, e che con la conversazione con Regulus avevano raggiunto il culmine.

<< Sei un bugiardo! >> urlò, scattando in piedi. << Te ne stai sempre lì, tutto gobbo e viscido, a spiarci e a seguire le nostre mosse! Sempre ad impicciarti nei nostri affari, proprio come stamattina! >>

L’altro lo guardò per qualche istante, stupito.

Poi, inesorabilmente, Sirius vide il suo sopracciglio inarcarsi in un’espressione di scetticismo.

Di superiorità.

Piton scosse il capo. << Sei pazzo. >> disse con sufficienza, mentre gli passava accanto col solo scopo di superarlo e proseguire per la sua strada.

Ma Sirius non lo sentì, non aveva attenzione che per tutta quell’ira che gli dilaniava l’animo, da cui doveva liberarsi.

In Piton, vedeva la più vicina e adatta valvola di sfogo.

<< Mi fai impazzire, sempre a spuntare dal nulla col tuo lurido nasone! E’ insopportabile, odioso! Mi fai pena, ossessionato da noi come sei! >>

Piton, di qualche passo davanti a lui, continuò a camminare, dandogli le spalle e scuotendo una mano in cenno di saluto. << Addio, Black. >>

<< “Dove è che andate stanotte?” >> gli fece il verso, deformando la voce del Serpeverde in un lamento sbiascicato e acuto. << “Dov’è che va il vostro amico Lupin?” Bene, se questo servirà a toglierti da mezzo ai piedi, te lo dirò! >>

Fu come una doccia d'acqua gelida, per Piton.

Udite le ultime parole, si fermò di botto, incredulo, paralizzato.

Lentamente, si voltò verso il Grifondoro: Sirius aveva il viso arrossato, lo sguardo furente, il fiatone.

Una strana luce brillava nei suoi occhi.

<< Come, prego? >> domandò il Serpeverde, cauto.

<< Stanotte. >> rispose il ragazzo, determinato. << Vai al Platano e usa un ramo o un bastone per premere una piccola nodosità sul tronco. Dopo, potrai andare. >>

Piton aggrottò le sopracciglia, diffidente. << Come faccio a sapere che non è un altro dei tuoi stupidi scherzi? >>

<< Sta a te scoprirlo. >> rispose Sirius, imperturbabile. Dentro di sé, non sentiva altro che vuoto, un senso di freddezza. << Ti aspetto, stanotte. >>

Fece dietro front e, con la stessa sensazione glaciale, rientrò nel castello, lasciando il Serpeverde lì, da solo.

Appena si lasciò il freddo di Gennaio alle spalle, si voltò.

Con un breve sguardo verso l’esterno, scorse Piton in mezzo al parco esitare, e poi continuare per la sua strada, lasciando le sue orme sul candido manto bianco che ricopriva il suolo.

Seguì la sua sagoma nera e ricurva e magra allontanarsi, e poi scomparire, verso una meta sconosciuta.

Ora, era definitivamente solo.

 

<< Decidi da che parte stare. >>

 

Le parole di suo fratello gli rimbombavano nella testa, eppure Sirius avvertiva uno strano torpore assalirgli la mente, facendogli dimenticare sofferenza e dolore.

Avrebbe dovuto essere triste, forse.

Ma non provava nulla di tutto quello.

Era freddo, come il manto bianco che ricopriva i prati di Hogwarts, e che lui continuava a fissare dalla finestra.

Neve, illuminata dalla tiepida luce del sole.

Ecco.

Sirius, in quel momento, era ghiaccio come la neve, ma illuminato dal sole.

Un sole che non riscalda, un sole invernale, un sole freddo, ma che permette di avvertire qualcosa al di fuori del gelo imperturbabile.

Un sole che in lui si manifestava come la consapevolezza di quel che aveva appena fatto.

Qualcosa di giusto.

E… divertente.

"Ho scelto da che parte stare, fratellino."

Odiava i Black.

Odiava la sua famiglia, e tutte le persone a loro simili.

Odiava tutti quegli schifosi Serpeverde impiccioni.

Mentre osservava la neve cadere e cadere, un’indecifrabile sensazione lo pervase.

Ormai, non si tornava più indietro.

Lo scherzo era appena cominciato.

 

 

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Capitolo 13
*** Lo scherzo. ***


 

Orsù, non ho fatto poi così tardi, readers! ^^"

 

 

 

 

 

Capitolo 13

Lo scherzo

 

 

 

Sirius rientrò in Sala Comune solo in tarda serata.
Non vi trovò Remus, ovviamente, ma solo James e Peter che si stavano preparando per la nottata da Animagus.
Prongs si stava avvolgendo una sciarpa rosso ed oro attorno al collo, domandosi se sarebbe riuscita ad indossarla anche nella sua forma animale.
<< Sono una persona delicata e cagionevole, io. >> stava giusto giusto dicendo a Peter, quando Sirius entrò nella stanza.
Al suo ingresso, gli amici si voltarono verso di lui: i capelli erano tornati del loro colore naturale, eppure il ragazzo conservava un'espressione crucciata.
James lo guardò, triste.
Quando Sirius li aveva avvisati di volersene stare un po' per i fatti suoi non si era sorpreso, soprattutto dopo che Peter gli aveva confidato che Regulus era stato particolarmente aspro, con lui. Per questo non si era stupito di non aver visto Padfoot a cena; tuttavia era preoccupato di come l'amico stava affrontando la situazione: vederlo chiudersi in quel guscio di silenzio e rabbia era sconfortante.
James poteva non essere la persona più delicata al mondo, tuttavia per i suoi amici e la famiglia aveva una sorta di sesto senso chelo aiutava a capire quando qualcosa decisamente
<< Hai fame? >> domandò, forse un po' fuori luogo -doveva ammetterlo- all'amico, constatando che era a digiuno dall'ora di pranzo. << possiamo sgraffignare qualcosa dalla cucina, se vuoi. >>
Sirius sollevò a stento lo sguardo verso di lui. Sembrava quasi perso in uno stato catatonico. << Sono a posto. >>
<< Sicuro? Male che vada puoi prendere uno dei tanti panini che Codaliscia nasconde sotto il materasso. >> insistette James, mentre Peter, accanto a lui, annuiva con fervore, disposto a cedere parte delle sue scorte di emergenza per l'amico.
non andava -ah, lui lo chiamava sesto senso, anche se Sirius preferiva definire questa sua caratteristica come "sensibilità da donnicciola".- << Sto bene. >> ripeté Sirius, fin troppo cupo, e difatti a James ci volle meno di un millessimo di secondo per capire che si trattava di una menzogna.
Sirius, il suo migliore, non stava bene.
Affatto.

Forse era vero, magari non aveva fame, ma il malessere che doveva attanagliargli l'animo doveva essere peggiore di qualunque stretta allo stomaco.
E la sua tristezza, così chiara, evidente, quasi palpabile, sortiva il suo effetto incupente anche su di lui, che si sentiva inutile, e impotente.
Certo, non poteva fare nulla, in effetti.
Si trattava solo di aspettare che Sirius superasse la situazione, rimanendogli accanto nel frattempo.
Guardò l'ora.
<< Dobbiamo andare. >> disse, semplicemente. Non dovette aggiungere altro per essere compreso: Peter afferrò il mantello dell'Invisibilità, e seguì Sirius e James fuori dal Dormitorio.


Scesero le scale facendo attenzione a non svegliare nessuno.

In Sala Comune, vi erano ancora due ragazze del quarto anno che chiacchieravano a bassa voce, ed uno studente del settimo chino su alcuni libri, probabilmente in ansia per i MAGO.
Appiattandosi contro il muro per non essere visto, James fece rotolare sul pavimento una Rotellina Sonecchiante: una minuscola rotella, simile a quelle delle biciclette babbane, in grado di emettere un gas soporifero.
Era forse uno dei più vecchi e fallimentari prodotti di Zonko, che doveva indurre un lungo sonno quando invece produceva solo un lieve stato di sonnolenza; ma per loro era perfetto e, nonostante ormai fossero stati ritirati dal mercato, ne sgraffignavano sempre qualcuno dal magazzino del negozio, cui giungevano tramite un piccolo passaggio segreto scoperto al secondo anno.

Remus ne era all’oscuro; tuttavia, pensò James con orgoglio, se lo avesse mai saputo, sarebbe stato fiero di scoprire che più di una volta avevano lasciato, sullo scaffale svuotato, qualche galeone come pagamento.

Al pensiero di Lunastorta, James si sentì un po’ triste.

“Non preoccuparti, amico, stiamo arrivando.”

Quando furono certi che i tre Grifondoro stessere dormendo, i Malandrini sgaiattolarono fuori dal ritratto.

Sirius buttò un’occhiata alla Mappa del Malandrino, che teneva in mano.

<< Puoi mettere via il mantello, Pete. >> disse << Non c’è nessuno per i corridoi. >>

Iniziarono a dirigersi verso il passaggio segreto.

Scura e vuota, Hosgwarts di notte metteva un po’ in soggezione, con la pallida luce che filtrava dalle vetrate che si stendeva sulle pareti, proiettandovi ombre lunghe ed inquietanti.

I passi dei tre ragazzi risuonavano sul pavimento, in echi che sembrano amplificati dal silenzio in cui era immersa la scuola.

James, passando accanto ad una finestra, si fermò un attimo per guardarve all’esterno.

Eccolo lì, il Platano Picchiatore, e il Lago Nero, e quel cielo buio.

La luna era ancora nascosta dalle nuvole, ma sarebbe venuta fuori a momenti.

Riabbassò lo sguardo sul grosso albero.

… E qualcosa attirò la sua attenzione.

Strizzò gli occhi, li sbatté un paio di volte e si tolse addirittura gli occhiali, rindossandoli un secondo dopo, per essere sicuro che non fosse stata la sua miopia sfiorante la cecità, a giocargli un brutto scherzo.

<< James, che succede? >> domandò Peter, notando che l’amico si era bloccato davanti alla finestra, e che vi ci aveva praticamente stampato la faccia sopra. Anche Sirius si voltò verso di lui.

Prongs, invece, continuò a guardare verso l’esterno, l’aria stralunata.

<< Ragazzi, mi è appena sembrato di vedere qualcuno entrare sotto il Platano Picchiatore. >> disse, spiccio.

Peter ammutolì, pallido. Sirius rimase in silenzio.

<< Ripeti. >> disse Codaliscia, stentando a credere di aver udito quello che gli era appena parso di sentire uscire dalla bocca del Grifondoro.

James aveva l’aria sconvolta. << Qualcuno è appena entrato nella Stamberga. >>

Una risata pacata lo fece sussultare.

Una risata simile ad un latrato.

<< E’ soltanto Mocciosus. >>

Con una sensazione agghiacciante nel petto, Ramoso si voltò lentamente.

Il viso di Sirius, pallido, appena illuminato dalla flebile luce della notte, era contratto in uno strano ghigno, insolitamente divertito.

Un brutto presentimento cominciò a farsi spazio in James.

Doveva aver capito male. Per forza.

<< Come, scusa? >>

Felpato fece spallucce: << Ho detto a Piton come arrivare alla Stamberga. Così impara a tenere il naso lontano dagli affari altrui. >>

Quando si scopre qualcosa di assolutamente scioccante, la reazione è molteplice.

Da una parte, è come se ti avessero rovesciato dell’acqua ghiacciata addosso tutta d’un colpo, dall’interno, però, nelle viscere. Ed è come se questo fiume gelato portasse con sé una moltitudine di pensieri sconnessi, che si susseguono l’uno dopo l’altro, con una velocità talmente alta ed incontenibile che sembra che essi si affaccino alla mente tutti assieme, contemporanemanete.

James guardò Sirius, e capì cosa aveva fatto, capì che aveva tradito Remus e tutti loro, capì che aveva condannato Piton, che non ci doveva stare più con la testa, e capì che lui doveva fare qualcosa, e che odiava Sirius e che aveva voglia di spaccargli la faccia perché se lo meritava ed era stato un idiota, ma capì anche che non era quello il momento.

Comprese che in quei giorni aveva provato per Sirius Black una compassione fortissima, che aveva sofferto per lui e che gli aveva offerto la sua casa e il suo appoggio e il suo affetto.

Ma non meritava nulla, nulla di tutto questo.

Non seppe con certezza in che momento decise di colpirlo; anzi, forse la scelta non spettò nemmeno a lui, e si trattò di una reazione istintiva, dettata dall’impulso.

Tuttavia, in un frangente di secondo, capì solo che la sua mano aveva colpito la guancia di Sirius, con forza e rabbia, e che l’amico era caduto a terra.

Era forse la prima volta che dava un pugno a qualcuno, e decisamente la prima che colpiva Sirius. Ma non importava.

Non importava nulla, ormai.

Il ragazzo, portandosi una mano alla guancia già arrossata, lo sguardò sconvolto.

James si limitò a rivolgergli una brevissima occhiata di rabbia e disprezzo, prima di urlargli: << SEI UN IDIOTA! >>

Non seppe quale fu la reazione di Sirius.

Questo perché, dopo aver gridato quelle parole, aveva iniziato a correre, correre a perdifiato.

Merlino, non c’era tempo da perdere.

 

 

 

***

 

 

Una malandata porta di legno stava dinanzi a lui.

Severus esitò, incerto.

Dopo aver superato il Platano e un tunnel scavato nella terra, ed una decadente rampa di scale, era giunto fin lì.

Eccolo, ad un passo dallo scoprire la verità.

Dallo smascherare il segreto dei Malandrini.

…Forse.

Non era uno stupido.

Con molta probabilità, non si trattava d’altro che uno scherzo, ed era più che credibile che Black lo stesse aspettando aldilà di quella porta coi suoi degni compari, per umilarlo ancora una volta.

Esitava, dunque, ma fino ad un certo punto.

Perché il senso di rivalsa che provava richiedeva un immediato appagamento, così come quel desiderio di conoscere, di sapere la verità.

Gliel’aveva detto anche il Cappello Parlante, cinque anni prima.

<< Vedo molta curiosità in te, giovanotto. E di certo non ti manca il coraggio per soddisfarla. >>

Con un sospiro, avvicinò la mano alla maniglia della porta.

E poi un urlo squarciò l’aria.

Forse riconobbe la voce, forse no.

Severus aprì di scatto la porta, e…

<< Lupin? >>

Il prefetto Grifondoro, a torso nudo, si teneva aggrappato alla colonnina del letto a baldacchino al centro della stanza, ansante, una mano sul petto.

Il ragazzo si voltò.

Una smorfia di pura sofferenza gli deformava il viso, e tuttavia, non appena sembrò metterlo bene a fuoco, il volto gli si distese in un’espressione di sorpresa.

E, subito dopo, panico.

Lupin impallidì, sgranò gli occhi.

Aprì la bocca, ma seguì un agghiacciante scricchiolio, come di ossa che si spezzano.

Severus rabbrividì, e Lupin urlò di dolore.

Con un altro terribile schiocco, il Serpeverde vide la gamba destra del ragazzo come spezzarsi, come se una forza invisibile avesse colpito il ginocchio spingendolo all’indietro. Ora che le ossa del femore e della tibia formavano un angolo insolitamente acuto, Lupin cadde, ma la stessa cosa avvenne per l’altra gamba prima che raggiungesse il suolo, ed ora il ragazzo si trovava a carponi, le gambe innaturalmente arcuate ed il peso del corpo sostenuto dai gomiti poggiati sulle assi di legno del pavimento.

Mentre Lupin urlava, Severus fece un passo indietro.

Le gambe non gli si erano spezzate.

Si stavano strasformando in zampe.

Tutto gli era chiaro, infine.

Le sue teorie, i suoi calcoli, le sue ricerche: non aveva sbagliato nulla, era tutto esatto.

Merlino, aveva ragione.

“Remus Lupin è un lupo mannaro.“ costatò, con una freddezza calcoltaria davvero insolita, date le circostanze.

Il secondo urlo del ragazzo lo fece sobbalzare, e riportare l’attenzione sulla scena.

Era uno spettacolo orribile.

Sarebbe dovuto fuggire, ma l’orrore e qualche altro sentimento indagatorio non meglio identificato lo costringevano a stare, immobilizzandolo sull’uscio della stanza.

Qualcosa, qualcosa di tremendo stava avvenendo nel corpo di Lupin.

Le ossa, con terribili suoni, sembravano riassettarsi l’una dopo l’altra, i loro movimenti ben visibili sotto la pelle sottile del ragazzo. Le vertebre si distendevano ed allungavano verso l’alto, la gabbia toracica s’allargava a dismisura, gonfiando la pelle livida del petto, gli arti s’ingrossavano, dando l’impressione di volersi liberare da quella gabbia di carne umana.

Con un movimento che parve costargli moltissimo, Lupin si voltò verso di lui.

Severus si perse a fissare quegli occhi chiari, colmi di disperazione e di supplica.

Con le labbra, il prefetto mimò qualcosa, incapace di parlare.

E poi il rossore delle vene si espanse all’iride, rendendola di un agghiacciante color scarlatto.

Severus sapeva che sarebbe dovuto scappare, ma il corpo non rispondeva ai suoi comandi.

Questa volta, era il panico più totale a tenerlo ancorato in quel punto.

Paralizzato, osservò la mostruosa creatura sollevarsi sulle zampe posteriori ed ululare al cielo.

La trasformazione era terminata, la luna era piena.

E Severus, di questo era sicuro, sarebbe morto quella stessa notte.

 

***

 

 

<< E’ impazzito. >>

Peter, sconvolto, abbassò lo sguardo verso di lui, la bocca socchiusa, tuttavia senza dire nulla.

<< Insomma, è solo Piton. >> continuò Sirius, rialzandosi. Un dolore atroce alla mascella lo fece sussultare. << Godric, chi l’avrebbe mai detto che James era così bravo a sferrare cazzotti? >> aggiunse, nervoso.

Codaliscia non rispose.

Pallido, fissava un punto indefinito al di là della finestra, nel parco, senza proferir parola.

<< Gli hai detto di Remus. >> disse, senza però voltarsi verso di lui.

Sirius, di rimando, sbuffò: << Non è vero. Gli ho soltanto spiegato come aprire il passaggio per il Platano. >>

<< Lo vedrà. >> continuò Peter, sconvolto. << Scoprirà che è un lupo mannaro. >>

<< Così si prenderà un bello spavento ed inizierà a farsi gli affari suoi. >>

<< Lo ucciderà. >>

Sirius sbuffò di nuovo, questa volta divertito, con un accenno di risata.

<< Mi prendi in giro? Piton è una mezza cartuccia, credi davvero che potrebbe riuscire anche solo a sfiorare un licantropo? >> domandò, ironico.

Solo in quel momento, Peter si voltò verso di lui.

Aveva un’aria stralunata, pallida, scioccata.

<< No. Sarà Remus ad uccidere lui. >>

Per Sirius, fu come precipitare nel vuoto dopo aver salito una rampa di scale e aver creduto che ci fosse ancora un gradino prima del nulla.

Il sorriso, lo stesso con cui prima aveva beffeggiato le parole di Peter, gli morì sulle labbra.

Si poggiò contro la parete dietro di lui, di schiena, mentre nel suo animo si faceva spazio la consapevolezza.

OhDioSanto.

Si lasciò scivolare fino al suolo, sconvolto.

Peter a stento lo degnò di uno sguardo.

<< Io… Devo fare qualcosa. >> disse, sconvolto, voltandosi verso di lui.

Sirius osservò quegli occhi chiarissimi e solitamente lucidi fissarlo senza vederlo, persi in un’espressione di terrore.

Osservò gli occhi del suo amico, e si sentì morire.

Aprì la bocca, forse per trovare qualche futile giustificazione al proprio comportamento, forse solo per chiedere scusa.

Ma non disse nulla.

Almeno, non prima che Peter si voltasse, ed iniziasse a correre nella direzione verso cui era sparito James qualche minuto prima.

Sirius rimase solo.

La luce della luna appena sorta illuminò le pareti del corridoio.

<< Era uno scherzo. >> mormorò, sebbene non vi fosse nessuno ad ascoltarlo, nessuno da convincere. << Solo uno scherzo. >>

Uno scherzo a un Serpeverde.

Lo stesso scherzo che aveva richiesto come regalo.

Regalo che, ironia della sorte, si era procurato da solo.

Si prese la testa tra le mani, disperato.

“Che cosa ho fatto?”

L’enorme orologio suonò lo scoccare della mezzanotte.

Era ufficialmente il 22 Febbraio.

Era il 22 Febbraio e, perfidamente, una vocina nella sua testa gli augurò un buon compleanno.

 

***

 

 

Severus non sapeva quale parte del licantropo i propri occhi –espressione del terrore che lo pervadeva- stessero fissando, se i denti aguzzi, le iridi infuocate o i lunghi artigli.

L’unica cosa che capiva era che il mostro lo stava fissando, e che presto sarebbe morto.

Se fosse stato lucido, avrebbe sguainato la bacchetta e si sarebbe inventato qualche modo per salvarsi la pelle.

In quel momento, però, dentro la sua testa non c’era spazio che per la terribile figura del lupo.

Non aveva rimpianti.

Non era triste.

Non aveva paura.

Semplicmente, non pensava a nulla.

Era paralizzato.

Il lupo lo guardò, arricciò il labbro superiore, mostrando una fila di zanne letali, la bava gli colava dal muso, in un espressione di ferocia animalesca.

Ringhiò, e si scagliò contro di lui.

Severus si limitò ad osservare la scena, gli occhi spalancati, pallido.

E poi: << Stupeficium! >>

L’incantesimo scaraventò il licantropo all’indietro, contro l’armadio di legno, che s’incrinò sotto il suo peso.

Ma non fu questo a far ridestare il ragazzo dal suo stato di angosciata paralisi, bensì una mano, che lo afferò per la spalla con forza.

<< Piton, muoviti! >>

James Potter.

Accanto a lui, venuto a salvarlo.

Non ebbe il tempo di meditare sulla sua presenza.

Semplicemente, corse dietro di lui fuori dalla stanza, mentre Lupin si riprendeva.

Un verso feroce giunse alle loro spalle, Potter ruotò il busto proprio mentre il licantropo si catapultava fuori dalla stanza, ringhiando, rapidissimo sulle sue robuste zampe.

<< Impedimenta! >> urlò il Grifondoro.

Il lupo incespicò, ma non si fermò.

I due ragazzi iniziarono a correre, a perdifiato, voltandosi e scagliando incantesimi, utili solo a rallentare la sfrenata corsa della vorace creautura.

Severus correva e correva, il tunnel era angusto, l’aria gli mancava, il cuore gli batteva, gli incantesimi rimbalzano sulle pareti di terra, e il lupo ringhiava, era alle loro calcagna.

Ansimava, davanti a lui c’era solo buio, non avrebbero mai raggiunto l’uscita in tempo.

Sarebbero morti, morti!

Potter correva di fianco a lui, come lui si voltava ogni secondo per colpire il licantropo, il licantropo che non era altri che Lupin, di cui lui aveva sempre saputo il segreto, e che ora li avrebbe divorati senza pietà.

Le pareti di terra e roccia del tunnel sembravano incombere su i due fuggitivi, zolle di terra sgretolanti si staccavano dalle pareti, intralciando la loro fuga.

Correva, Severus, e finalmente, un puntino luminoso in fondo al buio.

E, al contempo, Potter non fu più al suo fianco.

Severus si voltò, giusto in tempo per vederlo inciampare, cadere, e rialzarsi subito dopo, ma il lupo era dietro di lui, pronto a saltargli addosso.

Il Serpeverde esitò un attimo, attratto dalla luce in fondo al passaggio.

Poteva salvarsi.

Liberarsi di quel cretino di Potter.

… O no?

Quando un ringhio famelico che sapeva di rabbia e ferocia lo fece voltare di scatto, la sua mano era già corsa alla bacchetta.

Non importava se il verso provenisse da un punto distante, per lui forse innocuo.

Pronunciò il sortilegiò quasi senza pensarci.

 

***

 

James, dopo essere inciampato come un idiota, si rimise subito in piedi, incespicando.

Remus ringhiò alle sue spalle, più vicino di prima.

Ricominciò a correre.

Ma era lento.

Troppo lento.

Merlino, perché quelle sue gambette di merda non potevano andare un po’ più veloce?

Non aveva alcuna intenzione di voltarsi, eppure ne era consapevole.

Quell’attimo in cui era caduto, che aveva annullato la distanza tra lui e il lupo, era stato fatale.

Si era rimesso subito in piedi, James.

Ma sapeva che era troppo tardi, e in una frazione di secondo, il terrore lo invase.

Il cuore inziò a battergli all’impazzata, violento contro lo sterno, quasi volesse uscire fuori.

Ma non era la fatica della corsa.

Era panico.

Panico, panico puro.

Non si diede per vinto, e continuò a correre.

Chissà, forse Piton se la sarebbe cavata.

… Che pena, Mocciosus si sarebbe salvato e lui no.

Certo, meglio che solo uno tirasse la cuoia –anche se i suoi piani prevedevano la salvezza di entrambi, a dire il vero- ma era uno schifo comunque.

“Padfoot, sei un idiota.”

Si aspettò di sentire le zanne conficcarsi nella sua carne da un momento all’altro, tuttavia, fu solo una la cosa che udì.

Un incantesimo sconosciuto, urlato da un punto davanti a lui.

<< Sectumsempra! >>

James torse instintivamente il busto lateralmente per evitare l’incantesimo, sebbene non ce ne fosse bisogno.

Chi aveva scagliato il sortilegio doveva aver ben preso la mira.

Tuttavia, il movimento gli permise di vedere con la coda dell’occhio il fascio di luce colpire il lupo, facendolo balzare all’indietro.

Fu tutto molto confuso.

James capì solo che qualcosa di liquido gli schizzò addosso, e poi vide Remus accucciarsi su se stesso, in un guaito.

Ebbe soltanto un istante  per capire che quello che gli era arrivato sul viso era il sangue di Lunastorta, e corse via, seguendo Piton al di fuori del passaggio, mentre i guaiti si spegnevano alle sue spalle.

 

***

 

Nonostante le intenzioni iniziali, Peter aveva subito fatto cambio di rotta, pensando che intrufolarsi nel Platano con un Remus versione lupo furente fosse troppo pericoloso.

Così, aveva corso a perdifiato verso un’altra direzione.

Aveva paura.

Paura che non stesse facendo la cosa giusta e che ce l’avrebbero avuta con lui, per averli spedito tutti nei guai.

Ma d’altronde, non c’erano già, nei guai?

Era un disastro.

Se anche Piton fosse riuscito a sopravvivere, e James ne fosse uscito vivo, ormai il dado era tratto.

Perché Sirius era stato così… stupido?

Perché proprio lui che si atteggiava a loro protettore, che a loro, per l’appunto, diceva di tenerci così tanto, aveva agito in modo tale da decretare la loro condanna?

James e Remus lo avrebbero mai perdonato?

Mentre correva, erano questi i pensieri che fluivano nella sua testa, impetuosi, talmente angosciati da impedirgli quasi di notare di essere arrivato a destinazione.

Ansante, sudato e disperato, Peter si fermò dinnanzi alla stessa porta a cui, in un simile stato d’animo, aveva bussato un mese prima.

E, ancora una volta, fu una persona estremamente arrabbiata ad aprirgli.

<< Minus! >> sbottò la McGranitt, nella sua dignitosissima tenuta da notte << Per Godric, che cosa.. >>

<< Professoressa! >> la interruppe il ragazzo, in ansia. << Mi porti dal professor Silente, la prego! >>

 

***

 

La prima cosa che James fece una volta fuori, fu di dare uno spintone a Piton, con rabbia.

<< Sei impazzito?! >> gli urlò contro, ringraziando il cielo che fosse notte e che non potesse vedere il sangue di Remus sulle proprie mani. << Volevi ucciderlo, per caso? >>

<< Ti ho salvato la vita, Potter! >> sbottò Piton, arrabbiato.

Poi, di rimando, lo spinse a sua volta. Non sopportava che gli stesse così vicino. << E, se ti interessa tanto, quell’incantesimo è rischioso per gli umani, ma dubito che su un licantropo sortisca lo stesso effetto. >>

<< Non dirlo con questo tono così calmo! Non dovevi andarci così pesante! >>

<< Siete voi che avete cercato di uccidere me! >> gridò il Serpeverde per tutta risposta, irato.

James si trattenne a stento dal dargli un pugno.

<< Hai già scordato chi ti ha salvato la pelle cinque secondi fa?! >>

Piton sembrava aver smesso di ascoltarlo. Si portò una mano in fronte, scioccato.

<< Lupin è un lupo mannaro! >> esclamò, sconvolto.

James lo osservò prendersi la testa fra le mani, ed iniziare a girare in tondo.

Chissà quanti brutti pensieri stavano passando, in quella sua maledetta testolina.

<< Era come credevo! Un lupo mannaro, qui ad Hogwarts! >> si voltò verso di lui, puntandogli un dito contro: << Voglio proprio vedere come Silente reagirà a questo, Potter! >>

James si fece scuro in volto.

Si poteva essere così stupidi?

<< Credi davvero che Silente non lo sappia? >> chiese, e il Serpeverde ammutolì di botto.

Rimase in silenzio per qualche istante, l’aria di chi sta tenendo dei frenetici ragionamenti in silenzio.

<< Tu menti. >> fu il brillante frutto della sua acuta analisi.

James lo guardò con sarcasmo, e l’espressione ironica funse da palese risposta.

Piton sembrò sul punto di urlare.

<< E’ pazzo. Siete tutti pazzi. >> decretò il grande Mocciosus, con una risatina isterica. James lo guardò con sufficienza.

Eccolo lì, Severus Piton, che credeva di sapere tutto.

Pazzia, ecco come la chiamava.

Ecco il nome che attribuiva al gran cuore di Silente, e alla sua intelligenza nel capire che Remus era più che in diritto di poter frequentare Hogwarts, come qualsiasi altra persona.

Sì, perché Remus non era un mostro, era un ragazzo normalissimo che impazziva per il cioccolato e lo studio, era suo amico e quel coglione di Sirius l’aveva tradito.

Li aveva traditi tutti.

James aveva solo una grande voglia di spaccargli la faccia, e magari di picchiare anche Mocciosus, che presto o tardi –lo leggeva sulla sua faccia- se ne sarebbe uscito con frasi del tipo “Lupin è un mostro pericoloso, devono rinchiuderlo” o “Silente è un vecchio pazzo da internare”.

Ma Severus Piton non ebbe il tempo di dire nessuna di queste cose, o qualsiasi altra, che tre ombre provenire dalla scuola attirarono l’attenzione di entrambi.

James strizzò gli occhi, sforzandosi di riconoscere quelle sagome scure, ma la sua miopia rappresentava un fastidioso ostacolo, in simili circostanze.

Al contrario, invece, Mocciosus doveva essere dotato di una vista di falco, perché si voltò verso di lui, con un ghigno.

<< Sei nei guai, Potter. >>

James esitò.

Poi, riconobbe Silente.

E anche gli altri due.

<< Peter! >> esclamò, riconoscendo il piccolo amico trotterellare alla destra del preside, ansioso. Con loro, c’era anche la professoressa McGranitt, in vestaglia e coi capelli –straordinariamente- sciolti.

In un’altra occasione, James le avrebbe lanciato qualche battutina sfacciata, e la donna come minimo l’avrebbe condannato ad una settimana di punizione.

Ma in quel momento, uno dei più irrispettosi studenti che avessero mai messo piede ad Hogwarts aveva solo una voglia pazzesca di mettersi ad urlare e correre tra le sue braccia.

<< Minnie! >> la donna inarcò un sopracciglio << Professor Silente! Remus è ferito, dobbiamo andare dentro e… >>

<< Si calmi, signor Potter. >> lo interruppe il preside, pacato. Il suo tono era gentile, così come il lieve cenno della mano che accompagnò le sue parole, eppure James si zittì di colpo.

Aveva grande fiducia in Silente. << Purtroppo, temo che non potremo fare nulla per il signor Lupin fino a domani mattina. >>

<< Professore! >>

L’attenzione dei presenti si diresse verso Piton che, pallido ma furente come non mai, sembrava sul punto di esplodere. << Professore! Hanno cercato di uccidermi! >>

<< Ancora? >> sbottò James, esasperato. << Nessuno ha tentato di farti nulla. Non sei così importante, sai? >>

Mocciosus lo guardò con rabbia. << Proprio perché mi considerate meno di niente, non vi siete fatti nessuno scrupolo a mandarmi tra le fauci di quel…di quel mostro! >>

<< Senti tu, piccolo, viscido… >>

<< Si fermi lì, signor Potter! >> esclamò la McGranitt, imperiosa, proprio mentre James estraeva la bacchetta fuori dai pantaloni. La donna, poi, si voltò verso il Serpeverde. << E anche lei, signor Piton, si dia una controllata. Non so cosa l’abbia portata qui nel cuore della notte, ma dubito che i suoi compagn… >>

<< E’ stato Black! >> urlò il ragazzo, furioso.

Erano solo tre parole, ma sui presenti sortirono un effetto devastante.

Minerva McGranitt ammutolì, incredula.

Peter Minus e James Potter impallidirono.

Albus Silente, invece, inarcò un sopracciglio: << Si spieghi meglio, signor Piton. >>

<< E’ lui che mi fatto ha venire qui, stanotte! Mi ha detto tutto, come premere il pulsante, come raggiungere il passaggio! >> il Serpeverde fremeva, gli occhi brillavano, tremolanti bocce nere nell’oscurità della sera. << Mi ha spiegato ogni cosa, con l’eccezione di cosa avrei trovato là dentro! Volevano liberarsi di me! >>

James chiuse gli occhi, sofferente.

Non voleva sentire nulla di tutto quello, perché non si trattava di parole qualunque.

No, quelle erano le parole che descrivevano il tradimento di Sirius, e sentirle pronunciare da Piton era… pietoso.

Come veleno allo stato puro.

Lo detestava.

Odiava Sirius, lo odiava per ciò che aveva fatto, ma anche perché sapeva che alla fine lo avrebbe perdonato, lo avrebbero perdonato tutti, probabilmente.

Perché lui, Sirius, lo conosceva, e probabilmente quello non era stato che uno stupido, orribile scherzo.

…Godric, quanto era stupido.

Sperò che Remus riuscisse ad avercela con lui abbastanza a lungo, così avrebbe ottenuto ciò che meritava.

 

 

***

 

Lo trovarono lì dove l’avevano lasciato.

Sirius era all’inpiedi di fronte alla finestra, l’elegante profilo illuminato dalla tiepida luce lunare, una mano poggiata sul vetro e lo sguardo rivolto spento verso l’esterno.

Non si sorprese quando udì dei passi avvicinarsi dall’altra parte del corridoio, ma quando vide chi stava venendo verso di lui, non poté trattenere un moto di incredulità.

…Ok, da un certo punto di vista era previdibile, dato quello che aveva combinato. Ma non pensava che sarebbe accaduto così presto.

Si sentì morire. Certo, se lo meritava, e se lo aspettava, soprattutto, ma ora che quel tragico momento era giunto, si sentiva sprofondare in un baratro di disperazione.

<< Buonasera, signor Black. >> disse Albus Silente, calmo. << Le dispiace seguirmi nel mio ufficio? >>

Sirius deglutì. Il momento della verità era arrivato.

Seguì a testa china il preside per i corridoi, fino ai due possenti gargoyle in pietra.

Sirius sollevò appena lo sguardo verso di essi; ed ebbe come la sensazione che loro lo giudicassero dall’alto, coi loro freddi e severi occhi vuoti.

Silente non si fece alcun problema a pronunciare la parola d’ordine davanti a lui ma, d’altronde, probabilmente il ragazzo da quel momento non avrebbe più potuto ricavare alcun vantaggio dal conoscere la parola segreta per accedere nell’ufficio del preside.

<< Torta di Dorea. >> esclamò l’uomo, e Sirius rimase spiazzato, mentre lo seguiva su per le scale a chiocciola.

Ricordò la prima volta in cui era stato convocato insieme ai Malandrini nell’ufficio di Silente, al secondo anno, dopo aver fatto esplodere un petardo in Sala Grande.

Aveva osservato, meravigliato, i gargoyle farsi da parte per svelare la scala, mentre James sparava commenti inopportuni data la situaizone, Peter sembrava sul punto di scoppiare a piangere e Remus li guardava con un cipiglio di rimprovero.

Al pensiero dell’amico, la consapevolezza di ciò che aveva fatto si fece più aspra.

Oh, Remus…

“ Scusa. Scusatemi tutti, se potete. “  fu la sua silenziosa preghiera.

Arrivarono nell’ufficio.

La scrivania troneggiava al centro della sala, mentre dai suoi lati le due librerie, con gli scaffali ricolmi di libri, si diradavano a mo’ di ali, abbracciando l’intero perimetro della stanza circolare.

I ritratti svegli –pochi, in realtà, erano quelli ancora addormentati- lo osservano con curiosità.

Fanny, nella sua gabbia, sembrava anch’essa guardarlo coi lucenti occhi neri, e Sirius, sotto il suo sguardo, avvertì tutto il peso della sua colpa.

Silente si sedette dietro la scrivania, con un sospiro.

Sirius rimase fermo al centro della stanza, distogliendo lo sguardo e facendolo scorrere con disinteresse sugli scaffali che porcorrevano la maggior parte delle pareti.

Sperava che la faccenda finisse in fretta: sarebbe stata una magra consolazione, certo,  ma era l’unica possibilità in cui potesse trovare un minimo di sollievo.

<< Questo libro è molto interessante. >> disse ad un tratto Silente, facendolo sobbalzare. Il ragazzo spostò il suo sguardo su di lui: il mago stava sfogliando le pagine di un grosso libro davanti a lui. << Parla dell’applicazione delle Rune Antiche alla Divinazione. Sono due materie affascinanti, non trovi? >>

Il ragazzo rimase in silenzio per qualche istante.

A quanto pare, Silente aveva deciso di farla anadare per le lunghe.

… Be’, se lo meritava, in fin dei conti.

Allora, tanto valeva stare al gioco.

<< Non proprio, signore. >> replicò, incerto. Quel discorso sembrava del tutto fuori luogo, eppure non potè trattenersi dal rispondere con sincerità. << Direi inquietanti, piuttosto. Per quel che riguarda la Divinazione, almeno. >>

Silente lo osservò da dietro i suoi occhiali a mezzaluna. Si leggeva sincero interesse, nei suoi occhi azzurri.

<< Come mai dici questo? >> chiese, cordiale.

Sirius ci pensò su un attimo, spostando il peso da un piede all’altro. << Il fatto che qualcuno possa prevedere o addirittura stabilire il mio destino… E’ strano. >>

<< Sei scettico riuguardo questa disciplina? >>

Sirius scosse la testa: << Affatto. Ecco perché mi spaventa così tanto. >>

Silente non rispose subito, anzi, si prese qualche attimo più del previsto nel proseguimento di una normale conversazione per meditare sulla propria risposta.

<< Hai ragione. >> disse infine. << Bisogna prestare molta attenzione a predizioni varie e profezie. Alcune di esse possono essere molto pericolose, e in grado di cambiare drasticamente la vita di molti. >>

Sirius non trovò risposta più opportuna dell’annuire.

Il silenzio che seguì fu per lui decisamente più che pesante.

Terribile, a dire il vero.

Silente continuava a sfogliare il libro, e lui non sapeva come comportarsi.

Solo dopo qualche minuto, trovò il coraggio di parlare.

Deglutì.

<< Sa tutto, non è vero, signore? >> domandò, suonando più spaventato di quel che avrebbe mai immaginato.

Alla sua domanda, Silente apparve irrigidirsi appena, e i suoi gesti nel proseguire la lettura si fecero un po’ più meccanici. A parte questo, però, continuò nella sua attività, senza guardarlo.

<< Esatto. >> rispose tuttavia.

<< E’ stato Moc..- Piton a raccontarle? >>

<< Sì. >>

<< James e Peter hanno sentito? >>

<< Sì, il signor Potter e il signor Minus erano presenti. >> disse il mago, senza ancora sollevare lo sguardo.

Sirius chiuse gli occhi, addolorato.

Certo che erano presenti.

Li aveva visti dalla finestra, lì, nel parco.

Lo avrebbero odiato, e non c’era punizione peggiore di quella.

<< Posso partire stasera, professore? Non ce la farei ad aspettare domani. >>

Solo a quelle parole, Silente lo guardò.

Inarcò un soppraciglio: << Non ho alcuna intenzione di espellerla, signor Black. >>

<< …Ah no? >>

<< No. >> rispose il mago, scuotendo il capo. << Qualche tempo fa, ho dato a due tuoi compagni l’opportunità di migliorarsi restando qui ad Hogwarts. Sarebbe ingiusto non concederti la stessa occasione. >>

Sirius rimase in silenzio.

Capì che si stava riferendo ad Avery e Mulciber, e per un istante si sentì infastidito dall’essere paragonato a quei due.

… Durò solo un istante.

Vide come tutta quella storia dovesse apparire dall’esterno.

Aveva detto ad un suo compagno di scuola come raggiungere un feroce lupo mannaro senza avvertirlo del pericolo cui andava contro, aveva infranto il divieto di parlarne imposta da forse il mago più potente di tutti i tempi, e tradito la fiducia di un amico.

Aveva messo a rischio il ruolo di Silente, la vita di Piton e quella di Remus.

Solo in quel momento si rese veramente conto di quel che aveva fatto.

<< Vorrei capire solo una cosa, Sirius… >> ricominciò il preside, l’espressione ora un po’ triste, sebbene avesse abbandonato il tono formale usato fino a quell’istante. << Perché l’hai fatto? >>

Sirius iniziò a tremare, mentre le prime lacrime iniziavano a combattere per uscire.

Non conosceva la risposta, e forse non l’avrebbe conosciuta mai, ma di una cosa aveva la certezza: la domanda di Silente l’avrebbe tormentato per molto, troppo tempo.

Sapeva che aveva fatto qualcosa di terribile, che era stato terribile.

Si sentì un mostro.

Perché l’aveva fatto?

<< Ero… Ero arrabbiato. >> disse, incerto. << Sono arrabbiato. Ma non volevo che i miei amici ne pagassero le conseguenze. >> sollevò lo sguardo verso Silente, disperato. << Non potrei mai pensare di fare loro del male! Sono l’unica cosa che ho! E adesso… >> ci mise un po’ a pronunciare le parole successive, accompagnate dalla angosciante comprensione delle stesse. Si portò le mani sul viso. << E adesso li ho persi. Non ho più nulla. >> la sua voce si fece più flebile. << Sono solo. >>

Iniziò a piangere quasi senza accorgersene.

Non gli importava che Silente lo vedesse, che scoprisse quel suo lato vulnerabile.

Non gli importava di nulla, se non della propria triste condizione –e, anche in questo, si rivelava il solito egoista del cazzo.-

“Sono solo.

Ed è tutta colpa mia.“

Perché rovinava tutto quello che gli finiva tra le mani?

Perché mandava a monte tutto quello che aveva?

Perché doveva trovare il modo di farsi odiare da chiunque avesse mai provato un minimo di affetto per lui?

L’aveva fatto coi suoi parenti, coi suoi genitori.

L’aveva fatto con Regulus, suo fratello.

Ed ora, anche con i Malandrini, i suoi adorati Malandrini, quelli con cui fino a qualche settimana prima stava brindando in onore dell’amicizia che li univa, e che li avrebbe legati per sempre.

La solitudine era ciò che sempre aveva temuto di più.

E, ironia della sorte, era anche l’unica cosa che sembrava in grado di procacciarsi.

<< Quello che hai fatto è molto grave. >> continuò Silente. << E’ privo di qualunque giustificazione. Questo lo capisci, vero? >>

Sirius annuì, tirando su col naso. Doveva sembrare un bambino, in quel momento.

<< Lo so. >> rispose, cercando dentro di sé un po’ d’orgoglio Grifondoro, in modo tale da poter guardare il mago negli occhi. Le iridi celesti di Silente lo scrutavano con attenzione. Sembravano in grado di leggergli nella mente, ed era così, probabilmente.

<< Sono stato un idiota, e mi odio per questo. >>

Fissò il suo sguardo in quello del mago. Oltre che stupido, non voleva che lo ritenesse meschino o malvagio.

Sostenne lo sguardo del preside con fierezza.

“Non volevo fare del male a nessuno. Non sono malvagio.“  pensò il ragazzo, intensamente, quasi come se volesse comunicare quelle parole anche a Silente. “ Non sono un Black.“

E chi era, allora?

Un tempo, gli sarebbe piaciuto –e probabilmente gli sarebbe stato anche permesso- di potersi definire un Potter.

Ma, ora, non pensava più di poter meritare quell’onore.

<< Ti credo, Sirius. >> decretò infine Silente, guardandolo con intensità. << E confido che tu abbia compreso il tuo errore, e che possa imparare dai tuoi sbagli. >>

Il ragazzo tenne alta la testa. Voleva che l’uomo capisse di non aver commesso un errore, nel riporre in lui tale fiducia.

<< Lo farò, signore. >> disse, solenne.

Silente gli riservò solo un’ultima occhiata. Poi, sospirò.

<< Puoi andare, allora. E’ molto tardi, e credo che una bella dormita farebbe bene a tutti noi. Qui fuori troverai la professoressa McGranitt, che ti illustrerà la tua punizione e ti accompagnerà fino alla tua Sala Comune. >>

Sirius annuì.

Ovviamente, non pensava che l’avrebbe passata liscia fino a tal punto, ma non era la punizione a spaventarlo.

Il peggio doveva ancora venire.

 

***

 

 

Sirius si sentì uno schifo non appena mise il primo piede nella stanza.

Peter, seduto sul bordo del letto, sembrava particolarmente in ansia, e sollevò lo sguardo incerto verso di lui.

<< Sirius! >>

Sirius distolse lo sguardo, non trovando l’audacia di guardarlo in faccia, e gettò un’occhiata verso James. Il ragazzo era seduto sul suo letto, gli dava le spalle, con la faccia rivolta verso la finestra.

Si voltò un po’ verso Codaliscia.

