X-Men

di vannagio
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** X-Men ***
Capitolo 2: *** X-Men 2 ***
Capitolo 3: *** eXtra-Men: Brainstorming ***
Capitolo 4: *** eXtra-Men: Burian di aprile ***



Capitolo 1
*** X-Men ***


Note dell’autore - parte prima:
La Corin e il Santiago di questa fanfiction appartengono a OttoNoveTre, un'autrice del fandom di Twilight, che mi ha dato il permesso di utilizzarli.
Secondo OttoNoveTre (dimenticate le informazioni della guida, se l'avete letta), Corin è una vampira con il potere di controllare le ombre. A causa di questo potere, la pelle di Corin non brilla alla luce del sole come quella degli altri vampiri e i suoi occhi non diventano mai del tutto rossi ma rimangono scuri. Inoltre, sempre per via di questo suo potere, Corin passa inosservata: la gente stenta ad accorgersi di lei.
Il primo incontro tra Santiago e Corin vampira, sempre secondo le storie di OttoNoveTre, avviene nella stanza di Santiago. Verso la fine della mia shot viene fatto un piccolo accenno a questo episodio (quando si parla di dèjà-vu).






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Per la serie…
“Quando vannagio vaneggia!”






Dedicata a OttoNoveTre.
Perché mi ha trasformata in una fanghèrl isterica e perché questo è un giorno da segnare sul calendario con un bel cerchietto rosso.








X-Men




Bimba, prima o poi mi spiegherai in che modo renderti uguale a tutti ti servirà per essere notata.
(Santiago, Acquisti di Natale, capitolo sette “Natale”, di OttoNoveTre)




Ottobre, 2011


Santiago era diretto in palestra quando, giunto davanti all’entrata della Sala Proiezione, sentì le risate e i chiacchiericci di tre vampiri. In sottofondo la tipica colonna sonora di un film d’azione.
«Certo che Magneto da giovane è decisamente sexy».
«Invece Xavier sembra proprio il classico tontolone segaiolo».
«Senti chi parla, il morto di figa!».
Santiago si ritrovò a spalancare la porta della Sala Proiezione senza neanche rendersene conto. Tre sagome munite di occhialini 3D si voltarono verso di lui nello stesso momento e lo fissarono immobili per un istante.
«Santiago!».
Corin si sfilò gli occhiali e scattò in piedi sulla poltrona della prima fila. Alle sue spalle il fioco bagliore del fermo immagine illuminava il profilo del suo viso.
«Qué pasa?».
«Alec mi ha proposto una maratona dei film sugli X-Men», rispose lei sorridente.
«Ed io mi sono autoinvitato perché c’è quella gnocca di Mystica che se ne va in giro tutta nuda».
Felix ghignava, mentre Corin e Alec annuivano convinti. Rigirandosi la cicca tra le labbra, Santiago li squadrò tutti e tre ad uno ad uno.
«Perché non ne sapevo niente?».
Corin sgranò leggermente gli occhi, presa alla sprovvista. «Mi era parso di capire che non ti piacesse questo genere di nerdate», farfugliò imbarazzata. «Sei sempre in tempo a rimanere comunque, abbiamo appena cominciato».
In effetti la bimba aveva ragione: non era il tipo da maratona cinematografica, lui.
«Naah. Preferisco andare ad allenarmi».
Santiago intravide qualcosa negli occhi scuri di Corin, come una luce che si spegneva.
«Tranquillo, Tiago. Ci pensiamo Alec ed io a tenere compagnia al Fantasmino».
«Ehi!», si lamentò la diretta interessata.
Santiago si chiuse la porta alle spalle con un cabròn appena sussurrato. All’interno della sala, Felix stava ancora sghignazzando.
«Volete stare zitti, voi due? Non sento un accidente». Le proteste di Alec si sovrapponevano alle battute del film.
«Sei un vampiro, cazzo. Usa il super udito e non rompere i coglioni».
«Secondo voi in Conflitto Finale si sono ispirati a Leech per il personaggio di Jimmy/La Cura?».
Santiago si paralizzò sul posto, la mano ancora sul maniglione antipanico. Non sentiva il nome di quel hijo de puta da diversi anni ormai.




Dicembre, 2006


Corin si guardava intorno incuriosita. «Aro ha convocato tantissima gente».
La Sala dei Banchetti era gremita di vampiri che avrebbero partecipato come testimoni alla missione punitiva contro il Clan di Olympia.
«Hai visto qualcuno di interessante, querida?». Santiago sorrise, sicuro del fatto suo.
Corin scosse la testa. «Passerò inosservata come al solito».
Avrebbe voluto dirle che si stava sbagliando, che lei non passava mai inosservata ai suoi occhi. Chissà perché le parole gli rimasero in gola.
Huevonazo!
«Togliamoci da qui, Santiago. Stare accanto alla vetrata è una pessima idea: si potrebbero accorgere che la mia pelle non brilla», borbottò lei.
Stava per farle notare la contraddizione di fondo tra quell’ultima affermazione e ciò che aveva detto poco prima, quando venne abbagliato da un luccichio improvviso.
«Cazzo!». Sgranò gli occhi. «Tu brilli eccome, bimba».
Corin lo fulminò con un’occhiataccia. «Non prendermi in giro, Santiago. Sono stufa delle tue battutacce!».
Le afferrò il polso. «Guarda, donna di poca fede». E le mise la mano davanti al naso.
«Oh, cielo!». Questa volta fu lei a sbarrare gli occhi e spalancare la bocca, mentre si fissava inebetita i palmi luccicanti. «Come è possibile?».
«Temo sia colpa mia».
Corin e Santiago sollevarono lo sguardo contemporaneamente: un vampiro alto e allampanato, dal fisico longilineo, sorrideva al loro indirizzo.
«Hai il potere di far luccicare le persone, seňor?». Santiago scoppiò a ridere.
Corin lo guardò malissimo. Il vampiro, invece, si limitò ad aggrottare la fronte.
«In realtà riesco ad annullare le altrui capacità. Suppongo che il tuo potere…». Si rivolse a Corin con un sorriso. «…impedisca alla tua pelle di brillare».
Corin annuì, timida. Santiago smise di ridere immediatamente: c’era qualcosa nel modo in cui Corin si torturava le mani che non gli piaceva affatto. Le si avvicinò di un passo.
«Purtroppo non posso controllarlo, sono spiacente», continuò il vampiro. «È una sorta di campo di forza che si propaga dal mio corpo per un raggio di pochi metri e che agisce su qualsiasi individuo senza distinzione di sorta».
«Be’, potresti sempre andartene», intervenne Santiago.
«A me non da fastidio», si intromise Corin, dopo aver scoccato un’occhiata di sprezzante disapprovazione a Santiago. «Per un po’ brillerò anch’io, sai che dramma!». L’espressione entusiasta di Corin gli fece venire voglia di fare a pezzi qualcosa. Magari proprio quello stronzo di spilungone che adesso le stava facendo il baciamano.
«Lieto di esserti utile…».
«Corin».
Il luccichio sulle sue guance aumentò di intensità, come se stesse arrossendo.
«Ti si addice». Il vampiro sfoderò un altro dei suoi sorrisi stucchevoli del cazzo. «Non ho memoria del mio nome ma, da un po’ di tempo a questa parte, tutti mi chiamano Leech».
«Oh, proprio come quel personaggio degli X-Men, vero?».



