Healing di cruelfeline (/viewuser.php?uid=63884)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Note dell'autrice ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** I won't let you die ***
Capitolo 4: *** Prime cure ***
Capitolo 5: *** La quiete... ***
Capitolo 6: *** Solo finché non starà meglio ***
Capitolo 7: *** Cosa ho fatto? ***
Capitolo 8: *** verità rivelate ***
Capitolo 9: *** Mi dispiace ***
Capitolo 10: *** Non importa ***
Capitolo 11: *** Lo prometto ***
Capitolo 12: *** Note dell'autrice ***
Capitolo 13: *** Penso che.... ***
Capitolo 14: *** Aiuto ***
Capitolo 15: *** Medicina ***
Capitolo 16: *** Rimedi ***
Capitolo 17: *** Guai in arrivo ***
Capitolo 18: *** Due strade differenti ***
Capitolo 19: *** Grazie Ghish ***
Capitolo 20: *** Problemi all'orizzonte ***
Capitolo 21: *** Disavventure ***
Capitolo 22: *** Epilogo - Tutto ciò che importa ***
Capitolo 1 *** Note dell'autrice ***
Note
dell’autrice: Salve a tutti. Siccome ero un po’ a corto di ispirazione, sono
andata a cercarla su di un altro sito e mi è venuto in mente, leggendo la
fanfiction che ora vi proporrò, che magari potevo imbarcarmi in un percorso da
traduttrice.
Pubblicherò
qui di seguito il permesso accordatomi da cruelfeline ed il link della sua
storia (così, se qualcuno vorrà leggere la versione originale potrà farlo)
“Hey, I'm so glad you liked my story;
that's great to hear, and I'm happy my writing was nice to read :). You can go ahead and translate for
the website if you like; I don't mind. Just please give me credit for the
story, and it's all good. Thanks for reading
:D.”
http://www.fanfiction.net/s/2642469/1/Healing<_b>
Se
sarete così buoni da recensire, mi impegno a mandare i vostri commenti
direttamente all’autrice, sempre se lo vorrete e se vi fiderete di
me.
Spero
che vi possa piacere come è piaciuta a me, sempre che riesca a fare una
traduzione abbastanza buona.
Bacioni
Bebbe5
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Capitolo 2 *** Capitolo 1 ***
CAPITOLO
1
Il
soffice rumore del vento invernale si mischiava al regolare graffiare della
penna sul foglio, mentre Strawberry lavorava sui suoi compiti, il volto
contratto in una smorfia di concentrazione. Rilesse nuovamente l’equazione: y x/25 +
43/(5x+1).
“Pensa...
pensa... pensa... OH, MA CHI SE NE FREGA?” (e chi sei, Winnie the Pooh? ndme )
Si appoggiò allo schienale della sedia con un lieve sospiro.
Non
c’era alcun senso nello scrivere y,
almeno non quando i recenti eventi bruciavano così vivamente nella sua testa:
‘Mark.... grazie al cielo....’ Stava bene. Dopo tutto quello che era accaduto,
dopo quel terrificante scontro, quel momento di puro terrore quando quel
proiettile di Acqua Mew... non riusciva a ripensarci senza rabbrividire. La cosa
più importante era che lui stava bene, loro stavano bene, anche dopo la sua
ingarbugliata confessione.
Quei
pochi secondi, quei piccoli momenti cruciali da cui era stata tanto tormentata,
erano passati. Lui sapeva tutto ed il mondo non era caduto nell’oblio. Il suo
cuore non si era spezzato in due. Tutto era meraviglioso.
Allora
perché non c’era pace in lei?
Ghish….
Ogni
volta che chiudeva gli occhi, il volto tormentato dell’alieno l’assaliva.
Non poteva dimenticare la visione del suo corpo esanime che si accasciava contro
di lei, la sensazione di quella disperata pressione sul suo braccio, prima che
lui crollasse del tutto.
Più
di tutto non poteva bloccare il suono di quella voce implorante nella sua
testa.
Quando
era collassato, e anche prima di quello, prima della loro battaglia, la sua voce
la pregava di seguirlo, di capire…..
Di
capire cosa? Che cosa avrebbe potuto capire lei, se non che la sua casa, il suo
mondo, sarebbero stati distrutti se lei fosse andata con
lui?
Quale
altra verità ci poteva essere, se non che le Mew Mew stavano proteggendo il
mondo, mentre gli alieni lo volevano annientare?
Se
era tutto qui, allora perché non riusciva a dimenticare?
Perché
non si poteva trattenere dal mordersi le labbra e dal chiedersi se lui stava
bene?
“Questo
è…” Stupido. Voleva dire che era stupido, preoccuparsi del suo nemico, di Ghish
tra tutti, l’infuriato ragazzo che non avrebbe accettato un “no” come risposta,
che non l’avrebbe lasciata in pace, anche se era evidente che lei amava
Aoyama-kun.
Quando
disperatamente lo voleva dire! Avrebbe dato nuova forza a tutto: alla sua
fiducia di essere una Mew Mew, al suo amore per Mark, a tutti gli scopi che
aveva avuto negli ultimi mesi, eppure, ogni volta che quasi ci riusciva, vedeva
la sua faccia, sentiva l’odore del suo sangue. Aveva sentito la voce sicura di
Lory: “Sembra che anche queste persone
abbiano dei sentimenti.”
Se
loro avevano dei sentimenti… se
quelle persone provavano i loro stessi sentimenti… allora Pai… Tart…
Ghish…
Avrebbe
continuato a guardare il bianco muro vuoto di fronte a lei, se una dolcissima
palla di pelo rosa non le fosse passata davanti interrompendo i suoi pensieri.
Mash svolazzava di fronte a lei, ballonzolando freneticamente su e giù, mentre
squittiva nervosamente il suo ormai troppo familiare
allarme.
“Strawberry!
Alieno! Alieno!”
Alieno,
potrebbe essere…?
La
finestra… doveva aprire la finestra. Perché l’avrebbe dovuta aprire, quando
fuori era freddo e stava nevicando, non lo sapeva
esattamente.
Mentre
gli acuti avvertimenti di Mash salivano di volume, lei sapeva che il prossimo
passo era aprire la finestra.
Con
le dita tremanti per l'eccitazione dell'inconscio, Strawberry aprì la finestra e
scrutò la furia della tempesta che continuava ad aumentare. Il suo sguardo
incontrò unicamente il costante vorticare dei fiocchi di neve. Le accarezzarono
il volto con il loro tocco freddo e leggero, mentre lei squadrava l’oscurità,
con la fronte leggermente aggrottata, mentre Mash continuava a gironzolarle
intorno. I suoi nervi erano tesi per la paura, ma lei non riusciva a muoversi
dal suo posto, anche se da lì era molto vulnerabile. Non poteva trattenersi dal
guardare la tempesta di neve.
“Mash,
dov’è…”
Terminò
la frase con un fievolissimo squittio, mentre sentiva delle dita gelate
afferrarle il mento e farle girare la testa verso il vento gelido, verso un paio
di occhi dorati, che lei avrebbe desiderato non conoscere così
bene.
Il
suo primo pensiero coerente al sentire quelle unghie premute contro la sua pelle
fu di notare quanto erano fredde e come tremavano
debolmente.
Il
suo secondo fu di vedere che i suoi occhi non erano gli stessi di sempre. Non
avrebbe saputo darne una definizione, solo dire che in quel momento erano
diversi.
Che
lo fossero o meno, quelle orbite
sostennero le sue come facevano sempre, mentre le sue labbra (sono screpolate, pensò lei, troppo screpolate) erano spezzate nel
suo solito sorrisetto. Diverso anche
quello. Qualcosa…qualcosa non va.
“Ciao
gattina”.
Note
dell’autrice: allora, che ve ne pare come inizio? Spero che vada abbastanza
bene. Se dunque volete che i vostri commenti vadano all’autrice vera e propria,
fatemelo sapere ok?
Ciao
ciao
Bebbe5
|
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Capitolo 3 *** I won't let you die ***
Note
dell’autrice: Ciao a tutti. Eccomi qua con il secondo capitolo. Ci tengo a
precisare che questa storia non è mia ma di un’autrice straniera, il cui nome è
quello dell’account.
Ho
visto comunque che ha riscosso un certo successo e ne sono contenta perché, a
mio parere, è una storia molto bella.
Ora
che la sto traducendo poi, la sto capendo più a fondo, di quanto abbia fatto
mentre la leggevo nella lingua originale.
Comunque,
anche qui non può mancare:
L’ANGOLO
DELLE RECENSIONI:
X
CAOMEI: Scusa se non ti ho ringraziato nel capitolo precedente, ma il fatto è
che li ho postati così in fretta, uno dietro l’altro, che non mi è venuto in
mente di controllare le recensioni. Grazie 1000 e spero che la tua curiosità
venga appagata.
X
BILU_EMO: Grazie per i complimenti, ne ho veramente bisogno. Fare una traduzione
è più difficile di quanto sembri, perché devo cercare di riportare l’esatto
significato che l’autrice voleva dare a determinati punti e spesso non torna un
granché. Spero che continui a seguirla e che ti possa
soddisfare.
X
ROBERTINA92: Beh, spero di non aver tardato troppo. Comunque, come ho detto
nell’introduzione, la storia non è mia (vorrei che lo fosse). Spero che possa
continuare a piacerti, sempre che la mia traduzione sia
corrette.
X
YURI5: Davvero hai ripreso a scrivere? Allora spero di leggere presto uno dei
tuoi lavori. Ci tengo.
X
ANY IKISY: Wow, ti è addirittura tornata la passione? Sarà contenta
cruelfeline.
Spero
che continuerai a seguirla e che la tua passione per questo fantastico
personaggio non sparisca mai.
Bene,
dopo questo piccolo intermezzo passiamo al capitolo ok?
Buona
lettura
Capitolo 2
Come spesso
accadeva quando aveva un incontro ravvicinato con Ghish, la mente di Strawberry
si svuotò momentaneamente.
Tutti i pensieri
volarono via, tutto, da cosa aveva mangiato a cena la sera prima a, e questo non
poteva ammetterlo, specialmente con sé stessa, il suo amore per
Mark.
Sparì tutto nelle
braccia dell’oblio, quando quello sguardo dorato, così penetrante, così
spaventosamente intenso, si fissò su di lei. Di solito, dopo questa eliminazione
dei pensieri, la prima idea per cercare di riportarli con esitazione alla luce
comprendeva qualcosa del tipo “Stai
lontano da me fanatico pervertito!”
Mentre gli
ingranaggi del suo cervello riprendevano lentamente a girare, Strawberry capì
che quel giorno era diverso.
“Sembra diverso. Ha ancora il suo sorrisetto,
ma qualcosa non va, qualcosa manca, qualcosa non va…”
Dopo una rapida
occhiata lanciata al corpo dell’alieno, lei trattenne bruscamente il respiro, ma
non nello stesso modo imbarazzato, causato di solito dalla comparsa dell’alieno,
bensì con orripilata sorpresa.
La maglietta era
strappata dalla parte sinistra, dal colletto fino al petto; tra i due bordi lacerati, poteva vedere
il tremendo squarcio rosso di quella spaventosa ferita profonda che, lei sapeva,
aveva guadagnato durante la recente battaglia contro il Cavaliere
Blu.
“Sono già passate
alcune settimane, no? Allora perché non si è…?”
Il verde scuro dei
suoi capelli era illuminato da un sottile strato di ghiaccio e neve le ciocche
di capelli, legate nei tipici codini erano irrigidite dal
gelo.
Poteva vedere il
ghiaccio sulle lunghe ciglia di lui.
Improvvisamente, si
rese conto che il lieve tremore delle sue dita era solamente una conseguenza dei
brividi che gli stavano tormentando il corpo.
Improvvisamente,
vide che la sua pelle era più pallida del normale.
Si accorse che il
suo respiro che si era stranamente arrestato, che la sua stessa presa sul suo
mento non erano neanche la metà, di come erano di solito.
Tutto questo lo
capì in un battito di ciglia, prima che riuscisse a muoversi di nuovo: arretrò
liberandosi con uno strattone, con gli occhi sbarrati e la mano che andava
istintivamente ad afferrare la spilla per la trasformazione, prima che si
fermasse a metà strada.
“Cosa…. Cosa stai
facendo qui Ghish?” cominciò, con la voce più dolce, rispetto al solito urlo di
accusa con cui lei reagiva di solito. Le sue mani erano sospese sulla spilla;
inghiottì cautamente, prima di continuare: “ Perché non sei con
Pai?
E Tart? Non… non
dovresti..”
La sua voce si
rifiutava di servirla. Si morse le labbra, mentre pensieri contrastanti le
giravano nella testa. Come avrebbe voluto che fosse tutto come al solito; come
avrebbe voluto trasformarsi e costringerlo ad andarsene da lei, con le solite
urla e le solite dichiarazioni di fedeltà nei confronti di Mark. Avrebbe persino
voluto udire le possessive risposte di Ghish, persino le sue richieste
ricattatrici per lei, qualsiasi cosa che facesse diventare la situazione
normale.
Mentre l’alieno si
posava lentamente sul balconcino, mentre i suoi occhi continuavano a fissare la
ragazza che continuava ad arretrare, lei si accorse che i suoi desideri erano
futili.
Erano stati
completamente cancellati dal modo in cui lui si appoggiava al davanzale della
finestra, dal modo in cui una spaventosa disperazione leniva i suoi occhi, dalla
voce di Lory che la rimproverava dolcemente, guidandola verso il pensiero: “E’ ferito”
“Non mi prenderanno
gattina. Strawberry…”
Alla ragazza venne
improvvisamente che lui sarebbe potuto entrare comodamente dalla finestra; si
allontanò per lasciargli tutto lo spazio di cui avrebbe avuto
bisogno.
Questa idea si
impossessò della sua mente, le sue dita accarezzarono la spilla, mentre la paura
prendeva il comando, solo per venir meno velocemente, quando lei si accorse, con
un’ondata di un orrore diverso, che lui non aveva la forza di sollevarsi oltre
il bordo della finestra.
“Ghish…” l’alieno
la interruppe bruscamente, con solo un’ombra del suo tipico sorrisetto a
sollevargli le labbra, mormorò: “Non lo faranno. Profondo
Bl…”
Con gli occhi
perennemente sbarrati, le mani tremanti, Strawberry lo vide tossire
violentemente, vide delle gocce scarlatte decorare la neve sul
davanzale.
“Profondo Blu?”
pensò agitatissima
“Profondo Blu ha… Può aver
fatto….?”
I suoi pensieri
fluivano in frammenti pieni di panico, ma infine riuscì ad arrivare alla sua
conclusione: poteva Profondo Blu averlo bandito? Strawberry non sapeva quasi
nulla riguardo a quel misterioso essere che gli alieni sembravano seguire ma,
considerando il rispetto con cui parlavano di lui, sembrava che fosse
perfettamente capace di ordinare una cosa del genere. Se l’aveva fatto, se Pai e
Tart stavano obbedendo, allora questo significava…..
“L’hai capito,
Strawberry.” Sussurrò lui oltre le pungenti folate di vento, così dolcemente,
così supplichevolmente, che la ragazza udì appena l’ultima sillaba uscire dalle
sue labbra, prima che le ginocchia gli cedessero, che i suoi occhi si
chiudessero di colpo, e che lui collassasse a terra.
La sua caduta
sembrò durare un’eternità, o almeno questo sembrò a Strawberry, mentre guardava
il suo corpo esanime. I suoi occhi seguirono la sua eterna discesa, lo fissavano
in uno stato di shock paralizzante,
esattamente come quello dell’ultima volta quando lei, così presa
dall’incredulità, l’aveva lasciato scivolare via dalla sua
presa.
Improvvisamente
quel momento le esplose vivido e forte nella mente attonita. Ed i momenti
successivi scorsero ad una velocità tale che non sarebbe più riuscita a
figurarsela. Inconsciamente, si ritrovò a piegarsi per metà fuori dalla
finestra, le sue braccia circondarono la vita dell’alieno, nel chiaro intento di
impedirgli di colpire il pavimento del balconcino.
Un secondo più
tardi era riuscita in qualche modo ad issarsi e ad uscire fuori, sorreggendo
sempre il corpo senza sensi di Ghish (Ed ecco a voi Wonderful woman
ndBebbe5).
Si inginocchiò
davanti a lui e, mentre il corpo dell’alieno le cadeva addosso, la sua testa si
appoggiava sulla spalla di lei, la ragazza si accorse dov’era e cosa stava
facendo. Più tardi, si sarebbe chiesta cosa l’aveva trattenuta dal lasciare
cadere il corpo di lui lì senza pensarci due volte.
“Che sto facendo?”
si chiese a voce bassissima, irrigidendosi quando un soffio di gelido vento le
arrivò in risposta. Cosa stava facendo, esattamente? Abbassò lo sguardo sul suo
nemico svenuto, osservandolo attentamente. Si morse le labbra con disperazione;
per farla breve era ferito gravemente e quasi congelato.
“Non lo posso
lasciare così, no?”
Di nuovo, il
ricordo di quella battaglia, di lui che la risvegliava, delle sue suppliche le
riempì la mente. Strawberry respirò profondamente, mentre la sua decisione si
rafforzava. Non l’avrebbe lasciato, non così.
“Non posso, non
quando è in questo stato”
La sua bocca
assunse un’espressione determinata, lei si chinò ancora di più, riversando Ghish
sulla schiena e tra le sue braccia, con quanta più cura
possibile.
Temprandosi per
quella che sarebbe stata un’ardua impresa, cominciò a sollevarlo, solo per
rendersi conto di quanto leggero fosse.
Lentamente,
cautamente, si riarrampicò nella sua stanza, aprendo completamente la finestra
con la sua schiena, prima di farci passare l’alieno
attraverso.
Il silenzio fu
presto interrotto dal sospiro di sollievo di Strawberry, mentre scavalcava con
una gamba il davanzale.
“E
adesso?” si chiese,
passando in rassegna la sua stanza e lasciando infine cadere il suo sguardo sul
letto. Ad un momento di esitazione rispose con un: “E’ tutto quello che c’è” mentre attraversava la
stanza.
Lo stese
cautamente, sempre pensando alla grossa ferita che, se ne accorse con orrore,
stava appunto sanguinando.”Si deve essere
riaperta..”
Strawberry andò a
chiudere la finestra, poi tornò da Ghish che giaceva bocconi, osservandolo molto
attentamente. Mentre lo faceva delle lacrime non richieste, non volute, ma
inevitabili, le riempirono gli occhi.
Era così abituata a
vederlo malizioso, vivace, crudele, rapido e scaltro, che era stata scioccata
dal modo in cui era caduto diverse notti prima, dopo la distruzione del chimero
dei sogni. Ora, nel vedere i bordi scoperti di quella ferita non guarita, i
numerosi lividi che il Cavaliere Blu gli doveva aver lasciato, il vedere il modo
in cui il suo corpo, che giaceva privo di sensi, continuava a tremare per il
freddo (Per quanto è rimasto là fuori?),
chinò la testa, in una sorta di vergogna che non riusciva a spiegarsi, ma
che sapeva di meritarsi in qualche modo.
Non comprendeva
quel nuovo sentimento, quella non voluta serie di dichiarazione sulla guerra da
parte di Lory. Non voleva quelle complicazioni, quei suggerimenti. Voleva solo
una divisione tra amici e nemici, ma mentre guardava il ragazzo davanti a lei,
che una tale situazione le era giunta tra le braccia, da quando Mash aveva
rivelato la presenza di Ghish. Ora, mentre scostava dolcemente con una mano le
ciocche di capelli congelati dai suoi occhi, Strawberry prese una silenziosa
decisione.
“Non ti lascerò
morire”.
FINE DEL
CAPITOLO.
Mhm,
la storia comincia a prendere forma eh? Ben, spero che vi sia piaciuto.
Una
cosa che non ho detto: se vi serve un po’ di ispirazione sul rapporto tra Ghish
e Strawberry e siete stufi di cercarlo nell’anime, vi voglio consigliare un
bellissimo film, in cui c’è una situazione simile: Labyrinth, con Jennifer
Connelly e David Bowie.
E’
veramente bello, anche se può sembrare da bambini, specialmente le scene
finali.
Ok,
grazie a coloro che hanno letto e che continueranno a farlo e grazie a MewKimiko
che ha messo la storia tra i preferiti.
A
presto
Bacioni
Bebbe5
|
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Capitolo 4 *** Prime cure ***
Nota
dell’autrice: Non sapete quanto grande sia stato il mio piacere nel vedere che,
solo poche ore dopo, avevate recensito tutte. Mi sono commossa, siete veramente
rapidissime. Beh, spero di essere all’altezza della vostra attenzione.
Intanto:
ANGOLO
DELLE RECENSIONI:
X
CAOMEI: Tranquilla, ogni tanto mando una mail all’autrice per informarla
sull’andamento della storia su sua richiesta, quindi non mancherò di farglielo
sapere.
Per
quanto riguarda Labyrinth, beh, in fondo al film Jareth dice qualcosa del tipo
“Volevi che il bambino sparisse, ed io l’ho portato via; avevi paura ed io mi
sono reso ancora più terrificante, tutto questo l’ho fatto solo per te. Diventa
mia e sarò il tuo schiavo.”
Immaginando
che la dicesse con un tono leggermente diverso, da quello bugiardo che aveva nel
film, mi è subito venuto in mente Ghish, capito?
Ok,
fammi sapere se questo capitolo ti è piaciuto.
X
SHIRONEKO (ROBERTINA92): Non mancherò di farglieli, tranquilla. Sì, la storia
sta prendendo forma, ma ci sono ancora diversi colpi di scena: preparati a
tutto.
X
BILU_EMO: Beh, sì, l’inglese mi piace moltissimo e devo ammettere di cavarmela.
Comunque mi faresti un piacere se mi indicassi le parole mancate, perché non
riesco a capire a cosa ti riferisci. Può anche darsi che, in quei punti, io
abbia fatto una traduzione più libera ed è per questo che mancano delle
parole.
Ti
chiedo di perdonarmi per questo, ma sono una classicista e spesso mi capita di
tradurre liberamente delle versioni.
Fammi
sapere che ne pensi di questo, ci tengo.
X
YURI5: Mi sono sbrigata abbastanza? Ti devo confessare che, nei periodi di
blocco, mi butto su questa, per vedere se mi dà un po’ di
ispirazione.
Spero
che quest’ultimo ti piaccia.
Capitolo 3
Prima di tutto,
Strawberry mormorò una breve preghiera di ringraziamento, rivolta a qualsiasi
dio la stesse ascoltando: i suoi genitori, infatti, se n’erano andati per una
crociera per due, che sarebbe durata una settimana. Questa straordinaria
coincidenza era veramente una manna dal cielo: cosa diavolo avrebbe fatto se i
suoi fossero stati in casa? L’ultima cosa di cui aveva bisogno era suo padre che
scopriva un ragazzo alieno, vestito abbastanza curiosamente e sanguinate,
disteso sul suo letto.
Poi, uscì
rapidamente dalla stanza, corse lungo il corto pianerottolo e regolò il
termostato ad un paio di gradi in più rispetto alla normale temperatura nella
sua stanza.
Fatto questo, tornò
indietro, fermandosi lungo la strada, per prendere un paio di coperte
dall’armadio dell’ingresso. Quando rientrò, sospirò frustrata, rendendosi conto
che avrebbe avuto bisogno di più cose. Non si poteva ignorare lo squarcio che
andava dalla spalla al petto. Circa un minuto più tardi, tornò un’altra volta
nella stanza, con tutto il disinfettante e le bende che era riuscita a trovare,
fece un altro viaggietto veloce e tornò con una bacinella d’acqua calda, che
posizionò accanto al letto.
Fatto questo,
inspirò profondamente, rendendosi conto troppo rapidamente di quello che avrebbe
dovuto fare. Scaldarlo era un dovere, ma lasciare la ferita com’era non avrebbe
portato a nulla di buono, e sarebbe stato più semplice medicarla se lui non
fosse stato imbacuccato. Inoltre doveva toglierli la maglietta: comunque era
così sdrucita ed insanguinata, che la ragazza aveva i suoi dubbi su qualche
possibile rimpianto. I suoi calzoncini…..
un improvviso rossore sulle sue guance pose fine ad ogni possibile idea
riguardante quelli.
Toccò con cautela
ciò che rimaneva della sua maglietta a brandelli, pensando a come avrebbe potuto
toglierla, dato che muoverlo sarebbe stato troppo complicato e troppo
pericoloso. Prendendo un paio di forbici dal suo tavolo, allargò lo strappo,
tagliando la manica fino a che il braccio non fu libero, poi ripeté l’operazione
per l’altro braccio.
Dopo aver finito,
Strawberry osservò il suo paziente, con un rosso pesca che cominciò a colorarle
leggermente le guance: in un qualche recondito angolino della sua mente, si
ritrovò a pensare, che se non fosse stato in quelle brutte condizioni, Ghish
sarebbe anche potuto essere……
Il nauseante
contrasto del sangue rosso sulla sua pelle mortalmente pallida risparmiò
Strawberry dal proseguire con quel pensiero.
Deglutendo
nervosamente, ma, allo stesso tempo, assumendo un’espressione determinata, si
chinò sulla ferita, strizzando un piccolo asciugamano che aveva tuffato
nell’acqua tiepida e, con quanta più delicatezza possibile, lo passò sulla pelle
che circondava la ferita, ripulendola dal sangue, sia secco, che fresco, prima
di risciacquare il panno e di temprarsi per il poco piacevole passo successivo:
usare il disinfettante. La sua esperienza di bambina le ricordò che quella roba
bruciava un sacco ed il pensiero di utilizzarla su una tale ferita la faceva
sentire male.
“Ok…. Solo un
pochino” si sussurrò, mentre bagnava un secondo panno con il liquido irritante,
sperando che la sua voce la aiutasse a fermare il tremolio delle sue mani. Non
era una dottoressa e lo sapeva bene. Ma
che altro posso fare? Chiamare l’ospedale era fuori questione, quindi, alla
ragazza, non restava che affidarsi alle sue risorse. Mentre si accingeva a
passare il panno sui bordi della pelle lacerata, pregò che questo fosse
abbastanza.
Sfortunatamente, la
peggior cosa che poteva capitare, accadde proprio in quel momento: Ghish emise
un leggero uggiolio di dolore, gli occhi si aprirono di colpo per lo sgradevole
contatto, allontanandosi con uno strattone da lei, sollevando per metà il suo
corpo tremante, prima di fissare con occhi sbarrati, ma semi coscienti, la
ragazza sorpresa, di fronte a lui.
Per un momento
nessuno dei due parlò. La mente di Ghish, che funzionava a malapena, poteva fare
poco per spiegargli perché Momomiya Strawberry sedeva davanti a lui, con un’aria
di preoccupazione che lui non aveva mai visto prima, impressa nei suoi
lineamenti. Strawberry ricambiò lo sguardo, con la bocca semi-aperta,
chiaramente insicura su cosa dire, senza nemmeno sapere se lui l’aveva sentita,
tanto era intontito il suo sguardo. L’immobilità si ruppe quando le ultime forze
che aveva nelle braccia svanirono, Strawberry urlò flebilmente “Ghish” , prima
di riafferrarlo, riappoggiandolo dolcemente al cuscino.
Gli occhi di lui
riuscirono a mettere a fuoco la faccia della ragazza, che si stupì moltissimo
quando l’alieno sorrise debolmente.
“Alla fine sono
morto?” sussurrò lui, con la voce debole e raschiante. Strawberry mandò via
quelle lacrime persistenti, scuotendo rapidamente la
testa.
“No, no Ghish tu…”
non riuscì a finire la frase, tanto era agitata. Vederlo in quello stato, senza
tutto ciò che lo caratterizzava nella sua mente come Ghish… si paralizzò
nuovamente come pochi attimi prima. Conficcando le sue unghie nelle cosce e
mettendo su quello che sperava fosse un sorriso confortante, raccolse tutta la
sua risolutezza:
“Sei nella mia
stanza”
Invece della solita
rispostina maligna e pervertita, come si aspettava, lui rispose semplicemente:
“Oh” respirò tremando per alcune volte, prima di aggiungere, quasi fosse un
ripensamento: “ La mia spalla… fa male… ed è freddo.”
Strawberry si
ritrovò ad annuire con più energia del necessario.
“Lo- lo so. Devo
ripulire il taglio ok? Poi ti riscalderò. Ok Ghish?” Perché si disturbava a
chiedere il suo permesso, non lo sapeva: era ovviamente in stato di
semi-coscienza, e la parte sveglia della sua mente, era per lo più catturata
dalla sensazione di freddo e dolore. Comunque, Strawberry mantenne uno sguardo
fermo su di lui, mentre continuava a pulire lo squarcio. Per fortuna lo fece
perché, quando lui gridò e cercò di allontanarsi, riuscì rapidamente a
trattenerlo. Con una voce debolissima, che lei non avrebbe mai creduto di
risentire dalla sua bocca, che sperava di non risentire più, boccheggiò: “Fa
male.”
Di nuovo, un cenno
d’assenso, ma anche una rapida carezza sulla fronte.
“Lo so, ma devi
restare fermo. Presto sarà tutto finito.” Mormorò dolcemente, chiedendosi
nuovamente se le sue parole riuscivano a raggiungerlo. Con gli occhi le
scintillavano di lacrime di compassione, si sbrigò a terminare la pulitura,
trattenendo fermamente con un braccio l’alieno, mentre sibilava e faceva smorfie
dal dolore.
Mentre metteva da
parte il panno e prendeva le bende, la ragazza si accorse con una fitta di
agonizzante disperazione, che lui aveva perso nuovamente i sensi: il dolore
l’aveva riportato nell’oscurità. In silenzio avvolse le bende intorno alla sua
spalla e al petto, legandole con cura, dopo essersi assicurata di averle messe
belle strette in modo da evitare ulteriori perdite di
sangue.
Fatto questo, gli
mise addosso le lenzuola, lisciandole delicatamente e sistemandole in modo da
essere sicura che lui fosse completamente coperto.
Ghish non aveva
smesso di tremare, e lei si accorse che probabilmente la sua temperatura
corporea era scesa molto al di sotto del normale. Doveva dunque prendere un
termometro e controllarla. Un secondo più tardi, si rese conto di non avere idea
di quale fosse la temperatura normale per un alieno e, anche se l’avesse saputo,
non avrebbe certo potuto lasciare la stanza.
C’era qualcosa
nella sua voce, nel suo sguardo sfocato nella sua debolezza, che la inquietava
moltissimo:
“Lui non… loro
non…. Non è possibile che stia succedendo questo.”
Sì, invece.
Nonostante tutto quello che desiderava, questo stava succedendo e nonostante
continuasse a ripetersi che lui era solo un nemico, che era il crudele,
diabolico Ghish, non riuscì ad spostargli alcune ciocche dalla
faccia.
Non importava
quanto la voce della logica continuasse ad insistere, perché lei non riusciva a
muoversi dal letto.
FINE DEL
CAPITOLO
Allora,
che ne dite? Scusate se ci ho messo un po’, ma la scuola è ripartita in quarta e
non posso permettermi di vacillare neanche per un momento: a settembre mi
aspetta la costa Smeralda, quindi non posso venir mandata a
settembre.
Ok,
a prestissimo, I promise
Bebbe5
|
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Capitolo 5 *** La quiete... ***
Note
dell’autrice: Eccomi di nuovo qua. Spero di non avervi fatto attendere troppo,
ma ho preferito dare la priorità assoluta all’altra fanfiction su Mew Mew che
ormai, sigh, ho quasi terminato. Ok, passiamo ora all’
ANGOLO
DELLE RECENSIONI:
SHIRONEKO:
Beh, sono contenta che l’unica cosa che tu possa dire non sia
negativa.
Spero
che questo capitolo ti piaccia.
AINYMIA:
Non ti preoccupare, la storia è già completata. Anche perché non è mia, ma di
un’autrice straniera. Io sono solo la traduttrice.
Spero
che continuerai a seguirla.
ANY
IKISY: Eccoti il nuovo capitolo. Spero che i tuoi sogni siano sempre bellissimi.
Lo so, anch’io me ne sono innamorata a prima lettura.
Spero
che continui a piacerti.
CAOMEI:
Non mancherò. Le mando una mail ogni tanto per aggiornarla sui progressi, quando
risponderà posterò la risposta (con traduzione ih ih).
Buona
lettura.
BILU_EMO:
Vai tranquilla, anch’io ho avuto dei problemi con il computer. Grazie per le tue
note e posso confermarti che i miei sono errori puramente di distrazione.
Grazie
perché me lo fai notare, non hai idea del piacere che mi faccia questa cosa,
perché vuol dire che sei molto attenta a quel che scrivo.
Grazie
E
ora si comincia
Capitolo
4
Secondo
l’orologio appeso al muro, erano le 11:46 quando Strawberry, che stava sonnecchiando un po’ sulla sedia della
sua scrivania, fu svegliata da un lieve gemito proveniente dal letto. I suoi
occhi, mezzi chiusi solo un istante prima, si focalizzarono immediatamente sulla
forma di Ghish che si stirava, mentre le sue orbite dorate si aprivano.
Immediatamente, un senso di intenso sollievo si impossessò di lei: solo
guardando gli occhi dell’alieno, poteva vedere che era pienamente cosciente.
Rilasciò
il respiro che non si era accorta di trattenere.
‘E’ sé stesso, sta bene, veramente, stavolta,
tutto andrà bene’
Il
Ghish di solo poche ore prima l’aveva angosciata più di quanto avrebbe mai
immaginato: solo il vederlo in quello stato aveva potuto farle apprezzare la
normalità.
Sfortunatamente,
il marchio comune di Ghish aveva la capacità unica di trasformare la sua
preoccupazione in imbarazzo ed irritazione.
Gli
occhi dell’alieno osservarono attentamente la stanza, mentre si appoggiava ad un
gomito, sussultando leggermente nell’azione, il suo sguardo cadde su di lei,
tornò a studiare la sua posizione prona sul letto, poi scattò nuovamente verso
di lei. Un sorriso, piccolo ma sornione, che gli scopriva i canini, gli sollevò
le labbra.
“Dunque
è così che tu giochi, eh micetta?” disse scherzosamente con una voce sempre
rauca e debole, ma tracciata da una certa giocosità insinuante che fecero
arrossire la ragazza e le strapparono un borbottio irato.
L’unica
cosa che la trattenne dal dargli un ben meritato schiaffo fu il pallore che
persisteva sulla sua carnagione.
‘Sta ancora male, anche se sta migliorando.
E’ comunque una buona cosa. Sì, molto buona, molto, molto
buona’
“Però
bisogna giocare duro per ottenerlo, no? Insomma, se questo è ciò che devo fare
per entrare nel tuo letto…”
Addio
auto-controllo. Salutatelo mentre se ne vola via dalla finestra, ragazzi e
ragazze.
“Razza
di pervertito!!” strillò lei “ Mi sto mettendo in un mucchio di guai per.. per..
ASCOLTAMI!”
Il
ragazzo stava ridacchiando per il suo scoppio improvviso, facendola solo
innervosire di più, mentre si sforzava di riprendere il controllo della
situazione.
Mentre
stava quasi per perdere nuovamente la calma, Strawberry fu riportata alla dura
serietà della situazione quando la risatina terminò in un sibilo di dolore da
parte di Ghish, dato che la ferita gli aveva ricordato la sua
presenza.
Strawberry
quasi non se ne accorse, assorta com’era in quel momento, ma uno spettatore
avrebbe visto la sua rabbia dissolversi con una rapidità sorprendente, lasciando
persino il posto ad una più intensa preoccupazione, mentre lei chiudeva la breve
distanza tra loro due, improvvisamente conscia che, pur con la sua stupidità
ritrovata, il giovane alieno aveva ancora una tremenda ferita. Lo stesso
pensiero sembrò attraversare la mente di Ghish, dal momento che il suo
sorrisetto era diventato mesto e lui si era, con cautela, sdraiato nuovamente.
Strawberry si sorprese quando lui parlò con una voce seria, tinta di… poteva
essere.. malinconia? Tristezza?
“Non
stavo mentendo, Strawberry.” In qualche modo, quando lui la chiamò con il suo
vero nome, invece che con il soprannome, la ragazza sentì uno strano miscuglio
di sensazioni. Questa volta però, dette la colpa a tutti gli angosciosi eventi
che avevano caratterizzato la situazione. L’alieno prese un respiro profondo, o
almeno profondo quanto poteva concederglielo quella ferita che si allungava sul
suo petto, mentre i suoi occhi si riempivano di un certo rimorso per l’azione
appena compiuta.
Prima
che potesse continuare, Strawberry lo interruppe con una vocina così bassa ed
esitante che le ricordò più la timida Lory che sé stessa. Se ci avesse fatto più
attenzione, si sarebbe accorta che quella era la voce che usava di solito con
Mark, nei momenti in cui il suo cuore batteva esageratamente e lei si trovava
concentratissima sulle sue mani.
“Potresti…
potresti stare qui.” Nonostante lei fosse stupita da quelle parole che le erano
uscite dalla bocca, Ghish sembrava ancora più scioccato. Come per provare a
scusarsi per la stupefacente affermazione, sbottò: “Solo finché non starai
meglio.”
Invece
del lascivo commento che si era aspettata (magari un prosieguo del precedente,
od un’osservazione riguardo le…discutibili possibilità di una sua reclusione),
Ghish rispose con il silenzio, mentre un sorrisetto sostituiva l’espressione
sulla sua faccia. Si rilassò sul cuscino.
Strawberry
si sedette nervosamente sulla sua sedia, dolorosamente conscia dell’imbarazzante
situazione. Gli aveva appena chiesto di restare. Di restare, non di andarsene.
Di restare come se… scosse la testa. Sì, quello era il punto. Azzardandosi a
guardare nuovamente il volto dell’alieno, si accorse che la stava ancora
fissando, e quel dannato rossore comparve nuovamente sulle sue guance. A quella
vista, Ghish fece un altro sorrisetto, la sua risatina spezzò il silenzio, ma
non si spinse oltre. Perché era troppo stanco (Sì, forse la discussione l’ha stancato un
po’, pensò lei) o, forse, per gentilezza? Potrebbe essere possibile…. Forse? Prima che potesse schiaffeggiarsi
mentalmente e ricordarsi che quello restava pur sempre Ghish, una parola
pronunciata lievemente, senza sarcasmo, immacolata da qualsiasi trucchetto o
insinuazione, tagliò gentilmente il silenzio:
“Grazie.”
Dopo
questo, lei immaginò che le sue forze fossero venute meno, perché l’alieno
chiuse gli occhi, il suo respiro si fece regolare, e Strawberry rimase a
contemplare, con gli occhi sbarrati per la confusione, le labbra tentate di
sollevarsi in un sorriso, il senso di quello che era appena accaduto, il senso
della selvaggia cavalcata che aveva appena sperimentato emotivamente e l’esatta
natura di ciò che era ricaduto su di lei.
Dopo
un paio di pensieri simili, si rese conto di quanto fossero futili. Tutto quello
che poté fare fu controllare le bende dell’alieno dormiente, respirare di
sollievo prima di lasciare la camera, per cambiarsi e lavarsi, e ritornare poi
con un sacco a pelo felpato.
Ritenendo
che la risposta non sarebbe arrivata magicamente, non importava quanto stesse
sveglia, stese il sacco a pelo sul pavimento, coricandocisi il più comodamente
possibile, e si addormentò prima che un qualsiasi altro pensiero le potesse
infastidire la mente.
FINE
DEL CAPITOLO
Vi
è piaciuto? Spero sinceramente di sì. E’ un capitolo un po’ di transizione,
credetemi i guai non sono nemmeno al loro albore.
A
presto
Bebbe5
|
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Capitolo 6 *** Solo finché non starà meglio ***
Note
dell’autrice: finalmente riesco ad aggiornare nuovamente questa fic, nell’attesa
di terminare anche l’altra. Voglio che sappiate che ho contattato l’autrice e
che vi ringrazia tutti per l’attenzione ed i complimenti che dedicate alla
storia.
Passiamo
ora all’
ANGOLO
DELLE RECENSIONI:
YURI5:
Sono contenta che ti sia piaciuto. Io adoro più i capitoli in cui la storia si
sviluppa (come tutti penso) ma devo ammettere che anche questi tranquilli sono
belli.
CAOMEI:
I capitoli sono 20, ne avremo ancora per un po’, contenta? Non avrei mai
cominciato a tradurre una storia incompleta, perché spesso, in mancanza di
recensioni, non vengono terminate e mi sembrava stupido cominciarla e poi
mollarla a metà no?
Beh,
spero che continuerà a prenderti fino alla fine.
NO
KIARA NO PARTY: Già, stanno proprio bene insieme e non sai quante volte mi sono
chiesta perché Mia Ikumi non li ha fatti mettere insieme alla fine (vabbè che
nel manga Ghish è un po’ diverso, però…).
Spero
che il capitolo ti piaccia.
ANY
IKISY: Beh, continuo le fanfiction perché mi piace, perché è un qualcosa di
diverso dal solito, che mi permette di dare sfogo alla mia fantasia. Mi spiace
di non aver potuto aggiornare prima e spero che il pc sia ancora in buona
salute.
BILU_EMO:
Già, era un capitolo tenerissimo, ma sta a vedere cosa succede in questo.
Spero
che continuerai a seguirla e a commentarla come hai fatto
finora.
SAMIRINA:
E chi non vorrebbe Ghish tutto per sé? Bisogna però ammettere che, se esistesse,
perderebbe un po’ del suo fascino no? Grazie per la
recensione.
Beh,
per ora non ho altro da aggiungere, quindi buona lettura.
Capitolo 5
Strawberry si
risvegliò in una smorta mattina grigia, dove nuvole ancora piene di pioggia
coprivano il cielo come un mantello. Sbadigliando, si chiese per un attimo, come
mai si trovasse sul pavimento invece che sul suo letto. Tuttavia, la memoria le
tornò rapidamente e lei stette attenta ad alzarsi silenziosamente, nel caso che
Ghish fosse ancora addormentato. Una rapida occhiata le confermò che lo
era.
La curiosità gettò
da parte la cortesia e Strawberry, chinandosi in silenzio sull’alieno
addormentato, improvvisamente cosciente del fatto che Ghish stesse dormendo nella sua camera. Tra tutto lo stress della
sera prima, quella semplice verità non aveva preso piede del tutto, ma dopo una
buona dormita, la ragazza si sentì in un certo senso intrigata, se non
addirittura intimidita, dall’intera situazione.
“E’ carino” si decise finalmente a
pensare, lasciando che la sua bocca si sciogliesse in un sorriso alla vista
dell’alieno raggomitolato. Anche se appariva ancora abbastanza pallido ed un po’
malaticcio, dormiva profondamente e, così rilassato, sembrava meno spaventoso,
meno scaltro di quando era sveglio ad infastidirla. Una ciocca di capelli era
sfuggita dai laccetti che lui utilizzava di solito e si alzava ed abbassava
dolcemente ad ogni respiro. Il sorriso si Strawberry si allargò, mentre, con la
mano, si allungava per rimetterla a posto…
Lui non è
Mark!
Mortificata,
Strawberry si ritrasse, il suo sguardo diventò imbarazzato e diffidente. Questo non è Mark. Non lo è, quindi che cavolo stai facendo?
Cosa pensava di fare toccandolo mentre dormiva? E così dolcemente
poi.
E’ qui solo perché
sta male, ecco tutto. Non appena starà meglio, se ne andrà, e tutto questo sarà
finito. Torneremo alla normalità, a come le cose stavano prima di questo. E non
è così carino, non lo è per nulla, non come Mark…
Voleva veramente
che le cose tornassero come prima? Avrebbe potuto? Avrebbe potuto dimenticare la
disperazione nella sua voce, la fiducia apparente che aveva in lei, così tanta
fiducia, da affidarsi a lei per salvarsi la vita? Che si stava ancora affidando
a lei per ricevere aiuto? Era possibile ignorare semplicemente la notte
precedente?
E lui è carino e tu
lo sai.
Completamente
sconcertata, la ragazza decise di preparare la colazione, prima che Ghish si
svegliasse e la confondesse di più. Uscì silenziosamente, facendo attenzione a
scendere le scale il meno rumorosamente possibile. Dopo aver finalmente
raggiunto la cucina, si trovò di fronte ad un nuovo dilemma: cosa mangiavano
esattamente gli alieni?
Fammi pensare…
vengono da questo pianeta giusto? Allora dovrebbero poter mangiare quello che
mangiamo noi… speriamo.
Il pensiero la
tenne così occupata da rivolgere altrove la sua mente dall’incertezza del
futuro, e si tenne impegnata a cercare tra le tazze ed il frigo qualcosa che
potesse cucinare senza uccidersi nel processo. Si rilassò quando trovò la scorta
di ramen di sua madre, pensando che, ciò che era buono per un essere umano
malato, probabilmente era buono anche per un alieno ferito e dicendo un
silenzioso grazie agli inventori di quel meraviglioso piatto multiuso, prima di
mettere una pentola piena d’acqua sul fornello. In pochi minuti sia gli
spaghetti che l’acqua erano arrivati all’ebollizione e Strawberry poté tirare un
respiro di sollievo (cucinare non era mai stato uno dei suoi punti forti, ed un
disastro scampato era diventato un miracolo nella sua
mente).
Strawberry preparò
una ciotola di zuppa e la mise sul tavolo. Le venne in mente che forse era
meglio vestirsi prima che l’alieno si svegliasse, solo per evitare una qualsiasi
delle stranezze per la cui creazione Ghish aveva un debole. Mentre questo
pensiero le attraversava la testa, le venne in mente che, per farlo, avrebbe
dovuto portarseli dietro quando aveva lasciato la stanza. Brontolando per la sua
stupida dimenticanza, portò la ciotola al piano superiore, aprendo la porta con
la speranza che il ragazzo fosse ancora addormentato. La fortuna sembrava essere
con lei quel giorno, poiché vide il ritmico alzarsi ed abbassarsi sotto le
lenzuola che lo ricoprivano.
Mettendo la ciotola
sulla sua scrivania, recuperò velocemente alcuni vestiti dal suo armadio,
facendo tutto con silenziosa cura, e, dopo un’ultima occhiata alla forma
addormentata di Ghish, scivolò fuori dalla stanza ed andò nel
bagno.
Si dette una
risciacquata come al solito e riuscì a fare anche una piccola doccia prima di
rivestirsi. Asciugandosi i capelli con un asciugamano, mentre apriva la porta
della camera, si congelò con le mani che ancora le frizionavano la chioma e la
bocca spalancata per lo stupore. Le sue guance si imporporarono per la
rabbia.
Il suo letto era
evidentemente vuoto e lo spazio di fronte al suo armadio era occupato da Ghish,
particolarmente catturato dal contenuto dei cassetti, e quando lei pensava ai cassetti, intendeva
quell’importantissimo cassetto che contiene ciò che ogni uomo sogna, ma che le
ragazze sorvegliano con la loro ferocità femminile: il cassetto della
biancheria. Era quel cassetto in particolare che Ghish stava osservando con particolare attenzione e f proprio
quella discutibile premura nel suo sguardo a far emettere alla ragazza uno
strillo così acuto da far sobbalzare l’alieno.
“Ghish!!
Allontanati immediatamente da lì!!”
Anche se non poteva
vedersi, Strawberry era sicura che la sua espressione fosse terribile: lo
sguardo di puro stupore sul volto di Ghish valeva quasi la pena di beccare
l’alieno come aveva fatto lei. Si allontanò velocemente mentre la ragazza si
avvicinava a lunghi passi verso il cassetto, richiudendolo con un tonfo e
voltandosi per guardarlo in faccia. A quel punto, lo stupore era un po’ sparito
e un’aria divertita aveva preso il posto del resto sulla faccia dell’alieno.
Sorrise all’irata Strawberry, con l’innocenza a fare da patina zuccherata sulla
sornioneria della sua voce.
“Stavo solo
cercando una maglietta, Strawberry.”
La parte peggiore
del tutto era che Ghish era effettivamente senza una maglietta e non importava
quando colpevole poteva sembrare, non importava quanto Strawberry sapesse che era colpevole, non ci
sarebbe stato modo di contraddire lui ed il suo sorrisetto trionfante. La
ragazza accettò tutto questo a denti stretti, prendendo rapidamente una lunga
maglietta di un pigiama nera dal suo armadio e gettandogliela. Un secondo più
tardi gli lanciò anche i pantaloni abbinati.
“Cambiati con
questi.” Dormire con quegli strani calzoncini probabilmente non era molto
confortevole, specialmente per il fatto che, anche quelli, avevano alcune
macchie di sangue. Si fermò, aspettando per pochi istanti prima di sbottare
esasperata:
”Allora?”
“Non pensavo che
volessi guardarmi gattina, ma se insisti….”
La ragazza si girò
bruscamente con un borbottio infuriato, battendo il piede con un’impazienza
infantile, mentre Ghish si cambiava con molta calma. Stava per voltarsi
ringhiando un infastidito: “Non hai ancora fatto?” quando Ghish annunciò di aver
finito. Lei si girò lentamente (per paura che stesse mentendo) e fu sollevata
dal vedere che era completamente vestito, sebbene conservasse il suo sorrisetto.
Sforzandosi di riprendere un po’ di contegno, Strawberry sopirò prima di
squadrarlo dalla testa ai piedi, soddisfatta.
Facendolo, si rese
conto che il pallore della sua pelle non era diminuito. Sarebbe potuto essere il
contrasto tra la maglietta nera e la sua carnagione, ma si ricordò bruscamente
della sua ferita. Lo scollo era di per sé abbastanza largo e poteva intravedere
alcune delle bende; il suo respiro sembrava molto più affaticato di qualche
momento prima.
“Non dovresti stare
in piedi! Torna a letto!” L’ordine suonava probabilmente un po’ più severo di
quanto avrebbe voluto: le forze combinate dell’imbarazzo e della confusa
preoccupazione, avevano aggiunto un tocco di durezza nella sua voce. L’effetto
su Ghish fu piuttosto strano:
sembrò come perdere le forze di fronte al tono infastidito, però la paura che
c’era sotto portò uno sprazzo di piacevole sorpresa. Sembrò anche capire che la
ragazza aveva ragione, sussultando leggermente mentre ritornava a
letto.
Strawberry poteva
sentire gli occhi dell’alieno seguirla mentre andava verso la sua scrivania,
prendeva la zuppa del ramen e spostava la sua sedia vicino al letto. Cercando di
ignorare la scena pittoresca che stava prendendo forma, si mise la ciotola sulle
ginocchia prima di guardare il ragazzo, trovando difficilissimo parlare
chiaramente ora che la sua rabbia si era dissolta, lasciando quel cocktail di
strane sensazioni che rischiavano
di emergere.
“Non lo so… questa
è zuppa… il ramen… puoi..”
Si sorprese quando
Ghish la interruppe, salvandola apparentemente dal suo
disagio.
“Lo posso
mangiare.”
Magnifico… problema
risolto!” Un attimo dopo si maledisse per aver
parlato troppo presto. Dopo aver messo la ciotola sulle ginocchia di Ghish,
entrambi si resero conto che lui non poteva tenere le bacchette: la ferita aveva
in qualche modo danneggiato le funzioni della sua mano. Prima Ghish sussultò per
il dolore che quel movimento gli causava apparentemente, una smorfia di
frustrazione gli contorse la faccia, prima la consapevolezza della prossima cosa
che avrebbe dovuto fare Strawberry si facesse strada nella sua mente. Un sorriso
soddisfatto gli si dipinse sulla faccia, mentre la smorfia di poco prima si
rivolse ai lineamenti di Strawberry. Sembrava pronto a fare una delle sue
battutine, ma un’occhiataccia dalla ragazza lo zittì:
“Non t’azzardare”
Ghish sfoderò un
sorrisetto, poi aprì leggermente la bocca mentre Strawberry, con la mano a mala
pena ferma, lo imboccò dandogli la prima porzione di
ramen.
A poco a poco,
tutti gli spaghetti sparirono finché rimase solo la zuppa calda. Strawberry
avvicinò la ciotola alle labbra dell’alieno con cautela, tutto il suo
autocontrollo concentrato a resistere alla tentazione di versargli la zuppa
sulle gambe, finché non l’ebbe bevuta tutta. Lui si sedette leccandosi le
labbra, mentre Strawberry appoggiava la ciotola sulla scrivania, con le guance
rosse per una sorta di mortificazione femminile.
Non è Mark, non è
lui, non è così carino, così dolce o così meraviglioso. E’ qui solo perché
l’hanno abbandonato. Se ne andrà non appena mi sarò assicurata che non morirà
standosene da solo là fuori. Lo imbocco perché non riesce a tenere le bacchette.
Non è stato carino, assolutamente no. Se avessi imboccato Mark (il rossore si fece
più intenso) sarebbe stato carino, ma non
l’ho fatto, quindi non è stato nulla, assolutamente nulla, semplicemente non
poteva…
“Arigato, gattina.”
La sua voce la
distolse bruscamente dai suoi pensieri frenetici; alzò lo sguardo con un
urletto, solo per vedere l’alieno risistemarsi sotto le lenzuola, sembrando
stranamente stanco nonostante il suo tono vivace. Vedi? Sta ancora male, è ancora ferito. Ecco
perché è qui. E’ tutto qui. Sto solo facendo la brava ragazza. Sì, la brava
ragazza.
Ma il nemico se la
merita una brava ragazza? Oh sta zitta!!