<< Ciao, Peter. >>

<< Sirius! >> ripetè l’amico, alzandosi di scatto. Rivolse appena lo sguardo verso James, prima di chiedergli, in ansia: << Ti hanno espulso? >>

Con la coda dell’occhio, Sirius vide James irrigidirsi.

Esitò un attimo, poi rispose: << No. >>

Peter tirò un sospiro di sollievo, ma lui a stento gli fece caso. Tutta la sua attenzione era concentrata su un’eventuale reazione di James che, per un attimo, parve rilassare le spalle prima contratte.

Sirius voleva solo che gli rivolgesse uno dei suoi solito sorrisoni scherzosi, che gli facesse capire che era tutto a posto, e che ogni cosa sarebbe tornata come prima.

Eppure, James non fece niente di tuto questo.

<< Peccato, te lo saresti meritato. >> sbottò invece, senza nemmeno voltarsi verso di lui.

Sirius chinò lo sguardo.

“Colpito.”

<< Lo so. >> mormorò, cupo.

James esitò qualche istante. Poi, acido, disse: << Sai anche che Remus è rimasto ferito, per caso? >>

“… e affondato.”

Fu come se qualcuno gli avesse strappato l’anima e gliel’avesse portato via.

<< Come? >> domandò, atterrito. << E’ grave? >>

<< No, cioè, non lo so. .  >> rispose James, in difficoltà. << Forse. Ma che ti importa? Tu sei tanto bravo a fregartene degli altri. >>

<< Degli altri, forse. Ma non di voi. >>

James sbuffò.

<< Belle parole, peccato che i fatti dimostrino il contrario. >> disse, truce. << Ora vado a dormire. Purtroppo dovrò condivire la mia stanza con te, ma vedrò di farmene una ragione. Buonanotte, Codaliscia. >> detto questo, si limitò a coricarsi e ad infilarsi sotto le coperte, senza aggiungere altro.

<< ‘Notte… >> replicò Peter, incerto, rivolgendo un’occhiata nervosa a Sirius.

Questi non disse nulla.

La reazione di James era previdibile, e lui quell’astio se lo meritava tutto quanto.

…Eppure, faceva comunque male.

Chiuse gli occhi, stringendo i pugni.

Stava talmente male che non riusciva neanche a piangere.

Emise un profondo sospiro.

Oh, Godric.

<< Io sono felice. >> mormorò la voce di Peter alla sua destra.

Sirius aprì gli occhi, e vide che l’amico stava guardando con nervosismo in direzione di James, come per capire se li stesse ancora ascoltando. Dal ragazzo, tuttavia, non provenne alcuna reazione.

<< Sono felice che tu non sia stato espulso, intendo. >> spiegò quindi Codaliscia, a bassa voce.

<< Grazie, Peter. >> replicò il ragazzo, simulando un sollievo che non riusciva veramente a percepire. Era grato all’amico per le sue parole.

Grato, ma non felice.

Peter dovette rendersi conto del suo stato d’animo, poiché abbozzò un sorriso.

<< Non preoccuparti, James ti perdonerà presto. >>

Sirius sospirò, triste.

Il problema non era quando, ma se lo avrebbe mai perdonato.

 

***

<< Piton, muoviti! >>

Il viso di una donna, sbigottita, ansiosa.

<< Lupin? >>

Un uomo sconosciuto, massiccio e grande, che gli tende la mano.

<< Tu sei il piccolo Remus Lupin, vero? >>

L’espressione di suo padre, colma di disgusto e minaccia.

<< Sta’ lontano da lui, Greyback. >>

Di nuovo la donna.

<< Povero ragazzo. Guarda come ti sei ridotto… Non preoccuparti. >>

E i suoi occhi chiari vengono sostituiti da dolci iridi scure, che lo guardono con tristezza.

Una mano gli sfiora la fronte, e non comprende se si tratti di presente o passato, realtà o sogno.

<< Non preoccuparti, Rem. La mamma è qui con te. >>

Bende e stecche e unguenti si confondono.

Un camice, un camice bianco.

Un dottore.

O la donna di prima?

<< Questo farà un po’ male. >>

Una voce udita aldilà di una porta chiusa.

<< Un lupo mannaro. Ogni mese. Sono desolato, signora Lupin. >>

E i visi di quattro ragazzi, ragazzi di cui vuole evitare lo sguardo.

<< Mi dispiace non avervelo detto prima. Non odiatemi. >>

<< Sectumsepra! >>

Sua madre.

<< Ora sta riposando. Non può sentirci. >>

Suo padre.

<< E’ colpa mia, Helena. Solo colpa mia. >>

 

Ricordi, frammenti di immagini, brandelli di memoria. E, poi, un’enorme ed indistinta sagoma, di cui non rammenta le fattezze, solo la mole, il ghigno lucente e gli occhi rossi.

 

<< Lieto di rivederti, piccolo Lupin. >>

 

 

Remus aprì gli occhi di scatto, ansante.

Bianco, ecco ciò che lo accolse al suo risveglio, insieme ad un dolore diffuso su tutto il corpo.

Gemette, richiudendo gli occhi.

Li riaprì poco dopo, ritrovando quel bianco totale.

“ Il soffitto dell’infermeria” collegò dopo qualche istante.

Esitò.

Infemeria.

Luna piena.

Piton.

Sobbalzò, mettendosi di scatto a sedere: << Piton! >> esclamò, mentre qualcuno, al suo capezzale, sussultava a sua volta, quasi cadendo giù dalla sedia su cui si era appisolato.

<< Moony! >> disse James, sistemandosi gli occhiali sul naso. Ci mise un po’ a mettere a fuoco l’immagine dell’amico, e a capire che, con una smorfia di dolore, si era piegato su se stesso, portandosi una mano al fianco.

Quasi gli si gettò addosso.

<< Moony! Tutto a posto?! >>

Remus, nonostante l’aria sofferente, si voltò verso di lui.

<< Piton… Come sta? >>

<< E’ vivo, non preoccuparti! Ora rimettiti sdraiato, per favore! >>

Remus non oppose molta resistenza, e si lasciò adagiare nuovamente sul lettino.

E’ vivo.

Frase che voleva dire molto, e nulla al tempo stesso.

Si sentì pervadere dall’angoscia.

Oh Merlino.

Gli veniva da piangere.

<< Peter è andato a prendere qualcosa per colazione. >> diceva intanto James, scompigliandosi i capelli. << Spero che si ricordi di portare qualcosa anche per te. Poppy è una brava figliuola, ma non si rende conto quanto facciano pena le sue zuppette per i malati. Magari dovrebbe dirglielo una delle sue colleghe-gemelle del San Mungo e… Remus, cos’hai? >> il ragazzo interruppe la sua solita parlantina per rivolgere all’amico un’occhiata preoccupata.

Aveva gli occhi lucidi, e tremava.

<< Remus, stai male? Vuoi che vada a… >>

<< L’ho morso? >> chiese senza giri di parole il prefetto, con tono disperato.

James ammutolì, sorpreso ma finalemente in grado di capire quale fosse il problema.

Era perfettamente logico, in effetti, e anche piuttosto prevedibile.

Abbozzò un sorriso addolcito, con aria triste.

<< No, Remus. Non gli hai fatto nulla. Non hai fatto male a nessuno. >>

“Non tu, almeno.”

Remus accolse la notizia con estrema calma, in un primo momento.

Poi si nascose il viso tra le mani, e pianse silenziosamente.

James chinò lo sguardo, non sapendo bene come comportarsi.

Pensò di dargli una pacca sulla spalla o qualcosa di simile, ma poi ritenne che forse non era la cosa migliore da fare, e optò per rimanersene lì impalato a fissare il pavimento fino al momento in cui  l’amico avrebbe versato tutte le lacrime da versare.

Povero Remus.

E stupido, stupido Sirius.

Dopo qualche minuto, Lunastorta si asciugò gli occhi con il dorso della mano, poi volse il capo verso di lui.

<< Che è successo? >> domandò, confuso. << Intendo, che ci faceva Piton alla Stamberga? >>

James ebbe qualche attimo di incertezza.

E ora?

<< E’ venuto a ficcanasare, come al suo solito. >> tagliò corto, eludendo la domanda.

Non sarebbe stato lui a dirgli che Sirius aveva spifferato ogni cosa.

Oh, no.

Aveva intenzione di lasciare l’onore al diretto interessato.

<< Fortunatamente, sono riuscito a tirarlo fuori appena in tempo per salvare le sue chiappe viscide. >> continuò, infastidito dal solo pensiero di Mocciosus, convintissimo di essere scampato a chissà quale congiura. << Ti ho scagliato qualche Schiantesimo. Scusa. >>

Remus scosse la testa: << Scusami tu. Immagino che sia stato spaventoso. >>

Prongs si scompigliò i capelli, imbarazzato.

<< Terrificante, a dire il vero. >> ammise con una risatina. << Ma non te ne preoccuperai più quando vedrai i lividoni che ti ho lasciato. >> s’affrettò ad aggiungere, notando l’espressione incupita dell’amico.

<< Il grosso penso di essermelo fatto da solo. >> disse Remus, per poi sollevare di un poco le coperte per sbirciarvici sotto. Impallidì. << Godric, sembro una mummia. >>

James si sforzò di ridere. << Tutankhamon Lupin. >> scherzò miseramente, mentre la sua testa era tutta concentrata nel desiderio di tirare due sberle a due individui in particolare.

<< Remus! Sei sveglio! >>

I due ragazzi si voltarono verso la porta.

Peter, con tra le mani qualche bignè fregato dalla Sala Grande, aveva un’espressione insolitamente stupita e tetra.

James aguzzò lo sguardo e, mentre veniva assalito da un moto d’irritazione, comprese il motivo dell’evidente disagio di Codaliscia.

Un’ombra stava dietro di lui.

Un’ombra rispondente al nome di Sirius Black.

Prongs sbuffò, voltandosi dall’altra parte. Poi, ripensandoci, si alzò, si diresse verso Peter, gli tolse il piatto ripieno dalle mani, lo portò a Remus e poi tornò davanti alla porta.

Lunastorta lo guardò con perplessità, Wormtail con atterrimento.

Evitando di guardare Sirius, James prese Peter sottobraccio, con aria sostenuta.

<< Ho dimenticato un libro nello spogliatoio. Pete, accompagnami a riprenderlo. >>

L’amico deglutì, ma inerte si lasciò trascinare via dal ragazzo.

Sirius chiuse gli occhi.

Il silenzio di James lo feriva.

Ma quello che stava per fare lo spaventava ancor di più.

A capo chino, si trascinò fino al capezzale dell’amico, lasciandosi cadere sulla sedia di fianco al letto.

Con la testa sul cuscino, Remus gli sorrise. << Ciao, Sirius. Per caso Prongs ha sbattuto la testa, di recente? >>

Il ragazzo non rispose, intento com’era ad esaminare le condizioni del prefetto.

Indossava uno di quei soliti pigiami da ospedale che gli appiccicava Madama Chips e che gli stavano sempre un po’ abbondanti.

Era spaventosamente pallido, esangue; aveva diverse medicazioni sul viso, all’altezza della fronte e della guancia sinistra, al di sotto dello scollo della camicia s’intravedeva un cospiscuo strato di bende.

Sirius deglutì, chinando nuovamente lo sguardo.

Il senso di rimorso, che pian piano si stava facendo spazio dentro di lui, era intollerabile.

<< Felpato, un ippogrifo ti ha mangiato la lingua, per caso? >>

Il Grifondoro si strinse i pugni sulle ginocchia, chiudendo gli occhi.

Perché era stato così stupido?

<< Scusami. >> disse, la voce tremula.

Remus aggrottò le sopracciglia, guardandolo con perplessità.

<< Ehi, non preoccuparti. Stavo scherzando. >> esclamò, sorpreso, tentando a suo modo di rassicurarlo. Poi, abbozzò un sorriso. << Anzi, a dire il vero è un piacere non sentirti parlare, di tanto in tanto. Le mie orecchie avevano proprio bisogno di… >>

<< Perdonami, Remus >> lo interruppe Sirius, scuotendo il capo. Sembrava che neanche lo stesse ascoltando <<  Ti prego, non odiarmi. >>

Lunastorta ammutolì, perplesso.

Poi, sorrise. << Sirius… >> inziò, benevolo. << Non potrei mai odiarti, lo sai. >>

<< Tu non capisci. >>

Remus rimase stupito un’altra volta.

Era confuso, non capiva.

Eppure, nel vedere l’espressione mortificata e disperata dell’amico, uno strano presentimento stava prendendo forma dentro di lui.

<< Sirius, di che cosa stai parlando? >> domandò, il tono di voce più fermo e duro rispetto a qualche attimo prima. Qualcosa dentro di lui, una sorta d’innato istinto primordiale, lo avvisava di prepararsi a qualcosa di spiacevole.

Terribilmente spiacevole.

Ma Padfoot esitava, si ostinava nel suo silenzio.

Remus insistette, serio: << Allora? >>

Sirius sospirò, prendendosi la testa fra le mani.

Il prefetto s’irrigidì, mentre avvertiva una strana morsa allo stomaco.

“ E’ così grave? ” si chiese, preoccupato.

<< Sir… >>

<< Sono stato io. >>

Remus s’irrigidì per una seconda volta.

Non era uno sciocco e, nonostante gli facesse male ogni singola parte del corpo, a livello mentale era sufficientemente lucido da capire –o perlomeno sospettare- a cosa Sirius si riferisse.

Ma preferì chiedere, per sicurezza.

Nonostante un terribil senso di nausea e sconforto cominciasse a nascere dentro di lui, voleva ancora aggrapparsi alla futile speranza di aver inteso male le parole del ragazzo. Lo stesso che ora appariva disperatao, nel prendersi la testa tra le mani.

<< Scusami, Rem. Non volevo farti del male. >>

Oh Godric.

Remus si sentì agghiacciare le viscere.

Oddio. Oddio, oddio.

<< Di… Di che parli? >>

<< Piton. Gli ho detto tutto io. >>

Fu una strana sensazione, quello che lo pervase.

Inaspettata, insolita.

Inspiegabilmente, alle parole di Sirius, Remus non sentì che freddo.

Un agghiacciante senso di freddezza che gli pervadeva l’animo.

E parve che ogni cosa nella sua testa fosse stata cancellata, lasciando spazio ad un’ineluttabile percezione di vuoto.

Sirius, sempre a capo basso, con il medesimo tono amareggiato, continuò la sua tremenda e triste confessione.

<< Gli ho detto di raggiungerci al Platano. Gli ho spiegato come fare. >>

Remus chiuse gli occhi.

Si sentiva straordinariamente calmo.

Chiuse gli occhi, li riaprì.

<< E perché l’avresti fatto? >>

Sirius esitò, colpito dalla freddezza della sua voce.

Si era preparato alla rabbia, ma il dovergli spiegare il motivo per cui si era comportato in quel modo… Era terribile, umiliante.

<< Io… Mi aveva fatto arrabbiare. Mi ha colto dopo che avevo appena parlato con Regulus, e faceva tutte quelle domande, e io non so cosa mi ha preso, so soltanto che avevo voglia di levarmelo dalle scatole e dargli una lezione e… >> non sapeva cosa dire. Blaterava qualsiasi cosa sentisse e provasse, non riuscendo a dare un senso a quel che usciva dalla sua bocca.

O meglio, senza riuscire a dare un senso a quel che aveva fatto.

Doveva essere irritante, stare lì ad ascoltarlo.

Eppure, Remus lo guardava con estrema freddezza, in silenzio.

Sirius capì di doverci dare un taglio, e si zittì di colpo.

Deglutì, amareggiato: << Io… Remus, scu- >>

<< Basta così. >>

Sirius ammutolì di botto.

Sollevò il capo verso Remus che, al contrario, teneva le palpebre abbassate.

Si sentì pervadere dallo sconforto.

<< Come… ? >>

<< Non c’è bisogno di aggiungere altro. >> disse lui, semplicemente. Non c’era traccia né di rabbia né di tristezza nella sua voce, ma neanche di quella benevolenza cordiale tipica di Remus.

Il prefetto aprì gli occhi, e si voltò verso di lui.

<< Credo che sia meglio che tu te ne vada, Sirius. >>

Sirius ebbe voglia di piangere.

Non l’aveva perdonato.

Affatto.

<< Remus, io… >>

<< Vattene. >> ripetè, e questa volta le sue parole furono dure, imperanti, secche.

Sirius esitò, disperato.

Guardò il prefetto, il suo viso e le sue ferite, e l’unica cosa che riusciva a pensare era: “Ti prego. Non mandarmi via.”

… Ma non c’era nulla da fare.

L’espressione di Remus non ammetteva nessun’altra discussione.

Chinò lo sguardo e, come un cane che se ne va via con la coda tra le zampe, uscì dall’infemeria.

 

 

 


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Capitolo 14
*** Chiarimenti, segreti e conversazioni poco piacevoli ***


 

Capitolo 14


Chiarimenti, segreti e conversazioni poco piacevoli.

 

 

<< C’è qualcosa che non va con i Malandrini. >> constatò Alice, ad un tratto.

Lily sollevò lo sguardo verso di lei, seduta sopra il banco di scuola, i piedi sullo sgabello e il mento poggiato sul dorso delle mani intrecciate, l’aria pensosa.

<< In che senso? >> domandò la prefetto, sorpresa.

L’amica fece un lieve cenno con la testa, accennando ai loro compagni di Casa, e Lily indirizzò lo sguardo verso di loro.

Minus se ne stava accasciato con la testa sul banco, un’aurea di depressione pareva circondarlo miseramente; accanto a lui Potter –sorprendentemente- stava addirittura sfogliando il libro di Incantesimi, sebbene con aria distratta ed assorta in qualcosa che, sicuramente, non dovevano essere le parole del tomo scolastico.

Per quel che riguardava Black, Lily ci mise un po’ a trovarlo, in fondo all’aula, seduto da solo, con un’espressione piuttosto cupa.

Fece spallucce: << A me sembrano a posto. >>

Alice quasi ruzzolò giù dal banco.

In compenso, si affogò con chissà che cosa –Lily presumette la sua saliva- ed iniziò a tossire. La rossa le posò una mano sulla spalla.

<< E’ tutto ok? >>

<< A posto?! >> domandò Alice, ignorando il tono concitato dell’amica. Poi, abbassò la voce. <<  Jim sta studiando, Lily, e il suono più rumoroso che ha prodotto è stato quando ha poggiato il calamaio sul banco. Se questo è normale, io sono una stangona di ragazza. >>

<< …Vabbè, questo dipende dai punti divista. >>

<< Non di certo dal tuo, miss Evans-gambalunga. >> esclamò Alice, sempre sussurrando. << Ma grazie per la gentilezza. >>

<< Prego… >> replicò Lily, pensosa.

In effetti, un James Potter non casinaro e chiassoso era normale quanto una classe interamente sveglia durante una lezione di Ruf.

Senza offesa per il professor Ruf, ovviamente.

<< Chissà cosa è successo… >>  disse, pensosa. Poi, un flash, e il ricordo del giorno prima che tornava alla memoria.

E James Potter che le urlava contro.

 

<< A nessuno importa nemmeno di te, allora! >>

 

Sbuffò.

D’altronde, che le interessava di lui?

Poteva anche finire mangiato da un ippogrifo, per quello che la riguardava.

Piuttosto…

<< Remus non c’è. >> notò la prefetto.

Alice alzò le spalle.

<< Conoscendo il tipo, sarà malato. >> disse, e Lily chinò lo sguardo.

Si morse il labbro, indecisa, pensierosa.

Prese un profondo respiro, si alzò sotto lo sguardo incuriosito di Alice e si mosse spedita verso un punto preciso.

Non appena giunse vicina al suo banco, Potter sollevò lo sguardo verso di lei, cupo. La rossa si piazzò davanti al banco, l’aria severa e le mani sui fianchi.

Il ragazzo sospirò.

<< Evans, se è per litigare questo non è il… >>

<< Peter Minus! >> esclamò la ragazza, forse a voce un po’ troppo alta, dato che metà degli studenti presenti si voltò verso di lei, e l’altra metà le intimò di fare silenzio per non disturbare il loro ripasso pre-interrogazione –ossia l’ennesima simulazione che avrebbe confermato la loro inadeguatezza per i GUFO.-

Lily avvampò, in imbarazzo, ma decise di andare avanti.

Minus, dal canto suo, aveva sussultato, e ora la guardava, facendosi piccolo piccolo sulla sedia, con puro terrore. << Sì..? >>

<< Potresti dirmi come mai Remus non è venuto a lezione, per favore? >>

Il ragazzo esitò, guardò verso Potter in cerca di aiuto. Questi annuì in silenzio, e Minus rispose: << E’ in infermeria, prefetto Evans. >> disse, adattandosi a quei toni da esercito militare.

Lily annuì con fervore. << Grazie, Peter Minus. >>

Così dicendo, fece retro-front verso il suo banco, prese la certella, se la mise in spalla e si avviò verso l’uscita a grandi passi, finchè…

<< Lily, che fai?! Abbiamo lezione! >> le gridò dietro Alice.

La prefetto si bloccò proprio sull’uscio dell’aula, mentre qualche risatina si levava dal suo interno.

Arrossì e, a capo chino, tornò in classe.

L’amica la guardò con aria perplessa.

<< Sei strana. >> constatò con semplicità. Lily arrossì fino alla radice dei capelli, e prese il suo solito posto, sbattendo la cartella sul banco con insolita violenza –sì, quel giorno doveva attirare l’attenzione ad ogni costo, a quanto pareva.-

Tuttavia, l’impatto della borsa fu tale che una busta di carta, che doveva essere stata infilata lì in fretta e con nocuranza, ne cadde al di fuori, fino a terra.

Stupita, Lily si chinò a raccoglierla.

“Ma che…? “

Non ricordava di averla mai messa nella borsa e, di fatti, sulla busta vi stava scritto “A Lily Evans.”

Una lettera.

Guardinga, gettò un’occhiata sospettosa a Potter che, strano a dirsi, non la stava degnando di uno sguardo.

Incredula e un po’ esitante, aprì la busta e ne estrasse il contenuto, dispiegando il foglio di pergamena.

Lesse qualche riga, e arrossì.

<< Che cos’è? >> domandò Alice, sporgendosi per sbirciare il contenuto della lettera. La stessa che Lily allontanò con un brusco movimento della mano, avvampando.

<< N-niente! >> balbettò, in evidente imbarazzo. L’amica inclinò il capo e la guardò per qualche istante.

<< Certo che a mentire fai proprio pena. >> constatò, e non insistette oltre.

Lily ringraziò il cielo che la ragazza, nonostante tutto, fosse discreta e poco invadente.

Tuttavia, non poté non sentirsi un po’ in colpa.

Mentre il professor Vitious entrava in aula, la  prefetto sospirò, aprì il libro e infilò la lettera in fretta e furia laddove l’aveva trovata.

 

 

***

 

Non appena la campanella suonò, Sirius, risoluto, si catapultò fuori dall’aula.

Era tutta la mattina che lo evitava, ma non poteva fuggire in eterno.

Voleva parlargli, Merlino, e James l’avrebbe ascoltato.

Prongs dovette notare il suo fare frettoloso ed intuire le sue intenzioni, perché accelerò il passo verso la porta.

Troppo lento.

Sirius allungò il passo, tese il braccio, e lo afferrò per una spalla, costringendolo a voltarsi verso di lui.

Quella che si ritrovò davanti fu una delle espressioni più arrabbiate che avesse mai visto sul volto di James.

<< Sirius, che diamine vuoi?! >> sbottò difatti il ragazzo, evidentemente infastidito.

<< Dobbiamo parlare. >> replicò lui, serio. << Per forza. >>

James lo guardò con rabbia, liberandosi dalla sua presa. << E se ti dicessi di no? Non hai alcun diritto di darmi ordini. >>

Sirius scosse il capo, cupo. << Non è nelle mie intenzioni. >> disse, mesto, guardandolo negli occhi. << Te lo chiedo per favore. >>

Gli occhi scuri di James si spalancarono per un attimo, colmi di sorpresa. Lo fissò per qualche istante, sbalordito.

E poi, incerto.

Nel suo viso, Sirius poteva benissimo leggervi l’esitazione di chi non sa decidersi sul da farsi.

Ma durò solo per qualche istante.

James chiuse gli occhi, sospirando.

<< D’accordo. >> disse, stanco. << Ma non qui. Leviamoci da questa confusione. >>

 

 

***

 

 

 

A dispetto delle sue consuete e straordinarie trasformazioni, la Stanza delle Necessità aveva assunto un aspetto ordinario.

Era una piccola sala vuota.

Forse, perché i suoi attuali visitatori non avevano bisogno di nulla, fuorchè di se stessi.

Non appena l’entrata si richiuse alle loro spalle, Sirius guardò James che, davanti a lui, teneva il volto rivolto dall’altra parte.

Con le braccia incrociate davanti al petto e la funcia, si ostinava a non rivolgergli la parola.

Doveva essere stato un grande sforzo per lui, seguirlo fino a lì.

<< James… >> iniziò, cauto. << Grazie. >>

Il ragazzo si voltò verso di lui, arrabbiato: << Non mi servono i tuoi ringraziamenti. Ho solo bisogno che tu sparisca dalla mia vista, peccato  che questa stupida stanza non sia poi così utile come dicono. >>

Sirius fu estremamente ferito da quelle parole.

Ok, lui era colpevole.

Ma James gli stava sembrando troppo duro.

Distolse lo sguardo, cupo.

Erano passati appena due giorni, ma già gli mancava.

Gli mancava Prongs, il suo migliore amico.

Suo fratello.

Perché sì, James gli aveva detto che era suo fratello. Ed ora si rifiutava di parlargli, per quella che sembrava semplice ostinazione a rimanere arrabbiato con lui.

Remus lo odiava, e lui si sentiva uno schifo.

Aveva bisogno del sostegno del vecchio Prongs.

Non della sua funcia imbronciata.

<< Sei… cattivo. >> disse quasi senza pensarci, e rendendosi conto di quanto dovesse suonare stupido.

Ed ipocrita.

Non era stato James ad aver rivelato il segreto di Remus a Mocciosus.

Prongs si voltò verso di lui, di scatto.

Sembrava che le sue parole l’avessero davvero offeso, e che pensieri simili ai suoi stessero passandogli in mente.

<< Tu dovresti essere l’ultimo a puntare il dito, Sirius. >> esclamò, indignato. << e poi, ho tutto il diritto di fare il cattivo, come dici tu. >>

<< Credevo fossimo amici. O sbaglio? >>

James sbuffò, incrociando le braccia davanti al petto.

<< Non so. >> disse, diretto. << Non dovresti essere amico anche di Remus? >>

Va bene, quello era troppo.

Era vero, aveva sbagliato, ma quelle insinuazioni erano crudeli ed infondate.

Si sentì esplodere.

Era stato uno stupido.

Ma Merlino, Prongs lo era più di lui, a quanto pareva!

<< Lo sono, che diamine! Certo che sono suo amico! >> sbottò, alzando le braccia verso l’alto in uno scatto d’ira. << Dove sei stato in questi quattro anni?>>

Era arrabbiato.

Anzi, era furioso! Da James si era aspettato almeno un minimo di comprensione, non tutte quelle sciocche accuse!

<< C’ero anche io quando ci ha detto del suo piccolo problema peloso! >> urlò, fremendo. << Ero lì a rassicurarlo, proprio come te! Sono diventato un Animagus per lui, perché sono suo amico! Capisco che tu sia arrabbiato, ma non ti permetto di essere così ingiusto! >>

<ingiusto? >> domandò James, stizzito. << Sei tanto bravo a parlare, ma gli amici non si comportano in questo modo! >>

Anche questo faceva male.

Sirius chinò lo sguardo.

Affrontare la verità era sempre più difficile.

<< Io… Lo so. >> la sua voce non era che un misero, flebile sussurro, mesto. << Lo so. >> ripetè, nascondendosi il viso tra le mani.

Chiuse gli occhi.

Ora lo circondava solo oscurità.

Ecco, forse era quello ciò che meritava.

Il nulla, l’essere avvolto dalle tenebre e scomparire aldilà di esse, in modo che non potesse più fare del male a coloro cui voleva bene.

Poggiò la schiena contro il muro dietro di lui, afflosciandosi contro la parete di roccia.

<< Mi dispiace. >> mormorò, per quella che doveva essere l’ennesima volta in quei giorni tremendi. << Non volevo tutto questo, cioè… forse sì. Non lo so, non capisco più nulla. >>

James lo guardò per qualche istante.

Provava rabbia?

Compassione?

Incertezza?

Era impossibile dirlo.

Sirius lo vide distogliere lo sguardo, allontanarlo da lui, verso un punto a caso alla sua destra.

<< Non fare la vittima adesso. >> disse James, cupo.. << Non hai alcun diritto di piangere, tu. >>

<< Non sto piangendo. >>

<< E allora sei anche insensibile, oltre che bastardo. >>

Sirius sospirò: << Non era mia intenzione ferirvi. Lo giuro. >>

<< Eppure, è quello che hai ottenuto. >> fu la severa risposta del ragazzo. << Non volevi ferirci, non ci volevi né feriti, né delusi, né in infermeria e neppure arrabbiati, scommetto. Eppure, Sirius, lo siamo. >>

 

***

 

James vide Sirius chinare nuovamente lo sguardo.

Si sentiva talmente in colpa da non poter reggere il suo sguardo?

Era tale, il suo tormento?

“No, James. Non farti intenerire.” Pensò, aspro. “Sii forte.”

<< Era solo uno scherzo, tutti qui. >> mormorò intanto Sirius.

Lui dovette ricorrere a tutto il suo autocontrollo per non mollargli un altro cazzotto.

Se lo sarebbe meritato, davvero. Ma, fortunatamente per Sirius, lui l’istinto sapeva frenarlo.

Più o meno.

E dato che aveva deciso di astenersi dai pugni, poteva almeno permettersi il lusso di colpirlo metaforicamente, con le parole.

Sirius se lo meritava, dopotutto!

Per questo, avrebbe sopportato. James avrebbe sopportato di ferire il suo migliore amico, anche se questo significava fare del male anche a sé stesso.

<< Davvero uno scherzo divertente, devo ammetterlo. I Black hanno proprio un bel modo di passare il tempo, ridendo delle sventure altrui. >>

…Ahi, forse era stato troppo duro.

Anzi, poteva anche dimenticarsi di quel “forse”, considerando l’occhiata fredda che gli rivolse Sirius, guardandolo dritto in faccia.

<< Ora sei ingiusto. >> sibilò. << Sai che non sono come loro. >>

Aveva toccato un tasto delicato, di questo James se ne era reso conto.

E si sentiva un po’ colpa.

Fino a Natale era lì ad accoglierlo a braccia aperte a casa sua, chiamandolo fratello, rimarcando la sua fiducia del suo buon cuore, che lo poneva anni luce di distanza dai suoi genitori.

Adesso, invece, lo accusava di essere come loro.

“Ah, Pad, perché mi spingi a tutto questo?”

Distolse lo sguardo, in difficoltà.

Sospirò.

<< Non sono più certo di niente, oramai. >> mormorò, tetro, e questa volta non mentiva. Non del tutto, almeno. << Credevo di conoscerti, ma a quanto pare mi sbagliavo. >>

<< No, invece! >> replicò l’altro, raddrizzandosi all’improvviso. Sembrava che una nuova energia –quella della disperazione, magari- fosse sprizzata nel suo corpo, restituendogli la forza di continuare a lottare. Di cercare di convincerlo. << Sono sempre io, Sirius, Padfoot, il tuo migliore amico! >>

Questa volta fu James a distogliere lo sguardo.

<< Tu… non sei… il mio migliore… >>

<< Certo che lo sono, non mentire! >> lo interruppe Sirius, prendendolo per le spalle. Lui, per tutta risposta, piegò la testa di lato, in modo da evitare il suo sguardo.

Sirius, allora, lo prese per le guance e lo obbligò a voltare il capo verso di lui. << James, guardami! >>

Il Grifondoro, come replica definitiva, serrò le palpebre.

Non si sarebbe arreso.

<< Prongs, non fare lo scemo! Mi sono accorto di quanto eri sollevato quando hai saputo che non ero stato espulso, sai? >>

… Colto alla sprovvista, James aprì immediatamente gli occhi, spalancandoli per la sorpresa.

Era stato preso in fragrante, per la miseria!

<< E’… E’ malato. >> borbottò, troppo incerto per sembrare credibile. Ma continuò, imperterrito, sebbene gli occhi grigi di Sirius lo fissassero con crescente scetticismo. << Quello che dici è malato, da pazzi. Come potrei mai essere felice di dover continuare a vedere il tuo brutto muso? >>

Lo sguardo di Sirius era freddo, risoluto.

Non l’avrebbe lasciato in pace finchè non avrebbe sentito la verità uscire dalla sua bocca.

E ci sarebbe riuscito, Merlino, di questo James ne era sicuro.

I suoi occhi, grigi e vitrei e fermi, sembravano dire: “Brutto cervo, otterrò quel che voglio, che ti piaccia o meno.”

Erano gli occhi che aveva ereditato da suo padre, occhi che non lasciavano via di fuga.

Che culo, essere un Black.

Più o meno.

<< Non ero sollevato. Ero solo stanco. >>

<< James, basta. Fai pietà a dire bugie. >>

<< Non sto dicendo bugie. Sono una persona sincera io, che fa dell’onestà uno dei valori che… >>

<< James… >>

<< … Che reggono la sua vita, e non lascerò che tu… >>

<< Prongs…  >>

<< D’accordo! >> sbottò infine, esasperato. << D’accordo, ero sollevato, ok?! Ma questo non vuol dire che io non sia arrabbiato! >> aggiunse, liberandosi dalla sua presa con uno strattone. Eccola lì, la rabbia che… Anzi, no.

Non era ira, era necessità di conoscere il motivo che l’avevano spinto a comportarsi in quel modo.

<< Perché, Sirius? >> domandò, suonando disperato. << Perché l’hai fatto? >>

<< Ti ho detto che non lo so, maledizione! >>

<< Non è una scusa sufficiente, Sirius! >> rispose lui, sbattendo i piedi a terra, come un bambino. E non gli importava se sembrava uno stupido moccioso che fa i capricci, voleva solo che Sirius si rendesse conto che non era tutto così facile, che la gente non sarebbe stata così paziente per sempre, che Moony non lo sarebbe stato, Merlino!

Ed ora i Malandrini rischiavano di finire, solo perché lui non sapeva controllarsi!

<< Non puoi sempre nasconderti dietro la tua impulsività! Cazzo, ce la devi mettere la testa in quello che fai, di tanto in tanto! >>

Rise, Sirius.

Rise, e lui lo guardò con stupore.

Che ci trovava di così divertente?

Che cazzo c’era di divertente, in tutto quello?

<< Non ti facevo così… razionale. >> disse Sirius, in tono di scherno. << Proprio tu, il vecchio Prongs. A stento ti riconosco. Sembra di parlare con Evans. >>

James sospirò, stanco. << Che c’entra Evans, adesso? >>

<< Dimmelo tu. Sembra c’entrare particolarmente, da qualche settimana a questa parte. >> fu la sua aspra risposta.

James scosse la testa, incredulo.

Non era quello il problema.

E lui era stufo di quel comportamento.

<< Quel che dici non ha senso.>>

<< Ai miei occhi, sì. >>

<< Godric, Sirius, come puoi essere così egocentrico?! >> sbottò, irato.

Insomma, era assurdo!

Assurdo!

Sirius aveva messo a rischio la vita di Piton e del povero Moony, aveva costretto lui ad infilarsi in un tunnel sotterraneo e a scagliare incantesimi contro uno dei suoi migliori amici, ed ora doveva sentirsi messo sotto accusa perché parlava con una ragazza?!

E poi parlava di Mocciosus!

Perché doveva essere così paranoico?

Così stupido?

<< Cazzo, Sirius! >> riprese, esasperato. Aveva raggiunto il limite. << Come fai ad essere geloso di Evans?! Non capisci che la persona per me più importante sei tu?! >>

Ci mise un attimo a capire quanto fosse equivoco quel che aveva detto.

E in quel piccolo e terribile istante, riuscì ad arrossire, portarsi le mani alla bocca e desiderare di uccidersi contemporanemanete, mentre Sirius ammutoliva, sconvolto.

Poi, quel pazzo di un Black inarcò un sopracciglio, guardandolo con fare allusivo.

<< James… >>

<< Intendevo in senso di amico. Amicizia. >> gli rivolse un’occhiata imbarazzata. << Non fare lo scemo. >>

Sirius sospirò, scuotendo il capo.

<< Lo so cosa intendevi. >> disse << Era… E’ stata una cosa bella. >>

<< … Già. Ma questo non vuol dire che io ti abbia perdonato. >>

Sirius lo guardò per qualche istante.

Accennò ad un sorriso.

<< Almeno, so che ci tieni ancora a me. >> esitò << In senso di amico. >>

<< Sì, in senso di amico >> rimarcò lui, tenendo lo sguardo inchiodato a terra.

Poi, fu come se il piccolo Remus che costituiva la sua coscienza gli ficcasse la presa di una lampadina babbana nell’orecchio, ed arrivò l’illuminazione.

Sbattè gli occhi, stupito.

 << Aspetta, vuol dire che avevi qualche dubbio? >> domandò, incredulo. << Nel fatto che fossimo ancora amici, intendo. >>

Sirius lo guardò, sarcastico.

<< Sai com’è, a stento mi parli, e le uniche volte che l’hai fatto è stato per insultarmi. >>

<< Merlino, mi sarà concesso essere arrabbiato, no? >>

<< Certo. >> replicò l’altro, ridendo. Era come se uno dei tanti nodi che gli attanagliava lo stomaco si fosse finalmente sciolto.

Ce ne erano ancora altri, certo.

Nodi che avrebbe dovuto affrontare con Remus, e con sé stesso.

Ma almeno questa costituiva una piccola e dolce liberazione.

Sollevò lo sguardo verso James.

Sì, quel ragazzetto con gli occhiali, un cespuglio nero in testa e un’indole da schizofrenico era il suo migliore amico.

E non avrebbe potuto sperare in niente di meglio.

 << Grazie, Prongs. >> disse, ed in quel periodo fu una delle prime volte in cui sorrise con serenità. << Posso richiamarti Prongs, giusto? >>

James roteò gli occhi verso l’alto.

<< Ovvio, stupido e… Non ti avvicinare! Sono ancora arrabbiato! >>

Sirius lo ignorò e, ridendo, gli scompigliò i capelli con una mano.

<< Non farlo! Solo gli amici possono! >> protestò il ragazzo, cercando di scrollarsi il Grifondoro di dosso.

La porta della Stanza delle Necessità, senza alcun ordine esplicito, si riaprì sul corridoio.

Il suo compito era soddisfare le necessità degli astuti visitatori che riuscivano ad individuarne la collocazione, e quei due ragazzi non avevano più bisogno di stare lì.

Mentre uscivano, James diede uno spintone a Sirius, tentando poi di seminarlo.

Suo malgrado, però, non poté trattenere un sorriso.

 

 

***

 

<< Sei d’appetito, oggi. >>

<< James ha ragione. >> rispose Remus, mentre divorava la bistecca che gli aveva portato Peter. << Le zuppe di Madama Chips sono terribili. E poi immagino che il lupo abbia voglia di un po’ di carne, dopo che, nonostante gli apprezzati sforzi di Sirius, non è riuscito a sbranare Piton. >>

Peter si fece più cupo, chinando lo sguardo.

Il suo amico, davanti a lui, mangiava con insolita voga, forse spinto dalla rabbia.

<< …Non hai intenzione di perdonarlo, vero? >>

Il rumore delle posate che, tintinnanti, venivano posate di botto sul piatto fu l’unico suono nel silenzio che seguì la domanda di Codaliscia.

Remus non rispose.

Incerto, Peter sollevò lo sguardo verso di lui.

Con calma apparente, il prefetto aveva gli occhi chiusi, mentre si puliva le labbra con un tovagliolo bianco.

<< Re.. >>

<< Mi passi la gazzetta, per favore? >>

L’amico obbedì subito, e Remus afferrò il giornale non senza un sentirsi un po’ in colpa.

Peter non c’entrava nulla.

Eppure, lui sentiva dentro di sé una grande rabbia, simile a quella che lo invadeva sempre più spesso nei giorni vicino alla luna piena, e non riusciva a trattenersi dallo scaricarla su chiunque gli capitasse a tiro.

Di solito, riusciva a controllarsi meglio: l’irritazione prima del plenilunio se ne stava quatta nel suo animo, pacata dall’assenza di un motivo particolare che l’avesse provocata, e quindi maggiormente reprimibile.

Era un sentimento più… diffuso, per così dire, generico, e forse per questo più astratto.

In quel caso, invece, la causa scatenante di quella rabbia aveva un nome e un cognome, e ciò la rendeva più tangibile e irreprimibile che mai.

Ricordò come si era sentito quando Sirius gli aveva detto quel che aveva fatto.

O meglio, come non si era sentito.

Non la rabbia che ora lo pervadeva lo aveva scosso.

Non la tristezza, non il dolore.

Solo un freddo agghiacciante, ed una frase che aveva preso forma nella sua testa.

Sirius mi ha tradito.

Io mi fidavo, pensavo di aver trovato un amico, e lui mi ha tradito.

E la consapevolezza di doverlo allontanare da sé, subito, all’istante.

Solo adesso riusciva a cogliere con maggiore distinzione tutti i frammenti delle emozioni che lo tormentavano e, con essi, tanti, tanti quesiti.

“Non volevo farti del male” aveva detto Sirius.

Ma cosa importava? Che cosa importava se non fosse nelle sue intenzioni che lui si procurasse tutti quei graffi, se non aveva avuto un benché minimo di rispetto nei suoi confronti?

Ce l’aveva con Piton, e aveva usato lui come strumento di vendetta.

Strumento!

Anche trascurando che, Merlino, aveva tentato di sbarazzarsi di un loro compagno di scuola, Godric, come diavolo pensava si sarebbe sentito, lui?

Come pensava si sarebbe sentito, se avesse ucciso Piton?

O se lo avesse morso, condannandolo ad una vita come la sua, o forse ancor peggiore, nota l’intolleranza del Serpeverde.

Perché Sirius diceva di essere loro amico, di volerli difendere, ma poi non pensava ad altri che a se stesso.

Oh, forse il povero Sirius non aveva pensato a cosa avrebbe significato quello per lui, forse, tutto preso dai suoi problemi, si era scordato di considerare i sentimenti dell’inutile Lupin.

Forse non aveva pensato che sarebbe caduto nella più assoluta disperazione, ma mica gliene si poteva fare una colpa, no?!

Era questo a ferirlo più di ogni altra cosa.

Nonostante tutte le belle parole, Sirius agiva per se stesso, fregandosene delle persone che gli stavano attorno.

Sbuffò, spiegando la gazzetta sulle ginocchia.

Doveva smettere di pensare a Sirius, o sarebbe precipitato in una voragine di rabbia e autodistruzione.

Doveva scordarsi di quello che un tempo considerava uno dei suoi più cari amici.

E poi, aveva problemi ben più grossi a cui pensare.

Passò con gli occhi i vari titoli in prima pagina, pensando che, se ci fosse stato qualcosa riguardo a Greyback, di certo non sarebbe finito tra le ultime pagine, anzi.

…Tuttavia, nulla.

Remus, per sicurezza, sfogliò anche le altre pagine, ma c’erano solo interviste agli abitanti di alcuni paesini vicino a Perth e a politici che parlavano dell’emergenza di lupi mannari.

Lesse in fretta qualche riga di questi articoli, inarcando le sopracciglia dinnanzi alla foto di una paffuta donna vestita di rosa che doveva essere una dei nuovi acquisti della politica, ed infine richiuse il giornale, con un sospiro.

Per ora, poteva stare tranquillo.

<< Toc toc? >> esclamò qualcuno in lontananza, prima che una massa di capelli scuri facesse capolino dalla porta d’ingresso. << E’ permesso? >>

“ Ritrova la calma, Remus.”

Si sforzò di sorridere.

<< Ciao, James >>

<< Ciao, vecchia mummia! >> esclamò lui, allegro anche più del solito. Era vero, o solo una recita con chissà quale fine? << E ciao a te, giovale Peter. >> continuò Prongs, prendendo posto su una delle sedie di fianco al letto.

Peter lo guardò curioso, un po’ lusingato e un po’ confuso.

Remus, guardingo, mantenne un atteggiamento piuttosto controllato.

<< Sembri di buon umore. >> costatò Peter, sorridendo. << Che è successo? >>

James sorrise, ma Remus potè bene percepire il suo nervosismo.

<< Io… ho parlato con Sirius. >> replicò James, fingendo di apparire sereno. << Abbiamo chiarito. Credo. >>

Remus rimase in silenzio, improvvisamente interessato agli articoli sugli influssi della moda americana sulle streghe europee.

Non pretendeva che James odiasse Sirius a vita.

Non ne aveva il diritto, eppure il fatto che si fossero rappacificati così velocemente in parte lo feriva.

Si sentiva… tradito, pur sentendo di non doverlo essere.

D’altronde, conoscevano tutti il tipo di rapporto fraterno che c’era tra James e Sirius.

E i fratelli si perdonano sempre.

Sono i mostri quelli che si possono anche mettere da parte.

<< ...Remus…? >> tentò James, incerto.

Il prefetto sussultò impercettibilmente.

“Controllati.”

<< …Sì. Sono felice per voi. >>

Con la coda dell’occhio, vide l’amico incupirsi. Sembrava deluso e ferito dalla freddezza delle sue parole, e Remus se ne sentì infastidito.

Com’è che tutti sembravano intristirsi per qualsiasi cosa riguardasse Sirius?

Eppure, doveva essere lui quello disperato.

<< Sai… >> riprese James, piano. << Sembrava piuttosto pentito di quel che ha fatto. >>

Remus sbuffò, esasperato. << Oh, certo. Le sofferenze del povero Sirius sono le uniche di cui preoccuparsi, vero? >> replicò, acido.

James ammutolì, sbalordito, e così anche Peter.

Poi Prongs assunse un’espressione piuttosto triste, e Remus sospirò, chinando il capo.

