Healing

di cruelfeline
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Note dell'autrice ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** I won't let you die ***
Capitolo 4: *** Prime cure ***
Capitolo 5: *** La quiete... ***
Capitolo 6: *** Solo finché non starà meglio ***
Capitolo 7: *** Cosa ho fatto? ***
Capitolo 8: *** verità rivelate ***
Capitolo 9: *** Mi dispiace ***
Capitolo 10: *** Non importa ***
Capitolo 11: *** Lo prometto ***
Capitolo 12: *** Note dell'autrice ***
Capitolo 13: *** Penso che.... ***
Capitolo 14: *** Aiuto ***
Capitolo 15: *** Medicina ***
Capitolo 16: *** Rimedi ***
Capitolo 17: *** Guai in arrivo ***
Capitolo 18: *** Due strade differenti ***
Capitolo 19: *** Grazie Ghish ***
Capitolo 20: *** Problemi all'orizzonte ***
Capitolo 21: *** Disavventure ***
Capitolo 22: *** Epilogo - Tutto ciò che importa ***



Capitolo 1
*** Note dell'autrice ***


Note dell’autrice: Salve a tutti. Siccome ero un po’ a corto di ispirazione, sono andata a cercarla su di un altro sito e mi è venuto in mente, leggendo la fanfiction che ora vi proporrò, che magari potevo imbarcarmi in un percorso da traduttrice.

Pubblicherò qui di seguito il permesso accordatomi da cruelfeline ed il link della sua storia (così, se qualcuno vorrà leggere la versione originale potrà farlo)

 

“Hey,
 
I'm so glad you liked my story; that's great to hear, and I'm happy my
writing was nice to read :).
 
You can go ahead and translate for the website if you like; I don't mind.
Just please give me credit for the story, and it's all good.
 
Thanks for reading :D.”

 

http://www.fanfiction.net/s/2642469/1/Healing<_b>

 

 

Se sarete così buoni da recensire, mi impegno a mandare i vostri commenti direttamente all’autrice, sempre se lo vorrete e se vi fiderete di me.

Spero che vi possa piacere come è piaciuta a me, sempre che riesca a fare una traduzione abbastanza buona.

Bacioni

Bebbe5

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


 

CAPITOLO 1

Il soffice rumore del vento invernale si mischiava al regolare graffiare della penna sul foglio, mentre Strawberry lavorava sui suoi compiti, il volto contratto in una smorfia di concentrazione. Rilesse nuovamente l’equazione: y x/25 + 43/(5x+1).

“Pensa... pensa... pensa... OH, MA CHI SE NE FREGA?” (e chi sei, Winnie the Pooh? ndme ) Si appoggiò allo schienale della sedia con un lieve sospiro.

 

Non c’era alcun senso nello scrivere y, almeno non quando i recenti eventi bruciavano così vivamente nella sua testa: ‘Mark.... grazie al cielo....’ Stava bene. Dopo tutto quello che era accaduto, dopo quel terrificante scontro, quel momento di puro terrore quando quel proiettile di Acqua Mew... non riusciva a ripensarci senza rabbrividire. La cosa più importante era che lui stava bene, loro stavano bene, anche dopo la sua ingarbugliata confessione.

Quei pochi secondi, quei piccoli momenti cruciali da cui era stata tanto tormentata, erano passati. Lui sapeva tutto ed il mondo non era caduto nell’oblio. Il suo cuore non si era spezzato in due. Tutto era meraviglioso.

 

Allora perché non c’era pace in lei?

 

Ghish….

 

Ogni volta che chiudeva gli occhi, il volto tormentato dell’alieno l’assaliva. Non poteva dimenticare la visione del suo corpo esanime che si accasciava contro di lei, la sensazione di quella disperata pressione sul suo braccio, prima che lui crollasse del tutto.

Più di tutto non poteva bloccare il suono di quella voce implorante nella sua testa.

 

Quando era collassato, e anche prima di quello, prima della loro battaglia, la sua voce la pregava di seguirlo, di capire…..

 

Di capire cosa? Che cosa avrebbe potuto capire lei, se non che la sua casa, il suo mondo, sarebbero stati distrutti se lei fosse andata con lui?

Quale altra verità ci poteva essere, se non che le Mew Mew stavano proteggendo il mondo, mentre gli alieni lo volevano annientare?

 

Se era tutto qui, allora perché non riusciva a dimenticare?

 

Perché non si poteva trattenere dal mordersi le labbra e dal chiedersi se lui stava bene?

 

“Questo è…” Stupido. Voleva dire che era stupido, preoccuparsi del suo nemico, di Ghish tra tutti, l’infuriato ragazzo che non avrebbe accettato un “no” come risposta, che non l’avrebbe lasciata in pace, anche se era evidente che lei amava Aoyama-kun.

Quando disperatamente lo voleva dire! Avrebbe dato nuova forza a tutto: alla sua fiducia di essere una Mew Mew, al suo amore per Mark, a tutti gli scopi che aveva avuto negli ultimi mesi, eppure, ogni volta che quasi ci riusciva, vedeva la sua faccia, sentiva l’odore del suo sangue. Aveva sentito la voce sicura di Lory: “Sembra che anche queste persone abbiano dei sentimenti.”

 

Se loro avevano dei sentimenti…  se quelle persone provavano i loro stessi sentimenti… allora Pai… Tart… Ghish…

Avrebbe continuato a guardare il bianco muro vuoto di fronte a lei, se una dolcissima palla di pelo rosa non le fosse passata davanti interrompendo i suoi pensieri. Mash svolazzava di fronte a lei, ballonzolando freneticamente su e giù, mentre squittiva nervosamente il suo ormai troppo familiare allarme.

 

“Strawberry! Alieno! Alieno!”

 

Alieno, potrebbe essere…?

 

La finestra… doveva aprire la finestra. Perché l’avrebbe dovuta aprire, quando fuori era freddo e stava nevicando, non lo sapeva esattamente.

Mentre gli acuti avvertimenti di Mash salivano di volume, lei sapeva che il prossimo passo era aprire la finestra.

 

Con le dita tremanti per l'eccitazione dell'inconscio, Strawberry aprì la finestra e scrutò la furia della tempesta che continuava ad aumentare. Il suo sguardo incontrò unicamente il costante vorticare dei fiocchi di neve. Le accarezzarono il volto con il loro tocco freddo e leggero, mentre lei squadrava l’oscurità, con la fronte leggermente aggrottata, mentre Mash continuava a gironzolarle intorno. I suoi nervi erano tesi per la paura, ma lei non riusciva a muoversi dal suo posto, anche se da lì era molto vulnerabile. Non poteva trattenersi dal guardare la tempesta di neve.

 

“Mash, dov’è…”

 

Terminò la frase con un fievolissimo squittio, mentre sentiva delle dita gelate afferrarle il mento e farle girare la testa verso il vento gelido, verso un paio di occhi dorati, che lei avrebbe desiderato non conoscere così bene.

Il suo primo pensiero coerente al sentire quelle unghie premute contro la sua pelle fu di notare quanto erano fredde e come tremavano debolmente.

Il suo secondo fu di vedere che i suoi occhi non erano gli stessi di sempre. Non avrebbe saputo darne una definizione, solo dire che in quel momento erano diversi.

 

Che lo fossero o meno,  quelle orbite sostennero le sue come facevano sempre, mentre le sue labbra (sono screpolate, pensò lei, troppo screpolate) erano spezzate nel suo solito sorrisetto. Diverso anche quello. Qualcosa…qualcosa non va.

 

“Ciao gattina”.

 

Note dell’autrice: allora, che ve ne pare come inizio? Spero che vada abbastanza bene. Se dunque volete che i vostri commenti vadano all’autrice vera e propria, fatemelo sapere ok?

Ciao ciao

Bebbe5

 

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Capitolo 3
*** I won't let you die ***


Note dell’autrice: Ciao a tutti. Eccomi qua con il secondo capitolo. Ci tengo a precisare che questa storia non è mia ma di un’autrice straniera, il cui nome è quello dell’account.  

Ho visto comunque che ha riscosso un certo successo e ne sono contenta perché, a mio parere, è una storia molto bella.

Ora che la sto traducendo poi, la sto capendo più a fondo, di quanto abbia fatto mentre la leggevo nella lingua originale.

Comunque, anche qui non può mancare:

 

L’ANGOLO DELLE RECENSIONI:

 

X CAOMEI: Scusa se non ti ho ringraziato nel capitolo precedente, ma il fatto è che li ho postati così in fretta, uno dietro l’altro, che non mi è venuto in mente di controllare le recensioni. Grazie 1000 e spero che la tua curiosità venga appagata.

 

X BILU_EMO: Grazie per i complimenti, ne ho veramente bisogno. Fare una traduzione è più difficile di quanto sembri, perché devo cercare di riportare l’esatto significato che l’autrice voleva dare a determinati punti e spesso non torna un granché. Spero che continui a seguirla e che ti possa soddisfare.

 

X ROBERTINA92: Beh, spero di non aver tardato troppo. Comunque, come ho detto nell’introduzione, la storia non è mia (vorrei che lo fosse). Spero che possa continuare a piacerti, sempre che la mia traduzione sia corrette.

 

X YURI5: Davvero hai ripreso a scrivere? Allora spero di leggere presto uno dei tuoi lavori. Ci tengo.

 

X ANY IKISY: Wow, ti è addirittura tornata la passione? Sarà contenta cruelfeline.

Spero che continuerai a seguirla e che la tua passione per questo fantastico personaggio non sparisca mai.

 

Bene, dopo questo piccolo intermezzo passiamo al capitolo ok?

Buona lettura

 

Capitolo 2

Come spesso accadeva quando aveva un incontro ravvicinato con Ghish, la mente di Strawberry si svuotò momentaneamente.

Tutti i pensieri volarono via, tutto, da cosa aveva mangiato a cena la sera prima a, e questo non poteva ammetterlo, specialmente con sé stessa, il suo amore per Mark.

Sparì tutto nelle braccia dell’oblio, quando quello sguardo dorato, così penetrante, così spaventosamente intenso, si fissò su di lei. Di solito, dopo questa eliminazione dei pensieri, la prima idea per cercare di riportarli con esitazione alla luce comprendeva qualcosa del tipo “Stai lontano da me fanatico pervertito!”

Mentre gli ingranaggi del suo cervello riprendevano lentamente a girare, Strawberry capì che quel giorno era diverso.

 

Sembra diverso. Ha ancora il suo sorrisetto, ma qualcosa non va, qualcosa manca, qualcosa non va…”

 

Dopo una rapida occhiata lanciata al corpo dell’alieno, lei trattenne bruscamente il respiro, ma non nello stesso modo imbarazzato, causato di solito dalla comparsa dell’alieno, bensì con orripilata sorpresa.

 

La maglietta era strappata dalla parte sinistra, dal colletto fino al petto;  tra i due bordi lacerati, poteva vedere il tremendo squarcio rosso di quella spaventosa ferita profonda che, lei sapeva, aveva guadagnato durante la recente battaglia contro il Cavaliere Blu.

 

“Sono già passate alcune settimane, no? Allora perché non si è…?”

 

Il verde scuro dei suoi capelli era illuminato da un sottile strato di ghiaccio e neve le ciocche di capelli, legate nei tipici codini erano irrigidite dal gelo.

Poteva vedere il ghiaccio sulle lunghe ciglia di lui.

 

Improvvisamente, si rese conto che il lieve tremore delle sue dita era solamente una conseguenza dei brividi che gli stavano tormentando il corpo.

 

Improvvisamente, vide che la sua pelle era più pallida del normale.

 

Si accorse che il suo respiro che si era stranamente arrestato, che la sua stessa presa sul suo mento non erano neanche la metà, di come erano di solito.

 

Tutto questo lo capì in un battito di ciglia, prima che riuscisse a muoversi di nuovo: arretrò liberandosi con uno strattone, con gli occhi sbarrati e la mano che andava istintivamente ad afferrare la spilla per la trasformazione, prima che si fermasse a metà strada.

 

“Cosa…. Cosa stai facendo qui Ghish?” cominciò, con la voce più dolce, rispetto al solito urlo di accusa con cui lei reagiva di solito. Le sue mani erano sospese sulla spilla; inghiottì cautamente, prima di continuare: “ Perché non sei con Pai?

E Tart? Non… non dovresti..”

 

La sua voce si rifiutava di servirla. Si morse le labbra, mentre pensieri contrastanti le giravano nella testa. Come avrebbe voluto che fosse tutto come al solito; come avrebbe voluto trasformarsi e costringerlo ad andarsene da lei, con le solite urla e le solite dichiarazioni di fedeltà nei confronti di Mark. Avrebbe persino voluto udire le possessive risposte di Ghish, persino le sue richieste ricattatrici per lei, qualsiasi cosa che facesse diventare la situazione normale.

 

Mentre l’alieno si posava lentamente sul balconcino, mentre i suoi occhi continuavano a fissare la ragazza che continuava ad arretrare, lei si accorse che i suoi desideri erano futili.

Erano stati completamente cancellati dal modo in cui lui si appoggiava al davanzale della finestra, dal modo in cui una spaventosa disperazione leniva i suoi occhi, dalla voce di Lory che la rimproverava dolcemente, guidandola verso il pensiero: “E’ ferito”

 

“Non mi prenderanno gattina. Strawberry…”

 

Alla ragazza venne improvvisamente che lui sarebbe potuto entrare comodamente dalla finestra; si allontanò per lasciargli tutto lo spazio di cui avrebbe avuto bisogno.

Questa idea si impossessò della sua mente, le sue dita accarezzarono la spilla, mentre la paura prendeva il comando, solo per venir meno velocemente, quando lei si accorse, con un’ondata di un orrore diverso, che lui non aveva la forza di sollevarsi oltre il bordo della finestra.

 

“Ghish…” l’alieno la interruppe bruscamente, con solo un’ombra del suo tipico sorrisetto a sollevargli le labbra, mormorò: “Non lo faranno. Profondo Bl…”

 

Con gli occhi perennemente sbarrati, le mani tremanti, Strawberry lo vide tossire violentemente, vide delle gocce scarlatte decorare la neve sul davanzale.

“Profondo Blu?” pensò agitatissima “Profondo Blu ha… Può aver fatto….?”

I suoi pensieri fluivano in frammenti pieni di panico, ma infine riuscì ad arrivare alla sua conclusione: poteva Profondo Blu averlo bandito? Strawberry non sapeva quasi nulla riguardo a quel misterioso essere che gli alieni sembravano seguire ma, considerando il rispetto con cui parlavano di lui, sembrava che fosse perfettamente capace di ordinare una cosa del genere. Se l’aveva fatto, se Pai e Tart stavano obbedendo, allora questo significava…..

 

“L’hai capito, Strawberry.” Sussurrò lui oltre le pungenti folate di vento, così dolcemente, così supplichevolmente, che la ragazza udì appena l’ultima sillaba uscire dalle sue labbra, prima che le ginocchia gli cedessero, che i suoi occhi si chiudessero di colpo, e che lui collassasse a terra.

 

La sua caduta sembrò durare un’eternità, o almeno questo sembrò a Strawberry, mentre guardava il suo corpo esanime. I suoi occhi seguirono la sua eterna discesa, lo fissavano in uno  stato di shock paralizzante, esattamente come quello dell’ultima volta quando lei, così presa dall’incredulità, l’aveva lasciato scivolare via dalla sua presa.

Improvvisamente quel momento le esplose vivido e forte nella mente attonita. Ed i momenti successivi scorsero ad una velocità tale che non sarebbe più riuscita a figurarsela. Inconsciamente, si ritrovò a piegarsi per metà fuori dalla finestra, le sue braccia circondarono la vita dell’alieno, nel chiaro intento di impedirgli di colpire il pavimento del balconcino.

 

Un secondo più tardi era riuscita in qualche modo ad issarsi e ad uscire fuori, sorreggendo sempre il corpo senza sensi di Ghish (Ed ecco a voi Wonderful woman ndBebbe5).

Si inginocchiò davanti a lui e, mentre il corpo dell’alieno le cadeva addosso, la sua testa si appoggiava sulla spalla di lei, la ragazza si accorse dov’era e cosa stava facendo. Più tardi, si sarebbe chiesta cosa l’aveva trattenuta dal lasciare cadere il corpo di lui lì senza pensarci due volte.

 

“Che sto facendo?” si chiese a voce bassissima, irrigidendosi quando un soffio di gelido vento le arrivò in risposta. Cosa stava facendo, esattamente? Abbassò lo sguardo sul suo nemico svenuto, osservandolo attentamente. Si morse le labbra con disperazione; per farla breve era ferito gravemente e quasi congelato.

 

“Non lo posso lasciare così, no?”

 

Di nuovo, il ricordo di quella battaglia, di lui che la risvegliava, delle sue suppliche le riempì la mente. Strawberry respirò profondamente, mentre la sua decisione si rafforzava. Non l’avrebbe lasciato, non così.

 

“Non posso, non quando è in questo stato”

 

La sua bocca assunse un’espressione determinata, lei si chinò ancora di più, riversando Ghish sulla schiena e tra le sue braccia, con quanta più cura possibile.

Temprandosi per quella che sarebbe stata un’ardua impresa, cominciò a sollevarlo, solo per rendersi conto di quanto leggero fosse.

 

Lentamente, cautamente, si riarrampicò nella sua stanza, aprendo completamente la finestra con la sua schiena, prima di farci passare l’alieno attraverso.

Il silenzio fu presto interrotto dal sospiro di sollievo di Strawberry, mentre scavalcava con una gamba il davanzale.

 

“E adesso?” si chiese, passando in rassegna la sua stanza e lasciando infine cadere il suo sguardo sul letto. Ad un momento di esitazione rispose con un: “E’ tutto quello che c’è”  mentre attraversava la stanza.

Lo stese cautamente, sempre pensando alla grossa ferita che, se ne accorse con orrore, stava appunto sanguinando.”Si deve essere riaperta..”

 

Strawberry andò a chiudere la finestra, poi tornò da Ghish che giaceva bocconi, osservandolo molto attentamente. Mentre lo faceva delle lacrime non richieste, non volute, ma inevitabili, le riempirono gli occhi.

 

Era così abituata a vederlo malizioso, vivace, crudele, rapido e scaltro, che era stata scioccata dal modo in cui era caduto diverse notti prima, dopo la distruzione del chimero dei sogni. Ora, nel vedere i bordi scoperti di quella ferita non guarita, i numerosi lividi che il Cavaliere Blu gli doveva aver lasciato, il vedere il modo in cui il suo corpo, che giaceva privo di sensi, continuava a tremare per il freddo (Per quanto è rimasto là fuori?), chinò la testa, in una sorta di vergogna che non riusciva a spiegarsi, ma che sapeva di meritarsi in qualche modo.

 

Non comprendeva quel nuovo sentimento, quella non voluta serie di dichiarazione sulla guerra da parte di Lory. Non voleva quelle complicazioni, quei suggerimenti. Voleva solo una divisione tra amici e nemici, ma mentre guardava il ragazzo davanti a lei, che una tale situazione le era giunta tra le braccia, da quando Mash aveva rivelato la presenza di Ghish. Ora, mentre scostava dolcemente con una mano le ciocche di capelli congelati dai suoi occhi, Strawberry prese una silenziosa decisione.

 

“Non ti lascerò morire”.

 

FINE DEL CAPITOLO.

 

Mhm, la storia comincia a prendere forma eh? Ben, spero che vi sia piaciuto.

Una cosa che non ho detto: se vi serve un po’ di ispirazione sul rapporto tra Ghish e Strawberry e siete stufi di cercarlo nell’anime, vi voglio consigliare un bellissimo film, in cui c’è una situazione simile: Labyrinth, con Jennifer Connelly e David Bowie.

E’ veramente bello, anche se può sembrare da bambini, specialmente le scene finali.

Ok, grazie a coloro che hanno letto e che continueranno a farlo e grazie a MewKimiko che ha messo la storia tra i preferiti.

A presto

Bacioni

Bebbe5  

 

 

 

  

 

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Capitolo 4
*** Prime cure ***


Nota dell’autrice: Non sapete quanto grande sia stato il mio piacere nel vedere che, solo poche ore dopo, avevate recensito tutte. Mi sono commossa, siete veramente rapidissime. Beh, spero di essere all’altezza della vostra attenzione. Intanto:

 

ANGOLO DELLE RECENSIONI:

 

X CAOMEI: Tranquilla, ogni tanto mando una mail all’autrice per informarla sull’andamento della storia su sua richiesta, quindi non mancherò di farglielo sapere.

Per quanto riguarda Labyrinth, beh, in fondo al film Jareth dice qualcosa del tipo “Volevi che il bambino sparisse, ed io l’ho portato via; avevi paura ed io mi sono reso ancora più terrificante, tutto questo l’ho fatto solo per te. Diventa mia e sarò il tuo schiavo.”

Immaginando che la dicesse con un tono leggermente diverso, da quello bugiardo che aveva nel film, mi è subito venuto in mente Ghish, capito?

Ok, fammi sapere se questo capitolo ti è piaciuto.

 

X SHIRONEKO (ROBERTINA92): Non mancherò di farglieli, tranquilla. Sì, la storia sta prendendo forma, ma ci sono ancora diversi colpi di scena: preparati a tutto.

 

X BILU_EMO: Beh, sì, l’inglese mi piace moltissimo e devo ammettere di cavarmela. Comunque mi faresti un piacere se mi indicassi le parole mancate, perché non riesco a capire a cosa ti riferisci. Può anche darsi che, in quei punti, io abbia fatto una traduzione più libera ed è per questo che mancano delle parole.

Ti chiedo di perdonarmi per questo, ma sono una classicista e spesso mi capita di tradurre liberamente delle versioni.

Fammi sapere che ne pensi di questo, ci tengo.

 

X YURI5: Mi sono sbrigata abbastanza? Ti devo confessare che, nei periodi di blocco, mi butto su questa, per vedere se mi dà un po’ di ispirazione.

Spero che quest’ultimo ti piaccia.

 

Capitolo 3

Prima di tutto, Strawberry mormorò una breve preghiera di ringraziamento, rivolta a qualsiasi dio la stesse ascoltando: i suoi genitori, infatti, se n’erano andati per una crociera per due, che sarebbe durata una settimana. Questa straordinaria coincidenza era veramente una manna dal cielo: cosa diavolo avrebbe fatto se i suoi fossero stati in casa? L’ultima cosa di cui aveva bisogno era suo padre che scopriva un ragazzo alieno, vestito abbastanza curiosamente e sanguinate, disteso sul suo letto.

 

Poi, uscì rapidamente dalla stanza, corse lungo il corto pianerottolo e regolò il termostato ad un paio di gradi in più rispetto alla normale temperatura nella sua stanza.

Fatto questo, tornò indietro, fermandosi lungo la strada, per prendere un paio di coperte dall’armadio dell’ingresso. Quando rientrò, sospirò frustrata, rendendosi conto che avrebbe avuto bisogno di più cose. Non si poteva ignorare lo squarcio che andava dalla spalla al petto. Circa un minuto più tardi, tornò un’altra volta nella stanza, con tutto il disinfettante e le bende che era riuscita a trovare, fece un altro viaggietto veloce e tornò con una bacinella d’acqua calda, che posizionò accanto al letto.

 

Fatto questo, inspirò profondamente, rendendosi conto troppo rapidamente di quello che avrebbe dovuto fare. Scaldarlo era un dovere, ma lasciare la ferita com’era non avrebbe portato a nulla di buono, e sarebbe stato più semplice medicarla se lui non fosse stato imbacuccato. Inoltre doveva toglierli la maglietta: comunque era così sdrucita ed insanguinata, che la ragazza aveva i suoi dubbi su qualche possibile rimpianto. I suoi calzoncini…..  un improvviso rossore sulle sue guance pose fine ad ogni possibile idea riguardante quelli.

 

Toccò con cautela ciò che rimaneva della sua maglietta a brandelli, pensando a come avrebbe potuto toglierla, dato che muoverlo sarebbe stato troppo complicato e troppo pericoloso. Prendendo un paio di forbici dal suo tavolo, allargò lo strappo, tagliando la manica fino a che il braccio non fu libero, poi ripeté l’operazione per l’altro braccio.

Dopo aver finito, Strawberry osservò il suo paziente, con un rosso pesca che cominciò a colorarle leggermente le guance: in un qualche recondito angolino della sua mente, si ritrovò a pensare, che se non fosse stato in quelle brutte condizioni, Ghish sarebbe anche potuto essere……

 

Il nauseante contrasto del sangue rosso sulla sua pelle mortalmente pallida risparmiò Strawberry dal proseguire con quel pensiero.

 

Deglutendo nervosamente, ma, allo stesso tempo, assumendo un’espressione determinata, si chinò sulla ferita, strizzando un piccolo asciugamano che aveva tuffato nell’acqua tiepida e, con quanta più delicatezza possibile, lo passò sulla pelle che circondava la ferita, ripulendola dal sangue, sia secco, che fresco, prima di risciacquare il panno e di temprarsi per il poco piacevole passo successivo: usare il disinfettante. La sua esperienza di bambina le ricordò che quella roba bruciava un sacco ed il pensiero di utilizzarla su una tale ferita la faceva sentire male.

 

“Ok…. Solo un pochino” si sussurrò, mentre bagnava un secondo panno con il liquido irritante, sperando che la sua voce la aiutasse a fermare il tremolio delle sue mani. Non era una dottoressa e lo sapeva bene. Ma che altro posso fare? Chiamare l’ospedale era fuori questione, quindi, alla ragazza, non restava che affidarsi alle sue risorse. Mentre si accingeva a passare il panno sui bordi della pelle lacerata, pregò che questo fosse abbastanza.

 

Sfortunatamente, la peggior cosa che poteva capitare, accadde proprio in quel momento: Ghish emise un leggero uggiolio di dolore, gli occhi si aprirono di colpo per lo sgradevole contatto, allontanandosi con uno strattone da lei, sollevando per metà il suo corpo tremante, prima di fissare con occhi sbarrati, ma semi coscienti, la ragazza sorpresa, di fronte a lui.

 

Per un momento nessuno dei due parlò. La mente di Ghish, che funzionava a malapena, poteva fare poco per spiegargli perché Momomiya Strawberry sedeva davanti a lui, con un’aria di preoccupazione che lui non aveva mai visto prima, impressa nei suoi lineamenti. Strawberry ricambiò lo sguardo, con la bocca semi-aperta, chiaramente insicura su cosa dire, senza nemmeno sapere se lui l’aveva sentita, tanto era intontito il suo sguardo. L’immobilità si ruppe quando le ultime forze che aveva nelle braccia svanirono, Strawberry urlò flebilmente “Ghish” , prima di riafferrarlo, riappoggiandolo dolcemente al cuscino.

 

Gli occhi di lui riuscirono a mettere a fuoco la faccia della ragazza, che si stupì moltissimo quando l’alieno sorrise debolmente.

 

“Alla fine sono morto?” sussurrò lui, con la voce debole e raschiante. Strawberry mandò via quelle lacrime persistenti, scuotendo rapidamente la testa.

 

“No, no Ghish tu…” non riuscì a finire la frase, tanto era agitata. Vederlo in quello stato, senza tutto ciò che lo caratterizzava nella sua mente come Ghish… si paralizzò nuovamente come pochi attimi prima. Conficcando le sue unghie nelle cosce e mettendo su quello che sperava fosse un sorriso confortante, raccolse tutta la sua risolutezza:

 

“Sei nella mia stanza”

 

Invece della solita rispostina maligna e pervertita, come si aspettava, lui rispose semplicemente: “Oh” respirò tremando per alcune volte, prima di aggiungere, quasi fosse un ripensamento: “ La mia spalla… fa male… ed è freddo.”

 

Strawberry si ritrovò ad annuire con più energia del necessario.

 

“Lo- lo so. Devo ripulire il taglio ok? Poi ti riscalderò. Ok Ghish?” Perché si disturbava a chiedere il suo permesso, non lo sapeva: era ovviamente in stato di semi-coscienza, e la parte sveglia della sua mente, era per lo più catturata dalla sensazione di freddo e dolore. Comunque, Strawberry mantenne uno sguardo fermo su di lui, mentre continuava a pulire lo squarcio. Per fortuna lo fece perché, quando lui gridò e cercò di allontanarsi, riuscì rapidamente a trattenerlo. Con una voce debolissima, che lei non avrebbe mai creduto di risentire dalla sua bocca, che sperava di non risentire più, boccheggiò: “Fa male.”

 

Di nuovo, un cenno d’assenso, ma anche una rapida carezza sulla fronte.

 

“Lo so, ma devi restare fermo. Presto sarà tutto finito.” Mormorò dolcemente, chiedendosi nuovamente se le sue parole riuscivano a raggiungerlo. Con gli occhi le scintillavano di lacrime di compassione, si sbrigò a terminare la pulitura, trattenendo fermamente con un braccio l’alieno, mentre sibilava e faceva smorfie dal dolore.

 

Mentre metteva da parte il panno e prendeva le bende, la ragazza si accorse con una fitta di agonizzante disperazione, che lui aveva perso nuovamente i sensi: il dolore l’aveva riportato nell’oscurità. In silenzio avvolse le bende intorno alla sua spalla e al petto, legandole con cura, dopo essersi assicurata di averle messe belle strette in modo da evitare ulteriori perdite di sangue.

 

Fatto questo, gli mise addosso le lenzuola, lisciandole delicatamente e sistemandole in modo da essere sicura che lui fosse completamente coperto.

Ghish non aveva smesso di tremare, e lei si accorse che probabilmente la sua temperatura corporea era scesa molto al di sotto del normale. Doveva dunque prendere un termometro e controllarla. Un secondo più tardi, si rese conto di non avere idea di quale fosse la temperatura normale per un alieno e, anche se l’avesse saputo, non avrebbe certo potuto lasciare la stanza.

 

C’era qualcosa nella sua voce, nel suo sguardo sfocato nella sua debolezza, che la inquietava moltissimo:

“Lui non… loro non…. Non è possibile che stia succedendo questo.”

Sì, invece. Nonostante tutto quello che desiderava, questo stava succedendo e nonostante continuasse a ripetersi che lui era solo un nemico, che era il crudele, diabolico Ghish, non riuscì ad spostargli alcune ciocche dalla faccia.

 

Non importava quanto la voce della logica continuasse ad insistere, perché lei non riusciva a muoversi dal letto.

FINE DEL CAPITOLO

 

Allora, che ne dite? Scusate se ci ho messo un po’, ma la scuola è ripartita in quarta e non posso permettermi di vacillare neanche per un momento: a settembre mi aspetta la costa Smeralda, quindi non posso venir mandata a settembre.

Ok, a prestissimo, I promise

Bebbe5

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** La quiete... ***


Note dell’autrice: Eccomi di nuovo qua. Spero di non avervi fatto attendere troppo, ma ho preferito dare la priorità assoluta all’altra fanfiction su Mew Mew che ormai, sigh, ho quasi terminato. Ok, passiamo ora all’

 

ANGOLO DELLE RECENSIONI:

 

SHIRONEKO: Beh, sono contenta che l’unica cosa che tu possa dire non sia negativa.

Spero che questo capitolo ti piaccia.

 

AINYMIA: Non ti preoccupare, la storia è già completata. Anche perché non è mia, ma di un’autrice straniera. Io sono solo la traduttrice.

Spero che continuerai a seguirla.

 

ANY IKISY: Eccoti il nuovo capitolo. Spero che i tuoi sogni siano sempre bellissimi. Lo so, anch’io me ne sono innamorata a prima lettura.

Spero che continui a piacerti.

 

CAOMEI: Non mancherò. Le mando una mail ogni tanto per aggiornarla sui progressi, quando risponderà posterò la risposta (con traduzione ih ih).

Buona lettura.

 

BILU_EMO: Vai tranquilla, anch’io ho avuto dei problemi con il computer. Grazie per le tue note e posso confermarti che i miei sono errori puramente di distrazione.

Grazie perché me lo fai notare, non hai idea del piacere che mi faccia questa cosa, perché vuol dire che sei molto attenta a quel che scrivo.

Grazie

 

E ora si comincia

 

 

 

 

Capitolo 4

Secondo l’orologio appeso al muro, erano le 11:46 quando Strawberry,  che stava  sonnecchiando un po’ sulla sedia della sua scrivania, fu svegliata da un lieve gemito proveniente dal letto. I suoi occhi, mezzi chiusi solo un istante prima, si focalizzarono immediatamente sulla forma di Ghish che si stirava, mentre le sue orbite dorate si aprivano. Immediatamente, un senso di intenso sollievo si impossessò di lei: solo guardando gli occhi dell’alieno, poteva vedere che era pienamente cosciente.

Rilasciò il respiro che non si era accorta di trattenere.

 

E’ sé stesso, sta bene, veramente, stavolta, tutto andrà bene’

 

Il Ghish di solo poche ore prima l’aveva angosciata più di quanto avrebbe mai immaginato: solo il vederlo in quello stato aveva potuto farle apprezzare la normalità.

Sfortunatamente, il marchio comune di Ghish aveva la capacità unica di trasformare la sua preoccupazione in imbarazzo ed irritazione.

 

Gli occhi dell’alieno osservarono attentamente la stanza, mentre si appoggiava ad un gomito, sussultando leggermente nell’azione, il suo sguardo cadde su di lei, tornò a studiare la sua posizione prona sul letto, poi scattò nuovamente verso di lei. Un sorriso, piccolo ma sornione, che gli scopriva i canini, gli sollevò le labbra.

 

“Dunque è così che tu giochi, eh micetta?” disse scherzosamente con una voce sempre rauca e debole, ma tracciata da una certa giocosità insinuante che fecero arrossire la ragazza e le strapparono un borbottio irato.

 

L’unica cosa che la trattenne dal dargli un ben meritato schiaffo fu il pallore che persisteva sulla sua carnagione.

 

Sta ancora male, anche se sta migliorando. E’ comunque una buona cosa. Sì, molto buona, molto, molto buona’

“Però bisogna giocare duro per ottenerlo, no? Insomma, se questo è ciò che devo fare per entrare nel tuo letto…”

 

Addio auto-controllo. Salutatelo mentre se ne vola via dalla finestra, ragazzi e ragazze.

 

“Razza di pervertito!!” strillò lei “ Mi sto mettendo in un mucchio di guai per.. per.. ASCOLTAMI!”

 

Il ragazzo stava ridacchiando per il suo scoppio improvviso, facendola solo innervosire di più, mentre si sforzava di riprendere il controllo della situazione.

 

Mentre stava quasi per perdere nuovamente la calma, Strawberry fu riportata alla dura serietà della situazione quando la risatina terminò in un sibilo di dolore da parte di Ghish, dato che la ferita gli aveva ricordato la sua presenza.

 

Strawberry quasi non se ne accorse, assorta com’era in quel momento, ma uno spettatore avrebbe visto la sua rabbia dissolversi con una rapidità sorprendente, lasciando persino il posto ad una più intensa preoccupazione, mentre lei chiudeva la breve distanza tra loro due, improvvisamente conscia che, pur con la sua stupidità ritrovata, il giovane alieno aveva ancora una tremenda ferita. Lo stesso pensiero sembrò attraversare la mente di Ghish, dal momento che il suo sorrisetto era diventato mesto e lui si era, con cautela, sdraiato nuovamente. Strawberry si sorprese quando lui parlò con una voce seria, tinta di… poteva essere.. malinconia? Tristezza?

 

“Non stavo mentendo, Strawberry.” In qualche modo, quando lui la chiamò con il suo vero nome, invece che con il soprannome, la ragazza sentì uno strano miscuglio di sensazioni. Questa volta però, dette la colpa a tutti gli angosciosi eventi che avevano caratterizzato la situazione. L’alieno prese un respiro profondo, o almeno profondo quanto poteva concederglielo quella ferita che si allungava sul suo petto, mentre i suoi occhi si riempivano di un certo rimorso per l’azione appena compiuta.

 

Prima che potesse continuare, Strawberry lo interruppe con una vocina così bassa ed esitante che le ricordò più la timida Lory che sé stessa. Se ci avesse fatto più attenzione, si sarebbe accorta che quella era la voce che usava di solito con Mark, nei momenti in cui il suo cuore batteva esageratamente e lei si trovava concentratissima sulle sue mani.

 

“Potresti… potresti stare qui.” Nonostante lei fosse stupita da quelle parole che le erano uscite dalla bocca, Ghish sembrava ancora più scioccato. Come per provare a scusarsi per la stupefacente affermazione, sbottò: “Solo finché non starai meglio.”

 

Invece del lascivo commento che si era aspettata (magari un prosieguo del precedente, od un’osservazione riguardo le…discutibili possibilità di una sua reclusione), Ghish rispose con il silenzio, mentre un sorrisetto sostituiva l’espressione sulla sua faccia. Si rilassò sul cuscino.

 

Strawberry si sedette nervosamente sulla sua sedia, dolorosamente conscia dell’imbarazzante situazione. Gli aveva appena chiesto di restare. Di restare, non di andarsene. Di restare come se… scosse la testa. Sì, quello era il punto. Azzardandosi a guardare nuovamente il volto dell’alieno, si accorse che la stava ancora fissando, e quel dannato rossore comparve nuovamente sulle sue guance. A quella vista, Ghish fece un altro sorrisetto, la sua risatina spezzò il silenzio, ma non si spinse oltre. Perché era troppo stanco (Sì, forse la discussione l’ha stancato un po’, pensò lei) o, forse, per gentilezza? Potrebbe essere possibile…. Forse?  Prima che potesse schiaffeggiarsi mentalmente e ricordarsi che quello restava pur sempre Ghish, una parola pronunciata lievemente, senza sarcasmo, immacolata da qualsiasi trucchetto o insinuazione, tagliò gentilmente il silenzio:

 

“Grazie.”

 

Dopo questo, lei immaginò che le sue forze fossero venute meno, perché l’alieno chiuse gli occhi, il suo respiro si fece regolare, e Strawberry rimase a contemplare, con gli occhi sbarrati per la confusione, le labbra tentate di sollevarsi in un sorriso, il senso di quello che era appena accaduto, il senso della selvaggia cavalcata che aveva appena sperimentato emotivamente e l’esatta natura di ciò che era ricaduto su di lei.

 

Dopo un paio di pensieri simili, si rese conto di quanto fossero futili. Tutto quello che poté fare fu controllare le bende dell’alieno dormiente, respirare di sollievo prima di lasciare la camera, per cambiarsi e lavarsi, e ritornare poi con un sacco a pelo felpato.

Ritenendo che la risposta non sarebbe arrivata magicamente, non importava quanto stesse sveglia, stese il sacco a pelo sul pavimento, coricandocisi il più comodamente possibile, e si addormentò prima che un qualsiasi altro pensiero le potesse infastidire la mente.

 

FINE DEL CAPITOLO

 

 

Vi è piaciuto? Spero sinceramente di sì. E’ un capitolo un po’ di transizione, credetemi i guai non sono nemmeno al loro albore.

A presto

Bebbe5

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Solo finché non starà meglio ***


Note dell’autrice: finalmente riesco ad aggiornare nuovamente questa fic, nell’attesa di terminare anche l’altra. Voglio che sappiate che ho contattato l’autrice e che vi ringrazia tutti per l’attenzione ed i complimenti che dedicate alla storia.

Passiamo ora all’

 

ANGOLO DELLE RECENSIONI:

 

YURI5: Sono contenta che ti sia piaciuto. Io adoro più i capitoli in cui la storia si sviluppa (come tutti penso) ma devo ammettere che anche questi tranquilli sono belli.

 

CAOMEI: I capitoli sono 20, ne avremo ancora per un po’, contenta? Non avrei mai cominciato a tradurre una storia incompleta, perché spesso, in mancanza di recensioni, non vengono terminate e mi sembrava stupido cominciarla e poi mollarla a metà no?

Beh, spero che continuerà a prenderti fino alla fine.

 

NO KIARA NO PARTY: Già, stanno proprio bene insieme e non sai quante volte mi sono chiesta perché Mia Ikumi non li ha fatti mettere insieme alla fine (vabbè che nel manga Ghish è un po’ diverso, però…).

Spero che il capitolo ti piaccia.

 

ANY IKISY: Beh, continuo le fanfiction perché mi piace, perché è un qualcosa di diverso dal solito, che mi permette di dare sfogo alla mia fantasia. Mi spiace di non aver potuto aggiornare prima e spero che il pc sia ancora in buona salute.

 

BILU_EMO: Già, era un capitolo tenerissimo, ma sta a vedere cosa succede in questo.

Spero che continuerai a seguirla e a commentarla come hai fatto finora.

 

SAMIRINA: E chi non vorrebbe Ghish tutto per sé? Bisogna però ammettere che, se esistesse, perderebbe un po’ del suo fascino no? Grazie per la recensione.

 

Beh, per ora non ho altro da aggiungere, quindi buona lettura.

 

 

 

 

 

 

Capitolo 5

Strawberry si risvegliò in una smorta mattina grigia, dove nuvole ancora piene di pioggia coprivano il cielo come un mantello. Sbadigliando, si chiese per un attimo, come mai si trovasse sul pavimento invece che sul suo letto. Tuttavia, la memoria le tornò rapidamente e lei stette attenta ad alzarsi silenziosamente, nel caso che Ghish fosse ancora addormentato. Una rapida occhiata le confermò che lo era.

 

La curiosità gettò da parte la cortesia e Strawberry, chinandosi in silenzio sull’alieno addormentato, improvvisamente cosciente del fatto che Ghish stesse dormendo nella sua camera. Tra tutto lo stress della sera prima, quella semplice verità non aveva preso piede del tutto, ma dopo una buona dormita, la ragazza si sentì in un certo senso intrigata, se non addirittura intimidita, dall’intera situazione.

 

E’ carino” si decise finalmente a pensare, lasciando che la sua bocca si sciogliesse in un sorriso alla vista dell’alieno raggomitolato. Anche se appariva ancora abbastanza pallido ed un po’ malaticcio, dormiva profondamente e, così rilassato, sembrava meno spaventoso, meno scaltro di quando era sveglio ad infastidirla. Una ciocca di capelli era sfuggita dai laccetti che lui utilizzava di solito e si alzava ed abbassava dolcemente ad ogni respiro. Il sorriso si Strawberry si allargò, mentre, con la mano, si allungava per rimetterla a posto…

 

Lui non è Mark!

 

Mortificata, Strawberry si ritrasse, il suo sguardo diventò imbarazzato e diffidente. Questo non è Mark. Non lo è, quindi che cavolo stai facendo? Cosa pensava di fare toccandolo mentre dormiva? E così dolcemente poi.

 

E’ qui solo perché sta male, ecco tutto. Non appena starà meglio, se ne andrà, e tutto questo sarà finito. Torneremo alla normalità, a come le cose stavano prima di questo. E non è così carino, non lo è per nulla, non come Mark…

 

Voleva veramente che le cose tornassero come prima? Avrebbe potuto? Avrebbe potuto dimenticare la disperazione nella sua voce, la fiducia apparente che aveva in lei, così tanta fiducia, da affidarsi a lei per salvarsi la vita? Che si stava ancora affidando a lei per ricevere aiuto? Era possibile ignorare semplicemente la notte precedente?

 

E lui è carino e tu lo sai.

 

Completamente sconcertata, la ragazza decise di preparare la colazione, prima che Ghish si svegliasse e la confondesse di più. Uscì silenziosamente, facendo attenzione a scendere le scale il meno rumorosamente possibile. Dopo aver finalmente raggiunto la cucina, si trovò di fronte ad un nuovo dilemma: cosa mangiavano esattamente gli alieni?

 

Fammi pensare… vengono da questo pianeta giusto? Allora dovrebbero poter mangiare quello che mangiamo noi… speriamo.

 

Il pensiero la tenne così occupata da rivolgere altrove la sua mente dall’incertezza del futuro, e si tenne impegnata a cercare tra le tazze ed il frigo qualcosa che potesse cucinare senza uccidersi nel processo. Si rilassò quando trovò la scorta di ramen di sua madre, pensando che, ciò che era buono per un essere umano malato, probabilmente era buono anche per un alieno ferito e dicendo un silenzioso grazie agli inventori di quel meraviglioso piatto multiuso, prima di mettere una pentola piena d’acqua sul fornello. In pochi minuti sia gli spaghetti che l’acqua erano arrivati all’ebollizione e Strawberry poté tirare un respiro di sollievo (cucinare non era mai stato uno dei suoi punti forti, ed un disastro scampato era diventato un miracolo nella sua mente).

 

Strawberry preparò una ciotola di zuppa e la mise sul tavolo. Le venne in mente che forse era meglio vestirsi prima che l’alieno si svegliasse, solo per evitare una qualsiasi delle stranezze per la cui creazione Ghish aveva un debole. Mentre questo pensiero le attraversava la testa, le venne in mente che, per farlo, avrebbe dovuto portarseli dietro quando aveva lasciato la stanza. Brontolando per la sua stupida dimenticanza, portò la ciotola al piano superiore, aprendo la porta con la speranza che il ragazzo fosse ancora addormentato. La fortuna sembrava essere con lei quel giorno, poiché vide il ritmico alzarsi ed abbassarsi sotto le lenzuola che lo ricoprivano.

 

Mettendo la ciotola sulla sua scrivania, recuperò velocemente alcuni vestiti dal suo armadio, facendo tutto con silenziosa cura, e, dopo un’ultima occhiata alla forma addormentata di Ghish, scivolò fuori dalla stanza ed andò nel bagno.

 

Si dette una risciacquata come al solito e riuscì a fare anche una piccola doccia prima di rivestirsi. Asciugandosi i capelli con un asciugamano, mentre apriva la porta della camera, si congelò con le mani che ancora le frizionavano la chioma e la bocca spalancata per lo stupore. Le sue guance si imporporarono per la rabbia.

 

Il suo letto era evidentemente vuoto e lo spazio di fronte al suo armadio era occupato da Ghish, particolarmente catturato dal contenuto dei cassetti, e quando lei pensava ai cassetti, intendeva quell’importantissimo cassetto che contiene ciò che ogni uomo sogna, ma che le ragazze sorvegliano con la loro ferocità femminile: il cassetto della biancheria. Era quel cassetto in particolare che Ghish stava osservando con particolare attenzione e f proprio quella discutibile premura nel suo sguardo a far emettere alla ragazza uno strillo così acuto da far sobbalzare l’alieno.

 

“Ghish!! Allontanati immediatamente da lì!!”

 

Anche se non poteva vedersi, Strawberry era sicura che la sua espressione fosse terribile: lo sguardo di puro stupore sul volto di Ghish valeva quasi la pena di beccare l’alieno come aveva fatto lei. Si allontanò velocemente mentre la ragazza si avvicinava a lunghi passi verso il cassetto, richiudendolo con un tonfo e voltandosi per guardarlo in faccia. A quel punto, lo stupore era un po’ sparito e un’aria divertita aveva preso il posto del resto sulla faccia dell’alieno. Sorrise all’irata Strawberry, con l’innocenza a fare da patina zuccherata sulla sornioneria della sua voce.

 

“Stavo solo cercando una maglietta, Strawberry.”

 

La parte peggiore del tutto era che Ghish era effettivamente senza una maglietta e non importava quando colpevole poteva sembrare, non importava quanto Strawberry sapesse che era colpevole, non ci sarebbe stato modo di contraddire lui ed il suo sorrisetto trionfante. La ragazza accettò tutto questo a denti stretti, prendendo rapidamente una lunga maglietta di un pigiama nera dal suo armadio e gettandogliela. Un secondo più tardi gli lanciò anche i pantaloni abbinati.

 

“Cambiati con questi.” Dormire con quegli strani calzoncini probabilmente non era molto confortevole, specialmente per il fatto che, anche quelli, avevano alcune macchie di sangue. Si fermò, aspettando per pochi istanti prima di sbottare esasperata:

”Allora?”

 

“Non pensavo che volessi guardarmi gattina, ma se insisti….”

 

La ragazza si girò bruscamente con un borbottio infuriato, battendo il piede con un’impazienza infantile, mentre Ghish si cambiava con molta calma. Stava per voltarsi ringhiando un infastidito: “Non hai ancora fatto?” quando Ghish annunciò di aver finito. Lei si girò lentamente (per paura che stesse mentendo) e fu sollevata dal vedere che era completamente vestito, sebbene conservasse il suo sorrisetto. Sforzandosi di riprendere un po’ di contegno, Strawberry sopirò prima di squadrarlo dalla testa ai piedi, soddisfatta.

 

Facendolo, si rese conto che il pallore della sua pelle non era diminuito. Sarebbe potuto essere il contrasto tra la maglietta nera e la sua carnagione, ma si ricordò bruscamente della sua ferita. Lo scollo era di per sé abbastanza largo e poteva intravedere alcune delle bende; il suo respiro sembrava molto più affaticato di qualche momento prima.

 

“Non dovresti stare in piedi! Torna a letto!” L’ordine suonava probabilmente un po’ più severo di quanto avrebbe voluto: le forze combinate dell’imbarazzo e della confusa preoccupazione, avevano aggiunto un tocco di durezza nella sua voce. L’effetto su Ghish  fu piuttosto strano: sembrò come perdere le forze di fronte al tono infastidito, però la paura che c’era sotto portò uno sprazzo di piacevole sorpresa. Sembrò anche capire che la ragazza aveva ragione, sussultando leggermente mentre ritornava a letto.

 

Strawberry poteva sentire gli occhi dell’alieno seguirla mentre andava verso la sua scrivania, prendeva la zuppa del ramen e spostava la sua sedia vicino al letto. Cercando di ignorare la scena pittoresca che stava prendendo forma, si mise la ciotola sulle ginocchia prima di guardare il ragazzo, trovando difficilissimo parlare chiaramente ora che la sua rabbia si era dissolta, lasciando quel cocktail di strane sensazioni  che rischiavano di emergere.

 

“Non lo so… questa è zuppa… il ramen… puoi..”

 

Si sorprese quando Ghish la interruppe, salvandola apparentemente dal suo disagio.

 

“Lo posso mangiare.”

 

Magnifico… problema risolto!”  Un attimo dopo si maledisse per aver parlato troppo presto. Dopo aver messo la ciotola sulle ginocchia di Ghish, entrambi si resero conto che lui non poteva tenere le bacchette: la ferita aveva in qualche modo danneggiato le funzioni della sua mano. Prima Ghish sussultò per il dolore che quel movimento gli causava apparentemente, una smorfia di frustrazione gli contorse la faccia, prima la consapevolezza della prossima cosa che avrebbe dovuto fare Strawberry si facesse strada nella sua mente. Un sorriso soddisfatto gli si dipinse sulla faccia, mentre la smorfia di poco prima si rivolse ai lineamenti di Strawberry. Sembrava pronto a fare una delle sue battutine, ma un’occhiataccia dalla ragazza lo zittì:

 

“Non t’azzardare”

 

Ghish sfoderò un sorrisetto, poi aprì leggermente la bocca mentre Strawberry, con la mano a mala pena ferma, lo imboccò dandogli la prima porzione di ramen.

A poco a poco, tutti gli spaghetti sparirono finché rimase solo la zuppa calda. Strawberry avvicinò la ciotola alle labbra dell’alieno con cautela, tutto il suo autocontrollo concentrato a resistere alla tentazione di versargli la zuppa sulle gambe, finché non l’ebbe bevuta tutta. Lui si sedette leccandosi le labbra, mentre Strawberry appoggiava la ciotola sulla scrivania, con le guance rosse per una sorta di mortificazione femminile.

 

Non è Mark, non è lui, non è così carino, così dolce o così meraviglioso. E’ qui solo perché l’hanno abbandonato. Se ne andrà non appena mi sarò assicurata che non morirà standosene da solo là fuori. Lo imbocco perché non riesce a tenere le bacchette. Non è stato carino, assolutamente no. Se avessi imboccato Mark (il rossore si fece più intenso) sarebbe stato carino, ma non l’ho fatto, quindi non è stato nulla, assolutamente nulla, semplicemente non poteva…

 

“Arigato, gattina.”

 

La sua voce la distolse bruscamente dai suoi pensieri frenetici; alzò lo sguardo con un urletto, solo per vedere l’alieno risistemarsi sotto le lenzuola, sembrando stranamente stanco nonostante il suo tono vivace. Vedi? Sta ancora male, è ancora ferito. Ecco perché è qui. E’ tutto qui. Sto solo facendo la brava ragazza. Sì, la brava ragazza.

 

Ma il nemico se la merita una brava ragazza? Oh sta zitta!!

 

Strawberry si riscosse leggermente, prima di riportare i suoi pensieri, prima di spostare tutta la sua attenzione a Ghish. Con un po’ di difficoltà riuscì a rispondere ”di nulla”, prima di riprendere un controllo stabile di sé.

 

“Ti cambierò le bende più tardi quindi… non lo so… dormi un po’ di più ok?

 

A causa della recente chiacchierata e del movimento, Ghish sembrava veramente stanco, tanto che riuscì solo ad annuire prima di chiudere gli occhi. Strawberry lo guardò per pochi istanti, prima di realizzare improvvisamente che lo stava guardando, allora si alzò bruscamente, afferrando la ciotola e lasciando la stanza, pregando che chiunque si trovasse ad ascoltare in quel momento di trovarle un qualche lavoretto domestico che la aiutasse a riprendere il controllo di sé.

 

Solo finché non starà meglio, ecco tutto!!!

 

FINE DEL CAPITOLO.

 

Eccoci qua, un altro capitolo è finito e finalmente riesco a postarlo. Spero che vi piaccia e spero di riuscire ad aggiornare presto, ma la resa dei conti a scuola incombe e la Sardegna mi aspetta.

A presto

Bebbe5

 

                                                          

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** Cosa ho fatto? ***


Note dell’autrice: Scusaaaaaaaaaaaateeeeeeeeeeeeeeee!!!!!!!!!!!!!!!!!! Ci ho messo veramente tanto ad aggiornare, troppo, ma me ne sono successe così tante… beh, vi basti sapere che ci vorrebbe una fanfiction per raccontarle tutte XD XD. Spero che potete perdonarmi.

Intanto partiamo con:

 

L’ANGOLO DELLE RECENSIONI:

 

YURI5: Sì, Strawberry è gentile.. per ora… vedrai cosa combina in questo capitolo. Per quanto riguarda il cassetto, beh era inevitabile che ci desse un’occhiatina no? Spero che il capitolo ti piaccia.

 

ANNA96: Sì, la storia è veramente bella, e in inglese lo è di più. Io adoro questa lingua ed è per questo che ho deciso di tradurre questa fiction. Anch’io adoro Ghish, un po’ meno Ryan e odio completamente Mark (o meglio l’ameba). Sì, Ghish sta meglio ma… per quanto? Lo scoprirai presto.

 

ANNINA94: sì, anch’io ho sempre pensato che Strawberry sia un’idiota a lasciarselo scappare. Sono contenta che la storia ti diverta e spero che continui a farlo.

 

VIOLETTAMICIOMAO: Beh, ho passato i commenti tuoi e degli altri che recensiscono all’autrice e ne è veramente contenta. Io continuerò a tradurre, magari con un po’ più di regolarità, sperando che il lavoro riesca bene. Buona lettura.

 

SAKURA HATAKE: Grazie per i complimenti riguardo la traduzione, non sai quanto mi facciano piacere. Mi dispiace di averti fatto aspettare così tanto per il seguito, spero di rimediare con questo capitolo.

 

Eccoci qua, pronti per il nuovo capitolo: buona lettura a tutti.

 

Capitolo 6

 

Per una volta nella sua vita, Strawberry ringraziò mentalmente i suoi genitori per averle lasciato una lista incredibilmente lunga di lavoretti domestici. Mentre passava l’aspirapolvere, spazzava, strofinava e spolverava, la sua mente si rilassava, lasciando lentamente volare via tutti i pensieri stressanti riguardo le ultime dodici ore. Si distese così tanto da sorridere, canticchiando mentre lavorava.

 

Comunque, il suo umore tranquillo non durò a lungo. Aveva appena guardato all’orologio, notando che erano le 11:41 ed aveva deciso di aspettare mezzogiorno per cambiare le bende a Ghish, quando fu interrotta dal suono del campanello.

 

Ti prego, fa che non sia nessuno d’importante…. non le Mew Mew, ti prego…. non Ryan… ti prego, ti prego, ti prego, non –

Quest’ultimo pensiero s’infranse non appena guardò attraverso lo spioncino ed il suo sguardo incontrò il volto di Mark.

 

Trattenne bruscamente il respiro, la faccia le diventò immediatamente rossa, le mani le volarono come al solito alla bocca, in un gesto di femmineo orrore.

Mark era fuori davanti alla porta. Mark Aoyama. Durante le vacanze invernali. Quando i suoi genitori non erano in casa. Lei Stava Per Morire.

 

Però, questo treno di pensieri deragliò rapidamente. Mark era fuori. Ghish era di sopra. Ghish + Mark =….

 

Strawberry squittì mentre il panico cresceva in lei. Come per deriderla, il campanello suonò ancora.

 

Dovrei aprire? Non posso semplicemente lasciarlo lì fuori (Ma sì che puoi, usa il cervello ndme)! Aspetta… potrei far finta di non essere in casa! Sì, buona idea! Ma questo è Mark. Nel periodo di vacanza.

 

Uno strillo di frustrazione spezzò il silenzio mentre lei si mordeva freneticamente le labbra, con gli occhi incollati intensamente alla porta, a tal punto che sembrava che lei sperasse che quello sguardo potesse risolvere il problema. Non ebbe questa fortuna: senza darsi per vinto, il ragazzo suonò una terza volta.

 

Probabilmente Ghish sta ancora dormendo, giusto?  Quindi, se lo faccio entrare e lo tengo al piano di sotto, dovrebbe andare….

 

Un sorriso le illuminò il volto, mentre apriva la porta, pensando di aver risolto il problema e che il mondo fosse di nuovo in equilibrio. Il suo cuore fece un balzo quando Mark ricambiò il sorriso, un paio di occhi castani incontrarono i suoi mentre diceva:

 

“Ohayou Strawberry.”

 

Il cuore di Strawberry balzò un’altra volta al suono del suo nome: le era sempre successo quando sentiva quella morbida voce, quando vedeva quel sorriso perfetto, e si fissava in quelle orbite di infinita bontà e premura.

 

“Oh… Ohayou Mark. Come… Come stai?” Era troppo agitata perfino per maledire la sua balbuzie. Era strano, avrebbe potuto pensare se fosse stata un po’ più calma: la loro relazione era cresciuta così tanto nelle ultime settimane, grazie alle loro diverse confessioni. Perché era così nervosa?

 

Il ragazzo lo notò, La sua faccia si addolcì un po’, e rispose: “Bene, tu stai bene? C’è qualcosa che…?”

“Non c’è niente che non va” si affrettò a dire Strawberry, forse un po’ troppo velocemente. Dopo questo si sforzò di ricomporsi e di ritrovare la calma prima di guardare negli occhi di lui, cercando di riportare la normalità alla situazione:

 

“Sto bene, vieni dentro.” Lo condusse al divano, sedendosi e facendogli cenno di fare altrettanto. Non appena lui l’ebbe fatto, lei si rilassò.

 

Tutto va bene, vedi? Ora parleremo semplicemente e tutto sarà normale.

 

Per quanto ne sapeva, questo era esattamente ciò che stava accadendo. I due conversarono e risero e godettero l’uno della compagnia dell’altro. Il tempo passò: quindici minuti, mezz’ora, un’ora. Per la prima volta da quando aveva incontrato Ghish la notte precedente, Strawberry si sentì tranquilla. Quando ringraziò Mark per essere venuto, sentì una nota di pura gioia nella sua voce. Il suo sorriso era spensierato, libero dalla tensione, mentre lo accompagnava alla porta.

 

“Strawberry”

 

“Cosa?” lui si fermò giusto prima di andarsene, girandosi a guardarla, standosene tra gli stipiti della porta aperta. Mettendosi la mano in tasca, ne estrasse una scatolina bianca con un fiocco rosa pallido e la mise nelle sue mani.

 

“Non ti avevo ancora fatto un regalo.” Era una semplice dichiarazione, ma quali sensazioni le provocò. Quel rossore familiare le si sparse sulle guance, il sorriso le diventò piccolo, quasi timido. Dopo aver preso il regalo e ad aver sfatto con cautela il nodo, aprì la scatolina e, con un urletto, tirò fuori un paio di orecchini, bellissimi, blu, a goccia, in perfetta pendant con l’amuleto “Lacrime di Natale” che lei gli aveva regalato.

 

“Arigatou” sussurrò, improvvisamente sopraffatta da una traccia di… beh, non c’erano parole per descrivere come si sentiva, per nulla. Riuscì solo a sorridergli e a ripetere dei ringraziamenti. Quel momento durò per altri pochi secondi, anche se Strawberry pensò con gioia che durassero un’eternità, prima che Mark la abbracciasse e se ne andasse. Gli chiuse la porta dietro, sospirando felicemente, girandosi ed appoggiandosi alla parete legnosa, con gli squisiti orecchini tenuti nella sua dolce presa.

 

I secondi successivi sarebbero stati perfetti: si sarebbe crogiolata nel ricordo dell’ultima ora, se non fosse stato per un dettaglio. Mentre si voltava, colse un movimento con la coda dell’occhio, Un piccolissimo flash, tutto qua. Così piccolo che si sarebbe potuto considerare un semplice frutto dell’immaginazione, se Strawberry non fosse stata così dolorosamente certa di quello che era già accaduto.

 

Posando i preziosi orecchini sul tavolo, salì di corsa le scale, facendo gli scalini a due per volta, mentre la rabbia le storceva i lineamenti mano a mano che si avvicinava alla camera. Aprì di botto la porta, livida in volto, e ringhiò:

“Come osi ?”

 

Se possibile Ghish era arrabbiato quanto lei, anzi, a giudicare dalla crudele espressione che gli dipingeva il volto, la sua rabbia era anche più violenta.

 

“Quindi stai ancora con quello, eh? Non ti sei ancora accorta di quanto sia penoso, quanto….”

 

“Sta’ zitto, sta’ zitto tu.. tu inutile pervertito. Come osi dire questo nei confronti di Mark?”

 

Ghish provò a ribattere, ma la voce di Strawberry, la cui acutezza e volume salivano con ogni respiro, lo bloccò bruscamente.

 

“E’ così dolce, e buono, e meraviglioso, come puoi…”

 

“Sono cento volte quello che lui potrà mai…”

 

Sarebbe accurato dire che Strawberry, a questo punto, aveva perso il controllo delle proprie azioni. Il fatto che Ghish, con pura audacia, l’avesse spiata durante il suo momento tenero e privato con Mark e che poi fosse arrivato ad insultare colui che lei considerava il perno su cui si concentrava la sua esistenza adolescenziale le fece superare ogni limite: volò sopra e dentro il canyon della rabbia. Fu probabilmente per questo che urlò queste cose a Ghish:

 

“Non sarai mai neanche la metà di quello che è lui! Mai! Sei orribile ed io non verrei mai con te, neanche se lui sparisse dalla faccia della Terra.”

 

In un altro momento Ghish avrebbe reagito con una crudele ondata di furia: avrebbe intrapreso la missione di trovare Mark e di tagliargli la gola di fronte agli occhi orripilati di Strawberry. In un altro momento avrebbe reagito con tutta la rabbia che il suo carattere poteva emettere.

 

Questa volta, per la completa sorpresa di Strawberry, l’alieno cadde nel silenzio. Invece di brillare di quella rabbia selvaggia, i suoi occhi divennero smorti. Il suo intero corpo sembrò afflosciarsi, persino le sue orecchie sembrarono abbassarsi. Il cambiamento fu così istantaneo ed improvviso che la rabbia di Strawberry evaporò nel lasso di alcuni millisecondi. Era comunque troppo tardi. Sembrava che qualcosa nella mente di Ghish si fosse spezzato.

 

“E va bene Strawberry” mormorò con un tono che ricordava tanto quello della sera prima, quel tono così vulnerabile che aveva profondamente scosso la ragazza. “Io.. io capisco.” Quello che accadde subito dopo, le fece balzare il cuore dalla paura.

 

L’alieno la guardò con un triste sorriso che si abbinava perfettamente agli occhi smorti.

 

“Dovrei andare ora, no?”

 

Non attese per una risposta e la ragazza, in un totale stato di shock, non ne offrì alcuna.

Lo guardò con la bocca aperta, ma rimanendo in silenzio, mentre l’aria intorno all’alieno ondeggiava e lui spariva dalla stanza.

 

Andato. Se n’era andato. Cosa… Come..? Strawberry guardò lo spazio che lui aveva occupato solo pochi istanti prima.

 

Non le venne mai in mente di poter essere felice, o che i problemi del giorno prima fossero finiti, il pensiero che, se non c’era Ghish, non ci sarebbero state tante preoccupazioni. Riusciva a pensare solo a quello spazio vuoto davanti a lei.

 

I minuti passarono e lei, ancora, non, si, poteva, muovere. Andato… andato… dov’era andato? Come avrebbe…? Cosa avrebbe…? I pensieri le rifluirono nella mente paralizzata, mentre lo sguardo le andava alla finestra e le sue labbra formavano la parola: “Ghish…”

 

Improvvisamente un veloce schiaffo mentale la colpì con forza, strappando un urlo dalla sua gola. Se n’era appena andato, dove, solo Dio poteva saperlo. Andato nella neve. Andato senza compagni ad aiutarlo. Andato… a causa sua.

 

Si accorse improvvisamente della spaventosa precarietà vitale di Ghish.

 

Cosa ho fatto?

 

FINE DEL CAPITOLO.

 

Spero che vi sia piaciuto. E ora, che succederà? Strawberry lo andrà a cercare? Se sì, lo troverà in tempo. Lo scoprirete nel prossimo capitolo.

A presto

Bebbe5

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** verità rivelate ***


Note dell’autrice: eccomi qua, pensavate di esservi liberati di me eh? No belli, io sono immortale, solo che ogni tanto mi va di sparire. Lasciando perdere le cavolate,  passiamo subito a:

 

L’ANGOLO DELLE RECENSIONI

 

YURI5: Beh, te lo dico in una sorta di anteprima, Strawberry avrà una bella gatta da pelare (XDXD). Sono d’accordo con te, qualcuno le dovrebbe spiegare la differenza tra ameba e bel ragazzo, che ne dici?

 

ANNINA94: sì, effettivamente, tra tutt’e due, fanno proprio una bella accoppiata in quanto a stupidaggine. Uno è troppo geloso, l’altra un’idiota, come conciliarli?

In quanto a Mark, non posso dirti un granché, solo che continuerà a rompere un po’ le scatole. Ti devo confessare che non è tanto la traduzione il problema, quanto la mancanza di tempo e (qualche volta purtroppo) di voglia. Come hai detto tu, c’è differenza tra inedita e traduzione ed io sto scrivendo la bellezza di due inedite, senza contare le varie song-fic: nell’inedito c’è più gusto, perché sei tu a creare, spero che tu mi capisca.

 

BILU_EMO: sì, sul fatto che Strawberry sia una cretina penso che concordino tutte le fan di Ryan e Ghish. Non ti preoccupare, piuttosto dovresti essere tu a perdonarmi per  l’immenso ritardo.

 

SHERRY: Sono contenta che ti piaccia, lo farò sapere all’autrice.

 

SAKURA HATAKE: Come ho detto a Yuri5, Strawberry, per questa sua “cavolata” (tra virgolette perché anche Ghish non era molto nel giusto), avrà non pochi problemi.

 

TYTY: i commenti lunghi mi fanno sempre un enorme piacere. Sai, diversi scienziati hanno provato a capire la mente contorta di Strawberry ma, ahimé, per ora c’è stato poco da fare. Il perché non abbia lasciato fuori Mark è la domanda più problematica del momento.

 

Grazie a tutte voi per aver recensito e per i complimenti. Sono contenta che la fiction vi piaccia e spero che continui ad essere così.

 

Via s’à comincià?

Buona lettura

 

Capitolo 7

 

Che faccio? Chefacciochefacciochefaccio?

 

Strawberry era immobile, gli occhi vacui e spalancati per lo stupore, che guardavano fuori dalla finestra dove la neve stava cominciando a cadere.

 

Sta cominciando a nevicare. Dovrei andare a cercarlo prima che la situazione peggiori. Porterò Mash con me, lo cercherò, lo…

 

I suoi pensieri sparirono improvvisamente nel nulla; il suo corpo si fermò come paralizzato.

 

Porterò Mash e lo..

Se parto ora, prima che la situazione peggiori…

 

Un’ improvvisa folata di vento accelerò la caduta dei fiocchi di neve ed il rapido movimento la risvegliò dalla paralisi.

 

Se n’era andato, andato in quella tempesta senza misericordia, e lei doveva fare qualcosa subito.

 

Se io non… e lui… è tutta colpa mia…

 

Quest’ultimo era il pensiero che la assillava maggiormente, mentre afferrava Mash, ignorando il suo squittio di protesta, e correva giù dalle scale.

 

Tutto questo era colpa sua.

 

Ghish era ferito.

 

Poteva morire.

 

Tutto questo a causa sua.

 

Colpa sua, una sua responsabilità, colpa del suo stupido carattere….

 

Questa giostra di sensi di colpa, girava lentamente nella sua testa, e dovette ricacciare dentro le lacrime mentre prendeva il cappotto dall’armadio e se lo infilava.

 

Un attimo dopo era fuori, nella nevicata sempre più forte, guardando su è giù per la strada.

 

Come farò a…?

 

Scacciò quel pensiero, mentre altre lacrime le rigavano la faccia. Non importava come. Perché mai doveva anche solo considerare quell’interrogativo?

 

Fin da quando lui era apparso, fin da quando era venuto da lei in un tempo di terribile bisogno, da lei sola, era diventato una sua responsabilità. Aveva rovinato tutto nella maniera peggiore, e porsi domande invece di agire avrebbe assicurato la sua morte, una morte di cui sarebbe stata responsabile.

 

“Mash, ho bisogno che tu trovi un alieno.” Disse al piumino galleggiante, che ballonzolava su e giù al suo solito posto accanto a lei.

 

“Ho bisogno che tu..”

 

“Alieno! Strawberry c’è un alieno!”

 

Lei batté le palpebre in totale stupore. Non era neanche uscita dal cortile…

 

“Ehi!”

 

La ragazza si girò velocemente verso sinistra e gli occhi si posarono sulla piccola figura di Tart. Non era Ghish, decisamente no. La viva speranza a cui si era aggrappata svanì; diede in un urlo strozzato di disperazione, mentre il più giovane degli alieni la guardava.

 

Solo dopo aver raccolto i suoi pensieri ed essersi ricomposta più che poteva, vide che c’era un’intensa e profonda rabbia negli occhi del ragazzino. Non aveva mai dato tanto peso a Tart: i suoi compagni più grandi erano sempre stati la preoccupazione maggiore in battaglia, ma ora si trovava intrigata, per non dire, se non addirittura disturbata dalla feroce emozione in quegli occhi.

 

L’unica cosa che riuscì a dire fu un debole: “Cosa vuoi?”

 

“Dov’è lui?”

 

Se quello sguardo l’aveva turbata, la furia nella sua voce la terrorizzò. Face un passo indietro, mentre lui la scrutava digrignando i denti e stringendo i pugni. Passarono i secondi, e lui sembrava non avere pazienza per il suo silenzio.

 

“Allora?”

 

 Strawberry dovette ingoiare il nodo che aveva in gola, prima di poter anche solo sperare di rispondergli:

 

“L-Lui.. Io..”

 

“Cosa gli hai fatto?!?!” Era più un urlo adirato che una vera domanda. Strawberry si rese improvvisamente conto che l’alieno stava tremando, ed era abbastanza sicura che non fosse per il freddo. La risposta le venne con un vero e proprio schiaffo mentale.

 

Sta… sta cercando di non piangere…

 

Di nuovo non riusciva a parlare e Tart proseguì, con la voce un po’ troppo alta nel tentativo di controllarne il tremore.