Strawberry si
riscosse leggermente, prima di riportare i suoi pensieri, prima di spostare
tutta la sua attenzione a Ghish. Con un po’ di difficoltà riuscì a rispondere
”di nulla”, prima di riprendere un controllo stabile di
sé.
“Ti cambierò le
bende più tardi quindi… non lo so… dormi un po’ di più ok?
A causa della
recente chiacchierata e del movimento, Ghish sembrava veramente stanco, tanto
che riuscì solo ad annuire prima di chiudere gli occhi. Strawberry lo guardò per
pochi istanti, prima di realizzare improvvisamente che lo stava guardando, allora si alzò
bruscamente, afferrando la ciotola e lasciando la stanza, pregando che chiunque
si trovasse ad ascoltare in quel momento di trovarle un qualche lavoretto
domestico che la aiutasse a riprendere il controllo di sé.
Solo finché non
starà meglio, ecco tutto!!!
FINE
DEL CAPITOLO.
Eccoci
qua, un altro capitolo è finito e finalmente riesco a postarlo. Spero che vi
piaccia e spero di riuscire ad aggiornare presto, ma la resa dei conti a scuola
incombe e la Sardegna mi
aspetta.
A
presto
Bebbe5
|
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Capitolo 7 *** Cosa ho fatto? ***
Note
dell’autrice: Scusaaaaaaaaaaaateeeeeeeeeeeeeeee!!!!!!!!!!!!!!!!!! Ci ho messo
veramente tanto ad aggiornare, troppo, ma me ne sono successe così tante… beh,
vi basti sapere che ci vorrebbe una fanfiction per raccontarle tutte XD XD.
Spero che potete perdonarmi.
Intanto
partiamo con:
L’ANGOLO
DELLE RECENSIONI:
YURI5:
Sì, Strawberry è gentile.. per ora… vedrai cosa combina in questo capitolo. Per
quanto riguarda il cassetto, beh era inevitabile che ci desse un’occhiatina no?
Spero che il capitolo ti piaccia.
ANNA96:
Sì, la storia è veramente bella, e in inglese lo è di più. Io adoro questa
lingua ed è per questo che ho deciso di tradurre questa fiction. Anch’io adoro
Ghish, un po’ meno Ryan e odio completamente Mark (o meglio l’ameba). Sì, Ghish
sta meglio ma… per quanto? Lo scoprirai presto.
ANNINA94:
sì, anch’io ho sempre pensato che Strawberry sia un’idiota a lasciarselo
scappare. Sono contenta che la storia ti diverta e spero che continui a
farlo.
VIOLETTAMICIOMAO:
Beh, ho passato i commenti tuoi e degli altri che recensiscono all’autrice e ne
è veramente contenta. Io continuerò a tradurre, magari con un po’ più di
regolarità, sperando che il lavoro riesca bene. Buona
lettura.
SAKURA
HATAKE: Grazie per i complimenti riguardo la traduzione, non sai quanto mi
facciano piacere. Mi dispiace di averti fatto aspettare così tanto per il
seguito, spero di rimediare con questo capitolo.
Eccoci
qua, pronti per il nuovo capitolo: buona lettura a tutti.
Capitolo
6
Per
una volta nella sua vita, Strawberry ringraziò mentalmente i suoi genitori per
averle lasciato una lista incredibilmente lunga di lavoretti domestici. Mentre
passava l’aspirapolvere, spazzava, strofinava e spolverava, la sua mente si
rilassava, lasciando lentamente volare via tutti i pensieri stressanti riguardo
le ultime dodici ore. Si distese così tanto da sorridere, canticchiando mentre
lavorava.
Comunque,
il suo umore tranquillo non durò a lungo. Aveva appena guardato all’orologio,
notando che erano le 11:41 ed aveva deciso di aspettare mezzogiorno per cambiare
le bende a Ghish, quando fu interrotta dal suono del
campanello.
Ti
prego, fa che non sia nessuno d’importante…. non le Mew Mew, ti prego…. non
Ryan… ti prego, ti prego, ti prego, non –
Quest’ultimo
pensiero s’infranse non appena guardò attraverso lo spioncino ed il suo sguardo
incontrò il volto di Mark.
Trattenne
bruscamente il respiro, la faccia le diventò immediatamente rossa, le mani le
volarono come al solito alla bocca, in un gesto di femmineo
orrore.
Mark
era fuori davanti alla porta. Mark
Aoyama. Durante le vacanze invernali. Quando i suoi genitori non erano in casa.
Lei Stava Per
Morire.
Però,
questo treno di pensieri deragliò rapidamente. Mark era fuori. Ghish era di
sopra. Ghish + Mark =….
Strawberry
squittì mentre il panico cresceva in lei. Come per deriderla, il campanello
suonò ancora.
Dovrei
aprire? Non posso semplicemente lasciarlo lì fuori (Ma sì
che puoi, usa il cervello ndme)! Aspetta…
potrei far finta di non essere in casa! Sì, buona idea! Ma questo è Mark. Nel
periodo di vacanza.
Uno
strillo di frustrazione spezzò il silenzio mentre lei si mordeva freneticamente
le labbra, con gli occhi incollati intensamente alla porta, a tal punto che
sembrava che lei sperasse che quello sguardo potesse risolvere il problema. Non
ebbe questa fortuna: senza darsi per vinto, il ragazzo suonò una terza
volta.
Probabilmente
Ghish sta ancora dormendo, giusto?
Quindi, se lo faccio entrare e lo tengo al piano di sotto, dovrebbe
andare….
Un
sorriso le illuminò il volto, mentre apriva la porta, pensando di aver risolto
il problema e che il mondo fosse di nuovo in equilibrio. Il suo cuore fece un
balzo quando Mark ricambiò il sorriso, un paio di occhi castani incontrarono i
suoi mentre diceva:
“Ohayou
Strawberry.”
Il
cuore di Strawberry balzò un’altra volta al suono del suo nome: le era sempre
successo quando sentiva quella morbida voce, quando vedeva quel sorriso
perfetto, e si fissava in quelle orbite di infinita bontà e
premura.
“Oh…
Ohayou Mark. Come…
Come stai?” Era troppo agitata perfino per maledire la sua balbuzie. Era strano,
avrebbe potuto pensare se fosse stata un po’ più calma: la loro relazione era
cresciuta così tanto nelle ultime settimane, grazie alle loro diverse
confessioni. Perché era così nervosa?
Il
ragazzo lo notò, La sua faccia si addolcì un po’, e rispose: “Bene, tu stai
bene? C’è qualcosa che…?”
“Non
c’è niente che non va” si affrettò a dire Strawberry, forse un po’ troppo
velocemente. Dopo questo si sforzò di ricomporsi e di ritrovare la calma prima
di guardare negli occhi di lui, cercando di riportare la normalità alla
situazione:
“Sto
bene, vieni dentro.” Lo condusse al divano, sedendosi e facendogli cenno di fare
altrettanto. Non appena lui l’ebbe fatto, lei si rilassò.
Tutto
va bene, vedi? Ora parleremo semplicemente e tutto sarà
normale.
Per
quanto ne sapeva, questo era esattamente ciò che stava accadendo. I due
conversarono e risero e godettero l’uno della compagnia dell’altro. Il tempo
passò: quindici minuti, mezz’ora, un’ora. Per la prima volta da quando aveva
incontrato Ghish la notte precedente, Strawberry si sentì tranquilla. Quando
ringraziò Mark per essere venuto, sentì una nota di pura gioia nella sua voce.
Il suo sorriso era spensierato, libero dalla tensione, mentre lo accompagnava
alla porta.
“Strawberry”
“Cosa?”
lui si fermò giusto prima di andarsene, girandosi a guardarla, standosene tra
gli stipiti della porta aperta. Mettendosi la mano in tasca, ne estrasse una
scatolina bianca con un fiocco rosa pallido e la mise nelle sue
mani.
“Non
ti avevo ancora fatto un regalo.” Era una semplice dichiarazione, ma quali
sensazioni le provocò. Quel rossore familiare le si sparse sulle guance, il
sorriso le diventò piccolo, quasi timido. Dopo aver preso il regalo e ad aver
sfatto con cautela il nodo, aprì la scatolina e, con un urletto, tirò fuori un
paio di orecchini, bellissimi, blu, a goccia, in perfetta pendant con l’amuleto
“Lacrime di Natale” che lei gli aveva regalato.
“Arigatou”
sussurrò, improvvisamente sopraffatta da una traccia di… beh, non c’erano parole
per descrivere come si sentiva, per nulla. Riuscì solo a sorridergli e a
ripetere dei ringraziamenti. Quel momento durò per altri pochi secondi, anche se
Strawberry pensò con gioia che durassero un’eternità, prima che Mark la
abbracciasse e se ne andasse. Gli chiuse la porta dietro, sospirando
felicemente, girandosi ed appoggiandosi alla parete legnosa, con gli squisiti
orecchini tenuti nella sua dolce presa.
I
secondi successivi sarebbero stati perfetti: si sarebbe crogiolata nel ricordo
dell’ultima ora, se non fosse stato per un dettaglio. Mentre si voltava, colse
un movimento con la coda dell’occhio, Un piccolissimo flash, tutto qua. Così
piccolo che si sarebbe potuto considerare un semplice frutto dell’immaginazione,
se Strawberry non fosse stata così dolorosamente certa di quello che era già
accaduto.
Posando
i preziosi orecchini sul tavolo, salì di corsa le scale, facendo gli scalini a
due per volta, mentre la rabbia le storceva i lineamenti mano a mano che si
avvicinava alla camera. Aprì di botto la porta, livida in volto, e
ringhiò:
“Come
osi ?”
Se
possibile Ghish era arrabbiato quanto lei, anzi, a giudicare dalla crudele
espressione che gli dipingeva il volto, la sua rabbia era anche più
violenta.
“Quindi
stai ancora con quello, eh? Non ti sei ancora accorta di quanto sia penoso,
quanto….”
“Sta’
zitto, sta’ zitto tu.. tu inutile pervertito. Come osi dire questo nei
confronti di Mark?”
Ghish
provò a ribattere, ma la voce di Strawberry, la cui acutezza e volume salivano
con ogni respiro, lo bloccò bruscamente.
“E’
così dolce, e buono, e meraviglioso, come puoi…”
“Sono
cento volte quello che lui potrà mai…”
Sarebbe
accurato dire che Strawberry, a questo punto, aveva perso il controllo delle
proprie azioni. Il fatto che Ghish, con pura audacia, l’avesse spiata durante il
suo momento tenero e privato con Mark e che poi fosse arrivato ad insultare
colui che lei considerava il perno su cui si concentrava la sua esistenza
adolescenziale le fece superare ogni limite: volò sopra e dentro il canyon della
rabbia. Fu probabilmente per questo che urlò queste cose a
Ghish:
“Non
sarai mai neanche la metà di quello
che è lui! Mai! Sei orribile ed io
non verrei mai con te, neanche se lui sparisse dalla faccia della
Terra.”
In un
altro momento Ghish avrebbe reagito con una crudele ondata di furia: avrebbe
intrapreso la missione di trovare Mark e di tagliargli la gola di fronte agli
occhi orripilati di Strawberry. In un altro momento avrebbe reagito con tutta la
rabbia che il suo carattere poteva emettere.
Questa
volta, per la completa sorpresa di Strawberry, l’alieno cadde nel silenzio.
Invece di brillare di quella rabbia selvaggia, i suoi occhi divennero smorti. Il
suo intero corpo sembrò afflosciarsi, persino le sue orecchie sembrarono
abbassarsi. Il cambiamento fu così istantaneo ed improvviso che la rabbia di
Strawberry evaporò nel lasso di alcuni millisecondi. Era comunque troppo tardi.
Sembrava che qualcosa nella mente di Ghish si fosse
spezzato.
“E va
bene Strawberry” mormorò con un tono che ricordava tanto quello della sera
prima, quel tono così vulnerabile che aveva profondamente scosso la ragazza.
“Io.. io capisco.” Quello che accadde subito dopo, le fece balzare il cuore
dalla paura.
L’alieno
la guardò con un triste sorriso che si abbinava perfettamente agli occhi
smorti.
“Dovrei
andare ora, no?”
Non
attese per una risposta e la ragazza, in un totale stato di shock, non ne offrì
alcuna.
Lo
guardò con la bocca aperta, ma rimanendo in silenzio, mentre l’aria intorno
all’alieno ondeggiava e lui spariva dalla stanza.
Andato.
Se n’era andato. Cosa… Come..? Strawberry guardò lo spazio che lui aveva
occupato solo pochi istanti prima.
Non
le venne mai in mente di poter essere felice, o che i problemi del giorno prima
fossero finiti, il pensiero che, se non c’era Ghish, non ci sarebbero state
tante preoccupazioni. Riusciva a pensare solo a quello spazio vuoto davanti a
lei.
I
minuti passarono e lei, ancora, non, si, poteva, muovere. Andato… andato…
dov’era andato? Come avrebbe…? Cosa avrebbe…? I pensieri le rifluirono nella
mente paralizzata, mentre lo sguardo le andava alla finestra e le sue labbra
formavano la parola: “Ghish…”
Improvvisamente
un veloce schiaffo mentale la colpì con forza, strappando un urlo dalla sua
gola. Se n’era appena andato, dove, solo Dio poteva saperlo. Andato nella neve.
Andato senza compagni ad aiutarlo. Andato… a causa sua.
Si
accorse improvvisamente della spaventosa precarietà vitale di
Ghish.
Cosa
ho fatto?
FINE DEL
CAPITOLO.
Spero
che vi sia piaciuto. E ora, che succederà? Strawberry lo andrà a cercare? Se sì,
lo troverà in tempo. Lo scoprirete nel prossimo capitolo.
A
presto
Bebbe5
|
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Capitolo 8 *** verità rivelate ***
Note
dell’autrice: eccomi qua, pensavate di esservi liberati di me eh? No belli, io
sono immortale, solo che ogni tanto mi va di sparire. Lasciando perdere le
cavolate, passiamo subito a:
L’ANGOLO
DELLE RECENSIONI
YURI5:
Beh, te lo dico in una sorta di anteprima, Strawberry avrà una bella gatta da
pelare (XDXD). Sono d’accordo con te, qualcuno le dovrebbe spiegare la
differenza tra ameba e bel ragazzo, che ne dici?
ANNINA94:
sì, effettivamente, tra tutt’e due, fanno proprio una bella accoppiata in quanto
a stupidaggine. Uno è troppo geloso, l’altra un’idiota, come
conciliarli?
In
quanto a Mark, non posso dirti un granché, solo che continuerà a rompere un po’
le scatole. Ti devo confessare che non è tanto la traduzione il problema, quanto
la mancanza di tempo e (qualche volta purtroppo) di voglia. Come hai detto tu,
c’è differenza tra inedita e traduzione ed io sto scrivendo la bellezza di due
inedite, senza contare le varie song-fic: nell’inedito c’è più gusto, perché sei
tu a creare, spero che tu mi capisca.
BILU_EMO:
sì, sul fatto che Strawberry sia una cretina penso che concordino tutte le fan
di Ryan e Ghish. Non ti preoccupare, piuttosto dovresti essere tu a perdonarmi
per l’immenso
ritardo.
SHERRY:
Sono contenta che ti piaccia, lo farò sapere all’autrice.
SAKURA
HATAKE: Come ho detto a Yuri5, Strawberry, per questa sua “cavolata” (tra
virgolette perché anche Ghish non era molto nel giusto), avrà non pochi
problemi.
TYTY:
i commenti lunghi mi fanno sempre un enorme piacere. Sai, diversi scienziati
hanno provato a capire la mente contorta di Strawberry ma, ahimé, per ora c’è
stato poco da fare. Il perché non abbia lasciato fuori Mark è la domanda più
problematica del momento.
Grazie
a tutte voi per aver recensito e per i complimenti. Sono contenta che la fiction
vi piaccia e spero che continui ad essere così.
Via
s’à comincià?
Buona
lettura
Capitolo 7
Che
faccio? Chefacciochefacciochefaccio?
Strawberry
era immobile, gli occhi vacui e spalancati per lo stupore, che guardavano fuori
dalla finestra dove la neve stava cominciando a cadere.
Sta
cominciando a nevicare. Dovrei andare a cercarlo prima che la situazione
peggiori. Porterò Mash con me, lo cercherò, lo…
I
suoi pensieri sparirono improvvisamente nel nulla; il suo corpo si fermò come
paralizzato.
Porterò
Mash e lo..
Se
parto ora, prima che la situazione peggiori…
Un’
improvvisa folata di vento accelerò la caduta dei fiocchi di neve ed il rapido
movimento la risvegliò dalla paralisi.
Se
n’era andato, andato in quella tempesta senza misericordia, e lei doveva fare
qualcosa subito.
Se io
non… e lui… è tutta colpa mia…
Quest’ultimo
era il pensiero che la assillava maggiormente, mentre afferrava Mash, ignorando
il suo squittio di protesta, e correva giù dalle scale.
Tutto
questo era colpa sua.
Ghish
era ferito.
Poteva
morire.
Tutto
questo a causa sua.
Colpa
sua, una sua responsabilità, colpa del suo stupido
carattere….
Questa
giostra di sensi di colpa, girava lentamente nella sua testa, e dovette
ricacciare dentro le lacrime mentre prendeva il cappotto dall’armadio e se lo
infilava.
Un
attimo dopo era fuori, nella nevicata sempre più forte, guardando su è giù per
la strada.
Come
farò a…?
Scacciò
quel pensiero, mentre altre lacrime le rigavano la faccia. Non importava come.
Perché mai doveva anche solo considerare
quell’interrogativo?
Fin
da quando lui era apparso, fin da quando era venuto da lei in un tempo di
terribile bisogno, da lei sola, era diventato una sua responsabilità. Aveva
rovinato tutto nella maniera peggiore, e porsi domande invece di agire avrebbe
assicurato la sua morte, una morte di cui sarebbe stata
responsabile.
“Mash,
ho bisogno che tu trovi un alieno.” Disse al piumino galleggiante, che
ballonzolava su e giù al suo solito posto accanto a lei.
“Ho
bisogno che tu..”
“Alieno!
Strawberry c’è un alieno!”
Lei
batté le palpebre in totale stupore. Non era neanche uscita dal
cortile…
“Ehi!”
La
ragazza si girò velocemente verso sinistra e gli occhi si posarono sulla piccola
figura di Tart. Non era Ghish, decisamente no. La viva speranza a cui si era
aggrappata svanì; diede in un urlo strozzato di disperazione, mentre il più
giovane degli alieni la guardava.
Solo
dopo aver raccolto i suoi pensieri ed essersi ricomposta più che poteva, vide
che c’era un’intensa e profonda rabbia negli occhi del ragazzino. Non aveva mai
dato tanto peso a Tart: i suoi compagni più grandi erano sempre stati la
preoccupazione maggiore in battaglia, ma ora si trovava intrigata, per non dire,
se non addirittura disturbata dalla feroce emozione in quegli
occhi.
L’unica
cosa che riuscì a dire fu un debole: “Cosa vuoi?”
“Dov’è
lui?”
Se
quello sguardo l’aveva turbata, la furia nella sua voce la terrorizzò. Face un
passo indietro, mentre lui la scrutava digrignando i denti e stringendo i pugni.
Passarono i secondi, e lui sembrava non avere pazienza per il suo
silenzio.
“Allora?”
Strawberry dovette ingoiare il nodo che
aveva in gola, prima di poter anche solo sperare di
rispondergli:
“L-Lui..
Io..”
“Cosa
gli hai fatto?!?!” Era più un urlo adirato che una vera domanda. Strawberry si
rese improvvisamente conto che l’alieno stava tremando, ed era abbastanza sicura
che non fosse per il freddo. La risposta le venne con un vero e proprio schiaffo
mentale.
Sta…
sta cercando di non piangere…
Di
nuovo non riusciva a parlare e Tart proseguì, con la voce un po’ troppo alta nel
tentativo di controllarne il tremore.
“Profondo
Blu non ci ha permesso di aiutarlo. Ci ha vietato di avvicinarci a lui e Ghish
ha pensato che tu… ha pensato…”
Strawberry
aveva indovinato: Profondo Blu aveva ordinato che fosse bandito. Il vero orrore
della situazione le apparve davanti agli occhi. A Ghish era stato negato l’unico
aiuto a cui si sarebbe potuto aggrappare: era stato rifiutato. I suoi compagni
erano stati (guardò la faccia angosciata di Tart) costretti ad abbandonarlo. Lui
era venuto da lei.. perché? Era l’unico tassello mancante. Perché
lui?..
“Perché?”
mormorò, sforzandosi di mantenere i suoi occhi puntati in quelli del giovane
alieno. “Perché è venuto da me?”
Ci fu
uno spiraglio nella rabbia: Tart vacillò. Ricambiò lo sguardo, momentaneamente
sconcertato, prima che il suo volto si indurisse. Strawberry capì, quasi cedendo
al panico, che forse non avrebbe voluto sentire la
risposta.
“Non
lo so. Immagino che sia solo uno stupido.”
L’odio
nella sua voce le mozzò il respiro: tossì.
Stupido…stupido
per volerla… stupido per fidarsi di lei…
Fidarsi
di lei.
Di
lei.
Si
era fidato di lei. Lei l’aveva condannato a morte.
Cosa
aveva fatto lui per meritarsi questo? L’aveva osservata? L’aveva osservata,
vista insieme a Mark. Quindi aveva detto quelle cose che diceva sempre. Si era
arrabbiato come sempre.
Lei
aveva davvero il diritto di..? Come aveva potuto…?
“Tart”
cominciò, la voce le tremava così forte che poteva ritenersi poco più di un
sussurro.
“Come
posso trovarlo?”
Era
evidente che l’aveva preso in contropiede. Per un momento gli mancarono le
parole, ma poi: “Vuoi andare a…”
“Ti
prego Tart, mi dispiace. Ti prego, urlami contro più tardi. Dimmi solo come
faccio a trovarlo!” Concluse in un grido di disperazione che, finalmente,
raggiunse il cuore del più piccolo. Abbassò lo sguardo, per poi rialzarlo su di
lei.
“Gli
piace andare al parco con lo stagno delle anatre. Non so se è lì,
però..”
Lei
stava correndo ancor prima che lui finisse la prima frase: in neanche mezzo
secondo era fuori dal raggio uditivo.
Tart
la osservò, con un’espressione accigliata ferma sul suo volto e con la fredda
preoccupazione che si era insinuata nel suo stomaco settimane prima che
continuava a pulsare nella sua deprimente persistenza.
Mi
auguro…
Scosse tristemente la testa. Non c’era motivo di augurarsi
qualcosa, quando l’unica speranza erala Mew mew. Profondo Blu aveva ordinato e né
lui né Tart potevano fare nulla. Nulla tranne pregare che quella stupida umana
potesse corrispondere alle aspettative del loro amico.
Pai…
Deo andare da Pai a dirglielo..
Leale
a Profondo Blu come il più grande, era stato veramente depresso nelle ultime
settimane.
Con
un ultimo pensiero, Tart si trasportò nella sua dimensione, lasciando solo il
silenzio nella strada deserta.
FINE
DEL CAPITOLO.
So
che non ci sono stati grandi sviluppi e mi dispiace perché avete atteso tanto.
Io però devo seguire la conformazione originale. L’unica cosa che posso fare è
cercare di aggiornare presto e spero di riuscirci.
Spero
comunque che vi sia piaciuto.
A
presto
Bebbe5
|
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Capitolo 9 *** Mi dispiace ***
Note
dell’autrice: sono stata abbastanza veloce stavolta? Spero di sì. Pronti per il
nuovo capitolo? Prima però:
ANGOLO
DELLE RECENSIONI
YURI5:
concordo in pieno con tutto quello che hai detto, tranne per il fatto di un
ragazzo carino, carino ma ecologista. Per me potrebbe essere anche Orlando
Bloom, ma non andrei mai con qualcuno fissato di qualcosa.
SHERRY: Vedrai cosa capiterà in questo
capitolo, sono contenta che l’ultimo ti sia piaciuto.
KIRLIA:
Sono contenta che la storia ti piaccia. Le nuove fan sono sempre bene accette.
Sono anche contenta che ti piaccia la coppia Strawberry/Ghish, ma non condivido
in pieno il tuo giudizio su Mark (de gustibus).
ANNINA94:
Visto che alla fine ce l’ho fatta? Una curiosità: che vuol dire che Kisshu è un
po’ mona (io per i modi di dire sono una frana). Sì, Strawberry stavolta c’ha
azzeccato, ma continuerà su questa strada?
TYTY:
Visto che poi non eri l’ultima? Sono convinta anch’io che Tart e Pai vogliano
bene a Ghish, ma sul discorso della fedeltà di Tart io sono d’accordo con
l’autrice. Anche nell’episodio dove Ghish resta ferito, anche se Tart prova a
ribellarsi a Profondo Blu che vuole che abbandonino Ghish, poi ubbidisce agli
ordini, seppur con riluttanza. Fedeltà e senso di giustizia sono due cose,
secondo me, opposte purtroppo.
So
che quattro - cinque mesi sono troppi, ma vedi, devo portare avanti anche due
fiction inedite e altre due traduzioni. Cerco dunque di conciliare tutto e non
sempre è facile purtroppo. Stavolta comunque ho fatto del mio
meglio.
BILU_EMO:
Povera te, io i Promessi Sposi li ho accantonati due anni fa (anche se l’anno
prossimo, con la maturità, sicuramente li dovrò ritirare fuori). Vai tranquilla,
non è mai troppo tardi per recensire e a me fa sempre piacere. Sì, Tart, nel suo
piccolo, sa essere davvero grande (da dove cavolo mi è uscita
questa?)
Grazie
a tutte per la vostra pazienza e per aver continuato a recensire. Cosa farei
senza di voi?
Buona
lettura
Capitolo
8
Il respiro di
Strawberry le raschiava la gola mentre correva. Un unico pensiero le
riecheggiava nella mente:
Devo trovarlo, ora.
Ora, ora, ora….
Era una fortuna che
fosse vissuta in quel posto per molto tempo: la via per il parco era
praticamente istintiva per lei. Se avesse anche dovuto pensare alla
destinazione, non sarebbe mai riuscita a concentrarsi. Grazie al cielo, le sue
gambe sapevano esattamente dove doveva andare ed in pochi minuti era arrivata ai
cancelli del parco, ansimante, senza fiato, ma sempre concentrata sulla sua
missione. Dopo pochissimi secondi, impiegati per riprendere un po’ di fiato, si
guardò intorno.
Quell’entrata (il
recinto del parco ne aveva diverse) si apriva sul nudo campo del parco. Durante
i mesi più caldi, i ragazzini giocavano a calcio o a rincorrersi lì. Spesso
c’erano dei bambini che facevano volare i loro aquiloni o che giocavano con i
loro cani. Quel giorno, mentre la tempesta di neve si intensificava, il posto
era silenzioso. Cosa più importante, pensò Strawberry, non c’era traccia neanche
di Ghish.
Corse in avanti,
attraverso il campo, attraverso gli alberi, sempre guardando intorno a sé,
sempre aspettando il solito richiamo di Mash. Dopo pochi minuti raggiunse il
laghetto che Tart aveva menzionato, un lago per anatre di media grandezza,
appena visibile sotto la cortina di neve che cresceva sulla sua superficie
gelata.
Una gelida
disperazione la attanagliò: forse, dato che Tart aveva menzionato il laghetto
con tanta specificità, era stata sicura di trovarci Ghish. Senza molta
fortuna.
Il vento soffiò
improvvisamente con più ferocia, come a ricordarle del poco tempo prezioso che
aveva. Cosa stava indossando lui quando se n’era andato? Una maglietta di un
pigiama ed un paio di pantaloni? Non aveva alcuna possibilità di sopravvivere,
non nel precario stato di salute in cui era già. Il pensiero le portò nuove
lacrime agli occhi, e queste bruciarono nel vento
tagliente.
“Ghish!” la sua
voce superò il costante ululare del vento, una disperata preghiera che risuonò,
e poi svanì. Gridò di nuovo: “Ghish!”
Nessuna risposta.
Il terrore la fece sua, quando lei realizzò che, anche se l’aveva sentita,
magari non era in grado di rispondere.
“Mash!” Il robot le
spuntò davanti con un’occhiata interrogativa sulla sua faccetta pelosa.
“Puoi cercare degli
alieni all’interno del parco? Puoi?...”
Lui la bloccò con
la sua vocina gioiosa: “Mash può! Mash può!”
Come per
contrapporsi al gioioso carattere del robottino, un silenzio totale e teso privò
Strawberry della sua voce, mentre attendeva un risposta, stringendo i pugni così
tanto che le unghie le si erano conficcate nei palmi. Dopo quella che sembrò una
torturante eternità, Mash disse:
“Alieno! Alieno!
C’è un alieno davanti a noi.”
“Dove?”
“Là” La macchinetta
volò in direzione dell’area-giochi. Strawberry la seguì senza
esitazioni.
“Ghish,
Ghish…”
Si bloccò nel mezzo
della corsa solo perché il sollievo la investì così pesantemente da fermarle con
forza il cuore. Questo durò solo per una frazione di secondo: la sola vista di
lui la spinse ad andare avanti, urlando il suo nome.
Si era riparato
sotto lo scivolo del parco: non era neanche lontanamente il posto migliore in
cui stare e Strawberry se ne accorse immediatamente. O era stato così ferito
dalle sue parole da non essere riuscito a pensare a dovere, o le sue condizioni
fisiche gli avevano impedito di andare più avanti. Probabilmente era stata una
crudele combinazione delle due cause.
Al suono del suono
nome, lui sollevò debolmente lo sguardo, i suoi occhi ci misero un po’ a
focalizzarsi su di lei, prima che potesse mormorare il suo
nome:
“Strawberry.”
Lei emise un
leggero singhiozzo, in parte frustrata per la sua colpa, in parte sollevata per
il fatto di essere stata riconosciuta.
Un sorriso cominciò
a prendere forma, pieno della sua gioia più totale, mentre cominciava ad
avvicinarsi a lui. Improvvisamente, di nuovo, si congelò.
I suoi occhi, anche
se spenti e leggermente vacui, erano lacerati da una certa dose di incertezza,
di dubbio, perfino.. lei si morse le labbra… rabbia. Era appena visibile, ma
c’era. Sembrava quasi rifulgere e lei emise un gridolino, quando lui cominciò a
sollevare le mani. Barcollando sui suoi piedi, tremando violentemente nella
implacabile nevicata, appena lucido, la guardò con una crescente diffidenza
negli occhi dorati.
Sta cercando di…
Strawberry si portò le mani alla bocca, totalmente
paralizzata. Non perché fosse spaventata: sapeva che lui non poteva farle nulla
nello stato in cui si trovava. Era perché stava provando, nella sua condizione,
a richiamare le armi che usava normalmente. Si rese conto, con lo stomaco che le
si torceva, di averlo ferito così tanto da fargli rifiutare le sue avances.
La neve continuava
a cadere con una beffarda tranquillità. Tutto quello su cui era concentrata era
il respiro dell’alieno, flebile, debole, raschiante, ma determinato, mentre
manteneva il suo sguardo vacillante su di lei.
Tutto ciò che
sentiva era quel crudele senso di colpa: mentre lo guardava sollevare le
braccia, qualcosa le scattò dentro e riuscì a recuperare improvvisamente le sue
funzioni motorie.
“Mi
dispiace.”
Lui si fermò, con
le mani quasi nella posizione dell’invocazione, gli occhi che si sforzavano di
restare aperti, mentre lui manteneva il suo sguardo.
“Mi dispiace tanto
Ghish.”
I suoi occhi
incontrarono quelli di lui, brillando con calore, con un bisogno di perdono che
non credeva di poter mai provare nei confronti
dell’alieno.
Un battito di cuore
e lei lo stava sostenendo mentre lui cascava in avanti, senza più la forza che
gli era stata alimentata dalla rabbia.
Oh…o mio
Dio.
Era totalmente
shockata dal gelo mortale della sua pelle: un uomo sarebbe stato sicuramente già
morto.
La prima cosa che
fece, dopo averlo fatto appoggiare a sé per aiutarlo a rimanere in piedi, fu di
levarsi il giacchetto e coprirgli le spalle. Avvolgendo le sue braccia attorno a
lui, si sollevò con cautela, non sapendo se sarebbe stato capace di seguirla o
meno. Un tiepido sollievo fluì dentro di lei, quando lui assecondò il suo gesto,
tremante, ma in grado di stare in piedi finché si sosteneva a
lei.
“Andiamo” mormorò
Strawberry, avanzando lentamente, con un braccio sempre intorno a lui nel vano
tentativo di passargli un po’ di calore.
Con una lentezza
che le parve quasi dolorosa, uscirono dal parco e si avviarono verso
casa.
Mentre lo facevano,
lei veniva sopraffatta sempre di più dalla sensazione del corpo dell’alieno
contro il suo e quei soliti pensieri, con Mark nell’eterno ruolo del
protagonista, cominciarono a farsi prepotentemente sentire. Questa volta,
comunque, Strawberry non arrossì, non sbatté neppure le
palpebre.
Si era resa conto,
mentre, raggiunta la porta di casa, estraeva le chiavi dalla tasca, che qualcosa
era cambiato. Era cominciato quando l’aveva visto in quello stato la notte
scorsa, si era insinuato in lei, mentre lo curava ed era cresciuto
silenziosamente, segretamente, mentre lo assisteva. Era sparito quando Mark era
venuto a trovarla, quasi morto dopo quel tremendo litigio che l’aveva portata a
quella situazione, ma ora… ora riusciva a sentirlo di nuovo. Aveva ritrovato il
suo potere dopo quel fatale schiaffo mentale che si era data quando Ghish aveva
tentato di allontanarla ed ora pulsava insistentemente nei meandri del suo
inconscio.
Mentre apriva la
porta e faceva entrare l’alieno, si rese conto che era qualcosa che non poteva
ignorare, qualcosa con cui doveva confrontarsi ed in fretta. Eppure, osservando
quei pensieri, li respinse. Mentre Ghish tremava tra le sue braccia, si
concentrò su ciò che era prioritario: attirando inconsciamente il ragazzo più
vicino a lei, lo portò in silenzio al piano di sopra, con una determinazione
nuovamente forte.
FINE DEL
CAPITOLO
Oh,
finalmente l’ha trovato. Ora penserete: “E vissero felici e contenti!” Mi
dispiace, ma i guai sono appena cominciati. Spero che continuerete a
leggere.
A
presto
Bebbe5
|
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Capitolo 10 *** Non importa ***
Note
dell’autrice: sto diventando veloce eh? Beh, allora non attardiamoci
ulteriormente.
ANGOLO
DELLE RECENSIONI:
ANNINA94:
grazie per il termine “mona” e, sì, concordo con te, Ghish lo è davvero stato.
Strawberry alla fine l’ha trovato, ora, in questo capitolo, vedrai come comincia
a risolvere la situazione.
YURI5:
Sono contenta che l’ultimo capito ti sia piaciuto. Già, Ghish non c’aveva la
testa per scegliersi un posto migliore. Pazienza dai.
KIRLIA:
Beh, la storia me la stavo rileggendo anch’io e devo ammettere che, se in
inglese mi era sembrata relativamente semplice anche da tradurre, dopo questo
capitolo ho cambiato la mia opinione.
TYTY:
Non ti preoccupare, avevi assolutamente ragione a mettermi fretta. Posso però
assicurarti che io non sono una che lascia le cose a metà. Alcune delle fiction
che scrivo non vengono recensite e a malapena lette, però io le continuo perché
odio lasciarle lì senza un finale. Sì, per quanto riguarda Tart si tratta di
punti di vista, anche perché lui è un po’… non so come dire.. ambiguo, nel senso
che non si capisce bene che gioco faccia. Spero di non averti deluso nella
traduzione di questo capitolo.
MISS
GIULIETTA: Vai tranquilla, mi fa piacere vedere che c’è gente che legge e basta.
L’unico dubbio che mi resta è se la fiction piaccia oppure no a quelli che
leggono senza lasciare commenti. Quindi, grazie. Purtroppo la storia non è mia,
è l’autrice vera a decidere chi muore e chi vive. Io sono una mera
traduttrice.
BILU_EMO:
Cavolo, 6 ore di studio?!?! Ma neanche legata ad una sedia ci riuscirei. Se lo
scorso capitolo è stato terapeutico, questo ti farà andare dallo psichiatra. Io
ho già preso appuntamento.
Grazie
per aver recensito o anche solo letto
Buona
lettura
Capitolo
9
Strawberry condusse
gentilmente Ghish per il corridoio, aprì la porta di camera sua con il gomito e
lo fece sedere sul letto. Se non fosse stata così occupata con la sua
preoccupazione, avrebbe trovato la situazione alquanto divertente: l’ultima
volta che erano stati in quella stanza, i suoi sentimenti nei confronti
dell’alieno erano stati così diversi….
Scossa la testa,
cercando di mettere un freno a quei pensieri. Era importanti, lo sapeva, ma
avrebbero aspettato. Il freddo marmoreo della pelle di Ghish glielo ricordò.
C’era un’unica cosa che importava al momento, ossia riscaldare il povero
ragazzo, prima che scivolasse in un’incoscienza possibilmente
permanente.
Come farlo però?
Un’espressione accigliata solcò la fronte della mew-gatto, mentre rifletteva
freneticamente sul problema.
L’ideale… l’ideale
sarebbe stato fornire ulteriori coperte calde e cose simili ma, ripensando al
giorno prima, l’ideale era ben lontano dall’essere realizzabile. Quindi, l’unica
cosa che le restava era… era… Lei era una giovane ragazza adolescente e, anche
se era questione di vita o di morte, la situazione e la sua risoluzione
apparente le infuse uno spruzzo di rosa sulle guance.
No, devo farlo. E’
tutto ciò che posso fare….
“Ghish” Lui non
riuscì a guardarla negli occhi. Lei si accucciò davanti a lui, cercando di
catturare la sua attenzione. Le occorse una buona dose di coraggio per
trattenerla dal cadere nel panico quando vide lo sguardo vuoto nei suoi
occhi.
“Ghish” ripeté
alzando il volume, lasciando che un po’ di ansia trapelasse nella sua voce, e
l’alieno tremante, improvvisamente, la guardò, sembrando sorpreso, come se non
l’avesse notata prima. Come se lei fosse stata diversa prima…. Strawberry si morse
l’interno delle guance: non poteva preoccuparsi di questo al momento. Più tardi,
quando tutta l’innaturale vulnerabilità dell’alieno fosse sparita; più tardi,
quando la sua vita non sarebbe stata più in pericolo per la sua abominevole
stupidità…
Volendo
improvvisamente rassicurarlo, si sforzò di sorridere
nervosamente.
“Ghish, dovrai
levarti questa maglietta, ok?” Doveva toglierli quell’indumento fradicio se
voleva riscaldarlo.
“Sono stanco”
mormorò lui e la padronanza di Strawberry andò a farsi benedire, quando gli
occhi del ragazzo cominciarono a chiudersi.
Mentre
un’improvvisa paura la lacerava, gli afferrò le spalle e lo scosse leggermente,
ricordandosi subito dopo che aveva ancora quella ferita dalla spalla al
petto.
Lui non le rispose,
ma sembrò comprendere lo scopo di quell’azione: provò a togliersi la maglietta
del pigiama, ma le sue mani tremavano troppo. Accorgendosi che non ci sarebbe
mai riuscito, la ragazza gli ordinò di sollevare le braccia più in alto che
poteva e, con attenzione, gli tolse la maglietta dalla testa. Lanciando
l’indumento sudato, insieme alla sua giacca, sulla sedia della sua scrivania,
afferrò immediatamente un lenzuolo e lo avvolse intorno alle spalle tremanti
dell’alieno.
Non è abbastanza,
non basta., continuò a
ripetersi, e la decisione seguente fu presa con una forzata noncuranza di quella
vocina nella sua testa, che continuava a riportarle alla mente i brillanti occhi
marroni di Mark, la sua voce rassicurante, il suo dolcissimo tocco. Se quella
voce non fosse stata indebolita dall’urgenza della situazione, avrebbe anche
potuto esitare, ma purtroppo era così. La poteva appena sentire mentre si
cambiava velocemente e si metteva un pigiama asciutto. Per un brevissimo
istante, fu riluttante all’idea di cambiarsi con l’alieno nella stessa stanza,
ma una singola occhiata alla sua figura ingobbita e tremante scacciò via ogni
reticenza nella usa mente: non aveva bisogno di cambiarsi la biancheria, in ogni
caso. In più era colpa sua.
Vestita del suo
pigiama più caldo, la ragazza tornò a letto, sedendosi vicino a lui e
scuotendolo per la spalla:
“Vieni… vieni qui
Ghish.” La sua voce tremò, quando si rese conto della gravità di ciò che stava
per fare.
Tuttavia, continuò,
attirando il ragazzo verso di lei, togliendo il lenzuolo dalle sue spalle e
riavvolgendolo intorno ad entrambi, poi prese altri lenzuoli e coprì
ulteriormente l’alieno e sé stessa. Pochi attimi dopo, si sdraiò con l’alieno
tremante appoggiato a lei, avvolti comodamente nelle
coperte.
A questo punto, fu
colpita da ciò che stava facendo. Lo fu davvero e scoprì di essere innervosita
dal toccarlo, dal solo lasciare che la loro pelle entrasse in contatto. La
prospettiva di questo la terrorizzò, e mentre lo fissava, si allontanò, cercando
disperatamente di tenere lontano, di ritornare a quel rapporto che era così
vicino dall’essere perduto. Mentre lei giaceva, tesa, ansiosa di evitare il
contatto che poteva avvenire in quella compromettente posizione in cui si era
cacciata, riuscì a dare una buona occhiata al volto dell’alieno: una buona e
lunga occhiata data con occhi pieni di dubbio.
Eppure, mentre i
loro sguardi si incontravano, mentre il ragazzo si raggomitolava nel disperato
sforzo di conservare il calore del suo corpo, questi si addolcirono. Il dubbio
che vi era in essi svanì, e poche lacrime le scivolarono lentamente lungo le
guance.
Il senso di colpa
era tornato: le impregnava la mente, mentre lei, esitante, toccava la pelle di
Ghish. Il suo stomaco si strinse, gli occhi le si inumidirono, quando si accorse
della freddezza di questa a contatto con le sue dita.
Lentamente, mentre
i suoi denti premevano inconfortevolmente sul suo labbro inferiore, avvolse
braccio intorno al suo torace, stringendolo, costantemente consapevole di come
si stava muovendo, costantemente consapevole del suo tremore e delle bende che
gli avvolgevano metà del petto. Una vocina le ricordò che in seguito avrebbe
dovuto cambiarle. Un leggero rossore spuntava tra le fasce bianche:
probabilmente la ferita si era riaperta.
Quando il suo corpo
entrò in pieno contatto con quello di Ghish, Strawberry emise un leggero
urletto, in parte per l’incredibile gelo della sua pelle, ma in parte anche
perché la sua mente continuava a ricordarle freneticamente che lui era Ghish, il
suo nemico, il suo instancabile persecutore ed osservatore. Non era il corpo
tremante di Mark quello che si rannicchiava contro il suo per trovare un po’ di
calore; le sue dita non indugiavano sul petto nudo di Mark. Non stava sentendo
il suo dolce profumo. Non erano i suoi capelli neri a solleticarle le guance.
Quello non era Mark
eppure, con lo scorrere dei minuti, Strawberry si rilassò comunque. La tensione
abbandonò i suoi muscoli, il suo respiro si fece più regolare. Dopo un po’
riuscì a riprendersi e cominciò a strofinare le braccia di Ghish il più
velocemente possibile, cercando di non aggravare la sua ferita, nel tentativo di
far circolare il sangue.
Dopo qualche
minuto, si sorprese di essere esausta. Decise di riposarsi un po’, sempre
stringendo Ghish con le sue braccia, e sforzandosi di tenere gli occhi aperti.
Un aiuto per quest’ultimo frangente le arrivò in maniera inaspettata: l’alieno,
che lei aveva creduto troppo debole ed esausto per assecondarla nelle sue
azioni, emise un leggero e tremante sospiro, prima di immergere il volto nel suo
petto, mormorando “Strawberry” in un modo appena udibile, ma che la risvegliò
dal suo torpore.
Di nuovo, la sua
prima reazione fu un’ondata di repulsione: continue memorie del suo amore, della
sua vita della sua missione riempirono la sua coscienza, mentre un appena lucido
Ghish, si strofinava contro di lei, si raggomitolava alla ricerca del suo
prezioso calore, facendo una piacevole pressione sul suo petto.
Il suo cuore
cominciò a correre. La sua mente ad ondeggiare. Le sue guance, accarezzate dalle
soffici ciocche di capelli di Ghish, si infiammarono, diventando scarlatte. Per
pochi istanti, riuscì a sentire solo il pulsare del suo stesso sangue nelle
orecchie, riuscì a sentire solo il corpo tremante di Ghish contro il
suo.
Poi, come se le
fosse stato lanciato un incantesimo, la sua ansia svanì. La sua mente si schiarì
e lei scoprì di averle le labbra arricciate in un tenero sorriso. La sua mano,
così esitante pochi attimi prima, andò a posarsi sulla testa di Ghish.
Lentamente prima, poi con crescente facilità, gli scostò i capelli dalla faccia,
lasciandoci correre le dta attraverso, nel tentativo di…
Li sto solo
aggiustando disse alla sua
logica, eppure sotto quel guscio di negazione corse il pensiero: lo aiuterà a stare
meglio.
Gradualmente, i
tremori che gli attanagliavano il corpo diminuirono, ed il suo respirò si
appianò. Dopo un po’ Strawberry lo accarezzò gentilmente, mormorando il suo
nome, e confermando che effettivamente si era addormentato. Si accorse che la
sua pelle era più calda. Non calda come sarebbe dovuta essere, ma decisamente in
miglioramento. Con un leggero sospiro, decise che tutto sommato andava bene
lasciarlo dormire.
Avendo finalmente
guadagnato un po’ di sollievo, Strawberry si abbandonò a vaghi pensieri,
scavando rapidamente in quelli con cui aveva gareggiato nelle ultime poche ore.
Quelle voci familiari cominciarono velocemente ad emettere i loro
rimproveri:
Questo non è
Mark!
Ghish è un nemico!
Lui sta per… farà… può….
Lo stai
abbracciando. Lo stai effettivamente toccando! Come
puoi?
Ma questa volta,
oh, se si fosse tenuta di più in allarme, se non avesse nuotato nella fatica ed
in quel benedetto sollievo, si sarebbe accorta che quei pensieri erano persi in
una tenerezza che risuonava ad ogni battito del suo cuore. Erano comunque
strangolati dal quel corpo accoccolato contro il suo, dall’innegabile bisogno
che lui aveva di lei, dall’inevitabile sensazione di pace che quel momento
ispirava, la pace in cui si crogiolava, pur non riconoscendola dal momento che
le instillava dentro una profonda calma.
I pensieri
svanirono nel silenzio, rimpiazzati da una dolce spossatezza che costrinse gli
occhi di Strawberry a chiudersi. L’ultimo suo pensiero prima di essere catturata
dalle braccia del sonno in attesa fu uno confuso.
Cosa sto facendo?
La sua presenza fu
comunque di breve durata: mentre Strawberry scivolava via, un braccio attorno a
Ghish, l’altro posato sui suoi capelli, il pensiero scomparve nel reame di più tardi, più tardi…. E si dissolse
definitivamente con un assonnato
Non ha
importanza..
FINE DEL
CAPITOLO
Non
so voi, ma io consiglierei un buono psicologo a Strawberry. Mamma mia, è stata
una faticaccia tradurre questo capitolo.
Spero
di riuscire a tradurne un altro abbastanza presto, ma stavolta non vi prometto
nulla.
A
presto
Bebbe5
|
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Capitolo 11 *** Lo prometto ***
Note
dell’autrice: eccomi ritornata, avete visto? Dopo un mese esatto, meglio di uno
svizzero. Grazie per le continue recensioni. Anche l’autrice vi ringrazia di
tutto cuore per i complimenti.
Cominciamo
subito, vi va?
ANGOLO
DELLE RECENSIONI:
YURI5:
Beh, io non l’avrei definito hot. In inglese si direbbe, credo, hurt/comfort. Io
l’ho trovato molto dolce più che altro. In più, come hai notato, ci sono i
continui commenti di Strawberry che spostano un po’
l’attenzione.
ANNINA94:
Beh, per quanto anch’io appartenga al club: “facciamo sparire Mark, il mondo
sarà un posto migliore”, non posso non capire Strawberry. Non dev’essere facile
essere così combattuti tra due uomini completamente diversi. Comunque, ce la
farà alla fine a rendersene conto?
BILU_EMO:
Sai che anch’io avevo pensato ad un lavoro da traduttrice? Può darsi che lo
farò, almeno inizialmente, poi vorrei fare filologia. Non importa sei commenti
s0no corti, mi fa piacere che tu ti faccia sentire.
11STELLINA11:
Beh, che dire? Grazie. Lo farò sapere all’autrice che la storia ti piace.
SABRIEL:
Grazie per i complimenti, sono contenta che la storia ti piaccia. La storia,
purtroppo, non è mia, ma di una bravissima autrice chiamata cruelfeline. Io sto
solo traducendo la sua storia per questo sito.
TYTY:
Sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto. Avevo paura di averlo tradotto
non troppo bene o di averti delusa. Effettivamente qui non ho capito molto
Strawberry: va bene, ok, è fidanzata con Mark, ma se anche io fossi fidanzata e
mi capitasse Orlando Bloom o Jared Leto, feriti davanti alla porta di casa
ecco…. Potrei non rispondere delle mie azioni.
DOLL93:
Beh, sì, Strawberry ci ha impiegato un po’. Spero di non aver ritardato troppo.
Grazie per il commento.
Che
dire? Grazie a tutte voi per il continuo sostegno e per i complimenti.
Probabilmente, se non ci foste state voi, non avrei tradotto questa
storia.
Buona
lettura
Capitolo
10
Quando
gli occhi di Ghish si aprirono, la sua visuale offuscata non gli disse nulla
circa l’ambiente in cui si trovava: anche la sua mente in stato confusionale lo
aiutò poco. Per pochi istanti, rimase sdraiato in stato di semi-coscienza,
chiedendosi dove fosse e a cosa fosse appoggiato. Era morbido, caldo e, mentre
recuperava possesso di sé stesso, si accorse che aveva un dolce e tenero profumo
che lo portò raggomitolarsi ancora di più contro quella
cosa.
Mentre
faceva quel piccolo movimento, si rese conto che c’era un braccio attorno a lui,
e che c’era un dolce peso posato sulla sua testa. Muovendosi ancora un po’,
sirene conto che quel peso era quello di una mano e che le sue dita erano
intrecciate nei suoi capelli. A seguire tutto questo ci fu una fitta al petto
che gli ricordò gli eventi delle ultime due settimane. Per alcuni secondi si
fermò ad assimilare quell’informazione, con il cervello che andava dolorosamente
piano una volta liberato dal torpore, prima di finire con il chiedersi a cosa
fosse appoggiato esattamente.
O
chi, in effetti, per questa… questa...
Il nome gli giunse sia come una grossa
sorpresa, che come un dono ben accetto.
Strawberry.
I
suoi occhi si focalizzarono sul volto di lei, sulle sue lunghe e delicate
ciglia, sulle ciocche disordinate di capelli color fragola che le ricadevano
sulla fronte, mentre lei dormiva beatamente. Trascorse un minuto durante il
quale lui rimase paralizzato, in parte a completamente confuso per via della sua
posizione, ma soprattutto, perché non la voleva svegliare.
Che
momento… non avrebbe potuto immaginare, nelle sue più sfrenate fantasie,
un’immagine più perfetta, una sensazione più beata di questa.
Per
tanto… per così tanto… aveva sperato che questo accadesse per così tanto: ogni
volta che la vedeva, sognava di avere una possibilità del genere, la possibilità
di stare semplicemente insieme a lei. Era qualcosa che, sapeva, lei non avrebbe
mai compreso: le sue azioni verso della mew gatto erano sempre così maliziose o
crudeli. Era possessivo e lo sapeva. Era in qualche modo tirannico e sapeva
anche questo, ma non poteva cambiare il suo cuore e nemmeno il fatto che lei lo
poteva appena immaginare.
Poteva
appena immaginare la beatitudine di un momento come quello, quanto lui avesse
desiderato un cosa del genere ogni volta che aveva sentito la sua presenza,
sentito la sua voce, visto i suoi occhi brillanti….
Era
sempre andata male: la sua natura aveva distorto tutto. Aveva sempre fallito. Ma
ora.. ora… se solo fosse riuscito a non svegliarla… se solo avesse permesso al
sonno di regnare, forse il sogno non sarebbe finito.
Erano
questi i suoi pensieri, mentre guardava Strawberry dormire, mentre si avvicinava
a lei, sempre più vicino alle sue dolci, soffici labbra. Un bacio.. un unico
bacio e tutto sarebbe stato perfetto. Un bacio e si sarebbe lasciato andare al
sonno, sperando con tutto sé stesso che il sonno preservasse quel
momento.
Quel
prezioso bacio gli fu sottratto da un improvviso, irritante pizzicore alla gola
e da un terribile dolore lancinante che gli andava dalla spalla al petto,
costringendolo a ritrarsi bruscamente nello stupore più totale, prima che il
pizzicore si trasformasse in una tosse irregolare, che scosse violentemente il
suo corpo magro.
Avrebbe
imprecato per la frustrazione, se quell’improvvisa agonia fisica non fosse stata
così forte. La tosse gli tolse il respiro, e, non fosse stato per questo,
avrebbe gridato per il tremendo dolore che provava al lato sinistro del petto.