<< Scusa. >> mormorò, scuotendo il capo. << Scusatemi entrambi. >>

<< Ci preoccupiamo anche di te, lo sai. >> borbottò James, dispiaciuto.

<< Sì, sì, lo so. Scusate. Ma preferisco non parlarne. >> commentò lui, in fretta. Si sentiva come una bomba ad orologeria, pronta a scoppiare in qualunque momento. << Vi dispiacerebbe lasciarmi solo? >>

James rimase in silenzio.

Remus vide Wormtail voltarsi ansioso vero Prongs, in attesa di sapere cosa fare.

Poi James sospirò, passandosi una mano fra i capelli.

<< D’accordo, Moony. >> disse, sforzandosi di sorridere. << Vedi di rimetterti in fretta. >>

<< Ok. Grazie. >>

<< Ciao Remus… >> fece Peter, uscendo dall’infermeria. Il prefetto sollevò una mano in cenno di saluto, tentando di apparire calmo.

Quando i due scomparvero oltre il corridoio, il ragazzo sospirò, poggiando la testa sul cuscino.

Fece un rapido esame della situazione.

Fisicamente, stava uno schifo. Si sentiva stanco, e dolorante.

A livello mentale, inoltre, rischiava una crisi di nervi.

Era definitivamente stressato.

Non sapeva se suo padre stesse ancora dando la caccia a Greyback, non sapeva se Greyback avesse intenzione di fare una simpatica gita di piacere a Perth, e poteva solo sperare che Piton non dicesse nulla a nessuno.

… E c’era il problema Sirius.

Chiuse gli occhi.

Temeva che il ragazzo si sarebbe presentato lì da un momento all’altro, e non si sentiva pronto ad affrontare la questione.

Non ancora.

Era davvero stanco.

In quegli anni si era illuso di poter avere una vita normale, o perlomeno tranquilla. Ed invece, il caos stava tornando ad incasinare la sua esistenza.

Era stata solo questione di tempo, l’aveva sempre saputo.

Eppure, non si sentiva ancora pronto a tutto quello.

Voleva solo allontanarsi da tutti quei problemi, che sparissero con un pop, come piccole ed innocue bolle di sapone.

Gli piacevano, le bolle di sapone.

Quando era bambino, sua madre lo portava nelle città babbane, quelle in cui era cresciuta, e di tanto in tanto, gli regalava un giocattolo babbano.

Remus si era innamorato delle bolle di sapone, amava guardarle librarsi leggere verso l’alto, e le invidiava.

Anche a lui sarebbe piaciuto volare.

 

Erano seduti su un muretto, appartati rispetto alla strada inondata di veicoli babbani.

Dietro di loro, in lontananza, vi era un lungo ponte incastonato tra due torri enormi, su un fiume ancora più grande.

Remus immergeva l’asticella rossa nel tubetto, la tirava fuori e soffiava all’interno del piccolo anello. In quel momento, stava cercando di creare una bolla particolarmente grande.

<< Sei fortunato, Remus. >> disse ad un tratto sua madre, sorridendo.

Guardava verso il cielo, osservava distrattamente le bolle di sapone che lui aveva creato con tanto impegno ed ammirazione, e che il vento coinvolgeva in una danza lieve e delicata.

Però, Remus non capiva.

In che senso era fortunato?

Non gli piaceva non capire. Lo faceva sentire stupido, e i suoi genitori gli dicevano sempre che era un bambino intelligente, e deluderli sarebbe stato molto brutto, da parte sua.

Però la mamma era buona.

Quindi, forse, l’avrebbe perdonato.

<< Perché, mamma? >> chiese, esitante.

<< Perché potrai volare, un giorno, mentre i bimbi babbani come lo ero io possono farlo solo in una grossa macchina volante. >>

<< Macchina volante? >> domandò Remus, incuriosito. << Come un autobus con le ali? >>

Sua madre rise. E lui non ne comprese il motivo.

<< No, è più come un grosso uccello di metallo. >> spiegò poi lei, divertita.

Remus torse la bocca in una smorfia di disgusto: << Deve essere orribile. >> commentò.

<< Dipende dai punti di vista. >> rispose sua madre, sorridendo. Sorrideva sempre, la mamma. << Ma tu sei fortunato, Rem. Potrai volare libero, proprio come le tue amate bolle. >> aggiunse, dandogli un buffetto sul naso.

Remus rise.

Però, a dire il vero, non si sentiva una bolla.

Era vero, loro, che erano maghi, avevano i manici di scopa, ma lui era una frana.

E poi, una scopa non era nulla in confronto alla possibilità di volare da soli, senza aver bisogno di nulla.

Come le bolle di sapone.

<< Ti piacerebbe volare, mamma? >>

<< Certo. >> sorrise lei.

<< Allora, quando sarò in grado, faremo il giro del mondo su una scopa. >> disse Remus, solenne. << Promesso. >>

 

 

Remus riaprì gli occhi, ma quel che vide non gli piacque per nulla.

Prima di tutto, la luce era calata, il che significava che era sera, e che aveva dormito quasi tutto il giorno.

In secondo luogo, ciò che i suoi occhi stanchi misero a fuoco fu il suo brutto muso.

Sospirò, irritato.

Prese la Gazzetta e, con poca delicatezza, gliela gettò sulle gambe.

Sirius sobbalzò, si rizzò sulla sedia, sbattendo le palpebre.

Quel cretino sembrò metterci qualche secondo più del necessario prima di riaccendere il cervello.

Remus sbuffò.

<< Svegliati, per favore. >>

<< Scusa, mi ero appisolato. >> disse l’altro, quando finalmente fece mente locale. << Sono arrivato qui alle cinque, stavi dormendo e non volevo disturbarti. >>

Sirius se ne stava lì da almeno due ore.

E doveva anche aver saltato la cena, pur di parlargli.

“Non mi interessa.”

Sospirò, di nuovo, girandosi faticosamente su un fianco, dall’altra parte.

<< Va’ via, Sirius. >> disse, stanco.

<< Non finchè non mi avrai permesso di spiegare. >> replicò la voce del ragazzo alle sue spalle.

Il prefetto sollevò gli occhi verso l’alto.

Eccoli lì, Sirius, sempre risoluto, determinato affinchè si facesse tutto a modo suo e gli altri si piegassero alla sua volontà.

“Non finchè non mi avrai permesso di spiegare.”, aveva detto! Probabilmente si aspettava che, se gli avesse detto di mangiarsi una ciabatta e rotolare sulla pancia, gli avrebbe obbedito senza alcuna esitazione.

Perché bisognava sempre assecondare i desideri di Sirius?

Perché non potevano rispettare la sua, di volontà?

Non gli voleva parlare, non poteva semplicemente togliere il disturbo?

Si rigirò verso Sirius, non senza fatica. Trattenendo una smorfia di dolore, incrociò le braccia e fissò gli occhi sul viso del Grifondoro, esasperato.

<< E, allora, avanti. Spiega. >> lo esortò, ironico. << Spiegami perché hai rivelato il segreto che avevi giurato di mantenere, e perché hai tentato di farmi diventare un assassino. >>

Sirius chinò lo sguardo.

“Patetico” pensò Remus.

Non era Sirius a dover essere triste.

Lui era il colpevole, la causa di tutto.

Non aveva il diritto di voler essere compatito.

Sirius si passò una mano davanti agli occhi, sospirando: << Non erano quelle le mie intenzioni, lo sai. >>

Non gli andava di parlare con lui, non aveva voglia di perdonarlo.

Non ancora, perlomeno.

Invece, doveva starsene lì a sorbire quellle patetiche giustificazioni che sia James che Peter dovevano aver trovato assolutamente sufficienti.

<< Invece non lo so, Sirius. >> sibilò, tagliente. << Ma dato che non hai intenzione di lasciarmi in pace finchè non avrai spiegato, fa’ pure. Illuminami.. >> fece una pausa. << Qual era l’obiettivo della tua brillante trovata? >>

<< Io… volevo che Mocciosus la piantasse di ficcare il naso nei nostri affari. >>

Remus rise, ironico: << Uao. Questa che è una motivazione valida. >>

Sirius rimase in silenzio.

Non si era di certo aspettato una calda accoglienza, ma quella fredda asprezza lo feriva.

Proprio com’era successo con James, non riusciva a reggere tutta quell’ostilità.

Peccato che, mentre era sempre stato certo che quello di Prongs fosse più uno sforzo ad avercela con lui, in Remus non coglieva alcun impegno nel volerlo prendere a calci.

Gli si leggeva in viso, tutta la rabbia celata dal tagliente sarcasmo con cui derideva ogni suo tentativo di scusarsi.

Scosse il capo.

<< Remus, perché la devi rendere così difficile? >>

<< E già tanto se ti parlo, Sirius. >> replicò il prefetto, serio. << Il tuo vittimismo non m’incanta. >>

<< Non è vittimismo. >> sbottò lui, irritato, e l’altro distolse lo sguardo.

Non disse nulla, Remus.

Va bene, forse Sirius non faceva la vittima, ma tutti non facevano che dirgli quanto era triste e disperato il povero, innocente Felpato.

E si aspettavano che lui lo perdonasse. Anzi, sembravano addirittura delusi dal fatto che non lo facesse.

Perché doveva essere lui il primo a cedere? Perché doveva essere lui quello ad assurgere al ruolo di saggio, e perdonare Sirius che, poverino, non sapeva quello che stava facendo, al momento in cui aveva spifferato tutto! E invece lui, Remus, lui era quello buono, doveva capire Sirius. Doveva scusarlo.

Gli sembrava quasi di sentire la voce di James nella sua testa.

“Moony, perché sei così cattivo? Perché non vuoi perdonare Sirius?”

 E diamine, no.

Anche lui aveva il diritto di fregarsene, una volta tanto.

La voce di Sirius attirò la sua attenzione.

<< Remus… >>

<< Mi sembra che tu abbia finito. >> sbottò lui, sul punto di scoppiare. << Vattene. >>

L’altro sospirò.

<< Remus, non so cosa fare per farti capire. >>

<< Oh, io ho capito tutto, Sirius. Fidati. >> rispose, freddo. << Come al solito, hai pensato soltanto a te stesso. >>

Non ne poteva più di quella conversazione.

Era inconcludente, e tutta quella rabbia che, spietata, gli corrodeva l’animo, gli era nociva e deleteria.

Non aveva tempo da perdere, con Sirius Black.

Doveva pensare a Greyback, a Perth, a suo padre che si era lanciato in quella folle caccia al licantropo, a sua madre che stava poco bene.

<< Non è così, Remus. >> disse intanto Sirius, cupo. << In realtà, per quanto possa suonare strano, credo di non aver pensato a nulla. >>

Remus inarcò un sopracciglio, ironico.

<< Non temere, non suona affatto strano. >> commentò, spietato. Non si preoccupava assolutamente di essere delicato con lui. Non se lo meritava.

E gli altri potevano pensare quel che volevano.

D’altronde, Sirius aveva fatto una cazzata, ed era stato perdonato in quattro e quattr’otto.

Dunque, lui che ci guadagnava a fare quello comprensivo?

Nulla, e quindi tanto valeva sfogarsi a dovere.

<< Remus, ti prego. >> sospirò Sirius. << Cerca di capirmi. Questo è un periodo pessimo per me. >>

Oh, ecco che cominciava.

<< Avevo appena avuto una brutta discussione con Regulus, e poi è arrivato Mocciosus. Non ci ho visto più. Quel ficcanaso ha deciso proprio il momento sbagliato per rompere le scatole come

suo solito. >>

Basta.

<< Ero così arrabbiato, Rem. Regulus non mi parla, i miei parenti mi disprezzano… >>

Basta.

<< …mio padre mi ha diseredato, e poi mia madre, mia madre voleva che diventassi un Mangiamorte! E ha cancellato il mio nome dall’albero genealogico! >>

Basta.

<< Remus, so che ho sbagliato. Ma se Piton avesse piantato di farsi gli affari nostri, e la mia famiglia non fosse così disgustosa, non avrei mai… >>

 << Me ne fotto. >>

Il silenzio calò nella stanza.

Sirius ammutolì di blocco, stupito, confuso.

<< Cosa…? >>

<< ME NE FOTTO DELLA TUA FAMIGLIA! >> urlò Remus, livido di rabbia, << NON LA PUOI SEMPRE USARE COME GIUSTIFICAZIONE DI QUELLO CHE FAI! E PRENDITI LA RESPONSABILITA’ DELLE TUE CAZZATE, UNA VOLTA TANTO! >>

Sirius, colpito, serrò la mascella, infastidito.

<< Non voglio dare la colpa delle mie azioni a nessuno. >>

<< E’ QUELLO CHE HAI APPENA FATTO! E’ COLPA DELLA MIA  FAMIGLIA, E’ COLPA DI PITON! >> urlò il prefetto, furioso. Non riusciva più a trattenersi, ormai. << ANCHE IO HO I MIEI PROBLEMI, SAI? MA NON PER QUESTO MI SENTO IN DIRITTO DI FARE QUELLO CHE MI PARE! PERCHE’ TU PUOI PRETENDERE DI ESSERE PERDONATO IN OGNI CASO, MENTRE DALLE PERSONE COME ME CI SI ASPETTA CHE DEBBANO ESSERE BUONE E COMPRENSIVE IN OGNI SITUAZIONE! >>

Sirius strinse i pugni.

<< Nessuno ti chiede di comportarti in determinati modi anziché altri, lo sai. >>

<< Perché, credi che mi sareste comunque amici, se mi comportassi come te? >> domandò l’altro, ironico. Sirius lo guardò, serio.

Quello che diceva era stupido.

Quello che diceva era ingiusto.

<< Certo che lo saremmo. >> disse, grave. << Lo sai benissimo. >>

Remus rimase in silenzio, preso un po’ alla sprovvista.

Sirius lo guardò, lì, col capo chino, pallido ed esitante, avvolto in quel pigiama troppo grande.

Scosse la testa.

<< Sei uno stupido. >>

Remus ammutolì, ma subito la rabbia divampò dentro di lui.

Era furioso.

Furioso perché era quel gran bastardo di Sirius a fargli notare cose tanto ovvie.

Furioso perché lo stesso bastardo che aveva voluto utilizzarlo come scherzo si professava suo amico, nonostante tutto.

Era furioso perché sapeva che Sirius ci credeva, in quello che diceva.

Ma non bastava, e non bastava che venisse a parlargli in quel modo.

Era furioso, perché non gli piaceva quel suo tono calmo e controllato, di superiorità.

Strinse i pugni fino a farsi male.

Tremava, tremava di rabbia.

<< Non… non chiamarmi stupido. Sei tu quello che ha torto, qui. >> sibilò, trattenendosi a stento.

Con quella nonchalance insopportabile, Sirius incrociò le braccia davanti al petto. << Questo non toglie che tu sia uno stupido, a vol… >>

<< ZITTO! >>

Non gli diede nemmeno il tempo di finire la frase.

Senza sapere né cosa gli fosse preso, né quali fossero le proprie intenzioni, Remus gli si gettò contro, con un ringhio che ricordò tanto quelli della sua forma licantropa.

I due caddero a terra, uno sopra l’altro, ma il prefetto ebbe appena il tempo di tirare indietro il braccio per caricare il pugno che bramava di piazzargli in faccia, che Sirius lo prese per le spalle, spingendolo di lato.

La situazione si capovolse in un istante, ed ora era Sirius a trovarsi sopra di lui, tenendolo per i polsi e cercando di calmarlo.

Era più alto e forte di Remus, ma anche meno arrabbiato.

Senza alcun riguardo, il prefetto gli piazzò una ginocchiata proprio lì, in mezzo alle gambe.

Sirius si accasciò di lato, con un guaito, rotolando sulla schiena.

Gemette.

<< Moony, sei proprio un disgra… >>

S’interruppe, spiazzato.

Remus stava di nuovo sopra di lui, ansimante.

E la bacchetta puntata verso di lui.

Sirius lo guardò, incredulo.

<< Moony… >>

Il prefetto seguì il suo sguardo fino alla propria bacchetta, ed anche lui ne apparve sbalordito e sconvolto.

Sgranò gli occhi e, pallido, aprì la mano serrata.

La bacchetta cadde a terra, rotolando poco più in là.

Remus si scostò da lui, stravolto, sedendosi con le spalle poggiate ai piedi del letto.

Si sentiva malissimo.

Ansimava, era confuso, in tutto quel rotolarsi per terra doveva essere saltato qualche punto, perché sentiva dell’umido sotto la camicia, e faceva male, era arrabbiato e gli veniva da piangere.

Ma non voleva farlo davanti a Sirius, assolutamente no.

Avvertiva chiaramente gli occhi inumidirsi, ma si sarebbe trattenuto.

Inspirò a fondo, nascondendosi il volto tra le mani.

<< Vattene. >> disse, semplicemente. << Non abbiamo più nulla da dirci. >>

L’altro lo guardò, cupo.

<< Vorrei solo che capissi quanto mi dispiace. >> mormorò il ragazzo, e il prefetto sospirò, rovesciando il capo all’indietro e poggiandolo al bordo del letto.

C’era qualcosa di profondamente triste, in quella situazione.

<< Lo capisco, Sirius. Davvero. >>

Sirius lo guardò, mesto. << … Ma non è sufficiente. >> continuò al posto suo, addolorato.

Remus chiuse gli occhi.

Altro che triste.

Era tutto fottutamente orribile.

E doloroso.

<< Va via, Sirius. >>

“ … Ti scongiuro.“

 

 

***

 

 

<< Oh, uao. James Potter in biblioteca. >>

James, intento a cercare tra quegli antri sconosciuti noti col nome di “scaffali”, sobbalzò.

Aveva riconosciuto quella voce, e si sorprese nel trovarla così poco ostile.

Si voltò, incerto.

<< Stai veramente parlando con me? Non sei arrabbiata? >> pigolò, speranzoso.

Lily Evans gli rivolse un piccolo sorriso, subito sostituito da un’espressione preoccupata.

<< Come sta Remus? >>

James sospirò, passandosi una mano tra i capelli. << Così così. Va meglio, diciamo. >>

La ragazza chinò lo sguardo, l’aria triste.

Poi, incerta, sollevò nuovamente il capo verso di lui: << Dici che posso andare a trovarlo? >>

James esitò.

Quella era proprio una bella domanda.

<< Non… non saprei. >> rispose, sincero. << Lui… E’ un po’ incasinato. Siamo tutti, incasinati. Però… >> rivolse un’occhiata all’espressione cupa della prefetto. << però no, non penso che sia un problema se vai a fargli visita. >>

Lily non rispose.

Dopo il discorso scoraggiante del Grifondoro, non è che si sentisse molto persuasa dall’andare a rompere le scatole a Remus.

Alice, a quanto pareva, aveva ragione: c’era qualcosa che non andava, coi Malandrini.

O meglio, tra i Malandrini.

Avevano l’aria di aver litigato di brutto.

Eppure, era così insolito: fin dal primo anno, aveva sempre pensato a Remus, Potter, Black e Minus come un’unica entità, indistruttibile, inseparabile.

Era strano pensare che magari non si rivolgessero più la parola l’uno con l’altro.

Era come vedere crollare il più lampante e solido e bello esempio di vera amicizia.

Era… triste.

Sì, era così che Lily, insolitamente, si sentiva.

Ma sarebbe stato davvero inopportuno mostrarsi addolorata davanti a Potter.

Doveva sentirsi mille volte peggio di lei, e per mille volte più valide ragioni.

Così, cercò di cambiare discorso.

<< Cosa cercavi? >> domandò, voltandosi a guardare lo scaffale davanti a loro.

Il ragazzo esitò e, inaspettatamente, arrossì.

<< Io, ecco… Libri sull’amicizia. >>

Lily rimase spiazzata. Si sentì triste per lui, ed anche un po’ in imbarazzo.

<< Dubito… dubito che ne troverai qualcuno, qui. O da qualsiasi altra parte. >>

Il Grifondoro sospirò, arrossendo.

Si passò una mano tra i capelli: << Non so, magari qualcosa scritto da qualche strano psicologo improvvisato, o una di quella cazzate su come far riconciliare due persone, chiarire malintesi e stupidaggini simili. So che i Babbani ce ne hanno a bizzeffe. >>

<< … Già. >> rispose Lily, pensierosa.

La situazione doveva essere davvero grave.

Tuttavia, l’espressione smarrita, imbarazzata e disperata di James Potter la impietosiva ed inteneriva allo stesso tempo.

Sorrise, cercando di apparire incoraggiante.

<< Avanti, se cerchiamo meglio forse qualcosa la troviamo. >> esclamò, poggiando la cartella su uno dei tavoli lì vicino per mettersi all’opera. Tuttavia, nello sbattere malamente la borsa sulla superficie di legno, un foglio di carta leggermente accartocciato che era stato infilato lì con noncuranza e frettolosamente, cadde sul pavimento.

La lettera.

Lily impallidì mentre Potter, che come suo solito doveva sempre farsi gli affari di tutti, si chinò verso la pergamena, incuriosito.

<< Che cos’è? >>

<< FERMO! >> urlò Lily, prima ancora di avervi riflettuto, arrossendo.

Sorpreso, Potter voltò il capo verso di lei.

… E Lily capì di aver sbagliato la sua mossa, non appena sul viso del Grifondoro apparve un ghigno malandrino.

<< E quindi Evans non vuole che io veda cosa c’è scritto qui, eh? >> domandò, con quella dannata aria da bambino dispettoso.

Non appena prese in mano la lettera, Lily si buttò su di lui, cercando di strappargliela dalle mani.

James allonanò il foglio dalla sua presa, ricomponendo il foglio dalla palla accartocciata in cui l’aveva trasformato la ragazza.

<< FERMATI, POTTER! >>

Il Cercatore cominciò a ridere, divertito, mentre stirava il foglio con le mani, e la prefetto s’aggrappava a lui nel vano tentativo di impedirglielo.

<< Evans, ti sembra educato urlare in questo modo in biblioteca? >> rise il ragazzo. << Non si addice di certo ad una prefetto come… oh. >>

Quel “oh” fu davvero qualcosa di terribile da sentire.

Breve e conciso, poteva significare solo una cosa.

Potter aveva letto il contenuto della lettera.

Lily avvampò sentendosi, al contempo, inspiegabilmente in colpa.

Il ragazzo arrossì assieme a lei, irriggidendosi.

Un po’ incerto –e muovendosi come se avesse qualche problema all’apparato motorio, oltre che a quello mentale- gli ridiede di malagrazia la lettera, praticamente spiaccicandogliela tra le mani.

Lily, se possibile, se sentì arrossire ancora di più.

<< Potter, ehm… Questo… >>

Il ragazzo sbatté le palpebre un paio di volte, sconcertato. Poi sollevò lo sguardo verso di lei, avvampò per l’ennesima volta, e prese la cartella.

<< Io… Io devo andare, ora. >> balbettò, per poi catapultarsi di corsa fuori dalla biblioteca.

Lily lo guardò allontanarsi.

Poi, imbarazzata, chinò lo sguardo sulla pergamena che quella mattina aveva nascosto alla stessa Alice.

 

 

Lily Evans, sei bella ed intelligente, mi piaci molto.

Posso essere il tuo accompagnatore per la festa di Lumacorno?

Se sei interessata, incontriamoci questo pomeriggio in Guferia.

 Con affetto,

il tuo segreto e più caro ammiratore.

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Capitolo 15
*** Flirt, romanticismo, parenti e pozioni. ***


Avrei voluto chiamare il capitolo "la storia infinita", data la sua lunghhezza.

Poi non mi è parso il caso, eheh.

Questo capitolo mi è piaicuto per i camei di vari personaggi citati dalla Rowling ma che non abbiamo mai "visto" effettivamente.

Chi di voi ha letto una determinata mia one-shot riconoscerà un personaggio e si ricoderà di uno che viene citato.

A fine capitolo, dato che nessuno di voi si ricordava di Lucy Garrett (cattivoni-- a proposito, è l'amica d'infanzia di Remus, quella nel capitolo di Natale, ricordate?--) a fondo capitolo ho postato un elenco di tutti i personaggi apparsi finora.

(ho evitato i prof, tanto li conoscete, no?)


Buona lettura!

 

 

 

 

Capitolo 15

 Flirt, romanticismo, parenti e pozioni

 

Remus sospirò, allacciandosi la cravatta al collo e lisciandosi i pantaloni della divisa scolastica.

Madama Chips, dopo giorni, gli aveva permesso di lasciare l’infermeria.

… Non era una bella notizia.

Lì, almeno, aveva una scusa per starsene per i fatti suoi, mentre, una volta uscito, il rischio di collisione con Sirius sarebbe aumentato del mille per cento.

Chissà, magari si sarebbe potuto fare ospitare nel dormitorio di qualche altra Casa. Si sarebbe chiuso in un armadio, in modo che nessuno se ne rendesse conto.

Uscì in fretta dall’infermeria, in modo da seminare madama Chips.

Era una brava donna, e lui gli doveva tantissimo. Ma le sue apprensioni, di tanto in tanto, sapevano essere eccessive, almeno con lui.

Appena fu fuori, nel corridoio, si rese conto di stare tornando alla normalità.

E se solitamente il pensiero di rivedere i Malandrini lo entusiasmava, adesso quella situazione lo atterriva.

Quali Malandrini, poi? Esistevano ancora, dopo tutto quel che era successo?

Il pensiero lo intristì di colpo, intensamente.

Pensò agli scherzi a cui era contrario fatti assieme, alle ore trascorse in punizione o sui libri per fare recuperare una materia a Peter, ripensò al viso dei suoi amici quando gli dissero di essere divenuti Animaghi, ai loro sorrisi, al loro sostegno.

Scosse la testa.

No, James e Peter erano ancora suoi amici.

Non sarebbe stato poi così diverso.

S’incamminò lungo il corridoio.

Ora, doveva pensare ad altro e, se c’era qualcosa capace d’assorbirlo totalmente, quello era lo studio.

Era rimasto piuttosto indietro, a dire il vero.

Lily, stranamente, non si era fatta vedere, e James e Peter probabilmente non avevano preso appunti per sè stessi, figurarsi per lui.

Quindi, compito numero uno della giornata: aggiornarsi sul programma.

Dunque, cercare Lily Evans.

 

***

 

Lily sbuffò, accartocciando l’ennesimo bigliettino.

Da quando non si era presentata all’appuntamento in Guferia, il suo “ammiratore” le dava il tormento, scusandosi per la sua precipitosità e per non avere anteposto un degno corteggiamento all’invito.

Tsè.

Alla festa di Lumacorno ci sarebbe andata da sola, come sempre, o al massimo con Severus in qualità d’amico.

Di certo, non si sarebbe fatta accompagnare da uno sconosciuto uscito dal nulla.

E poi, non escludeva che si potesse trattare di un qualche scherzo.

Non è che destasse tutta questa simpatia, fra i suoi compagni di scuola, soprattutto ora che era prefetto e che Potter passava il tempo a darle della “prefettina perfettina”.

Gli studenti non passavano di certo il tempo a prenderla in giro come altri soggetti –vedi Severus-, ma diciamo che, da quando aveva iniziato a rifiutare gli inviti di Potter e ad urlargli contro, aveva perso quel magico dono che era l’anonimato per passare alla nomina della schizzinosa e della pazza, dato che respingeva le attenzioni di uno dei ragazzi più popolari di Hogwarts.

Sospirò, continuando a camminare.

Doveva dare da mangiare al suo stupido gufo.

Purtroppo, lasciarlo morire di fame avrebbe costituito un crimine, agli occhi di molti.

E poi, a proposito di gufi e GUFO, sarebbe andata in biblioteca, perché doveva ancora finire il tema di Trasfigurazione e…

<< Ehi, Evans. >>

Lily si bloccò, non appena udì quella voce –fine, quasi da bambina- chiamarla.

Si voltò, sorpresa dallo scoprire l’identità della ragazza che veniva verso di lei.

<< Oh… Meadowes. Ciao. >>

Dorcas Meadowes, che nella mantella della divisa sembrava ancora più minuta, si fermò davanti a lei.

Aveva la stessa espressione un po’ apatica che ricordava.

<< Qualcosa non va? >> domandò Lily, un po’ a disagio. Lei era sempre stata abbastanza alta, sebbene nei limiti del decente, ma stare di fronte alla Grifondoro –inoltre più grande di un anno- la faceva sentire un gigante.

<< Mary mi ha detto che fra qualche giorno tornerà a scuola. >> rispose la Meadowes, << Ho pensato che fosse… giusto, dirvelo. A te e ai Malandrini. >>

Lily abbozzò un sorriso.

<< Grazie. Sono felice che non abbiano deciso di ritirarla dalla scuola. >>

<< Verrebbe anche se glielo proibissero. >> disse l’altra, scuotendo la testa. << E’ talmente stupida, quella. >>

La prefetto aggrottò le sopracciglia, perplessa: << Pensavo foste amiche. >>

<< Lo siamo. >>

<< … Ok. >> replicò Lily, incerta. << C’è altro? >>

La Meadowes sembrò pensarci qualche istante, assumendo un’espressione pensierosa piuttosto buffa. Poi, tornando alla solita faccia seria, scosse il capo.

<< No. >> disse, facendosi per voltarsi. Ma si bloccò subito dopo, rigirandosi verso la ragazza.

<< Anzi… >>

<< Sì? >> domandò Lily, non sapendo davvero cosa aspettarsi.

La bruna sospirò, come se stesse facendo uno sforzo immane nel pronunciare quello che stava per dirle.

<< Potter e i suoi sono meno chiassosi del solito. >> la squadrò per qualche istante. << Anche tu sei meno rumorosa. >>

Lily fu colta alla sprovvista.

In effetti, quello non era affatto un bel periodo.

Non lo era per nessuno, a quanto pareva.

Non era soltanto la sua famiglia, o i litigi dei Malandrini, o il suo continuo discutere con Severus.

Era tutto, là fuori, che stava andando a rotoli.

E’ vero, Hogwarts era un luogo sicuro.

Era casa, era un rifugio.

Godric, in questo credeva con tutta sé stessa.

Ma, purtroppo, Hogwarts non si trovava su un altro pianeta, o immersa in un’altra realtà.

Sorgeva in Scozia, nel mondo reale.

Nel mondo che, inesorabilmente, stava sprofondando in una guerra.

Prima di essere una strega, Lily aveva studiato nelle scuole babbane.

I suoi avevano conosciuto la guerra.

Sapeva a quali orrori potevano portare la paura del diverso e la brama di potere.

Sospirò.

Dorcas Meadowes la stava ancora guardando.

<< Per quel che ne so, i Malandrini stanno passando un brutto momento. >> disse Lily.

<< Mi sento in debito nei loro confronti, così come nei tuoi. >> commentò l’altra. << Dimmelo, se posso fare qualcosa. >>

La prefetto scosse la testa.

<< Davvero, non so nemmeno io cosa sia successo. Credo che abbiano litigato. >> ci pensò un attimo << In modo piuttosto serio, intendo. >> aggiunse.

La Meadowes si strinse nelle spalle: << Non è un bene litigare, di questi tempi. >>

<< Già. >> concordò Lily, con un sospiro. << Di nemici ne avremo fin troppi, una volta usciti di qui. >>

La ragazza sollevò lo sguardo verso la prefetto, seria.

<< Abbiamo nemici anche qui dentro, Evans. Lo sai bene. >>

Lily rimase in silenzio.

Dorcas Meadowes aveva senz’altro ragione.

Lo “scherzo” a Mary l’aveva dimostrato fin troppo bene.

Eppure, almeno per ora, le piaceva credere di essere al sicuro, solo per un po’.

Voleva pensare che il suo più grosso problema fosse un battibecco con un’amica o un brutto voto, e non il doversi sempre guardare le spalle, all’erta, col timore di essere attaccata da un qualche futuro Mangiamorte.

<< Anche tu hai tagliato i capelli. >> constatò ad un tratto la ragazza più grande. << Va di moda, a quanto pare. >> aggiunse la ragazza più grande, distogliendola dai suoi pensieri.

Lily sbuffò, alzando gli occhi al cielo.

<< Ti prego, non parliamone. >> commentò, ripensando al gradito scherzo di Potter a Severus.

Per colpa sua avrebbe sempre avuto la fobia delle chewgum, d’ora in poi. << Non so sei hai saputo di una delle ultime eroiche imprese di James Potter, ma diciamo che è colpa sua, se ho dovuto ricorrere a questo taglio fuori programma. >>

<< Ti stanno bene. >> replicò la Meadowes, seria.

Era strano sentirsi fare un complimento da una voce così priva di entusiasmo.

Un po’ inquietante.

Almeno poteva essere certa che non la stesse prendendo in giro.

Dorcas Meadowes non sembrava affatto una a cui piacesse scherzare.

Lily rimase in silenzio, mentre la mora aggiungeva: << Mary impazzirà di gioia, non appena li vedrà. >>

La prefetto si morse il labbro inferiore, incerta.

A dire il vero, si sentiva un po’ in difficoltà.

<< Vedi, Dorcas… >> iniziò, passandosi una mano tra i capelli –e la abbassò subito, non appena si rese conto che quella era una mossa decisamente Potteriana- << … Non è che io e Mary andassimo molto d’accordo, a dire il vero. >>

Meadowes rimase in silenzio, guardandola imperturbabile con i suoi grandi occhi scuri.

Poi, inaspettabilmente e sorprendentemente, abbozzò un sorriso: << Non la giudicare male, Lily. Capisco che possa sembrare soltanto una gallina frivola e stupida, ma ha un gran cuore, in realtà. >> disse << Lei e la sua famiglia mi hanno aiutata quando non l’avrebbe fatto nessuno. >>

Lily non seppe che dire.

Era incuriosita dalle parole di quella ragazza così taciturna e misteriosa, eppure Dorcas Meadowes non sembrava voler aggiungere altro.

Tuttavia, sembrava sincera, e nella sua voce a Lily era parso di cogliere grande gratitudine ed affetto, nei confronti di Mary.

Chissà…

Rimasero in silenzio per qualche istante, entrambe.

Poi Dorcas sospirò lievemente.

<< D’accordo, Lily Evans. Ho detto tutto ciò che dovevo dirti. Te la caverai, sei in gamba. >> disse. << Ci si rivede, prima o poi. >>

Sembrava l’addio epico di un libro o un film, quando uno dei personaggi principali, nel finale, se ne va via, lasciando gli altri per ignote avventure, magari a bordo di un grande vascello.

Era un po’ strano, dato che probabilmente si sarebbero riviste in Sala Grande fra qualche ora.

Quella Dorcas era bizzarra.

Lo erano un po’ tutti quelli che ultimamente incontrava, a dire il vero.

<< … Ok. >> si limitò a dire Lily, non sapendo bene come rispondere.

Forse un “buona fortuna, spero che un giorno le nostre strade si rincroceranno” sarebbe stato più adatto?

Scartò l’idea, e aggiunse un <> più sentito possibile, per sicurezza.

L’altra praticamente la ignorò.

<< Allora vado. >> disse Dorcas, voltandosi dall’altra parte. << All’ora di pranzo ho portato in stanza un po’ di gelatina ai mirtilli, e devo ancora fare merenda. >>

<< Buon appettito. >> commentò lei –sempre più stranita-, alzando una mano in cenno di saluto sebbene la ragazza le avesse già dato le spalle.

Lily osservò la Grifondoro svoltare l’angolo, chiedendosi intanto se non facessero tutti parte di una qualche sitcom parodica e surreale.

… No, non le risultava.

Quella, era semplicemente Hogwarts.

Sospirò, stiracchiandosi.

Aveva due temi da svolgere per l’indomani, e un intero capitolo di Incantesimi da ripassare.

La giornata era ancora lunga.

 

 

***

Era entrato in biblioteca con la speranza di trovarvi Lily.

Inutile.

Aveva guardato tra i diversi tavoli e, tra i vari primini e studenti in crisi d’ansia per gli esami, non aveva visto la prefetto da nessuna parte.

Remus sospirò, poi vide una folta chioma riccia in fondo alla stanza, e gli venne un’idea.

D’altronde, Lily non era l’unica studentessa diligente del loro anno.

S’avvicinò, un po’ timidamente, a quel tavolo posto di fianco alla finestra, illuminato pertanto dalla tiepida luce d’inverno.

Una ragazza alta ed esile stava seduta, concentrata su un grosso libro, col capo leggermente reclinato ed sorretto con eleganza con la mano sinistra.

Anche quando le fu ad appena pochi centimetri di distanza, non sembrò rendersi conto della sua presenza, e Remus fu costretto ad un colpo di tosse per attirare l’attenzione della Tassorosso.

<< Tu… sei Marlene, vero? >> domandò il prefetto, sebbene fosse quasi certo dell’identità della giovane –chi d’altronde non conosceva Marlene McKinnon?- << Ciao. >>

Lei sorrise di un sorriso lieve, quasi pigro.

<< Oh, il dolce Lupin. >> disse piano, col fare seducente che aveva ammaliato molti, ad Hogwarts. << Ciao a te. Siediti pure. >>

Remus sperò di non essere arrossito, a quel “dolce”. In un’altra occasione avrebbe inarcato le sopracciglia con enorme perplessità, ma Marlene McKinnon era più grande, bellissima, e sortiva su di loro poveri ragazzini un effetto devastante.

E poi, perché proprio dolce? Era imbarazzante.

Inoltre, la McKinnon era nota per prendersi spesso gioco dei ragazzi che le stavano attorno. Si diceva che, conscia del proprio aspetto, le piacesse stuzzicarli, fingere di flirtare con loro, per il solo gusto di farlo.

Eppure, Remus non riuscì a non rifiutare e, sentendosi uno sciocco, prese posto sulla sedia accanto a lei.

Da vicino era ancora più bella, con la pelle perennemente abbronzata, dorata, gli occhi azzurri e…

 “Calma, Remus. Il motivo per cui lei hai rivolto la parola non è farti mettere in soggezione, giusto?”

<< Scu-scusa il disturbo, >> balbettò, un po’ insicuro. << Cercavo tuo fratello. Siamo nello stesso corso, e volevo chiedergli una cosa di scuola. >>

Gabriel McKinnon, invece, era un Corvonero silenzioso e riservato, con voti brillanti –come quasi ogni Corvonero, d’altronde-.

Frequentava il quinto anno, e Remus ci scambiava qualche parola, a lezione, di tanto in tanto.

Marlene inarcò le sopracciglia, sempre con fare allusivo. << E…? >>

<< Sai dove posso trovarlo? >>

<< Chi, Gabe? >> Marlene sembrava divertita << Quel ragazzo è un mistero persino per me. Sarà in qualche antro oscuro a fumarsi che so, erba babbana. >>

Remus aggrottò le sopracciglia.

Eh?

<< …Eh? >>

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<< Non credo sia possibile portare roba simile ad Hogwarts. >> iniziò Remus, perplesso.

Marlene sorrise, di nuovo con quel fare da seduttrice. << Perché, ci hai mai provato? >> domandò, in un sussurro, sporgendosi verso di lui.

<< Sono serio. >> riprese lui, pensieroso. << Credo che ci sia qualche incantesimo, o… >>

La Tassorosso sospirò, allontanandosi. << Ah, Lupin, era solo uno scherzo! >> sbottò, lasciandosi ricadere contro lo schienale della propria sedia. << Poi sei prefetto, credi che in caso lo verrei a dire a te? >> fece una pausa, squadrandolo con quei suoi occhi da gatta. << Anche se non credo che avresti fatto la spia. Non sei il tipo. >>

Remus fece spallucce.

Marlene sorrise.

<< Non assumere quell’aria innocente, sappiamo tutti che guai combinate tu e i tuoi amici. Sarò anche al sesto, ma frequento pur sempre questa scuola. >>

<< Lo so. >>

Il sorriso della ragazza s’allungò all’improvviso, ammicante. << Sai anche di me e Sirius? >>

A quelle parole, Remus rabbrividì. Ricordava benissimo quando, lo scorso anno, lui e i Malandrini avevano trovato Marlene e Sirius nel loro dormitorio.

Il ragazzo aveva sempre giurato che non era successo nulla, ma allora come mai era fuggito dalla festicciola organizzatogli per il compleanno da James in Sala Comune, e che ci facevano assieme? Che motivo avrebbe avuto la McKinnon di trovarsi lì, altrimenti?

Eppure, ricordava benissimo quando, al secondo anno, avevano giurato –mano sul cuore- che mai una femmina avrebbe messo piede nel loro covo.

E va bene che era una promessa fatta da bambini, quando al solo pensiero dell’altro sesso veniva loro da storcere il naso, ma era pur sempre una promessa fra Malandrini.

Ecco, anche in quel caso Sirius Black si era dimostrato un traditore.

Stava esagerando?

Forse.

Ma sentiva di non avere tutti i torti.

Marlene, intanto, continuava a sorridergli, maliziosa. Sembrava piuttosto divertita.

Si sporse in avanti, prendendolo per il cravattino e tirandolo verso di sé.

Lui avvampò.

<< Marlene? >>

<< Ehi, Lupin… >> sussurrò amabile, << Vuoi che mi diverta anche con te? >>

Remus si ritrasse di scatto, e Marlene scoppiò in una fragorosa risata.

<< Stavo solo scherzando! >>

“Già. Divertente.”

<< Ehi, Lupin, che combini? >>

Il prefetto si voltò, stanco di trovarsi in quell’assurda situazione che con lui non c’entrava assolutamente nulla.

Infatti, aveva immediatamente riconosciuto la voce del ragazzo biondo e impostato che l’aveva apostrofato con così poco garbo.

Caradoc Dearborn, quinto anno, Tassorosso.

Il ragazzo che, in quanto a fare lo sbruffone in aula, ben competeva con James e Sirius.

Per il resto, sguazzava serenamente nell’anonimato; Remus lo conosceva solo perché erano allo stesso anno e perché si diceva fosse amico d’infanzia dei McKinnon.

A dire il vero, si sussurrava pure che ronzasse attorno a Marlene più del necessario, ma davvero, a Remus non importava nulla.

Guardava Marlene allo stesso livello di tutti gli altri studenti ad Hogwarts: con sbavante ma consapevolmente platonica venerazione.

Voleva soltanto i suoi appunti, e filarsela prima dell’inizio di quella che si preannunciava essere una situazione imbarazzante.

Dearborn lo scrutò con fare abbastanza corrucciato, poi il suo sguardo si spostò sulla ragazza.

In mano teneva una grande rosa bianca.

<< C’è qualche problema, Marlene? >>

Marlene sembrò perdere tutto d’un tratto la sua aurea da divoratrice di uomini –Godric, aveva sul serio usato questo termine?-, nello sbuffare e sollevare gli occhi verso l’alto con esasperazione.

<< Ti sembra che uno scricciolo del genere possa causarmi qualche problema? >> sbottò, spazientita. << Tu, piuttosto, tornatene a tubare con Fenwick. >>

<< Sempre simpatica. >>

<< E tu sempre invadente. E’ per me quella rosa? >>

Nonostante tutto, Remus non potè non notare che Dearborn era arrossito all’improvviso.

<< Ovviamente no! >> sbottò il Tassorosso, avvampando << E’ per un’altra ragazza, molto più affabile e composta di te. >>

Marlene inarcò un sopracciglio, ironica:<< Ah sì? >>

Remus desiderò che dalla sua ferita sgorgasse una fontana di sangue.

Avrebbe avuto un buon motivo per svignarsela.

“Ma che ci faccio io qui?” pensò, disperato. Assisteva ad abbastanza flirt ogni volta che James ci provava con Lily, e se con i suoi compagni Grifondoro la situazione era imbarazzante, con due quasi sconosciuti diventava disastrosa.

Se ne sarebbero accorti, se fosse scappato via a gambe levate?

Forse, bastava allontanarsi senza dare nell’occhio e…

La speranza giunse in quel preciso momento, accompagnato da una visione che in quel frangente –e solo in quello, altrimenti un certo cervo di sua conoscenza l’avrebbe massacrato senza pietà- gli apparve celestiale.

Una figura sottile, di fronte ad uno scaffale.

<< Lily! >> esclamò il ragazzo, sollevato. La Grifondoro sussultò, si voltò, e sorrise.

<< Remus! >> esclamò, andandogli incontro, << Sei stato dimesso! Come… >>

Remus non le diede il tempo di finire la frase, che la prese a braccetto e le fece fare dietro front, trascinandosela lontana da quel terribile luogo di amore non corrisposto.

I due litiganti non sembrarono nemmeno notare la sua scomparsa, fortunatamente.

Era stato più facile del previsto.

<< Rem, ma cosa…? >>

<< Non parlare e continua a camminare. >> sibilò lui, timoroso.

La ragazza ammutolì, ma lo lasciò fare.

Solo quando uscirono dalla biblioteca, lui la lasciò. Sospirò, chiudendosi gli occhi e poggiandosi ad una parete.

<< Remus, ti sei fatto male alla testa, per caso? >> domandò la voce perplessa di un’ancor più perplessa Lily.

<< Quella è una delle uniche parti che sono a posto, in realtà. >> rispose lui << Sono caduto dalle scale, ecco perché ero in Infermeria. >>

Ed ecco l’ulteriore e banalissima scusa. Era sembrato naturale? D’altronde l’aveva infilata nel discorso con abbastanza spontaneità.

<< Le nostre scale? Quelle che cambiano in continuazione, attraversate notte e giorno da centinaia di studenti? >>

E certo, qualcuno se ne sarebbe dovuto accorgere, anche perché uno studente spiaccicato sul pavimento non passa inosservato. E lui non aveva di sicuro la faccia di uno studente spiaccicato.

<< No. Quelle che danno sul cortile. >>

<< Quelle di cinque gradini? >>

<< … Sì. Lily, mi daresti gli appunti delle lezioni che ho saltato? >> domandò, in difficoltà. Lily solitamente era molto discreta, ma per quel che riguardava le sue sparizioni in infermeria, diveniva estremamente apprensiva, e sospettosa.

La prefetto lo guardò per qualche istante, poi sospirò. Doveva aver notato l’ansia con cui aveva cambiato argomento.

<< Scusami, non voglio essere invadente. >> disse, dispiaciuta, << Sono solo preoccupata. >>

Remus le rivolse un sorriso raddolcito.

<< Lo so, Lily, e io sono solo scivolato, te l’assicuro. Non c’è niente di cui preoccuparsi. >> rispose, gentile, nel tentativo di rassicurarla.