 

“Profondo Blu non ci ha permesso di aiutarlo. Ci ha vietato di avvicinarci a lui e Ghish ha pensato che tu… ha pensato…”

 

Strawberry aveva indovinato: Profondo Blu aveva ordinato che fosse bandito. Il vero orrore della situazione le apparve davanti agli occhi. A Ghish era stato negato l’unico aiuto a cui si sarebbe potuto aggrappare: era stato rifiutato. I suoi compagni erano stati (guardò la faccia angosciata di Tart) costretti ad abbandonarlo. Lui era venuto da lei.. perché? Era l’unico tassello mancante. Perché lui?..

 

“Perché?” mormorò, sforzandosi di mantenere i suoi occhi puntati in quelli del giovane alieno. “Perché è venuto da me?”

 

Ci fu uno spiraglio nella rabbia: Tart vacillò. Ricambiò lo sguardo, momentaneamente sconcertato, prima che il suo volto si indurisse. Strawberry capì, quasi cedendo al panico, che forse non avrebbe voluto sentire la risposta.

 

“Non lo so. Immagino che sia solo uno stupido.”

L’odio nella sua voce le mozzò il respiro: tossì.

 

Stupido…stupido per volerla… stupido per fidarsi di lei…

 

Fidarsi di lei.

 

Di lei.

 

Si era fidato di lei. Lei l’aveva condannato a morte.

 

Cosa aveva fatto lui per meritarsi questo? L’aveva osservata? L’aveva osservata, vista insieme a Mark. Quindi aveva detto quelle cose che diceva sempre. Si era arrabbiato come sempre.

 

Lei aveva davvero il diritto di..? Come aveva potuto…?

 

“Tart” cominciò, la voce le tremava così forte che poteva ritenersi poco più di un sussurro.

 

“Come posso trovarlo?”

 

Era evidente che l’aveva preso in contropiede. Per un momento gli mancarono le parole, ma poi: “Vuoi andare a…”

 

“Ti prego Tart, mi dispiace. Ti prego, urlami contro più tardi. Dimmi solo come faccio a trovarlo!” Concluse in un grido di disperazione che, finalmente, raggiunse il cuore del più piccolo. Abbassò lo sguardo, per poi rialzarlo su di lei.

 

“Gli piace andare al parco con lo stagno delle anatre. Non so se è lì, però..”

 

Lei stava correndo ancor prima che lui finisse la prima frase: in neanche mezzo secondo era fuori dal raggio uditivo.

 

Tart la osservò, con un’espressione accigliata ferma sul suo volto e con la fredda preoccupazione che si era insinuata nel suo stomaco settimane prima che continuava a pulsare nella sua deprimente persistenza.

 

Mi auguro…

 

Scosse tristemente la testa. Non c’era motivo di augurarsi qualcosa, quando l’unica speranza erala Mew mew. Profondo Blu aveva ordinato e né lui né Tart potevano fare nulla. Nulla tranne pregare che quella stupida umana potesse corrispondere alle aspettative del loro amico.

 

Pai… Deo andare da Pai a dirglielo..

 

Leale a Profondo Blu come il più grande, era stato veramente depresso nelle ultime settimane.

 

Con un ultimo pensiero, Tart si trasportò nella sua dimensione, lasciando solo il silenzio nella strada deserta.

 

FINE DEL CAPITOLO.

 

So che non ci sono stati grandi sviluppi e mi dispiace perché avete atteso tanto. Io però devo seguire la conformazione originale. L’unica cosa che posso fare è cercare di aggiornare presto e spero di riuscirci.

Spero comunque che vi sia piaciuto.

 

A presto

Bebbe5

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** Mi dispiace ***


Note dell’autrice: sono stata abbastanza veloce stavolta? Spero di sì. Pronti per il nuovo capitolo? Prima però:

 

ANGOLO DELLE RECENSIONI

 

YURI5: concordo in pieno con tutto quello che hai detto, tranne per il fatto di un ragazzo carino, carino ma ecologista. Per me potrebbe essere anche Orlando Bloom, ma non andrei mai con qualcuno fissato di qualcosa.

 

 SHERRY: Vedrai cosa capiterà in questo capitolo, sono contenta che l’ultimo ti sia piaciuto.

 

KIRLIA: Sono contenta che la storia ti piaccia. Le nuove fan sono sempre bene accette. Sono anche contenta che ti piaccia la coppia Strawberry/Ghish, ma non condivido in pieno il tuo giudizio su Mark (de gustibus).

 

ANNINA94: Visto che alla fine ce l’ho fatta? Una curiosità: che vuol dire che Kisshu è un po’ mona (io per i modi di dire sono una frana). Sì, Strawberry stavolta c’ha azzeccato, ma continuerà su questa strada?

 

TYTY: Visto che poi non eri l’ultima? Sono convinta anch’io che Tart e Pai vogliano bene a Ghish, ma sul discorso della fedeltà di Tart io sono d’accordo con l’autrice. Anche nell’episodio dove Ghish resta ferito, anche se Tart prova a ribellarsi a Profondo Blu che vuole che abbandonino Ghish, poi ubbidisce agli ordini, seppur con riluttanza. Fedeltà e senso di giustizia sono due cose, secondo me, opposte purtroppo.

So che quattro - cinque mesi sono troppi, ma vedi, devo portare avanti anche due fiction inedite e altre due traduzioni. Cerco dunque di conciliare tutto e non sempre è facile purtroppo. Stavolta comunque ho fatto del mio meglio.

 

BILU_EMO: Povera te, io i Promessi Sposi li ho accantonati due anni fa (anche se l’anno prossimo, con la maturità, sicuramente li dovrò ritirare fuori). Vai tranquilla, non è mai troppo tardi per recensire e a me fa sempre piacere. Sì, Tart, nel suo piccolo, sa essere davvero grande (da dove cavolo mi è uscita questa?)

 

Grazie a tutte per la vostra pazienza e per aver continuato a recensire. Cosa farei senza di voi?

 

Buona lettura

 

Capitolo 8

Il respiro di Strawberry le raschiava la gola mentre correva. Un unico pensiero le riecheggiava nella mente:

 

Devo trovarlo, ora. Ora, ora, ora….

Era una fortuna che fosse vissuta in quel posto per molto tempo: la via per il parco era praticamente istintiva per lei. Se avesse anche dovuto pensare alla destinazione, non sarebbe mai riuscita a concentrarsi. Grazie al cielo, le sue gambe sapevano esattamente dove doveva andare ed in pochi minuti era arrivata ai cancelli del parco, ansimante, senza fiato, ma sempre concentrata sulla sua missione. Dopo pochissimi secondi, impiegati per riprendere un po’ di fiato, si guardò intorno.

 

Quell’entrata (il recinto del parco ne aveva diverse) si apriva sul nudo campo del parco. Durante i mesi più caldi, i ragazzini giocavano a calcio o a rincorrersi lì. Spesso c’erano dei bambini che facevano volare i loro aquiloni o che giocavano con i loro cani. Quel giorno, mentre la tempesta di neve si intensificava, il posto era silenzioso. Cosa più importante, pensò Strawberry, non c’era traccia neanche di Ghish.

 

Corse in avanti, attraverso il campo, attraverso gli alberi, sempre guardando intorno a sé, sempre aspettando il solito richiamo di Mash. Dopo pochi minuti raggiunse il laghetto che Tart aveva menzionato, un lago per anatre di media grandezza, appena visibile sotto la cortina di neve che cresceva sulla sua superficie gelata.

 

Una gelida disperazione la attanagliò: forse, dato che Tart aveva menzionato il laghetto con tanta specificità, era stata sicura di trovarci Ghish. Senza molta fortuna.

 

Il vento soffiò improvvisamente con più ferocia, come a ricordarle del poco tempo prezioso che aveva. Cosa stava indossando lui quando se n’era andato? Una maglietta di un pigiama ed un paio di pantaloni? Non aveva alcuna possibilità di sopravvivere, non nel precario stato di salute in cui era già. Il pensiero le portò nuove lacrime agli occhi, e queste bruciarono nel vento tagliente.

 

“Ghish!” la sua voce superò il costante ululare del vento, una disperata preghiera che risuonò, e poi svanì. Gridò di nuovo: “Ghish!”

 

Nessuna risposta. Il terrore la fece sua, quando lei realizzò che, anche se l’aveva sentita, magari non era in grado di rispondere.

 

“Mash!” Il robot le spuntò davanti con un’occhiata interrogativa sulla sua faccetta pelosa.

“Puoi cercare degli alieni all’interno del parco? Puoi?...”

 

Lui la bloccò con la sua vocina gioiosa: “Mash può! Mash può!”

 

Come per contrapporsi al gioioso carattere del robottino, un silenzio totale e teso privò Strawberry della sua voce, mentre attendeva un risposta, stringendo i pugni così tanto che le unghie le si erano conficcate nei palmi. Dopo quella che sembrò una torturante eternità, Mash disse:

 

“Alieno! Alieno! C’è un alieno davanti a noi.”

 

“Dove?”

 

“Là” La macchinetta volò in direzione dell’area-giochi. Strawberry la seguì senza esitazioni.

 

“Ghish, Ghish…”

 

Si bloccò nel mezzo della corsa solo perché il sollievo la investì così pesantemente da fermarle con forza il cuore. Questo durò solo per una frazione di secondo: la sola vista di lui la spinse ad andare avanti, urlando il suo nome.

 

Si era riparato sotto lo scivolo del parco: non era neanche lontanamente il posto migliore in cui stare e Strawberry se ne accorse immediatamente. O era stato così ferito dalle sue parole da non essere riuscito a pensare a dovere, o le sue condizioni fisiche gli avevano impedito di andare più avanti. Probabilmente era stata una crudele combinazione delle due cause.

 

Al suono del suono nome, lui sollevò debolmente lo sguardo, i suoi occhi ci misero un po’ a focalizzarsi su di lei, prima che potesse mormorare il suo nome:

 

“Strawberry.”

 

Lei emise un leggero singhiozzo, in parte frustrata per la sua colpa, in parte sollevata per il fatto di essere stata riconosciuta.

 

Un sorriso cominciò a prendere forma, pieno della sua gioia più totale, mentre cominciava ad avvicinarsi a lui. Improvvisamente, di nuovo, si congelò.

 

I suoi occhi, anche se spenti e leggermente vacui, erano lacerati da una certa dose di incertezza, di dubbio, perfino.. lei si morse le labbra… rabbia. Era appena visibile, ma c’era. Sembrava quasi rifulgere e lei emise un gridolino, quando lui cominciò a sollevare le mani. Barcollando sui suoi piedi, tremando violentemente nella implacabile nevicata, appena lucido, la guardò con una crescente diffidenza negli occhi dorati.

 

Sta cercando di… Strawberry si portò le mani alla bocca, totalmente paralizzata. Non perché fosse spaventata: sapeva che lui non poteva farle nulla nello stato in cui si trovava. Era perché stava provando, nella sua condizione, a richiamare le armi che usava normalmente. Si rese conto, con lo stomaco che le si torceva, di averlo ferito così tanto da fargli rifiutare le sue avances.

 

La neve continuava a cadere con una beffarda tranquillità. Tutto quello su cui era concentrata era il respiro dell’alieno, flebile, debole, raschiante, ma determinato, mentre manteneva il suo sguardo vacillante su di lei.

 

Tutto ciò che sentiva era quel crudele senso di colpa: mentre lo guardava sollevare le braccia, qualcosa le scattò dentro e riuscì a recuperare improvvisamente le sue funzioni motorie.

 

“Mi dispiace.”

 

Lui si fermò, con le mani quasi nella posizione dell’invocazione, gli occhi che si sforzavano di restare aperti, mentre lui manteneva il suo sguardo.

 

“Mi dispiace tanto Ghish.”

 

I suoi occhi incontrarono quelli di lui, brillando con calore, con un bisogno di perdono che non credeva di poter mai provare nei confronti dell’alieno.

 

Un battito di cuore e lei lo stava sostenendo mentre lui cascava in avanti, senza più la forza che gli era stata alimentata dalla rabbia.

 

Oh…o mio Dio.

 

Era totalmente shockata dal gelo mortale della sua pelle: un uomo sarebbe stato sicuramente già morto.

 

La prima cosa che fece, dopo averlo fatto appoggiare a sé per aiutarlo a rimanere in piedi, fu di levarsi il giacchetto e coprirgli le spalle. Avvolgendo le sue braccia attorno a lui, si sollevò con cautela, non sapendo se sarebbe stato capace di seguirla o meno. Un tiepido sollievo fluì dentro di lei, quando lui assecondò il suo gesto, tremante, ma in grado di stare in piedi finché si sosteneva a lei.

 

 

“Andiamo” mormorò Strawberry, avanzando lentamente, con un braccio sempre intorno a lui nel vano tentativo di passargli un po’ di calore.

 

Con una lentezza che le parve quasi dolorosa, uscirono dal parco e si avviarono verso casa.

 

Mentre lo facevano, lei veniva sopraffatta sempre di più dalla sensazione del corpo dell’alieno contro il suo e quei soliti pensieri, con Mark nell’eterno ruolo del protagonista, cominciarono a farsi prepotentemente sentire. Questa volta, comunque, Strawberry non arrossì, non sbatté neppure le palpebre.

 

Si era resa conto, mentre, raggiunta la porta di casa, estraeva le chiavi dalla tasca, che qualcosa era cambiato. Era cominciato quando l’aveva visto in quello stato la notte scorsa, si era insinuato in lei, mentre lo curava ed era cresciuto silenziosamente, segretamente, mentre lo assisteva. Era sparito quando Mark era venuto a trovarla, quasi morto dopo quel tremendo litigio che l’aveva portata a quella situazione, ma ora… ora riusciva a sentirlo di nuovo. Aveva ritrovato il suo potere dopo quel fatale schiaffo mentale che si era data quando Ghish aveva tentato di allontanarla ed ora pulsava insistentemente nei meandri del suo inconscio.

 

Mentre apriva la porta e faceva entrare l’alieno, si rese conto che era qualcosa che non poteva ignorare, qualcosa con cui doveva confrontarsi ed in fretta. Eppure, osservando quei pensieri, li respinse. Mentre Ghish tremava tra le sue braccia, si concentrò su ciò che era prioritario: attirando inconsciamente il ragazzo più vicino a lei, lo portò in silenzio al piano di sopra, con una determinazione nuovamente forte.

 

FINE DEL CAPITOLO

 

Oh, finalmente l’ha trovato. Ora penserete: “E vissero felici e contenti!” Mi dispiace, ma i guai sono appena cominciati. Spero che continuerete a leggere.

 

A presto

Bebbe5

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** Non importa ***


Note dell’autrice: sto diventando veloce eh? Beh, allora non attardiamoci ulteriormente.

 

ANGOLO DELLE RECENSIONI:

 

ANNINA94: grazie per il termine “mona” e, sì, concordo con te, Ghish lo è davvero stato. Strawberry alla fine l’ha trovato, ora, in questo capitolo, vedrai come comincia a risolvere la situazione.

 

YURI5: Sono contenta che l’ultimo capito ti sia piaciuto. Già, Ghish non c’aveva la testa per scegliersi un posto migliore. Pazienza dai.

 

KIRLIA: Beh, la storia me la stavo rileggendo anch’io e devo ammettere che, se in inglese mi era sembrata relativamente semplice anche da tradurre, dopo questo capitolo ho cambiato la mia opinione.

 

TYTY: Non ti preoccupare, avevi assolutamente ragione a mettermi fretta. Posso però assicurarti che io non sono una che lascia le cose a metà. Alcune delle fiction che scrivo non vengono recensite e a malapena lette, però io le continuo perché odio lasciarle lì senza un finale. Sì, per quanto riguarda Tart si tratta di punti di vista, anche perché lui è un po’… non so come dire.. ambiguo, nel senso che non si capisce bene che gioco faccia. Spero di non averti deluso nella traduzione di questo capitolo.

 

MISS GIULIETTA: Vai tranquilla, mi fa piacere vedere che c’è gente che legge e basta. L’unico dubbio che mi resta è se la fiction piaccia oppure no a quelli che leggono senza lasciare commenti. Quindi, grazie. Purtroppo la storia non è mia, è l’autrice vera a decidere chi muore e chi vive. Io sono una mera traduttrice.

 

BILU_EMO: Cavolo, 6 ore di studio?!?! Ma neanche legata ad una sedia ci riuscirei. Se lo scorso capitolo è stato terapeutico, questo ti farà andare dallo psichiatra. Io ho già preso appuntamento.

 

Grazie per aver recensito o anche solo letto

Buona lettura

 

Capitolo 9

 

Strawberry condusse gentilmente Ghish per il corridoio, aprì la porta di camera sua con il gomito e lo fece sedere sul letto. Se non fosse stata così occupata con la sua preoccupazione, avrebbe trovato la situazione alquanto divertente: l’ultima volta che erano stati in quella stanza, i suoi sentimenti nei confronti dell’alieno erano stati così diversi….

 

Scossa la testa, cercando di mettere un freno a quei pensieri. Era importanti, lo sapeva, ma avrebbero aspettato. Il freddo marmoreo della pelle di Ghish glielo ricordò. C’era un’unica cosa che importava al momento, ossia riscaldare il povero ragazzo, prima che scivolasse in un’incoscienza possibilmente permanente.

 

Come farlo però? Un’espressione accigliata solcò la fronte della mew-gatto, mentre rifletteva freneticamente sul problema.

L’ideale… l’ideale sarebbe stato fornire ulteriori coperte calde e cose simili ma, ripensando al giorno prima, l’ideale era ben lontano dall’essere realizzabile. Quindi, l’unica cosa che le restava era… era… Lei era una giovane ragazza adolescente e, anche se era questione di vita o di morte, la situazione e la sua risoluzione apparente le infuse uno spruzzo di rosa sulle guance.

 

No, devo farlo. E’ tutto ciò che posso fare….

 

“Ghish” Lui non riuscì a guardarla negli occhi. Lei si accucciò davanti a lui, cercando di catturare la sua attenzione. Le occorse una buona dose di coraggio per trattenerla dal cadere nel panico quando vide lo sguardo vuoto nei suoi occhi.

 

“Ghish” ripeté alzando il volume, lasciando che un po’ di ansia trapelasse nella sua voce, e l’alieno tremante, improvvisamente, la guardò, sembrando sorpreso, come se non l’avesse notata prima. Come se lei fosse stata diversa prima…. Strawberry si morse l’interno delle guance: non poteva preoccuparsi di questo al momento. Più tardi, quando tutta l’innaturale vulnerabilità dell’alieno fosse sparita; più tardi, quando la sua vita non sarebbe stata più in pericolo per la sua abominevole stupidità…

 

Volendo improvvisamente rassicurarlo, si sforzò di sorridere nervosamente.

 

“Ghish, dovrai levarti questa maglietta, ok?” Doveva toglierli quell’indumento fradicio se voleva riscaldarlo.

 

“Sono stanco” mormorò lui e la padronanza di Strawberry andò a farsi benedire, quando gli occhi del ragazzo cominciarono a chiudersi.

Mentre un’improvvisa paura la lacerava, gli afferrò le spalle e lo scosse leggermente, ricordandosi subito dopo che aveva ancora quella ferita dalla spalla al petto.

 

Lui non le rispose, ma sembrò comprendere lo scopo di quell’azione: provò a togliersi la maglietta del pigiama, ma le sue mani tremavano troppo. Accorgendosi che non ci sarebbe mai riuscito, la ragazza gli ordinò di sollevare le braccia più in alto che poteva e, con attenzione, gli tolse la maglietta dalla testa. Lanciando l’indumento sudato, insieme alla sua giacca, sulla sedia della sua scrivania, afferrò immediatamente un lenzuolo e lo avvolse intorno alle spalle tremanti dell’alieno.

 

Non è abbastanza, non basta., continuò a ripetersi, e la decisione seguente fu presa con una forzata noncuranza di quella vocina nella sua testa, che continuava a riportarle alla mente i brillanti occhi marroni di Mark, la sua voce rassicurante, il suo dolcissimo tocco. Se quella voce non fosse stata indebolita dall’urgenza della situazione, avrebbe anche potuto esitare, ma purtroppo era così. La poteva appena sentire mentre si cambiava velocemente e si metteva un pigiama asciutto. Per un brevissimo istante, fu riluttante all’idea di cambiarsi con l’alieno nella stessa stanza, ma una singola occhiata alla sua figura ingobbita e tremante scacciò via ogni reticenza nella usa mente: non aveva bisogno di cambiarsi la biancheria, in ogni caso. In più era colpa sua.

 

Vestita del suo pigiama più caldo, la ragazza tornò a letto, sedendosi vicino a lui e scuotendolo per la spalla:

 

“Vieni… vieni qui Ghish.” La sua voce tremò, quando si rese conto della gravità di ciò che stava per fare.

 

Tuttavia, continuò, attirando il ragazzo verso di lei, togliendo il lenzuolo dalle sue spalle e riavvolgendolo intorno ad entrambi, poi prese altri lenzuoli e coprì ulteriormente l’alieno e sé stessa. Pochi attimi dopo, si sdraiò con l’alieno tremante appoggiato a lei, avvolti comodamente nelle coperte.

 

A questo punto, fu colpita da ciò che stava facendo. Lo fu davvero e scoprì di essere innervosita dal toccarlo, dal solo lasciare che la loro pelle entrasse in contatto. La prospettiva di questo la terrorizzò, e mentre lo fissava, si allontanò, cercando disperatamente di tenere lontano, di ritornare a quel rapporto che era così vicino dall’essere perduto. Mentre lei giaceva, tesa, ansiosa di evitare il contatto che poteva avvenire in quella compromettente posizione in cui si era cacciata, riuscì a dare una buona occhiata al volto dell’alieno: una buona e lunga occhiata data con occhi pieni di dubbio.

 

Eppure, mentre i loro sguardi si incontravano, mentre il ragazzo si raggomitolava nel disperato sforzo di conservare il calore del suo corpo, questi si addolcirono. Il dubbio che vi era in essi svanì, e poche lacrime le scivolarono lentamente lungo le guance.

 

Il senso di colpa era tornato: le impregnava la mente, mentre lei, esitante, toccava la pelle di Ghish. Il suo stomaco si strinse, gli occhi le si inumidirono, quando si accorse della freddezza di questa a contatto con le sue dita.

 

Lentamente, mentre i suoi denti premevano inconfortevolmente sul suo labbro inferiore, avvolse braccio intorno al suo torace, stringendolo, costantemente consapevole di come si stava muovendo, costantemente consapevole del suo tremore e delle bende che gli avvolgevano metà del petto. Una vocina le ricordò che in seguito avrebbe dovuto cambiarle. Un leggero rossore spuntava tra le fasce bianche: probabilmente la ferita si era riaperta.

 

Quando il suo corpo entrò in pieno contatto con quello di Ghish, Strawberry emise un leggero urletto, in parte per l’incredibile gelo della sua pelle, ma in parte anche perché la sua mente continuava a ricordarle freneticamente che lui era Ghish, il suo nemico, il suo instancabile persecutore ed osservatore. Non era il corpo tremante di Mark quello che si rannicchiava contro il suo per trovare un po’ di calore; le sue dita non indugiavano sul petto nudo di Mark. Non stava sentendo il suo dolce profumo. Non erano i suoi capelli neri a solleticarle le guance.

 

Quello non era Mark eppure, con lo scorrere dei minuti, Strawberry si rilassò comunque. La tensione abbandonò i suoi muscoli, il suo respiro si fece più regolare. Dopo un po’ riuscì a riprendersi e cominciò a strofinare le braccia di Ghish il più velocemente possibile, cercando di non aggravare la sua ferita, nel tentativo di far circolare il sangue.

 

Dopo qualche minuto, si sorprese di essere esausta. Decise di riposarsi un po’, sempre stringendo Ghish con le sue braccia, e sforzandosi di tenere gli occhi aperti. Un aiuto per quest’ultimo frangente le arrivò in maniera inaspettata: l’alieno, che lei aveva creduto troppo debole ed esausto per assecondarla nelle sue azioni, emise un leggero e tremante sospiro, prima di immergere il volto nel suo petto, mormorando “Strawberry” in un modo appena udibile, ma che la risvegliò dal suo torpore.

 

Di nuovo, la sua prima reazione fu un’ondata di repulsione: continue memorie del suo amore, della sua vita della sua missione riempirono la sua coscienza, mentre un appena lucido Ghish, si strofinava contro di lei, si raggomitolava alla ricerca del suo prezioso calore, facendo una piacevole pressione sul suo petto.  

 

Il suo cuore cominciò a correre. La sua mente ad ondeggiare. Le sue guance, accarezzate dalle soffici ciocche di capelli di Ghish, si infiammarono, diventando scarlatte. Per pochi istanti, riuscì a sentire solo il pulsare del suo stesso sangue nelle orecchie, riuscì a sentire solo il corpo tremante di Ghish contro il suo.

 

Poi, come se le fosse stato lanciato un incantesimo, la sua ansia svanì. La sua mente si schiarì e lei scoprì di averle le labbra arricciate in un tenero sorriso. La sua mano, così esitante pochi attimi prima, andò a posarsi sulla testa di Ghish. Lentamente prima, poi con crescente facilità, gli scostò i capelli dalla faccia, lasciandoci correre le dta attraverso, nel tentativo di…

Li sto solo aggiustando disse alla sua logica, eppure sotto quel guscio di negazione corse il pensiero: lo aiuterà a stare meglio.

 

Gradualmente, i tremori che gli attanagliavano il corpo diminuirono, ed il suo respirò si appianò. Dopo un po’ Strawberry lo accarezzò gentilmente, mormorando il suo nome, e confermando che effettivamente si era addormentato. Si accorse che la sua pelle era più calda. Non calda come sarebbe dovuta essere, ma decisamente in miglioramento. Con un leggero sospiro, decise che tutto sommato andava bene lasciarlo dormire.

 

Avendo finalmente guadagnato un po’ di sollievo, Strawberry si abbandonò a vaghi pensieri, scavando rapidamente in quelli con cui aveva gareggiato nelle ultime poche ore. Quelle voci familiari cominciarono velocemente ad emettere i loro rimproveri:

 

Questo non è Mark!

 

Ghish è un nemico! Lui sta per… farà… può….

 

Lo stai abbracciando. Lo stai effettivamente toccando! Come puoi?

 

Ma questa volta, oh, se si fosse tenuta di più in allarme, se non avesse nuotato nella fatica ed in quel benedetto sollievo, si sarebbe accorta che quei pensieri erano persi in una tenerezza che risuonava ad ogni battito del suo cuore. Erano comunque strangolati dal quel corpo accoccolato contro il suo, dall’innegabile bisogno che lui aveva di lei, dall’inevitabile sensazione di pace che quel momento ispirava, la pace in cui si crogiolava, pur non riconoscendola dal momento che le instillava dentro una profonda calma.

 

I pensieri svanirono nel silenzio, rimpiazzati da una dolce spossatezza che costrinse gli occhi di Strawberry a chiudersi. L’ultimo suo pensiero prima di essere catturata dalle braccia del sonno in attesa fu uno confuso.

 

Cosa sto facendo?

 

La sua presenza fu comunque di breve durata: mentre Strawberry scivolava via, un braccio attorno a Ghish, l’altro posato sui suoi capelli, il pensiero scomparve nel reame di più tardi, più tardi…. E si dissolse definitivamente con un assonnato

Non ha importanza..

 

FINE DEL CAPITOLO

 

Non so voi, ma io consiglierei un buono psicologo a Strawberry. Mamma mia, è stata una faticaccia tradurre questo capitolo.

Spero di riuscire a tradurne un altro abbastanza presto, ma stavolta non vi prometto nulla.

A presto

Bebbe5  

  

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 11
*** Lo prometto ***


Note dell’autrice: eccomi ritornata, avete visto? Dopo un mese esatto, meglio di uno svizzero. Grazie per le continue recensioni. Anche l’autrice vi ringrazia di tutto cuore per i complimenti.

Cominciamo subito, vi va?

 

ANGOLO DELLE RECENSIONI:

 

YURI5: Beh, io non l’avrei definito hot. In inglese si direbbe, credo, hurt/comfort. Io l’ho trovato molto dolce più che altro. In più, come hai notato, ci sono i continui commenti di Strawberry che spostano un po’ l’attenzione.

 

ANNINA94: Beh, per quanto anch’io appartenga al club: “facciamo sparire Mark, il mondo sarà un posto migliore”, non posso non capire Strawberry. Non dev’essere facile essere così combattuti tra due uomini completamente diversi. Comunque, ce la farà alla fine a rendersene conto?

 

BILU_EMO: Sai che anch’io avevo pensato ad un lavoro da traduttrice? Può darsi che lo farò, almeno inizialmente, poi vorrei fare filologia. Non importa sei commenti s0no corti, mi fa piacere che tu ti faccia sentire.

 

11STELLINA11: Beh, che dire? Grazie. Lo farò sapere all’autrice che la storia ti piace.

 

SABRIEL: Grazie per i complimenti, sono contenta che la storia ti piaccia. La storia, purtroppo, non è mia, ma di una bravissima autrice chiamata cruelfeline. Io sto solo traducendo la sua storia per questo sito.

 

TYTY: Sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto. Avevo paura di averlo tradotto non troppo bene o di averti delusa. Effettivamente qui non ho capito molto Strawberry: va bene, ok, è fidanzata con Mark, ma se anche io fossi fidanzata e mi capitasse Orlando Bloom o Jared Leto, feriti davanti alla porta di casa ecco…. Potrei non rispondere delle mie azioni.

 

 

DOLL93: Beh, sì, Strawberry ci ha impiegato un po’. Spero di non aver ritardato troppo. Grazie per il commento.

 

 

Che dire? Grazie a tutte voi per il continuo sostegno e per i complimenti. Probabilmente, se non ci foste state voi, non avrei tradotto questa storia.

Buona lettura

 

Capitolo 10

 

Quando gli occhi di Ghish si aprirono, la sua visuale offuscata non gli disse nulla circa l’ambiente in cui si trovava: anche la sua mente in stato confusionale lo aiutò poco. Per pochi istanti, rimase sdraiato in stato di semi-coscienza, chiedendosi dove fosse e a cosa fosse appoggiato. Era morbido, caldo e, mentre recuperava possesso di sé stesso, si accorse che aveva un dolce e tenero profumo che lo portò raggomitolarsi ancora di più contro quella cosa.

 

Mentre faceva quel piccolo movimento, si rese conto che c’era un braccio attorno a lui, e che c’era un dolce peso posato sulla sua testa. Muovendosi ancora un po’, sirene conto che quel peso era quello di una mano e che le sue dita erano intrecciate nei suoi capelli. A seguire tutto questo ci fu una fitta al petto che gli ricordò gli eventi delle ultime due settimane. Per alcuni secondi si fermò ad assimilare quell’informazione, con il cervello che andava dolorosamente piano una volta liberato dal torpore, prima di finire con il chiedersi a cosa fosse appoggiato esattamente.

 

O chi, in effetti, per questa… questa...

 

 Il nome gli giunse sia come una grossa sorpresa, che come un dono ben accetto.

 

Strawberry.

 

I suoi occhi si focalizzarono sul volto di lei, sulle sue lunghe e delicate ciglia, sulle ciocche disordinate di capelli color fragola che le ricadevano sulla fronte, mentre lei dormiva beatamente. Trascorse un minuto durante il quale lui rimase paralizzato, in parte a completamente confuso per via della sua posizione, ma soprattutto, perché non la voleva svegliare.

 

Che momento… non avrebbe potuto immaginare, nelle sue più sfrenate fantasie, un’immagine più perfetta, una sensazione più beata di questa.

Per tanto… per così tanto… aveva sperato che questo accadesse per così tanto: ogni volta che la vedeva, sognava di avere una possibilità del genere, la possibilità di stare semplicemente insieme a lei. Era qualcosa che, sapeva, lei non avrebbe mai compreso: le sue azioni verso della mew gatto erano sempre così maliziose o crudeli. Era possessivo e lo sapeva. Era in qualche modo tirannico e sapeva anche questo, ma non poteva cambiare il suo cuore e nemmeno il fatto che lei lo poteva appena immaginare.

Poteva appena immaginare la beatitudine di un momento come quello, quanto lui avesse desiderato un cosa del genere ogni volta che aveva sentito la sua presenza, sentito la sua voce, visto i suoi occhi brillanti….

 

 

Era sempre andata male: la sua natura aveva distorto tutto. Aveva sempre fallito. Ma ora.. ora… se solo fosse riuscito a non svegliarla… se solo avesse permesso al sonno di regnare, forse il sogno non sarebbe finito.

 

Erano questi i suoi pensieri, mentre guardava Strawberry dormire, mentre si avvicinava a lei, sempre più vicino alle sue dolci, soffici labbra. Un bacio.. un unico bacio e tutto sarebbe stato perfetto. Un bacio e si sarebbe lasciato andare al sonno, sperando con tutto sé stesso che il sonno preservasse quel momento.

 

Quel prezioso bacio gli fu sottratto da un improvviso, irritante pizzicore alla gola e da un terribile dolore lancinante che gli andava dalla spalla al petto, costringendolo a ritrarsi bruscamente nello stupore più totale, prima che il pizzicore si trasformasse in una tosse irregolare, che scosse violentemente il suo corpo magro.

 

Avrebbe imprecato per la frustrazione, se quell’improvvisa agonia fisica non fosse stata così forte. La tosse gli tolse il respiro, e, non fosse stato per questo, avrebbe gridato per il tremendo dolore che provava al lato sinistro del petto. Se ne fosse stato capace, avrebbe imprecato non solo per aver perso il bacio, ma anche perché l’attacco di tosse aveva svegliato Strawberry.

 

Il momento di beata inconsapevolezza della ragazza fu drammaticamente più breve di quello di Ghish: in un lampo, si ricordò di dove si trovava, con chi si trovava e cosa era accaduto. Un millisecondo più tardi prese coscienza di cosa l’aveva svegliata e non perse tempo nel tentare di aiutare l’alieno.

 

“Ghish.” Mormorò il suo nome con voce dolce, leggermente insonnolita e segnata da una vena di preoccupazione, mentre cominciava a dare dei colpetti sulla schiena dell’alieno, cercando di farlo smettere. Dopo pochi attimi, la sua azione si rivelò inutile: la gelida soglia del panico cominciò a penetrarle l’animo e lei si sedette, afferrando il ragazzo per le spalle e tenendolo su insieme a lei, fino a che la tosse si placò, lasciando Ghish a respirare affannosamente, con debolezza.

 

Entrambi erano del tutto svegli, ed entrambi si accorsero con la stessa pugnalata di terrore che la situazione era peggiorata nottetempo. L’espressione di Strawberry mutò da assonnata a tremendamente preoccupata, mentre osservava bene l’alieno.

 

Era più pallido del normale, anche rispetto a quelli della sua razza, ma le sue guance erano arrossate. Gli occhi erano stranamente lucidi ed un velo di sudore brillava sulla fronte. Mentre lui riprendeva lentamente il controllo sul suo respiro, si accorse di sentirsi debole e leggermente infreddolito, nonostante il calore che Strawberry aveva creato nel letto. La cosa peggiore di tutte era il bruciore nella gola, intensificatosi dopo l’attacco di tosse, che, Ghish comprese improvvisamente, non sarebbe stato l’ultimo. Del tutto sveglio, si accorse di stare malissimo.

 

Ciò gli fece desiderare ancora di più la dolce e tranquilla estasi di pochi istanti prima.

 

Quel nostalgico pensiero fu interrotto dalla voce di Strawberry.

 

“Resta fermo Ghish, ok?” Senza attendere una risposta, la ragazza si avvicinò e mise dolcemente una mano sulla fronte dell’alieno: la preoccupazione le dipinse il volto quando le sue paure divennero realtà.

 

Per forza era febbricitante, cos’altro poteva aspettarsi dopo tutto quello che era accaduto? L’avrebbe dovuto attendere dalla notte in cui lui le era apparso (la sua normale divisa poteva difficilmente essere definita appropriata per stare in una tempesta di neve), e probabilmente l’eventualità era diventata certezza nel momento in cui lui aveva lasciato la casa ed aveva passato una mezz’ora circa nella neve, già indebolito dall’esposizione precedente.

 

Tuttavia, nonostante questa fosse una diagnosi attesa, il cuore di Strawberry sprofondò mentre lei guardava il ragazzo tremante, ed un improvviso spasimo di tenerezza la colpì.

 

Lo respinse dolcemente sul letto, togliendosi le lenzuola di dosso nel farlo. Mentre lisciava le coperte intorno a lui, fu alquanto sorpresa al sentire accenni di lacrime negli occhi.

 

Tutto è peggiorato. Cosa dovrei fare ora? Non so come curarlo…

 

Fu anche più sorpresa quando lui le parlò con quella voce roca, debole, eppure con ancora una traccia della sua usuale scaltrezza.

 

“Te ne vai di già?”

 

Lei abbassò lo sguardo su di lui, sorpresa, quasi ponderando se doverlo sgridare per quello che sembrava essere un altro dei suoi commenti osceni, ma una semplice occhiata al suo volto la distolse da quel pensiero.

 

Il suo sorrisetto era lì, esangue, ma c’era. I suoi occhi trattenevano quella familiare scintilla, seppure offuscata dal dolore, dalla debolezza, perfino dalla paura.

Cosa ancora più intrigante, trattenevano… forse era la sua immaginazione… preoccupazione?

All’inizio, tale nozione le parve ridicola, eppure all’improvviso, si ricordò di alcuni momenti, di alcune volte in cui i suoi occhi erano stati diversi. Come quella notte in cui il chimero tapiro aveva quasi sconfitto le Mew Mew. La notte in cui tutto era cominciato. Quella notte…. Non era totalmente sicura di cosa fosse accaduto quella notte, ma si ricordava quello stesso sguardo nei suoi occhi. Si ricordò di come l’avesse confusa, quasi spaventata, di come le avesse fatto perdere la presa su Ghish, facendolo scivolare a terra.

 

Strawberry sapeva, senza ombra di dubbio, che non poteva permettere che la cosa

si ripetesse. Non importava cosa era successo in passato, ora doveva comportarsi in modo diverso.

 

Invece del rimbrotto che il commento dell’alieno avrebbe dovuto suscitare, lei rispose con un sorriso, pieno di tutta la rassicurazione che poteva raccogliere nel suo stato ansioso.

 

“Vado a prendere un termometro, ok? Torno subito.”

 

Di nuovo, con sua grande sorpresa, lui non aveva nulla da dire. Si appoggiò al cuscino, con una leggera tosse che lo scuoteva, mentre lei usciva dalla stanza.

 

Mentre frugava nell’armadietto dei medicinali, Strawberry si morse le labbra, con le mani che le tremavano ed un gelido panico minacciava di lacerarle la mente. Come avrebbe superato questo, ora? Era stato diverso quando si trattava solo di una ferita. Certo, una ferita profonda, ma pochi giorni a letto gli avrebbero consentito di recuperare abbastanza forza da essere in grado di curarsi da solo.

 

Ora.. ora era tutto così infinitamente peggiorato, e l’aspetto più terribile di questo (e lei provò dolore fisico quando si accorse di questo) era che era tutto, innegabilmente, accaduto per colpa sua. Era stato per la sua asprezza ed insensibilità che lui si era ammalato così velocemente, era colpa sua se ora si trovava ad affrontare una situazione che non sapeva come gestire.

 

Tutti questi pensieri le occupavano la mente, mentre usciva dal bagno con un termometro in mano. Mentre camminava lungo il corridoio, un’ altra serie di pensieri la invase.

 

Hai appena dormito con Ghish.

 

Strinse i denti, frustrata dal fatto che questo avrebbe dovuto aspettare, infastidita perché avrebbe dovuto incontrare il ragazzo alieno con questi pensieri che le correvano pericolosamente per la mente, vicini ai suoi pensieri normali. Quanto disperatamente voleva risolvere quella situazione! Eppure… forse era meglio se non lo faceva. Non ancora. In qualche modo, sapeva che il risultato sarebbe potuto non essere quello che lei si aspettava. In qualche modo sapeva che più tardi lo faceva, meglio era.

 

Eppure, questo non fermava quelle farfalle di dubbio dal fare la loro tipica danza nel suo stomaco.

 

Ritornò al letto, togliendo il termometro dal suo astuccio prima di accomodarsi sulla sedia della sua scrivania accanto a Ghish, tenendo il termometro davanti a lui.

 

“Questo è un termometro. Misura la temperatura del tuo corpo. Dovrai tenero sotto la lingua per un po’ ok?” Attese per alcuni secondi, chiedendosi se avrebbe fatto il difficile, ma lui annuì semplicemente (internamente, lei stava soffrendo per il terribile pallore del suo viso), aprì la bocca per permetterle di far scivolare il termometro sotto la sua lingua.

 

L’oggetto era elettrico e quindi ci mise pochi secondi per registrare la temperatura. Lei lo tolse e lo lesse. Trentanove gradi Celsius. Dopo averlo fissato per alcuni istanti, si rese conto di non conoscere di fatto la normale temperatura di un corpo alieno. Arrossendo leggermente all’inaspettato attacco della sua fastidiosa, abituale lentezza mentale (1), si schiarì nervosamente la gola prima di chiedere:

 

“Qual’è la tua normale temperatura corporea? Nei nostri gradi?”

 

A causa del silenzio che seguì, lei pensò che la domanda fosse troppo complicata per lui, mentre si trovava in quello stato e stava per interrompere il suo pensare quando lui mormorò:

 

“Trentacinque.”

 

Trentacinque. Trentanove e trentacinque… questo… questo è brutto.

 

“Stai… stai male Ghish” Uh, bene, stupida. Si pentì nel momento in cui lo disse e lei non era di certo l’unica ad aver percepito la stupidità di quel momento.

 

“Avrei potuto dirtelo anch’io gat..” fu interrotto da un altro attacco di tosse, e la vergogna di Strawberry svanì, quando lei vide il dolore tornare sul volto di Ghish. Avrebbe potuto attendere finché non si fosse fermato, ma gli mise una mano sulla testa, accarezzandogli inconsciamente i capelli mentre l’episodio terminava. La sua preoccupazione si intensificò ulteriormente quando si accorse che l’aveva indebolito tanto da non fargli terminare la battuta. Giacque tremando leggermente sotto la mano di lei, respirando lentamente ed un po’ troppo flebilmente per i gusti della ragazza. Lei si morse il labbro di nuovo. In qualche angolo della sua mente si chiese persino se, alla fine, mordendosi il labbro, avrebbe sentito il sapore del sangue.

 

Senza distogliere lo sguardo dal ragazzo pensò a cosa poter fare. Si chiese… forse le medicine umane avrebbero funzionato per gli alieni? Poteva almeno provarci, finché non si trattava di veleno. Anche un po’ di cibo non sarebbe stata una brutta idea. Un po’ di zuppa in più avrebbe funzionato. E doveva ancora cambiare quelle bende. Dio sapeva che in quel momento la ferita si era sicuramente riaperta, dopo quella tosse lacerante.

 

Tutto questo le passò per la mente, mentre lei continuava ad accarezzargli i capelli con aria assente. L’altra mano rassettava le lenzuola. Se fosse stata più presente, meno immersa in quei pensieri e nell’ansia, avrebbe potuto vedere che, quasi ripresosi dall’attacco, Ghish la guardava con un’espressione di curiosa soddisfazione sulla sua faccia arrossata. Lei non era presente, quindi disse senza notarlo:

“Vado a prendere qualche medicina.” Ora, comunque, notò un’improvvisa scintilla di… cosa?.. Scontento? Sordo terrore? Qualsiasi cosa fosse, lei capì che… lui non voleva che se ne andasse. Sapeva anche che questo non proveniva dalla sua normale possessività. Improvvisamente si accorse ancora di più della liquida paura nei suoi occhi, e la sua espressione preoccupata si addolcì di più. Un sorriso rassicurante le stirò le labbra.

 

“Tornerò presto. Vado solo giù nell’atrio, ok?” Lasciò che la sua mano si fermasse sulla fronte dell’alieno. Si alzò ma i suoi occhi rimasero su di lui, il suo sorriso non tremò, mentre il bisogno di confortarlo scacciava i suoi dubbi con una forza che l’avrebbe stupita se se ne fosse accorta.

 

“Lo prometto.”

 

Se avesse fatto attenzione, si sarebbe resa conto che quelle due semplici parole implicavano molto più che un semplice viaggietto nell’atrio.

 

Come al solito, non lo fece, ma questo non impedì alla frase di dare un conforto più che necessario a Ghish, che si rilassò mentre la mano di lei correva attraverso i suoi capelli un’ultima volta prima che la ragazza se ne andasse.

 

FINE DEL CAPITOLO.

 

 

(1)  ora capisco molte cose.

Ahia, ecco un’altra complicazione? E adesso che ci si è messa anche la febbre, ce la farà Ghish a sopravvivere?

Seguite i prossimi capitoli per scoprirlo.

A presto

Bebbe5

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 12
*** Note dell'autrice ***


Note dell’autrice: salve a tutti. Purtroppo questo non è un aggiornamento, ma una comunicazione che mi premeva farvi. Vi chiedo di perdonarmi in anticipo se non aggiornerò per un po’ di tempo, ma mi è stato chiesto di terminare in fretta il racconto su Sherlock Holmes che sto scrivendo, “L’incredibile vicenda del vapore Friesland”. Per un po’ i miei sforzi si concentreranno esclusivamente su questo, quindi vi chiedo scusa di nuovo se l’aggiornamento tarderà ad arrivare.

Grazie a tutti coloro che seguono la storia e che lasciano dei commenti.

 

Bebbe5

 

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Capitolo 13
*** Penso che.... ***


Note dell’autrice: ecco, finalmente riesco ad aggiornare. Perdonatemi per il ritardo, ma vi avevo avvertito di quella cosa che dovevo fare urgentemente. Ci tengo a precisare per l’ennesima volta che la fiction non è mia, ma di cruelfeline. Scusate se batto ancora su questo punto ma mi sono resa conto, da alcune delle vostre recensioni, che ancora non era molto chiara questa cosa (Confessate: quanti di voi hanno letto le Note dell’autrice nel primissimo capitolo?). Beh, passiamo a:

 

L’ANGOLO DELLE RECENSIONI:

 

ANNINA94: Ah, non essere tanto sicura che si salvi così facilmente. Ce ne sono ancora di capitoli, vedrai, vedrai. Ti dirò, ero già pronta a protestare che la storia non è mia, ma ci hai già pensato tu a correggerti: Brava, brava, l’idea mi piace, sì.

 

YURI5: Concordo, Strawberry pensa troppo a Mark anche in situazioni critiche come questa.

 

MADAMA KOKORO: Sono contenta che la fiction ti piaccia. Come ho precisato all’inizio, la storia non è mia, perciò non posso farci molto quando trovo delle parentesi che, anche a me, sconfifferano poco. Vabbè, nel caso di discorsi che in italiano vengono obbrobriosi, chiaro che apporto qualche modifica, ma non posso mica cambiare tutta la storia.

 

DOLL93: Bene, sono contenta che la storia ti piaccia e spero di non averti fatto stare troppo sulle spine.

 

MISS GIULIETTA: Credimi, penso che buona parte delle lettrici se lo sia chiesto, perché non c’è lei al posto di Straw intendo. Sì, Ghish è ridotto proprio maluccio, riuscirà a migliorare?

 

BILU_EMO: Sì, nell’ultimo capitolo Ghish ha mostrato la parte migliore di sé. Ti capisco sai, quando mi dici che la scrittrice è brava ma troppo puntigliosa. Tu però hai solo letto il risultato, pensa a me che lo devo tradurre e cercare di alleggerire un po’ (vengono discorsi davvero troppo pleonastici).

 

TYTY: Sì, ci sono alcuni passi davvero dolci nel capitolo. Come ho già detto,  anche secondo me era un po’ ripetitivo, ma, purtroppo, ci posso fare poco. L’autrice non sono io.

 

ASIAGIULY: Come ho già detto e non mi stancherò mai di ripetere, i ringraziamenti devono andare alla vera autrice. Sono felice che la storia ti piaccia e spero che tu continui a seguirla.

 

TAKARI94: Ti ringrazio per gli incoraggiamenti e non temere: accada quel che accada, non lascio una storia a metà. Piuttosto faccio uno sforzo o chiedo a qualcuno di completarla per me.

 

ILARY_CHAN: Non lascerei mai a metà una delle mie storie, sarebbe una ferita nel mio orgoglio. Mi spiace di averti fatto aspettare così tanto, ma questo capitolo, come vedrai, era lunghissimo e, tra impegni e robe varie, spesso la voglia era sotto le scarpe. Spero che tu comprenda.

 

AKLY: Grazie mille per i complimenti. Senza di quelli sarebbe molto più arduo procedere. Grazie grazie grazie.

 

SIRETTA: Ancora una volta, la fiction non è mia (sigh), ma di una bravissima autrice, il cui nome si può leggere nel primissimo capitolo della storia. Grazie comunque per i complimenti.

Buona lettura.

 

Spero di non essermi dimenticata nessuno: se così fosse fatemi un fischio eh?

Grazie a tutte per i commenti e per i complimenti che mi lasciate. Grazie anche per le segnalazioni critiche che, penso sia giusto, farò avere alla scrittrice quanto prima.

 

BUONA LETTURA

 

Capitolo 12

 

Strawberry era abituata a destreggiarsi in situazioni difficili e quella non era certo un’eccezione. Frugava nell’armadietto dei medicinali, controllando freneticamente le etichette di ogni bottiglietta che le capitava tra le mani.

 

“Lesse…. Tylenol…. Questo potrebbe essere utile. Motrin? Non è la stesso… oh, ma è per bambini. Ehm….”

 

Emise un brontolio di frustrazione. “Perché dobbiamo averne così tante di queste cose?” Era troppo chiedere di trovare una bottiglietta con su scritto “io curerò la febbre?” Fissò l’impressionante collezione di medicinali, che variavano dall’ibuprofene all’acido salicilico, ed i palmi delle sue mani cominciarono a dolere quando le unghie vi si conficcarono dentro.

 

Ok. Calma. Devo calmarmi. Questo non mi sta aiutando.

 

Respirando a fondo, la ragazza chiuse gli occhi, cercando di fare ordine nei suoi pensieri. Quasi immediatamente, accadde l’esatto opposto, quando si accorse di alcune lacrime che minacciavano di caderle lungo le guance. Mise giù una delle bottigliette e si asciugò gli occhi, ma era troppo tardi. Una volta che una sola lacrima era uscita, ogni tentativo di frenare le altre si rivelava futile. Incapace di controllare le sensazioni che si erano instaurate in lei nel tempo, chinò la testa e cominciò a piangere.

 

E se lui muore? E se lui muore ed è tutta colpa mia? E’ venuto da me, da me, pensando che avrei potuto aiutarlo, quando nessun altro l’avrebbe fatto, ed io ho…ho..

 

Eruppe in singhiozzi, portandosi una mano alla bocca, conscia all’improvviso di non volere che lui la sentisse.

 

Sta soffrendo ed è tutta… tutta colpa mia… come posso essere stata così stupida? Non avrei dovuto gridargli contro. Non avrei dovuto nemmeno invitare Mark ad entrare. Come posso essere stata così idiota?

 

E’ venuto da me… è venuto da me in quello stato perché… perché…

 

Perché aveva scelto lei invece della sua missione. Aveva… aveva scelto di salvarle la vita. Tutte le loro vite.

 

Aveva sempre detto di volerla, di amarla.

 

Un pensiero improvviso le venne in mente, il rude e scioccante gemello di uno schiaffo sul viso.

 

E se… non ci aveva mai pensato, non si era mai confrontata con una situazione che le permetteva, o la costringeva di analizzare il tutto con attenzione… lui avesse davvero detto ciò che pensava?

 

E se non fosse stato possessivo solo per suo interesse personale?

 

Di nuovo, quella battaglia, quegli occhi, quella voce disperata le passarono davanti agli occhi. Le lacrime si fermarono quando vide il suo riflesso nello specchio.

 

E se quando lui diceva di amarla… se lui…

 

Scosse la testa e si asciugò le lacrime. Devo tornare di là.

 

Raccolse le bottigliette tra le braccia e si affrettò ad andare nella sua stanza, sempre cercando di ignorare l’ironia con cui l’urgenza della situazione, l’aiutava ad evitare un molto più delicato argomento. Non appena ebbe posato i flaconcini sul suo comodino ed ebbe preso posto accanto al letto, fu in grado di dimenticare temporaneamente quei pensieri.

 

Temporaneamente.

 

Sempre temporaneamente.

 

Cosa sarebbe accaduto quando non ci fosse stato nulla a distrarla, nessuna salvezza?

 

Di nuovo, scosse fermamente la testa, avvicinandosi all’alieno e posando una mano sulla fronte dell’alieno. I suoi occhi, chiusi quando lei era entrata, si aprirono lentamente e si fissarono su di lei.

 

Lei pregò, improvvisamente nervosa, affinché non si accorgesse che aveva pianto. Non voleva renderlo più ansioso. Gli donò quello che sperava fosse uno spensierato, confortante sorriso. Lui non disse niente, ma lei non sapeva se fosse perché non se n’era davvero accorto, era troppo debole o non la voleva preoccupare. Grata e provando un po’ di sollievo, non se ne curò più di tanto. 

 

“Dovrai sederti, ok? E dovrai anche dirmi se puoi prendere queste medicine o no.”

 

Il ragazzo ubbidì, sollevandosi lentamente sui gomiti, mettendosi con cautela in una posizione seduta mentre lei guardava, pronta a sostenerlo in caso avesse vacillato. La tensione dentro di lei si allentò un po’, non appena lui si appoggiò alla testata del letto, all’apparenza molto stanco, ma anche del tutto lucido.

Le aveva perfino sorriso debolmente, anche se solo per un istante. Una tremenda tosse lo colpì e lei si ricordò di botto dei suoi doveri.

 

“Questi sono per la tosse. Sono tutti fatti con Ibuprofene. Sai se…?” si interruppe, con gli occhi che si fissavano imploranti in quelli di Ghish, mentre aspettava quella che sperava sarebbe stata una risposta positiva. La sua ansia era così crudele che, al momento, non voleva nemmeno una risposta. E se fosse stata negativa?

 

Prendendo alcuni respiri stabilizzanti dopo il maleficio della tosse, Ghish chiuse gli occhi, pensando, sentendo i prosciuganti effetti della malattia anche dopo il lungo sonno da cui si era appena svegliato.

 

“Non lo so” borbottò, cosciente tutto d’un colpo di una paralizzante spossatezza. Le voleva rispondere, sentiva la sua terribile apprensione, ma poteva concentrarsi su essa in un remoto angolo della sua mente: era semplicemente troppo esausto, troppo malato per pensare a dovere.

 

La risposta fu tutto tranne ciò che Strawberry aveva sperato. Strinse i pungi, la gola le si serrò, mentre lei si preparava a liberare i suoi nervi sul ragazzo in uno scoppio di rabbia. Questa volta riuscì a trattenersi, sbarrando gli occhi in una sorta di vergognoso shock, mordendosi il labbro con i denti, nel disperato tentativo di calmarsi.

 

Ma certo che non lo sa: è un alieno. E anche se lo sapesse a cose normali, non potrebbe ricordarselo ora… riesce a malapena a stare sveglio.

 

E adesso? Poteva rischiare? Dargli le pasticche e sperare che funzionassero?

 

Per un momento, effettivamente, ponderò la cosa, avvicinandosi per prendere la boccetta di Tylenol.

 

L’attimo successivo si tirò un sonoro schiaffo mentale.

 

Quel genere di rischio era pura stupidità.

 

Aveva già compiuto degli errori. La situazione era già peggiorata a causa sua. Lasciare ancora spazio all’errore sarebbe stato un’idiozia.

 

Anche così, il verdetto finale riuscì a portare soltanto un’ondata di disperazione in lei. Chinò la testa, mentre le unghie le si conficcavano nei palmi delle mani, mentre cercava di chiarirsi le idee. Un minuto dopo, si alzò, assicurò a Ghish che sarebbe tornata subito ed andò a prendere una tinozza d’acqua fredda ed un asciugamano dal bagno.

 

Una volta ritornata, disse al ragazzo di sdraiarsi e mise con attenzione la pezza bagnata sulla sua fronte, illuminandosi quando lui emise un gemito di piacere al sentirne la temperatura: forse questo sarebbe bastato? Lo guardò chiudere gli occhi prima di mormorare un leggero: “Grazie micetta” e sonnecchiare.

 

Senza nulla da fare tranne preoccuparsi, Strawberry tentò nuovamente di dedicarsi ai suoi compiti di matematica. Dopo un’ora si fermò e, con un sospiro esasperato, mise da parte i problemi irrisolti per andare a cambiare l’asciugamano. Non appena si fu chinata per esaminare il ragazzo, il suo volto si adombrò: un pugnale di gelido terrore la colpì al cuore. Era chiaro come il sole che la febbre non era scesa, anzi, probabilmente il vivo rossore sulle sue guance ed i respiri affannati suggerivano un innalzamento della temperatura.

 

Per un attimo, mentre cambiava il panno meccanicamente, si sentì di nuovo sull’orlo delle lacrime.

 

Doveva fare qualcosa, ma cosa? Se le medicine non funzionavano, allora cosa…?

 

Un’idea la colpì così bruscamente che per poco non lasciò cadere l’asciugamano. Immediatamente, un leggero rossore le colorò le guance:

 

No, no, no, non devo comportarmi così… lo devo fare….

 

Sforzandosi esattamente come aveva fatto prima di prendere Ghish tra le braccia, si decise a procedere con l’unico piano a cui era riuscita a pensare. Tutto ciò che restava da fare era svegliare il ragazzo e sperare che riuscisse ad affrontare il tragitto verso il bagno.

 

“Ghish, Ghish, svegliati.” Lo scosse con cautela, temendo di procurargli ulteriore disagio, fino a che i suoi occhi si aprirono. Impiegò qualche istante per mettere a fuoco il volto della ragazza e, quando ci riuscì, disse con un roco e quanto mai infastidito: “Cosa?” Se la situazione non fosse stata così critica, l’irritazione nella sua voce a causa del brusco risveglio, avrebbe potuto divertirla. Dal momento che invece lo era, Strawberry rispose semplicemente:

 

“Devi svegliarti, ti…”

 

Fu interrotta da un colpo di tosse e da un implorante: “Sono troppo stanco.” Deglutendo tanto l’impazienza quanto l’ansia, lei lo spronò dolcemente.

 

“Dobbiamo far scendere la tua febbre Ghish.”

 

L’urgenza nella sua voce dove averlo raggiunto, perché cominciò a sollevarsi in una posizione seduta. Questa volta, però, per poco non ricadde indietro, solo per essere afferrato da Strawberry. Questo fatto confermò i timori della ragazza. Si stava indebolendo.

 

Allontanando quel terribile pensiero, lo aiutò a sedersi, scostò le coperte ed attese che lui portasse le gambe oltre la sponda del letto, prima di aiutarlo ad alzarsi sulle sue gambe tremanti. Per un attimo perse quasi l’equilibrio, quando l’alieno fece ricadere la maggior parte del suo peso su di lei. Dopo aver ritrovato la stabilità, cominciò a fare i primi passi in avanti, incoraggiandolo con dolci mormorii, mentre percorrevano il corridoio, appoggiandosi al muro ogni qualvolta lui veniva preso dai colpi di tosse. Alla fine, raggiunsero il bagno. Ghish si appoggiò a Strawberry, mentre lei apriva l’armadietto e ne traeva fuori uno sgabellino, lasciandolo cadere sul pavimento e dandogli un calcio in modo che fosse accanto alla vasca. Fatto ciò, lasciò che lui ci si sedesse sopra, facendolo appoggiare con delicatezza alla vasca di porcellana mentre lei si procurava degli asciugamano, li inzuppava di acqua fredda e poi, pensandoci su un secondo, prendeva anche un altro po’ di bende prima di sedersi e cominciare ad agire.

 

Sapeva già che fargli un bagno completo sarebbe stato impossibile: i suoi sensi femminili avevano già distrutto questa possibilità. Anche se questi sensi fossero stati inesistenti, era chiaro che spogliare e rivestire il povero ragazzo in quelle condizioni sarebbe stato alquanto difficile e molto stancante per entrambi.

 

Strawberry poteva comunque rinfrescarlo, lavando almeno la parte superiore del corpo. Le dava anche la possibilità di cambiare finalmente le bende.

Prendendo un respiro per calmarsi, si mise a lavorare.

 

La reazione iniziale di Ghish fu rimanere di colpo senza fiato per la sensazione dell’acqua gelida sul corpo, e Strawberry non poté trattenersi dal mettergli una mano rassicurante sulla spalla, mentre premeva l’asciugamano sulla sua pelle.

 

“E’ freddo” mormorò l’alieno e la giovane rispose con un cenno d’assenso, e con una voce tremante per l’ansiosa volontà di scusarsi “Lo so. Lo so, Ghish, ma è per la tua febbre.”

 

Le ultime parole sfociarono in un sussurro, mentre lei si mordeva le labbra, tentando di trattenere le lacrime che minacciavano di uscire. Faceva male, si accorse. Faceva male vederlo così, sentire i tremiti percorrergli il corpo, il calore della pelle, il doloroso raschiare dei suoi respiri che gli scuoteva il petto. Faceva terribilmente male, perché sapeva che ciò che stava vedendo e sentendo non era assolutamente nulla comparato alla sofferenza che lui doveva stare attraversando.

 

La fece quasi spuntare nuove lacrime, e tutto ciò che riuscì a fare fu combatterle nuovamente e cercare di proseguire il più delicatamente possibile con le sue cure.

 

Mentre si occupava della schiena, l’alieno fu colto da un altro accesso di tosse e, alla fine di questo, non riuscì più a tenersi seduto diritto. Dovette appoggiarsi completamente alla vasca, e Strawberry ebbe un brivido quando lui tremò per la perpetua freddezza della porcellana. Senza il benché minimo dubbioso pensiero, lo tirò gentilmente a sé, permettendogli di appoggiarsi a lei.

 

Continuò con la parte davanti, tamponando con cautela intorno ai bordi delle bende prima di decidersi che, infine, era arrivato il momento di cambiarle. Mentre lui le stava ancora appoggiato addosso, cominciò a sfare il nodo che le teneva legate. Un lieve ma brusco inspirare da parte dell’alieno, un segnale che lei aveva sfiorato la zona ferita, la costrinse a fermarsi per un momento, mentre con un braccio circondava la sua vita, facendolo spostare in modo che la testa si posasse sulla spalla di lei.

 

“Va tutto bene Ghish, solo un altro po’, ok?” Lui rispose con un debole cenno della testa, e lei appoggiò la guancia sui suoi capelli aggrovigliati, dandogli una stretta rassicurante con un braccio, mentre terminava di sfasciarlo con l’altro. Quando la benda cadde al suolo, la fece involontariamente una smorfia: poco avrebbe potuto prepararla alla vista della carne terribilmente arrossata che vide.

 

Grazie al cielo vide che, fortunatamente, non si era infettata. Il sollievo la riempì: almeno quella non era andata storta.

 

La sensazione sparì alla stessa velocità con cui era arrivata. Si accorse che, se voleva che la situazione rimanesse tale, avrebbe dovuto eseguire ciò che, nella sua mente, equivaleva ad una tortura. Sforzandosi di trattenere i singhiozzi, con una mano mise dell’antisettico su un asciugamano pulito e, stringendo i denti, si preparò a premerne un angolo contro la carne arrossata, ma si fermò. Un simile approccio era senza senso. Ora, un leggero singhiozzo proruppe dalle sue difese.

“Mi dispiace Ghish.” Sussurrò in una delle sue lunghe orecchie, stringendo inconsciamente la presa intorno a lui, premendo la guancia contro la sua testa, stringendo i denti prima di premere l’asciugamano contro tutta la ferita.

 

Niente, nessun film dell’orrore, nessun dramma ospedaliero, semplicemente nulla, avrebbe potuto prepararla all’urlo che lui lanciò e nulla avrebbe potuto cancellarlo dalla sua memoria.

 

Solo pochi giorni prima non avrebbe mai creduto che avrebbe fatto ciò che stava per fare. Si sarebbe fatta beffe di chiunque l’avesse suggerito, si sarebbe persino

offesa al pensiero.

 

Tutto questo le evaporò dalla mente, quando lo sentì agitarsi in agonia e con il suo urlo rantolante nelle orecchie.

 

Lasciò cadere l’asciugamano, avvolgendo entrambe le braccia attorno al giovane alieno, stringendolo con una ferocia tale da immobilizzarlo. Improvvisamente stava piangendo, sforzandosi non di trattenere le lacrime, ma per evitare un attacco isterico.

 

“Mi dispiace, mi dispiace tanto Ghish.” Singhiozzò nel suo orecchio, con la voce che si riduceva in un dolce mormorare il suo nome, mentre lo cullava avanti e indietro.

 

Era a conoscenza di cinque punti doloranti sulla sua coscia: l’alieno vi aveva affondato le sue unghie, attraversando addirittura il pigiama. In quel momento, sentendo il suo flebile respiro, i suoi tremiti, lei accolse quel dolore, abbracciandolo come unico elemento di giustizia in tutta la situazione, desiderò addirittura, in un delirio isterico, che lui la privasse di un po’ di sangue a mo’ di pagamento.

 

Per quanto rimasero così, Strawberry non sarebbe stata in grado di dirlo. Probabilmente solo pochi minuti, ma a lei sembrò che fossero passate delle ore, ore spese ad acquietare i lamenti dell’alieno, mentre il dolore inimmaginabile scemava, riducendosi ad un sordo malessere al petto, ore prima che lei riuscisse a riprendersi abbastanza da staccare un braccio per afferrare un asciugamano da usare sul petto del ragazzo.

 

Asciugandolo con attenzione, si congelò per la sorpresa quando la voce di Ghish ruppe il silenzio.

 

“Non devi piangere Strawberry, va tutto bene.”

 

Lasciò cadere l’asciugamano totalmente shockata, mentre gli occhi le saettavano verso quelli dell’alieno e le labbra le si separavano, ma la voce non le uscì. Il sorrisetto di lui, lo sguardo gentile nei suoi occhi, il modo in cui si rilassava contro di lei, fidandosi ancora di lei, dopo tutto quello … riuscì a tenere a malapena le lacrime a bada.

 

Un sorriso le sollevò le labbra, un sorriso di gratitudine, di puro sollievo. Gli portò una mano alla fronte.

 

“La febbre è scesa.”

 

Fu tutto ciò che riuscì a dirgli in risposta, eppure sembrò soddisfarlo. Annuì, ma sussultò leggermente e Strawberry si accorse che doveva ancora rifasciare la ferita. Lo fece con la più grande attenzione, terminando con un nodo stretto, ma non troppo.

 

Fatto questo, scoprì che l’alieno si era quasi addormentato su di lei, e lei lo risvegliò.

 

“Non dormire qui.” Mormorò, lasciando che un po’ di divertito sollievo arricchisse la sua voce. “dopo a letto.”

 

Un altro po’ di peso le abbandonò il petto quando Ghish ridacchiò lievemente per quella frase che, se si fosse sentito meglio, avrebbe arricchito con un commento più allusivo. Era un’eco lontana delle sue solite risposte maligne, ma almeno era qualcosa. Era un segno che la malattia stava regredendo e Strawberry si ritrovò a camminare con un passo più leggero lungo il tragitto verso la camera da letto, il volto era molto più rilassato mentre aiutava Ghish a stendersi e gli rimboccava le coperte.

 

Sta meglio. Parla di nuovo e respira con più facilità, la sua pelle non è così calda e..

 

I suoi pensieri la portarono a godersi quel momento di sollievo dopo lo stress del giorno prima.

 

Pochi minuti dopo, era seduta sulla sua sedia, la mente concentrata sugli ultimi problemi di matematica, mentre Ghish dormiva di nuovo.

 

La sua improvvisa felicità era una cosa abbastanza divertente da vedere: uno dei piedi picchiettava contro la gamba della sedia, lei canticchiava dolcemente, uno sorriso sfrontato le illuminava il volto, mentre attaccava gli esercizi con rinnovato vigore.

 

L’ultima volta che si era sentita così felice, era stato quando Mark le aveva confessato il suo amore.

 

Era una fortuna che fosse così presa dalla gioia, altrimenti quella considerazione le avrebbe portato un’ondata di pensieri negativi il cui impatto lei stava cercando forzatamente di rimandare a più tardi. Più tardi, quando fosse stata sicura che Ghish non sarebbe morto per causa sua. Più tardi, quando avrebbe saputo cosa stava combinando lei.

 

Per ora era contenta di crogiolarsi nel sollievo che le era stato offerto dall’abbassamento della febbre di Ghish.

 

Le ore passarono. Strawberry chiuse finalmente il suo libro di matematica e lo mise vicino ad i compiti di inglese e storia prima di decidere che un piccolo controllo della temperatura dell’alieno non sarebbe stato una cattiva idea. Nel momento in cui si alzò, però, Ghish interruppe il suo movimento con un attacco di tosse improvviso, svegliandosi e facendo sobbalzare lei.

 

Fece anche terminare quel senso di pace, perché Strawberry si accorse subito che qualcosa non andava. La tosse durò per un lasso di tempo sconcertante e, quando terminò, lei poté vedere chiaramente che l’alieno tremava terribilmente. Il suo sorriso svanì all’istante, sostituito da un’espressione accigliata con tanto di labbra strette ed occhi sbarrati e lucidi per la preoccupazione. Sedendosi sul letto accanto a lui, gli mise una mano sul metto attirando la sua attenzione prima di parlare.

 

“Ghish, stai bene?” Le parole vennero fuori tremanti, spaventate e, per un momento, Ghish esitò prima di rispondere. Non voleva vederla piangere di nuovo. Lo aveva infastidito prima, anche nella sua stessa sofferenza, il vedere della lacrime cadere da quegli occhi così espressivi. La poteva spaventare, far arrabbiare. Godeva persino della sua espressione sul suo volto, nei suoi bellissimi occhi, ogni qual volta riusciva nel suo intento. Amava il suo coraggio.

 

Ma non poteva, in nessuna circostanza, vederla piangere.

 

Poi esitò, forse avrebbe potuto risponderle con una piccola bugia, se un brivido non gli avesse attraversato il corpo all’improvviso, facendolo rabbrividire violentemente davanti agli occhi di lei. Non sarebbe servito a nulla mentire in quel momento.

 

“Ho solo un… un po’ di freddo, micetta.”

 

Strawberry, nonostante fosse ritenuta lenta in certe occasioni, comprese immediatamente il suo atteggiamento. Se la situazione non fosse stata così opprimente, si sarebbe quasi sentita intrigata. Immediatamente, in qualche lontano angolo della sua mente, questa informazione fu immagazzinata, in attesa di essere esaminata più tardi.

 

Fatto ciò, si morse il labbro e spostò alcune delle ciocche disordinate di Ghish per poter sentire la fronte di nuovo e le sue dita incontrarono una pelle stranamente calda.

 

La sua mente si paralizzò.

 

Di nuovo… di nuovo… è tornata anche dopo…

 

Dopo tutto quello che aveva fatto era tornata. Ebbe.. ebbe voglia di piangere di nuovo.

 

“Ghish” sussurrò ritirando la mano e mettendosela in grembo “io..”

 

Era ad un punto morto. Che altro poteva fare? Non aveva una medicina e non poteva farlo alzare un’altra volta. Il rossore che continuava ad intensificarsi sulle sue guance, la avvertiva che stava avendo un altro violento attacco di febbre, e non voleva sfinirlo.

 

Cosa allora? Cos’altro poteva fare?

 

Le sue unghie scavarono nei palmi delle mani mentre cercava disperatamente un piano.

 

Niente. Assolutamente niente. Non c’era nulla che potesse fare.