Se ne fosse stato capace, avrebbe imprecato non solo per aver perso il bacio, ma
anche perché l’attacco di tosse aveva svegliato
Strawberry.
Il
momento di beata inconsapevolezza della ragazza fu drammaticamente più breve di
quello di Ghish: in un lampo, si ricordò di dove si trovava, con chi si trovava
e cosa era accaduto. Un millisecondo più tardi prese coscienza di cosa l’aveva
svegliata e non perse tempo nel tentare di aiutare l’alieno.
“Ghish.”
Mormorò il suo nome con voce dolce, leggermente insonnolita e segnata da una
vena di preoccupazione, mentre cominciava a dare dei colpetti sulla schiena
dell’alieno, cercando di farlo smettere. Dopo pochi attimi, la sua azione si
rivelò inutile: la gelida soglia del panico cominciò a penetrarle l’animo e lei
si sedette, afferrando il ragazzo per le spalle e tenendolo su insieme a lei,
fino a che la tosse si placò, lasciando Ghish a respirare affannosamente, con
debolezza.
Entrambi
erano del tutto svegli, ed entrambi si accorsero con la stessa pugnalata di
terrore che la situazione era peggiorata nottetempo. L’espressione di Strawberry
mutò da assonnata a tremendamente preoccupata, mentre osservava bene
l’alieno.
Era
più pallido del normale, anche rispetto a quelli della sua razza, ma le sue
guance erano arrossate. Gli occhi erano stranamente lucidi ed un velo di sudore
brillava sulla fronte. Mentre lui riprendeva lentamente il controllo sul suo
respiro, si accorse di sentirsi debole e leggermente infreddolito, nonostante il
calore che Strawberry aveva creato nel letto. La cosa peggiore di tutte era il
bruciore nella gola, intensificatosi dopo l’attacco di tosse, che, Ghish
comprese improvvisamente, non sarebbe stato l’ultimo. Del tutto sveglio, si
accorse di stare malissimo.
Ciò
gli fece desiderare ancora di più la dolce e tranquilla estasi di pochi istanti
prima.
Quel
nostalgico pensiero fu interrotto dalla voce di
Strawberry.
“Resta
fermo Ghish, ok?” Senza attendere una risposta, la ragazza si avvicinò e mise
dolcemente una mano sulla fronte dell’alieno: la preoccupazione le dipinse il
volto quando le sue paure divennero realtà.
Per
forza era febbricitante, cos’altro poteva aspettarsi dopo tutto quello che era
accaduto? L’avrebbe dovuto attendere dalla notte in cui lui le era apparso (la
sua normale divisa poteva difficilmente essere definita appropriata per stare in
una tempesta di neve), e probabilmente l’eventualità era diventata certezza nel
momento in cui lui aveva lasciato la casa ed aveva passato una mezz’ora circa
nella neve, già indebolito dall’esposizione precedente.
Tuttavia,
nonostante questa fosse una diagnosi attesa, il cuore di Strawberry sprofondò
mentre lei guardava il ragazzo tremante, ed un improvviso spasimo di tenerezza
la colpì.
Lo
respinse dolcemente sul letto, togliendosi le lenzuola di dosso nel farlo.
Mentre lisciava le coperte intorno a lui, fu alquanto sorpresa al sentire
accenni di lacrime negli occhi.
Tutto
è peggiorato. Cosa dovrei fare ora? Non so come
curarlo…
Fu
anche più sorpresa quando lui le parlò con quella voce roca, debole, eppure con
ancora una traccia della sua usuale scaltrezza.
“Te
ne vai di già?”
Lei
abbassò lo sguardo su di lui, sorpresa, quasi ponderando se doverlo sgridare per
quello che sembrava essere un altro dei suoi commenti osceni, ma una semplice
occhiata al suo volto la distolse da quel pensiero.
Il
suo sorrisetto era lì, esangue, ma c’era. I suoi occhi trattenevano quella
familiare scintilla, seppure offuscata dal dolore, dalla debolezza, perfino
dalla paura.
Cosa
ancora più intrigante, trattenevano… forse era la sua immaginazione…
preoccupazione?
All’inizio,
tale nozione le parve ridicola, eppure all’improvviso, si ricordò di alcuni
momenti, di alcune volte in cui i suoi occhi erano stati diversi. Come quella
notte in cui il chimero tapiro aveva quasi sconfitto le Mew Mew. La notte in cui
tutto era cominciato. Quella notte…. Non era totalmente sicura di cosa fosse
accaduto quella notte, ma si ricordava quello stesso sguardo nei suoi occhi. Si
ricordò di come l’avesse confusa, quasi spaventata, di come le avesse fatto
perdere la presa su Ghish, facendolo scivolare a terra.
Strawberry
sapeva, senza ombra di dubbio, che non poteva permettere che la
cosa
si
ripetesse. Non importava cosa era successo in passato, ora doveva comportarsi in
modo diverso.
Invece
del rimbrotto che il commento dell’alieno avrebbe dovuto suscitare, lei rispose
con un sorriso, pieno di tutta la rassicurazione che poteva raccogliere nel suo
stato ansioso.
“Vado
a prendere un termometro, ok? Torno subito.”
Di
nuovo, con sua grande sorpresa, lui non aveva nulla da dire. Si appoggiò al
cuscino, con una leggera tosse che lo scuoteva, mentre lei usciva dalla
stanza.
Mentre
frugava nell’armadietto dei medicinali, Strawberry si morse le labbra, con le
mani che le tremavano ed un gelido panico minacciava di lacerarle la mente. Come
avrebbe superato questo, ora? Era stato diverso quando si trattava solo di una
ferita. Certo, una ferita profonda, ma pochi giorni a letto gli avrebbero
consentito di recuperare abbastanza forza da essere in grado di curarsi da
solo.
Ora..
ora era tutto così infinitamente peggiorato, e l’aspetto più terribile di questo
(e lei provò dolore fisico quando si accorse di questo) era che era tutto,
innegabilmente, accaduto per colpa sua. Era stato per la sua asprezza ed
insensibilità che lui si era ammalato così velocemente, era colpa sua se ora si
trovava ad affrontare una situazione che non sapeva come
gestire.
Tutti
questi pensieri le occupavano la mente, mentre usciva dal bagno con un
termometro in mano. Mentre camminava lungo il corridoio, un’ altra serie di
pensieri la invase.
Hai
appena dormito con Ghish.
Strinse
i denti, frustrata dal fatto che questo avrebbe dovuto aspettare, infastidita
perché avrebbe dovuto incontrare il ragazzo alieno con questi pensieri che le
correvano pericolosamente per la mente, vicini ai suoi pensieri normali. Quanto
disperatamente voleva risolvere quella situazione! Eppure… forse era meglio se
non lo faceva. Non ancora. In qualche modo, sapeva che il risultato sarebbe
potuto non essere quello che lei si aspettava. In qualche modo sapeva che più
tardi lo faceva, meglio era.
Eppure,
questo non fermava quelle farfalle di dubbio dal fare la loro tipica danza nel
suo stomaco.
Ritornò
al letto, togliendo il termometro dal suo astuccio prima di accomodarsi sulla
sedia della sua scrivania accanto a Ghish, tenendo il termometro davanti a
lui.
“Questo
è un termometro. Misura la temperatura del tuo corpo. Dovrai tenero sotto la
lingua per un po’ ok?” Attese per alcuni secondi, chiedendosi se avrebbe fatto
il difficile, ma lui annuì semplicemente (internamente, lei stava soffrendo per
il terribile pallore del suo viso), aprì la bocca per permetterle di far
scivolare il termometro sotto la sua lingua.
L’oggetto
era elettrico e quindi ci mise pochi secondi per registrare la temperatura. Lei
lo tolse e lo lesse. Trentanove gradi Celsius. Dopo averlo fissato per alcuni
istanti, si rese conto di non conoscere di fatto la normale temperatura di un
corpo alieno. Arrossendo leggermente all’inaspettato attacco della sua
fastidiosa, abituale lentezza mentale (1), si schiarì nervosamente la gola prima
di chiedere:
“Qual’è
la tua normale temperatura corporea? Nei nostri gradi?”
A
causa del silenzio che seguì, lei pensò che la domanda fosse troppo complicata
per lui, mentre si trovava in quello stato e stava per interrompere il suo
pensare quando lui mormorò:
“Trentacinque.”
Trentacinque.
Trentanove e trentacinque… questo… questo è brutto.
“Stai…
stai male Ghish” Uh, bene, stupida.
Si pentì nel momento in cui lo disse e lei non era di certo l’unica ad aver
percepito la stupidità di quel momento.
“Avrei
potuto dirtelo anch’io gat..” fu interrotto da un altro attacco di tosse, e la
vergogna di Strawberry svanì, quando lei vide il dolore tornare sul volto di
Ghish. Avrebbe potuto attendere finché non si fosse fermato, ma gli mise una
mano sulla testa, accarezzandogli inconsciamente i capelli mentre l’episodio
terminava. La sua preoccupazione si intensificò ulteriormente quando si accorse
che l’aveva indebolito tanto da non fargli terminare la battuta. Giacque
tremando leggermente sotto la mano di lei, respirando lentamente ed un po’
troppo flebilmente per i gusti della ragazza. Lei si morse il labbro di nuovo.
In qualche angolo della sua mente si chiese persino se, alla fine, mordendosi il
labbro, avrebbe sentito il sapore del sangue.
Senza
distogliere lo sguardo dal ragazzo pensò a cosa poter fare. Si chiese… forse le
medicine umane avrebbero funzionato per gli alieni? Poteva almeno provarci,
finché non si trattava di veleno. Anche un po’ di cibo non sarebbe stata una
brutta idea. Un po’ di zuppa in più avrebbe funzionato. E doveva ancora cambiare
quelle bende. Dio sapeva che in quel momento la ferita si era sicuramente
riaperta, dopo quella tosse lacerante.
Tutto
questo le passò per la mente, mentre lei continuava ad accarezzargli i capelli
con aria assente. L’altra mano rassettava le lenzuola. Se fosse stata più
presente, meno immersa in quei pensieri e nell’ansia, avrebbe potuto vedere che,
quasi ripresosi dall’attacco, Ghish la guardava con un’espressione di curiosa
soddisfazione sulla sua faccia arrossata. Lei non era presente, quindi disse
senza notarlo:
“Vado
a prendere qualche medicina.” Ora, comunque, notò un’improvvisa scintilla di…
cosa?.. Scontento? Sordo terrore? Qualsiasi cosa fosse, lei capì che… lui non
voleva che se ne andasse. Sapeva anche che questo non proveniva dalla sua
normale possessività. Improvvisamente si accorse ancora di più della liquida
paura nei suoi occhi, e la sua espressione preoccupata si addolcì di più. Un
sorriso rassicurante le stirò le labbra.
“Tornerò
presto. Vado solo giù nell’atrio, ok?” Lasciò che la sua mano si fermasse sulla
fronte dell’alieno. Si alzò ma i suoi occhi rimasero su di lui, il suo sorriso
non tremò, mentre il bisogno di confortarlo scacciava i suoi dubbi con una forza
che l’avrebbe stupita se se ne fosse accorta.
“Lo
prometto.”
Se
avesse fatto attenzione, si sarebbe resa conto che quelle due semplici parole
implicavano molto più che un semplice viaggietto
nell’atrio.
Come
al solito, non lo fece, ma questo non impedì alla frase di dare un conforto più
che necessario a Ghish, che si rilassò mentre la mano di lei correva attraverso
i suoi capelli un’ultima volta prima che la ragazza se ne
andasse.
FINE
DEL CAPITOLO.
(1)
ora
capisco molte cose.
Ahia,
ecco un’altra complicazione? E adesso che ci si è messa anche la febbre, ce la
farà Ghish a sopravvivere?
Seguite
i prossimi capitoli per scoprirlo.
A
presto
Bebbe5
|
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Capitolo 12 *** Note dell'autrice ***
Note
dell’autrice: salve a tutti. Purtroppo questo non è un aggiornamento, ma una
comunicazione che mi premeva farvi. Vi chiedo di perdonarmi in anticipo se non
aggiornerò per un po’ di tempo, ma mi è stato chiesto di terminare in fretta il
racconto su Sherlock Holmes che sto scrivendo, “L’incredibile vicenda del vapore
Friesland”. Per un po’ i miei sforzi si concentreranno esclusivamente su questo,
quindi vi chiedo scusa di nuovo se l’aggiornamento tarderà ad
arrivare.
Grazie a
tutti coloro che seguono la storia e che lasciano dei
commenti.
Bebbe5
|
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Capitolo 13 *** Penso che.... ***
Note
dell’autrice: ecco, finalmente riesco ad aggiornare. Perdonatemi per il ritardo,
ma vi avevo avvertito di quella cosa che dovevo fare urgentemente. Ci tengo a
precisare per l’ennesima volta che la fiction non è mia, ma di
cruelfeline. Scusate se batto ancora su questo punto ma mi sono resa conto, da
alcune delle vostre recensioni, che ancora non era molto chiara questa cosa
(Confessate: quanti di voi hanno letto le Note dell’autrice nel primissimo
capitolo?). Beh, passiamo a:
L’ANGOLO
DELLE RECENSIONI:
ANNINA94:
Ah, non essere tanto sicura che si salvi così facilmente. Ce ne sono ancora di
capitoli, vedrai, vedrai. Ti dirò, ero già pronta a protestare che la storia non
è mia, ma ci hai già pensato tu a correggerti: Brava, brava, l’idea mi piace,
sì.
YURI5:
Concordo, Strawberry pensa troppo a Mark anche in situazioni critiche come
questa.
MADAMA
KOKORO: Sono contenta che la fiction ti piaccia. Come ho precisato all’inizio,
la storia non è mia, perciò non posso farci molto quando trovo delle parentesi
che, anche a me, sconfifferano poco. Vabbè, nel caso di discorsi che in italiano
vengono obbrobriosi, chiaro che apporto qualche modifica, ma non posso mica
cambiare tutta la storia.
DOLL93:
Bene, sono contenta che la storia ti piaccia e spero di non averti fatto stare
troppo sulle spine.
MISS
GIULIETTA: Credimi, penso che buona parte delle lettrici se lo sia chiesto,
perché non c’è lei al posto di Straw intendo. Sì, Ghish è ridotto proprio
maluccio, riuscirà a migliorare?
BILU_EMO:
Sì, nell’ultimo capitolo Ghish ha mostrato la parte migliore di sé. Ti capisco
sai, quando mi dici che la scrittrice è brava ma troppo puntigliosa. Tu però hai
solo letto il risultato, pensa a me che lo devo tradurre e cercare di
alleggerire un po’ (vengono discorsi davvero troppo
pleonastici).
TYTY:
Sì, ci sono alcuni passi davvero dolci nel capitolo. Come ho già detto, anche secondo me era un po’ ripetitivo,
ma, purtroppo, ci posso fare poco. L’autrice non sono io.
ASIAGIULY:
Come ho già detto e non mi stancherò mai di ripetere, i ringraziamenti devono
andare alla vera autrice. Sono felice che la storia ti piaccia e spero che tu
continui a seguirla.
TAKARI94:
Ti ringrazio per gli incoraggiamenti e non temere: accada quel che accada, non
lascio una storia a metà. Piuttosto faccio uno sforzo o chiedo a qualcuno di
completarla per me.
ILARY_CHAN:
Non lascerei mai a metà una delle mie storie, sarebbe una ferita nel mio
orgoglio. Mi spiace di averti fatto aspettare così tanto, ma questo capitolo,
come vedrai, era lunghissimo e, tra impegni e robe varie, spesso la voglia era
sotto le scarpe. Spero che tu comprenda.
AKLY:
Grazie mille per i complimenti. Senza di quelli sarebbe molto più arduo
procedere. Grazie grazie grazie.
SIRETTA:
Ancora una volta, la fiction non è mia (sigh), ma di una bravissima autrice, il
cui nome si può leggere nel primissimo capitolo della storia. Grazie comunque
per i complimenti.
Buona
lettura.
Spero
di non essermi dimenticata nessuno: se così fosse fatemi un fischio
eh?
Grazie
a tutte per i commenti e per i complimenti che mi lasciate. Grazie anche per le
segnalazioni critiche che, penso sia giusto, farò avere alla scrittrice quanto
prima.
BUONA
LETTURA
Capitolo
12
Strawberry
era abituata a destreggiarsi in situazioni difficili e quella non era certo
un’eccezione. Frugava nell’armadietto dei medicinali, controllando
freneticamente le etichette di ogni bottiglietta che le capitava tra le
mani.
“Lesse….
Tylenol…. Questo potrebbe essere utile. Motrin? Non è la stesso… oh, ma è per
bambini. Ehm….”
Emise un
brontolio di frustrazione. “Perché dobbiamo averne così tante di queste cose?”
Era troppo chiedere di trovare una bottiglietta con su scritto “io curerò la
febbre?” Fissò l’impressionante collezione di medicinali, che variavano
dall’ibuprofene all’acido salicilico, ed i palmi delle sue mani cominciarono a
dolere quando le unghie vi si conficcarono dentro.
Ok.
Calma. Devo calmarmi. Questo non mi sta aiutando.
Respirando
a fondo, la ragazza chiuse gli occhi, cercando di fare ordine nei suoi pensieri.
Quasi immediatamente, accadde l’esatto opposto, quando si accorse di alcune
lacrime che minacciavano di caderle lungo le guance. Mise giù una delle
bottigliette e si asciugò gli occhi, ma era troppo tardi. Una volta che una sola
lacrima era uscita, ogni tentativo di frenare le altre si rivelava futile.
Incapace di controllare le sensazioni che si erano instaurate in lei nel tempo,
chinò la testa e cominciò a piangere.
E se lui
muore? E se lui muore ed è tutta colpa mia? E’ venuto da me, da me,
pensando che avrei potuto aiutarlo,
quando nessun altro l’avrebbe fatto, ed io ho…ho..
Eruppe
in singhiozzi, portandosi una mano alla bocca, conscia all’improvviso di non
volere che lui la sentisse.
Sta
soffrendo ed è tutta… tutta colpa mia… come posso essere stata così
stupida?
Non avrei dovuto gridargli contro. Non
avrei dovuto nemmeno invitare Mark ad entrare. Come posso essere stata così
idiota?
E’
venuto da me… è venuto da me in quello stato perché…
perché…
Perché
aveva scelto lei invece della sua missione. Aveva… aveva scelto di salvarle la
vita. Tutte le loro vite.
Aveva
sempre detto di volerla, di amarla.
Un
pensiero improvviso le venne in mente, il rude e scioccante gemello di uno
schiaffo sul viso.
E se…
non ci aveva mai pensato, non si era mai confrontata con una situazione che le
permetteva, o la costringeva di analizzare il tutto con attenzione… lui avesse
davvero detto ciò che pensava?
E se non
fosse stato possessivo solo per suo interesse personale?
Di
nuovo, quella battaglia, quegli occhi, quella voce disperata le passarono
davanti agli occhi. Le lacrime si fermarono quando vide il suo riflesso nello
specchio.
E se
quando lui diceva di amarla… se lui…
Scosse
la testa e si asciugò le lacrime. Devo
tornare di là.
Raccolse
le bottigliette tra le braccia e si affrettò ad andare nella sua stanza, sempre
cercando di ignorare l’ironia con cui l’urgenza della situazione, l’aiutava ad
evitare un molto più delicato argomento. Non appena ebbe posato i flaconcini sul
suo comodino ed ebbe preso posto accanto al letto, fu in grado di dimenticare
temporaneamente quei pensieri.
Temporaneamente.
Sempre
temporaneamente.
Cosa
sarebbe accaduto quando non ci fosse stato nulla a distrarla, nessuna
salvezza?
Di
nuovo, scosse fermamente la testa, avvicinandosi all’alieno e posando una mano
sulla fronte dell’alieno. I suoi occhi, chiusi quando lei era entrata, si
aprirono lentamente e si fissarono su di lei.
Lei
pregò, improvvisamente nervosa, affinché non si accorgesse che aveva pianto. Non
voleva renderlo più ansioso. Gli donò quello che sperava fosse uno spensierato,
confortante sorriso. Lui non disse niente, ma lei non sapeva se fosse perché non
se n’era davvero accorto, era troppo debole o non la voleva preoccupare. Grata e
provando un po’ di sollievo, non se ne curò più di tanto.
“Dovrai
sederti, ok? E dovrai anche dirmi se puoi prendere queste medicine o
no.”
Il
ragazzo ubbidì, sollevandosi lentamente sui gomiti, mettendosi con cautela in
una posizione seduta mentre lei guardava, pronta a sostenerlo in caso avesse
vacillato. La tensione dentro di lei si allentò un po’, non appena lui si
appoggiò alla testata del letto, all’apparenza molto stanco, ma anche del tutto
lucido.
Le aveva
perfino sorriso debolmente, anche se solo per un istante. Una tremenda tosse lo
colpì e lei si ricordò di botto dei suoi doveri.
“Questi
sono per la tosse. Sono tutti fatti con Ibuprofene. Sai se…?” si interruppe, con
gli occhi che si fissavano imploranti in quelli di Ghish, mentre aspettava
quella che sperava sarebbe stata una risposta positiva. La sua ansia era così
crudele che, al momento, non voleva nemmeno una risposta. E se fosse stata
negativa?
Prendendo
alcuni respiri stabilizzanti dopo il maleficio della tosse, Ghish chiuse gli
occhi, pensando, sentendo i prosciuganti effetti della malattia anche dopo il
lungo sonno da cui si era appena svegliato.
“Non lo
so” borbottò, cosciente tutto d’un colpo di una paralizzante spossatezza. Le
voleva rispondere, sentiva la sua terribile apprensione, ma poteva concentrarsi
su essa in un remoto angolo della sua mente: era semplicemente troppo esausto,
troppo malato per pensare a dovere.
La
risposta fu tutto tranne ciò che Strawberry aveva sperato. Strinse i pungi, la
gola le si serrò, mentre lei si preparava a liberare i suoi nervi sul ragazzo in
uno scoppio di rabbia. Questa volta riuscì a trattenersi, sbarrando gli occhi in
una sorta di vergognoso shock, mordendosi il labbro con i denti, nel disperato
tentativo di calmarsi.
Ma certo
che non lo sa: è un alieno. E anche se lo sapesse a cose normali, non potrebbe
ricordarselo ora… riesce a malapena a stare sveglio.
E
adesso? Poteva rischiare? Dargli le pasticche e sperare che
funzionassero?
Per un
momento, effettivamente, ponderò la cosa, avvicinandosi per prendere la boccetta
di Tylenol.
L’attimo
successivo si tirò un sonoro schiaffo mentale.
Quel
genere di rischio era pura stupidità.
Aveva
già compiuto degli errori. La situazione era già peggiorata a causa sua.
Lasciare ancora spazio all’errore sarebbe stato
un’idiozia.
Anche
così, il verdetto finale riuscì a portare soltanto un’ondata di disperazione in
lei. Chinò la testa, mentre le unghie le si conficcavano nei palmi delle mani,
mentre cercava di chiarirsi le idee. Un minuto dopo, si alzò, assicurò a Ghish
che sarebbe tornata subito ed andò a prendere una tinozza d’acqua fredda ed un
asciugamano dal bagno.
Una
volta ritornata, disse al ragazzo di sdraiarsi e mise con attenzione la pezza
bagnata sulla sua fronte, illuminandosi quando lui emise un gemito di piacere al
sentirne la temperatura: forse questo sarebbe bastato? Lo guardò chiudere gli
occhi prima di mormorare un leggero: “Grazie micetta” e
sonnecchiare.
Senza
nulla da fare tranne preoccuparsi, Strawberry tentò nuovamente di dedicarsi ai
suoi compiti di matematica. Dopo un’ora si fermò e, con un sospiro esasperato,
mise da parte i problemi irrisolti per andare a cambiare l’asciugamano. Non
appena si fu chinata per esaminare il ragazzo, il suo volto si adombrò: un
pugnale di gelido terrore la colpì al cuore. Era chiaro come il sole che la
febbre non era scesa, anzi, probabilmente il vivo rossore sulle sue guance ed i
respiri affannati suggerivano un innalzamento della
temperatura.
Per un
attimo, mentre cambiava il panno meccanicamente, si sentì di nuovo sull’orlo
delle lacrime.
Doveva
fare qualcosa, ma cosa? Se le medicine non funzionavano, allora
cosa…?
Un’idea la colpì così
bruscamente che per poco non lasciò cadere l’asciugamano. Immediatamente, un
leggero rossore le colorò le guance:
No, no,
no, non devo comportarmi così… lo devo fare….
Sforzandosi
esattamente come aveva fatto prima di prendere Ghish tra le braccia, si decise a
procedere con l’unico piano a cui era riuscita a pensare. Tutto ciò che restava
da fare era svegliare il ragazzo e sperare che riuscisse ad affrontare il
tragitto verso il bagno.
“Ghish,
Ghish, svegliati.” Lo scosse con cautela, temendo di procurargli ulteriore
disagio, fino a che i suoi occhi si aprirono. Impiegò qualche istante per
mettere a fuoco il volto della ragazza e, quando ci riuscì, disse con un roco e
quanto mai infastidito: “Cosa?” Se la situazione non fosse stata così critica,
l’irritazione nella sua voce a causa del brusco risveglio, avrebbe potuto
divertirla. Dal momento che invece lo era, Strawberry rispose
semplicemente:
“Devi
svegliarti, ti…”
Fu
interrotta da un colpo di tosse e da un implorante: “Sono troppo stanco.”
Deglutendo tanto l’impazienza quanto l’ansia, lei lo spronò
dolcemente.
“Dobbiamo
far scendere la tua febbre Ghish.”
L’urgenza
nella sua voce dove averlo raggiunto, perché cominciò a sollevarsi in una
posizione seduta. Questa volta, però, per poco non ricadde indietro, solo per
essere afferrato da Strawberry. Questo fatto confermò i timori della ragazza. Si
stava indebolendo.
Allontanando
quel terribile pensiero, lo aiutò a sedersi, scostò le coperte ed attese che lui
portasse le gambe oltre la sponda del letto, prima di aiutarlo ad alzarsi sulle
sue gambe tremanti. Per un attimo perse quasi l’equilibrio, quando l’alieno fece
ricadere la maggior parte del suo peso su di lei. Dopo aver ritrovato la
stabilità, cominciò a fare i primi passi in avanti, incoraggiandolo con dolci
mormorii, mentre percorrevano il corridoio, appoggiandosi al muro ogni qualvolta
lui veniva preso dai colpi di tosse. Alla fine, raggiunsero il bagno. Ghish si
appoggiò a Strawberry, mentre lei apriva l’armadietto e ne traeva fuori uno
sgabellino, lasciandolo cadere sul pavimento e dandogli un calcio in modo che
fosse accanto alla vasca. Fatto ciò, lasciò che lui ci si sedesse sopra,
facendolo appoggiare con delicatezza alla vasca di porcellana mentre lei si
procurava degli asciugamano, li inzuppava di acqua fredda e poi, pensandoci su
un secondo, prendeva anche un altro po’ di bende prima di sedersi e cominciare
ad agire.
Sapeva
già che fargli un bagno completo sarebbe stato impossibile: i suoi sensi
femminili avevano già distrutto questa possibilità. Anche se questi sensi
fossero stati inesistenti, era chiaro che spogliare e rivestire il povero
ragazzo in quelle condizioni sarebbe stato alquanto difficile e molto stancante
per entrambi.
Strawberry
poteva comunque rinfrescarlo, lavando almeno la parte superiore del corpo. Le
dava anche la possibilità di cambiare finalmente le bende.
Prendendo
un respiro per calmarsi, si mise a lavorare.
La
reazione iniziale di Ghish fu rimanere di colpo senza fiato per la sensazione
dell’acqua gelida sul corpo, e Strawberry non poté trattenersi dal mettergli una
mano rassicurante sulla spalla, mentre premeva l’asciugamano sulla sua
pelle.
“E’
freddo” mormorò l’alieno e la giovane rispose con un cenno d’assenso, e con una
voce tremante per l’ansiosa volontà di scusarsi “Lo so. Lo so, Ghish, ma è per
la tua febbre.”
Le
ultime parole sfociarono in un sussurro, mentre lei si mordeva le labbra,
tentando di trattenere le lacrime che minacciavano di uscire. Faceva male, si
accorse. Faceva male vederlo così, sentire i tremiti percorrergli il corpo, il
calore della pelle, il doloroso raschiare dei suoi respiri che gli scuoteva il
petto. Faceva terribilmente male, perché sapeva che ciò che stava vedendo e
sentendo non era assolutamente nulla comparato alla sofferenza che lui doveva
stare attraversando.
La fece
quasi spuntare nuove lacrime, e tutto ciò che riuscì a fare fu combatterle
nuovamente e cercare di proseguire il più delicatamente possibile con le sue
cure.
Mentre
si occupava della schiena, l’alieno fu colto da un altro accesso di tosse e,
alla fine di questo, non riuscì più a tenersi seduto diritto. Dovette
appoggiarsi completamente alla vasca, e Strawberry ebbe un brivido quando lui
tremò per la perpetua freddezza della porcellana. Senza il benché minimo
dubbioso pensiero, lo tirò gentilmente a sé, permettendogli di appoggiarsi a
lei.
Continuò
con la parte davanti, tamponando con cautela intorno ai bordi delle bende prima
di decidersi che, infine, era arrivato il momento di cambiarle. Mentre lui le
stava ancora appoggiato addosso, cominciò a sfare il nodo che le teneva legate.
Un lieve ma brusco inspirare da parte dell’alieno, un segnale che lei aveva
sfiorato la zona ferita, la costrinse a fermarsi per un momento, mentre con un
braccio circondava la sua vita, facendolo spostare in modo che la testa si
posasse sulla spalla di lei.
“Va
tutto bene Ghish, solo un altro po’, ok?” Lui rispose con un debole cenno della
testa, e lei appoggiò la guancia sui suoi capelli aggrovigliati, dandogli una
stretta rassicurante con un braccio, mentre terminava di sfasciarlo con l’altro.
Quando la benda cadde al suolo, la fece involontariamente una smorfia: poco
avrebbe potuto prepararla alla vista della carne terribilmente arrossata che
vide.
Grazie
al cielo vide che, fortunatamente, non si era infettata. Il sollievo la riempì:
almeno quella non era andata storta.
La
sensazione sparì alla stessa velocità con cui era arrivata. Si accorse che, se
voleva che la situazione rimanesse tale, avrebbe dovuto eseguire ciò che, nella
sua mente, equivaleva ad una tortura. Sforzandosi di trattenere i singhiozzi,
con una mano mise dell’antisettico su un asciugamano pulito e, stringendo i
denti, si preparò a premerne un angolo contro la carne arrossata, ma si fermò.
Un simile approccio era senza senso. Ora, un leggero singhiozzo proruppe dalle
sue difese.
“Mi
dispiace Ghish.” Sussurrò in una delle sue lunghe orecchie, stringendo
inconsciamente la presa intorno a lui, premendo la guancia contro la sua testa,
stringendo i denti prima di premere l’asciugamano contro tutta la
ferita.
Niente,
nessun film dell’orrore, nessun dramma ospedaliero, semplicemente nulla, avrebbe
potuto prepararla all’urlo che lui lanciò e nulla avrebbe potuto cancellarlo
dalla sua memoria.
Solo
pochi giorni prima non avrebbe mai creduto che avrebbe fatto ciò che stava per
fare. Si sarebbe fatta beffe di chiunque l’avesse suggerito, si sarebbe persino
offesa
al pensiero.
Tutto
questo le evaporò dalla mente, quando lo sentì agitarsi in agonia e con il suo
urlo rantolante nelle orecchie.
Lasciò
cadere l’asciugamano, avvolgendo entrambe le braccia attorno al giovane alieno,
stringendolo con una ferocia tale da immobilizzarlo. Improvvisamente stava
piangendo, sforzandosi non di trattenere le lacrime, ma per evitare un attacco
isterico.
“Mi
dispiace, mi dispiace tanto Ghish.” Singhiozzò nel suo orecchio, con la voce che
si riduceva in un dolce mormorare il suo nome, mentre lo cullava avanti e
indietro.
Era a
conoscenza di cinque punti doloranti sulla sua coscia: l’alieno vi aveva
affondato le sue unghie, attraversando addirittura il pigiama. In quel momento,
sentendo il suo flebile respiro, i suoi tremiti, lei accolse quel dolore,
abbracciandolo come unico elemento di giustizia in tutta la situazione, desiderò
addirittura, in un delirio isterico, che lui la privasse di un po’ di sangue a
mo’ di pagamento.
Per
quanto rimasero così, Strawberry non sarebbe stata in grado di dirlo.
Probabilmente solo pochi minuti, ma a lei sembrò che fossero passate delle ore,
ore spese ad acquietare i lamenti dell’alieno, mentre il dolore inimmaginabile
scemava, riducendosi ad un sordo malessere al petto, ore prima che lei riuscisse
a riprendersi abbastanza da staccare un braccio per afferrare un asciugamano da
usare sul petto del ragazzo.
Asciugandolo
con attenzione, si congelò per la sorpresa quando la voce di Ghish ruppe il
silenzio.
“Non
devi piangere Strawberry, va tutto bene.”
Lasciò
cadere l’asciugamano totalmente shockata, mentre gli occhi le saettavano verso
quelli dell’alieno e le labbra le si separavano, ma la voce non le uscì. Il
sorrisetto di lui, lo sguardo gentile nei suoi occhi, il modo in cui si
rilassava contro di lei, fidandosi ancora di lei, dopo tutto quello … riuscì a
tenere a malapena le lacrime a bada.
Un
sorriso le sollevò le labbra, un sorriso di gratitudine, di puro sollievo. Gli
portò una mano alla fronte.
“La
febbre è scesa.”
Fu tutto
ciò che riuscì a dirgli in risposta, eppure sembrò soddisfarlo. Annuì, ma
sussultò leggermente e Strawberry si accorse che doveva ancora rifasciare la
ferita. Lo fece con la più grande attenzione, terminando con un nodo stretto, ma
non troppo.
Fatto
questo, scoprì che l’alieno si era quasi addormentato su di lei, e lei lo
risvegliò.
“Non
dormire qui.” Mormorò, lasciando che un po’ di divertito sollievo arricchisse la
sua voce. “dopo a letto.”
Un altro
po’ di peso le abbandonò il petto quando Ghish ridacchiò lievemente per quella
frase che, se si fosse sentito meglio, avrebbe arricchito con un commento più
allusivo. Era un’eco lontana delle sue solite risposte maligne, ma almeno era qualcosa. Era un segno che la malattia
stava regredendo e Strawberry si ritrovò a camminare con un passo più leggero
lungo il tragitto verso la camera da letto, il volto era molto più rilassato
mentre aiutava Ghish a stendersi e gli rimboccava le
coperte.
Sta
meglio. Parla di nuovo e respira con più facilità, la sua pelle non è così calda
e..
I suoi
pensieri la portarono a godersi quel momento di sollievo dopo lo stress del
giorno prima.
Pochi
minuti dopo, era seduta sulla sua sedia, la mente concentrata sugli ultimi
problemi di matematica, mentre Ghish dormiva di nuovo.
La sua
improvvisa felicità era una cosa abbastanza divertente da vedere: uno dei piedi
picchiettava contro la gamba della sedia, lei canticchiava dolcemente, uno
sorriso sfrontato le illuminava il volto, mentre attaccava gli esercizi con
rinnovato vigore.
L’ultima
volta che si era sentita così felice, era stato quando Mark le aveva confessato
il suo amore.
Era una
fortuna che fosse così presa dalla gioia, altrimenti quella considerazione le
avrebbe portato un’ondata di pensieri negativi il cui impatto lei stava cercando
forzatamente di rimandare a più tardi. Più tardi, quando fosse stata sicura che
Ghish non sarebbe morto per causa sua. Più tardi, quando avrebbe saputo cosa
stava combinando lei.
Per ora
era contenta di crogiolarsi nel sollievo che le era stato offerto
dall’abbassamento della febbre di Ghish.
Le ore
passarono. Strawberry chiuse finalmente il suo libro di matematica e lo mise
vicino ad i compiti di inglese e storia prima di decidere che un piccolo
controllo della temperatura dell’alieno non sarebbe stato una cattiva idea. Nel
momento in cui si alzò, però, Ghish interruppe il suo movimento con un attacco
di tosse improvviso, svegliandosi e facendo sobbalzare
lei.
Fece
anche terminare quel senso di pace, perché Strawberry si accorse subito che
qualcosa non andava. La tosse durò per un lasso di tempo sconcertante e, quando
terminò, lei poté vedere chiaramente che l’alieno tremava terribilmente. Il suo
sorriso svanì all’istante, sostituito da un’espressione accigliata con tanto di
labbra strette ed occhi sbarrati e lucidi per la preoccupazione. Sedendosi sul
letto accanto a lui, gli mise una mano sul metto attirando la sua attenzione
prima di parlare.
“Ghish,
stai bene?” Le parole vennero fuori tremanti, spaventate e, per un momento,
Ghish esitò prima di rispondere. Non voleva vederla piangere di nuovo. Lo aveva
infastidito prima, anche nella sua stessa sofferenza, il vedere della lacrime
cadere da quegli occhi così espressivi. La poteva spaventare, far arrabbiare.
Godeva persino della sua espressione sul suo volto, nei suoi bellissimi occhi,
ogni qual volta riusciva nel suo intento. Amava il suo
coraggio.
Ma non
poteva, in nessuna circostanza, vederla piangere.
Poi
esitò, forse avrebbe potuto risponderle con una piccola bugia, se un brivido non
gli avesse attraversato il corpo all’improvviso, facendolo rabbrividire
violentemente davanti agli occhi di lei. Non sarebbe servito a nulla mentire in
quel momento.
“Ho solo
un… un po’ di freddo, micetta.”
Strawberry,
nonostante fosse ritenuta lenta in certe occasioni, comprese immediatamente il
suo atteggiamento. Se la situazione non fosse stata così opprimente, si sarebbe
quasi sentita intrigata. Immediatamente, in qualche lontano angolo della sua
mente, questa informazione fu immagazzinata, in attesa di essere esaminata più
tardi.
Fatto
ciò, si morse il labbro e spostò alcune delle ciocche disordinate di Ghish per
poter sentire la fronte di nuovo e le sue dita incontrarono una pelle
stranamente calda.
La sua
mente si paralizzò.
Di
nuovo… di nuovo… è tornata anche dopo…
Dopo
tutto quello che aveva fatto era tornata. Ebbe.. ebbe voglia di piangere di
nuovo.
“Ghish”
sussurrò ritirando la mano e mettendosela in grembo “io..”
Era ad
un punto morto. Che altro poteva fare? Non aveva una medicina e non poteva farlo
alzare un’altra volta. Il rossore che continuava ad intensificarsi sulle sue
guance, la avvertiva che stava avendo un altro violento attacco di febbre, e non
voleva sfinirlo.
Cosa
allora? Cos’altro poteva fare?
Le sue
unghie scavarono nei palmi delle mani mentre cercava disperatamente un
piano.
Niente.
Assolutamente niente. Non c’era nulla che potesse fare.
Fu
abbastanza per farle nascere un singhiozzo in gola, e lei dovette lottare per
fare in modo che non uscisse. Si rese conto all’improvviso di ciò che aveva
realizzato solo pochi istanti prima, ossia che Ghish non voleva vederla
piangere, e questo ebbe una nuova importanza sulla sua
psiche.
Deglutendo,
la ragazza si voltò verso l’alieno.
“Vado ad
alzare il termostato, ok?” lui tossì lievemente, ma riuscì comunque ad annuire,
perciò lei eseguì. Un attimo dopo, ripensandoci, si fermò anche davanti
all’armadio nel corridoio e prese altre coperte, stendendole sul ragazzo e
tirandogliele su fino al mento. Fatto questo ritornò al suo fianco con quello
che, sperava, fosse un sorriso confortante.
“Va
meglio?”
Ghish
cercò di annuire, ma il tentativo fu sabotato da un attacco di tosse e
Strawberry esitò. Deglutì di nuovo, quel panico diventava sempre più difficile
da nascondere, ma riuscì comunque a mantenere il sorriso.
“Cerca
di tornare a dormire. Ti sentirai meglio se ti riposi.”
L’alieno
cercò di fare quanto lei diceva. In verità, era ansioso di tornare a dormire: il
sonno gli leniva il dolore e gli permetteva di scordarsi della malattia. Ci
provò, ma questa volta, la malattia sembrava avere idee totalmente differenti.
La febbre continuava a salire, i brividi si intensificavano, gli attacchi di
tosse peggiorava e, nel giro di un’ora, aveva completamente perso la speranza di
dormire un sonno tranquillo.
Strawberry
si sentì indebolita alla vista di questo.
E’ anche
peggio di prima. Ora non riesce nemmeno a….
I suoi
nuovi pensieri, ora, si focalizzavano interamente sul confortarlo, sul cercare
di lenirgli il dolore abbastanza da concedergli il riposo di cui lui aveva un
così disperato bisogno ai fini del recupero.
Mentre
lui tremava sotto le lenzuola, Strawberry si alzò e si
decise.
“Ghish”
disse il suo nome, perché, con il passare del tempo, l’alieno stava perdendo la
lucidità, anche quando il sonno rimaneva così crudelmente fuori dalla sua
portata. “Ghish, mettiti a sedere per un secondo. Solo per un pochino.” Detto
ciò, lo aiutò a sedersi prima di mettersi a sedere a sua volta sul cuscino e di
fargli poggiare la testa sul suo grembo.
Qualsiasi
sorpresa, qualsiasi divertimento che l’alieno avrebbe potuto provare in quella
situazione, si perse nella febbre e nella malattia. L’unica cosa che riuscì a
fare fu quella di voltare la testa in modo che la mano della ragazza toccasse la
sua guancia: era la sola forma di conforto che lei potesse dargli e che lui
potesse ricevere.
Ogni
qual volta un attacco di tosse od un brivido lo prendevano, Strawberry lo faceva
calmare, accarezzandogli i capelli con una mano, tenendo l’altra sulla sua
guancia per rassicurarlo, carezzandogli occasionalmente la fronte quando si
rilassava dopo ogni attacco. Gli spostava le ciocche sudate dal volto,
mantenendo sempre un dolce contatto con i suoi occhi, convinta, da qualche parte
nella sua mente, che questo l’avrebbe fatto rimanere con
lei.
Resta
Ghish. Ti prego .. ti prego.. devi resistere. Devi..
dopo..
Dopo
averla risvegliata.
Dopo
averci salvate tutte. Dopo aver messo a repentaglio la tua salvezza per la
nostra. Dopo essere venuto qui .. Ghish .. dopo avermi dato la tua fiducia. Devi
resistere, perché Ghish.. Oh Dio ..Ghish .. penso .. penso che forse
io..
Sentì la
sua stessa voce sollevarsi attraverso il silenzio stagnante, canticchiando una
dolce ninna nanna che ricordava dalla sua infanzia.
“Nen
nen kororiyo okororiyo, boyawa yoikoda nenneshina.” Una lacrima le scese lungo la guancia, ma
lei non fece alcun movimento per asciugarla. Le sue mani stettero con l’alieno,
carezzandogli i capelli, lisciando le coperte, mentre cantava, con una voce
bassa e delicata, la voce di una madre che consola suo
figlio.
“Boyano komoriwa dokoe it ta, anoyama koete satoe it ta.”
Un
attacco di tosse fu fermato da una carezza sulla fronte. Ghish si rilassò contro
di lei, girando il volto verso il suo stomaco, seppellendola nella sua camicia,
inspirando il suo profumo. Una mano si mosse ad accarezzargli le orecchie,
sempre gentile, sempre confortante, mentre il suo respiro si faceva più
pesante.
“Sato
no miyage ni nani morata, denden taikoni sho no fue. Sho no fue.” Si addormentò con un sospiro tremante, un
incomprensibile mormorio gli uscì dalle labbra prima che tutta la muscolatura si
rilassasse e lui si rilassasse nel suo grembo. Anche quando si fu addormentato,
Strawberry continuò con i suoi gesti, mentre la mente si avvolgeva lentamente
intorno a sé stessa ed alle sensazioni che stava provando, da ciò che stava
vedendo, dai soni che le solleticavano le orecchie.
Carezzandogli
i capelli, sentendo la sua pelle calda, si accorse all’improvviso di ciò che
stava facendo, e le venne quasi da ridere. Stava coccolando un nemico. Gli stava
accarezzandogli la pelle bruciante, lisciandogli i capelli. La sua pelle. I suoi
capelli. I suoi. Quelli di Ghish. Colui che avevano sempre combattuto, colui che
lei aveva sempre respinto, colui che era sempre stato sconfitto nei modi più
disparati.
La
sua pelle era liscia, soffice. I suoi capelli, anche se annodati e sudati, erano
morbidi. Poteva vedere la fragilità delle sue lunghe orecchie, le vene erano
visibili nella pelle quasi traslucida. Poteva vedere le sue sopracciglia umide
per le lacrime di dolore, di spossatezza, lunghe e bellissime sopra gli intensi
occhi dorati. Tutto quanto era soffice, dolce, bello. Tutto era fragile mentre
lui tremava al suo contatto, così teso e pieno di dolore e
paura.
Questa
era la creatura che lei aveva trattato male. Era quella che lei aveva maledetto,
insultato, respinto. Quella parola si ripeté ancora ed ancora… respinto.
Combattuto, ferito, odiato.
Questo
era il perfido Ghish.
Lei
chiuse gli occhi, si chinò sempre di più, finché sentì la pelle calda della
fronte sotto le sue labbra.
Ghish…
penso che potrei.. potrei essere innamorata di te.
TRADUZIONE
Nen nen
kororiyo okororiyo Boyawa yoikoda nenneshina
Boyano
komoriwa dokoe it ta
Anoyama
koete satoe it ta
Sato no
miyage ni nani morata
Denden
taikoni sho no fue
Sho no
fue
Dormi,
dormi,
piccolino,
dormi.
Sei un
bravo bambino,
Ora vai a
dormire.
Sai
Dov’è
andata la tua balia?
E’ andata
al suo villaggio
Non ci
starà molto.
Cosa ti
porterà, piccolino
Quando
tornerà?
Un flauto così dolce
Ed un
tonante tamburo.
Ed un
tonante tamburo.
FINE DEL
CAPITOLO
Allora,
è valsa la pena attendere? Spero di sì. Spero anche di riuscire ad aggiornare
presto, anche se l’estate si preannuncia piena e stra piena di impegni (forse ci
incastrerà anche un soggiorno ad Indianapolis).
Spero
che abbiate gradito
Bebbe5
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Capitolo 14 *** Aiuto ***
Note
dell’autrice: scusatemi per l’immenso ritardo, ancora una volta. A questo
proposito, volevo dirvi che mi sono messa a tradurre tutta la fiction, un
capitolo dietro l’altro, e, finalmente ho terminato il mio lavoro. Gli
aggiornamenti avverranno quindi ogni settimana. Mi sembrava assurdo continuare
ad aggiornare ogni 5 mesi, non era giusto per voi. Scusatemi ancora.
Vorrei
ringraziare tutte coloro che hanno recensito e che mi hanno mandato dei messaggi
affinché continuassi il mio lavoro. Grazie mille per il sostegno e la
pazienza.
Capitolo
12
Stava
morendo.
Questo
fu il primo pensiero che, con cautela, fuoriuscì dall’abisso del sonno quando la
carezza di un panno fresco ed umido sulla sua guancia lo
svegliò.
Ghish
non ebbe bisogno di rimanere lucido a lungo per vedere le striature delle
lacrime sulle guance di Strawberry, o la gelida disperazione nei suoi occhi
velati. Si accorse velocemente, piuttosto velocemente per uno nel suo stato, che
era peggiorato, la febbre si era alzata, il respiro era diventato più flebile e
la ragazza era spaventata. Terrorizzata. Totalmente, disperatamente,
terrorizzata perché tutto ciò che vedeva era il giovane alieno soffrire e morire
lentamente.
Penso
che… sia la fine, allora…?
Se
doveva morire, si accorse all’improvviso, che solo un’ultima cosa era
importante. Solo una…
Le
ore passarono. Ore spese ad ascoltare l’alieno gridare forte delirando nel
sonno, ore di futili tentativi per tenere sotto controllo la sua temperatura che
continuava a salire imperterrita, ore di continuo, doloroso peggioramento
avevano fiaccato le forze di Strawberry al punto che le ci vollero alcuni
momenti per registrare il lievissimo tocco sulla sua mano sinistra, e pochi
istanti per capire che il tocco proveniva dalle dita tremanti di
Ghish.
Per
poco non ritrasse bruscamente la sua mano, tanta era la sorpresa, ma riuscì a
rimanere ferma mentre l’alieno lentamente, cautamente, muoveva la sua mano su
quella di lei ed arrotolava le sue dita attorno al suo polso. Lo shock non fece
altro che acuirsi quando lui cominciò ad usare le sue ultime forze per tirarsi
su.
Si
stava tirando su, o stava cercando di tirare giù lei?
Entrambe
le cose, a quanto sembrava, ed in quel momento gli occhi di lei scattarono sul
volto di lui.
Quelle
orbite dorate la fissarono di rimando, opachi per la debolezza, eppure ancora
luccicanti per una morente scintilla di speranza mentre le sue labbra screpolate
si separavano e la sua voce, un flebile, raschiante sospiro, ruppe il
silenzio.
“Un…
un altro… Strawberry…” i suoi occhi quasi si serrarono quando prese un respiro
poco profondo. “Ti prego.. solo un altro.. prima…”
Si
interruppe, mentre le sue ultime riserve di energia si dedicavano ad un ultimo
tentativo di tirarsi su, di..
Strawberry
emise un singhiozzo strozzato quando comprese le sue intenzioni, e quel pensiero
la fece quasi accasciare.
Mentre il
suo debole tirare il suo polso continuava, mentre lui ansimava in quell’ ultimo,
disperato sforzo, la sua mente riusciva solo a focalizzarsi su un pensiero
paralizzante.
Sta
soffrendo, morendo a causa mia, e tutto ciò che vuole... tutto quello che riesce
a chiedere prima di….
Si
ritrovò a prendergli dolcemente la mano e a portarla al suo volto, premendola
sulla sua guancia, mentre un sorriso colmo di lacrime prendeva il posto del
rigido shock sulla sua faccia. Prima che lui potesse anche solo parlare, lei
scosse la testa, con gli occhi fissi nei suoi. La scosse ancora e ancora, anche
quando le lacrime le riempirono gli occhi e caddero, non notate dall’alieno
steso nel letto.
“No,
Ghish” mormorò, e la sua voce era bassa, stanca e debole quanto quella di lui,
mentre lei vedeva una pesante delusione oscurare ancor più i suoi occhi. Ma il
suo sorriso rimase, anzi crebbe, mentre le dita di lui le accarezzavano
lievemente la tempia, quasi provando ad attirarla un’ultima volta. Emise un
verso strozzato, a metà tra un singhiozzo ed una risata, mentre lui tentava di
tenere gli occhi aperti e si sforzava di porle una semplice
domanda:
“Perché?”
Lei
ridacchiò allora, producendo un suono impregnato di lacrime. Strawberry
ridacchiò perché la sua richiesta era così ridicola. Era probabilmente la più
assurda che la sua mente avesse mai ricevuto e, nella sua stanchezza, poteva
difficilmente trattenersi dal ridere debolmente mentre le lacrime affondavano
sul copriletto.
La
sua presa sulla mano di lui si rafforzò e lei la premette dolcemente sulla sua
guancia, permettendogli di giocare con i suoi capelli, mentre i suoi occhi si
fissavano in quelli di lui: tutto il calore e la compassione che poteva provare
brillavano attraverso le sue iridi rosa (NdT: lo so che gli occhi di Strawberry
sono marroni, ma la scrittrice ha scritto “pink irises”, quindi che dovevo
fare?) e gradatamente scioglievano tutta la disperazione che
sentiva.
“Ghish.”
Mentre pronunciava il suo nome, poteva sentire le sue unghie lunghe sfiorarle la pelle e la nuova sensazione
portò una nuova ondata di tenerezza al suo sguardo. Mosse la sua propria mano su
quella di lui, premendo il palmo sulla sua guancia mentre un’incredibile
dolcezza prendeva possesso della sua voce.
“Ghish.”
La sua voce portava nuova fiducia nella sua gentilezza, una fiducia che gli rese
più facile respirare, fece cessare un po’ i suoi tremiti, mentre ascoltava
quella voce sussurrante.
“Non
ti bacerò, Ghish.” Le parole lo avrebbero distrutto se il suo tono non fosse
stato così pieno di pura compassione, se i suoi occhi non avessero brillato di
quella tenera emozione nella quale lui aveva sempre sperato, eppure mai sperato.
Quella mano calda a contatto con la sua, e poteva sentire una sacra forza
scorrere da lì, scorrere in lui mentre quegli occhi fissavano i
suoi.
Strawberry
gli accarezzò la tempia con il retro dell’altra mano, muovendola verso la sua
fronte e spostando le ciocche sudate da lì prima che la voce le
ritornasse.
“Perché
tu non morirai.”
Quell’affermazione
era tutto ciò di cui Strawberry aveva bisogno per fuggire dalla sua profonda
disperazione.
Lui
non sarebbe morto. No. Certo che no. Il pensiero era stupido, assurdo, e lei ne
rise silenziosamente, mentre continuava a passare le dita tra i suoi
capelli.