Forse non riuscì appieno nell’impresa, però almeno la rossa sembrò confortata, e sorrise.

<< Va bene. Se saliamo nella torre ti prendo gli appunti, ok? >>

<< Grazie. >> sospirò il prefetto, sollevato. << Solo valanghe di compiti potranno farmi dimenticare la terrificante esperienza di poco fa. >> aggiunse, rabbrividendo.

La ragazza scoppiò a ridere: << A proposito, che ci facevi con Dearborn e Marlene, prima? >> domandò, divertita.

Lui scosse la testa.

<< Davvero, non lo so. Ricordo solo di stare cercando Gabriel McKinnon, e poi mi sono trovato immerso in una scena da telenovelas babbane. >>

Lily ridacchiò: << Ehi, vedi che mia sorella le adora. >>

<< E chi ha detto nulla? >> scherzò lui, alzando le mani come ad allontanare l’idea.

In quel momento, la presenza di Lily lo confortava.

Calma e gentile, ma sempre sorridente.

In quel momento, la sua unica ancora di salvezza.

Certo, c’erano James e Peter, ma la loro vicinanza presupponeva quella di Sirius, che al momento non aveva alcuna voglia di vedere.

Il loro ultimo incontro gli era bastato.

… E l’aveva sconvolto. Non gli era piaciuto affatto come la presenza di Sirius l’avesse fatto sentire.

Così arrabbiato, furioso.

Gli aveva persino puntato la bacchetta contro.

Lui, che non era mai stato coinvolto in una rissa, a parte quelle in cui l’avevano trascinato i Malandrini!

Ma mai, di sua iniziativa, aveva aggredito qualcuno.

Quella sera, invece, era stato terribile.

Mostruoso.

Lui, era mostruoso.

Mai aveva sentito il lupo così presente quando non c’era la luna piena.

Non voleva sentirsi in quel modo un’altra volta.

Non voleva nuovamente provare tanto disgusto e tanta paura di se stesso.

Con Lily, invece, con Lily era facile.

Lei non sapeva nulla del suo tremendo segreto, non conosceva la sua vera essenza.

Per lei era solo un amico per cui preoccuparsi.

Un amico con cui scherzare serenamente.

Era più facile illudersi di essere un’altra persona, semplicemente un ragazzo normale di quindici anni, con lei.

 

 

 

***

 

<< Come è andata con Remus? >>

Sirius sospirò, poggiandosi con la schiena alla parete di pietra.

James lo guardava, seduto sul bracciolo di un divano. Peter stava seduto sul primo dei gradini che portavano al dormitorio maschile.

<< Non brillantemente, a dire il vero. >> ammise il ragazzo, cupo. Non gli andava di scendere nei dettagli con Pete e Prongs, tuttavia si sentiva abbastanza scosso.

Remus l’aveva praticamente aggredito!

Passasse pure la rissa e le botte, ma la bacchetta.

Era sconvolto.

Che Remus, fino a quel momento, avesse portato una maschera di pure apparenze? Che la sua calma, che la sua gentilezza fossero semplici sforzi di celare la sua vera indole?

Era questo, il vero Remus? Era quella, la sua natura da licantropo?

Scosse il capo, sentendosi uno stupido.

Moony era semplicemente Moony.

Era lui che lo aveva fatto incazzare.

<< Pad, tutto a posto? >> domandò James, guardandolo con preoccupazione.

Sirius sbatté le palpebre, tornando alla realtà, e rassicurò l’amico con un breve cenno del capo. Peter, dalla sua postazione, incassò la testa fra le spalle, amareggiato.

<< I Malandrini mi mancano. >> sussurò, triste.

James rivolse la sua attenzione verso di lui, dispiaciuto.

Poi, forzò un sorriso: << Ma che vai blaterando, Wormtail? I Malandrini non hanno mai smesso di esistere. >>

Sirius guardò l’amico, in silenzio.

Forse quella finta allegria funzionava con Peter, ma con lui non attaccava.

Affatto.

Conosceva Prongs meglio di chiunque altro, e gli bastò un attimo per rendersi conto che quella non era altro che finzione.

James era preoccupato. Glielo leggeva in faccia, e lui non poteva che sentirsi un po’ in colpa.

Anche Remus, però.

Non poteva perdonarlo? Aveva già mostrato il suo dispiacere a sufficienza, e d’accordo, aveva il diritto di essere arrabbiato, ma lì si parlava dei Malandrini.

Non avevano la priorità su tutto?

<< Forse dovremmo salire. >> disse intanto Peter, in un bisbiglio. << Qui ci guardano tutti. >> aggiunse, a disagio, gettandosi un’occhiata nervosa attorno.

In effetti, quasi tutti i Grifondoro –eccetto quelli del settimo e quinto anno, occupati probabilmente a studiare per gli esami- si trovavano in Sala Comune e, nel perpetuare le proprie faccende, non si astenevano dal rivolgere loro occhiate furtive e piene di curiosità.

Erano piuttosto popolari, ormai, ad Hogwarts.

Ma da quando si era sparsa la voce di una loro possibile rottura –e che erano, una rock band babbana?-, l’interesse verso di loro era notevolmente incrementato.

Tutti si chiedevano se quella era la fine dei Malandrini, e soprattutto si domandavano il motivo del litigio, diffondendo le ipotesi più bizzarre.

Sciocchi pettegoli.

E odiosi impiccioni; Sirius avrebbe tanto voluti affatturarli uno per volta.

<< Che ascoltino pure. >> sbuffò, infastidito. Poi alzò la voce: << A quanto pare, la loro vita è così banale che devono per forza impicciarsi in quella degli altri. >>

Più di uno studente chinò lo sguardo, imbarazzato, qualcun altro bisbigliò qualcosa all’orecchio del compagno accanto, con evidente fastidio.

Sirius, onestamente, se ne fregava.

Che si offendessero pure, che giurassero vendetta e chissà che altro.

Non gliene importava nulla.

James lo guardò, tra il divertito e il contrariato.

<< Non c’è bisogno di essere così scortesi, Pad. >>

<< E nemmeno che tu ti comporti da Remus solo perché lui non c’è, James. >> ribattè lui, infastidito, e Prongs ammutolì, sbalordito.

A Sirius bastò un attimo per pentirsi delle proprie parole.

<< Scusami. >> sospirò, sconsolato. << Non so che mi prende. >>

L’amico lo guardò, comprensivo.

<< Ti manca, ecco cos’è. >> disse James << Dovete chiarirvi, Sir. >>

Lui sospirò, con amarezza.

Era vero.

Il vecchio Moony gli mancava, gli mancavano le sue battutine sarcastiche e gli sguardi contrariati e le tavolette di cioccolata offerte in qualunque ora delle giornata.

<< Ci ho provato, James. >> rispose, cupo. << Davvero, ma… >>

S’interruppe quando, dopo aver guardato distrattamente il ritratto della Signora Grassa aprirsi, vide chi entrò in Sala Comune.

Lily Evans, con tanto di divisa e capelli corti a cui tutti ormai si erano abituati.

E Remus, dietro di lei, un po’ malconcio ma che comunque sembrava poter reggersi in piedi da solo.

Il silenzio calò nella sala.

Qualche mormorio si levò dai Grifondoro presenti, mentre spostavano lo sguardo alternativamente da una parte all’altra.

Sirius trovò che fosse una situazione… un po’ difficile, ecco.

Si sentiva a disagio, soprattutto dal momento in cui Remus praticamente finse di non vederlo.

Evans, in probabile imbarazzo, si voltò verso il prefetto.

Sirius dubitava che volesse rendere pubblica a tutti la loro conversazione, ma era inevitabile, dato che ogni orecchio presente fosse teso a carpire la minima informazione sull’accaduto, da giorni il più interessante scoop ad Hogwarts.

<< Vado a prendere il quaderno e scendo, ok? >>

<< D’accordo. >> replicò Remus, apparentemente calmo, e la ragazza si avviò verso di loro –o meglio, verso le scale del dormitorio femminile.-

Quando la rossa passò loro accanto, Sirius scorse James sollevare leggermente la mano in cenno di saluto. Evans abbozzò un sorriso che trovò fastidiosissimo, poi scomparve oltre le scale.

Imponendosi di rimanere calmo, Sirius riportò la propria attenzione su Remus. Questi era rimasto immobile, guardandosi attorno con apparente disinteresse.

“Un espediente poco originale per non guardarmi in faccia.” valutò Sirius.

Fu immediatamente dopo, che udì la voce timida di Peter accanto a sé.

<< Ciao, Remus. >>

Il prefetto sorrise, cordiale: << Ciao, Pete. James. >> aggiunse, facendo un cenno del capo a Prongs.

Questi attese qualche in secondo in più del necessario per ricambiare il saluto.

Come per vedere se Remus si sarebbe rivolto anche a Sirius.

…Speranze vane, ovviamente.

<< Moony. >> disse infine James, forzando un sorriso. << Finalmente sei uscito. >>

<< Già… >> replicò il prefetto, sempre mantenendosi a debita distanza, le mani intrecciate dietro la schiena.

Fu il momento di un’altra terribile pausa.

Sirius si sentì uno schifo.

Doveva dirgli qualcosa? O era meglio rimanersene zitto?

Tanto dubitava che avrebbe ricevuto risposta.

<< Come ti senti? >> domandò Peter, tanto per rompere il ghiaccio.

<< Bene, grazie… >>

Per fortuna, Lily scese proprio in quel momento, perché Remus non avrebbe saputo come resistere a quella situazione.

<< Andiamo? >> domandò alla ragazza, frettoloso di andarsene. << Stanno per servire la cena. Questi te li ridarò domani. >>

<< O-ok… >>

Uscirono dalla Sala Comune e, non appena furono in corridoio, il flash di una macchina fotografica li accecò entrambi.

 

***

 

Ora di cena, Sala Grande.

Alice Smith quasi le sputò il succo di zucca in faccia quando ricevette la notizia.

<< Una macchina fotografica?! >> domandò, sbigottita.

<< Esatto. >> annuì Remus, tranquillo, portandosi il proprio calice alle labbra. << Una macchina fotografica volante. >>

<< Nel senso che non c’era nessuno a tenerla in mano? >>

Lily, di fronte a lei, annuì.

<< Già. Se ne stava lì, sospesa in aria. Ci ha fotografati e poi si è smaterializzata. >>

<< In una nuvoletta luccicante piuttosto inquietante, oserei dire. >> aggiunse il prefetto, alla destra della rossa.

Alice si grattò il mento, con aria pensierosa.

<< Strano… >> commentò, inquieta.

Lily sospirò.

<< Comunque, >> disse << Ho incontrato Dorcas Meadowes stamattina. Ha detto che Mary tornerà a scuola. >>

Remus ne parve piacevolmente sorpreso.

<< Sì? Credevo l’avrebbero ritirata. >>

<< Anch’io. >> concordò Lily << Sarebbe stato comprensibile, ma credo abbiano fatto la scelta giusta. >> fece una pausa, indirizzando la sua attenzione verso un’altra parte. << Alice, stai bene? Sei pallida. >> domandò, allarmata.

Difattti, la ragazza sembrava essere sbiancata di colpo. Tuttavia, scosse il capo con energia. << Tutto a posto. Mi ero semplicmente persa nei miei pensieri. >> rispose, eppure Lily trovò la sua voce un po’ triste.

Anche Remus sembrava essere del suo medesimo parere, poiché rivolse ad Alice un’occhiata preoccupata.

<< Sicura? >> domandò, cauto.

<< Sì, certo. >> replicò lei, che già sembrava aver recuperato un po’ di colore. Più che malata, sembrava preoccupata. << Pensavo al mio tema di Pozioni. Fa pena. Lils, poi ci dai un’occhiata? >>

<< Certo, ma… >>

S’interruppe, non appena qualcuno, dal tavolo degli insegnanti, attirò l’attenzione degli studenti.

Un cucchiaino sbattuto sul bordo di un calice, e Silente era riuscito a catturare gli sguardi dell’intera scolaresca.

Il preside si alzò.

<< Studenti, come gli abbonati avranno notato, stamattina nessuna stampa della Gazzetta del Profeta è giunta ad Hogwarts. >>

<< E’ vero. >> bisbigliò Alice. << Me l’ha detto Frank stamattina. >>

Lily annuì, Remus rimase in silenzio. In effetti, quella mattina si era insospettito, quando non aveva trovato la Gazzetta sul comodino dell’Infermeria, nonostante l’avesse chiesto a Madama Chips la sera prima.

<< L’interruzione delle spedizioni ha interessato l’intera Gran Bretagna, >> continuò intanto Silente << a causa dell’attacco di Mangiamorte alla sede centrale della Gazzetta, avvenuto ieri sera. >>

Un mormorio diffuso si sparse per la Sala Grande, trasformandosi poi in un subbuglio generale.

<< Non ci credo! >> esclamò Alice, sconvolta.

<< Che motivo avrebbero di prendersela con un giornale? >> domandò un ragazzino del secondo anno ad un suo amico, qualche posto vicino a loro.

Poi, una voce si sollevò dal tavolo dei Corvonero.

<< La Gazzetta ha sempre mantenuto una posizione neutrale. Che senso ha? >>

<< Ottima domanda, signorina Vance. >> commentò Silente. << Purtroppo, l’imparzialità sembra non soddisfare più il Signore Oscuro. Pretende che l’intera comunità magica lo sostenga, ed è risoluto ad ottenere alleati anche ricorrendo alla puara e all’intimidazione. >>

Voci concitate e parole di timore e sbigottimento si sollevarono dalle quattro tavolate di Hogwarts, ed ancora una volta il preside dovette intimare la calma.

<< Signori, vi prego! Non vi dico questo per spaventarvi! >> esclamò l’uomo. L’attenzione si rivolse nuovamente verso di lui. << Il mio scopo non è suscitare la paura nei vostri cuori, ma incoraggiarvi. Qui, ad Hogwarts, siete al sicuro. Ma una volta usciti, è probabile che sarete costretti a decidere da che parte schierarvi. >> Fece una pausa. << Per questo io vi dico: non fate che sia la paura, a guidarvi. Non lasciate che uomini crudeli vi costringano alla loro medesima meschinità. E’ vero, qui siete divisi per Case, ma dovete lasciare che ognuna di esse vi ispiri. Abbiate il coraggio Grifondoro per combattere in nome del giusto. Avvaletevi della lealtà Tassorosso per non tradire gli amici. Usate l’intelligenza Corvonero per comprendere quanto sciocchi ed errati siano gli ideali sotenuti dal Signore Oscuro e i suoi seguaci.

E infine, lasciatevi guidare dall’ambizione dei Serperverde, l’ambizione, in questo caso, di poter ottenere un mondo migliore. >> li guardò. << E siate furbi. Vi prometteranno onori e ricchezze, ma si libereranno di voi non appena non sarete più utili. >>

Il silenzio era ormai calato tra gli studenti.

Tutti ascoltavano, rapiti, le parole di uno dei maghi più potenti e saggi dei loro tempi, non lasciandosene fuggire nemmeno una parola.

Con i suoi occhi celesti, Silente sembrava scrutare ognuno di loro con intensità, facendo vagare il suo sguardo limpido e sapiente da tavolo a tavolo, da studente a studente.

<< E soprattutto, miei cari, sappiate che vi aspettano momenti difficili. Siete giovani, e l’animo dei giovani è in armonia con l’indole naturale dell’uomo, spontaneamente buona, felice, brillante.Ma giunge il momento, prima o poi, in cui il mondo corrode tale luce, trascinandola in una voragine di male, odio e guerra.

Ma non per questo caleranno le tenebre. Perché, per chi l’aspetta, per chi ci crede, c’è sempre una speranza. >>  fece un’altra pausa, poi sembrò sorridere. << E, nel mio caso, la mia più grande speranza siete proprio voi. Di voi mi fido, e allo stesso modo mi fido degli ideali di amore, amicizia e lealtà con cui ad Hogwarts abbiamo sempre cercato di ispirarvi. Non lasciatevi corrompere dalla paura, false promesse e minacce. Fidatevi l’uno dell’altro, rimanete uniti. La forza più grande che avrete sarà quelle delle persone a voi care, credetemi. E ricordate che, quando vi servirà una casa, un rifugio, ad Hogwarts ci sarà sempre un posto per voi. >>

*** 

 

 

“Fidatevi l’uno dell’altro, rimanete uniti. La forza più grande che avrete sarà quelle delle persone a voi care.”

James sospirò, uscendo dal bagno.

Remus era ancora fuori, per il turno di ronda coi prefetti.

Peter era seduto sul tappeto, mentre scartava una merendina, silenzioso.

Sirius, cupo, sedeva sul bordo del letto, con un foglio di pergamena in mano.

<< Rimanete uniti. >> aveva detto Silente, a cena.

E invece i Malandrini non erano mai stati così separati. Anche se Sirius e Remus erano i soli ad aver litigato, quando i due si trovavano nella stessa stanza c’era sempre un clima di tensione, e lui e Peter si trovavano in enorme difficoltà per decidere con chi stare di volta in volta.

“Che merda.” pensò, tetro. Poi si avvicinò al suo migliore amico, tanto per fare qualcosa ed impicciarsi nei suoi affari.

<< Che cos’è? >> domandò, alludendo alla sciarpa in lana blu poggiata sul letto.

<< Un regalo di mia cugina Andromeda. >> rispose lui << Non può permettersi molto, da quando i Black le hanno tagliato i fondi. >>

Peter si avvicinò, discreto. << E quella? >> chiese, accennando alla foto che teneva in mano. Sirius abbozzò un sorriso.

<< E’ lei col marito e il cane. L’hanno preso dalla strada qualche giorno fa, l’ha scritto nella lettera. Indovinate come l’hanno chiamato? >>

Gli altri due rimasero in silenzio, con nessuna idea in mente.

Sirius sorrise: << Padfoot. >>

<< Ah! >> esclamò Peter, illuminandosi. << Come… >>

 << Come il nostro vecchio cane, esatto. Ci giochevamo ogni estate, quando eravamo piccoli ed andavamo nella tenuta in Irlanda. >>

Era in suo onore che aveva scelto il soprannome con cui i Malandrini l’avevano battezzato. Remus l’aveva trovato un po’ macabro, dal momento che il cane era morto.

A lui era parso un gesto carino e nobile, e poi si addiceva anche alla sua forma da Animagus.

James si sporse per sbirciare la fotografia. << E questa è tua cugi…Ah! >>

<< Che c’è? >>

<< E’ piccolissima! >>

<< Macchè. >> sbuffò lui << Ha fatto da poco diciasette anni, è più grande di noi. >>

<< Sposarsi a quest’età… >> mormorò Peter, sbigottito.

<< A quest’età e con un Nato Babbano. >> aggiunse Sirius, con celato orgoglio. << E’ una vera ribelle, sapete? Ha lasciato la scuola per fuggire con Ted, ora suo marito. >>

<< Anche lui sembra giovane. >>

<< Sì. Quando si sono sposati aveva da poco finito il suo ultimo anno ad Hogwarts. >>

<< Quando è successo? >> chiese James, incuriosito.

<< Lo scorso Febbraio. >>

<< Quindi tua cugina andava a scuola con noi! >>

Prongs aggrottò le sopracciglia, confuso: << Non mi sembra di averti mai visto parlare con lei. >>

Sirius ridacchiò, scuotendo la testa.

<< Era una Serpeverde. Credevo fosse come tutto il resto della famiglia, per questo la ignoravo alla grande. >>

<< E lei? Sei un Grifondoro doc, avrebbe dovuto immaginare che eri diverso. >>

<< No, pensava fossi un idiota. >> ridacchiò Sirius, prendendo la lettera. << Vedi? Me l’ha anche scritto: “non pensavo saresti riuscito a ribellarti ai tuoi in questo modo. Sapevo che eri una vera e propria canaglia, ma a giudicare da quel che combinavi a scuola quando c’ero io ti ho sempre immaginato come un ragazzetto viziato e pieno di sè, incapace di rinunciare alla prospera eredità Black.”  >>

<< Uao. >> commentò James, divertito. Sirius sorrise a sua volta.

<< Già. E’ forte, mia cugina. >>

Peter si avvicinò: << Somiglia un po’ a Bellatrix… >>

<< Ma che dici! > sbottò Sirius, indignato. << Lei ha il viso molto più dolce, altro che quella stregaccia. >>

James gli diede un pugno sulla spalla, ridendo.

<< Avanti, Sirius! Nemmeno stessimo parlando della tua ragazza! >>

Lui sbuffò, incrociando le braccia: << E che non mi va che insultiate gli unici membri sani della mia famiglia. >>

Peter avvampò di botto, in ansia.

<< Il mio era un complimento! Bellatrix è bella! >>

<< E’ una pazza antipatica! >> replicò Sirius, indignato.

James ridacchiò.

<< Avete ragione entrambi, miei piccoli amici. >> li confortò lui, con un sorriso. << Davvero. >>

<< Piccolo ci sarai tu, tappo. >> sghignazzò Sirius, allontanandolo con uno spintone.

Peter sbadigliò, e Padfoot gli rivolse un ghigno scherzoso.

<< Bed time? >>

Il ragazzo arrossì: << Dipende da cosa volete fare voi, ragazzi. >>

<< Sì sì, andiamo a nanna! >> esclamò James, pimpante, buttandosi sul letto. << Sennò che me lo sono messo a fare, il pigiama? >>

Sollevato, Peter corse verso il proprio letto. Sirius, in silenzio, rimase fermo dov’era.

James ghignò: << E tu, Pad? Se hai sonno puoi anche smetterla di atteggiarti a vero uomo, sai? >>

Lui sembrò cadere dalle nuvole.

Sbatté le palpebre, scuotendo il capo.

<< No, no, eccomi. >>

In realtà, avrebbe voluto aspettare Remus.

Ma in fondo, cosa avrebbe mai potuto dirgli?

Magari sarebbero ricorsi nuovamente alle mani, e questa volta in presenza di James e Peter.

No, non era il caso.

Si sdraiò a letto, chiedendosi se sarebbe riuscito a prendere sonno, con tutti quei pensieri in testa.

Andromeda, per esempio.

Forse avrebbe dovuto seguire il suo esempio: fuggire anche da Hogwarts, fuggire da tutto. Così, magari, avrebbe smesso di fare del male alle persone a cui voleva bene.

Regulus, Remus.

In modi differenti, poteva dire di averli traditi entrambi.

James, Peter.

Li aveva messi in pericolo prima, e in una situazione complicata ora.

Eppure l’avevano perdonato. Senza che lui lo meritasse.

Già. Non li meritava, ma non aveva alcuna intenzione di rinunciare a loro.

Né a Remus, peccato che con lui sarebbe stato decisamente più difficile.

S’infilò sotto le coperte.

Faceva freddo.

 

***

 

 

Era il cuore della notte, quando Sirius aprì lentamente gli occhi, svegliato da strani rumori, e dalla lieve luce che proveniva dalla porta socchiusa del bagno.

Intontito, si scrutò attorno.

James dormiva a pancia all’aria come al suo solito. Peter era una piccola e tonda sporgenza sotto le coperte.

Sirius si voltò lievemente a sinistra.

Il letto di Remus era sfatto, ma vuoto.

Si mise lentamente a sedere, poggiando i piedi nudi sul pavimento.

Era ghiacciato.

Cercando di non svegliare nessuno, si avvicinò cauto alla porta del bagno, chinandosi un po’ per sbirciare aldilà di essa.

Riuscì a scorgere parte di una schiena e due gambe.

Remus.

Remus che trafficava con le fasciature delle ferite.

Spostò lo sguardo sul pavimento.

Bende. Bende sporche di sangue.

Spalancò la porta di scatto, sconvolto.

<< Remus! >>

Il prefetto, a torso nudo e con addosso solo i pantaloni del pigiama, sobbalzò, preso alla sprovvista. Aveva riavvolto la ferita sul fianco con nuove bende, ma queste si erano a loro volta macchiate di rosso.

<< Remus, devi andare in infermeria! >>

<< Sirius, stai calmo. >> disse lui, in un sussurro.

<< Col cazzo che sto calmo! >> sbottò Sirius, tra l’allarmato e l’arrabbiato.

Una vocina si levò dall’oscurità dell’altra stanza.

<< Che succede? >> mormorò la flebile voce di Peter, appena sveglio.

<< Succede che siamo nei casini, Peter! >>

<< Quel siamo è superfluo, Sirius. >> disse Remus. << Ho tutto sotto controllo. Ora vado da Madama Chips e… >>

<< Ci dovevi essere già, da Madama Chips! >> replicò lui, furioso, e Remus vide un cespuglio nero e un paio di occhiali fare capolino da dietro di lui.

<< Ragazzi, cosa… Moony! >> esclamò James, sconvolto. << Dimmi che è succo di pomodoro, quello! >>

<< Tranquillo, è tutto a… >>

Non fece in tempo a finire la frase, che Sirius l’aveva afferrato per il polso, e se lo stava trascinando in infermeria, seguito a ruota dagli altri due.

 

 

 

<< Sbaglio o le avevo detto di starsene tranquillo, signor Lupin? >>

Si trovavano tutti in infermeria, mentre Madama Chips ricuciva Remus, seduto sul lettino di fronte a loro.

Sirius teneva lo sgurdo chino, disgustato.

Sapeva che Remus non doveva fare tanto male, perché era abituato ed aveva bevuto una pozioni anestetizzante, ma vedere scene simili gli dava il voltastomaco.

<< Lo sono stato, Madama Chips. >>

<< Ne dubito. >> replicò la donna, maneggiando il filo con attenzione. << Avevo cambiato questi punti solo ieri pomeriggio. Cos’ha fatto fino ad adesso per ridurli in questo stato? >>

Remus e Sirius si scambiarono istintivamente un’occhiata.

Ricordavano alla perfezione cos’era accaduto la sera prima.

E, in effetti, la loro condotta non rispondeva propriamente allo “starsene tranquilli.”

<< Avrò fatto qualche movimento brusco, non so. >>

Madama Chips gli rivolse un’occhiata sospettosa, che rigirò presto anche agli altri tre. Poi spezzò il filo, e con la bacchetta rifasciò la ferita.

<< Fatto. >> annunciò.

<< Bene! >> esultò James, sorridendo. << Buonanotte, Poppy di Hogwarts! >>

<< Freni l’entusiasmo, signor Potter. >> disse lei, severa. Remus, che faceva per alzarsi, fu bloccato dalla donna, che lo trattenne per un braccio.

<< Dato che sembra non conoscere il significato della parola “tranquillo”, lei rimarrà qui, stanotte. >>

Remus impallidì, voltandosi istintivamente verso gli altri tre, in cerca d’aiuto.

Sapevano tutti quanto detestasse stare in infermeria più del dovuto, l’odore forte dei farmaci gli riportava alla memoria brutti ricordi.

<< Ma-madama. >> tentò Sirius, << Remus ha perso un bel po’ d lezioni, in questi giorni… >>

<< Già, e abbiamo i GUFO, quest’anno! >> aggiunse James, pronto.

<< E domani infatti potrà recarsi regolarmente in classe. >> rispose tuttavia la donna. << Ma stanotte rimarrà qui, signor Lupin. >>

 

***

 

La mattina dopo, Sirius fu al contempo sollevato e messo in ansia dal vederlo spuntare in classe.

Lo vide oltrepassare la soglia dell’aula, e subito dopo arricciare il naso, aggrottando le sopracciglia. Era sempre così, durante le lezioni di Lumacorno. Remus aveva un olfatto sensibile, e l’odore delle pozioni lo infastidiva.

Sirius ne sentiva la mancanza.

Voleva tornare a farsi rimproverare ed insultare da Moony, perché va bene che James era il suo migliore amico, ma se lui era suo fratello, Remus e Peter erano i suoi cugini preferiti.

E non la reggeva più, quella situazione.

Remus entrò in classe, e per qualche istante gli sembrò indeciso sul da farsi. Salutò Evans, a primo banco con Alice, e poi si diresse verso di loro.

“Dai che sei ancora recuperabile, Remus”

<< Ciao. >> disse il ragazzo, seppur rivolto a solo due di loro.

“…Anche se mi hai del tutto ignorato.”

<< Moony! >> esclamò James, allegro e speranzoso al contempo. Gli brillavano gli occhi, quasi. << Sei uscito dalle grinfie di Poppy, finalmente. Il tuo profumo di lillà ci è mancato stanotte, sai? >>

Tutti lo guardarono, perplessi, e nel caso di Remus, anche un po’ inquietato.

Ma James continuava a sfoggiare il suo sorriso disinvolto: << Perché non ti siedi accanto a Sirius? Così lo aiuti, di questo argomento non ha capito nulla! >>

Ahi.

Ahi, ahi e dannatamente ahi.

Sirius –in parte anche indignato per la presunta ignoranza attribuitagli-, s’irrigidì.

Remus divenne pallido.

Peter rimase in attesa, e James desiderò di non essere mai nato.

<< Ora che ci pensò, però, io ci ho capito ancora meno. >> disse, con una risatina nervosa. << Siediti accanto a me, Moony. >>

<< Ok. >> rispose Remus dopo un breve attimo di silenzio.

Subito dopo entrò nell’aula Lumacorno, stranamente giovale.

<< Buongiorno, ragazzi. >> esclamò. << In vista degli esami, oggi ci eserciteremo con una pozione piuttosto difficile: il Distillato di Morte Vivente. >>

Un mormorio piuttosto scocciato si diffuse per l’aula.

<< Ma l’abbiamo preparato già tre volte! >> sbuffò un Corvonero decisamente contrariato.

Lumacorno sorrise, benevolo: << Ma sempre con risultati disastrosi. Questa volta metteteci più impegno, perché potrei anche decidere di farla assaggiare a qualcuno di voi per testarne l’efficacia. >> scherzò poi << Qualcuno di voi potrebbe pure lasciarci la pelle. >>

<< Prof, la prego, lo faccia fare anche ai Serpeverde! >> esclamò James dal fondo dell’aula.

Qualcuno rise, Evans gli spedì un’occhiataccia.

Sirius, dal canto suo, sospirò, annoiato.

Lui la pozione l’aveva sempre preparata bene, che motivo aveva di rifarla? Solo perdita di tempo.

Lumacorno ignorò James, forse non trovando una battuta brillante con cui ribattere. Rimase in silenzio.

Poi disse: << In ogni caso, per rendere la lezione meno monotona, ho deciso di fare un esperimento. >>

Così dicendo, estrasse dalla borsa alcuni fogli, ed iniziò a distribuirli per i banchi. Non appena passava davanti ad un alunno e faceva per depositare il pezzo di carta, questo rimaneva sospeso a mezz’aria, fluttuando di fronte ad ogni studente.

Strani segni vi erano tracciati sopra, con inchiostro nero, segni a forma di rettangoli.

<< E’ la cartina della classe! >> esclamò Emmeline Vance, sorpresa.

<< Esatto. >> replicò Lumacorno. << Il puntino rosso indica la vostra attuale posizione. Non appena lo dirò io, il punto si sposterà, indicando il nuovo banco in cui dovrete andare. >>

<< In pratica, cambieremo sia calderone che compagno, giusto? >> domandò Lily Evans.

<< Già! >> rispose il professore, felice di trovare nella sua prediletta qualcuno che intuisse le sue intenzioni. << Sarà divertente, no? Non dimenticate di segnare ogni volta a che punto della pozione siete arrivati, in modo da non mettere in difficoltà i vostri compagni. Iniziamo, su! >>

<< Che seccatura. >> borbottò Sirius. Già era noioso lavorare con qualcuno che non fosse un Malandrino, figurarsi dover anche fare la fatica di alzarsi dalla sedia per cambiare banco.

<< Sono d’accordo. >> mugolò Peter, in ansia. << Davvero una brutta cosa. >>

Probabilmente temeva l’imbarazzo di stare di fianco a studenti che non fossero lui, James o Remus.

Povero Peter.

Iniziarono a preparare il distillato.

Sirius mandò Peter a prendere gli ingredienti, ma quando tornò e li posò sul tavolo, vide che aveva scordato l’Asfodelo. Lo rispedì indietro, e Wormtail andò di corsa all’armadio.

Tornò coi fagioli soporosi.

<< Cambio! >>

Sirius capitò all’ultimo banco con James.

Fu uno spasso, ovviamente e, tanto per ridere, aggiunsero più Artemisia del necessario.

Chissà se sarebbe esplosa in faccia a qualcuno.

<< Se capiti vicino a Remus, vedi di conquistartelo. >> gli sussurrò Prongs, ad un punto.

Detta in quel modo era un po’ ambiguo, ma vabbè.

Comunque, non finì con Moony, bensì vicino a Gabriel McKinnon.

Una palla.

Quando Sirius gli chiese, tanto per formalità, cosa aggiungere, il Corvonero gli rispose di fare come gli pareva, tanto lui in Pozioni aveva la media di Eccezionale, e dato che quel giorno non gli andava di fare nulla, poteva anche far esplodere il calderone.

Poiché Sirius si trovava più o meno nella sua medesima situazione, decise di non fare assolutamente nulla, e rimase zitto a scarabocchiare sul banco di un altro.

<< Cambio! >>

E infine, ovviamente, finì accanto a Remus.

Brutta, bruttissima situazione.

A disagio, si avvicinarono al calderone che avevano appena lasciato Evans e una Corvonero.

Un distillato perfetto, ovviamente, di un ancor più perfetto color lilla.

Venva quasi voglia di lasciare tutto così com’era.

Ma d’altronde, cosa gliene importava della pozione? Aveva ben altri problemi, di senz’altro maggiore rivelanza.

Remus sembrava in difficoltà esattamente quanto lui.

Si sedette con cautela, e prese a leggere –o fingere di farlo- le istruzioni per la stessa pozione che avevano preparato milioni di volte.

Sirius deglutì, a disagio.

<< Come va la ferita? >> chiese, non sapendo pensare ad altro.

Remus tenne lo sguardo fisso sul libro.

<< Bene, grazie. >>

Aaah, che orrore.

Si decise a fissare il libro anche lui. Di tanto in tanto gettava qualche occhiata a Remus, intento a tagliuzzare le radici di Asfodelo.

In silenzio.

In un tremendo ed imbarazzante silenzio.

Il momento peggiore fu quando, nel gettargli uno sguardo furtivo, si rese conto che anche lui aveva fatto lo stesso, e i loro sguardi s’incrociarono.

Si voltarono entrambi di scatto, in imbarazzo.

Merlino, sembravano due innamoratini che non hanno il coraggio di parlarsi!

Invece, lì la situazione era decisamente più grave.

Era a rischio la loro amicizia, i Malandrini.

E Remus non voleva parlargli.

O era lui a non volerlo fare?

Non ci capiva più nulla, cazzo.

 

***

 

Remus iniziò a girare in senso antiorario il distillato, facendo di tutto per non guardare Sirius.

Ora, più che arrabbiato, si sentiva tremendamente a disagio.

Rimaneva in silenzio, in ansia.

Sirius ora lo riteneva un mostro, un pazzo violento, un mannaro dalla natura incontrollabile?

Aveva raccontato della loro rissa –o meglio, del suo attacco- a James e a Peter?

Merlino, magari ora si sarebbero resi conto che non era altro che un mostro. Non l’avrebbero più accettato.

Non James, non Peter.

Né Sirius.

Ah, Godric! Perché Sirius aveva dovuto farlo sentire in quel modo? Perché si era dovuto comportare da idiota, dire a Piton del suo segreto, e farlo arrabbiare a tal punto?

Perché aveva dovuto far affiorare la sua dannata indole da licantropo?

D’altronde, era Sirius ad averlo tradito.

Ma stare accanto a lui, in classe, gli ricordava quella sera, e lo faceva sentire un mostro.

E poi Sirius era stato gentile con lui, quella notte. L’aveva portato in infermeria.

Ma bastava?

Dopotutto, non aveva pensato ad altro che dare una lezione a Piton, sfogarsi della rabbia contro suo fratello, usando lui come strumento, come il lupo da guinzagliare contro chi gli pareva e quando voleva, fregandosene delle conseguenze, ma cazzo, lui gli aveva puntato contro la bacchetta!

E poi, che pretendeva?

Era mostro e veniva trattato da mostro.

No, aspetta. Era tutto sbagliato. Sirius era suo amico, giusto?

Come persona, intendeva.

Forse era il suo destino essere una creatura mostruosa e temuta, ma Sirius aveva sbagliato.

Forse era da ipocriti, ma da lui che gli aveva giurato amicizia, non poteva accettare un comportamento tale.
Ma non riusciva a pensare ad altro a quell’ira tremenda che aveva sentito affiorare in lui quella sera.

La stessa delle notti di luna piena.

Non era stato Sirius a quasi uccidere Piton, o a spaventare James a morte.

Era stato lui. Ed aveva assalito Sirius.

Non sapeva se sentirsi arrabbiato, in colpa, o in imbarazzo.

Era così confuso…

 

***

 

Rimasero in silenzio, senza scambiarsi una parola.

Fu piuttosto difficile, e monotono.

Da un momento all’altro, Sirius si aspettava che Remus tornasse a sorridergli come suo solito, ed offrirgli un pezzo di cioccolata, oppure che lo riprendesse col suo cipiglio severo per la poca attenzione che stava prestando al compito di Luamcorno.

E invece, non accadde nulla.

Rimasero zitti, Remus a finire il distillato, lui a non fare nulla e a sentirsi uno schifo.

Il momento più interessante fu quando sentì Emmeline Vance ridere con benevolo divertimento alla sua destra, per qualcosa che Wormtail, vicino a lei, doveva aver detto o fatto.

Sirius rabbrividì.

Peter che faceva ridere le ragazze era qualcosa di surreale.

E poi, accadde qualcosa di ancor più surreale.

Prima che Lumacorno potesse dire “Cambio”, un “Pof!” si sentì provenire dal centro dell’aula.

Tutti si voltarono in quella direzione, proprio per vedere un mazzo di fiori materializzarsi in aria e cadere in testa a James Potter.

Sirius rise nel sentirlo mugolare, poi con curiosità seguì i suoi movimenti, nello sbiricare tra i bei fiori colorati.

Il ragazzo aveva assunto un’aria sorpresa, e poi pensosa.

<< Signor Potter…? >>

Prongs sembrò riscorsi all’improvviso.

Poi, di fronte all’occhiata inquisitoria di Lumacorno, fece spallucce, si passò una mano fra i capelli e sfoggiò un sorriso smagliante.

<< Che ci vuole fare, professore? Cadono tutte ai miei piedi. >>

 

 

 

***

 

Non appena suonò la campana, le porse i fiori, con uno strano broncio stampato in faccia.

<< Tieni. >> borbottò James Potter, in un umore non proprio amichevole.

Lily sbuffò, esasperata.

<< Non li voglio i tuoi fiori, Potter. >>

<< Non sono miei. >> ribattè lui, stizzito. Tirò fuori il bigliettino allegato al bouquet, mettendoglielo praticamente sotto il naso. << Vedi? Sono indirizzati a te. >>

Lei aggrottò le sopracciglia perplessa.

In effetti, sul foglietto c’era scritto “a Lily Evans” , e allora perché quel decerebrato di Potter aveva…

Oh, certo.

Alzò gli occhi al cielo.

<< Tsè, figurarsi se non coglievi l’occasione per vantarti in pubblico. >> commentò, sarcastica. << Sei pur sempre Pallone Gonfiato Potter. >>

<< Ehi! >> sbottò lui, evidentemente offeso. << Ti faccio presente che ti ho appena salvato da una figuraccia! >>

<< Figuraccia?! >> chiese Lily, a dir poco senza parole.

Merlino, quello era troppo!

Vabbè che Potter era sempre geloso senza alcun diritto di esserlo, ma lì si sfociava nel ridicolo!

Fissò gli occhi verdi nei suoi, irata.

<< Potter, da quando ricevere dei fiori sarebbe una figuraccia? >>

<< Da quando i suddetti fiori sono patetici! >> sbottò Potter, rosso come un peperone –per la rabbia o per l’invida? Chissà.- . Sembrava in difficoltà, e difatti, senza nessun motivo concepibile da mente sana, immerse il suo muso da sbruffone nel mazzo di fiori, riemergendone solo dopo qualche istante. << E puzzano, inoltre! >> aggiunse, come esaltato.

Indispettita, Lily glieli strappò di mano, e li annusò a sua volta.

Ehm…

<< Sono profumatissimi, invece! >> mentì spudoratamente. << Qui l’unico a puzzare sei tu! >>

Potter sgranò gli occhi e spalancò la bocca, idignato. << Non è vero! >>

<< Sì, invece! L’odore di imbecille sbruffone che emani mi da la nausea, sai? >>

Potter apparve sconvolto, per un secondo, ma si ricompose con una velocità strabiliante.

<< Be’. >> disse calmo, con la solita aria arrogante. << Peccato che tu sia l’unica ragazza a pensarlo. E anche l’unica a non volere uscire con me. Quindi, per rimediare… >>

<< Fermati lì, Potter. >> sbuffò Lily, indispettita. << Preferirei accoppiarmi con uno Snaso, piuttosto che uscire con te. >>

Il ragazzo piegò la bocca in una buffa –o meglio, ridicola- smorfia di dispiacere: << Ehi, gli Snasi sono carini, in fondo. >>

<< Non è questo il punto, Potter. >>

<< Il punto, Lily Evans… >> iniziò lui, con uno strano sorriso sul viso. Uao, quel ragazzo aveva la capacità di cambiare espressione in un millesimo di secondo. << Il punto è che non sei ancora uscita nemmeno col tuo ammiratore. Ed è inutile che lo neghi. >>

Lily ammutolì, di scatto, arrossendo.

Come lo sapeva?

A quella domanda, nella sua testa si materializzò un piccolo James Potter, sorridere col suo fare arrogante e giocherellando con un boccino d’oro in un modo ancor più arrogante, e dirle “ho provato a indovinare, ovviamente.”

Be’, conoscendo il tipo e la sua sciocca ed irritante spavalderia, probabilmente era vero.

<< Oh, ma non neghi neppure! >>

Lily lo fulminò con lo sguardo, e sperò che per qualche assurdo motivo un mattone gli cadesse in testa e ponesse fine alla sua fastidiosa esistenza.

<< Potter, non sono affari tuoi. >> sbottò, seccata. << Addio. >> e si voltò, pronta ad allontanarsi.

La voce stupidamente pimpante di quel rompiscatole non mancò di levarsi alle sue spalle.

<< Allora ho ragione! >> esclamò il ragazzo, saltellando verso di lei. << Non ci sei uscita! E sai perché non ci sei uscita? >>

<< Se mi stai per dire che è perché in realtà amo solo te, Potter… >> sbuffò la prefetto, senza nemmeno voltarsi a guardarlo, << puoi condirti la testa di sale, perché ho intenzione di farti a pezzi e darti in pasto ad uno squame di doxie famelici. >>

Potter rise.

<< Evans, sei macabra. >> commentò, divertito. << E comunque no, non è quella la risposta. Non hai accettato di vederlo perché non sei una facile, e non ti concedi al primo che capita. E’ una delle cose che mi piacciono di te. >>

E’

Una

Delle cose

Che mi piacciono

Di te.

Che mi piacciono di te.

Lily avvampò.

E si maledisse proprio per questo motivo.

Si fermò di scatto e, meccanicamente, ruotò il capo verso di lui, guardinga.

<< Mi prendi in giro, Potter? >>

Il Grifondoro sorrise: << Ovvio, Evans. In realtà sei solo una prefettina secchiona che fa la sostenuta. Ma ti perdono. Vuoi uscire con me? >>

In meno di un secondo, James Potter si ritrovò con un mazzo di fiori in testa.

E Lily Evans, invece, si allontonò di corsa, cercando di essere e mostrarsi arrabbiata.

Ciò che più la turbava, però, era il rossore che non accennava ad andarsene dalla sue guancie in fiamme.

 

 

 

 

 

 

 

 

Personaggi incontrati finora:

 

 

  • James Potter: quinto anno, Grifondoro, detto Prongs (Ramoso). Cercatore della squadra di Quidditch.
  • Lily Evans: quinto anno, Grifondoro. Prefetto.
  • Sirius Orion Black: quinto anno, Grifondoro, detto Padfoot (Felpato). Battitore della squadra di Quidditch.
  • Remus John Lupin: quinto anno, Grifondoro, detto Moony (Lunastorta). Prefetto.
  • Peter Minus: quinto anno, Grifondoro, detto Wormtail (Codaliscia).
  • Alice Smith: quinto anno, Grifondoro. Cacciatrice della squadra di Quidditch. Fidanzata con Frank Paciock.
  • Mary MacDonald: quinto anno, Grifondoro.
  • Amy: quinto anno, Grifondoro. Ritirata.
  • Dorcas Meadowes: sesto anno, Grifondoro. Amica di Mary.

 

  • Lucy Garrett: Magonò, amica di infanzia di Remus.

 

  • Severus Piton: quinto anno, Serpeverde.
  • Aaron Mulciber: quinto anno, Serpeverde. Artefice dello scherzo a Mary MacDonald.
  • Fabian Avery: quinto anno, Serpeverde. Artefice dello scherzo a Mary MacDonald.
  • Regulus Black: terzo anno, Serpeverde.
  • Narcissa Black: sesto anno, Serpeverde. Prefetto. Promessa a Lucius Malfoy.
  • Bellatrix Black: settimo anno, Serpeverde. Promessa a Rodolphus Lestrange.
  • Lucius Malfoy: settimo anno, Serpeverde. Caposcuola.
  • Rodolphus Lestrange: sesto anno, Serpeverde.
  • Rabastan Lestrange: quinto anno, Serpeverde. Prefetto.
  • Rosier: settimo anno, Serpeverde. Caposcuola.

 

  • Andromeda Black: diciassette anni, ha lasciato la scuola. Sposata con Ted Tonks.

 

  • Frank Paciock: quinto anno, Tassorosso.
  • Caradoc Dearborn: quinto anno, Tassorosso. Battitore della squadra di Quidditch.
  • Marlene McKinnon: sesto anno, Tassorosso.

 

 

  • Emmeline Vance: quinto anno, Corvonero. Prefetto. In buoni rapporti con Peter Minus.
  • Gabriel McKinnon: quinto anno, Corvonero.