Santiago bussò alla porta della stanza di Corin, che venne spalancata immediatamente, senza neanche dargli il tempo di un secondo colpetto.
«Oh. Sei tu».
Le parole erano le stesse di sempre, ma sembrava quasi che mancasse un punto esclamativo alla fine. Di solito, poi, venivano accompagnate da un sorriso raggiante e subito seguite da un Entra pure. Questa volta, invece, Corin rimase sulla soglia, ferma, in attesa.
«Ti disturbo, querida? Aspettavi qualcuno?».
Il tono di voce risultò più duro e risentito di quanto avrebbe voluto. Dal canto suo, Corin evitò goffamente lo sguardo indagatore di Santiago.
«Ehm… no. Certo che no. Chi vuoi che si ricordi di me con tutta questa gente in giro?». Stiracchiò le labbra in un sorriso impacciato. «Ma… volevi dirmi qualcosa?».
Santiago la fissava serio.
«Demetri ed io stiamo accompagnando un gruppo di ospiti a caccia nei pressi di San Gimignano. Ti unisci a noi?».
«No, grazie. Non ho sete». Di nuovo il sorriso stiracchiato.
Calò un silenzio imbarazzato, durante il quale Corin parve trovare interessante contemplare le venature del pavimento in marmo e Santiago continuò a fissarla imperterrito.
«Allora… fate una buona caccia e divertitevi», biascicò lei. Si torturava le mani come faceva sempre quando si trovava in una situazione imbarazzante.
«Grazie. Anche tu».
Santiago si voltò e, dietro di lui, la porta si chiuse con un tonfo sordo che riecheggiò tra le pareti. Poco dopo, lungo il corridoio, incrociò Leech. Sicuramente, Santiago ci avrebbe scommesso le palle, era diretto alla stanza di Corin.
Hijo de puta!



Il cielo nero di nuvole rispecchiava in tutto e per tutto l’umore di Santiago.
La caccia gli aveva permesso di spegnere il cervello per qualche ora, ma non si era divertito neanche un po’. Adesso se ne stava sdraiato sotto un leccio, nel bel mezzo della campagna toscana, sazio di sangue e in compagnia di Demetri.
Il gruppo di vampiri che avevano accompagnato era ancora in giro a riempirsi lo stomaco. Aro si era raccomandato con Santiago e Demetri affinché gli ospiti non si sentissero tampinati a vista, ma si era anche premurato di ricordare che “Solo perché non ci accorgiamo di qualcosa, non vuol dire che questa cosa non stia accadendo. Dico bene, tesorucci?”.
«Di cosa ti meravigli, Santiago? Hai temporeggiato fin troppo con Corin. Pensavi che nessuno l’avrebbe notata? Mai dare nulla per scontato».
Sfortunatamente, Demetri era così bravo con il suo potere, da tenere sotto controllo i movimenti dei loro ospiti senza che questi se ne rendessero conto e contemporaneamente fare la paternale a Santiago.
«Non rompere, Demetri», ringhiò.
«Che cosa hai intenzione di fare?».
Essere lasciato in pace era chiedere troppo, a quanto pareva.
«Fare il culo allo spilungone al più presto. E prima che tu possa fare qualche obiezione, non sono cazzi tuoi».
«Non credo che sia una buona idea».
Santiago roteò gli occhi, esasperato. «Quale parola della frase “Non sono cazzi tuoi” non ti è chiara?».
Demetri continuò a parlare come se lui non avesse aperto bocca.
«Aro vuole il potere di Leech. Spera che un giorno lui decida di unirsi alla guardia». Traduzione: uccidere quel bastardo equivaleva a diventare un morto vivente molto morto. «Non puoi prendertela con Leech solo perché non ti sei fatto avanti prima».
Demetri poteva cianciare a vanvera quanto voleva, ma Santiago non era tenuto a rispondere o dargli retta. Spense la cicca ormai consumata nel palmo delle mano e se ne riaccese subito un’altra. Mentre la brace rossa della sigaretta brillava ad ogni boccata, Santiago sollevò lo sguardo in direzione delle nuvole gonfie di pioggia. Proprio in quel momento si udì un tuono e cominciò a piovere.
Che giornata de mierda!



Ritornarono a Volterra che era già notte fonda.
Il cielo si era da poco rasserenato e la luna piena rischiarava impietosa l’oscurità. Santiago era bagnato fradicio dalla testa ai piedi. L’unica cosa che desiderava era un bagno caldo e dei vestiti asciutti.
Purtroppo ebbe l’infelice idea di imboccare il corridoio le cui finestre davano su uno dei tanti giardini interni del palazzo. Gettò un’occhiata distratta al di là della vetrata e, quando riconobbe le due sagome nel giardino, non poté fare a meno di ringhiare.
Leech e Corin stavano conversando, seduti sotto il pergolato: un incontro romantico al chiaro di luna, ovviamente.
Lui le sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e lei abbassò lo sguardo, torturandosi le mani come al solito. La pelle di Corin brillava per effetto della luce lunare e sembrava ricoperta da milioni di piccole lucciole. Non era mai stata così bella.
Accidenti, non era affatto vero!
Corin era sempre stata bella, anche se la sua pelle non luccicava e nessuno la notava mai. Santiago non era molto diverso dagli altri, se per accorgersi veramente di lei era servito l’intervento di quel hijo de puta. Demetri non aveva torto, in fondo: Santiago aveva dato per scontato molte cose e adesso ne pagava le conseguenze.
Cazzone!