“Tu
non morirai,” sussurrò di nuovo, una conferma, una ardita, fiduciosa
dichiarazione di guerra contro la ferita e la febbre.
Non
lo avrebbe lasciato andare.
Non
così.
Mai..
Non
quando la sua mente stava nuotando… no… annegando nelle nuove possibilità che
comprendevano quella delicata parola che cominciava per
“A”.
Non
l’avrebbe permesso in alcun modo, non adesso, quando aveva finalmente
realizzato, finalmente compreso pienamente tutto.
La
sua fiducia era riposta in lei, e per nessuna diavolo di ragione l’avrebbe
gettata via. Non dopo tutto quello
che lui aveva fatto. Non dopo che lui aveva risvegliato quelle sconcertanti,
terrificanti, astruse, meravigliose domande, quelle curiose possibilità nella
sua psiche, una psiche che era così totalmente concentrata su una sola domanda,
che lo shock di scoprirne due era stato un doloroso schiaffo che l’aveva
risvegliata come niente aveva mai fatto prima di allora.
“Torna
a dormire Ghish,” mormorò e l’alieno ubbidì subito. Lo fece senza replicare,
perché aveva sentito quello stesso slancio di fiduciosa sicurezza che aveva
rianimato la ragazza. Un sorriso stanco gli abbellì le labbra, apparendo quasi
come una smorfia provocatoria, mentre chiudeva gli occhi.
O
forse non…
Strawberry
attese qualche istante prima di stabilire che Ghish sarebbe abbastanza
bene.
Un
minute più tardi, si era alzata dal letto ed aveva il suo cellulare in mano.
Dopo aver lasciato la stanza, si fermò sulla soglia e cominciò a scorrere la sua
rubrica.
Aveva
bisogno di aiuto.
Non
sarebbe morto, non sarebbe mai morto
così, ma aveva bisogno di aiuto.
Chi
chiamare? Si morse il labbro, mentre un’improvvisa serietà prendeva possesso di
lei. Aveva bisogno di qualcuno che sapesse cosa fare: questo era certo. Ryan?
No, non si sarebbe di certo mosso per aiutare un alieno. Mina? Lo stesso. Pam?
Era tutto così errato che quasi le venne da ridere di
nuovo.
Continuò
a scorrere, finché una voce risuonò nella sua mente
stressata.
Sembra
che queste persone abbiano dei sentimenti…
Un
urletto, non una risata, le scappò prima che cominciasse a digitare il numero.
Perché non ci aveva pensato prima?
Ti
prego rispondi…ti prego… sei la sola—
Bingo!
Il cuore di Strawberry sobbalzò quando lei udì la timida voce di
Lory.
“Moshi
moshi?”
Per
un attimo la ragazza si bloccò. Cosa avrebbe detto? Ciao Lory, ho bisogno che tu
mi dia una mano per salvare un alieno che sta morendo in casa mia, potresti
venire entro i prossimi 10 minuti?
In
qualche modo, sentì che non poteva spiegare tutto per telefono. Non poteva
rischiare un rifiuto. Mentre cominciava a sudare freddo, tutto d’un tratto
incredibilmente nervosa, balbettò.
“L-Lory?
Sono… sono Strawberry—“
Lory
non era una che interrompeva, non lo era mai stata.
Eppure
si accorse dell’intensa incertezza nella voce dell’amica e la sua innata
compassione uscì immediatamente fuori.
“Strawberry?
Qualcosa non va?”
Malgrado
la situazione, Strawberry sorrise: Lory era di sicuro la persona giusta da
chiamare.
Sembra
che queste persone abbiano dei sentimenti…
Deglutì,
mentre quell’affermazione le ridava fiducia.
“Lory,
ho bisogno che tu venga a casa mia ok? Per favore?”
Poteva
praticamente vedere la preoccupazione nello sguardo di
Lory.
“Va
tutto bene Strawberry? Devo chia...”
“No!
No, Lory, non chiamare nessuno. Vieni qui e basta! Vieni qui
e....”
Strawberry
fu totalmente sorpresa nel ritrovarsi a pensare chiaramente. C’è niente di
cui ho bisogno..? La sua mente
stilò immediatamente una lista: medicine… no, coperte… ne aveva un sacco…
cibo… ecco, non ne avrebbe fatto a meno. In effetti, il pensiero di lasciare
Ghish da solo per andare a cercare qualcosa da mangiare le faceva venire la
nausea, quindi fece rapidamente la sua richiesta.
“Potresti
portare un po’ di zuppa? O
qualcos’altro che sia.. ehm…” Come darle questa indicazione senza rivelare nulla
e dare inizio ad una conversazione con cui non sarebbe riuscita a fare i conti
in quel momento? Deglutì nervosamente, ma non riuscì a parlare prima che lo
facesse Lory.
“Sei
malata Strawberry? E’..”
“No…
no, ma… ti prego, vieni qui e basta. Vieni e porta… solo…” si odiava per stare
balbettando, ma tutto ciò su cui si poteva focalizzare era la palese possibilità
che Lory potesse rifiutare, che lei avrebbe potuto negare a Ghish l’aiuto di cui
tanto disperatamente necessitava.
E
se Lory avesse rifiutato, a chi avrebbe potuto rivolgersi?
“Solo…
ti prego, Lory? Ti spiegherò… quando…” si interruppe mordendosi il labbro
con abbastanza violenza da arrivare a sentire il suo sangue, mentre attendeva in
silenzio, con il cuore che batteva così forte che temeva che avrebbe soffocato
la voce dell’altra ragazza.
Per
qualche secondo, pensò che fosse finita. Per alcuni momenti in cui il suo cuore
smise di battere, non udì nulla, e stava già mentalmente anticipando il segnale
di comunicazione terminata. Poi:
“Va
bene. Sarò lì in mezz’ora.” Lory si fermò come se volesse aggiungere qualcosa,
ma prima che Strawberry potesse pregarla di sbrigarsi, la connessione si
concluse.
Mezz’ora
prima che ciò che Strawberry sperava si sarebbe rivelato un aiuto, arrivasse.
Mezz’ora… cosa poteva fare in mezz’ora?
Dovrei
svegliare Ghish. Si dovrà alzare comunque… potrei anche dirgli che sta arrivando
Lory.
Sì,
era certamente meglio avvertirlo. La possibilità di fargli prendere un
colpo… lei rabbrividì.
Improvvisamente il pensiero di spaventarlo di più la fece stare fisicamente
male: era già abbastanza grave.
Doveva
aver pensato, doveva essere stato certo, che sarebbe
morto.
Il
pensiero di spaventarlo ancora di più era.... semplicemente
sbagliato.
Con
tale assodata risoluzione, Strawberry ritornò nella sua stanza e di fianco al
letto, pronta a scuotere l’alieno per svegliarlo, nonostante il senso di colpa
che la avvolgeva, dal momento che lui era riuscito a cadere in un sonno
tranquillo pochi minuti prima. Aveva così disperatamente bisogno di quel riposo,
ed era evidentemente esausto dopo essersi rigirato per così tanto tempo, nella
sofferenza del delirio provocato dalla febbre.
Immaginatevi
la sua sorpresa quando vide i suoi occhi Dorati, lucidi per la febbre e semi
chiusi, ma testardamente fissi su di lei, seguendola non appena fece il suo
ingresso nella stanza.
Esclamando
un sorpreso “Ghish?”, la ragazza si accovacciò accanto al letto. L’alieno era
riuscito a girarsi su un fianco e, facendo questo, lei era in grado di guardarlo
dritto negli occhi, più o meno, e, istantaneamente, comprese l’importanza di
mantenere quel contatto mentre parlava.
“Perché
non dormi?”
Lui
si prese qualche secondo per rispondere, e Strawberry colse quel momento di
silenzio per avvicinarsi lentamente ed accarezzargli la guancia, giocherellando
un po’ con uno dei suoi codini,
sforzandosi di infondergli un po’ della sua forza. Lo aveva calmato prima, e
l’effetto fu più o meno lo stesso di nuovo. Sembrò rilassarsi, il dolore sordo
nei suoi occhi diminuì un po’ e lui fu in grado di trovare il respiro per
rispondere.
“Non
ci riesco,” mugugnò semplicemente prima di tossicchiare. Strawberry lasciò i
suoi capelli e si spostò sulla sua fronte, un’espressione accigliata si posò sui
suoi tratti quando sentì il tremendo calore emanate dalla pelle dell’alieno.
Prese il termometro dal suo comodino e lo fece scivolare nella sua bocca: lui lo
posizionò ubbidientemente sotto la lingua.
Strawbeery
si alzò e poi si sedette sul letto accanto a colui che era sotto la sua tutela,
riportando la mano tra le ciocche di capelli legati e facendo passare le dita
tra di esse con gentilezza, in attesa del bip del termometro. Non ci volle
molto.
Quarantadue…
o mio Dio…
Leggere
quelle cifre l’avrebbe fatta boccheggiare, avrebbe dovuto farla boccheggiare, ma
lei non voleva spaventarlo. Non dopo la loro conversazione di appena poco tempo
fa, una conversazione che le aveva mostrato quanto lui era terrorizzato.
Semplicemente non poteva.
Così
fissò il vuoto finché non sentì Ghish muoversi sotto le sue dita e la sua
attenzione tornò di colpo a lui. Lui la stava guardando con ovvia ansia negli
occhi: anche se malato, era ancora in grado di comprendere la preoccupazione sul
suo volto.
Lei
sentì l’improvviso, urgente bisogno di rinforzare ciò che gli aveva detto
prima.
“Starai
bene Ghish.” La sua mano si posò sulla guancia dell’alieno, e le sue dita si
mossero lentamente contro la sua tempia.
“Ho
chiamato un’amica. Verrà presto e ci darà una mano.” A queste parole accostò un
piccolo sorriso.
“Un’amica?
Una delle…?” lui si fermò, cominciando a tossire e la ragazza attese finché
questa non terminò, poi annuì.
“Sì,
ma è carina. Ci aiuterà.”
Almeno,
spero che potrà farlo…
Calò
il silenzio per un attimo, poi:
“Strawberry?”
“Mmm?”
“Grazie.”
La
ragazza dovette davvero controllarsi in quel momento. Davvero, davvero
dovette prendere alcuni respiri
profondi per respingere la minaccia delle lacrime.
Così,
si congelò, la sua mano si era fatta improvvisamente tesa sulla sua guancia,
mentre lei cercava di mantenere la calma. Era difficile, così incredibilmente
difficile, vederlo tremare sotto le lenzuola, debole, accaldato e spaventato,
sapendo che tutto era accaduto per causa sua, e poi udire quelle parole uscire dalla sua bocca. Grazie?
“Avresti
potuto abbandonarmi,” gracchiò lui, mentre i suoi occhi si sforzavano di
incontrare quelli di lei.
Strawberry
deglutì, la mano ritornò al suo movimento calmante sulla pelle
dell’alieno.
E’
colpa mia… Ghish è colpa mia se ora stai giacendo qui... come
puoi...?
Dovette respingere a forza le emozioni,
mordendosi disperatamente il labbro mentre tentava di reprimere lo scoppio che
stava minacciando di rompere l’idillio.
Ironicamente,
la malattia dell’alieno la salvò, strappandogli un altro accesso di tosse e
dandole una piuttosto-necessaria ragione per seppellire le sue emozioni in quel
momento. La ragazza si avvicinò al comodino, afferrando un bicchiere ed una
bottiglia d’acqua che aveva preso un po’ di tempo prima. Aspettando che potesse
respirare liberamente di nuovo, versò un po’ d’acqua, gli chiese di sedersi, e
lo supportò mentre beveva.
“Stenditi,”
gli ordinò quando lui ebbe finito, e fu parecchio sorpresa quando lui scosse la
testa debolmente.
“Fa
più male respirare quando mi stendo,” riuscì a sussurrare tra lievi ansiti.
Strawberry gli rispose con un ansioso cenno della testa: non le piaceva che
dovesse supportarsi.
Quell’onda
di tenerezza, che stava rapidamente diventando una compagna familiare, ebbe
ancora una volta la meglio su di lei, e si ritrovò a permettere a Ghish di
appoggiarsi a lei, con la testa appoggiata sulla sua spalla, mentre lei si
sedeva contro la testata del letto. Alcuni istanti trascorsi confermarono che
quella posizione sembrava essere la migliore per lui, e Strawberry realizzò che
sarebbero rimasti così finché non sarebbe dovuta scendere ad accogliere Lory ed
a spiegarle la situazione. Quello di
certo non era un pensiero piacevole: non importava quanto Lory fosse buona, la
mew gatto non si sarebbe potuta aspettare altro che shock ed incredulità da lei.
E quella non era nemmeno la parte peggiore.
Strawberry
era molto più preoccupata, infinitamente di più, dalla prospettiva di lasciare
Ghish da solo.
Il
pensiero di lasciarlo lì nella stanza, con il suo debole respiro che grattava il
soffocante silenzio le portò nuove lacrime e nausea.
Quasi
come se avesse sentito il suo disagio, Ghish strofinò la testa contro la sua
spalla, un silenzioso sospiro gli sfuggì prima che
mormorasse:
“Hai
un buon profumo.”
Questo
le avrebbe potuto causare molto più di un po’ di rossore se Strawberry non ne
avesse passate tante in quegli ultimo due giorni, ma le sue guance divennero
comunque un po’ più rosee. Inoltre quel commento le fece sorgere sul volto un
sorriso gentile, quasi timido, mentre lei lasciava che la sua guancia si posasse
sulla testa dell’alieno, trovando un piacevole godimento nella permanente
morbidezza dei suoi capelli. Prima che potesse rispondere, la voce di lui si
fece di nuovo sentire.
“Ti
amo.”
Il
modo in cui le sbatté le palpebre, mentre un totale sgomento prendeva possesso
della sua faccia, fu in effetti alquanto comico. La frenesia dei pensieri che
seguì, comunque, portò con sé tutta la serietà del paio di giorni
precedenti.
E’...
è f- febbricitante. Non sa cosa sta dicendo. E’ solo… solo…
Ti
ama, insisteva una calma vocina sotto la sua stessa ansia. Ti ha amata a lungo…
questa è una sorpresa?
No,
no, no, lui non...
Ah,
ma lui sì. Sì, sì, e tu lo sai. Lo sai, quindi
piantala di mentire. E piantala di mentire riguardo a…
Zitta!
Non ora… devo stare calma ora!
Mentre
dentro di lei avveniva questo tumulto mentale, all’esterno riuscì a mantenere un
aspetto calmo. L’unico segnale che dette fu avvolgere con cautela un braccio
intorno all’oggetto delle sue cure e dargli una leggera e tenera
stretta.
Questi
pensieri… le facevano venire il mal di stomaco. Facevano male. Facevano così
male…
…era
questo il dolore che sentiva lui?
Desiderò
poter scuotere la testa per rimuovere quel pensiero: mantenere la tranquillità
stava diventando troppo difficile.
Invece,
spostò la sua attenzione su Ghish che, si accorse, si era quasi addormentato su
di lei. Di nuovo, una pugnalata di senso di colpa per il fatto di doverlo
disturbare: sembrava che finalmente avesse trovato una posizione confortevole,
ma non avrebbe potuto rimanerci dato che Lory doveva arrivare entro pochi
minuti.
“Ghish,”
lo scosse dolcemente, “Lory sarà presto qui. Non ti addormentare
ora.”
“Dolcezza…
deciditi,” le rispose assonnato, e Strawberry si morse il
labbro.
Non
le piaceva il modo in cui passava da uno stato d’animo all’altro, da un modo di
parlare all’altro.
La
febbre stava facendo presa sulla sua mente.
Doveva
esserci un modo per aiutarlo.
Per
il momento poté solo dargli un dolce sorriso ed un leggero “Scusami” nel
tentativo di divertirlo e di tenerlo sveglio.
Un
altro accesso di tosse la aiutò in quell’ultimo intento, anche se fece soltanto
sussultare Strawberry per l’ovvio dolore che ciò aveva causato all’alieno. Ora
desiderava che Lory si sbrigasse: il sonno sembrava essere il suo unico sollievo
da quella tosse infernale.
Il
suo desiderio fu esaudito.
Le
orecchie di Strawberry si rizzarono al suono del
campanello.
“Questa
è...”
“La
tua amica,” terminò Ghish, e Strawberry si sentì divisa tra il sollievo per il
fatto che lui stava parlando e la
totale disperazione per il suono distaccato della sua
voce.
“Sì.
Devo…” si interruppe, intensamente a conoscenza di quanto non volesse lasciarlo.
Era un sentimento che la sua mente combattuta avrebbe sfruttato quando avrebbe
dovuto discutere con sé stessa più tardi. In quel momento la faceva solo stare
malissimo.
Ghish,
in ogni caso, obbedientemente, si appoggiò alla testiera, osservandola con un
piccolo sorriso sulle sue labbra leggermente screpolate.
Lei
si accorse tutto d’un tratto che lui era terribilmente pallido e ciò la
spaventò. Realizzò quanto la terrorizzava quando l’alieno incontrò i suoi
occhi.
“Non
morirò, gattina.”
La
ragazza non era in grado di dire se quella fosse una domanda o un’affermazione,
ma sapeva che doveva ripetere quella frase. E lo fece con un dolce, tenero
sorriso.
“Non
morirai.”
Con ciò,
gli toccò la mano ancora una volta prima di andare di sotto ad accogliere
Lory.
FINE DEL
CAPITOLO
Allora,
vi è piaciuto? E’ valsa la pena? D’ora in avanti i capitolo saranno molto
lunghi, quindi preparatevi.
Alla
settimana prossima e grazie ancora a tutte
Bebbe5
|
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Capitolo 15 *** Medicina ***
Eccovi
qua il nuovo aggiornamento, buona lettura.
CAPITOLO 13
Lory
era a dir poco perplessa mentre camminava lungo la strada dove si trovava la
casa di Strawberry, con un thermos di zuppa calda tra le braccia.
Come
le altre Mew mew, Lory si stava godendo la settimana e mezzo di ferie che Ryan
aveva concesso. Non era da lui, ad essere sinceri: difficilmente dava dei giorni
liberi quando si trattava di gestire il caffè e di proteggere la Terra, ma dopo
quella battaglia per l’Acqua Mew, dopo che Mark era rimasto ferito, dopo che
quel Chimero aveva posseduto Strawberry… non c’era bisogno di dire che non era
un ragazzo senza cuore. Aveva lasciato che passassero il resto delle loro
vacanze scolastiche lontane dal cafè Mew Mew.
Il
tempo era stato stupendamente rilassante sotto ogni aspetto. Lory, per una
volta, aveva passato un po’ di tempo molto piacevole con la sua famiglia. Sapeva
che le altre guerriere Mew stavano facendo lo stesso.
Ecco
perché era stata così sorpresa quando aveva ricevuto l’inattesa e piuttosto
preoccupante telefonata di Strawberry.
Camminando
lungo la strada, procedendo con cautela tra la neve appena caduta per evitare le
lastre di ghiaccio, la ragazza sentì le sue sopracciglia avvicinarsi in una
piccolo smorfia di preoccupazione.
Cosa
mai era successo che aveva portato ad una simile chiamata? La disperazione l’urgenza nella voce di Strawberry le
avevano fatto accapponare la pelle. Ero perché non aveva fatto altre domande.
Tutta la sua logica le aveva suggerito di chiamare Ryan, di chiamare un’altra
Mew Mew, facendola riflettere ancora di più su tutta la situazione. La logica esigeva una buona ragione.
Lei
comunque si trovò meno preoccupata per la logica e più per quella sensazione
strangolata nel suo cuore. Sapeva che qualcosa non stava andando per niente
bene, e sapeva che ciò non poteva attendere. Inoltre, aveva come la sensazione
che quella cosa non potesse essere condivisa con le altre guerriere Mew
mew.
Non ancora.
In
poco tempo, aveva riscaldato un po’ della zuppa miso che sua madre preparava
spesso durante i mesi più freddi, l’aveva messa in un thermos, ed era corsa
fuori dalla porta, dicendo ai suoi genitori che una delle sue amiche era malata.
Essendo lei una ragazza affidabile, loro le avevano creduto immediatamente. Ciò
l’aveva fatta sentire un po’ in colpa per aver mentito, oltretutto senza sapere
in cosa si stava andando a cacciare, ma era difficile dimenticare il tono di
Strawberry.
Di
cosa potrebbe aver bisogno Strawberry? Ha detto che non era malata, ma allora
perché sembrava così stanca e ansiosa, e perché ha chiesto la zuppa? Cosa
potrebbe volere?
Per
quanto ci provasse, Lory non riusciva a pensare ad una soluzione appropriate che
fosse una. La sua smorfia si addolcì in un’espressione di semplice
preoccupazione mentre procedeva, arrivando finalmente a scorgere la casa
dell’amica. Entrò nel cancello ed si fermò per qualche istante ad osservare la
neve che ricopriva il vialetto che conduceva alla porta di
casa.
Aveva
appena finite di nevicare ed ogni traccia sarebbe stata ricoperta in teoria, ma
Lory poteva ancora vedere i leggeri contorni di alcune impronte. Le studiò con
attenzione, improvvisamente interessata dal fatto che una serie sembrava
abbastanza normale, mentre l’altra era di poco più piccola e irregolare. La neve
fresca non aveva completamente nascosto l’accenno dei piedi nudi che avevano
fatto quell’orma, e la ragazza si sentì all’improvviso più ansiosa di entrare
nella casa.
Qualcosa
sembrava dolorosamente fuori posto.
Con
quel pensiero che svolazzava nella sua mente, suonò il campanello ed
attese.
Non
dovette attendere a lungo. In pochi secondi, sentì il suono di passi frenetici
prima che la serratura scattasse e la porta si aprisse di
colpo.
Di
fronte a lei c’era Strawberry e, per un momento, Lory si trovò a pensare che la
ragazza fosse davvero malata. I suoi capelli erano spettinati, I suoi occhi
rossi, il suo viso sfinito e pallido. Portava persino il
pigiama.
Prima
che la ragazza dai capelli Verdi potesse far notare qualcosa di tutto ciò, fu
trascinata in casa con un urletto e la porta fu chiusa. La seconda cosa di cui
poi si ricordò fu che stava trovando piuttosto difficile respirare. Strawberry
le stava dando un forte abbraccio forte che, Lory realizzò, una ragazza malata
non sarebbe mai riuscita a dare.
“Straw-
Strawberry… potresti…” riuscì ad
articolare, e la ragazza la lasciò, anche se tenne le sue braccia in una presa
ferrea come se fosse preoccupata che la sua amica se ne sarebbe andata. Ora Lory
si accorse del sollievo totale nei suoi occhi. Il suo sospetto che stesse
accadendo qualcosa di terribile non era esagerato, a giudicare dal modo in cui
gli occhi della ragazza gatto stavano fissi nei suoi con un luccichio di sincera
gratitudine, o dal modo in cui essi si stavano lentamente riempiendo di
lacrime.
Dopo
aver ritrovato il respiro, Lory si sentì pervadere da una nuova ondata di
preoccupazione.
“Che
c’è? Stai bene? Non mi sembri in forma.”
Per
un attimo, pensò di aver detto qualcosa di terribile e si sforzò di trovare una
scusa veloce, perché le lacrime fuoriuscirono e Strawberry cominciò a piangere.
Queste non erano lacrime superficiali, ma testimoni di un vero stress ed una
vera paura che spinsero Lory ad oltrepassare quelli che lei normalmente
giudicava essere i suoi limiti e dette alla sua amica un abbraccio
rassicurante.
“Strawberry,”
continuò, riconoscendo di colpo il serio bisogno di un po’ di riposo da
qualsiasi cosa stesse tormentando la ragazza “Cosa c’è?”
“Sono
così felice che tu sia venuta,” Strawberry boccheggiò tra i rumorosi singhiozzi.
“Pensavo… e lui… è tutta colpa mia. Lui…lui—“
Lory
aveva una misera idea di chi potesse essere “lui”, anche se una strana
sensazione le diceva che “lui” era la persona per cui aveva portato la
zuppa.
Un
pensiero la colpì all’improvviso. “Mark sta bene Strawberry? E’ accaduto
qualcosa?”
A
queste parole, una risatina, triste, quasi sarcastica, spuntò tra i singhiozzi.
“Lui no.” Scosse la testa cercando, e piano piano riuscendoci, a fermare il suo
pianto. Asciugandosi gli occhi ripeté. “Lui no. Se fosse lui..”
“Allora... allora chi?”
L’istante
successivo, Lory si chiese debolmente se ci fosse qualcosa che non andasse nel
suo udito, poiché non poteva davvero credere a cosa era appena passato tra le
labbra di Strawberry.
“Ghish.”
“Co… cosa?”
Strawberry
deglutì, e Lory capì perché la ragazza non aveva detto niente al telefono.
Poteva dirlo dai suoi occhi, che Strawberry era stata terrorizzata da un suo
rifiuto di venire. Lo sapeva quando lei ripeté quel nome di
nuovo.
“Ghish
è disopra.” Fu l’ultima cosa che riuscì a dire in tono calmo. Il resto fu
sputato fuori in un turbine di lacrime. Mordendosi il labbro, Lory si sforzò di
calmare la sua amica così da riportare un po’ di ragione nella sua
mente.
“Va
tutto bene Strawberry,” disse gentilmente. “Se ti calmi forse potresti…”
sobbalzò quando la voce frenetica di Strawberry la
interruppe.
“Non
posso calmarmi! Sta male ed ho provato a star calma per gli ultimi due giorni,
ma niente sta funzionando, e lui sta peggiorando, e, Lory, è tutta colpa mia! E’
colpa mia se lui è qui in questo stato e non so cosa fare, per questo ti ho
chiamato e…” si interruppe, mentre la sua voce perdeva forza ed un senso di
disperazione la sopraffaceva.
Lettuce
era piuttosto sorpresa dalla sua incapacità di comprendere, ma non mise in
dubbio ciò che aveva udito e si mise a parlare piano e con calma a Strawberry,
proprio come una madre farebbe con una piccola bambina
agitata.
“Dov’è lui?”
“Di sopra. V.. vieni.” Lory
cominciò a seguire Strawebrry, raccogliendo poi, con un rapido ripensamento, il
thermos. Trovandosi immersa in un profondo silenzio, mentre la ragazza la
portava di sopra, la mente di Lory cominciò a digerire e a reagire a quanto era
appena stato detto.
Ghish…
qui… malato…aspetta un secondo… aspetta solo un secondo!
Mentre
saliva le scale, il suo stesso panico ed il disagio cominciarono a salire mentre
si trovava ad incontrare l’agitazione con cui Strawberry aveva detto di aver
vissuto nell’ultimo paio di giorni.
Lui,
qui… o mio Dio…
Ora
aveva una qualche idea riguardo a ciò in cui si era appena cacciata e non
poteva incolpare Strawberry per non
averglielo spiegato per telefono prima. Mentre Strawberry apriva la porta,
spingendola nella camera, quel pensiero risuonò solo più chiaramente. Lory non
riuscì a trattenere un grido, non riuscì ad impedire ad un’espressione di shock
totale di dipingere i suoi lineamenti. Avrebbe dovuto immaginarsi, dal
comportamento di Strawberry che le sue condizioni erano brutte, ma poco avrebbe
potuto prepararla a vedere il ragazzo alieno in una così debole, ovviamente
malata condizione, e per un attimo si sentì svenire.
“Strawberry,”
sussurrò, i suoi occhi non lasciavano il ragazzo, che se ne stava seduto, appena
lucido, e che eppure la guardava con quanta più concentrazione possibile nel suo
stato. “Strawberry, cosa…?” Dovette
fare un respiro profondo prima di poter continuare, e, quando lo fece, sentì una
nota di compassione nella sua stessa voce.
“Cosa è successo?”
Quando
non arrivò alcuna risposta, Lory si accorse che la sua compagna era indecisa tra
darle una spiegazione e tornare accanto all’alieno.
Quello
la colse di
sorpresa.
Naturalmente,
lei si era preoccupata per
via delle ultime volte in cui avevano incontrato gli alieni. Lei aveva lasciato che un pò di
preoccupazione ribollisse lentamente nei giorni successive alla loro ultima
battaglia. Lei aveva sentito una
sconcertante fitta di rimorso.
Onestamente,
aveva sperato che tutte si sentissero così e, dalle espressioni che si ricordava
di aver visto sui loro volti, probabilmente lo erano.
Eppure,
Lory non si era aspettata che la mew gatto reagisse così. Era stata sempre così
profondamente innamorata di Mark, così assorbita da lui, che le era parso
assolutamente che mostrasse una così ovvia preoccupazione nei confronti di un
altro ragazzo, specialmente se quel ragazzo era Ghish. Lory aveva ancora qualche
difficoltà ad associare quel nome a quella situazione.
Nonostante
ciò, rispose all’ansia di Strawberry facendo un piccolo passo indietro, gesto
che voleva essere un piccolo incoraggiamento, affinché l’altra ragazza si
muovesse verso il letto, cosa che fece. Mentre Lory guardava, con gli occhi
sgranati per l’evidente sorpresa, Strawberry si sedette sul bordo del letto e
mise una mano su quello che, pensò la ragazza, doveva essere il ginocchio di
Ghish, così da attirare la sua attenzione. Il successo del gesto fu parziale:
lui si voltò a guardarla, ma la sua attenzione si dissolse in un accesso di
tosse che risvegliò bruscamente Lory dal suo immobile stato di stupore. Una mano
andò immediatamente a coprirle la bocca, mentre guardava Strawberry prendere il
ragazzo per le spalle e dirgli dolcemente di guardarla e di respirare, nel
tentativo di aiutarlo.
Una
parte di lei era completamente, totalmente shockata da quella dimostrazione di
affetto.
L’altra
parte stava balbettando preoccupata sia per la ragazza che per il giovane
alieno.
Ed
un’altra parte ancora, una minuscola eppure stranamente persistente, era, a dire
il vero, assai compiaciuta.…
Se
avesse preso più in considerazione quella
parte, anche solo un pochino, la sua faccia avrebbe fatto invidia ai
pomodori di tutto il pianeta. La sua urgente preoccupazione estinse ogni reale
possibilità che ciò avvenisse. Quello, ovviamente, non era di certo il momento
per ragionare su certi dettagli.
Eppure,
non riusciva ad ignorare quella tenera luce negli occhi di Strawberry, mentre la
ragazza aiutava l’alieno ad appoggiarsi di nuovo alla testiera e gli scostava
dei capelli ribelli dal volto. Un senso di rivalsa la afferrò mentre lei
seppelliva ancora una volta quei pensieri, osservando Strawberry voltarsi verso
di lei e farle cenno di avvicinarsi.
Esitante,
Lory si avvicinò ai due, un labbro
tenuto fermamente tra i denti mentre guardava Ghish, gli occhi sbarrati e colmi
di lacrime per un’innata preoccupazione, prima che Strawberry le balbettasse
l’ordine di sedersi sulla sedia della scrivania. Lo fece, ma mai i suoi occhi
lasciarono la figura dell’oggetto delle attenzioni di Strawberry.
Un
flebile “Ghish?” le lasciò le labbra e, con sua grande sorpresa, l’alieno di
voltò verso di lei con un debole, esangue sorriso.
“Sei
il pesce, giusto?”
“S-
Sì.”
Rimase
attonita, anche mentre annuiva, da quanto disperatamente debole suonasse la sua
voce. La ragazza non era un’esperta in medicina, ma una singola occhiata a Ghish
giustificò del tutto la chiamata di Strawberry. L’unico problema era che non
aveva idea di quale aiuto avrebbe potuto dare.
Prima
che potesse soffermarsi su questo, la voce di Strawberry irruppe nei suoi
pensieri.
“Non
sappiamo se può prendere le nostre medicine.”
Beh,
pensò Lory, questo era classificabile come brutto.
“E
la sua febbre, non… non scende.”
E
questo era molto
brutto.
“E’..”
qui la ragazza si interruppe e, per alcuni istanti, Lory si chiese perché e
stava per incitarla a continuare quando la ragione la
colpì.
Strawberry
non voleva spaventare Ghish. Mentre questo poteva sembrare quasi ridicolo,
considerando quanto evidentemente terribile era la situazione, apparve
d’improvviso come una cosa seria.
La
sua febbre era estremamente alta.
Questo
causò a Lory un gelido colpo di paura.
Teme
per la sua… teme che lui potrà…
Morire.
La
parola risuonò con toni macabre nella sua mente, ma lei tenne saggiamente quel
disagio per sé. Si trovò sempre più preoccupata per la stessa
cosa.
“Io…”
cominciò, cercando di incontrare gli occhi di Ghish per ricevere la sua
attenzione, chinandosi cautamente in avanti quando catturò il suo sguardo
annebbiato dalla febbre, “sei sicuro
Ghish? Non puoi prendere…?” Si interruppe quando l’alieno cominciò a
scuotere la testa, mormorando un debole “Non lo so”, prima di chiudere gli occhi
a causa di quello che sembrava essere un attacco di vertigini. Con la coda
dell’occhio, Lory vide i pugni di Strawberry stringersi. La nervosa disperazione
della ragazza sembrava essere contagiosa, e lei sentì la sua voce, ansiosa e
stranamente tremante, riempire il silenzio ancora una
volta.
“Hai,
hai provato a raf—“ Appena prima di finire la sua domanda, notò la ciotola
dell’acqua ed un asciugamano umido sul comodino. Accanto a lei, Strawberry annuì
e poi la fissò negli occhi.
“Lory
deve esserci qualcos’altro, qualcosa che tu potresti…”
Ora
era il turno di Lory di assumere un’espressione disperata. Cosa mai avrebbe
potuto fare lei? Certo, conosceva un
po’ di pronto soccorso, ma niente di più e Ghish aveva bisogno di molto di più
di quei rudimenti…
Aveva
bisogno di medicine e oggetti che lei e Strawberry avevano, certo, ma solo per
lgi umani, Se solo, se solo avessero
potuto prendere le medicine che usavano gli alieni. Di certo dovevano averne un
po’ nel loro quartiere dimensionale. Di certo, non erano venuti su quel pianeta impreparati. Se solo ci
fosse stato un modo per ottenerle…
Come
a voler acuire la sua ansietà, Ghish mormorò “Ne abbiamo alcune... Pai le tiene
per le emergen…“ fu interrotto da un accesso di tosse, ma non prima di aver
pronunciato il nome che fece scattare qualcosa in Lory.
Pai.
Se
avesse raggiunto Pai, forse avrebbe potuto… o no?
Era
possibile riuscire a convincerlo…?
Aspetta,
pensò all’improvviso, perché lui è…?
“Strawberry,
perché Ghish non è con...?”
La
ragazza la interruppe scuotendo violentemente la testa. La risposta sembrava
troppo per essere espressa dalla sua voce in quello stato, ma riuscì comunque a
farglielo capire muovendo le labbra, “Profondo Blu.”
Come
le altre Mew, Lory aveva una minima idea di chi o cosa fosse veramente Profondo
Blu. Tuttavia, comprese in fretta ed un’ondata di disperazione la sommerse. Ciò
spiegava tutto e lo rendeva terribilmente difficile.
Eppure…
Si
alzò di nuovo, quella piccola idea stava acquistando un po’ di forza mentre la
sua mente ricapitolava gli eventi di quella notte.
Eppure,
Pai non era sembrato molto in collera con Ghish.
Forse
indignato, certo, ma c’era stata anche un po’ di preoccupazione,
no?
Sì,
c’era di certo della preoccupazione nel modo in cui aveva aiutato il suo
compagno privo di sensi.
Forse allora... forse…
“S-Strawberry?”
la ragazza sollevò lo sguardo su di lei con una traccia di sorpresa negli
occhi.
“Pensi…
pensi che forse…” un’ improvvisa ondata di risoluzione rafforzò le sue parole,
“se potessi parlare con Pai pensi che potrei…“
“Lory…”
gli occhi di Strawberry non erano mai stati così dilatati. La conversazione
terminò con una debole risata da parte di Ghish.
“E’
un testone bastardo.”
“Ghish!”
Strawberry si voltò verso l’alieno, shockata da ciò che i due stavano
suggerendo. La sua testa scattò di nuovo verso l’altra ragazza. “Lory, non puoi
stare pensando che...”
Ora
fu Lory, con la voce indurita da una nuova determinazione, quella che interruppe
il discorso, i suoi occhi scrutarono con confidenza la sua amica preoccupata.
“E’ l’unico modo, no? Ha
bisogno di quella medicina e penso di… di essere in grado di
farlo!”
Ed
era seria. Più ci pensava, più ci rimuginava, più confidenza guadagnava. Ciò
portò un piccolo sorriso al suo volto, mentre sosteneva lo sguardo attonito
dell’amica. “Ce la posso fare.”
Ci
vollero alcuni secondi prima che quell’affermazione si sedimentasse nella mente
di Strawberry. La sua prima reazione fu di manifesto rifiuto: non riusciva a
vedere un modo per convincere Pai. Comunque, mentre le parole di Lory
risuonavano nel silenzio teso, mentre affondavano in lei, la ragazza comprese
che era la loro unica opzione. Si rese anche conto che Lory era l’unica persona
ad avere una remota capacità di riuscita.
Era
l’unica ad aver compreso tutto durante la battaglia.
Doveva
farlo.
Tutto
ciò che rimane era come.
Deglutendo,
balbettando, Strawberry cercò di
formulare quella domanda. “Come pensi di… c-cosa possiamo…?”
“Pensavo…”
Lory cominciò, cominciando improvvisamente a giocherellare con i bottoni del suo
maglione mentre la difficoltà dell’incarico si faceva più chiara, “Devo
trovarlo, solo trovarlo e…” E sperare di riuscire a persuaderlo a lasciare loro
l’accesso a qualsiasi medicina di cui Ghish avesse bisogno. Sperare…
In
pochi momenti, così di colpo, Strawberry accettò l’idea. La accettò perché era
la prima, ultima ed unica opzione.
“Ghish,”
scosse con attenzione il ginocchio dell’alieno: lui aveva chiuso gli occhi e la
ragazza non sapeva se dormisse o fosse sveglio. Comunque fosse, lui le dette
lentamente la sua attenzione e lei continuo con un po’ di urgenza era tanto dolce quanto lei
sperava di poterla rendere.
“Avete
cambiato il portale per la vostra dimensione?” Si stava riferendo, ovviamente,
all’entrata che loro avevano utilizzato quando Mash era stato portato nel
dominio degli alieni.
All’inizio,
lui la fissò un po’ confuso, poi sembrò afferrare ciò che lei gli stava
chiedendo. Scosse la testa senza dire una parola e Strawberry gli rispose con un
piccolo sorriso e un rapido colpetto sul ginocchio prima di permettergli di
chiudere nuovamente gli occhi.
“Allora…
posso cominciare da lì.”
L’attenzione
di Strawberry scattò nuovamente verso la sua compagna Mew Mew, e lei si ritrovò momentaneamente
shockata dalla profonda determinazione che c’era sul volto di Lory. Quello shock
spianò la strada ad un fiotto di speranza.
“Va bene.” Con
quelle parole, Lory giocherellò un pò con il suo ciondolo in un breve momento di
decisione finale, poi sfiorò il metallo dorato con le
labbra
“Mew Lory, metamorfosi!”
Un
secondo più tardi, la ragazza era completamente vestita nel suo complete da
paladina Mew mew. Strawberry deglutì mentre la sua amica si dirigeva verso la
porta, poi sputò fuori un ansioso “fa attenzione!” Lory si voltò a darle un
sorriso rassicurante ed un silenzioso cenno di testa. Poi se ne andò: Strawberry
sentì la porta chiudersi.
“E
ti prego… fai presto,” sussurrò nel silenzio, allungandosi verso uno degli
asciugamano ed inumidendolo prima di premerlo contro la guancia ed il collo di
Ghish, nel vano tentativo di raffreddare la sua
temperatura.
A
Lory ci vollero solo pochi minuti per raggiungere la zona dove, lei sapeva, era
nascosta l’entrata per la base dimensionale degli alieni. L’abilità di saltare
senza sforzo da un edificio all’altro aveva reso il viaggio abbastanza
semplice.
Ora arrivava il difficile.
Rimase
in piedi sul tetto, fissando l’aria vuota dove stava il
passaggio.
Il
problema era, come faceva a far uscire Pai? Come poteva anche essere sicura che
lui fosse lì dentro?
Tutto
ciò roteò sottoforma di una nube di minaccioso dubbio nella sua mente mentre si
mordeva il labbro.
Poi,
decise di fare l’unica cosa a cui era riuscita a pensare.
“P-pai…”
mormorò, prendendo un profondo respiro nel tentativo di rafforzarsi a dispetto
della sua abituale timidezza.
“Pai!”
chiamò e la sua voce risuonò nell’aria gelida. Ancora ed ancora lo chiamò,
aggiungendo anche “Ti prego, rispondi!” sottolineando la sua preghiera finale.
Ora, tutto ciò che poteva fare era attendere.
Non
si aspettava che l’attesa fosse così breve.
Perciò,
non poté fare a meno di sobbalzare quando l’alieno apparve sul tetto di fronte
al suo.
Il
suo primo pensiero fu un soffocato Oh mio
Dio, e adesso? Il suo secondo, comunque, fu più preoccupato che
altro.
Si
accorse immediatamente che era stanco, terribilmente stanco e che stava facendo
del suo dannato meglio per non mostrarlo. Con un’unica occhiata, lei vide una
profonda depressione, una fredda preoccupazione che non aveva mai visto sul suo
volto solitamente apatico.
Ora
sapeva che era possibile, ora sapeva che a lui importava.
Tutto
ciò che doveva fare era convincerlo che lei poteva aiutarlo. Non c’era bisogno
di dire che lei si aspettava questo compito come più facile a dirsi che a
farsi.
“P-pai—“
“Perché sei qui, umana?”
La
schietta freddezza della sua voce la zittì con aspra repentinità, ma lei guardò
un’altra volta la sua faccia sciupata e ciò le ispirò un altro
tentativo.
“Non
sono qui per combattere,” cominciò, decidendo che quella era la cosa più
importante da stabilire prima di procedere. “Io...“
Si fermò d’improvviso perché lo vide teso, vide che non le credeva.
All’inzio, questo la scoraggiò. Comunque,
comprese che tra l’ovvia stanchezza e preoccupazione di lui ed il completo da
Mew Mew di lei, poteva aspettarsi poc’altro. Questo influenzò la sua azione
successiva.
Ritornò
umana.
Mentre
Pai la osservava, con un’espressione perplessa che si insinuava lentamente sul
suo volto, Lory luccicò e la sua solita giacca con tanto di gonna invernale
rimpiazzarono il costume da battaglia.
“Ho
bisogno del tuo aiuto,” continuo lei, sforzandosi di incontrare gli occhi
dell’alieno. “Gh… ecco, Strawberry ... voglio dire…” cercò freneticamente un
modo per spiegargli con tatto quella situazione poco ortodossa, ma lui la
interruppe prima che potesse procedere.
“So
dov’è e non posso aiutarti.”
Suonava
così definitive, così totalmente rigido in quella affermazione che, per una
frazione di secondo, Lory considerò l’idea di arrendersi. Poi le tornò alla
mente Strawberry in lacrime che badava ad un debole Ghish e quella frazione di
secondi cadde, dimenticata, nell’oblio.
“Ti
prego, Pai,” vide che, per un brevissimo istante, lui sembrò sobbalzare quando
lei pronunciò quel nome in tono supplichevole.
“Ghish...
sta molto male. Noi… Strawberry non riesce a fargli abbassare la febbre e
io…”
“Mi
hai sentito,” cominciò lui, con un vero ringhio a caratterizzare la sua voce,
“Non posso aiutarti.”
Lei
sentì la rabbia, la disperazione nella sua voce, poi si rese conto di un paio di
cose.
Uno,
la sua rabbia non era davvero diretta a lei, ma a Profondo Blu e due, aveva
tanta paura per Ghish quanta ne aveva per Strawberry. Proprio come lo era lei.
Sono come noi. Se
Strawberry fosse così malata ed io non potessi fare nulla... se mi fosse
proibito di aiutarla... è la stessa cosa, in ogni suo aspetto.
Pai
era preoccupato per il suo amico.
Era semplice.
La
sua voce risuonò di una nuova sicurezza, di una nuova compassione mentre lei si
torceva le mani.
“So
cosa ha detto Profondo Blu. Lo so e… capisco come devi-“
“Non
paragonarti a me, umana.” Quella stessa freddezza, eppure quella stessa
preoccupazione che correva sotto la superficie, raggiunsero le sue
orecchie.
“Ti
prego… è la stessa cosa. Sei preoccupato per qualcuno importante per te, proprio
come lo sarei io. Pai…” si interruppe quando un’espressione di incredulità passò
sul volto dell’alieno. Evidentemente, non si era aspettato che lei riuscisse a
leggere i suoi pensieri con una tale assoluta accuratezza.
Improvvisamente,
Lory percepì un cambiamento nella conversazione. Improvvisamente, Pai perse la
sua posizione dominante e la guardò con… era così sorpresa di vederlo…
disperazione nei suoi occhi.
“Profondo Blu l’ha proibito.”
Lei
seppe di stare facendo dei progressi quando lui pronunciò quel nome con un
accento di disperazione. Ora stava arrivando da qualche
parte.
“Abbiamo
solo bisogno della medicina. Abbiamo bisogno di fargli abbassare la febbre. Di
sicuro deve esserci un modo…”
Lui
guardò verso il basso, dando l’impressione di stare ponderando le sue parole,
prima di tornare a guardarla. Ciò che disse la sorprese, o meglio, la lasciò
davvero attonita.
“Posso
vederlo?”
Colta
di sorpresa, lei non poté far altro che ricambiare lo sguardo, con le labbra
silenziosamente aperte prima che la domanda fosse completamente registrata.
C’era un’unica risposta che poteva dare.
“M-
ma certo.”
“Potrei
chiederti di…” Lui si interruppe, forse imbarazzato a chiedere aiuto alla sua
nemica, o apertamente preoccupato per la reazione che il suo padrone avrebbe
avuto. In ogni caso, Lory gli rispose con un sorriso rassicurante ed un cenno di
assenso.
“Ti
porterò—“
Lui
la fece tacere volando vero di lei dall’altro edificio ed atterrandole di
fronte, terribilmente vicino. Lei non sapeva come avesse fatto a capirlo, ma fu
immediatamente certa di cosa lui stava chiedendo
esattamente.
“Io—“
“E’
il modo più veloce.”
Ora
Lory sapeva quanto disperatamente lui voleva vedere il suo amico e non poté far
altro che annuire prima di avvicinarsi a lui e permettergli di avvolgere le sue
braccia intorno alla sua vita. Un momento dopo, lei udì appena la sua voce
attraverso il sangue che aveva cominciato improvvisamente a pulsarle nelle
orecchie.
“Stai
ferma e concentrati sulla destinazione. Devi… guidarmi.”
Lory
annuì, nervosamente, timidamente, mentre le sue braccia si stringevano intorno a
lei e mentre avveniva un cambio di realtà. In pochi istanti, si stavano
teletrasportando e la vista della ragazza si offuscò, mentre lei cercava di
focalizzare la sua mente sull’immagine della stanza di
Strawberry.
Il
teletrasporto sembrò durare all’infinito e la ragazza scoprì di stare perdendo i
sensi. Tutto stava diventando indistinto, sfocato, in mancanza di un termine
migliore, e lei si chiese brevemente se stava per svenire.
L’unica
ragione per cui ciò non avvenne fu che Pai le dette una rapida stretta,
riportandola a totale lucidità, anche se ciò la fece arrossire con una violenza
che la stupì. Dopo tutto, perché avrebbe dovuto
arrossire…?
La
questione non poté essere ulteriormente esaminata: i contorni della camera di
Strawberry divennero più nitidi e Lory si trovò improvvisamente di nuovo in
piedi su un terreno solido.
Dopo
ciò, si rese conto che avrebbe dovuto agire in fretta per evitare dei danni:
l’improvvisa apparizione di Pai nella stanza aveva sorpreso Strawberry e le
aveva fatto assumere una violenta posizione difensiva. Lory non l’aveva mai
vista così agitata, così fuori di sé.
Se
fosse stata nelle sue sembianze di gatto, il suo pelo si sarebbe rizzato
all’inverosimile.
“Vattene
da qui,” ringhiò contro l’alieno più grande, con gli occhi stretti in due
minacciose fessure e la posizione simile a quella di un felino pronto ad
attaccare. Cosa stesse pensando, né Lory né Pai potevano davvero saperlo, ma il
fatto che Pai sembrasse il più leale verso Profondo Blu, verso colui che aveva
ordinato che Ghish fosse bandito,poteva averle solo dato il peggiore dei
pensieri. Era abbastanza probabile che lei pensasse che Lory aveva fallito e che
Pai era venuto per uccidere l’altro alieno.
“No! No,
Strawberry, va tutto bene, l’ho portato io” Lory scattò freneticamente,
accorgendosi che era rimasta nascosta alla vista dell’amica, e si mostrò dove
poteva essere ben notate. “Lui ha solo… voleva vedere Ghish, ok
Strawberry?”
Fu
incredibile come Strawberry cambiò rapidamente atteggiamento. La sua postura si
rilassò. La rabbia nei suoi occhi mutò nella vecchia preoccupazione ed in nuova
nuova, sospettosa curiosità, mentre Pai, faceva qualche passo avanti. Guardò
Lory, che annuì e, con cautela, si fece da parte.
L’alieno
più grande guardò giù verso il suo compagno dai capelli verdi, che sembrava
essersi addormentato in posizione sollevata, con il petto che si alzava ed
abbassava ritmicamente anche mentre i suoi respiri avevano un leggero raschiare.
Da un’unica occhiata, Pai poté dire che le sue peggiori paure erano vere, ossia
che Ghish era gravemente ammalato, che le Mew Mew non avevano mentito. Tutto ciò
portò una nuova ondata di senso di colpa e disperazione. Quando si avvicinò per
posare una mano sulla fronte di Ghish, con cautela, così da non svegliarlo,
rabbuiandosi al sentire la sua temperatura, ebbe un unico pensiero: è tutta colpa mia. Tutto ciò stava
avvenendo a causa sua… a causa del suo voler ascoltare Profondo Blu… eppure,
cosa poteva essere fatto? Come poteva sacrificare la sua razza intera per la
salute di Ghish? Eppure… questo non rendeva la vista dell’alieno sofferente meno
difficile da guardare.
Mentre
Strawberry e Lory lo osservavano, un forte senso di compassione le sopraffece
entrambe quando videro quel gesto, quel momento, per ciò che era: un amico che
si curava di un amico. Entrambe videro con quanta facilità la situazione si
sarebbe potuta applicare a loro, quanto vicino a loto era tutto ciò. Strawberry
era agitata a causa del significato di tutto ciò, mentre Lory mormorò un
supplichevole, “Ha bisogno della medicina.”
La
fronte di Pai si aggrottò, gli occhi si strinsero mentre cercava di trovare un
modo, un compromesso…
Alla fine, accettò. Così. Un
leggero colpo di tosse a parte del suo amico sofferente siglò la
decisione.
Con
un cenno della mano, fece apparire dal nulla una bottiglietta con un liquido
rosso. Senza esitare, la lanciò a Lory che, anche se colta di sorpresa, riuscì a
prenderla.
“Non
ci prenderemo cura di lui” disse, la sua voce risuonava di una durezza che non
si addiceva alle sue vere emozioni. “Non portatelo vicino alla nostra base, non
chiedete assistenza.” Lory lo guardò, paralizzata, mentre lui le rivolgeva il
suo sguardo.
C’era
l’ombra di un sorriso sulle sue labbra.
“Vo
ice l’avete rubata. Non vi permetteremi di rubare
nient’altro.”
Prima
che sparisse, Lory fu sicura che le avesse dato un’occhiata di totale
gratitudine.
Le
due ragazze rimasero a fissare la medicina in attonito silenzio, prima che
un’ondata di rilievo sopraffacesse Strawberry, che tirò le sue braccai intorno
alla sua amica.
“Arigatou!”
FINE DEL CAPITOLO
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Capitolo 16 *** Rimedi ***
Note
dell’autrice: perdonatemi per il lieve ritardo. Ho avuto una simulazione della
terza prova di maturità e, in questi giorni, il computer l’ho visto solo da
lontano. Voglio ribadire una cosa: io, Bebbe5, sto solo traducendo questa
fiction. Nel regolamento di EFP c’è scritto che bisogna crearsi un account a
nome dell’autrice di cui si traduce la storia, per questo compare il suo nome
nello spazio autore: in generale, cerco di mantenere il suo stile, com’è giusto
che sia, e solo raramente apporto correzioni.
Bene,
detto questo possiamo procedere
CAPITOLO
14
Ovviamente,
Strawberry era immensamente ansiosa di dare la medicina all’oggetto delle sue
cure. Lory dovette fare un passo indietro affinché l’amica non potesse prendere
la fiala.
“Lory,
dammi la—“
“Strawberry,”
rispose lei con dolcezza, giocherellando inconsciamente con la bottiglia, “Penso
che dovremmo vedere se ci sono delle indicazioni prima, tanto per essere
sicure.”
Strawberry
arrossì. Oh… già. Abbassò lo sguardo, imbarazzata per la sua mancanza di
riflessione. Ma comunque, non poteva di certo farsene una colpa, no?Mentre Lory
guardava da vicino la medicina, lei si voltò a guardare l’alieno che dormiva.
No, per nulla, la sua disperazione era totalmente
giustificata.
Eppure,
era contenta che Lory stesse pensando con chiarezza.