 

Fu abbastanza per farle nascere un singhiozzo in gola, e lei dovette lottare per fare in modo che non uscisse. Si rese conto all’improvviso di ciò che aveva realizzato solo pochi istanti prima, ossia che Ghish non voleva vederla piangere, e questo ebbe una nuova importanza sulla sua psiche.

 

Deglutendo, la ragazza si voltò verso l’alieno.

 

“Vado ad alzare il termostato, ok?” lui tossì lievemente, ma riuscì comunque ad annuire, perciò lei eseguì. Un attimo dopo, ripensandoci, si fermò anche davanti all’armadio nel corridoio e prese altre coperte, stendendole sul ragazzo e tirandogliele su fino al mento. Fatto questo ritornò al suo fianco con quello che, sperava, fosse un sorriso confortante.

“Va meglio?”

Ghish cercò di annuire, ma il tentativo fu sabotato da un attacco di tosse e Strawberry esitò. Deglutì di nuovo, quel panico diventava sempre più difficile da nascondere, ma riuscì comunque a mantenere il sorriso.

“Cerca di tornare a dormire. Ti sentirai meglio se ti riposi.”

L’alieno cercò di fare quanto lei diceva. In verità, era ansioso di tornare a dormire: il sonno gli leniva il dolore e gli permetteva di scordarsi della malattia. Ci provò, ma questa volta, la malattia sembrava avere idee totalmente differenti. La febbre continuava a salire, i brividi si intensificavano, gli attacchi di tosse peggiorava e, nel giro di un’ora, aveva completamente perso la speranza di dormire un sonno tranquillo.

Strawberry si sentì indebolita alla vista di questo.

E’ anche peggio di prima. Ora non riesce nemmeno a….

I suoi nuovi pensieri, ora, si focalizzavano interamente sul confortarlo, sul cercare di lenirgli il dolore abbastanza da concedergli il riposo di cui lui aveva un così disperato bisogno ai fini del recupero.

Mentre lui tremava sotto le lenzuola, Strawberry si alzò e si decise.

“Ghish” disse il suo nome, perché, con il passare del tempo, l’alieno stava perdendo la lucidità, anche quando il sonno rimaneva così crudelmente fuori dalla sua portata. “Ghish, mettiti a sedere per un secondo. Solo per un pochino.” Detto ciò, lo aiutò a sedersi prima di mettersi a sedere a sua volta sul cuscino e di fargli poggiare la testa sul suo grembo.

Qualsiasi sorpresa, qualsiasi divertimento che l’alieno avrebbe potuto provare in quella situazione, si perse nella febbre e nella malattia. L’unica cosa che riuscì a fare fu quella di voltare la testa in modo che la mano della ragazza toccasse la sua guancia: era la sola forma di conforto che lei potesse dargli e che lui potesse ricevere.

Ogni qual volta un attacco di tosse od un brivido lo prendevano, Strawberry lo faceva calmare, accarezzandogli i capelli con una mano, tenendo l’altra sulla sua guancia per rassicurarlo, carezzandogli occasionalmente la fronte quando si rilassava dopo ogni attacco. Gli spostava le ciocche sudate dal volto, mantenendo sempre un dolce contatto con i suoi occhi, convinta, da qualche parte nella sua mente, che questo l’avrebbe fatto rimanere con lei.

Resta Ghish. Ti prego .. ti prego.. devi resistere. Devi.. dopo..

Dopo averla risvegliata.

Dopo averci salvate tutte. Dopo aver messo a repentaglio la tua salvezza per la nostra. Dopo essere venuto qui .. Ghish .. dopo avermi dato la tua fiducia. Devi resistere, perché Ghish.. Oh Dio ..Ghish .. penso .. penso che forse io..

Sentì la sua stessa voce sollevarsi attraverso il silenzio stagnante, canticchiando una dolce ninna nanna che ricordava dalla sua infanzia.

Nen nen kororiyo okororiyo, boyawa yoikoda nenneshina.” Una lacrima le scese lungo la guancia, ma lei non fece alcun movimento per asciugarla. Le sue mani stettero con l’alieno, carezzandogli i capelli, lisciando le coperte, mentre cantava, con una voce bassa e delicata, la voce di una madre che consola suo figlio.

Boyano komoriwa dokoe it ta, anoyama koete satoe it ta.” Un attacco di tosse fu fermato da una carezza sulla fronte. Ghish si rilassò contro di lei, girando il volto verso il suo stomaco, seppellendola nella sua camicia, inspirando il suo profumo. Una mano si mosse ad accarezzargli le orecchie, sempre gentile, sempre confortante, mentre il suo respiro si faceva più pesante.

Sato no miyage ni nani morata, denden taikoni sho no fue. Sho no fue.” Si addormentò con un sospiro tremante, un incomprensibile mormorio gli uscì dalle labbra prima che tutta la muscolatura si rilassasse e lui si rilassasse nel suo grembo. Anche quando si fu addormentato, Strawberry continuò con i suoi gesti, mentre la mente si avvolgeva lentamente intorno a sé stessa ed alle sensazioni che stava provando, da ciò che stava vedendo, dai soni che le solleticavano le orecchie.

Carezzandogli i capelli, sentendo la sua pelle calda, si accorse all’improvviso di ciò che stava facendo, e le venne quasi da ridere. Stava coccolando un nemico. Gli stava accarezzandogli la pelle bruciante, lisciandogli i capelli. La sua pelle. I suoi capelli. I suoi. Quelli di Ghish. Colui che avevano sempre combattuto, colui che lei aveva sempre respinto, colui che era sempre stato sconfitto nei modi più disparati.

La sua pelle era liscia, soffice. I suoi capelli, anche se annodati e sudati, erano morbidi. Poteva vedere la fragilità delle sue lunghe orecchie, le vene erano visibili nella pelle quasi traslucida. Poteva vedere le sue sopracciglia umide per le lacrime di dolore, di spossatezza, lunghe e bellissime sopra gli intensi occhi dorati. Tutto quanto era soffice, dolce, bello. Tutto era fragile mentre lui tremava al suo contatto, così teso e pieno di dolore e paura.

Questa era la creatura che lei aveva trattato male. Era quella che lei aveva maledetto, insultato, respinto. Quella parola si ripeté ancora ed ancora… respinto. Combattuto, ferito, odiato.

Questo era il perfido Ghish.

Lei chiuse gli occhi, si chinò sempre di più, finché sentì la pelle calda della fronte sotto le sue labbra.

Ghish… penso che potrei.. potrei essere innamorata di te.

 

 

 

 

TRADUZIONE

Nen nen kororiyo okororiyo
Boyawa yoikoda nenneshina

Boyano komoriwa dokoe it ta

Anoyama koete satoe it ta

Sato no miyage ni nani morata

Denden taikoni sho no fue

Sho no fue

Dormi, dormi,

piccolino, dormi.

Sei un bravo bambino,

Ora vai a dormire.

Sai

Dov’è andata la tua balia?

E’ andata al suo villaggio

Non ci starà molto.

Cosa ti porterà, piccolino

Quando tornerà?

Un flauto così dolce

Ed un tonante tamburo.

Ed un tonante tamburo.

 

FINE DEL CAPITOLO

 

Allora, è valsa la pena attendere? Spero di sì. Spero anche di riuscire ad aggiornare presto, anche se l’estate si preannuncia piena e stra piena di impegni (forse ci incastrerà anche un soggiorno ad Indianapolis).

Spero che abbiate gradito

Bebbe5

 

 

 

 

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Capitolo 14
*** Aiuto ***


Note dell’autrice: scusatemi per l’immenso ritardo, ancora una volta. A questo proposito, volevo dirvi che mi sono messa a tradurre tutta la fiction, un capitolo dietro l’altro, e, finalmente ho terminato il mio lavoro. Gli aggiornamenti avverranno quindi ogni settimana. Mi sembrava assurdo continuare ad aggiornare ogni 5 mesi, non era giusto per voi. Scusatemi ancora.

Vorrei ringraziare tutte coloro che hanno recensito e che mi hanno mandato dei messaggi affinché continuassi il mio lavoro. Grazie mille per il sostegno e la pazienza.

 

Capitolo 12

Stava morendo.

Questo fu il primo pensiero che, con cautela, fuoriuscì dall’abisso del sonno quando la carezza di un panno fresco ed umido sulla sua guancia lo svegliò.

Ghish non ebbe bisogno di rimanere lucido a lungo per vedere le striature delle lacrime sulle guance di Strawberry, o la gelida disperazione nei suoi occhi velati. Si accorse velocemente, piuttosto velocemente per uno nel suo stato, che era peggiorato, la febbre si era alzata, il respiro era diventato più flebile e la ragazza era spaventata. Terrorizzata. Totalmente, disperatamente, terrorizzata perché tutto ciò che vedeva era il giovane alieno soffrire e morire lentamente.

Penso che… sia la fine, allora…?

Se doveva morire, si accorse all’improvviso, che solo un’ultima cosa era importante. Solo una…

Le ore passarono. Ore spese ad ascoltare l’alieno gridare forte delirando nel sonno, ore di futili tentativi per tenere sotto controllo la sua temperatura che continuava a salire imperterrita, ore di continuo, doloroso peggioramento avevano fiaccato le forze di Strawberry al punto che le ci vollero alcuni momenti per registrare il lievissimo tocco sulla sua mano sinistra, e pochi istanti per capire che il tocco proveniva dalle dita tremanti di Ghish.

Per poco non ritrasse bruscamente la sua mano, tanta era la sorpresa, ma riuscì a rimanere ferma mentre l’alieno lentamente, cautamente, muoveva la sua mano su quella di lei ed arrotolava le sue dita attorno al suo polso. Lo shock non fece altro che acuirsi quando lui cominciò ad usare le sue ultime forze per tirarsi su.

Si stava tirando su, o stava cercando di tirare giù lei?

Entrambe le cose, a quanto sembrava, ed in quel momento gli occhi di lei scattarono sul volto di lui.

Quelle orbite dorate la fissarono di rimando, opachi per la debolezza, eppure ancora luccicanti per una morente scintilla di speranza mentre le sue labbra screpolate si separavano e la sua voce, un flebile, raschiante sospiro, ruppe il silenzio.

“Un… un altro… Strawberry…” i suoi occhi quasi si serrarono quando prese un respiro poco profondo. “Ti prego.. solo un altro.. prima…”

Si interruppe, mentre le sue ultime riserve di energia si dedicavano ad un ultimo tentativo di tirarsi su, di..

Strawberry emise un singhiozzo strozzato quando comprese le sue intenzioni, e quel pensiero la fece quasi accasciare.

Mentre il suo debole tirare il suo polso continuava, mentre lui ansimava in quell’ ultimo, disperato sforzo, la sua mente riusciva solo a focalizzarsi su un pensiero paralizzante.

Sta soffrendo, morendo a causa mia, e tutto ciò che vuole... tutto quello che riesce a chiedere prima di….

Si ritrovò a prendergli dolcemente la mano e a portarla al suo volto, premendola sulla sua guancia, mentre un sorriso colmo di lacrime prendeva il posto del rigido shock sulla sua faccia. Prima che lui potesse anche solo parlare, lei scosse la testa, con gli occhi fissi nei suoi. La scosse ancora e ancora, anche quando le lacrime le riempirono gli occhi e caddero, non notate dall’alieno steso nel letto.

“No, Ghish” mormorò, e la sua voce era bassa, stanca e debole quanto quella di lui, mentre lei vedeva una pesante delusione oscurare ancor più i suoi occhi. Ma il suo sorriso rimase, anzi crebbe, mentre le dita di lui le accarezzavano lievemente la tempia, quasi provando ad attirarla un’ultima volta. Emise un verso strozzato, a metà tra un singhiozzo ed una risata, mentre lui tentava di tenere gli occhi aperti e si sforzava di porle una semplice domanda:

“Perché?”

Lei ridacchiò allora, producendo un suono impregnato di lacrime. Strawberry ridacchiò perché la sua richiesta era così ridicola. Era probabilmente la più assurda che la sua mente avesse mai ricevuto e, nella sua stanchezza, poteva difficilmente trattenersi dal ridere debolmente mentre le lacrime affondavano sul copriletto.

La sua presa sulla mano di lui si rafforzò e lei la premette dolcemente sulla sua guancia, permettendogli di giocare con i suoi capelli, mentre i suoi occhi si fissavano in quelli di lui: tutto il calore e la compassione che poteva provare brillavano attraverso le sue iridi rosa (NdT: lo so che gli occhi di Strawberry sono marroni, ma la scrittrice ha scritto “pink irises”, quindi che dovevo fare?) e gradatamente scioglievano tutta la disperazione che sentiva.

“Ghish.” Mentre pronunciava il suo nome, poteva sentire le sue unghie lunghe  sfiorarle la pelle e la nuova sensazione portò una nuova ondata di tenerezza al suo sguardo. Mosse la sua propria mano su quella di lui, premendo il palmo sulla sua guancia mentre un’incredibile dolcezza prendeva possesso della sua voce.

“Ghish.” La sua voce portava nuova fiducia nella sua gentilezza, una fiducia che gli rese più facile respirare, fece cessare un po’ i suoi tremiti, mentre ascoltava quella voce sussurrante.

“Non ti bacerò, Ghish.” Le parole lo avrebbero distrutto se il suo tono non fosse stato così pieno di pura compassione, se i suoi occhi non avessero brillato di quella tenera emozione nella quale lui aveva sempre sperato, eppure mai sperato. Quella mano calda a contatto con la sua, e poteva sentire una sacra forza scorrere da lì, scorrere in lui mentre quegli occhi fissavano i suoi.

Strawberry gli accarezzò la tempia con il retro dell’altra mano, muovendola verso la sua fronte e spostando le ciocche sudate da lì prima che la voce le ritornasse.

“Perché tu non morirai.”

Quell’affermazione era tutto ciò di cui Strawberry aveva bisogno per fuggire dalla sua profonda disperazione.

Lui non sarebbe morto. No. Certo che no. Il pensiero era stupido, assurdo, e lei ne rise silenziosamente, mentre continuava a passare le dita tra i suoi capelli.

“Tu non morirai,” sussurrò di nuovo, una conferma, una ardita, fiduciosa dichiarazione di guerra contro la ferita e la febbre.

Non lo avrebbe lasciato andare.

Non così.

Mai..

Non quando la sua mente stava nuotando… no… annegando nelle nuove possibilità che comprendevano quella delicata parola che cominciava per “A”.

Non l’avrebbe permesso in alcun modo, non adesso, quando aveva finalmente realizzato, finalmente compreso pienamente tutto.

La sua fiducia era riposta in lei, e per nessuna diavolo di ragione l’avrebbe gettata via.  Non dopo tutto quello che lui aveva fatto. Non dopo che lui aveva risvegliato quelle sconcertanti, terrificanti, astruse, meravigliose domande, quelle curiose possibilità nella sua psiche, una psiche che era così totalmente concentrata su una sola domanda, che lo shock di scoprirne due era stato un doloroso schiaffo che l’aveva risvegliata come niente aveva mai fatto prima di allora.

“Torna a dormire Ghish,” mormorò e l’alieno ubbidì subito. Lo fece senza replicare, perché aveva sentito quello stesso slancio di fiduciosa sicurezza che aveva rianimato la ragazza. Un sorriso stanco gli abbellì le labbra, apparendo quasi come una smorfia provocatoria, mentre chiudeva gli occhi.

O forse non

Strawberry attese qualche istante prima di stabilire che Ghish sarebbe abbastanza bene.

Un minute più tardi, si era alzata dal letto ed aveva il suo cellulare in mano. Dopo aver lasciato la stanza, si fermò sulla soglia e cominciò a scorrere la sua rubrica.

Aveva bisogno di aiuto.

Non sarebbe morto, non sarebbe mai morto così, ma aveva bisogno di aiuto.

Chi chiamare? Si morse il labbro, mentre un’improvvisa serietà prendeva possesso di lei. Aveva bisogno di qualcuno che sapesse cosa fare: questo era certo. Ryan? No, non si sarebbe di certo mosso per aiutare un alieno. Mina? Lo stesso. Pam? Era tutto così errato che quasi le venne da ridere di nuovo.

Continuò a scorrere, finché una voce risuonò nella sua mente stressata.

Sembra che queste persone abbiano dei sentimenti…

Un urletto, non una risata, le scappò prima che cominciasse a digitare il numero. Perché non ci aveva pensato prima?

Ti prego rispondi…ti prego… sei la sola—

Bingo! Il cuore di Strawberry sobbalzò quando lei udì la timida voce di Lory.

“Moshi moshi?”

Per un attimo la ragazza si bloccò. Cosa avrebbe detto? Ciao Lory, ho bisogno che tu mi dia una mano per salvare un alieno che sta morendo in casa mia, potresti venire entro i prossimi 10 minuti?

In qualche modo, sentì che non poteva spiegare tutto per telefono. Non poteva rischiare un rifiuto. Mentre cominciava a sudare freddo, tutto d’un tratto incredibilmente nervosa, balbettò.

“L-Lory? Sono… sono Strawberry—“

Lory non era una che interrompeva, non lo era mai stata.

Eppure si accorse dell’intensa incertezza nella voce dell’amica e la sua innata compassione uscì immediatamente fuori.

“Strawberry? Qualcosa non va?”

Malgrado la situazione, Strawberry sorrise: Lory era di sicuro la persona giusta da chiamare.

Sembra che queste persone abbiano dei sentimenti…

Deglutì, mentre quell’affermazione le ridava fiducia.

“Lory, ho bisogno che tu venga a casa mia ok? Per favore?”

Poteva praticamente vedere la preoccupazione nello sguardo di Lory.

“Va tutto bene Strawberry? Devo chia...”

“No! No, Lory, non chiamare nessuno. Vieni qui e basta! Vieni qui e....”

Strawberry fu totalmente sorpresa nel ritrovarsi a pensare chiaramente. C’è niente di cui ho bisogno..? La sua mente stilò immediatamente una lista: medicine… no, coperte… ne aveva un sacco… cibo… ecco, non ne avrebbe fatto a meno. In effetti, il pensiero di lasciare Ghish da solo per andare a cercare qualcosa da mangiare le faceva venire la nausea, quindi fece rapidamente la sua richiesta.

“Potresti portare un po’  di zuppa? O qualcos’altro che sia.. ehm…” Come darle questa indicazione senza rivelare nulla e dare inizio ad una conversazione con cui non sarebbe riuscita a fare i conti in quel momento? Deglutì nervosamente, ma non riuscì a parlare prima che lo facesse Lory.

“Sei malata Strawberry? E’..”

“No… no, ma… ti prego, vieni qui e basta. Vieni e porta… solo…” si odiava per stare balbettando, ma tutto ciò su cui si poteva focalizzare era la palese possibilità che Lory potesse rifiutare, che lei avrebbe potuto negare a Ghish l’aiuto di cui tanto disperatamente necessitava.

E se Lory avesse rifiutato, a chi avrebbe potuto rivolgersi?

“Solo… ti prego, Lory? Ti spiegherò… quando…” si interruppe mordendosi il labbro con abbastanza violenza da arrivare a sentire il suo sangue, mentre attendeva in silenzio, con il cuore che batteva così forte che temeva che avrebbe soffocato la voce dell’altra ragazza.

Per qualche secondo, pensò che fosse finita. Per alcuni momenti in cui il suo cuore smise di battere, non udì nulla, e stava già mentalmente anticipando il segnale di comunicazione terminata. Poi:

“Va bene. Sarò lì in mezz’ora.” Lory si fermò come se volesse aggiungere qualcosa, ma prima che Strawberry potesse pregarla di sbrigarsi, la connessione si concluse.

Mezz’ora prima che ciò che Strawberry sperava si sarebbe rivelato un aiuto, arrivasse. Mezz’ora… cosa poteva fare in mezz’ora?

Dovrei svegliare Ghish. Si dovrà alzare comunque… potrei anche dirgli che sta arrivando Lory.

Sì, era certamente meglio avvertirlo. La possibilità di fargli prendere un colpo…  lei rabbrividì. Improvvisamente il pensiero di spaventarlo di più la fece stare fisicamente male: era già abbastanza grave.

Doveva aver pensato, doveva essere stato certo, che sarebbe morto.

Il pensiero di spaventarlo ancora di più era.... semplicemente sbagliato.

Con tale assodata risoluzione, Strawberry ritornò nella sua stanza e di fianco al letto, pronta a scuotere l’alieno per svegliarlo, nonostante il senso di colpa che la avvolgeva, dal momento che lui era riuscito a cadere in un sonno tranquillo pochi minuti prima. Aveva così disperatamente bisogno di quel riposo, ed era evidentemente esausto dopo essersi rigirato per così tanto tempo, nella sofferenza del delirio provocato dalla febbre.

Immaginatevi la sua sorpresa quando vide i suoi occhi Dorati, lucidi per la febbre e semi chiusi, ma testardamente fissi su di lei, seguendola non appena fece il suo ingresso nella stanza.

Esclamando un sorpreso “Ghish?”, la ragazza si accovacciò accanto al letto. L’alieno era riuscito a girarsi su un fianco e, facendo questo, lei era in grado di guardarlo dritto negli occhi, più o meno, e, istantaneamente, comprese l’importanza di mantenere quel contatto mentre parlava.

“Perché non dormi?”

Lui si prese qualche secondo per rispondere, e Strawberry colse quel momento di silenzio per avvicinarsi lentamente ed accarezzargli la guancia, giocherellando un po’  con uno dei suoi codini, sforzandosi di infondergli un po’ della sua forza. Lo aveva calmato prima, e l’effetto fu più o meno lo stesso di nuovo. Sembrò rilassarsi, il dolore sordo nei suoi occhi diminuì un po’ e lui fu in grado di trovare il respiro per rispondere.

“Non ci riesco,” mugugnò semplicemente prima di tossicchiare. Strawberry lasciò i suoi capelli e si spostò sulla sua fronte, un’espressione accigliata si posò sui suoi tratti quando sentì il tremendo calore emanate dalla pelle dell’alieno. Prese il termometro dal suo comodino e lo fece scivolare nella sua bocca: lui lo posizionò ubbidientemente sotto la lingua.

Strawbeery si alzò e poi si sedette sul letto accanto a colui che era sotto la sua tutela, riportando la mano tra le ciocche di capelli legati e facendo passare le dita tra di esse con gentilezza, in attesa del bip del termometro. Non ci volle molto.

Quarantadue… o mio Dio…

Leggere quelle cifre l’avrebbe fatta boccheggiare, avrebbe dovuto farla boccheggiare, ma lei non voleva spaventarlo. Non dopo la loro conversazione di appena poco tempo fa, una conversazione che le aveva mostrato quanto lui era terrorizzato. Semplicemente non poteva.

Così fissò il vuoto finché non sentì Ghish muoversi sotto le sue dita e la sua attenzione tornò di colpo a lui. Lui la stava guardando con ovvia ansia negli occhi: anche se malato, era ancora in grado di comprendere la preoccupazione sul suo volto.

Lei sentì l’improvviso, urgente bisogno di rinforzare ciò che gli aveva detto prima.

“Starai bene Ghish.” La sua mano si posò sulla guancia dell’alieno, e le sue dita si mossero lentamente contro la sua tempia.

“Ho chiamato un’amica. Verrà presto e ci darà una mano.” A queste parole accostò un piccolo sorriso.

“Un’amica? Una delle…?” lui si fermò, cominciando a tossire e la ragazza attese finché questa non terminò, poi annuì.

“Sì, ma è carina. Ci aiuterà.”

Almeno, spero che potrà farlo…

Calò il silenzio per un attimo, poi:

“Strawberry?”

“Mmm?”

“Grazie.”

La ragazza dovette davvero controllarsi in quel momento. Davvero, davvero  dovette prendere alcuni respiri profondi per respingere la minaccia delle lacrime.

Così, si congelò, la sua mano si era fatta improvvisamente tesa sulla sua guancia, mentre lei cercava di mantenere la calma. Era difficile, così incredibilmente difficile, vederlo tremare sotto le lenzuola, debole, accaldato e spaventato, sapendo che tutto era accaduto per causa sua, e poi udire quelle parole  uscire dalla sua bocca. Grazie?

“Avresti potuto abbandonarmi,” gracchiò lui, mentre i suoi occhi si sforzavano di incontrare quelli di lei.

Strawberry deglutì, la mano ritornò al suo movimento calmante sulla pelle dell’alieno.

E’ colpa mia… Ghish è colpa mia se ora stai giacendo qui... come puoi...?

Dovette  respingere a forza le emozioni, mordendosi disperatamente il labbro mentre tentava di reprimere lo scoppio che stava minacciando di rompere l’idillio.

Ironicamente, la malattia dell’alieno la salvò, strappandogli un altro accesso di tosse e dandole una piuttosto-necessaria ragione per seppellire le sue emozioni in quel momento. La ragazza si avvicinò al comodino, afferrando un bicchiere ed una bottiglia d’acqua che aveva preso un po’ di tempo prima. Aspettando che potesse respirare liberamente di nuovo, versò un po’ d’acqua, gli chiese di sedersi, e lo supportò mentre beveva.

“Stenditi,” gli ordinò quando lui ebbe finito, e fu parecchio sorpresa quando lui scosse la testa debolmente.

“Fa più male respirare quando mi stendo,” riuscì a sussurrare tra lievi ansiti. Strawberry gli rispose con un ansioso cenno della testa: non le piaceva che dovesse supportarsi.

Quell’onda di tenerezza, che stava rapidamente diventando una compagna familiare, ebbe ancora una volta la meglio su di lei, e si ritrovò a permettere a Ghish di appoggiarsi a lei, con la testa appoggiata sulla sua spalla, mentre lei si sedeva contro la testata del letto. Alcuni istanti trascorsi confermarono che quella posizione sembrava essere la migliore per lui, e Strawberry realizzò che sarebbero rimasti così finché non sarebbe dovuta scendere ad accogliere Lory ed a spiegarle la situazione. Quello di certo non era un pensiero piacevole: non importava quanto Lory fosse buona, la mew gatto non si sarebbe potuta aspettare altro che shock ed incredulità da lei. E quella non era nemmeno la parte peggiore.

Strawberry era molto più preoccupata, infinitamente di più, dalla prospettiva di lasciare Ghish da solo.

Il pensiero di lasciarlo lì nella stanza, con il suo debole respiro che grattava il soffocante silenzio le portò nuove lacrime e nausea.

Quasi come se avesse sentito il suo disagio, Ghish strofinò la testa contro la sua spalla, un silenzioso sospiro gli sfuggì prima che mormorasse:

“Hai un buon profumo.”

Questo le avrebbe potuto causare molto più di un po’ di rossore se Strawberry non ne avesse passate tante in quegli ultimo due giorni, ma le sue guance divennero comunque un po’ più rosee. Inoltre quel commento le fece sorgere sul volto un sorriso gentile, quasi timido, mentre lei lasciava che la sua guancia si posasse sulla testa dell’alieno, trovando un piacevole godimento nella permanente morbidezza dei suoi capelli. Prima che potesse rispondere, la voce di lui si fece di nuovo sentire.

“Ti amo.”

Il modo in cui le sbatté le palpebre, mentre un totale sgomento prendeva possesso della sua faccia, fu in effetti alquanto comico. La frenesia dei pensieri che seguì, comunque, portò con sé tutta la serietà del paio di giorni precedenti.

E’... è f- febbricitante. Non sa cosa sta dicendo. E’ solo… solo…

Ti ama, insisteva una calma vocina sotto la sua stessa ansia. Ti ha amata a lungo… questa è una sorpresa?

No, no, no, lui non...

Ah, ma lui sì. Sì, sì, e tu lo sai. Lo sai,        quindi piantala di mentire. E piantala di mentire riguardo a…

Zitta! Non ora… devo stare calma ora!

Mentre dentro di lei avveniva questo tumulto mentale, all’esterno riuscì a mantenere un aspetto calmo. L’unico segnale che dette fu avvolgere con cautela un braccio intorno all’oggetto delle sue cure e dargli una leggera e tenera stretta.

Questi pensieri… le facevano venire il mal di stomaco. Facevano male. Facevano così male…

…era questo il dolore che sentiva lui?

Desiderò poter scuotere la testa per rimuovere quel pensiero: mantenere la tranquillità stava diventando troppo difficile.

Invece, spostò la sua attenzione su Ghish che, si accorse, si era quasi addormentato su di lei. Di nuovo, una pugnalata di senso di colpa per il fatto di doverlo disturbare: sembrava che finalmente avesse trovato una posizione confortevole, ma non avrebbe potuto rimanerci dato che Lory doveva arrivare entro pochi minuti.

“Ghish,” lo scosse dolcemente, “Lory sarà presto qui. Non ti addormentare ora.”

“Dolcezza… deciditi,” le rispose assonnato, e Strawberry si morse il labbro.

Non le piaceva il modo in cui passava da uno stato d’animo all’altro, da un modo di parlare all’altro.

La febbre stava facendo presa sulla sua mente.

Doveva esserci un modo per aiutarlo.

Per il momento poté solo dargli un dolce sorriso ed un leggero “Scusami” nel tentativo di divertirlo e di tenerlo sveglio.

Un altro accesso di tosse la aiutò in quell’ultimo intento, anche se fece soltanto sussultare Strawberry per l’ovvio dolore che ciò aveva causato all’alieno. Ora desiderava che Lory si sbrigasse: il sonno sembrava essere il suo unico sollievo da quella tosse infernale.

Il suo desiderio fu esaudito.

Le orecchie di Strawberry si rizzarono al suono del campanello.

“Questa è...”

“La tua amica,” terminò Ghish, e Strawberry si sentì divisa tra il sollievo per il fatto che lui stava parlando e la totale disperazione per il suono distaccato della sua voce.

“Sì. Devo…” si interruppe, intensamente a conoscenza di quanto non volesse lasciarlo. Era un sentimento che la sua mente combattuta avrebbe sfruttato quando avrebbe dovuto discutere con sé stessa più tardi. In quel momento la faceva solo stare malissimo.

Ghish, in ogni caso, obbedientemente, si appoggiò alla testiera, osservandola con un piccolo sorriso sulle sue labbra leggermente screpolate.

Lei si accorse tutto d’un tratto che lui era terribilmente pallido e ciò la spaventò. Realizzò quanto la terrorizzava quando l’alieno incontrò i suoi occhi.

“Non morirò, gattina.”

La ragazza non era in grado di dire se quella fosse una domanda o un’affermazione, ma sapeva che doveva ripetere quella frase. E lo fece con un dolce, tenero sorriso.

“Non morirai.”

Con ciò, gli toccò la mano ancora una volta prima di andare di sotto ad accogliere Lory.

FINE DEL CAPITOLO

Allora, vi è piaciuto? E’ valsa la pena? D’ora in avanti i capitolo saranno molto lunghi, quindi preparatevi.

Alla settimana prossima e grazie ancora a tutte

Bebbe5

 

 

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Capitolo 15
*** Medicina ***


Eccovi qua il nuovo aggiornamento, buona lettura.

CAPITOLO 13

Lory era a dir poco perplessa mentre camminava lungo la strada dove si trovava la casa di Strawberry, con un thermos di zuppa calda tra le braccia.

Come le altre Mew mew, Lory si stava godendo la settimana e mezzo di ferie che Ryan aveva concesso. Non era da lui, ad essere sinceri: difficilmente dava dei giorni liberi quando si trattava di gestire il caffè e di proteggere la Terra, ma dopo quella battaglia per l’Acqua Mew, dopo che Mark era rimasto ferito, dopo che quel Chimero aveva posseduto Strawberry… non c’era bisogno di dire che non era un ragazzo senza cuore. Aveva lasciato che passassero il resto delle loro vacanze scolastiche lontane dal cafè Mew Mew.

Il tempo era stato stupendamente rilassante sotto ogni aspetto. Lory, per una volta, aveva passato un po’ di tempo molto piacevole con la sua famiglia. Sapeva che le altre guerriere Mew stavano facendo lo stesso.

Ecco perché era stata così sorpresa quando aveva ricevuto l’inattesa e piuttosto preoccupante telefonata di Strawberry.

Camminando lungo la strada, procedendo con cautela tra la neve appena caduta per evitare le lastre di ghiaccio, la ragazza sentì le sue sopracciglia avvicinarsi in una piccolo smorfia di preoccupazione.

Cosa mai era successo che aveva portato ad una simile chiamata? La disperazione l’urgenza nella voce di Strawberry le avevano fatto accapponare la pelle. Ero perché non aveva fatto altre domande. Tutta la sua logica le aveva suggerito di chiamare Ryan, di chiamare un’altra Mew Mew, facendola riflettere ancora di più su tutta la situazione. La logica esigeva una buona ragione.

Lei comunque si trovò meno preoccupata per la logica e più per quella sensazione strangolata nel suo cuore. Sapeva che qualcosa non stava andando per niente bene, e sapeva che ciò non poteva attendere. Inoltre, aveva come la sensazione che quella cosa non potesse essere condivisa con le altre guerriere Mew mew.

Non ancora.

In poco tempo, aveva riscaldato un po’ della zuppa miso che sua madre preparava spesso durante i mesi più freddi, l’aveva messa in un thermos, ed era corsa fuori dalla porta, dicendo ai suoi genitori che una delle sue amiche era malata. Essendo lei una ragazza affidabile, loro le avevano creduto immediatamente. Ciò l’aveva fatta sentire un po’ in colpa per aver mentito, oltretutto senza sapere in cosa si stava andando a cacciare, ma era difficile dimenticare il tono di Strawberry.

Di cosa potrebbe aver bisogno Strawberry? Ha detto che non era malata, ma allora perché sembrava così stanca e ansiosa, e perché ha chiesto la zuppa? Cosa potrebbe volere?

Per quanto ci provasse, Lory non riusciva a pensare ad una soluzione appropriate che fosse una. La sua smorfia si addolcì in un’espressione di semplice preoccupazione mentre procedeva, arrivando finalmente a scorgere la casa dell’amica. Entrò nel cancello ed si fermò per qualche istante ad osservare la neve che ricopriva il vialetto che conduceva alla porta di casa.

Aveva appena finite di nevicare ed ogni traccia sarebbe stata ricoperta in teoria, ma Lory poteva ancora vedere i leggeri contorni di alcune impronte. Le studiò con attenzione, improvvisamente interessata dal fatto che una serie sembrava abbastanza normale, mentre l’altra era di poco più piccola e irregolare. La neve fresca non aveva completamente nascosto l’accenno dei piedi nudi che avevano fatto quell’orma, e la ragazza si sentì all’improvviso più ansiosa di entrare nella casa.

Qualcosa sembrava dolorosamente fuori posto.

Con quel pensiero che svolazzava nella sua mente, suonò il campanello ed attese.

Non dovette attendere a lungo. In pochi secondi, sentì il suono di passi frenetici prima che la serratura scattasse e la porta si aprisse di colpo.

Di fronte a lei c’era Strawberry e, per un momento, Lory si trovò a pensare che la ragazza fosse davvero malata. I suoi capelli erano spettinati, I suoi occhi rossi, il suo viso sfinito e pallido. Portava persino il pigiama.

Prima che la ragazza dai capelli Verdi potesse far notare qualcosa di tutto ciò, fu trascinata in casa con un urletto e la porta fu chiusa. La seconda cosa di cui poi si ricordò fu che stava trovando piuttosto difficile respirare. Strawberry le stava dando un forte abbraccio forte che, Lory realizzò, una ragazza malata non sarebbe mai riuscita a dare.

“Straw- Strawberry…  potresti…” riuscì ad articolare, e la ragazza la lasciò, anche se tenne le sue braccia in una presa ferrea come se fosse preoccupata che la sua amica se ne sarebbe andata. Ora Lory si accorse del sollievo totale nei suoi occhi. Il suo sospetto che stesse accadendo qualcosa di terribile non era esagerato, a giudicare dal modo in cui gli occhi della ragazza gatto stavano fissi nei suoi con un luccichio di sincera gratitudine, o dal modo in cui essi si stavano lentamente riempiendo di lacrime.

Dopo aver ritrovato il respiro, Lory si sentì pervadere da una nuova ondata di preoccupazione.

“Che c’è? Stai bene? Non mi sembri in forma.”

Per un attimo, pensò di aver detto qualcosa di terribile e si sforzò di trovare una scusa veloce, perché le lacrime fuoriuscirono e Strawberry cominciò a piangere. Queste non erano lacrime superficiali, ma testimoni di un vero stress ed una vera paura che spinsero Lory ad oltrepassare quelli che lei normalmente giudicava essere i suoi limiti e dette alla sua amica un abbraccio rassicurante.

“Strawberry,” continuò, riconoscendo di colpo il serio bisogno di un po’ di riposo da qualsiasi cosa stesse tormentando la ragazza “Cosa c’è?”

“Sono così felice che tu sia venuta,” Strawberry boccheggiò tra i rumorosi singhiozzi. “Pensavo… e lui… è tutta colpa mia. Lui…lui—“

Lory aveva una misera idea di chi potesse essere “lui”, anche se una strana sensazione le diceva che “lui” era la persona per cui aveva portato la zuppa.

Un pensiero la colpì all’improvviso. “Mark sta bene Strawberry? E’ accaduto qualcosa?”

A queste parole, una risatina, triste, quasi sarcastica, spuntò tra i singhiozzi. “Lui no.” Scosse la testa cercando, e piano piano riuscendoci, a fermare il suo pianto. Asciugandosi gli occhi ripeté. “Lui no. Se fosse lui..”

“Allora... allora chi?”

L’istante successivo, Lory si chiese debolmente se ci fosse qualcosa che non andasse nel suo udito, poiché non poteva davvero credere a cosa era appena passato tra le labbra di Strawberry.

“Ghish.”

“Co… cosa?”

Strawberry deglutì, e Lory capì perché la ragazza non aveva detto niente al telefono. Poteva dirlo dai suoi occhi, che Strawberry era stata terrorizzata da un suo rifiuto di venire. Lo sapeva quando lei ripeté quel nome di nuovo.

“Ghish è disopra.” Fu l’ultima cosa che riuscì a dire in tono calmo. Il resto fu sputato fuori in un turbine di lacrime. Mordendosi il labbro, Lory si sforzò di calmare la sua amica così da riportare un po’ di ragione nella sua mente.

“Va tutto bene Strawberry,” disse gentilmente. “Se ti calmi forse potresti…” sobbalzò quando la voce frenetica di Strawberry la interruppe.

“Non posso calmarmi! Sta male ed ho provato a star calma per gli ultimi due giorni, ma niente sta funzionando, e lui sta peggiorando, e, Lory, è tutta colpa mia! E’ colpa mia se lui è qui in questo stato e non so cosa fare, per questo ti ho chiamato e…” si interruppe, mentre la sua voce perdeva forza ed un senso di disperazione la sopraffaceva.

Lettuce era piuttosto sorpresa dalla sua incapacità di comprendere, ma non mise in dubbio ciò che aveva udito e si mise a parlare piano e con calma a Strawberry, proprio come una madre farebbe con una piccola bambina agitata.

“Dov’è lui?”

“Di sopra. V.. vieni.” Lory cominciò a seguire Strawebrry, raccogliendo poi, con un rapido ripensamento, il thermos. Trovandosi immersa in un profondo silenzio, mentre la ragazza la portava di sopra, la mente di Lory cominciò a digerire e a reagire a quanto era appena stato detto.

Ghish… qui… malato…aspetta un secondo… aspetta solo un secondo!

Mentre saliva le scale, il suo stesso panico ed il disagio cominciarono a salire mentre si trovava ad incontrare l’agitazione con cui Strawberry aveva detto di aver vissuto nell’ultimo paio di giorni.

Lui, qui… o mio Dio…

Ora aveva una qualche idea riguardo a ciò in cui si era appena cacciata e non poteva  incolpare Strawberry per non averglielo spiegato per telefono prima. Mentre Strawberry apriva la porta, spingendola nella camera, quel pensiero risuonò solo più chiaramente. Lory non riuscì a trattenere un grido, non riuscì ad impedire ad un’espressione di shock totale di dipingere i suoi lineamenti. Avrebbe dovuto immaginarsi, dal comportamento di Strawberry che le sue condizioni erano brutte, ma poco avrebbe potuto prepararla a vedere il ragazzo alieno in una così debole, ovviamente malata condizione, e per un attimo si sentì svenire.

“Strawberry,” sussurrò, i suoi occhi non lasciavano il ragazzo, che se ne stava seduto, appena lucido, e che eppure la guardava con quanta più concentrazione possibile nel suo stato. “Strawberry, cosa…?” Dovette fare un respiro profondo prima di poter continuare, e, quando lo fece, sentì una nota di compassione nella sua stessa voce.

“Cosa è successo?”

Quando non arrivò alcuna risposta, Lory si accorse che la sua compagna era indecisa tra darle una spiegazione e tornare accanto all’alieno.

Quello  la colse di sorpresa.

Naturalmente, lei  si era preoccupata per via delle ultime volte in cui avevano incontrato gli alieni. Lei  aveva lasciato che un pò di preoccupazione ribollisse lentamente nei giorni successive alla loro ultima battaglia. Lei  aveva sentito una sconcertante fitta di rimorso.

Onestamente, aveva sperato che tutte si sentissero così e, dalle espressioni che si ricordava di aver visto sui loro volti, probabilmente lo erano.

Eppure, Lory non si era aspettata che la mew gatto reagisse così. Era stata sempre così profondamente innamorata di Mark, così assorbita da lui, che le era parso assolutamente che mostrasse una così ovvia preoccupazione nei confronti di un altro ragazzo, specialmente se quel ragazzo era Ghish. Lory aveva ancora qualche difficoltà ad associare quel nome a quella situazione.

Nonostante ciò, rispose all’ansia di Strawberry facendo un piccolo passo indietro, gesto che voleva essere un piccolo incoraggiamento, affinché l’altra ragazza si muovesse verso il letto, cosa che fece. Mentre Lory guardava, con gli occhi sgranati per l’evidente sorpresa, Strawberry si sedette sul bordo del letto e mise una mano su quello che, pensò la ragazza, doveva essere il ginocchio di Ghish, così da attirare la sua attenzione. Il successo del gesto fu parziale: lui si voltò a guardarla, ma la sua attenzione si dissolse in un accesso di tosse che risvegliò bruscamente Lory dal suo immobile stato di stupore. Una mano andò immediatamente a coprirle la bocca, mentre guardava Strawberry prendere il ragazzo per le spalle e dirgli dolcemente di guardarla e di respirare, nel tentativo di aiutarlo.

Una parte di lei era completamente, totalmente shockata da quella dimostrazione di affetto.

L’altra parte stava balbettando preoccupata sia per la ragazza che per il giovane alieno.

Ed un’altra parte ancora, una minuscola eppure stranamente persistente, era, a dire il vero, assai compiaciuta.…

Se avesse preso più in considerazione quella parte, anche solo un pochino, la sua faccia avrebbe fatto invidia ai pomodori di tutto il pianeta. La sua urgente preoccupazione estinse ogni reale possibilità che ciò avvenisse. Quello, ovviamente, non era di certo il momento per ragionare su certi dettagli.

Eppure, non riusciva ad ignorare quella tenera luce negli occhi di Strawberry, mentre la ragazza aiutava l’alieno ad appoggiarsi di nuovo alla testiera e gli scostava dei capelli ribelli dal volto. Un senso di rivalsa la afferrò mentre lei seppelliva ancora una volta quei pensieri, osservando Strawberry voltarsi verso di lei e farle cenno di avvicinarsi.

Esitante, Lory  si avvicinò ai due, un labbro tenuto fermamente tra i denti mentre guardava Ghish, gli occhi sbarrati e colmi di lacrime per un’innata preoccupazione, prima che Strawberry le balbettasse l’ordine di sedersi sulla sedia della scrivania. Lo fece, ma mai i suoi occhi lasciarono la figura dell’oggetto delle attenzioni di Strawberry.

Un flebile “Ghish?” le lasciò le labbra e, con sua grande sorpresa, l’alieno di voltò verso di lei con un debole, esangue sorriso.

“Sei il pesce, giusto?”

“S- Sì.”

Rimase attonita, anche mentre annuiva, da quanto disperatamente debole suonasse la sua voce. La ragazza non era un’esperta in medicina, ma una singola occhiata a Ghish giustificò del tutto la chiamata di Strawberry. L’unico problema era che non aveva idea di quale aiuto avrebbe potuto dare.

Prima che potesse soffermarsi su questo, la voce di Strawberry irruppe nei suoi pensieri.

“Non sappiamo se può prendere le nostre medicine.”

Beh, pensò Lory, questo era classificabile come brutto.

“E la sua febbre, non… non scende.”

E questo era molto brutto.

“E’..” qui la ragazza si interruppe e, per alcuni istanti, Lory si chiese perché e stava per incitarla a continuare quando la ragione la colpì.

Strawberry non voleva spaventare Ghish. Mentre questo poteva sembrare quasi ridicolo, considerando quanto evidentemente terribile era la situazione, apparve d’improvviso come una cosa seria.

La sua febbre era estremamente alta.

Questo causò a Lory un gelido colpo di paura.

Teme per la sua… teme che lui potrà…

Morire.

La parola risuonò con toni macabre nella sua mente, ma lei tenne saggiamente quel disagio per sé. Si trovò sempre più preoccupata per la stessa cosa.

“Io…” cominciò, cercando di incontrare gli occhi di Ghish per ricevere la sua attenzione, chinandosi cautamente in avanti quando catturò il suo sguardo annebbiato dalla febbre, “sei sicuro Ghish? Non puoi prendere…?” Si interruppe quando l’alieno cominciò a scuotere la testa, mormorando un debole “Non lo so”, prima di chiudere gli occhi a causa di quello che sembrava essere un attacco di vertigini. Con la coda dell’occhio, Lory vide i pugni di Strawberry stringersi. La nervosa disperazione della ragazza sembrava essere contagiosa, e lei sentì la sua voce, ansiosa e stranamente tremante, riempire il silenzio ancora una volta.

“Hai, hai provato a raf—“ Appena prima di finire la sua domanda, notò la ciotola dell’acqua ed un asciugamano umido sul comodino. Accanto a lei, Strawberry annuì e poi la fissò negli occhi.

“Lory deve esserci qualcos’altro, qualcosa che tu potresti…”

Ora era il turno di Lory di assumere un’espressione disperata. Cosa mai avrebbe potuto fare lei? Certo, conosceva un po’ di pronto soccorso, ma niente di più e Ghish aveva bisogno di molto di più di quei rudimenti…

Aveva bisogno di medicine e oggetti che lei e Strawberry avevano, certo, ma solo per lgi umani, Se solo, se solo avessero potuto prendere le medicine che usavano gli alieni. Di certo dovevano averne un po’ nel loro quartiere dimensionale. Di certo, non erano venuti su quel pianeta impreparati. Se solo ci fosse stato un modo per ottenerle…

Come a voler acuire la sua ansietà, Ghish mormorò “Ne abbiamo alcune... Pai le tiene per le emergen…“ fu interrotto da un accesso di tosse, ma non prima di aver pronunciato il nome che fece scattare qualcosa in Lory.

Pai.

Se avesse raggiunto Pai, forse avrebbe potuto… o no?

Era possibile riuscire a convincerlo…?

Aspetta, pensò all’improvviso, perché lui è?

“Strawberry, perché Ghish non è con...?”

La ragazza la interruppe scuotendo violentemente la testa. La risposta sembrava troppo per essere espressa dalla sua voce in quello stato, ma riuscì comunque a farglielo capire muovendo le labbra, “Profondo Blu.”

Come le altre Mew, Lory aveva una minima idea di chi o cosa fosse veramente Profondo Blu. Tuttavia, comprese in fretta ed un’ondata di disperazione la sommerse. Ciò spiegava tutto e lo rendeva terribilmente difficile.

Eppure…

Si alzò di nuovo, quella piccola idea stava acquistando un po’ di forza mentre la sua mente ricapitolava gli eventi di quella notte.

Eppure, Pai non era sembrato molto in collera con Ghish.

Forse indignato, certo, ma c’era stata anche un po’ di preoccupazione, no?

Sì, c’era di certo della preoccupazione nel modo in cui aveva aiutato il suo compagno privo di sensi.

Forse allora... forse…

“S-Strawberry?” la ragazza sollevò lo sguardo su di lei con una traccia di sorpresa negli occhi.

“Pensi… pensi che forse…” un’ improvvisa ondata di risoluzione rafforzò le sue parole, “se potessi parlare con Pai pensi che potrei…“

“Lory…” gli occhi di Strawberry non erano mai stati così dilatati. La conversazione terminò con una debole risata da parte di Ghish.

“E’ un testone bastardo.”

“Ghish!” Strawberry si voltò verso l’alieno, shockata da ciò che i due stavano suggerendo. La sua testa scattò di nuovo verso l’altra ragazza. “Lory, non puoi stare pensando che...”

Ora fu Lory, con la voce indurita da una nuova determinazione, quella che interruppe il discorso, i suoi occhi scrutarono con confidenza la sua amica preoccupata. “E’ l’unico modo, no? Ha bisogno di quella medicina e penso di… di essere in grado di farlo!”

Ed era seria. Più ci pensava, più ci rimuginava, più confidenza guadagnava. Ciò portò un piccolo sorriso al suo volto, mentre sosteneva lo sguardo attonito dell’amica. “Ce la posso fare.”

Ci vollero alcuni secondi prima che quell’affermazione si sedimentasse nella mente di Strawberry. La sua prima reazione fu di manifesto rifiuto: non riusciva a vedere un modo per convincere Pai. Comunque, mentre le parole di Lory risuonavano nel silenzio teso, mentre affondavano in lei, la ragazza comprese che era la loro unica opzione. Si rese anche conto che Lory era l’unica persona ad avere una remota capacità di riuscita.

Era l’unica ad aver compreso tutto durante la battaglia.

Doveva farlo.

Tutto ciò che rimane era come.

Deglutendo, balbettando, Strawberry  cercò di formulare quella domanda. “Come pensi di… c-cosa possiamo…?”

“Pensavo…” Lory cominciò, cominciando improvvisamente a giocherellare con i bottoni del suo maglione mentre la difficoltà dell’incarico si faceva più chiara, “Devo trovarlo, solo trovarlo e…” E sperare di riuscire a persuaderlo a lasciare loro l’accesso a qualsiasi medicina di cui Ghish avesse bisogno. Sperare

In pochi momenti, così di colpo, Strawberry accettò l’idea. La accettò perché era la prima, ultima ed unica opzione.

“Ghish,” scosse con attenzione il ginocchio dell’alieno: lui aveva chiuso gli occhi e la ragazza non sapeva se dormisse o fosse sveglio. Comunque fosse, lui le dette lentamente la sua attenzione e lei continuo con un po’  di urgenza era tanto dolce quanto lei sperava di poterla rendere.

“Avete cambiato il portale per la vostra dimensione?” Si stava riferendo, ovviamente, all’entrata che loro avevano utilizzato quando Mash era stato portato nel dominio degli alieni.

All’inizio, lui la fissò un po’ confuso, poi sembrò afferrare ciò che lei gli stava chiedendo. Scosse la testa senza dire una parola e Strawberry gli rispose con un piccolo sorriso e un rapido colpetto sul ginocchio prima di permettergli di chiudere nuovamente gli occhi.

“Allora… posso cominciare da lì.”

L’attenzione di Strawberry scattò nuovamente verso la sua compagna Mew Mew,  e lei si ritrovò momentaneamente shockata dalla profonda determinazione che c’era sul volto di Lory. Quello shock spianò la strada ad un fiotto di speranza.

“Va bene.” Con quelle parole, Lory giocherellò un pò con il suo ciondolo in un breve momento di decisione finale, poi sfiorò il metallo dorato con le labbra

“Mew Lory, metamorfosi!”

Un secondo più tardi, la ragazza era completamente vestita nel suo complete da paladina Mew mew. Strawberry deglutì mentre la sua amica si dirigeva verso la porta, poi sputò fuori un ansioso “fa attenzione!” Lory si voltò a darle un sorriso rassicurante ed un silenzioso cenno di testa. Poi se ne andò: Strawberry sentì la porta chiudersi.

“E ti prego… fai presto,” sussurrò nel silenzio, allungandosi verso uno degli asciugamano ed inumidendolo prima di premerlo contro la guancia ed il collo di Ghish, nel vano tentativo di raffreddare la sua temperatura.

A Lory ci vollero solo pochi minuti per raggiungere la zona dove, lei sapeva, era nascosta l’entrata per la base dimensionale degli alieni. L’abilità di saltare senza sforzo da un edificio all’altro aveva reso il viaggio abbastanza semplice.

Ora arrivava il difficile.

Rimase in piedi sul tetto, fissando l’aria vuota dove stava il passaggio.

Il problema era, come faceva a far uscire Pai? Come poteva anche essere sicura che lui fosse lì dentro?

Tutto ciò roteò sottoforma di una nube di minaccioso dubbio nella sua mente mentre si mordeva il labbro.

Poi, decise di fare l’unica cosa a cui era riuscita a pensare.

“P-pai…” mormorò, prendendo un profondo respiro nel tentativo di rafforzarsi a dispetto della sua abituale timidezza.

“Pai!” chiamò e la sua voce risuonò nell’aria gelida. Ancora ed ancora lo chiamò, aggiungendo anche “Ti prego, rispondi!” sottolineando la sua preghiera finale. Ora, tutto ciò che poteva fare era attendere.

Non si aspettava che l’attesa fosse così breve.

Perciò, non poté fare a meno di sobbalzare quando l’alieno apparve sul tetto di fronte al suo.

Il suo primo pensiero fu un soffocato Oh mio Dio, e adesso? Il suo secondo, comunque, fu più preoccupato che altro.

Si accorse immediatamente che era stanco, terribilmente stanco e che stava facendo del suo dannato meglio per non mostrarlo. Con un’unica occhiata, lei vide una profonda depressione, una fredda preoccupazione che non aveva mai visto sul suo volto solitamente apatico.

Ora sapeva che era possibile, ora sapeva che a lui importava.

Tutto ciò che doveva fare era convincerlo che lei poteva aiutarlo. Non c’era bisogno di dire che lei si aspettava questo compito come più facile a dirsi che a farsi.

“P-pai—“

“Perché sei qui, umana?”

La schietta freddezza della sua voce la zittì con aspra repentinità, ma lei guardò un’altra volta la sua faccia sciupata e ciò le ispirò un altro tentativo.

“Non sono qui per combattere,” cominciò, decidendo che quella era la cosa più importante da stabilire prima di procedere. “Io...“

Si fermò d’improvviso perché lo vide teso, vide che non le credeva. All’inzio, questo la scoraggiò. Comunque, comprese che tra l’ovvia stanchezza e preoccupazione di lui ed il completo da Mew Mew di lei, poteva aspettarsi poc’altro. Questo influenzò la sua azione successiva.

Ritornò umana.

Mentre Pai la osservava, con un’espressione perplessa che si insinuava lentamente sul suo volto, Lory luccicò e la sua solita giacca con tanto di gonna invernale rimpiazzarono il costume da battaglia.

“Ho bisogno del tuo aiuto,” continuo lei, sforzandosi di incontrare gli occhi dell’alieno. “Gh… ecco, Strawberry ... voglio dire…” cercò freneticamente un modo per spiegargli con tatto quella situazione poco ortodossa, ma lui la interruppe prima che potesse procedere.

“So dov’è e non posso aiutarti.”

Suonava così definitive, così totalmente rigido in quella affermazione che, per una frazione di secondo, Lory considerò l’idea di arrendersi. Poi le tornò alla mente Strawberry in lacrime che badava ad un debole Ghish e quella frazione di secondi cadde, dimenticata, nell’oblio.

“Ti prego, Pai,” vide che, per un brevissimo istante, lui sembrò sobbalzare quando lei pronunciò quel nome in tono supplichevole.

“Ghish... sta molto male. Noi… Strawberry non riesce a fargli abbassare la febbre e io…”

“Mi hai sentito,” cominciò lui, con un vero ringhio a caratterizzare la sua voce, “Non posso aiutarti.”

Lei sentì la rabbia, la disperazione nella sua voce, poi si rese conto di un paio di cose.

Uno, la sua rabbia non era davvero diretta a lei, ma a Profondo Blu e due, aveva tanta paura per Ghish quanta ne aveva per Strawberry. Proprio come lo era lei.

Sono come noi. Se Strawberry fosse così malata ed io non potessi fare nulla... se mi fosse proibito di aiutarla... è la stessa cosa, in ogni suo aspetto.

Pai era preoccupato per il suo amico.

Era semplice.

La sua voce risuonò di una nuova sicurezza, di una nuova compassione mentre lei si torceva le mani.

“So cosa ha detto Profondo Blu. Lo so e… capisco come devi-“

“Non paragonarti a me, umana.” Quella stessa freddezza, eppure quella stessa preoccupazione che correva sotto la superficie, raggiunsero le sue orecchie.

“Ti prego… è la stessa cosa. Sei preoccupato per qualcuno importante per te, proprio come lo sarei io. Pai…” si interruppe quando un’espressione di incredulità passò sul volto dell’alieno. Evidentemente, non si era aspettato che lei riuscisse a leggere i suoi pensieri con una tale assoluta accuratezza.

Improvvisamente, Lory percepì un cambiamento nella conversazione. Improvvisamente, Pai perse la sua posizione dominante e la guardò con… era così sorpresa di vederlo… disperazione nei suoi occhi.

“Profondo Blu l’ha proibito.”

Lei seppe di stare facendo dei progressi quando lui pronunciò quel nome con un accento di disperazione. Ora stava arrivando da qualche parte.

“Abbiamo solo bisogno della medicina. Abbiamo bisogno di fargli abbassare la febbre. Di sicuro deve esserci un modo…”

Lui guardò verso il basso, dando l’impressione di stare ponderando le sue parole, prima di tornare a guardarla. Ciò che disse la sorprese, o meglio, la lasciò davvero attonita.

“Posso vederlo?”

Colta di sorpresa, lei non poté far altro che ricambiare lo sguardo, con le labbra silenziosamente aperte prima che la domanda fosse completamente registrata. C’era un’unica risposta che poteva dare.

“M- ma certo.”

“Potrei chiederti di…” Lui si interruppe, forse imbarazzato a chiedere aiuto alla sua nemica, o apertamente preoccupato per la reazione che il suo padrone avrebbe avuto. In ogni caso, Lory gli rispose con un sorriso rassicurante ed un cenno di assenso.

“Ti porterò—“

Lui la fece tacere volando vero di lei dall’altro edificio ed atterrandole di fronte, terribilmente vicino. Lei non sapeva come avesse fatto a capirlo, ma fu immediatamente certa di cosa lui stava chiedendo esattamente.

“Io—“

“E’ il modo più veloce.”

Ora Lory sapeva quanto disperatamente lui voleva vedere il suo amico e non poté far altro che annuire prima di avvicinarsi a lui e permettergli di avvolgere le sue braccia intorno alla sua vita. Un momento dopo, lei udì appena la sua voce attraverso il sangue che aveva cominciato improvvisamente a pulsarle nelle orecchie.

“Stai ferma e concentrati sulla destinazione. Devi… guidarmi.”

Lory annuì, nervosamente, timidamente, mentre le sue braccia si stringevano intorno a lei e mentre avveniva un cambio di realtà. In pochi istanti, si stavano teletrasportando e la vista della ragazza si offuscò, mentre lei cercava di focalizzare la sua mente sull’immagine della stanza di Strawberry.

Il teletrasporto sembrò durare all’infinito e la ragazza scoprì di stare perdendo i sensi. Tutto stava diventando indistinto, sfocato, in mancanza di un termine migliore, e lei si chiese brevemente se stava per svenire.

L’unica ragione per cui ciò non avvenne fu che Pai le dette una rapida stretta, riportandola a totale lucidità, anche se ciò la fece arrossire con una violenza che la stupì. Dopo tutto, perché avrebbe dovuto arrossire…?

La questione non poté essere ulteriormente esaminata: i contorni della camera di Strawberry divennero più nitidi e Lory si trovò improvvisamente di nuovo in piedi su un terreno solido.

Dopo ciò, si rese conto che avrebbe dovuto agire in fretta per evitare dei danni: l’improvvisa apparizione di Pai nella stanza aveva sorpreso Strawberry e le aveva fatto assumere una violenta posizione difensiva. Lory non l’aveva mai vista così agitata, così fuori di sé.

Se fosse stata nelle sue sembianze di gatto, il suo pelo si sarebbe rizzato all’inverosimile.

“Vattene da qui,” ringhiò contro l’alieno più grande, con gli occhi stretti in due minacciose fessure e la posizione simile a quella di un felino pronto ad attaccare. Cosa stesse pensando, né Lory né Pai potevano davvero saperlo, ma il fatto che Pai sembrasse il più leale verso Profondo Blu, verso colui che aveva ordinato che Ghish fosse bandito,poteva averle solo dato il peggiore dei pensieri. Era abbastanza probabile che lei pensasse che Lory aveva fallito e che Pai era venuto per uccidere l’altro alieno.

“No! No, Strawberry, va tutto bene, l’ho portato io” Lory scattò freneticamente, accorgendosi che era rimasta nascosta alla vista dell’amica, e si mostrò dove poteva essere ben notate. “Lui ha solo… voleva vedere Ghish, ok Strawberry?”

Fu incredibile come Strawberry cambiò rapidamente atteggiamento. La sua postura si rilassò. La rabbia nei suoi occhi mutò nella vecchia preoccupazione ed in nuova nuova, sospettosa curiosità, mentre Pai, faceva qualche passo avanti. Guardò Lory, che annuì e, con cautela, si fece da parte.

L’alieno più grande guardò giù verso il suo compagno dai capelli verdi, che sembrava essersi addormentato in posizione sollevata, con il petto che si alzava ed abbassava ritmicamente anche mentre i suoi respiri avevano un leggero raschiare. Da un’unica occhiata, Pai poté dire che le sue peggiori paure erano vere, ossia che Ghish era gravemente ammalato, che le Mew Mew non avevano mentito. Tutto ciò portò una nuova ondata di senso di colpa e disperazione. Quando si avvicinò per posare una mano sulla fronte di Ghish, con cautela, così da non svegliarlo, rabbuiandosi al sentire la sua temperatura, ebbe un unico pensiero: è tutta colpa mia. Tutto ciò stava avvenendo a causa sua… a causa del suo voler ascoltare Profondo Blu… eppure, cosa poteva essere fatto? Come poteva sacrificare la sua razza intera per la salute di Ghish? Eppure… questo non rendeva la vista dell’alieno sofferente meno difficile da guardare.

Mentre Strawberry e Lory lo osservavano, un forte senso di compassione le sopraffece entrambe quando videro quel gesto, quel momento, per ciò che era: un amico che si curava di un amico. Entrambe videro con quanta facilità la situazione si sarebbe potuta applicare a loro, quanto vicino a loto era tutto ciò. Strawberry era agitata a causa del significato di tutto ciò, mentre Lory mormorò un supplichevole, “Ha bisogno della medicina.”

La fronte di Pai si aggrottò, gli occhi si strinsero mentre cercava di trovare un modo, un compromesso…

Alla fine, accettò. Così. Un leggero colpo di tosse a parte del suo amico sofferente siglò la decisione.

Con un cenno della mano, fece apparire dal nulla una bottiglietta con un liquido rosso. Senza esitare, la lanciò a Lory che, anche se colta di sorpresa, riuscì a prenderla.

“Non ci prenderemo cura di lui” disse, la sua voce risuonava di una durezza che non si addiceva alle sue vere emozioni. “Non portatelo vicino alla nostra base, non chiedete assistenza.” Lory lo guardò, paralizzata, mentre lui le rivolgeva il suo sguardo.

C’era l’ombra di un sorriso sulle sue labbra.

“Vo ice l’avete rubata. Non vi permetteremi di rubare nient’altro.”

Prima che sparisse, Lory fu sicura che le avesse dato un’occhiata di totale gratitudine.

Le due ragazze rimasero a fissare la medicina in attonito silenzio, prima che un’ondata di rilievo sopraffacesse Strawberry, che tirò le sue braccai intorno alla sua amica.

“Arigatou!”

FINE DEL CAPITOLO

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Capitolo 16
*** Rimedi ***


Note dell’autrice: perdonatemi per il lieve ritardo. Ho avuto una simulazione della terza prova di maturità e, in questi giorni, il computer l’ho visto solo da lontano. Voglio ribadire una cosa: io, Bebbe5, sto solo traducendo questa fiction. Nel regolamento di EFP c’è scritto che bisogna crearsi un account a nome dell’autrice di cui si traduce la storia, per questo compare il suo nome nello spazio autore: in generale, cerco di mantenere il suo stile, com’è giusto che sia, e solo raramente apporto correzioni.

Bene, detto questo possiamo procedere

 

CAPITOLO 14

Ovviamente, Strawberry era immensamente ansiosa di dare la medicina all’oggetto delle sue cure. Lory dovette fare un passo indietro affinché l’amica non potesse prendere la fiala.

“Lory, dammi la—“

“Strawberry,” rispose lei con dolcezza, giocherellando inconsciamente con la bottiglia, “Penso che dovremmo vedere se ci sono delle indicazioni prima, tanto per essere sicure.”

Strawberry arrossì. Oh… già. Abbassò lo sguardo, imbarazzata per la sua mancanza di riflessione. Ma comunque, non poteva di certo farsene una colpa, no?Mentre Lory guardava da vicino la medicina, lei si voltò a guardare l’alieno che dormiva. No, per nulla, la sua disperazione era totalmente giustificata.

Eppure, era contenta che Lory stesse pensando con chiarezza.

Il suo treno di pensieri fu fermato quando la sua amica esprime una piccola esclamazione di curiosità, mentre le sue dita scorrevano sulla superficie della bottiglia e lei mormorava tra sé e sé, “Ci sono delle istruzioni scritte qui…” Strawberry attese, il respiro le si era mozzato in gola, mentre un’improvvisa ondata d’ansia (E se c’è qualcosa che non va?) la sopraffece. Si rilassò quando Lory lasciò fuoriuscire il sospiro che aveva trattenuto ed un piccolo sorriso addolcì la sua espressione.

“Dice che abbassa la febbre ed aiuta chiunque la prenda a dormire. Un cucchiaio ogni sei ore. Ma…” strizzò gli occhi per discernere il testo rimanente, “dice che è piuttosto forte. Probabilmente non dovrebbe prenderla a stomaco vuoto, Strawberry”

Il volto della ragazza si incupì, aveva sperato di poter dare immediatamente la medicina a Ghish.

Per quello, e per il fatto che non aveva preparato del cibo.

“Non ho niente..“

Per sua sorpresa, il sorriso di Lory si allargò ancora di più. I suoi occhi scattarono verso la zuppa miso che si trovava sulla credenza, in paziente attesa che fosse fatto buon uso di lei, poi si focalizzò sul volto nervoso dell’amica. “Mi ha chiesto di portare del cibo, ricordi?”

Oh, Strawberry sbatté le palpebre, sì…

Ora si premise di sorridere un po’ anche lei.

“Allora penso che dovrei…”

“Andrò di sotto e farò un altro po’ di zuppa, ok? Se hai bisogno di me...”

“Ti chiamerò,” rispose Strawberry con un sorriso che stava diventando sempre più luminoso, ed anche più sollevato. “Grazie Lory.”

L’altra ragazza rispose con il suo caratteristico sorriso dolce prima di uscire dalla stanza, chiudendo con delicatezza la porta dietro di lei. Prima di voltarsi per percorrere il pianerottolo e scendere le scale, non poté impedire che le scappasse un sospiro e che il suo sorriso si addolcisse ancora di più.

Sapeva che tutto sarebbe andato bene.

Come faceva a saperlo, questo non poteva dirlo.

Doveva avere qualche cosa a che fare con la medicina, di sicuro. Ora che avevano la fiala con il suo prezioso contenuto, le speranze per Ghish sembravano molto più rosee.

Comunque, questo non era tutto. Quel pensiero la fece arrossire un pochino, il perché non riusciva a comprenderlo.

C’era qualcosa oltre alla medicina, qualcosa nel nuovo modo in cui Strawberry guardava il ragazzo alieno. L’aveva sentito la prima volta, nella voce di Strawberry durante la telefonata, nella acuta paura che aveva dominato il suo tono. L’aveva visto negli occhi di Strawberry ogni qualvolta lo guardava: brillava attraverso quello sguardo di sincera preoccupazione.

All’inizio, questo l’aveva confusa, e ciò era più che naturale, dato che, per tanto a lungo, Strawberry aveva riservato quello sguardo tenero e speciale per Mark e Mark soltanto. Lory era rimasta perplessa quando era stata testimone per la prima volta della gentilezza di Strawberry nei confronti di Ghish, ma ora, dopo aver visto la ragazza acquietare l’alieno, dopo aver sentito quel rassicurante calore quando la sua amica aveva visto quella medicina che avrebbe aiutato a porre fine alle sofferenze del ragazzo lasciato alle sue cure, sapeva che si era instaurato un senso di pace dopo quella dura prova.

Non era un vero e proprio segreto nella sua mente, che se ne era andata non solo per preparare più cibo, ma anche per lasciare quei dure da soli insieme.

Strawberry amava Mark.

Ghish era un alieno e, tecnicamente, ancora il nemico.

Tutto ciò era vero, ma non aveva appianato l’urgenza istintiva di Lory di lasciare i due da soli, di dare una possibilità a quella nuova dolcezza di Strawberry di maturare.

Nonostante le regole… Lory sapeva che qualcosa sarebbe potuto accadere.

Sarebbe accaduto…

Tutti questi pensieri contribuirono ad accentuare quel sorrisetto segreto sui suoi lineamenti, mentre lei cominciava a cercare in giro per la cucina di Strawberry gli ingredienti di cui avrebbe potuto aver bisogno.


Non appena Lory se ne fu andata, Strawberry corse alla credenza, afferrò il thermos ancora caldo, pieno di zuppa miso, e si sedette accanto al letto sulla sedia della scrivania. Prima di svegliare Ghish, svitò il tappo, inalando il profumo della zuppa e sorridendo di nuovo, ringraziando mentalmente la sua amica. Dopo ciò, versò lentamente il contenuto nella ciotola vuota del ramen che aveva dato all’alieno il giorno prima. Con tutto ciò che era avvenuto nelle ultime ventiquattr’ore, non aveva avuto il tempo di portarlo al piano di sotto. Niente di male: da qualche parte nella sua mente, si accorse di non voler lasciare di nuovo l’alieno, nemmeno per un minuto.

Posando la ciotola sul comodino, fece per avvicinarsi a Ghish, così da scuoterlo e svegliarlo, esitando momentaneamente alla vista del suo volto rilassato. Strawberry non voleva davvero svegliarlo: farlo addormentare era stato così difficile, ma una sola occhiata al pericoloso rossore sulle sue guance eliminò ogni dubbio. Inoltre, pensò lei con una piccolo ondata di determinazione, la medicina dovrebbe aiutarlo a dormire, in ogni modo.

Con la confidenza rinata, si morse il labbro mentre toccava la sua spalla, accorgendosi però di non stare riuscendo a svegliarlo in quel modo.

La sua soluzione? Senza nemmeno pensare a cosa stava facendo, lasciò la sua spalla e si spostò sulla sua guancia, accarezzandola con dolcezza e sussurrando il suo nome finché i suoi occhi non si aprirono, provocando rapidamente un nuovo sorriso sul volto di lei.

Immediatamente lei vide che, nonostante lui avesse aperto gli occhi, era difficile dire che fosse pienamente cosciente. Oltre a quello, c’era una scintilla di confusione crescente nelle sue iridi dorate che provocò quel familiare sentimento di compassione. Prima di accennare alla questione della medicina, lei sentì il bisogno di estinguere quella scintilla per quanto poteva.

“Ehi, Ghish,” mormorò, cominciando a spostargli indietro i capelli, mentre gli occhi si lui si focalizzavano su di lei. Con piacevole sollievo, lei vide che le sue labbra pallide stavano gradualmente riflettendo il suo sorriso, mentre le rispondeva con un debole ma calmo raschiare della voce.