Il gorgoglio dell’acqua che scorreva e riempiva la vasca da bagno era l’unico suono nella stanza. Santiago cominciò a sbottonarsi la camicia, felice di potersi liberare degli indumenti bagnati, ma un leggero fruscio e il tremolare delle ombre intorno a lui lo misero in allerta.
«Non ti ricorda qualcosa questa scena, querida? È quasi come vivere un déjà-vu».
Poi si voltò e Corin era lì, sguardo basso e mani che si torturavano.
«Ho appena scoperto che stando vicina a Leech anche i miei occhi subiscono un cambiamento. Diventano rossi come quelli di un vampiro normale».
«Ne sarai felice, immagino».
«Per niente, a dire il vero. I miei occhi mi piacciono così come sono. Solo che…». Prese un respiro profondo. «…almeno per una volta volevo essere uguale a tutti voi. Mi sono resa conto, però, che non è poi così divertente e che non ho bisogno di apparire come gli altri per farmi notare… da te».
Quel da te non era stato altro che un sussurro incespicante. Santiago inarcò un sopracciglio, sconcertato.
Finalmente Corin sollevò lo sguardo: gli occhi d’ebano erano decisi e sicuri adesso.
«Ho commesso un errore. Mi spiace di non essere venuta con te a caccia, oggi. E di essere stata scortese. E di essermi lasciata lusingare come un’ingenua da qualche complimento e un luccichio sulla pelle. E di averti messo da parte come un giocattolo rotto. E…».
«Bimba, se non fossi una vampira a quest’ora saresti soffocata».
Santiago fece di tutto per non ridere, ma ogni tentativo fu vano. Gettò la testa indietro e si lasciò andare a una sonora risata.
«Sei sempre il solito cafone! Io provo a scusarmi e tu che fai? Ti prendi gioco di me?».
Le ombre si mossero minacciose e Santiago provò di nuovo quella bellissima sensazione di déjà-vu.
«Non rido di te, querida. Mi è soltanto tornato il buon umore».
«Mi perdoni, quindi?».
L’espressione speranzosa sul suo viso lo fece sorridere ancora e ancora. Ma gli aveva servito un’occasione d’oro su un vassoio d’argento e non poteva non approfittarne.
Assunse una posa pensosa e si lisciò il pizzetto. «Non saprei…».
«Dimmi cosa posso fare per ottenere il tuo perdono, allora».
Un angolo della bocca di Santiago si arricciò all’insù.
«Be’… potresti spogliarti e farmi compagnia nella vasca. Che ne dici, querida, ti va?».
La sberla che gli slogò la mascella fu sufficientemente eloquente come risposta.
Tutto era tornato alla normalità.




Ottobre, 2011


Santiago sorrise e si massaggiò la mascella, come se il ricordo dello schiaffo avesse risvegliato il dolore. Fece leva sul maniglione antipanico ed entrò nuovamente nella Sala Proiezione.



Corin sussultò quando una grossa sagoma nera apparve improvvisamente davanti allo schermo.
«Scusami, bimbo. Sei seduto al mio posto».
«Ehi! Ma che…».
Sotto lo sguardo sorpreso di Corin, Alec venne sollevato per il collo della maglia e fatto accomodare con poco riguardo sulla poltrona successiva. Poi la sagoma prese posto accanto a Corin e il sorriso criminale di Santiago comparve nel suo campo visivo.
«Ti sono mancato, querida?».
Corin ricambiò il sorriso e senza troppi complimenti poggiò il capo sulla spalla di Santiago.
Nel frattempo, sullo schermo di fronte a loro, un giovane Magneto e un’ingenua Mystica erano intenti a scambiarsi il primo bacio.







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Note dell’autore - parte seconda:
Chi è curioso come una scimmia può andare a leggere qui cosa è successo grazie anche all'intervento di Leech.
Questa fanfiction si è classificata terza al contest “Ricordi - only Quileute and Volturi”, indetto da Palm. Ogni partecipante doveva scrivere una storia che trattasse di un ricordo. I protagonisti potevano essere i Volturi o i Quileute.
Chiara, tutta per te come ti avevo promesso. Per tua fortuna la non-poi-così-velata minaccia inserita in questa storia non è più necessaria ;).
Il film che Corin, Felix e Alec stanno guardando è X-Men – L’inizio.
Il mio Leech si ispira a un personaggio del film X-Men - Conflitto Finale, chiamato Jimmy/La Cura, il cui potere consiste, per l’appunto, nell’annullare il potere degli altri. Nel fumetto inglese il nome di Jimmy/La Cura è Leech. Ho pensato che fosse un nome azzeccato per il mio personaggio.
Ringrazio chiaki89 e Dragana, per aver supervisionato la storia, Palm per aver indetto un contest così grazioso e la lupa Leah di Dragana per la sua battuta sugli X-Men, che mi ha dato l'idea per questa shot.
A presto, vannagio.








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Ecco il giudizio:



Trattazione del tema proposto: 28/15
maremma toscana! Ragazzi, ma ho dei partecipanti uno più bravo/a dell’altro? Siete fantastici! Sono quasi alla fine delle valutazioni e mi sono divertita ed emozionata tantissimo a leggere e valutare! Ok, vannagio, scusami per questo piccolo commentino che non c’entra niente con la tua valutazione, ma quando ho finito di leggere la tua shot... insomma, è fanatasica! E quelle che ho letto prima della tua pure! Tutte meravigliose e allora non ho potuto fare a meno di scriverlo.
Allora, anche tu, complimenti! Il tuo ricordo è F A N T A S T I C O! Un mix perfetto fra dolcezza, romantico e divertente/commedia! E poi è scritto tutto nei minimi dettagli!
Brava, bravissima! Il massimo dei punti anche a te, baby! 5 punti del pacchetto + 8 dei prompt (4*2) + 15 del parametro.
Originalità dello stile e della trama: 15/15
boh, io non so che dire. Ma come fai, e fate pure voi altri, ad essere così dannatamente bravi?
Cioè, ragazza, mi riferisco solo a te ora, vannagio, come hai fatto a farmi emozionare così tanto? Quando l’ho finito di leggere, l’ho riletto un’altra volta, prima che iniziassi a valutarti. Spero ti sia fatta un’idea di quanto mi è piaciuta la tua shot.
Il tuo stile è molto... preciso. Non manca niente, nessun particolare, nessun... non so, non so come spiegarmi. Insomma, sai far parlare i personaggi, sai farli relazionare fra di loro, sai descrivere i fatti... oh my God, sai far tutto. E’ tutto molto prezioso. - so che non è proprio un aggettivo adatto al contesto, ma io trovo che sia molto bello e te l’ho voluto... diciamo, dedicare. -
Gradimento personale: 10/10
mi sono divertita ed emozionata... ma cosa mi aspettavo di più?
Totale: 53/40

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Capitolo 2
*** X-Men 2 ***







Dedicata a OttoNoveTre, che oggi compie gli anni.
Tantissimi auguri, querida!