Il
suo treno di pensieri fu fermato quando la sua amica esprime una piccola
esclamazione di curiosità, mentre le sue dita scorrevano sulla superficie della
bottiglia e lei mormorava tra sé e sé, “Ci sono delle istruzioni scritte qui…”
Strawberry attese, il respiro le si era mozzato in gola, mentre un’improvvisa
ondata d’ansia (E se c’è qualcosa che non
va?) la sopraffece. Si rilassò quando Lory lasciò fuoriuscire il sospiro che
aveva trattenuto ed un piccolo sorriso addolcì la sua
espressione.
“Dice
che abbassa la febbre ed aiuta chiunque la prenda a dormire. Un cucchiaio ogni
sei ore. Ma…” strizzò gli occhi per discernere il testo rimanente, “dice che è
piuttosto forte. Probabilmente non dovrebbe prenderla a stomaco vuoto,
Strawberry”
Il
volto della ragazza si incupì, aveva sperato di poter dare immediatamente la
medicina a Ghish.
Per
quello, e per il fatto che non aveva preparato del cibo.
“Non
ho niente..“
Per
sua sorpresa, il sorriso di Lory si allargò ancora di più. I suoi occhi
scattarono verso la zuppa miso che si trovava sulla credenza, in paziente attesa
che fosse fatto buon uso di lei, poi si focalizzò sul volto nervoso dell’amica.
“Mi ha chiesto di portare del cibo, ricordi?”
Oh,
Strawberry sbatté le palpebre, sì…
Ora
si premise di sorridere un po’ anche lei.
“Allora
penso che dovrei…”
“Andrò
di sotto e farò un altro po’ di zuppa, ok? Se hai bisogno di
me...”
“Ti
chiamerò,” rispose Strawberry con un sorriso che stava diventando sempre più
luminoso, ed anche più sollevato. “Grazie Lory.”
L’altra
ragazza rispose con il suo caratteristico sorriso dolce prima di uscire dalla
stanza, chiudendo con delicatezza la porta dietro di lei. Prima di voltarsi per
percorrere il pianerottolo e scendere le scale, non poté impedire che le
scappasse un sospiro e che il suo sorriso si addolcisse ancora di
più.
Sapeva
che
tutto sarebbe andato bene.
Come
faceva a saperlo, questo non poteva dirlo.
Doveva
avere qualche cosa a che fare con la medicina, di sicuro. Ora che avevano la
fiala con il suo prezioso contenuto, le speranze per Ghish sembravano molto più
rosee.
Comunque,
questo non era tutto. Quel pensiero la fece arrossire un pochino, il perché non
riusciva a comprenderlo.
C’era
qualcosa oltre alla medicina, qualcosa nel nuovo modo in cui Strawberry guardava
il ragazzo alieno. L’aveva sentito la prima volta, nella voce di Strawberry
durante la telefonata, nella acuta paura che aveva dominato il suo tono. L’aveva
visto negli occhi di Strawberry ogni qualvolta lo guardava: brillava attraverso
quello sguardo di sincera preoccupazione.
All’inizio,
questo l’aveva confusa, e ciò era più che naturale, dato che, per tanto a lungo,
Strawberry aveva riservato quello sguardo tenero e speciale per Mark e Mark
soltanto. Lory era rimasta perplessa quando era stata testimone per la prima
volta della gentilezza di Strawberry nei confronti di Ghish, ma ora, dopo aver visto la
ragazza acquietare l’alieno, dopo aver sentito quel rassicurante calore quando
la sua amica aveva visto quella medicina che avrebbe aiutato a porre fine alle
sofferenze del ragazzo lasciato alle sue cure, sapeva che si era instaurato un
senso di pace dopo quella dura prova.
Non
era un vero e proprio segreto nella sua mente, che se ne era andata non solo per
preparare più cibo, ma anche per lasciare quei dure da soli
insieme.
Strawberry
amava Mark.
Ghish
era un alieno e, tecnicamente, ancora il nemico.
Tutto
ciò era vero, ma non aveva appianato l’urgenza istintiva di Lory di lasciare i
due da soli, di dare una possibilità a quella nuova dolcezza di Strawberry di
maturare.
Nonostante
le regole… Lory sapeva che qualcosa sarebbe potuto
accadere.
Sarebbe
accaduto…
Tutti
questi pensieri contribuirono ad accentuare quel sorrisetto segreto sui suoi
lineamenti, mentre lei cominciava a cercare in giro per la cucina di Strawberry
gli ingredienti di cui avrebbe potuto aver bisogno.
Non
appena Lory se ne fu andata, Strawberry corse alla credenza, afferrò il thermos
ancora caldo, pieno di zuppa miso, e si sedette accanto al letto sulla sedia
della scrivania. Prima di svegliare Ghish, svitò il tappo, inalando il profumo
della zuppa e sorridendo di nuovo, ringraziando mentalmente la sua amica. Dopo
ciò, versò lentamente il contenuto nella ciotola vuota del ramen che aveva dato
all’alieno il giorno prima. Con tutto ciò che era avvenuto nelle ultime
ventiquattr’ore, non aveva avuto il tempo di portarlo al piano di sotto. Niente
di male: da qualche parte nella sua mente, si accorse di non voler lasciare di
nuovo l’alieno, nemmeno per un minuto.
Posando
la ciotola sul comodino, fece per avvicinarsi a Ghish, così da scuoterlo e
svegliarlo, esitando momentaneamente alla vista del suo volto rilassato.
Strawberry non voleva davvero svegliarlo: farlo addormentare era stato così
difficile, ma una sola occhiata al pericoloso rossore sulle sue guance eliminò
ogni dubbio. Inoltre, pensò lei con
una piccolo ondata di determinazione, la
medicina dovrebbe aiutarlo a dormire,
in ogni modo.
Con
la confidenza rinata, si morse il labbro mentre toccava la sua spalla,
accorgendosi però di non stare riuscendo a svegliarlo in quel
modo.
La
sua soluzione? Senza nemmeno pensare a cosa stava facendo, lasciò la sua spalla
e si spostò sulla sua guancia, accarezzandola con dolcezza e sussurrando il suo
nome finché i suoi occhi non si aprirono, provocando rapidamente un nuovo
sorriso sul volto di lei.
Immediatamente
lei vide che, nonostante lui avesse aperto gli occhi, era difficile dire che
fosse pienamente cosciente. Oltre a quello, c’era una scintilla di confusione
crescente nelle sue iridi dorate che provocò quel familiare sentimento di
compassione. Prima di accennare alla questione della medicina, lei sentì il
bisogno di estinguere quella scintilla per quanto poteva.
“Ehi,
Ghish,” mormorò, cominciando a spostargli indietro i capelli, mentre gli occhi
si lui si focalizzavano su di lei. Con piacevole sollievo, lei vide che le sue
labbra pallide stavano gradualmente riflettendo il suo sorriso, mentre le
rispondeva con un debole ma calmo raschiare della voce.
“Ehi,
micetta…” si interruppe per tossire leggermente, e Strawberry sentì i suoi occhi
velarsi, perché comprese immediatamente che lui stava cercando di sembrare sé
stesso, usando quel nomignolo mentre ci provava, cercando di comportarsi come al
solito con l’intento di
rassicurarla. Questo, combinato al ricordo di quando lui le aveva detto di non
piangere mentre soffriva molto… la spinse solo a sforzarsi di più per
confortarlo.
“Come
ti senti?” continuò, cercando di renderlo più cosciente prima di cercare di
farlo mangiare e di dargli la medicina. Con sua sorpresa, lui ridacchiò prima di
tossicchiare un po’, poi rispose.
“Davvero
tu…” prese qualche respiro. Si sentì improvvisamente in preda alle vertigini, ma
recuperò la sua attenzione abbastanza rapidamente, “vuoi
saperlo?”
Strawberry
poté solo sforzarsi di mantenere quel sorriso rassicurante sulle sue labbra e la
sua preoccupazione sotto controllo mentre continuava a spostargli indietro i
capelli. Scosse la testa leggermente fornendogli l’unica risposta che poteva
dargli.
Stabilendo
che ormai era abbastanza sveglio, gli riferì la buona notizia che era stata
ansiosa di dargli.
“Abbiamo
la medicina, Ghish,” il suo sorriso si fece più largo, la sua voce diventò anche
più dolce, “Dopo che avrai mangiato qualcosa, te la faro prendere e ti sentirai
molto meglio.”
La
sua preoccupazione crebbe, e così fece la pressione per quello che avrebbe
dovuto fare, quando all’alieno ci volle qualche momento per assimilare
l’informazione e quando, anche dopo ciò, la guardò con un po’ di confusione
dipinta nell’oro dei suoi occhi.
“Dove…?”
Ora
era il turno della ragazza di essere basita. “Dove… dove
cosa?”
Lui
sospirò piano prima di rispondere, chiudendo di nuovo i suoi occhi per
allontanare un altro apparente attacco di vertigini. Ciò procurò un’ altra fitta
di paura nella ragazza: si
preoccupò che lui si stancasse prima che lei avesse la possibilità di dargli la
cura di cui aveva bisogno.
“Dove…
da dove…”
“Oh!
L’abbiamo avuta da Pai,” gli spiegò, mentre un sorriso luminoso incontrava lo
sguardo interrogative di lui. La ragazza si allungò per prendere la zuppa,
convinta che tutte le questioni fossero state risolte. Rimase stupita quando lo
vide scuotere la testa ed i suoi occhi appena coscienti assumere un accenno di…
paura forse? Sfiducia sicuramente.
“No,
no… lui non… non farebbe—“ si interruppe tossendo, Strawberry lo guardò con
ansia mentre lui cercava di completare qualsiasi cosa stesse cercando di dire,
“Anche… Profondo Blu… non vorrebbe…”
Sembrava
che ciò lo privasse di molta energia, e lui si appoggiò alla testiera ed ai
cuscini con un’esclamazione di dolore, mentre Strawberry lo osservava, con un
gelo tremendo che si formava in fondo al suo stomaco.
“No,
Ghish, l’ha fatto, davvero…” si morse
il labbro, accorgendosi all’improvviso che l’alieno probabilmente non si
ricordava l’incoraggiamento che aveva fatto a Lory quando era andata a chiedere
l’aiuto di Pai, e probabilmente non ricordava nemmeno che l’altra ragazza fosse
stata lì. Di certo non poteva sapere… sapere cosa? Come poteva lei stessa sapere
che la medicina fosse giusta, e non, forse, qualche tipo di veleno preparato per
finire il già debole malato?
Aveva
qualcosa a che fare con il modo in cui Pai era sembrato quando aveva visto
Ghish?
La
gratitudine nel suo sguardo quando aveva lanciato la fiala a Lory era anche un
motive di una certa importanza per supportare la sicurezza di
Strawberry.
Come
avrebbe potuto spiegarlo a Ghish che si stava stancando
rapidamente?
Doveva
provarci, almeno.
“Era
qui, Ghish. Lory l’ha portato. Gli ha chiesto la medicina e
lui…”
“Ohh…”
Ghish mormorò improvvisamente, cogliendo Strawberry così di sorpresa da farla
sobbalzare. Insieme a questo sospiro di accettazione, c’era l’ombra di un ghigno
che stupì ancora di più la ragazza.
“La
pesciolina l’ha fatto… certo… gli piace la pesciolina…” terminò con una
delirante risatina prima di collassare in flebili, deboli respiri, che lasciando
Strawberry in silenzio a guardare.
Da
una parte, era contenta che fosse stato facile
convincerlo.
Dall’altra,
il suo improvviso cambiamento in un balbettio delirante la spaventava
terribilmente.
Da
un’altra ancora, si chiedeva cosa lui volesse dire con “gli piace la
pesciolina”…
Quell’ultimo
pensiero fu lasciato da parte per prendere la ciotola di zuppa miso, mettersela
in grembo, e prenderne una cucchiaiata per lui. Non ci provò nemmeno con le
bacchette: la necessità di immettere in lui quella medicina il prima possibile
era troppo grande. Perciò, lo chiamò dolcemente, attirando la sua attenzione
prima di portargli il cucchiaio alle labbra. Lui lo fissò per un attimo, troppo
stanco per mangiare oppure chiedendosi cosa fosse quello esattamente, poi sembrò
comprendere che lui era, in fin dei conti, piuttosto affamato, nonostante la
malattia. Dopo che lui ebbe preso la prima cucchiaiata, lei ne preparò un’altra,
e poi un’altra ancora, finché mezza ciotola non fu svuotata. Il ragazzo si
appoggiò alla testiera, e Strawberry vide che non aveva senso forzarlo a
mangiare di più: aveva completamente esaurito ogni energia che il suo recente e
breve riposo gli aveva dato, e adesso lei avrebbe dovuto dargli la medicina,
prima che perdesse nuovamente conoscenza.
Posando
la ciotola, prese la bottiglietta, con gli occhi che scorrevano rapidamente le
istruzioni ancora una volta, prima che lei prendesse il cucchiaio e vi versasse
la sostanza sciropposa dentro. Per poco Strawberry non fece una faccia schifata
al penetrante odore, quasi chimico, che proveniva da quel liquido, ma si
trattenne subito, ricordandosi che un simile gesto avrebbe potuto far diventare
Ghish reticente nei riguardi della medicina. La sua mente era così instabile e
lei doveva stare molto attenta a come prenderlo.
Perciò,
in silenzio, gli offrì quella roba. Ovviamente, lui storse il naso per il
disgusto: anche da malato, poteva rendersi conto che bere quel liquido rosso
sarebbe stato alquanto spiacevole. La reazione provocò una risata dalla ragazza:
sarebbe stata più divertita se non fosse stata così desiderosa di vederlo
prendere quell’affare.
“Non
mi piace quella roba,” mugugnò Ghish, guardando la medicina con tutta la
diffidenza che era ritornata nel suo sguardo. “Brucia tutte le
volte…”
“Per
favore, Ghish?” tentò di rendere la sua voce il più supplichevole possibile per
incoraggiarlo. A dire la verità, era così ansiosa di aiutarlo, che non dovette
sforzarsi poi tanto. “Ti farà stare meglio,” insistette, con gli occhi che
sostenevano lo sguardo stanco dell’alieno. “Te lo prometto,” aggiunse in tono
dolce, e questo parve convincerlo del tutto. Ubbidientemente, ingerì il
contenuto del cucchiaio e, con sgomento ed un’improvvisa paura da parte di
Strawberry, cominciò a tossire violentemente quando il liquido raggiunse la sua
gola.
Evidentemente,
quando diceva che bruciava, non stava scherzando.
Velocemente,
la ragazza gli verso un altro bicchiere d’acqua, ma si accorse che farlo bere a
questo punto, l’avrebbe portato a strozzarsi. Tutto ciò che poteva fare era
mettergli delicatamente una mano sulla schiena e tentare di rassicurarlo per
quanto possibile con il suo tocco, mentre lui tentava di recuperare il
respiro.
Quando
alla fine fu in grado di respirare abbastanza normalmente, lei gli offrì
l’acqua, che lui bevve lentamente, facendo una smorfia di dolore ogni volta che
inghiottiva, la ragazza notò.
“Brucia…
brucia davvero?” sussurrò a sé stessa, sobbalzando quando vide il ragazzo
annuire in risposta ed accorgendosi che l’aveva udita.
Ancora
una volta arrivò quella opprimente ondata di compassione, mentre lei
rabbrividiva al pensiero di quanto fastidio poteva causargli quel liquido.
L’alieno parlò di nuovo, un semplice, fragile “Sì, brucia” e lei poté dire che
la sua gola stava bruciando peggio che mai.
“Vuoi
un po’ di tè?” gli chiese calma, con le mani che si fermarono sul suo ginocchio
mentre lui scuoteva lentamente la testa. “Continuerà a..” lei deglutì quando lui
precipitò nuovamente in un attacco di tosse, sobbalzando visibilmente mentre i
suoi occhi si inumidivano per la tremenda sensazione. L’episodio lo lasciò un
po’ boccheggiante e tutto ciò che Strawberry poté fare fu rimanere seduta sul
bordo del letto ed avvicinarsi per accarezzargli i codini in modo da
calmarlo.
Quasi
in automatico, lui si piegò verso quella fonte di conforto e la ragazza gli
permise di appoggiarsi a lei. Mentre lui metteva la testa sulla spalla di lei,
fu scosso da un brivido improvviso e la ragazza, inconsciamente, lo avvolse con
un braccio, anche se gentile ed attento alla sua spalla
fasciata.
“Hai
freddo?” mormorò ma lui ignorò la domanda, esalando un flebile
sospiro.
“Stanco…”
Giusto…
questa roba dovrebbe aiutarlo a dormire.
Infatti,
i suoi occhi cominciarono a chiudersi. La ragazza cominciò ad allontanarsi da
lui, facendolo sdraiare con cautela, quando lo emise un suono di protesta.
Lei si fermò dandogli uno sguardo gentile ma
confuso.
“Non
vuoi dormire?” gli chiese, un sorriso le sollevò le labbra mentre lei tentava di
nuovo di alzarsi e di lasciare che si stendesse, solo per sentire una debole
presa sul suo braccio. I suoi occhi scattarono verso il volto dell’alieno, e lei
si paralizzò momentaneamente, sorpresa di vederlo rispondere allo sguardo, con
un’espressione supplichevole che brillava nei suoi occhi attraverso la
febbre.
“Non…
potresti… potresti per favore…?” distolse lo sguardo bruscamente, e Strawberry
si accorse che il rossore sulle sue guance non dipendeva dal fatto che la febbre
si fosse alzata all’improvviso, ma perché lui stava effettivamente arrossendo. Questo le ispirò un sorriso sincero.
Era
abbastanza divertente, davvero, che quando lui era brusco, crudele, o
fastidiosamente possessive, poteva fare un balzo e baciarla senza la minima
goccia di umiltà. Ora, invece, trovandosi di fronte ad un vero bisogno e ad un
concreto desiderio di avere Strawberry vicina, era diventato
timido.
Nonostante
la situazione, Strawberry non riuscì a mandare via il sorriso dal suo
volto.
Era
così adorabile.
Inoltre
non lasciava alcun dubbio nella sua mente, così gli rispose
immediatamente.
“Certo.”
Con
ciò, si posizionò con cautela dietro di lui, appoggiandosi da seduta alla
testiera e ricordandosi che lui aveva detto che gli riusciva meglio respirare se
stava tirare su. Rilassandosi su alcuni cuscini posti dietro la sua schiena,
facendo attenzione, avvicinò l’alieno a lei con un braccio ed afferrò le coperte
con l’altro. Un altro leggero tremito da parte del ragazzo la costrinse a
rimboccare le coperte attorno ad entrambi.
Alcuni
momenti dopo, quando fu sicura che il ragazzo fosse totalmente coperto, avvolse
le sue braccia intorno a lui e Ghish si accoccolò contro di lei, poggiando la
testa sul suo petto prima di chiudere gli occhi. Mormorò qualcosa che suonava
come un grazie, ma lei non poteva essere certa di ciò: la medicina stava
cominciando a fare effetto, ed un tranquillo silenzio cadde tra i
due.
Per
alcuni minuti, questo silenzio regnò sovrano, e Strawberry pensò che Ghish si
fosse addormentato. Lei stessa stava cominciando a chiudere le palpebre, perciò
si risvegliò di soprassalto al suono del suo nome.
“Strawberry?”
“Mmm?”
replicò lei, mentre le sue mani accarezzavano lentamente i capelli dell’alieno
ed i suoi occhi guardavano il suo volto, una folata di assonnata piacere la
solleticò alla vista di un lieve sorriso sul volto rilassato di
Ghish.
“…sembri
proprio mia mamma…” le sussurrò di rimando, muovendosi appena e accoccolandosi
contro di lei ancora di più finché non sentì le gambe della ragazza toccargli le
braccia.
Strawberry
si accorse di non aver mai veramente pensato che lui potesse avere una madre.
Quella nozione non si era mai fatta viva. Ora, dopo lo shock iniziale ispirato
da quella affermazione, la sua espressione si addolcì. Posò la guancia sulla
testa di lui, le sue braccia gli dettero una leggera stretta e si accorse,
abbastanza improvvisamente eppure con una naturale e comprensiva felicità, che
questo, probabilmente, era il miglior complimento che avesse mai
ricevuto.
Tutti
i commenti che Mark aveva sempre fatto sul suo aspetto, sulla sua personalità e
sulle sue azioni, impallidivano e basta comparata al sonnolento sussurro del
ragazzo alieno. Forse era la quiete del momento, o il suo profondissimo sollievo
per aver finalmente dato all’oggetto delle sue cure il trattamento di cui aveva
bisogno. Magari aveva a che fare con il modo in cui lui si premeva contro di
lei, così soddisfatto anche solo di poter ricevere le sue tenere carezze. Poteva
non conoscerne la ragione, ma ciò importava così poco, quasi nulla, mentre lei
seppelliva le sue dita tra i capelli dell’alieno.
La
parte più importante e più... significativa… di tutto ciò era che non una volta
aveva udito quella vocina di solito instancabile che predicava le virtù di Mark.
Niente, nemmeno il più flebile, debole sussurro.
Quella
voce non sarebbe potuta essere più lontana dai suoi pensieri e lei si trovò a
sorridere, ridacchiando un po’ prima di chiedere, con lo stesso tono: “Com’è
lei?” si trovò a rimpiangere un po’ quella richiesta dopo averla fatta: sperava
davvero che il ragazzo si addormentasse. Nonostante ciò, la voce dell’alieno,
anche se roca e raschiante, le portava un po’ di gioia e conforto che lei non
voleva ignorare. Inoltre, pensò, la medicina l’avrebbe fatto dormire presto, e
probabilmente l’avrebbe rassicurato di più addormentarsi parlando che rimanere
sdraiato in silenzio, capace di focalizzarsi solo sul suo dolore e sulla sua
debolezza prima che il sonno lo prendesse. Perciò, lei continuò a giocherellare
con uno dei suoi codini mentre lui rispondeva.
“Buono…
sa di…” si interruppe prima che il nome gli venisse alla mente, “…di vaniglia.”
Con gli occhi chiusi, sorrise. “Sembra
come te… calda, come te…” respirò a fondo per alcuni momenti prima di
aggiungere, con un tono malinconico che aveva invaso la sua voce “non voleva che
andassi…”
Che andasse? Andasse dove…? Strawberry
se lo chiedeva mentre guardava Ghish, la perplessità le passò sul volto prima
che la sua bocca emettesse un piccolo, quasi non udibile urletto, quando la
risposta arrivò tutto d’un colpo.
Non
voleva che venisse qui…
Così
tanti nuovi pensieri, tante nuove consapevolezze le riempirono la mente, nessuna
di esse era allegra. I suoi occhi si riempirono di lacrime di compassione,
mentre, con un dito, accarezzava la guancia di Ghish.
Sua
madre aveva avuto paura per lui? Doveva averla avuta. Per forza, era una madre,
dopotutto. Se sua madre avesse saputo
cosa faceva lei regolarmente, ossia lottare contro terribili mostri, le sarebbe
di sicuro venuto un colpo. Come poteva sentirsi una madre quando suo figlio era
lontano parecchie miglia su un pianeta che era soprattutto alieno nonostante le
leggende della sua gente al riguardo? Cosa poteva pensare riguardo al suo
bambino così lontano da casa immerso in una così pericolosa
missione?
Probabilmente
doveva essere terrorizzata oltre ogni limite al mero pensiero di
ciò.
Se
somiglia solo un po’ a mia madre, deve essere preoccupata ogni giorno, ogni
minuto…
Ed
ha anche una buona ragione,
Strawberry si disse in silenzio, mentre la sua concentrazione ritornava
sull’alieno malato. All’improvviso, i suoi pensieri presero una piega diversa
che non fece altro se non rafforzare quel sentimento di
empatia.
Come
si sentiva lui al riguardo? Così
lontano dalla casa che aveva conosciuto per tutta la sua vita… lontano da sua
madre e forse dai suoi fratelli, dai suoi amici… così lontano, ora rifiutato dai
suoi compagni, rifiutato, solo e malato…
Ora,
una lacrima le rotolò lungo la guancia.
Lui
non lo dimostrava mai in circostanze normali, durante le loro molte battaglie,
durante le sue battutine, ma dopo aver affrontato la paura della sua morte poco
prima quel giorno, dopo essere stata con lui negli ultimi due, si accorse, con
una spiacevole, nauseante senso di colpa, che nonostante tutta la sua
nonchalance, il suo comportamento spensierato, probabilmente aveva le stesse
paure che lei sentiva in quei giorni in cui si era accorta di essere solo una
bambina che combatteva per proteggere il suo intero
pianeta.
Quanti
anni aveva lui? Non molti più di lei.
Un
bambino… un bambino, proprio come lei, che lottava per salvare la sua gente
dalla sofferenza. Che lottava, proprio come lei, per ciò in cui credeva.
Strawberry,
spesso, durante le battaglie, aveva paura per sé stessa, per le sue amiche, ed
era sul suo pianeta natale, ancora vicina alla sua famiglia, ancora vicina a
quelli che potevano aiutarla. Ghish… era così lontano dalla sua intera
vita,
ed ora le uniche connessioni che aveva con quella, ossia Pai e Tart, gli era
stata portata via a causa… a causa sua.
Si
ricordò cosa aveva detto, durante quella stessa battaglia in cui era rimasto
ferito, con quanta passione aveva parlato delle loro motivazioni… delle
motivazioni di Pai e Tart…
Era
sembrato così leale alla causa, eppure aveva gettato tutto al vento per
risvegliarla… per salvarle la vita…
Ciò
significava che…
Dio,
ciò significava che…
“Deve
essere fiera,” gli sussurrò nel orecchio a punta, anche con quella tempesta di
compassione crescente di rimpianto sempre volteggiante nella sua mente.
“Davvero, davvero fiera.”
Strawberry
sapeva che se la sua stessa madre avesse saputo cosa stava facendo, ne sarebbe
stata orgogliosa.
Se
ciò era vero, allora la madre di Ghish, preoccupata ed in attesa di un figlio il
cui lavoro era tanto più difficile di quello delle sue avversarie umane, doveva
essere piena di orgoglio. Suo figlio, pensò Strawberry, era così coraggioso e
così...
Solo…
così completamente solo adesso...
Io
ho Mina e Lory, Paddy, e Pam, e
persino Ryan e Kyle... lui chi ha? Gli ho portato via tutto ciò che aveva…
Le
sue carezze, le sue cure gentili, il suo sussurrare rassicurante... sembrava
tutto molto più importante adesso. Ora, conosceva un senso di… non sapeva cosa.
La sua mente era ancora sconvolta da quei pensieri riguardo l’aver paura.
Fu
tratta fuori da quei pensieri dalla sua tosse leggera, seguita da una flebile
risatina.
“Ne
è valsa la pena… sempre voluto… proprio così…”
All’inizio
Strawberry era confuse, i suoi occhi castani (NDT: ancora una volta, ho trovato
le parole “pink eyes”. Ma Strawberry non ha gli occhi marroni?)si sbarrarono,
mentre lei si chiedeva cosa ciò avesse a che fare con sua madre. Quando lui
ricadde nel silenzio, tremando debolmente per un alto brivido nonostante la
febbre, mentre lei gli strofinava delicatamente le braccia sotto le coperte,
stando attenta a non danneggiare la sua ferita bendata, per dargli un po’ di
calore in più, capì ciò che voleva dire, e questa volta, l’urletto fu piuttosto
udibile e seguito da un dolce ma severo, “Ghish, no, non
è—“
Lui
riuscì ad interromperla, persino nel suo stato, data la confusione in cui si
trovava lei.
“Sì…
perché sei così morbida… così buona… mia… Adoro…”
Le
sue parole erano così flebili, così fragile, eppure per lei risuonavano con un
volume che non riusciva a spiegare.
Rimasta
senza parole, tutto quello che poté fare fu trattenere un singhiozzo mentre un suo braccio uscì da dove era
stato avvolto intorno a lui sotto le coperte e lei appoggiò il palmo della mano
sulla sua guancia, tenendolo stretto a lei finché lui si
addormentò.
Era fatta.
Questo
era alquanto divertente, perché lei non aveva veramente seguito il corso della
cosa, perciò non sapeva che era vicina alla soluzione o che la soluzione poteva
essere vicina.
Se
n’era accorta quando era cominciato, certo, quando lei lo aveva trovato nella
neve e si era scusata con lui, l’aveva riportato a casa ed aveva affrontato
l’inizio della sua malattia. L’aveva sentito cominciare
allora.
In
seguito, comunque, se n’era dimenticata. Nella sua disperazione per combattere
la sua malattia, l’aveva ignorata. Diamine, nemmeno in quella
disperazione.
Era
stata nella sua disperazione di tenere le cose com’erano sempre state, nella sua
disperazione per ignorare Lory, per ignorare quella notte, quella battaglia,
quel risveglio.
Aveva
provato e non si era accorta del suo fallimento finché non si era
completato.
“Ghish,”
mormorò, piano, così da non svegliarlo, “Mi dispiace…”
La
ragazza dovette fermarsi per alcuni istanti: il singhiozzo che rischiava di
sfuggirle avrebbe potuto disturbarlo.
“Mi
dispiace per ciò che ho fatto… per quello che ti sono costata. Mi dispiace
tanto…”
La
sua mano si mosse dalla guancia ai capelli e lei cominciò a farci passare le
dita in mezzo, sfacendo i nodi sudati che si erano formati nel corso della sua
malattia.
“E’
così difficile… deve esserlo, per te. E’ così difficile combattere da soli,
anche quando credi così tanto in qualcosa. Eppure tu… tu…”
Non
riuscì a trovare la forza di dire “eppure tu hai gettato via tutto per me”. Se
l’avesse fatto, non sarebbe stata in grado di controllare le
lacrime.
“Mi
dispiace,” boccheggiò, un singhiozzo le sfuggì dalla gola. Per un attimo, posò
la sua testa su quella dell’alieno, concentrandosi sulla sensazione dei suoi
capelli contro la sua guancia. Il braccio ancora avvolto intorno a lui si mosse,
la mano si mise con cautela sulla parte bendata del suo petto e si mosse finché
non trovò il fievole, ma saldo battito cardiaco. Rimase lì per alcuni istanti e,
con la sua guancia ancora premuta contro la testa di Ghish che dormiva,
Strawberry sorrise tra le lacrime, così parve, con una nuova
risolutezza.
“Mi
dispiace per aver mentito, Ghish,” proseguì, sollevando la testa per guardarlo,
per guardare quel volto il cui rossore sembrava essere regredito un po’, quel
volto che era finalmente rilassato in un benedetto, profondo, pacifico
sonno.
Le
sue dita tracciarono il profilo della guancia, della mandibola, del bordo
dell’orecchio e lei si trovò a deglutire un singhiozzo di gioia prima di
risolvere quella che adesso vedeva come la più grande menzogna mai pronunciata
da lei.
“Ti amo.”
Quella
affermazione era tutto ciò di cui aveva bisogno per allontanare quelle
sensazioni scombussolanti di colpa e disperazione, tutto ciò di cui aveva
bisogno per lasciare che i suoi occhi si chiudessero e che lei si unisse a Ghish
nel riposo.
Ecco
come li trovò Lory, quasi mezz’ora dopo, quando tornò di sopra per controllare
la sua amica, dopo essersi chiesta come mai ci fosse tutto quel silenzio.
Aprì
silenziosamente la porta ed il suo volto assunse un’espressione di tenerezza
quando i suoi occhi si posarono sul groviglio di lenzuola e sui suoi occupant,
entrambi serenamente addormentati, entrambi in qualche modo migliorati da quando
lo aveva visti l’ultima volta.
Ovviamente,
riuscì ad attribuire tutto ciò solo alla medicina di Ghish ed al sollievo che
ciò doveva aver portato a Strawberry.
Mentre
sorrideva, sapeva che il tutto era ancor connesso a quel piccolo qualcos’altro
che poteva accadere. Che sarebbe accaduto…
Che
era accaduto.
Con
un’ultima occhiata alla coppia, Lory chiuse piano la porta ed andò di sotto in
punta di piedi.
Nella
stanza, Ghish e Strawberry continuarono a dormire, al sicuro e tranquillamente
in un calmo abbraccio.
FINE
DEL CAPITOLO
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Capitolo 17 *** Guai in arrivo ***
CAPITOLO
15
“Tu hai fatto cosa?!”
Pai
aggrottò la fronte, guardando in basso verso il suo compagno più piccolo con
disapprovazione. “Un po’ più forte, Tart, e Profondo Blu si chiederà il perché
di questa discussione.”
Questo
azzittì l’alieno più giovane all’istante, anche se non fece nulla per cancellare
lo sguardo incredulo dal suo volto. Dopo alcuni attimi di tensione, durante i
quali Pai si voltò di nuovo verso la console del computer davanti al quale si
trovava e cercò di riprendere il suo lavoro, Tart saltò su di
nuovo.
“E…
lei cos’ha fatto?”
“Gliel’ha
data e sono andati a dormire.”
“Cosa
vuoi dire con ‘sono andati a dormire’? Vuoi dire…
insieme?”
Pai
sospirò infastidito. Si era aspettato lo stupore del suo camerata al sapere che
aveva dato alle Mew mew la medicina che avevano chiesto, ma ne avevano già
discusso. Il tumulto in cui si trovava Tart in quel momento era risultato dal
fatto che Pai aveva ammesso di essere rimasto fuori dalla finestra di
Strawberry, nascosto al sicuro tra I rami di uno degli alberi che crescevano
vicino alla casa, per vedere esattamente come le due umane si stavano prendendo
cura di Ghish.
Era
rimasto sorpreso (e leggermente irritato, ma quello era un altro punto che non
si sentiva di poter esplorare davanti a Tart) quando Lory era uscita dalla
stanza, lasciando la ragazza-gatto da sola con il suo
paziente.
Era
uno shock che sembrava un’eco della sua perplessità di fronte alla reazione di
Strawberry quando era apparso nella stanza: era sembrata così… protettiva. Ora,
si sarebbe potuto aspettare che la ragazza temesse per la sua stessa vita, ma lei non si era
rannicchiata in un angolo per amor di sopravvivenza. No, gli aveva quasi
soffiato contro come il gatto il cui DNA lei possedeva, gli era quasi saltata
addosso nello sforzo di proteggere… Ghish. Era rimasta vicino a lui, si era
posta tra lui e Pai in un palese tentativo di custodirlo.
Ciò
aveva dato a Pai un vero colpo di sorpresa, ma lui lo aveva spinto da parte,
ansioso di esaminare il suo amico, e poi di dare alle ragazze la medicina e di
andarsene prima che Profondo Blu, in qualche modo, riuscisse a capire con chi
stava parlando. Mentre stava su quell’albero, a guardare Strawberry prendersi
cura del suo compagno, quella sorpresa era tornata
decuplicata.
Aveva
sempre saputo della alquanto insana ossessione di Ghish per quella ragazza:
addirittura, era stata la causa per cui Profondo Blu lo aveva rifiutato. Pai
sapeva anche benissimo che la ragazza non ricambiava quei sentimenti. Era questo
che aveva fatto diventare Ghish così pazzo per la frustrazione e la
disperazione.
Fino
a lì, Pai aveva considerate l’intera questione con nient’altre se non disprezzo.
Primo, credeva che innamorarsi del nemico fosse la cosa più stupida che Ghish
potesse fare. Secondo, questa ragazza non ricambiava nemmeno il suo affetto.
Logicamente, era tutto così ridicolo! Perciò, Pai aveva fatto del suo meglio per
dissuadere Ghish dal suo inseguimento della ragazza, ma Ghish era Ghish e dunque
aveva totalmente ignorato i consigli del suo amico più grande. Questo lo aveva
portato ad una situazione in apparenza senza speranza: Pai e Tart erano stati
costretti a lasciare il loro compagno quando lui aveva più bisogno di
loro.
Sul
momento, Pai era sicuro che Ghish sarebbe morto. Le sue speranze di sopravvivere
nella crudele città umana con quelle ferite erano zero. Pai lo sapeva. Aveva
calcolato l’esatta probabilità in un silenzioso moto di speranza che si era
presto trasformato in disperazione.
Mentre
stava seduto su quell’albero, a guardare Strawberry, aveva visto che si era
alquanto evidentemente sbagliato.
Mentre guardava la ragazza calmare l’alieno, mentre la guardava permettergli
di riposare appoggiato a lei, mentre la guardava ascoltare le flebili parole di
lui e raccoglierlo gentilmente tra le sue braccia prima che il sonno rapisse
entrambi, vide che non importava quanto fosse strano, quanto sembrasse
improbabile, lui si era sbagliato.
Era rimasto senza parole, mentre si teletrasportava nell’altra dimensione, e
ciò aveva reso più difficile rispondere al fuoco di fila di domande che Tart gli
aveva fatto. Ora, vedendo la totale incredulità del più giovane, non sapeva
esattamente cosa dire. Lui stesso era ancora piuttosto stranito da ciò che aveva
visto.
A
lei non piaceva…no…gli piaceva quell’altro…ma allora
perché…perché…?
Era
forse possibile che la fiducia di Ghish non fosse stata
malriposta?
Impossibile,
ma in qualche modo vero.
Pai
si sforzò di mantenere un contegno, rispondendo a Tart nel modo migliore
possibile.
“Sì,
insieme.” Poteva a malapena credere che il fatto che la sua voce rimanesse
totalmente ferma mentre parlava fosse davvero un credito del suo
autocontrollo.
“E
lei… non lo stava picchiando o roba del genere?”
“…no.”
Non lo aveva colpito… si ritrovò sorpreso a quanto gentile era
stata…
“Vuoi
dire che… lei voleva—“
“Sì, Tart!” Nella sua stessa confusione,
Pai gridò contro la sua controparte più giovane ed il ragazzo si zittì. Il più
grande sospirò. Non avrebbe voluto gridare, ma questa intera situazione… queste
circostanze…
Beh,
chi poteva biasimarlo?
Stava
per scusarsi quando Tart proseguì, stavolta in un tono più
cupo.
“Dunque…
come sta? Pensi che starà bene?”
“Io…Io
non lo so.”
Era
l’unica risposta veritiera che potesse dargli, perché davvero non riusciva a
trovare un finale logico. Non ne aveva nemmeno visto l’inizio. Cosa poteva aver costretto
Strawberry a cambiare completamente i suoi modi?
Era
possibile che gli umani non fossero così senza cuore come aveva precedentemente
pensato?
No…era
assurdo! Non era possibile che…
Beh…
lei era sembrata piuttosto scossa dalla sua dichiarazione sull’egoismo umano
dopo il collasso di Ghish…i suoi occhi rosa esprimevano la massima
confusione…
Eppure…
impossibile… era impossibile…
E
l’altra ragazza… quella dai capelli verdi… non aveva altro che
compassione—
Pai
sbatté rapidamente le palpebre, estinguendo quel pensiero prima che potesse
devastarlo di più ed aggiungersi al subbuglio nella sua
mente.
Controllando
il più possibile la sua voce, rispose a Tart il più sinceramente, fiduciosamente
possibile.
“Ora
ha una possibilità.”
Silenzio
di nuovo: Pai cercò di riprendere il suo lavoro ma si scontrò con un’ansia
ancora maggiore, con quella preoccupazione che aveva così duramente cercato di
ignorare per badare ai suoi doveri. E se Profondo Blu si fosse accorto del suo
ripensamento, del suo comportamento cambiato?
“P-Pai?”
Il più grande si tese, preparandosi ad un’altra deprimente
domanda.
“Sì?”
“Allora,
cosa mi dici della verdina? Cos’ha detto?”
Ecco...
questo distruggeva ogni possibilità
di tornare a lavorare.
Tart
si teletrasportò via con un sorrisetto, lasciando Pai a borbottare in una stanza
vuota.
Lory
sobbalzò all’improvviso suono della sveglia del suo telefonino, poi si rilassò,
ricordandosi perché l’aveva programmata. Chiudendo piano “Orgoglio e
Pregiudizio” e posando il libro sul tavolo di cucina, controllò il suo orologio
e sorrise. 10:42 PM: esattamente sei ore da quando aveva lasciato Strawberry a
dare a Ghish la prima dose della medicina rosso-rubino. Era l’ora della
prossima.
Strawberry
e l’alieno avevano, per quanto Lory ne sapeva, dormito profondamente: la ragazza
gatto aveva lasciato la stanza solo una volta per andare al bagno e rifornire la
sua scorta di asciugamani e di acqua fredda nel frattempo. Era sembrata
piuttosto ansiosa anche solo per compiere quella necessità, e Lory era
abbastanza convinta che avesse passato il resto del tempo abbracciando Ghish che
dormiva.
Era
strano.
Ma
era anche dolce.
Quando
Lory aprì piano la porta, la vista dell’alieno accoccolato alla sua amica,
entrambi profondamente addormentati, entrambi dall’aspetto più tranquillo di
come li aveva visti da quando era arrivata, rese il doverli svegliare per dare
all’alieno la dose necessaria una alquanto sfortunata inevitabilità. La ragazza sospirò, attraversando la
stanza in silenzio e prendendo posto sulla sedia della scrivania, prima di
avvicinarsi esitante per scuotere Strawberry in modo da
svegliarla.
Esitò
ancora.
Sembravano
così a loro agio, così tranquilli…
Poi
si accorse che il rossore, sparito nelle ultime ore grazie alla medicina, era
ritornato sulle guance di Ghish. Deve
essere fatto… pensò con una
fitta di disappunto.
Alla
fine le ci vollero alcune scosse decise per fare sì che Strawberry cominciasse a
svegliarsi. Poi, gli occhi della ragazza si aprirono e si fissarono su Lory.
Sembrava che volesse stirarsi, ma una rapida occhiata a Ghish, ancora
accoccolato sul suo petto, estinsero quel desiderio. Sorrise, sbadigliando un
flebile “ciao.” Prima che avesse la possibilità di parlare, Lory si schiarì la
voce.
“Come
sta?”
Strawberry
sbatté le palpebre, colta di sorpresa dalla brusca domanda. Ripresasi rapidamente, mise una mano sulla fronte
di Ghish, aggrottando appena le sopracciglia.
“Ha
dormito per tutto il tempo, e pensavo che stesse meglio ma…” Un senso di panico
cominciò a prendere possesso di lei: la febbre era tornata, era tornata e -
“Va
tutto bene Strawberry. Questo,” alzò la bottiglietta, “è un riduttore di febbre,
ricordi? Inoltra aiuta a dormire. Deve comunque combattere la malattia da
solo.”
Lory
sentì una fitta di compassione alla vista dello scoraggiamento sul volto di
Strawberry. “Se ha dormito così a lungo, allora sta meglio, no? Mi hai detto che
lui ha dormito pochissimo fino ad ora,” le ricordò, cin un piccolo sorriso. Ciò
sortì l’effetto desiderato, e Strawberry annuì, sorridendo di
rimando.
“Sì…
hai ragione.”
Lory
osservò Strawberry toccare una ciocca dei capelli lisci dell’alieno, prima di
schiarirsi piano la gola.
“Lo
devi svegliare per la prossima dose, va bene?”
“Io…
cosa?” per alcuni secondi, Strawberry apparve disorientata, riluttante all’idea
di svegliare l’alieno addormentato. Quell’espressione, comunque, si dissolse
presto in una dolce risata imbarazzata.
“Ma
certo, è tempo per la prossima dose. Ecco perché mi hai svegliata,
vero?”
Lory
annuì piuttosto imbarazzata, cercando di non sembrare troppo divertita dallo
stato confusionario della sua amica. Il sorriso di Strawberry si allargò e lei
si voltò verso Ghish, esitando alcuni istanti, chiedendosi quale fosse il modo
migliore per svegliarlo, e decidendo infine per quella che era diventata la sua
ancora-da-ammettere azione preferita: accarezzargli i
capelli.
Aveva
dei capelli così morbidi...
Come
per Strawberry, anche a Ghish ci volle un po’ di tempo per svegliarsi. Quando la
ragazza cominciò ad accarezzarlo, mugugnò qualcosa di incomprensibile nel sonno,
senza svegliarsi, ma semplicemente strofinando la testa sul collo di lei. Questo
portò ad una flebile risatina rapidamente soppressa da parte di
Lory.
Strawberry,
dal canto suo, sentì le guance imporporarglisi mentre i capelli di lui le
solleticavano il mento.
Nonostante
ciò, continuo, tirandogli anche qualche leggero colpetto sulla guancia,
chiamando dolcemente il suo nome.
Per
tutto il tempo, Lory stette a guardare, stranamente paralizzata da quegli ovvi
gesti di affetto. Ichigo sapeva… certamente… riusciva a comprendere la natura
delle sue azioni? Aveva veramente capito tutto questo, riusciva a trovarne il
senso? O stava semplicemente agendo sulla base di… di che cosa? Desideri
repressi? Sentimenti nascosti?
“Strawberry…”
Lory
non riuscì a non mormorare il nome della sua amica in un improvviso attacco di
ansiosa preoccupazione. Se ne pentì immediatamente, vedendo quello sguardo
interrogative nei suoi occhi rosa. La ragazza non voleva tirare fuori tutto in
quel momento, non quando c’era ancora un bel po’ di recupero fisico per
l’oggetto delle loro cure. Non importava quanto fosse piacevole vedere quello
strano cambiamento nell’amica, non importava quanto bella fosse la vista della
ragazza e dell’alieno che riposavano insieme, il fatto rimaneva che ciò avrebbe
portato a dei guai da qualche parte più in là.
Ciò
preoccupava Lory.
Creava
dubbi, confusione.... confusione riguardo gli alieni e le loro vere
motivazioni…
La…
la faceva pensare a Pai…
A
Pai… ed al modo in cui aveva guardato Ghish… quella disperazione nei suoi
profondi occhi viol-
Dovette
mettere rapidamente un freno a quel pensiero: lasciarsi cadere troppo a fondo in
quel reame della sua mente non sarebbe servito… non era il
momento.
Per
fortuna, entrambe le ragazze furono salvate da Ghish che si stava lentamente
svegliando. Lory riuscì a focalizzarsi sulle sue mani, torcendosele e cercando
di ricomporsi dopo quella… digressione, e Strawberry riportò la sua attenzione
sul ragazzo.
I
suoi occhi si aprirono lentamente, posandosi innanzitutto sulla ragazza, che lo
guardò con un dolce sorriso.
“Come
ti senti Ghish?”
Prima
che lui potesse rispondere, i suoi occhi si spostarono su Lory e si sbarrarono:
evidentemente non si era aspettato quel pubblico. Ancora mezzo addormentato, fu
allarmato e fece per scattare via, ma Strawberry lo calmò
subito.
“Va
tutto bene. E’ qui per aiutarci, ricordi?”
A
quelle parole, l’alieno sbatté le palpebre, poi annuì in una riluttante sorta di
accondiscendenza. Evitata la crisi, cominciò a rispondere alla domanda di
Strawberry, solo per scoprire che la sua voce veniva fuori in un gracchiante
raspare, e che il processo per parlare provocava scintille di dolore nella sua
gola. Al vedere questo, la ragazza lo zittì, scuotendo la
testa.
“Non
sforzarti, se ti fa così male. Basta che tu annuisca o scuota la testa. Va
bene?” L’alieno dimostrò la sua gratitudine annuendo. Strawberry prese quel
gesto come un incoraggiamento.
“Stai
un po’ meglio?”
Il
ragazzo ci penso un po’ su, facendo un rapido inventario diagnostico. Si sentiva
ancora tremendamente debole, ma quel tremendo sentimento di quasi morte era
sicuramente sparito. Prendendo questo come un buon segno, annuì, sentendo
immediatamente una fitta di gioia per il modo in cui Strawberry si era
illuminata a quella notizia.
Persino
quel piccolo gesto, comunque, lo fece sentire sfinito. Il sorriso di Strawberry
svanì un po’ e la preoccupazione prese il suo posto.
“Però
sei ancora debole, eh?” mormorò, una mano tornò a spostargli i capelli
all’indietro. Quando la sua mano le toccò la fronte, si ricordò perché Lory li
aveva svegliati.
“Beh,
è tempo per la seconda dose,” continuo con quanta più gioia possibile,
sussultando internamente alla palese smorfia disgustata di Ghish. “Sì, lo so, ma
è l’unico modo per farti stare meglio.” Un riluttante, stanco cenno della testa
da parte dell’alieno le rispose, così la ragazza cominciò a spostarlo in una
posizione completamente seduta.
“Puoi
stare così per un po’?”
Di
nuovo, un cenno della testa, e Ghish si sedette, sembrando in generale esaurito
dallo sforzo, ma abbastanza stabile.
Lory,
che era stata in qualche modo dimenticata dalla sua amica ed ignorata
dall’alieno nella sua stanchezza, parlò piano.
“Ho
preparato un po’ di thè alle erbe quando ero giù, Strawberry. Forse lo aiuterà a
prendere la medicina?”
Strawberry
quasi sobbalzò a quella nuova voce, poi la guardò con un’aria quasi imbarazzata
per averne dimenticato la presenza così facilmente.
“E’
una grande idea, Lory,” rispose, sorridendo a mo’ di scusa, e l’altra ragazza
ricambiò il gesto, pronunciando un dolce “va tutto bene,” come a voler dire
capiva che l’amica fosse assorta nel fare l’infermiera. “Allora lo vado a
prendere.”
Un
minuto più tardi, Strawberry aveva preparato una cucchiaiata di quella medicina
dal gusto orribile e Lory era ritornata con una tazza piena di caldo thè alle
erbe. Ghish inghiottì la cucchiaiata, finendo per tossire dolorosamente, e
Strawberry lo calmò con gentilezza, prima di aiutarlo a bere il thè. Dopo
questo, la ragazza gli misurò la temperatura, rilassandosi un po’ quando vide
che, anche se era ancora lì, la sua febbre non era nemmeno vicina a quei
pericolosi quarantadue gradi di un giorno e mezzo prima. Alcuni minuti dopo,
Strawberry si riappoggiò contro la testata del letto e Ghish si accoccolò di
nuovo contro di lei. Mentre aggiustava le lenzuola intorno all’alieno assonnato,
si accorse che Lory la stava guardando piuttosto sorpresa dal fatto che era
ritornata in quella posizione. Stranamente cosciente sotto lo sguardo della sua
amica, si ritrovò ad arrossire di nuovo, sforzandosi di dare una
spiegazione.
“L-
lui respira meglio da seduto.”
Lory
annuì, tentando di nascondere un sorriso.
Ma
con quel sorriso, tornarono quegli urgenti pensieri e lei fu costretta ad
alzarsi: se fosse rimasta un po’ di più, sarebbe stata forzata a tirare fuori
l’inevitabile, e lei non voleva disturbare l’alieno e colei che se ne prendeva
cura. Ormai, il rossore stava svanendo dalle guance di Ghish, e lui appariva
così comodo, mentre riposava appoggiato a Strawberry. E Strawberry… sembrava
così felice… no, era troppo presto per esprimere quella questione, Lory si
decise. Poteva aspettare, almeno fino alla mattina
successiva.
Con
un tenero sorriso, cominciò a ripulire il comodino, raccogliendo alcuni
bicchieri ed asciugamani prima di rivolgersi a Strawberry.
“Sono
quasi le undici ora. Penso che quella dose lo aiuterà per tutta la
notte.”
La
sua amica sorrise di rimando. “Sì.” Un attimo dopo
balbettò.
“Tu…
tu dovrai…”
Lory
scosse la testa. “Chiamerò i miei genitori e dirò che dormirò qui per prendermi
cura di te. Pensano che tu sia malata
e sono sicura che capiranno.”
Strawberry
si rilassò. “Grazie, Lory.” Guardò verso il ragazzo addormentato, accorgendosi
all’improvviso di quanto enormemente utile si stava rendendo la sua amica.
“Davvero.”
“Non
c’è problema,” replicò l’altra con un sorriso. Strawberry lo ricambiò, poi
chiese rapidamente a Lory di prendere una coperta dall’armadio dell’ingresso e
di fare come se fosse a casa sua nella camera per gli ospiti. Lei annuì e
ringraziò. Lasciò la stanza mentre Strawberry cominciava ad addormentarsi di
nuovo, e si diresse al piano di sotto per mangiare… un po’ di zuppa di riso
prima di seguire il consiglio di Strawberry ed andare a
riposarsi.
Da
buona ragazza responsabile, Lory programmò la sveglia del suo telefonino per le
sette del mattino, così da ricordare a Strawberry di dare a Ghish la terza dose.
Si svegliò accolta da una mattinata grigia, sbadigliò, poi inforcò gli occhiali.
Alzandosi, si riassettò i vestiti, desiderando un pochino di essersi portata il
suo pigiama. Comunque, non sapeva in cosa si stava cacciando quando Strawberry
l’aveva chiamata. Forse, sarebbe potuta tornare a casa a prendere alcuni dei
suoi effetti personali. Era abbastanza sicura che i suoi genitori le avrebbero
permesso di restare a casa di Strawberry fintanto che avessero creduto che
l’altra ragazza aveva bisogno di cure. Per un momento sussultò per la bugia: non
le piaceva mentire ai suoi genitori.
Beh…
qualcuno era malato, anche se non si
trattava di Strawberry, e la ragazza aveva davvero bisogno del suo aiuto.
Dopotutto era giustificata.
Riponendo
quei pensieri nei meandri della sua mente, lasciò la stanza per gli ospiti ed
uscì sul pianerottolo, pronta a bussare alla porta di Strawberry per svegliarla
delicatamente e ricordarle del programma di dosaggio, quando un’improvvisa
tosse, simile a quella prodotta da un conato di vomito, seguita da un debole
lamento, le disse che Strawberry era già in piedi da un po’ prima di lei. Non
poté trattenersi dal sorridere. Era un buon segno che si lamentasse: voleva dire
che stava guarendo.