“Ehi, micetta…” si interruppe per tossire leggermente, e Strawberry sentì i suoi occhi velarsi, perché comprese immediatamente che lui stava cercando di sembrare sé stesso, usando quel nomignolo mentre ci provava, cercando di comportarsi come al solito  con l’intento di rassicurarla. Questo, combinato al ricordo di quando lui le aveva detto di non piangere mentre soffriva molto… la spinse solo a sforzarsi di più per confortarlo.

“Come ti senti?” continuò, cercando di renderlo più cosciente prima di cercare di farlo mangiare e di dargli la medicina. Con sua sorpresa, lui ridacchiò prima di tossicchiare un po’, poi rispose.

“Davvero tu…” prese qualche respiro. Si sentì improvvisamente in preda alle vertigini, ma recuperò la sua attenzione abbastanza rapidamente, “vuoi saperlo?”

Strawberry poté solo sforzarsi di mantenere quel sorriso rassicurante sulle sue labbra e la sua preoccupazione sotto controllo mentre continuava a spostargli indietro i capelli. Scosse la testa leggermente fornendogli l’unica risposta che poteva dargli.

Stabilendo che ormai era abbastanza sveglio, gli riferì la buona notizia che era stata ansiosa di dargli.

“Abbiamo la medicina, Ghish,” il suo sorriso si fece più largo, la sua voce diventò anche più dolce, “Dopo che avrai mangiato qualcosa, te la faro prendere e ti sentirai molto meglio.”

La sua preoccupazione crebbe, e così fece la pressione per quello che avrebbe dovuto fare, quando all’alieno ci volle qualche momento per assimilare l’informazione e quando, anche dopo ciò, la guardò con un po’ di confusione dipinta nell’oro dei suoi occhi.

“Dove…?”

Ora era il turno della ragazza di essere basita. “Dove… dove cosa?”

Lui sospirò piano prima di rispondere, chiudendo di nuovo i suoi occhi per allontanare un altro apparente attacco di vertigini. Ciò procurò un’ altra fitta di paura nella ragazza:  si preoccupò che lui si stancasse prima che lei avesse la possibilità di dargli la cura di cui aveva bisogno.

“Dove… da dove…”

“Oh! L’abbiamo avuta da Pai,” gli spiegò, mentre un sorriso luminoso incontrava lo sguardo interrogative di lui. La ragazza si allungò per prendere la zuppa, convinta che tutte le questioni fossero state risolte. Rimase stupita quando lo vide scuotere la testa ed i suoi occhi appena coscienti assumere un accenno di… paura forse? Sfiducia sicuramente.

“No, no… lui non… non farebbe—“ si interruppe tossendo, Strawberry lo guardò con ansia mentre lui cercava di completare qualsiasi cosa stesse cercando di dire, “Anche… Profondo Blu… non vorrebbe…”

Sembrava che ciò lo privasse di molta energia, e lui si appoggiò alla testiera ed ai cuscini con un’esclamazione di dolore, mentre Strawberry lo osservava, con un gelo tremendo che si formava in fondo al suo stomaco.

“No, Ghish, l’ha fatto, davvero…” si morse il labbro, accorgendosi all’improvviso che l’alieno probabilmente non si ricordava l’incoraggiamento che aveva fatto a Lory quando era andata a chiedere l’aiuto di Pai, e probabilmente non ricordava nemmeno che l’altra ragazza fosse stata lì. Di certo non poteva sapere… sapere cosa? Come poteva lei stessa sapere che la medicina fosse giusta, e non, forse, qualche tipo di veleno preparato per finire il già debole malato?

Aveva qualcosa a che fare con il modo in cui Pai era sembrato quando aveva visto Ghish?

La gratitudine nel suo sguardo quando aveva lanciato la fiala a Lory era anche un motive di una certa importanza per supportare la sicurezza di Strawberry.

Come avrebbe potuto spiegarlo a Ghish che si stava stancando rapidamente?

Doveva provarci, almeno.

“Era qui, Ghish. Lory l’ha portato. Gli ha chiesto la medicina e lui…”

“Ohh…” Ghish mormorò improvvisamente, cogliendo Strawberry così di sorpresa da farla sobbalzare. Insieme a questo sospiro di accettazione, c’era l’ombra di un ghigno che stupì ancora di più la ragazza.

“La pesciolina l’ha fatto… certo… gli piace la pesciolina…” terminò con una delirante risatina prima di collassare in flebili, deboli respiri, che lasciando Strawberry in silenzio a guardare.

Da una parte, era contenta che fosse stato facile convincerlo.

Dall’altra, il suo improvviso cambiamento in un balbettio delirante la spaventava terribilmente.

Da un’altra ancora, si chiedeva cosa lui volesse dire con “gli piace la pesciolina”…

Quell’ultimo pensiero fu lasciato da parte per prendere la ciotola di zuppa miso, mettersela in grembo, e prenderne una cucchiaiata per lui. Non ci provò nemmeno con le bacchette: la necessità di immettere in lui quella medicina il prima possibile era troppo grande. Perciò, lo chiamò dolcemente, attirando la sua attenzione prima di portargli il cucchiaio alle labbra. Lui lo fissò per un attimo, troppo stanco per mangiare oppure chiedendosi cosa fosse quello esattamente, poi sembrò comprendere che lui era, in fin dei conti, piuttosto affamato, nonostante la malattia. Dopo che lui ebbe preso la prima cucchiaiata, lei ne preparò un’altra, e poi un’altra ancora, finché mezza ciotola non fu svuotata. Il ragazzo si appoggiò alla testiera, e Strawberry vide che non aveva senso forzarlo a mangiare di più: aveva completamente esaurito ogni energia che il suo recente e breve riposo gli aveva dato, e adesso lei avrebbe dovuto dargli la medicina, prima che perdesse nuovamente conoscenza.

Posando la ciotola, prese la bottiglietta, con gli occhi che scorrevano rapidamente le istruzioni ancora una volta, prima che lei prendesse il cucchiaio e vi versasse la sostanza sciropposa dentro. Per poco Strawberry non fece una faccia schifata al penetrante odore, quasi chimico, che proveniva da quel liquido, ma si trattenne subito, ricordandosi che un simile gesto avrebbe potuto far diventare Ghish reticente nei riguardi della medicina. La sua mente era così instabile e lei doveva stare molto attenta a come prenderlo.

Perciò, in silenzio, gli offrì quella roba. Ovviamente, lui storse il naso per il disgusto: anche da malato, poteva rendersi conto che bere quel liquido rosso sarebbe stato alquanto spiacevole. La reazione provocò una risata dalla ragazza: sarebbe stata più divertita se non fosse stata così desiderosa di vederlo prendere quell’affare.

“Non mi piace quella roba,” mugugnò Ghish, guardando la medicina con tutta la diffidenza che era ritornata nel suo sguardo. “Brucia tutte le volte…”

“Per favore, Ghish?” tentò di rendere la sua voce il più supplichevole possibile per incoraggiarlo. A dire la verità, era così ansiosa di aiutarlo, che non dovette sforzarsi poi tanto. “Ti farà stare meglio,” insistette, con gli occhi che sostenevano lo sguardo stanco dell’alieno. “Te lo prometto,” aggiunse in tono dolce, e questo parve convincerlo del tutto. Ubbidientemente, ingerì il contenuto del cucchiaio e, con sgomento ed un’improvvisa paura da parte di Strawberry, cominciò a tossire violentemente quando il liquido raggiunse la sua gola.

Evidentemente, quando diceva che bruciava, non stava scherzando.

Velocemente, la ragazza gli verso un altro bicchiere d’acqua, ma si accorse che farlo bere a questo punto, l’avrebbe portato a strozzarsi. Tutto ciò che poteva fare era mettergli delicatamente una mano sulla schiena e tentare di rassicurarlo per quanto possibile con il suo tocco, mentre lui tentava di recuperare il respiro.

Quando alla fine fu in grado di respirare abbastanza normalmente, lei gli offrì l’acqua, che lui bevve lentamente, facendo una smorfia di dolore ogni volta che inghiottiva, la ragazza notò.

“Brucia… brucia davvero?” sussurrò a sé stessa, sobbalzando quando vide il ragazzo annuire in risposta ed accorgendosi che l’aveva udita.

Ancora una volta arrivò quella opprimente ondata di compassione, mentre lei rabbrividiva al pensiero di quanto fastidio poteva causargli quel liquido. L’alieno parlò di nuovo, un semplice, fragile “Sì, brucia” e lei poté dire che la sua gola stava bruciando peggio che mai.

“Vuoi un po’ di tè?” gli chiese calma, con le mani che si fermarono sul suo ginocchio mentre lui scuoteva lentamente la testa. “Continuerà a..” lei deglutì quando lui precipitò nuovamente in un attacco di tosse, sobbalzando visibilmente mentre i suoi occhi si inumidivano per la tremenda sensazione. L’episodio lo lasciò un po’ boccheggiante e tutto ciò che Strawberry poté fare fu rimanere seduta sul bordo del letto ed avvicinarsi per accarezzargli i codini in modo da calmarlo.

Quasi in automatico, lui si piegò verso quella fonte di conforto e la ragazza gli permise di appoggiarsi a lei. Mentre lui metteva la testa sulla spalla di lei, fu scosso da un brivido improvviso e la ragazza, inconsciamente, lo avvolse con un braccio, anche se gentile ed attento alla sua spalla fasciata.

“Hai freddo?” mormorò ma lui ignorò la domanda, esalando un flebile sospiro.

“Stanco…”

Giusto… questa roba dovrebbe aiutarlo a dormire.

Infatti, i suoi occhi cominciarono a chiudersi. La ragazza cominciò ad allontanarsi da lui, facendolo sdraiare con cautela, quando lo emise un suono di protesta. Lei si fermò dandogli uno sguardo gentile ma confuso.

“Non vuoi dormire?” gli chiese, un sorriso le sollevò le labbra mentre lei tentava di nuovo di alzarsi e di lasciare che si stendesse, solo per sentire una debole presa sul suo braccio. I suoi occhi scattarono verso il volto dell’alieno, e lei si paralizzò momentaneamente, sorpresa di vederlo rispondere allo sguardo, con un’espressione supplichevole che brillava nei suoi occhi attraverso la febbre.

“Non… potresti… potresti per favore…?” distolse lo sguardo bruscamente, e Strawberry si accorse che il rossore sulle sue guance non dipendeva dal fatto che la febbre si fosse alzata all’improvviso, ma perché lui stava effettivamente arrossendo. Questo le ispirò un sorriso sincero.

Era abbastanza divertente, davvero, che quando lui era brusco, crudele, o fastidiosamente possessive, poteva fare un balzo e baciarla senza la minima goccia di umiltà. Ora, invece, trovandosi di fronte ad un vero bisogno e ad un concreto desiderio di avere Strawberry vicina, era diventato timido.

Nonostante la situazione, Strawberry non riuscì a mandare via il sorriso dal suo volto.

Era così adorabile.

Inoltre non lasciava alcun dubbio nella sua mente, così gli rispose immediatamente.

“Certo.”

Con ciò, si posizionò con cautela dietro di lui, appoggiandosi da seduta alla testiera e ricordandosi che lui aveva detto che gli riusciva meglio respirare se stava tirare su. Rilassandosi su alcuni cuscini posti dietro la sua schiena, facendo attenzione, avvicinò l’alieno a lei con un braccio ed afferrò le coperte con l’altro. Un altro leggero tremito da parte del ragazzo la costrinse a rimboccare le coperte attorno ad entrambi.

Alcuni momenti dopo, quando fu sicura che il ragazzo fosse totalmente coperto, avvolse le sue braccia intorno a lui e Ghish si accoccolò contro di lei, poggiando la testa sul suo petto prima di chiudere gli occhi. Mormorò qualcosa che suonava come un grazie, ma lei non poteva essere certa di ciò: la medicina stava cominciando a fare effetto, ed un tranquillo silenzio cadde tra i due.

Per alcuni minuti, questo silenzio regnò sovrano, e Strawberry pensò che Ghish si fosse addormentato. Lei stessa stava cominciando a chiudere le palpebre, perciò si risvegliò di soprassalto al suono del suo nome.

“Strawberry?”

“Mmm?” replicò lei, mentre le sue mani accarezzavano lentamente i capelli dell’alieno ed i suoi occhi guardavano il suo volto, una folata di assonnata piacere la solleticò alla vista di un lieve sorriso sul volto rilassato di Ghish.

“…sembri proprio mia mamma…” le sussurrò di rimando, muovendosi appena e accoccolandosi contro di lei ancora di più finché non sentì le gambe della ragazza toccargli le braccia.

Strawberry si accorse di non aver mai veramente pensato che lui potesse avere una madre. Quella nozione non si era mai fatta viva. Ora, dopo lo shock iniziale ispirato da quella affermazione, la sua espressione si addolcì. Posò la guancia sulla testa di lui, le sue braccia gli dettero una leggera stretta e si accorse, abbastanza improvvisamente eppure con una naturale e comprensiva felicità, che questo, probabilmente, era il miglior complimento che avesse mai ricevuto.

Tutti i commenti che Mark aveva sempre fatto sul suo aspetto, sulla sua personalità e sulle sue azioni, impallidivano e basta comparata al sonnolento sussurro del ragazzo alieno. Forse era la quiete del momento, o il suo profondissimo sollievo per aver finalmente dato all’oggetto delle sue cure il trattamento di cui aveva bisogno. Magari aveva a che fare con il modo in cui lui si premeva contro di lei, così soddisfatto anche solo di poter ricevere le sue tenere carezze. Poteva non conoscerne la ragione, ma ciò importava così poco, quasi nulla, mentre lei seppelliva le sue dita tra i capelli dell’alieno.

La parte più importante e più... significativa… di tutto ciò era che non una volta aveva udito quella vocina di solito instancabile che predicava le virtù di Mark. Niente, nemmeno il più flebile, debole sussurro.

Quella voce non sarebbe potuta essere più lontana dai suoi pensieri e lei si trovò a sorridere, ridacchiando un po’ prima di chiedere, con lo stesso tono: “Com’è lei?” si trovò a rimpiangere un po’ quella richiesta dopo averla fatta: sperava davvero che il ragazzo si addormentasse. Nonostante ciò, la voce dell’alieno, anche se roca e raschiante, le portava un po’ di gioia e conforto che lei non voleva ignorare. Inoltre, pensò, la medicina l’avrebbe fatto dormire presto, e probabilmente l’avrebbe rassicurato di più addormentarsi parlando che rimanere sdraiato in silenzio, capace di focalizzarsi solo sul suo dolore e sulla sua debolezza prima che il sonno lo prendesse. Perciò, lei continuò a giocherellare con uno dei suoi codini mentre lui rispondeva.

“Buono… sa di…” si interruppe prima che il nome gli venisse alla mente, “…di vaniglia.” Con gli occhi chiusi, sorrise. “Sembra come te… calda, come te…” respirò a fondo per alcuni momenti prima di aggiungere, con un tono malinconico che aveva invaso la sua voce “non voleva che andassi…”

Che andasse? Andasse dove…? Strawberry se lo chiedeva mentre guardava Ghish, la perplessità le passò sul volto prima che la sua bocca emettesse un piccolo, quasi non udibile urletto, quando la risposta arrivò tutto d’un colpo.

Non voleva che venisse qui…

Così tanti nuovi pensieri, tante nuove consapevolezze le riempirono la mente, nessuna di esse era allegra. I suoi occhi si riempirono di lacrime di compassione, mentre, con un dito, accarezzava la guancia di Ghish.

Sua madre aveva avuto paura per lui? Doveva averla avuta. Per forza, era una madre, dopotutto. Se sua madre avesse saputo cosa faceva lei regolarmente, ossia lottare contro terribili mostri, le sarebbe di sicuro venuto un colpo. Come poteva sentirsi una madre quando suo figlio era lontano parecchie miglia su un pianeta che era soprattutto alieno nonostante le leggende della sua gente al riguardo? Cosa poteva pensare riguardo al suo bambino così lontano da casa immerso in una così pericolosa missione?

Probabilmente doveva essere terrorizzata oltre ogni limite al mero pensiero di ciò.

Se somiglia solo un po’ a mia madre, deve essere preoccupata ogni giorno, ogni minuto…

Ed ha anche una buona ragione, Strawberry si disse in silenzio, mentre la sua concentrazione ritornava sull’alieno malato. All’improvviso, i suoi pensieri presero una piega diversa che non fece altro se non rafforzare quel sentimento di empatia.

Come si sentiva lui al riguardo? Così lontano dalla casa che aveva conosciuto per tutta la sua vita… lontano da sua madre e forse dai suoi fratelli, dai suoi amici… così lontano, ora rifiutato dai suoi compagni, rifiutato, solo e malato…

Ora, una lacrima le rotolò lungo la guancia.

Lui non lo dimostrava mai in circostanze normali, durante le loro molte battaglie, durante le sue battutine, ma dopo aver affrontato la paura della sua morte poco prima quel giorno, dopo essere stata con lui negli ultimi due, si accorse, con una spiacevole, nauseante senso di colpa, che nonostante tutta la sua nonchalance, il suo comportamento spensierato, probabilmente aveva le stesse paure che lei sentiva in quei giorni in cui si era accorta di essere solo una bambina che combatteva per proteggere il suo intero pianeta.

Quanti anni aveva lui? Non molti più di lei.

Un bambino… un bambino, proprio come lei, che lottava per salvare la sua gente dalla sofferenza. Che lottava, proprio come lei, per ciò in cui credeva.

Strawberry, spesso, durante le battaglie, aveva paura per sé stessa, per le sue amiche, ed era sul suo pianeta natale, ancora vicina alla sua famiglia, ancora vicina a quelli che potevano aiutarla. Ghish… era così lontano dalla sua intera vita, ed ora le uniche connessioni che aveva con quella, ossia Pai e Tart, gli era stata portata via a causa… a causa sua.

Si ricordò cosa aveva detto, durante quella stessa battaglia in cui era rimasto ferito, con quanta passione aveva parlato delle loro motivazioni… delle motivazioni di Pai e Tart…

Era sembrato così leale alla causa, eppure aveva gettato tutto al vento per risvegliarla… per salvarle la vita…

Ciò significava che…

Dio, ciò significava che…

“Deve essere fiera,” gli sussurrò nel orecchio a punta, anche con quella tempesta di compassione crescente di rimpianto sempre volteggiante nella sua mente. “Davvero, davvero fiera.”

Strawberry sapeva che se la sua stessa madre avesse saputo cosa stava facendo, ne sarebbe stata orgogliosa.

Se ciò era vero, allora la madre di Ghish, preoccupata ed in attesa di un figlio il cui lavoro era tanto più difficile di quello delle sue avversarie umane, doveva essere piena di orgoglio. Suo figlio, pensò Strawberry, era così coraggioso e così...

Solo… così completamente solo adesso...

Io ho Mina e Lory,  Paddy, e Pam, e persino Ryan e Kyle... lui chi ha? Gli ho portato via tutto ciò che aveva

Le sue carezze, le sue cure gentili, il suo sussurrare rassicurante... sembrava tutto molto più importante adesso. Ora, conosceva un senso di… non sapeva cosa. La sua mente era ancora sconvolta da quei pensieri riguardo l’aver paura.

Fu tratta fuori da quei pensieri dalla sua tosse leggera, seguita da una flebile risatina.

“Ne è valsa la pena… sempre voluto… proprio così…”

All’inizio Strawberry era confuse, i suoi occhi castani (NDT: ancora una volta, ho trovato le parole “pink eyes”. Ma Strawberry non ha gli occhi marroni?)si sbarrarono, mentre lei si chiedeva cosa ciò avesse a che fare con sua madre. Quando lui ricadde nel silenzio, tremando debolmente per un alto brivido nonostante la febbre, mentre lei gli strofinava delicatamente le braccia sotto le coperte, stando attenta a non danneggiare la sua ferita bendata, per dargli un po’ di calore in più, capì ciò che voleva dire, e questa volta, l’urletto fu piuttosto udibile e seguito da un dolce ma severo, “Ghish, no, non è—“

Lui riuscì ad interromperla, persino nel suo stato, data la confusione in cui si trovava lei.

“Sì… perché sei così morbida… così buona… mia… Adoro…”

Le sue parole erano così flebili, così fragile, eppure per lei risuonavano con un volume che non riusciva a spiegare.

Rimasta senza parole, tutto quello che poté fare fu trattenere un singhiozzo  mentre un suo braccio uscì da dove era stato avvolto intorno a lui sotto le coperte e lei appoggiò il palmo della mano sulla sua guancia, tenendolo stretto a lei finché lui si addormentò.

Era fatta.

Questo era alquanto divertente, perché lei non aveva veramente seguito il corso della cosa, perciò non sapeva che era vicina alla soluzione o che la soluzione poteva essere vicina.

Se n’era accorta quando era cominciato, certo, quando lei lo aveva trovato nella neve e si era scusata con lui, l’aveva riportato a casa ed aveva affrontato l’inizio della sua malattia. L’aveva sentito cominciare allora.

In seguito, comunque, se n’era dimenticata. Nella sua disperazione per combattere la sua malattia, l’aveva ignorata. Diamine, nemmeno in quella disperazione.

Era stata nella sua disperazione di tenere le cose com’erano sempre state, nella sua disperazione per ignorare Lory, per ignorare quella notte, quella battaglia, quel risveglio.

Aveva provato e non si era accorta del suo fallimento finché non si era completato.

“Ghish,” mormorò, piano, così da non svegliarlo, “Mi dispiace…”

La ragazza dovette fermarsi per alcuni istanti: il singhiozzo che rischiava di sfuggirle avrebbe potuto disturbarlo.

“Mi dispiace per ciò che ho fatto… per quello che ti sono costata. Mi dispiace tanto…”

La sua mano si mosse dalla guancia ai capelli e lei cominciò a farci passare le dita in mezzo, sfacendo i nodi sudati che si erano formati nel corso della sua malattia.

“E’ così difficile… deve esserlo, per te. E’ così difficile combattere da soli, anche quando credi così tanto in qualcosa. Eppure tu… tu…”

Non riuscì a trovare la forza di dire “eppure tu hai gettato via tutto per me”. Se l’avesse fatto, non sarebbe stata in grado di controllare le lacrime.

“Mi dispiace,” boccheggiò, un singhiozzo le sfuggì dalla gola. Per un attimo, posò la sua testa su quella dell’alieno, concentrandosi sulla sensazione dei suoi capelli contro la sua guancia. Il braccio ancora avvolto intorno a lui si mosse, la mano si mise con cautela sulla parte bendata del suo petto e si mosse finché non trovò il fievole, ma saldo battito cardiaco. Rimase lì per alcuni istanti e, con la sua guancia ancora premuta contro la testa di Ghish che dormiva, Strawberry sorrise tra le lacrime, così parve, con una nuova risolutezza.

“Mi dispiace per aver mentito, Ghish,” proseguì, sollevando la testa per guardarlo, per guardare quel volto il cui rossore sembrava essere regredito un po’, quel volto che era finalmente rilassato in un benedetto, profondo, pacifico sonno.

Le sue dita tracciarono il profilo della guancia, della mandibola, del bordo dell’orecchio e lei si trovò a deglutire un singhiozzo di gioia prima di risolvere quella che adesso vedeva come la più grande menzogna mai pronunciata da lei.

“Ti amo.”

Quella affermazione era tutto ciò di cui aveva bisogno per allontanare quelle sensazioni scombussolanti di colpa e disperazione, tutto ciò di cui aveva bisogno per lasciare che i suoi occhi si chiudessero e che lei si unisse a Ghish nel riposo.


Ecco come li trovò Lory, quasi mezz’ora dopo, quando tornò di sopra per controllare la sua amica, dopo essersi chiesta come mai ci fosse tutto quel silenzio.

Aprì silenziosamente la porta ed il suo volto assunse un’espressione di tenerezza quando i suoi occhi si posarono sul groviglio di lenzuola e sui suoi occupant, entrambi serenamente addormentati, entrambi in qualche modo migliorati da quando lo aveva visti l’ultima volta.

Ovviamente, riuscì ad attribuire tutto ciò solo alla medicina di Ghish ed al sollievo che ciò doveva aver portato a Strawberry.

Mentre sorrideva, sapeva che il tutto era ancor connesso a quel piccolo qualcos’altro che poteva accadere. Che sarebbe accaduto…

Che era accaduto.

Con un’ultima occhiata alla coppia, Lory chiuse piano la porta ed andò di sotto in punta di piedi.

Nella stanza, Ghish e Strawberry continuarono a dormire, al sicuro e tranquillamente in un calmo abbraccio.

FINE DEL CAPITOLO

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Capitolo 17
*** Guai in arrivo ***


CAPITOLO 15

 “Tu hai fatto cosa?!”

Pai aggrottò la fronte, guardando in basso verso il suo compagno più piccolo con disapprovazione. “Un po’ più forte, Tart, e Profondo Blu si chiederà il perché di questa discussione.”

Questo azzittì l’alieno più giovane all’istante, anche se non fece nulla per cancellare lo sguardo incredulo dal suo volto. Dopo alcuni attimi di tensione, durante i quali Pai si voltò di nuovo verso la console del computer davanti al quale si trovava e cercò di riprendere il suo lavoro, Tart saltò su di nuovo.

“E… lei cos’ha fatto?”

“Gliel’ha data e sono andati a dormire.”

“Cosa vuoi dire con ‘sono andati a dormire’? Vuoi dire… insieme?”

Pai sospirò infastidito. Si era aspettato lo stupore del suo camerata al sapere che aveva dato alle Mew mew la medicina che avevano chiesto, ma ne avevano già discusso. Il tumulto in cui si trovava Tart in quel momento era risultato dal fatto che Pai aveva ammesso di essere rimasto fuori dalla finestra di Strawberry, nascosto al sicuro tra I rami di uno degli alberi che crescevano vicino alla casa, per vedere esattamente come le due umane si stavano prendendo cura di Ghish.

Era rimasto sorpreso (e leggermente irritato, ma quello era un altro punto che non si sentiva di poter esplorare davanti a Tart) quando Lory era uscita dalla stanza, lasciando la ragazza-gatto da sola con il suo paziente.

Era uno shock che sembrava un’eco della sua perplessità di fronte alla reazione di Strawberry quando era apparso nella stanza: era sembrata così… protettiva. Ora, si sarebbe potuto aspettare che la ragazza temesse per la sua stessa vita, ma lei non si era rannicchiata in un angolo per amor di sopravvivenza. No, gli aveva quasi soffiato contro come il gatto il cui DNA lei possedeva, gli era quasi saltata addosso nello sforzo di proteggere… Ghish. Era rimasta vicino a lui, si era posta tra lui e Pai in un palese tentativo di custodirlo.

Ciò aveva dato a Pai un vero colpo di sorpresa, ma lui lo aveva spinto da parte, ansioso di esaminare il suo amico, e poi di dare alle ragazze la medicina e di andarsene prima che Profondo Blu, in qualche modo, riuscisse a capire con chi stava parlando. Mentre stava su quell’albero, a guardare Strawberry prendersi cura del suo compagno, quella sorpresa era tornata decuplicata.

Aveva sempre saputo della alquanto insana ossessione di Ghish per quella ragazza: addirittura, era stata la causa per cui Profondo Blu lo aveva rifiutato. Pai sapeva anche benissimo che la ragazza non ricambiava quei sentimenti. Era questo che aveva fatto diventare Ghish così pazzo per la frustrazione e la disperazione.

Fino a lì, Pai aveva considerate l’intera questione con nient’altre se non disprezzo. Primo, credeva che innamorarsi del nemico fosse la cosa più stupida che Ghish potesse fare. Secondo, questa ragazza non ricambiava nemmeno il suo affetto. Logicamente, era tutto così ridicolo! Perciò, Pai aveva fatto del suo meglio per dissuadere Ghish dal suo inseguimento della ragazza, ma Ghish era Ghish e dunque aveva totalmente ignorato i consigli del suo amico più grande. Questo lo aveva portato ad una situazione in apparenza senza speranza: Pai e Tart erano stati costretti a lasciare il loro compagno quando lui aveva più bisogno di loro.

Sul momento, Pai era sicuro che Ghish sarebbe morto. Le sue speranze di sopravvivere nella crudele città umana con quelle ferite erano zero. Pai lo sapeva. Aveva calcolato l’esatta probabilità in un silenzioso moto di speranza che si era presto trasformato in disperazione.

Mentre stava seduto su quell’albero, a guardare Strawberry, aveva visto che si era alquanto evidentemente sbagliato. Mentre guardava la ragazza calmare l’alieno, mentre la guardava permettergli di riposare appoggiato a lei, mentre la guardava ascoltare le flebili parole di lui e raccoglierlo gentilmente tra le sue braccia prima che il sonno rapisse entrambi, vide che non importava quanto fosse strano, quanto sembrasse improbabile, lui si era sbagliato. Era rimasto senza parole, mentre si teletrasportava nell’altra dimensione, e ciò aveva reso più difficile rispondere al fuoco di fila di domande che Tart gli aveva fatto. Ora, vedendo la totale incredulità del più giovane, non sapeva esattamente cosa dire. Lui stesso era ancora piuttosto stranito da ciò che aveva visto.

A lei non piaceva…no…gli piaceva quell’altro…ma allora perché…perché…?

Era forse possibile che la fiducia di Ghish non fosse stata malriposta?

Impossibile, ma in qualche modo vero.

Pai si sforzò di mantenere un contegno, rispondendo a Tart nel modo migliore possibile.

“Sì, insieme.” Poteva a malapena credere che il fatto che la sua voce rimanesse totalmente ferma mentre parlava fosse davvero un credito del suo autocontrollo.

“E lei… non lo stava picchiando o roba del genere?”

“…no.” Non lo aveva colpito… si ritrovò sorpreso a quanto gentile era stata…

“Vuoi dire che… lei voleva—“

, Tart!” Nella sua stessa confusione, Pai gridò contro la sua controparte più giovane ed il ragazzo si zittì. Il più grande sospirò. Non avrebbe voluto gridare, ma questa intera situazione… queste circostanze…

Beh, chi poteva biasimarlo?

Stava per scusarsi quando Tart proseguì, stavolta in un tono più cupo.

“Dunque… come sta? Pensi che starà bene?”

“Io…Io non lo so.”

Era l’unica risposta veritiera che potesse dargli, perché davvero non riusciva a trovare un finale logico. Non ne aveva nemmeno visto l’inizio. Cosa poteva aver costretto Strawberry a cambiare completamente i suoi modi?

Era possibile che gli umani non fossero così senza cuore come aveva precedentemente pensato?

No…era assurdo! Non era possibile che…

Beh… lei era sembrata piuttosto scossa dalla sua dichiarazione sull’egoismo umano dopo il collasso di Ghish…i suoi occhi rosa esprimevano la massima confusione…

Eppure… impossibile… era impossibile…

E l’altra ragazza… quella dai capelli verdi… non aveva altro che compassione—

Pai sbatté rapidamente le palpebre, estinguendo quel pensiero prima che potesse devastarlo di più ed aggiungersi al subbuglio nella sua mente.

Controllando il più possibile la sua voce, rispose a Tart il più sinceramente, fiduciosamente possibile.

“Ora ha una possibilità.”

Silenzio di nuovo: Pai cercò di riprendere il suo lavoro ma si scontrò con un’ansia ancora maggiore, con quella preoccupazione che aveva così duramente cercato di ignorare per badare ai suoi doveri. E se Profondo Blu si fosse accorto del suo ripensamento, del suo comportamento cambiato?

“P-Pai?” Il più grande si tese, preparandosi ad un’altra deprimente domanda.

“Sì?”

“Allora, cosa mi dici della verdina? Cos’ha detto?”

Ecco... questo distruggeva ogni possibilità di tornare a lavorare.

Tart si teletrasportò via con un sorrisetto, lasciando Pai a borbottare in una stanza vuota.


Lory sobbalzò all’improvviso suono della sveglia del suo telefonino, poi si rilassò, ricordandosi perché l’aveva programmata. Chiudendo piano “Orgoglio e Pregiudizio” e posando il libro sul tavolo di cucina, controllò il suo orologio e sorrise. 10:42 PM: esattamente sei ore da quando aveva lasciato Strawberry a dare a Ghish la prima dose della medicina rosso-rubino. Era l’ora della prossima.

Strawberry e l’alieno avevano, per quanto Lory ne sapeva, dormito profondamente: la ragazza gatto aveva lasciato la stanza solo una volta per andare al bagno e rifornire la sua scorta di asciugamani e di acqua fredda nel frattempo. Era sembrata piuttosto ansiosa anche solo per compiere quella necessità, e Lory era abbastanza convinta che avesse passato il resto del tempo abbracciando Ghish che dormiva.

Era strano.

Ma era anche dolce.

Quando Lory aprì piano la porta, la vista dell’alieno accoccolato alla sua amica, entrambi profondamente addormentati, entrambi dall’aspetto più tranquillo di come li aveva visti da quando era arrivata, rese il doverli svegliare per dare all’alieno la dose necessaria una alquanto sfortunata inevitabilità.  La ragazza sospirò, attraversando la stanza in silenzio e prendendo posto sulla sedia della scrivania, prima di avvicinarsi esitante per scuotere Strawberry in modo da svegliarla.

Esitò ancora.

Sembravano così a loro agio, così tranquilli…

Poi si accorse che il rossore, sparito nelle ultime ore grazie alla medicina, era ritornato sulle guance di Ghish. Deve essere fatto pensò con una fitta di disappunto.

Alla fine le ci vollero alcune scosse decise per fare sì che Strawberry cominciasse a svegliarsi. Poi, gli occhi della ragazza si aprirono e si fissarono su Lory. Sembrava che volesse stirarsi, ma una rapida occhiata a Ghish, ancora accoccolato sul suo petto, estinsero quel desiderio. Sorrise, sbadigliando un flebile “ciao.” Prima che avesse la possibilità di parlare, Lory si schiarì la voce.

“Come sta?”

Strawberry sbatté le palpebre, colta di sorpresa dalla brusca domanda. Ripresasi  rapidamente, mise una mano sulla fronte di Ghish, aggrottando appena le sopracciglia.  

“Ha dormito per tutto il tempo, e pensavo che stesse meglio ma…” Un senso di panico cominciò a prendere possesso di lei: la febbre era tornata, era tornata e - 

“Va tutto bene Strawberry. Questo,” alzò la bottiglietta, “è un riduttore di febbre, ricordi? Inoltra aiuta a dormire. Deve comunque combattere la malattia da solo.”

Lory sentì una fitta di compassione alla vista dello scoraggiamento sul volto di Strawberry. “Se ha dormito così a lungo, allora sta meglio, no? Mi hai detto che lui ha dormito pochissimo fino ad ora,” le ricordò, cin un piccolo sorriso. Ciò sortì l’effetto desiderato, e Strawberry annuì, sorridendo di rimando.

“Sì… hai ragione.”

Lory osservò Strawberry toccare una ciocca dei capelli lisci dell’alieno, prima di schiarirsi piano la gola.

“Lo devi svegliare per la prossima dose, va bene?”

“Io… cosa?” per alcuni secondi, Strawberry apparve disorientata, riluttante all’idea di svegliare l’alieno addormentato. Quell’espressione, comunque, si dissolse presto in una dolce risata imbarazzata.

“Ma certo, è tempo per la prossima dose. Ecco perché mi hai svegliata, vero?”

Lory annuì piuttosto imbarazzata, cercando di non sembrare troppo divertita dallo stato confusionario della sua amica. Il sorriso di Strawberry si allargò e lei si voltò verso Ghish, esitando alcuni istanti, chiedendosi quale fosse il modo migliore per svegliarlo, e decidendo infine per quella che era diventata la sua ancora-da-ammettere azione preferita: accarezzargli i capelli.

Aveva dei capelli così morbidi...

Come per Strawberry, anche a Ghish ci volle un po’ di tempo per svegliarsi. Quando la ragazza cominciò ad accarezzarlo, mugugnò qualcosa di incomprensibile nel sonno, senza svegliarsi, ma semplicemente strofinando la testa sul collo di lei. Questo portò ad una flebile risatina rapidamente soppressa da parte di Lory.

Strawberry, dal canto suo, sentì le guance imporporarglisi mentre i capelli di lui le solleticavano il mento.

Nonostante ciò, continuo, tirandogli anche qualche leggero colpetto sulla guancia, chiamando dolcemente il suo nome.

Per tutto il tempo, Lory stette a guardare, stranamente paralizzata da quegli ovvi gesti di affetto. Ichigo sapeva… certamente… riusciva a comprendere la natura delle sue azioni? Aveva veramente capito tutto questo, riusciva a trovarne il senso? O stava semplicemente agendo sulla base di… di che cosa? Desideri repressi? Sentimenti nascosti?

“Strawberry…”

Lory non riuscì a non mormorare il nome della sua amica in un improvviso attacco di ansiosa preoccupazione. Se ne pentì immediatamente, vedendo quello sguardo interrogative nei suoi occhi rosa. La ragazza non voleva tirare fuori tutto in quel momento, non quando c’era ancora un bel po’ di recupero fisico per l’oggetto delle loro cure. Non importava quanto fosse piacevole vedere quello strano cambiamento nell’amica, non importava quanto bella fosse la vista della ragazza e dell’alieno che riposavano insieme, il fatto rimaneva che ciò avrebbe portato a dei guai da qualche parte più in là.

Ciò preoccupava Lory.

Creava dubbi, confusione.... confusione riguardo gli alieni e le loro vere motivazioni…

La… la faceva pensare a Pai…

A Pai… ed al modo in cui aveva guardato Ghish… quella disperazione nei suoi profondi occhi viol-

Dovette mettere rapidamente un freno a quel pensiero: lasciarsi cadere troppo a fondo in quel reame della sua mente non sarebbe servito… non era il momento.

Per fortuna, entrambe le ragazze furono salvate da Ghish che si stava lentamente svegliando. Lory riuscì a focalizzarsi sulle sue mani, torcendosele e cercando di ricomporsi dopo quella… digressione, e Strawberry riportò la sua attenzione sul ragazzo.

I suoi occhi si aprirono lentamente, posandosi innanzitutto sulla ragazza, che lo guardò con un dolce sorriso.

“Come ti senti Ghish?”

Prima che lui potesse rispondere, i suoi occhi si spostarono su Lory e si sbarrarono: evidentemente non si era aspettato quel pubblico. Ancora mezzo addormentato, fu allarmato e fece per scattare via, ma Strawberry lo calmò subito.

“Va tutto bene. E’ qui per aiutarci, ricordi?”

A quelle parole, l’alieno sbatté le palpebre, poi annuì in una riluttante sorta di accondiscendenza. Evitata la crisi, cominciò a rispondere alla domanda di Strawberry, solo per scoprire che la sua voce veniva fuori in un gracchiante raspare, e che il processo per parlare provocava scintille di dolore nella sua gola. Al vedere questo, la ragazza lo zittì, scuotendo la testa.

“Non sforzarti, se ti fa così male. Basta che tu annuisca o scuota la testa. Va bene?” L’alieno dimostrò la sua gratitudine annuendo. Strawberry prese quel gesto come un incoraggiamento.

“Stai un po’ meglio?”

Il ragazzo ci penso un po’ su, facendo un rapido inventario diagnostico. Si sentiva ancora tremendamente debole, ma quel tremendo sentimento di quasi morte era sicuramente sparito. Prendendo questo come un buon segno, annuì, sentendo immediatamente una fitta di gioia per il modo in cui Strawberry si era illuminata a quella notizia.

Persino quel piccolo gesto, comunque, lo fece sentire sfinito. Il sorriso di Strawberry svanì un po’ e la preoccupazione prese il suo posto.

“Però sei ancora debole, eh?” mormorò, una mano tornò a spostargli i capelli all’indietro. Quando la sua mano le toccò la fronte, si ricordò perché Lory li aveva svegliati.

“Beh, è tempo per la seconda dose,” continuo con quanta più gioia possibile, sussultando internamente alla palese smorfia disgustata di Ghish. “Sì, lo so, ma è l’unico modo per farti stare meglio.” Un riluttante, stanco cenno della testa da parte dell’alieno le rispose, così la ragazza cominciò a spostarlo in una posizione completamente seduta.

“Puoi stare così per un po’?”

Di nuovo, un cenno della testa, e Ghish si sedette, sembrando in generale esaurito dallo sforzo, ma abbastanza stabile.

Lory, che era stata in qualche modo dimenticata dalla sua amica ed ignorata dall’alieno nella sua stanchezza, parlò piano.

“Ho preparato un po’ di thè alle erbe quando ero giù, Strawberry. Forse lo aiuterà a prendere la medicina?”

Strawberry quasi sobbalzò a quella nuova voce, poi la guardò con un’aria quasi imbarazzata per averne dimenticato la presenza così facilmente.

“E’ una grande idea, Lory,” rispose, sorridendo a mo’ di scusa, e l’altra ragazza ricambiò il gesto, pronunciando un dolce “va tutto bene,” come a voler dire capiva che l’amica fosse assorta nel fare l’infermiera. “Allora lo vado a prendere.”

Un minuto più tardi, Strawberry aveva preparato una cucchiaiata di quella medicina dal gusto orribile e Lory era ritornata con una tazza piena di caldo thè alle erbe. Ghish inghiottì la cucchiaiata, finendo per tossire dolorosamente, e Strawberry lo calmò con gentilezza, prima di aiutarlo a bere il thè. Dopo questo, la ragazza gli misurò la temperatura, rilassandosi un po’ quando vide che, anche se era ancora lì, la sua febbre non era nemmeno vicina a quei pericolosi quarantadue gradi di un giorno e mezzo prima. Alcuni minuti dopo, Strawberry si riappoggiò contro la testata del letto e Ghish si accoccolò di nuovo contro di lei. Mentre aggiustava le lenzuola intorno all’alieno assonnato, si accorse che Lory la stava guardando piuttosto sorpresa dal fatto che era ritornata in quella posizione. Stranamente cosciente sotto lo sguardo della sua amica, si ritrovò ad arrossire di nuovo, sforzandosi di dare una spiegazione.

“L- lui respira meglio da seduto.”

Lory annuì, tentando di nascondere un sorriso.

Ma con quel sorriso, tornarono quegli urgenti pensieri e lei fu costretta ad alzarsi: se fosse rimasta un po’ di più, sarebbe stata forzata a tirare fuori l’inevitabile, e lei non voleva disturbare l’alieno e colei che se ne prendeva cura. Ormai, il rossore stava svanendo dalle guance di Ghish, e lui appariva così comodo, mentre riposava appoggiato a Strawberry. E Strawberry… sembrava così felice… no, era troppo presto per esprimere quella questione, Lory si decise. Poteva aspettare, almeno fino alla mattina successiva.

Con un tenero sorriso, cominciò a ripulire il comodino, raccogliendo alcuni bicchieri ed asciugamani prima di rivolgersi a Strawberry.

“Sono quasi le undici ora. Penso che quella dose lo aiuterà per tutta la notte.”

La sua amica sorrise di rimando. “Sì.” Un attimo dopo balbettò.

“Tu… tu dovrai…”

Lory scosse la testa. “Chiamerò i miei genitori e dirò che dormirò qui per prendermi cura di te. Pensano che tu sia malata e sono sicura che capiranno.”

Strawberry si rilassò. “Grazie, Lory.” Guardò verso il ragazzo addormentato, accorgendosi all’improvviso di quanto enormemente utile si stava rendendo la sua amica. “Davvero.”

“Non c’è problema,” replicò l’altra con un sorriso. Strawberry lo ricambiò, poi chiese rapidamente a Lory di prendere una coperta dall’armadio dell’ingresso e di fare come se fosse a casa sua nella camera per gli ospiti. Lei annuì e ringraziò. Lasciò la stanza mentre Strawberry cominciava ad addormentarsi di nuovo, e si diresse al piano di sotto per mangiare… un po’ di zuppa di riso prima di seguire il consiglio di Strawberry ed andare a riposarsi.


Da buona ragazza responsabile, Lory programmò la sveglia del suo telefonino per le sette del mattino, così da ricordare a Strawberry di dare a Ghish la terza dose. Si svegliò accolta da una mattinata grigia, sbadigliò, poi inforcò gli occhiali. Alzandosi, si riassettò i vestiti, desiderando un pochino di essersi portata il suo pigiama. Comunque, non sapeva in cosa si stava cacciando quando Strawberry l’aveva chiamata. Forse, sarebbe potuta tornare a casa a prendere alcuni dei suoi effetti personali. Era abbastanza sicura che i suoi genitori le avrebbero permesso di restare a casa di Strawberry fintanto che avessero creduto che l’altra ragazza aveva bisogno di cure. Per un momento sussultò per la bugia: non le piaceva mentire ai suoi genitori.

Beh… qualcuno era malato, anche se non si trattava di Strawberry, e la ragazza aveva davvero bisogno del suo aiuto. Dopotutto era giustificata.

Riponendo quei pensieri nei meandri della sua mente, lasciò la stanza per gli ospiti ed uscì sul pianerottolo, pronta a bussare alla porta di Strawberry per svegliarla delicatamente e ricordarle del programma di dosaggio, quando un’improvvisa tosse, simile a quella prodotta da un conato di vomito, seguita da un debole lamento, le disse che Strawberry era già in piedi da un po’ prima di lei. Non poté trattenersi dal sorridere. Era un buon segno che si lamentasse: voleva dire che stava guarendo.

Lory bussò ed aprì la porta dopo aver ricevuto un gaio “Avanti.”

“Buongiorno, Strawberry,” salute avvicinandosi alla ragazza che stava seduta accanto al letto sulla sedia della scrivania. “Ghish,” aggiunse con un cenno della testa verso l’alieno, che le rispose con uno sguardo in parte confuso, in parte infastidito, e che le sembrò pronto a fare qualche commento sulla sua natura di pesce.

Non ne fu offesa: la situazione era strana e lo confondeva tanto quanto accadeva per loro. Probabilmente anche di più.

Inoltrse, i suoi lamenti e le sue frecciatine significavano solo che stava migliorando.

Mentre lo guardava, vide che, mentre sembrava ancora pallido e stanco, mentre sembrava ancora aver bisogno di parecchia energia anche solo per sedersi senza l’aiuto di Strawberry, appariva mille volte meglio di quando era arrivata. Ora, almeno, quando la guardava, i suoi occhi non erano sfocati. Aveva ripreso la sua consapevolezza: la febbre era diminuita abbastanza da rendergli la lucidità.

Non c’era prova migliore del suo salutarla con un debole eppure divertito sorriso e con le sue battutine, con una voce così raschiante da essere appena udibile, “Dove stai guardando? Non sono mica Pai, io…”

Si interruppe in un accesso di tosse, mentre Lory cercò invano di fermare il rossore che si stava spandendo sulle sue guance. Strawberry rispose con un “Ghish!” ovviamente urlato, ma la sua amica si accorse che non era davvero arrabbiata. Poteva vedere il sollievo nei suoi occhi. Anche se sembrava pronto a schiaffeggiare l’alieno, gioiva internamente per il ritorno del suo carattere irreprensibile. Voleva dire che il pericolo era passato. Voleva dire che non avrebbe perso colui che ama-

Dannazione.

Voleva anche dire che era tempo di fare i conti con quei… pensieri.

Pensieri che avevano pazientemente atteso per avere la possibilità di distruggere tutto ciò in cui aveva creduto fino a…

Fino a quando si era svegliata mentre Ghish la implorava di aprire gli occhi.

Fino a quando aveva sentito quella disperazione in ogni muscolo del suo corpo, aveva visto quello sprazzo di dolore e terrore nei suoi occhi dorati.

Fino a quando lui non aveva riposte così rapidamente, così facilmente la sua vita nelle sue mani tremanti ed insicure.

Si morse il labbro mentre massaggiava la schiena dell’alieno nel tentativo di aiutarlo a recuperare il respiro. Incerta, si chiese se lui avesse notato il cambiamento, la differenza nei suoi modi di parlargli. In quel momento, per esempio, non era scattata contro di lui come avrebbe fatto prima. Non lo aveva sgridato, non per davvero. Forse  avrebbe pensato che fosse gentile con lui a causa della sua malattia, ma non poteva di certo rispondere a tutto con quello. Essere gentile, e volontariamente tenerlo, cullarlo, dormire con lui… c’era una bella differenza e quando lui si fosse sentito abbastanza bene da pensare con chiarezza, si sarebbe accorto di quella differenza. Se ne sarebbe accorto e, senza alcun dubbio, le avrebbe posto una domanda che lei avrebbe potuto evitare tanto facilmente quanto avrebbe potuto evitare i suoi stessi pensieri. Non poteva respingere una domanda ed ignorarla, specialmente non la sua domanda. Ghish era testardo.

Era una cosa che andava oltre Ghish, però.

Avrebbe avuto effetto su… avrebbe alla fine raggiunto…

Mark…

Dovette concentrarsi parecchio sul massaggiare la schiena di Ghish, concentrandosi solamente sulla sensazione della sua pelle liscia sotto le sue dita, sulle sue vertebre che giacevano sotto la pelle, sul suo respiro affannato per mantenere la mente sgombra da quei pensieri soffocanti.

Era difficile, perché sapeva che presto, avrebbe dovuto lasciarsi affondare nei loro abissi.

Non sapeva se ne sarebbe uscita illesa.

Nonostante tutto… doveva essere fatto. Anche Lory lo sapeva. Strawberry poteva dirlo dal modo in cui guardava Ghish, dal modo in cui guardava lei stessa. Poteva dirlo dal modo in cui aveva reagito alla menzione del nome di Pai. Non importava quanto l’altra ragazza si fosse sforzata, a Strawberry non era sfuggito quel rossore.

Forse, pensò con un sorriso in parte sollevato, in parte timido, non era sola in questo nuovo reame di sentimenti.

Mentre Ghish recuperava il fiato, Lory annunciò nervosamente che sarebbe andata a casa per alcuni minuti, in modo da poter prendere alcuni oggetti personali nell’eventualità di una permanenza prolungata (fece un inchino a Strawberry, che sarebbe stato strano se l’altra ragazza non avesse potuto attribuirne la colpa a quanto agitata era la sua amica per via del commento di Ghish), e se ne andò. Alcuni secondi più tardi, Strawberry sentì la porta chiudersi, e seppe che lei ed il ragazzo erano soli in casa.

Immediatamente, Ghish la guardò con un po’ della sua vecchia malizia che danzava negli occhi.

“Allora, vuoi ritornare a dove eravamo?”

Le parole c’erano, ma il solito tono carico di sottintesi no. Era a causa del raschiare che segnava la sua voce, la sua gola ferita non lasciava passare molta espressività? O era perché si era accorto che qualcosa era cambiato?

Aveva sentito la sua confessione?

No… impossibile. Era profondamente addormentato.

Allora, forse, poteva sentire semplicemente il disagio che fuoriusciva dalla sua psiche. Forse aveva visto il modo in cui lo aveva sgridato solo a metà per il suo commento, sia in quel momento che prima, quando parlava di Lory.

Sperava che non se ne fosse accorto, ma in ogni caso, non avrebbe potuto fare niente se ciò fosse avvenuto. Non sapeva davvero cosa pensare al riguardo in quel momento. Per fortuna, la risposta dell’alieno al suo ammonimento la distolse dal suo treno di pensieri per spostarla su un nuovo binario.

“Beh, non ci posso fare nulla, mi annoio.

Il suo istinto materno le diceva di chiedergli di stare zitto e riposarsi, ma lei non riuscì a frenare un po’ di divertimento allo stridente lamento udibile attraverso la sua voce rauca.

Di solito era un ragazzo molto attivo, dopotutto. Malato o no, tutta quella inattività doveva averlo seccato parecchio.

Beh, penso che possa stare sveglio per un po’. Aveva dormito già per un po’…

“Che ne dici di fare un gioco, allora?”

Lui la guardò stranito all’inizio, sorpreso dall’improvvisa offerta. Di nuovo, lei si chiese se lui sapesse.

Poi, l’alieno si espresse in un sorriso esangue.

“Sembra una buona idea.”

Un minuto più tardi, Strawberry stava preparando una partita a battaglia navale sul letto. Dopo aver spiegato le regole, i due posizionarono le loro imbarcazioni e cominciarono a giocare.

Strawberry vinse la prima manche, ma solo per poco. Dopo ciò, Ghish vinse tranquillamente per quattro volte di fila, e dopo aver visto il suo sorrisetto trionfante per la quarta volta, Strawberry incrociò le braccia con un frustrato “umf”.

“Non è possibile che tu riesca a vincere così tanto. Non hai mai giocato prima!”

Ghish si appoggiò alla testiera, ovviamente stanco, ma ancora parecchio divertito.

“Che posso farci se sono bravo a giocare, micetta. Ma devo ammetterlo, l’ultima partita è stata terribilmente facile…”

La ragazza non riusciva a contenersi: mise il broncio al suo tono gioviale e questo non fece altro che far allargare il suo sorrisetto. Probabilmente sarebbe scoppiato in una bella risata se la gola non gli avesse fatto così male.

Dal momento che lui non faceva alcuna mossa per ripreparare i pezzi, restando rilassato contro la testiera e smettendo di parlare quando lo colpì un attacco di tosse, Strawberry decise che aveva giocato abbastanza e cominciò a riporre il gioco. Quando si alzò, si girò e lanciò un’occhiata allo specchio dall’altro lato della stanza con un gesto abitudinario, chinandosi poi per spingere il gioco sotto il letto…

Aspetta un secondo…

Si era seduta leggermente di fianco al suo campo di gioco e questo voleva dire che…

“Tu piccolo traditore!” esclamò, fissando Ghish con uno sguardo accusatorio. “Hai visto le mie navi allo specchio, vero?”

Apparentemente, Ghish non si aspettava di essere scoperto, perché apparve completamente sorpreso, prima di scoppiare in quella che doveva essere una dolorosa risata.

Beh, sono felice che l’abbia trovato abbastanza divertente, pensò arrabbiata, posando le mani sui fianchi mentre la risata del ragazzo si trasformava in colpi di tosse. Sospirando esasperata, gli versò un po’ d’acqua da una brocca che Lory aveva portato un po’ di tempo prima, dopodiché si sedette sul letto, aspettando finché il pericolo di soffocamento prima di avvicinare il bicchiere alle labbra di Ghish, costringendolo a bere. Lui rimase seduto boccheggiando dopo aver finito, e Strawberry posò il bicchiere sul comodino. Si girò verso di lui con il cipiglio ancora fermamente al suo posto. Lui le rispose con un sorriso ancora più debole, esaurito dall’attacco.

“Non posso farci niente, devi ammetterlo, è stato,” tossì appena, “facile. Te la sei cercata.”

“Umf. Se è così che ringrazi chi ti aiuta,” Strawberry rispose in modo un po’ snob, mettendo il broncio.

Rimase shockata al vedere il cambiamento dell’alieno: sembrò perdere le forze sotto quell’ipotetico rimprovero, le labbra si schiusero come se volesse preparare… una richiesta di scuse? Di certo il sorrisetto era svanito.

Strawberry si sforzò di non far allargare troppo il suo sorriso, alzandosi e rimboccando le coperte intorno all’alieno. Non voleva sembrare vinta così facilmente.

Poteva essere così carino... quando non tentavano di uccidersi a vicenda.

Anche se non ci stava facendo attenzione, quel piccolo pensiero aveva solo rafforzato la confessione della notte scorsa.

Disse all’alieno di sdraiarsi, vedendo che adesso respirava meglio e che probabilmente sarebbe stato più comodo che da seduto, e riaggiustò le coperte intorno a lui. Ghish si rilassò, quando l’accennato sorriso di Strawberry ed il suo sguardo dolce gli dissero di scordarsi immediatamente quell’ultimo rimprovero. Sembrò accorgersi quanto era esausto per aver giocato, e presto cominciò a vedere Strawberry attraverso gli occhi socchiusi.

Strawberry si sedette accanto a lui e vide che chiedergli di tornare a dormire non aveva alcuno scopo. Invece, permise al suo sorriso di allargarsi, quando gli mise una mano sulla fronte e notò che la medicina stava tenendo a bada la sua febbre con successo, prima di spostargli alcune ciocche all’indietro in un inconsapevole gesto d’affetto. Che stava diventando quasi abituale.

“Ti sveglierò dopo per farti mangiare qualcosa, okay?”

Ghish le voleva rispondere, forse con un po’ di gratitudine nel tono per riparare il fatto di aver ingannato (cosa che trovava ancora piuttosto divertente), ma era davvero stanco, e riuscì appena ad annuire prima di addormentarsi.

Strawberry rimase seduta accanto a lui per alcuni minuti ancora in modo da essere sicura che fosse profondamente addormentato, prima di alzarsi ed andarsene tranquillamente dalla stanza per la prima volta in due giorni. Si sentiva finalmente abbastanza sicura riguardo quella situazione, da prendersi il tempo per una doccia.

Era così felicemente sollevata che riuscì ad evitare quei pericolosi pensieri.


Lory si affrettò lungo la strada che portava a casa di Strawberry, con uno zaino contenente il suo pigiama e diversi oggetti da toilette che rimbalzava sulla sua schiena. I suoi genitori si erano preoccupati quando aveva detto che sarebbe rimasta di più da Strawberry. Avevano anche chiesto se la sua amica era così malata da necessitare di un ospedale.

La ragazza aveva coperto la situazione meglio che aveva potuto, balbettando che sarebbe andato tutto bene, che la sua amica desiderava solo un po’ di compagnia durante la malattia e che non era niente di serio.

Di fatto, desiderava che ci fosse un ospedale che potesse aiutare Ghish. Non sapeva per quanto sarebbe durata la sua malattia o quanto lo avrebbe sfinito. Di certo, lui era un ragazzo forte: poteva probabilmente sopravvivere con abbastanza cure. La lunghezza del tempo era più preoccupante: i genitori di Strawberry sarebbero dovuti tornare entro quattro giorni…

Avrebbero affrontato quel problema più tardi. Per adesso, Lory doveva concentrarsi sul non scivolare su nessuna lastra di ghiaccio sulla strada.

Alla fine, la casa di Strawberry arrive in vista, e Lory sentì un’ondata di sollievo scorrerle addosso.

Quell’ondata si ritirò tanto velocemente come era venuta.

C’era qualcuno alla porta.

Che suonava al campanello.

Che guardava verso il terrazzo di Strawberry.

Dopo alcuni altri passi lungo la strada, Lory riuscì ad identificare quel qualcuno.

Sembrava che il frigido vento invernale avesse improvvisamente deciso di solleticarle il cuore.

Mark!


Mentre Strawberry si vestiva con abiti puliti, si accigliò al suono del campanello.

Di certo Lory aveva avuto il buonsenso di prendere le chiavi di casa sua prima di andarsene…

Confusa, la ragazza tornò nella sua stanza, si avvicinò lentamente alla finestra e sbirciò al piano di sopra. I suoi occhi si sbarrarono immediatamente.

“Mark!” boccheggiò, coprendosi la bocca nel momento in cui pronunciò quel nome. Troppo tardi.

Guardò su e, anche se si era abbassata il più velocemente possibile, sapeva di essere stata vista.

Il campanello suonò di nuovo.


“Mark!” gridò Lory, cominciando a correre, ansimando quando si fermò di fronte al ragazza shockato.

“Mi…” lui si sforzò di ricordare il suo nome, poi sorrise quando gli tornò in mente, “Midorikawa. Salve.”

“S-salve.”

“Sei venuta a trovare Momomiya anche tu?”

“Io… ecco, lei…”

Il sorriso del ragazzo svanì un po’ e la confusione crebbe.

“Mi ha chiesto di stare con lei per un po’,” cominciò, decidendo di proseguire con la stessa bugia raccontata ai suoi genitori, “perché è malata.”

Immediatamente, si accorse che era stata la cosa sbagliata da dire.

“Malata? Credo di averla appena vista alla finestra. Sta bene?”

A quel punto, l’altra ragazza riuscì a fermarsi con difficoltà, e poté solo pregare che lui non decidesse di fare una visita alla sua ragazza ipoteticamente malata.

“E’… molto malata. Non può ricevere visitatori. Una brutta febbre- “

“Molto malata?” La preoccupazione nei suoi occhi era insopportabile.

No!

Ma era troppo tardi. Ormai, Lory sapeva come sarebbe andata a finire. Ormai, il brivido dell’inevitabile catastrofe si stava arrampicando sulla spina dorsale.

“Ti prego, Midorikawa, posso vederla? Se è così malata, forse posso…”

Si interruppe, rivolgendo quello sguardo speranzoso a Lory e lei vide la forza della sua preoccupazione. Vide che non sarebbe stata in grado di combatterlo.

“Io… lei è troppo ma—“

Sussultò in quel momento, perché sembrava che Ghish avesse iniziato a tossire, forte e dolorosamente, nel sonno.

Aveva scelto il peggior  momento difficile.

Il suono di quei colpi di tosse rafforzò la risolutezza di Mark.

Lory non poté dire nulla per fargli cambiare idea, ed era troppo tardi per fingere che non avesse le chiavi. Nella sua urgenza, le aveva tolte dalla tasca e le aveva prese in mano.

Con la suddetta mano che tremava, aprì la porta. Mark fece un cenno della testa, ringraziandola.

“Te lo giuro, voglio solo vederla per un po’. Solo per vedere se sta bene.”

Terminò con un sorriso gentile, togliendosi il cappotto e gettandolo per terra prima di correre di sopra. Lory rimase indietro, totalmente congelata per alcuni secondi, prima che la ragione tornasse in lei, e cominciò a correre incerta dietro di lui.

“Mark, as—“

Fu interrotta da un brusco grido smorzato.

“Strawberry!”

Troppo tardi.


Mark fissò la ragazza di fronte a lui, ma era difficile dire che la sua attenzione fosse su di lei. Si spostava in continuazione sulla… creatura… nel suo letto.

Non è…uno di quegli alieni? Pensò freneticamente, incontrando quelli della ragazza nel disperato tentativo di trovare uno straccio di spiegazione.

L’intensità della paura in quelle orbite rosa combaciava con l’intensità del suo stupore.

“S-Strawberry,” continuo, così shockato che si dimenticò di usare cortesemente il suo cognome, “cosa—“

“Posso… posso spiegare, Mark!” cominciò, torcendosi le mani angosciata. Il ragazzo era vagamente cosciente dell’altra ragazza dietro di lui, Lory, ma non fece niente per notarla.

“Lui non è…non è…?”

“S-sì. Sì, Mark, ma—!”

Forse avrebbe dovuto spiegarglielo. Avrebbe potuto rabbonirlo in qualche modo.

Forse.

Se il rumore non avesse fatto svegliare Ghish, farlo sedere, e fargli sbattere lentamente le palpebre alla strana scena che si stava svolgendo davanti a lui.

All’inizio, rimase solo confuso. Poi, i suoi occhi si posarono su Mark, e la sua mente sembrò gettare via la fatica ed il disagio della malattia, mentre la rabbia familiare prendeva possesso di lui.

Mark.

Il prezioso Mark.

L’amato, degno ragazzo…

Il suo nemico. La sventura della sua vera esistenza.

Stava camminando verso Strawberry adesso... come osava...

Strawberry prese un profondo respiro, mentre il moro si avvicinava a lei, cercando di stabilizzarsi, pensando freneticamente ad un modo facile per spiegare la situazione. Ci sarebbe riuscita se non avesse sentito una gelida carezza sul suo collo ed un’altra contro la sua vita. Si accorse con una rapidità che le tolse il respiro che c’era un braccio avvolto intorno alla sua vita e, a giudicare dallo shock negli occhi marroni di Mark, il braccio apparteneva a Ghish.

Il ragazzo alieno, in un attacco di rabbia possessiva, aveva usato la forza fomentata dalla furia per teletrasportarsi al fianco della ragazza. Ora si librava dietro di lei, un braccio arrotolato intorno alla sua vita, l’altro oltre la spalla ed intorno al suo petto in uno stretto abbraccio.

“Stiamo parlando alla mia ragazza, eh?” ghignò a Mark, che poté solo balbettare in risposta.

“L-l- la tua…”

“Mi hai sentito.” Strawberry non poteva voltarsi, ma sapeva che Ghish aveva quello  sguardo diabolico dipinto in faccia, mentre guardava Mark con una scintilla quasi assassina nei suoi occhi dorati.

“E’ mia. Suppongo che la mia micetta qui non ti abbia detto che—“

“No, no, Mark, io non sono—“

Si fermò, congelandosi quando la presa di Ghish si rafforzò. Il suo primo pensiero fu che lui volesse ferirla, ma mentre stava lì, fissando lo stupito Mark, si accorse che mentre la sua presa e le sue parole sembravano forti, Ghish stava tremando anche se poco. Si accorse che la forza della sua presa era dovuta alla disperazione, disperazione per…

Si stava solo attaccando a quei pochi giorni, attaccando a quelle carezze e a quelle parole gentili…

Si stave attaccando a quelle stesse cose a cui lei si era voluta attaccare…

Vero? L’aveva volute, no? Sì, anche nella paura, sapeva che voleva quelle esperienze, quei sentimenti… voleva che restassero.

Ti amo…

Non era stata una menzogna.

Ma… Mark…

All’improvviso, la paralisi si Mark si interruppe e lui si lanciò avanti.

Si lanciò con un urlo strozzato e Strawberry si accorse di qualcosa con un sobbalzo di orrore.

Voleva fare del male a Ghish.

“Allontanati da lei!” gridò, afferrando l’alieno da dietro, afferrando le sue braccia e strappandole da dove stavano intorno a Strawberry. Nel processo, riuscì a colpire la ferita bendata. L’effetto fu istantaneo.

Ghish gridò, crollando al suolo sotto Mark che stava cercando di tenerlo giù, di assoggettarlo e, nella sua mente, di salvare Strawberry…

“No! Fermati!”

Il ragazzo si fermò, sollevando lo sguardo per incontrare quello della ragazza. Lei era in piedi, con gli occhi che brillavano di lacrime, che tremava violentemente alla vista di quella lotta impari.

“Allontanati da lui!”

L’intensità di quel grido fu abbastanza da costringere Mark ad allontanarsi. Non appena si fu allontanato da Ghish, Strawberry si inginocchiò accanto all’alieno, le braccia avvolsero la sua forma tremante, mentre lui cominciava a tossire terribilmente.

“Strawberry… perché… pensavo…”

“E’ malato. E’ qui perché è malato e io…”

Mark sbatté rapidamente le palpebra, shockato. Forse non era il più intelligente dei ragazzi, ma non era stupido. C’era qualcosa nella sua voce, qualcosa nel modo in cui aveva afferrato la coperta dal letto e l’aveva avvolta intorno all’alieno, attorno alle sue spalle appesantite, mentre lui cercava di repsirare… qualcosa nel suo tocco…

“Tu… tu lo ami…”

“Ami” fu quasi udibile. Gli sfuggì dalle labbra in un sussurro.

“Io…Io…”

Come poteva dirlo? Come poteva anche solo pensarlo! Non era vero, non poteva essere… Lei amava Mark! Aveva sempre amato Mark! Sempre…

All’improvviso, immagini, sensazioni, emozioni, ogni cosa degli ultimo due giorni le ritornò alla mente. All’improvviso, si trovò a ricordare tutto ciò che era connesso all’alieno di quei giorni: la fiducia di Ghish, la sua disperazione, il suo tocco, la sua devozione, la sua forza, la sua vulnerabilità il suo… il suo amore.

Quell’immortale, illogico, determinato, stupido, gentile, crudele, puro, fantastico amore che aveva dato inizio all’intera vicenda.

Quell’amore che l’aveva toccata senza che lei lo sapesse.

Si ricordò tutto.

Si ricordò la sua confessione.

Non era stata una bugia allora. Non era una bugia in quel momento. Non lo era.

Mark vide tutto ciò. Non riusciva ad identificare gli esatti pensieri che correvano nella sua mente, ma conosceva la loro natura, e sapeva che se ne doveva andare. Forse avrebbe dovuto confrontarsi con lei su quel punto, avrebbe dovuto implorare, pregare, gridare persino. Avrebbe dovuto scuoterla e farle tornare un po’ di buonsenso.

Non riuscì a fare niente di tutto ciò, non con quello sguardo nei suoi occhi, quella tenerezza nel suo tocco. Poteva solo accettare tutto, non importava quanto confuso, quando scomodo, quanto strano fosse. Non c’erano dubbi sul fatto che non poteva fare niente al riguardo. Lo sapeva, in qualche modo. Lo sapeva.

Chinò il capo, mormorò un saluto a bassa voce a Strawberry, uno più formale alla quasi svenuta Lory, scese le scale, andò alla porta e se ne andò.

Una debole Lory barcollò verso la sua amica e la abbracciò con dolcezza mentre quest’ultima cominciava a piangere, mormorandole qualcosa che persino lei non riusciva a capire.

Cercò di scostare Strawberry da Ghish, cercò di dirle di aiutarlo a tornare a letto, ma non vi riuscì e ci vollero diversi minuti prima che Strawberry si riprendesse abbastanza da un po’ guidare, un po’ trascinare l’alieno semi cosciente sul letto.

Dopo ciò poté solo affondare sulla sedia e piangere

FINE DEL CAPITOLO

 

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Capitolo 18
*** Due strade differenti ***


CAPITOLO 16

Lory si sentiva sperduta.

Riusciva solo a stare ferma, radicata sul posto dallo shock che rimaneva dopo quel terribile confronto, torcendosi debolmente le mani.

Strawberry...

La ragazza dai capelli rosa era ancora seduta sulla sedia della scrivania, continuando a piangere, anche se i suoi singhiozzi si erano ridotti a flebili mugoli mentre continuava a guardare il muro lontano con sguardo vuoto.

Lory non riusciva nemmeno ad immaginare come si stava sentendo.

Mark...

Aveva visto.

Aveva visto e se... se n’era andato.

Quel pensiero portò un nuovo brivido lungo la schiena della timida ragazza.

Non sembrava possibile che se ne andasse. Era stato così strano, vedere che lui era quello che se n’era andato, vedere che Ghish era colui con cui Strawberry era rimasta, che quasi aveva sfiorato l’inquietante.

Quei pensieri era così intense, così gelidamente paralizzanti, che Lory riusciva a malapena a guardare Strawberry, mentre quest’ultima si alzava improvvisamente dalla sedia, traballando un po’, pericolosamente, come se stesse lottando per non svenire proprio lì, e barcollò, muovendosi sempre più veloce man mano che vi si avvicinava cosicché, quando uscì dalla stanza, cominciò quasi a correre.

Non posso…posso stare…

Devo andarmene…

Mark... forse...

Qualcuno…

La sua mente era paralizzata, i pensieri in frantumi e vaghi, mentre cominciava a cercare di scendere le scale, barcollando.

Solo il rumore che provocò quando quasi cadde riuscì a riscuotere Lory dalla sua trance provocata dall’orrore. Con gli occhi che si sbarravano mentre realizzava l’intento di Strawberry, si voltò di scatto e si diresse alla porta.

Prima che la raggiungesse, si fermò, esitando un attimo prima di guardare Ghish.

Si accorse che tra loro tre, lui aveva più bisogno di attenzioni al momento, ma invece di tornare da lui, reagì ad un ultimo pensiero soffocato.

Ha bisogno di lei.

Perciò, senza sapere con esattezza se il ragazzo era cosciente o no, schizzò fuori dalla porta, correndo a casaccio lungo il corridoio e giù per le scale.

Riuscì ad afferrare Strawberry per un braccio proprio mentre la mano della ragazza toccava la maniglia.

L’effetto fu così allarmante che quasi la lasciò andare.

“Lasciami!” strillò Strawberry, la voce era un isterico grido acuto, mentre cercava di divincolarsi dalla presa di Lory.

L’altra ragazza non seppe mai come fu in grado di trovare la forza per trattenerla, ma ce la fece.