 

 

Oh, ma i Black sono tipo i Weasley in Grifondoro! C'è l'invasione, in Serpeverde!

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Capitolo 16
*** Quando dal brutto si ricava qualcosa di buono ***


CAPITOLO 16

 Quando dal brutto si ricava qualcosa di buono.

 

 

James aveva sempre trovato faticoso e degradante sedere sugli enormi sgabelli attorno al tavolo nella capanna di Hagrid.

Non era mai stato particolarmente alto, e rimanere come uno stoccafisso con le gambe penzoloni davanti ad una gigantesca tazzina da tè lo faceva davvero sentire uno stupido nano.

Però, la compagnia di Hagrid era confortante.

Lui e i Malandrini gli stavano dietro fin dal febbraio del primo anno, quando avevano dovuto scontare una punizione nella Foresta Proibita.

Da allora, James aveva nutrito un’insolita simpatia per il guardiacaccia.

Era una brava persona, con sempre qualcosa di interessante e stravagante da mostrargli, e sapeva ascoltarlo, quando ce ne era di bisogno.

Come in quel momento, per esempio.

Hagrid, pensieroso, inzuppò un biscotto nella propria tazza.

Il fuoco scoppiettava nel camino, illuminando tenuamente la stanza.

<< I litigi sono sempre brutti. >> borbottò l’uomo, cupo. << Mi dispiace che avete litigato. >>

James sospirò.

<< In questo momento, si tratta solo di Sirius e Remus. >> spiegò, passandosi una mano tra i capelli. << Anzi, soltanto di Remus. Sirius cerca solo di farsi perdonare. >> continuò, mesto.

Era una situazione difficile, e lui non poteva che sentirsi impotente.

Aveva scusato Sirius, ma solo perché non era direttamente coinvolto nella faccenda, e perché, Merlino, lo conosceva meglio del suo manico di scopa.

Felpato non avrebbe mai mandato Piton a morire.

Piuttosto, come suo solito, si era dimenticato di consultare i neuroni che aveva in quella testaccia ed aveva agito da idiota.

Non poteva biasimare Remus per la sua rabbia.

Ma, al contempo, sperava ardentemente che riuscisse a perdonarlo, così sarebbe tornato tutto come sempre.

Loro, sarebbero tornati quelli di sempre.

Sospirò, mesto.

Il guardiacaccia aggrottò le sopracciglia, scrutandolo con gli occhi scuri. << Io e i professori sappiamo tutti quello che è successo al Platano. Non è che Sirius ci centra qualcosa? >>

James s’irrigidì, incerto.

<< Mmmmno. Buoni i biscotti. >> mentì poi spudoratamente, cercando di sviare il discorso.

Hagrid era un mito, e gli erano tutti affezionati, ma non voleva essere lui a rivelargli quanto era stato stupido Padfoot.

Anzi, forse sarebbe stato meglio se non l’avesse mai saputo nessuno.

Sospirò, di nuovo.

Tra poco non avrebbe avuto più un soffio d’aria da buttare fuori.

S’accasciò con la fronte sul tavolo, con un sonoro toc.

Chiuse gli occhi, abbattuto.

Perché non potevano essere tutti felici e contenti come lui?

Perché soltanto lui aveva la fortuna di una vita spensierata mentre tutti i suoi amici sembravano avere un motivo od un altro per deprimersi?

La voce di Hagrid lo raggiunse, di fronte a lui.

<< Non è che a me mi hai convinto così tanto, eh. >>

James sospirò.

Ancora.

<< Fidati di me, Hagrid. >> borbottò, tetro. << I biscotti non sono così male. >>

<< Non parlavo di questo, io… >>

<< E’ permesso? >>

Il ragazzo sobbalzò e si rizzò a sedere, non appena udì quella voce così familiare.

Sporgendosi dalla porta semi aperta, Lily Evans spostò gli occhi verdi verso di lui, spalancandoli con sorpresa.

<< Potter! Che ci fai qui?! >> domandò, avvampando di… rabbia?

James aggrottò le sopracciglia.

E, in un attimo, gli tornò in mente la terribilissima lettera. E i fiori.

Arrossì, passando sulla difensiva.

<< Datti una calmata, Evans. >> sbottò, sebbene rosso come un peperone. << Non sei tu a dovermi dire dove stare. >>

La prefetto, per tutta risposta, assunse un’espressione infuriata, entrò a gran passi nella capanna e lo tirò per un orecchio.

<< Ehi! Ahi! >>

<< Scusami, Hagrid. >> disse la ragazza, trascinando il Grifondoro verso la porta. << Ma a quanto pare James Potter ha appena deciso di farci perdere la prossima partita. >>

<< Ma di che stai parlando? >> gemette il giovane, cercando di liberarsi. Ma Evans teneva il lobo del suo orecchio artigliato tra l’indice e il pollice, e diamine se sapeva essere forzuta, quella ragazza. << Merlino, Evans. Ti amo, ma hai la grazia di un troll. >>

Di risposta, lei tirò più forte. << Almeno io non sono una lavativa! >>

<< Si può sapere a cosa ti riferisci? Se è ancora per i capelli… >>

<< Ma che capelli! >> sbottò la Grifondoro, lasciandolo finalmente andare. << Parlo dell’allenamento che hai liberamente deciso di saltare! >>

James piegò il capo di lato, guardandola, confuso.

<< Abbiamo allenamento? >> domandò, incerto. Poi, l’illuminazione. << Godric, abbiamo allenamento! >>

<< Te l’ho appena detto. >> sbuffò Evans, incrociando le braccia. << Più o meno. >>

Hagrid li guardò, sorridendo.

<< Non sapevo che foste amici. >>

<< Non lo siamo! >> replicarono i due, all’unisono.

Al che, James, che al contrario della ragazza –che appariva piuttosto indignata dalle parole di Hagrid-, aveva assunto un’espressione felice nel rispondere al guardiacaccia, si voltò verso la prefetto, portandosi le mani al cuore e fingendo un’aria trasognata.

<< Oh, Evans! >> esclamò, commosso. << Finalmente l’hai capito! >>

La ragazza aggrottò le sopracciglia: << Che cosa, brutto idiota? >> domandò, brusca.

<< Che la nostra non è amicizia, è Amore! >>

Evans lo guardò malissimo.

<< Non ti uccido solo perché sei l’unico che può acchiappare quel boccino. >>

James sorrise, malandrino: << Vedi? La tua devozione è tale da riporre in me tutte le tue speranze. >> disse, continuando la farsa. Evans sollevò gli occhi al cielo, esasperata.

<< Semplicemente, Potter. >> iniziò, sospirando. << Vorrei che non venissi meno all’unico motivo utile per cui sei al mondo. >>

<< Ossia? >> domandò James, allusivo. << Riempirti di bacini e carezze? >>

<< Io sono ancora qui. >> fece notare Hagrid. << Vuoi del tè, Lily? >>

<< OSSIA FARCI VINCERE LA COPPA DI QUIDDITCH, POTTER. >> rispose intanto Evans al Grifondoro, avvampando. << Comunque, sì, grazie, Hagrid. Sono biscotti al cioccolato, quelli? >> domandò poi, rivolgendosi cordialmente al guardiacaccia.

James deglutì, prevedendo l’arrivo della catastrofe.

Senza pensarci due volte, afferrò Evans per un braccio proprio mentre questa si avvicinava al tavolo.

<< Ehi! >>

<< Evans, mi sono scordato dov’è il campo di Quidditch, accompagnami! Ciao Hagrid! >>

 

***

 

<< Ciao Hagrid! >> esclamò quel cretino di Potter, senza darle il tempo di fare o dire nulla, trascinadola fuori dalla capanna e sbattendo la porta alle loro spalle.

Lily si liberò dalla sua presa, sbuffando.

<< Potter, hai dato i tuoi ultimi neuroni in pasto ad un ippogrifo, per caso? >>

Potter aggrottò le sopracciglia, guardandola perplesso.

Tsè.

Come se lì fosse lei quella da squadrare con scetticismo.

<< … No, Evans. >> rispose, inquietato. << Hai uno strano modo di dire le cose, sai? >>

<< E tu di comportarti. >> replicò la ragazza, portando le mani ai fianchi. << Si può sapere che ti è preso? >>

Potter assunse una di quelle sue stupide - e decisamente fuori luogo – espressioni solenni. Come se qualsiasi lettera uscisse dalla sua bocca fosse di fondamentale importanza.

<< Ti ho appena salvato la vita, mia amata e poco delicata fanciulla dall’insolita ironia. >>

<< … Ovvio. >> replicò lei, ironica. << Quelle tazzine da tè avevano davvero un’aria minacciosa. >>

Potter scosse la testa: << Loro no, ma i biscotti di Hagrid sì. Sono disgustosi, te l’assicuro. >>

<< Esagerato. >>

<< Per nulla. >> commentò il ragazzo. << Sono una delle cose peggiori che io abbia mai assaggiato. I miei biscotti, invece, quelli sì che sono squisiti. >> continuò, con aria orgogliosa. Poi sembrò pensare a qualcosa, e la guarda di sottecchi: << Peccato che tu li abbia gettati per terra. >>

L’aria si fece improvvisamente tesa.

Entrambi ricordarono il momento del loro litigio, le parole usate, le cause della rabbia, gli insulti e l’ira.

Calò un silenzio piuttosto pesante.

Lily guardò il Grifondoro, e pensò.

Pensò a chi era veramente, non il ragazzo gentile che le impediva di mangiare biscotti pessimi, ma quello che gettava pozioni sulla testa di Severus, che passava il tempo a vantarsi e che l’accusava di essere invidiosa di lui.

Perché lui era James Potter, per Godric, come non lo si poteva invidiare?

E soprattutto, come lo si poteva accusare di qualsiasi cosa? Erano gli altri che meritavano di essere maltrattati e derisi, non lui che si divertiva a schernire chiunque non gli andasse a genio, giusto?

Ok, era stata più gentile perché lo aveva visto giù e le aveva fatto pena, ma non ciò non voleva dire che fosse tutto passato.

<< E’ vero, non li ho accettati. >> disse la prefetto, seria. Sollevò lo sguardo verso di lui. << Ma sai, Potter, non ho dimenticato il motivo per cui l’ho fatto. >>

Vide Potter incupirsi all’improvviso.

Sul suo viso si leggevano tristezza e rabbia.

<< Hai insultato Sirius. >> constatò, serio.

<< E tu Severus. >>

Potter distolse lo sguardo, infastidito, incrociando le braccia davanti al petto. << Perché si finisce sempre col parlare di Mocciosus? >>

<< Piuttosto, perché ti accanisci tanto contro di lui? >> sbottò lei, irritata. Detestava che Potter facesse la vittima, proprio lui che dalla vita aveva avuto tutto. << Non ti ha fatto nulla di male, eppure sembra che tu lo odi. >>

<< Ma se gli ho salvato la vita! >> sbuffò Potter, in uno scatto di esasperazione. Subito dopo, però, impallidì, portandosi una mano davanti alla bocca, come a tapparsela.

Lily, dopo l’iniziale stupore, assottigliò lo sguardo, perplessa.

<< Cosa intendi dire? >> domandò, sospettosa.

In difficoltà, Potter volse il capo. << Nulla. >> replicò sbrigativo.

<< Potter… >>

<< Niente, ti dico. >> rispose lui, sempre evitando il suo sguardo. << Si era infilato sotto il Platano e io gli ho dato una mano ad uscire. Nient’altro. >>

Lily impallidì.

Il Platano Picchiatore.

Conosceva bene quell’albero, ma si diceva che da qualche anno lì sotto avesse trovato dimora un’orribile creatura.

<< E… >> iniziò, timorosa. << Cosa ci faceva lì Severus? >>

Potter fece spallucce: << Lo chiedi a me? >>

“Certo.” pensò Lily, inquieta, “Si vede benissimo che sai più di quel che dici.”

Tuttavia, non disse nulla.

Rimasero entrambi in silenzio, evitando lo sguardo dell’altro.

Lily era pensosa.

Non sapeva se credere o meno alle parole di Potter né, in caso non mentisse, capiva quale fosse il significato di ciò che aveva detto.

Cos’era successo?

Perché Severus si era recato al Platano?

Che c’entrassero qualcosa Avery e Mulciber?

O la colpa era dei Malandrini?

Non sapeva più cosa pensare.

Da chi doveva difendere Sev?

Dagli scherzi di Potter e i suoi amici o dalla cattiva ed inquietante influenza di alcuni dei suoi compagni Serpeverde?

Sospirò, scuotendo la testa.

<< Senti, io devo comunque dare una cosa ad Hagrid. >> disse, stanca, << Quindi va pure al campo senza di me. >>

<< Cos’è che devi dare ad Hagrid? >>

<< Croccantini babbani per cani. >> rispose lei, sventolando una bustina gialla uscita dalla borsa.

 

 

***

Alice si stava sfilando lo stivale destro da gioco quando un rumore sospetto attirò la sua attenzione.

Sussultò, guardandosi attorno.

A parte lei, lo spogliatoio era deserto, le altre ragazze se ne erano già andate.

Tutto era in ordine: le panche disposte lungo tre delle quattro pareti, sovrastate da lunghe file di armadietti; la porta chiusa e nessuna finestra aperta che potesse sbattere per via del vento.

Eppure, eccolo di nuovo quel rumore, proveniente dalla piccola anticamera rivestita di mattonelle bianche che portava alle docce.

Un rumore sordo, e poi un fruscio più confuso e prolungato.

Come qualcosa o qualcuno che cerca di introfularsi.

Dimentica di essere una strega ed avvezza alle maniere forti, Alice impugnò lo stivale con entrambe le mani, incammiandosi cautamente verso le docce.

Era piccola come un gnomo, era vero, ma la scarpa era moderatamente pesante, e lei se la cavava bene sia come cacciatrice che come battitrice.

Quell’umile arma improvvisata sarebbe stata sufficiente a stendere quel decelebrato perverso che cercava di infilarsi di nascosto nello spogliatoio femminile.

… Di nascosto, poi, era una parola grossa.

Quel brutto maniaco aveva la furtività di un troll su un paio di pattini a rotelle e con un drago in testa.

Un tonfo e uno sciacquettio le fecero intuire che l’intruso era appena atterrato sul pavimento inumidito delle docce. Doveva essersi calato dalla finestra in alto.

Alice serrò i denti, agguerrita, più Grifondoro che mai.

“ Hai scelto il giorno sbagliato per dare sfogo alle tue perversioni, amico.“ pensò la ragazza, avanzando.

Non aveva paura.

Fece l’ultimo passo avanti, pronta a colpire, e…

<< Aaah! >>

<< Frank! >> urlò lei, nello slancio. << Scusa! >> aggiunse dato che, essendosi accorto troppo tardi dell’identità del ragazzo, non era riuscita a fermarsi in tempo, e gli aveva stampato lo stivale sul naso.

Frank indietreggiò, sofferente, massaggiandosi il naso dolorante.

<< La tua forza da maschiaccio mi sorprende ogni giorno di più. >> disse dopo qualche istante, calmo. << Dovrò pagare qualche scienziato per capire come sia possibile nascondere questa forza bruta in centocinquanta centimetri d’altezza. >>

<< Centocinquanta più uno, prego. >> replicò lei, arrossendo. << E smettila di prendermi in giro, o ti picchio un’altra volta. >>

Frank sorrise, con quell’espressione da orsacchiotto gigante che le piaceva tanto.

Si chinò su di lei.

<< Chiedo pietà. >> disse, scoccandole un bacio sulla guancia.

Alice si portò una mano sul viso, arrossendo e sorridendo al contempo.

Frank riusciva sempre a farle quel piacevole effetto.

Amava come l’addolcisse, in un certo senso… Come la facesse sentire meno brusca e sulla difensiva.

L’ “Alice femmina e vulnerabile” che così raramente mostrava al resto del mondo emergeva in sua presenza con estrema spontaneità.

Era anche per questo che Frank le piaceva.

Perché riusciva a mostrare quella parte di sé che di solito nascondeva con vergogna e timore.

<< Supplica accolta. >> disse lei, serena, prendendolo per una mano e portandolo con sé verso l’altra ala dello spogliatoio. Si sedettero su una delle panche.

<< Uhm, romantico. >> esclamò lui, dandosi un’occhiata attorno.

Alice annuì con aria solenne, seguendo il suo sguardo.

<< Lo so. >> disse, seria. << Mi verrebbe da strapparti tutti i vestiti di dosso, seduta stante. >>

<< E’ questo quello che intendi per “romantico”? Sei propria una pervertita! >>

Un pugno si abbatte sul braccio del ragazzo.

Frank gemette, pur ridendo, mentre Alice, inginocchiata sulla panca, si sporgeva verso di lui, puntandogli il dito sul petto.

<< Senti un po’, io sono una signora! >> sbottò, ridendo. << e sei tu quello che si è introfulato nello spogliatoio femminile! >>

Frank la guardò per un istante, abbozzando un timido sorriso.

<< Hai ragione. Ma a mia discolpa dico che era solo per portarti questo. >> esclamò lui, estraendo una scatola rossa dalla mantella. Alice la prese tra le mani e, pur avendo già intuito di cosa si trattasse, sollevò il coperchio per darvi una sbirciata all’interno.

<< Dolcetti al pistacchio. >> constatò, con un sorriso. << Grazie. >>

<< Sono i tuoi preferiti, no? >>

Alice arrossì. Frequentava Frank nemmeno da un mese, eppure le sembrava che la conoscesse benissimo. Era una bella sensazione.

Finalmente, un ragazzo che ricordava ciò che diceva, anche quando tali argomenti non riguardavano infallibili strategie di Quidditch.

Sorrise, scuotendo il capo.

Si sentiva una di quelle ragazzine iper romantiche che vedono il mondo in rosa, e se ciò da una parte contraddiceva la sua solita personalità, dall’altra non le importava.

Frank le piaceva davvero tanto.

Prese uno dei dolcetti dallo scatolo e lo porse al ragazzo.

<< Per scusarmi della botta di poco fa. >> disse, con un sorriso.

Poi ne mangiò una a sua volta.

<< Posso sapere il perché di questo regalo? >> domandò poi, curiosa. << Non è San Valentino, e ti ricordo che il mio compleanno è a Giugno. >>

Frank fece spallucce: << Non posso farti un pensierino senza un motivo preciso? >>

Lei lo guardò di sottecchi.

<< Frank… >>

<< Ok, ok, abbassa quel pugno. >> esclamò il Tassorosso, sollevando le mani in segno di resa. << E’ che ultimamente ti ho vista un po’ triste. >>

Alice sobbalzò, presa alla sprovvista.

Esitò.

<< Io non sono triste. >> replicò, forse troppo frettolosamente. Questa volta, infatti, fu il turno di Frank di inarcare un sopracciglio, ironico.

<< Di solito sei più brava a mentire, sai? >>

Alice sbuffò, incrociando le braccia e guardandolo malissimo: << Mi hai appena dato della bugiarda, te ne sei accorto? >>

<< Alì. >> la interruppe lui, poggiandole una mano sulla spalla. << Dai. >>

Fu un semplice, dolcissimo incoraggiamento.

Alice si sentì lievemente arrossire, ma non era quella la sua preoccupazione, in quel momento.

Chinò il capo, con un sospiro.

Frank la metteva a suo agio, ma parlargli di quello era comunque complicato.

Alice non era mai stata una da confidenze. Tendeva a farsi gli affari suoi, e a non condividerei propri con nessuno.

Sollevò lo sguardo verso Frank.

Frank che l’ascoltava, la capiva.

<< Hai presente quel che è successo a Mary MacDonald? >> domandò, e lui annuì silenziosamente. Alice continuò, con un sospiro: << Ecco, so che la colpa è di quei cretini che l’hanno assalita, è che non devo sentirmi responsabile, ma… >> fece una pausa, sofferente. Era un argomento delicato, per lei. << Ma non posso non pensare che sia avvenuto in parte anche a causa mia. >>

Frank rimase in silenzio per qualche attimo.

Poi le posò una mano sulla spalla, sorridendole con dolcezza: << Alice, tu non c’entri nul..- >>

<< Sì che c’entro! >> esclamò lei, con veemenza inaspettata. All’improvviso, sentiva che tutte le emozioni serbate fino a quel momento lottassero per venire fuori con estrema prepotenza. Un turbinio di sentimenti che si scaraventava fuori precipitosamente, insieme a quelle dannate lacrime che le pizzicavano gli angoli degli occhi, e che avrebbe tanto voluto trattenere, perché la facevano sentire stupida, fragile. << Le ho risposto malissimo, l’ho offesa, ed è per questo che è uscita dalla Sala Comune! Se non fossi stata la solita sgarbata e prepotente Alice, forse sarebbe rimasta a leggersi quelle sue sciocche riviste, e non le sarebbe accaduto nulla! >>

Stava piangendo.

Merlino, quanto era patetica!

Odiava farsi vedere in quello stato. Voleva essere forte, sempre, perchè i deboli soccombono.

Era successo a suo padre, così gentile, buono, ucciso per non fare del male a sua volta.

Stava tuttora accadendo a sua madre, sull’orlo di un baratro scuro, di una depressione impregnata di solitudine e disperazione.

A lei non sarebbe successo nulla di tutto ciò.

Era di roccia, glielo dicevano tutti. Una vera dura, un maschiaccio.

… Eppure, eccola lì, a piangere come una bambina, con l’unico desiderio che il suo ragazzo la stringesse fra le braccia, accarezzandole impacciato la testa in quel modo che sapeva un po’ da cagnolino ma che era tanto buffo e dolce.

E difatti, Frank l’avvicinò a sé, ma non l’abbracciò. La prese per le spalle, e la fissò negli occhi, deciso.

<< Alice. >> iniziò, risoluto. << Mary appartiene ad una famiglia di Auror, e sai quanti figli di Mangiamorte ci sono a scuola. Probabilmente, se non quella sera, l’avrebbero aggredita comunque un’altra sera. >>

Alice sollevò gli occhi lucidi su di lui.

<< Ma… >>

<< Niente ma. Sei troppo sveglia per non capire che la colpa non è tua. >> continuò il ragazzo, deciso. I suoi occhi, specchio di convinzione, amore e risolutezza, erano fissi nei suoi. << Anzi, l’Alice che conosco io al massimo si sarebbe data una mossa per prendere a calci nel sedere i veri colpevoli. >>

La Grifondoro distolse lo sguardo, sbuffando.

<< Già. L’Alice cattiva e prepotente. >> borbottò con amarezza, imbronciata. Frank le prese il volto tra le sue grandi mani, con delicatezza la spinse a guardarlo in faccia.

Le sorrise.

<< No, io parlo dell’Alice coraggiosa e risoluta, che non si fa mettere i piedi in testa da nessuno. >> disse, sereno. << Parlo dell’Alice che amo. >>

Amo.

Alice si sentì avvampare.

La sua bocca si spalancò leggermente, e ben presto si ritrovò a fissare Frank con una faccia da folletto stecchito.

Il Tassorosso, vedendo la sua espressione, dovette rendersi conto di ciò che aveva appena detto. Arrossì a sua volta, e in misura decisamente maggiore.

Con uno scatto improvviso e impacciato, allontanò le mani dal suo volto, e chinò il capo, rosso come un peperone.

<< Scusami, mi sono lasciato trasportare. So che è ancora presto ma stavi piangendo e il discorso mi stava uscendo bene e mi sono gasato, e poi lo penso davvero che sei fantastica. >> chiuse gli occhi, imbarazzatissimo. Se una scopa gli fosse caduta in testa uccidendolo sul colpo, sarebbe stato il morto più felice del mondo.

Alice lo guardava, ancora stupita.

Frank ripensò alle sue parole.

… Aaah, quanto era sciocco!

Si erano messi assieme da neanche un mese, sebbene fossero discretamente in buoni rapporti dall’anno precedente.

Inspirò a fondo.

<< Senti, fa’ finta che non abbia detto nulla, ok? Cioè, non nulla. Quelle cose sul fatto di non sentirti in colpa va bene, ma quella parola… quell’amo… Insomma, io… >>

<< Frank. >>

La voce di Alice, ferma ma dolce, interruppe il suo futile flusso di parole.

Il ragazzo aprì gli occhi, incontrando quelli inteneriti della ragazza.

Lei posò la mano sulla sua, sorridendogli.

<< Frank. >> ripetè, dolce. << Va bene così. >>

Il giovane la fissò per qualche istante, sorpreso.

Alice guardò la sua espressione ridicola, e rise, strizzando gli occhi in quel modo particolare che Frank trovava adorabile.

<< Almeno chiudi quella bocca! >> esclamò, divertita, infilandogli uno dei dolcetti al pistacchio in bocca.

Il Tassorosso per un attimo rischiò di affogarsi. Poi ingoiò il dolcetto, e rise a sua volta.

Certo, forse era ancora presto.

Ma Alice aveva ragione: per ora, andava bene così.

E, sicuramente, quello era senz’altro un buonissimo inizio.

 

 

***

 

Quando James vide Alice uscire dallo spogliaotoio mano nella mano con un gigantesco ragazzo biondo, per poco non iniziò ad urlare.

… Anzi, a dire il vero, urlò senz’altro.

<< E’ il gigante biondo e buono di cui parlava Mary! >> strillò, voltandosi verso una Evans più perplessa che mai. << Potrebbe distrarla dal gioco! Anzi, lo farà! Dobbiamo sabotare la loro relazione, Evans, ATTACCA! >>

Lei lo guardò nell’unico modo in cui si può guardare uno schizzoide che grida a sproposito saltellando ed agitando le braccia come un forsennato.

Ossia, con un’occhiata decisamente scettica.

<< Potter… >> iniziò, lentamente. Forse, così, quel ritardato sarebbe riuscita ad afferrare almeno metà delle sue parole. << Non che mi importi particolarmente, ma cosa intendi con “attacca”? >>

<< Strappati la camicia di dosso e prostrati nuda ai piedi di quell’uomo! Alice s’ingelosirà e lo lascerà! >> urlò, isterico. << E non preoccuparti Evans, il piano funzionerà, anche sei tu tette non ne hai! >>

Il calcio della prefetto alla gamba destra gli arrivò contemporaneamente al colpo di scopa di Alice in testa.

<< Ehi! >> esclamò, profondamente offeso, sorpreso più del tradimento di Alice che dalla violenza della sempre ingiusta Evans. Difatti, portandosi le mani alla zona lesa, rivolse alla bruna uno dei suoi sguardi più coccoli che potesse sfoderare.

Il risultato fu piuttosto orribile, tanto che Alice si ritrasse indietro, disgustata.

James notò che anche quel biondoso armadio umanoide fece una faccia un tantino spaventata, e non ne comprese il motivo.

<< Alì, credo che tu gli abbia distrutto i nervi facciali. >> disse Mr Grattacielo.

<< Mi sa di sì, tesoro. >>

<< Non temete. >> s’intromise Evans, alle sue spalle, calma. << e’ così sgorbio di suo. >>

<< Ferito a morte dalla cacciatrice della mia squadra! >> si lagnò intanto James, sentendosi tagliato fuori dalla discussione di cui, difatti, rappresentava il principale ed unico argomento. << Dolore! >>

Alice scosse il capo, tranquilla.

<< In realtà, la forza del colpo era calibrata in modo da non ucciderti ma di farti stare zitto. Anche se speravo in un coma. >>

<< Oh, sì, il tempo è davvero magnifico, Alice. >> replicò lui, emulando la medesima, inappropriata, calma noncuranza della ragazza, congiungendo le mani e sbattendo le ciglia verso il cielo nuvoloso. Un moscerino si schiantò sulle lenti dei suoi occhiali, e lui si piegò in due, gemendo, accecato da quel terribile animale.

… Anche se si era spiaccicato sulle lenti, non sull’occhio.

<< Ma ha qualche problema? >> domandò la voce bionda dell’omino biondo, circospetta.

Ancora una volta, fu la bellissima e crudele Evans a rispondere: << Più di quelli che sembrano. >>

<< Evans! >> esclamò dunque Prongs, raddrizzandosi. << Non essere così cattiva! >>

<< Ti meriti questo ed altro, Jamie. >> decretò Alice, inaspettatamente.

Ramoso si voltò verso di lei, sconvolto.

La bruna lo ignorò: << Ho sentito i tuoi piani malefici, sai? >>

<< Ah! Dici davvero? >>

<< Li hai urlati a gran voce. >> aggiunse Evans, accanto a lui. << Con quella tua stridula voce da gallina che hai quando sei isterico. >>

<< Oh, Evans! Ricordi che tutti i miei tipi di voce? >>

La rossa aggrottò le sopracciglia. << Dovresti esercitarti a smetterla di estrapolare significati assurdi da quello che la gente dice, sai? >>

<< Non sono significati assurdi! >> protestò lui, indignato.

Pensò ad Alice e il suo ragazzo mano nella mano, pensò ad Evans, ed un brutto ricordo gli sovvenne alla mente.

La prefetto lo vide distogliere lo sguardo e mettere su un broncio… be’, sì, abbastanza carino, con aria mortalmente offesa.

Sospirò, indispettita.

<< Avanti, Potter, che ti prende? >>

<< Niente. >> sbuffò lui, passandosi una mano tra i capelli. << Pensavo soltanto che devi esserti divertita molto, al tuo appuntamento in guferia. >>

<< PREGO? >> domandò Alice, sbigottita, e sembrava quasi che le sarebbe caduta la mandibola a terra da un momento all’altro.

Evans avvampò, diventando più rossa dei suoi capelli.

<< Po-Potter! Questi non sono affari tuoi! >> sbottò, incrociando le braccia davanti al petto.

<< POSSO SAPERE DI CHE SI PARLA, LILS? >>

<< Figurati se me ne importa qualcosa. >> borbottò James, distogliendo lo sguardo. << Ho altro a cui pensare, io. >>

E, in effetti, era vero.

La situazione tra Sirius e Remus era disastrosa, e la terribile prospettiva della fine dei Malandrini tormentava i suoi beati sonni in sala comune a pancia all’aria sul divano.

Cos’era lui, senza i Malandrini?

… Ok, rimaneva comunque il grande e simpaticissimo e brillante James Potter, però i Malandrini lo completavano, in un certo senso.

Quel periodo d’incertezza e litigi era tremendo.

Eppure, eccola lì.

Lily Evans, che riusciva sempre a guadagnarsi un posticino nella sua mente.

<< Alì, te lo racconto dopo, ok? >> sospirò la prefetto, scuotendo il capo.

Com’era carina, la sua Lily, quando sembrava disperata e in procinto di un esaurimento nervoso, pensò James.

<< Come vuoi. >> commentò Alice, sospettosa. Poi sorrise. << Comunque, lui è Frank. Ma vi conoscete già, no? >>

<< Certo, siamo tutti del quinto. >> rise Evans, stringendo in ogni caso la mano al Tassorosso.

James li guardò, inorridito.

<< Passi anche tu al lato oscuro, mia amata? >>

<< Oh, ma sta’ zitto, Potter. >> sbuffò la ragazza, alzando gli occhi al cielo. << Frank non è nemmeno nella squadra. >>

<< Ah no? >> domandò lui, squadrandolo con sospetto.

A debita distanza, ovviamente, meglio rimanere in guardia.

<< No. >> esclamò Frank Gigantemente Paciock, scuotendo il capo con decisione. << E’ voglio che la mia Alice dia il meglio di sé, in campo. >>

<< Sì? >>

<< Ovvio. Noi Tassorosso le bugie non le diciamo, no? >> continuò il ragazzo, solenne. Alice annuì con fervore e, indicandolo, si rivolse verso James, bisbigliando: << Lealtà al 100%, giusto? >>

James sospirò, scuotendo il capo.

Ahi ahi.

<< Voi giovani siete irrecuperabili. >> disse, con l’aria di un vecchio stanco << Avete il mio permesso. E la mia benedizione. >>

<< Ne avevamo bisogno? >> domandò Frank ad Alice, perplesso. La ragazza gli fece segno di rimanere in silenzio.

<< Lascialo fare. >> aggiunse << O ci darà il tormento per sempre. >>

James concluse il tutto dando una pacca sulla spalla ad entrambi. Con Frank fu piuttosto difficile, e dopo vari tentativi di alzarsi sulle punte per raggiungergli la spalla, decise che anche una stretta di mano sarebbe andata bene.

Poi, fece loro l’occhiolino, con uno dei sorrisi birbanti firmati Potter.

<< Non vi darò più fastidio, non temete. >>

Lily sospirò.

“Se solo fosse così facile anche per me, liberarsi di lui.”

 

 

 ***

 

<< Ohi, Piton. Come ti va la vita? >>

Severus, mani in tasca, guardò serio Mulciber, il quale, scopa alla mano nell’aula inusata di Trasfigurazione, lo scrutava con inspiegabile sarcasmo.

Il Serpeverde spostò poi lo sguardo sull’altro ragazzo, intento a pulire i vetri dell’aula alla babbana, ossia semplicemente con uno straccio.

A Severus tornò in mente suo padre, e di come costringesse sua madre a sistemare il porcile che lui lasciava per casa senza usare la magia.

A suo padre, la magia faceva ribrezzo.

<< Starete in punizione per tutto l’anno? >> domandò, seppur immaginando la risposta.

Avery, dal fondo dell’aula, fece spallucce –se spallucce potevano definirsi le sue, ovviamente.-: << A quanto pare, sì. >>

<< E siamo sempre controllati. >> continuò Mulciber, con una smorfia infastidita. << Non mi sorprenderei di vedere Gazza spuntare da sotto la cattedra. >>

Severus non disse nulla. Avery sospirò, posando la pezza su un banco.

<< Inizio a credere che non ne è proprio valsa la pena. >> disse, amareggiato. Severus lo squadrò per un attimo, poi capì.

<< Parli dello scherzo alla MacDonald, vero? >> chiese, tanto per averne la conferma. Era ovvio che si riferiva a quello. Pertanto, non attese neanche la risposta del ragazzo, per continuare: << E’ stato davvero, davvero stupido da parte vostra. >>

L’aria tranquilla con cui aveva pronunciato quelle parole sembrò infastidire il Serpeverde.

Anzi, considerata la sua espressione, non doveva proprio essergli andata a genio.

Con veemenza inadeguata, Avery rigettò a terra il panno imbevuto che aveva ripreso in mano, con un verso gutturale che assomigliava tanto ad un ruggito.

Aveva il viso paonazzo, furente.

<< Senti tu, sciocco… >>

<< Stai calmo, Fabian. >> lo bloccò Mulciber, con un sorriso apparentemente tranquillo. << Sai quanto sa essere acido il nostro Piton. >>

<< Non è questione di essere acidi. >> disse Severus, calmo. << Ma semplicemente di saper riconoscere un atto di completa idiozia quando ce se ne trova uno davanti. >>

<< Ora lo uccido. >>

<< Buono, Fabian. >> sospirò Mulciber, esasperato, per poi guardare Severus con effettivo interesse. << In che cosa saremmo stati così idioti, Piton? >>

Il ragazzo ricambiò il suo sguardo, cupo.

<< Non avreste dovuto usare il mio incantesimo. >> disse, spiccio. << era ancora da perfezionare. >>

Ci fu un attimo di silenzio.

Severus guardava Mulciber con serietà, e a sua volta il compagno di Casa lo osservava coi suoi occhi chiarissimi.

Poi, inaspettatamente, Aaron Mulciber scoppiò in una fragorosa risata.

<< Oh, Severus! >> esclamò, passandogli un braccio attorno  alle spalle e tirandolo a sé. << Da perfezionare? Ma se ha funzionato così bene!  >>

Severus gli tolse il braccio dalle sue spalle, scostandosi infastidito.

<< Ha mandato una ragazza al San Mungo. >> aggiunse, serio.

Mulciber, con un ultimo eco di risata, sollevò le spalle, con un sorriso noncurante: << Ok, forse abbiamo esagerato. >>

<< Forse? >>

<< Decisamente. >> ammise allora il ragazzo. Poi, inspiegabilmente, rise di nuovo.

Severus scosse la testa, avvilito: << E’ stato stupido. >> disse per una seconda volta.

<< Sei ripetitivo. >> esclamò Mulciber, con un ghigno divertito. << Io, invece, piuttosto annoiato. Fabian, direi che per stamattina abbiamo terminato. >>

<< Salazar, ti ringrazio. >> sospirò il ragazzone dietro di loro, sollevato.

Lasciarono scopa, secchio e pezze nell’aula e si avviarono verso l’uscita.

Severus sospirò quando Mulciber, allegro, gli passò nuovamente il braccio sulle spalle.

La sua risata apparve al ragazzo come un eco lontano.

Severus odiava il contatto fisico, e non era sicuro se Mulciber gli fosse veramente amico o se si trattasse di semplice finzione, dettata da qualche secondo fine.

Lui stesso non provava verso il ragazzo alcun sentimento d’affetto, simpatia o semplice complicità.

Era come se fossero stati accogliazzati assieme –in effetti, erano compagni di dormitorio- e facessero di tutto per sforzarsi di simulare o far nascere un’amicizia.

Eppure, quella situazione gli si era rivelata piuttosto comoda. E gratificante.

Certo, aveva Lily, ma ero bello sperare in degli amici per i quali gli altri Serpeverde non l’avrebbero guardato di malocchio.

E Severus ne aveva bisogno.

Aveva bisogno di qualcuno con cui non dovesse fingere, di qualcuno che non lo deridesse, umiliasse; aveva bisogni di momenti di pace, in cui non doveva preoccuparsi delle malelingue o della disapprovazione generale.

Certo, era felice che ci fosse Lily.

Merlino, se ne era felice, era l’unica cosa bella della sua vita.

Eppure, stare accanto a lei era sempre più complicato.

Essere amico di una… di una Sangue Sporco, non gli procurava le simpatie degli altri Serpeverde, né lo proteggeva dal disprezzo delle altre case e dalle umiliazioni di Potter e la sua banda.

Non aveva mai pensato di rinunciare a Lily, per questo.

Si era sempre ritenuto forte; lui era forte.

Ma dopo anni ed anni di sofferenze, si sentiva vacillare, cedere.

Stava crollando.

Sospirò, mestamente, e fu in quel momento che sentì una voce.

La sua voce, per l’esattezza, che lo chiamava con incredulità.

<< Sev? >>

Il Serpeverde s’irrigidì, si voltò, accompagnato dal movimento di Mulciber –il quale, lo teneva ancora stretto a sé- che si girò con lui, sorridendo con malignità non appena vide chi stava loro davanti.

<< Oh, eccola qui, la piccola Lily Evans. >>

Severus si sentì morire.

Vide Lily spostare lo sguardo su Mulciber, sentire le sue parole e impallidire. E, infine, guardò nuovamente verso di lui.

Severus non seppe ben dire cosa lesse negli occhi verdi della ragazza.

Seppe solo che un attimo dopo lei gli aveva voltato le spalle ed era corsa via.

<< Lily! >> la chiamò, disperato. Poi si scostò Mulciber di dosso, e le corse dietro.

 

***

 

Non le importava se tutti la guardavano come se fosse pazza, mentre correva via.

Non le importava nulla, sentiva solo il cuore batterle all’impazzata, prossimo a scoppiare, e un vortice di pensieri nella testa.

Aveva bisogno di scappare.

Aveva bisogno d’aria.

<< Lily! >>

La ragazza si fermò proprio davanti all’uscita che dava sul portico della scuola, più che altro per la stanchezza.

Poggiò una mano alla colonna, e si voltò verso Severus.

<< Lily! >>

<< Che cosa vuoi?! >> sbottò la ragazza, arrabbiata. << vattene, non ho alcuna intenzione di parlare con te! >>

Severus, che ansioso le si stava avvicinando, si fermò di colpo.

Spiazzato, paralizzato.

Ecco come si sentiva.

Lily lo guardava con determinazione, una mano al petto, ansante, le guance arrossate per la corsa e per il freddo.

Gli occhi, limpidissimi, rilucevano di rabbia.

Severus non ebbe il tempo di dire nulla.

Lily si voltò, ed uscì fuori, nel cortile, allontanandosi a gran passi.

<< Lily! >> la chiamò ancora –e l’avrebbe fatto milioni e milioni di volte-, correndole dietro.

La prefetto nemmeno si voltò a guardarlo: << Risparmia il fiato! >> esclamò ad alta voce, scocciata.

Severus sospirò ed allungò il passo, affiancandola.

<< Ma non dovremmo essere amici? Migliori amici? >>

<< Lo siamo, Sev! >> disse lei, inasprita, << Ma non mi piacciono le persone con cui vai in giro! >> aggiunse, appoggiandosi di malagrazia ad una colonna alle sue spalle.

Il Serpeverde la guardava, senza replicare.

Lily sospirò.

Forse avrebbe dovuto darsi una calmata, controllarsi ma… Godric!

<< Scusa ma Mulciber lo detesto! Mulciber! >> sbottò, esasperata.

Non capiva.

Davvero, non riusciva a capire.

<< Cosa ci vedi in lui, Sev? >> domandò, e la sua richiesta suonò più come una provocazione. << E’ inquietante! Sai cos’ha provato a fare a Mary MacDonald l’altra volta? >>

Era arrabbiata, confusa.

Ma lo stava sfidando, fissandolo coi suoi occhi verdi.

Perché sapeva che, in un modo o nell’altro, lui li avrebbe protetti.

Avrebbe difeso quei suoi strani nuovi amici, usando una di quelle giustificazioni poco credibili che le lasciavano l’amaro in bocca.

“Avanti, Severus. Trova una scusa convincente.”

… E il ragazzo colse la sfida, sebbene con un’indecisione infinita.

<< Non era nulla. Era solo uno scherzo, tutto qui. >>

Lily sospirò, cercando di recuperare la calma.

Era quella l’idea di scherzo di Severus?

Mandare una ragazza all’ospedale era davvero così esilarante?

<< Erano arti Oscure, e se tu pensi che siano divertenti… >>

Non fece in tempo a finire la frase.

La voce di Severus la interruppe, colma di rabbia, e rancore.

<< Cosa mi dici riguardo a quello che combinano Potter e i suoi amici? >> esclamò, paonazzo.

Lily era così tanto amica di Potter, ultimamente.

Eppure, anche lui, coi suoi stupidi amici, ricavava divertimento dalle sofferenze altrui, dalla sua vergogna.

Anche i Malandrini avevano provato a fare del male a lui.

Avevano provato ad ucciderlo.

E allora, che scuse aveva, Lily?

Perché doveva essere solo lui, a giustificarsi?

E perché, proprio in quel momento, lei sembrava non capire, sbattendo le ciglia in quel modo adorabilmente smarrito, fissandolo coi suoi bellissimi occhi?

Perché non riusciva a rimanere arrabbiato con lei?

<< Che cosa c’entra Potter? >>

<< Sgaiattolano sempre fuori, ogni notte. >> mugugnò, cupo. << C’è qualcosa di strano, in quel Lupin. Dove è che va in continuazione? >>

 

 

La ragazza esitò, incerta.

Severus, invece, sperava.

“Forza, Lily. Smettila di far finta di non vedere.”

<< E’ malato. Dicono che è malato… >>

Il Serpeverde inarcò un sopracciglio, ironico: << Ogni mese, quando c’è la luna piena? >>

<< Conosco la tua teoria. >> sbottò lei, infastidita. << Comunque, perché sei così ossessionato con loro? Cosa te ne importa di cosa fanno la notte? >>

<< Sto solo cercando di farti capire che non son così straordinari come tutti sembrano pensare. >> replicò lui, con tono leggermente allusivo.

Ultimamente, gli sembrava che anche Lily stesse sortendo il… fascino dei Malandrini.

Gliela stavano portando via, Potter gliela stava portando via.

<< Non fanno uso di arti oscure, tuttavia. >> replicò intanto la prefetto, scuotendo il capo. << E tu ti stai comportando da ingrato. Ho sentito che ti stavi infilando di nascosto giù per quel tunnel del platano e che James Potter ti ha salvato da qualunque cosa c’è laggiù… >>

<< Salvato? Salvato? Credi che si stesse comportando da eroe? Si stava salvando la pelle, la sua e anche quella dei suoi amici! Non ti permetterò di… >>

<< Permettermi? Permettermi? >> fece lei, irata.

Severus sussultò.

Lily era sempre stata una indipendente, ed ora lui sembrava volerla controllare.

<< Non intendevo… Voglio solo che non si prenda gioco di te. >> sospirò, infine.

Oh, ma perché se la prendeva così tanto?

Lily non aveva mai sopportato James Potter!

L’aveva sempre trovato fastidioso, i suoi inviti imbarazzanti ed invadenti. Lo riteneva uno sbruffone, e solo ultimamente aveva smesso di url…

Oh, Merlino.

<< Ti piace, James Potter ti piace! >> esclamò, sbigottito. << E non è … quello che tutti credono… Il grande eroe del quidditch… >>

<< So che James Potter è un idiota arrogante. >> replicò Lily, seria. << Non ho bisogno che tu me lo dica. Ma l’umorismo di Avery e Mulciber è semplicemente malvagio. Malvagio, Sev. Non capisco come tu possa essere loro amico. >>

<< Sono amico tuo, non loro. >>

Lily scosse il capo, sospirando: << Lo so, lo so. Non è questo. >> lo guardò negli occhi << Sono solo in pensiero per te. >>

<< Non esserlo. >> replicò lui, distogliendo lo sguardo. << So quel che faccio. >>

La prefetto rimase in silenzio, a guardarlo.

“Lo spero, Sev. Lo spero davvero.”

<< Senti, io… >> iniziò il Serpeverde, ad un tratto.

Lily sollevò gli occhi verso di lui, di scatto.

<< Sì? >>

<< Io… >> fece il ragazzo, titubante. In una frazione di secondo, però, sembrò ripensarci.

Sospirò.

<< Devo andare Lily. In biblioteca. >>

Lily si passò una ciocca di capelli dietro le orecchie, incerta.

<< Posso farti compagnia? >>

<< E’… >> il ragazzo chiuse gli occhi, in difficoltà << E’ meglio di no, Lily. >>

<< Ah. >> replicò lei, delusa.

Cosa si aspettava, poi?

Pensava di essersi riavvicinata a lui, ed invece eccoli lì, di nuovo al punto di partenza.