Lory
bussò ed aprì la porta dopo aver ricevuto un gaio
“Avanti.”
“Buongiorno,
Strawberry,” salute avvicinandosi alla ragazza che stava seduta accanto al letto
sulla sedia della scrivania. “Ghish,” aggiunse con un cenno della testa verso
l’alieno, che le rispose con uno sguardo in parte confuso, in parte infastidito,
e che le sembrò pronto a fare qualche commento sulla sua natura di
pesce.
Non
ne fu offesa: la situazione era strana e lo confondeva tanto quanto accadeva per
loro. Probabilmente anche di più.
Inoltrse,
i suoi lamenti e le sue frecciatine significavano solo che stava
migliorando.
Mentre
lo guardava, vide che, mentre sembrava ancora pallido e stanco, mentre sembrava
ancora aver bisogno di parecchia energia anche solo per sedersi senza l’aiuto di
Strawberry, appariva mille volte meglio di quando era arrivata. Ora, almeno,
quando la guardava, i suoi occhi non erano sfocati. Aveva ripreso la sua
consapevolezza: la febbre era diminuita abbastanza da rendergli la
lucidità.
Non
c’era prova migliore del suo salutarla con un debole eppure divertito sorriso e
con le sue battutine, con una voce così raschiante da essere appena udibile,
“Dove stai guardando? Non sono mica Pai, io…”
Si
interruppe in un accesso di tosse, mentre Lory cercò invano di fermare il
rossore che si stava spandendo sulle sue guance. Strawberry rispose con un
“Ghish!” ovviamente urlato, ma la sua amica si accorse che non era davvero
arrabbiata. Poteva vedere il sollievo nei suoi occhi. Anche se sembrava pronto a
schiaffeggiare l’alieno, gioiva internamente per il ritorno del suo carattere
irreprensibile. Voleva dire che il pericolo era passato. Voleva dire che non
avrebbe perso colui che ama-
Dannazione.
Voleva
anche dire che era tempo di fare i conti con quei… pensieri.
Pensieri
che avevano pazientemente atteso per avere la possibilità di distruggere tutto
ciò in cui aveva creduto fino a…
Fino
a quando si era svegliata mentre Ghish la implorava di aprire gli
occhi.
Fino
a quando aveva sentito quella disperazione in ogni muscolo del suo corpo, aveva
visto quello sprazzo di dolore e terrore nei suoi occhi dorati.
Fino
a quando lui non aveva riposte così rapidamente, così facilmente la sua vita nelle sue mani
tremanti ed insicure.
Si
morse il labbro mentre massaggiava la schiena dell’alieno nel tentativo di
aiutarlo a recuperare il respiro. Incerta, si chiese se lui avesse notato il
cambiamento, la differenza nei suoi modi di parlargli. In quel momento, per
esempio, non era scattata contro di lui come avrebbe fatto prima. Non lo aveva
sgridato, non per davvero. Forse
avrebbe pensato che fosse gentile con lui a causa della sua malattia, ma
non poteva di certo rispondere a tutto con quello. Essere gentile, e
volontariamente tenerlo, cullarlo, dormire con lui… c’era una bella differenza e
quando lui si fosse sentito abbastanza bene da pensare con chiarezza, si sarebbe
accorto di quella differenza. Se ne sarebbe accorto e, senza alcun dubbio, le
avrebbe posto una domanda che lei avrebbe potuto evitare tanto facilmente quanto
avrebbe potuto evitare i suoi stessi pensieri. Non poteva respingere una domanda
ed ignorarla, specialmente non la sua
domanda. Ghish era testardo.
Era
una cosa che andava oltre Ghish, però.
Avrebbe
avuto effetto su… avrebbe alla fine raggiunto…
Mark…
Dovette
concentrarsi parecchio sul massaggiare la schiena di Ghish, concentrandosi
solamente sulla sensazione della sua pelle liscia sotto le sue dita, sulle sue
vertebre che giacevano sotto la pelle, sul suo respiro affannato per mantenere
la mente sgombra da quei pensieri soffocanti.
Era
difficile, perché sapeva che presto, avrebbe dovuto lasciarsi affondare nei loro
abissi.
Non
sapeva se ne sarebbe uscita illesa.
Nonostante
tutto… doveva essere fatto. Anche Lory lo sapeva. Strawberry poteva dirlo dal
modo in cui guardava Ghish, dal modo in cui guardava lei stessa. Poteva dirlo
dal modo in cui aveva reagito alla menzione del nome di Pai. Non importava
quanto l’altra ragazza si fosse sforzata, a Strawberry non era sfuggito quel
rossore.
Forse,
pensò con un sorriso in parte sollevato, in parte timido, non era sola in questo
nuovo reame di sentimenti.
Mentre
Ghish recuperava il fiato, Lory annunciò nervosamente che sarebbe andata a casa
per alcuni minuti, in modo da poter prendere alcuni oggetti personali
nell’eventualità di una permanenza prolungata (fece un inchino a Strawberry, che
sarebbe stato strano se l’altra ragazza non avesse potuto attribuirne la colpa a
quanto agitata era la sua amica per via del commento di Ghish), e se ne andò.
Alcuni secondi più tardi, Strawberry sentì la porta chiudersi, e seppe che lei
ed il ragazzo erano soli in casa.
Immediatamente,
Ghish la guardò con un po’ della sua vecchia malizia che danzava negli
occhi.
“Allora,
vuoi ritornare a dove eravamo?”
Le
parole c’erano, ma il solito tono carico di sottintesi no. Era a causa del
raschiare che segnava la sua voce, la sua gola ferita non lasciava passare molta
espressività? O era perché si era accorto che qualcosa era
cambiato?
Aveva
sentito la sua confessione?
No…
impossibile. Era profondamente addormentato.
Allora,
forse, poteva sentire semplicemente il disagio che fuoriusciva dalla sua psiche.
Forse aveva visto il modo in cui lo aveva sgridato solo a metà per il suo
commento, sia in quel momento che prima, quando parlava di
Lory.
Sperava
che non se ne fosse accorto, ma in ogni caso, non avrebbe potuto fare niente se
ciò fosse avvenuto. Non sapeva davvero cosa pensare al riguardo in quel momento.
Per fortuna, la risposta dell’alieno al suo ammonimento la distolse dal suo
treno di pensieri per spostarla su un nuovo binario.
“Beh,
non ci posso fare nulla, mi annoio.”
Il
suo istinto materno le diceva di chiedergli di stare zitto e riposarsi, ma lei
non riuscì a frenare un po’ di divertimento allo stridente lamento udibile
attraverso la sua voce rauca.
Di
solito era un ragazzo molto attivo, dopotutto. Malato o no, tutta quella
inattività doveva averlo seccato parecchio.
Beh,
penso che possa stare sveglio per un po’. Aveva dormito già per un
po’…
“Che
ne dici di fare un gioco, allora?”
Lui
la guardò stranito all’inizio, sorpreso dall’improvvisa offerta. Di nuovo, lei
si chiese se lui sapesse.
Poi,
l’alieno si espresse in un sorriso esangue.
“Sembra
una buona idea.”
Un
minuto più tardi, Strawberry stava preparando una partita a battaglia navale sul
letto. Dopo aver spiegato le regole, i due posizionarono le loro imbarcazioni e
cominciarono a giocare.
Strawberry
vinse la prima manche, ma solo per poco. Dopo ciò, Ghish vinse tranquillamente
per quattro volte di fila, e dopo aver visto il suo sorrisetto trionfante per la
quarta volta, Strawberry incrociò le braccia con un frustrato
“umf”.
“Non
è possibile che tu riesca a vincere così tanto. Non hai mai giocato
prima!”
Ghish
si appoggiò alla testiera, ovviamente stanco, ma ancora parecchio
divertito.
“Che
posso farci se sono bravo a giocare, micetta. Ma devo ammetterlo, l’ultima
partita è stata terribilmente facile…”
La
ragazza non riusciva a contenersi: mise il broncio al suo tono gioviale e questo
non fece altro che far allargare il suo sorrisetto. Probabilmente sarebbe
scoppiato in una bella risata se la gola non gli avesse fatto così
male.
Dal
momento che lui non faceva alcuna mossa per ripreparare i pezzi, restando
rilassato contro la testiera e smettendo di parlare quando lo colpì un attacco
di tosse, Strawberry decise che aveva giocato abbastanza e cominciò a riporre il
gioco. Quando si alzò, si girò e lanciò un’occhiata allo specchio dall’altro
lato della stanza con un gesto abitudinario, chinandosi poi per spingere il
gioco sotto il letto…
Aspetta
un secondo…
Si
era seduta leggermente di fianco al suo campo di gioco e questo voleva dire
che…
“Tu
piccolo traditore!” esclamò, fissando Ghish con uno sguardo accusatorio. “Hai
visto le mie navi allo specchio, vero?”
Apparentemente,
Ghish non si aspettava di essere scoperto, perché apparve completamente
sorpreso, prima di scoppiare in quella che doveva essere una dolorosa
risata.
Beh,
sono felice che l’abbia trovato abbastanza divertente, pensò
arrabbiata, posando le mani sui fianchi mentre la
risata del ragazzo si trasformava in colpi di tosse.
Sospirando esasperata, gli versò un po’ d’acqua da una brocca che Lory aveva
portato un po’ di tempo prima, dopodiché si sedette sul letto, aspettando finché
il pericolo di soffocamento prima di avvicinare il bicchiere alle labbra di
Ghish, costringendolo a bere. Lui rimase seduto boccheggiando dopo aver finito,
e Strawberry posò il bicchiere sul comodino. Si girò verso di lui con il
cipiglio ancora fermamente al suo posto. Lui le rispose con un sorriso ancora
più debole, esaurito dall’attacco.
“Non
posso farci niente, devi ammetterlo, è stato,” tossì appena, “facile. Te la sei
cercata.”
“Umf.
Se è così che ringrazi chi ti aiuta,” Strawberry rispose in modo un po’ snob,
mettendo il broncio.
Rimase
shockata al vedere il cambiamento dell’alieno: sembrò perdere le forze sotto
quell’ipotetico rimprovero, le labbra si schiusero come se volesse preparare…
una richiesta di scuse? Di certo il sorrisetto era
svanito.
Strawberry
si sforzò di non far allargare troppo il suo sorriso, alzandosi e rimboccando le
coperte intorno all’alieno. Non voleva sembrare vinta così
facilmente.
Poteva
essere così carino... quando non tentavano di uccidersi a
vicenda.
Anche
se non ci stava facendo attenzione, quel piccolo pensiero aveva solo rafforzato
la confessione della notte scorsa.
Disse
all’alieno di sdraiarsi, vedendo che adesso respirava meglio e che probabilmente
sarebbe stato più comodo che da seduto, e riaggiustò le coperte intorno a lui.
Ghish si rilassò, quando l’accennato sorriso di Strawberry ed il suo sguardo
dolce gli dissero di scordarsi immediatamente quell’ultimo rimprovero. Sembrò
accorgersi quanto era esausto per aver giocato, e presto cominciò a vedere
Strawberry attraverso gli occhi socchiusi.
Strawberry
si sedette accanto a lui e vide che chiedergli di tornare a dormire non aveva
alcuno scopo. Invece, permise al suo sorriso di allargarsi, quando gli mise una
mano sulla fronte e notò che la medicina stava tenendo a bada la sua febbre con
successo, prima di spostargli alcune ciocche all’indietro in un inconsapevole
gesto d’affetto. Che stava diventando quasi abituale.
“Ti
sveglierò dopo per farti mangiare qualcosa, okay?”
Ghish
le voleva rispondere, forse con un po’ di gratitudine nel tono per riparare il
fatto di aver ingannato (cosa che trovava ancora piuttosto divertente), ma era
davvero stanco, e riuscì appena ad
annuire prima di addormentarsi.
Strawberry
rimase seduta accanto a lui per alcuni minuti ancora in modo da essere sicura
che fosse profondamente addormentato, prima di alzarsi ed andarsene
tranquillamente dalla stanza per la prima volta in due giorni. Si sentiva
finalmente abbastanza sicura riguardo quella situazione, da prendersi il tempo
per una doccia.
Era
così felicemente sollevata che riuscì ad evitare quei pericolosi
pensieri.
Lory
si affrettò lungo la strada che portava a casa di Strawberry, con uno zaino
contenente il suo pigiama e diversi oggetti da toilette che rimbalzava sulla sua
schiena. I suoi genitori si erano preoccupati quando aveva detto che sarebbe
rimasta di più da Strawberry. Avevano anche chiesto se la sua amica era così
malata da necessitare di un ospedale.
La
ragazza aveva coperto la situazione meglio che aveva potuto, balbettando che
sarebbe andato tutto bene, che la sua amica desiderava solo un po’ di compagnia
durante la malattia e che non era niente di serio.
Di
fatto, desiderava che ci fosse un ospedale che potesse aiutare Ghish. Non sapeva
per quanto sarebbe durata la sua malattia o quanto lo avrebbe sfinito. Di certo,
lui era un ragazzo forte: poteva probabilmente sopravvivere con abbastanza cure.
La lunghezza del tempo era più preoccupante: i genitori di Strawberry sarebbero
dovuti tornare entro quattro giorni…
Avrebbero
affrontato quel problema più tardi. Per adesso, Lory doveva concentrarsi sul non
scivolare su nessuna lastra di ghiaccio sulla strada.
Alla
fine, la casa di Strawberry arrive in vista, e Lory sentì un’ondata di sollievo
scorrerle addosso.
Quell’ondata
si ritirò tanto velocemente come era venuta.
C’era
qualcuno alla porta.
Che
suonava al campanello.
Che
guardava verso il terrazzo di Strawberry.
Dopo
alcuni altri passi lungo la strada, Lory riuscì ad identificare quel
qualcuno.
Sembrava
che il frigido vento invernale avesse improvvisamente deciso di solleticarle il
cuore.
Mark!
Mentre
Strawberry si vestiva con abiti puliti, si accigliò al suono del campanello.
Di
certo Lory aveva avuto il buonsenso di prendere le chiavi di casa sua prima di
andarsene…
Confusa,
la ragazza tornò nella sua stanza, si avvicinò lentamente alla finestra e
sbirciò al piano di sopra. I suoi occhi si sbarrarono
immediatamente.
“Mark!”
boccheggiò, coprendosi la bocca nel momento in cui pronunciò quel nome. Troppo
tardi.
Guardò
su e, anche se si era abbassata il più velocemente possibile, sapeva di essere
stata vista.
Il
campanello suonò di nuovo.
“Mark!”
gridò Lory, cominciando a correre, ansimando quando si fermò di fronte al
ragazza shockato.
“Mi…”
lui si sforzò di ricordare il suo nome, poi sorrise quando gli tornò in mente,
“Midorikawa. Salve.”
“S-salve.”
“Sei
venuta a trovare Momomiya anche tu?”
“Io…
ecco, lei…”
Il
sorriso del ragazzo svanì un po’ e la confusione crebbe.
“Mi
ha chiesto di stare con lei per un po’,” cominciò, decidendo di proseguire con
la stessa bugia raccontata ai suoi genitori, “perché è
malata.”
Immediatamente,
si accorse che era stata la cosa sbagliata da dire.
“Malata?
Credo di averla appena vista alla finestra. Sta bene?”
A
quel punto, l’altra ragazza riuscì a fermarsi con difficoltà, e poté solo
pregare che lui non decidesse di fare una visita alla sua ragazza ipoteticamente
malata.
“E’…
molto malata. Non può ricevere visitatori. Una brutta febbre-
“
“Molto
malata?” La preoccupazione nei suoi occhi era
insopportabile.
No!
Ma
era troppo tardi. Ormai, Lory sapeva come sarebbe andata a finire. Ormai, il
brivido dell’inevitabile catastrofe si stava arrampicando sulla spina
dorsale.
“Ti
prego, Midorikawa, posso vederla? Se è così malata, forse
posso…”
Si
interruppe, rivolgendo quello sguardo speranzoso a Lory e lei vide la forza
della sua preoccupazione. Vide che non sarebbe stata in grado di
combatterlo.
“Io…
lei è troppo ma—“
Sussultò
in quel momento, perché sembrava che Ghish avesse iniziato a tossire, forte e
dolorosamente, nel sonno.
Aveva
scelto il peggior momento difficile.
Il
suono di quei colpi di tosse rafforzò la risolutezza di
Mark.
Lory
non poté dire nulla per fargli cambiare idea, ed era troppo tardi per fingere
che non avesse le chiavi. Nella sua urgenza, le aveva tolte dalla tasca e le
aveva prese in mano.
Con
la suddetta mano che tremava, aprì la porta. Mark fece un cenno della testa,
ringraziandola.
“Te
lo giuro, voglio solo vederla per un po’. Solo per vedere se sta
bene.”
Terminò
con un sorriso gentile, togliendosi il cappotto e gettandolo per terra prima di
correre di sopra. Lory rimase indietro, totalmente congelata per alcuni secondi,
prima che la ragione tornasse in lei, e cominciò a correre incerta dietro di
lui.
“Mark,
as—“
Fu
interrotta da un brusco grido smorzato.
“Strawberry!”
Troppo
tardi.
Mark
fissò la ragazza di fronte a lui, ma era difficile dire che la sua attenzione
fosse su di lei. Si spostava in continuazione sulla… creatura… nel suo letto.
Non
è…uno di quegli alieni?
Pensò freneticamente, incontrando quelli della ragazza nel disperato tentativo
di trovare uno straccio di spiegazione.
L’intensità
della paura in quelle orbite rosa combaciava con l’intensità del suo
stupore.
“S-Strawberry,”
continuo, così shockato che si dimenticò di usare cortesemente il suo cognome,
“cosa—“
“Posso…
posso spiegare, Mark!” cominciò, torcendosi le mani angosciata. Il ragazzo era
vagamente cosciente dell’altra ragazza dietro di lui, Lory, ma non fece niente
per notarla.
“Lui
non è…non è…?”
“S-sì.
Sì, Mark, ma—!”
Forse
avrebbe dovuto spiegarglielo. Avrebbe potuto rabbonirlo in qualche
modo.
Forse.
Se
il rumore non avesse fatto svegliare Ghish, farlo sedere, e fargli sbattere
lentamente le palpebre alla strana scena che si stava svolgendo davanti a
lui.
All’inizio,
rimase solo confuso. Poi, i suoi occhi si posarono su Mark, e la sua mente
sembrò gettare via la fatica ed il disagio della malattia, mentre la rabbia
familiare prendeva possesso di lui.
Mark.
Il
prezioso
Mark.
L’amato,
degno ragazzo…
Il
suo nemico. La sventura della sua vera esistenza.
Stava
camminando verso Strawberry adesso... come osava...
Strawberry
prese un profondo respiro, mentre il moro si avvicinava a lei, cercando di
stabilizzarsi, pensando freneticamente ad un modo facile per spiegare la
situazione. Ci sarebbe riuscita se non avesse sentito una gelida carezza sul suo
collo ed un’altra contro la sua vita. Si accorse con una rapidità che le tolse
il respiro che c’era un braccio avvolto intorno alla sua vita e, a giudicare
dallo shock negli occhi marroni di Mark, il braccio apparteneva a
Ghish.
Il
ragazzo alieno, in un attacco di rabbia possessiva, aveva usato la forza
fomentata dalla furia per teletrasportarsi al fianco della ragazza. Ora si
librava dietro di lei, un braccio arrotolato intorno alla sua vita, l’altro
oltre la spalla ed intorno al suo petto in uno stretto
abbraccio.
“Stiamo
parlando alla mia ragazza, eh?” ghignò a Mark, che poté solo balbettare in
risposta.
“L-l-
la tua…”
“Mi
hai sentito.” Strawberry non poteva voltarsi, ma sapeva che Ghish aveva quello
sguardo diabolico dipinto in
faccia, mentre guardava Mark con una scintilla quasi assassina nei suoi occhi
dorati.
“E’
mia. Suppongo che la mia micetta qui non ti abbia detto
che—“
“No,
no, Mark, io non sono—“
Si
fermò, congelandosi quando la presa di Ghish si rafforzò. Il suo primo pensiero
fu che lui volesse ferirla, ma mentre stava lì, fissando lo stupito Mark, si
accorse che mentre la sua presa e le sue parole sembravano forti, Ghish stava
tremando anche se poco. Si accorse che la forza della sua presa era dovuta alla
disperazione, disperazione per…
Si
stava solo attaccando a quei pochi giorni, attaccando a quelle carezze e a
quelle parole gentili…
Si
stave attaccando a quelle stesse cose a cui lei si era voluta
attaccare…
Vero?
L’aveva volute, no? Sì, anche nella paura, sapeva che voleva quelle esperienze,
quei sentimenti… voleva che restassero.
Ti
amo…
Non
era stata una menzogna.
Ma…
Mark…
All’improvviso,
la paralisi si Mark si interruppe e lui si lanciò avanti.
Si
lanciò con un urlo strozzato e Strawberry si accorse di qualcosa con un sobbalzo
di orrore.
Voleva
fare del male a Ghish.
“Allontanati
da lei!” gridò, afferrando l’alieno da dietro, afferrando le sue braccia e
strappandole da dove stavano intorno a Strawberry. Nel processo, riuscì a
colpire la ferita bendata. L’effetto fu istantaneo.
Ghish
gridò, crollando al suolo sotto Mark che stava cercando di tenerlo giù, di
assoggettarlo e, nella sua mente, di salvare Strawberry…
“No!
Fermati!”
Il
ragazzo si fermò, sollevando lo sguardo per incontrare quello della ragazza. Lei
era in piedi, con gli occhi che brillavano di lacrime, che tremava violentemente
alla vista di quella lotta impari.
“Allontanati
da lui!”
L’intensità
di quel grido fu abbastanza da costringere Mark ad allontanarsi. Non appena si
fu allontanato da Ghish, Strawberry si inginocchiò accanto all’alieno, le
braccia avvolsero la sua forma tremante, mentre lui cominciava a tossire
terribilmente.
“Strawberry…
perché… pensavo…”
“E’
malato. E’ qui perché è malato e io…”
Mark
sbatté rapidamente le palpebra, shockato. Forse non era il più intelligente dei
ragazzi, ma non era stupido. C’era qualcosa nella sua voce, qualcosa nel modo in
cui aveva afferrato la coperta dal letto e l’aveva avvolta intorno all’alieno,
attorno alle sue spalle appesantite, mentre lui cercava di repsirare… qualcosa
nel suo tocco…
“Tu…
tu lo ami…”
“Ami”
fu quasi udibile. Gli sfuggì dalle labbra in un sussurro.
“Io…Io…”
Come
poteva dirlo? Come poteva anche solo pensarlo! Non era vero, non poteva essere…
Lei amava Mark! Aveva sempre amato Mark! Sempre…
All’improvviso,
immagini, sensazioni, emozioni, ogni cosa degli ultimo due giorni le ritornò
alla mente. All’improvviso, si trovò a ricordare tutto ciò che era connesso
all’alieno di quei giorni: la fiducia di Ghish, la sua disperazione, il suo
tocco, la sua devozione, la sua forza, la sua vulnerabilità il suo… il suo amore.
Quell’immortale,
illogico, determinato, stupido, gentile, crudele, puro, fantastico amore che aveva dato inizio
all’intera vicenda.
Quell’amore
che l’aveva toccata senza che lei lo sapesse.
Si
ricordò tutto.
Si
ricordò la sua confessione.
Non
era stata una bugia allora. Non era una bugia in quel momento. Non lo
era.
Mark
vide tutto ciò. Non riusciva ad identificare gli esatti pensieri che correvano
nella sua mente, ma conosceva la loro natura, e sapeva che se ne doveva andare.
Forse avrebbe dovuto confrontarsi con lei su quel punto, avrebbe dovuto
implorare, pregare, gridare persino. Avrebbe dovuto scuoterla e farle tornare un
po’ di buonsenso.
Non
riuscì a fare niente di tutto ciò, non con quello sguardo nei suoi occhi, quella
tenerezza nel suo tocco. Poteva solo accettare tutto, non importava quanto
confuso, quando scomodo, quanto strano fosse. Non c’erano dubbi sul fatto che
non poteva fare niente al riguardo. Lo sapeva, in qualche modo. Lo
sapeva.
Chinò
il capo, mormorò un saluto a bassa voce a Strawberry, uno più formale alla quasi
svenuta Lory, scese le scale, andò alla porta e se ne
andò.
Una
debole Lory barcollò verso la sua amica e la abbracciò con dolcezza mentre
quest’ultima cominciava a piangere, mormorandole qualcosa che persino lei non
riusciva a capire.
Cercò
di scostare Strawberry da Ghish, cercò di dirle di aiutarlo a tornare a letto,
ma non vi riuscì e ci vollero diversi minuti prima che Strawberry si riprendesse
abbastanza da un po’ guidare, un po’ trascinare l’alieno semi cosciente sul
letto.
Dopo
ciò poté solo affondare sulla sedia e piangere
FINE
DEL CAPITOLO
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Capitolo 18 *** Due strade differenti ***
CAPITOLO
16
Lory si sentiva sperduta.
Riusciva solo a stare ferma, radicata sul posto dallo shock che
rimaneva dopo quel terribile confronto, torcendosi debolmente le
mani.
Strawberry...
La
ragazza dai capelli rosa era ancora seduta sulla sedia della scrivania,
continuando a piangere, anche se i suoi singhiozzi si erano ridotti a flebili
mugoli mentre continuava a guardare il muro lontano con sguardo
vuoto.
Lory
non riusciva nemmeno ad immaginare come si stava sentendo.
Mark...
Aveva visto.
Aveva
visto e se... se n’era andato.
Quel
pensiero portò un nuovo brivido lungo la schiena della timida
ragazza.
Non
sembrava possibile che se ne andasse. Era stato così strano, vedere che lui era
quello che se n’era andato, vedere che Ghish era colui con cui Strawberry era
rimasta, che quasi aveva sfiorato l’inquietante.
Quei
pensieri era così intense, così gelidamente paralizzanti, che Lory riusciva a
malapena a guardare Strawberry, mentre quest’ultima si alzava improvvisamente
dalla sedia, traballando un po’, pericolosamente, come se stesse lottando per
non svenire proprio lì, e barcollò, muovendosi sempre più veloce man mano che vi
si avvicinava cosicché, quando uscì dalla stanza, cominciò quasi a
correre.
Non
posso…posso stare…
Devo
andarmene…
Mark...
forse...
Qualcuno…
La
sua mente era paralizzata, i pensieri in frantumi e vaghi, mentre cominciava a
cercare di scendere le scale, barcollando.
Solo
il rumore che provocò quando quasi cadde riuscì a riscuotere Lory dalla sua
trance provocata dall’orrore. Con gli occhi che si sbarravano mentre realizzava
l’intento di Strawberry, si voltò di scatto e si diresse alla
porta.
Prima
che la raggiungesse, si fermò, esitando un attimo prima di guardare
Ghish.
Si
accorse che tra loro tre, lui aveva più bisogno di attenzioni al momento, ma
invece di tornare da lui, reagì ad un ultimo pensiero
soffocato.
Ha
bisogno di lei.
Perciò,
senza sapere con esattezza se il ragazzo era cosciente o no, schizzò fuori dalla
porta, correndo a casaccio lungo il corridoio e giù per le
scale.
Riuscì
ad afferrare Strawberry per un braccio proprio mentre la mano della ragazza
toccava la maniglia.
L’effetto
fu così allarmante che quasi la lasciò andare.
“Lasciami!”
strillò Strawberry, la voce era un isterico grido acuto, mentre cercava di
divincolarsi dalla presa di Lory.
L’altra
ragazza non seppe mai come fu in grado di trovare la forza per trattenerla, ma
ce la fece.
Forse
fu a causa della sola verità che risuonava nella sua mente: ha bisogno di lei.
Quella
lei doveva essere Strawberry.
Strawberry e Ghish.
Doveva
essere lei quella che doveva
ritornare di sopra per occuparsi dell’alieno. A quel punto era tutto quello che,
per Lory, aveva un senso.
Era ciò che la obbligò ad alzare la voce con un nuovo volume che superò i
singhiozzi che Strawberry aveva ricominciato ad emettere mentre continuava a
divincolarsi.
“Strawberry!
Smettila!”
Proprio
come Lory era apparsa stupita della sua uscita, così Strawberry cadde nel più
assoluto silenzio all’udire la forza nel tono della ragazza con il DNA della
focena. Guardò il volto dell’amica
e altrettanto rapidamente abbassò gli occhi, mentre una vergogna improvvisa la
afferrava ed il labbro le tremava.
“No!”
disse con voce strozzata, “Devo andarmene. Io— Io devo uscire… andare
via—”
Lory
si addolcì, anche se la sua stretta rimase salda.
“Strawberry,”
azzardò, mentre la sua compostezza ritornava e Strawberry rimaneva ferma, “so
che vuoi seguire Mark—”
Strawberry
ebbe una specie di fremito a quelle parole, e Lory esitò per alcuni istanti.
Quando proseguì, lo fece dicendo ciò che riteneva che l’altra ragazza
volesse sentire. Ignorò
il fatto che non coincidesse con i suoi pensieri in quel momento. Si preoccupò
soltanto di calmare Strawberry abbastanza da farle tornare la
ragione.
“So
che vuoi trovarlo, ma Ghish,” esitò su quel nome quando Strawberry inspirò
bruscamente “ha bisogno del tuo aiuto.” Proseguì, in quello che riteneva fosse
il tono più rassicurante che aveva.
“Devi
andare su ad aiutarlo, anche se non lo a—”
“No!”
Questa
volta le parole uscirono come un grido e Lory la lasciò andare. Strawberry,
comunque, non corse via. Strinse i pugni, digrignando i denti e fissando prima il pavimento, poi sforzandosi di
fissare il suo sguardo e tutta la sua disperata frustrazione su
Lory.
La
sua amica dai capelli verdi adesso sapeva che avrebbe dovuto seguire i suoi
istinti riguardo gli alieni e le Mew Mew. Sapeva che ciò che pensava che
Strawberry volesse sentirsi dire dopo aver visto Mark, non era quello che voleva
sentire lei.
Per
niente.
Sapeva
anche che ciò che aveva visto, ciò per cui aveva segretamente sorriso il giorno
precedente o giù di lì non era solo un suo stupido volo di fantasia, o la sua
immaginazione, o qualche bizzarro risultato del suo costante desiderio di
pace.
Le
lacrime negli occhi di Strawberry, quelle che stavano lentamente rotolando lungo
le sue guance, l’ansiosa tensione in ogni muscolo del suo corpo: ogni cosa colpì
le osservazioni di Lory e le spinse in un mondo di fredda, dura
realtà.
Tutto
ciò, comunque, non fece un lavoro buono quanto la successive frase che lasciò le
labbra di Strawberry:
“Io lo amo!”
Entrambe
le ragazze rimasero in silenzio, Strawberry si lasciò cadere contro la porta,
semi svenuta, mentre quelle parole diventavano una
dichiarazione.
Non
c’erano più doppi sensi.
In
quel momento, Strawberry non era più riuscita a sussurrarlo con cautela nella
sua mente. Non era riuscito a lasciarlo come un’affermazione mormorata ad un
alieno dormiente, senza essere udita da nessun altro, negando una piena garanzia
della verità. Non poteva fingere che non fosse mai
successo.
Non
poteva correre dietro a Mark e dirgli che si era
sbagliato.
Le
parole erano appena state gridate con la piena forza della sua volontà, e non
era più possibile per ritirarle.
Il
suo primo pensiero al riguardo?
Non
gliene importava.
Mentre
respirava lentamente, a fondo, tentando di calmarsi, si accorse che non le
importava se Lory aveva appena sentito.
Pensava
che non gliene sarebbe importato se Ryan avesse
sentito.
Accidenti.
Era vero.
Ridacchiò
debolmente, un’unghia batteva con leggerezza sulla porta mentre lei tornava a
stringere il pugno, chiudendo gli occhi e lasciando che quell’affermazione
rifluisse dentro di lei, combattendo l’incertezza nata dalla visita di
Mark.
“Lo
amo.”
Lory
lasciò che le braccia le ricadessero lungo i fianchi.
“Ma…”
Strawberry sussurrò, gli occhi diretti verso il pavimento, “Ancora… l’ho
sempre…”
“Strawberry.”
La
ragazza alzò lo sguardo.
“L-lo
sapevi, vero? Hai visto.”
“Io…Io
non voglio…” Lory si interruppe, torturandosi debolmente le mani, mentre
Strawberry prorompeva in una sorta di triste risatina.
“Ma
sapevi… sapevi, anche se non l’hai detto… eppure io… li amo entrambi.
Come—“
Si
interruppe, con la voce che le tremava, minacciando di scoppiare in lacrime. Di
nuovo, era vicina alla crisi isterica, e di nuovo, la sua mano andò alla
maniglia. Proprio come prima, Lory la fermò. Questa volta, comunque, la sua voce
era l’esatto opposto di quella che prima aveva lasciato Strawberry spiazzata.
Adesso, la ragazza con il DNA del gatto allontanò la mano dalla porta al suono
di quel rassicurare calmo e gentile.
“Non
puoi ancora soffermarti su questo argomento.”
Questo
la fermò dal toccare la maniglia.
“Lui ha bisogno di te
adesso.”
Questo
la fece voltare, portando un sorriso di gratitudine sulle sue
labbra.
Lory
le restituì il suo tipico sorriso timido.
“Hai
ragione.”
Lentamente,
tornarono al piano di sopra.
Ghish
si era appena accorto delle due ragazze che lasciavano la stanza.
Appena,
perché dopo che Mark aveva colpito la sua ferita, il dolore si era diffuse lungo
la sua spalla ed il suo petto, in una tremenda agonia che aveva prosciugato
tutte le sue forze.
Mark…
Quel…
Quel bastardo!
Il
fatto che quello fosse l’unico pensiero che la sua mente esausta potesse
articolare era solo una prova del suo profondo odio per il ragazzo
umano.
Aveva
portato via Strawberry.
Di
nuovo.
Di
nuovo, quando le cose cominciavano ad andare così bene.
Ghish
aveva pensato…
…ma
adesso si sentiva così stupido per averlo fatto.
Quella
era stata la seconda idea ad essersi affacciata nel
dolore.
Aveva
sperato, aveva sperato così tanto che in qualche modo, in tutta questa terribile
situazione in cui si era cacciato, lei avesse visto come il ragazzo fedele quale
era. Aveva pensato che avrebbe visto ciò che aveva fatto, perché era venuto da
lei, quanto avesse bisogno di lei…
Avrebbe
pianto se non fosse stato così affaticato. Dato che quella era la situazione,
riuscì solo ad emettere un flebile, tremante sospiro.
Stupido… stupido, stupido…heh…
Che
idiota era stato a pensare che qualcosa sarebbe
cambiato...
Certo
che aveva seguito Mark. Quale ragazza non l’avrebbe fatto? Come poteva una qualsiasi ragazza con
anche un minimo accenno di intelligenza non bramare quel ragazzo? Era
perfetto.
Così
dannatamente perfetto.
Ghish
voleva ridere, nonostante la situazione fosse così triste.
Era
buffo, si rese conto all’improvviso in un colpo di disperazione, che lui avesse
provato a vincerla contro quel ragazzo. Non c’era davvero alcuna possibilità. Si
ricordava di Pai che gli diceva quanto fosse illogico tutto
ciò.
Aveva ragione…
Perché
Strawberry avrebbe anche solo dovuto prendere in considerazione di scegliere lui
invece della totale perfezione di Mark? Cosa avrebbe potuto persuaderla ad
accettare un alieno che stava provando a distruggere il mondo invece di un
semplice, buono, affettuoso umano che avrebbe fatto di tutto per
lei?
Non
ce n’era motivo.
Per
niente…
Tranne
per il fatto che…
La amo.
Dannazione...
dopo tutto quello che era successo la amava ancora.
Perché
non riusciva a vederlo?
Perché
non riusciva a ricambiarlo?
Perché…
perché l’aveva lasciato, dopo…
….dannazione,
ne era stato così sicuro…
Era
stato idiota, ingenuo, pensare che quei tocchi fossero sinceri, che fossero…
affettuosi?
Una
debole risatina senza gioia gli sfuggì dalla gola. Apparentemente
sì.
Sì,
non importava quanto avesse sperato, non importava come gli fosse sembrato che
la ragazza lo incoraggiasse, si era sbagliato.
Doveva
essere così: Strawberry se n’era andata, no?
Ma
allora... perché lo aveva protetto? Perché aveva mandato via
Mark?
No…no,
non l’ha fatto. Lui deve aver pensato… eh, deve aver pensato quello che ho
pensato io... e lei è andata ad aggiustare tutto. Se lo sta riprendendo…
Doveva essere così. Sì.
Ghish
chiuse gli occhi, un po’ in totale disperazione, un po’ perché l’intera faccenda
lo aveva derubato di quasi tutta l’energia.
…e adesso… e adesso
cosa…?
Desiderò di potersi alzare. Di potersi alzare ed andare via.
Che
senso aveva rimanere?
Non
voleva rivederla: non dopo questo. Non voleva affrontare quella delusione nel
modo più diretto. Non voleva vedere i suoi occhi, forse pieni di una furia
veemente per il dubbio che tutta quella situazione doveva aver insinuato in
Mark.
Prese
un profondo, rumoroso respiro, il più vicino possibile ad un sospiro che gli
potesse venire.
Perché
ne era stato così certo?
Era
questo uno degli scherzo crudele dell’universo, riservato solo per
lui?Yes.
Doveva
essere così.
E
adesso era destinato ad aspettare finché quella ragazza non fosse tornata a
confermare soltanto quanto fosse stato idiota.
Eh…
ecco che se na va la possibilità di dire a Pai che aveva
sbagliato…
Questo
disegnò sul suo volto pallido una sorta di sorriso ironico e amareggiato mentre
raccoglieva le sue forze per tirarsi su sui gomiti, l’aria che gli mancava in
una silenziosa agonia mentre il movimento aggravava la ferita che Mark aveva
colpito.
Forse…
forse se provo davvero… posso teletrasportarmi fuori da questa stanza prima che
lei ritorni…forse…prima… con lui…
In
quell’attimo di lotta, riuscì a sedersi contro la testiera, ansimando
pesantemente, tentando lentamente di ignorare i ricordi di quanto
meravigliosamente si era sentito l’ultima volta che si era seduto così,
sonnecchiando addosso a…
Basta,
idiota... devo andarmene…
Provò,
ma i suoi arti stavano tremando troppo violentemente.
Ghish
non riuscì a fare un altro movimento che la porta si aprì
lentamente.
Lory
rimase fuori dopo una richiesta sussurrata da Strawberry, guardando ansiosamente
mentre la ragazza con il DNA del gatto rientrava nella stanza.
La
prima cosa che notò quando chiuse in silenzio la porta dietro di sé, fu che
l’alieno era seduto, e questo le fece spuntare un sorriso debole ma sollevato
sul volto. Stava per parlare, per dire il suo nome, quando si accorse che le sue
braccia stavano tremando violentemente nello sforzo di rimanere in quella
posizione. Le sue labbra si separarono, e la ragazza stava per rinunciare a
pronunciare il suo nome per dirgli di sdraiarsi prima che si facesse ancora del
male, ma le sue osservazioni non terminarono lì.
Seppe
all’improvviso, solo osservando i suoi occhi, che non si stava solo sedendo per
il gusto di farlo. Riconobbe nei suoi occhi quella stessa emozione che era
scorsa attraverso lei solo pochi minuti prima.
Voleva
fuggire.
Il
sorriso svanì: la sua espressione assunse lo sgomento dello
shock.
“Ghi—“
“E-ehi,
micetta,” la interruppe lui, con la voce che tremava lievemente sotto lo sforzo
della spossatezza, ma le sue labbra di stirarono in uno dei suoi caratteristici
sorrisetti, e provò persino a farle la sua tipica risatina, non importava quanto
gli avesse fatto male alla gola.
“Dov’è…”
esitò lì, solo per un momento, e Strawberry seppe, anche nel suo stupore gelato, che
il suo sorrisetto si era fatto più largo solo per nascondere il dolore che quel
nome gli causava, un dolore più forte di quello della febbre e della ferita
messi insieme. “Dov’è Mark?”
Lei
non disse niente, lo fissò soltanto, con le mani totalmente afflosciate lungo i
fianchi. Questo lo confuse per un momento: non stava reagendo proprio come si
era aspettato. Aveva appena seguito Mark, no?
Forse…
forse…
No.
No, era ridicolo.
L’aveva seguito, di sicuro. Sì.
Doveva averlo appena
seguito.
“Pensavo
di andarmene da qui,” proseguì, riuscendo in qualche modo a portare le gambe
oltre il bordo del letto, trovando un’energia che Dio solo sapeva da dove gli
veniva. Probabilmente dalla disperazione di voler fuggire dagli occhi della
ragazza e da ciò che, lui credeva, si celava dietro essi.
“Ti
ringrazio per l’aiuto e tutto il resto, ma dovrei andarmene, non credi? E’ tempo
che trovi un altro po’ di Acqua Mew, che devasti qualcos’altro… sai.
Tutte quelle cose divertenti.”
Strawberry
non sapeva cosa la nauseava di più: il fatto che lui stesse sforzando così il
suo corpo, o il fatto che lui pensasse...
Che
lui pensasse...
Lui...
“Idiota.”
All’inizio,
Ghish non reagì in alcun modo a quel termine, perché era stato sussurrato con
tanta flebilità che la ragazza stessa si era appena accorta che gli fosse uscita
dalle labbra. Lui non udì assolutamente niente e continuò a tirarsi su,
preparandosi ad alzarsi. Il ragazzo aveva appena iniziato a porre di nuovo il
proprio peso sui piedi quando la voce di Strawberry trovò finalmente abbastanza
potenza da essere udibile.
“Idiota, idiota, idiota…”
Dapprima
sussurrata, poi mormorata, la parola cominciò ad andare a tempo con i passi
della ragazza, mentre quest’ultima attraversava la stanza. Di nuovo, Ghish la
ignorò.
Non
era in accordo con la situazione che si era appena creato mentalmente, perciò la
ignorò.
Non
ignorando che ciò voleva dire…
Sapeva
che cosa voleva dire era troppo bello per essere vero, perciò ignorò la nota
disperata nel suo tono, ignorando la debolezza nella sua andatura mentre si
avvicinava a lui.
La
ragazza si fermò di fronte all’alieno, gli occhi che scavavano in quelli di lui
mentre si metteva in piedi, con le gambe tremanti anche se leggermente, ed il
sorrisetto ancora al suo posto mentre si preparava a passare oltre
lei.
Non
riuscì neppure a muoversi di un millimetro.
“Idiota!”
Lei lo schiaffeggiò.
Non
fu uno schiaffo violento. Non voleva fargli del male.
Era
davvero l’ultima cosa che voleva fare. La sola idea non era nemmeno nella sua
testa, ma se ci fosse stata, l’avrebbe nauseata.
Lo
schiaffo voleva solo far andare via dalla sua mente l’idea di andarsene, e ce la
fece stupendamente. Ghish rimase così profondamente stupito che le sue ginocchia
cedettero e lui cadde al suolo, riuscendo appena a sorreggersi con una mano,
mentre con l’altra si toccava cautamente la guancia che
bruciava.
La
sua mente si annebbiò: totalmente e assolutamente. Non gli aveva offerto niente,
nemmeno una minima risposta da dare alla ragazza, che si era messa
silenziosamente in ginocchi davanti a lui. Lentamente, appena riprendendosi
dallo shock, l’alieno si accorse che lei stava tremando, tanto violentemente
quanto lui. Quando la ragazza sollevò gli occhi per guardarlo, lui si rese conto
che stava sorridendo.
Non
era quel solito sorrisetto che aveva assunto lui nel disperato tentativo di
provare ad entrambi che aveva accettato ciò che aveva visto come la fine. No,
mancava di quell’ansiosa
nonchalance: mancava di quella sfumatura di disperazione così disperatamente
celata.
Ed
i suoi occhi…
Non
sapeva come dirlo.
Ghish
era così gelato da una pura confusione che semplicemente non sapeva come dirlo.
Riuscì solo a lasciar cadere la sua mano verso il basso, mentre il suo sguardo
restava focalizzato su quello di lei. Lentamente, gli occhi della ragazza
cominciarono a riempirsi di nuove lacrime: le sue labbra tremavano anche se il
sorriso rimaneva.
L’alieno
desiderò avere la forza per alzarsi. Tutto ciò che riusciva a vedere era
l’inizio di una delle cose che aveva imparato ad odiare fin da quando era andato
a stare dalla ragazza.
Pensò
che Strawberry stesse per piangere.
Perciò fece l’unica cosa possibile: cercò di voltare la sua testa.
In
effetti ciò fu utile per due ragioni.
Era
un tentativo per evitare le sue lacrime, e uno per nascondere l’angoscia che
infuriava in lui.
Strawberry
lo vide provare a fare questo. Lo vide rompere il contatto visivo, lo vide
cominciare a voltarsi e si affrettò a parlare, sapendo che doveva cancellare
quella pesante tristezza sul volto dell’alieno. Immediatamente si accorse che le
parole non le sarebbero servite a niente.
Le
parole, in quel momento, erano inutili. Lui era caduto oltre il loro raggio
d’azione.
Caduto, a causa sua. A causa della sua incoscienza. A
causa della sua mancanza di buonsenso, della sua volubilità, della sua
avventatezza.
Doveva
rimediare. Doveva, e sapeva che le parole non potevano allontanare quella
tristezza che lui stava tentando di far passare per
spavalderia.
Mentre
una lacrima solitaria le colò lungo la guancia, lei sapeva che c’era un modo per
bandire quelle idee dalla sua mente. C’era un modo per riparare al danno che la
sua fuga aveva causato.
La
cosa più fantastica al riguardo, più liberatrice, più calmante, più tenera fu
che non esitò a farlo.
Neanche per un istante.
Non
ebbe esitazioni nell’avvicinarsi e nel voltargli la faccia verso di lei, posando
la sua mano morbida sulla sua guancia accaldata, non ebbe esitazioni quando lo
sentì appoggiarsi alla sua mano anche se molto leggermente, nessun dubbio a
godere di quel tocco anche mentre quelle distruttive ipotesi sulla sua scelta
perduravano.
Niente
la fermò quando si mise più vicina a lui, ascoltando il suo respire, ancora
debole, ma che si fece più chiaro, più forte, quando lei strinse l’altra guancia
con l’altra mano, accarezzando dolcemente il punto in cui l’aveva schiaffeggiato
in una silenziosa richiesta di scuse, priva di parole.
In
tutto quel tempo, i suoi occhi erano rimasti fissi su quelli di lui, guardando
la leggera danza in quelle iridi dorate, volendo allontanare la vergogna, il
dubbio e la frustrazione dalla loro profondità, mentre i primi leggeri ciuffi
della sua frangia le solleticavano la fronte. Avvicinandosi ancora di più,
sempre di più, finché non sentì più ciocche dei suoi soffici capelli Verdi, ma
il calore della sua fronte contro la sua.
Per
alcuni istanti, rimasero così, come congelati nel tempo, mentre Strawberry
spingeva delicatamente la sua consapevolezza verso quella sensazione, quel
piacevole formicolio di affetto che derivava dal sentire la sua pelle, troppo
calda ed umida per il sudore provocato dalla febbre, ma ancora innegabilmente
liscia, morbida, perfetta contro la
sua. Poteva sentire il suo respiro accelerare come se si fosse accorto di quello
che stava per fare. Una nuova luce, una molto più brillante e più forte
dell’opaco splendore della disperazione, illuminò i suoi
occhi.
Ghish era…
Riusciva
solo a rimanere perso nel suo sguardo gentile e confortante, perso nella
vertiginosa sensazione dei suoi occhi così vicini ai suoi, dei suoi capelli che
si mischiavano ai suoi, della sua fronte che applicava una lieve pressione sulla
sua, delle sue labbra…
Nel
secondo che ci volle al suo cuore per perdere un battito vedendo quanto era
piccolo lo spazio tra le loro labbra, Strawberry lo
eliminò.
In
un singolo istante, le labbra della ragazza si premettero teneramente su quelle
dell’alieno, ed i loro occhi si chiusero mentre entrambi, inconsciamente si
buttavano nel loro primo vero bacio.
Se
il momento precedente era sembrato lungo, questo durò una benedetta
eternità.
Quando
la ragazza alla fine si allontanò, prendendo un respiro tremante mentre lottava
per impedire ad un’improvvisa vertigine di sopraffarla, gettò uno sguardo agli
occhi di Ghish e ne fu immediatamente catturata.
Non
erano più offuscati dallo sconcerto o dalla delusione.
Non
appena le loro labbra si erano toccata, tutto ciò era svanito e ora, guardandolo
negli occhi, rimase attonita per la loro intensità.
Qualunque
cosa avesse intenzione di dire le morì in gola quando vide l’amore che quei
terribili sentimenti di dubbio avevano lasciato nella loro
scia.
Amore…
un così sincero, appassionato amore…
La
ragazza era così assorta che non riuscì a negargliene un altro, e quando lui le
prese il volto tra le mani, facendo scorrere delicatamente le sue unghie lunghe
sulle sue tempie, quando le loro labbra si incontrarono di nuovo con una gentile
pressione che lasciò entrambi totalmente senza parole, riuscì a trovare un unico
pensiero che occupava la sua mente:
E’ fantastico.
Era
semplice, ma era tutto ciò che sapeva che potesse articolare i suoi sentimenti
quando si separarono di nuovo.
Era
così fantastico da farla piangere.
Con
lo sguardo ancora sul volto dell’alieno, cominciò a piangere in silenzio, con le
lacrime che colavano lentamente lungo le sue guance e le cadevano in
grembo.
Ghish
osservò passivamente all’inizio, con la mente ancora nel reame di pochi secondi
prima, ma si accorse presto che lei stava facendo quella cosa che lui odiava
vederle fare, e la ragazza lo vide presto cercare di asciugarle le lacrime con
mano gentile.
Questo
la fece solo piangere di più, con leggeri piagnucolii che le sfuggivano dalle
labbra mentre le spalle le cominciavano a tremare.
Un
momento dopo, si trovò avvolta dall’abbraccio del ragazzo, appoggiata alla pelle
nuda del suo petto, e sorrise tra le lacrime, perché si accorse quanto
innegabilmente bello fosse stare lì
con Ghish, respirare il suo profumo alieno, ma anche caldo e confortante,
sentire le sue mani, spesso così veloci e crudeli in battaglia, adesso
compassionevoli e ferme lungo la sua schiena.
“Io…
credo di essermi sbagliato, vero?” era più un’affermazione che una domanda, e
venne mormorata con un tono così basso che Strawberry dovette alzare lo sguardo
ed accertarsi che era davvero l’alieno a parlarle. Il suo sorriso si ingigantì
soltanto quando incontrò di nuovo i suoi occhi.
“Sì,
direi che è così.”
Un
silenzio confortevole regnò finché Strawberry non deglutì piano, con il sorriso
che si fece incerto quando una lieve umiliazione entrò nel suo
sguardo.
“Ghish…
mi dispiace, per…”
“Onestamente,
gattina, penso che tu abbia rimediato,” replicò lui immediatamente, strofinando
il naso nei suoi capelli e facendole scappare un risolino.
Nel
mentre, gli occhi della ragazza si posarono sulla fasciatura e lei pose
leggermente una mano sul suo petto.
“Fa ancora male?”
Ghish
fu momentaneamente colto alla sprovvista da quella domanda, che arrivava in
maniera apparentemente casuale, ma finì con l’essere piuttosto sollevato che
fosse stata posta. Faceva ancora male e lui sussultò quando si ricordò della sua
presenza.
“Un po’.”
Strawberry
si morse un labbro guardando il punto, non solo per il fatto che gli causasse
ancora dolore, ma anche perché era riuscito a ricordarle del suo creatore.
Questa volta, però, il suo pensiero non fu spedito in un angolo
oscuro della sua mente in attesa. Ora
poteva fare poco per bandirlo: era troppo tardi.
Quel
momento e lo scontro erano intrecciati per sempre nella sua memoria: il tempo
per farci i conti era…
“Strawberry?”
Lei
alzò lo sguardo, sorpresa, ad incontrare quello di Ghish, addolcendosi
immediatamente alla preoccupazione che esprimeva. Improvvisamente, si oscurò ed
il tono del ragazzo divenne un briciolo più teso.
“E’—?”
Quando
lei scosse la testa lui si interruppe: il sorriso rassicurante di lei lo fece
rimanere in silenzio.
“Non
importa adesso” rispose lei rendendosi conto che effettivamente non importava.
Non riusciva a pensarlo, non poteva dirlo ad alta voce e soffrire solo la minima
fitta di incertezza. Avrebbe dovuto fare i conti con quell’incertezza, ma non
aveva bisogno di farlo in quel momento. Più tardi, ne avrebbe parlato con Lory,
ne avrebbe parlato con… ne avrebbe parlato con Mark…
Dio,
doveva ancora parlare con Mark.
Il
cielo solo sapeva a cosa avrebbe portato quella
conversazione.
Nessuno
poteva sapere… eppure, mentre guardava il suo paziente alieno, vide che davvero
non importava in quel momento. Proprio come Lory aveva detto, c’erano cose più
important di cui preoccuparsi…
“Pensi
che potremmo cambiare la benda ora?” Ovviamente, la ragazza voleva dire che
avrebbe preferito lavare per bene la ferita in bagno.