X-Men 2




Inverno, 2008


Il sole di mezzogiorno faceva risplendere la loro pelle. I riverberi dorati si riflettevano sulle vetrate delle finestre, centuplicandosi e sparpagliandosi sulle pareti, sul soffitto, sul pavimento. Mentre percorreva il lungo corridoio che si affacciava su un giardino a lui molto familiare, Leech aveva l’impressione di annegare in un mare di luce.
Aro camminava al suo fianco, le mani intrecciate dietro la schiena. «Riaverti qui a Volterra è una vera gioia». Il suo sorriso scintillava malizioso.
Leech sorrise di rimando. «Circostanze fortuite mi hanno portato nei pressi di Firenze, così ho pensato che ti saresti offeso se non fossi passato a farti visita». Si concesse una rapida occhiata speranzosa al giardino sottostante.
«Hai pensato bene, mio caro». Aro posò una mano sulla sua spalla. Leech tornò a rivolgergli lo sguardo e lo scintillio del suo sorriso lo abbagliò. «Dubito, però, che tu sia venuto qui esclusivamente per cortesia nei miei confronti, mi sbaglio?».
Leech inarcò un sopracciglio. «Non credo di aver capito a cosa tu ti stia riferendo».
«Accetta il consiglio di un amico molto più vecchio e… navigato: il teatro non fa per te». Aro si lasciò sfuggire un risolino. Probabilmente l’espressione di Leech doveva essere parecchio divertente agli occhi di un osservatore esterno. «Forse non avrò accesso alla tua mente, ma sei praticamente un libro aperto. Credo dipenda dal tuo potere, sai? Appari così come sei, spoglio di qualsiasi mistero, proprio come accade alle persone che ti stanno vicino».
«Leech!».
Si voltarono contemporaneamente.
Di fronte a loro, in fondo al corridoio, era apparsa una figura minuta e scura, tra le mani un libro consumato, aperto più o meno a metà. Si faceva strada nella luce come se stesse nuotando tra le onde. Le ombre seguivano la sua scia, in uno strascico sottile e tremolante.
«Tesoruccio, perdonaci, non ti avevamo visto».
«Nessuno problema, Aro». Corin li raggiunse, sorridente. «È bello rivederti, Leech».
E anche se sapeva che era impossibile - il potere di lei non aveva effetto accanto a lui -, adesso la luce gli sembrava meno impetuosa.
Leech non annegava più: galleggiava placidamente sulla schiena.



Aro si era congedato con la scusa di doveri improrogabili e Corin aveva preso il suo posto nella chiacchierata e nella camminata lungo il corridoio.
«Vedo che non hai abbandonato la tua passione per il romance».
Leech indicò con un gesto del mento il libro che lei si stringeva al petto con fare quasi possessivo. Sulla copertina vi era scritto qualcosa a proposito di un certo Capitano Saramago.
Corin abbassò istintivamente lo sguardo sul libro, poi sorrise. «Dopo cento anni, credo sia quanto meno utopistico sperare che io possa guarire da questa ossessione».
«Allora il mio regalo ti piacerà senz’altro».
Corin sbarrò gli occhi. «Regalo?».
Leech fissò lo sguardo su un punto imprecisato di fronte a sé. «L’ho lasciato in camera». Quando non udì più i passi di Corin al suo fianco, Leech si fermò voltandosi. Corin era rimasta indietro, immobile in mezzo al corridoio. «Non vieni?».
Lei sussultò appena e le sue guance presero a brillare. «Venire… dove?».
Leech aggrottò la fronte. «A prendere il tuo regalo».
«Giusto». Adesso si torturava le mani, gli occhi piantati sulla punta dei piedi. «Il mio regalo. Che è nella tua stanza».
«Esatto».
«Okay».
Leech attese una sua reazione. Spostò il peso del corpo dalla gamba sinistra a quella destra. Poi di nuovo su quella sinistra. Incrociò le braccia al petto. Attese ancora. «Qualche problema, Corin? Se preferisci aspettare qui…».
«No, no». Lo raggiunse rapidamente, la testa infossata nelle spalle, le guance che luccicavano impazzite, e lo superò. «Andiamo, dai».
Leech le fu accanto in un attimo.



Chino sulla sua borsa da viaggio, Leech era sempre più perplesso. Mentre cercava alla cieca il regalo, si rivolse a Corin, che chissà come mai aveva preferito aspettare sulla soglia. «Sei sicura di non voler entrare?».
«Sì, ehm, io…».
Di tanto in tanto si guardava intorno con aria circospetta e un po’ preoccupata. Ecco che si torturava nuovamente le mani.
Leech non poté fare a meno di sorridere. Era così… buffa, e impacciata, per essere una vampira. Forse l’aveva notata fin da subito proprio per questo motivo, quel giorno, nella Sala dei Banchetti. Be’, il suo potere gli aveva dato qualche vantaggio, a dire il vero.
Quando avvertì la familiare sensazione di una superficie liscia sotto le dita, capì di aver trovato quello che stava cercando. Corin era ancora intenta a guardarsi alle spalle, perciò non lo vide avvicinarsi.
«Corin?».
Lei si voltò di scatto, smarrita, neanche fosse stata colta in flagranza di reato.
Senza riuscire a smettere di sorridere, le porse il libro.
Quando le labbra di Corin si schiusero in una O di meraviglia e i suoi occhi divennero quasi lucidi, tanto erano spalancati, Leech si disse che ne era valsa la pena fare tutta quella strada per darglielo di persona.
«Oh, cielo» fu tutto ciò che Corin riuscì a farfugliare. Prese il libro e se lo rigirò tra le mani, quasi fosse un antichissimo cimelio di inestimabile valore. «Il seguito di Vento focoso! Oh, cielocielocielo. Grazie, è un’eternità che lo cerco!». Portò quei suoi occhi così lucidi e sgranati su di lui. «Dove lo hai trovato? Avevo perso le speranze, ormai».
Quelle labbra si muovevano troppo velocemente. Leech si costrinse a deviare lo sguardo su altro. Ma la ciocca che le accarezzava la guancia non era affatto un buon diversivo. «In una libreria di Londra e ho subito pensato a te. Me lo porto dietro da un po’, in effetti». Non resistette: le sistemò la ciocca dietro l’orecchio e nel farlo le sfiorò lo zigomo con il pollice. Lei si irrigidì, ma non si mosse.
«No-non sarai venuto qui solo per questo, vero? Perché se è così, non dovevi disturbarti. No, non posso accettare, mi sento tremendamente in colpa». Accidenti a lei e alla sua parlantina! Leech non si perdeva una mossa di quelle labbra. «Potevi mandarmelo per posta, avrei pagato io le spese di spedizione».
«Delle poste italiane non ci si può mai fidare».
Le si avvicinò di un passo, tanto che lei dovette chinare il capo indietro per guardalo in viso.
«E-esistono i corrieri».
Leech si appoggiò allo stipite della porta con una mano e si chinò di poco su Corin. Il suo odore era leggermente diverso da come lo ricordava, una nota prepotente che non riusciva a identificare. Tuttavia non se ne preoccupò per molto. I suoi occhi erano fissi in quelli di lei, sempre più lucidi e sgranati. E sulle labbra, di nuovo aperte in una O spaventata.
«La verità è che mi serviva una scusa per rivederti».
Sentiva la copertina del libro premere contro il torace, all’altezza dello stomaco, dove le farfalle giocavano a girogirotondo, tanto le era vicino. Troppo vicino. Vicinissimo. A un soffio dalla sua bocca.
Leech si ritrovò ad abbracciare l’aria.