<< Non per male, preferisco stare un po’ da solo. >>

<< Sì, certo. >> rispose la ragazza, fingendo tranquillità << Non preoccuparti. >>

Nonostante il clima di tensione, Severus abbozzò un sorriso.

Uno dei sorrisi più forzati che gli aveva visto assumere.

<< Ci vediamo domani, allora. >>

<< Sì… >>

Lily lo guardò allontanarsi, sagoma curva e scura sul manto innevato che ricopriva i prati di Hogwarts.

Sentì un gran senso di malinconia pervaderle l’animo.

“Che ti sta succedendo, Sev?”

 

 

***

 

<< Severus! Aspetta! >>

Il Serpeverde, diretto di malavoglia in Biblioteca, si bloccò in mezzo al corridoio, non appena udì il proprio nome urlato a gran voce.

Sospirò, voltandosi verso colui che l’aveva chiamato.

Purtroppo, aveva riconosciuto la sua voce.

<< Non temere Lupin, non dirò a nessuno che cosa sei. >> sbottò, infastidito.

Il Grifondoro, che gli stava venendo incontro, si bloccò, colto alla sprovvista, ma subito dopo riprese ad avvicinarsi.

Severus notò subito i diversi cerotti che aveva sul volto, il pallore, e una fasciatura alla mano.

Quindi, come dicevano i libri, quelle bestie erano talmente stupide da ferirsi da sole, eh?

<< Grazie, Severus. >> diceva intanto Lupin, di fronte a lui. Il serpeverde alzò gli occhi al cielo, esasperato.

<< Non montarti la testa, Lupin. E’ stato Silente ad impormi il silenzio. >>

Ancora una volta, il ragazzo parve colto di sorpresa, ma di nuovo si riprese immediatamente.

<< Comunque, >> iniziò, incerto, << Non ti stavo cercando per questo motivo. Volevo scusarmi, anche per Sirius. Deve essere stato terribile, per te. >>

<< Tu dici? >>

<< Scusa tanto. >> ripeté Lupin, chinando lo sguardo.

Severus inarcò un sopracciglio, squadrandolo attentamente.

Dietro quei lineamenti delicati, l’aria mingherlina e l’aspetto da ragazzino educato e gentile, si nascondeva un mostro terribilmente pericoloso, uno schifoso ibrido.

Un lupo mannaro.

Come aveva sempre sospettato.

Ancora una volta, il suo ingegno aveva fatto centro.

Ancora una volta, i Malandrini si erano dimostrati altamente disprezzabili.

Una smorfia di disgusto gli contrasse il viso scarno.

<< Dimmi, Lupin… >> iniziò, con ribrezzo, << Ti sembro forse stupido? >>

Il Grifondoro sembrò confuso.

<< Come, scusa? >> domandò, perplesso.

<< E’ da cinque anni che mi date il tormento. Ora dovrei credere alle vostre scuse? Cos’è, avete forse paura? >> domandò, acido, irato, << Temete di essere espulsi, e quindi vi parate la schiena in modo così patetico? >>

Lupin rimase in silenzio.

Severus fece un accenno di risata: << Puoi metterti il cuore in pace, mannaro. Che ci crediate o no, a nessuno importa che abbiate cercato di farmi fuori. >>

<< Ti sbagli, Severus. >> lo contraddisse Lupin, scuotendo il capo. << Credimi, James e Peter non c’entrano niente in questa storia. Anche Sirius, lui… Ha sbagliato, ma non voleva farti del male. >>

Il Serpeverde lo guardò, ironico: << No? >>

<< No. >> replicò l’altro, risoluto. << Se cerchi qualcuno a cui dare la colpa, quello sono io. Sono io che ho cercato di sbranarti. Per questo, ti chiedo scusa. >>

Severus scosse la testa, incredulo.

Poi, rivolse al prefetto un’occhiata di disprezzo.

Dio, il solo stargli così vicino lo nauseava.

<< Ti reputavo migliore, Lupin. Davvero. >> iniziò, con una smorfia di ribrezzo, << E invece sei quasi peggio di quegli spacconi dei tuoi amici. Fai tanto il dispiaciuto, eppure non ti fai problemi a venire ad Hogwarts e mettere a repentaglio la vita di tutti noi. >>

Fece centro.

Come si aspettava, Lupin incassò il colpo nei peggiori dei modi.

Impallidì, come se le sue parole avessero risvegliato in lui tormenti ed angosce celate a lungo dentro il suo animo.

<< No… è sicuro. Quello dell’altra notte è stato solo un incidente. >> iniziò, insicuro, vacillante. << Doveva rimanere nascosto. >>

<< Eppure, Black lo sapeva. >>

“ Non c’entra nulla. “ pensò Remus, con lo stomaco in una morsa. “ Io mi fidavo di lui. Avrebbe dovuto mantenere il segreto. ”

Bocca della verità, Severus continuò ad infierire.

Eccolo lì, Remus Lupin.

Il mostro.

Si nascondeva dietro le sue cortesie, dietro la gentilezza e i sorrisi cordiali.

Dietro le sue scuse, i suoi sensi di colpa.

Eppure, era lì.

Come osava pensare che una creatura come lui avesse il diritto di frequentare Hogwarts?

Che avesse il diritto di mettere a repentaglio la vita degli altri solo per soddisfare le proprie capricciose illusioni di una vita normale?

Perché Lupin doveva essere trattato meglio e con maggior rispetto di lui?

Lui era un essere umano, per la miseria! Non un mostro, non un ibrido, non un Sangue Sporc…-

S’irrigidì di colpo.

Che cosa andava a pensare?

Lily aveva i genitori babbani.

… E lui l’amava.

Non poteva disprezzarla. Era Lupin il mostro da temere e spregiare.

<< Sei solo una bestia assassina. >> disse, scuotendo il capo. << Non vedo il motivo per cui tu debba stare qui. >>

Lupin chinò lo sguardo. << Non voglio fare del male a nessuno, Severus. >>

<< E’ nella vostra natura, Lupin. >> replicò lui, secco. << Non potete fare altro che spargere morte e sangue. >> fece una pausa. << Anche nella vostra forma umana. >>

Quelle sue cinque ultime parole sembrarono rianimare il Grifondoro.

Sollevò il capo, con una strana luce negli occhi.

<< Alcuni, forse. Ma non tutti. >>

<< E che mi dici di Fenrir Greyback, allora? >> sbottò lui, acido. Avvertiva la collera aggiungersi al disgusto. << Che mi dici di tutte le vittime uccise in assenza della luna piena? Che mi dici del suo ultimo delitto? >>

Lupin parve irrigidirsi tutto ad un tratto.

Sbiancò.

<< Di che parli? >> domandò, stranamente timoroso. Severus sbuffò, abbozzando un sorriso di scherno, ed infilando la mano nella cartella.

<< Che mi aspettavo? >> domandò, ironico, << D’altronde, sei pur sempre una bestia. >> e gli sbatté la Gazzetta del Profeta sul petto.

Lupin prese la rivista, pallido.

<< Avanti, mannaro. Ammira le nobili imprese dei tuoi simili. >>

Il Grifondoro aprì la Gazzetta.

Le pagine tremavano fra le sue mani.

Severus vide i suoi occhi indagare tra le righe dei diversi articoli, fermarsi, sgranarsi, in un’espressione di terrore.

“Che succede, Lupin? Sei davvero così stupido da non sapere a quale mostruosa razza appartieni?”

Ma si leggeva qualcos’altro, nel suo sguardo.

Angoscia.

Ebbe un fremito, solo uno.

Poi, il nulla. Sembrò che un velo d’imperturbabilità fosse calato sul Grifondoro mentre, come svuotato, gli restituiva la Gazzetta.

<< Grazie di tutto, Severus. >> disse, atono, << Ora devo andare. >>

Quando gli passò accanto per superarlo, Severus non si voltò a guardarlo allontanarsi.

 

 

***

 

 

 

 

Fu dopo avere gettato una rapida occhiata alla Gazzetta, che Sirius decise di andare a cercarlo, subito.

Al momento della scoperta, si trovava da solo, quindi non aveva potuto portare con sé né Peter né James.

Forse la sua sola presenza non sarebbe stata gradita, ma Remus aveva bisogno di qualcuno, in quel momento.

Lo trovò nella torre di Astronomia, quello che era ormai diventato per tutti loro un rifugio per pensare, negli ultimi giorni.

Se ne stava immobile vicino alla balaustra, il vento gelido di Gennaio che gli scompigliava capelli e vestiti.

Sirius s’irrigidì.

Con Remus, non si poteva mai sapere.

<< Remus, levati da lì. >>

<< Avrebbe sicuramente voluto vedere Hogwarts, sai? >> disse il prefetto, continuando a dargli le spalle.

Sirius fece un passo in avanti.

<< Moony, sono serio. Vieni via da lì. >>

Una risata.

Una risata amara, ecco cosa provenne da Lunastorta.

Il ragazzo si voltò verso di lui, ridendo tristemente.

<< Merlino, Sirius, non ho alcuna intenzione di buttarmi. >> esclamò il prefetto. << Sono troppo vigliacco per farlo. >>

Sirius scosse il capo.

Quella era una gran cazzata; Remus era una delle persone più audaci e forti che conosceva.

<< Non servirebbe a nulla. >> commentò, cupo. Remus lo guardò intensamente.

<< Tu dici? Se non fossi esistito, lei sarebbe ancora viva. >>

Sirius ricambio il suo sguardo, serio: << Non è stata colpa tua. >>

<< Forse no, ma è sicuramente successo a causa mia. >> replicò il ragazzo, mesto. La voce gli tremava. << Se quella notte me ne fossi rimasto in casa, anzi di uscire, non sarebbe successo niente di tutto questo. >>

Sirius lo guardo, cupo. << Eri solo un bambino. >> disse, e l’altro scosse la testa.

<< Non importa. A questo punto, mio padre non avrebbe dato la caccia a Greyback, e lui non avrebbe avuto motivo di andare a Perth. >>

Felpato si morse il labbro inferiore, in difficoltà.

<< Non è detto che sia andato lì per te o tuo padre… >> tentò, non credendo nemmeno lui alle sue stesse parole. Anche Remus colse subito il suo fallimentare sforzo di persuaderlo di quella così poco credibile ipotesi, e scosse la testa, ridendo.

La risata triste di prima.

Non gli si addiceva per nulla.

<< I Garrett non hanno mai fatto nulla, a Greyback. >> replicò il prefetto. Non che quel mostro avesse bisogno di un pretesto, per scatenare la sua rabbiosa violenza. << Uccidendo Lucy, avrà voluto intimidire o dare un ultimo avvertimento a mio padre. >>

Sirius rimase in silenzio.

Non aveva più nulla da dire; in effetti, non c’era più niente da aggiungere.

Il mondo era una merda.

Pieno di gente malvagia, egoista e crudele, per le cui azioni ci rimettevano sempre degli innocenti, persone che non avevano mai fatto nulla di male.

Sirius non era come James.

Lui non aveva il dannato e beato privilegio di vedere il mondo con quell’ottica positiva ed ottimista, colma di speranza.

No, Sirius era ben consapevole dello schifo che li circondava, e della sua irreparabilità.

Eppure, nonostante non ne ignorasse affatto l’esistenza, ogni volta che il male si manifestava così atrocemente, era comunque triste.

Anche Remus, di certo, era afflitto dalla sua medesima disillusione.

Ma ciò non lo salvava dal dolore di una perdita.

Ancora una volta, aveva fatto le spese della malvagità di Fenrir Greyback.

Lucy Garrett, ne aveva fatte le spese.

<< Mi dispiace. >> mormorò il ragazzo, cupo. << L’ho vista solo una volta, ma mi era davvero parsa una brava persona. >>

Era vero.

Aveva incontrato Lucy due estati prima, a casa di Remus, e gli era sembrata una delle ragazze più allegre e genuine che avesse mai incontrato.

Non si meritava quella fine.

Nessuno se la meritava.

<< “Ridotta a brandelli sparsi nel bosco di fronte casa.” >> recitò Remus, riportando le parole della cronaca. Guardò Sirius. << E’ lo stesso bosco che sta anche davanti casa mia, sai? >>

<< Mi dispiace. >> ripeté il Grifondoro, senza saper bene cosa dire.

L’altro sospirò, andando a sedersi sul muretto collocato appena prima del balcone. Portò la testa all’indietro, poggiando la nuca al muro di pietra.

Lo sguardo perso, a fissare con malcelato interesse un punto sopra di lui.

La prima lacrima gli colò sul viso proprio in quel momento.

Sirius, seguendo l’istinto, si sedette accanto a lui, triste.

Non importava che avessero litigato, che lui lo avesse tradito o che Remus gli avesse puntato contro la bacchetta.

In quel preciso istante, era come se non fosse accaduto nulla di tutto ciò.

Sirius sapeva di dovergli rimanere vicino, e Remus ne aveva uno stramaledetto bisogno.

Si sentiva solo, era come sprofondare pian piano in una voragine di disperazione… e rabbia.

Un tempo, aveva provato nei confronti di Fenrir Greyback soltanto miserabile paura.

Paura di quello che suo padre sarebbe stato spinto a fare per vendetta, paura che un giorno Greyback sarebbe tornato a prenderlo, per riscuotere l’ennesimo membro del suo clan.

Paura di quello che avrebbe potuto fare ai suoi cari.

Paura di diventare come lui.

Ora, invece, avvertiva crescere prorompente, nel suo animo, un sentimento a lui quasi del tutto estraneo.

Odio.

Odiava Fenrir Greyback.

Lo odiava per quello che aveva fatto a Lucy, per le difficoltà e il dolore e la fatica che aveva causato e causava ancora alla sua famiglia, lo odiava per averlo morso e per fargli provare quei terribili sentimenti.

Lo voleva morto, cazzo.

Chiuse gli occhi, portandosi le mani sul volto e piegandosi sulle ginocchia.

Circondato dal buio delle sue palpebre, si disse di calmarsi.

Non doveva cedere a quei pensieri, anche se oramai l’odio e la rabbia, da quel dannato giorno in cui fu morso, facevano parte della sua natura di mostro, indesiderato ed indesiderabile.

Avvertì la mano di Sirius poggiarsi sulla sua spalla, stringendo con forza.

Non voleva essere una presa dolorosa, bensì d’incoraggiamento, e questo Remus lo capì immediatamente.

Oh, Sirius.

Di fronte a quel terribile evento, ciò che aveva fatto era talmente irrilevante…

Non era stato dimenticato, questo no.

Ma era come se tutta la rabbia e il rancore che aveva covato nei suoi confronti fossero stati avvolti da una nebbia, un torpore che li spingeva in un angolino al buio nel suo animo.

<< Avanti, Moony. >> disse Sirius, intanto. << Sii forte. >>

“Sì.” pensò tra sé e sé il prefetto. “Devo essere forte.”

La ferita faceva male, e le lacrime continuavano a scendere.

S’addormentò quasi senza rendersene conto.

 

 

Quando aprì gli occhi, dovevano essere passate solo poche ore.

Era sdraiato con la guancia contro la fredda pietra; era piuttosto scomoda. Col braccio a penzoloni, avvertiva le dita sfiorare qualche di caldo e morbido.

Intorpidito, si raddrizzò, mettendosi a sedere.

Un grosso ammasso nero stava sul pavimento, appena sotto di lui.

<< Sirius, potresti tornare umano? Ho bisogno di parlarti. >>

Il grande cane si agitò un po’, prima di svegliarsi. Lo guardò per qualche istante, coi suoi occhi grigi.

Poi, prese a scodinzolare.

Remus sospirò.

<< Ti prego, Sirius, non leccarmi. >> disse, stanco. << Sarai anche un cane, in questo momento, ma una volta tornato umano la cosa turberebbe entrambi. >>

Il cane guaì, in cenno di lamento. Si mise su due zampe, ed un attimo dopo Sirius era lì, seduto a gambe incrociate.

<< Scusa, Pad non sa controllarsi. E c’era freddo. >> aggiunse, a mo’ di spiegazione. << Il pelo di cane riscalda molto più dei nostri abiti. >>

Remus lo osservò per qualche secondo.

<< Sei rimasto qui. >> constatò.

<< Ho dormito anch’io. >> replicò Sirius, facendo spallucce. Poi gli rivolse un’occhiata più seria: << Va meglio? >>

Fu il turno di Remus di alzare le spalle.

<< La supererò. >> disse, sebbene un po’ sconsolato. D’altronde, ne aveva passate tante.

Sirius continuava a guardarlo, avvilito.

<< Remus… Mi dispiace. >>

<< Per Lucy? >>

<< Anche per lei, certo. >> rispose il ragazzo << Ma soprattutto per quello che ti ho fatto. >>

Remus sospirò, pensando a Sirius.

A Sirius che era venuto a cercarlo, e che era rimasto lì con lui, al freddo.

Che l’altra notte l’aveva trascinato in infermeria, e che c’era sempre.

E pensò a Lucy Garrett che era morta, fatta a pezzi da un mostro, a causa sua.

Scosse il capo.

<< Non fa nulla, Sirius. >> disse, piano. << Davvero. >>

Sirius rimase calmo, sebbene una luce avesse brillato per un attimo nei suoi occhi.

Era calata una strana quiete, tra loro, in quella torre gelida.

Come se il freddo invernale avesse congelato le loro emozioni più impulsive, la rabbia e il rancore, lasciandoli tranquilli a discutere di ciò che era avvenuto come se stessero discorrendo di scuola.

<< Ciò significa che mi hai perdonato? >> domandò Sirius, quindi.

Remus si prese qualche attimo prima di rispondere.

<< Non lo so, a dire il vero. >> rispose, onesto. << So solo che sei mio amico, e che ho bisogno di te. Non di James, non di Peter, ma di tutti voi. >> lo guardò << Nessuno escluso. L’ha detto anche Silente: “ rimanete uniti ”. >>

Sirius accennò un sorriso: << Già. Dovrò ricordarmi di ringraziarlo, per questo. >>

Remus scosse il capo, sorridendo a sua volta. << Sì. Silente è proprio una brava persona. >>

<< Lo sei anche tu, Moony. >> disse Sirius, guardandolo con serietà. << Non assumerti colpe che non hai. >>

Il prefetto rimase in silenzio.

Chinò lo sguardo, mordendosi il labbro inferiore. Ora che ci pensava, c’era un’altra cosa da chiarire.

<< Scusa per l’altra sera. >> disse, a disagio. << Ho perso il controllo, non so cosa mi sia preso. >> fece una pausa. << Non volevo farti del male. >>

<< Né io a te quando ho detto a Piton del Platano. >> replicò Sirius, malinconico. << Le cazzate le facciamo tutti, Moony. >>

<< E bisogna saper passarci sopra. >>

<< Chiarirle, piuttosto. >> disse lui, scuotendo il capo. << E perdonarle. Nel mio caso, io l’ho già fatto. Spero che anche tu possa riuscire a farlo. >>

Remus chinò lo sguardo, in silenzio.

Forse una piccola parte di lui ce l’avrebbe sempre avuta con Sirius, per ciò che aveva fatto, una piccola parte insignificante, che sarebbe però riemersa nei momenti cruciali, che avrebbe fatto la differenza al momento di decidere di fidarsi o meno, di credere a quale versione dei fatti.

Remus non sapeva se tutto sarebbe tornato esattamente come prima, ma sapeva di voler tornare ai Malandrini di sempre, a quella normalità che lo faceva sentire bene e che lo confortava.

E Sirius era un tassello fondamentale di tale normalità, era inutile negarlo.

Sospirò.

<< Non riuscirei a non perdonarti nulla, Sirius. >> disse, infine. << Sei mio amico. >>

Poi, abbozzò un sorriso: << Grazie, Pad. >>

Sirius sorrise a sua volta.

Avrebbe dovuto rispondere “ prego ”, forse, ma non credeva ce ne fosse bisogno.

Anche quel piccolo silenzio era più che sufficiente.

<< Andiamo a cena? >>

<< Certo. Ho una fame da lupi, non so se mi spiego. >>

<< Oh Godric, questa era pessima, Sirius. >>

<< Naaah, è solo che devi abituarti di nuovo. >>

<< Preferisco rimanere qui, allora. Forse il gelo e la solitudine riusciranno a rendermi sordo, in modo da non dovermi sorbire le tue pessime battute da quattro soldi. >>

<< Qui? >> domandò lui, con un ghigno. << Ma qui c’è un freddo cane, Moony. >>

Remus si piazzò una mano in faccia.

<< Ti prego, Sirius. >> disse, sconfortato. << Smettila. >>

 

 

 

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Capitolo 17
*** Lumaclub: prima parte ***


 

 

Capitolo 17

 

 

 

<< Ehi, lasciami, Black! >> sbottò Lily, cercando di divincolarsi dalla sua presa.

Ma il ragazzo era forte e risoluto, sebbene si sforzasse di non guardarla in faccia, mentre la trascinava per il corridoio.

<< Black! >> sbuffò la prefetto, inviperita << Se questa è un’altra pensata tua e di Potter, io… >>

<< Taci, Evans! >> replicò lui, secco, voltandosi verso di lei. Gli occhi grigi erano limpidi, le guance leggermente arrossate per la rabbia, o l’imbarazzo, o la corsa.

Il completo elegante da sera gli stava a pennello, come qualsiasi cosa il Grifondoro indossasse.

I due si guardarono per qualche istante, con astio.

Sirius Black sbuffò, tenendola stretta per la mano.

<< Che ti piaccia o meno, Evans, >> sbottò << per stasera sarò io il tuo cavaliere. >>

 

 

 

 

Qualche ora prima…

 

 

Hogwarts, scuola di maghi e stregoneria.

Già, scuola.

Si presupponeva, quindi, che a regnarvi dovrebbe essere il silenzio.

Già, il silenzio.

Sovrano lì da tempo spodestato, e di cui usurpatori non potevano che essere i Malandrini, e questo ormai gli studenti di Hogwarts lo sapevano bene, e da cinque anni.

Eppure, quella mattinata era fin troppo tranquilla.

Che il silenzio si fosse finalmente riappropriato dei propri diritti? Improbabile.

In effetti, un Peter Minus tutto solo e zitto –ma ansioso come non mai- piazzato all’angolo delle scale da più di venti minuti, avrebbe dovuto destare qualche sospetto.

Ma a quanto pare, così come viene confutata la regola del silenzio, anche la credenza che una scuola sia popolata da menti pensanti può essere sfatata.

Tantè che, allo scadere dei suddetti venti minuti, si sentì un assordante rumore, come di uno stomaco che brontola, ma amplificato a tal punto da fare sobbalzare tutti gli studenti –compreso Peter Minus- e farli voltare verso la provenienza di quel rumore.

La cima delle scale.

Il rumore continuò, ma nulla.

Ma lo stato d’incertezza negli animi degli studenti durò un solo attimo, non appena si udì una voce fin troppo nota urlare: << LEVATEVI DI MEZZO! >> e James Potter, Sirius Black e Remus Lupin, in cima alle scale, precipitarsi al piano di sotto.

E, come è normalmente solito in una qualsiasi scuola, ecco una valanga di neve seguirli a ruota, a stravolgere tutto ciò che incontrava.

Peter strillò, dandosela a gambe levate.

James riurlò a sua volta, saltando gradino dopo gradino, mentre gli studenti seguivano il loro esempio ed iniziavano a strillare, scappando da tutte le parti, mentre la valanga si rovesciava sulle scale, alle costole di tre dei Malandrini.

<< Scusi! >> urlò Sirius, rivolto ad un quadro. Il mago al suo interno ebbe appena il tempo di rivolgergli un’occhiata perplessa, che il Grifondoro lo prese per gli angoli, staccandolo in fretta e furia dalla parete e buttandolo ai suoi piedi.

<< Super slitta, ragazzi! >> e si gettò sul grande quadro a rovescio, tirandosi appresso anche James e Remus, poco prima che la neve li travolgesse del tutto.

I tre urlarono di paura, disperazione ed entusiasmo non appena iniziarono seriamente a cavalcare la valanga a mo’ di slitta.

<< PISTAAAA! >> gridò James, mentre dei Tassorosso davanti a loro si buttavano di lato.

Sirius gettò un urlo d’entusiasmo.

<< QUESTO SI’ CHE E’ SENTIRSI VIVI! >>

<< NO, SIAMO MORTI! >> replicò Remus, terrorizzato. E, difatti, proprio in quel momento il retro della loro loro slitta-quadro improvvisata si sollevò, squilibrandoli pericolosamente in avanti.

I tre ebbero appena il tempo di gridare, prima di essere scaraventati in avanti, giù per le scale.

… Ed atterrare su una sofficissima nuvola.

 

 

***

 

<< E così avevate intenzione di riprodurre un gigantesco pupazzo di neve in Sala Grande, eh? >>

James annuì con fervore: << Sì, professoressa Carlington. Era un’opera buona. >>

La donna li scrutò uno ad uno, ironica.

Indossava la solita veste da strega nera, e teneva le braccia incrociate davanti al petto, seduta severa dietro la sua scrivania.

<< Scusatemi, ma non riesco a cogliere la magnamità del gesto. >>

<< L’inverno è praticamente finito, prof! >> esclamò Sirius, spalancando le braccia con aria disperata. << I più piccoli sentono la mancanza della neve, sa? >>

<< Pensi a quei poveri bambini dagli occhioni dolci, professoressa! Pensi al povero Peter! >> aggiunse James, melodrammatico, prendendo Wormtail sottobraccio. << Non le fa tenerezza? >>

Peter abbassò lo sguardo, imbarazzato.

Remus scosse il capo, avvilito.

La Carlington li scrutò con severità, spostando gli occhi scuri su ognuno di loro.

<< Facciamo una cosa. >> disse << Siccome nella mia materia avete una media abbastanza alta, a Minerva non dirò nulla. Però vi voglio qui domani pomeriggio per la punizione, intesi? >>

<< Che punizione, prof? >> domandò James, guardingo.

<< Questo lo saprai al momento opportuno, Potter. >>

Remus e Sirius, qualche minuto dopo, si ritrovarono a doverlo tenere per le braccia, per impedirgli di provare a trattare un’assoluzione con la donna.

<< La invito a cena, prof! >>

<< Mi dispiace, Potter, ma non so come la prenderebbe tuo padre. >>

<< Benissimo, ne sono certo! >> esclamò il ragazzo, sorridendo. << Adora le donne mature, sa? >>

<< James, ti prego… >> squittì Peter, a bassa voce.

<< Andate a lezione, adesso. >> sbottò la Carlington. << Non ho tempo da perdere. Anzi, Black, Lupin, potrei scambiare due paroline con voi? >> fece una pausa, rivolgendosi a James e Peter, che rimanevano lì, tranquilli come nulla fosse. << In privato. >>

I Malandrini si scambiarono uno sguardo. Poi James fece spallucce, ed insieme a Peter uscì dall’ufficio.

La porta si richiuse alle loro spalle.

Sirius e Remus, all’inpiedi di fronte alla scrivania, si scambiarono un’occhiata perplessa.

Nessuno dei due conosceva il motivo di quella “chiacchierata” che la Carlington voleva tenere con loro.

<< Lupin, Black… >> iniziò la donna, ancora seduta, intrecciando le mani sotto il mento. << Siete sempre stati due dei miei migliori studenti, ma ultimamente il vostro rendimento ha subito un calo. >>

Quando Remus aggrottò le sopracciglia e Sirius aprì bocca per protestare, l’insegnante sollevò una mano, come a prevenire ogni loro intervento.

<< Fatemi finire. Certo, i vostri voti sono sempre molto alti, ma è da qualche settimana che a lezione vi vedo… piuttosto distratti. >> li squadrò entrambi << e scommetto che avete perso almeno un paio di chili a testa. Insegno qui, ma sono pur sempre un Auror. Sono ben informata su certi avvenimenti, individui, >> e guardò Remus << E su certe famiglie, signor Black. >>

Sirius incrociò le braccia al petto, diffidente, mentre Moony, al suo fianco, rimaneva in silenzio, pallido.

<< Dove vuole arrivare, prof? >> sbottò Padfoot, indispettito. Se i suoi voti erano alti, che cavolo voleva?

<< Niente, signor Black. >> replicò lei, seria. << e veda di calmarsi. Semplicemente, non vorrei che la distrazione, come l’ho chiamata prima, degenerasse in un calo nella media. Vi ricordo che avete i GUFO, quest’anno. >>

 

 

<< Me ne frego, dei GUFO. >> sbuffò Sirius, qualche minuto dopo, appena fuori dall’ufficio dell’insegnante.

Remus non rispose.

Erano passate due settimane da quando Lucy Garrett era stata uccisa, e quasi due mesi da quando suo padre si era messo in testa di dare la caccia a Greyback. Credeva di essere riuscito a passarci sopra, ma forse non era così.

E anche Sirius… Soffriva ancora per la storia della sua famiglia?

<< Che palle, nessuno che si faccia gli affari propri. >> continuò Sirius, cacciandosi le mani in tasca. << La Carlington solitamente mi piace, ma adesso mi ha messo addosso un malumore terribile. Abbiamo Trasfigurazione? >>

<< … Sì. >> rispose lui, cascando dalle nuvole. << Come ogni giovedì da circa sei mesi, Pad. Affila la tua memoria canina, sù. >>

<< Molto simpatico, lupastro. >> replicò lui, con un ghigno divertito. << Davvero. La prossima volta che creiamo una valanga, ricordami di annegarti nella neve. >>

Proseguirono per l’aula di Trasfigurazione.

Camminando nel corridoio affollato, passarono accanto ad un gruppo di Serpeverde del loro anno, perciò fu inevitabile che i loro sguardi s’incontranssero.

Però, notò Remus, Rabastan Lestrange lo fissò più a lungo del dovuto.

<< Moony? >> lo chiamò Sirius, non appena svoltarono l’angolo. << sei morto, per caso? >>

<< Non si può annegare nella neve, Sirius. >> commentò lui, distratto. << Ultimamente, i Serpeverde mi guardano in modo strano. >>

Sirius, al suo fianco, fece spallucce.

<< Di che ti sorprendi? I Serpeverde strani lo sono sempre. >>

 

***

Quando con Remus entrò in classe, Sirius notò subito James e Evans parlare con una ragazza bionda.

Peter se ne stava timido in un angolo.

<< Guarda. >> gli disse Moony, al suo fianco. << Mary MacDonald è tornata. >>

Sirius fece spallucce.

Non è che attendesse quel momento con chissà quale strepitante impazienza, ma era felice per lei.

I Grifondoro tra loro dovevano essere solidali, anche quando si trattava di una ragazza eccessivamente sciocca e squillante.

Seguì Remus verso il gruppo.

Lily Evans lo accolse con la solita occhiata diffidente, mentre gli occhi della MacDonald si illuminarono non appena li vide.

<< I Malandrini al completo! >> trillò, allegra. << Che perfetto comitato di benvenuto! >>

James sorrise come un uovo di pasqua, così come accadeva ogni qualvolta che una ragazza esprimeva la sua adorazione per lui.

Sirius, invece, sbuffò leggermente: << Non siamo mica un comitato, noi. >>

Eppure, boh, era vagamente piacevole sentirsi apprezzati in quel modo.

<< Era solo una battuta, Sirius. >> rise lei, di rimando. << Vedo che indossi ancora la maschera del principe di ghiaccio. Ecco perché cadono tutte ai tuoi piedi. >>

Mmm… No. Nemmeno questo era male da sentire.

<< Fa solo lo scorbutico, come sempre. >> sbottò invece la Evans, guardandolo malissimo.

Eh no, non doveva aver preso bene il suo atteggiamente di quelle ultime settimane nei suoi confronti.

Beh, colpa sua che stava sempre in mezzo ai piedi. Iniziava a prendere la stessa andatura impicciona del suo amichetto Mocciosus.

<< Tu invece sei sempre qui a rompere. >> replicò di rimando. << Perché non sollevi i tacchi e levi il disturbo? >>

<< Perché questo è il mio banco, Black. >>

<< Ehi. >> fece Mary, incuriosita. << da quel che mi ricordo eravate voi due >> ed indicò James e Lily << a litigare. Che è successo? >>

James sorrise, e circondando le spalle della prefetto con un braccio, la strinse a sé, cogliendola alla sprovvista: << E’ che ora siamo amiconi! Vero, Evans mia cara? >>

<< Lasciami, pollo. >>

Mary rise, e Sirius la osservò per qualche istante.

Aveva perso peso, gli parve. Non poteva dirlo con esattezza. Ora, così esile, biondina e pallida, poteva anche passare per la sorella gemella di Remus.

Lo stesso Remus che doveva essere giunto alla sua stessa conclusione, poiché si rivolse alla ragazza con fare leggermente preoccupato.

<< Ehi, Mary. Stai bene? >>

<< Sì, certo. >>

Remus la guardò, dubbioso. Poi frugò nella tasca della mantella, estrasse una delle sue tavolette di cioccolato e ne staccò un quadratino.

<< Tieni. >> disse, porgendolo alla ragazza << Ti tirerà su, fidati. >>

<< Ho appena detto che sto bene. >> fece lei, con un sorriso divertito.

Il prefetto fece spallucce: << Conservalo, allora. Non si sa mai. >>

Mary rise.

<< Sei davvero carino. Grazie. >>

Remus arrossì leggermente, in imbarazzo come ogni volta che gli si faceva un complimento, e Sirius, per qualche strana ragione, s’indispettì.

Peter faceva ridere la Vance, James andava quasi d’accordo con Evans, e ora Mary MacDonald dava a Remus del “carino”.

A quanto pareva, ultimamente lui era l’unico a non ricavarci nulla, con l’altro sesso, eppure era sempre stato ritenuto uno dei più bei ragazzi della scuola.

E poi, Mary non era nemmeno male.

Merlino, fino ad un mese fa certi pensieri non gli avrebbero nemmeno sfiorato la mente. Ma da qualche settimana, dopo Regulus, il litigio con Remus, tutta la storia dei suoi genitori, stava iniziando a scoprire che le ragazze erano un ottimo espediente per non pensare ai propri problemi.

Un perfetto diversivo.

Le osservava camminare per i corridoi, si soffermava sulla linea che disegnavano le loro camicette su fianchi e seno, ne ammirava i capelli e il diverso modo in cui ognuna se li scostava dal collo.

Cose così.

E Mary MacDonald era carina, frivola, e adorava tutti loro Malandrini, ergo, adorava lui.

Sembrava l’ideale.

Anche se dava del carino a Remus.

“Ma che vai a pensare, Pad?! Dacci un taglio.” Si rimproverò mentalmente, stupito da sé stesso.

Lui era Sirius Black. Un Malandrino.

E i Malandrini non avevano bisogno di ragazze sbavanti o, ancora peggio, di sbavare appresso ad una ragazza.

Eccetto Prongs, ovviamente.

Lui in quegli anni aveva lasciato dietro la Evans una lunghissima e penosa scia di sbavante saliva sbavosa.

<< Amici miei cari, andiamo a sederci. >> esclamò lo stesso James, spuntando loro alle spalle << la lezione sta per iniziare. >>

Remus e Sirius si voltarono verso di lui con aria inorridita.

<< E con ciò…? >>

Prongs scosse il capo con un sorriso benevolo: << E con ciò dobbiamo seguire la lezione, mio ingenuo compare. >>

Sirius quasi si sentì svenire.

Si scambiò un’occhiata con Remus, poi, preoccupato, mise una mano sulla fronte del suo migliore amico.

<< No, non sembra avere la febbre. >>

<< Uao. >> commentò Moony, scioccato. << Mi sento… commosso. E’ normale? >>

Sirius scosse la testa: << Oggi abbiamo perso un Malandrino. >>

<< Smettetela, stupidi! >> sbottò James, per poi abbassare la voce << il piano della settimana è “far emergere lo studente modello per impressionare la mia amata”. >>

<< Potter, non sono mica sorda, sai? >> sbottò Evans, praticamente accanto a lui.

<< E allora perché non fai altro che urlare, mio piccolo giglio? >> fece lui, e poi si voltò verso la bionda. << Ciao Mary. >>

<< Ciao a te, James Potter. >> esclamò lei, sorridendo. << In bocca al lupo per il tuo piano. >>

<< Grazie. >> rispose lui, incurante delle occhiatacce e degli insulti che Lily Evans aveva palesemente iniziato a rivolgergli.

Si andarono a sedere, più perché era entrata in aula la McGranitt, che per il “piano” di James.

La donna si sedette dietro la cattedra, come suo solito, controllò gli assenti, e poi estrasse alcuni fogli dalla borsa.

<< Ho corretto i vostri compiti. >> iniziò, guardando la classe << Non sono così tragici come credevo. E’ un buon segno, per i GUFO. >> cominiciò a distribuire i risultati. << Complimenti ad Evans, Dearborn e Paciock, come al solito. >>

Si fermò davanti ad un banco, fissando chi vi stava seduto con un cipiglio severo.

<< Ed anche a te, Potter. >> disse, porgendogli restia il suo compito. << Come sempre, nonostante tutto, hai preso il voto più alto. >>

“Quel Potter…” pensò Lily, esasperata, mentre lo guardava esultare e pavoneggiarsi per il risultato ottenuto.

Ed era anche un po’ ammirata, in fondo: quel ragazzo era un asso in Trasfigurazione.

<< Lily. >> fece una vocina alle sue spalle: Mary si era sporsa dal banco di dietro.

<< Sì? >>

<< Posso sedermi accanto a te? Tanto Alice ormai non viene, giusto? >>

<< Certo. >> rispose la prefetto, un po’ titubante. << Alì sta poco bene, si è presa un giorno di riposo. >>

Mentre la ragazza, provando disastrosamente ad essere discreta, si spostava nel posto accanto al suo, Lily si rese conto che non sapeva assolutamente di che parlare, con Mary MacDonald.

Certo, erano a lezione e se ne sarebbero potute stare zitte, ma si sentiva comunque un po’ in imbarazzo.

<< Eccomi qui. >> bisbigliò la biondina con un sorriso, una volta sedutasi accanto a lei. La McGranitt le rivolse un’occhiata severa, e le fissò entrambe per qualche lungo istante.

Lily, colta alla sprovvista, trattenne il sospiro, e così sembrò fare Mary al suo fianco.

Infine, la donna preferì essere indulgente, e distolse i suoi occhi scuri dalle due.

La prefetto sospirò, sollevata.

Mary si lasciò andare ad una risatina.

<< I privilegi di chi è stato male. >> disse << Ecco perché Remus Lupin se la cava sempre. >>

Lily scosse il capo: << Diciamo che per la maggior parte non c’entra nulla, poverino. >>

<< Secondo me sì, invece. >>

Lily fece spallucce: non era interessata a quel genere di discussioni. Ma Mary non sembrava intenzionata a mollare, e la prefetto non poté che darle retta.

D’altronde, la McGranitt stava spiegando le domande del compito e lei, avendo fatto pochi errori, poteva anche concedersi il lusso di non prestarle attenzione, per una volta.

<< Esci con James, Lily? >>

BENG!
Per tutti i lepricauni e gli ippogrifi, doveva farle quella domanda proprio a lezione? A primo banco?!

<< Ovvio che no! >> replicò la ragazza, nel bisbiglio più infervorito che si potesse mai produrre. << Non ci uscirei mai, con quel cretino. >>

Mary la guardò, incuriosita: << Però andate d’accordo. >>

Lily sbuffò, distogliendo lo sguardo.

Era vero? Erano amici, lei e Potter?

<< Diciamo solo che ci sbraniamo meno spesso del solito. Ma ha fatto cose, anche di recente, che non posso tralasciare. >>

<< Ma andate d’accordo. >>

Con quel pallone gonfiato? Manco per idea.

<< No, Mary. >> commentò, scuotendo il capo. << Non è affatto così. >>

L’altra le rivolse un’occhiata pensosa, per qualche istante.

Perché la guardava in quel modo? Non c’era nulla da interpretare, in ciò che aveva detto.

Non era amica di Potter.

Punto.

 

 

***

 

Quando la campanella suonò, uscì dall’aula stremata.

Quelle erano state le ultime due ore dell’ultimo giorno della settimana.

Estenuante.

Poi, con tutta la storia dei GUFO, i professori ci andavano giù pesante. Davvero.

Mary la seguì fuori dalla classe, pimpante.

Anche evitare le sue domande su James Potter e convincerla che non avesse con lui nessuna segreta relazione consumata negli antri segreti di Hogwarts era stata una faticaccia.

La biondina si piazzò davanti a lei, intrecciando le mani dietro la schiena, con un sorriso.

<< Grazie per la compagnia, Lily. Ora vado a cercare Dorcas. >> disse << Salutami Alice quando la vedi, ok? >> e si allontanò, confondendosi con il resto degli studenti nel corridoio.

Lily sospirò, poggiandosi con la schiena al muro dietro di lei.

Ah, com’era stanca.

Voleva semplicemente andare a dormire e svegliarsi solo l’indomani mattina, peccato non poterlo fare.

<< Evans! >>

Ahi, ahi e triplo ahi.

Ci mancava solo Potter, adesso.

Sospirò. Che rottura.

Non aveva nemmeno l’energia necessario per il semplice pensare di mollargli un pugno in faccia.

<< …Che c’è? >>

Potter la guardò, con un sorriso provocatorio: << Un risultato niente male, in Trasfigurazione, eh? >>

<< A-ah. >> fece lei, con poco entusiasmo. Quand’è che l’avrebbe lasciata libera di tornarsene in sala comune? Non riusciva a pensare ad altro che al suo morbidissimo e comodissimo letto in dormitorio.

Potter, però, si mostrò più perspicace del solito.

Aggrottò le sopracciglia, guardandola con aria incuriosita.

<< Evans, che hai? >> domandò << Ti vedo più apatica e meno violenta del solito. Stai male? >>

Per tutta risposta, lei non potè trattenere un grosso sbadiglio.

Il ragazzo sembrò divertito, e ridacchiò come uno stupido folletto ritardato.

<< Ah no, sei solo una pigrona. >>

<< Zitto, cretino. >> replicò la prefetto, a tono spento.

Potter le diede una pacchetta sulla spalla: << Su su, bimba, tornatene a dormire fino a domani. >>

Lei incassò la testa fra le spalle, un po’ per ritrarsi dal tocco del ragazzo, un po’ perché infinitamente scoraggiata.

<< Macchè. >> rispose, cupa. << Oggi ho anche la festa del Lumaclub. >>

Quelle parole rappresentarono uno shock, per il povero e giovane James Potter.

Una folata di vento gelido.

Un fulmine a ciel sereno.

Un centauro obeso cadutogli in testa.

Guardò la ragazza davanti a lei, con la certezza di stare fissandola con gli occhi a palla, tale era il suo stato d’animo.

<< Ci vai con qualcuno? >> domandò, e la voce gli uscì più stridula di quanto fossero le sue intenzioni.

La prefetto scosse il capo, una mano sugli occhi.

<< “Non sono affari tuoi” è una frase che ultimamente ho detto un sacco di volte. >> sospirò, esasusta. << Perché mi costringi a ripeterla così spesso? >>

<< Dai, Evans! >>

<< Ho la bocca cucita, Potter. >>

Il Grifondoro, capendo che non c’era nulla da fare, sbuffò, fece dietrofront, ed artigliò il braccio del suo amico Sirius, che stava appena uscendo dall’aula.

<< Ohi, Prongs! Che combini? >>

<< Zitto e cammina, Sirius. >> sbottò lui, trascinandoselo lungo il corridoio.

Si fermò vicino ad una vetrata, piazzandosi insieme all’amico tra le due colonne.

Incrociò le braccia davanti al petto.

<< Oggi andrai alla festa di Lumacorno? >>

<< Ovvio che no. >> rispose Sirius, sbuffando. << Senza di voi mi annoio. >>

James lo guardò, truce.

<< Senti un po’. >> disse << Noi due dobbiamo parlare, Sirius Black. >>

 

***

 

Quando Lily entrò in dormitorio, vide Alice sobbalzare e farsi pallida.

<< Alì! >> esclamò, preoccupata. << Stai bene? >>

<< Sì, sì. >> si affrettò a rispondere l’amica, in evidente agitazione. << C’è anche Mary, per caso? >>

La rossa aggrottò le sopracciglia.

<< No. Perché? >> domandò, perplessa. Alice si limitò a scuotere il capo, e a lasciarsi cadere seduta sul letto.

<< Nulla, non preoccuparti. >>

<< …Ok. >> fece lei, non del tutto convinta. Ora era troppo stanca, per indagare, e sapeva che comunque, conoscendo Alice, avrebbe potuto ricavare poco o nulla.

Se gliene voleva parlare, l’avrebbe fatto al momento opportuno, e solo se lo desiderava. Non sarebbe stata lei, ad insistere.

Si tolse le scarpe, e si gettò sul proprio letto.

<< Buonanotte. >> disse, chiudendo gli occhi.

La voce di Alice le giunse piuttosto divertita: << Così, con addosso la divisa? >>

<< Non m’importà. >> biascicò la ragazza. << Tu, piuttosto, stai meglio. >>

<< …Sì, grazie. >>

Cos’era quell’esitazione?

Che avesse a che fare con la domanda di prima? Con Mary?

Che Alice fosse indispettita perché Mary –che notoriamente non sopportava e che aveva insultato il suo ragazzo- era tornata?

Eppure, dopo la visita al San Mungo, Lily le aveva portato le scuse da parte di Mary, sempre per la questione di Frank. Forse non bastava? Quanto poteva essere duro il cuore di una ragazza innamorata?

Boh, lei di queste cose non ci capiva nulla. A lei non piaceva nessuno.

Nessuno.

Giusto?

 

 

Quando riaprì gli occhi, fu piuttosto inquietante ritrovarsi la faccia di Mary a pochi centimetri dalla sua.

<< Sì…? >>

<< Lily Evans. >> fece la bionda, seria. << Sei irrecuperabile. >>

Ancora assonnata, Lily provava davvero poco interesse per quale mai potesse essere la motivazione che si celava dietro quella definizione della sua persona. Poteva riferirsi alla sua pigrizia, date le circostanze. Non le interessava. Aveva sonno, ma chiese comunque: << Come mai? >>

<< Sono le sette e mezza. Le sette e mezza, e te ne stai ancora qui a ronfare! >>

“Mi alzerei pure, se non ci fossi tu davanti.”  Pensò la sua parte più acida, inasprita dal sonno.