L’alieno
le lanciò un sorrisetto beffardo.
“Penso
che non potrei camminare nemmeno se la mia vita dipendesse da
questo.”
Per
qualche strana ragione, quel commento strappò una risatina a Strawberry, ma lei
si calmò rapidamente, avvolgendo con cautela un braccio intorno alla vita
dell’alieno ed aiutarlo ad alzarsi lentamente. Lui si appoggiò a lei
pesantemente, finché non fu in grado di sdraiarsi cautamente e Strawberry, dopo
essersi assicurata che fosse comodo, tirò le coperte sopra di
lui.
Una
volta che gli fu permesso di sdraiarsi, il ragazzo apparve incredibilmente
stanco se paragonato a quanto vigile era stato solo pochi moment prima, e
Strawberry si accorse che probabilmente aveva lottato contro la sonnolenza
provocata dal medicinale sia durante la visita che durante la loro… interazione
di alcuni momenti prima. Il pensiero la obbligò a dargli un’ultima tenera
carezza sulla guancia prima di tirarsi su.
“Allora…
penso che ti sveglierò più tardi?”
“Mmm…”
Strawberry
nascose un sorriso per quanto velocemente si era alzata la sua
spossatezza.
“Ehm,
Strawberry?”
“Sì?”
“Potresti
restare per un po’…?”
Di
nuovo comparve quel piccolo dolce sorriso. “Sicuro.”
A
quelle parole, Ghish si sentì abbastanza calmo da addormentarsi e Strawberry si
mise sulla sedia della sua scrivania, emettendo un sospiro piuttosto
forte.
Quanto
tempo era passato, un’ora?
Come
diavolo avevano fatto le cose a complicarsi così nel giro di
un’ora?
E
cosa avrebbe fatto al riguardo?
Oh,
era stato semplice quando c’era stato solo Mark... dolce, affettuoso, leale
Mark...
Ma
poi… sorrise appena… quegli ultimo minuti non erano stati per niente
male.
Come
riconciliarli? Come avrebbe accettato due strade totalmente
opposte?
Non
lo sapeva. Non lo sapeva, ma sapeva quanto orribilmente aveva complicato la
situazione con le sue mani.
Per
qualche ragione, però, questo non la faceva piangere
adesso.
Quel bacio… quel bacio….
Aveva confermato la presenza di due amori. Mark
non aveva torto errore. Ma allora, anche Ghish non aveva torto a pensare che lei
amasse Mark.
Strawberry
si mosse il labbro. Beh, non aveva senso cercare di capire
adesso.
Sorrise
debolmente, guardando Ghish che dormiva beatamente. No, non aveva senso.
Non poteva rovinare quell senso di salvezza e conforto così presto
dopo che era stato ottenuto. Per
il momento... avrebbe semplicemente seguito quei nuovi sentimenti per il ragazzo
alieno e…
No!
Cosa
stava pensando?
Stava
con Mark.
…per
qualche ragione, quell’affermazione non suonò forte come una
volta...
Era
stato così bello, con
Ghish...
Ed
aveva Saputo, dal momento che lui era venuto da lei, che qualcosa sarebbe
cambiato…
Con
un altro sospiro, si alzò, pizzicandosi piano un le dita.
Non
c’era niente da fare per quella situazione al momento, no? Ma più tardi avrebbe
dovuto parlare con Lory. Quello era certo. Forse dopo che Ghish avesse ricevuto
la sua prossima dose, dopo che avesse ripulito la sua ferita di nuovo e gli
avesse dato qualcosa da mangiare… Sì. Poteva attendere fino ad
allora.
Mark…
aspetta, per un po’…
Seppe,
improvvisamente, che non poteva porre una fine a quella situazione con una
rassicurante conferma del suo amore. Quello… quello la spaventava.
Eppure…
Scosse la testa. Se
non si fosse fermata, sarebbe potuta ritornare a quei tremendi pensieri ed alle
lacrime, ed una performance speculare del suo tentativo di fuga non era quello
di cui c’era bisogno.
Più
tardi, ci avrebbe pensato su, avrebbe chiesto a Lory, e…
In
un attimo, i suoi occhi si spalancarono.
Lory!
La
ragazza gatto corse alla porta, la aprì rivelando semplicemente una Lory
piuttosto sconvolta in piedi nel corridoio. Sorprendentemente, fu la ragazza
pesce a ritrovare la voce per prima.
“Allora…
com’è andata?”
“Eh…”
Strawberry sorrise nervosamente, “lui è, ehm, tornato a
letto…”
Lory
poté solo annuire prima che un sorriso le sollevasse le
labbra.
“Strawberry…”
“S-sì?”
“Questo...
questo significa che adesso stai con lui?”
Il
volto di Mark le comparve come un flash nella mente, e per un attimo, esitò.
Poi, altrettanto improvvisamente, il volto di Ghish seguì quell’immagine, e
ritrovò il suo sorriso.
“Sì.”
Per adesso
almeno.
E
forse…
FINE DEL
CAPITOLO
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Capitolo 19 *** Grazie Ghish ***
CAPITOLO
17
“Ehi, Pai?”
L’unica
risposta fu il silenzio, rotto occasionalmente dal leggero ticchettare delle
dita sulla tastiera.
“Ehm,
Pai…”
Ancora
nessuna reazione.
“Oh!
Pai!”
“Cosa,
Tart?”
“Hai
tipo digitato male le ultime dieci righe…”
Pai
sbatté le palpebre lievemente sorpreso, prendendosi un momento per osservare lo
schermo traslucido ed accorgersi che, in effetti, aveva inserito in modo
scorretto l’ultimo blocco di equazioni di ricerca. Sbatté di nuovo le palpebre,
emettendo un flebile grugnito prima di premere un altro pulsante osservando i
simboli svanire. Fissando con sguardo piuttosto vacuo lo schermo del computer,
emise un lungo, silenzioso respiro.
Non
era da lui, ovviamente, fare qualcosa così soprappensiero come inserire dieci
righe intere di codice senza rendersi conto che erano dieci righe errate.
Certamente
non era da lui aver bisogno che Tart lo risvegliasse da una stupida trance in
cui non sarebbe dovuto essere.
E,
diavolo, certo che non era da lui abbandonare la ricerca quando era appena
mezzogiorno.
Con
quel pensiero destabilizzante in mente, spense il computer poi si voltò a
guardare un ansioso Tart.
“Non
hai qualcosa da fare?” chiese all’alieno più giovane, non in un tono
infastidito, ma con una voce scialba segnata da una profonda
fatica.
Come
se facesse l’eco al suo amico più grande, Tart si mosse, un po’ a
disagio.
La
verità era che nessuno dei due si era comportato in modo particolarmente normale
dall’incontro tra Pai e Lory. Non appena quella dura prova era stata portata a
termine, Pai aveva provato a tornare a lavorare normalmente, ma l’aveva trovato
sempre più difficile, mentre l’iniziale curiosità di Tart al riguardo aveva
lasciato spazio ad una depressione alimentata dall’assenza del loro compagno.
All’inizio, il più giovane si era
lamentato, ma dopo un po’, i suoi piagnucolii si erano affievoliti diventando
commenti occasionali che avevano gradualmente perso la loro forza finché non si
erano totalmente trasformati in una rigida sorta di
silenzio.
A
quel punto, il sollievo di Pai per aver dato alla Mew dai capelli verdi la
medicina si era esaurito, e lui si era accorto che i suoi normali doveri erano
diventati più simili a faccende domestiche che mai: quell’errore nell’equazione
era solo una della serie di distrazioni che aveva compiuto nel suo
lavoro.
Sospirò
internamente.
Ed
era passato un solo giorno.
Forse
poco più.
Eppure,
non era un lasso di tempo abbastanza lungo per cominciare a preoccuparsi di
nuovo. Aveva dato la medicina solo un giorno prima… un giorno… aveva fatto tutto
quello che poteva, no? Ma certo che sì. Non sarebbe potuto rimanere a guardare
il suo camerata per un periodo di tempo troppo lungo. Aveva osservato finché
aveva potuto, poi se n’era dovuto andare. Se non l’avesse fatto, Profondo Blu
avrebbe potuto sospettare qualcosa.
Eppure
in quel momento, guardando l’espressione supplicante negli occhi di Tart, non
poté non sentir vacillare la sua logica.
La
sua logica era sembrata bizzarramente debole fin da quando aveva lanciato alla
ragazza la fialetta.
Avrebbe
dovuto essere in grado di mettere da parte quell’azione, insieme alla sua
preoccupazione, ma ciò non era accaduto. Convincersi che le probabilità di
guarigione di Ghish si erano fatte più alte era più facile a dirsi che a
farsi.
Per
quanto fosse riluttante ad ammetterlo, si preoccupava per i suoi compagni.
Erano, in fin dei conti, tutto ciò che aveva in quella missione, e non importava
quanto fosse concentrato sui suoi obiettivi, non importava quanto leale
rimanesse nei confronti di Profondo Blu e quanto obiettivo tentasse di essere,
non poteva negare che aveva cominciato a preoccuparsi per loro. Era una
circostanza sfortunata ai fini della missione, ma era
vero.
Da
qualche parte nella sua mente, aveva cominciato a connettere il suo essere il
più grande ed il più mature, con un bisogno di proteggere gli altri due. Non era
sicuro di quando fosse successo, ma sapeva che era già presente quando una
disperazione schiacciante lo aveva colpito dopo che Ghish era sembrato perduto.
Un rapida conferma era venuta dal suo sollievo nell’essersi in qualche modo
redento dando la fiala a Lory.
In
quel momento, quella consapevolezza aveva solo enfatizzato il suo crescente
disagio.
Certo,
aveva dato all’altro ragazzo la medicina di cui aveva bisogno, ma non sembrava
abbastanza.
Ogni
volta che cercava di ignorarlo, riusciva solo a pensare all’ultima immagine che
aveva di Ghish: respirava dolorosamente, era appena in grado di dormire a causa
della sua sofferenza, si aggrappava ovviamente alla vita con una presa che si
indeboliva sempre di più.
Sapeva
che la medicina avrebbe dovuto risolvere
quella situazione, doveva risolverla, ma non era
abbastanza.
Voleva
vederlo di nuovo, punto e basta. Quell’istinto protettivo semplicemente non
voleva lasciarlo in pace.
Anche
Tart lo sapeva, nonostante i suoi sentimenti, probabilmente, gravitassero più
intorno al fatto che gli mancava il fratello maggiore piuttosto che alla
preoccupazione dettata da un senso di protezione.
In
ogni caso, nessuno dei due alieni era stato in grado di passare l’ultimo giorno
immerso nel sollievo che avrebbe dovuto essere loro.
Sostenendo
lo sguardo di Tart, Pai scosse la testa in risposta alla domanda che sapeva
stava arrivando.
“No,
Tart.”
“Ma—!”
Un
altro cenno di diniego, e l’alieno dai capelli castani
tacque.
Nonostante
la sua evidente vittoria, Pai strinse inconsciamente i
pugni.
Non
importava quante volte l’aveva detto, sapeva che non sarebbe stato completamente
in grado di convincere Tart su una qualche sicurezza per il loro amico
sofferente.
Adesso
sapeva anche, mentre un’ondata di ansia cresceva in lui, che non sarebbe nemmeno
riuscito a convincere sé stesso.
Ma
doveva convincere sé stesso! Doveva smetterla e tornare alla sua normale
routine.
Se
non l’avesse fatto, Profondo Blu avrebbe potuto scoprirlo, e se Profondo Blu
l’avesse scoperto…
Doveva
esserci un modo, un modo semplice per controllare come stesse il ragazzo, ma Pai
non riusciva a trovarlo. Non poteva semplicemente teletrasportarsi a casa di
Strawberry e mettersi a fare un altro po’ di silenzioso spionaggio: se il suo
padrone se ne fosse accorto in qualche modo, sarebbe stata la fine di tutto.
Doveva ammettere che guardare Ghish dopo il suo esilio era abbastanza brutto, ma
se Profondo Blu avesse scoperto chi se ne stava occupando…
Aveva
già corso il rischio quando aveva parlato con Lory e si era teletrasportato con
lei. Quel rischio si era solo fatto più profondo con questa pesante depressione
che era calata su di lui
nell’ultimo giorno. Pai non poteva fare qualcosa che avrebbe solo accresciuto le
possibilità che Profondo Blu li interrogasse. Tart, tanto per dirne una, avrebbe
ceduto facilmente, vedendo quanto fortemente sembrava legato a
Ghish.
Pai…
Pai stesso non era sicuro di quanto bene sarebbe riuscito a mantenere la sua
apparenza se interrogato.
C’era
semplicemente troppa preoccupazione,
troppa incertezza, troppo disagio...
Doveva
esserci un modo per calmare tutto quello, ma l’unica cosa che l’alieno riusciva
a pensare mentre superava il mesto Tart, mentre si preparava a teletrasportarsi
nella sua stanza per provare a riposarsi un po’, era tornare alla
casa.
Era
troppo rischioso.
Non
poteva… dannazione, semplicemente non poteva… se solo avesse
trovato…
Se
qualcuno avesse potuto aiutarli…
Si
fermò a metà passo, stupito dalla sua stessa evidente
idiozia.
Ma
certo.
La
ragazza lo aveva fatto una volta. Forse... forse avrebbe potuto calmare la loro
ansia un’altra volta?
Ma
allora, anche se avesse potuto, come poteva essere sicuro che avrebbe trovato
lei e non una delle alter?
Non
poteva esserne sicuro. Poteva solo sperare.
Era
davvero l’unica scelta.
Nonostante
ci fosse un po’ di incertezza, si permise un leggero
sorrisetto.
“Resta
qui, Tart.”
L’espressione
dell’alieno più giovane passò da una di profonda tristezza ad una di confusione
assoluta. Sbatté le palpebre. “Perché? Dove stai andando?”
“Dovremmo
attaccare, non ti pare?”
“Attaccare?
Ora? Ma sei—”
Si
fermò, mentre la comprensione gli compariva sul volto. Era sempre stato
piuttosto rapido a capire, anche se era ancora piccolo.
“Pai,
posso venire? Per favore?” Sì, c’era quella lagna stridula, proprio al momento
giusto.
L’alieno
più grande scosse la testa in risposta, ma comunque sorrise debolmente a
Tart.
“Ti
faro un resoconto completo al mio ritorno.”
Tart
mise il broncio mentre Pai si teletrasportava fuori dalla dimensione,
lasciandolo da solo. Mentre i secondi passavano, comunque, quel broncio si
addolcì in un’esitante genere di speranza, mentre brontolava all’aria
vuota.
“Bene…
ma…ma è meglio che sia un buon
resoconto…”
Strawberry
stava seduta a mangiare in silenzio.
Anche
Lory lo stava facendo, concentrandosi solo a metà sulle verdure saltate
nell’olio bollente che aveva preparato per cena.
Nessuna
delle due parlava, ma entrambe sapevano a cosa stava pensando
l’altra.
In
realtà, c’era solo una cosa a cui pensare ed entrembe le ragazze erano assorbite
in essa.
L’ho…l’ho
baciato…
Due
volte.
Lo
aveva baciato non una, ma due volte.
Le
dita di Strawberry si fecero tese intorno alle bacchette mentre quell’idea
affondava di nuovo, per quella che
sembrava essere la milionesima volta da quando aveva sentito quelle labbra
sfiorare le sue.
Si
erano baciati… e lei era ancora viva.
Se
non fosse stata così immersa nei suoi pensieri, avrebbe potuto ridere per quanto
stupida suonava quella frase.
Eppure, era vero.
Aveva
rifiutato il ragazzo alieno così spesso, aveva rifiutato i suoi baci con così
tanta convinzione, che il pensiero di essere ancora normale dopo aver ceduto era qualcosa di
shockante.
Eppure,
cosa si era aspettata?
Si
era aspettata una qualche sorta di apocalisse perché si era voltata totalmente
di 180 gradi e… e…
Beh, non esattamente l’apocalisse.
Ad
ogni modo, l’aveva baciato e non si sentiva macchiata dall’esperienza. Forse era
quello che si era aspettata: una qualche sorta di senso di degradazione,
disperazione, bassezza dopo essersi arresa al nemico.
Non
fosse stato per il fatto che non riusciva più a chiamarlo
nemico.
Non
importava quanto duramente ci provasse, quella parola semplicemente non stava
bene associata a Ghish. Non poteva, non dopo tutto quello che era successo… non
dopo quel tocco, quella voce quegli occhi…
Eppure…
Oh, Mark…
Strawberry
strinse le sue bacchette così tanto che perse il contatto. I due sottili oggetti
caddero rumorosamente sul tavolo e Lory alzò lo sguardo sulla sua amica,
sussultando.
Perché
doveva essere così difficile?
“Strawberry.”
La
ragazza guardò alzò gli occhi sullo sguardo compassionevole di
Lory.
“Vuoi
parlarne?”
Lei
sbatté le palpebre, agitandosi un po’ sulla sedia.
“Io…”
Lory
stava attenta a non forzarla: aveva abbastanza buonsenso. Poteva solo immaginare
cosa stava passando Strawberry, dato che lei non si era mai trovata in una
simile situazione, ma era incline ad alcune dei dubbi che l’altra ragazza doveva
star avendo.
L’intera
questione riguardante lo status di Ghish (no, l’ex status, pensò lei)
come un nemico era certamente qualcosa da considerare. Il suo status, e quello
di Tart. E quello di Pai…
Come
cavolo avrebbe fatto ogni cosa a tornare normale dopo una simile vicenda? Come potevano
permettere che Ghish guarisse se ne andasse un giorno e che quello successivo
combattesse contro di loro? Non sarebbe stata in grado di fare questo.
Lory lo sapeva.
Strawberry sì?
Mentre
la sua amica si sforzava di formulare una risposta, Lory si morse in labbro,
pensando in silenzio.
Solo
pochi giorni prima, avrebbe scommesso la sua vita sul fatto che Strawberry
avrebbe combattuto Ghish con tutto ciò che aveva fino alla morte, ma solo un
giorno dopo dal suo arrivo lì…
Dopo
aver saputo che i due si erano baciati, e che non era stato un
incidente…
Era
stata una scelta di Strawberry, e non una delle azioni troppo zelanti di
Ghish…
Solo
quell’idea era abbastanza per confondere e terrorizzare chiunque, e Strawberry
aveva ancora Mark di cui preoccuparsi. Lory si sentì male internamente al suono
di quel nome. Quel ragazzo… era così semplice quando Strawberry amava lui e lui
soltanto. E lei lo amava davvero. Questo era innegabilmente evidente in tutto
quello che faceva e diceva.
Fino
a tutta quella situazione, Lory aveva fermamente creduto che quell’amore sarebbe
rimasto il più forte finché la coppia fosse vissuta, ma
adesso…
Strawberry amava un altro. L’aveva
detto, l’aveva provato.
E
quell’altro era Ghish.
Era
assurdamente complicato, e Lory non poteva incolpare Strawberry per essere
scivolata nel silenzio, cedendo ad esprimere i suoi
sentimenti.
Inoltre,
cosa c’era da dire?
Li
amo… li amo entrambi…
Era
così. Li amava entrambi.
Amava
Mark come aveva sempre fatto.
Ma
adesso, dopo aver visto Ghish al di fuori della battaglia, lontano dalla sua
stessa frustrazione, vulnerabile in un modo che lei non avrebbe ritenuto
possibile, la ragazza aveva sentito quel nuovo amore.
Adesso,
dopo aver visto che lui voleva dire davvero ciò che aveva sempre sostenuto, dopo
aver visto che Ghish non era solo il fastidioso alieno pericoloso, volto a
distruggere il suo pianeta, dopo aver visto che aveva una mente, un cuore e
un’anima… un’anima che aveva già consacrato a lei, anche quando questo l’aveva
portato a provare così tanto dolore…
Come
non poteva ricambiare l’amore?
Non
era senza cuore.
Forse
prima era stata solo cieca.
Heh…
Da
un lato le mancava quell’inconsapevolezza. Le mancava la sua
semplicità.
Dall’altro…
non avrebbe scambiato i suoi sentimenti per niente al
mondo.
Nonostante
il guaio che avevano causato, nonostante il guaio che avrebbero causato, lei non
poteva immaginare di doversene privare, non dopo ciò che aveva
visto.
Diavolo,
c’era ancora così tanto da vedere, così tanto che lei non
sapeva.
Come
poteva ignorarlo?
Se
solo non fosse stato tutto così catastrofico!
“Strawberry.”
Di
nuovo, la sua attenzione andò a Lory, che la accettò con il sorriso più
confortante a cui potesse fare
appello.
“Non
preoccuparti così tanto di questo, ora. Tutto andrà a
posto.”
Quelle
due frasi suonavano così calme, così sensate che, nonostante la sua situazione,
Strawberry scoppiò a ridere.
“Sì,”
ridacchiò, mentre un sorriso improvviso le illuminava il volto, “è troppo presto
per preoccuparsi adesso, no?”
No…
no, no, no…non era troppo presto... con tutto quello che era successo… Mark…
Il
suo sorriso svanì rapidamente così come era apparso, e Lory abbassò lo sguardo,
come se stesse raccogliendo i suoi pensieri, prima di tornare a guardare
Strawberry.
“Lo
sarà.”
Per
qualche ragione, quelle due parole fecero sobbalzare la ragazza-gatto, forse
perché erano così sicure di sé.
Quella
strana confidenza provocò un sorriso più piccolo e discreto sul suo volto, e lei
annuì, quasi come si vergognasse della sua uscita.
Proprio
in quel momento, il cellulare di Lory squillò. Ogni tensione rimasta tra le
ragazze sparì mentre la ragazza rispondeva. In pochi secondi, comunque,
Strawberry scoprì di starsi sentendo stranamente a disagio mentre la voce di
Lory diventava tremante ed i suoi occhi si sbarravano leggermente. Alla fine,
pronunciò il nome di colui che aveva chiamato, e Strawberry si irrigidì.
“Ryan,
ne sei sicuro? Sì, conosco il posto, ma…sì, ne sei certo? Beh…non so…no, è solo
che io…s-stai mandando TUTTE!” Strawberry sobbalzò quando la voce tremante di
Lory si trasformò in un grido energico.
“Io…no,
n-non c’è niente che non vada, è solo che…” la ragazza si interruppe, mentre una
gelida disperazione entrava nei suoi occhi azzurri e la sua presa sul cellulare
si rafforzava.
All’improvviso,
sembrò aver trovato un’idea. Quale questa fosse, Strawberry non riusciva ad
immaginarselo, ma aveva conferito alla ragazza una qualche nuova fiducia, e la
sua voce si rafforzò mentre rispondeva a Ryan.
“Ryan,
pensi che… ecco, p-potrei occuparmene da sola?” cominciò, balbettando
all’inizio, ma guadagnando stabilità mentre continuava. “Sì, so cosa sto chiedendo. Perché?
Beh… Strawberry è malata… sì, sta bene. Sono a casa sua e, dal momento che è più
vicino da qui, ho pensato che sarebbe la cosa migliore se andassi da sola… Lo so
che siamo una squadra, ma io… ti prego Ryan…Io…” Strawberry poteva dire che il
ragazzo biondo le stava facendo un sacco di resistenza, e desiderò poter
intromettersi e gridare qualcosa al leader del Progetto Mew, ma sapeva che
questo sarebbe stato in contraddizione con la bugia che Lory aveva appena
detto.
Si
agitò, diventando sempre più ansiosap
per la sua impossibilità di aiutare Lory, quando l’altra ragazza sembrò
estrarre un asso nella manica di qualche tipo.
“Significherebbe
tanto per me, Ryan, farlo per una volta, da sola… so che potrei…” dal silenzio
all’altro capo della linea, Strawberry poteva dire che questo aveva sorpreso
Ryan tanto quanto lei. Dopo alcuni istanti in cui rimase a fissare Lory confuse,
dovette riconcentrarsi sulla conversazione, e non riuscì a non sorridere quando
scoprì che la situazione si era capovolta.
“Grazie
Ryan. Ti chiamerò se avrò bisogno di aiuto… davvero… sì, faro rapporto… grazie.
Ciao!”
Lory
spense il telefono, solo per essere bombardata di domande dalla sua
amica.
“Allora, cosa voleva? E
cosa vuoi dire con il fatto che vorrà dire molto per te? E cosa…?” Strawberry
sparò alcune domande in più prima di calmarsi abbastanza da permettere a Lory di
parlare.
“Uno
degli altri alieni sta attaccando, ad alcuni isolati di distanza da
qui.”
Strawberry
sbatté le palpebre sorpresa. “Sta attaccando... ma…” All’improvviso, la parola
“nemico” riemerse. Eppure, sembrava sbagliata, anche se… ma perché
adesso…?
Lory
scosse la testa, evidentemente confuse quanto Strawberry. “Non lo so, ma ho
chiesto a Ryan di lasciarmi gestire la cosa da sola. Io… Io non so cosa
significhi, Strawberry, ma penso che, vista la situazione, dovrei andare a
vedere io stessa.” Terminò con un tono pieno di determinazione, e Strawberry
sorrise ancora di più, annuendo in segno di approvazione.
“Perciò,
credo che questo significhi che andrai?”
“Sì.
Tornerò non appena potrò. Ryan mi ha fatto promettere di contattare un’altra Mew
Mew se fosse successo qualcosa, perciò, ti prego, tieni vicino il tuo
ciondolo.”
“Okay, certo.” Strawberry
non sapeva perché, ma si sentiva stranamente calma al riguardo. Qualcosa lo
faceva sembrare un po’ diverso da una vera battaglia, e nonostante nessuna delle
ragazze fosse particolarmente felice, entrambe sapevano che, in qualche modo,
questa non si sarebbe rivelato uguale al solito. C’era una differenza ed
entrambe erano curiose di scoprire cosa fosse.
Dopo
un rapido saluto, Lory si trasformò e se ne andò, saltellando nella direzione
indicatale da Ryan.
Strawberry rimase da sola.
Innanzitutto,
pulì i piatti che avevano usato per il loro pasto, piuttosto sollevata per avere
qualcosa di monotono da fare invece di doversi concentrare su ciò che era appena
accaduto, o su ciò che era accaduto un po’ di tempo prima.
Dopo
averlo fatto, comunque, si trovò senza niente da fare e… beh, piuttosto
annoiata. Dopo aver dormito così tanto negli ultimi giorni, voleva uscire e fare qualcosa, ma ciò era praticamente
impossibile. Lanciò un’occhiata al salotto alla ricerca di qualcosa per tenersi
occupata, ma non trovò nulla.
Questo
le lasciava un’unica vera opzione: andare di sopra e controllare
Ghish.
Erano
passate alcune ore, dopotutto, e forse, se avesse provato di più, avrebbe potuto
tenere quegli sconcertanti pensieri a bada finché entrambi non fossero stati in salute e
calmi abbastanza per confrontarcisi.
Deglutì
con difficoltà.
O
forse non ci sarebbe riuscita.
Quando
aprì la porta il più silenziosamente possibile, si morse il labbro in nervosa
attesa per l’imbarazzo che, sapeva, ci sarebbe stato.
Ogni
speranza che Ghish stesse dormendo, permettendole di ritardare un po’, fu
rapidamente distrutta dalla vista di lui seduto sul letto, che si stiracchiava
con cautela sbadigliando quasi comicamente. Quando ebbe fatto, alzò lo sguardo
su di lei con una dolce specie di sorriso ansioso, e lei deglutì di
nuovo.
“Ehi,
Strawberry.”
Va
bene… puoi farcela. Andiamo, devi solo sorridere e rispondergli.
Lo ami, giusto? Bene, allora sorridi e dì…
“E-ehi Ghish.” Il
suo tentativo di rispondere al sorriso fu... patetico. Avvicinandosi al letto e
sedendosi sul bordo, pregò che lui non se ne fosse
accorto.
Questo
era piuttosto stupido.
Il
ragazzo l’aveva visto immediatamente.
Mentre
riusciva a far sì che il suo sorriso non si spegnesse, Ghish non poté non
ignorare la punta di delusione in lui.
Beh,
non è che può scordarsi subito di quell’idiota di Mark… ma
comunque…
Aveva
sperato che tutto sarebbe cambiato. Niente gli sarebbe stato più gradito di un
completo cambio di interesse amoroso da parte di Strawberry, ma quella era
un’illusione.
Beh…
come se potesse mai succedere…
Vero. Non sarebbe successo. Ma
c’era ancora una possibilità, no? Le circostanze erano maledettamente cambiate
rispetto a prima: lei lo amava adesso.
Lo amava.
L’aveva
detto lei stessa, ed ogni volta che si ripeteva quelle parole nella sua mente
riceveva un brivido felice. Com’era meraviglioso, associare quella parola a lei
dopo che la ragazza l’aveva detta, senza alcun tremor insicuro nella voce, senza
alcuna oscura esitazione negli occhi.
Sì,
lei lo amava adesso, ed anche se Mark rimaneva nel quadro con tutta la sua
irritante persistenza, ora Ghish aveva una possibilità di dimostrarle quanto
l’aveva amata per tutto quel tempo. Non lo respingeva più.
Nervosa,
spaventata com’era, la ragazza l’aveva riconosciuto ed anche se si rifiutava di
innamorarsi pazzamente, questo era abbastanza per permettergli di mantenere il
suo sorriso di fronte all’angoscia di lei.
Anche
se la voce della ragazza tremava quando lei parlò di nuovo, lui riuscì a
mantenere la sua fiducia.
“C-come ti senti?”
Eppure,
non gli piaceva quella espressione ansiosa sul volto, e le donò un sorrisetto
più ampio, cercando di sottrarla all’imbarazzo.
“Meglio.”
Lei
sorrise, e lui poté vedere che stava facendo del suo meglio per calmarsi, ma la
ragazza riuscì solo a guardarsi nervosamente le mani.
Anche
se sapeva che i piccoli insulti avrebbero fatto poco, non poté fare a meno che
il corso dei suoi pensieri prendesse una strada piuttosto
familiare:
Quell’idiota di Mark…
Volendo
alleviare il suo disagio,sperando di riportare una qualche aria di normalità,
cercò di utilizzare le sue punzecchiature scherzose per quella strana
situazione.
“Ehi,
Strawberry, perché quella faccia? Non se mica tornata qui per dirmi che prima
stavi scherzando, vero?”
Anche
con quella scintilla maliziosa negli occhi, anche con quel sorrisetto giocoso
sulle labbra, anche se cercava di rendere il suo tono quanto più gioviale gli
fosse possibile con la sua voce ancora raschiante, l’effetto non si avvicinò
neanche lontanamente a quello che lui aveva in mente. Con suo sgomento, tanto
che il suo sorriso vacillò, lei alzò lo sguardo su di lui esprimendo qualcosa
simile alla disperazione, mentre le lacrime cominciavano a riempirle gli
occhi.
Lei
sembrò accorgersi che lui stava scherzando e provò disperatamente a rispondergli
con un sorrisetto disinvolto, ma quel semplice accento su quel dubbio che stava
cercando di evitare con tanta difficoltà fece solo peggiorare la sua
angoscia.
“E
cosa t-ti fa… ti fa d-dire…” dovette fermarsi: un singhiozzo le stava nascendo
in gola.
“Strawberry.”
La
ragazza lo guardò.
In
nemmeno un battito di ciglia, il ragazzo l’aveva raggiunta ed l’aveva cautamente
abbracciata con il suo braccio buono. La testa di lei gli cadde sulla spalla: la
ragazza poteva sentire i capelli annodati dell’alieno solleticarle l’orecchio,
le sue dita che premevano sulla sua schiena rassicurandola., la sua pelle calda
era un morbido contatto contro la sua mentre lui le parlava con un tono così
rassicurante, così semplice e premuroso che i suoi occhi si spalancarono
all’udirla.
“Non
stai facendo niente di sbagliato.”
Lei
si irrigidì.
“Non
mi interessa quanto ti ci vorrà, Strawberry, ed alla fine, chiunque sceglierai
l’importante è che tu sia felice.”
Il
labbro di lei tremò.
“Mi
basta che tu ti sia presa cura di me. Mi basta che tu mi abbia dato una
possibilità.”
La
sua voce si abbassò divenendo quasi un sussurro.
“E’
tutto ciò che ho sempre volute veramente.”
Una
lacrima scivolò lungo la guancia di Strawberry e sulla spalla di
Ghish.
Tutto
quello che voleva... questo era tutto quello che voleva…
Quelle
parole fecero sì che le sue azioni passate sembrassero molto più stupide, e lei
tirò su con il naso mentre alcune lacrime ancora le colavano lungo le
guance.
Ogni
pensiero riguardo il suo recente atteggiamento nei confronti dell’alieno, il suo
allontanamento di Mark per il momento, il suo concedersi un cambiamento,
semplicemente scomparvero.
Mio
Dio… sarebbe disposto a… sarebbe davvero disposto a…
“Grazie
Ghish,” mormorò. Era tutto quello che poteva pensare di dire, tutto quello che
c’era da dire in risposta a quel gesto di compassione. Chiuse gli occhi per un
momento, improvvisamente desiderosa di prendere tempo per godere della sua pelle
liscia, del tocco della sua mano sulla schiena.
Questa
volta, il sorriso le tornò con più facilità, e rimase mentre i secondi
passavano e le nauseanti domande
svanivano dai suoi pensieri. Lentamente, Strawberry si rilassò accanto al
ragazzo, finché la voce di lui non spezzò di nuovo il
silenzio.
“Ma
tra me e te, penso di essere quello di più bell’aspetto,” sussurrò nel suo
orecchio prima di mordicchiarlo leggermente, con grande stupore della
ragazza.
E
questa volta, lei si assicurò di reagire in modo opportune al suo umorismo
maligno.
“Razza
di pervertito!” gridò, allontanandosi da lui e fissandolo con la sua vecchia
tenacia.
Tranne
per il fatto che il suo era più che altro uno sguardo scherzoso, perché sotto
quella scintilla di fastidio scorreva una fresco corrente di sollievo che si
intensificò soltanto quando lei vide quel poco di tenerezza che restava ancora
nel suo sorrisetto. La ragazza si accorse immediatamente che lui sapeva cosa
stava facendo, come la stava aiutando.
Lasciò
che un piccolo sorriso si insinuasse nella sua stizza e nel suo
broncio.
Grazie Kisshu… grazie mille…
“Beh,
se stai abbastanza bene per questo,
allora potremmo anche andare a cambiarti quelle bende
ora.”
Mentre
il sorriso svaniva un po’, lui abbassò lo sguardo sulla sua spalla ferita,
annuendo con un po’ di comprensibile riluttanza. “Già… penso di
sì.”
“Puoi
alzarti?”
Lui
sbatté le palpebre, avvicinandosi al bordo del letto, facendo passare le gambe
oltre questo ed alzandosi lentamente.
“Sì, penso di poter—”
Sfortunatamente,
le sue gambe tremanti sembrarono avere una loro idea e Strawberry dovette
reagire rapidamente per afferrarlo, avvolgendo un braccio intorno alla sua vita,
prima che lui rovinasse a terra. Non appena ebbe una buona presa su di lui, la
ragazza sbuffò.
“Ben
fatto.”
“Hey,
non è colpa mia se mi sento
male!”
Strawberry
sbuffò e sorrise di nuovo, mentre lo guidava lentamente fuori dalla stanza e poi
lungo il corridoio.
Era
straordinario.
Certo,
i suoi dubbi non sarebbero scomparsi finché la questione non sarebbe stata
risolta e c’era davvero molto da risolvere: Mark, le altre Mew Mew, gli
altri alieni, Ryan (come questi ultimo due sarebbero stati affrontati, non
riusciva nemmeno ad immaginarlo). Ma era straordinario come alcune dolci parole
da parte di Ghish la potessero rassicurare così completamente. Non ci pensava
davvero in quel momento, ma il fatto che lui semplicemente avesse accettato le
circostanze, i suoi dubbi, il suo bisogno di scegliere, persino la possibilità
che Mark ritornasse, che avesse accettato tutto questo solo perché lei gli stava
dando una possibilità, era riuscito a risollevarle meravigliosamente lo
spirito…
Era
sconcertante, ma non ci fece molto caso. Davvero, non le importava.
Tutto
quello che le importava, mentre conduceva il ragazzo verso il bagno, era quel
nuovo senso di confortante tranquillità tra di loro, e nel suo sollievo quasi
folle, lei era decisa a farne pieno utilizzo. Le parole di lui avevano reso la
cosa piuttosto semplice.
Con
un altro piccolo sorrisetto, lei lasciò che lui si sedesse sullo sgabello, prima
di guardarlo con quel nuovo divertimento, quella nuova idea di un semplice
gioco, che brillava nei suoi occhi.
“Sai,
mentre siamo qui, potresti fare un bagno.”
Lui
si lasciò provocare alla perfezione.
“E
questo cosa vorrebbe dire, eh? Stai insinuando,” pronunciò quella parola in un
tono comicamente altezzoso, “che puzzo?”
“Beh,
sei tutto sudato,” replicò lei, incrociando le braccia in scherzoso
disgusto.
Con
sua gioia nascosta, lui mise effettivamente il broncio.
“Di nuovo, non è colpa
mia.”
Questa
è bella…
Quello
era l’unico pensiero nella sua mente, mentre la ragazza si permetteva di
ridacchiare un po’. Per il momento, riuscì ad essere nuovamente sé stessa. Per
il momento, Ghish fu in grado di strapparla ai suoi dubbi, ed anche se una parte
di lei sapeva che ciò non sarebbe stato per sempre, si permise un po’ di
indulgenza in quella scanzonata scherzosità.
Strawberry
andò ad aprire l’acqua, solo per essere interrotta
dall’alieno.
“Allora…
chi è che mi farà il bagno?”
Per
un attimo, il suo divertimento fu dimenticato in favore di una sorpresa
confusione.
“Eh…
tu forse?”
Per
tutta risposta, lui sollevò le braccia, mostrando che arrivavano appena
all’altezza del petto, facendo nel mentre una smorfia di
dolore.
Oh…giusto…
Lei
arrossì leggermente, quando si accorse del suo errore e di cosa si era costretta
a fare.
Per
un mero istante, quel nervosismo tornò alla carica, ma nello stesso istante, il
ricordo dell’abbraccio di Ghish con cui lui le aveva dimostrato di accettare la
situazione, lo contrastò e lo sconfisse.
La
ragazza permise a sé stessa di continuare ad indulgere in quell’atteggiamento
privo di preoccupazioni di quell momento.
“Eh-heh…giusto…”
Ghish
le lanciò un sorrisetto carico di aspettativa, con gli occhi spalancati in
un’espressione di falsa innocenza.
“Farai
meglio a non provare a fare niente di strano.”
“Chi,
io?”
Se
possibile, lo sguardo di lui divenne ancora più innocente, ed anche se la
ragazza gatto si era voltata con una sorta di grugnito infastidito, non riuscì a
non sorridere tra sé e sé.
In
pochi minuti, comunque, dopo aver riempito la vasca con acqua tiepida ed una
bella quantità di bagnoschiuma (non avrebbe mai e poi mai rischiato una
qualche…eh… visione inappropriata), la ragazza desiderò di doversi
scontrare con un altro attacco di conflitto sentimentale, invece di quello
davanti a cui si trovava.
“O-okay,
Io, uh, esco dalla stanza. Chiamami quando sei nella vasca, capito? E non
pensare nemmeno a chiamarmi prima di quel momento, o a spostare tutte le bolle
da una parte, o—”
“Oh…
non ti fidi di me, micetta?”
“Non
quando hai quello sguardo stampato sulla faccia.”
Detto
questo , lei scivolò fuori dalla stanza, chiuse la porta ed aspettò. Finalmente,
la sua mente ebbe l’occasione di assaltarla.
Sto
per fargli un bagno…a lui, a Ghish… Non ho mai nemmeno baciato
Mark, e sto per fare un bagno a Ghish!
Riuscì
quasi a riportarla a quei pensieri nauseanti. Quasi.
“Okay!”
A
quel richiamo smorzato, lei prese un respiro profondo.
Va bene Strawberry. Va
bene… sei arrivata fino a qui; questo non rovinerà molto di più le cose.
Inoltre, lui ha detto che va bene… l’ha detto lui...
Sì,
Ghish l’aveva detto, e Mark… anche Mark le aveva dato un gentile consenso. Ora
doveva solo fare quello che doveva.
Con
quella rinnovata determinazione, si voltò ed entrò nel
bagno.
Qualsiasi
ansia residua che avrebbe potuto essere causata dalla concezione di dover lavare
l’alieno fu immediatamente distrutta dall’immagine davanti a
lei.
Da
quella, e da un’improvvisa ricomparsa della sua stupida abilità nel trovare il
lato buffo nelle cose più strane.
Invece
di dover lottare contro un’ondata di esitazione, dovette resistere al bisogno di
ridere. In questo fallì e scoppiò in forti, imperterrite grida di allegria.
Ghish sbatté le palpebre, apparendo adorabilmente confuso.
“Che
c’è di così divertente?” le chiese quando lei riuscì a non ridacchiare per
alcuni istanti.
All’inizio,
la ragazza nemmeno replicò, boccheggiando nel tentativo di respirare tra le
risatine, poi:
“Tu…t-tu…
tu sembri…” Dovette appoggiarsi al muro per tenersi su mentre il ragazzo
aggrottava la fronte, uno sguardo infastidito gli attraversava il volto. “Cosa?”
“…sembri
una ragazza!” Questo riuscì a
rispedirla tra gli squittii, mentre Ghish dapprima rimase basito, poi si
accigliò.
“Cosa
vuoi dire, sembro una ragazza?”
“I
tuoi capelli…” alla fine lei si riprese, respirando profondamente mentre lo
guardava con un sorrisetto stupido. Infatti, lei non l’aveva mai visto senza i
nastri nei capelli, e senza quelli, le sue lunghe ciocche cadevano liberamente,
incorniciandoli il volto alla perfezione, e quello stile, combinato al suo corpo
magro ed alla sua pelle pallida e liscia… beh, uno non avrebbe potuto certo
fargliene una colpa.
“Che
c’è che non va con i miei capelli? Ho dovuto scioglierli per lavarli!
E non sembrano da ragazza! Un
sacco di ragazzi sul mio pianeta li porta così!” replicò lui, accigliandosi
arrabbiato, guardandola mentre ridacchiava, poi si avvicinava ed prendeva lo
sgabello per sedersi accanto alla vasca.
“Beh,
allora credo che anche loro sembrino delle ragazze,” continuo lei con una
risatina, guardando Ghish che la fulminava con lo sguardo, aprendo la bocca per
replicare seccamente di nuovo, solo per cadere in un breve attacco di tosse che
pose fine alla discussione, dal momento che Strawberry si occupò di dargli delle
lievi pacche sulla schiena cercando di mitigare le sue risatine. Alla fine, lei
ridacchiò un’altra volta e lui
recuperò il respiro, solo per lanciarle un’altra occhiataccia di disapprovazione
prima che la ragazza riuscisse ad acquietarsi.
“Va
bene, va bene,” lo rabbonì lei, ancora piuttosto divertita al vederlo così
innervosito, “Ritiro quello che ho detto.” Il modo soddisfatto in cui lui sbuffò
la fece quasi scoppiare nuovamente a ridere, ma si concentrò sull’afferrare una
bottiglia di shampoo e sul versarsene un po’ sulle mani, producendo della
schiuma.
“Sai
cos’è lo shampoo, vero?”
“Mm…
sì…” mormorò lui, appoggiandosi con la schiena alla vasca, mentre Strawberry
spargeva lo shampoo sui suoi capelli con gentilezza, producendo lentamente altra
schiuma mentre prendeva una maggior quantità dei suoi capelli nelle sue mano.
Evidentemente, questo doveva provocargli una bella sensazione perché, dopo
alcuni minuti, la ragazza dovette scuoterlo per assicurarsi che fosse ancora
sveglio.
“Oi,
Ghish?”
“Cosa?”
“Non
dovresti addormentarti nella vasca.”
“Mmhmm…”
Immagino
che tutto questo l’abbia stancato…hehe… è così carino quando ha
sonno…
Questa
volta, quell’ultimo pensiero non si trovò a dover competere con quelli su
Mark.
Sorrise
mentre il ragazzo si appoggiava un po’ di più, apparendo in effetti piuttosto
esausto. Quando un pensiero improvviso la colpì, Strawberry immerse una mano
nell’acqua per sciacquarsela dalla schiuma, poi la posò rapidamente sulla fronte
dell’alieno. Lui si dimenò un po’ per via del contatto a
sorpresa.
“Gattina,
cosa stai facendo?”
“Sto
solo controllando la tua temperatura,” rispose lei, “non penso che tu debba più
prendere quella medicina, anche se probabilmente, hai ancora un po’ di
febbre.”
A
quelle parole Ghish si dimenò e mise di nuovo il broncio. “Odio essere
malato.”
“Sì,
beh, non sei l’unico,” replicò lei, sentendo un’improvvisa urgenza di
arruffargli i capelli, ma posando un leggero colpetto sulla sua testa, dal
momento che i suoi capelli erano ancora uno schiumoso ammasso di shampoo.
“Adesso devo risciacquarlo.”
“’Ok.”
Scivolando
ancora un po’, l’alieno trattenne il respiro mentre lei raccoglieva un po’
d’acqua con una tazza che si era portata e la rovesciava sopra la sua testa.
Pochi secondi più tardi, Ghish provò a scuotere via l’acqua, ma non poté fare
nulla per i capelli incollati al suo volto. Sputacchiò, muovendo le dita per
spostarsi le ciocche ed I capelli più lunghi che gli stavano oscurando la
visuale, ma si fermò a metà del gesto con un flebile grido di
dolore.
“Non
farlo, scemo. Ecco qua.”
Strawberry,
anche se arrossendo un pochino, scostò i capelli dal suo volto, solo per
arrossire ancora di più al compiaciuto piacere negli occhi di lui. Invece di
soffermarsi su quello, si schiarì la
gola, guardando decisamente da un’altra parte ed afferrando una
saponetta.
“Vuoi
che mi sdrai ancora di più?”
“Um, sì.”
La
ragazza non sapeva perché lui sembrava così ansioso finché non si sdraiò, solo
un pochino di più, dal momento che la sua ferita stava ancora guarendo, ma
abbastanza per darle una vista perfetta del resto del suo petto, che era,
bisognava ammetterlo…
Beh,
non era una vista spiacevole, mettiamola così.
Strawberry
sbatté le palpebre, poi si concesse un momento in cui osservare con sguardo
truce l’alieno che la guardava con un sorrisetto, prima di cominciare il suo
lavoro, tentando nel mentre di far sì che il suo volto non diventasse troppo
rosso. Cercò anche di ignorare il fatto che le erano spuntate le orecchie e la
coda.
Concentrati
solo sul movimento della tua mano. Non concentrarti su quello su cui la stai
muovendo… ecco, così…
Fece
proprio in quel modo, concentrandosi con determinazione sui suoi movimenti
invece che sul petto di lui e, in qualche modo, la cosa successiva di cui si
accorse fu che le orecchie e la coda erano scomparse e che lei stava chiedendo
all’alieno di immergersi e di sciacquarsi via il sapone, cosa che lui fece
ancora con quel sorrisetto irritante fisso sul volto.
“Devi
rendere tutto difficile, vero?”
Lui
ridacchiò. “Ehi, non sono stato in grado di fare niente di divertente negli
ultimi quattro giorni. Penso di averne il diritto.”
“Oh,
lo credi davvero?”
La
ragazza dette un colpetto al suo orecchio infastidita, solo per ricevere un
indignato “Ehi!”
Di
nuovo, Strawberry ricominciò a ridacchiare. “Cosa?” gli chiese, tutta la
precedente falsa innocenza dell’alieno passò alla ragazza, mentre lei si
avvicinava per tirargli un orecchio.
Questa
azione ebbe come risposta uno schizzo da parte dell’alieno, gesto che fece
strillare la ragazza. “Che pensi di fare?”
Ghish
sorrise e basta e la schizzò di nuovo.
I
successivi minuti furono spesi in una lotta d’acqua, l’alieno schizzava bolle ed
acqua, tentando di inzuppare Strawberry, mentre la ragazza era riuscita ad
afferrare il telefono della doccia ed a schizzare l’acqua sul volto dell’alieno
e nel frattempo lanciando gridolini a metà tra una risata e l’indignazione. Ad
un certo punto, la ragazza introdusse la sua vecchia paperella di gomma come
arma e gliela tirò, solo per riceverla nuovamente in testa un istante
dopo.
Era
quasi un miracolo che le bolle avessero resistito per tutto il tempo in cui i
due si erano tirati acqua addosso, Strawberry ovviamente ebbe la peggio anche se
Ghish poteva tirarle poca acqua a causa della sua ferita, e la ragazza se ne
rese conto mentre cominciava ad asciugarsi. Nonostante ciò, lei dette quasi
quanto ricevette, e la sola cosa
che pose fine alla battaglia ed ai suoi brevi attacchi di urletti e
risate fu la ragazza che lanciò un po’ troppa acqua contro l’alieno, che
cominciò a tossire così forte che Strawberry dovette dargli dei colpetti sulla
schiena per aiutarlo a respirare di nuovo.
Dopo
che lui si fu fermato, la ragazza si risedette per dare un’occhiata generale ai
danni.
Il
pavimento era tutto bagnato, per non parlare di alcune sezioni del muro. Lei era
zuppa, la sua camicetta ed i suoi jeans erano bagnati fradici, mentre Ghish si
era appoggiato di nuovo alla vasca, respirando quasi con pesantezza a causa
dello sfinimento.
Questa,
comunque, non era la sua più grande preoccupazione.
Questo
era… questo…
Sbattè
le palpebre, lievemente shockata.
Questo è stato… fantastico.
Non
era qualcosa che avrebbe fatto con Mark: lui era troppo… troppo educato per
ingaggiare con lei punzecchiature e giochi simili. Certo, sapeva divertirsi, ma era sempre strutturato. Era
indubbiamente dolce, ma mai così sciocco, così spontaneo,
o…
Non
riusciva nemmeno a trovare una definizione per quello.
E’
questo quello che mi è mancato per tutto il tempo?
Questo
pensiero, la colpì con più forza.
Per
tutto quel tempo, rifiutare Ghish, ridicolizzarlo e combatterlo, era questo ciò
che le era mancato?
Sembrava...
sembrava un tale peccato perché, in
verità, era passato un bel po’ di tempo da quando aveva riso così tanto.
Veramente tanto.
Tutto
questo tempo…
Quello
che la colpì dopo fu quanto… quanto tutto ciò rendeva l’alieno stranamente umano. D’accordo, per iniziare il
battibecco, lei aveva dovuto commentare il suo tagli di capelli alieno e, per
cominciare la battaglia con l’acqua, aveva dovuto tirare le sue orecchie aliene,
ma alla fine, lui si era comportato così… così normalmente.
Normalmente,
ma in un modo che l’aveva stuzzicata.
Heh.
Penso che… non più.
“Oi.”
La
ragazza fu riscossa dai suoi pensieri dalla voce di Ghish.
“Pensi
di poterla cambiare ora?” le chiese, riferendosi, ovviamente, alla
fasciatura.
Lei
annuì, sbattendo le palpebre lievemente sorpresa, ancora in parte assorta nei
suoi pensieri. Tuttavia, si riavvicinò a lui, prendendo l’occorrente per la
fasciatura dal mobiletto (era infatti riuscito a non essere inzuppato), e slegò
con attenzione il panno.
La
ferita era in uno stato molto migliore rispetto all’ultima volta in cui l’aveva
vista: la guarigione era più che visibile. Nonostante ciò, Strawberry fece una
smorfia vedendo la carne rosea ancora visibile, mentre asciugava con cautela la
pelle intorno alla ferita prima di avvolgerla con una nuova benda. Lasciò
perdere il disinfettante: sembrava che andasse bene così, e certamente il bagno
l’aveva ripulita. In pochi minuti di accurato lavoro e di teso silenzio da parte
dell’alieno, la ragazza terminò.
“Va
bene, Ghish. Vuoi asciugarti adesso?”
Lui
annuì.
“Non
lo faro io per te.”
“…”
“Ghish…”
“Va
bene, va bene.”
“Torno
subito, allora. Vado a cambiarmi ed a prenderti un altro
pigiama.”
Con
queste parole, la ragazza si alzò, afferrò un asciugamano per sé, ne porse uno a
lui e si affrettò verso la sua stanza. Innanzitutto, si asciugò velocemente e si
mise una maglietta ed un paio di jeans puliti. Poi, dopo alcuni secondi spesi a
frugare nel cassetto, trovò un completo di pigiama celeste, che afferrò prima di
tornare verso il bagno. Bussò.
“Hai fatto?”
“Sì.”
Lentamente,
la ragazza aprì la porta (nel caso lui stesse mentendo) e trovò il ragazzo
seduto sullo sgabello, avvolto in un asciugamano asciutto, che la guardava con
un’espressione stanca sul volto. Non era molto sorpresa dal fatto che i suoi
occhi fossero semi-chiusi.
Povero
ragazzo… quella malattia deve averlo davvero sfinito…
Sorrise
con dolcezza, porgendogli i vestiti.
“Puoi
infilarti da solo i pantaloni, vero?”
Con
un’espressione un po’ delusa, anche nella sua stanchezza, lui
annuì.
“Ok,
allora fallo ed io ti aiuterò con la maglietta.”
All’incirca
un minute più tardi, la ragazza tornò nella stanza, gli chiese di sollevare le
braccia più che poteva, e gli infilò la maglietta dalla testa. Improvvisamente,
si trovò a pensare una cosa.