Forse fu a causa della sola verità che risuonava nella sua mente: ha bisogno di lei.

Quella lei doveva essere Strawberry.

Strawberry e Ghish.

Doveva essere lei  quella che doveva ritornare di sopra per occuparsi dell’alieno. A quel punto era tutto quello che, per Lory, aveva un senso. Era ciò che la obbligò ad alzare la voce con un nuovo volume che superò i singhiozzi che Strawberry aveva ricominciato ad emettere mentre continuava a divincolarsi.

“Strawberry! Smettila!”

Proprio come Lory era apparsa stupita della sua uscita, così Strawberry cadde nel più assoluto silenzio all’udire la forza nel tono della ragazza con il DNA della focena.  Guardò il volto dell’amica e altrettanto rapidamente abbassò gli occhi, mentre una vergogna improvvisa la afferrava ed il labbro le tremava.

“No!” disse con voce strozzata, “Devo andarmene. Io— Io devo uscire… andare via—”

Lory si addolcì, anche se la sua stretta rimase salda.

“Strawberry,” azzardò, mentre la sua compostezza ritornava e Strawberry rimaneva ferma, “so che vuoi seguire Mark—”

Strawberry ebbe una specie di fremito a quelle parole, e Lory esitò per alcuni istanti. Quando proseguì, lo fece dicendo ciò che riteneva che l’altra ragazza volesse sentire. Ignorò il fatto che non coincidesse con i suoi pensieri in quel momento. Si preoccupò soltanto di calmare Strawberry abbastanza da farle tornare la ragione.

“So che vuoi trovarlo, ma Ghish,” esitò su quel nome quando Strawberry inspirò bruscamente “ha bisogno del tuo aiuto.” Proseguì, in quello che riteneva fosse il tono più rassicurante che aveva.

“Devi andare su ad aiutarlo, anche se non lo a—”

“No!”

Questa volta le parole uscirono come un grido e Lory la lasciò andare. Strawberry, comunque, non corse via. Strinse i pugni, digrignando i denti e fissando  prima il pavimento, poi sforzandosi di fissare il suo sguardo e tutta la sua disperata frustrazione su Lory.

La sua amica dai capelli verdi adesso sapeva che avrebbe dovuto seguire i suoi istinti riguardo gli alieni e le Mew Mew. Sapeva che ciò che pensava che Strawberry volesse sentirsi dire dopo aver visto Mark, non era quello che voleva sentire lei.

Per niente.

Sapeva anche che ciò che aveva visto, ciò per cui aveva segretamente sorriso il giorno precedente o giù di lì non era solo un suo stupido volo di fantasia, o la sua immaginazione, o qualche bizzarro risultato del suo costante desiderio di pace.

Le lacrime negli occhi di Strawberry, quelle che stavano lentamente rotolando lungo le sue guance, l’ansiosa tensione in ogni muscolo del suo corpo: ogni cosa colpì le osservazioni di Lory e le spinse in un mondo di fredda, dura realtà.

Tutto ciò, comunque, non fece un lavoro buono quanto la successive frase che lasciò le labbra di Strawberry:

“Io lo amo!”

Entrambe le ragazze rimasero in silenzio, Strawberry si lasciò cadere contro la porta, semi svenuta, mentre quelle parole diventavano una dichiarazione.

Non c’erano più doppi sensi.

In quel momento, Strawberry non era più riuscita a sussurrarlo con cautela nella sua mente. Non era riuscito a lasciarlo come un’affermazione mormorata ad un alieno dormiente, senza essere udita da nessun altro, negando una piena garanzia della verità. Non poteva fingere che non fosse mai successo.

Non poteva correre dietro a Mark e dirgli che si era sbagliato.

Le parole erano appena state gridate con la piena forza della sua volontà, e non era più possibile per ritirarle.

Il suo primo pensiero al riguardo?

Non gliene importava.

Mentre respirava lentamente, a fondo, tentando di calmarsi, si accorse che non le importava se Lory aveva appena sentito.

Pensava che non gliene sarebbe importato se Ryan avesse sentito.

Accidenti.

Era vero.

Ridacchiò debolmente, un’unghia batteva con leggerezza sulla porta mentre lei tornava a stringere il pugno, chiudendo gli occhi e lasciando che quell’affermazione rifluisse dentro di lei, combattendo l’incertezza nata dalla visita di Mark.

“Lo amo.”

Lory lasciò che le braccia le ricadessero lungo i fianchi.

“Ma…” Strawberry sussurrò, gli occhi diretti verso il pavimento, “Ancora… l’ho sempre…”

“Strawberry.”

La ragazza alzò lo sguardo.

“L-lo sapevi, vero? Hai visto.”

“Io…Io non voglio…” Lory si interruppe, torturandosi debolmente le mani, mentre Strawberry prorompeva in una sorta di triste risatina.

“Ma sapevi… sapevi, anche se non l’hai detto… eppure io… li amo entrambi. Come—“

Si interruppe, con la voce che le tremava, minacciando di scoppiare in lacrime. Di nuovo, era vicina alla crisi isterica, e di nuovo, la sua mano andò alla maniglia. Proprio come prima, Lory la fermò. Questa volta, comunque, la sua voce era l’esatto opposto di quella che prima aveva lasciato Strawberry spiazzata. Adesso, la ragazza con il DNA del gatto allontanò la mano dalla porta al suono di quel rassicurare calmo e gentile.

“Non puoi ancora soffermarti su questo argomento.”

Questo la fermò dal toccare la maniglia.

Lui ha bisogno di te adesso.”

Questo la fece voltare, portando un sorriso di gratitudine sulle sue labbra.

Lory le restituì il suo tipico sorriso timido.

“Hai ragione.”

Lentamente, tornarono al piano di sopra.


Ghish si era appena accorto delle due ragazze che lasciavano la stanza.

Appena, perché dopo che Mark aveva colpito la sua ferita, il dolore si era diffuse lungo la sua spalla ed il suo petto, in una tremenda agonia che aveva prosciugato tutte le sue forze.

Mark…

Quel…

Quel bastardo!

Il fatto che quello fosse l’unico pensiero che la sua mente esausta potesse articolare era solo una prova del suo profondo odio per il ragazzo umano.

Aveva portato via Strawberry.

Di nuovo.

Di nuovo, quando le cose cominciavano ad andare così bene.

Ghish aveva pensato…

…ma adesso si sentiva così stupido per averlo fatto.

Quella era stata la seconda idea ad essersi affacciata nel dolore.

Aveva sperato, aveva sperato così tanto che in qualche modo, in tutta questa terribile situazione in cui si era cacciato, lei avesse visto come il ragazzo fedele quale era. Aveva pensato che avrebbe visto ciò che aveva fatto, perché era venuto da lei, quanto avesse bisogno di lei…

Avrebbe pianto se non fosse stato così affaticato. Dato che quella era la situazione, riuscì solo ad emettere un flebile, tremante sospiro.

Stupido… stupido, stupido…heh…

Che idiota era stato a pensare che qualcosa sarebbe cambiato...

Certo che aveva seguito Mark. Quale ragazza non l’avrebbe fatto?  Come poteva una qualsiasi ragazza con anche un minimo accenno di intelligenza non bramare quel ragazzo? Era perfetto.

Così dannatamente perfetto.

Ghish voleva ridere, nonostante la situazione fosse così triste.

Era buffo, si rese conto all’improvviso in un colpo di disperazione, che lui avesse provato a vincerla contro quel ragazzo. Non c’era davvero alcuna possibilità. Si ricordava di Pai che gli diceva quanto fosse illogico tutto ciò.

Aveva ragione…

Perché Strawberry avrebbe anche solo dovuto prendere in considerazione di scegliere lui invece della totale perfezione di Mark? Cosa avrebbe potuto persuaderla ad accettare un alieno che stava provando a distruggere il mondo invece di un semplice, buono, affettuoso umano che avrebbe fatto di tutto per lei?

Non ce n’era motivo.

Per niente…

Tranne per il fatto che…

La amo.

Dannazione... dopo tutto quello che era successo la amava ancora.

Perché non riusciva a vederlo?

Perché non riusciva a ricambiarlo?

Perché… perché l’aveva lasciato, dopo…

….dannazione, ne era stato così sicuro…

Era stato idiota, ingenuo, pensare che quei tocchi fossero sinceri, che fossero… affettuosi?

Una debole risatina senza gioia gli sfuggì dalla gola. Apparentemente sì.

Sì, non importava quanto avesse sperato, non importava come gli fosse sembrato che la ragazza lo incoraggiasse, si era sbagliato.

Doveva essere così: Strawberry se n’era andata, no?

Ma allora... perché lo aveva protetto? Perché aveva mandato via Mark?

No…no, non l’ha fatto. Lui deve aver pensato… eh, deve aver pensato quello che ho pensato io... e lei è andata ad aggiustare tutto. Se lo sta riprendendo

Doveva essere così. Sì.

Ghish chiuse gli occhi, un po’ in totale disperazione, un po’ perché l’intera faccenda lo aveva derubato di quasi tutta l’energia.

e adesso… e adesso cosa…?

Desiderò di potersi alzare. Di potersi alzare ed andare via. Che senso aveva rimanere?

Non voleva rivederla: non dopo questo. Non voleva affrontare quella delusione nel modo più diretto. Non voleva vedere i suoi occhi, forse pieni di una furia veemente per il dubbio che tutta quella situazione doveva aver insinuato in Mark.

Prese un profondo, rumoroso respiro, il più vicino possibile ad un sospiro che gli potesse venire.

Perché ne era stato così certo?

Era questo uno degli scherzo crudele dell’universo, riservato solo per lui?Yes.

Doveva essere così.

E adesso era destinato ad aspettare finché quella ragazza non fosse tornata a confermare soltanto quanto fosse stato idiota.

Eh… ecco che se na va la possibilità di dire a Pai che aveva sbagliato…

Questo disegnò sul suo volto pallido una sorta di sorriso ironico e amareggiato mentre raccoglieva le sue forze per tirarsi su sui gomiti, l’aria che gli mancava in una silenziosa agonia mentre il movimento aggravava la ferita che Mark aveva colpito.

Forse… forse se provo davvero… posso teletrasportarmi fuori da questa stanza prima che lei ritorni…forse…prima… con lui…

In quell’attimo di lotta, riuscì a sedersi contro la testiera, ansimando pesantemente, tentando lentamente di ignorare i ricordi di quanto meravigliosamente si era sentito l’ultima volta che si era seduto così, sonnecchiando addosso a…

Basta, idiota... devo andarmene…

Provò, ma i suoi arti stavano tremando troppo violentemente.

Ghish non riuscì a fare un altro movimento che la porta si aprì lentamente.


Lory rimase fuori dopo una richiesta sussurrata da Strawberry, guardando ansiosamente mentre la ragazza con il DNA del gatto rientrava nella stanza.

La prima cosa che notò quando chiuse in silenzio la porta dietro di sé, fu che l’alieno era seduto, e questo le fece spuntare un sorriso debole ma sollevato sul volto. Stava per parlare, per dire il suo nome, quando si accorse che le sue braccia stavano tremando violentemente nello sforzo di rimanere in quella posizione. Le sue labbra si separarono, e la ragazza stava per rinunciare a pronunciare il suo nome per dirgli di sdraiarsi prima che si facesse ancora del male, ma le sue osservazioni non terminarono lì.

Seppe all’improvviso, solo osservando i suoi occhi, che non si stava solo sedendo per il gusto di farlo. Riconobbe nei suoi occhi quella stessa emozione che era scorsa attraverso lei solo pochi minuti prima.

Voleva fuggire.

Il sorriso svanì: la sua espressione assunse lo sgomento dello shock.

“Ghi—“

“E-ehi, micetta,” la interruppe lui, con la voce che tremava lievemente sotto lo sforzo della spossatezza, ma le sue labbra di stirarono in uno dei suoi caratteristici sorrisetti, e provò persino a farle la sua tipica risatina, non importava quanto gli avesse fatto male alla gola.

“Dov’è…” esitò lì, solo per un momento, e Strawberry seppe, anche nel suo stupore gelato, che il suo sorrisetto si era fatto più largo solo per nascondere il dolore che quel nome gli causava, un dolore più forte di quello della febbre e della ferita messi insieme. “Dov’è Mark?”

Lei non disse niente, lo fissò soltanto, con le mani totalmente afflosciate lungo i fianchi. Questo lo confuse per un momento: non stava reagendo proprio come si era aspettato. Aveva appena seguito Mark, no?

Forse… forse…

No. No, era ridicolo.

L’aveva seguito, di sicuro. Sì. Doveva  averlo appena seguito.

“Pensavo di andarmene da qui,” proseguì, riuscendo in qualche modo a portare le gambe oltre il bordo del letto, trovando un’energia che Dio solo sapeva da dove gli veniva. Probabilmente dalla disperazione di voler fuggire dagli occhi della ragazza e da ciò che, lui credeva, si celava dietro essi.

“Ti ringrazio per l’aiuto e tutto il resto, ma dovrei andarmene, non credi? E’ tempo che trovi un altro po’ di Acqua Mew, che devasti qualcos’altro… sai. Tutte quelle cose divertenti.”

Strawberry non sapeva cosa la nauseava di più: il fatto che lui stesse sforzando così il suo corpo, o il fatto che lui pensasse...

Che lui pensasse...

Lui...

“Idiota.”

All’inizio, Ghish non reagì in alcun modo a quel termine, perché era stato sussurrato con tanta flebilità che la ragazza stessa si era appena accorta che gli fosse uscita dalle labbra. Lui non udì assolutamente niente e continuò a tirarsi su, preparandosi ad alzarsi. Il ragazzo aveva appena iniziato a porre di nuovo il proprio peso sui piedi quando la voce di Strawberry trovò finalmente abbastanza potenza da essere udibile.

“Idiota, idiota, idiota…”

Dapprima sussurrata, poi mormorata, la parola cominciò ad andare a tempo con i passi della ragazza, mentre quest’ultima attraversava la stanza. Di nuovo, Ghish la ignorò.

Non era in accordo con la situazione che si era appena creato mentalmente, perciò la ignorò.

Non ignorando che ciò voleva dire…

Sapeva che cosa voleva dire era troppo bello per essere vero, perciò ignorò la nota disperata nel suo tono, ignorando la debolezza nella sua andatura mentre si avvicinava a lui.

La ragazza si fermò di fronte all’alieno, gli occhi che scavavano in quelli di lui mentre si metteva in piedi, con le gambe tremanti anche se leggermente, ed il sorrisetto ancora al suo posto mentre si preparava a passare oltre lei.

Non riuscì neppure a muoversi di un millimetro.

Idiota!”

Lei lo schiaffeggiò.

Non fu uno schiaffo violento. Non voleva fargli del male.

Era davvero l’ultima cosa che voleva fare. La sola idea non era nemmeno nella sua testa, ma se ci fosse stata, l’avrebbe nauseata.

Lo schiaffo voleva solo far andare via dalla sua mente l’idea di andarsene, e ce la fece stupendamente. Ghish rimase così profondamente stupito che le sue ginocchia cedettero e lui cadde al suolo, riuscendo appena a sorreggersi con una mano, mentre con l’altra si toccava cautamente la guancia che bruciava.

La sua mente si annebbiò: totalmente e assolutamente. Non gli aveva offerto niente, nemmeno una minima risposta da dare alla ragazza, che si era messa silenziosamente in ginocchi davanti a lui. Lentamente, appena riprendendosi dallo shock, l’alieno si accorse che lei stava tremando, tanto violentemente quanto lui. Quando la ragazza sollevò gli occhi per guardarlo, lui si rese conto che stava sorridendo.

Non era quel solito sorrisetto che aveva assunto lui nel disperato tentativo di provare ad entrambi che aveva accettato ciò che aveva visto come la fine. No, mancava di  quell’ansiosa nonchalance: mancava di quella sfumatura di disperazione così disperatamente celata.

Ed i suoi occhi…

Non sapeva come dirlo.

Ghish era così gelato da una pura confusione che semplicemente non sapeva come dirlo. Riuscì solo a lasciar cadere la sua mano verso il basso, mentre il suo sguardo restava focalizzato su quello di lei. Lentamente, gli occhi della ragazza cominciarono a riempirsi di nuove lacrime: le sue labbra tremavano anche se il sorriso rimaneva.

L’alieno desiderò avere la forza per alzarsi. Tutto ciò che riusciva a vedere era l’inizio di una delle cose che aveva imparato ad odiare fin da quando era andato a stare dalla ragazza.

Pensò che Strawberry stesse per piangere.

Perciò fece l’unica cosa possibile: cercò di voltare la sua testa. In effetti ciò fu utile per due ragioni.

Era un tentativo per evitare le sue lacrime, e uno per nascondere l’angoscia che infuriava in lui.

Strawberry lo vide provare a fare questo. Lo vide rompere il contatto visivo, lo vide cominciare a voltarsi e si affrettò a parlare, sapendo che doveva cancellare quella pesante tristezza sul volto dell’alieno. Immediatamente si accorse che le parole non le sarebbero servite a niente.

Le parole, in quel momento, erano inutili. Lui era caduto oltre il loro raggio d’azione.

Caduto, a causa sua. A causa della sua incoscienza. A causa della sua mancanza di buonsenso, della sua volubilità, della sua avventatezza.

Doveva rimediare. Doveva, e sapeva che le parole non potevano allontanare quella tristezza che lui stava tentando di far passare per spavalderia.

Mentre una lacrima solitaria le colò lungo la guancia, lei sapeva che c’era un modo per bandire quelle idee dalla sua mente. C’era un modo per riparare al danno che la sua fuga aveva causato.

La cosa più fantastica al riguardo, più liberatrice, più calmante, più tenera fu che non esitò a farlo.

Neanche per un istante.

Non ebbe esitazioni nell’avvicinarsi e nel voltargli la faccia verso di lei, posando la sua mano morbida sulla sua guancia accaldata, non ebbe esitazioni quando lo sentì appoggiarsi alla sua mano anche se molto leggermente, nessun dubbio a godere di quel tocco anche mentre quelle distruttive ipotesi sulla sua scelta perduravano.

Niente la fermò quando si mise più vicina a lui, ascoltando il suo respire, ancora debole, ma che si fece più chiaro, più forte, quando lei strinse l’altra guancia con l’altra mano, accarezzando dolcemente il punto in cui l’aveva schiaffeggiato in una silenziosa richiesta di scuse, priva di parole.

In tutto quel tempo, i suoi occhi erano rimasti fissi su quelli di lui, guardando la leggera danza in quelle iridi dorate, volendo allontanare la vergogna, il dubbio e la frustrazione dalla loro profondità, mentre i primi leggeri ciuffi della sua frangia le solleticavano la fronte. Avvicinandosi ancora di più, sempre di più, finché non sentì più ciocche dei suoi soffici capelli Verdi, ma il calore della sua fronte contro la sua.

Per alcuni istanti, rimasero così, come congelati nel tempo, mentre Strawberry spingeva delicatamente la sua consapevolezza verso quella sensazione, quel piacevole formicolio di affetto che derivava dal sentire la sua pelle, troppo calda ed umida per il sudore provocato dalla febbre, ma ancora innegabilmente liscia, morbida, perfetta contro la sua. Poteva sentire il suo respiro accelerare come se si fosse accorto di quello che stava per fare. Una nuova luce, una molto più brillante e più forte dell’opaco splendore della disperazione, illuminò i suoi occhi.

Ghish era…

Riusciva solo a rimanere perso nel suo sguardo gentile e confortante, perso nella vertiginosa sensazione dei suoi occhi così vicini ai suoi, dei suoi capelli che si mischiavano ai suoi, della sua fronte che applicava una lieve pressione sulla sua, delle sue labbra…

Nel secondo che ci volle al suo cuore per perdere un battito vedendo quanto era piccolo lo spazio tra le loro labbra, Strawberry lo eliminò.

In un singolo istante, le labbra della ragazza si premettero teneramente su quelle dell’alieno, ed i loro occhi si chiusero mentre entrambi, inconsciamente si buttavano nel loro primo vero bacio.

Se il momento precedente era sembrato lungo, questo durò una benedetta eternità.

Quando la ragazza alla fine si allontanò, prendendo un respiro tremante mentre lottava per impedire ad un’improvvisa vertigine di sopraffarla, gettò uno sguardo agli occhi di Ghish e ne fu immediatamente catturata.

Non erano più offuscati dallo sconcerto o dalla delusione.

Non appena le loro labbra si erano toccata, tutto ciò era svanito e ora, guardandolo negli occhi, rimase attonita per la loro intensità.

Qualunque cosa avesse intenzione di dire le morì in gola quando vide l’amore che quei terribili sentimenti di dubbio avevano lasciato nella loro scia.

Amore… un così sincero, appassionato  amore…

La ragazza era così assorta che non riuscì a negargliene un altro, e quando lui le prese il volto tra le mani, facendo scorrere delicatamente le sue unghie lunghe sulle sue tempie, quando le loro labbra si incontrarono di nuovo con una gentile pressione che lasciò entrambi totalmente senza parole, riuscì a trovare un unico pensiero che occupava la sua mente:

E’ fantastico.

Era semplice, ma era tutto ciò che sapeva che potesse articolare i suoi sentimenti quando si separarono di nuovo.

Era così fantastico da farla piangere.

Con lo sguardo ancora sul volto dell’alieno, cominciò a piangere in silenzio, con le lacrime che colavano lentamente lungo le sue guance e le cadevano in grembo.

Ghish osservò passivamente all’inizio, con la mente ancora nel reame di pochi secondi prima, ma si accorse presto che lei stava facendo quella cosa che lui odiava vederle fare, e la ragazza lo vide presto cercare di asciugarle le lacrime con mano gentile.

Questo la fece solo piangere di più, con leggeri piagnucolii che le sfuggivano dalle labbra mentre le spalle le cominciavano a tremare.

Un momento dopo, si trovò avvolta dall’abbraccio del ragazzo, appoggiata alla pelle nuda del suo petto, e sorrise tra le lacrime, perché si accorse quanto innegabilmente bello fosse stare lì con Ghish, respirare il suo profumo alieno, ma anche caldo e confortante, sentire le sue mani, spesso così veloci e crudeli in battaglia, adesso compassionevoli e ferme lungo la sua schiena.

“Io… credo di essermi sbagliato, vero?” era più un’affermazione che una domanda, e venne mormorata con un tono così basso che Strawberry dovette alzare lo sguardo ed accertarsi che era davvero l’alieno a parlarle. Il suo sorriso si ingigantì soltanto quando incontrò di nuovo i suoi occhi.

“Sì, direi che è così.”

Un silenzio confortevole regnò finché Strawberry non deglutì piano, con il sorriso che si fece incerto quando una lieve umiliazione entrò nel suo sguardo.

“Ghish… mi dispiace, per…”

“Onestamente, gattina, penso che tu abbia rimediato,” replicò lui immediatamente, strofinando il naso nei suoi capelli e facendole scappare un risolino.

Nel mentre, gli occhi della ragazza si posarono sulla fasciatura e lei pose leggermente una mano sul suo petto.

“Fa ancora male?”

Ghish fu momentaneamente colto alla sprovvista da quella domanda, che arrivava in maniera apparentemente casuale, ma finì con l’essere piuttosto sollevato che fosse stata posta. Faceva ancora male e lui sussultò quando si ricordò della sua presenza.

“Un po’.”

Strawberry si morse un labbro guardando il punto, non solo per il fatto che gli causasse ancora dolore, ma anche perché era riuscito a ricordarle del suo creatore. Questa volta, però, il suo pensiero non fu spedito in un angolo oscuro della sua mente in attesa. Ora poteva fare poco per bandirlo: era troppo tardi.

Quel momento e lo scontro erano intrecciati per sempre nella sua memoria: il tempo per farci i conti era…

“Strawberry?”

Lei alzò lo sguardo, sorpresa, ad incontrare quello di Ghish, addolcendosi immediatamente alla preoccupazione che esprimeva. Improvvisamente, si oscurò ed il tono del ragazzo divenne un briciolo più teso.

“E’—?”

Quando lei scosse la testa lui si interruppe: il sorriso rassicurante di lei lo fece rimanere in silenzio.

“Non importa adesso” rispose lei rendendosi conto che effettivamente non importava. Non riusciva a pensarlo, non poteva dirlo ad alta voce e soffrire solo la minima fitta di incertezza. Avrebbe dovuto fare i conti con quell’incertezza, ma non aveva bisogno di farlo in quel momento. Più tardi, ne avrebbe parlato con Lory, ne avrebbe parlato con… ne avrebbe parlato con Mark…

Dio, doveva ancora parlare con Mark.

Il cielo solo sapeva a cosa avrebbe portato quella conversazione.

Nessuno poteva sapere… eppure, mentre guardava il suo paziente alieno, vide che davvero non importava in quel momento. Proprio come Lory aveva detto, c’erano cose più important di cui preoccuparsi…

“Pensi che potremmo cambiare la benda ora?” Ovviamente, la ragazza voleva dire che avrebbe preferito lavare per bene la ferita in bagno.

L’alieno le lanciò un sorrisetto beffardo.

“Penso che non potrei camminare nemmeno se la mia vita dipendesse da questo.”

Per qualche strana ragione, quel commento strappò una risatina a Strawberry, ma lei si calmò rapidamente, avvolgendo con cautela un braccio intorno alla vita dell’alieno ed aiutarlo ad alzarsi lentamente. Lui si appoggiò a lei pesantemente, finché non fu in grado di sdraiarsi cautamente e Strawberry, dopo essersi assicurata che fosse comodo, tirò le coperte sopra di lui.

Una volta che gli fu permesso di sdraiarsi, il ragazzo apparve incredibilmente stanco se paragonato a quanto vigile era stato solo pochi moment prima, e Strawberry si accorse che probabilmente aveva lottato contro la sonnolenza provocata dal medicinale sia durante la visita che durante la loro… interazione di alcuni momenti prima. Il pensiero la obbligò a dargli un’ultima tenera carezza sulla guancia prima di tirarsi su.

“Allora… penso che ti sveglierò più tardi?”

“Mmm…”

Strawberry nascose un sorriso per quanto velocemente si era alzata la sua spossatezza.

“Ehm, Strawberry?”

“Sì?”

“Potresti restare per un po’…?”

Di nuovo comparve quel piccolo dolce sorriso. “Sicuro.”

A quelle parole, Ghish si sentì abbastanza calmo da addormentarsi e Strawberry si mise sulla sedia della sua scrivania, emettendo un sospiro piuttosto forte.

Quanto tempo era passato, un’ora?

Come diavolo avevano fatto le cose a complicarsi così nel giro di un’ora?

E cosa avrebbe fatto al riguardo?

Oh, era stato semplice quando c’era stato solo Mark... dolce, affettuoso, leale Mark...

Ma poi… sorrise appena… quegli ultimo minuti non erano stati per niente male.

Come riconciliarli? Come avrebbe accettato due strade totalmente opposte?

Non lo sapeva. Non lo sapeva, ma sapeva quanto orribilmente aveva complicato la situazione con le sue mani.

Per qualche ragione, però, questo non la faceva piangere adesso.

Quel bacio… quel bacio….

Aveva confermato la presenza di due amori. Mark non aveva torto errore. Ma allora, anche Ghish non aveva torto a pensare che lei amasse Mark.

Strawberry si mosse il labbro. Beh, non aveva senso cercare di capire adesso.

Sorrise debolmente, guardando Ghish che dormiva beatamente. No, non aveva senso.

Non poteva rovinare quell senso di salvezza e conforto così presto dopo che era stato ottenuto. Per il momento... avrebbe semplicemente seguito quei nuovi sentimenti per il ragazzo alieno e…

No!

Cosa stava pensando?

Stava con Mark.

…per qualche ragione, quell’affermazione non suonò forte come una volta...

Era stato così bello, con Ghish...

Ed aveva Saputo, dal momento che lui era venuto da lei, che qualcosa sarebbe cambiato…

Con un altro sospiro, si alzò, pizzicandosi piano un le dita.

Non c’era niente da fare per quella situazione al momento, no? Ma più tardi avrebbe dovuto parlare con Lory. Quello era certo. Forse dopo che Ghish avesse ricevuto la sua prossima dose, dopo che avesse ripulito la sua ferita di nuovo e gli avesse dato qualcosa da mangiare… Sì. Poteva attendere fino ad allora.

Mark… aspetta, per un po’…

Seppe, improvvisamente, che non poteva porre una fine a quella situazione con una rassicurante conferma del suo amore. Quello… quello la spaventava.

Eppure…

Scosse la testa. Se non si fosse fermata, sarebbe potuta ritornare a quei tremendi pensieri ed alle lacrime, ed una performance speculare del suo tentativo di fuga non era quello di cui c’era bisogno.

Più tardi, ci avrebbe pensato su, avrebbe chiesto a Lory, e…

In un attimo, i suoi occhi si spalancarono.

Lory!

La ragazza gatto corse alla porta, la aprì rivelando semplicemente una Lory piuttosto sconvolta in piedi nel corridoio. Sorprendentemente, fu la ragazza pesce a ritrovare la voce per prima.

“Allora… com’è andata?”

“Eh…” Strawberry sorrise nervosamente, “lui è, ehm, tornato a letto…”

Lory poté solo annuire prima che un sorriso le sollevasse le labbra.

“Strawberry…”

“S-sì?”

“Questo... questo significa che adesso stai con lui?”

Il volto di Mark le comparve come un flash nella mente, e per un attimo, esitò. Poi, altrettanto improvvisamente, il volto di Ghish seguì quell’immagine, e ritrovò il suo sorriso.

“Sì.”

Per adesso almeno.

E forse…

FINE DEL CAPITOLO

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Capitolo 19
*** Grazie Ghish ***


CAPITOLO 17

 “Ehi, Pai?”

L’unica risposta fu il silenzio, rotto occasionalmente dal leggero ticchettare delle dita sulla tastiera.

“Ehm, Pai…”

Ancora nessuna reazione.

“Oh! Pai!

Cosa, Tart?”

“Hai tipo digitato male le ultime dieci righe…”

Pai sbatté le palpebre lievemente sorpreso, prendendosi un momento per osservare lo schermo traslucido ed accorgersi che, in effetti, aveva inserito in modo scorretto l’ultimo blocco di equazioni di ricerca. Sbatté di nuovo le palpebre, emettendo un flebile grugnito prima di premere un altro pulsante osservando i simboli svanire. Fissando con sguardo piuttosto vacuo lo schermo del computer, emise un lungo, silenzioso respiro.

Non era da lui, ovviamente, fare qualcosa così soprappensiero come inserire dieci righe intere di codice senza rendersi conto che erano dieci righe errate.

Certamente non era da lui aver bisogno che Tart lo risvegliasse da una stupida trance in cui non sarebbe dovuto essere.

E, diavolo, certo che non era da lui abbandonare la ricerca quando era appena mezzogiorno.

Con quel pensiero destabilizzante in mente, spense il computer poi si voltò a guardare un ansioso Tart.

“Non hai qualcosa da fare?” chiese all’alieno più giovane, non in un tono infastidito, ma con una voce scialba segnata da una profonda fatica.

Come se facesse l’eco al suo amico più grande, Tart si mosse, un po’ a disagio.

La verità era che nessuno dei due si era comportato in modo particolarmente normale dall’incontro tra Pai e Lory. Non appena quella dura prova era stata portata a termine, Pai aveva provato a tornare a lavorare normalmente, ma l’aveva trovato sempre più difficile, mentre l’iniziale curiosità di Tart al riguardo aveva lasciato spazio ad una depressione alimentata dall’assenza del loro compagno. All’inizio, il più giovane  si era lamentato, ma dopo un po’, i suoi piagnucolii si erano affievoliti diventando commenti occasionali che avevano gradualmente perso la loro forza finché non si erano totalmente trasformati in una rigida sorta di silenzio.

A quel punto, il sollievo di Pai per aver dato alla Mew dai capelli verdi la medicina si era esaurito, e lui si era accorto che i suoi normali doveri erano diventati più simili a faccende domestiche che mai: quell’errore nell’equazione era solo una della serie di distrazioni che aveva compiuto nel suo lavoro.

Sospirò internamente.

Ed era passato un solo giorno.

Forse poco più.

Eppure, non era un lasso di tempo abbastanza lungo per cominciare a preoccuparsi di nuovo. Aveva dato la medicina solo un giorno prima… un giorno… aveva fatto tutto quello che poteva, no? Ma certo che sì. Non sarebbe potuto rimanere a guardare il suo camerata per un periodo di tempo troppo lungo. Aveva osservato finché aveva potuto, poi se n’era dovuto andare. Se non l’avesse fatto, Profondo Blu avrebbe potuto sospettare qualcosa.

Eppure in quel momento, guardando l’espressione supplicante negli occhi di Tart, non poté non sentir vacillare la sua logica.

La sua logica era sembrata bizzarramente debole fin da quando aveva lanciato alla ragazza la fialetta.

Avrebbe dovuto essere in grado di mettere da parte quell’azione, insieme alla sua preoccupazione, ma ciò non era accaduto. Convincersi che le probabilità di guarigione di Ghish si erano fatte più alte era più facile a dirsi che a farsi.

Per quanto fosse riluttante ad ammetterlo, si preoccupava per i suoi compagni. Erano, in fin dei conti, tutto ciò che aveva in quella missione, e non importava quanto fosse concentrato sui suoi obiettivi, non importava quanto leale rimanesse nei confronti di Profondo Blu e quanto obiettivo tentasse di essere, non poteva negare che aveva cominciato a preoccuparsi per loro. Era una circostanza sfortunata ai fini della missione, ma era vero.

Da qualche parte nella sua mente, aveva cominciato a connettere il suo essere il più grande ed il più mature, con un bisogno di proteggere gli altri due. Non era sicuro di quando fosse successo, ma sapeva che era già presente quando una disperazione schiacciante lo aveva colpito dopo che Ghish era sembrato perduto. Un rapida conferma era venuta dal suo sollievo nell’essersi in qualche modo redento dando la fiala a Lory.

In quel momento, quella consapevolezza aveva solo enfatizzato il suo crescente disagio.

Certo, aveva dato all’altro ragazzo la medicina di cui aveva bisogno, ma non sembrava abbastanza.

Ogni volta che cercava di ignorarlo, riusciva solo a pensare all’ultima immagine che aveva di Ghish: respirava dolorosamente, era appena in grado di dormire a causa della sua sofferenza, si aggrappava ovviamente alla vita con una presa che si indeboliva sempre di più.

Sapeva  che la medicina avrebbe dovuto risolvere quella situazione, doveva risolverla, ma non era abbastanza.

Voleva vederlo di nuovo, punto e basta. Quell’istinto protettivo semplicemente non voleva lasciarlo in pace.

Anche Tart lo sapeva, nonostante i suoi sentimenti, probabilmente, gravitassero più intorno al fatto che gli mancava il fratello maggiore piuttosto che alla preoccupazione dettata da un senso di protezione.

In ogni caso, nessuno dei due alieni era stato in grado di passare l’ultimo giorno immerso nel sollievo che avrebbe dovuto essere loro.

Sostenendo lo sguardo di Tart, Pai scosse la testa in risposta alla domanda che sapeva stava arrivando.

“No, Tart.”

“Ma—!”

Un altro cenno di diniego, e l’alieno dai capelli castani tacque.

Nonostante la sua evidente vittoria, Pai strinse inconsciamente i pugni.

Non importava quante volte l’aveva detto, sapeva che non sarebbe stato completamente in grado di convincere Tart su una qualche sicurezza per il loro amico sofferente.

Adesso sapeva anche, mentre un’ondata di ansia cresceva in lui, che non sarebbe nemmeno riuscito a convincere sé stesso.

Ma doveva convincere sé stesso! Doveva smetterla e tornare alla sua normale routine.

Se non l’avesse fatto, Profondo Blu avrebbe potuto scoprirlo, e se Profondo Blu l’avesse scoperto…

Doveva esserci un modo, un modo semplice per controllare come stesse il ragazzo, ma Pai non riusciva a trovarlo. Non poteva semplicemente teletrasportarsi a casa di Strawberry e mettersi a fare un altro po’ di silenzioso spionaggio: se il suo padrone se ne fosse accorto in qualche modo, sarebbe stata la fine di tutto. Doveva ammettere che guardare Ghish dopo il suo esilio era abbastanza brutto, ma se Profondo Blu avesse scoperto chi se ne stava occupando…

Aveva già corso il rischio quando aveva parlato con Lory e si era teletrasportato con lei. Quel rischio si era solo fatto più profondo con questa pesante depressione che  era calata su di lui nell’ultimo giorno. Pai non poteva fare qualcosa che avrebbe solo accresciuto le possibilità che Profondo Blu li interrogasse. Tart, tanto per dirne una, avrebbe ceduto facilmente, vedendo quanto fortemente sembrava legato a Ghish.

Pai… Pai stesso non era sicuro di quanto bene sarebbe riuscito a mantenere la sua apparenza se interrogato.

C’era semplicemente troppa preoccupazione, troppa incertezza, troppo disagio...

Doveva esserci un modo per calmare tutto quello, ma l’unica cosa che l’alieno riusciva a pensare mentre superava il mesto Tart, mentre si preparava a teletrasportarsi nella sua stanza per provare a riposarsi un po’, era tornare alla casa.

Era troppo rischioso.

Non poteva… dannazione, semplicemente non poteva… se solo avesse trovato…

Se qualcuno avesse potuto aiutarli

Si fermò a metà passo, stupito dalla sua stessa evidente idiozia.

Ma certo.

La ragazza lo aveva fatto una volta. Forse... forse avrebbe potuto calmare la loro ansia un’altra volta?

Ma allora, anche se avesse potuto, come poteva essere sicuro che avrebbe trovato lei e non una delle alter?

Non poteva esserne sicuro. Poteva solo sperare.

Era davvero l’unica scelta.

Nonostante ci fosse un po’ di incertezza, si permise un leggero sorrisetto.

“Resta qui, Tart.”

L’espressione dell’alieno più giovane passò da una di profonda tristezza ad una di confusione assoluta. Sbatté le palpebre. “Perché? Dove stai andando?”

“Dovremmo attaccare, non ti pare?”

“Attaccare? Ora? Ma sei—”

Si fermò, mentre la comprensione gli compariva sul volto. Era sempre stato piuttosto rapido a capire, anche se era ancora piccolo.

“Pai, posso venire? Per favore?” Sì, c’era quella lagna stridula, proprio al momento giusto.

L’alieno più grande scosse la testa in risposta, ma comunque sorrise debolmente a Tart.

“Ti faro un resoconto completo al mio ritorno.”

Tart mise il broncio mentre Pai si teletrasportava fuori dalla dimensione, lasciandolo da solo. Mentre i secondi passavano, comunque, quel broncio si addolcì in un’esitante genere di speranza, mentre brontolava all’aria vuota.

“Bene… ma…ma è meglio che sia un buon resoconto…”


Strawberry stava seduta a mangiare in silenzio.

Anche Lory lo stava facendo, concentrandosi solo a metà sulle verdure saltate nell’olio bollente che aveva preparato per cena.

Nessuna delle due parlava, ma entrambe sapevano a cosa stava pensando l’altra.

In realtà, c’era solo una cosa a cui pensare ed entrembe le ragazze erano assorbite in essa.

L’ho…l’ho baciato…

Due volte.

Lo aveva baciato non una, ma due volte.

Le dita di Strawberry si fecero tese intorno alle bacchette mentre quell’idea affondava di nuovo, per quella che sembrava essere la milionesima volta da quando aveva sentito quelle labbra sfiorare le sue.

Si erano baciati… e lei era ancora viva.

Se non fosse stata così immersa nei suoi pensieri, avrebbe potuto ridere per quanto stupida suonava quella frase.

Eppure, era vero.

Aveva rifiutato il ragazzo alieno così spesso, aveva rifiutato i suoi baci con così tanta convinzione, che il pensiero di essere ancora normale  dopo aver ceduto era qualcosa di shockante.

Eppure, cosa si era aspettata?

Si era aspettata una qualche sorta di apocalisse perché si era voltata totalmente di 180 gradi e… e…

Beh, non esattamente l’apocalisse.

Ad ogni modo, l’aveva baciato e non si sentiva macchiata dall’esperienza. Forse era quello che si era aspettata: una qualche sorta di senso di degradazione, disperazione, bassezza dopo essersi arresa al nemico.

Non fosse stato per il fatto che non riusciva più a chiamarlo nemico.

Non importava quanto duramente ci provasse, quella parola semplicemente non stava bene associata a Ghish. Non poteva, non dopo tutto quello che era successo… non dopo quel tocco, quella voce quegli occhi…

Eppure…

Oh, Mark…

Strawberry strinse le sue bacchette così tanto che perse il contatto. I due sottili oggetti caddero rumorosamente sul tavolo e Lory alzò lo sguardo sulla sua amica, sussultando.

Perché doveva essere così difficile?

“Strawberry.”

La ragazza guardò alzò gli occhi sullo sguardo compassionevole di Lory.

“Vuoi parlarne?”

Lei sbatté le palpebre, agitandosi un po’ sulla sedia.

“Io…”

Lory stava attenta a non forzarla: aveva abbastanza buonsenso. Poteva solo immaginare cosa stava passando Strawberry, dato che lei non si era mai trovata in una simile situazione, ma era incline ad alcune dei dubbi che l’altra ragazza doveva star avendo.

L’intera questione riguardante lo status di Ghish (no, l’ex status, pensò lei) come un nemico era certamente qualcosa da considerare. Il suo status, e quello di Tart. E quello di Pai…

Come cavolo avrebbe fatto ogni cosa a tornare normale  dopo una simile vicenda? Come potevano permettere che Ghish guarisse se ne andasse un giorno e che quello successivo combattesse contro di loro? Non sarebbe stata in grado di fare questo. Lory lo sapeva.

Strawberry sì?

Mentre la sua amica si sforzava di formulare una risposta, Lory si morse in labbro, pensando in silenzio.

Solo pochi giorni prima, avrebbe scommesso la sua vita sul fatto che Strawberry avrebbe combattuto Ghish con tutto ciò che aveva fino alla morte, ma solo un giorno dopo dal suo arrivo lì…

Dopo aver saputo che i due si erano baciati, e che non era stato un incidente…

Era stata una scelta di Strawberry, e non una delle azioni troppo zelanti di Ghish…

Solo quell’idea era abbastanza per confondere e terrorizzare chiunque, e Strawberry aveva ancora Mark di cui preoccuparsi. Lory si sentì male internamente al suono di quel nome. Quel ragazzo… era così semplice quando Strawberry amava lui e lui soltanto. E lei lo amava davvero. Questo era innegabilmente evidente in tutto quello che faceva e diceva.

Fino a tutta quella situazione, Lory aveva fermamente creduto che quell’amore sarebbe rimasto il più forte finché la coppia fosse vissuta, ma adesso

Strawberry amava un altro. L’aveva detto, l’aveva provato.

E quell’altro era Ghish.

Era assurdamente complicato, e Lory non poteva incolpare Strawberry per essere scivolata nel silenzio, cedendo ad esprimere i suoi sentimenti.

Inoltre, cosa c’era da dire?

Li amo… li amo entrambi…

Era così. Li amava entrambi.

Amava Mark come aveva sempre fatto.

Ma adesso, dopo aver visto Ghish al di fuori della battaglia, lontano dalla sua stessa frustrazione, vulnerabile in un modo che lei non avrebbe ritenuto possibile, la ragazza aveva sentito quel nuovo amore.

Adesso, dopo aver visto che lui voleva dire davvero ciò che aveva sempre sostenuto, dopo aver visto che Ghish non era solo il fastidioso alieno pericoloso, volto a distruggere il suo pianeta, dopo aver visto che aveva una mente, un cuore e un’anima… un’anima che aveva già consacrato a lei, anche quando questo l’aveva portato a provare così tanto dolore…

Come non poteva ricambiare l’amore?

Non era senza cuore.

Forse prima era stata solo cieca.

Heh…

Da un lato le mancava quell’inconsapevolezza. Le mancava la sua semplicità.

Dall’altro… non avrebbe scambiato i suoi sentimenti per niente al mondo.

Nonostante il guaio che avevano causato, nonostante il guaio che avrebbero causato, lei non poteva immaginare di doversene privare, non dopo ciò che aveva visto.

Diavolo, c’era ancora così tanto da vedere, così tanto che lei non sapeva.

Come poteva ignorarlo?

Se solo non fosse stato tutto così catastrofico!

“Strawberry.”

Di nuovo, la sua attenzione andò a Lory, che la accettò con il sorriso più confortante  a cui potesse fare appello.

“Non preoccuparti così tanto di questo, ora. Tutto andrà a posto.”

Quelle due frasi suonavano così calme, così sensate che, nonostante la sua situazione, Strawberry scoppiò a ridere.

“Sì,” ridacchiò, mentre un sorriso improvviso le illuminava il volto, “è troppo presto per preoccuparsi adesso, no?”

No… no, no, no…non era troppo presto... con tutto quello che era successo… Mark

Il suo sorriso svanì rapidamente così come era apparso, e Lory abbassò lo sguardo, come se stesse raccogliendo i suoi pensieri, prima di tornare a guardare Strawberry.

“Lo sarà.”

Per qualche ragione, quelle due parole fecero sobbalzare la ragazza-gatto, forse perché erano così sicure di sé.

Quella strana confidenza provocò un sorriso più piccolo e discreto sul suo volto, e lei annuì, quasi come si vergognasse della sua uscita.

Proprio in quel momento, il cellulare di Lory squillò. Ogni tensione rimasta tra le ragazze sparì mentre la ragazza rispondeva. In pochi secondi, comunque, Strawberry scoprì di starsi sentendo stranamente a disagio mentre la voce di Lory diventava tremante ed i suoi occhi si sbarravano leggermente. Alla fine, pronunciò il nome di colui che aveva chiamato, e Strawberry  si irrigidì.

“Ryan, ne sei sicuro? Sì, conosco il posto, ma…sì, ne sei certo? Beh…non so…no, è solo che io…s-stai mandando TUTTE!” Strawberry sobbalzò quando la voce tremante di Lory si trasformò in un grido energico.

“Io…no, n-non c’è niente che non vada, è solo che…” la ragazza si interruppe, mentre una gelida disperazione entrava nei suoi occhi azzurri e la sua presa sul cellulare si rafforzava.

All’improvviso, sembrò aver trovato un’idea. Quale questa fosse, Strawberry non riusciva ad immaginarselo, ma aveva conferito alla ragazza una qualche nuova fiducia, e la sua voce si rafforzò mentre rispondeva a Ryan.

“Ryan, pensi che… ecco, p-potrei occuparmene da sola?” cominciò, balbettando all’inizio, ma guadagnando stabilità mentre continuava. “Sì, so cosa sto chiedendo. Perché? Beh… Strawberry è malata… sì, sta bene. Sono a casa sua e, dal momento che è più vicino da qui, ho pensato che sarebbe la cosa migliore se andassi da sola… Lo so che siamo una squadra, ma io… ti prego Ryan…Io…” Strawberry poteva dire che il ragazzo biondo le stava facendo un sacco di resistenza, e desiderò poter intromettersi e gridare qualcosa al leader del Progetto Mew, ma sapeva che questo sarebbe stato in contraddizione con la bugia che Lory aveva appena detto.

Si agitò, diventando sempre più ansiosap  per la sua impossibilità di aiutare Lory, quando l’altra ragazza sembrò estrarre un asso nella manica di qualche tipo.

“Significherebbe tanto per me, Ryan, farlo per una volta, da sola… so che potrei…” dal silenzio all’altro capo della linea, Strawberry poteva dire che questo aveva sorpreso Ryan tanto quanto lei. Dopo alcuni istanti in cui rimase a fissare Lory confuse, dovette riconcentrarsi sulla conversazione, e non riuscì a non sorridere quando scoprì che la situazione si era capovolta.

“Grazie Ryan. Ti chiamerò se avrò bisogno di aiuto… davvero… sì, faro rapporto… grazie. Ciao!”

Lory spense il telefono, solo per essere bombardata di domande dalla sua amica.

“Allora, cosa voleva? E cosa vuoi dire con il fatto che vorrà dire molto per te? E cosa…?” Strawberry sparò alcune domande in più prima di calmarsi abbastanza da permettere a Lory di parlare.

“Uno degli altri alieni sta attaccando, ad alcuni isolati di distanza da qui.”

Strawberry sbatté le palpebre sorpresa. “Sta attaccando... ma…” All’improvviso, la parola “nemico” riemerse. Eppure, sembrava sbagliata, anche se… ma perché adesso…?

Lory scosse la testa, evidentemente confuse quanto Strawberry. “Non lo so, ma ho chiesto a Ryan di lasciarmi gestire la cosa da sola. Io… Io non so cosa significhi, Strawberry, ma penso che, vista la situazione, dovrei andare a vedere io stessa.” Terminò con un tono pieno di determinazione, e Strawberry sorrise ancora di più, annuendo in segno di approvazione.

“Perciò, credo che questo significhi che andrai?”

“Sì. Tornerò non appena potrò. Ryan mi ha fatto promettere di contattare un’altra Mew Mew se fosse successo qualcosa, perciò, ti prego, tieni vicino il tuo ciondolo.”

“Okay, certo.” Strawberry non sapeva perché, ma si sentiva stranamente calma al riguardo. Qualcosa lo faceva sembrare un po’ diverso da una vera battaglia, e nonostante nessuna delle ragazze fosse particolarmente felice, entrambe sapevano che, in qualche modo, questa non si sarebbe rivelato uguale al solito. C’era una differenza ed entrambe erano curiose di scoprire cosa fosse.

Dopo un rapido saluto, Lory si trasformò e se ne andò, saltellando nella direzione indicatale da Ryan.

Strawberry rimase da sola.

Innanzitutto, pulì i piatti che avevano usato per il loro pasto, piuttosto sollevata per avere qualcosa di monotono da fare invece di doversi concentrare su ciò che era appena accaduto, o su ciò che era accaduto un po’ di tempo prima.

Dopo averlo fatto, comunque, si trovò senza niente da fare e… beh, piuttosto annoiata. Dopo aver dormito così tanto negli ultimi giorni, voleva uscire e fare qualcosa, ma ciò era praticamente impossibile. Lanciò un’occhiata al salotto alla ricerca di qualcosa per tenersi occupata, ma non trovò nulla.

Questo le lasciava un’unica vera opzione: andare di sopra e controllare Ghish.

Erano passate alcune ore, dopotutto, e forse, se avesse provato di più, avrebbe potuto tenere quegli sconcertanti pensieri a bada finché entrambi non fossero stati in salute e calmi abbastanza per confrontarcisi.

Deglutì con difficoltà.

O forse non ci sarebbe riuscita.

Quando aprì la porta il più silenziosamente possibile, si morse il labbro in nervosa attesa per l’imbarazzo che, sapeva, ci sarebbe stato.

Ogni speranza che Ghish stesse dormendo, permettendole di ritardare un po’, fu rapidamente distrutta dalla vista di lui seduto sul letto, che si stiracchiava con cautela sbadigliando quasi comicamente. Quando ebbe fatto, alzò lo sguardo su di lei con una dolce specie di sorriso ansioso, e lei deglutì di nuovo.

“Ehi, Strawberry.”

Va bene… puoi farcela. Andiamo, devi solo sorridere e rispondergli. Lo ami, giusto? Bene, allora sorridi e dì…

“E-ehi Ghish.” Il suo tentativo di rispondere al sorriso fu... patetico. Avvicinandosi al letto e sedendosi sul bordo, pregò che lui non se ne fosse accorto.

Questo era piuttosto stupido.

Il ragazzo l’aveva visto immediatamente.

Mentre riusciva a far sì che il suo sorriso non si spegnesse, Ghish non poté non ignorare la punta di delusione in lui.

Beh, non è che può scordarsi subito di quell’idiota di Mark… ma comunque…

Aveva sperato che tutto sarebbe cambiato. Niente gli sarebbe stato più gradito di un completo cambio di interesse amoroso da parte di Strawberry, ma quella era un’illusione.

Beh… come se potesse mai succedere…

Vero. Non sarebbe successo. Ma c’era ancora una possibilità, no? Le circostanze erano maledettamente cambiate rispetto a prima: lei lo amava adesso.

Lo amava.

L’aveva detto lei stessa, ed ogni volta che si ripeteva quelle parole nella sua mente riceveva un brivido felice. Com’era meraviglioso, associare quella parola a lei dopo che la ragazza l’aveva detta, senza alcun tremor insicuro nella voce, senza alcuna oscura esitazione negli occhi.

Sì, lei lo amava adesso, ed anche se Mark rimaneva nel quadro con tutta la sua irritante persistenza, ora Ghish aveva una possibilità di dimostrarle quanto l’aveva amata per tutto quel tempo. Non lo respingeva più.

Nervosa, spaventata com’era, la ragazza l’aveva riconosciuto ed anche se si rifiutava di innamorarsi pazzamente, questo era abbastanza per permettergli di mantenere il suo sorriso di fronte all’angoscia di lei.

Anche se la voce della ragazza tremava quando lei parlò di nuovo, lui riuscì a mantenere la sua fiducia.

“C-come ti senti?”

Eppure, non gli piaceva quella espressione ansiosa sul volto, e le donò un sorrisetto più ampio, cercando di sottrarla all’imbarazzo.

“Meglio.”

Lei sorrise, e lui poté vedere che stava facendo del suo meglio per calmarsi, ma la ragazza riuscì solo a guardarsi nervosamente le mani.

Anche se sapeva che i piccoli insulti avrebbero fatto poco, non poté fare a meno che il corso dei suoi pensieri prendesse una strada piuttosto familiare:

Quell’idiota di Mark…

Volendo alleviare il suo disagio,sperando di riportare una qualche aria di normalità, cercò di utilizzare le sue punzecchiature scherzose per quella strana situazione.

“Ehi, Strawberry, perché quella faccia? Non se mica tornata qui per dirmi che prima stavi scherzando, vero?”

Anche con quella scintilla maliziosa negli occhi, anche con quel sorrisetto giocoso sulle labbra, anche se cercava di rendere il suo tono quanto più gioviale gli fosse possibile con la sua voce ancora raschiante, l’effetto non si avvicinò neanche lontanamente a quello che lui aveva in mente. Con suo sgomento, tanto che il suo sorriso vacillò, lei alzò lo sguardo su di lui esprimendo qualcosa simile alla disperazione, mentre le lacrime cominciavano a riempirle gli occhi.

Lei sembrò accorgersi che lui stava scherzando e provò disperatamente a rispondergli con un sorrisetto disinvolto, ma quel semplice accento su quel dubbio che stava cercando di evitare con tanta difficoltà fece solo peggiorare la sua angoscia.

“E cosa t-ti fa… ti fa d-dire…” dovette fermarsi: un singhiozzo le stava nascendo in gola.

“Strawberry.”

La ragazza lo guardò.

In nemmeno un battito di ciglia, il ragazzo l’aveva raggiunta ed l’aveva cautamente abbracciata con il suo braccio buono. La testa di lei gli cadde sulla spalla: la ragazza poteva sentire i capelli annodati dell’alieno solleticarle l’orecchio, le sue dita che premevano sulla sua schiena rassicurandola., la sua pelle calda era un morbido contatto contro la sua mentre lui le parlava con un tono così rassicurante, così semplice e premuroso che i suoi occhi si spalancarono all’udirla.

“Non stai facendo niente di sbagliato.”

Lei si irrigidì.

“Non mi interessa quanto ti ci vorrà, Strawberry, ed alla fine, chiunque sceglierai l’importante è che tu sia felice.”

Il labbro di lei tremò.

“Mi basta che tu ti sia presa cura di me. Mi basta che tu mi abbia dato una possibilità.”

La sua voce si abbassò divenendo quasi un sussurro.

“E’ tutto ciò che ho sempre volute veramente.”

Una lacrima scivolò lungo la guancia di Strawberry e sulla spalla di Ghish.

Tutto quello che voleva... questo era tutto quello che voleva…

Quelle parole fecero sì che le sue azioni passate sembrassero molto più stupide, e lei tirò su con il naso mentre alcune lacrime ancora le colavano lungo le guance.

Ogni pensiero riguardo il suo recente atteggiamento nei confronti dell’alieno, il suo allontanamento di Mark per il momento, il suo concedersi un cambiamento, semplicemente scomparvero.

Mio Dio… sarebbe disposto a… sarebbe davvero disposto a…

“Grazie Ghish,” mormorò. Era tutto quello che poteva pensare di dire, tutto quello che c’era da dire in risposta a quel gesto di compassione. Chiuse gli occhi per un momento, improvvisamente desiderosa di prendere tempo per godere della sua pelle liscia, del tocco della sua mano sulla schiena.

Questa volta, il sorriso le tornò con più facilità, e rimase mentre i secondi passavano  e le nauseanti domande svanivano dai suoi pensieri. Lentamente, Strawberry si rilassò accanto al ragazzo, finché la voce di lui non spezzò di nuovo il silenzio.

“Ma tra me e te, penso di essere quello di più bell’aspetto,” sussurrò nel suo orecchio prima di mordicchiarlo leggermente, con grande stupore della ragazza.

E questa volta, lei si assicurò di reagire in modo opportune al suo umorismo maligno.

“Razza di pervertito!” gridò, allontanandosi da lui e fissandolo con la sua vecchia tenacia.

Tranne per il fatto che il suo era più che altro uno sguardo scherzoso, perché sotto quella scintilla di fastidio scorreva una fresco corrente di sollievo che si intensificò soltanto quando lei vide quel poco di tenerezza che restava ancora nel suo sorrisetto. La ragazza si accorse immediatamente che lui sapeva cosa stava facendo, come la stava aiutando.

Lasciò che un piccolo sorriso si insinuasse nella sua stizza e nel suo broncio.

Grazie Kisshu… grazie mille…

“Beh, se stai abbastanza bene per questo, allora potremmo anche andare a cambiarti quelle bende ora.”

Mentre il sorriso svaniva un po’, lui abbassò lo sguardo sulla sua spalla ferita, annuendo con un po’ di comprensibile riluttanza. “Già… penso di sì.”

“Puoi alzarti?”

Lui sbatté le palpebre, avvicinandosi al bordo del letto, facendo passare le gambe oltre questo ed alzandosi lentamente.

“Sì, penso di poter—”

Sfortunatamente, le sue gambe tremanti sembrarono avere una loro idea e Strawberry dovette reagire rapidamente per afferrarlo, avvolgendo un braccio intorno alla sua vita, prima che lui rovinasse a terra. Non appena ebbe una buona presa su di lui, la ragazza sbuffò.

“Ben fatto.”

“Hey, non è colpa mia se mi sento male!”

Strawberry sbuffò e sorrise di nuovo, mentre lo guidava lentamente fuori dalla stanza e poi lungo il corridoio.

Era straordinario.

Certo, i suoi dubbi non sarebbero scomparsi finché la questione non sarebbe stata risolta e c’era davvero molto da risolvere: Mark, le altre Mew Mew, gli altri alieni, Ryan (come questi ultimo due sarebbero stati affrontati, non riusciva nemmeno ad immaginarlo). Ma era straordinario come alcune dolci parole da parte di Ghish la potessero rassicurare così completamente. Non ci pensava davvero in quel momento, ma il fatto che lui semplicemente avesse accettato le circostanze, i suoi dubbi, il suo bisogno di scegliere, persino la possibilità che Mark ritornasse, che avesse accettato tutto questo solo perché lei gli stava dando una possibilità, era riuscito a risollevarle meravigliosamente lo spirito…

Era sconcertante, ma non ci fece molto caso. Davvero, non le importava.

Tutto quello che le importava, mentre conduceva il ragazzo verso il bagno, era quel nuovo senso di confortante tranquillità tra di loro, e nel suo sollievo quasi folle, lei era decisa a farne pieno utilizzo. Le parole di lui avevano reso la cosa piuttosto semplice.

Con un altro piccolo sorrisetto, lei lasciò che lui si sedesse sullo sgabello, prima di guardarlo con quel nuovo divertimento, quella nuova idea di un semplice gioco, che brillava nei suoi occhi.

“Sai, mentre siamo qui, potresti fare un bagno.”

Lui si lasciò provocare alla perfezione.

“E questo cosa vorrebbe dire, eh? Stai insinuando,” pronunciò quella parola in un tono comicamente altezzoso, “che puzzo?”

“Beh, sei tutto sudato,” replicò lei, incrociando le braccia in scherzoso disgusto.

Con sua gioia nascosta, lui mise effettivamente il broncio.

Di nuovo, non è colpa mia.”

Questa è bella

Quello era l’unico pensiero nella sua mente, mentre la ragazza si permetteva di ridacchiare un po’. Per il momento, riuscì ad essere nuovamente sé stessa. Per il momento, Ghish fu in grado di strapparla ai suoi dubbi, ed anche se una parte di lei sapeva che ciò non sarebbe stato per sempre, si permise un po’ di indulgenza in quella scanzonata scherzosità.

Strawberry andò ad aprire l’acqua, solo per essere interrotta dall’alieno.

“Allora… chi è che mi farà il bagno?”

Per un attimo, il suo divertimento fu dimenticato in favore di una sorpresa confusione.

“Eh… tu forse?”

Per tutta risposta, lui sollevò le braccia, mostrando che arrivavano appena all’altezza del petto, facendo nel mentre una smorfia di dolore.

Oh…giusto…

Lei arrossì leggermente, quando si accorse del suo errore e di cosa si era costretta a fare.

Per un mero istante, quel nervosismo tornò alla carica, ma nello stesso istante, il ricordo dell’abbraccio di Ghish con cui lui le aveva dimostrato di accettare la situazione, lo contrastò e lo sconfisse.

La ragazza permise a sé stessa di continuare ad indulgere in quell’atteggiamento privo di preoccupazioni di quell momento.

“Eh-heh…giusto…”

Ghish le lanciò un sorrisetto carico di aspettativa, con gli occhi spalancati in un’espressione di falsa innocenza.

“Farai meglio a non provare a fare niente di strano.”

“Chi, io?”

Se possibile, lo sguardo di lui divenne ancora più innocente, ed anche se la ragazza gatto si era voltata con una sorta di grugnito infastidito, non riuscì a non sorridere tra sé e sé.

In pochi minuti, comunque, dopo aver riempito la vasca con acqua tiepida ed una bella quantità di bagnoschiuma (non avrebbe mai e poi mai rischiato una qualche…eh… visione inappropriata), la ragazza desiderò di doversi scontrare con un altro attacco di conflitto sentimentale, invece di quello davanti a cui si trovava.

“O-okay, Io, uh, esco dalla stanza. Chiamami quando sei nella vasca, capito? E non pensare nemmeno a chiamarmi prima di quel momento, o a spostare tutte le bolle da una parte, o—”

“Oh… non ti fidi di me, micetta?”

“Non quando hai quello sguardo stampato sulla faccia.”

Detto questo , lei scivolò fuori dalla stanza, chiuse la porta ed aspettò. Finalmente, la sua mente ebbe l’occasione di assaltarla.

Sto per fargli un bagno…a lui, a Ghish… Non ho mai nemmeno baciato Mark, e sto per fare un bagno a Ghish!

Riuscì quasi a riportarla a quei pensieri nauseanti. Quasi.

“Okay!”

A quel richiamo smorzato, lei prese un respiro profondo.

Va bene Strawberry. Va bene… sei arrivata fino a qui; questo non rovinerà molto di più le cose. Inoltre, lui ha detto che va bene… l’ha detto lui...

Sì, Ghish l’aveva detto, e Mark… anche Mark le aveva dato un gentile consenso. Ora doveva solo fare quello che doveva.

Con quella rinnovata determinazione, si voltò ed entrò nel bagno.

Qualsiasi ansia residua che avrebbe potuto essere causata dalla concezione di dover lavare l’alieno fu immediatamente distrutta dall’immagine davanti a lei.

Da quella, e da un’improvvisa ricomparsa della sua stupida abilità nel trovare il lato buffo nelle cose più strane.

Invece di dover lottare contro un’ondata di esitazione, dovette resistere al bisogno di ridere. In questo fallì e scoppiò in forti, imperterrite grida di allegria. Ghish sbatté le palpebre, apparendo adorabilmente confuso.

“Che c’è di così divertente?” le chiese quando lei riuscì a non ridacchiare per alcuni istanti.

All’inizio, la ragazza nemmeno replicò, boccheggiando nel tentativo di respirare tra le risatine, poi:

“Tu…t-tu… tu sembri…” Dovette appoggiarsi al muro per tenersi su mentre il ragazzo aggrottava la fronte, uno sguardo infastidito gli attraversava il volto. “Cosa?

“…sembri una ragazza!” Questo riuscì a rispedirla tra gli squittii, mentre Ghish dapprima rimase basito, poi si accigliò.

“Cosa vuoi dire, sembro una ragazza?”

“I tuoi capelli…” alla fine lei si riprese, respirando profondamente mentre lo guardava con un sorrisetto stupido. Infatti, lei non l’aveva mai visto senza i nastri nei capelli, e senza quelli, le sue lunghe ciocche cadevano liberamente, incorniciandoli il volto alla perfezione, e quello stile, combinato al suo corpo magro ed alla sua pelle pallida e liscia… beh, uno non avrebbe potuto certo fargliene una colpa.

“Che c’è che non va con i miei capelli? Ho dovuto scioglierli per lavarli! E non sembrano da ragazza! Un sacco di ragazzi sul mio pianeta li porta così!” replicò lui, accigliandosi arrabbiato, guardandola mentre ridacchiava, poi si avvicinava ed prendeva lo sgabello per sedersi accanto alla vasca.

“Beh, allora credo che anche loro sembrino delle ragazze,” continuo lei con una risatina, guardando Ghish che la fulminava con lo sguardo, aprendo la bocca per replicare seccamente di nuovo, solo per cadere in un breve attacco di tosse che pose fine alla discussione, dal momento che Strawberry si occupò di dargli delle lievi pacche sulla schiena cercando di mitigare le sue risatine. Alla fine, lei ridacchiò un’altra volta  e lui recuperò il respiro, solo per lanciarle un’altra occhiataccia di disapprovazione prima che la ragazza riuscisse ad acquietarsi.

“Va bene, va bene,” lo rabbonì lei, ancora piuttosto divertita al vederlo così innervosito, “Ritiro quello che ho detto.” Il modo soddisfatto in cui lui sbuffò la fece quasi scoppiare nuovamente a ridere, ma si concentrò sull’afferrare una bottiglia di shampoo e sul versarsene un po’ sulle mani, producendo della schiuma.

“Sai cos’è lo shampoo, vero?”

“Mm… sì…” mormorò lui, appoggiandosi con la schiena alla vasca, mentre Strawberry spargeva lo shampoo sui suoi capelli con gentilezza, producendo lentamente altra schiuma mentre prendeva una maggior quantità dei suoi capelli nelle sue mano. Evidentemente, questo doveva provocargli una bella sensazione perché, dopo alcuni minuti, la ragazza dovette scuoterlo per assicurarsi che fosse ancora sveglio.

“Oi, Ghish?”

“Cosa?”

“Non dovresti addormentarti nella vasca.”

“Mmhmm…”

Immagino che tutto questo l’abbia stancato…hehe… è così carino quando ha sonno…

Questa volta, quell’ultimo pensiero non si trovò a dover competere con quelli su Mark.

Sorrise mentre il ragazzo si appoggiava un po’ di più, apparendo in effetti piuttosto esausto. Quando un pensiero improvviso la colpì, Strawberry immerse una mano nell’acqua per sciacquarsela dalla schiuma, poi la posò rapidamente sulla fronte dell’alieno. Lui si dimenò un po’ per via del contatto a sorpresa.

“Gattina, cosa stai facendo?”

“Sto solo controllando la tua temperatura,” rispose lei, “non penso che tu debba più prendere quella medicina, anche se probabilmente, hai ancora un po’ di febbre.”

A quelle parole Ghish si dimenò e mise di nuovo il broncio. Odio essere malato.”

“Sì, beh, non sei l’unico,” replicò lei, sentendo un’improvvisa urgenza di arruffargli i capelli, ma posando un leggero colpetto sulla sua testa, dal momento che i suoi capelli erano ancora uno schiumoso ammasso di shampoo. “Adesso devo risciacquarlo.”

“’Ok.”

Scivolando ancora un po’, l’alieno trattenne il respiro mentre lei raccoglieva un po’ d’acqua con una tazza che si era portata e la rovesciava sopra la sua testa. Pochi secondi più tardi, Ghish provò a scuotere via l’acqua, ma non poté fare nulla per i capelli incollati al suo volto. Sputacchiò, muovendo le dita per spostarsi le ciocche ed I capelli più lunghi che gli stavano oscurando la visuale, ma si fermò a metà del gesto con un flebile grido di dolore.

“Non farlo, scemo. Ecco qua.”

Strawberry, anche se arrossendo un pochino, scostò i capelli dal suo volto, solo per arrossire ancora di più al compiaciuto piacere negli occhi di lui. Invece di soffermarsi su quello, si schiarì la gola, guardando decisamente da un’altra parte ed afferrando una saponetta.

“Vuoi che mi sdrai ancora di più?”

“Um, sì.”

La ragazza non sapeva perché lui sembrava così ansioso finché non si sdraiò, solo un pochino di più, dal momento che la sua ferita stava ancora guarendo, ma abbastanza per darle una vista perfetta del resto del suo petto, che era, bisognava ammetterlo…

Beh, non era una vista spiacevole, mettiamola così.

Strawberry sbatté le palpebre, poi si concesse un momento in cui osservare con sguardo truce l’alieno che la guardava con un sorrisetto, prima di cominciare il suo lavoro, tentando nel mentre di far sì che il suo volto non diventasse troppo rosso. Cercò anche di ignorare il fatto che le erano spuntate le orecchie e la coda.

Concentrati solo sul movimento della tua mano. Non concentrarti su quello su cui la stai muovendo… ecco, così…

Fece proprio in quel modo, concentrandosi con determinazione sui suoi movimenti invece che sul petto di lui e, in qualche modo, la cosa successiva di cui si accorse fu che le orecchie e la coda erano scomparse e che lei stava chiedendo all’alieno di immergersi e di sciacquarsi via il sapone, cosa che lui fece ancora con quel sorrisetto irritante fisso sul volto.

“Devi rendere tutto difficile, vero?”

Lui ridacchiò. “Ehi, non sono stato in grado di fare niente di divertente negli ultimi quattro giorni. Penso di averne il diritto.”

“Oh, lo credi davvero?”

La ragazza dette un colpetto al suo orecchio infastidita, solo per ricevere un indignato “Ehi!”

Di nuovo, Strawberry ricominciò a ridacchiare. “Cosa?” gli chiese, tutta la precedente falsa innocenza dell’alieno passò alla ragazza, mentre lei si avvicinava per tirargli un orecchio.

Questa azione ebbe come risposta uno schizzo da parte dell’alieno, gesto che fece strillare la ragazza. “Che pensi di fare?”

Ghish sorrise e basta e la schizzò di nuovo.

I successivi minuti furono spesi in una lotta d’acqua, l’alieno schizzava bolle ed acqua, tentando di inzuppare Strawberry, mentre la ragazza era riuscita ad afferrare il telefono della doccia ed a schizzare l’acqua sul volto dell’alieno e nel frattempo lanciando gridolini a metà tra una risata e l’indignazione. Ad un certo punto, la ragazza introdusse la sua vecchia paperella di gomma come arma e gliela tirò, solo per riceverla nuovamente in testa un istante dopo.

Era quasi un miracolo che le bolle avessero resistito per tutto il tempo in cui i due si erano tirati acqua addosso, Strawberry ovviamente ebbe la peggio anche se Ghish poteva tirarle poca acqua a causa della sua ferita, e la ragazza se ne rese conto mentre cominciava ad asciugarsi. Nonostante ciò, lei dette quasi quanto ricevette, e la sola cosa  che pose fine alla battaglia ed ai suoi brevi attacchi di urletti e risate fu la ragazza che lanciò un po’ troppa acqua contro l’alieno, che cominciò a tossire così forte che Strawberry dovette dargli dei colpetti sulla schiena per aiutarlo a respirare di nuovo.