<< Non ho nulla da fare, Mary. >>

<< Errato. >> replicò lei, facendole l’occhiolino. << Hai la festa di Lumacorno, ricordi? >>

Lily sospirò, ruotando su un fianco.

Uffa, era vero.

<< Non importa. Mi infilerò la prima cosa che capita. >>

Mary sospirò, scuotendo il capo: << Dovresti imparare a lasciarti andare, sai? >> disse, sedendosi ai piedi del letto.

Lily si mise seduta a sua volta.

“Eccone un’altra che mi da della frigida.”

<< E’ solo una delle mille feste di Lumacorno. >> spiegò, alzandosi, forse a mo’ di scusante. << Ci sono stata tantissime altre volte. >>

<< E ci sono sempre stati molti ragazzi, no? >>

Lily fece un vago cenno d’assenso, mentre apriva l’armadio. Sì, avrebbe messo l’abitino blu che le avevano regalato lo scorso Natale.

<< A proposito, con chi ci vai? >> domandò Mary, sinceramente curiosa, e Lily rimase in silenzio.

Bella domanda.

Il suo “ammiratore” non si faceva sentire da una settimana –e comunque si era rirpromessa di non accettare il suo invito- e con Severus i rapporti si erano raffreddati per l’ennesima volta.

Fece spallucce.

Pazienza.

<< Ci vado da sola. >> rispose dunque, con nonchalance. << D’altronde, non è obbligatorio un accompagnatore. >>

Mary MacDonald assunse un’espressione a dir poco sconvolta.

<< Ma Lily, no! Molti pagherebbero per uscire con te! >> protestò, indignata.

Lily si sentì arrossire.

<< Non dire sciocchezze. >> sbuffò << Nessuno ci tiene a farsi vedere in giro con Miss Prefettina Evans. >>

Mary rimase in silenzio, e Lily ne fu contenta, mentre s’infilava il vestito.

Faceva la superiore, ma non era vero che non gliene importava. A nessuna ragazza piacerebbe andare ad una festa completamente sola.

Tutte avrebbero avuto un accompagnatore, o comunque un gruppo di amici con cui divertirsi, mentre nessuno avrebbe fatto compagnia a quella ragazza troppo snob e seria da rifiutare James Potter da anni.

Avrebbero tutti guardati, divertiti, quell’asociale ed antipatica di Lily Evans.

Quella col sangue sporco, per intendersi.

Ed ora, probabilmente, non le avrebbe parlato nemmeno Severus.

Be’, lei ci sarebbe andata comunque.

La noiosa Evans sarebbe andata alla festa e si sarebbe annoiata a testa alta.

Per principio, per dimostrare a sé stessa che non gliene importava del giudizio altrui.

<< Lily. >> fece ad un tratto Mary, seduta sul letto. << Posso dirti una cosa? >>

<< …Certo. >> rispose lei, e si rese conto che la voce le era uscita insolitamente tremula.

Mary si alzò, la prese per mano e la portò davanti al piccolo specchio che lei ed Amy avevano montato in camera qualche anno prima.

Si guardò allo specchio, Lily, e notò di avere un’espressione piuttosto imbronciata.

Triste, a dirla tutta.

Vide Mary –o per meglio dire, il suo riflesso- sorridere dietro di lei, mettendolo le mani sulle spalle.

<< Ti vorrei presentare una mia compagna di scuola. >> disse << Lily Evans. Non è che prima mi calcolasse molto. Poi, però, mi ha salvato la vita. E’ molto coraggiosa la mia compagna di scuola, sai? >> aggiunse, sorridendo.

Anche Lily abbozzò un sorriso imbarazzato.

<< Quando ho insistito per tornare a scuola, i miei hanno acconsentito a patto che lo facessi seriamente. Niente più cretinaggini: vogliono serietà e voti alti. Pensai che era impossibile, per una come me. Fu in quel momento che mi dissi “Vorrei tanto essere come Lily Evans”. >> fece una pausa, e Lily la vide abbassare lo sguardo, cupa. << In realtà, forse, l’ho sempre voluto. Facevo tanto la cretinetta, ma in realtà mi sentivo così… inadeguata. Guardavo la mia compagna, pensavo ai suoi voti alti e alle ore spese sullo studio, e la immaginavo a fare grandi cose. Io, invece? Una volta uscita di qui, non sarei stata che una stupida che legge riviste. Ed è anche più bella di me, pensavo. >> aggiunse, con una risatina imbarazzata.

Lily rimase in silenzio. Si sentiva… triste, dispiaciuta per lei, e anche colpevole, in un certo senso.

<< Mary, tu… >>

<< Fammi continuare, ti prego. >> le disse lei, interrompendola.

Lily smise di parlare.

<< Mi chiedevo: perché le sue pozioni sono sempre perfette, mentre io cambio calderone ogni due mesi? Come fa a prendere voti così alti? Non ti odiavo, questo no, però mi facevi sentire a disagio. Sei così intelligente, e io non sapevo come comportarmi. >>

<< Non ho mai pensato di giudicarti per il tuo rendimento scolastico. >> disse Lily, piano.

<< Lo so, ma… Sai, una volta ho provato ad impegnarmi seriamente. Era per un compito di Difesa. E’ stato un disastro. E allora ho pensato: che senso ha impegnarsi? Tanto vale continuare ad essere stupida. La stupida Mary MacDonald.

  Se qualche volta sono stata eccessivamente invadente, è perché ti ammiravo. Ti ammiro ancora, Lily. Sei forte, gentile, intelligente, e non devi vergognarti di esserlo. >> fece una pausa, poi le fece l’occhiolino. << Perché sennò mi offenderei a morte, capito? >> aggiunse, con tono più allegro.

Lily non riuscì a ridere.

Le veniva da piangere.

Le sembrò quasi di rivedere Dorcas, e di riascolate le sue parole.

“Non la giudicare male, Lily. Capisco che possa sembrare soltanto una gallina frivola e stupida, ma ha un gran cuore.”

<< Io… >> chinò il capo, asciugandosi gli occhi umidi col dorso della mano. << Grazie, Mary. Davvero. >>

<< Aspetta, stai piangendo?! >> esclamò l’altra, sconvolta. << Merlino, ma sono un disastro! Scusami! >>

Lily scosse la testa, divertita.

E finalmente riuscì a ridere.

<< Per fortuna. >> sospirò Mary, sollevata. << Sai, non me la cavo con le parole. >>

Lily scosse la testa, sorridendo: << Sei stata bravissima, invece. >>

Mary fece spallucce.

<< Senti… >> iniziò Lily, perplessa. << Hai visto Alice? >> domandò poi, guardandosi in giro in cerca dell’amica. Mary scosse il capo: << No. Hai detto che stava male, giusto? Sarà in infermeria. >>

La prefetto la guardò, pensosa.

Le tornò in mente la voce di Alice.

<< C’è anche Mary, per caso? >>

<< Non vorrei essere indiscreta o altro… >> cominciò, timidamente. << Ma avete per caso discusso o… >>

<< No. >> replicò Mary, aggrottando le sopracciglia. << In realtà, da quando sono tornata stamattina, non l’ho nemmeno vista. Perché me lo chiedi? >>

<< … Niente, tranquilla. >> rispose Lily, distrattamente.

Chissà cosa le stava passando per la testa, ad Alice.

Doveva preoccuparsi?

Magari stava male per davvero. E forse farsi vedere debilitata da Mary le dava fastidio; d’altronde sapeva quanto Alice odiasse mostrarsi debole.

… Ma non era una spiegazione che reggeva, affatto.

<< Lily, sicura che non sia niente? >> domandò Mary, sospettosa, distogliendola dai suoi pensieri. << Non sarò un genio, ma nemmeno così stupida. >>

Lily si passò una mano tra i capelli, in difficoltà.

Non gli restava che dire la verità.

Più o meno.

<< In realtà, non lo so, Mary. >> disse, con un sospiro. << Ma Alice è una schietta. Se ha qualche problema, verrà senz’altro a dirtelo. >>

L’altra chinò il capo.

Sembrava dispiaciuta.

<< So che non sono stata molto gentile con lei, ma non era per cattiveria. >> disse poi, amareggiata. << Sono stata stupida, ma vorrei mettere le cose a posto. >>

Lily rimase in silenzio: Mary, in effetti, le sembrava diversa.

Forse aveva imparato qualcosa, da quel che le era capitato, o forse, più semplicmente, voleva avvicinarsi a loro, adesso che Amy era stata ritirata da scuola.

Un po’ in imbarazzo, le posò una mano sulla spalla.

<< Alice non è una che se la prende, fidati. >> esclamò, cercando di confortarla. << E se qualcosa non va, sarà lei a dirtelo. E’ fatta così. >>

Mary sollevò gli occhi castani verso di lei. << Ok. Ti credo. >>

<< Bene. >> fece la prefetto, con un sorriso. << Ora finisco di prepararmi, va bene? >>

<< Non posso sistemarti nemmeno i capelli? >>

Lily rise.

<< Sarà per la prossima volta, Mary. >>

Dopo qualche minuto, scesero insieme in Sala Comune.

Non c’era molta gente, la maggior parte degli studenti si stava godendo le ultime ore prima del coprifuoco.

Lily si guardò attorno: Alice non si vedeva da nessuna parte.

Mary, invece, saltellò fino al divano di fronte al camino, dove sedeva Dorcas Meadowes, intenta a leggere un libro poggiato sulle gambe incrociate.

<< Ehi, Do’, ciao. >> trillò la bionda << Mi dai una mano con Storia della Magia? Ho il capitolo sulla guerra prima dei giganti. >>

L’altra nemmeno sollevò gli occhi dal libro: << No. >>

<< Ma è un argomento che hai già fatto l’anno scorso! >> protestò lei.

<< Appunto. >> replicò Dorcas, impassibile. << Mi annoia. >>

Mary le diede un colpetto sulla spalla.

<< Non fare l’antipatica. >> borbottò. << Ti ricordo che sopra ho un pacchetto di biscotti alle mandorle. >>

Mentre Lily sentiva distrattamente Dorcas cedere al ricatto, sgaiattolò fuori dalla Sala Comune, salutando le due con un cenno della mano –chissà se l’avevano sentita.-

Agghindata in quel modo, si sentiva un po’ in imbarazzo, dato che tutti coloro che non facevano parte del Lumaclub –e quindi la maggior parte degli studenti- non avevano motivo di vestirsi eleganti, e giravano per i corridoi in uniforme o infilati in enormi maglioni, considerata la temperatura piuttosto bassa.

Fu mentre si avvicinava alle scale, che una mano la prese per il polso.

Sobbalzò, voltandosi verso colui che l’aveva afferrata con tale malgrazia.

Sgranò gli occhi verdi.

Sirius Black stava inpiedi di fronte a lei.

<< Black. >> sibillò, irritata. << Che cosa…Ah! >>

Non fece in tempo a finire la frase, che il ragazzo iniziò a trascinarsela lungo le scale, senza degnarla di uno sguardo.

Lily avvampò, d’imbarazzo e di rabbia.

<< Ehi, lasciami, Black! >> sbottò Lily, cercando di divincolarsi dalla sua presa.

Ma il ragazzo era forte e risoluto, sebbene si sforzasse di non guardarla in faccia, mentre la trascinava per il corridoio.

<< Black! >> sbuffò la prefetto, inviperita << Se questa è un’altra pensata tua e di Potter, io… >>

<< Taci, Evans! >> replicò lui, secco, voltandosi verso di lei. Gli occhi grigi erano limpidi, le guance leggermente arrossate per la rabbia, o l’imbarazzo, o la corsa.

Il completo elegante da sera gli stava a pennello, come qualsiasi cosa il Grifondoro indossasse.

<< Che ti piaccia o meno, Evans, per stasera sarò io il tuo cavaliere. >>

Lily ammutolì.

Doveva essere diventata bianca come un cadavere, poco ma sicuro.

Si fermò di botto e, facendo ricorso a tutta la “poca grazia” per cui Potter la canzonava, si divincolò infine dalla sua presa.

Black, un gradino sotto di lei, sollevò lo sguardo in sua direzione.

<< Cavaliere?! >> domandò Lily, confusa e arrabbiata. Poi, più piano, in balbettio imbarazzato: << Vuol dire che tu… i biglietti… >>

Il Grifondoro la guardò coi suoi freddi occhi grigi: << Che stai cercando di dirmi, Evans? >>

In un’altra occasione, Lily gli avrebbe scagliato contro una fattura o avrebbe provato il malefico istinto di buttarlo giù per le scale.

Ma, in quel preciso istante, non si sentiva che terribilmente a disagio, insicura, confusa.

Con il desiderio che qualcuno buttasse lei, giù per scale.

<< Io… >> iniziò, fissando lo sguardo sulle proprie scarpe. Mai aveva avuto tanto voglia di guardarle. << Ecco, l’ammiratore… Tu… >>

Lui continuò a guardarla, per qualche istante.

Lily avvertiva addosso tutta l’intensità di quei occhi chiari, di quello sguardo profondo che aveva incantato tante, ad Hogwarts.

Poi, inaspettatamente, Sirius Black scoppiò a ridere.

<< Oh Godric! >> esclamò, piegandosi in due, ridendo. << Godric! Pensavi che io fossi il tuo ammiratore segreto? Io? >>

Che… gaffe.

Che orribile, umiliante ed imperdonabile gaffe!

<< Non è colpa mia se sei così equivoco, Black! >> sbottò lei, quasi urlando. La voce le divenne insolitamente acuta. << Smettila subito di ridere! >>

<< Sennò che fai? >> domandò lui, continuando a sbellicarsi come un idelicatissimo cretino. << Mi dai un bacetto? >>

<< Smettila! >> ribattè la prefetto, questa volta urlando davvero.

Poi gonfiò le guance, arrossendo in maniera di certo indecente. << Avevo frainteso. Cerca di spiegarti meglio, la prossima volta. >> disse con più calma, imbarazzatissima.

<< Ti sarebbe piaciuto, eh, Evans? >>

<< Neanche per idea. >> replicò lei, rabbrividendo al solo pensarci.

Va bene che era forse il più bel ragazzo che avesse mai visto, però… Era Black.

Bleah.

Lui scosse il capo, incrociando le braccia davanti al petto.

<< Non è per mia volontà che oggi ti farò da accompagnatore, Miss Perfettina Evans. >> spiegò, e a Lily tornò la voglia di provocargli un trauma cranico. << Ma per fare un favore ad un amico. Ho il dovere di tenerti lontana da un ignoto studente arrapato con patetiche tendenze a perdere ore su insulsi bigliettini romantici. >>

<< Ossia, il mio ammiratore segreto. >> sbuffò Lily, infastidita. << E immagino che con “amico”, tu intenda Potter, no? >>

<< Ovviamente. >>

<< Ovviamente. >> ripetè lei, sbuffando di nuovo. Sì, senza accorgersene doveva essersi trasformata in un treno a vapore. Mandò un’occhiataccia al Grifondoro. << Non permetto a nessuno di costringermi a fare o a non fare qualcosa, Black. Specialmente a te. >>

Lui fece spallucce, annoiato. Quel compito doveva apparirgli piuttosto ingrato.

<< Invece dovrai fartene una ragione, perché ti starò alle calcagna tutto il tempo. >>

Lily piantò i suoi occhi verdi in quelli del ragazzo, severa.

<< Devi solo provarci, Black. >>

 

***

 

Ma stava sul serio giocando a nascondino con Black?

Ma davvero?

Lily cercò di mimetizzarsi tra la folla, e per poco una Serpeverde non la picchiò per essersi appioppata al suo ragazzo.

Dopo aver corso come una pazza per seminare Black e raggiungere la festa, si era ritrovata in quella situazione ridicola.

Tra le schiene dei giovani con calici di succo di zucca, e le figure delle eleganti ragazze sistematesi con cura per l’occasione, Lily sbirciava se, tra un tavolo e l’altro, Sirius Black fosse nelle vicinanze.

Una testa mora fece la sua apparizione poco distante da Emmeline Vance.

Lily imprecò a mezza voce.

“Eccolo.”

Sirius Black aveva l’aria concentratissima e parecchio divertita.

Doveva aver cambiato idea: probabilmente, quell’assurda situazione gli appariva come un’importante e spassosissima missione da Malandrini.

Lily si piegò in due. In quel momento, essere una ragazza alta rappresentava un punto a suo svantaggio.

… D’altronde, anche Black non scherzava, e spiare le sue mosse le risultava più facile del previsto.

Magari era portata, per quel genere di cose. Avrebbe potuto fare la spia, l’Auror o…

Ops. Beccata.

Lily vide Black strizzare gli occhi in sua direzione e poi illuminarsi, con espressione soddisfatta.

La ragazza sgaiattolò verso il tavolo dei dessert. Lui la seguì.

Mentre il Grifondoro si avvicinava, Lily si raddrizzò –tanto ormai l’aveva vista, no?- e, d’isitinto, prese in mano un piattino con un porzione di torta alla panna.

Raggiungendola, Black sorrise, malandrino.

<< Tana per me, Ev- >>

Splam! Lily non gli diede il tempo di finire, e gli spiaccicò la fetta di torta in faccia.

Merlino, l’aveva fatto davvero!

Con la faccia ricoperta di panna, Black sbatté gli occhi, sconvolto.

Qualcuno, attorno a loro, rise.

Lily portò le mani ai fianchi, con aria soddisfatta.

<< Quello che cerca non può fare tana, Black. >> disse, orgogliosa di sé. << Cerca d’informarti meglio, prima di fare lo sbruffone. >>

<< Scappa, Evans. >>

Lei non se lo fece ripetere due volte.

Il ragazzo fece per seguirla, ma due ragazzine evidentemente più piccole –forse erano del terzo- gli si piazzarono davanti, con due smaglianti sorrisi sognanti.

Una di loro portava l’apparecchio per i denti, l’altra le codine.

<< Tu sei Sirius Black, vero? >>

<< Oooh, da vicino sei ancora più bello! >>

Il Grifondoro aggrottò le sopracciglia, cercando intanto di capire in che direzione fosse andata la prefetto.

Inutile, si era distratto e l’aveva persa.

<< Sirius, ti prego, facciamoci una foto. >>

Sirius sbuffò. L’ultima cosa che voleva era deludere due povere ragazzine, però…

<< Mi dispiace, devo andare. In fretta, anche. >>

<< Ah! >> fece una delle due, quella con le codine. << E’ perché sono bassa, vero? >>

<< No, io… >>

<< Sì, è per questo! >> ribattè lei. << Perché sei così cattivo?! >>

Sirius si sbattè una mano in faccia.

Della panna gli rimase sul palmo e tra le dita.

Oh, Godric…

 

***

 

A passi veloci, Lily si allontanò da Sirius Black.

Gli aveva spiaccicato una torta in faccia!

Ok, era una fetta, non una torta, ma… uao!

Finalmente avrebbe capito come ci si sentiva ad essere umiliato, o a trovarsi qualcosa di commestibile appiccicato nei capelli, tipo una chewgum.

Tutta felice, e pervasa da quel piacevole senso di trionfo, non si accorse di stare finendo addosso ad uno studente, e gli si spiaccicò con la faccia sulla schiena.

<< Ah! >> esclamò lei, massaggiandosi il naso. << Scusa, io… Severus! >>

Lui la guardò, sorpreso.

Indossava dei pantaloni color cenere un po’ troppo grandi e uno sformato maglione nero a collo alto.

<< Lily! Tu… Che ci fai china in questo modo? >>

La prefetto si raddrizzò di scatto, in imbarazzo. Abbozzò un sorriso: << Niente, niente. >>

Il Serpeverde le rivolse uno sguardo ansioso: << Lily, senti, per la discussione dell’altro giorno, io… >>

<< Ne parliamo dopo, ok? >> fece lei, guardandosi attorno, preoccupata. << Se vedi Sirius Black non dirgli in che direzione sono andata, va bene? >> e gli piazzò fra le mani il piattino dove un tempo stava la fetta di torta.

Severus, confuso, si limitò a fare spallucce.

<< Sperando che non mi faccia penzolare in aria per una caviglia… >>

Lei gli diede una pacca sulla spalla. << Grazie mille, Sev! >> e si dileguò tra la folla.

Dove andare, dove andare?

La soluzione migliore sarebbe stata lasciare la festa e filarsela.

Peccato che l’uscita si trovasse dall’altra parte della stanza, la stessa in cui aveva lasciato un Sirius Black ricoperto di panna e pandispagna.

Dopo qualche attimo, individuò una piccola anticamera chiusa da un tendaggio lungo quasi quanto l’intera parete.

Ci si avvicinò, pronta ad infilarcisi, quando una faccia spuntò proprio dalle tende, facendola sobbalzare.

 << Non credevo di essere così brutto, Lily Evans. >> disse il ragazzo, sorridendo. << Ciao. Non pensavo mi avresti dato buca per Black. Avrei scommesso su Piton, piuttosto. Potter, forse. >>

Lily sbatté le palpebre.

Quello parlava a vanvera, ma lei si era bloccata ad una sua singola, specifica parola.

<< Buca? >> domandò, sbigottita. << Vuoi dire che tu… >>

<< Sono il tuo ammiratore, già. >>

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Capitolo 18
*** Lumaclub: seconda parte ***


Ecco che torno... Tutto ciò che ho da dire è un grosso: BAH.

forse sono gli impegni scolastici, forse la maturità che mi attende all'orizzonte, forse la scuola guida o il cambiamento climatico, ma... Questo capitolo non mi piace.

Affatto, e ho anche dovuto tagliare e accorciare verso la fine, sennò mi sarebbe venuto un poema (non di quelli belli, ma stupidi e noiosi.)

Veramente, forse è il primo capitolo di cui non sono affatto soddisfatta.

Ma neanche un po', eppure ho seguito la mia fedela scaletta come sempre.

Boh, prometto di impegnarmi affinchè il prossimo sia migliore... A voi il giudizio, in ogni caso.


 

 

Capitolo 18

 Lumaclub: seconda parte

 

 

 

 

Lily era a dir poco rimasta a bocca aperta; anzi, si poteva ben dire che sperava che nessun inciampasse sulla sua mascella crollata sul pavimento lucente della stanza.

Finalmente, lo vedeva in faccia.

( O meglio, vedeva solo la sua faccia, ma quelli erano dettagli.)

Lo guardò, stupita: << Buca? Vuoi dire che tu… >>

<< Sono il tuo ammiratore, già. >> rispose lui, facendole l’occhiolino. << Inaspettato, vero? >>

Lily scosse il capo.

<< Non ci siamo mai parlati, in pratica. >>

<< Eh già. >> sospirò il Tassorosso. << Posso uscire di qui? Anche se mi vergogno un po’. O ti do fastidio? >>

<< Prego. >>

Il ragazzo uscì dal suo nascondiglio, in modo che Lily potesse finalmente smettere di parlare con una faccia inquadrata tra due tende viola, ed avere un’intera persona come interlocutore.

Alto, spalle larghe, capelli biondi e pella abbronzata molto poco inglese.

Occhi verdi e faccia fin troppo nota: chi se lo sarebbe mai aspettato?

Il ragazzo non la degnò di uno sguardo, intrecciò le mani dietro la schiena e si stiracchiò senza troppi complimenti.

<< Molto meglio. >> disse, sollevato.

In imbarazzo, Lily si passò una ciocca dietro l’orecchio, chinando il capo.

<< Be’, io… Non pensavo fossi tu. >> disse, non sapendo bene come comportarsi. << Non ti ho mai visto prima ad una festa del Lumaclub. >>

Il ragazzo fece spallucce: << E’ la prima volta, per me. >> commentò << Sai, mio padre ha vinto da poco un importante riconoscimento per un libro che ha pubblicato sui Centauri. Capito, no? >> aggiunse, allusivo.

Lily annuì: conosceva il debole di Lumacorno sugli studenti figli di personaggi influenti.

Ma non era quello il punto.

La ragazza sospirò profondamente.

Bene.

Cavolo.

<< Senti… Per le lettere, e i fiori e tutto, io… >>

Caradoc Dearborn scosse il capo, con un sorriso: << Lascia perdere, Evans. Non era nulla. >>

Lily rimase un attimo senza parole, poi assottigliò lo sguardo, incrociando le braccia davanti al petto.

<< Vuoi dire che era solo una presa in giro? >>

<< Esatto, ma a me stesso, più che altro. >> rispose lui. << Volevo a tal punto dimenticare una ragazza, che ho cercato di prendermi una cotta per un’altra. >> fece una pausa, sembrava in difficoltà. << Almeno credo. E’ complicata la mente umana, no? >>

Sembrava sincero, ma Lily esitava.

<< E come mai proprio me? >> domandò, poco convinta.

Il ragazzo fece spallucce: << Boh… Penso che una valesse l’altra. >>

<< Ah. >>

<< Sei arrabbiata? >>

La prefetto sospirò, chiudendo gli occhi: << No, penso di no. >>

Dearborn sospirò a sua volta, portandosi una mano sul petto.

<< Bene. Sono sollevato. >>

<< Piuttosto… >> iniziò lei, a disagio << Non sono venuta qui con Black. Mi ha rapita lui, per conto di Potter. >> gli rivolse un’occhiata significativa. << Per evitare che incontrassi te. >>

Lui la guardò, con un sorriso imbarazzato.

<< Ti ho creato abbastanza problemi, eh? >> domandò, arrossendo leggermente.

Lily scosse il capo.

<< Nah. In realtà, non so nemmeno perché ti sto dicendo queste cose. >>

<< L’alcool. >> replicò il ragazzo, con noncuranza. << E la confidenzialità ispirata dalle tende. >>

Lily lo guardò, divertita. << Ovvio. Il viola è di certo il colore del cameratismo. >>

Lui rise.

<< Sai, Evans, >> iniziò, calmo. << Non avrò una cotta per te, ma è vero che ti ammiro. >>

Lily gli rivolse uno sguardo interrogativo.

<< Per la tua amicizia con Severus Piton, intendo. >> aggiunse quindi il Tassorosso, a mo’ di spiegazione. << I Nati Babbani saranno vittime di pregiudizi, ma si è molto prevenuti anche nei confronti dei Serpeverde. E’ terribile l’astio generale contro di loro. >> sospirò << Merlino, è vero, la maggior parte sono dei bastardi, ma c’è anche brava gente. >>

Lily lo guardò per qualche istante, in silenzio.

In mente, le sovvenne l’immagine del Tassorosso girare con un ragazzo esile, dalla cravatta verde-argento.

<< Tu sei molto amico di Benjy Fenwick, vero? >> domandò, quindi. << Vi ho visto spesso assieme. >>

Lo sguardò del ragazzo si raddolcì, mentre un sorriso lieve gli increspava le labbra. << Già, il vecchio Benjy. E’ il fratellino che non ho mai avuto, possiamo dire. >>

<< Serpeverde. >> aggiunse lei.

<< Esatto. Come Piton. >>

<< Già… >> rispose lei, pensosa.

Il suo caro Sev. Non le era mai passato per la testa di interrompere la loro amicizia per la sua Casa di appartenenza come invece molti le avevano suggerito di fare.

Il fatto che una questione banale come la Casa di cui si faceva parte potesse creare tanti pregiudizi era… disgustoso.

E  molto triste.

<< Sarà meglio che mi allontani. >> disse intanto il Tassorosso, lanciando un’occhiata alla sala. << Black sta venendo da questa parte, ed è alto quanto me. >>

<< Meno robusto, però. >> commentò Lily.

Lui scosse il capo.

<< Poco importa. Il quidditch non ti procura i muscoli necessari per una rissa, sai? >>

<< Ok. Ciao. >> rispose lei, sollevando una mano in cenno di saluto.

Poi una voce gridò: << Fermi entrambi! >> e Lily, esasperata, sollevò gli occhi al cielo.

Sembrava di sentire Potter, ma si trattava dell’ultimamente ancor più odioso Black.

Dearborn, scoraggiato, sospirò.

<< Black, non mi va di perdere tempo con te. >> sbuffò, annoiato.

Lui lo guardò, truce: << Dearborn, mi spiace, ma non hai il permesso di toccare questa rompiballe, a meno che non sia per farla fuori. >>

<< Black. >> sibillò la prefetto, mandandogli un’occhiataccia intimidatoria.

I due ragazzi la ignorarono.

<< Non ti preoccupare, me ne stavo andando. >>

<< Sei il suo ammiratore? >> fece Black, guardandolo di sottecchi. Il Tassorosso fece spallucce.

<< Una specie, diciamo. >> rispose, rivolgendo un sorriso simpatico alla ragazza.

Lily sorrise a sua volta, ricordando la loro chiacchierata.

Black, a sua volta, li guardò malissimo: << I sorrisetti romantici sono vietati. >> disse, truce. << Fila a largo, Dearborn. >>

<< Agli ordini, Capitan Grifondoro. >> rise lui, allontandosi con aria divertita.

Black continuò a guardarlo per qualche istante, in guardia, aspettando che sparisse tra la folla.

Lily sospirò.

<< Bene, Black, hai portato a termine il tuo compito. >> disse << Lasciami in pace, adesso. >>

Il ragazzo si voltò verso di lei, indignato: << Non se ne parla! >> sbottò. << Siamo ad una festa, e alle feste i maschi sono a caccia. Anche di ragazze senza tette. >>

<< Perché tu e Potter ce l’avete tanto con le mie tette? >> domandò lei, tra la rabbia e l’esasperazione.

Il Grifondoro ridacchiò. << Non sei arrossita. >> disse << Sei proprio senza pudore, Evans. >>

Lily sbuffò, incrociando le braccia davanti al petto.

<< Niente che esca dalla tua bocca potrebbe mai farmi arrossire, Black. >>

Black sfoggiò un’espressione che doveva essere imbronciata almeno quanto la sua.

<< Andiamo a mangiare qualcosa, ho fame. >>

<< Black… >>

<< Forza! >> incitò lui, prendendola per mano. Lily sbuffò: a quanto pare, non aveva scelta.

Si avvicinarono al tavolo dei dolci.

La prefetto guardò la torta alla panna, e sogghignò. Lui gli mandò un’occhiataccia.

<< Potrei vendicarmi, Evans. >>

<< Sarebbe davvero poco cavalleresco, Black. >> replicò lei, con un ghigno. << Cosa direbbe il tuo amico Potter? >>

<< Mi prenderebbe a pugni, ma ciò che è peggio è che riuscirei a batterlo, e allora inizierebbe a strillare come una donnetta isterica. >>

Lily ci pensò su: << Sì, sarebbe da Potter. >>

<< Ed io ho i timpani delicati, quindi ritieniti fortunata. >> aggiunse il ragazzo. << Mangiamo. >>

Lily aveva ormai deciso che protestare sarebbe stato più stancante che utile, pertanto si limitò a fare spallucce e a tagliarsi una fetta di cheesecake.

Adorava le cheesecake, e ad Hogwarts non se ne trovava mai.

Black la guardò, ironica, mentre faceva il bis.

<< Buon appetito. >> fece, sarcastico.

Lei lo guardò male, ingoiò, e disse: << Sta zitto, B.. >>

S’interruppe quando un ragazzo passò vicinissimo a loro, e urtò il Grifondoro di proposito.

Black sussultò, si voltò a guardare il tipo, e posò il piatto sul tavolo.

<< Aspettami qui. >> le disse, prima di seguirlo.

Lily annuì, in silenzio.

Non che lo vedesse spesso, ma non ci voleva chissà quale memoria per riconoscere Regulus Black.

 

***

 

 

Lo afferrò per una spalla, non sapendo se fosse la confusione o la rabbia a guidare i suoi gesti.

Be’, di certo non si sentiva in colpa, dato che non poteva che essere in pieno diritto di conscere il motivo per cui suo fratello minore gli dava il tormento.

<< Regulus! >> sbottò, facendolo voltare verso di lui. << Si può sapere che ti prende? >>

Quando lo vide in volto, Sirius notò per prima cosa la smorfia di rabbia e disgusto che gli deformava le labbra.

<< Sirius, lasciami in pace! >> sbottò il minore dei Black, a denti stretti.

Sembrava sputare veleno da tutti i pori, e Sirius non potè fare a meno di provare un moto d’insofferenza.

<< Io? >> domandò, prossimo ad urlare. << Sono io a doverti lasciare in pace? Ma se sei stato tu a darmi uno spintone! >>

La reazione di Regulus fu palesemente quella tipica di chi è appena stato colto col dito nel barattolo della marmellata: divenne bianco come un cadavere, e i suoi occhi s’affrettarono a guardare da tutt’altra parte.

Non abbassò lo sguardo, quello no, sarebbe stato un disonorevole segno d’inferiorità nella sua sciocca ed orgogliosamente aristocratica mentalità Black, eppure non riuscì più a guardarlo dritto in faccia.

<< Non so di cosa tu stia parlando. >> fece il Serpeverde, risoluto.

<< Ah no? A me sembra il contrario. >> commentò Sirius, ironico. E poi, all’improvviso, l’irritazione repressa e il rancore verso la sua famiglia, famiglia di cui Regulus era il membro a lui più vicino, sfociarono nel desiderio d’infierire, di prendersi una piccola rivincita.

<< Che c’è, Regulus? Ti manco così tanto da voler a tutti i costi attirare la mia attenzione? >> chiese, ironico.

<< Non essere stupido. >> replicò il fratello. << Non potrei mai provare nostalgia di un traditore. >>

<< E allora cos’è? >> incalzò Sirius. << Ce l’hai con me? O forse con te stesso, perché non sei il grande erede che nostro padre si aspettava? Perché non sei quello che, sebbene solo per poco tempo, credeva fossi io? >>

Voleva metterlo con le spalle al muro, umiliarlo.

Ma Regulus non ci stava. Affatto.

Non sapeva bene perché avesse dato quella spinta a suo fratello. Forse voleva per davvero attirare la sua attenzione, fargli notare la sua presenza.

In modo che Sirius non si dimenticasse di lui, forse?

Regulus strinse i pugni.

No.

Voleva che Sirius vedesse che lui, il fratello minore, poteva arrivare dov’era giunto lui, e andare oltre.

Il Lumaclub era solo la prima ed insignificante dimostrazione di ciò.

Non solo le avrebbe soddisfatte, ma avrebbe persino superato le speranze che suo padre aveva riposto in Sirius prima, e in lui ora.

Perché era lui l’erede dei Black; lo sarebbe dovuto essere fin dal principio.

<< Tu non sei niente, Sirius. >> rispose dunque, a testa alta. << Non ho paura del confronto con te, anzi. Lo attendo con ansia. >>

Sirius strinse gli occhi: << Ah sì? >>

<< Sì. >> rispose lui, risoluto. << Non sei che un egoista che se ne frega dell’onore e del buon nome della propria famiglia. Un vero Black non terrebbe mai una condotta così egocentrica e disdicevole. >>

Sirius scosse il capo.

Gli uscì una risata.

Regulus era… così… stupido.

<< Non sei che un ragazzino. >> disse infatti. Era rassegnato, eppure la sua voce sembrò più divertita che sconsolata. << E’ inutile parlare con te. >>

<< E allora non parliamoci più, Sirius. >> commentò Regulus, fiero ma triste. << Tanto non ho niente da spartire con uno che se ne va in giro con babbanofili, sanguesporco e strane creature. >>

<< Prego? >> fece Sirius, credendo di non aver sentito bene.

Passassero i Babbanofili e i sanguesporco, ma cosa intendeva con “strane creature”?

Gli veniva in mente una sola risposta, ma non era possibile.

Nessuno a parte i Malandrini sapeva di Remus.

A parte Mocciosus, ma Silente gli aveva detto di non dire… Oh.

Oh cazzo.

Da quando erano così stupidi da fidarsi delle parole di un Serpeverde?

<< Addio, fratello. >>

<< Regulus, aspetta! >> lo chiamò Sirius, invano.

Regulus Black si era già allontanato per raggiungere i suoi compagni di Casa.

Rimaneva solo una persona con cui parlare: Mr Mocciosus Piton.

E se la sarebbe vista brutta, quella lingua lunga. Molto brutta, parola di Sirius Black.

 

 

***

 

<< Che vuol dire “non saprei”. >>

<< Proprio questo, Lucius. >> replicò Severus, a braccia incrociate. << “non saprei”. Non mi sembra così complicato. >>

Era sempre uno stress parlare con Lucius Malfoy, soprattutto dal giorno in cui cercava disperatamente di evitarlo.

Esattamente dal rientro dalle vacanze natalizie.

Invece, quella sera Lucius l’aveva preso alla sprovvista. Con la testa occupata da Lily che scappava da Black, e d’interrogativi riguardanti quella bizzarra ed inspiegabile circostanza, Severus si era reso conto che il Serpeverde più grande gli si era piazzato davanti solo quando ormai era troppo tardi per darsela a gambe.

E ora Lucius lo guardava, inasprito e confuso.

<< Non so cosa ti prende, Severus. >> disse, scuotendo il capo. << Prima non rispondi alle mie lettere, poi mi eviti ed ora te ne esci… così. Non capisco. >>

Severus si trattenne dall’emettere un lungo e profondo sospiro.

Già, la lettera di Lucius.

Quella ricevuta più o meno a Capodanno, la ricordava benissimo.

Tutte quelle parole sul diventare Mangiamorte, riprendersi la rivincita… Erano parole che lo affascinavano ma che, al contempo, sapeva essere sbagliate.

Tu Sai Chi uccideva la gente, no?

Faceva male alle persone, alle persone come Lily.

E lui non voleva essere così, affatto, sebbene Lucius pensava che potesse essere un privilegio per entrambi, l’arruolarsi tra le fila di Colui Che Non Deve Essere Nominato.

Severus, inorridito, spaventato piuttosto, aveva pensato di strappare la lettera, di ridurre in irrecuperabili frantumi quelle parole così atroci, così… indesiderate.

Sì, aveva pensato proprio a quell’aggettivo, “indesiderate”. Ed indesiderabili. Tuttavia, aveva conservato la lettera.

Aveva ripiegato quel foglio di pergamena preziosa, che profumava di buono e ricchezza, e l’aveva custodita in un cassetto della scrivania.

<< Vado ancora a scuola, e i Mangiamorte non sono ben visti, qui. >> disse, serio. << Ho già abbastanza… nemici, qui. >>

Ovviamente, non era quello il problema. Ma non si sentiva sicuro di voler rivelare a Lucius il vero motivo della sua riluttanza.

E’ vero che aveva nemici, ma non tra i Serpeverde, e i nemici Serpeverde, in quel periodo, erano tra i più temibili.

Meglio non avere problemi.

<< Non mi piace questo tuo ragionamento. >> commentò Lucius, corrucciato. << E’ da vigliacchi. E la codardia non è di certo uno dei requesiti per unirsi al Signore Oscuro. >>

<< Un Serpeverde non ha bisogno del coraggio per essere tale. >> replicò lui, secco.

Non gli andava che gli dessero del codardo.

Non a lui, la cui vita non era che uno stramaledetto inferno in cui trascinarsi nel tentativo di sopravvivere, e passare oltre.

<< Ma nemmeno della paura per gli sciocchi. >> rispose Lucius. << Potter e gli altri sono solo degli stupidi bimbetti babbanofili, Severus. >>

“Non sono loro a preoccuparmi.” pensò fra sé e sé il più giovane.

Se avesse dichiarato apertamente come la pensava di quella storia di unirsi ai Mangiamorte, si sarebbe dovuto guardare da ben altra gente.

E poi, lui non aveva paura di James Potter.

Merlino, non era caduto così basso.

Guardò il Serpeverde, calmo.

<< E’ facile parlare per te, Lucius. >> disse << Provieni da una potente famiglia purosangue, e questo è il tuo ultimo anno. Io sono in tutt’altra situazione. >> fece una pausa, cauto. << Non voglio problemi. Nel mondo vige la legge del più furbo. >>

<< Pensavo fosse quella del più forte. >>

<< Essere il più forte, o cercare di esserlo, comporta solo guai. >> rispose Severus, serio. << Meglio giocare d’ingegno, ed evitare di impicciarsi in certe situazioni. Per tutta la gloria che può ottenere, alla fine il forte perisce. E’ il furbo che sopravvive. >>

“E io sono furbo, lo sono sempre stato. Voglio solo che Potter e tutta la gente come lui mi lasci in pace, a marcire nell’ombra.”

Perché Lucius Malfoy lo guardava con quell’aria di disprezzo?

Non era lui il folle che farneticava di massacri e purificazione della razza dei maghi.

I Babbani non gli avevano mai fatto nulla di male.

Non ci teneva tanto da combattere per la loro salvezza, ma nemmeno li odiava a tal punto da augurarne l’estinzione.

Severus Piton non era un guerriero. Voleva solo che la sua triste e deprimente esistenza continuasse senza ulteriori peggioramenti.

Se ne infischiava dell’opinione di Malfoy.

Non aveva bisogno dell’approvazione di nessuno.

<< Credevo fossi diverso, Severus. >> decretò il ragazzo, con un misto di astio e amarezza.

Severus distolse lo sguardo.

<< Triste di aver deluso le tue aspettative. >> commentò, pacato. << E comunque, non ti ho dato nessuna risposta definitiva. E’ che per ora preferisco concentrarmi solo sul terminare gli studi. >>

Questa volta, negli occhi di Malfoy si accese un barlume, una scintilla di velata derisione.

<< Un pezzo di carta non ti servirà a nulla, una volta uscito di qui. >>

<< Forse è vero. >> rispose lui. << Ma non ho nient’altro. >>

Il viso sorridente di Lily si delineò per qualche istante nella sua mente, come portata da una leggera brezza delicata. E poi svanì, così com’era apparsa.

Abbassò lo sguardo.

<< Nient’altro. >> ripetè, piano.

Lucius rimase in silenzio per qualche secondo.

Poi, disse: << Potresti avere una causa per cui combattere. >> e di nuovo con una parvenza di ostilità trattenuta.

“E se non fosse questa la causa in cui credo?” avrebbe voluto rispondere Severus, ma non disse nulla.

Certe volte, era meglio rimanere in silenzio.

E così fece, imitato dal Serpeverde più grande.

Cos’avevano in più da dirsi? Era come se la flebile complicità che si era instaurata tra loro in quei mesi fosse scomparsa nel nulla.

In un attimo.

Eppure, Lucius Malfoy non demordeva. Gli poggiò una mano sulla spalla, severo.

Era un gesto duro, non di amicizia.

<< Qui c’è troppa gente per parlare. Andiamo fuori. >>

Severus s’irrigidì.

La stretta di Lucius si fece più ferrea sulla sua spalla.

Lui dovette notarlo, perché abbozzò un sorriso di scherno.

<< Voglio solo parlare, Severus. >>

Il ragazzo strinse i pugni.

Non era un codardo.

<< Lo so. >> disse Severus. << Andiamo. >>

E si avviarono verso l’uscita della sala.

 

***

La serata si stava rivelando abbastanza tragica.

Lily –dopo aver perso di vista sia Black che Severus-, aveva trovato un attimo di conforto avvicinandosi ad Emmeline Vance e ad una Corvonero di un anno più piccola e un’entusiasmo da bambina.

<< Quindi in realtà ti piace Black? >>

<< No. >> replicò Lily << Non lo sopporto. Siamo venuti insieme per… be’, è una storia lunga. >>

<< Per nulla interessante, presumo. >> commentò Emmeline, composta. << Ho parlato con Sirius Black una volta, e mi è sembrato piuttosto pieno di sé. >>

<< …Sì? >> domandò Lily, sollevata dall’aver trovato una ragazza che la pensasse come lei –e che non sbavasse dietro Black come una lumaca.- Era pronta a dare man forte alla Corvonero, quando il suo stomaco ben decise di emettere un imbarazzante brontolio.

La Corvonero più piccola rise: << Hai fame, Lily? >>

La prefetto arrossì, abbozzando un sorriso timido.

In effetti, era già tardi, ed era dall’ora di pranzo che non metteva qualcosa sotto i denti.

<< Scusate. Vado a prendere qualcosa da mangiare e torno, ok? >>

Detto questo, si allontanò dalle due, verso il tavolo delle portate principali.

Stava giusto adocchiando del roast beef piuttosto invitante, quando notò qualcosa di strano.

Anzi, strano era dir poco.

Ma com’altro definire un piatto ricolmo di porcherie fluttuante per aria? Inquietante? Sospetto?

Forse “strano” non era l’aggettivo in grado di raffigurare appieno l’assurdità della scena, però a Lily di certo non mancava il nome a cui associare tale evento.

James Potter.

E il suo mantello dell’invisibilità.

“Idiota!” pensò la prefetto, avviandosi verso il piatto volante a grandi passi. Poi, lo afferrò con entrambi le mani, incontrando una convinta resistenza.

Insistette per qualche istante, poi con uno strattone ebbe la meglio, si ritrovò il piatto tra le mani e lo poggiò velocemente sul tavolo.

Mentre con un sussurro severo diceva: << E’ così che non vuoi far sapere a nessuno del mantello, Potter? >>, un debolo bisbiglio si levò in protesta, mugolante. << James, Lily Evans mi ha appena tolto la cena dalle mani. >>

Lily arrossì, riconoscendo nella vocina gemente quella di Peter Minus. Credeva che per ottenere il piatto avesse lottato con Potter.

Portò le mani ai fianchi, sospirando: << Scusa, Minus. Ma così rischiate di destare sospetti. >>

<< Non preoccuparti, Lily. C’è troppa confusione, nessuno si accorgerà di noi. >> fece una voce gentile e ben nota.

La ragazza aggrottò le sopracciglia.

<< Remus? Ci sei anche tu? >> domandò, perplessa. << Infiltrato ad una festa? Ad una festa in cui non dovresti essere? >>

<< Non essere dura, mia giglio. >> eccolo qui, quel cretino di Potter. << Anche il povero, piccolo Remus può avere fame. >>

<< Non lo sto rimproverando. >> replicò lei. << Sono solo sorpresa. >>

<< E’ che ho un debole per le torte al cioccolato. >> fece la voce di Remus. Lily se lo immaginò ad adocchiare, sognante, l’enorme torta a due piani posta al centro di una piccola fontana di cioccolato, dall’altra parte della sala.