Stava tratteggiando su un foglio il profilo di un viso femminile, quando qualcuno bussò. Leech fissò la porta con un sopracciglio inarcato. Bussare era un eufemismo, l’espressione più azzeccata sarebbe stata sfondare la porta a calci.
Dove erano finite le buone maniere tanto care ad Aro?
«Apri, huevonazo!».
Nella botola con i cadaveri, probabilmente.
Aveva già sentito quella voce dall’accento spagnolo e quell’odore prepotente di tabacco misto a dopobarba. Spalancata la porta, però, Leech faticò a riconoscere il vampiro che gli si parava di fronte.
Moro, alto, massiccio. E incazzato come un serpente a sonagli, a occhio e croce.
«Tu. Io. In palestra. Ahora».
Leech aggrottò la fronte. «Prego?».
Il tizio - come si chiamava? Sancho? Santos? Forse Tajo. Boh! - afferrò Leech per il bavero della camicia, lo strattonò un po’ come se fosse una bambola di pezza, per poi portarselo a una manciata di centimetri dalla sua faccia.
«Non fare lo stronzo caduto dal pero. Hai capito benissimo».
Gli occhi fiammeggianti, la mascella serrata, la cicca schiacciata in un angolo della bocca.
Eh, già. Proprio incazzato nero.
A Leech sarebbe piaciuto sapere il perché, e soprattutto cosa c’entrava lui.
«Vorresti batterti con me?».
«Indovinato, seňor. Hai vinto un sacco di pugni sul muso».
Gli soffiò il fumo in faccia e Leech arricciò il naso, infastidito.
«Ti dispiacerebbe lasciarmi andare, così risolviamo questa faccenda una volta per tutte e posso tornare a farmi gli affari miei?».
Il tizio mollò la presa e sorrise. No, non era un sorriso. Il suo era un ghigno da delinquente. Di quelli che sembrano voler dire “Ho un pugnale con su scritto il tuo nome, amico”. O amigo, nella fattispecie.
«Fai strada?», sbottò Leech.
A quel punto il perché era ininfluente, aveva voglia di menare le mani anche lui.
Il tizio non gli staccava gli occhi di dosso, quel ghigno da assassino sempre stampato sulla faccia. Diede un ultimo tiro alla cicca, la buttò davanti ai piedi di Leech e la schiacciò con la punta dello stivale.
«Sigúeme».



«Leech, no!».
Riuscì a stento a intravedere due occhi d’ebano, lucidi e sbarrati, poi ci furono soltanto un dolore lancinante sotto il mento e centinaia di stelle luccicanti intorno alla testa. Venne sbalzato in aria e finì gambe all’aria contro le corde del ring.
Cazzo, se fa male!
«Ti conviene rimanere concentrato, seňor». Lo stronzo buttò la testa indietro e scoppiò a ridere.
«Santiago, smettila immediatamente!».
Ah, ecco, si chiamava Santiago. Non Tajo.
«Bimba, con te farò i conti dopo. Adesso devo occuparmi di... hijo de puta!».
Questo non te lo aspettavi, eh?
Estrasse il pugno dallo stomaco di Santiago - era bello poter dare un nome a quella faccia di culo -, il quale si accasciò sulle ginocchia senza fiato.
«Adesso chi è che deve rimanere concentrato, amigo?. E la prossima volta che ti azzardi a minacciare Cor- uch!».
«Oh, cielo!».
Santiago sapeva incassare bene, a quanto pareva. E si riprendeva ancora più velocemente.
Era scattato in piedi, gli aveva restituito il pugno allo stomaco e gliene aveva lasciato un altro in omaggio sul fianco destro. Nel giro di tre secondi Leech si era ritrovato carponi, a sputacchiare veleno sul pavimento del ring.
Non stava facendo una bella figura, proprio no.
Da quella posizione Leech vedeva soltanto i capelli, che gli ricadevano scompigliati ai lati della faccia, e i polpacci massicci di Santiago, divaricati davanti a lui.
«Corin non ha bisogno di un huevonazo come te che la difenda, se la cava benissimo da sola». Corin! Doveva dirle di andarsene, quel tipo era troppo pericoloso. «Allora, ti arrendi?».
«Santiago, adesso basta, mi sono stancata!».
Leech si sentì strattonare per i capelli. «Alzati, huevonazo!».
Quando furono nuovamente faccia a faccia, Santiago gli afferrò il mento e lo costrinse a voltare il capo verso Corin.
«La vedi?». Certo che la vedeva. In piedi, sotto il ring, spaventata a morte, le ombre si infrangevano intorno alle sue gambe come onde impetuose e arrabbiate. «Guardala bene e poi dimenticala».
Leech, invece, sgranò gli occhi. «Cristo Santo!».
Ai fianchi di Corin le ombre si erano raccolte in un groviglio indistinto. Crebbero verso l’alto, quasi fino al soffitto, allungandosi in due enormi tentacoli. Corin mosse appena il capo, come per dare il via, Leech e Santiago vennero sollevati a mezz’aria, stritolati dalla morsa di quei cosi neri.
«Se dico che mi sono stancata, intendo proprio mi sono stancata. Sono stata abbastanza chiara, adesso?».
Leech non riusciva a credere ai suoi occhi.
Quella… creatura ammantata d’ombra non poteva essere la stessa Corin che aveva conosciuto due anni prima, non la Corin buffa e impacciata di quella mattina. Gli occhi lucidi si erano trasformati in due furenti buchi neri. I lunghi capelli setosi danzavano sulle sue spalle, sinuosi come serpenti, impalpabili come ombre.
Corin stessa sembrava fatta di pura ombra.
La risata gutturale di Santiago lo riscosse all’improvviso. Leech voltò il capo verso di lui, quel poco che il tentacolo gli permetteva. Il suo sguardo era solo per Corin e sembrava ardere, tanto era intenso.
«Querida, tú eres magnífica!».