Dopo che lui si fu fermato, la ragazza si risedette per dare un’occhiata generale ai danni.

Il pavimento era tutto bagnato, per non parlare di alcune sezioni del muro. Lei era zuppa, la sua camicetta ed i suoi jeans erano bagnati fradici, mentre Ghish si era appoggiato di nuovo alla vasca, respirando quasi con pesantezza a causa dello sfinimento.

Questa, comunque, non era la sua più grande preoccupazione.

Questo era… questo…

Sbattè le palpebre, lievemente shockata.

Questo è stato… fantastico.

Non era qualcosa che avrebbe fatto con Mark: lui era troppo… troppo educato per ingaggiare con lei punzecchiature e giochi simili. Certo, sapeva divertirsi, ma era sempre strutturato. Era indubbiamente dolce, ma mai così sciocco, così spontaneo, o…

Non riusciva nemmeno a trovare una definizione per quello.

E’ questo quello che mi è mancato per tutto il tempo?

Questo pensiero, la colpì con più forza.

Per tutto quel tempo, rifiutare Ghish, ridicolizzarlo e combatterlo, era questo ciò che le era mancato?

Sembrava... sembrava un tale peccato perché, in verità, era passato un bel po’ di tempo da quando aveva riso così tanto. Veramente tanto.

Tutto questo tempo…

Quello che la colpì dopo fu quanto… quanto tutto ciò rendeva l’alieno stranamente  umano. D’accordo, per iniziare il battibecco, lei aveva dovuto commentare il suo tagli di capelli alieno e, per cominciare la battaglia con l’acqua, aveva dovuto tirare le sue orecchie aliene, ma alla fine, lui si era comportato così… così normalmente.

Normalmente, ma in un modo che l’aveva stuzzicata.

Heh. Penso che… non più.

“Oi.”

La ragazza fu riscossa dai suoi pensieri dalla voce di Ghish.

“Pensi di poterla cambiare ora?” le chiese, riferendosi, ovviamente, alla fasciatura.

Lei annuì, sbattendo le palpebre lievemente sorpresa, ancora in parte assorta nei suoi pensieri. Tuttavia, si riavvicinò a lui, prendendo l’occorrente per la fasciatura dal mobiletto (era infatti riuscito a non essere inzuppato), e slegò con attenzione il panno.

La ferita era in uno stato molto migliore rispetto all’ultima volta in cui l’aveva vista: la guarigione era più che visibile. Nonostante ciò, Strawberry fece una smorfia vedendo la carne rosea ancora visibile, mentre asciugava con cautela la pelle intorno alla ferita prima di avvolgerla con una nuova benda. Lasciò perdere il disinfettante: sembrava che andasse bene così, e certamente il bagno l’aveva ripulita. In pochi minuti di accurato lavoro e di teso silenzio da parte dell’alieno, la ragazza terminò.

“Va bene, Ghish. Vuoi asciugarti adesso?”

Lui annuì.

“Non lo faro io per te.”

“…”

Ghish…”

“Va bene, va bene.”

“Torno subito, allora. Vado a cambiarmi ed a prenderti un altro pigiama.”

Con queste parole, la ragazza si alzò, afferrò un asciugamano per sé, ne porse uno a lui e si affrettò verso la sua stanza. Innanzitutto, si asciugò velocemente e si mise una maglietta ed un paio di jeans puliti. Poi, dopo alcuni secondi spesi a frugare nel cassetto, trovò un completo di pigiama celeste, che afferrò prima di tornare verso il bagno. Bussò.

“Hai fatto?”

“Sì.”

Lentamente, la ragazza aprì la porta (nel caso lui stesse mentendo) e trovò il ragazzo seduto sullo sgabello, avvolto in un asciugamano asciutto, che la guardava con un’espressione stanca sul volto. Non era molto sorpresa dal fatto che i suoi occhi fossero semi-chiusi.

Povero ragazzo… quella malattia deve averlo davvero sfinito…

Sorrise con dolcezza, porgendogli i vestiti.

“Puoi infilarti da solo i pantaloni, vero?”

Con un’espressione un po’ delusa, anche nella sua stanchezza, lui annuì.

“Ok, allora fallo ed io ti aiuterò con la maglietta.”

All’incirca un minute più tardi, la ragazza tornò nella stanza, gli chiese di sollevare le braccia più che poteva, e gli infilò la maglietta dalla testa. Improvvisamente, si trovò a pensare una cosa.

“Ehm, Ghish, ti dispiace rimanere seduto qui per alcuni minuti mentre vado a cambiare le lenzuola ed il resto? Tornerai ad essere tutto sudato se ci dormi dentro.”

“Ok…”

Lo lasciò appoggiato alla vasca ed andò a recuperare delle lenzuola pulite dall’armadio del corridoio, per poi affrettarsi a cambiare il letto, ed infine correre di nuovo verso il bagno, dove trovò Ghish nel bel mezzo di un altro sbadiglio.

Sopprimendo una risatina, si chino vicino a lui.

“Pronto?”

“Per te? Sempre,” l’alieno fece un sorrisetto seppur affaticato, e Strawberry dovette trattenersi dal dargli una rispostina sarcastica, trovando soddisfacimento nell’alzare gli occhi al cielo con un sorriso mentre lo supportava e lo conduceva verso la sua stanza.

Il ragazzo stava per stendersi quando lei gli afferrò il braccio.

“Aspetta. Dovremmo asciugare i tuoi capelli. Non voglio che peggiori di nuovo.”

“Ma… Strawberry…”

“Ci vorrà poco, promesso.”

Infatti, dopo che ebbe trovato il suo phon, i capelli verdi di lui tornarono ad essere asciutti e morbidi come sempre. Dopo aver spento l’oggetto, decise di soddisfare l’urgenza di prima e gli arruffò i capelli.

“Ecco fatto.”

“Bene,” replicò lui e, shockando la ragazza, si appoggiò a lei.

“G-Ghish! Se vuoi dormire, sdraiati sul letto. Non è come se tu non potessi respirare ora.”

“Ma… mi piace di più così,” replicò lui, un piccolo sorriso gli giocava sulle labbra mentre si accoccolava maggiormente addosso a lei, con gli occhi già chiusi. Almeno non si accorse del rossore di lei.

La ragazza strinse le labbra.

“Bene, ma solo finché non ti addormenti.”

“Mhm… solo un riposino… ho fame…”

“Ti preparo qualcosa mentre dormi.”

“Ok…”

Di certo, non era un vero segreto che il fastidio giocoso della ragazza si dissolvesse in tenerezza mentre lei poggiava una mano sulla testa di Ghish, cominciando lentamente ad accarezzare i capelli appena lavati mentre lui le si strusciava contro come aveva fatto prima. Questa volta, però, la cosa aveva un nuovo che di giusto. L’aria che li circondava era così diversa, non era una di disperazione contro la morte ed il dolore, ma una che nutriva una nuova crescita, un nuovo sentiero, una nuova possibilità. Strawberry lo sapeva. Ghish si dilettava in quel pensiero, anche se nel mentre si stava gradualmente addormentando.

Prima che fosse totalmente andato, Strawberry si abbassò per sussurragli in un orecchio un’ultima volta.

“Ghish?”

“Mm…”

“Grazie di nuovo.”

Lei pensò che l’alieno avesse annuito, ma non poteva esserne sicura. Il ragazzo si addormentò subito dopo che l’ultima sillaba ebbe lasciato le sue labbra, e lei poté solo sorridere mentre lo spostava da sé, lo stendeva e tirava le coperte su di lui. La ragazza rimase per alcuni secondi di più, allungandosi per spostare i capelli ancora sciolti del ragazzo dal suo volto, prima di lasciare la stanza per andare di sotto ed adempire la sua promessa di cibo.

Grazie…tante…

Mentre scendeva le scale, un altro pensiero le attraversò la mente.

Mi chiedo come stia andando a Lory…


La ragazza focena non ebbe problemi a trovare il campo di battaglia: un paio di salti a sud rispetto alla casa di Strawberry avevano portato alle sue orecchie il suono di colpi di energia e piccole esplosioni. In pochi minuti, aveva trovato uno stormo di Chimeri Uccello, probabilmente una volta erano stati passeri, che stavano distruggendo una strada vuota, grazie al cielo. Macchine erano state distrutte, il marciapiede era in pezzi, ma non c’erano umani in giro, cosa che era il primo strano aspetto di quell’attacco.

Chi diavolo sta attaccando? Si chiese Lory, osservando l’alieno dai capelli viola che guidava le bestie. Con sua sorpresa, Pai ripose al suo sguardo, e sembrò … esitare?... prima di lanciare una folata di vento nella sua direzione e volare giù per affrontarla in combattimento.

Ecco il secondo aspetto strano. Mentre lui scagliava i suoi colpi come al solito, essi difficilmente potevano essere chiamati colpi. Ogni qualvolta la colpiva, sembrava che le avesse dato un colpetto più che un pugno od un calcio vero, e non la colpiva così spesso. Lory si accorse di non stare quasi sudando mentre bloccava una rotazione, facendolo spostare bruscamente in modo da provare ad attaccare i Chimeri.

“Fiocco d’acqua!”

Erano creature deboli, miserevoli, ed una sola ondata dell’attacco lì mandò nell’oblio. Quella, comunque, non era la parte più strana del fatto. Non aveva nemmeno pensato di essere in grado di sferrare un attacco. L’alieno l’avrebbe certamente fermata, no? Come aveva fatto a spingerlo via così facilmente?

“Mi scuso.”

Tutti quei pensieri svanirono quando la voce di lui interruppe il suo rimuginare. Lei si voltò a guardarlo, sbigottita.

Quello sbigottimento fu rapidamente raggiunto da un improvviso rossore quando la ragazza vide che lui si stava inchinando nella sua direzione.

Scusandosi.

Inchinandosi.

A lei.

Che diamine…?

Si sforzò di far sì che la sua voce venisse fuori con un suono normale.

“Io-Io…Io…”

Avrebbe giurato di aver visto un sorriso tentare di sollevargli le labbra, ma fu solo per una  frazione d’istante. Un mezzo battito di ciglia dopo, il pensiero era stato mandato via dalla sua mente quando lui era ritornato al suo solito atteggiamento rigido.

“Per farti venire qui senza destare i sospetti del mio padrone, dovevo creare uno scenario credibile, e un attacco era l’unico metodo accettabile. Confido che tu non ti sia ferita, vero?”

Anche se aveva pronunciato quell’ultima frase nel suo tono di voce più piatto che la ragazza riteneva possibile, la domanda la fece comunque arrossire un po’.

“N-no.”

“Allora potresti concedermi alcuni minuti del tuo tempo?”

Troppo stupita per parlare, riuscì solo ad annuire mentre lui fluttuava giù per fermarsi davanti a lei. Come prima, quando aveva parlato con lui durante quell’intera disavventura, era piuttosto nervosa. Questa volta, comunque, era in grado di ricordare la riluttante disperazione dell’alieno, la sua diffidenza e la sua preoccupazione, e la sua paura, in qualche modo, venne meno. Lory deglutì mentre cominciava a parlare, ma lasciò che un po’ di compassione entrasse nel suo sguardo. Qualcosa le diceva che l’incontro l’avrebbe richiesto.

“I…vorrei, Tart e io, vorremmo sapere dei progressi di Ghish.”

Saperre dei… ma è passato solo un giorno…

Dapprima, Lory rimase onestamente confuse e poté solo fissare l’alieno, con le labbra leggermente separate e la mente oscurata.

Poi, mentre riprendeva il controllo, la sua empatia si fece largo nella sua mente e lei automaticamente si addolcì.

Un giorno… un solo giorno e lui era di ritorno, chiedendo novità. Questo voleva dire solo una cosa:

erano preoccupati, anche sei Pai aveva tirato in ballo il nome di Tart nel tentativo di rendere la sua preoccupazione meno evidente.

L’incontro con lui del giorno precedente e le realizzazioni derivate da esso le tornarono alla mente in tutta la loro forza. Incapace di smuoversi, sorrise, con un piccolo, timido sorriso, ma sufficiente per far sbarrare gli occhi all’alieno anche se leggermente, impercettibilmente, se uno avesse cercato quel gesto. Lei l’aveva fatto, e questo la fece sorridere di più.

“Gli abbiamo dato la medicina, e sta molto meglio. Dormiva prima che io lasciassi la casa. Ha dormito molto meglio, ed ha mangiato e—”

“Come lo sta curando la tua compagna?”

La domanda colse Lory di sorpresa e lei balbettò per un momento.

“Come…?”

“E’ civile con lui?”

Civile…?

Lory sbatté le palpebre, notando una traccia di irritazione nella voce dell’alieno. Era di questo che si preoccupava? Che Strawberry si comportasse bene?

Beh… forse era comprensibile. Quell’intero triangolo amoroso era stato l’inizio di tutto…

Scacciato quel pensiero, Lory sorrise dolcemente all’alieno. Pai addirittura sbatté rapidamente le palpebre sorpreso, piuttosto sbigottito. All’improvviso, seppe che quella sarebbe stata una risposta che non si era totalmente aspettato.

“Sai… lei e… e l-lui…” Lory si interruppe, non sapendo bene cosa dire.

Alla fine riuscì a mettere insieme una frase.

“Stanno andando abbastanza d’accordo.” La ragazza alzò lo sguardo in attesa, ansiosa di valutare la reazione dell’alieno.

Pai era… non poteva dire sbalordito, perché quella sensazione era già passata. Si era sbalordito quando era rimasto a guardare Strawberry che prendeva Ghish tra le sue braccia e lo aiutava ad addormentarsi con dolcezza.

Non poteva dire di essersi aspettato la risposta, perché mentre conosceva ciò che aveva visto, aveva sempre in un certo qual modo rifiutato di crederci. Anche se il quadro era lì, era sembrato così impossibile… eppure adesso, in una lieve maniera, quella ragazza stava confermando ciò a cui aveva assistito. Non aveva detto niente di esplicito riguardo l’amore o l’affetto, ma lui poteva vedere quei concetti intrisi nel blu profondo degli occhi della ragazza mentre lei gli restituiva lo sguardo. Tutto d’un tratto desiderò non essersi preoccupato tanto. Desiderò che l’ansia di Tart non si fosse unita alla sua. Desiderò non aver sollevato quella questione perché in quel momento, con quello stralcio di affermazione, vedeva il vero problema più chiaramente che mai.

La missione… se questo stava accadendo, allora cosa…

Il momento successivo lo fece sobbalzare oltre ogni aspettativa, perché la ragazza fece qualcosa che lo stupì e lo mise a disagio: si tuffò a capofitto nella questione in cui lui stava temendo di scavare.

“P-Pai, Io… Io so che è strano ma… i-il modo in cui Ghish e Strawberry sono—”

“Non ti ho chiesto dettagli.”

Non appena lui ebbe recuperato i suoi nervi, lei li perse.

“Stavo solo… ecco, tu e—”

Lui aggrottò le sopracciglia e quella semplice azione lo fece apparire tanto più temibile ai suoi occhi che la ragazza si zittì immediatamente.

“Mi hai dato le informazioni di cui avevo bisogno, e ti ringrazio per questo.” Di nuovo, si inchinò, ma questa volta il gesto era più rigido, più forzato.

Non può star insinuando… è impossibile. Quella ragazza deve ancora amare quell’umano, e non è pensabile che lei e Ghish… non è pensabile… perché allora, come potremmo… no!

“Se avrò ancora bisogno di parlare con te, ti contatterò. Buona giornata.”

Sparì.

Lory rimase ferma dov’era.

Non l’aveva nemmeno ascoltata. Non aveva…non aveva…

Poteva incolparlo per questo? Poteva davvero?

No.

Sapeva cosa aveva pensato l’alieno. Nonostante la sua abilità di mantenere il volto impassibile, il suo talento per nascondere i pensieri, lei sapeva esattamente cosa gli era passato per la mente, perché era esattamente la stessa cosa che era passata per la sua:

Se Strawberry e Ghish si fossero innamorati, come sarebbe andata avanti la missione?

Se l’umana e l’alieno avessero costituito un legame, come avrebbe potuto continuare la lotta?

Lory si chiese come la lotta avrebbe potuto continuare già da quel momento: non sapeva come avrebbe fatto a scontrarsi di nuovo con Ghish o con un altro degli alieni in una battaglia vera e cruenta dopo aver dato una mano alla cura del ragazzo. Questa volta, era stata solo una lotta finta, e Lory aveva percepito la sua natura fuori dalla norma fin dall’inizio, perciò ingaggiare una battaglia fantoccio con l’alieno era stato semplice.

Come poteva essere ancora chiamata a far parte di una vera battaglia, però?

E se Ghish e Strawberry effettivamente…

Se quello fosse accaduto, come poteva tutto andare avanti come sempre?

Lory scosse la testa disperata.

Non può. Non può e lui lo sapeva. Lo sapeva ed è per questo che se n’è andato. E’ per questo che non mi ha lasciata parlare… non ha volute ascoltare…

Di punto in bianco, una travolgente ondata di compassione calò su di lei, per gli alieni, per la loro gente, per lo stesso Pai.

L’ha visto, e sapeva che se fosse successo, non ci sarebbe stato modo di salvare la sua gente… E se questo fosse successo, noi non avremmo avuto modo di proteggere la terra.…

Questo coinvolgeva di più rispetto alla relazione tra Mark e Strawberry. C’era così tanto in gioco in quel frangente, così tanto da guadagnare e da perdere.

Se solo… se solo ci fosse il modo di farlo ascoltare…

Se solo avesse potuto convincere Pai che combattere non era la via migliore. Se solo questo qualcosa che stava crescendo tra Ghish e Strawberry  fosse stato utilizzabile, sfruttabile per porre fine al resto.

Ma com’era possibile? Come poteva vederlo il più grande tra gli alieni, leale com’era verso la missione che gli era stata affidata, verso il capo che richiedeva la distruzione degli umani? Se questo era l’unico modo in cui era stato cresciuto, allora questo lui avrebbe accettato come legge: Lory poteva vederlo. Sapeva già che quale genere di creatura che era Pai.

Ed anche se l’avesse in qualche modo accettato, come avrebbero fatto per il resto… le altre ragazze, Ryan…

Era una situazione senza speranza, ma doveva esserci speranza. Doveva esserci un modo. Non poteva essere tutto sprecato. Semplicemente non poteva.

Lory si morse il labbro mentre tornava normale, e cominciò a camminare verso la casa di Strawberry.

Era tutto cambiato, ed era diventato qualcosa di più profondo rispetto a ciò che c’era con Mark.


Nello stesso istante in cui questa consapevolezza colpiva Lory con la sua incredibile forza, Strawberry scivolava via da sotto Ghish con cautela prima di farlo stendere, coprirlo e, dopo un memento di silenzioso pensare, baciarlo lievemente sulla tempia.

Sta cambiando, pensò con uno strano sorriso mentre scendeva per adempire alla sua promessa di cibo.

Entrambe le ragazze conoscevano le circostanze, entrambe sapevano che piccole e monumentali, stavano rapidamente cambiando.

Nessuna delle due sapeva dove questo avrebbe portato.

FINE DEL CAPITOLO

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Capitolo 20
*** Problemi all'orizzonte ***


CAPITOLO 18

Erano circa le otto quando Strawberry ruotò con cautela a maniglia della sua porta, aprendo quest’ultima, e gettò un’occhiata nella stanza, il più silenziosamente possibile.

Si era rilassata al piano di sotto, guardando un po’ di televisione, rassettando, mentre Ghish si faceva il suo riposino. Il riposino aveva appena raggiunto le tre ore di durata, e Strawberry si era finalmente decisa a svegliare l’alieno per il cibo che aveva promesso. Tuttavia, il silenzio era diventato una tale abitudine dopo gli ultimi pochi giorni e notti, che lei aprì la porta senza il minimo cigolio dei cardini, ed entrò in punta di piedi, nel caso in cui il ragazzo dormisse ancora.

Era così, ed una delle mani della ragazza volò alla sua bocca per sopprimere una risatina alla vista dell’alieno.

Pensava che fosse carino quando era stanco.

Ora, addormentato e con un aspetto decisamente sano, era (e lei si sentì in effetti un po’ in imbarazzo ad ammettere questo dopo il tenace e lungo attaccamento alla visione opposta) semplicemente adorabile. Rannicchiato su un fianco, un braccio che pendeva molle dal letto, Ghish continuava a dormire, russando molto piano, con ciocche dei suoi lunghi capelli sciolti che gli coprivano per metà il volto, alcuni si muovevano ritmicamente avanti ed indietro con il suo respiro.

Incapace di trattenersi, Strawberry si inginocchiò accanto a lui.

L’ultima volta che aveva avuto la possibilità di esaminarlo così da vicino, era consumato dalla febbre e dalla malattia, e guardarlo aveva portato terribili fitte di dolore al suo cuore.

Non fu così quella volta.

Quella volta, lui sembrava davvero rilassato, tranquillo, soddisfatto nel suo sonno.

La ragazza poteva trarre pieno piacere da ciò, senza né la repulsione né la malattia a rovinare tutto.

Strawberry fece proprio così.

Con un sorriso che giocava sulle sue labbra, si avvicinò per spostargli i capelli dalla guancia, arrossendo quando le sue falangi sfiorarono la sua pelle pallida. Prima , la sua pelle era stata pericolosamente accaldata, coperta da un sottile strato di sudore febbrile. Il suo volto era stato segnato dalla paura e dal dolore, i suoi capelli erano sudaticci ed aggrovigliati. Si era sentita così indescrivibilmente  male…

E prima di questo, prima che tutto questo fosse accaduto, Strawberry non si era mai presa la briga di farsi un’opinione su come fosse d’aspetto il ragazzo alieno. Non si era mai presa la briga di studiarlo così completamente. Persino il giorno del loro incontro,  si era preoccupata meno del suo (allora) strano aspetto fisico e più del suo bacio inatteso. Da allora, aveva fatto poca attenzione a ciò che in quel momento era così meravigliosamente ovvio.

Lui era così tante cose: bello, strano, affascinante, elegante, malizioso… e carino.

Oh, sì.

Così rilassato, addormentato, tutto il sarcasmo, l’arguzia, la passione, la rabbia, la serietà, ogni cosa che lei aveva visto sul suo volto se n’era andata, lasciando soltanto un aspetto che era così dolce ed innocente  che lei poteva difficilmente credere che quello fosse sempre Ghish.

Ma lo era… lo era, e questo si aggiunse soltanto al suo stupore, al suo quieto timore per questa svolta degli eventi mentre lasciava che il suo sorriso si allargasse, facendo scorrere le dita tra i suoi capelli, lentamente, con cautela, prima di passare un dito  sul suo orecchio.

Persino le sue orecchie la accattivavano mentre lo guardava. Perché diamine non aveva mai notato quanto fossero affascinanti, quanto delicatamente acute, quanto innegabilmente aliene, eppure in qualche modo tenere?

Perché diamine non ci aveva mai fatto caso?

Beh, l’aveva fatto prima, ma era stato così malato allora, che l’effetto aveva portato più preoccupazione che la dolce gioia che sentiva in quel momento.

Perché non l’aveva notato prima  di tutto questo?

Eh, Ghish, sei sempre stato…

Era sempre stato così? Aveva sempre avuto quella pelle morbida, quelle orecchie meravigliosamente strane, quelle soffici, lunghe ciglia, quelle labbra pallide? Quel volto, quell’espressione, quel ritratto di innocenza con un affascinante accenno di diabolica passione sotto quella facciata serena erano sempre stati lì?

Era sempre stato così, anche quando il suo cuore era appartenuto esclusivamente a Mark? Affascinante che quel pensiero casuale non aveva provocato una pausa nelle sue azioni, quando prima, l’avrebbe fatta precipitare in una terribile frustrazione. Tutto ciò che fece fu addolcire la sua espressione con una sfumatura di solennità, niente di più.

Alla fine, lasciò che la sua mano, leggermente incurvata, si posasse sulla sua guancia avvolgendola dalla tempia al mento, con il pollice che accarezzava appena lo zigomo.

L’alieno era solido.

Era lì: solido, reale, caldo, respirante.

Respirante. Per alcuni secondi rimase ad ascoltarlo respirare, lo faceva così bene e con forza in quel momento, ed il suo calore si depositava sul suo palmo.

Era così…

Era sempre stato così? O era cambiato?

Sapeva che lei lo era.

Forse entrambi lo erano.

Era rimasta così assorta in quei pensieri che il suo pollice aveva smesso di accarezzare la guancia dell’alieno. Non se n’era accorta, ma la sua attenzione vi fu rapidamente portata.

“Ehm… Strawberry … potresti continuare a farlo…?”

La ragazza gatto sbatté le palpebre. Realizzò ad un certo punto, durante i suoi ragionamenti, un paio di occhi dorati si era aperto e la stava attualmente fissando con leggero divertimento mentre il volto di lei si tingeva di rosso.

“Ghish!” Il suo tono si trasformò rapidamente da sorpreso ad accusatorio “Da quanto sei sveglio?” Ritrasse bruscamente la mano, apparendo comicamente offesa, mentre l’alieno sbadigliava, con le labbra che si tiravano indietro leggermente rivelando i suoi luccicanti denti appuntiti, prima di stiracchiarsi nel modo più tranquillo possibile con una ferita semi-guarita al petto.

Mentre Strawberry diventava scarlatta, pienamente cosciente di quanto fosse presa, lui le lanciò un’occhiata con una serenità che servì soltanto a rendere l’agitazione in cui si trovava lei ancora più divertente.

“Solo da quando hai messo la tua mano sulla mia faccia.” Le mandò un sorrisetto.

“Tu…!” lei si riprese rapidamente e gli rispose tirandogli un colpetto brusco sulla fronte ed ottenendo soltanto una risatina che le strappò un broncio quasi sincero. La ragazza  arricciò il naso con disprezzo. Quell’alieno poteva essere così irritante.

“Allora… volevi qualcosa, o mi hai svegliato solo per toc—”

Diavolo sì. Irritante. Abbastanza irritante da guadagnare un altro colpetto.

Certo, questo non fece niente per cambiare quello che era appena successo, quello che aveva appena sentito e, in pochi istanti, un sorrisetto beffardo le comparve sul volto, mentre lei si sforzava di reprimere una risatina che rischiava di rovinare la sua apparenza infastidita.

Ghish le fece soltanto un sorrisetto compiaciuto mentre si sedeva, spostandosi un po’ più vicino.

Un simile momento, dopotutto, era troppo perché lo lasciasse sfuggire.

…per lo meno, lo sarebbe stato, se il suo stomaco non avesse rumorosamente ricordato ai due di essere vuoto. Il ragazzo si ghiacciò, sbatté le palpebre ed arrossì leggermente quando Strawberry si lasciò scappare una risatina. Ricordandosi in quel momento del suo proposito di prendere un po’ di cibo, sempre ridacchiando di gusto, la ragazza si alzò ed invitò il suo paziente a fare lo stesso.

“C’è un po’ di cibo di sotto.” Per un attimo, una preoccupazione familiare entrò nel suo sguardo. “Ce la fai ad alzarti?”

Ghish le fece un sorrisetto. “Non mi sono mai sentito meglio.”

Era vero. L’ultimo riposino gli aveva portato un bel po’ di forza e, difatti, si alzò senza problemi. Comunque, Strawberry sembrava avere troppe terrificanti memorie  della recente condizione dell’alieno per lasciare che questo sopraffacesse il suo neo-scoperto istinto materno. Velocemente, estrasse il termometro, lo infilò nella bocca di lui e combatté il suo sguardo di indignazione con un’occhiataccia severa.

Una rapida successione di bip annunciò il completamento dell’operazione e la ragazza afferrò lo strumento, lo studio per alcuni istanti tesi, e spaventò alquanto Ghish con un sorrisetto improvviso e gigantesco.

“Perfetto!”

Sbattendo le palpebre in un qualche modo... sconcertato dall’espressione incredibilmente solare di Strawberry, Ghish si riprese abbastanza da chiedere,“Allora possiamo andare a ma—”

Sfortunatamente, anche se la sua febbre era sparita da un po’, quella tosse seccante provò di essere più resiliente, e la faccia di Strawberry si rabbuiò quando il ragazzo ricadde in un breve attacco di tosse.

Okay… forse la sua condizione non era perfetta.

Non dovrebbe davvero andare giù in questo stato…

All’improvviso, la ragazza si illuminò, corse al suo armadio e, dopo alcuni momenti passati a rovistarci dentro, estrasse quello che aveva trovato. Ghish, prendendo alcuni respiri profondi dopo l’attacco, alzò gli occhi con curiosità dapprima, poi con un’espressione di incredulo orrore.

“Col cavolo, no.”

Strawberry mise il broncio, infilando la cosa tra le mani di lui.

“Non sei ancora completamente a posto! Se scendi in questo stato, ti raffredderai, ti ammalerai di nuovo, e saremo punto e a capo. Vuoi questo?” lo minacciò lei, con le mani salde sui fianchi.

“No…”

“Allora mettitelo.”

“Ma Strawberry… non hai un’altra—”

“Se non te lo metti, non ti permetterò più di baciarmi!”

“…sai, non è di solito tu mi permetta di b—”

“Mettitelo. Ora.”

Incontrando il suo sguardo, Ghish non sapeva se gioire internamente per la preoccupazione per la ragazza o se essere spaventato dal suo letale sguardo di comando. In ogni caso, obbedì.

La coppia andò nel corridoio, con Strawberry che sorrideva con soddisfazione, Ghish scontrosamente sottomesso, piuttosto grato per il fatto che erano le uniche persone nella casa.

Era caldamente imbacuccato in quella che doveva essere stata la vestaglia più vaporosa e più rosa di Strawberry. In quel momento, le punte delle sue orecchie avevano un colore piuttosto simile a quello della vestaglia. Strawberry stava avendo una certa difficoltà nel tentare di non scoppiare subito a ridere.

“Puoi sederti qui,” disse, sopprimendo una risatina ed indicando una sedia posta al tavolo della cucina. Lui obbedì, lasciando da parte il suo sguardo torvo in favore di un’occhiata di curiosità, quando la ragazza aprì il frigo, ne osservò il contenuto per alcuni secondi, poi afferrò un contenitore, tolse il coperchio, e lo mise nel microonde.

“Che fa quella cosa?” Chiese Ghish, piegando il collo per avere una migliore visuale del piatto rotante nel microonde.

“Lo riscalda,” replicò Strawberry distrattamente, concentrata su ciò che era dentro il microonde (fin da quando aveva ricevuto i geni del gatto, aveva sviluppato una strana affinità per guardare il vassoio del microonde quando ruotava: quel giorno non faceva eccezione). “Non avete qualcosa del genere sul vostro pianeta?”

Durante i pochi secondi successivi, si occupò di togliere i resti dalla macchina, di mettere rapidamente il contenitore sul banco della cucina per evitare di bruciarsi. Le ci volle un po’ per accorgersi che il ragazzo non aveva risposto.

“Ghish?”

Voltandosi, tacque, i suoi muscoli facciali caddero in un’espressione cupa alla vista dell’atteggiamento improvvisamente intristito del ragazzo, nei cui occhi era riflessa una oscura disperazione.

All’inizio, non riuscì per niente a capire cosa avesse fatto di sbagliato, ma. Mentre ci pensava, si ricordò delle immagini del mondo da cui veniva l’alieno che aveva visto, e di quanto quel posto fosse apparso gelido, inesorabile. Improvvisamente si accorse che la sua domanda, o anche il suo semplice accenno alla sua casa, aveva, per una qualche ragione, riportato rapidamente alla mente del ragazzo i suoi obiettivi iniziali.

Da quello che ho visto… probabilmene non hanno abbastanza cibo là... o... o qualsiasi cosa, in ogni caso… e se ce l’hanno…

Si ricordò di quando aveva visto tutte quelle persone rannicchiate l’una all’altra in quegli sterile anfratti, in fila per prendere del cibo, tenendo i bambini vicini…

Quel pensiero portò una potente ondata di senso di colpa e di nausea ad abbattersi contro di lei, e lei deglutì impercettibilmente, cercando freneticamente di ritrovare la voce mentre si sedeva dalla parte opposta di Ghish.

“Scusami.”

Lui alzò lo sguardo, con la sorpresa che si mostrava attraverso la tristezza, mentre Strawberry si sforzava di incontrare il suo sguardo e di impedire ai suoi occhi di riempirsi di lacrime.

“Non volevo…” Fu un po’ troppo per lei, perciò abbassò gli occhi verso il tavolo.

“Non è colpa tua.”

La ragazza alzò lo sguardo, chiaramente shockata, verso gli occhi di Ghish. Un leggero, triste sorriso era apparso sul volto dell’alieno.

“In… in realta non è di nessuno, giusto?”

Lei sbatté le palpebre, in qualche modo… stupita dal fatto che lui avesse ragione. In quel momento, quella conclusione sembrava così dolorosamente ovvia.

No… penso di no…

Ma non sembrava giusto. Strawberry non sapeva perché non l’aveva realizzato prima, ma ora, a sentire quel tono quasi abbattuto nella voce di lui, non sembrava giusto.

Sembrava assolutamente disgustoso che la sua gente dovesse vivere in quel modo, e che lui ed i suoi amici fossero dovuti venire lì, venire lì e farsi così tanti nemici, solo per cercare di aiutare nell’unico modo possibile per loro…

“Ghish?”

I loro occhi si incontrarono e lui tacque alla vista della compassione negli occhi della ragazza e del sorriso quasi contrito sulle sue labbra.

“Parlamente.”

“…cosa?”

Lei alzò la voce.

“Raccontami.”

“D-di… di cosa?” l’alieno appariva piuttosto attonito, confuso perfino, per la sua richiesta, anche quando il sorriso di lei si allargò.

“Non lo so. Qualsiasi. Solo… di te. Della tua vita… della tua gente… c’è così tanto che io… che noi…”

Anche se si era interrotta, perdendo un po’ la calma mentre l’alieno continuava a fissarla, lui aveva capito perfettamente cosa voleva dire la ragazza.

Solo che la richiesta l’aveva sorpreso. Forse perché gli aveva improvvisamente riportato alla mente un forte ricordo di quando Profondo Blu aveva delineato i pericoli degli umani all’inizio della missione. Forse aveva a che fare con la meraviglia ancora presente per la trasformazione della loro relazione avvenuta negli ultimi pochi giorni.

La pura sincerità negli occhi della ragazza, combinata con gli altri due motivi, era probabilmente la vera causa.

Comunque, gli passò e un minuto più tardi, anche prima di rendersi conto che aveva cominciato, il ragazzo le stava raccontando cose che non aveva mai sognato di menzionare ad un umano. Le descrisse il loro mondo, la sua desolazione, il suo terribile clima, le belve della neve assassine che vi vivevano, abitanti originari del posto ed una costante minaccia a causa del loro comportamento da predatori. Piano piano, continuò raccontando di come viveva la sua gente, del fatto che non ci fosse abbastanza cibo, non importava quanto duramente tutti facessero del loro meglio nel lavorare il suolo per trarne il massimo nutrimento, di quanto fosse morbosamente tremendo svegliarsi ogni mattina, nel buio, nel freddo  e nella neve eterna, sapendo che quello era tutto ciò verso cui uno avrebbe potuto guardare.

Strawberry aveva già fatto abbastanza fatica a tenere a bada le lacrime quando la conversazione ad un tempo solo aveva trattato descrizioni relativamente impersonali. Poi, il ragazzo si spostò su dettagli riguardanti la sua stessa vita.

Era così assorto nel parlare che non si accorse dello strazio negli occhi di Strawberry quando si mise a parlare della sua famiglia, di come suo padre era morto quando lui era ancora un bambino, di come sua madre si era sforzata di procurare abbastanza cibo ed un riparo per lui e per due sue cugine, bambine rimaste orfane alla nascita, di come lei, per la tanta fatica, si era ammalata cercando di dare alla sua piccolo famiglia la forza di cui aveva bisogno per sopravvivere a malapena. Non si accorse che le lacrime della ragazza avevano cominciato a cadere mentre raccontava i suoi motivi, il suo tremendo bisogno di aiutare sua madre, le sue sorelle adottive, i suoi amici, le loro famiglie, tutti.

Solo dopo aver parlato del suo allenamento, di quando duramente aveva lavorato, si era spinto, per qualificarsi per la missione da cui dipendeva così tanto, l’alieno alzò lo sguardo e si congelò alla vista delle sue lacrime.

Strawberry non provò nemmeno a fermarle. Non poteva.

Il sapere che quel ragazzo aveva votato la sua vita all’allenamento, al mascheramento del suo dolore e del terrore e della tristezza con un umorismo sarcastico e con un’arroganza e quell’aria spensierata, tutto mentre lavorava disperatamente per raggiungere quel semplice traguardo di dare una vita migliore a coloro che amava…

“S-Strawberry, io—”

E ora lui stava cercando di non far piangere lei. Le stava sorridendo, una stupida sorta di ghigno che, capì lei, doveva aver messo provato milioni di volte per farlo apparire convincente, per essere certo che potesse essere appropriato per il ruolo di capace soccorritore.

“Non piangere… Devo aver parlato un po’ troppo…”

E lei aveva… aveva combattuto contro di lui. Era diventata la ragione per cui lui stava fallendo. Fallendo nei confronti di quelle due bambine che aspettavano che il loro fratellone protettivo ritornasse a casa, fallendo nei confronti di sua madre, che lo aveva pregato di non andare, gli aveva detto che non poteva sopportare il pensiero di lui che rischiava la vita in modo simile…

“Basta.”

Ghish quasi sobbalzò al suono della voce di Strawberry: la sua durezza, la forza nel suo tono, era quasi allarmante.

“Cosa?”

“Basta.” La ragazza scosse la testa, alzando lo sguardo su di lui con gli occhi che luccicavano.

Non poteva farlo più. Anche se le altre Mew avessero insistito, anche se la Terra fosse crollata, anche se, alla fine, avesse scoperto che doveva tornare con Mark, non poteva farlo. Mai più.

“Non posso più lottare contro di te, Ghish. Non importa cosa diranno… Non lo farò. Io… Io mi rifiuto. Non posso!”

Lui rimase basito, non è necessario dirlo. Per alcuni momenti, la fissò semplicemente e lei ricambiò, con le lacrime che le scorrevano lentamente lungo la guancia mentre tutto quello che lui le aveva raccontato si ripeteva nella sua testa ancora e ancora.

Il silenzio regnò per un minute buono finché Ghish sorrise.

Era un sorriso così dolce, gentile, completamente sincero, che Strawberry smise di piangere, di fatto stupita per un momento, che un simile sorriso potesse risiedere su quel volto alieno.  

“Dici davvero, Strawberry?”

Il modo in cui pronunciò il suo nome la fece quasi singhiozzare, ma lei annuì semplicemente.

“Sì.”

Gli occhi dell’alieno erano così indescrivibilmente belli mentre lui la guardava in quel momento, pieni di una gratitudine quasi timida e di una vera determinazione che avrebbero potuto farla boccheggiare se lei non fosse rimasta ghiacciata dalla meraviglia.

“Allora prometto di fare qualsiasi cosa in mio potere per non doverti fare mai più del male.”

Mentre il sangue le pompava nelle orecchie, il suo volto diventava caldo e scarlatto, i suoi pugni, chiusi stretti accanto ai suoi fianchi mentre parlava, si rilassavano lentamente, lei desiderò poter fare un passo indietro, solo per un minuto.

Voleva soffermarsi su quell’ultima frase.

Non mi farà mai più del male… mai più…

Strawberry dovette abbassare lo sguardo: tenere i suoi occhi sull’alieno stava solo facendo crescere quella travolgente emozione nel suo petto, e lei non sapeva se avrebbe saputo controllarsi mentre lasciava che ciò accadesse.

Ghish non diceva niente, lasciava semplicemente che il suo sorriso si ingrandisse mentre le parole di Strawberry penetravano completamente. Da quanto aveva cominciato a desiderare di sentire quelle parole? Sembrava passata un’eternità.

Una lunga, dura, crudele eternità.

Quell’eternità valeva tanto in quel momento.

La ragazza avrebbe pianto di più, forse non sarebbe stata in grado di fermarsi mentre l’esatto significato di quelle parole, le loro conseguenze, il loro effetto nel prossimo futuro, affondava, ma fu riportata al controllo di sé dal suono del microonde. Stranamente, non appena la macchina suonò, riportando i suoi pensieri alla realtà presente, tutto era tornato a posto.

Ciò che a lui aveva detto aveva perfettamente senso, anche di più.

La faceva sorridere.

“Hai ancora fame?” chiese a bassa voce.

Anche se la domanda non aveva assolutamente niente a che fare con la significativa promessa che Ghish le aveva appena fatto, lui sapeva che quella era una risposta. Il tono gentile, quasi timido, con cui lei aveva parlato diceva “grazie”. Ecco tutto.

Un sorriso di risposta.

Lo accettò.

“Sì.”


“Ehi! Questa roba è davvero buona!”

“Beh, l’ha fatta Lory— ehi! Non mangiare così velocemente! Ti sentirai male!”

“Ma ho fame!

“Devi almeno masticarlo!”

Lory sbatté le palpebre, un po’ confuse a quello strano frammento di conversazione che era riuscita ad afferrare mentre chiudeva la porta ed attaccava il suo cappotto all’appendiabiti. Con la curiosità che vinceva momentaneamente sui cupi sentimenti rimasti in lei dopo il suo incontro con Pai, si mosse silenziosamente verso il vano della porta che portava alla cucina.

Sbatté di nuovo le palpebre. Lentamente.

Un espressione di divertita perplessità si instaurò rapidamente sui suoi lineamenti.

Strawberry stava in piedi accanto al tavolo della cucina, le mani saldamente sui fianchi, che fissava il suo paziente mentre lui le rispondeva con uno sguardo di accigliata obbedienza e masticava imbronciato un boccone di verdura prima di deglutire e, con un’occhiata di giocosa sfida, mangiando un’altra forchettata.

Sembrava stare assai meglio di quando la ragazza focena l’aveva visto per l’ultima volta. Il suo volto aveva quasi recuperato il suo colorito (certo, era pallido di norma, per cui uno non poteva davvero giudicare in base a quello), e la sua pelle non aveva quella lucentezza poco sana di sudore febbrile che la ragazza si era abituata a vedere nell’ultimo paio di giorni. Il suo appetito ritrovato era soltanto un altro indicatore della sua salute che stava ritornando, e Lory non poteva che nascondere un dolce sorriso ad un altro dei forti, esasperati ammonimenti che il ragazzo ignorava marcatamente.

Non poté nemmeno soffocare una risatina per il fatto che lui stava indossando quello che sembrava essere una delle vestaglie di Strawberry.

Quel leggero rumore avvertì i due della sua presenza, e non appena si voltarono verso di lei, la ragazza balbettò una scusa per quella che aveva immediatamente considerato una sua intrusione.

“Sc-scusate. Non volevo—”

“Lory! Sei tornata!”

Credo che con Strawberry, non ci sia bisogno di scusarsi…

Un sorriso rilassò il suo volto.

“Ciao.” Alzò lo sguardo su Ghish, che la stava guardando con un’occhiata che lei riteneva stranamente ansiosa. Per un secondo, il suo sorriso vacillò.

I suoi occhi… per un momento, erano così penetranti… cosa stava…?

Il secondo successivo vide l’alieno salutarla con un allegro “Yo!” prima di tornare alla delicata arte di pugnalare le verdure con la sua forchetta (evidentemente, la sua ferita era guarita abbastanza da permettergli di utilizzare la forchetta, anche se le bacchette erano ancora troppo precise). Lory lasciò che le ritornasse il sorriso prima di sollevare la mano in una sorta di mezzo saluto.

“Sei stata via per un po’! Ci chiedevamo quando saresti tornata.”

Lory si voltò di nuovo verso la sorridente Strawberry, e si accorse improvvisamente di dove stava vertendo la conversazione: verso il suo incontro.

Non voleva arrivare lì. Non ancora.

Ridendo un tantino più nervosamente di quanto le sarebbe piaciuto, replicò, “Ah, beh, s-sai…”

No. Strawberry non sembrava per nulla soddisfatta da quello. Lory dovette interloquire rapidamente mentre l’altra ragazza apriva la bocca.

“Ghish sta meglio allora?”

Quella domanda deviò immediatamente l’attenzione di Strawberry (per una volta, Lory fu grata per la sua capacità di concentrazione), ed il suo sorriso si allargò ancora di più.

Prima che potesse rispondere, comunque, lo stesso alieno lasciò il suo piatto quasi vuoto per lanciarle un sorrisetto.

“Sicuro che sto meglio. Come non potrei con Strawberry che si prende cura di me?”

Nessuna delle due ragazze mancò di notare la gratitudine semi-celata nella sua voce.

Lory sorrise dentro di sé, lanciando un’occhiata alla sua amica, il cui volto aveva rapidamente preso il colore del frutto di cui portava il nome, mentre la ragazza si interessava rapidamente alle sue mani, con un piccolo, quasi invisibile sorriso che le stava sulle labbra. Passarono alcuni momenti di caldo silenzio prima che Ghish decidesse che fosse prudente eseguire totalmente il suo ruolo abituale.

“Sai… il suo dolce tocco che mi accarezza il petto, le sue calde labbra gentili contro la mia fronte, le sue mani che si spostano lung—”

Lory arrossì per quella che probabilmente sarebbe stata una bella lista di… immagini discutibili se Strawberry non avesse guaito per l’imbarazzo improvviso, e non fosse corsa verso l’alieno per afferrare una delle lunghe orecchie tra il pollice e l’indice nel tentativo di zittirlo. Funzionò, anche se, di certo, lui non sembrava particolarmente contento quando lei glielo tirò con fermezza.

“Ehi, non ho detto nien—”

“Gli ho solo fatto fare un bagno, gli asciugato i capelli e l’ho risvegliato dopo un poì di riposo! E’ tutto, lo giuro!”

All’inizio, Ghish sembrò seccato per il fatto che il suo divertimento fosse stato interrotto, ma lo shock che aveva invaso i lineamenti di Lory dopo che lei aveva ascoltato quella piccola confessione gli riportò il sorrisetto.

Strawberry si accorse finalmente di quanto… interessante suonasse all’inizio quello che aveva detto e fece freneticamente marcia indietro.

“Vo-voglio dire…Io…nyaaa… Tu. Sta. Zitto!”

“Ahia!”

Le risatine di Ghish furono rapidamente sostituite da un uggiolio di dolore quando Strawberry lo pizzicò più forte. La ragazza rivolse un sorriso imbarazzato alla sua compagna perplessa, ridacchiando nervosamente.

Improvvisamente, Lory le sorrise di rimando.

Vide la disinvoltura, la tranquillità che erano rapidamente cresciute durante la sua assenza.

Certo, difficilmente qualcuno avrebbe visto nella ragazza gatto dai capelli rosa che ringhiava al suo paziente alieno, mentre lui rispondeva con uggiolii e risatine combinati l’incarnazione della tranquillità, ma Lory vide tutto per ciò che era.

La ragazza sapeva che tutti quei gesti mostravano soltanto quanto quei due si erano sentiti sempre più a proprio agio insieme fin dall’ultimo confronto e dalla dura prova che ne era risultata.

Anche mentre Strawberry teneva infantilmente il broncio al ragazzo, Lory poteva vedere il genuino divertimento che danzava nei suoi occhi.

Anche mentre Ghish faceva balenare verso la ragazza un sorrisetto provocatorio, decorato dai denti appuntiti, in una sfida costante, Lory poteva vedere la gioia in lui.

Per un momento, rimase congelata da uno strano stupore per questo. L’istante successivo, sentì la sua mano sollevarsi lentamente per andare a posarsi sul suo cuore mentre un sorriso sincero le illuminava il volto.

Cavolo, quei due sembravano ancora più vicini di prima. In qualche modo… qualcosa era…?

Quei due

Era incredibile, ma era lì, proprio davanti ai suoi occhi.

La confondeva, la inquietava persino, ma le dava anche il più caldo sentimento provato da lei da molto tempo.

Ma…

Il tono di Pai, il suo sguardo duro, la testarda lealtà alla sua causa... le ritornò tutto alla mente in un unico terribile tsunami che la derubò rapidamente della sua gioia. Il suo volto si rattristò, ed anche se l’attenzione di Strawberry era puntata su Ghish, la ragazza riuscì a vedere quel radicale cambiamento di espressione. Non le fece pensare che ci fosse qualcosa che non andava: era ancora troppo assorta nel canzonare l’alieno per pensare a qualcosa del genere.

L’averlo notato, comunque, riportò la sua attenzione su Lory e, di conseguenza, sui pensieri riguardo la sua recente assenza. Fu realmente tutto ciò che ci voleva.

“Allora, Lory, non mi hai ancora detto com’è andata!”

Un’occhiata piena di panico le disse che non ci sarebbe stato modo di evitare il discorso quella volta. Quella ragazza era così innocentemente ansiosa nella sua curiosità, che ogni tentativo per tirarsi fuori da una spiegazione sarebbe sicuramente andato incontro a domande più indagatrici.

Non che avesse importanza. Avrebbe dovuto dire tutto comunque.

Ed anche se non l’avesse fatto, tutto si sarebbe comunque dovuto concludere in qualche modo.

Mentre deglutiva nervosamente, Lory tentò di convincersi che era la cosa migliore.

Forse sarebbe stato più semplice se non fosse stato dolorosamente ovvio che l’imminente conversazione portava con sé la possibilità di rovinare la nuova armonia tra quei due.

Forse sarebbe stato più semplice.

Vista la situazione, Lory dovette prendere un respiro profondo per calmarsi prima di affidarsi di nuovo alla sua voce per parlare.

“St-Strawberry… potrei… potresti venire… nell’altra stanza…?”

Il fatto che la ragazza non avesse capito subito cosa stava preoccupando la sua amica dava credito alla sua natura abitualmente ingenua. O forse poteva anche essersene accorta, ma l’aveva deliberatamente ignorata nel tentativo di aggrapparsi a… beh, a tutto ciò che era appena accaduto.

In ogni caso, assunse un’espressione perplessa sul suo volto mentre annuiva e seguiva Lory fuori dalla stanza.

La ragazza focena gettò solo un’occhiata dietro di sé, solo per controllare la reazione di Ghish, e vide subito una cosa.

Non era stupido, e non si lasciava ingannare.

Quello sguardo penetrante brillò nell’oro delle sue iridi, e nel momento in cui lo incontrò, Lory rabbrividì lievemente.

Lui sapeva.

Sapeva esattamente cosa era accaduto.

Quando Lory si voltò con una nervosa attesa incisa sui suoi dolci lineamenti, lo sguardo di Ghish s’indurì, e lui si permise di appoggiarsi al tavolo con un grugnito appena udibile di riluttante comprensione. Era ovvio che la ragazza era andata ad incontrare Pai. Il perché, non lo sapeva, e non gliene importava veramente. Tutto ciò che poteva vedere era che qualsiasi cosa avesse fatto o detto l’alieno più grande, aveva agitato parecchio Lory, e questo significava che non ci potevano essere belle notizie per nessuno di loro.

Pai… razza di bastardo…

Ovviamente Pai avrebbe dovuto rovinare qualcosa. Ultimamente quella sembrava essere la dannata occupazione dell’alieno.

Dopotutto, era a causa sua che Ghish aveva quasi perso la vita…

“Dannazione,” sussurrò a denti stretti. Non c’erano dubbi… non c’erano dubbi, doveva aver a che fare con Profondo Blu.

Con Profondo Blu, la missione, le battaglie…

Solo Pai poteva rimanere attaccato a quei principi con tanta testardaggine dopo quello che era accaduto.

Solo lui poteva…

E ora, quando tutto stava andando così bene. Ora, proprio quando lui era arrivato a Strawberry, quando le aveva fatto vedere…

Ghish rilasciò un sospiro irato, decidendosi a calmarsi ed ad attendere il ritorno delle ragazze.

Nel frattempo, si concentrò nell’ascoltare la loro conversazione.

D’accordo, non era la cosa più signorile da fare, ma quelle orecchie lunghe non ce le aveva solo per bellezza, e lui aveva bisogno di concentrarsi su qualcosa che non fosse la sua improvvisa ondata di rabbia. L’ultima cosa  di cui aveva bisogno in quel momento era perdere le staffe.

Perciò, si mise ad ascoltare la conversazione.

Nel salotto, Lory stava cercando di non farsi prendere troppo dall’imbarazzo sotto lo sguardo di Strawberry.Il problema era, allora, che la ragazza gatto era riuscita a capire che l’esito dell’incontro con l’alieno era diverso da ciò che avevano sperato, e la sua espressione si trasformò da curiosa ad ansiosa.

“Lory…”

La ragazza focena si torse le mani in silenzio, fissando il pavimento prima di rispondere infine all’amica con un tono fievole e tremolante.

“Mi dispiace, Strawberry. Io-Io avrei dovuto dirtelo non appena sono entrata, ma io—”

“No, Lory.”

L’interruzione fu immediata, ed era ovvio che Strawberry sapeva cosa la sua amica aveva tentato di dirle, come era stata riluttante a distruggere tutto…

Una cosa del genere poteva solo ispirare gratitudine. La ragazza gatto cercò di sfoderare un caldo sorriso per la sua amica. Nella sua ansia, però, Lory non se ne accorse per nulla, e cominciò una agitatissima richiesta di scuse.

“E’ – è solo che io… Strawberry… non volevo interrompere… o… o spezzare la…”

“No.”

Questa volta, la risposta negativa fu così rigida, che non era possibile non accorgersene, e Lory si congelò, lo sguardo fisso sull’altra ragazza.

“Avremmo... avremmo dovuto farci i conti comunque.”

La convinzione, la determinazione, la riluttante eppure sincera accettazione nella voce di Strawberry scacciò i tremiti di Lory, e lei continuò con nuova decisione.

“Hai-hai ragione,” le parole uscirono flebili all’inizio, ma quando la ragazza incontrò gli occhi dell’amica, si fecero più forti. “Hai assolutamente ragione.”

Il sorriso sorse più spontaneo. Si ricordava, molto chiaramente, le esatte parole che le aveva detto Ghish, e sapeva che non c’era via d’uscita in quel momento. Non dopo averlo sentito pronunciarle. Non dopo averlo ascoltato parlare del suo mondo.

Se ci sarebbero stati degli ostacoli sulla via davanti a loro, dovevano saperlo. La ragazza fece un cenno verso Lory affinché continuasse.

Fu mentre raccontava del fatto che l’alieno si era rifiutato di ascoltarla che Strawberry emise una specie di ansito basso e strozzato, e Lory si accorse che la ragazza aveva stretto i pugni, ed aveva una specie di sorrisetto ironico sul volto.

“Allora… allora se n’è accorto?”

Per un attimo, Lory non riuscì ad afferrare il senso di ciò che aveva detto l’amica, ma alcuni secondi dopo, si ritrovò ad annuire lentamente. Strawberry la guardò, e Lory poté vedere che la ragazza stava già pensando a cosa sarebbe potuto accadere in seguito.

“Strawberry…”

“Non potrà rimanere così per sempre, vero? Pai lo sa, noi lo sappiamo… non c’è modo. Voglio dire, i miei genitori saranno di ritorno tra pochi giorni. Non è possibile che possa rimanere così più a lungo anche se… anche se noi non dovessimo…” La sua voce si abbassò e lei cominciò ad imitare i gesti compiuti da Lory qualche momento prima, ovvero si torse le mani in una muta angoscia. Desiderava… proprio dopo pochi istanti di quel discorso, desiderava avere più tempo per godere di quella nuova vicinanza prima di dover affrontare il resto.

Anche se sapeva che era il momento di decider come agire, dove andare, cosa dire e pensare e fare, sentiva che stava accadendo troppo presto.

Certo, come non poteva? Chi non sarebbe voluto restare in quei momenti di nuovo amore, nuova scoperta, nuova sorprendente tenerezza? Chi non avrebbe desiderato rimanere a galleggiare in quel mare di calore?

Non poteva, però. Mentre Ghish si riprendeva, lei doveva affrontare il nuovo ruolo dell’alieno, il nuovo ruolo di lei stessa. Non potevano continuare a combattere, non dopo tutto quello che era avvenuto. L’aveva già deciso da sola ed anche con lui.

Come?

Come avrebbe fatto a dirlo a Ryan? In quel caso, non si trattava nemmeno del future delle battaglie, o della loro missione.

Avrebbe perso la testa non appena avesse saputo cosa aveva fatto negli ultimi pochi giorni. Non appena le parole “casa mia” e “Ghish” avrebbero attraversato le sue labbra, sarebbe stata la fine. Strawberry non aveva la più pallida idea di come cavarsela con Ryan.

Ryan, ed il resto delle Mew Mew…

Mina, Pam… le loro azioni potevano solo essere comparate a quella di Ryan.

Dannazione.

Era troppo da sopportare, e comunque non era ancora tutto.

C’era sempre Mark.

C’era sempre quella terribile decisione in attesa di essere presa. Diavolo, tra la meraviglia di vedere Ghish in quella nuova luce e quel nuovo ripensamento su cosa ciò significava per le Mew Mew, si era dimenticata della sua scelta. Si era dimenticata che avrebbe dovuto prenderla, ed ora sembrava che avrebbe dovuto farlo presto.

Mamma, avrebbe dato qualunque cosa per avere ancora alcune settimane, mesi, anni, come quell’ultimo giorno di quasi spensierata esistenza. Qualsiasi.

Ma non poteva averli. Era impossibile, e più se ne rendeva conto, più questo fatto penetrava la sua mente, più il controllo sulle sue lacrime si faceva debole. Per fortuna, Lory riuscì a richiamare la sua attenzione dalla sua infelicità, prima che scoppiasse.

“Strawberry, penso che dovremmo dirglielo.”

“D-dirglielo?”

Lory annuì, continuando lentamente, accorgendosi subito di quanto agitata stava diventando la ragazza gatto.

“Ghish. Penso… forse dovremmo discuterne con lui.”

Per un momento, Strawberry avrebbe voluto dire no.

Pensava le stesse cose che aveva pensato Lory quando era entrata in casa e li aveva trovati in cucina: non voleva rovinare tutto. Non voleva andare in quella stanza e dire a quel ragazzo, quella ragazzo che lei aveva cominciato ad amare dopo che i suoi sentimenti le erano stati completamente rivelati, non voleva che questo avesse fine, e lei non sapeva cosa avrebbe portato il futuro, o addirittura se ce l’avevano un futuro.   

Cosa avrebbe detto lui quando gli avrebbe raccontato che il suo compagno si stava mettendo in mezzo alla loro storia? Come avrebbe reagito a questo? E se avessero  litigato? Come avrebbe potuto continuare una simile cosa tra loro?

E come avrebbe reagito lui se, alla fine, lei avesse scelto Mark?

Aveva detto che l’avrebbe accettato, e forse l’avrebbe fatto. Forse l’avrebbe fatto davvero.

Ciò non voleva dire che lei era ansiosa di vedere la delusione che, sapeva, gli avrebbe attraversato il volto non appena la decisione fosse stata presa.

E c’erano ancora così tanti dettagli da considerare…

Nonostante ciò, Strawberry annuì.

Anche con tutti quei terribili pensieri che la tormentavano, sapeva che Lory aveva ragione. Il ragazzo doveva sapere. In quel momento dovevano lavorare tutti insieme, non importava quale sarebbe stato l’esito.

Almeno, dovevano lavorare insieme per comunicare la notizia a tutti gli altri.

Dopo quello… Strawberry non voleva soffermarcisi troppo in quel momento.

“Sì… Lory. Hai ragione.” Si morse le guance per un istante, cercando di raccogliere il coraggio prima di voltarsi e tornare in cucina, con una Lory silenziosa e tetra che la seguiva da vicino.

Trovava difficile dirlo, raccontargli ciò che le aveva appena detto Lory.

Non c’è via di fuga. Devi affrontare la cosa. Devi vederlo e parlargli e...

“G-Ghish, noi—”

Si sarebbe sforzata di proseguire, con il corpo insopportabilmente rigido, gli occhi nuovamente velati di lacrime di pura frustrazione, le mani che tremavano debolmente ai suoi fianchi, se lui non le avesse lanciato un’occhiata così pungente di chi la sa lunga. Il suo sguardo privo di termini spense le sue parole, e lei cadde in un silenzio sorpreso mentre l’alieno cominciava a parlare.

“Ho sentito, Strawberry.”

La ragazza, colta momentaneamente di sorpresa, aprì la bocca ma non riuscì a parlare.

“Potrai gridarmi contro per questo più tardi,” continuo, un debole sorriso si insinuò all’improvviso sui suoi lineamenti e scomparve altrettanto rapidamente.

Strawberry non gridò. Nel suo stupor poteva a malapena capire cosa le stava dicendo.

“Hai… hai sentito…?”

Un cenno d’assenso.

“Già.”

Per un momento, il silenzio regnò supremo. Nessuno dei tre sembrava voler cominciare la difficile conversazione.

Alla fine, Ghish aprì la poca per parlare. Strawberry, però, in un improvviso scatto di coraggio e di premura, mischiati con la sua impulsività innata, lo interruppe prima che potesse pronunciare una sillaba.

“Non voglio che questo cambi qualcosa. Quello… quello di cui abbiamo parlato prima…” qui, Lory guardò la sua amica con curiosità “non può cambiare, non importa quello che dicono… Pai… o Ryan…”

O Mark.

Anche se io… anche se Mark… tutti… questo mondo… Non posso… semplicemente…

Mentre si fermava, ansimando leggermente, il ragazzo la fissò, con gli occhi un po’ spalancati per lo stupore alla sua uscita. Per alcuni secondi, il respiro di Strawberry fu l’unico suono a riempire la stanza.

Ghish sorrise.

Era un piccolo sorriso: uno largo sarebbe stato totalmente inadeguato, anche per lui, in una simile situazione, ma anche se piccolo, riuscì a portare un sospiro di sollievo alla ragazza.

“Certo Strawberry.”

Sentire il suo nome pronunciato in quel tono sincero e dolce, fece sobbalzare il suo cuore nonostante l’argomento della conversazione.

Lory non aveva idea di cosa stessero parlando, ma riuscì ad indovinarlo rapidamente. I suoi pensieri si incentrarono su un’idea di base: aveva deciso di non gettare via quella nuova amicizia (forse in effetti amore, se… beh, me lo lascio per dopo, si ricordò Lory), senza curarsi del resto del mondo. Desiderò potersi soffermare su quei pensieri un po’ più a lungo, concentrandosi sul dolce calore che le portavano, ma sapeva che doveva spingersi avanti. Interruppe perciò il silenzio.

Lo fece con il tono più gentile, più contrito che la voce umana potesse ragionevolmente creare.

“Non so… non so… forse d-dovremmo…”

Ha ragione…

Strawberry alzò lo sguardo, un debole sorriso le illuminava il volto quando incontrò quello di Ghish, questa volta senza quella dolorosa passione emotiva. Lui ricambiò, ed un silenzioso accordo passò tra loro:

Andrà tutto bene.

Rompendo nuovamente il silenzio, Ghish riportò la sua attenzione al dilemma in questione.

“Allora… voi avete qualche idea?”

Sia l’alieno che la ragazza gatto rimasero sorpresi quando Lory cominciò.

Eppure, lei, sempre così preoccupata di riuscire a trovare una tregua com’era, probabilmente aveva passato una buona parte del suo tempo libero a riflettere su simili questioni. Nonostante ciò, entrambi sbatterono le palpebre quando la ragazza parlò, mentre si torturava nervosamente le dita, ma con una voce che aveva la stessa chiara sicurezza presente nella dichiarazione di Strawberry.

“Penso che dovremmo dirlo agli altri. Non possiamo tenerl—” qui esitò, guardando prima Strawberry e poi Ghish, come per ricordarsi l’esatta importanza di ciò che era stato nascosto. Deglutendo, mordendosi piano il labbro, terminò.

“Non possiamo più tenerlo segreto.”

All’inizio, Strawberry voleva liberarsi di tutta la rabbia, la frustrazione, l’agghiacciante paura che aveva provato negli ultimi giorni.

Per un secondo, ebbe voglia di lanciarsi in una delle sue famose declamazioni, ebbe voglia di affermare che nessuno aveva mantenuto un segreto, che non era colpa sua, che non c’era bisogno di fare qualcosa…

Ma era una cosa completamente stupida, ed anche se desiderava che si potesse risolvere così semplicemente, sapeva come stavano le cose.

Sì, anche l’occasionalmente svampita, impulsiva, avventata Strawberry Momomiya, sapeva come stavano le cose.

Annuì cupamente.

“Al biondino non piacerà.”

La ragazza, entrambe le ragazze, piazzarono bruscamente il loro sguardo su Ghish, che ricambiò con un’occhiata di divertimento misto alla durezza sul suo volto pallido. Mentre la mente di Strawberry provava freneticamente ad elaborare il concetto di Dobbiamo dirlo presto a Ryan, Lory fece pressione con una voce bassa, quasi supplicante.

“S-sono sicura che, dandogli un po’ di tempo, lo accetterà. Non è irragionevole, Ryan-”

“—odia me e la mia gente.”

“No... è solo che...”

All’improvviso, Strawberry ebbe un flashback di cosa Kyle le aveva detto, non molto tempo prima, riguardo l’infanzia di Ryan, le sue difficoltà, la sua missione interiore…

Si ricordava esattamente di cosa un Chimero gli aveva fatto

“Non è colpa sua, Ghish.”

Il ragazzo alzò gli occhi su di lei, l’attenzione che rapidamente distolta dalla ragazza-focena, che lanciò a Strawberry uno sguardo stupito. L’alieno sbatté le palpebre, osservando il duro, eppure pietoso sprazzo negli occhi di lei, prima che la sua espressione accigliata si addolcisse solo un po’, ed annuì.

Lo fece a malincuore: Ryan, in qualità di fondatore del progetto Mew, difficilmente poteva essere annoverato tra i soggetti preferiti da Ghish, ma il ragazzo si ricordò di quella volta, una sola, dove, per un momento, l’alieno e l’umano erano sembrati trovarsi piuttosto d’accordo…

Ghish borbottò piano per mostrare a Strawberry che aveva capito. Poi, permise ad un mezzo sorrisetto cinico di storcergli le labbra.

“E qual è la tua scusa per Pai?”

Pai

Lory si trovò a torturarsi le mani di nuovo al sentire il nome dell’alieno più grande. Le riportò solo quella sensazione di disperazione, quelle scoraggianti immagini di soltanto un’ora prima circa. Il suono duro della sua voce mentre la salutava bruscamente risuonava nella sua mente, e ci mancò poco che lei sobbalzasse quando Ghish sbuffò, in un’esasperata risposta allo sguardo vacuo, quasi colpevole di Strawberry.

Non è nemmeno colpa sua… non è…

Tutto ciò che riusciva a ricordare era la luce supplicante nei suoi occhi quando le aveva chiesto di portarlo da Ghish, la sollevata gratitudine quando aveva dato alle ragazze la medicina di cui avevano bisogno, il modo in cui aveva chinato la testa al suo indirizzo, così allenato a nascondere la sua preoccupazione, eppure era ovvio che lo fosse…

Si ricordò di come si era trasformato da amico preoccupato a guerriero rigido e determinato non appena gli era tornata in mente la sua missione.

Gli era tornata in mente la sua gente…

Dio, è sempre la stessa cosa…

Scuotendo leggermente la testa, Lory rispose a Ghish con un sorriso gentile per opporsi al suo pessimismo.

“La stessa cosa.”

Ghish si trovò a fissure la ragazza-focena con un sorriso.

La stessa cosa.

Non è colpa sua.

Bella risposta

Non poteva sapere che stava replicando i sentimenti basilari che avvolgevano la conversazione che Strawberry e Ghish avevano appena avuto. Il solo ripetere quei concetti  gli portò nuova speranza.

Erano vere, quelle parole.

Vere.

Semplici.

Così semplici che… potevano non esserlo?

Accidenti. Non lo sapeva. Voleva saperlo.

Ora che aveva il supporto della sua preziosa Strawberry, era possibile che ci fosse un modo per vincere quella difficoltà?

Tutto ciò che sapeva era che in quel momento, con lei, si sentiva più vicino al sollievo.

Tanto più vicino, infinitamente più vicino, di quanto si era sentito quando Profondo Blu aveva fatto le sue promesse.

Quelle promesse aveva echeggiato con una sensazione di vuoto che aveva messo in guardia Ghish l’attimo in cui era cominciata la missione. La diffidenza gli era sempre rimasta, era stata messa da parte, ignorata, mentre la missione, quei ricordi, quella grande responsabilità, gli ricordavano i suoi doveri.

Era riemersa ed aveva continuato a riemergere, da quando lui si era messo ad osservare quella ragazza.

E presto aveva scoperto che, mentre Profondo Blu rafforzava la sua diffidenza,  Strawberry lo calmava, lo soddisfaceva, in qualche modo. L’unico problema era stato il rifiuto costante.

Ora, il rifiuto era sparito. Ora lei lo guardava senza la rabbia negli occhi.

E ora, lui era assolutamente certo che la strada giusta da seguire si trovava dietro quegli occhi luccicanti, giaceva con quella ragazza e le sue care compagne.

“Non sarà facile.” Un sospiro, non di mestizia, ma di decisa, garbata accettazione.

“No, ma…”

Quegli occhi…

“Quando cominciamo?”

“Non appena starai davvero meglio.”

“Sto davvero me—”

Sarebbe suonato molto più convincente se il caro Mr. Tosse non avesse deciso proprio in quel momento di mandare i suoi saluti.

“Se vuoi andare fuori ora, uscirai indossando la giacca più vaporosa che ho, solo per Ryan! Hai capito?”

Strawberry lo fissò con rinnovata severità.

Ghish mise il broncio.

Lory ridacchiò.

Beh, forse avevano ancora un po’ di tempo prima che i genitori di Strawberry ritornassero.

Almeno quella tosse serviva a qualcosa.


Era… preoccupato.

Non spaventato, certo, perché non c’era ragione di esserlo davvero.

Non ancora.

Era solo preoccupazione, perché le cose non andavano rapidamente come pianificato. Ogni cosa aveva rallentato. Qualcosa… mancava.

Aveva ignorato la prima agitazione: quell’alieno dai capelli verdi e di natura ribelle lo aveva trattenuto, ed il conseguente fallimento era stato una sfortuna. Eppure, liberarsi di quel ragazzo sarebbe stata la soluzione al problema.

Perché, allora, i due che gli rimanevano fedeli non gli portavano dei risultati?

All’inizio, aveva pensato che la causa fosse a livello emotive: quei tre, dopotutto, erano diventati piuttosto vicini l’uno all’altro.

Ma non avrebbe dovuto durare tanto. Quello con i capelli verdi sarebbe dovuto morire, e gli altri due sarebbero dovuti andare avanti. Almeno avrebbero dovuto dare al loro dovere verso la propria casa una priorità maggiore rispetto al lutto.

Il fatto che non fosse stato fatto praticamente nulla, che non fosse stato raggiunto alcun progresso…

Si era aspettato che almeno il più grande escogitasse un’altra strategia, ma non c’era stato niente. Niente ma un pietoso attacco con delle bestie di qualità inferiore.

Probabilmente era stato in quel momento che il sospetto aveva cominciato a popolare la Sua mente.

Dopo pochi giorni di quei sospetti, era arrivato ad una conclusione.

Per provarla, aveva bisogno del più grande. Certo, il più grande veniva quando chiamato. Era un bravo ragazzo, un bravo burattino.

“Sì, Profondo Blu?”

Lo sentì solo perché lo stava ascoltando con tutto il Suo potere.

Eccola: una piccolissima sfumatura di ansia, diffidenza, incertezza, in quella voce dal timbro basso.

“Quali sono i vostri progressi attuali?”