<< Se non stai rimproverando Remus, non te la prenderei nemmeno con me, vero? >> domandò la voce (ironicamente) speranzosa di Potter.

Lily fece un sorriso sarcastico.

<< Con te me la prenderò sempre, Potter. >>

<< Ah! Cos’era quell’espressione allusiva? >> esclamò Potter << Una faccia da flirt?! >>

Lily rise, scuotendo il capo. << Ti piacerebbe, eh? >>

<< Ovvio! >> rispose lui << Stasera sei insolitamente mansueta. >>

Era vero, in effetti. La verità era che, nonostante la breve chiacchierata con le due Corvonero, si stava sentendo piuttosto sola e a disagio.

Vedere, o meglio, intuire la presenza di Potter l’aveva…. Be’, sollevata, in un certo senso.

Ma era normale, no? Cioè, non voleva dire niente. D’altronde, erano compagni di casa e di anno, era ovvio che fossero… uhm, amici.

Forse.

Almeno, era qualcuno con cui poter parlare.

E se c’era Remus, tanto meglio. Anche Minus non era così malvagio.

<< Sì, è vero. Sono contenta di vedervi. >> disse, senza pensarci, e subito dopo sbarrò gli occhi, sconvolta.

Merlino, ma come diavolo le era venuto in mente di dirlo ad alta voce?!

Stupida! Stupida, stupida, stupida!

Non fece in tempo a buttarsi sotto il tavolo per l’imbarazzo, che una mano attaccata solo a metà braccio si materializzò nel nulla, l’afferrò per un braccio e la tirò a sé.

Lily ebbe appena il tempo di emettere un gridolino, per poi ritrovarsi a faccia a faccia con Potter, Remus e Minus.

Era sotto un vero e proprio mantello dell’invisibilità.

<< Che modi, Jim. >> fece Remus, con disapprovazione. << Non sei affatto un galantuomo. >>

<< Oh, Moony, ma non vedi com’è contenta? >>

Lily li guardò, stupita.

Insomma…. Uao.

<< Si sta stretti, qui sotto. >> fu la prima cosa che le venne in mente di dire. << Immaginavo peggio, però. >>

<< Questo perché il mantello doveva rivestire le ampie spalle del mio prode antenato! >> rispose Potter, gonfiando scherzosamente il petto. << Un uomo massiccio e possente, così come diverrò io. >>

Lily rise: << Ma se sei alto appena quanto me, Potter! >>

<< Lascialo fare, Lily. >> commentò Remus, sorridendo. << Passate le nove di sera, diventa più esagerato del solito. >>

<< Non dare retta al vecchio Remus, mia dolce Lily! >> esclamò James, solenne. << Dato che oggi sei così di buon umore, ho deciso di concederti l’onore di fare una cosa pezzesca. >>

La ragazza vide, con la coda dell’occhio, Remus aggrottare le sopracciglia.

Insospettita, si rivolse a Potter con diffidenza: << Cosa intendi? >>

Il viso del Grifondoro s’illuminò in un sorriso.

<< Intendo, mia cara, >> iniziò, con entusiasmo. << Che avrai l’occasione di partecipare ad uno degli scherzi dei Malandrini. >>

Un attimo dopo, Lily stava già afferrando i lembi inferiori del mantello per levarselo di dosso e andare via, e Potter dovette afferrarla per la spalla per impedirle di svignarsela.

<< Avanti, sarà divertente! >> protestò il ragazzo. << Una cosa innocente, niente Serpeverde in mutande o chewgum nei capelli. >>

Lily sbuffò: << Mi sa che abbiamo idee differenti su cosa sia “innocente”, Potter. E a quanto pare ci sei di mezzo anche tu, Remus. >> aggiunse, guardando il prefetto, e lui fu svelto a distogliere lo sguardo, a disagio. << Non me lo aspettavo. >>

<< Non fare così, Lily! Remus non ne sapeva nulla, è un’idea che mi è venuta ora! >> intervenne Potter, dispiaciuto. << E poi sarà uno scherzo del tutto innocuo. Come quello delle sedie, lo scorso Natale. >>

La Grifondoro rimase in silenzio, pensosa.

Quello scherzo se lo ricordava.

Era stato divertente, in effetti. E nessuno aveva corso il rischio di farsi male o di essere deriso.

Ci riflettè su per qualche secondo.

Guardò James Potter, e la sua espressione da cane bastonato.

<< Come quello delle sedie, dici? >>

Il ragazzo annuì con fervore, speranzoso, e lei sospirò.

<< E vada per lo scherzo. >> disse, infine, e Potter esultò con un entusiasmo a dir poco esagerato.

“Perché alla fine l’ha sempre vinta lui?” si domandò Lily, sperando di non doversi pentire della decisione appena presa.

 

***

 

Non appena aveva visto quella pimpante accoppiata formata da Mocciosus e Malfoy abbandonare la sala, Sirius non aveva avuto alcuna esitazione a seguirli.

Insomma, quei due insieme non potevano combinare nulla di buono, e se la faccenda aveva a che fare col segreto di Remus –segreto che era stato lui, più o meno volontariamente, a rivelare a Piton- allora era suo dovere scoprirlo.

Ancora in mezzo alla sala, vide i due Serpeverde uscire dalla stanza.

Sirius accellerò il passo.

Non aveva intenzione di perderli di vista.

Cominciò a distribuire spintoni a destra e a sinistra, facendosi strada nella folla e guadagnandosi una buona manciata di insulti.

Li ignorò.

Quando raggiunse la porta, finalmente, pensò di avercela fatta.

Ma una voce gli fece venire una stramaledetta voglia di imprecare.

<< Signor Black! Non pensavo sarebbe venuto! >>

Prima di voltarsi, Sirius sollevò gli occhi al cielo.

“Porca Pluffa.”

<< Professore! >> esclamò, stampandosi in faccia il sorriso più falso del mondo. << Perché ne dubitava? Le sue feste sono semplicemente deliziose! >>

Lumacorno si espresse in un sorriso bonario: << In cinque anni, è solo la seconda che la vedo qui. >>

<< Forse non mi ha mai visto. >>

Quando sarebbe finita quella conversazione?

<< Ma se l’ho sempre cercata! >> ribattè Lumacorno, sorridendo. Forse aveva bevuto una Burrobirra di troppo. << Quest’anno è di GUFO, eh? Forse un voto più alto in pozioni le sarebbe d’aiuto. >>

<< Forse. >> rispose Sirius, spiccio. Gettò un’occhiata ansiosa al corridoio, ma dei due Serpeverde non c’era traccia.

<< Ma lei è sempre così distratto! >> continuò Lumacorno, amareggiato. << Però forse si può… combinare qualcosa. Come sta la sua famiglia? >>

Sirius gli gettò un’occhiataccia. Ecco dove voleva arrivare.

Ovviamente.

<< D’incanto. Mi hanno appena diseredato, sa? >>

In un primo momento, Lumacorno rimase perfettamente composto, imperturbabile.

Poi, sbatté più volte gli occhi spalancati.

<< Come? >> domandò, con voce un po’ più acuta del solito.

Sirius fece spallucce: << Non lo sapeva? La Carlington lo sapeva. Arrivederci, professore. >> e, approfittando di quell’istante di sbigottimento, si catapultò fuori dalla sala.

Accellerò l’andatura, percorrendo il corridoio a grandi falcate.

Nella sua mente si tingevano gli scenari più pessimisti.

Mocciosus avrebbe detto a Malfoy di Remus, Malfoy lo avrebbe detto a tutti i Serpeverde, i Serpeverde avrebbero trovato il modo di farlo sapere all’intera Hogwarts e avrebbero umiliato Remus o peggio, e Remus sarebbe stato espulso perché era un lupo mannaro, e anche se tutti facevano i buoni e i giusti, avrebbero avuto paura e i genitori avrebbero insistito con Silente; Silente non avrebbe potuto fare nulla. E allora lui sarebbe rimasto solo con James e Peter, e Remus l’avrebbe perdonato perché l’aveva già fatto, e James non gli avrebbe detto nulla, però Sirius sarebbe rimasto con un brutto senso di colpa, avrebbe ucciso Mocciosus e sarebbe stato espulso a sua volta, mandato ad Azkaban, e sua madre avrebbe riso di lui, Regulus avrebbe riso di lui e suo padre si sarebbe semplicemente limitato a guardarlo con distacco in una foto della Gazzetta del Profeta.

Tutto preso dalle sue congetture, Sirius non si accorse di stare per finire addosso a qualcuno.

Se ne rese conto solo dopo aver sbattuto il naso contro la sua spalla.

<< Attento a dove metti i piedi, Black! >>

Capelli biondi, spalle larghe.

Sirius sospirò.

<< Dearborn. >> disse, riconoscendo l’ammiratore di Evans << Scusa. Addio. >>

<< Scusa, ma dove vai? >>

Sirius, che stava già facendo per allontanarsi, sbuffò, si voltò verso di lui e portò le mani ai fianchi.

<< Che cazzo t’importa? >>

<< Nulla. >> replicò lui, colpito. << Amico, datti una calmata. >>

<< Non sono tuo amico. >>

<< E allora stai calmo e basta. >> ribattè il Tassorosso, indispettito.

Sirius sbuffò: quel tipo gli dava fastidio, era fin troppo sfacciato, per i suoi gusti.

Certo, lo era anche lui, ma…
<< Attento! >>
In meno di un frangente di secondo, Dearborn gli si buttò addosso, spingendolo a terra, mentre un raggio verde si schiantava nel punto esatto dove fino a qualche attimo prima si trovava la sua testa.
Sirius si rimise in piedi, la mano era già corsa alla bacchetta: Lucius Malfoy si trovava dinanzi a loro, il viso deformato dalla rabbia, la bacchetta puntata contro di loro.
Mocciosus era alle sue spalle.
<< Che ci fate qui? >> domandò il Serpeverde più grande << Ci stavate... spiando? >>
Accanto a sè, Sirius sentì Dearborn sbuffare.
<< Figurarsi. >> sbottò il ragazzo. << Non siate così egocentrici, l'universo non ruota di certo ... >>
<< Ovvio che vi stavo seguendo, Malfoy. >> lo interruppe Sirius, truce. << Devo scambiare qualche parola con te, Mocciosus. >>
Il Tassorosso lo guardò con stupore prima, malissimo dopo.
<< Avvertimi la prossima volta. >> gli disse a mezza voce. << Così evito di fare la figura dello stupido. >>
Sirius lo ignorò. Non aveva tempo per quello.
Dal canto suo, Malfoy storse le labbra in un ghigno di scherno.

<< Non abbiamo tempo da perdere con te, mezza cartuccia. >>

<< Mezza è la quantità di capelli che ti rimarrà in testa a trent’anni. >> replicò Sirius, di rimando. << La brillantina uccide, sai? >>

Malfoy si espresse in un grigno di rabbia: << Non quanto la mia bacchetta, Black. Tieni a freno la lingua, o affrontane le conseguenze. >>

<< Avanti. >> sbuffò Dearborn, incrociando le braccia davanti al petto << Credi seriamente di fare paura a qualcuno? Con quei capelli? >>

Malfoy s’irrigidì, mentre Sirius se la rideva tra sé e sé.

“ Ma tu guarda il Tassorosso… ”

Decise di dargli man forte.

<< Hai ragione, sai? Credo che molte fanciulle glieli invidino. >>

<< Merlino, lo farei anch’io, se fossi una ragazza. >>

<< Li guardi, e ti viene una certa voglia di farci una treccia e, chessò, adornarli di fiori e roba simile. >>

<< Opterei per le rose. Molto dolci e raffinate. >>

<< Zitti, idioti! >> urlò ad un tratto il Serpeverde, avvampando di rabbia. Poi la sua voce si fece più sottile. << Vi ammazzo. Giuro che vi ammazzo. >>

A quelle parole, Sirius tornò subito serio mentre, al suo fianco, poteva quasi avvertire l’enorme stupore di Caradoc Dearborn.

Il Tassorosso doveva essere sbalordito, mentre lui non era affatto sorpreso.

Conosceva i Malfoy e conosceva Lucius, sapeva cosa aspettarsi.

Ed ora, era chiaro: i suoi occhi rilucenti di ira, la mano stretta alla bacchetta, puntata verso di loro, i denti scoperti in una smorfia di rabbia.

Lucius Malfoy non stava scherzando. Non scherzava affatto.

Poi, ecco Piton. Piton che, poggiandogli una mano sulla spalla, mostrava un’espressione imperturbabile.

<< Lascia perdere, Lucius. Non ne vale la pena. >>

<< Stai dalla loro parte, adesso? >> sbraitò il biondo, voltandosi di scatto verso di lui.

Sirius colse l’occasione al volo.

<< Expelliarmus. >> e la bacchetta di Malfoy gli volò in mano.

Il Serpeverde sobbalzò, preso alla sprovvista, guardò lui e poi di nuovo Piton.

<< Colpiscili, avanti! >> esclamò con veemenza, e diamine se faceva paura. Se fosse stato in Piton, Sirius se la sarebbe fatta addosso nelle sue unticcie mutande da Piton.

Eppure, il Serpeverde più giovane esitava. Guardò lui e Dearborn, con la coda dell’occhio, poi si rivolse nuovamente a Malfoy, con quella freddezza così fuori luogo e così tipicamente sua.

<< Sono in due, e tu sei disarmato. >> constatò, calmo. << Non puoi nemmeno immaginare quale conto in sospeso io abbia con Black, ma affrontarlo adesso sarebbe da stupidi. >>

<< Non importa! Fallo! >>

<< No. >> replicò Mocciosus, gelido. << Non prendo ordini da te, Malfoy. >>

Era l’unica volta in cui Sirius avrebbe quasi voluto fargli un bel applauso.

Quasi, perché non aveva dimenticato il motivo per cui l’aveva seguito fin lì.

Mentre Malfoy, impotente, ribolliva di rabbia, Sirius fece un passo avanti.

Fulmineo, Piton estrasse la bacchetta dalla tasca senza che quasi lui se ne accorgesse, e gliela puntò contro.

<< Calma, Mocciosus. So che non sei così imprudente. >> disse lui, riferendosi al fatto di avere in mano due bacchette ed un potenziale alleato –Dearborn- alle proprie spalle.

Piton lo guardò, serio. << E io so quanto poco ci si possa fidare di te, Black. >> sibilò, e Sirius capì immediatamente il riferimento al Platano << Considerala una precauzione. Cosa stai facendo? >>

<< Te l’ho già detto, ritardato. Qualche minuto fa, prima che il tuo amico iniziasse a sclerare. >>

<< Fammi la grazia di riperterlo, allora. >> rispose il Serpeverde, all’erta.

<< Devo parlare con te. Da solo. >>

Piton rise, ironico: << Solo con te, Black? Mi prendi per stupido? >> domandò, e Sirius si sentì abbastanza offeso.

Insomma, non era mica uno psicopatico detenuto di Azkaban o chissà che altro, lui. D’accordo, aveva fatto passare a Mocciosus più di una brutta esperienza, però…

<< Sei una femminuccia, Piton. Proprio come il tuo amico lì. >>

Malfoy gli rivolse uno sguardo denso di rabbia.

Piton, imperturbabile, lo osservava con disprezzo.

<< I tuoi insulti non mi toccano, Black. >> disse, serio, ma Sirius sapeva che mentiva.

Eccome, se lo toccavano.

Mocciosus odiava essere umiliato. Merlino, non esisteva persona che non odiasse esserlo!

E Piton aveva probabilmente spifferato ai suoi compari Serpeverde il segreto di Remus. Già se lo immaginava, quel bastardo, tutto felice ed orgoglioso di aver scoperto che uno dei Malandrini era un lupo mannaro, e a vantarsene con i suoi amichetti razzisti.

Guardò Piton, iniziando a giocherellare con la bacchetta.

 << Avrei proprio voglia farti ingoiare quel cravattino unticcio che vorresti far passare per elegante, sai? >>

Il Serpeverde lo guardò, duro.

La bacchetta stretta in pugno.

<< Da solo, senza i tuoi amici a coprirti le spalle? >> domandò il ragazzo, sarcastico << Non credo tu sia così uomo da farlo, Black. >>

Sirius ricambiò il suo sguardo, ironico.

<< Punto primo, Mocciosus, potrei batterti anche ad occhi chiusi e con una gamba in meno. >> iniziò, con la solita sfacciataggine. << Secondo, se anche non potessi –ed è molto improbabile, credimi- tu stesso hai detto che siete in svantaggio. >> alluse a Dearborn con un cenno del capo << Ho un prode compagno Tassorosso, qui alle mie spalle. >>

<< Ehi, Black, non mettermi in mezzo! >> esclamò Caradoc, alle sue spalle. Dalla voce, appariva piuttosto agitato. << Non ho nessuna intenzione di buttarmi in un duello in mezzo al corridoio, io. >>

Malfoy, fino ad allora rimasto in silenzio, sbuffò, piegando le labbra in una smorfia di derisione.

<< Tipico dei Tassorosso. Tanto codardi quanto mediocri. >>

<< Ehi, che c’entra la mia Casa, adesso? >> sbottò il ragazzo, oltraggiato. << Semplicemente, non voglio guai inutili. L’ha detto anche Piton. >>

Il ghigno di Malfoy si allargò, infidamente.

<< Non mi vanterei di pensarla come un lurido Mezzosangue, ragazzino. >> sibillò, con un sorriso malvagio.

La mano di Piton, che prima teneva la bacchetta puntata contro Sirius, ebbe un lieve ma visibile tremito.

Un silenzio gelido calò improvvisamente nel corridoio.

Espressioni simili, pronunciate con un tale disprezzo, non erano mai piacevoli da sentire, tra la gente civile.

Nemmeno se rivolte ad un Serpeverde. Nemmeno se il Serpeverde in questione era Mocciosus.

Solitamente, erano solo i Nati Babbani ad essere presi di mira. Solo i Purosangue della peggior specie, quelli più disgustosi e intolleranti, provavano disprezzo anche per chi discendeva solo parzialmente da maghi.

Gente come Malfoy, a quanto pareva.

Tuttavia, Piton incassò il colpo piuttosto bene.

Non disse nulla, certo, ma nemmeno fece una scenata.

Piuttosto, si limitò a chiudere gli occhi, e a serrare le labbra.

Malfoy lo guardò, serio.

<< Non hai nemmeno la forza di rispondermi. >> costatò, duro. << Non so come io abbia mai potuto credere che tu fossi degno, Severus. >>

Degno di cosa?

Di che stava blaterando, Malfoy?

<< E cosa dovrebbe risponderti? >> fece Dearborn, alle sue spalle. << Sarebbe come rivolgersi ad un mulo. Sei solo una delle tante teste di cazzo che stanno trasformando Hogwarts in un covo di guerra. >>

Sirius, dal canto suo, strinse i pugni, fino a farsi male.

Quei discorsi crudeli e deliranti sulla purezza del sangue gli ricordavano sua madre, il suo viso mentre lo informava del destino che aveva riservato per lui, del suo sguardo mentre lo mandava a morire.

Faceva male.

Soffriva, Sirius, ma allo stesso tempo provava una rabbia incontrollabile.

<< Dearborn ha ragione. >> iniziò, serio. << Mocciosus ha tanti motivi per essere disprezzato, e io sono uno dei primi che mi prendo l’onore di farlo, ma fra questi non rientra di certo la purezza del suo sangue e cazzate simili. >>

Malfoy rimase in silenzio, gelido, fissandolo coi suoi occhi chiari.

Piton, invece, ebbe una reazione inaspettata.

Gli puntò la bacchetta contro.

Sì, anche se aveva appena detto una cosa a suo favore… più o meno.

<< Non ho bisogno che tu mi difenda, Black! >> sbraitò il Serpeverde, con rabbia. << Non dopo tutto quello che mi hai fatto passare. Piuttosto, pensa a proteggere i tuoi amici. Non deve essere molto sicuro passare il tempo con un lica… >>

<< Rictusempra! >> urlò Sirius –scagliando il primo incantesimo passatogli in mente-, e impedendogli così di concludere la frase.

Al posto della parola “licantropo”, dalla bocca di Mocciosus uscì quindi una sonora risata, conseguenza dell’incantesimo.

Sirius non sapeva se definire lo spettacolo spassosissimo o grottesco: il ragazzo si era piegato in due, mentre continuava a ridere e a ridere, divertito, eppure nei suoi occhi neri, puntati verso di lui, non si leggeva che odio e rabbia.

Felpato rimase serio per qualche istante, ricambiando lo sguardo irato del Serpeverde.

Infine non potè più trattenersi: scoppiò in una grossa risata, additando Mocciosus che, per terra, si dimenava ridendo.

<< Piton, sei ridicolo! Vorrei tanto che ci fosse qualcuno a vederti! >> disse, con le lacrime agli occhi.

Il Serpeverde alzò lo sguardo verso di lui, sorridendo.

<< Ahah, sei un bastardo! >> esclamò con un’allegra risata.

<< Perché mai? >> domandò lui, con falsa ingenuità. << D’altronde, è così divertente. Non è divertente? >> chiese poi, lanciando un’occhiata d’intesa a Dearborn, dietro di lui.

Il Tassorosso non rise; al contrario, lo guardò con serietà.

<< Non molto, a dire il vero. >>

Sirius rimase in silenzio, irritato. Eccone un altro che faceva il moralista.

Come Lily Evans, per cui il tipo aveva una cotta.

La cosa gli dava sui nervi.

James avrebbe riso con lui. Dov’era, quando gli serviva?

<< Non m’importa il tuo parere. >> sbottò dunque, serio. Si voltò nuovamente verso Piton. << E nemmeno a Mocciosus. Dopotutto, lui si sta divertendo così tanto, no? >> sibilò, serio.

Il Serpeverde non rispose ma, ridendo, gli puntò contro la bacchetta.

 

***

 

Ridendo a crepapelle, i Malandrini e Lily Evans, celati dal mantello dell’invisibilità, scapparono dalla sala in delirio, dove un professore e una sessantina di studenti e studentesse dovevano far fronte ad una lurga barba bianca che non cessava di allungarsi, causa di una pozione invecchiante che Potter aveva casualmente in tasca.

Ok, lo scherzo era sicuramente premeditato, però Lily non poteva smettere di ridere.

Non aveva mai… infranto le regole, ecco.

Non in quel modo, almeno: era sempre stata abituata a rispettare non solo quelle, ma anche i comportamenti che le persone –e lei stessa, in parte- pretendevano e si aspettavano da lei.

Si era sempre imposta dure norme di comportamento, eppure Potter era riuscita a convincerla con poche parole.

Ed era stato divertente.

Nessuno si era fatto male, e Madama Chips avrebbe risolto la faccenda in quattro e quattr’otto: a parte qualche lamentela, non ci sarebbe stato nessun effetto collaterale.

Era persino pronta a scommettere che le stesse “vittime” avrebbero finito col riderci sopra, alla fine.

Lily si trovò a pensare che forse era stata troppo dura coi Malandrini.

Perlomeno, per quel che riguardava determinate situazioni.

Mentre sgaiattolavano fuori dalla sala, Potter le rivolse un sorriso.

<< Vedi che è divertente? >>

Lily, per tutta risposta, continuò a ridere. Non c’era bisogno di dire nulla.

Si ritirarono in fondo al corridoio, poi si tolsero il mantello.

Potter piegò il panno alla rinfusa e se lo infilò nelle ampie tasche della felpa.

<< Ci entra? >>

Minus le sorrise, timido: << E’ fatto apposta. >>

Potter sospirò, sedendosi a terra con la schiena contro il muro, l’eco della risata sul volto sorridente.

Remus abbozzò un sorriso, poi si sedetta accanto a lui. Minus, timido ma fedele, si avvicinò a loro.

Lily, in piedi di fronte ai ragazzi, li guardò senza dire nulla: illuminati dalla placida luce lunare, che tenuamente si posava sulle loro figure, davanti a lei stavano tre dei Malandrini, uniti da un profondo legame, evidente anche nel silenzio.

Pur sentendosi un po’ fuori luogo, Lily non poteva distogliere lo sguardo, quasi… commossa, dal rapporto che poteva esistere tra degli individui così diversi.

Legati non dal sangue, non dall’amore, ma da un’amicizia che aveva dell’epico e dell’incredibile.

Lei, Lily, sarebbe mai riuscita a legarsi così strettamente a qualcuno?

La sua famiglia le appariva distante, fredda; Alice le era amica, ma teneva a lei fino a quel punto?

Un tempo, aveva creduto di avere Severus.

E lo credeva ancora, sebbene le sue certezze stessero vacillando inesorabilmente.

Si sentiva sola, Lily.

James Potter le stava tendendo una mano, e forse lei aveva fatto male a rifiutarla, però… se anche avesse accettato il suo aiuto, la sua amicizia, Lily sarebbe sempre rimasta essenzialmente esclusa... una pedina fuori posto.

Potter sollevò lo sguardo verso di lei, abbozzando un sorriso.

<< Ehi, Evans. >>

<< Sì? >>

<< Ti chiedo scusa se ti ho trascinata in questa storia. Torna pure dal tuo ammiratore, hai il nostro silenzio. >>

Lily chiuse gli occhi, scuotendo la testa.

<< Non c’è nessun ammiratore. E poi tu non mi hai trascinata da nessuna parte, aiutarvi è stata una mia scelta. >>

Potter le rivolse un sorriso entusiasta.

<< Non c’è nessun ammiratore, hai detto? >> domandò, allegro come una pasqua.

Lily sospirò: << E’ la sola cosa che hai sentito di tutto quello che ho detto? >>

<< Ovviamente no. >> replicò lui, continuando a sorridere. << Sono felice anche per il resto. >>

Lily attese per qualche istante la battuta stupida o maliziosa, che però non giunse.

Allora, sorrise a sua volta, ricambiando lo sguardo di Potter con gratitudine.

Era forse la prima volta che si guardavano dritto negli occhi, in quel modo così delicato e sereno.

Non era male, era… dolce, e Lily sentì un confortante calore pervaderle il petto.

Il sorrise le si allargò automaticamente.

Le venne da ridere, inspiegabilmente.

Abbassò lo sguardo, e si voltò dall’altra parte, ridacchiando con una mano davanti alla bocca.

<< Evans, ma che fai? >> domandò la voce perplessa di Potter, alle sue spalle.

<< Sta ridendo, James. >>

<< Questo lo vedo da me, Petey. Grazie per l’aiuto. Moony, tu che ne pensi? >>

<< O ride di te, oppure l’hai contagiata con la tua stupidità. Sarebbe un peccato. >>

Lily si voltò nuovamente verso di loro, sorridendo.

<< Niente di tutto questo. Stavo solo ripensando a quelle barbe. >>

<< Vero?! >> domandò Potter, entusiasta << Non riesco a togliermi dalla testa l’immagine della Grengrass che inciampa sui suoi baffoni. >>

Minus rise, mentre Remus scuoteva il capo.

<< Siete gente malvagia. Molto malvagia. >>

Potter gli diede un pugno sulla spalla, ridacchiando: << Zitto lupastro, che ti sei divertito anche tu. >>

<< Non è vero. >>

<< Sì che lo è, ti diverti sempre. Ammettilo. >>

Remus lo guardò, oltraggiato: << Mai. Ho la bocca cucita. >> e si ammutolì in segno di protesta.

Potter sollevò lo sguardo verso di lei, che li osservava, divertita.

Il ragazzo le fece l’occhiolino e, con un sorriso birichino, si voltò di nuovo verso Remus e gli tappò il naso stringendoglielo tra indice e pollice.

Il prefetto, in un primo momento, non fece alcuna opposizione, e se ne rimas tranquillo, in silenzio, con le braccia incrociate davanti al petto.

Poi iniziò a divenire rosso come un peperone, ed infine cedette, spalancando la bocca  in cerca d’aria.

<< Va bene, mi sono divertito! >> ansimò, liberandosi dalla presa dell’amico. Questi scoppiò a ridere, accasciandosi contro la spalla di Minus, seduto accanto a lui.

<< Vedi quanto sono efficaci le mie arti di persuasione, Evans? >>

Lily rise, scuotendo il capo.

<< Ha ragione Remus, invece. Siamo prefetti, non dovremmo fare questo genere di cose. >>

<< Forse è vero… Ma mi ha fatto stare bene! >> esclamò il Grifondoro, allaragando teatralmente le braccia. << E ha fatto stare bene te, e anche Remus e Peter. >>

Lily inarcò un sopracciglio: << Ma il mondo non ruota attorno a noi, giusto? >>

<< Ovvio. >> fece lui. << Ma i barbuti non si sono fatti male; anzi, a qualcuno di loro la barba dona. Quindi è tutto ok, no? >>

Lily sospirò, ma prima che potesse rispondere, un lampo di luce illuminò il corridoio, seguito da un urlo che li fece tutti sobbalzare.

<< Non era un fulimine, vero? >> domandò Minus, spaventato.

Lily lo guardò, guardò i Malandrini, e vide che erano tutti piuttosto pallidi, mentre Remus diceva: << No, Peter, era… >>

<< Sirius! >> completò Potter per lui, balzando in piedi ed iniziando a correre verso la direzione da cui era provenuto l’urlo.

In un attimo, Remus e Minus erano dietro di lui.

Lily, dopo solo un istante di esitazione, prese in mano la bacchetta e li seguì, correndo, e chiedendosi cosa mai potesse essere successo.

 

***

 

Dopo aver ruzzolato e rotolato per qualce metro, Sirius si rialzò a fatica, mentre Dearborn lo tirava su per un braccio.

L’attacco di Piton l’aveva colto di sorpresa.

Quando aveva sguainato la bacchetta, pensava fosse solo per intimidirlo, non per pronunciare un inc… A proposito, esattamente in che momento Mocciosus aveva pronunciato la formula dello schiantesimo?

“Incantesimo non verbale” concluse Sirius, stupito “Il pipistrello è più in gamba di quel che da a vedere.”

Pensò che era meglio non sottovalutarlo, mentre lo vedeva puntarsi contro il petto la propria bacchetta.

Sirius, dopo un attimo di perplessità, ipotizzò un “finitem incantatem”, e difatti Piton smise di ridere dopo qualche istante, eppure un ghigno soddisfatto rimase sul suo viso scarno.

<< Sorpreso, Black? >> domandò, in segno di sfida.

Lui, dal canto suo, sbuffò.

<< Sorpreso che tu conosca qualunque trucchetto di magia oscura? >> replicò, ironico. << Non proprio, Mocciosus. >>

Il Serpeverde si rabbuiò, ostile: << Fa parte del programma scolastico, Black. >>

<< Davvero? Scusa, ma non sono esperto in queste cose. >> commentò Sirius, con sarcasmo << Non ho bisogno di trascorrere nottate sui libri per saper scagliare qualche incantesimo, io. >>

<< Però è vero che non si tratta di magia oscura. >> gli bisbigliò Dearborn all’orecchio. Sirius lo ignorò, dolorante.

Piton ci era andato giù pesante.

Lo stesso che ora gli stava rivolgendo un’occhiata di puro disprezzo. Come al solito.

<< In effetti, credo che nessun tomo scolastico insegni come rendersi del tutto ridicoli con trucchetti da quattro soldi, Black. >>

“Peccato che la gente rida di te e non di me, Mocciosus.” Pensò lui, digrignando i denti.

Scagliare un incantesimo contro Piton sarebbe stato saggio, data la situazione?

Forse no, ma gli avrebbe sicuramente procurato un gran divertimento.

La sua mano si strinse attorno l’impugnatura della bacchetta.

Piton faceva male a provocarlo: non era dell’umore. E, inoltre, Mocciosus sembrava aver spifferato a qualcuno il segreto di Remus, quindi aveva tutto il diritto di fargliela pagare.

Un bel Engorgio al terribile nasone che si ritrovava sarebbe stato adeguato.

<< Ho provato a parlarti con le buone, Piton. >> fece, serio. << Ora inizio a perdere la calma. >>

Il silenzio calò nel corridoio, mentre Mocciosus assumeva la posizione di scontro, la bacchetta stretta in pugno, la mascella serrata e lo sguardo concentrato.

Caradoc Dearborn, che doveva aver rinunciato a riportare la calma, taceva, fremendo al suo fianco.

Lucius Malfoy, allo stesso modo, si limitava ad essere silenzioso spettatore delle circostanze.

Per chi avrebbe “tifato”?

Per il Grifondoro traditore del suo sangue o per il Mezzosangue che gli aveva voltato le spalle? Forse sperava che riuscissero a mandarsi l’un l’altro al San Mungo, nel reparto dei feriti gravi.

Sarebbe di certo stata una grande soddisfazione, per Malfoy, liberarsi di entrambi.

Sirius riportò la sua attenzione verso Piton, guardingo.

Mentre si chiedeva a chi sarebbe toccata la prima mossa, con la coda dell’occhio scorse Malfoy sbuffare, con un ghigno di infida derisione, guardando un punto alle spalle sue e del Tassorosso.

<< Ecco che giunge la cavalleria. >> disse il Serpeverde, e Sirius si voltò, udendo il rumore di passi concitati avvicinarsi.

<< Pad! Stai bene? >>

Ecco James, seguito da Moony, Wormtail e… tu guarda, Lily Evans.

Com’era che ultimamente quella si trovava dappertutto?

Comunque, nel vederli tutti preoccupati, Sirius abbozzò un sorriso.

<< Tutto ok, stavo solo scambiando qualche parolina con Mocciosus e testa platinata. >>

A queste parole, Sirius vide Evans impallidire, e indirizzare il suo sguardo verso Piton.

<< Sev, che sta succedendo? >>

Il Serpeverde distolse lo sguardo.

<< Nulla, Lily. >>

La ragazza ammutolì, e Sirius capì dalla sua espressione che doveva sentirsi… offesa, in un certo senso.

<< Non sono una stupida, Severus. >> disse infatti << Abbiamo sentito Black urlare. Questo non è nulla. >>

<< E’ stato lui ad iniziare! >> protestò Mocciosus, ferito, e a Sirius venne voglia darsi una manata in faccia.

Doveva davvero assistere a quella scenata?

<< Io ero venuto solo per parlare, Piton. >> sbottò dunque, in un sospiro stanco.

“E a scagliarti un Furnunculus, magari.”

<< Black ha un concetto tutto suo del “parlare”. >> replicò il Serpeverde, truce. << E tu lo sai bene, Lily. Ti prego di credermi. >>

A questo punto, Malfoy sospirò sonoramente, attirando l’attenzione dei presenti.

<< Avanti, Piton, devi davvero giustificarti con lei? Non vedi che sono tutti delle nullità? >>

<< Oh Malfoy, stai zitto. >> sbottò James, stringendo i pugni. << Si può sapere chi diamine ha chiesto il tuo parere? >>

<< E il tuo, Potter? >>

<< Meglio il mio che quello di una testina impastata di robaccia sbrillucicosa come la tua! >> replicò il ragazzo, e Sirius dovette trattenerlo per un braccio prima che si buttasse contro Malfoy per riempirlo di pugni.

Per quanto abile con la bacchetta, James doveva ancora capire che in una rissa a mani nude non aveva alcuna speranza.

<< Stai calmo, Jim. >> gli disse, piano, mentre Remus, sempre diplomatico, faceva un passo avanti.

<< Il professor Lumacorno è solo a qualche corridoio di distanza. >> disse, serio. << Faremmo tutti meglio a rimanere calmi e a tornarcene nei nostri dormitori. >>

Dearborn sollevò la mano destra ed esclamò: << Io sono d’accordo con Lupin. >>, mentre James inarcava un sopracciglio, chiedendosi cosa c’entrasse lui in tutta quella faccenda.

<< Io no, invece. >> commentò intanto Piton, acido. Sul suo viso era appena sorta un’espressione di mero disgusto. << Io non prendo ordini da… gente come te, Lupin. >>

Sirius vide Remus irrigidirsi, e sentì una grande rabbia prendere il controllo su di lui, ma James lo precedette, sbraitando contro il Serpeverde.

<< Vuoi proprio finire in mutande davanti a tutti, vero, Mocciosus? >>

<< Devi solo provarci, Potter. >> sbottò lui di rimando, perdendo la solita e fastidiosa imperturbabilità.

“In effetti” pensò Sirius “Quando c’è di mezzo James, Piton perde sempre il controllo.”

<< Ti giuro che lo faccio, Piton! >> esclamò Prongs, rabbioso. << Lo giuro sul mio onore! >>

<< Quale onore, scusa? >>

<< Quello che tu non avrai mai, Mocciosus! >>

<< Basta così! >> esclamò ad un tratto Evans, ad alta voce. << Nessuno di noi dovrebbe trovarsi qui, nemmeno gli invitati alla festa. Io e Remus siamo prefetto, ci basta un attimo per sottrarre punti a Serpeverde o a qualsiasi altra Casa. >>

Il silenzio calò tra i presenti. Il clima teso di quel periodo aveva acuizzato la rivalità tra Casa, e lo scontro tra di esse per vincere la Coppa a fine anno veniva preso molto seriamente.

Tuttavia, Mlafoy non si astenne dal mostrare il suo sdegno, sbuffando.

<< Peccato che io sia Caposcuola. Se io non sono d’accordo, voi prefetto non potete combinare nulla. >> disse, con aria di superiorità.

<< Questa, Malfoy… >> fece allora la ragazza, guardandolo dritto in volto. << E’ un’emerita cazzata. >>

Il Serpeverde ammutolì, avvampando di vergogna ed indignazione.

Evans aveva ragione.

Malfoy li guardò tutti, uno per uno; poi, come il cattivo delle peggiori storie, esclamò: << Non finisce qui! >> e, dopo quest’ultimo ammonimento, si girò e si allontanò in fretta verso la direzione opposta.

Piton esitò qualche istante, guardando la ragazza.

Nel suo sguardo si leggeva l’incertezza.

Anche lui, infine, se ne andò, senza dire nulla.

 

***


Lily guardò Severus allontanarsi, la veste da mago svolazzante, e poi sparire oltre l’angolo.

Sentì una desolante sensazione di tristezza farsi spazio lì, al centro del petto.

Un attimo dopo, la voce allegra di James Potter squillò alla sua sinistra.

<< Vedi, Evans? E’ per questo che sei la mia donna! >> esultò il ragazzo, circondandole le spalle con un braccio e scoccandole un bacio sulla guancia.

Lily arrossì, gli pestò un piede e lo allontanò con uno spintone.

<< Sta’ alla larga, Potter! >> sbottò, come in segno di monito.

Lui le mandò un bacio con la mano, per poi dileguarsi dietro le spalle di Black.

Dearborn le sorrise: << In effetti, sei stata in gamba. >>

A queste parole, Potter si sporse oltre le spalle dell’amico, guardando il Tassorosso di sottecchi.

<< Scusa, ma tu che ci fai qui? >>

<< E’ l’ammiratore di Evans. >> rispose Black, facendo spallucce. Potter balzò in aria, con un urletto stridulo oltraggiato.

<< Come ti permetti, maniaco ladro di donne? >> esclamò, indignato. << Ti sfido a duello!Ti picchio! >>

Lily vide Black scuotere il capo e Remus sospirare.

<< Non temere, Potter. >> fece Dearborn, nel tentativo di calmarlo << Lily Evans è tutta tua. >>

Il Grifondoro sbuffò, guardandolo in cagnesco: << Come faccio a crederti? >>

<< Boh, libero di fare come ti pare. >>

Potter rimase in silenzio, poi, con le braccia incrociate davanti al petto, rivolse a Lily un’occhiata truce.

Lei sospirò: << Fidati, tra noi non c’è nulla. >>

“E non so neanche perché mi sento in dovere di dirtelo.”

<< Ne ero sicuro. >> esclamò il ragazzo, solenne. << Evans ama solo me. >>

<< Sicuramente, Potter. >>

<< Piuttosto… >> fece Remus, pensoso. << Come mai vi trovevate qui in corridoio? >>

<< Black ha detto di stare seguendo Piton, credo, mentre io cercavo solo di filarmela dalla festa. >> rispose il Tassorosso. << Lupin, non eri tu che l’altra volta parlavi con Marlene? >> aggiunse poi, guardandolo di sottecchi.

Remus fece spallucce, stamapandosi in faccia una delle espressioni più innocenti e inconsapevoli.

<< Non che io ricordi. >>

<< Sì, invece. Eri tu, in biblioteca. >>

<< … Forse. Sirius, perché stavi seguendo Piton? >> domandò il prefetto, evasivo, voltandosi verso l’amico.

Questo alzò le spalle, con noncuranza.

<< Volevo solo parlare con lui di una cosa. >> rispose, vago.

Lily lo guardò, sospettosa.

<< Devo davvero credere che tu volevi solo scambiare due parole con Severus? >> domandò, ironica.

<< Puoi credere quello che vuoi, Evans. >>

Prima che potesse rispondergli male, Potter si piazzò davanti a lei, con un sorriso allegro: << Giusto. Che ne dici di credere a noi due assieme, ad Hogsmeade? >>

Lily sbuffò, esasperata: << Ora non voglio parlare di questo, Potter. Vorrei sapere perché continuate a prendervela con Severus. >>

<< Lily, parliamone un’altra volta, d’accordo? >> fece Remus, a bassa voce. << Mi sembra di aver sentito qualcosa, e abbiamo fatto fin troppo rumore per illuderci di poter passare inosservati. >>

<< Forse è Lumacorno. >> bisbigliò Minus, timoroso. << Che va a farsi curare la barba. >>

<< Barba? >> fecero Black e Dearborn assieme, confusi.

Lily non potè trattenere un sorriso, ripensando alla scena.

<< Hai ragione. Sarebbe meglio se noi tornassimo alla festa. >> disse.

<< Tornaci tu, io mi sono rotto le scatole. >> borbottò Black, stiracchiandosi.

<< Lumacorno si accorgerà della nostra assenza. >>

<< E quindi? >> domandò lui, con un’occhiata significativa.

<< Fa’ come ti pare, Black. >> replicò lei, girandosi e dirigendosi verso la sala.

 

***

 

Dopo che anche Dearborn ebbe svoltato l’angolo e preso la direzione per la torre dei Tassorosso, James si fermò davanti a Sirius, risoluto.

<< Ok, ora puoi dirci cosa è successo veramente. >>

Padfoot lo guardò, imperturbabile.

<< L’ho già detto. >> disse, calmo. << Volevo davvero parlare con Piton. >>

<< Sì, e confessargli il tuo amore segreto per lui. >> commentò Prongs, con un sorriso. << Avanti, Pad. Sai mentire meglio. >>

<< Non è una bugia. >>

<< E allora di cosa volevi parlargli? >> chiese quindi Remus, incuriosito. << Scusa, ma mi sfugge il motivo per cui tu vorresti chiacchierare amichevolmente con Piton. >>

Sirius rimase in silenzio, guardando il prefetto.

Era incerto; d’altronde, non aveva nessuna prova concreta.

Eppure… Non poteva mentire ai Malandrini. Se ne sarebbero accorti.

Sospirò, passandosi una mano sugli occhi.

I suoi amici lo guardavano, in attesa.

<< E’ solo un sospetto che ho. >> disse quindi << Non voglio farvi preoccupare inutilmente, almeno fino a quando non ne sarò sicuro. Ve ne parlerò solo dopo averne avuta la piena certezza. >>

Peter, Remus e James si scambiarono un’occhiata, in silenzio.

Poi, Prongs sospirò.

Sirius sapeva essere dannatamente cocciuto: se aveva deciso di non parlargliene, non lo avrebbe fatto, non importava quanto intensi sarebbero stati i loro tentativi di convincerlo a fare il contrario.

<< D’accordo, Sirius. >> disse << Ce ne parlerai quando riterrai opportuno. >>

Padfoot annuì, serio: << Grazie. Potrebbe anche non essere nulla. >>

“Così spero, almeno.”

<< Com’è andata la festa. >>

<< Una palla incredibile, Peter. Mi devi un favore, James. >>

<< Macchè favore! >> protestò il ragazzo, indignato. << Se avessi aspettato qualche minuto in più, ti saresti fatto una gran bella risata. >>

<< Fammi indovinare, >> disse lui, con un ghigno divertito. << ha a che fare con Lumacorno ed una barba, vero? >>

<< Con tutti gli invitati e una cinquantina di barbe, a dire il vero. >> commentò Remus, con un sospiro.

 

***


Una volta tornati in Sala Comune, Malfoy se ne salì in dormitorio senza dire una parola.

“Ecco un altro da cui guardarsi le spalle.” pensò Severus, fra sé e sé.

Non poteva fare a meno di ripensare allo sguardo accusatore di Lily. E al fatto che fosse giunta di corsa insieme a Potter e ai suoi amichetti del cavolo.

Che ci faceva insieme a loro?

E perché prima, alla festa, era assieme a Black? Allo stesso che, Merlino, lo aveva spedito dritto dritto tra le fauci di un licantropo!

Sospirò, sedendosi sul divano.

Era stanco.

Stanco e amareggiato.

Sapeva che Lily era una delle uniche cose belle nella sua vita, ma allo stesso tempo la sentiva sempre più distante.

Chiuse gli occhi, reclinando il capo.

Forse, se quella stessa oscurità che ora vedeva lo avesse inghiottito per sempre, tutto sarebbe stato più facile. Più semplice. E indolore.

<< Piton. >>

Severus aprì gli occhi, cauto.

Cosa voleva lui?

Si voltò, guardandolo con sospetto.

<< Che ci fai qui a quest’ora? >> domandò, calmo.

Doveva mostrare la solita freddezza, l’unica arma che lo teneva al sicuro.

L’altro lo guardò con la medesima imperturbabilità.

<< Potrei dire lo stesso di te. >>

<< Non credo proprio. >> replicò Severus, con distacco. << Comunque, che cosa vuoi? >>

<< Parlare, Piton. >>

Lui sbuffò, divertito: << Una persona piuttosto vicina a te mi ha da poco detto la stessa cosa, sai? >>

L’altro rimase calmo.

<< Non so a che cosa ti stia riferendo. >>

<< Mi sarei sorpreso del contrario. >> replicò Severus << Ripeto, cosa c’è? >>

Regulus Black sorrise leggermente.

<< Solo parlare. Abbiamo molto di cui discutere, noi due. >>

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