Due leggeri colpetti sulla porta socchiusa. «Ehm… si può?».
Leech chiuse la lampo della borsa con un gesto secco. Non aveva voglia di vederla, così continuò a darle la schiena. «Sei già entrata, mi pare».
Ci fu un attimo di silenzio, che sembrò più lungo di quanto non fosse in realtà. Leech prese un respiro profondo per farsi coraggio, ma se ne pentì immediatamente: l’odore di Corin arrivò alle spalle come una coltellata e lo avvolse senza pietà. Finalmente aveva riconosciuto quella nota prepotente che all’inizio non aveva identificato. Per l’ennesima volta si diede dell’idiota per non aver capito tutto subito.
«Sono venuta a restituirti il libro. E a chiederti scusa», farfugliò Corin.
Non doveva voltarsi. Non. Doveva. Voltarsi.
Se si fosse voltato, l’avrebbe vista buffa, impacciata, indifesa, mentre si torturava le mani, e non sarebbe riuscito a rimanere arrabbiato con lei. Invece voleva essere arrabbiato con Corin. Perché non era né buffa, né impacciata, né indifesa. Soprattutto non era libera.
«Il libro era un regalo, e i regali non si restituiscono», ripose. «Alle tue scuse non sono interessato».
«Leech, mi dispiace tanto. Si è trattato di un bruttissimo equivoco. Volevo dirti tutto, te lo giuro, ma Santiago mi ha battuta sul tempo. Mi ha sentita parlare con Chelsea di te e di quello che era successo. Non volevo che finisse in quel modo».
In quel modo, come? Con un tentacolo che gli stritolava le ossa?
Leech chiuse gli occhi e serrò i pugni. Non. Doveva. Voltarsi. «Devo finire di fare le valigie e poi andare a salutare i tuoi signori. Non ho tempo per questo, adesso».
«E più tardi?».
«Neanche più tardi».




Sala Proiezione. Ottobre, 2011


Corin adorava quella scena, le dispiaceva tantissimo per Wolverine e odiava Jean con tutta se stessa, ma non poteva farci nulla: quella era una delle parti che più preferiva del film. Quasi sicuramente la colpa di ciò andava attribuita alla sua irriducibile anima di autrice angst, fatto sta che conosceva tutte le battute a memoria.
Ecco, tra non molto, quella stupida e incompetente di una Jean Grey avrebbe detto…
«Le ragazze flirtano con il ragazzo cattivo, Logan, ma non lo portano a casa». Corin digrignò i denti. «Sposano il bravo ragazzo».
Un brivido le attraversò la schiena, quando il pizzetto di Santiago si strusciò contro il suo orecchio.
«Tu hai fatto esattamente il contrario, non è vero, querida?».
La sua lingua le titillò il lobo e Corin trattenne a stento un gemito.
«Sei ingiusto, Santiago. Ti diverti a farmi sentire in torto». E a torturarmi, soprattutto. «È stato solo un equivoco, lo sai».
La morse sul collo, piano ma abbastanza da farla inarcare contro lo schienale della poltroncina. Alcuni riccioli impertinenti le solleticavano il mento, mentre la bocca di Santiago lasciava baci bollenti lungo la sua gola.
«Intendevo dire che sei stata molto più furba di quella Jean Grey lì».
Da qualche parte, molto più in basso, una mano grande e ruvida si stava intrufolando tra le pieghe della gonna.
Corin conficcò le dita nel legno dei braccioli. «E perché mai sarei più furba?».
«Ahora te muestro, querida».
Oh, cielocielocielocielo! Jean Grey, sei proprio un’idiota.
«Ehi, voi due, se ci tenete tanto ad avere un coito, perché non ve ne andate da qualche altra parte? Qui c’è qualcuno che sta cercando di guardare una maratona cinematografica!».
«Stai zitto, morto di figa. Qui c’è qualcuno che sta cercando di guardare un porno live!».
Santiago scoppiò a ridere, Corin fece scivolare davanti al viso una cascata di capelli, Felix e Alec continuarono a punzecchiarsi per il seguente quarto di film.







____________________







Note dell’autore:
La maratona cinematografica organizzata da Alec continua, signori e signore. I nostri eroi sono arrivati a X-Men 2, dal quale ho estrapolato la citazione di Jean Grey “Le ragazze flirtano con il ragazzo cattivo, Logan, ma non lo portano a casa. Sposano il bravo ragazzo” e che mi ha dato l’idea per il titolo del capitoletto (fantasia mode ON).
Capitolo tutto dedicato a Chiara, che oggi compie gli anni. Tanti auguri a te, tanti auguri a te! Spero che il regalo sia di tuo gradimento. Hai visto che c’è un motivo se Leech fa lo stronzo con Corin tu-sai-dove? ;) La mente del branco colpisce ancora!
Inutile dire che Corin e Santiago appartengono alla sopracitata Chiara, vero? Potete trovare le storie su questi magnifici personaggi raccolte nella serie Vento focoso e passionale sotto le magnolie.
L’idea per questo capitolo è stata gentilmente offerta da Dragana Santa Subito, che mi ha anche betato e che ringrazio millemila volte.
Grazie anche ad Abraxas per lo spagnolo-betaggio.
Alec è un nerd e usa la parola “coito” come Sheldon di Big Bang Theory (per la serie “logica inoppugnabile”).
Credo sia tutto. E mi raccomando, coccolate un po’ Leech: sono stata davvero spietata con lui. *sigh*
A presto, vannagio

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Capitolo 3
*** eXtra-Men: Brainstorming ***