Questa volta, ci fu un balbettare vago, quasi impercettibile. Di nuovo, Lui lo udì solo perché lo aveva sospettato.

Il ragazzo non procedette molto con il suo rapporto. La voce echeggiante lo fermò.

“So cosa sta accadendo.”

I suoi sospetti adesso furono confermati. Quel traditore era vivo. Vivo e con il nemico. Con le umane.

Come ne era certo, neanche Lui poteva dirlo. Certo, si era accorto che delle medicine erano state prese da quella dimensione il giorno prima, ma non aveva fatto caso ad un dettagli così infimo. Solo quando i sospetti si erano sollevati aveva fatto uso di quella conoscenza.

Tuttavia, era stata corretta. Adesso, poteva vedere la risposta negli occhi viola del ragazzo.

“Hai dimenticato l’obiettivo di questa missione?”

“No, Profondo Blu! Io—”

Adesso lo doveva spaventare. Era l’unico modo. Questo doveva rimanerGli leale. Il traditore se n’era andato, il più giovane era discutibile, ma questo era ancora vulnerabile. Questo doveva rimanere.

Se non l’avesse fatto, il piano sarebbe stato rovinato. Non avrebbe mai riavuto il Suo mondo, e Lui aveva bisogno del Suo mondo. Voleva ciò che era Suo di diritto.

Perciò, cominciò a lavorare il suo mondo sul più grande.

“Perdonerò ogni cosa, anche lui, se lo riporterai indietro. Questo contatto con gli umani deve interrompersi immediatamente se vuoi salvare la tua gente. Perdonerò te e lui, se risolvi questo problema immediatamente. E’ chiaro?”

C’erano un tremore molto più evidente nella voce del ragazzo, forse per la menzione della sua gente.

“Sì.”

“Allora sei scusato.”

Il ragazzo scomparve. Prima che lo facesse, Lui notò quello sguardo di ferma determinazione che aveva sostituito uno carico d’ansia.

Stupido ragazzo.

Così facile da manipolare per via di inutili sentimenti.

Così facile.

Che fortuna.

Ora, tutto quello che doveva fare era aspettare. Presto, tutto sarebbe tornado al suo posto.

Questo mondo sarà mio

FINE DEL CAPITOLO

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Capitolo 21
*** Disavventure ***


Capitolo 19

Sarebbero andati l’indomani.

Ghish sospirò rigirandosi, la ferita che era ancora in via di guarigione gli strappò una leggera smorfia di dolore mentre si muoveva, e si sdraiava sulla schiena, una mano sotto la testa, l’altra che giocava distrattamente con un bottone della maglia del pigiama. Mentre fissava il soffitto, non poté fare a meno di soffermarsi su quel pensiero.

I genitori di Strawberry sarebbero tornati la notte seguente. Questo voleva dire che sarebbero dovuti andare al Caffè Mew Mew a qualche ora della mattinata, o nel pomeriggio.

Da parte sua, il ragazzo avrebbe preferito andarci il più tardi possibile nel pomeriggio.

O, meglio, non andare affatto. Sì, sembrava una cosa davvero perfetta in quel momento.

Onestamente, anche se detestava ammetterlo, Ghish era nervosa per l’indomani.

Certo, chi poteva biasimarlo?

D’accordo, negli ultimo giorni aveva ottenuto una profonda relazione che non si sarebbe mai sognato di ottenere con Strawberry.

D’accordo, aveva ricevuto una gentile accoglienza da parte di Lory.

Quei due fatti non avevano fatto niente per diminuire la durezza con cui sapeva Ryan Shirogane si sarebbe rivolto alla situazione.

Il ragazzo sapeva che ci sarebbero state imprecazioni, urla, grida, minacce ed angoscia da entrambe le parti, e di certo non era ansioso di arrivare a quel momento.

Diavolo no.

Ed anche se avessero superato quell’ostacolo minaccioso, ci sarebbe stato ancora tanto da risolvere dopo, così tanto che semplicemente non voleva pensarci in quel momento…

Ma doveva farlo. Doveva ricordarsi della sua famiglia, dei suoi amici, della ragione per cui si trovava lì. Tutto quello non sarebbe scomparso solo perché lui desiderava potersi concentrare sulla felicità che aveva provato stando con Strawberry piuttosto che occuparsi dei suoi obblighi.

Eppure, desiderava che ciò potesse accadere. Desiderava poter vivere per sempre nel mondo in cui si era trovato negli ultimi due giorni.

A ripensarci, gli scappò un sorrisetto nonostante la preoccupazione.

Erano stati due giorni meravigliosi.

Mentre passavano, l’alieno e la ragazza si erano soltanto avvicinati e la parte più divertente, eppure più significativa di tutto ciò era che nessuno dei due aveva fatto molto per cambiare il proprio comportamento abituale. Ghish lanciava ancora i suoi sfrontati sorrisetti compiaciuti e proponeva gioiosamente alla ragazza di stringersi a lui mentre guardavano un film qualsiasi o di dargli un bacio di ringraziamento per aver lavato i piatti, e Strawberry rispondeva ancora con un colpo alla testa ben mirato o una forte, energica minaccia.

L’unica differenza era che adesso lo faceva con uno sprazzo di divertimento negli occhi, un tacito riscontro privato dell’affetto mostratole dal ragazzo.

E poi, aveva dato la sua risposta alle proposte maligne di lui.

Mentre guardavano il film, si era (e Ghish sapeva che questo non era stato solo un miraggio, perché aveva visto Lory nascondere un sorrisetto dietro la mano) avvicinata e gli si era seduta più vicina nel buio.

Mentre lavava i piatti e le tazze, aveva visto Strawberry cercare invano di nascondere un sorriso prima di ricordargli di ammucchiare i piatti con cautela.

Quei ricordi e diversi altri servirono in quel momento a far allargare il sorriso di Ghish, mentre questi si rilassava sul cuscino della stanza degli ospiti.

Ah, sì. Anche il ricordo di quella piccolo discussione lo fece sorridere.

La ragazza gatto aveva insistito con veemenza (e questo era avvenuto proprio dopo che lei aveva provato a dormire nel suo sacco a pelo invece che, come lui aveva innocentemente  suggerito, stare teneramente e felicemente abbracciata a lui nel suo letto) che, dal momento che si era ripreso, era ora che si spostasse nella sua propria stanza. Dopo che la risposta di lui (un lievemente lamentoso ‘ma stavamo così bene  insieme’, accompagnato dai classici occhioni da cucciolotto) gli aveva fatto ricevere una rapida cuscinata, era stato deciso che Lory avrebbe dormito in camera di Strawberry su un materassino ad aria, Strawberry sarebbe tornata nel suo letto, e Ghish avrebbe preso la camera degli ospiti.

E, ovviamente, quelle erano state le disposizioni per dormire utilizzate nelle ultime  due notti, eppure, anche questo aveva il suo metaforico lato positivo, il suo indizio che provava la differenza delle circostanze contemporanee.

Primo, c’era il fatto che le guance di Strawberry erano rimaste rosse per tutta quella dura prova.

Secondo, entrava sempre prima che lui spegnesse la luce. Ora, la ragazza si assicurava, senza fallo, di fare qualcosa mentre si trovava nella sua stanza, qualcosa di futile, come recuperare un gingillo dal cassettone, o giocherellare con le tende, borbottando qualcosa riguardo assicurarsi che i vicini non pensassero che la famiglia Momomiya aveva improvvisamente deciso di dare rifugio a strani tizi con le orecchie a punta dopo aver guardato fuori dalla finestra in un momento inopportuno. In ogni caso, usciva sempre con le solite parole, pronunciate con la stessa dolcezza, in un tono che lo faceva sorridere nell’oscurità dopo che lei se n’era andata:

“Buonanotte Ghish.”

Il ragazzo chiuse gli occhi mentre i ricordi si ripetevano ancora e ancora.

Dannazione, ma non se ne voleva andare

Con una breve risata derisoria, aprì nuovamente gli occhi.

Non c’era scelta e basta.

Questo deve finire…

Nessuna scelta, ma almeno adesso aveva—

“Ehi, Ghish!”

Heh. Strawberry.

L’alieno si sedette, la malinconia fuggì dalla sua espressione quando la vide, ed un sorriso ne prese il posto.

“R—“

Stava per fare un commento sulla sua puntualità (forse sarebbe arrossita di nuovo e gli avrebbe dato un’altra ragione per ridacchiare), ma lei lo interruppe rapidamente.

“Hai lasciato questi in bagno.”

Gli mostrò i suoi nastri per capelli che, ovviamente, erano convenientemente serviti come ragione di quella sera per entrare. Il ragazzo sbatté le palpebre, poi incline la testa di lato e le rispose con una punta di perplessità nella voce al posto della solita nota canzonatoria. Si accorse che c’era qualcosa leggermente fuori posto…

“Oh… sì, grazie. Ma sai, dormo senza quelli, gattina.” Si spostò alcuni capelli sciolti dietro un orecchio, accentuando inconsciamente quell’affermazione, sempre guardando con attenzione la ragazza.

Strawberry sembrò ignorare il fatto che stesse andando verso il comodino e che ci poggiasse i nastri sulla sua superficie color crema.

Immediatamente, il ragazzo si accorse che quel giorno lei non era entrata solo per la consueta buonanotte data con finta nonchalance. C’era un disagio nei suoi occhi che lo colpì con particolare durezza.

Probabilmente perché si trattava della stessa sensazione con cui aveva appena combattuto.

Difatti, invece di gettarsi in gesti a caso ed in una conversazione di simile stampo, la ragazza si sedette sul bordo del letto, con le mani abbandonate in grembo, gli occhi concentrati tenacemente su di esse mentre la forzata nonchalance spariva dalla sua espressione.

Non era mai stata molto portata nel nascondere le emozioni, e quando Ghish si avvicinò a lei, avvolgendo un braccio intorno alle sue proprie ginocchia, le scrutò il volto.

“Strawberry? Cosa…?”

Con sua sorpresa, lei non perse assolutamente tempo nell’arrivare al dunque. Non ci furono sorrisi, né tentativi di sviare il discorso da quell’argomento, né sforzi per mascherare il tremolio della sua voce. Ciò gli disse una cosa: la ragazza aveva paura e per davvero.

“Stavo pensando a domani.”

Ah. Stava cominciando piano, sempre fissando le sue mani, con la voce bassa e piccola. Lui sapeva che la ragazza doveva arrivarci, sapeva che il cosiddetto ‘effetto palla di neve’ avrebbe fatto presto breccia, perciò attese in silenzio, un cortese silenzio di supporto che gli sembrava necessario per rimediare alla sua angoscia.

“Ghish, volevo solo… voglio dirti che non importa cosa accadrà, io… io volevo dire ciò che ho detto, prima…” Ora, finalmente, alzò gli occhi.

“Non importa cosa dirà Ryan…” ecco, solo a dire il nome del ragazzo, sembrò in qualche modo immaginare, scorgere, le terribili possibilità del giorno seguente, e le sue labbra cominciarono a tremare.

“E so cosa dirà... non sarà... l-lui…”

Ghish sapeva di essere stato preoccupato negli ultimo due giorni, sotto la sua apparenza allegra e sapeva che anche Strawberry doveva essere stata preoccupata. Quello che non sapeva era che lei era riuscita a farsi venire quella sorta di delirio nervoso.

Beh, c’era solo una cosa da fare al riguardo, ed era qualcosa che lui sarebbe stato piuttosto felice di eseguire.

Avvicinandosi ed inginocchiandosi accanto a lei, la abbracciò. La abbracciò come aveva fatto l’ultima volta in cui si era persa d’animo, con la stessa rassicurazione, la stessa accettazione, e la stessa stretta affettuosa che era riuscita a calmarla prima.

Era lo stesso gesto che aveva calmato lui quando era stato sofferente durante tutte le notti passate.

“Pensavo che fossimo d’accordo di preoccuparcene solo quando ci fossimo arrivati.”

Lei tirò su con il naso, ma si rilassò al suono della voce di lui. La sua dunque, fuoriuscì un po’ più sicura.

“Ma ci siamo quasi...” con sorpresa dell’alieno, lei ridacchiò, un po’, se fosse per il sollievo o per una leggera isteria, lui non riusciva ad immaginarlo. Poi, sospirò con malinconia. “Come puoi essere così calmo in questa situazione?”

Questa volta, fu il suo turno di ridacchiare mentre si avvicinava per passare le dita tra i capelli di lei, accarezzandola piano prima di posare la fronte sopra la sua testa, godendo dentro di sé per la liscia morbidezza dei suoi capelli. Un attimo dopo, rispose.

“Se ti può far stare meglio, nemmeno io sono particolarmente eccitato per questo.” Le sue parole non rivelavano molto, ma lui si assicurò che il suo tono spiegasse ciò che voleva dire: i suoi sentimenti facevano eco a quelli di lei.

Questa volta, la ragazza rise più forte.

“Sai cosa? Funziona.”

Com’era meravigliosamente ironico. Gli strappò un sorriso.

Stupida piccola gattina…

“Beh, sono contento che il mio disagio ti renda felice, gattina.”

Questo, accompagnato dal suo sorrisetto, sortì l’effetto desiderato.

Strawberry iniziò a ridere forte, mettendosi una mano sulla bocca nello sforzo di porsi un freno mentre Ghish la lasciava andare, guardandola con un bagliore umoristico negli occhi. Dopo alcuni secondi, si fermò, fissando il vuoto per un paio di battiti di cuore, prima di voltarsi improvvisamente verso di lui, gli occhi che brillavano di una nuova gioiosità. Si avvicinò e gli dette un rapido bacetto sulla guancia.

L’azione colse l’alieno piuttosto di sorpresa (il suo primo pensiero, infatti, fu proprio ma questo non è il mio lavoro?), ma questo fece solo allargare il sorrisetto di Strawberry.

La sua motivazione era tremendamente semplice: era entrata in quella stanza sentendosi scossa e spaventata, e quel ragazzo l’aveva fatta ridere senza sforzo, alla faccia di tutto. Aveva preso quel terrore e l’aveva sconvolto così rapidamente, così dolcemente da sorprenderla, solo un’altra sorpresa da aggiungersi a tutti quei piacevoli shock che aveva avuto negli ultimo due giorni, shock riguardanti quanto dolce e meraviglioso quell’alieno potesse essere.

Era solo un’altra sorpresa, ma era così rincuorante, che lei sentì la necessità di dargli un altro bacetto.

E le piacque particolarmente il modo in cui lui sbatté le palpebre confuse al suo indirizzo, quando lei si alzò ed andò alla porta.

“Buonanotte, Ghish.”

Un secondo più tardi, se n’era andata e Ghish rimase a fissare la porta a bocca aperta. I silenzio regnò per alcuni secondi prima che il ragazzo riuscisse ad infrangere l’incantesimo accigliandosi e sospirando debolmente.

“Huh,” mormorò, guardando in basso verso il letto, con gli occhi che si posavano sul posto accanto a lui, il punto dove poteva stare un altro corpo.

“Avrei dovuto chiederle di restare.”

Una volta terminata la frase, stava ghignando, e scoppiò a ridere un momento più tardi mentre si sdraiava. La risata era calata in un risolino leggero al momento in cui spense la luce, e si placò quando si voltò su un fianco per dormire.

Gli rimase solo un pensiero mentre si assopiva:

Dannazione, la amo.


Si svegliò nell’oscurità.

Questo gli disse che non era stata la sveglia ad interrompere il suo sonno: se l’avesse fatto sarebbe stato giorno.

Il colpevole fu scoperto piuttosto rapidamente.

Mentre giaceva chiedendosi cosa fosse accaduto, sentì un leggero picchiettio sulla sua spalla. Stringendosi lentamente nelle spalle, cercò di ignorarlo, solo per sentirlo di nuovo, solo un po’ più forte questa volta.

Ancora, si sforzò di tornare a dormire.

Allora, il picchiettio si posò sul suo fianco, dove lui soffriva particolarmente il solletico, strappandogli un rapido sobbalzo, insieme ad un leggero ‘nyugh’.

“Ghish?”

Quella voce…

Prima che ci potesse essere un altro picchiettio, si voltò, solo per vedere—

“Gah!” Si rotolò indietro più rapidamente che poté, e fu solo perché si ingarbugliò tra le lenzuola e si immobilizzò che non rotolò abbastanza da cadere giù dal letto.

Normalmente, avrebbe provato a reagire con più grazia, ma trovarsi letteralmente faccia faccia con un Tart dagli occhi sbarrati mentre era solo parzialmente sveglio era chiedere un po’ troppo persino a Ghish. Dovette fissare l’alieno più giovane per alcuni secondi prima di calmarsi abbastanza da accorgersi chi lo stava fissando di rimando.

“Tart!” Liberandosi rapidamente, si sedette, sbattendo le palpebre all’indirizzo del suo compagno. “Che stai—”

In quel preciso momento, Ghish comprese con quanta rapidità e con quanta forza Tart fosse in grado di attaccarsi ad un’altra persona e di stritolarla. Il ragazzo più grande si trovò improvvisamente incapace di respirare.

Il suo primo pensiero cosciente che questo era estremamente strano. Dopo tutto, Tart normalmente si mostrava riluttante di fronte ad ogni contatto che magari suggeriva affetto o che accennasse al fatto che lui era ancora un ragazzino. Dio non volesse che Ghish provasse a scompigliargli i capelli o a ridacchiare al suo indirizzo mentre si comportava da immaturo e da marmocchio.

Gli abbracci ricadevano un po’ in quella categoria.

Quello che non si era ritrovato a pensare era che l’alieno più giovane non lo vedeva da diversi giorni, e l’ultima volta che aveva avuto a che fare con l’alieno dai capelli verdi, questi si trovava nelle condizioni peggiori della sua vita.

Quell’abbraccio era l’unico modo di esprimete silenziosamente il suo incredibile sollievo. Il suo amico era vivo. L’ultima volta che l’aveva visto, era stato coperto di sangue, respirava a malapena, era semi-lucido, tremava, delirava, incespicava e boccheggiava, ed ora era vivo, e sembrava in perfetta salute.

Tutta quella preoccupazione, quella paura che erano rimaste anche dopo che Pai aveva insistito che Ghish stava bene, tutto quel nauseante terrore si era dissolto quando il giovane alieno si era teletrasportato nella stanza ed aveva visto il suo compagno tranquillamente addormentato.

Il sollievo era travolgente.

Sfortunatamente, Ghish non la pensava davvero allo stesso modo.

Tutto quello che riusciva a pensare era che la spalla di Tart stava premendo proprio  sulla sua ferita, che, anche se abbastanza guarita, riusciva ancora a fargli abbastanza male se gli veniva applicata della pressione.

E Tart ci stava applicando un sacco di maledetta pressione.

“Ahio… nanetto… levati!”

Fortunatamente, questo sembrò far tornare Tart in sé.

Sempre fortunatamente, quel finto insulto portò via ogni pensiero inquieto riguardo quel gesto troppo affettuoso, ed ogni imbarazzo che sarebbe potuto risultare fu rapidamente distrutto da Tart che mise il broncio nei confronti del suo amico.

Non sono un nanetto!”

“Sì, ok…” brontolò Ghish, massaggiandosi la spalla con cautela mentre lanciava uno sguardo torvo a Tart. Presto, comunque, quello sguardo si addolcì quando il ragazzo di accorse di essere effettivamente piuttosto contento di vedere il più giovane.

“Allora, cosa ci fai qui?”

Stranamente, la domanda sembrò cogliere Tart di sorpresa, ma il ragazzo si riprese in fretta, lanciando a Ghish un sorrisetto.

“Sono venuto a vedere se la vecchiaccia ti stava trattando bene!”

Questo provocò un sbuffo da parte di Ghish, che non riuscì a non sentire un colpo di divertimento anche se si accigliò al commento.

“Beh, ovviamente Strawberry  mi sta trattando bene, tu pic—”

“Ehi, voi due avete davvero dormito insieme? Perché non siete insieme ora?”

Ovvio che il piccolo marmocchio avesse “innocentemente” toccato l’argomento che normalmente avrebbe reso Ghish piuttosto fiero ma, il fatto che l’avesse detto in quel tono incredulo ed infinitamente curioso che solo un bambino sa tirare fuori, in quel momento lo fece farfugliare.

Stupido piccolo… e a giudicare dal suo sorrisino, probabilmente era da un po’ che aspettava di stuzzicarlo su quell’argomento, e Ghish non sapeva nemmeno come il più piccolo fosse riuscito ad avere quell’informazione.

Si trattenne appena dal colpire il ragazzino sulla testa nel tentativo di riprendere un contegno. Tart ridacchiò prima di accorgersi che doveva davvero portare Avanti la conversazione. Questo portò inevitabilmente ad un tono più leggero della voce dato che la sua attenzione si mosse su un argomento più serio.

“Allora…uh…stai bene veramente?”

L’irritazione di Ghish scomparve immediatamente, e lui si concesse un piccolo sorriso nell’oscurità.

“Sì”

Eh. E’ solo per questo che è venuto, per vedere se stavo bene? Stupido piccolo…

In realtà però, era contento, persino toccato in qualche modo, se avesse potuto ammetterlo, dal fatto che Tart fosse in effetti venuto per una visita. Non aveva davvero pensato al piccolo alieno durante il tempo passato in casa di Strawberry, ma ora che il ragazzo gli stava davanti, si accorse che gli era mancato (anche se sembrava un infantile, piagnucoloso figlio del diavolo certe volte… specialmente quando si trattava di stuzzicare Ghish riguardo la sua infatuazione per l’umana).

Per quanto potesse essere fastidioso, Tart era un buon compagno quando voleva.

Come adesso, presuppose Ghish, sopprimendo una breve risata al pensiero. Poi, cercando di interrompere in qualche modo lo strano silenzio imbarazzante che si stava posando tra di loro, ed uno sguardo un po’ a disagio stava prendendo possesso del piccolo volto di Tart (forse si sentiva un po’ nervoso per il fatto di trovarsi nella casa della ragazza-gatto?), aprì la bocca per proseguire.

Tart, comunque, lo batté sul tempo, e ciò che uscì dalla sua bocca fece gelare totalmente il sangue nelle vene di Ghish per un momento.

“Quando torni a casa?”

Ok. Quindi forse il ragazzo più giovane non era esattamente preoccupato per il fatto di trovarsi nella casa della Mew Mew. Forse era più preoccupato riguardo a cosa sarebbe accaduto quando avrebbe posto quella domanda.

E giustamente.

Ghish si irrigidì, gli occhi che si stringevano inconsciamente mentre le parole gli morivano in gola.

Era strano, in effetti, il sentimento che stava sperimentando in quel momento. Si era aspettato un po’ di rabbia verso il ragazzo per avergli chiesto quello, forse un po’ di rabbia per Pai, che non era nemmeno lì, ma che poteva essere da incolpare in qualche modo per buona parte di quella dura prova.

Di sicuro furia al pensiero di tornare dove si trovava Profondo Blu, quella creatura che l’aveva condannato a morte, a lasciare le uniche due persone che si sarebbero prese cura di lui e a vagare per le strade fino a quando la morte non avesse deciso di rivendicarlo.

Eppure... tutto quello che si trovava a provare era un’eco della nauseante paura con cui lui e Strawberry si erano trovati a fare i conti.

Borbottò piano, e Tart attese, diventando teso, una qualche sorta di risposta comprensibile.

Dopo alcuni istanti, Ghish sospirò.

“Io—”

Sorprendentemente, dovette sforzarsi solo fino a lì. Tart era un ragazzino sveglio. La sua reazione fu istantanea.

“Ma devi tornare! Pai—”

All’udire quel nome, Ghish si rabbuiò, anche se solo un po’, ed il cambiamento improvviso sottrasse la voce a Tart che si interruppe a quella vista.

“Pai cosa?”

Per alcuni secondi, Tart tenne la bocca fermamente serrata, una paura improvvisa alla reazione di Ghish, anche se era in qualche modo da aspettarsi, gli inondò la mente. Mentre l’altro ragazzo manteneva il suo sguardo torvo, le difese dell’alieno più giovane cominciarono ad infrangersi, e lui improvvisamente si lasciò sfuggire tutto quello che l’aveva preoccupato negli ultimi due giorni.

“Ha detto… ha detto che puoi tornare! Ha detto che Profondo Blu te lo lascerà fare, e che tutto andrà bene, che che ci perdonerà, e—,” prese un respire tremante, “—e che noi possiamo tornare a vivere come prima! Non è grandioso?”

In qualche modo, riuscì a sorridere all’indirizzo di Ghish che continuava a guardarlo torvo. Con tutta quella disperazione, quella nausea che torci – stomaco che gli scorreva nel corpo mentre si preparava a pregare un bel po’ l’altro ragazzo per riportare la vita alla normalità, riusciva ancora a sorridere.

“Andiamo… possiamo andare adesso! Posso aiutarti a teletrasportarti, se non ce la fai-”

In quel momento Ghish fece qualcosa che fece irrigidire Tart per lo shock totale.

Non gridò. Non lo colpì. Non ringhiò nemmeno.

Mise semplicemente una mano sulla testa di Tart per fermarlo e si chinò per guardare il ragazzo più giovane dritto negli occhi. Tart si azzittì istantaneamente.

“Tart. Non me ne vado.”

A quelle parole, qualcosa nell’alieno più giovane sembrò scattare, e lui si liberò con uno strattone dalla mano di Ghish.

“Allora è così? Semplicemente ci abbandonerai e starai con quella vecchiaccia? Tu—”

“Vuoi dire come Profondo Blu ha abbandonato me?” Non voleva dirlo, per niente, ora che vedeva lo sguardo ferito attraversare in un lampo il volto di Tart: gli era solo sfuggito, smorzato e semplicemente senza pretese, la prima cosa che la sua mente aveva fatto apparire in risposta a quelle parole particolari. Sentì una punta di vero rimorso quando il commento fece sì che la voce di Tart tremasse ancora un pochino.

“Ma sai che noi non l’abbiamo fatto… ed ora va bene! Se tornerai, andrà tutto…”

Non era davvero da Tart perdere la calma così rapidamente, e mentre Ghish guardava il ragazzino perdersi nel suo discorso, gli occhi luccicanti per quelle che, Ghish si accorse, con un leggero shock, erano lacrime disperate nell’oscurità.

Era spaventato, Ghish pensò dentro di sé, spaventato in un modo che Ghish non riteneva possibile.

Allora Profondo Blu sapeva di come aveva vissuto, di come Strawberry si era presa cura di lui.

Cosa sarebbe successo, ora che sapeva quelle cose? Cosa diavolo aveva detto a Pai, e cosa aveva detto Pai a Tart? Cosa potevano star pianificando l’alieno più vecchio e quella creatura?

L’unica cosa che Ghish poteva immaginare era che Profondo Blu aveva deciso che tutto sarebbe stato dimenticato se lui fosse tornato, ma se non l’avesse fatto…

Un’occhiata a Tart lo confermò. In qualche modo, senza nemmeno una parola, senza una vera risposta, Ghish seppe che Profondo Blu aveva insinuato che la missione, e la probabilità di successo, la sopravvivenza della loro gente, sarebbero crollate se lui non fosse ritornato.

Questo, certamente, spiegava la totale disperazione di Tart.

In circostanze normali, forse persino se i due si fossero incontrati da qualche parte fuori, l’angoscia di Tart avrebbe potuto spingere Ghish a tornare. Avrebbe potuto.

Lì, comunque, nella camera degli ospiti, Ghish poteva sentire il materasso soffice sotto di lui, le lenzuola fresche contro la sua pelle, la federa che gli sfiorava la mano, tutte sensazioni che gli riportarono i ricordi delle sue notti lì, notti passate nella malattia,  ma notti passate in vera sicurezza che lui non avrebbe mai dimenticato.

Con la coda dell’occhio, poteva vedere il suo proprio riflesso nello specchio, e questo gli ricordò di quando aveva barato a quel gioco di società, dei molti piccoli esempi di stupidi divertimenti che erano avvenuti in quella casa.

Ed accanto a lui, posate tranquillamente sul comodino, poteva vedere i suoi nastri per capelli, e sapeva che poche ore prima, erano state tra le mani di Strawberry, avevano sentito il tocco di Strawberry, proprio come lui l’aveva sentito così tante volte, così tante tenere, eccitanti, fantastiche volte…

Quell’ultimo pensiero fissò la sua determinazione, davvero la rese definitiva, e lui interruppe il silenzio con una voce leggera, ma decisa, una voce che risuonava di una calma gentilezza che Tart non aveva mai visto prima in lui.

“Andremo al caffè dpmani, per vedere quel tipo, Ryan.” Tart alzò lo sguardo su di lui, con una sorpresa imperturbata. “E’ già stato deciso.”

“Ma…” Tart sussurrò, trovando finalmente la sua voce, “…ma non puoi. Profondo Blu ha detto…”

Questa volta, Ghish non perse il controllo, né esitò. Se niente c’era, la sua voce aveva il tono più calmo che Tart avesse mai udito.

“Dimentica cosa ha detto. Tart, siamo arrivati da qualche parte, davvero da qalche parte, ascoltandolo? Abbiamo—”

“E’ solo perché—!”

Ghish dovette ricatturare lo sguardo dell’altro ragazzo per zittirlo prima di continuare. Mentre lo faceva, Tart si strozzò leggermente sulle sue parole, accorgendosi all’improvviso di essere nel torto, che c’era qualcosa di sbagliato in quello che stava dicendo…

“Non possiamo continuare a fare questo, Tart.” La determinazione cominciò ad insinuarsi nella sua voce, e Tart cominciò a sentire l’inflessione appassionata del tono per il quale Ghish era così conosciuto. “E nemmeno per il fatto che non sta funzionando, ma perché…”

All’improvviso sorrise.

Il ricordo di Tart e Mew Paddy, che si rotolavano su un tetto, lottando l’uno contro l’altro per una gemma senza valore, entrambi ringhiando e spingendo e strattonando, ma nessuno dei due faceva molto per fare davvero del male all’altro, nessuno dei due ingaggiava una vera lotta, si era bruscamente, per nessuna vera ragione percepibile, balenò nella sua mente.

Ed improvvisamente, Tart sembrò vedere la stessa immagine perché, non visto da Ghish nel buio, arrossì leggermente, con lo sguardo che crollava a terra. Fu a questo punto che Ghish si accorse di non doversi sforzare molto per convincerlo subito.

Continuò.

“Strawberry e Lory, quella ragazza pesce, parleranno con quel tipo domani, ed io andrò con loro. Noi…” si fermò, prendendo un altro respiro, come se raccogliesse la forza per dire infine le parole che riassumevano tutto, “noi pensiamo che ci debba essere un modo migliore.”

Dopo quella frase, nessuno dei due ragazzi disse niente per quello che parve un tempo lunghissimo, eppure, mentre il silenzio passava lentamente, mentre Tart cominciava a pensare davvero a cosa Ghish gli aveva appena detto…

Fu il primo a parlare.

“Bene. Fai… fai quello che vuoi.” La sua voce era così bassa, che era quasi impossibile da udire. Le sue parole fecero esitare Ghish leggermente, lo fece quasi alzare di nuovo la voce, cercando di giustificare di più quanto aveva detto, ma Tart proseguì.

“Solo… Io non posso… Io... Pai…”

Dannato Pai, Ghish ringhiò mentalmente, anche mentre lanciava a Tart quello che, sperava, fosse uno sguardo comprensivo.

“Ascolta,” cominciò, allungandosi e toccando Tart sulla spalla per catturare la sua attenzione, “non importa. Solo, non dire a Pai dove andremo domain, e tieniti fuori da questo. Tienitene semplicemente fuori e starai bene.

A giudicare dallo sguardo afflitto negli occhi di Tart, non era molto d’accordo.

“Ghish… penso… penso che potrebbero già saperlo. Penso che Pai lo sappia…”

Bene, la prima parte della richiesta era stata scoperta, allora. Ghish si accigliò alla possibilità, ma la accettò altrettanto rapidamente. Niente poteva essere fatto al riguardo. Avrebbe dovuto ricordare alle ragazze di stare ancora più attente il giorno dopo.

“Allora stanne semplicemente fuori. Capito? Fino a quando sarà sicuro. Allora...”

Allora, avrebbero pensato a cosa fare. Dopo che il disastro imminente del giorno dopo fosse stato affrontato, avrebbero deciso cosa fare con Tart.

E Pai.

Pai…

Per il momento, Ghish poté solo dare una piccolo scossa a Tart per far sì che alzasse lo sguardo su di lui.

“Capisci?”

Finalmente, un lento, silenzioso cenno d’assenso con il capo: l’accenno di urgenza nella voce di Ghish sembrava aver fatto breccia nel suo compagno.

Ghish rilasciò un respiro e si appoggiò indietro, rilassandosi.

“Bene.”

Tart, anche se rimase in silenzio per alcuni secondi, non aveva per niente finite. Anche se il suo tono era basso, le sue parole contenevano una gravità pesante che lo fece ascoltare da Ghish, sul serio.

“B-beh, Ghish… solo… promettimi che starai bene. Tu… tu e Pai. V-va bene?”

Il ragazzo dai capelli verdi sbatté le palpebre.

Davvero lui… eh. Stupido ragazzino.

Ma sorrise e si avvicinò per scompigliare i capelli di Tart.

“Sì. Certo, nanetto.”

Eppure…Pai

Poi, così com’era venuta, la tensione sparì. Con un rapido scatto, Tart si allontanò dalla mano tesa di Ghish, guardandolo torvo.

Guardandolo torvo, ma con un’espressione addolcita, rilassata.

C’era una luce più felice nei suoi occhi marroni.

“Ti ho detto di smettere di chiamarmi così!”

Ghish fece un sorrisetto.

“Ma “piccoletto” va bene, vero?”

Persino Tart si era permesso un lieve sorriso alla sfrontatezza del suo amico. Dopotutto, gli era mancata, gli erano mancate le sue canzonature, ogni fastidioso pezzettino. Peccato che se ne dovesse andare così presto…

Ma ora che ci pensava un po’ di più, sarebbero stati entrambi più al sicuro se lui se ne fosse andato. Non c’era bisogno di far sapere a Pai che si trovava lì.

Il più grande aveva già messo abbastanza in chiaro che se ne sarebbe occupato lui di far tornare Ghish. Eppure, Tart aveva sperato che la sua visita avrebbe raggiunto il suo amico più rapidamente di ogni futuro tentativo di Pai.

Strano, come si sentisse felice che non l’avesse fatto.

Nonostante il pericolo che, sapeva, sarebbe sorto presto, quel pericolo che si stava silenziosamente preparando, sentiva che era bizzarramente giusto, lasciare Ghish con quelle Mew Mew, lasciarlo e confidare nel fatto che facessero ciò che era necessario.

Sentiva che era giusto, perché Tart sapeva che Ghish aveva ragione quando diceva che non stava funzionando.

Quello che avevano fatto fino a quel momento era sbagliato. Se quelle ragazze si erano prese cura dell’alieno per quasi una settimana ormai, lo avevano salvato quando i suoi stessi amici erano impotenti, allora doveva essere sbagliato.

“Allora, il piccoletto ha intenzione di lasciarmi dormire un po’?”

Tart abbandonò i suoi pensieri per riportare lo sguardo su Ghish, che lo stava osservando con un mezzo sorriso furbetto, in attesa, ovviamente, di una reazione.

Ma non solo di quella. Tart vide rapidamente che era serio nonostante quella battuta, e questo era perfettamente logico. Prima il più piccolo se ne andava meglio era.

“Ha! Come se volessi stare in casa della vecchiaccia!”

Prima che Ghish potesse ribattere (probabilmente con qualche secca replica in difesa di Strawberry), Tart era sparito.

Il ragazzo sbuffò e si giro dall’altra parte, spegnendo nuovamente le luci e tirando su le coperte.

Un sorriso, piccolo, leggermente incerto, eppure presente, giocava sulle sua labbra quando lui si addormentò.


La mattina successiva, Strawberry e Lory lasciarono che Ghish dormisse di più mentre facevano colazione in cucina.

Naturalmente, Lory aveva dovuto convincere gentilmente l’altra ragazza a farlo: Strawberry non poteva capire perché quel pigro di un alieno non potesse trascinarsi fuori dal letto ed avere la decenza di unirsi a loro per colazione.

In effetti, nemmeno Lory lo sapeva davvero. Aveva solo una sensazione: si ricordava di essersi svegliata ad un certo punto della notte e di aver pensato di udire delle voci provenire dall’altra stanza.

Beh, poteva essersi trattato della sua immaginazione. Probabilmente era così.

Ma sentiva ancora che Ghish poteva dormire un pochino di più. Solo per questo.

Perciò, trattenne Strawberry dal salire le scale fino alle 11:30. Dopo quell’ora, la ragazza gatto non poté più essere trattenuta e quasi saltò per le scale, brontolando qualcosa riguardo quanto quel pigro di Ghish sarebbe andato d’accordo con quel meravigliosamente pigro di Ryan: entrambi le avrebbero fatto pulire il caffè da sola.

Lory la guardò tornare di sopra con un sorriso inevitabile.

Buffo, come considerasse quelle lagnanze un pensare in modo effettivamente costruttivo.

Al piano di sopra, Strawberry bussò piano alla porta di Ghish, aspettò un secondo scarso, poi batté piuttosto forte.

“Oi! Sei già sveglio?

Beh, se non lo era prima, di certo doveva esserlo in quel momento.

Allora perché non otteneva risposta?

Borbottando, Strawberry decise che era il momento di fare un’entrata coraggiosa senza invito nella stanza: non era che avessero del tempo da perdere, comunque.

Prendendo un respiro per calmarsi, giro la maniglia ed aprì la porta, pronta a dare un’altra bella sgridata all’alieno…

…solo per trovare il letto vuoto.

Vuoto e, in effetti, anche rifatto in modo preciso.

“Cosa?” mormorò, camminando lentamente nella stanza e guardandosi intorno a bocca aperta.

Ovvia domanda: dove, oh dove si era cacciato il piccolo alieno?

La sua confusione divenne presto irritazione, dal momento che Ghish rimaneva nascosto.

“Mah…” brontolò, mentre le sue mani si stringevano rapidamente in pugni “Se sei già in piedi, allora vieni fuori e scendi per colazione! Non abbiamo tempo per i tuoi stupidi piccoli—”

Invece di terminare con la parola “giochetti”, la sua frase fu interrotta da un forte, assordante strillo.

Mentre stava parlando, aveva sentito all’improvviso un leggero, dolce respiro contro il suo collo. Quello era tollerabile di per sé, ma l’intenzionalmente alto “ giorno, micetta!” accompagnato da un colpetto nel fianco proprio dove soffriva di più il solletico decisamente non lo era.

Ruotando, arrossendo furiosamente, si ritrovò faccia a faccia con un Ghish ghignante.

“Tu… cosa… come hai...”

Sembrava incapace di comporre una frase per intero, e allora Ghish lo fece per lei.

“Stavo solo facendo pratica con il teletrasporto, Strawberry.” Il suo tono innocente non fece niente per alleviare l’irritazione della ragazza. In effetti, non stava mentendo. Negli ultimo giorni, era stato ancora troppo debole per teletrasportarsi: anche il solo levitare per un esteso lasso di tempo lo aveva lasciato sfinito in modo inquietante.

“Voglio dire, non ne sono stato in grado per un po’, quindi—” cercò di continuare, solo per essere interrotto dalla ragazza che sbuffò.

“Idiota. Potrai fare pratica più tardi, quando non dovremo andare da qualche parte.”

Un istante più tardi, uscirono dalla stanza, con Ghish che seguiva una Strawberry ancora imbronciata.

Beh, dal di fuori, era imbronciata. Internamente, stava disperatamente tentando di impedire a quel broncio di trasformarsi in una risatina ed in un rapido colpetto di vendetta (aveva imparato, ad un certo punto durante gli ultimo giorni, che lui aveva quasi i suoi stessi punti sensibili, e lei era diventata piuttosto brava nel colpirli quando ne aveva bisogno, o persino quando voleva). Il ricordo del rapido bacetto della notte precedente era di scarso aiuto, anche se lei era piuttosto sollevata dal fatto che lui si fosse apparentemente dimenticato di farne menzione.

Fu un bene che riuscissero a raggiungere velocemente la cucina.

Strawberry non sapeva per quanto sarebbe riuscita a resistere a tali impulsi.

Non appena lui si fu seduto per mangiare, lei riuscì a riprendere il contegno, ormai rassegnata ad informarlo sul piano di quel giorno.

Questo riuscì a farla calmare molto rapidamente.

Nell’arco di pochi minuti, gli disse che Lory sarebbe andata per prima, agendo come una sorta di calmiere verso lo spesso-esplosivo biondo, portandolo in una delle stanze sul retro, facendolo sedere e raccontandogli la storia lei stessa.

Lory si era offerta volontaria, sebbene con un certo nervosismo, per farlo. La sua logica era semplice: tra loro tre, sembrava essere la più obiettiva e distante dalla situazione (se la dolce ragazza poteva davvero mai apparire così), e probabilmente sarebbe stata la cosa migliore se gli avesse comunicato la notizia nel modo più gentile possibile prima che lui si trovasse l’evidenza davanti agli occhi.

Poi si sarebbero confrontati con lui, e poi... beh, solo il destino aveva il resto del piano sotto controllo.

Dopo di quello, avrebbero fatto i conti con ciò che sarebbe venuto.

La ragazza gli suggerì scherzosamente di comprarsi dei tappi per le orecchie giganti. Lui arricciò il naso in finto sdegno.

Mentre portava la sua ciotola al lavandino, l’alieno infine parlò.

“Quando ce ne andiamo esattamente?”

“Eh… in un’ora. Lory se n’è già andata per passare dai suoi genitori prima di andare al caffè.”

Queste parole furono seguite da alcuni momenti di silenzio, poi:

“Allora, cosa vuoi fare?”

Strawberry sbatté le palpebre, improvvisamente conscia del fatto di essere da sola con l’alieno in casa sua, mentre lui stava bene, per la prima volta.

Per un attimo, si sentì sobbalzare per il caldo imbarazzo, un calore rivelatore balenò sulle sue guance quando lei si accorse rapidamente di cosa questo significava.

Poi, così com’era arrivato, venne meno, lasciando solo un rosa delicate a dipingere i suoi zigomi, mentre un senso di qualcosa di simile al sollievo la avvolgeva.

Non le importava, davvero.

No, era piuttosto felice del fatto che, prima che accadesse una qualsiasi catastrofe, avrebbe potuto passare un po’ di tempo da sola con il ragazzo.

E lui, nonostante i suoi commentini maligni, anche quello di solo pochi minuti prima, aveva la stessa calma nel suo sguardo.

“Voglio,” lei cominciò, con la vergogna che cominciava a crescere in lei “andare a sedermi?”

“Per un’ora?”

Lei sentì il suo rossore farsi più forte, ma non vi badò.

Ecco: gli ultimi momenti in quel mondo spensierato, con quel ragazzo strano, eppure perfettamente normale.

Quelli erano gli ultimi momenti prima che lei affrontasse le divisioni che le poneva davanti la vita, prima che lei dovesse affrontasse la battaglia che incombeva su di loro.

Erano gli ultimi momenti che aveva prima di andare nel mondo esterno dove, da qualche parte, Mark la aspettava, dove quella dura prova aspettava pazientemente il suo turno.

E mentre ricambiava lo sguardo di Ghish, seppe che lui stava pensando la stessa cosa. Lui vedeva quella semplice breve ora nel suo stesso modo, con quella stessa preziosità, con quella stessa irrevocabilità. Quella concezione, posseduta sia dalla ragazza che dal ragazzo, invitava una specie di nostalgico affetto a cadere su di loro mentre si fissavano, entrambi con la voglia di sorridere e di piangere e, semplicemente di tornare indietro.

Tutto quello a cui Strawberry riusciva a pensare, improvvisamente erano quelle tre semplici parole che le sembrava fossero state pronunciate così tanto tempo fa in quel tenero tono mellifluo: “Io ti amo.”

Tutto quello a cui Ghish riusciva a pensare era che quella era l’ultima ora in cui quelle parole potevano governare incontrastate.

Ed entrambi stavano pensando ciò a cui l’altro stave pensando, ed entrambi sapevano la risposta che Strawberry stava per dare mentre due dolci, tristi sorrisi si insinuavano sui loro volti:

“Già. Un’ora.”

Alcuni istanti dopo, avevano preso posto sul divano del salotto e Ghish aveva avvolto mollemente con le braccia la ragazza che, con esitazione, e poi completamente, si era rilassata contro la sua spalla buona.

Non ci furono battute questa volta, per nulla.

Ghish non suggerì nemmeno che lei si posizionasse sul suo grembo in modo che le sue labbra avessero un miglior accesso al suo collo.

Per Strawberry, quell’ora fu l’ultima per permettere ai capelli di Ghish di solleticarle la fronte, l’ultima per appoggiarsi a lui ed ascoltarlo respirare a tempo con lei, per guardarlo negli occhi e vedere che in essi c’era il suo amore per lei, l’amore che aveva causato un così grande cambiamento…

Per lei, fu l’ultima ora prima di doversi sorbire l’inevitabile sfuriata di Ryan, di affrontare la fredda realtà di cosa doveva essere fatto sia per la razza umana che per quella aliena.

Fu l’ultima ora prima di dover uscire in quel mondo… quel mondo dove…

Era difficile credere che dopo tutto questo… non avesse ancora deciso riguardo a Mark.

Anche se pochi minuti prima, Ghish era stato impertinente e giocoso, Strawberry esasperata ed imbronciata, entrambi abbracciarono quel silenzioso affetto senza esitazioni.

Non volevano che qualcosa ne andasse sprecato.

Perciò Strawberry lasciò che l’imminente confronto scivolasse via dolcemente dai suoi pensieri, confronto che fu rapidamente seguito da quelli che rimanevano riguardo a Mark.

Rapidamente.

Se non fosse stata fermamente concentrata sul braccio di Ghish che l’aveva stretta n pochino di più, sarebbe stata intrigata da quanto rapidamente aveva messo da parte quei pensieri sul suo ex- ragazzo dei sogni.

E questo cosa voleva dire? Cosa voleva dire che l’idea di godersi quel tempo con l’alieno trionfava così facilmente sulla sua preoccupazione riguardo la scelta?

Sembrava totalmente ridicolo, che Mark potesse essere dimenticato con così tanta facilità in quel momento, con così tanta sicurezza….

Eppure sarebbe sembrato altrettanto ridicolo se, dopo tutto quello che era accaduto, dopo tutti i cambiamenti che aveva provato, dopo tutto quello che aveva imparato, avesse passato quell’ultima ora preziosa da un’altra parte invece che nell’abbraccio sicuro di Ghish.

Ma se entrambe le opzioni sembravano possibili, se entrambi sembravano vere, allora quale…?

Non lo sapeva. Non lo sapeva e non ci stava nemmeno pensando, perché era troppo occupata a seguire il dito magro di Ghish mentre tracciava una delicate traiettoria lungo il suo braccio.

All’improvviso, mentre osservava quel gesto, ebbe quella che le parve la più grande epifania di tutta la sua vita.

Non se lo sarebbe mai dimenticata.

Sembrava strano, perché l’aveva già detto a Ghish e a se stessa. Aveva già insistito sul fatto che non se ne sarebbe mai dimenticata, ed era sincera, e questo era stato una grande cosa per entrambi.

Eppure, quel pensiero la colpì così forte che, per un attimo, si trovò a trattenere il respiro.

Da quella notte in cui si era trovata costretta ad aiutarlo, fino a tutto quel tempo passato a confortarlo, dolcemente, teneramente, con amore, fino a quei momenti di sorprendente realizzazione, di bruciante umiliazione, di bellissima scoperta, e di paralizzante tristezza che avevano portato alla confessione che, lei sapeva, sarebbe dovuta arrivare molto prima, Strawberry sapeva che niente sarebbe stato dimenticato.

Non da lei, o da Ghish, o persino da Lory.

E… ed il suo amore, un amore la cui esistenza non poteva più mettere in dubbio, perché lo sentiva così completamente in quel momento, non avrebbe potuto essere dimenticato, o ignorato, o sepolto.

Era fatta.

Fatta, fatta, fatta, non sarebbe mai stata distrutta, non importava quello che sarebbe accaduto.

“Ghish.”

Si spostò, sollevò la testa dalla spalla del ragazzo per guardarlo, un improvviso bisogno di condividere quanto aveva capito, solo per vederlo donarle uno dei suoi rari dolci sorrisi, uno totalmente privo di accenni a canzonature o alla sua usuale stravaganza.

“Nemmeno io,” mormorò lui, perché sapeva cosa aveva pensato lei, e tutti quei sentimenti che erano infuriati nella ragazza, avevano colpito anche lui.

Ed ora Strawberry si sentiva come la notte precedente, prima di dargli quel bacio leggero: completamente grata, senza nemmeno pensare ad esitare, che quelle orbite dorate che la guardavano con una luce così diversa dal suo solito sguardo malizioso, le facessero sapere che lui era più che sincero, più che certo di quanto le voleva bene.

Lei sapeva che nemmeno lui avrebbe mai dimenticato, e questo rese la consapevolezza che avevano circa cinque minuti per prepararsi molto più facile da accettare.

“E’ ora di andare,” azzardò piano, sedendosi. Quel sorriso si trasformò in uno di quelli ampi del ragazzo, che rise appena, chinandosi in Avanti e dandole un bacetto sulle labbra, ricambiando il favore della notte precedente, nella sua versione di una spontanea manifestazione di gratitudine.

La ragazza arrossì profondamente, accorgendosi, dopo aver colto la dolcezza che brillava nella giocosità dei suoi occhi, che quello voleva dire che lei aveva appena fatto ciò che lui aveva fatto per lei la notte prima.

“Fai strada,” le rispose il ragazzo, e lei lo fece.

Sempre leggermente rosa alla vista del sorriso del ragazzo, che si stava inesorabilmente trasformando in un sorrisetto compiaciuto mentre lasciavano (almeno per il momento) quella tenera atmosfera alle loro spalle, Strawberry cominciò a raccogliere rapidamente i vari oggetti di cui avrebbero avuto bisogno per la loro impresa fuori di casa: giacche, guanti, e scarpe e simili e, nel giro di pochi minuti, si trovò impegnata a dare a Ghish la sua prima lezione sull’abbigliamento adatto per l’inverno.

Nell’arco di quegli stessi minuti, il suo sorrisetto si era dissolto in una serie di nervosi “oi” e di insoliti balbettii mentre la ragazza, improvvisamente presa in un momento do abituale, sciocco entusiasmo, avvolgeva con impegno diverse sciarpe intorno al suo collo, infilava le sue lunghe orecchie in vari cappelli, e lanciava ogni giacca su di lui almeno una, se non due volte. Questo andò avanti per un po’ prima che l’alieno potesse riprendere il controllo.

“Oi, Strawberry… Pensavo che la parte difficile dovesse arrivare più tardi!” Il suo tono scherzoso la fece accigliare.

“Se pensi che usciremo (la ragazza non vide che il suo sorriso si era allargato di più a quelle parole) senza che tu indossi—”

Lui ridacchiò. “Non pensi che prima dovrei mettermi i miei soliti vestiti?”

Ah… lei sbatté le palpebre, accorgendosi solo in quell momento che lui era ancora in pigiama.

Il ragazzo levitò su per le scale ridacchiando, con una seccata ragazza – gatto che lo fissava con aria irata.

E non così irata. Dopo tutto, stava facendo molto per allentare la tensione, e lei se n’era effettivamente accorta.

La fece sorridere, anche mentre batteva il piede con un’impazienza infantile.

Cinque minuti dopo, il ragazzo ritornò, vestito di un semplice maglione nero a collo alto ed in un paio di jeans, provenienti ovviamente dal guardaroba di suo padre. Più tardi avrebbe dovuto trovare una spiegazione al riguardo, per quello e per la giacca ed i guanti che gli lanciò. Anche quelli erano di suo padre.

Dopo un po’, Ghish smise finalmente di giocherellare con i guanti, che lui riteneva  un po’ fastidiosi, e rimase fermo davanti alla ragazza, la giacca appena più grossa, le mani leggermente nascoste dalle maniche troppo lunghe, ma che sembrava abbastanza a suo agio come ci si sarebbe potuti aspettare da qualcuno abituato ad andare in giro con il punto vita scoperto.

“Penso che vada bene…” mormorò Strawberry, guardando attentamente il ragazzo con un’aria esaminatrice che, stranamente, fece sentire Ghish un po’ a disagio. Improvvisamente, lei sorrise, mettendo a posto l’ultimo pezzettino del completo.

Con una risatina non soffocata, fece un passo indietro per ammirare il suo operato.

Ghish la guardò torvo, con un broncio fermo al suo posto, da sotto il cappuccio della giacca.

“Che c’è? Ti copre le orecchie!”

Ed era vero.

“Mi fa sembrare un idiota…”

Beh… anche quello era vero.

“Allora suppongo che tu invece voglia il cappello?” Strawberry sorrise radiosa, Con uno sgargiante cappello rosso tra le mani, complete di pom-pom, che… diciamo semplicemente che Ghish non voleva che la sua testa rappresentasse il Natale in quel giorno particolare.

Si sarebbe tenuto il cappuccio.

“Mi devi un bacio per questo, lo sai, vero?”

“Ti piacerebbe.”

Si sarebbe teletrasportato dietro di lei, l’avrebbe abbracciata, avrebbe raccolto la sua piccolo sfida, ma sapeva che avrebbe dovuto aspettare.

Avevano appena avuto il loro dolce momento di tranquillità: avrebbero dovuto faticare per il prossimo.

Il pensiero lo calmò abbastanza da obbligarlo a risponderle con un semplice sorrisetto, e Strawberry se ne accorse immediatamente. Finì come un silenzioso promemoria del fatto che dovevano andare, e lei fece proprio così senza sprecare altro tempo, senza dare alla paura un’altra possibilità di fare breccia in loro.

“Andiamo” disse, con più allegrezza di quanta sentisse veramente, un sorriso troppo largo le illuminava il volto. Detto questo, andò alla porta, seguita dal ragazzo, afferrando la maniglia con la mano destra che tremava leggermente, e…

… sentì qualcosa stringerle dolcemente la mano sinistra.

Si voltò per incontrare gli occhi Dorati di Ghish e, un nanosecondo dopo, le sue labbra.

Si premettere sulle sue, calde, morbide, non troppo rudi e aggressive come quando l’aveva baciata per la prima volta, il giorno in cui si erano incontrati, o persino quando, negli ultimi giorni, gli era capitato di rubarle un bacio giocoso.

Ora erano dolci e teneri come quando lui aveva…

E come quando lei aveva…

Alla fine lui si scostò, quella passione che lei era ormai arrivata ad aspettarsi dall’alieno brillava nei suoi occhi, le sue labbra erano incurvante in quel sorriso un po’ malizioso, un po’ malinconico.

Il ragazzo non disse niente, perché sapeva che lei lo aveva perfettamente capito:

Solo un’ultima volta, no?

Neanche Strawberry parlò.

Tutto quello che fece fu permettere alle sue labbra di copiare il suo sorriso prima di rispondere alla sua stretta.

L’ultima volta?

Forse… forse no.

Fu tutto ciò di cui ebbero bisogno per trovare la forza per uscire di casa ed incamminarsi verso il Caffè Mew Mew.

Verso l’incertezza.

Se ne andarono con una muta convinzione nei loro passi.


Erano a metà strada, secondo l’incerta, nevrotica attenzione di Strawberry per i segnali stradali.

Avevano camminato per il quarto d’ora previsto, in silenzio per un po’, permettendo alla preoccupazione ed all’ansia di fare lentamente breccia in loro, cosa che aveva solo portato a minuti di una conversazione dapprima nervosa e poi progressivamente più facile, mentre si sforzavano di calmarsi l’un l’altro. Aveva funzionato abbastanza bene, e, a quel punto, si trovavano nella parte di conversazione dove Strawberry stava cercando di decidere se essere esasperata dall’evidente ignoranza del ragazzo riguardo gli ornamenti per giardino a forma di fenicottero, o divertita dai suoi tentativi di alleggerire la tensione, quando le risatine morirono nella gola di Ghish, ed il sorrisetto gli scivolò via dal volto.

L’effetto era molto simile a quello di un coniglio che ha improvvisamente fiutato un predatore e, all’inizio, Strawberry ebbe la bizzarra idea che o Ryan o, e questo pensiero l’avrebbe messa molto più a disagio se avesse avuto il tempo di concentrarcisi, Mark fossero in agguato dietro un albero o un cespuglio. Quell’impressione la lasciò presto quando la logica si sforzò di far udire la sua voce, e lei si rivolse al ragazzo.

“Ghish? Cosa--?”

“Shh.”

Per tutto il tempo in cui l’aveva conosciuto, era suonato così autoritario, così insistente una volta: quando l’aveva minacciata di morte se non l’avesse scelto come amore della sua vita. Era stato giusto prima del suo collasso, il collasso che aveva dato inizio a tutta quella storia.

Era stata l’unica volta in cui la rabbia e la disperazione ed il terrore si erano combinati e l’avevano spaventata, sia di lui che… che per lui, si era accorto dopo.

Ora, la tensione nell’aria era un’eco di quel momento. La ragazza si zittì ubbidientemente, con gli occhi sbarrati per lo strisciante terrore, mentre Ghish guardava bruscamente verso il cielo. Anche i suoi occhi si sbarrarono ed il ragazzo digrignò i denti e strinse i pugni.

Stava succedendo, così come Tart aveva suggerito.

Lui era lì.

.

In quel momento.

Ghish provò tre cose in quel momento: rabbia, una fitta acuta di dolore, ed una quasi disperata premura di portar via la ragazza da quel posto.

Era troppo tardi per fare qualsiasi cosa riguardo la terza opzione. Poteva già vedere le increspature nell’aria

Con il tempo rimasto, non poteva nemmeno spingere la ragazza tra alcuni cespugli.

Perciò, Ghish fece l’unica cosa che poteva fare.

“Resta qui, non parlare e tienti pronta a combattere o a scappare.”

Lei assunse un’espressione confuse, con tanto di occhi sbarrati.

“Ma, Ghish—”

Troppo tardi. Stava già levitando rapidamente verso l’alto, così rapidamente che lei non poteva nemmeno allungarsi per afferrargli una mano nel tentativo di fermarlo. Verso l’alto volava, verso…

Finalmente, gli occhi umani di Strawberry videro quello che i suoi da alieno avevano percepito alcuni preziosi secondi prima. La ragazza boccheggiò.

Non stava più volando verso quella che sembrava aria vuota.

Si stava muovendo per andare incontro a Pai

No…

L’alieno più grande galleggiava tranquillo (ingannevole, pensò Strawberry) sopra di loro, con i suoi occhi violetti duri come l’acciaio che seguivano il progredire del suo compagno e Ghish si fermò quando si trovò proprio di fronte a lui.

Nessuno aveva un’espressione davvero identificabile, anche se Ghish sembrava star cercando di lanciare a Pai il suo tipico sorrisetto. Se voleva farlo per dare all’altro alieno una qualche idea di normalità, o solo per infastidirlo, Strawberry non poteva dirlo. Qualunque fosse, anche sotto lo sguardo paralizzante di Pai, il ragazzo ci riuscì. I suoi denti brillarono nella poca luce smorta del sole che riusciva a passare attraverso il cielo coperto di nuvole prima che lui pronunciasse un saluto che sembrava abbastanza normale:

“Ehi, Pai.”

Usò il suo solito tono gioviale, permise alla familiare scintilla di giocosità divertita di brillare nell’oro profondo dei suoi occhi mentre aspettava che l’alieno dai capelli viola gli desse una qualche sorta di risposta.

Qualunque cosa facesse, però, comunque si comportasse, aveva già anticipato la reazione dell’altro ragazzo. Ghish poteva sentire il pericolo. Aveva passato abbastanza tempo con Pai per sapere quando era semplicemente il suo solito serio se stesso e quando il suo comportamento era effettivamente minaccioso ed arrabbiato sotto la sua serietà.

Questa volta includeva, purtroppo, la seconda opzione, e mentre Ghish sosteneva lo sguardo dell’altro, un unico grande pensiero correva nella sua mente.

L’alieno più grande stava per attaccare. Non sapeva come, in qualche modo, avrebbe attaccato quel giorno. E Strawberry si trovava proprio lì, proprio lì senza le altre Mew Mew a proteggerla…

A cose normali, sarebbe stato felicissimo di balzare in sua difesa, ma a dire il vero, mentre guardava il ragazzo davanti a lui, si accorse di un fatto assai importante, ovvero che Pai era al Massimo della sua condizione fisica e sembrava davvero determinate a fare qualsiasi cosa avesse in mente. Ora, Ghish aveva un ego di una certa dimensione, ma non si sarebbe ingannato. Era stato molto malato ed anche se era generalmente sano e certamente abbastanza in forma da potersene andare in giro, non era nelle condizioni di intraprendere un’ardua battaglia con Pai.

Eppure… doveva proteggere la sua preziosa gattina, no?

Con quel pensiero che combatteva stoicamente contro la paura istintiva, Ghish mantenne la sua posizione.

Allora, Pai fece qualcosa di piuttosto inaspettato.

Sorrise.

Non era un grande sorriso, e nemmeno uno particolarmente caldo, ma spiazzò il ragazzo dai capelli color smeraldo, e la sua espressione noncurante vacillò solo per un istante quando l’altro, sollevando leggermente il mento e lanciando a Ghish una sorta di sguardo imperioso, rispose.

“Sembri migliorato.”

Trappola. Stava cercando di attirarlo in una trappola. Doveva essere così, con quella scintilla indiscernibile nei suoi occhi, con quello strano sorriso, quelle parole ingannevolmente tranquille. Ghish lo sapeva.

Ma non mostrò di saperlo.

“Certo,” sorrise, “grazie alla mia gattina.”

Con la coda dell’occhio poté vedere Strawberry irrigidirsi quando si sentì menzionata.

Davanti a lui, comunque, vide qualcosa che lo preoccupò di più. Ovviamente, non appena aveva menzionato la ragazza gatto, i muscoli di Pai si erano tesi. Una nuova espressione, una più crudele, si era insinuata nei suoi occhi un po’ stretti mentre l’atmosfera cambiava improvvisamente in peggio.

Aspetta… aveva provato a fare qualcosa?

Ghish sbatté momentaneamente le palpebre, un po’ confuse. Parlando normalmente, sorridendogli in quel modo strano, aveva cercato, forse, di convincerlo pacificamente, aveva cercato di evitare quel confronto che il ragazzo più giovane aveva atteso dall’attimo in cui aveva visto l’aria incresparsi?

Forse…

Ma non importava. Anche se avesse voluto riprendere Ghish pacificamente, il ragazzo non poteva, non sarebbe andato. La reazione di Pai alla parola “gattina” gli disse rapidamente che i suoi sentimenti verso gli umani, anche dopo ciò che Strawberry aveva fatto, ciò che Lory aveva fatto, anche proprio davanti a lui, non erano cambiati.

Non importava quali fossero le intenzioni dell’alieno dai capelli viola, Ghish sapeva di non poterle accettare.

Doveva restare con la sua Strawberry, non importava cosa sarebbe accaduto tra loro più avanti. D’accordo, Ryan poteva imporre una qualche catastrofe sopra di loro, oppure Mark… beh, non voleva nemmeno pensare a Mark, ma se si fosse arreso in quel momento, se si fosse arreso la sera prima con Tart, non ci sarebbe stato modo di vedere se il loro amore appena nato sarebbe sopravvissuto ad una qualsiasi di quelle cose.

Era il momento di andare.

“Beh, se questo è tutto, allora penso che io e Strawberry dovremmo andare. Mi dici sempre che la puntualità è importante…”

Ovviamente, non fu così fortunato.

Il ragazzo non provò nemmeno a voltarsi: sapeva che sarebbe stato fermato.

“Togliti quelle cose ridicule di dosso e vieni con me”

Dannazione. Si era aspettato una cosa così brutale ed improvvisa, comunque.

Un piano… aveva bisogno di un piano…

Perciò, si fermò.

“Oh… ma Pai, sono così caldi e—”

Dietro e sotto gli alieni, Strawberry stava cominciando a tremare di paura.

E allora il tempo del ragazzo finì.

Pai tirò il primo pugno.

A dirla tutta, Ghish non se l’era aspettato, non così rapido e violento, e l’unico motivo per cui riuscì a schivarlo fu perché Strawberry gridò il suo nome non appena i suoi occhi individuarono la leggera contrazione dei muscoli del braccio di Pai.

Hmph. Forse gli occhi umani non erano così inutile, dopo tutto.

Dannazione…

Non aveva più tempo per pensare. Ghish assunse rapidamente la sua posizione di battaglia, digrignando i denti quando si accorse che la giacca stava ostacolando i suoi movimenti. Aveva bisogno di tutta la velocità possibile. Mentre Pai si preparava per un altro pugno, Ghish armeggiò freneticamente con la sua cerniera.

Di nuovo, Pai lo avrebbe colpito facilmente, se il più grande non fosse stato distratto dal grido acuto “Mew Berry Metamorfosi!”

La breve mancanza di attenzione fu lunga abbastanza per permettere a Ghish di scuotersi di dosso la giacca pesante, la quale ricadde a terra con un colpo secco, a poca distanza dall’appena trasformata Mew Berry.

“Strawberry!” gridò Ghish, con gli occhi concentrati esclusivamente su Pai, “Vattene da qui! Corri al caffè, e—“

“Cosa? E lasciarti? Vuoi che ti riprenda?”

“Non lo farà! Starò bene, lo giuro, solo—”

“Sono sorpreso che tu sia così stupido da sottovalutarmi.”

E in quel momento, Ghish fu costretto a bloccare una raffica di pugni forti e rapidi quando Pai volò contro di lui, rilasciando la sua energia in una attacco che, quando fu evitato con successo dall’altro alieno, lo lasciò ansimante.

Pai sorrise.

A cosa normali, Ghish non si stancava così facilmente. Ma ora… sarebbe stato un gioco da bambini.

O lo sarebbe stato, se una certa ragazza con le orecchie da gatto  non avesse deciso di rivolgere il suo attacco contro di lui.

“Fiocco di luce!”

Dovette scartare rapidamente di lato per evitare il raggio di luce.

La distrazione dette anche modo a Ghish di riprendere fiato e di evocare i suoi tridenti. Dopodiché si menò fendenti a Pai con le sue spade, colpendo il più crudelmente possibile mentre Pai si scansava a destra e a sinistra, fuori dalla loro portata, digrignando i denti infastidito, non perché fosse difficile (i colpi e gli affondi di Ghish erano più lenti, più deboli del solito), ma perché sapeva che la ragazza era appena balzata alle sue spalle. Poteva sentire una leggera brezza sulla schiena mentre lei  cercava di colpirlo con la sua arma, tagliandolo leggermente prima che lui si teletrasportasse via da dove si trovava in mezzo a loro.

Bruciò solo un po’, se ne rese conto quando riapparve alcuni metri più lontano. Gli disse anche una cosa:

Doveva innanzitutto distruggere la ragazza.

Perciò, Strawberry non ebbe il tempo di chiedere a Ghish se stesse bene, o se avesse un piano, o come avrebbero dovuto coordinare i loro attacchi. Pai la raggiunse rapidamente mentre lei apriva la bocca.

Ghish ebbe appena il tempo di gridare che Pai lo superò in volo ed agitò il suo ventaglio, lanciando colpi e ventate taglienti alla ragazza che boccheggiò, cercando disperatamente di evitarli.

Doveva stancarla. Se l’avesse stancata abbastanza, avrebbe potuto lanciarle uno dei suoi attacchi più potenti ed ucciderla con un colpo solo. Poi, avrebbe tramortito Ghish e…

E poi…

Pai mise da parte quei pensieri e dette una forte gomitata a Ghish che si era avvicinato in fretta con un grido furioso per cercare di aiutare Strawberry a lottare contro il suo vecchio compagno, poi tornò a colpirla senza pietà con dei pugni mentre l’altro alieno era stato spinto indietro.

E poi...

Sbatté il ventaglio contro il petto della ragazza, con forza, lanciandola in aria con un moto a spirale, su, su, con lei appena cosciente, poteva dirlo, a causa del colpo pesante.

Perfetto. L’aveva praticamente resa inoffensive, l’aveva immobilizzata.

“Strawberry!”

Sì. A giudicare dal puro terrore nella voce di Ghish. Dal modo in cui cercava disperatamente di ferire Pai con le sue spade, solo per essere nuovamente respinto con i muscoli troppo deboli per tenere testa al più grande, aveva la ragazza in pugno.

Pai prese la mira…

“Fuu Rai—”

…e si ritrovò con il ventaglio strappato via dalla sua mano.

Fissò il salvatore, senza parlare.

Anche Ghish lo fissò con un’espressione ugualmente stupita.

Il Cavaliere Blu strinse le palpebre e brandì minacciosamente la sua spada, prima di sferrare un colpo possente, colpendo Pai al fianco e mandando l’alieno ancora stupito a sbattere contro il tronco di un albero.

Per alcuni istanti, nessuno si mosse. Pai si rimise lentamente in piedi, ancora confuso, elaborando ciò che era appena accaduto.

Il Cavaliere Blu spostò lentamente lo sguardo su di lui, poi su Ghish.... fissò soprattutto Ghish, i suoi occhi avevano una luce strana, la sua espressione era imperscrutabile.

Kisshu lo fissò di rimando con la stessa confusione, lo stesso stupore.

Eppure, fu lui a rompere per primo la paralisi.

Quando lui ed il Cavaliere Blu alzarono lo sguardo e si accorsero che Strawberry, inerme e di certo quasi priva di conoscenza, aveva cominciato la sua discesa verso il basso, fu proprio lui il primo a balzare in avanti, gridando nuovamente con voce strozzata il nome della ragazza, solo per essere seguito da vicino dal Cavaliere Blu, mentre cercava di volare da lei.

Così, Strawberry aprì gli occhi e vide, ad una strana angolatura che dapprima la confuse, perché stava cadendo, due forme, una vagamente nera, l’altra di un blu brillante e deciso, che venivano verso di lei.

Nyugh… cosa… dove…

E improvvisamente, riconobbe la sfocata figura blu con lo stesso stupor che avevano provato gli alieni.

Il cavaliere Blu!

Poi però, altrettanto improvvisamente, con un’incredibile ferocia, un altro pensiero invase la sua mente, e ci rimase.

Ghish! Dove… dov’è lui?

Si augurò, senza nemmeno preoccuparsi del fatto che stava cadendo, di poter vedere meglio, solo per trovarlo, solo per vedere dov’era…

Ma quelle due forme sfocate si stavano avvicinando sempre di più.

E per un istante, si preparò ad atterrare tra le braccia del Cavaliere Blu, si preparò a sentire le sue braccia forti e sicure avvolgersi intorno a lei, che avrebbe afferrato il suo collo, e poi l’avrebbe portata in salvo.

Atterrò tra un paio di braccia, questo era certo, ed abbracciò un collo, e sentì una presa forte stringerla, ma…

Non era il Cavaliere Blu...

Poteva nuovamente vedere bene, ed il Cavaliere Blu stava ricadendo, stava ricadendo al suolo, e stranamente… cosa? Stava vedendo bene? Aveva un’espressione stranamente pacifica, serena, quasi soddisfatta sul suo volto, e quando lei lo guardò, chiedendosi cosa ciò significasse, poté giurare di averlo visto dire qualcosa…

E mentre pensava di aver visto le sue labbra muoversi, sentì che chiunque la stava tenendo si era irrigidito, e solo allora si accorse che si stava strofinando contro il tessuto della maglia a collo alto di suo padre.

“Ghish…” Il suo sussurro era ancora flebile, debole mentre lei cercava di ritrovare la voce, ma lui lo udì comunque.

“Resisti Strawberry, ti ho presa…” Ed anche se la sua voce era strana, solo un briciolo troppo bassa (perché si era irrigidito, proprio in quel momento, quando aveva pensato…), la teneva stretta e con sicurezza.

Fu allora che si accorse di una cosa, mentre accettava l’idea che lui l’aveva afferrata quando, per qualche motivo, il Cavaliere Blu aveva fallito.

La sua presa era diversa da quella del Cavaliere Blu. Era più rude, più stretta. In qualche modo le rendeva difficile respirare a dovere, le faceva persino un po’ male, dato che le sue braccia la stringevano forte al petto, più vicina a lui, il più vicina possibile…

Eppure sapeva, nel suo stato semi-cosciente, che lui la stava tenendo così stretta perché era stato pietrificato dall’idea di perderla. Sapeva che la sua presa cruenta simboleggiava semplicemente quanto appassionatamente la amasse, quanto pazzamente terrificato fosse stato quando l’aveva vista cadere nell’aria come un’inerme bambola di pezza, quanto disperatamente l’avesse volute proteggere da quello. Poteva sentire ognuna delle sue dieci dita premere individualmente nel suo braccio, nella sua spalla e nella sua gamba, ognuna provocava una forte pressione, ognuna forse abbastanza forte da lasciare un segno, un livido.

Strawberry si accorse improvvisamente, all’istante che, se si fosse svegliata l’indomani, trovando lividi simili a decorarle le gambe, non le sarebbe importato. Non le sarebbe importato perché sapeva da dove venivano, perché erano lì.

Sapeva che erano stati generati dalla forza del suo amore, del suo bisogno di tenerla al sicuro, e…

…Ichigo si sentiva al sicuro.

E perciò avvolse le sue braccia intorno al collo di Ghish con la stessa fiducia, la stessa sincera gratitudine con cui si era sempre attaccata al Cavaliere Blu.

Fu così che i due atterrarono con delicatezza.

Il ragazzo la mise giù con attenzione, e lei lo lasciò andare. Per alcuni secondi, entrambi si guardarono intorno per un qualsiasi segno di Pai o del Cavaliere Blu, ma tutti e due erano scomparsi dallo spazio.

Dopo questo, Strawberry fu la prima a parlare.

“G-Ghish, io—”

“Stai bene?” la ragazza annuì subito, perché la voce con cui lui parlò era così seria, che lei si rese conto che lui domandava immediatamente una risposta.

Non appena gliela ebbe data, il ragazzo sembrò rilassarsi, i muscoli tremanti si rilassarono e la bocca lasciò che un sorriso sollevato gli incurvasse le labbra, gli occhi perdevano il loro essere sbarrati e ritrovando il loro scintillio.

“Bene. Allora possiamo andare.”

“Andare? Sei pazzo? Hai appena…Pai ti ha quasi…” il suo scoppio fu interrotto dalla dura occhiata di lui.

“Esattamente. Lui sa. Se Pai sa, allora Profondo Blu sa, e questo vuol dire che non possiamo esitare di più, Strawberry! Dobbiamo andare adesso.”

“Ma… ma Ghish…” ancora una volta, i suoi occhi dorati la zittirono.

Oh, ma quanto disperatamente lei avrebbe voluto fermarsi per un secondo, solo per un momento, ed assimilare il fatto che Pai aveva appena attaccato Ghish, e che il Cavaliere Blu era venuto e non aveva attaccato Ghish, e poi… poi Ghish l’aveva presa…

Perché l’aveva presa lui e non il Cavaliere Blu? Cosa era successo? E il Cavaliere Blu…?

“No. Andiamo, dobbiamo—” lui le aveva afferrato il braccio ed aveva cominciato a spingerla in avanti, ma lei riuscì a divincolarsi, non seppe se grazie alla forza della sua stessa volontà o perché la presa del ragazzo era debole dopo la lotta. Tuttavia, lui la fissò shockato.

Nonostante il fatto che potesse vedere che lui voleva davvero andare, probabilmente scosso dal confronto con Pai, probabilmente perché pensava a cosa ciò voleva dire riguardo a Profondo Blu e simili, lei si fermò sui suoi passi.

“Straw—”

“Ghish, perché mi hai presa?”

Lui sbatté le palpebre, in ovvio stupore.

“Strawberry… cosa vuol dire, perché?” Lui parlò lentamente, suonando quasi ferito. “Pensavi… pensavi che ti avrei lasciato cadere? Hai…”

Povero ragazzo. Era così stressato, che le sue parole gli stavano facendo pensare che la ragazza stesse in qualche modo dubitando dell’amore che era cresciuto nel corso dell’ultima settimana.

Strawberry cominciò a scuotere la testa. “No, no, Ghish, non è questo. Voglio dire, perché il Cavaliere Blu non…” si interruppe, aspettando che lui si ricomponesse, aspettando una risposta.

Il Cavaliere Blu

La mente di Ghish si svuotò per un istante, poi…

Poi il ragazzo sentì una punta di sollievo, i suoi pensieri irrazionali sul fatto che lei dubitasse dei suoi sentimenti di dissiparono, e poi…

Si accigliò leggermente, mentre la confusione lo riempiva nuovamente, al ricordo del Cavaliere Blu…

…e di cosa aveva detto…

“Ghish, ha detto qualcosa? Qualsiasi cosa? Ti prego?” Poteva vedere il disagio che gli stava causando, e anche se poteva sopportarlo poco, aveva bisogno di quella risposta, ne aveva bisogno per ragioni che non riusciva ad immaginare.

“Prendila.”

Strawberry prese un respiro, poi si fermò, le parole le vennero a mancare, e la confusione che provava anche Ghish la riempì.

“C-cosa?”

Il ragazzo fece una pausa, prendendosi alcuni secondi per guardare i suoi occhi brillanti.

“Ha detto, ‘Prendila. Proteggila.’ E così ho fatto.”

Senza parole.

Silenzio.

Stupore.

La ragazza si accorse che questo voleva vagamente dire qualcosa. Quello che il Cavaliere Blu aveva detto, significava più di quanto lei potesse comprendere in quel momento… voleva dire qualcosa per il futuro…

E anche Ghish lo sapeva. Doveva, perché lo aveva fatto irrigidire, lo aveva fatto congelare momentaneamente, mentre la teneva. Forse per lui…

Forse sapeva anche qualcosa di più…

Ma quello sarebbe stato per dopo. Molto dopo. In quel momento, stava annegando nel ricordo di quanto al sicuro si era sentita in quelle braccia…

Il silenzio fu rotto quando Strawberry inspirò bruscamente, così bruscamente che le fece male al petto, e gettò le sue braccia al collo di Ghish, affondando il volto nel suo petto.

In quel momento, tutto ciò che importava era respirare il profumo di Ghish, il suo fantasticamente strano profumo alieno, mentre lui, con esitazione, sorpreso dalla sua repentinità, ricambiò l’abbraccio.

“Arigatou,” sussurrò lei, e sentì Ghish ridere, una risata più profonda e gutturale rispetto alle sue solite risatine. Poteva sentirlo nel suo petto.

“Te l’ho giurato, no, Strawberry?” Lei adorò il modo in cui il suo nome suonò in quel momento, detto nei toni della sua voce, reso più bello dalla sincerità.

Dopo alcuni respiri in più, lo guardò con un sorriso commosso.

“Sì.”

Recuperarono la giacca ed i guanti e ripresero la loro strada.

Note: a titolo informativo, anche se ormai siamo al penultimo capitolo. Chi voglia contattare me, la traduttrice, scriva all'account di Bebbe5. Avrete una risposta nel giro di un giorno. Spero che il capitolo vi sia piaciuto.

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Capitolo 22
*** Epilogo - Tutto ciò che importa ***


Note della traduttrice: e infine eccoci qua, l’ultimo capitolo. Quasi non mi sembra vero. Colgo l’occasione per fare un po’ di ringraziamenti.

Grazie ai 59 che hanno messo la storia tra i preferiti;

Grazie ai 51che l’hanno messa tra le seguite;

Grazie ai 7 che l’hanno messa tra le storie da ricordare.

Grazie anche ai 3 che hanno messo l’autrice tra i preferiti.

Grazie davvero a tutti, spero che quest’ultimo capitolo vi piaccia.

Buona lettura

CAPITOLO 20

Lory stava tremando.

Lui non aveva mai gridato contro di lei, prima. Non aveva mai nemmeno sbottato contro di lei, non si era mai lamentato di lei, non aveva mai fatto niente che mostrasse una qualche sorta di dispiacere. D’accordo, aveva cominciato spesso delle litigate con Strawberry, o aveva sgridato una delle altre ragazze (eccetto Pam: nessuno la contrariava davvero), ma non aveva mai detto niente del genere a lei.

Perciò in quel momento, mentre fissava il biondo con gli sbarrati con Kyle che lo costringeva gentilmente a sedersi, mormorando frasi a caso con cui indubbiamente sperava di calmare il suo amico, Lory tremava per il complete stupore al vedere Ryan nel suo stato di massima ira.

Tutto quello che c’era volute era stato un debole “G-Ghish è…”

In qualche modo, probabilmente attraverso una combinazione della reazione della ragazza alla sua telefonata alcuni giorni prima e del suo genio innato, e probabilmente il nome pronunciato in un modo simile, quelle due parole, balbettate e sussurrate, furono tutto ciò che servì, e, istantaneamente, il suo atteggiamento cambiò da un po’ preoccupato e curioso ad uno freddo e stupito. Un battito di cuore dopo, la ragazza si era ritrovata appena capace di respirare mentre un’incredibile furia era entrata negli occhi e nella voce di lui.

 Non aveva mai visto quegli occhi azzurri così offuscati da un crudele tormento…

…per un attimo si chiese se, forse, quello era lo sguardo che aveva quando i suoi genitori erano-- 

E poi tutti quei pensieri erano spariti mentre la speranza, una qualcunque speranza di negoziare pacificamente, era volata via, seguita all’istante da quell’ira nascente.

“Lory.”

Sobbalzò non per la rabbia rinnovata, ma per il tono dolce con cui era stato pronunciato il suo nome.

Kyle.

La ragazza alzò gli occhi per guardare il membro più anziano del Progetto Mew Mew che cercava di essere gentile con lei, i suoi occhi erano dolci e silenziosamente imploranti quando catturarono il suo sguardo, e al contempo di essere risoluto con il suo compagno. Una rapida occhiata a lato e lei poté vedere come la sua mano esile fosse posata sulla spalla del biondo, le dita tese in un’ansiosa solidità…

La fece sobbalzare così bruscamente, che tutto quello che riuscì a dire in risposta fu un balbettante “S-sì?”

Strano, inquietante, quanto la sua voce fosse calma: l’esatto opposto della filippica stravolta di Ryan di un minute prima.

“Dove sono adesso?”

In qualche modo, il suo tono mise ordine nei suoi pensieri. Deglutì piano, prima di raddrizzarsi con crescente risoluzione.

“Stanno venendo qui. Dovrebbero…” riportò lo sguardo sulla mano di Kyle: i suoi muscoli si erano flessi di poco in risposta all’appena visibile contrazione che Ryan aveva avuto alle parole “venendo qui”. “Dovrebbero arrivare presto.” Lei deglutì di nuovo, quasi nello stesso momento in cui il biondo fece come se stesse per alzarsi, solo per essere spinto di nuovo giù, nuovamente zittito da quello sguardo quasi disperato…

In qualche modo, quella piccola serie di movimenti produsse una crescita di coraggio nella ragazza, e, prima che se ne rendesse conto di cosa stava accadendo, sentì la sua voce balzare dalla sua gola stretta mentre le sue mani, appena tremanti lungo i suoi fianchi, si stringevano e si aprivano.

“Ryan, se solo—”

Gli occhi blu del ragazzo si fissarono nei suoi.

Lei si riprese dall’esitazione.

“Ti prego, forse, se solo ascoltassi, solo per un momento, potremmo—”

“Non hanno mai voluto negoziare prima. Cosa ti fa pensare che possa funzionare ora?”

Entrambi gli uomini e Lory si voltarono verso la nuova voce, perché Pam aveva colto l’opportunità di entrare, senza dubbio faceva le veci di una pseudo-ambasciatrice per le alter due Mew Mew che ascoltavano non così nascoste alla porta (quando Lory era arrivata, tutte le altre tre Mew Mew erano al caffè; quando aveva chiesto, ognuna aveva detto di aver sentito il bisogno di essere lì in quel preciso momento. Lory dedusse che il legame tra loro era diventato molto forte). La ragazza osservò la scena con i suoi occhi sempre privi di espressione, le braccia incrociate e la testa inclinata appena di lato, apparendo curiosa quel tanto che il suo freddo contegno lasciava vedere.

Forse fu la freddezza, la profonda apatia, di quello scuro sguardo blu ardesia che spronò una vibrante ondata di coraggio nella ragazza focena. Qualunque cosa lo fece, Pam e gli uomini si trovarono a fissare Lory un po’ stupiti quando la sua voce si innalzò più forte che poté, con gli occhi che brillavano di una passione che immobilizzò tutti e tre per un istante.

In effetti, Pam e Ryan erano i più shockati del trio: Kyle la stave guardando con un misto di curiosità e... osava pensarlo?... orgoglio?

C’era, senza dubbio, qualcosa della convinzione nello sguardo di Lory che ispirava un deciso senso di soddisfazione nell’uomo, e che diminuì un pochino la sua incredulità.

C’era un qualche valore in ciò che stava dicendo? Poteva essere in effetti…?

“Ma non gliene abbiamo mai dato la possibilità!”

Le bastò dire questo per ottenere un dolce “Lory…” appena mormorato dalle labbra aperte di Kyle.

Pam e Ryan, a loro volta, si irrigidirono.

Per un istante, mentre Lory sosteneva il loro sguardo, pensò, solo per un brevissimo istante, che qualcosa fosse scattato. Gli occhi blu di Ryan tremolarono.

Poi, Pam riprese il suo atteggiamento privo di espressione, e Ryan si irrigidì preparandosi per una confutazione.

Lory non sapeva cosa avrebbe detto il ragazzo o come lei avrebbe risposto. Ad essere sincera, di certo non sapeva con cosa avrebbe risposto, o come si sarebbe riaccesa quella discussione.

Tutto quello che sapeva era che avrebbe preferito che ciò avvenisse.

Invece, la voce successiva che udì apparteneva ad un incredula ed evidentemente sconvolta Mina. Non c’erano dubbi su chi era appena entrato dalla porta:

“Strawberry!”

E non c’erano su chi doveva essere appena arrivato con lei. La voce insolitamente tetra di Paddy (era stata stranamente sottomessa dopo che Ryan aveva cominciato a gridare contro Lory: la scena, combinata con le notizie, sembravano averla portata in un reame di pensieri profondi che aveva instillato una strana calma nella ragazza-scimmia) se ne occupò:

“Ghish-…”

Prima che Lory potesse anche solo registrare cosa stava davvero accadendo, si accorse che la voce di Paddy si era stranamente interrotta, come se avesse volute aggiungere qualcosa di più, ma non ne era stata sicura…

Quel flusso di pensieri durò solo un secondo, comunque, perché quello successivo, Ryan stava aprendo la porta, con una nuova rabbia a dipingergli il volto. Kyle stava provando a stargli dietro, con la bocca aperta a gridare il nome del biondino, la mano allungata, che mancava appena il retro della camicia del ragazzo nel tentativo di fermarlo.

Pam rimase lì, le braccia sempre incrociate, gli occhi sempre privi di espressione.

Di nuovo, quello sguardo… Lory si ritrovò a seguire Kyle, a sorpassarlo, and aprire la bocca e:

“Ry—”

Non era che non avesse la forza di volontà per andare avanti, forse persino di afferrare la spalla del ragazzo e provare a calmarlo.

Era solo che la rabbia di Ryan (e chi poteva davvero biasimarlo? Lory provò visibilmente orrore al ricordare come il passato del ragazzo stesse ovviamente influendo sulle sue azioni) era molto più forte.

La voce di Lory fu interrotta dal grido infuriato “Razza di idiota!”

Provò di nuovo, non ricevette risposta, e non si prese la briga di farlo una terza volta. L’attenzione di Ryan era solo per l’alieno e la rossa che stavano davanti a lui.

I suddetti alieno e rossa guardarono…

L’espressione di Strawberry rispecchiava quello che chiunque avrebbe potuto prevedere: spaventata, ansiosa, eppure segnata da una scintilla di volontà che preannunciava un scoppio se le cose fossero continuate in quel modo. 

Ghish… Lory poté vedere solo una cosa nei suoi occhi Dorati: la determinazione di proteggere, di custodire. Certo, la ragazza non aveva dubbi sul soggetto a cui era rivolta quella determinazione. A parte quel bagliore, rimaneva stranamente inespressivo, fermo, e la ragazza focena di accorse che aveva intenzione di restare così.

Almeno finché la ragazza gatto non avesse fatto la prima mossa.

Sì, entrambi i ragazzi stavano aspettando che Strawberry reagisse, Ryan puntava specificamente contro di lei, Ghish la guardava cautamente e lasciava che ciò accadesse… dipendeva tutto da lei.

E sembrava che Strawberry volesse parlare, discutere, litigare persino. Il fuoco era là, fremente sotto le sue iridi rosa-marroni, ma qualcosa la stava trattenendo dal farlo.

Paura?

Preoccupazione per il ragazzo alieno che stava poco dietro di lei? Quasi terrore, perché era appena uscito da una bizzarra battaglia contro il suo stesso camerata, e lei non sapeva ancora quali conclusioni trarne?

Preoccupazione per Lory, che sapeva che la sua espressione non avrebbe potuto essere incoraggiante?

Ansia per le reazioni delle altre Mew che, anche se al momento stavano zitte, erano inevitabili?

Una combinazione, probabilmente, ma comunque qualcosa che la tratteneva inchiodata sul posto, con i pugni stretti quasi al punto di ferirsi, il coraggio in procinto di essere messo in azione, ma intrappolato dietro una tensione crescente, avvolgente, finché…

Strawberry non fece niente per romperlo: più che altro ebbe solo la parte di una specie di vittima per il grilletto: ovvero la mano di Ryan, che si allungò per colpire o afferrare, nessuno lo sapeva, ma che ebbe come risultato di interrompere non la paralisi di Strawberry, ma quella di Ghish.

L’alieno si fece avanti, una mano pallida afferrò il polso di Ryan, le labbra assunsero un ghigno mentre quella scintilla protettiva esplodeva in una fiamma minacciosa, e la sua voce attraversò la tensione, con un tono ingannevolmente calmo di fronte alla furiosa esclamazione del biondino.

“Ora, sono abbastanza sicuro che tu non voglia farlo, vero? Penso che tu voglia lasciare la mia gattina—“

La mano dell’alieno era stretta saldamente intorno al polso di Ryan, e lo stava lentamente torcendo, muovendolo gradualmente verso un regno in cui la sua presa sarebbe stata meno difensiva e più offensiva, perché tutti sapevano che, non importava quanto tranquillo fosse Ghish al suo arrivo, ogni tipo di minaccia contro Strawberry lo faceva tornare violento, aggressivo.

Ed ogni tipo di minaccia alla sua stessa persona ispirava quella stessa reazione in Ryan. Digrignò i denti istantaneamente, con i muscoli che si tendevano mentre si preparava a scagliare un pugno contro il ragazzo dai capelli verdi, che in quel momento sembrava pronto per un’altra battaglia.

“Tu—!”

Il ringhio del biondino ottenne come risultato una serie di grida: da Kyle, una preghiera di smettere, un paio da Mina e da Paddy, entrambi strozzati e shockati, e infine, uno da Lory:

“Strawberry!”

La ragazza focena era l’unica a sapere con esattezza cosa dire, a chi appellarsi, per avere una speranza di porre rimedio alla situazione. Fu l’unica che riuscì ad attirare lo sguardo della rossa ed a lanciare la sua preghiera a lei

Funzionò.

Il grido successivo fu “Fermati, Ghish!” e Ryan si fermò in preda al più puro stupor quando le braccia di Strawberry si avvolsero intorno alla vita dell’alieno, tirandolo indietro, terminando la lotta prima che cominciasse. Dal suo canto, Ghish abbandonò il suo atteggiamento confuso per uno un po’ confuso, anche se mantenne la sua capacità di parlare.

“Strawberry…” Tutto ciò che riuscì a dire, tuttavia, fu il suo nome.

Non aveva importanza. Fu tutto quello di cui la ragazza ebbe bisogno per rompere la dica che tratteneva la forza che le era cresciuta dentro durante tutte le prove degli ultimi giorni.

Fece qualcosa che stupì Ryan a tal punto da farlo cadere in un silenzio strozzato.

Sorrise.

Proprio verso l’alieno che, con prudenza, cautamente, sorrise di rimando.

Beh, non c’è bisogno di dire che Ryan era rimasto a bocca aperta. Altrettanto era accaduto alle Mew Mew, ovviamente, eccetto una.

“Ghish, penso che sarebbe meglio se tu—“

Lory non ebbe bisogno di terminare la frase. In qualche modo tra gli occhi imploranti di Strawberry e la voce dolce della ragazza focena, Ghish comprese rapidamente il concetto di “allontanati, così che possiamo assicurarci che il nostro genio biondo preferito non abbia la possibilità di decapitarti.” Perciò, si teletrasportò istantaneamente accanto a Lory che, anche se momentaneamente sorpresa dal rapido movimento, proseguì velocemente con il suo piano per permettere a Strawberry di avere il complete dominio della situazione cominciando a guidare l’alieno nella stanza sul retro.

“Sei pazza? Se pensi che io—! I- i computer sono di là e—!”   

Ryan si riprese subito dal suo shock e cominciò a gridare ogni frammento dei suoi furiosi pensieri contro Lory, con la mente che correva freneticamente ad avvertimenti sul nemico e su un mostro e… ed una volta, solo una, al fuoco….

Comunque, quella fugace visione di fiamme color arancio fu tutto quello che gli occorse per decidere di voltarsi e provare ad inseguire la ragazza-focena.

Questa volta, Strawberry non fece in tempo a raggiungerlo ed a fermarlo.

La strada del ragazzo fu bloccata da Kyle, ed il ragazzo perse quasi immediatamente il suo impeto.

“Non pensi che dovresti almeno ascoltarla Ryan?”

Il biondo farfugliò qualcosa, con la volontà smorzata dal tono stranamente calmo che Kyle aveva usato.

“Penso di aver sentito abba—”

“Strawberry è evidentemente incolume, e lo stesso vale per Lory. Non pensi che questo voglia dire che loro—”

“Un trucco! Non può essere altro che un trucco, e solo perché questa idiota è abbastanza stupida da cascarci, non vuol dire che io—!”

L’uomo più grande stava cercando di fare appello alla logica del biondo, ma la rabbia di Ryan stava rendendo quel compito insopportabilmente difficile.

Quello, ed il fatto che Kyle sapeva che non avrebbe potuto essere così persuasive. La verità era che credeva pochissimo in quello che stava dicendo, riusciva a comprenderlo appena…

…ma sapeva che non era sbagliato. Lo sapeva dal momento in cui gli occhi di Lory si erano fissati in quelli di Ryan e lo avevano pregato di ascoltarla, dal momento in cui Strawberry era arrivata con un Ghish che appariva così completamente differente, in abiti umani, niente meno, che qualcosa di drammatico era accaduto, ed il genio biondo era indubbiamente nell’errore.

Quei pensieri, anche se erano stati efficaci per convincere Kyle, non avevano quasi avuto effetto su Ryan. Questi prese semplicemente un altro respiro, pronto a ribattere al suggerimento di Kyle con più rabbia.

Non riuscì nemmeno ad esalare.

Strawberry, libera dalla preoccupazione che Ghish e Ryan potessero uccidersi a vicenda immediatamente, aveva recuperato un bel po’ di coraggio, e la sua voce decisa arrivò rapidamente in aiuto di Kyle. La recentissima battaglia contro Pai l’aveva riempita di energia, anche se non ne aveva parlato. Le cose erano già abbastanza complicate. Quello poteva attendere per un bel po’.

Non è un trucco. Non sai  nemmeno cos’è successo, e stai già—“

Strinse i denti quando lui sbuffò.

“Lory è stata così gentile da fornirmi i dettagli. E non posso farci niente se sei così stupidamente idiota da non capire quando il nemico ti sta usando.” Concluse con un tono così freddo, così definitivo, che gli occhi di Strawberry si riempirono di lacrime.

Stava tremando in quel momento, e sapeva che avrebbe pianto, e piangere avrebbe peggiorato le cose di molto.

Improvvisamente, la ragazza desiderò che Lory non se ne fosse andata. Desiderò anche che le altre Mew non fossero sparite su per le scale per ascoltare non viste; persino la loro nervosa presenza avrebbe diminuito la tensione tra lei e Ryan in qualche modo.

Le lacrime si formarono nei suoi occhi, offuscandole la visuale, mentre la sua mente si affrettava a trovare un modo per ribattere, per recuperare la sua proverbiale posizione.

Alcune immagini si formarono nella sua mente.

Lampi di sentimento la colpirono.

Momenti e sprazzi del suo tempo passato con l’alieno, ma un ricordo si fece avanti contro le accuse del biondo.

Poté improvvisamente sentire un fantasma toccarle il polso, il ricordo, che si faceva sempre più forte, del momento in cui l’aveva pregata per avere un ultimo bacio prima di morire, che riluceva brillante nei suoi pensieri caotici..

La sua morte.

Lui aveva pensato che sarebbe morto.

Lei aveva pensato che sarebbe morto.

Morire…

Il ragazzo…

Il ragazzo era quasi… morto per lei.

Per lei.

Quei giorni e quelle notti che aveva passato in agonia… un trucco?

Quei baci, bugie?

Quelle parole, mere fiabe?

Quegli occhi…

“Sei tu lo stupido.”

Sia Kyle che Ryan si gelarono per lo stupore.

La sua voce aveva perso il suo tono stridulo e frenetico. Un tono con la più pura tranquillità ne aveva preso il posto.

Per un momento, Kyle si accorse che c’era una luce nei suoi occhi che aveva già visto, in quelli di Lory.

Era la luce della dolce saggezza.

E in quel momento, Kyle seppe chi aveva vinto.

Strawberry sorrise a Ryan, ed il biondo sentì che la sua voce era sparita.

“E’ già cambiato e non c’è niente che tu possa fare.” Alzò lo sguardo su di lui, guardò I suoi occhi spalancarsi appena.

“Gli ho già fatto una promessa,” fece una pausa, e poi aggiunse in un flebile sussurro, ornato con un dolce sorriso, “e lui ne ha fatta una a me.”

E in quel momento Ryan si rese conto di chi aveva vinto. Non lottò.

Il ragazzo sbatté le palpebre una volta, poi due, prima di produrre un rumore che era un mezzo sbuffo ed un mezzo sospiro. In ogni caso, era un rumore di debole accettazione, e in quel secondo, Strawberry sentì il suo cuore proteso verso di lui. Sapeva cosa significava quella sconfitta per lui, cosa richiamava dentro di lui.

Richiamava quell’immagine di fiamme devastanti…

Ma non ebbe la possibilità di dirlo a voce alta, perché prima che se ne rendesse conto, lui si era voltato ed aveva cominciato a salire le scale, ignorando Kyle che chiamava debolmente il suo nome, non prestando attenzione a Mina e a Paddy che lo fissavano con curiosità, o a Pam che permise al suo sguardo di seguirlo impercettibilmente prima che sparisse nella sua stanza.

E questo, si rese conto Strawberry con un balenio un po’ divertito, un po’ sollevato, era tutto.

Beh, forse non del tutto, ma era più o meno tutto quello che avrebbe visto al riguardo. Più tardi, Kyle sarebbe probabilmente andato di sopra ed avrebbe provato a calmare il ragazzo, le avrebbe provate tutte in modo che Ryan potesse sentire un qualche parvenza di pace.

In quel momento, comunque, sembrava che il bruno più grande avesse occhi solo per la situazione attuale. Strawberry fu sorpresa dalla repentinità con cui il ragazzo la spinse a continuare, non era rilevante quanto gentile e tranquillizzante fosse il suo tono.

“Penso che ci sia molto di cui discutere, Strawberry.”

Questo riuscì a coglierla di sorpresa, ma la ragazza si ricompose velocemente. “S-sì.”

“Forza allora.”

Si giro e cominciò ad andare verso la stanza sul retro. La ragazza lo seguì, lenta dapprima, e poi prendendo improvvisamente velocità mentre un senso di strana eccitazione si impadroniva di lei. Si rese conto di aver affrontato Ryan e di essere sopravvissuta. Ed ora avrebbe potuto dire la buona notizia a Ghish, e forse sarebbe stato così felice, l’avrebbe abbracciata e—

In quel momento fu abbastanza ovvio di quanto lontano erano arrivati loro due in quella relazione, perché quel pensiero era arrivato calmo, con naturalezza, ed aveva avuto come risultato un forte rossore che le aveva illuminato le guance. Fu grata del fatto che Kyle sembrasse più preso dallo sforzarsi di andare avanti e completare il suo nuovo compito piuttosto che dallo studiarla.

Poco dopo questa osservazione, i due entrarono nella stanza, la vista di una Lory nervosa, insieme a quella di un Ghish altrettanto nervoso che cercava di alleviare la sua ansia giocherellando con una tazza di tè che la ragazza focena doveva avergli dato, incontrò i loro occhi. Un momento più tardi, gli occhi dorati di Ghish furono catturati dallo sguardo di Strawberry, e l’alieno sorrise in automatico. Il fatto che quella paura nauseante fosse sparita dagli occhi della ragazza fu abbastanza da dirgli chi era il vincitore, e si alzò dalla sedia con un sorrisetto che gli tirava lentamente le labbra, pronto ovviamente ad acconsentire immediatamente alla fugace piccola fantasia di Strawberry.

Si congelò di nuovo, comunque, alla voce di Lory. Si era alzata anche lei stava rivolgendo a Kyle la sua totale, compassionevole attenzione.

“Kyle… Ryan è…?”

Strawberry trasalì visibilmente a quel nome, e Ghish camminò a grandi passi per porsi con fare protettivo accanto a lei, il sorrisetto a metà della sua formazione si trasformò in uno sguardo di preoccupazione.

Kyle se ne accorse. Vide quel gesto molto velocemente, ed anche se sapeva che avrebbe dovuto rispondere cupamente, poiché il nome del suo compagno era un grilletto sicuro per la tristezza, non poté evitare di sentire una scintilla di interesse per il legame che sembrava essersi instaurato tra la leader delle Mew Mew ed il suo (ex, suppongo…) nemico. Perciò, invece di reagire in un modo che Lory si sarebbe aspettata, le rivolse un sorriso rilassato, tranquillizzante.

“Starà bene. Gli parlerò più tardi. Ora,” si voltò verso Strawberry ed un Ghish con un volto incuriosito, “Credo che ci siano cose leggermente più importanti di cui discutere.”

La mezz’ora seguente sembrò volare ad una velocità che aveva del ridicolo, ed ogni momento portò una nuova piccola sorpresa per Strawberry, la maggior parte delle quali concerneva quanto civilmente Ghish stava riuscendo a comportarsi davanti ad uno dei capi del progetto Mew Mew. Ascoltava, annuiva, si controllava magnificamente, senza il minimo sorrisino o accenno ad un commento maligno. Presto, sia Strawberry che Lory furono così ipnotizzate da questo che rimasero fuori dalla discussione, restando invece a guardare mentre Kyle e Ghish discutevano di varie questioni, affrontando dapprima un rapido riassunto degli ultimi eventi (Kyle, sempre gentile, si prese qualche minuto per offrire l’attrezzatura medica del laboratorio, proposta a cui Ghish rispose, con un cenno negativo della testa, ugualmente gentile... ed un rapido, incantevolmente grato sguardo rivolto alla ragazza-gatto), procedendo poi ad una piuttosto tesa, ma fortunatamente breve menzione di Pai (e di Tart, ma Ghish ci passò sopra così rapidamente che Kyle comprese di non doverlo pressare: ovviamente, l’alieno stava ancora meditando sulla situazione del più giovane del trio), ed arrivando infine al rischioso argomento di cosa sarebbe accaduto in seguito.

“Se non ho capito male, i genitori di Strawberry saranno di ritorno stasera. E’ corretto?”

Ghish annuì, Strawberry fece altrettanto.

“Sì” disse infine lei a voce alta, “ritorneranno verso le otto.”

“Allora suppongo che tu non possa rimanere a casa sua, Ghish.”

Il contegno calmo dell’alieno finalmente si dissolse in un tocco di comprensibile delusione, ed un leggero broncio gli sfiorò il volto.

“Beh, non direi—”

“Se mio padre ti vedesse, ti ucciderebbe, poi gli verrebbe un infarto… poi probabilmente ti ucciderebbe di nuovo…” Strawberry si interruppe in maniera piuttosto comica, anche se Ghish comprese immediatamente il senso di quello che aveva detto. Rimaneva comunque determinato.

“Oh… andiamo, micetta. Non pensi che potrei convincerlo?” La guardò con un sorriso speranzoso.

“…non hai mai incontrato mio padre, vero?”

“Eh…no…”

“Allora non hai—”

I due si zittirono, un po’ imbarazzati, al suo di Kyle che si schiariva la gola.

“Il punto della situazione è che non penso che tu possa restare qui.”

Quella frase fece partire subito Strawberry.

“Ma Kyle, se non può stare qui, allora…”

Non aveva davvero bisogno di chiedere perché non poteva restare. Sapere che il biondo era ancora al piano di sopra era, ovviamente, la spiegazione. La ragazza non discusse: espresse solo il suo crescente senso di disperazione. Ghish si accigliò, chiaramente a disagio per essere improvvisamente un tale peso.

Lory, decidendo di entrare bruscamente nella conversazione, offrì una proposta. “Forse lui… lui potrebbe stare con una di noi?”

Kyle scosse la testa. “Dubito che le altre ragazze siano abbastanza pronte per una cosa del genere. D’accordo, la villa di Mina è abbastanza grande per nasconderlo, e Paddy potrebbe riuscire a spiegare la sua presenza ai suoi fratellini, ma nonostante ciò, non penso che sia giusto chiederglielo adesso. E non credo che tu sia in grado di nasconderlo alla tua famiglia, Lory.”

La ragazza-focena chino la testa. “Io…” Si acquietò. Il ragazzo aveva ragione, ovviamente.

A quel punto, Ghish si stava stancando del fatto che si parlasse di lui e fece ciò che faceva di solito in una situazione del genere: si sforzò di assumere un sorriso malizioso sul viso ed offrì il suo parere “esperto”.

“Sai, micetta, non devo stare in una casa. Posso semplicemente dormire sull’albero fuori dalla tua finestra. E’ facile nascondercisi, e la vista è grandiosa.”

Strawberry si giro bruscamente per lanciargli un’occhiataccia seria. All’inizio, il ragazzo pensava che lo scopo di quel gesto fosse il solito: una fitta di fastidio al suo tipico commentino allusivo. Non appena la ragazza aprì la bocca, però, si accorse che la situazione era diversa.

“Se tu,” e qui lo colpì con un dito, facendogli sbattere le palpebre per la sorpresa, e poi cominciare a sorridere con un po’ di imbarazzo, “pensi di dormire fuori al freddo dopo tutto questo, sei più stupido di quello che pensassi!”

Kyle trovò bizzarramente difficile trattenersi dal far apparire un sorriso sulle sue labbra.

“Allora suppongo che tu abbia un piano Strawberry, vero?”

Ancora una volta, la voce di Kyle la fermò. Si grattò involontariamente il mento con un dito delicato.

“Non so…”

Gli altri tre la stavano guardando in attesa. Gli occhi di Lory erano sbarrati dietro i suoi spessi occhiali; Kyle sembrava aver totalmente focalizzato la sua attenzione sulla ragazza; Ghish… in effetti, se gli altri fossero stati più attenti a lui piuttosto che a Strawberry, avrebbero osservato uno dei suoi affascinanti tratti alieni: le sue orecchie che si contraevano appena per la profonda curiosità.

Ora, Strawberry non era una pensatrice particolarmente discreta. Questa era una cosa che tutti coloro che avevano un po’ di familiarità con la sua mente semi-addormentata sapevano. Comunque, i suoi pensieri stavano procedendo con una rapidità impressionante quel giorno, e lei si accorse di un dettaglio molto, molto rapidamente.

Non voleva che Ghish se ne andasse. La ragazza non era molto sicura che quello fosse sorprendente o meno, ma rimaneva il fatto che non voleva che il ragazzo vivesse da nessuna parte tranne la sua casa, specialmente in quel momento. Dopo tutto quello che era successo, non riusciva ad immaginare di essere separata da lui così drasticamente. C’era ancora troppo da fare…

Ma—

Dopo quella realizzazione, la sua mente corse alla ricerca di un modo per conciliare quei sentimenti.

Di nuovo, accadde una cosa davvero incredibile

Trovò una soluzione.

In effetti, aveva visto fare quel trucchetto così tante volte nei libri o in alcuni show televisivi, da essere sorpresa che quell’idea non le fosse venuta prima.

Un ampio sorriso le illuminò il volto mentre assumeva la classica espressione da “Eureka!”.

“Potrei dire ai miei genitori che è uno studente partecipante ad uno scambio!”

Sia Lory che Kyle assunsero un’espressione sconcertata. Ghish appariva semplicemente confuso.

“Cos’è uno studente partecipante ad uno scambio?”

Kyle, riprendendosi, sospirò. “Vuole dire che tu dovresti far finta di essere uno studente proveniente da un altro paese per stare a casa sua. Ma Strawberry, come lo spiegherai ai tuoi genitori?”

“Cosa vuol dire, spiegherai? Potrei semplicemente dir loro che mi sono offerta per far parte del programma! Non è che potranno mandarlo via.” Il trionfo rimase sul suo volto.

“E cosa vorresti fare per…” Lo sguardo di Kyle si piazza chiaramente sulle orecchie di Ghish, lunghe ed estremamente vistose…. che si contrassero di nuovo. Evidentemente, era anche curioso di sentire quale sarebbe stata la soluzione per quel piccolo problema.

A questo punto, comunque, Strawberry perse il suo sorriso trionfante, esitando nervosamente. “Ah… beh, potremmo…” Guardò Ghish impotente, e lui sbuffò di rimando.

“Non guardare me! Non è che posso ridurle o roba del genere.”

Strawberry mise il broncio, una reazione normale per fastidi simili.

Fortunatamente, prima che potesse scoppiare una discussione, Lory si schiarì la voce.

“Forse potresti dire ai tuoi genitori che è nato così.”

Ghish sbatté le palpebre.

“Io sono nato così.”

“L-lo so, voglio dire...”

“Vuole dire farle passare come un’anormalità dalla nascita. Giusto Lory?”

La voce di Kyle le riportò la sicurezza, e la ragazza focena annuì. “N-non è una grande idea, temo, ma…”

“Penso che in questo caso andrà benissimo.” Kyle sorrise incoraggiante.

“Già! I miei genitori crederanno a qualsiasi cosa. Funzionerà alla grande,” aggiunse Strawberry, con un sorriso che prendeva il posto che era suo di diritto. Aveva ragione. Se i suoi genitori credevano al fatto che ogni tanto correva a studiare a casa di un’amica alle nove di sera (ovviamente, una scusa regolare quando si verificava un improvviso attacco di un Chimero), probabilmente avrebbero creduto ad una bugia simile prima o poi.

E sapeva che avrebbe funzionato. Doveva. La ragazza si sentiva estremamente irremovibile riguardo il non lasciare Ghish, ed era lieta del fatto che Lory avesse trovato una soluzione, anche se rimaneva comunque una incerta. La ragazza aveva temuto di dover supplicare (sentiva che, in qualche modo, sarebbe finita così), perciò è facile immaginare il suo sollievo.

“Allora, ci siamo?”

Kyle annuì e fece per dire un flebile “penso di sì”, fece per cominciare ad andare più nel dettaglio di cosa sarebbe accaduto poi, quando:

“Già, ci siamo?”

Il gruppo, tutti tranne Ghish che aveva già cominciato a farlo un momento prima di loro, si voltò per vedere una Mina compita ed una Paddy stranamente silenziosa che stavano sulla porta. Pam non c’era: forse era rimasta al piano di sopra, a sorvegliare l’angosciato Ryan.

“Mina…” Lory fu la prima a pronunciare il suo nome, ma Strawberry fu la prima a darle davvero una risposta. Sfortunatamente, non lo fece con molta gentilezza. Al vedere Mina per niente rilassata, Strawberry pensò immediatamente al peggio e replicò con un tono teso, accusatorio. Lo fece così rapidamente che Kyle non ebbe nemmeno il tempo di intervenire. Ghish rimase in silenzio.

“Ti crea qualche problema, Mina?”

Si aspettava che la ragazza scattasse contro di lei, o che cominciasse a discutere. Invece, gli occhi di Mina si fecero smorti, e lei rispose con una voce che tremava per l’emozione appena controllata.

“Ma certo che mi crea qualche problema! Non puoi semplicemente entrare qui con lui (Ghish trasalì quando quegli occhi accusatori ricaddero su di lui, ma sentì che alzare la voce per difendersi non era l’idea migliore), ed aspettarti che lo accettiamo! Voglio dire… Strawberry ti sei scordata di cosa hanno fatto?”

La ragazza sbatté le palpebre, colta alla sprovvista.

“Mina…”

“Voglio dire, ti sei scordata di cosa dovremmo fare noi? Abbiamo un mondo da proteggere!, Perché noi vai a dire ai tuoi amici, ai tuoi genitori che hai deciso che… che lui vale più di loro!”

A quel punto era ovvio che Mina aveva perso il suo auto-controllo. La ragazza stava fissando Strawberry e Ghish a turno in malo modo, con gli occhi che si riempivano lentamente di lacrime.

E ciò che preoccupava di più Strawberry era che Paddy se ne rimaneva in silenzio durante tutta quella discussione, ancora immersa profondamente in chissà quali pensieri che la stavano turbando.

“Io…”

Non osò guardare verso Lory o Kyle in cerca di aiuto, perché sapeva di cosa si trattava. Negli ultimi giorni, aveva imparato a riconoscere quei momenti per ciò che erano: il suo personale test di convincimento. Considerò anche questo come tale.

Calma, composta, rassicurante, calda e premurosa, la sua voce lotto contro l’angoscia saliente di Mina.

“Ho giurato, Mina. E l’ha fatto anche lui.” L’ultimo pezzo fu un sussurro. Poi, la sua voce ritornò: “E… e dobbiamo cambiare tutto questo ora. Troveremo un modo.” Mentre parlava, sorrise, e mentre sorrideva lanciò uno sguardo con la coda dell’occhio a Ghish, che prima guardò lei, poi Mina, e si irrigidì. Si accorse, molto, molto bruscamente, che era il suo turno di dimostrarsi degno di fiducia.

Per la prima volta, Ghish alzò lo sguardo per incontrare gli occhi di Mina senza alcun desiderio di farle del male o di stuzzicarla. I suoi occhi non mostravano alcuna cattiveria. Erano seri, pensierosi, persino… contriti. E poi rivolse lo stesso sguardo a Paddy, e a Lory e, infine a Kyle.

La ragazza-uccello si prese un momento per assorbire quello sguardo, quei chiari occhi Dorati, prima di deglutire nervosamente ed irrigidirsi. Dapprima, mentre lo faceva, Strawberry languì per la delusione, pensando ad una reazione indubbiamente negativa.

Dopo alcuni secondi, però, Mina rilasciò un respiro.

“Vado a fare una passeggiata.”

Nessuno ribatté quando si voltò per lasciare la stanza.

Dopodiché, Strawberry si accorse che era il momento di lavorare con Paddy.

“Paddy,” cominciò lentamente, con dolcezza, ancora sotto lo sguardo attento degli altri tre, “stai bene?"

Passatono dei momenti fino a che la ragazzina sollevò la testa e non guardò Strawberry, ma Ghish. A coronare il tutto, si rivolse persino a lui, e non nel modo che Strawberry avrebbe ritenuto convenzionale.

“Ghish?”

Tutti rimasero sorpresi e ci volle un po’ a Ghish per riprendersi dal suo stupore e risponderle.

“S-sì?”

“Questo vuol dire che Tart può dormire a casa di Paddy?”

Il gruppo decise in quel momento che era molto chiaro quale fosse il pensiero di Paddy sull’intera questione.

Le ragazze, e persino Kyle, cominciarono a ridacchiare e a ridere, non solo perché l’espressione cupa di Paddy era sparita, e la bambina stava ora sorridendo radiosamente all’indirizzo di Ghish, ma anche perché il suddetto alieno sembrava combattuto tra l’essere totalmente confuso dalla sua richiesta e trovare dei modi per canzonare Tart nel futuro su questa piccola richiesta.

L’allegria continuo quando la ragazzina cominciò a parlare tra sé e sé, facendo già una lista delle cose che stava morendo dalla voglia di provare con il piccolo alieno.

“…e potremmo fare dei biscotti, e giocare alla casa, e guardare i film dell’orrore, e—“

“Paddy. Perché non vai avanti e ti scrivi tutto su un foglio?” Kyle, perennemente calmo, provò a riportare un po’ di ordine così che la discussione potesse continuare.

“Ma Paddy ha una grande memoria! Sta’ a vedere, posso elencare tutto dall’inizio: nascondino, ce l’hai, sal—“

“Tart ha una memoria terribile. Puoi scriverle per lui.”

Paddy si fermò, sbatté le palpebre, e sorrise di nuovo.

“Allora Paddy andrà a cercare della carta, e una matita, e…” la bambina di interruppe, si voltò e saltellò fuori dalla porta.

Non c’è bisogno di dire che Kyle non fu il solo che fissò Ghish con incredulità.  Il ragazzo alieno si trovò con tre paia di occhi puntati su di lui e si accigliò davanti allo sguardo sbalordito di Strawberry.

“Che c’è? Come se avessi voluto voglia di ascoltare una cosa del genere… e come Tart dopo che ha mangiato un qualche centinaio di quegli affari di zucchero…”

Quello riaccese le risate.

La successiva ora e mezzo di piani e decisioni passò molto più rapidamente di quella precedente. Quando Ghish e Strawberry si rimisero i cappotti e si avviarono alla porta, Paddy aveva ritrovato la sua allegria, Lory stava sorridendo timidamente in approvazione come suo solito, e Kyle…

C’era del calore che brillava nei suoi occhi marroni che fece ingrandire ancora di più il sorriso di Strawberry mentre la ragazza salutava rapidamente e si tirava dietro un Ghish in qualche modo meditabondo fuori dalla porta.

Ma prima che riuscisse a trascinarlo fuori completamente, l’alieno lanciò un rapido sguardo verso l’interno del caffè, ed i suoi occhi ebbero modo di scorgere qualcosa che nessun altro vide: un breve sprazzo biondo in cima alle scale.

Voltandosi verso una Strawberry improvvisamente impaziente, copià il suo sorriso, ed i due si incamminarono verso casa.


Avevano camminato per circa dieci minuti in una sorta di gioioso e sollevato silenzio, quando Strawberry decise che il suo momento di auto-controllo era terminato.

Gridando “Yatta!” e con un urlo di puro giubili femminile, Ghish si ritrovò disteso in un mucchio di neve, con una Strawberry che ridacchiava bloccandolo al suolo e premendo la guancia contro la sua in un vero, folle abbraccio.

Non c’è bisogno di dire che il ragazzo ricambiò il sorriso, l’abbraccio tronca ossa con uno dei suoi, e decise felicemente che non gli dispiaceva molto della neve fusa che gli stava lentamente entrando nella maglietta.

Non gli dispiacevano nemmeno quei momenti di ansia strizza-stomaco al caffè, la nausea che gli era venuta per gli sguardi di così tanti occhi accusatori. Nor did he mind those moments of stomach-clenching anxiety in the café, the nausea brought by the stares of so many accusing eyes.

No, decise.

La dolce risata della ragazza che gli solleticava l’orecchio in sollievo totale, il suo cuore che batteva così vicino al suo, il suo sorriso così genuino, così diverso da com’era stato prima, compensò totalmente tutte quelle cose.

Compensarono così bene, che lui le baciò il collo nella sua propria espressione di euforia, e questo fece solo sì che l’abbraccio si facesse più stretto.

Non si alzarono per altri cinque minuti. La felicità era davvero troppo grande.

Dio, se ne era valsa la pena.


“C-come…”

Lui sorrise.

“C-cosa hai…”

Il suo sorriso si fece più ampio: una bianca zanna splendente brillò di riflesso negli occhi spalancati della ragazza.

“…..”

Lui ridacchiò.

Alla fine, Strawberry pronunciò le uniche parole che erano davvero in grado di rappresentare la situazione:

“E’ stato fantastico.”

Ora, a cose normali, non si sarebbe complimentata con Ghish per la sua astuzia e la sua scaltrezza: erano due caratteristiche che le facevano arricciare il suo metaforico pelo, in particolar modo quando utilizzate come metodo per manipolare lei.

Comunque, quello che il ragazzo aveva appena fatto, quello che lo stava facendo sorridere così tanto e con compiacenza mentre si sedeva sul letto della camera degli ospiti, mentre si sfaceva i lacci tra i capelli preparandosi alla doccia che avrebbe fatto, meritavano decisamente un elogio.

In poche parole era accaduto questo:

1. I genitori di Strawberry erano tornati a casa.

2. Il padre di Strawberry aveva immediatamente scorto l’innegabilmente carino, bel ragazzo alieno seduto innocentemente sul divano del suo salotto.

3. Il padre di Strawberry si era comportato nel suo modo abituale. Si era gonfiato per la rabbia. Aveva preso fiato per un adorabile attacco verbale. In effetti era sembrato a tutti, persino alla sua confusa moglie, un pesce palla.

Ora, è necessario prestare attenzione al piccolo sviluppo che era seguito, dato che era precisamente ciò che aveva meravigliato così tanto la ragazza-gatto per un po’ di tempo dopo l’evento:

Ghish era sopravvissuto.

Aveva fatto molto di più che sopravvivere, in effetti.

La ragazza non aveva mai sentito un discorso così educato e sofisticato fluire dale labbra intelligente dell’alieno.

In qualche modo, utilizzando la sua sorprendente abilità di suonare miracolosamente intelligente di fronte al padre sbalordito di lei, Ghish aveva eloquentemente spiegato il suo status di studente partecipante ad uno scambio, aveva lodato la generosità di Strawberry per avergli permesso di stare a casa sua (che, aggiunse, conquistandosi rapidamente Sakura, era spaziosa e decorata con gusto), era in qualche modo riuscito a convincere i genitori di Strawberry che le sue orecchie erano parte di una qualche condizione di pelle esotica (la ragazza si era paralizzata in questa parte: si era brevemente chiesta se non stesse sognando), ed aveva concluso così splendidamente, con così tanti complimenti che suonavano sinceri, che Strawberry si sentì decisamente stordita e che l’ira patriarcale di Shintaro si dissolse gradatamente in accettazione.

Strawberry si era ripresa appena in tempo per annuire alle parole di Ghish.

Subito dopo, Ghish aveva scusato entrambi per andare a farsi un bagno prima di andare a letto, e Strawberry si era trovata a fissare, a bocca aperta, appena in grado di evocare una frase, un alieno estremamente compiaciuto.

Alla fine, Ghish interrupe il semi-torpore di Strawberry.

“Che c’è, pensavi che dopo tutto quello che è accaduto sarei stato inseguito da tuo padre?”

Strawberry poté solo sbattere le palpebre.

“Ed io che pensavo che tu sapessi già che ho il grande dono del fascino.”

Eppure, tutto quello che Strawberry riusciva a fare era fissarlo mentre un pensiero assai interessante le correva attraverso la mente:

Come diavolo aveva fatto Ghish a cavarsela quando suo padre aveva minacciato di uccidere Mark, che poteva essere descritto solo come la quintessenza della perfezione in un ragazzo?

Qualcuno stava cercando dirle che…?

“Oi, Strawberry? Straw—”

“Se non ti dispiace… penso che faro la doccia per prima.”

Lo disse con una voce così sussurrata, così distaccata, che il ragazzo rimase così sbalordito da zittirsi mentre annuiva lentamente, stupefatto, essendosi davvero aspettato un qualche commento sarcastico, oppure che sarebbero stati impegnati in un qualche gioco che li avrebbe fatti divertire per almeno qualche minuto. Invece non riuscì nemmeno a provarci di nuovo che Strawberry, improvvisamente cupa e silenziosa, lasciò la stanza ed andò verso il bagno.

Si accorse bruscamente, mentre giocherellava con uno dei suoi lacci per capelli, con i lineamenti che si accigliavano lievemente, che quel piccolo incidente con il padre della ragazza, anche se era finite decisamente bene, l’aveva portata a pensare a molte cose.

Fu per questo che, non importava quando desiderasse saltare in piedi ed andare dalla ragazza per rassicurarla, per lasciare che le sue braccia la cullassero mentre lei lottava con la sua battaglia interiore, rimase seduto sul suo letto a disagio.

Strawberry doveva farlo da sola.

Ghish, che giocherellava con ansia sempre crescente con i suoi lacci per capelli, e con il volto che si piegava sempre di più in un mezzo ringhio frustrato, Strawberry, che si era chiusa in bagno ed aveva cominciato a spogliarsi, con il labbro inferiore catturato tra i denti un po’ stretti, entrambi sapevano che la prova doveva essere affrontata solamente da Strawberry, perché era giunto il momento.

Era stato provocato da quello stupido piccolo commento riguardante Shintaro, e non poteva essere ulteriormente rimandato, non da uno di loro.

Ghish, con un sospiro tremolante nel tentativo di allontanare il disagio crescente, si stese e decise di rinunciare alla sua doccia fino al mattino.

Strawberry entrò sotto il getto fisso della doccia e lasciò che la accecasse e la rendesse sorda al resto del mondo.

Eppure, anche se cercavano di far finta di non essersene accorti, mentre Strawberry scivolava nel calmo piacere di una doccia calda, mentre Ghish lasciava che il torpore lo sopraffacesse, entrambi pensarono lo stesso pensiero, ed entrambi seppero, dentro di loro, che l’altro stava provando la stessa identica ansia, perché il giorno seguente…

Il giorno seguente, Strawberry avrebbe incontrato Mark.


Si svegliò presto. Le sei del mattino, per essere precisi.

Si vestì in silenzio, facendo attenzione come mai prima di allora a non sfiorare nemmeno il suo tavolo o la sua sedia. I suoi passi erano ovattati come quelli di un felino; le assi del pavimento, che di solito scricchiolavano sotto il suo peso, non mossero alcuna protesta, mentre finiva di legarsi i capelli ed attraversava la stanza, aprendo la porta con la massima delicatezza, e si avviava per il corridoio.

Un minuto più tardi, era scesa dalle scale ed era uscita dalla porta, dopo aver frettolosamente scritto un biglietto per dire ai suoi genitori che era uscita per una rapida corsetta mattutina.

Non si preoccupò di scrivere qualcosa per Ghish.

La maggior parte della sua preoccupazione, in effetti, era stata rivolta all’evitare che si svegliasse e la incontrasse prima che lei uscisse.

La ragazza non voleva distrazioni. Non voleva altre difficoltà.

La prospettiva di rivedere il suo volto, quegli occhi dorati così profondi, così spontaneamente imploranti mentre guardavano nei suoi prima che lei se ne andasse, era troppo, perciò pronunciò una silenziosa preghiera di gratitudine mentre andava al cancello d’ingresso, grata di non averlo dovuto vedere.

Ovviamente, ciò che mancò di notare fu che, solo perché non l’aveva incontrato, ciò non voleva dire che lui non fosse lì.

Mentre la ragazza andava verso il parco dove sapeva che Mark faceva le sue corsette mattutine, non si accorse dell’ombra, tenue nella crescente luce dell’alba, che guizzava dentro e fuori tra le ombre degli alberi al fianco della strada.

Ghish si assicurò di rimanere in silenzio come aveva fatto Strawberry mentre la seguiva nel parco e lungo il campo per la corsa, e non appena vide la ragazza irrigidirsi, non appena vide una testa di capelli color nero notte ben marcata nella nebbia e nella neve, si posò su un albero vicino e lasciò che Strawberry procedesse.

In quel momento, tutto quello che poteva fare era guardare.

E aspettare.

E… sperare.


Strawberry non sapeva molto bene come procedere. Mentre stava sul bordo del campo, con lo sguardo, impotente, catturato dalla sagoma di Mark che correva, si chiese debolmente cosa fare. Doveva andargli incontro?

Dire un ‘salve’? Un saluto? Uno stupido, falso sorriso?

Avrebbe dovuto aspettare finché non l’avesse notata? Sarebbe stato troppo imbarazzante?

Diavolo, non importava come sarebbe stato l’approccio, sarebbe stato imbarazzante.

Imbarazzante, e nauseante, e terrificante, e... e imprevedibile. Imprevedibile, perché stava ferma lì senza un’idea chiara di come sarebbe finita…

Questo però non la fece fuggire. Sapeva che la situazione doveva essere sistemata in quel momento, che quando avrebbe lasciato il parco, che fossero passati cinque minuti o un’ora, avrebbe saputo qualche dei due lei—

La ragazza si morse il labbro, interrompendo quel pensiero. Era ancora troppo poter pensare con consapevolezza al riguardo, anche quando ci si trovava direttamente davanti, in attesa di un confronto, pronto per devastare le sue fragili emozioni.

Ma doveva essere fatto, e la pura prova di questo fu Mark che si voltò verso di lei nel mezzo della corsa, alterò la sua strada e si avvicinò rapidamente a lei.

Non appena vide quegli occhi color cioccolato posarsi su di lei, Strawberry sentì le sue ginocchia indebolirsi, il suo stomaco contorcersi, i suoi occhi inumidirsi per l’ansia paralizzante.

E non c’era modo di tornare indietro. Fu deciso quando il ragazzo, alla fine, la raggiunse e non perse tempo ad interrompere il silenzio:

“Salve, Strawberry.”

Miracoloso, come potesse suonare così calmo, così naturale, così tranquillo, quando la sola vaga idea dell’argomento di cui avrebbe discusso faceva sentire Strawberry pericolosamente stordita. Ebbe come risultato l’opposto rispetto al suo probabile intento, facendo sentire la ragazza anche più nervosa mentre si sforzava di rispondere.

Nascosto al sicuro nel suo albero, Ghish digrignò inconsciamente i denti all’udire il tremito nella voce di lei.

“S-salve, Mark…”

Come fare? Sarebbe dovuta andare subito al sodo? Avrebbe dovuto fare un piccolo discorso, girare intorno al punto focale, cercare di metterlo a suo agio?

O, piuttosto, provare a mettersi a suo agio?

In nome del cielo, perché la stava guardando senza la minima traccia di preoccupazione nei suoi occhi? Perché poteva stare lì a respirare normalmente, in piedi alto e saldo e sicuro di sé, quando lei stava facendo del suo meglio, ed era vicinissima al fallire, per trattenersi dallo strozzarsi con la stessa aria che respirava, per trattenersi dal tremare senza controllo sotto lo sguardo in attesa di Mark.

Cosa fare… come cominciare… cosa dire… dove andare

“Ti stavo aspettando.”

Solo l’evidente casualità di quell’affermazione riuscì a sconvolgerla tanto da farla uscire dal suo disagio paralizzante, e lei batté le palpebre nella direzione del ragazzo con imperturbata curiosità.

“Co… cosa?”

“Dalle cinque di stamani” La ragazza dovette trattenersi dal boccheggiare mentre lui le sorrideva, le sorrideva davvero con una gioia da toglierle il fiato…

“Ci-cinque…?”

“Mm.” Lui cominciò a camminare, lentamente, aspettando che lei lo seguisse. Lei cominciò subito a camminare, accorgendosi che lui stava cercando di liberarla dalla sua paralisi, di calmarla, di riportare sensibilità alle sue gambe. In effetti cominciò a funzionare: il respiro di Strawberry cominciò a calmarsi, fino a che lui le fece una domanda che lei non si sarebbe mai aspettata, una a cui non avrebbe mai potuto prepararsi nelle ore che aveva passato ad allenarsi inutilmente per questo la notte precedente.

“Lui sta meglio?”

In quel momento Strawberry boccheggiò visibilmente, strozzandosi un po’, mentre smetteva bruscamente di camminare, voltandosi, sbattendo le palpebre al suo indirizzo, stupita.

Non c’è bisogno di dire che, appollaiato sul suo albero, con gli occhi che non lasciavano mai la coppia, Ghish provò un identico stupor.

Incapace di distogliere i suoi occhi da quelli di Mark, la ragazza annuì in una sorta di stordita confusione, troppo sorpresa per non rispondere.

“Sì… sta… sta molto meglio.” Cacciò indietro le lacrime che stavano minacciando di uscire.

Che diavolo stava facendo Mark….?

Perché chiedere… cosa… come… perché

“Ne sono felice.”

La diga si ruppe.

Le lacrime cominciarono la loro familiare discesa lungo le sue guance rosse; prese il respiro successivo con un sonoro singhiozzo. Il dolore sorse in lei, crescendo ancora di più quando sentì le braccia del ragazzo avvolgerla, stringendola al petto di lui. Un momento più tardi, leu digrignò i denti al sentire la lieve pressione del mento di lui contro la sua testa.

“Mark,” singhiozzò nel suo petto, stringendo i pugni, con forza, e facendo sanguinare i palmi con le sue stesse unghie nella sua angoscia. “Io-Io… Io…”

Non importava con quanta violenza era esplosa, la voce di lui rimase calma e gentile.

“So perché sei qui, Strawberry.” Al sentire il suo nome, combinato con la ferma risoluzione nella sua voce, la ragazza si zittì. Lui sorrise guardandola mentre lei ricambiava il suo sguardo.

“Voglio che tu sappia che ti amerò per sempre. Strawberry,” le diede una leggera strizzata, “non dimenticherò mai i momenti che abbiamo passato insieme.”

La ragazza riuscì semplicemente a fissarlo.

Cosa… cosa era appena successo?

Come accidenti era arrivato da “sta meglio?” a quella dolce dichiarazione, quell’amorevole affermazione che, in qualche modo, suonava così definitiva.

Definitiva.

Dio… no

Fece disperatamente marcia indietro da quella conclusione a cui lui si stava evidentemente avvicinando.

“Ti amo ancora! Mark, ti amo… ti prego! Non voglio che tu—”

Incredibile, le stava ancora sorridendo.

“Non potevo crederci, quando ti ho vista con lui. Devo ammetterlo. All’inizio non riuscivo a capire, ma—”

“No! Io non… Io dovrei stare cone te! Per sempre. Mark, siamo noi…”

Lui continuò come se lei non l’avesse mai interrotto.

“Ora capisco…” Strawberry si irrigidì nel suo abbraccio, perché non c’era fraintendimento al proposito del ragazzo, “…quanto lo ami.”

La ragazza provò a scuotere la testa, provò a negare le sue parole, ma non ci riuscì. Non riuscì a negare quella che era stata la verità per quello che pareva un tempo così lungo…

“Mark…”

“E lui ama te.”

“Ma… Io-Io ti amo ancora.” Anche mentre lo diceva, però, il suo respiro si stava rilassando. In qualche modo, qualcosa sembrava essere diventato più facile dopo le parole del ragazzo, il suo intento, fissato nella mente di lei. Ancora disperata per il passato, lottò contro questo. “Io ti amo—”

“Ti proteggerà, Strawberry. E ti amerà tanto quanto me. Lo so.”

Quanto lui… di più

Ma come poteva lasciarla andare così facilmente? Come poteva averlo accettato con tanta prontezza, quando a lei ci erano volute giorni di agonia per capire quanto quell’alieno la amava? Perché era così pronto a lasciarla tra le braccia di un altro?

Per sopire il suo stupore, la ragazza si ritrovò ad annuire quasi impercettibilmente, rendendosi conto di due cose:

La prima, che Mark era più saggio di lei.

La seconda, che aveva fatto la sua scelta.

Non appena Mark ebbe terminato la sua frase, Strawberry si trovò persa nei ricordi di tutto quello che era accaduto, tutti quei teneri baci, quei caldi abbracci, quelle dolci carezze, quei momenti che non aveva mai pensato possibili, eppure di cui aveva goduto ogni istante…

Ed ecco tutto. Era fatta.

“Mi dispiace… Mark…” Ovviamente, il resto non era semplice. Almeno, non per lei.

Il ragazzo accolse questo con il suo persistente sorriso.

“Finché la tua felicità è al sicuro, Strawberry, non hai niente di cui scusarti.” Non stava rendendo le cose più semplici, con la sua dolcezza, e lei sentì il labbro tremarle. Di nuovo, il ragazzo continuò.

“E so che questo assicurerà la tua felicità.”

Poi fece qualcos’altro che la sorprese totalmente:

Guardò in alto, dietro di lei, tra gli alberi che circondavano il campo, e chiamò.

“Posso fidarmi di te, vero?”

“Certo.”

Strawberry non ebbe bisogno di voltarsi per sapere che Ghish si trovava poco distante da lei, con un’espressione immensurabilmente seria, lo sguardo nei suoi occhi era pi che abbastanza per rispondere alla domanda di Mark.

In qualche modo, non riuscì nemmeno a dubitare del fatto che fosse lì, o del fatto che Mark lo stesse guardando, gli stesse parlando, con un livello di fiducia senza precedenti. Sembrava così… così atteso.

Così giusto..

Il ragazzo tornò a guardare lei, con gli occhi dolci, gentili, come quelli di un cervo.

“Allora questo è un addio, Strawberry.”

Il suono del suo nome(*), accompagnato da un dolce bacio sulla fronte, l’ultimo, chiuse la cosa.

In pochi istanti, mentre lei se ne stava lì, ancora prigioniera dello stupore, anche se la sua mente aveva inconsciamente accettato la decisione, lui l’aveva liberate dalle sue braccia, si era voltato, sempre con grazia, sempre sicuro di sé in quei movimenti, ed aveva cominciato ad andarsene.

Strawberry non lo richiamò. Non lo inseguì.

Non poteva.

Non gli apparteneva più.

Era fatta, fatta per sempre e in eterno, e lui non era più suo.

La mente della ragazza processò questa situazione, cercò di acclimatarvisi, cercò di rassicurarsi, che andava tutto bene, che le cose andavano bene, che quella era la decisione e che i problemi erano finiti, ma era davvero impossibile.

Con un nuovo singhiozzo, Strawberry Cadde sulle ginocchia…

…e subito sentì un altro paio di braccia intorno a lei.

Improvvisamente, non richieste, il ricordo delle parole del Cavaliere Blu la assalì: Prendila, proteggila.

Si voltò, gettandosi letteralmente sul petto di Ghish, le braccia si avvolsero intorno a lui dimentiche della sua ferita che stava ancora guarendo, la sua stretta forte come la sua angoscia.

All’alieno non sembrò importare. Non sussultò nemmeno.

Lasciò che la ragazza si posasse contro di lui, cullandola lentamente aventi e indietro mentre lei singhiozzava, boccheggiava, piangeva nella sua giacca. Un momento più tardi lei lo sentì posare una guancia sulla sua testa mentre anche la sua presa si stringeva, diventando caldamente accogliente, in un modo che la fece smettere di singhiozzare abbastanza a lungo da sentire quelle parole terribilmente familiari:

Nen nen kororiyo okororiyo, boyawa yoikoda nenneshina.”

Quel primo verso fermò le sue lacrime, e lei si appoggiò al suo petto caldo, silenziosamente ipnotizzata dal suono della sua voce.

Boyano komoriwa dokoe it ta, anoyama koete satoe it ta.”

Con l’orecchio premuto contro la sua giacca, poteva sentire la parole vibrare nel suo petto, seguendo il ritmo del cuore, del suo stesso cuore, profondo e melodioso, tenero e miracolosamente forte. Poteva sentire la canzone nella sua gola, nel suo petto, nelle sue braccia, nelle sue mani aggraziate, nel suo intero essere, scorrere lentamente dentro di lei, calmandola completamente.

Bellissimo.

Era davvero così bello, il modo in cui l’aveva calmata, in cui aveva magicamente asciugato le lacrime, aveva fermato il suo tremore, l’aveva confortata…

Dio… proprio come avevano confortato lui pochi giorni prima...

Sato no miyage ni nani morata, denden taikoni sho no fue. Sho no fue.”

Quando le ultime parole raggiunsero l’aria nebbiosa, Strawberry era così profondamente concentrate sui dolci toni della sua voce, sulla sensazione di ognuna delle sue dita che premevano contro di lei con un conforto così intenso, sulla pressione, rassicurante e totalmente gentile, del suo mento posato sulla sua testa, che l’aveva calmata fino a farla totalmente acquietare.

Quanto fosse durato quel silenzio, nessuno dei due lo poté davvero dire. Erano troppo assorti nella percezione dell’altro per contare i secondi prima che Strawberry, ancora immobile, ancora intenta a sentire quel bel calore, parlasse.

“Ti amo.”

Ghish non ripeté l’affermazione.

Lei non sentì niente da parte sua, nessuna parola, nessuna ripetizione dell’affermazione.

Invece, sentì le sue braccia stringersi intorno a lei, così velocemente, così intensamente, che non riusciva a respirare, e sapeva che nei giorni a venire, avrebbe visto dei lividi sulle sue braccia.

Sentì la pressione sulla testa aumentare con una forza impressionante, e in qualche modo sapeva che la stava abbracciando, violento e appassionato, vero e sincere e così pieno d’amore che faceva male, un dolore buono, benedetto, così che si trovò incapace di cominciare di nuovo a piangere. She felt the pressure against the top of her head increase with startling force, and somehow she knew that he was embracing her, fierce and impassioned, true and sincere and so full of love that it hurt, a good, blessed sort of hurt, so that she found herself unable to start crying again.

La realizzazione che lui fosse così emotivo, così tanto innamorato che gli mancavano le parole, che riusciva ad esprimersi soltanto stringendola così forte da farle male, da portare via il rimpianto, l’orribile tristezza a velocità incredibile e definitivamente.

Di nuovo, il tempo scomparve.

E per il momento non importava.

Non importava che si stesse facendo giorno e che dovessero ritornare a casa.

Non importava che Strawberry, un giorno, avrebbe dovuto spiegarlo ai suoi genitori.                                  

E non importava che presto avrebbero dovuto affrontare di nuovo Ryan, insieme a Mina e Pam.

Non importava che, in qualche modo, avrebbero dovuto affrontare Pai e Tart.

Dio, non importava nemmeno, nemmeno un po’, che un giorno, presto, avrebbero dovuto affrontare Profondo Blu in persona.

Non importava niente, mentre le ultime note della ninna nanna permanevano nell’aria carica di nebbia, finché quell’abbraccio, quelle sensazioni, quei ricordi restavano con loro.

Sia la ragazza umana che il ragazzo l’alieno sapevano che l’avrebbero fatto. L’avrebbero fatto.

Per sempre.

E loro sarebbero stati uniti dalla prospettiva un futuro brillante, sconosciuto, meraviglioso che si spianava di fronte a loro.

Un future che cominciò nell’istante in cui Ghish si risvegliò dalla loro trance, si risvegliò e prese teneramente il mento delicate di Ghish con la sua mano gentile, girò il suo volto  così lentamente, con una gentilezza così insopportabile mentre guardava i suoi occhi chiudersi, lasciando che i suoi facessero lo stesso e, con attenzione, con amore, premette le sue calde labbra contro le sue.

Con quel bacio, il future cominciò davvero.

E con quel bacio, seppero che non importava cosa avrebbero affrontato, sarebbero sopravvissuti, avrebbero vissuto, avrebbero prosperato, perché da quel momento, da quella fine e quell’inizio, da quell’immortale simbolo di affetto, l’uno aveva l’altro.

Per sempre.

Ed era tutto ciò che importava.

FINE

 

(*) nell’originale venivano utilizzati i cognomi dei personaggi. Nella traduzione, io ho sempre utilizzato i nomi, quindi concedetemi questa libertà che mi sono presa.

 

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