Brainstorming




Il tip tap veloce delle dita sulla tastiera viene sopraffatto per un istante dal toc toc alla porta. Senza distogliere lo sguardo dallo schermo del portatile, Corin fa crescere il silenzioso boa dell’ombra da una ciocca dei suoi capelli e lo allunga fino alla maniglia. Il clack! metallico della serratura viene seguito dal toc tac di passi lenti e misurati.
«Posso sedermi qui con te, querida?». Il ciiiiiiic lamentoso delle molle del materasso suggerisce a Corin che Santiago non ha atteso una sua risposta. «Che fai?».
tip tap tip tip tap tap
«Scrivo una storia».
«Come sei seria, bimba». tip tap tip tip tap tap «Di cosa parla questa storia?».
«Di un lupo e di una volpe che si contendono un’oca per cena».
«E ovviamente vince il lupo, vero?».
tip tap tip tip tap tap tiptiptiptiptiptap
«No, veramente no. L’oca finisce nel forno del fattore. Il lupo e la volpe, invece, diventano amici per la pelliccia e stringono un giuramento solenne: mai più permetteranno a un’oca di dividerli».
«Oh, bimba, ma forse l’oca riesce a salvarsi, che ne pensi?».
tiptaptiptaptip tap!
«È un’oca, Santiago. Le oche sono stupide per antonomasia. Come potrebbe salvarsi?».
TIPTAPTIPTIPTAPTAP
«Magari l’oca non è davvero un’oca». TAPTAP TAP. tip tap. tip. «Magari l’oca è un bellissimo cigno, solo che nessuno se ne rende conto». tap. «Alla fine, però, il fattore si accorge della sua vera natura e ne rimane talmente incanto che decide di lasciarlo libero».
Corin ci pensa un attimo, poi scuote la testa stizzita.
«Ti confondi con Il Brutto Anatroccolo». tip tap tip tap «Questa è solo La Stupida Oca». TAPTAPTAPTATAP
«Uffa, bimba. Non te ne va bene una!».
Un ultimo violento TAP! e finalmente Corin si volta verso Santiago.
«Non ti ho mica chiesto io di venire qui. Anzi, tu non dovresti essere qui. Tu dovresti essere arrabbiato con me. Perché non sei arrabbiato con me?».
Santiago diventa improvvisamente serio.
«Lo ero, querida. Ero incazzato nero».
Si fissano per alcuni istanti in silenzio.
«Allora perché non te la sei presa con me? Perché te la sei presa con il povero Leech?».
«Perché tu, sul ring, mi avresti fatto il culo a strisce, bimba. Leech, no. Sono o non sono astuto come un lupo?».
Santiago scoppia a ridere.
«Scemo».
Corin sbuffa e torna a scrivere.
«Come sei gentile, bimba». tip tap tip tap tip tap «Lo sai? Mi è venuta un’idea per una storia. La vuoi sentire?».
tip. tap.
«Certo, basta che non cerchi di salvare l’oca». TIP «La sua fine è già scritta». TAP «Cotta a puntino».
TAP!
TAP!
TAP!

«Nessuna oca, tranquilla. Solo un uomo e una donna».
«Okay». Corin chiude il file sul quale stava lavorando, ne apre uno nuovo e poi rivolge un’occhiata scettica a Santiago. «Tu detti, io scrivo».
«Come desideri, querida. Allora, dicevo, ci sono un uomo e una donna. L’uomo è alto, moro, bello, affascinante, intelligente, misterioso…».
tip tap tip tap tip tap
«D’accordo, d’accordo, ho capito, bello affascinante e misterioso, vai avanti!».
«…e intelligente. Hai dimenticato intelligente!». tiptaptiptaptap «Hai aggiunto? Brava, bimba. L’uomo proviene dalla Spagna, ma viaggia per i sette mari: è un marinaio».
tip tap tip tap tip tap
«E la donna?».
«La donna è una scrittrice squattrinata».
tip ta-
Corin inarca un sopracciglio.
«Stai riciclando i personaggi de La Bohème».
Lui sbuffa e alza gli occhi al cielo.
«Hai visto che non te ne va bene mai una, bimba?».
Corin infossa la testa nelle spalle, i capelli scivolano sul viso - tip tap tip tap -, fa finta di correggere una frase.
«Continua, dai. I due si conoscono?».
«Certo, bimba! Ogni volta che il Marinaio Spagnolo è in licenza va a trovare la Scrittrice Squattrinata. Le racconta le sue avventure e nel frattempo lei prende appunti per il libro di pirati che intende scrivere». tiptaptiptaptiptaptiptaptiptap «Per ricambiare il favore, la Scrittrice Squattrinata tiene caldo il letto del marinaio e cura le cicatrici che il mare ha lasciato sulla sua pelle».
«Oh, cielo! Questa delle cicatrici me la segno. E poi? Continua!».
tiptaptiptaptiptaptiptaptiptap
«E poi fanno l’amore, querida. Avevi dei dubbi?».
Le dita di Corin si bloccano.
«No, ma…». Ecco la tendina che torna a coprirle il viso. «…deve accadere qualcosa, altrimenti il lettore si annoia.
Corin sente gli occhi infuocati di Santiago su di sé e per qualche strano motivo non ha il coraggio di voltarsi.
«Fare l’amore è già qualcosa, bimba».
Le molle del materasso emettono un ciiiic ciiiiiiiic di protesta e Corin avverte un sospiro freddo sul suo orecchio. Deglutisce a vuoto e cerca di ignorarlo.
«Scemo. Volevo dire che… c-ci vuole un conflitto». Ritorna a scrivere per riprendere fiato. «Qualcuno o qualcosa che metta a repentaglio la felicità dei due protagonisti. Un’ex-amante gelosa che vuole uccidere la Scrittrice Squattrinata e riavere il Marinaio Spagnolo, ad esempio». tiptaptiptaptipatiptaptipatap «Oppure… ci sono! Un naufragio. Il Marinaio Spagnolo viene dato per disperso e la Scrittrice Squattrinata si imbarca spacciandosi per un uomo, nel disperato tentativo di ritrovarlo. Un lungo viaggio che termina solo quando i due innamorati si rincontrano. Ma sulla nave la Scrittrice Squattrinata conosce un Misterioso Capitano che…».
«No, no, no, bimba. Non conosce nessun Misterioso Capitano. La scrittrice si traveste da uomo, ricordi?».
«E allora? Mica diventa uomo per davvero! Anzi, facciamo che il Misterioso Capitano è attratto dalla scrittrice», tip tap tip tap tip tap «ma è convinto che sia un uomo, quindi si sente confuso e…».
Di nuovo il ciiiic delle molle e il tip tap frenetico si interrompe di botto: Santiago l’ha afferrata per i polsi.
«Rischia di diventare una commedia degli equivoci, bimba. Torniamo all’idea di prima: l’ex-amante gelosa. Il peggio che può capitare è del buon femslash. Che ne dici, querida?». Santiago ammicca e si china a baciare il polso sinistro di Corin. «Una Messicana Con Gli Occhi Del Diablo, che sarebbe disposta a intavolare una relazione a tre, pur di riavere il suo bel marinaio. Eh?».
Il sorriso criminale di Santiago si arriccia all’insù.
Se avesse avuto le mani libere, Corin lo avrebbe già schiaffeggiato.
«Sei. Un. Grandissimo. Scemo».
«Può darsi, ma questo Grandissimo Scemo qui ti ha fatto tornare il buon umore, o me equivoco, bimba?».
Un timido sorriso fa capolino sul viso di Corin, Santiago non perde tempo e lo fa suo.
Poco più tardi, il ciiiiic ciiiic delle molle rimbalza allegro tra le pareti della stanza.







Questa fanfiction partecipa al Latin Lover Challenge, iniziativa ideata dal « Collection of Starlight, » said Mr Fanfiction Contest, « since 01.06.08 ».







Note autore:
Niente da dire: soltanto un piccolo sclero bimbominkiesco, dedicato alle mie BM preferite. *cuori*
Partecipa all’iniziativa Latin Lover Challange *indica link lì sopra*, con la citazione “Il viaggio termina quando gli innamorati si incontrano” di Shakespeare.
La Scrittrice Squattrinata e il Marinaio Spagnolo originali potete trovarli in questa storia di OttoNoveTre.
Questo è quanto.
A presto, vannagio

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Capitolo 4
*** eXtra-Men: Burian di aprile ***


Burian di aprile




Quel pomeriggio il Burian sembrava avere tutta l’intenzione di strappare il tetto della dacia. Soffiava arrabbiato, arruffava le chiome degli alberi spolverandole di bianco e faceva sbatacchiare le ante delle finestre.
Il fuoco scoppiettava allegro nel camino. Aveva un valore puramente ornamentale ovviamente, ma Leech trovava piacevole starsene sdraiato sull’enorme pelliccia di licantropo, mentre le fiamme tingevano di giallo i fogli sui quali stava disegnando.
«Leech, c’è puosta per te».
Tatiana gli sventolò una busta sopra la testa. Quando scorse il sigillo di Volterra, ci mancò poco che insieme alla lettera le portasse via la mano. Sotto lo sguardo stizzito di Tatiana, si mise seduto, fece a pezzi il sigillo di ceralacca e tirò fuori la lettera. La carta pergamenata era spessa e ruvida sotto le dita.
Tatiana sbirciò da sopra la sua spalla e sbuffò. «Guarda che calligrafia da educanda!».

Caro Leech,
non ho il diritto di chiedere il tuo aiuto dopo quello che è successo, ma non so a chi altro rivolgermi. Sono veramente disperata.
Santiago mi ha lasciata.

Se il cuore di Leech fosse stato ancora vivo, sarebbe sicuramente morto di infarto.
Per la felicità.

Due settimane fa è uscito dicendo che andava a comprare le sigarette, e non è più tornato. Ho sentito Felix e Demetri che ne parlavano. Pare che sia tornato in America da Malliouhana, la sua creatrice. In cuor mio ho sempre sospettato che Santiago non l’avesse dimentica.

Leech ringhiò. «Grandissimo figlio di puttana, lo sapevo che non ci si poteva fidare di te!».
Tatiana appoggiò il mento sulla sua spalla. «Mi piace quando diventi viulento, Leech. Mi eccita».

Aro mi ha concesso un periodo di vacanza, per riprendermi. Sostiene che la Siberia sia il luogo giusto per riflettere e dimenticare. E ho subito pensato a te.
So che è spaventosamente egoista da parte mia chiederti un così grande favore, e ti giuro che mi vergogno tantissimo, ma sento il bisogno di allontanarmi da Volterra per un po’, sento il bisogno di avere una persona amica al mio fianco.

«Mio dolcissimo blinis alla crema, devi dirmi qualcuosa?».
Leech sussultò.
Una volta Tatiana aveva usato un vezzeggiativo simile per rivolgersi a un vampiro che le aveva mancato di rispetto. Due secondi più tardi quello stesso vampiro si era ritrovato senza testa.
Leech sollevò lo sguardo dalla lettera per incontrare quello di Tatiana. Si scrutarono in silenzio per alcuni istanti, mentre fuori dalla dacia il Burian protestava e i vetri delle finestre tremavano di paura.
Leech deglutì a vuoto. «Ti ricordi di Corin, no? Te ne ho parlato, mi pare».
Tatiana annuì, seria, e incrociò le braccia sotto il seno prosperoso.
«Be’, lei…».
Leech riportò gli occhi sulla lettera, come per cercare le parole giuste.

Perciò se potessi ospitarmi per qualche tempo, te ne sarei grata per l’eternità.
In trepidante attesa di una tua risposta,
Santiago

Leech strabuzzò gli occhi.

P.S.: ti piacerebbe, eh? Pesce d’Aprile, huevonazo!

Leech imprecò in tutte le lingue che conosceva.
«Insuomma, che ti prende?».
Spazientita, Tatiana gli sfilò la lettera dalle mani e lesse velocemente.
Scoppiò in una risata così profonda e gutturale da far venire la pelle d’oca. Sembrava quasi che fosse il Burian a ridere di Leech.
«Com’è che si dice in Spagna, Leech? Estuo huombre me gusta mucho! Un giorno o l’altro devi farmelo conoscere».
Gli morse affettuosamente la spalla, lo spinse giù fin quando la schiena non aderì alla pelliccia di licantropo, e si mise a cavalcioni sul suo torace.
Le labbra rosse di Tatiana si distesero in un sorriso da predatrice.
«Aduesso te la faccio dimenticare sul serio, quella lì».







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Note autore:
Leech mi odia. Ormai è assodato. Però questa volta è colpa di OttoNoveTre, che stamattina mi ha fatto prendere un piccolo coccolone.
Leech è andato in Siberia e ha conosciuto Tatiana, che si sta impegnando parecchio per fargli dimenticare Corin. Tatiana storpia le parole, perché è russa (capitan ovvio).
Il Burian è un vento siberiano, la dacia è un’abitazione russa, il blinis è un dolce tipico della Russia. Si ringrazia il fratello di OttoNoveTre per quest’ultima informazione.
Per le altre cose, se c'è qualche russofilo e ho scritto castronerie, perdonatemi!
Detto ciò, vi saluto e vi auguro una buona domenica delle palme.
State attenti ai pesci d’aprile!
A presto, vannagio

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