“Ehm,
Ghish, ti dispiace rimanere seduto qui per alcuni minuti mentre vado a cambiare
le lenzuola ed il resto? Tornerai ad essere tutto sudato se ci dormi
dentro.”
“Ok…”
Lo
lasciò appoggiato alla vasca ed andò a recuperare delle lenzuola pulite
dall’armadio del corridoio, per poi affrettarsi a cambiare il letto, ed infine
correre di nuovo verso il bagno, dove trovò Ghish nel bel mezzo di un altro
sbadiglio.
Sopprimendo
una risatina, si chino vicino a lui.
“Pronto?”
“Per te? Sempre,”
l’alieno fece un sorrisetto seppur affaticato, e Strawberry dovette trattenersi
dal dargli una rispostina sarcastica, trovando soddisfacimento nell’alzare gli
occhi al cielo con un sorriso mentre lo supportava e lo conduceva verso la sua
stanza.
Il
ragazzo stava per stendersi quando lei gli afferrò il
braccio.
“Aspetta. Dovremmo asciugare i tuoi capelli. Non
voglio che peggiori di nuovo.”
“Ma…
Strawberry…”
“Ci
vorrà poco, promesso.”
Infatti,
dopo che ebbe trovato il suo phon, i capelli verdi di lui tornarono ad essere
asciutti e morbidi come sempre. Dopo aver spento l’oggetto, decise di soddisfare
l’urgenza di prima e gli arruffò i capelli.
“Ecco
fatto.”
“Bene,”
replicò lui e, shockando la ragazza, si appoggiò a lei.
“G-Ghish!
Se vuoi dormire, sdraiati sul letto. Non è come se tu non potessi respirare
ora.”
“Ma…
mi piace di più così,” replicò lui, un piccolo sorriso gli giocava sulle labbra
mentre si accoccolava maggiormente addosso a lei, con gli occhi già chiusi.
Almeno non si accorse del rossore di lei.
La
ragazza strinse le labbra.
“Bene,
ma solo finché non ti addormenti.”
“Mhm…
solo un riposino… ho fame…”
“Ti
preparo qualcosa mentre dormi.”
“Ok…”
Di
certo, non era un vero segreto che il fastidio giocoso della ragazza si
dissolvesse in tenerezza mentre lei poggiava una mano sulla testa di Ghish,
cominciando lentamente ad accarezzare i capelli appena lavati mentre lui le si
strusciava contro come aveva fatto prima. Questa volta, però, la cosa aveva un
nuovo che di giusto. L’aria che li
circondava era così diversa, non era una di disperazione contro la morte ed il
dolore, ma una che nutriva una nuova crescita, un nuovo sentiero, una nuova
possibilità. Strawberry lo sapeva. Ghish
si dilettava in quel pensiero, anche se nel mentre si stava gradualmente
addormentando.
Prima
che fosse totalmente andato, Strawberry si abbassò per sussurragli in un
orecchio un’ultima volta.
“Ghish?”
“Mm…”
“Grazie
di nuovo.”
Lei
pensò che l’alieno avesse annuito, ma non poteva esserne sicura. Il ragazzo si
addormentò subito dopo che l’ultima sillaba ebbe lasciato le sue labbra, e lei
poté solo sorridere mentre lo spostava da sé, lo stendeva e tirava le coperte su
di lui. La ragazza rimase per alcuni secondi di più, allungandosi per spostare i
capelli ancora sciolti del ragazzo dal suo volto, prima di lasciare la stanza
per andare di sotto ed adempire la sua promessa di cibo.
Grazie…tante…
Mentre
scendeva le scale, un altro pensiero le attraversò la
mente.
Mi
chiedo come stia andando a Lory…
La
ragazza focena non ebbe problemi a trovare il campo di battaglia: un paio di
salti a sud rispetto alla casa di Strawberry avevano portato alle sue orecchie
il suono di colpi di energia e piccole esplosioni. In pochi minuti, aveva
trovato uno stormo di Chimeri Uccello, probabilmente una volta erano stati
passeri, che stavano distruggendo una strada vuota, grazie al cielo. Macchine
erano state distrutte, il marciapiede era in pezzi, ma non c’erano umani in
giro, cosa che era il primo strano aspetto di quell’attacco.
Chi
diavolo sta attaccando?
Si chiese Lory, osservando l’alieno dai capelli viola che guidava le bestie. Con
sua sorpresa, Pai ripose al suo sguardo, e sembrò … esitare?... prima di
lanciare una folata di vento nella sua direzione e volare giù per affrontarla in
combattimento.
Ecco
il secondo aspetto strano. Mentre lui scagliava i suoi colpi come al solito,
essi difficilmente potevano essere chiamati colpi. Ogni qualvolta la colpiva,
sembrava che le avesse dato un colpetto più che un pugno od un calcio vero, e
non la colpiva così spesso. Lory si accorse di non stare quasi sudando mentre
bloccava una rotazione, facendolo spostare bruscamente in modo da provare ad
attaccare i Chimeri.
“Fiocco
d’acqua!”
Erano
creature deboli, miserevoli, ed una sola ondata dell’attacco lì mandò
nell’oblio. Quella, comunque, non era la parte più strana del fatto. Non aveva
nemmeno pensato di essere in grado di sferrare un attacco. L’alieno l’avrebbe
certamente fermata, no? Come aveva fatto a spingerlo via così
facilmente?
“Mi
scuso.”
Tutti
quei pensieri svanirono quando la voce di lui interruppe il suo rimuginare. Lei
si voltò a guardarlo, sbigottita.
Quello
sbigottimento fu rapidamente raggiunto da un improvviso rossore quando la
ragazza vide che lui si stava inchinando nella sua
direzione.
Scusandosi.
Inchinandosi.
A
lei.
Che
diamine…?
Si
sforzò di far sì che la sua voce venisse fuori con un suono
normale.
“Io-Io…Io…”
Avrebbe
giurato di aver visto un sorriso tentare di sollevargli le labbra, ma fu solo
per una frazione d’istante. Un
mezzo battito di ciglia dopo, il pensiero era stato mandato via dalla sua mente
quando lui era ritornato al suo solito atteggiamento
rigido.
“Per
farti venire qui senza destare i sospetti del mio padrone, dovevo creare uno
scenario credibile, e un attacco era l’unico metodo accettabile. Confido che tu
non ti sia ferita, vero?”
Anche
se aveva pronunciato quell’ultima frase nel suo tono di voce più piatto che la
ragazza riteneva possibile, la domanda la fece comunque arrossire un
po’.
“N-no.”
“Allora
potresti concedermi alcuni minuti del tuo tempo?”
Troppo
stupita per parlare, riuscì solo ad annuire mentre lui fluttuava giù per
fermarsi davanti a lei. Come prima, quando aveva parlato con lui durante
quell’intera disavventura, era piuttosto nervosa. Questa volta, comunque, era in
grado di ricordare la riluttante disperazione dell’alieno, la sua diffidenza e
la sua preoccupazione, e la sua paura, in qualche modo, venne meno. Lory deglutì
mentre cominciava a parlare, ma lasciò che un po’ di compassione entrasse nel
suo sguardo. Qualcosa le diceva che l’incontro l’avrebbe
richiesto.
“I…vorrei,
Tart e io, vorremmo sapere dei progressi di Ghish.”
Saperre
dei… ma è passato solo un giorno…
Dapprima,
Lory rimase onestamente confuse e poté solo fissare l’alieno, con le labbra
leggermente separate e la mente oscurata.
Poi,
mentre riprendeva il controllo, la sua empatia si fece largo nella sua mente e
lei automaticamente si addolcì.
Un
giorno… un solo giorno e lui era di ritorno, chiedendo novità. Questo voleva
dire solo una cosa:
erano
preoccupati, anche sei Pai aveva tirato in ballo il nome di Tart nel tentativo
di rendere la sua preoccupazione meno evidente.
L’incontro
con lui del giorno precedente e le realizzazioni derivate da esso le tornarono
alla mente in tutta la loro forza. Incapace di smuoversi, sorrise, con un
piccolo, timido sorriso, ma sufficiente per far sbarrare gli occhi all’alieno
anche se leggermente, impercettibilmente, se uno avesse cercato quel gesto. Lei
l’aveva fatto, e questo la fece sorridere di più.
“Gli
abbiamo dato la medicina, e sta molto meglio. Dormiva prima che io lasciassi la
casa. Ha dormito molto meglio, ed ha mangiato e—”
“Come
lo sta curando la tua compagna?”
La
domanda colse Lory di sorpresa e lei balbettò per un
momento.
“Come…?”
“E’
civile con lui?”
Civile…?
Lory
sbatté le palpebre, notando una traccia di irritazione nella voce dell’alieno.
Era di questo che si preoccupava? Che Strawberry si comportasse bene?
Beh…
forse era comprensibile. Quell’intero triangolo amoroso era stato l’inizio di tutto…
Scacciato
quel pensiero, Lory sorrise dolcemente all’alieno. Pai addirittura sbatté
rapidamente le palpebre sorpreso, piuttosto sbigottito. All’improvviso, seppe
che quella sarebbe stata una risposta che non si era totalmente
aspettato.
“Sai…
lei e… e l-lui…” Lory si interruppe, non sapendo bene cosa
dire.
Alla
fine riuscì a mettere insieme una frase.
“Stanno
andando abbastanza d’accordo.” La ragazza alzò lo sguardo in attesa, ansiosa di
valutare la reazione dell’alieno.
Pai
era… non poteva dire sbalordito, perché quella sensazione era già passata. Si
era sbalordito quando era rimasto a guardare Strawberry che prendeva Ghish tra
le sue braccia e lo aiutava ad addormentarsi con dolcezza.
Non
poteva dire di essersi aspettato la risposta, perché mentre conosceva ciò che
aveva visto, aveva sempre in un certo qual modo rifiutato di crederci. Anche se
il quadro era lì, era sembrato così impossibile… eppure adesso, in una
lieve maniera, quella ragazza stava confermando ciò a cui aveva assistito. Non
aveva detto niente di esplicito riguardo l’amore o l’affetto, ma lui poteva
vedere quei concetti intrisi nel blu profondo degli occhi della ragazza mentre
lei gli restituiva lo sguardo. Tutto d’un tratto desiderò non essersi
preoccupato tanto. Desiderò che l’ansia di Tart non si fosse unita alla sua.
Desiderò non aver sollevato quella questione perché in quel momento, con quello
stralcio di affermazione, vedeva il vero problema più chiaramente che
mai.
La
missione… se questo stava accadendo, allora cosa…
Il
momento successivo lo fece sobbalzare oltre ogni aspettativa, perché la ragazza
fece qualcosa che lo stupì e lo mise a disagio: si tuffò a capofitto nella
questione in cui lui stava temendo di scavare.
“P-Pai,
Io… Io so che è strano ma… i-il modo in cui Ghish e Strawberry
sono—”
“Non
ti ho chiesto dettagli.”
Non
appena lui ebbe recuperato i suoi nervi, lei li perse.
“Stavo
solo… ecco, tu e—”
Lui
aggrottò le sopracciglia e quella semplice azione lo fece apparire tanto più
temibile ai suoi occhi che la ragazza si zittì
immediatamente.
“Mi
hai dato le informazioni di cui avevo bisogno, e ti ringrazio per questo.” Di
nuovo, si inchinò, ma questa volta il gesto era più rigido, più
forzato.
Non
può star insinuando… è impossibile. Quella ragazza deve ancora amare
quell’umano, e non è pensabile che lei e Ghish… non è pensabile… perché allora,
come potremmo… no!
“Se
avrò ancora bisogno di parlare con te, ti contatterò. Buona
giornata.”
Sparì.
Lory
rimase ferma dov’era.
Non
l’aveva nemmeno ascoltata. Non aveva…non aveva…
Poteva
incolparlo per questo? Poteva davvero?
No.
Sapeva
cosa aveva pensato l’alieno. Nonostante la sua abilità di mantenere il volto
impassibile, il suo talento per nascondere i pensieri, lei sapeva esattamente
cosa gli era passato per la mente, perché era esattamente la stessa cosa che era
passata per la sua:
Se
Strawberry e Ghish si fossero innamorati, come sarebbe andata avanti la
missione?
Se
l’umana e l’alieno avessero costituito un legame, come avrebbe potuto continuare
la lotta?
Lory
si chiese come la lotta avrebbe potuto continuare già da quel momento: non
sapeva come avrebbe fatto a scontrarsi di nuovo con Ghish o con un altro degli
alieni in una battaglia vera e cruenta dopo aver dato una mano alla cura del
ragazzo. Questa volta, era stata solo una lotta finta, e Lory aveva percepito la
sua natura fuori dalla norma fin dall’inizio, perciò ingaggiare una battaglia
fantoccio con l’alieno era stato semplice.
Come
poteva essere ancora chiamata a far parte di una vera battaglia,
però?
E
se Ghish e Strawberry effettivamente…
Se
quello fosse accaduto, come poteva
tutto andare avanti come sempre?
Lory
scosse la testa disperata.
Non
può. Non può e lui lo sapeva. Lo sapeva ed è per questo che se n’è andato. E’
per questo che non mi ha lasciata parlare… non ha volute
ascoltare…
Di
punto in bianco, una travolgente ondata di compassione calò su di lei, per gli
alieni, per la loro gente, per lo stesso Pai.
L’ha
visto, e sapeva che se fosse successo, non ci sarebbe stato modo di salvare la
sua gente… E se questo fosse successo, noi non avremmo avuto modo di proteggere
la terra.…
Questo
coinvolgeva di più rispetto alla relazione tra Mark e Strawberry. C’era così
tanto in gioco in quel frangente, così tanto da guadagnare e da
perdere.
Se
solo… se solo ci fosse il modo di farlo ascoltare…
Se
solo avesse potuto convincere Pai che combattere non era la via migliore. Se
solo questo qualcosa che stava crescendo tra Ghish e Strawberry fosse stato utilizzabile, sfruttabile
per porre fine al resto.
Ma
com’era possibile? Come poteva vederlo il più grande tra gli alieni, leale
com’era verso la missione che gli era stata affidata, verso il capo che
richiedeva la distruzione degli umani? Se questo era l’unico modo in cui era
stato cresciuto, allora questo lui avrebbe accettato come legge: Lory poteva
vederlo. Sapeva già che quale genere di creatura che era
Pai.
Ed
anche se l’avesse in qualche modo accettato, come avrebbero fatto per il resto…
le altre ragazze, Ryan…
Era
una situazione senza speranza, ma doveva esserci speranza. Doveva esserci un
modo. Non poteva essere tutto sprecato. Semplicemente non
poteva.
Lory
si morse il labbro mentre tornava normale, e cominciò a camminare verso la casa
di Strawberry.
Era
tutto cambiato, ed era diventato qualcosa di più profondo rispetto a ciò che
c’era con Mark.
Nello
stesso istante in cui questa consapevolezza colpiva Lory con la sua incredibile
forza, Strawberry scivolava via da sotto Ghish con cautela prima di farlo
stendere, coprirlo e, dopo un memento di silenzioso pensare, baciarlo lievemente
sulla tempia.
Sta
cambiando,
pensò con uno strano sorriso mentre scendeva per adempire alla sua promessa di
cibo.
Entrambe le
ragazze conoscevano le circostanze, entrambe sapevano che piccole e monumentali,
stavano rapidamente cambiando.
Nessuna
delle due sapeva dove questo avrebbe portato.
FINE DEL
CAPITOLO
|
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Capitolo 20 *** Problemi all'orizzonte ***
CAPITOLO 18
Erano
circa le otto quando Strawberry ruotò con cautela a maniglia della sua porta,
aprendo quest’ultima, e gettò un’occhiata nella stanza, il più silenziosamente
possibile.
Si
era rilassata al piano di sotto, guardando un po’ di televisione, rassettando,
mentre Ghish si faceva il suo riposino. Il riposino aveva appena raggiunto le
tre ore di durata, e Strawberry si era finalmente decisa a svegliare l’alieno
per il cibo che aveva promesso. Tuttavia, il silenzio era diventato una tale
abitudine dopo gli ultimi pochi giorni e notti, che lei aprì la porta senza il
minimo cigolio dei cardini, ed entrò in punta di piedi, nel caso in cui il
ragazzo dormisse ancora.
Era
così, ed una delle mani della ragazza volò alla sua bocca per sopprimere una
risatina alla vista dell’alieno.
Pensava
che fosse carino quando era stanco.
Ora,
addormentato e con un aspetto decisamente sano, era (e lei si sentì in effetti
un po’ in imbarazzo ad ammettere questo dopo il tenace e lungo attaccamento alla
visione opposta) semplicemente adorabile. Rannicchiato su un fianco, un braccio
che pendeva molle dal letto, Ghish continuava a dormire, russando molto piano,
con ciocche dei suoi lunghi capelli sciolti che gli coprivano per metà il volto,
alcuni si muovevano ritmicamente avanti ed indietro con il suo respiro.
Incapace
di trattenersi, Strawberry si inginocchiò accanto a lui.
L’ultima
volta che aveva avuto la possibilità di esaminarlo così da vicino, era consumato
dalla febbre e dalla malattia, e guardarlo aveva portato terribili fitte di
dolore al suo cuore.
Non
fu così quella volta.
Quella
volta, lui sembrava davvero rilassato, tranquillo, soddisfatto nel suo
sonno.
La
ragazza poteva trarre pieno piacere da ciò, senza né la repulsione né la
malattia a rovinare tutto.
Strawberry fece proprio così.
Con
un sorriso che giocava sulle sue labbra, si avvicinò per spostargli i capelli
dalla guancia, arrossendo quando le sue falangi sfiorarono la sua pelle pallida.
Prima , la sua pelle era stata pericolosamente accaldata, coperta da un sottile
strato di sudore febbrile. Il suo volto era stato segnato dalla paura e dal
dolore, i suoi capelli erano sudaticci ed aggrovigliati. Si era sentita così
indescrivibilmente
male…
E
prima di questo, prima che tutto questo fosse accaduto, Strawberry non si era
mai presa la briga di farsi un’opinione su come fosse d’aspetto il ragazzo
alieno. Non si era mai presa la briga di studiarlo così completamente. Persino
il giorno del loro incontro, si era
preoccupata meno del suo (allora) strano aspetto fisico e più del suo bacio
inatteso. Da allora, aveva fatto poca attenzione a ciò che in quel momento era
così meravigliosamente ovvio.
Lui
era così tante cose: bello, strano, affascinante, elegante, malizioso… e
carino.
Oh, sì.
Così
rilassato, addormentato, tutto il sarcasmo, l’arguzia, la passione, la rabbia,
la serietà, ogni cosa che lei aveva visto sul suo volto se n’era andata,
lasciando soltanto un aspetto che era così dolce ed innocente che lei poteva difficilmente credere che
quello fosse sempre Ghish.
Ma
lo era… lo era, e questo si aggiunse
soltanto al suo stupore, al suo quieto timore per questa svolta degli eventi
mentre lasciava che il suo sorriso si allargasse, facendo scorrere le dita tra i
suoi capelli, lentamente, con cautela, prima di passare un dito sul suo orecchio.
Persino
le sue orecchie la accattivavano
mentre lo guardava. Perché diamine non aveva mai notato quanto fossero
affascinanti, quanto delicatamente acute, quanto innegabilmente aliene, eppure
in qualche modo tenere?
Perché
diamine non ci aveva mai fatto caso?
Beh,
l’aveva fatto prima, ma era stato così malato allora, che l’effetto aveva
portato più preoccupazione che la dolce gioia che sentiva in quel
momento.
Perché
non l’aveva notato prima di tutto questo?
Eh,
Ghish, sei sempre stato…
Era sempre stato così? Aveva
sempre avuto quella pelle morbida, quelle orecchie meravigliosamente strane,
quelle soffici, lunghe ciglia, quelle labbra pallide? Quel volto,
quell’espressione, quel ritratto di innocenza con un affascinante accenno di
diabolica passione sotto quella facciata serena erano sempre stati
lì?
Era
sempre stato così, anche quando il suo cuore era appartenuto esclusivamente a
Mark? Affascinante che quel pensiero casuale non aveva provocato una pausa nelle
sue azioni, quando prima, l’avrebbe fatta precipitare in una terribile
frustrazione. Tutto ciò che fece fu addolcire la sua espressione con una
sfumatura di solennità, niente di più.
Alla
fine, lasciò che la sua mano, leggermente incurvata, si posasse sulla sua
guancia avvolgendola dalla tempia al mento, con il pollice che accarezzava
appena lo zigomo.
L’alieno
era solido.
Era
lì: solido, reale, caldo, respirante.
Respirante. Per
alcuni secondi rimase ad ascoltarlo respirare, lo faceva così bene e con forza
in quel momento, ed il suo calore si depositava sul suo
palmo.
Era
così…
Era
sempre stato così? O era cambiato?
Sapeva
che lei lo era.
Forse entrambi lo erano.
Era
rimasta così assorta in quei pensieri che il suo pollice aveva smesso di
accarezzare la guancia dell’alieno. Non se n’era accorta, ma la sua attenzione
vi fu rapidamente portata.
“Ehm…
Strawberry … potresti continuare a farlo…?”
La
ragazza gatto sbatté le palpebre. Realizzò ad un certo punto, durante i suoi
ragionamenti, un paio di occhi dorati si era aperto e la stava attualmente
fissando con leggero divertimento mentre il volto di lei si tingeva di
rosso.
“Ghish!”
Il suo tono si trasformò rapidamente da sorpreso ad accusatorio “Da quanto sei
sveglio?” Ritrasse bruscamente la
mano, apparendo comicamente offesa, mentre l’alieno sbadigliava, con le labbra
che si tiravano indietro leggermente rivelando i suoi luccicanti denti
appuntiti, prima di stiracchiarsi nel modo più tranquillo possibile con una
ferita semi-guarita al petto.
Mentre
Strawberry diventava scarlatta, pienamente cosciente di quanto fosse presa, lui le lanciò un’occhiata con una
serenità che servì soltanto a rendere l’agitazione in cui si trovava lei ancora
più divertente.
“Solo
da quando hai messo la tua mano sulla mia faccia.” Le mandò un
sorrisetto.
“Tu…!”
lei si riprese rapidamente e gli rispose tirandogli un colpetto brusco sulla
fronte ed ottenendo soltanto una risatina che le strappò un broncio quasi
sincero. La ragazza arricciò il
naso con disprezzo. Quell’alieno
poteva essere così irritante.
“Allora…
volevi qualcosa, o mi hai svegliato solo per toc—”
Diavolo sì. Irritante. Abbastanza
irritante da guadagnare un altro colpetto.
Certo,
questo non fece niente per cambiare quello che era appena successo, quello che
aveva appena sentito e, in pochi istanti, un sorrisetto beffardo le comparve sul
volto, mentre lei si sforzava di reprimere una risatina che rischiava di
rovinare la sua apparenza infastidita.
Ghish
le fece soltanto un sorrisetto compiaciuto mentre si sedeva, spostandosi un po’
più vicino.
Un
simile momento, dopotutto, era troppo perché lo lasciasse
sfuggire.
…per
lo meno, lo sarebbe stato, se il suo stomaco non avesse rumorosamente ricordato
ai due di essere vuoto. Il ragazzo si ghiacciò, sbatté le palpebre ed arrossì leggermente
quando Strawberry si lasciò scappare una risatina. Ricordandosi
in quel momento del suo proposito di prendere un po’ di cibo, sempre
ridacchiando di gusto, la ragazza si alzò ed invitò il suo paziente a fare lo
stesso.
“C’è un po’ di cibo di sotto.” Per un attimo, una
preoccupazione familiare entrò nel suo sguardo. “Ce la fai ad alzarti?”
Ghish le fece un sorrisetto. “Non mi sono mai sentito
meglio.”
Era vero. L’ultimo riposino gli aveva portato un bel po’ di forza e,
difatti, si alzò senza problemi. Comunque, Strawberry sembrava avere troppe
terrificanti memorie
della recente condizione dell’alieno per lasciare che questo
sopraffacesse il suo neo-scoperto istinto materno. Velocemente, estrasse il
termometro, lo infilò nella bocca di lui e combatté il suo sguardo di
indignazione con un’occhiataccia severa.
Una rapida successione di bip annunciò il completamento
dell’operazione e la ragazza afferrò lo strumento, lo studio per alcuni istanti
tesi, e spaventò alquanto Ghish con un sorrisetto improvviso e gigantesco.
“Perfetto!”
Sbattendo le palpebre in un qualche modo... sconcertato
dall’espressione incredibilmente solare di Strawberry, Ghish si riprese
abbastanza da chiedere,“Allora possiamo andare a ma—”
Sfortunatamente, anche se la sua febbre era sparita da un
po’, quella tosse seccante provò di essere più resiliente, e la faccia di
Strawberry si rabbuiò quando il ragazzo ricadde in un breve attacco di
tosse.
Okay… forse la sua condizione non era perfetta.
Non dovrebbe davvero andare giù in questo
stato…
All’improvviso, la ragazza si illuminò, corse al suo
armadio e, dopo alcuni momenti passati a rovistarci dentro, estrasse quello che
aveva trovato. Ghish, prendendo alcuni respiri profondi dopo l’attacco, alzò gli
occhi con curiosità dapprima, poi con un’espressione di incredulo orrore.
“Col cavolo, no.”
Strawberry mise il broncio, infilando la cosa tra le mani
di lui.
“Non sei ancora completamente a posto! Se scendi in questo
stato, ti raffredderai, ti ammalerai di nuovo, e saremo punto e a capo. Vuoi
questo?” lo minacciò lei, con le mani salde sui fianchi.
“No…”
“Allora mettitelo.”
“Ma Strawberry… non hai un’altra—”
“Se non te lo metti, non ti permetterò più di
baciarmi!”
“…sai, non è di solito tu mi permetta di b—”
“Mettitelo. Ora.”
Incontrando il suo sguardo, Ghish non sapeva se gioire
internamente per la preoccupazione per la ragazza o se essere spaventato dal suo
letale sguardo di comando. In ogni caso, obbedì.
La coppia andò nel corridoio, con Strawberry che sorrideva
con soddisfazione, Ghish scontrosamente sottomesso, piuttosto grato per il fatto
che erano le uniche persone nella casa.
Era caldamente imbacuccato in quella che doveva essere
stata la vestaglia più vaporosa e più rosa di Strawberry. In quel momento, le
punte delle sue orecchie avevano un colore piuttosto simile a quello della
vestaglia. Strawberry stava avendo una certa difficoltà nel tentare di non
scoppiare subito a ridere.
“Puoi sederti qui,” disse, sopprimendo una risatina ed
indicando una sedia posta al tavolo della cucina. Lui obbedì, lasciando da parte
il suo sguardo torvo in favore di un’occhiata di curiosità, quando la ragazza
aprì il frigo, ne osservò il contenuto per alcuni secondi, poi afferrò un
contenitore, tolse il coperchio, e lo mise nel microonde.
“Che fa quella cosa?” Chiese Ghish, piegando il collo per
avere una migliore visuale del piatto rotante nel microonde.
“Lo riscalda,” replicò Strawberry distrattamente,
concentrata su ciò che era dentro il microonde (fin da quando aveva ricevuto i
geni del gatto, aveva sviluppato una strana affinità per guardare il vassoio del
microonde quando ruotava: quel giorno non faceva eccezione). “Non avete qualcosa del genere sul vostro
pianeta?”
Durante i pochi secondi successivi, si occupò di togliere i
resti dalla macchina, di mettere rapidamente il contenitore sul banco della
cucina per evitare di bruciarsi. Le ci volle un po’ per accorgersi che il
ragazzo non aveva risposto.
“Ghish?”
Voltandosi, tacque, i suoi muscoli facciali caddero in
un’espressione cupa alla vista dell’atteggiamento improvvisamente intristito del
ragazzo, nei cui occhi era riflessa una oscura disperazione.
All’inizio, non riuscì per niente a capire cosa avesse
fatto di sbagliato, ma. Mentre ci pensava, si ricordò delle immagini del mondo
da cui veniva l’alieno che aveva visto, e di quanto quel posto fosse apparso
gelido, inesorabile. Improvvisamente si accorse che la sua domanda, o anche il
suo semplice accenno alla sua casa, aveva, per una qualche ragione, riportato
rapidamente alla mente del ragazzo i suoi obiettivi iniziali.
Da quello che ho visto… probabilmene non hanno abbastanza
cibo là... o... o qualsiasi cosa, in ogni caso… e se ce l’hanno…
Si ricordò di quando aveva visto tutte quelle persone
rannicchiate l’una all’altra in quegli sterile anfratti, in fila per prendere
del cibo, tenendo i bambini vicini…
Quel pensiero portò una potente ondata di senso di colpa e
di nausea ad abbattersi contro di lei, e lei deglutì impercettibilmente,
cercando freneticamente di ritrovare la voce mentre si sedeva dalla parte
opposta di Ghish.
“Scusami.”
Lui alzò lo sguardo, con la sorpresa che si mostrava
attraverso la tristezza, mentre Strawberry si sforzava di incontrare il suo
sguardo e di impedire ai suoi occhi di riempirsi di lacrime.
“Non volevo…” Fu un po’ troppo per lei, perciò abbassò gli
occhi verso il tavolo.
“Non è colpa tua.”
La ragazza alzò lo sguardo, chiaramente shockata, verso gli
occhi di Ghish. Un leggero, triste sorriso era apparso sul volto
dell’alieno.
“In… in realta non è di nessuno, giusto?”
Lei sbatté le palpebre, in qualche modo… stupita dal fatto
che lui avesse ragione. In quel momento, quella conclusione sembrava così
dolorosamente ovvia.
No… penso di no…
Ma non sembrava giusto. Strawberry non sapeva perché non l’aveva realizzato prima,
ma ora, a sentire quel tono quasi abbattuto nella voce di lui, non sembrava
giusto.
Sembrava assolutamente disgustoso che la sua gente dovesse
vivere in quel modo, e che lui ed i suoi amici fossero dovuti venire lì, venire
lì e farsi così tanti nemici, solo per cercare di aiutare nell’unico modo
possibile per loro…
“Ghish?”
I loro occhi si incontrarono e lui tacque alla vista della
compassione negli occhi della ragazza e del sorriso quasi contrito sulle sue
labbra.
“Parlamente.”
“…cosa?”
Lei alzò la voce.
“Raccontami.”
“D-di… di cosa?” l’alieno appariva piuttosto attonito,
confuso perfino, per la sua richiesta, anche quando il sorriso di lei si
allargò.
“Non lo so. Qualsiasi. Solo… di te. Della tua vita… della tua gente… c’è così tanto che io… che
noi…”
Anche se si era interrotta, perdendo un po’ la calma mentre
l’alieno continuava a fissarla, lui aveva capito perfettamente cosa voleva dire
la ragazza.
Solo che la richiesta l’aveva sorpreso. Forse perché gli
aveva improvvisamente riportato alla mente un forte ricordo di quando Profondo
Blu aveva delineato i pericoli degli umani all’inizio della missione. Forse
aveva a che fare con la meraviglia ancora presente per la trasformazione della
loro relazione avvenuta negli ultimi pochi giorni.
La pura sincerità negli occhi della ragazza,
combinata con gli altri due motivi, era probabilmente la vera causa.
Comunque, gli passò e un minuto più tardi, anche prima di
rendersi conto che aveva cominciato, il ragazzo le stava raccontando cose che
non aveva mai sognato di menzionare ad un umano. Le descrisse il loro mondo, la
sua desolazione, il suo terribile clima, le belve della neve assassine che vi
vivevano, abitanti originari del posto ed una costante minaccia a causa del loro
comportamento da predatori. Piano piano, continuò raccontando di come viveva la
sua gente, del fatto che non ci fosse abbastanza cibo, non importava quanto
duramente tutti facessero del loro meglio nel lavorare il suolo per trarne il
massimo nutrimento, di quanto fosse morbosamente tremendo svegliarsi ogni
mattina, nel buio, nel freddo e nella neve eterna, sapendo che quello era
tutto ciò verso cui uno avrebbe potuto guardare.
Strawberry aveva già fatto abbastanza fatica a tenere a
bada le lacrime quando la conversazione ad un tempo solo aveva trattato
descrizioni relativamente impersonali. Poi, il ragazzo si spostò su dettagli
riguardanti la sua stessa vita.
Era così assorto nel parlare che non si accorse dello
strazio negli occhi di Strawberry quando si mise a parlare della sua famiglia,
di come suo padre era morto quando lui era ancora un bambino, di come sua madre
si era sforzata di procurare abbastanza cibo ed un riparo per lui e per due sue
cugine, bambine rimaste orfane alla nascita, di come lei, per la tanta fatica,
si era ammalata cercando di dare alla sua piccolo famiglia la forza di cui aveva
bisogno per sopravvivere a malapena. Non si accorse che le lacrime della ragazza
avevano cominciato a cadere mentre raccontava i suoi motivi, il suo tremendo
bisogno di aiutare sua madre, le sue sorelle adottive, i suoi amici, le loro
famiglie, tutti.
Solo dopo aver parlato del suo allenamento, di quando
duramente aveva lavorato, si era spinto, per qualificarsi per la missione da cui
dipendeva così tanto, l’alieno alzò lo sguardo e si congelò alla vista delle sue
lacrime.
Strawberry non provò nemmeno a fermarle. Non poteva.
Il sapere che quel ragazzo aveva votato la sua vita
all’allenamento, al mascheramento del suo dolore e del terrore e della tristezza
con un umorismo sarcastico e con un’arroganza e quell’aria spensierata, tutto
mentre lavorava disperatamente per raggiungere quel semplice traguardo di dare
una vita migliore a coloro che amava…
“S-Strawberry, io—”
E ora lui stava cercando di non far piangere lei. Le stava
sorridendo, una stupida sorta di ghigno che, capì lei, doveva aver messo provato
milioni di volte per farlo apparire convincente, per essere certo che potesse
essere appropriato per il ruolo di capace soccorritore.
“Non piangere… Devo aver parlato un po’ troppo…”
E lei aveva… aveva combattuto contro di lui. Era diventata la ragione per
cui lui stava fallendo. Fallendo nei confronti di quelle due bambine
che aspettavano che il loro fratellone protettivo ritornasse a casa, fallendo
nei confronti di sua madre, che lo aveva pregato di non andare, gli aveva detto
che non poteva sopportare il pensiero di lui che rischiava la vita in modo
simile…
“Basta.”
Ghish quasi sobbalzò al suono della voce di Strawberry: la
sua durezza, la forza nel suo tono, era quasi allarmante.
“Cosa?”
“Basta.” La ragazza scosse la testa, alzando lo sguardo su
di lui con gli occhi che luccicavano.
Non poteva farlo più. Anche se le altre Mew avessero insistito, anche se la Terra
fosse crollata, anche se, alla fine, avesse scoperto che doveva tornare con
Mark, non poteva farlo. Mai più.
“Non posso più lottare contro di te, Ghish. Non importa
cosa diranno… Non lo farò. Io… Io mi rifiuto. Non posso!”
Lui rimase basito, non è necessario dirlo. Per alcuni
momenti, la fissò semplicemente e lei ricambiò, con le lacrime che le scorrevano
lentamente lungo la guancia mentre tutto quello che lui le aveva raccontato si
ripeteva nella sua testa ancora e ancora.
Il silenzio regnò per un minute buono finché Ghish
sorrise.
Era un sorriso così dolce, gentile, completamente sincero, che
Strawberry smise di piangere, di fatto stupita per un momento, che un simile
sorriso potesse risiedere su quel volto alieno.
“Dici davvero, Strawberry?”
Il modo in cui pronunciò il suo nome la fece quasi
singhiozzare, ma lei annuì semplicemente.
“Sì.”
Gli occhi dell’alieno erano così indescrivibilmente belli
mentre lui la guardava in quel momento, pieni di una gratitudine quasi timida e
di una vera determinazione che avrebbero potuto farla boccheggiare se lei non
fosse rimasta ghiacciata dalla meraviglia.
“Allora prometto di fare qualsiasi cosa in mio potere per
non doverti fare mai più del male.”
Mentre il sangue le pompava nelle orecchie, il suo volto
diventava caldo e scarlatto, i suoi pugni, chiusi stretti accanto ai suoi
fianchi mentre parlava, si rilassavano lentamente, lei desiderò poter fare un
passo indietro, solo per un minuto.
Voleva soffermarsi su quell’ultima frase.
Non mi farà mai più del male… mai più…
Strawberry dovette abbassare lo sguardo: tenere i suoi
occhi sull’alieno stava solo facendo crescere quella travolgente emozione nel
suo petto, e lei non sapeva se avrebbe saputo controllarsi mentre lasciava che
ciò accadesse.
Ghish non diceva niente, lasciava semplicemente che il suo
sorriso si ingrandisse mentre le parole di Strawberry penetravano completamente.
Da quanto aveva cominciato a desiderare di sentire quelle parole? Sembrava
passata un’eternità.
Una lunga, dura, crudele eternità.
Quell’eternità valeva tanto in quel momento.
La ragazza avrebbe pianto di più, forse non sarebbe stata
in grado di fermarsi mentre l’esatto significato di quelle parole, le loro
conseguenze, il loro effetto nel prossimo futuro, affondava, ma fu riportata al
controllo di sé dal suono del microonde. Stranamente, non appena la macchina
suonò, riportando i suoi pensieri alla realtà presente, tutto era tornato a
posto.
Ciò che a lui aveva detto aveva perfettamente senso, anche
di più.
La faceva sorridere.
“Hai ancora fame?” chiese a bassa voce.
Anche se la domanda non aveva assolutamente niente a che
fare con la significativa promessa che Ghish le aveva appena fatto, lui sapeva
che quella era una risposta. Il tono gentile, quasi timido, con cui lei aveva
parlato diceva “grazie”. Ecco tutto.
Un sorriso di risposta.
Lo accettò.
“Sì.”
“Ehi! Questa roba è davvero buona!”
“Beh, l’ha fatta Lory— ehi! Non mangiare così velocemente!
Ti sentirai male!”
“Ma ho fame!”
“Devi almeno masticarlo!”
Lory sbatté le palpebre, un po’ confuse a quello strano
frammento di conversazione che era riuscita ad afferrare mentre chiudeva la
porta ed attaccava il suo cappotto all’appendiabiti. Con la curiosità che
vinceva momentaneamente sui cupi sentimenti rimasti in lei dopo il suo incontro
con Pai, si mosse silenziosamente verso il vano della porta che portava alla
cucina.
Sbatté di nuovo le palpebre. Lentamente.
Un espressione di divertita perplessità si instaurò
rapidamente sui suoi lineamenti.
Strawberry stava in piedi accanto al tavolo della cucina,
le mani saldamente sui fianchi, che fissava il suo paziente mentre lui le
rispondeva con uno sguardo di accigliata obbedienza e masticava imbronciato un
boccone di verdura prima di deglutire e, con un’occhiata di giocosa sfida,
mangiando un’altra forchettata.
Sembrava stare assai meglio di quando la ragazza focena
l’aveva visto per l’ultima volta. Il suo volto aveva quasi recuperato il suo
colorito (certo, era pallido di norma, per cui uno non poteva davvero giudicare
in base a quello), e la sua pelle non aveva quella lucentezza poco sana di
sudore febbrile che la ragazza si era abituata a vedere nell’ultimo paio di
giorni. Il suo appetito ritrovato era soltanto un altro indicatore della sua
salute che stava ritornando, e Lory non poteva che nascondere un dolce sorriso
ad un altro dei forti, esasperati ammonimenti che il ragazzo ignorava
marcatamente.
Non poté nemmeno soffocare una risatina per il fatto che
lui stava indossando quello che sembrava essere una delle vestaglie di
Strawberry.
Quel leggero rumore avvertì i due della sua presenza, e non
appena si voltarono verso di lei, la ragazza balbettò una scusa per quella che
aveva immediatamente considerato una sua intrusione.
“Sc-scusate. Non volevo—”
“Lory! Sei tornata!”
Credo che con Strawberry, non ci sia bisogno di
scusarsi…
Un sorriso rilassò il suo volto.
“Ciao.” Alzò lo sguardo su Ghish, che la stava guardando
con un’occhiata che lei riteneva stranamente ansiosa. Per un secondo, il suo
sorriso vacillò.
I suoi occhi… per un momento, erano così penetranti… cosa
stava…?
Il secondo successivo vide l’alieno salutarla con un
allegro “Yo!” prima di tornare alla delicata arte di pugnalare le verdure con la
sua forchetta (evidentemente, la sua ferita era guarita abbastanza da
permettergli di utilizzare la forchetta, anche se le bacchette erano ancora
troppo precise). Lory lasciò che le ritornasse il sorriso prima di sollevare la
mano in una sorta di mezzo saluto.
“Sei stata via per un po’! Ci chiedevamo quando saresti
tornata.”
Lory si voltò di nuovo verso la sorridente Strawberry, e si
accorse improvvisamente di dove stava vertendo la conversazione: verso il suo
incontro.
Non voleva arrivare lì. Non ancora.
Ridendo un tantino più nervosamente di quanto le sarebbe
piaciuto, replicò, “Ah, beh, s-sai…”
No. Strawberry non sembrava per nulla soddisfatta da
quello. Lory dovette interloquire rapidamente mentre l’altra ragazza apriva la
bocca.
“Ghish sta meglio allora?”
Quella domanda deviò immediatamente l’attenzione di
Strawberry (per una volta, Lory fu grata per la sua capacità di concentrazione),
ed il suo sorriso si allargò ancora di più.
Prima che potesse rispondere, comunque, lo stesso alieno
lasciò il suo piatto quasi vuoto per lanciarle un sorrisetto.
“Sicuro che sto meglio. Come non potrei con Strawberry che
si prende cura di me?”
Nessuna delle due ragazze mancò di notare la gratitudine
semi-celata nella sua voce.
Lory sorrise dentro di sé, lanciando un’occhiata alla sua
amica, il cui volto aveva rapidamente preso il colore del frutto di cui portava
il nome, mentre la ragazza si interessava rapidamente alle sue mani, con un
piccolo, quasi invisibile sorriso che le stava sulle labbra. Passarono alcuni
momenti di caldo silenzio prima che Ghish decidesse che fosse prudente eseguire
totalmente il suo ruolo abituale.
“Sai… il suo dolce tocco che mi accarezza il petto, le sue
calde labbra gentili contro la mia fronte, le sue mani che si spostano
lung—”
Lory arrossì per quella che probabilmente sarebbe stata una
bella lista di… immagini discutibili se Strawberry non avesse guaito per
l’imbarazzo improvviso, e non fosse corsa verso l’alieno per afferrare una delle
lunghe orecchie tra il pollice e l’indice nel tentativo di zittirlo. Funzionò,
anche se, di certo, lui non sembrava particolarmente contento quando lei glielo
tirò con fermezza.
“Ehi, non ho detto nien—”
“Gli ho solo fatto fare un bagno, gli asciugato i capelli e
l’ho risvegliato dopo un poì di riposo! E’ tutto, lo giuro!”
All’inizio, Ghish sembrò seccato per il fatto che il suo
divertimento fosse stato interrotto, ma lo shock che aveva invaso i lineamenti
di Lory dopo che lei aveva ascoltato quella piccola confessione gli riportò il
sorrisetto.
Strawberry si accorse finalmente di quanto… interessante suonasse all’inizio quello che aveva detto
e fece freneticamente marcia indietro.
“Vo-voglio dire…Io…nyaaa… Tu. Sta. Zitto!”
“Ahia!”
Le risatine di Ghish furono rapidamente sostituite da un
uggiolio di dolore quando Strawberry lo pizzicò più forte. La ragazza rivolse un
sorriso imbarazzato alla sua compagna perplessa, ridacchiando nervosamente.
Improvvisamente, Lory le sorrise di rimando.
Vide la disinvoltura, la tranquillità che erano rapidamente
cresciute durante la sua assenza.
Certo, difficilmente qualcuno avrebbe visto nella ragazza
gatto dai capelli rosa che ringhiava al suo paziente alieno, mentre lui
rispondeva con uggiolii e risatine combinati l’incarnazione della tranquillità,
ma Lory vide tutto per ciò che era.
La ragazza sapeva che tutti quei gesti mostravano soltanto
quanto quei due si erano sentiti sempre più a proprio agio insieme fin
dall’ultimo confronto e dalla dura prova che ne era risultata.
Anche mentre Strawberry teneva infantilmente il broncio al
ragazzo, Lory poteva vedere il genuino divertimento che danzava nei suoi
occhi.
Anche mentre Ghish faceva balenare verso la ragazza un
sorrisetto provocatorio, decorato dai denti appuntiti, in una sfida costante,
Lory poteva vedere la gioia in lui.
Per un momento, rimase congelata da uno strano stupore per
questo. L’istante successivo, sentì la sua mano sollevarsi lentamente per andare
a posarsi sul suo cuore mentre un sorriso sincero le illuminava il volto.
Cavolo, quei due sembravano ancora più vicini di prima. In
qualche modo… qualcosa era…?
Quei due…
Era incredibile, ma era lì, proprio davanti ai suoi
occhi.
La confondeva, la inquietava persino, ma le dava anche il
più caldo sentimento provato da lei da molto tempo.
Ma…
Il tono di Pai, il suo sguardo duro, la testarda lealtà
alla sua causa... le ritornò tutto alla mente in un unico terribile tsunami che
la derubò rapidamente della sua gioia. Il suo volto si rattristò, ed anche se
l’attenzione di Strawberry era puntata su Ghish, la ragazza riuscì a vedere quel
radicale cambiamento di espressione. Non le fece pensare che ci fosse qualcosa
che non andava: era ancora troppo assorta nel canzonare l’alieno per pensare a
qualcosa del genere.
L’averlo notato, comunque, riportò la sua attenzione su
Lory e, di conseguenza, sui pensieri riguardo la sua recente assenza. Fu
realmente tutto ciò che ci voleva.
“Allora, Lory, non mi hai ancora detto com’è andata!”
Un’occhiata piena di panico le disse che non ci sarebbe
stato modo di evitare il discorso quella volta. Quella ragazza era così
innocentemente ansiosa nella sua curiosità, che ogni tentativo per tirarsi fuori
da una spiegazione sarebbe sicuramente andato incontro a domande più
indagatrici.
Non che avesse importanza. Avrebbe dovuto dire tutto
comunque.
Ed anche se non l’avesse fatto, tutto si sarebbe comunque
dovuto concludere in qualche modo.
Mentre deglutiva nervosamente, Lory tentò di convincersi
che era la cosa migliore.
Forse sarebbe stato più semplice se non fosse stato
dolorosamente ovvio che l’imminente conversazione portava con sé la possibilità
di rovinare la nuova armonia tra quei due.
Forse sarebbe stato più semplice.
Vista la situazione, Lory dovette prendere un respiro
profondo per calmarsi prima di affidarsi di nuovo alla sua voce per parlare.
“St-Strawberry… potrei… potresti venire… nell’altra
stanza…?”
Il fatto che la ragazza non avesse capito subito cosa stava
preoccupando la sua amica dava credito alla sua natura abitualmente ingenua. O
forse poteva anche essersene accorta, ma l’aveva deliberatamente ignorata nel
tentativo di aggrapparsi a… beh, a tutto ciò che era appena accaduto.
In ogni caso, assunse un’espressione perplessa sul suo
volto mentre annuiva e seguiva Lory fuori dalla stanza.
La ragazza focena gettò solo un’occhiata dietro di sé, solo
per controllare la reazione di Ghish, e vide subito una cosa.
Non era stupido, e non si lasciava ingannare.
Quello sguardo penetrante brillò nell’oro delle sue iridi,
e nel momento in cui lo incontrò, Lory rabbrividì lievemente.
Lui sapeva.
Sapeva esattamente cosa era accaduto.
Quando Lory si voltò con una nervosa attesa incisa sui suoi
dolci lineamenti, lo sguardo di Ghish s’indurì, e lui si permise di appoggiarsi
al tavolo con un grugnito appena udibile di riluttante comprensione. Era ovvio
che la ragazza era andata ad incontrare Pai. Il perché, non lo sapeva, e non
gliene importava veramente. Tutto ciò che poteva vedere era che qualsiasi cosa
avesse fatto o detto l’alieno più grande, aveva agitato parecchio Lory, e questo
significava che non ci potevano essere belle notizie per nessuno di loro.
Pai… razza di bastardo…
Ovviamente Pai avrebbe dovuto rovinare qualcosa.
Ultimamente quella sembrava essere la dannata occupazione
dell’alieno.
Dopotutto, era a causa sua che Ghish aveva quasi perso la
vita…
“Dannazione,” sussurrò a denti stretti. Non c’erano dubbi…
non c’erano dubbi, doveva aver a che fare con Profondo Blu.
Con Profondo Blu, la missione, le battaglie…
Solo Pai poteva rimanere attaccato a quei principi con
tanta testardaggine dopo quello che era accaduto.
Solo lui poteva…
E ora, quando tutto stava andando così bene. Ora, proprio quando
lui era arrivato
a Strawberry, quando le aveva fatto vedere…
Ghish rilasciò un sospiro irato, decidendosi a calmarsi ed
ad attendere il ritorno delle ragazze.
Nel frattempo, si concentrò nell’ascoltare la loro
conversazione.
D’accordo, non era la cosa più signorile da fare, ma quelle
orecchie lunghe non ce le aveva solo per bellezza, e lui aveva bisogno di
concentrarsi su qualcosa che non fosse la sua improvvisa ondata di rabbia.
L’ultima cosa
di cui aveva bisogno in quel momento era perdere le staffe.
Perciò, si mise ad ascoltare la conversazione.
Nel salotto, Lory stava cercando di non farsi prendere
troppo dall’imbarazzo sotto lo sguardo di Strawberry.Il problema era, allora,
che la ragazza gatto era riuscita a capire che l’esito dell’incontro con
l’alieno era diverso da ciò che avevano sperato, e la sua espressione si
trasformò da curiosa ad ansiosa.
“Lory…”
La ragazza focena si torse le mani in silenzio, fissando il
pavimento prima di rispondere infine all’amica con un tono fievole e
tremolante.
“Mi dispiace, Strawberry. Io-Io avrei dovuto dirtelo non
appena sono entrata, ma io—”
“No, Lory.”
L’interruzione fu immediata, ed era ovvio che Strawberry
sapeva cosa la sua amica aveva tentato di dirle, come era stata riluttante a
distruggere tutto…
Una cosa del genere poteva solo ispirare gratitudine. La
ragazza gatto cercò di sfoderare un caldo sorriso per la sua amica. Nella sua
ansia, però, Lory non se ne accorse per nulla, e cominciò una agitatissima
richiesta di scuse.
“E’ – è solo che io… Strawberry… non volevo interrompere…
o… o spezzare la…”
“No.”
Questa volta, la risposta negativa fu così rigida, che non
era possibile non accorgersene, e Lory si congelò, lo sguardo fisso sull’altra
ragazza.
“Avremmo... avremmo dovuto farci i conti comunque.”
La convinzione, la determinazione, la riluttante eppure
sincera accettazione nella voce di Strawberry scacciò i tremiti di Lory, e lei
continuò con nuova decisione.
“Hai-hai ragione,” le parole uscirono flebili all’inizio,
ma quando la ragazza incontrò gli occhi dell’amica, si fecero più forti.
“Hai assolutamente ragione.”
Il sorriso sorse più spontaneo. Si ricordava, molto
chiaramente, le esatte parole che le aveva detto Ghish, e sapeva che non c’era
via d’uscita in quel momento. Non dopo averlo sentito pronunciarle.
Non dopo averlo ascoltato parlare del suo mondo.
Se ci sarebbero stati degli ostacoli sulla via davanti a
loro, dovevano saperlo. La ragazza fece un cenno verso Lory affinché
continuasse.
Fu mentre raccontava del fatto che l’alieno si era
rifiutato di ascoltarla che Strawberry emise una specie di ansito basso e
strozzato, e Lory si accorse che la ragazza aveva stretto i pugni, ed aveva una
specie di sorrisetto ironico sul volto.
“Allora… allora se n’è accorto?”
Per un attimo, Lory non riuscì ad afferrare il senso di ciò
che aveva detto l’amica, ma alcuni secondi dopo, si ritrovò ad annuire
lentamente. Strawberry la guardò, e Lory poté vedere che la ragazza stava già
pensando a cosa sarebbe potuto accadere in seguito.
“Strawberry…”
“Non potrà rimanere così per sempre, vero? Pai lo sa, noi
lo sappiamo… non c’è modo. Voglio dire, i miei genitori saranno di ritorno tra
pochi giorni. Non è possibile che possa rimanere così più a lungo anche se…
anche se noi non dovessimo…” La sua voce si abbassò e lei cominciò ad imitare i
gesti compiuti da Lory qualche momento prima, ovvero si torse le mani in una
muta angoscia. Desiderava… proprio dopo pochi istanti di quel discorso,
desiderava avere più tempo per godere di quella nuova vicinanza prima di dover
affrontare il resto.
Anche se sapeva che era il momento di decider come agire,
dove andare, cosa dire e pensare e fare, sentiva che stava accadendo troppo
presto.
Certo, come non poteva? Chi non sarebbe voluto restare in
quei momenti di nuovo amore, nuova scoperta, nuova sorprendente tenerezza? Chi
non avrebbe desiderato rimanere a galleggiare in quel mare di calore?
Non poteva, però. Mentre Ghish si riprendeva, lei doveva
affrontare il nuovo ruolo dell’alieno, il nuovo ruolo di lei stessa. Non
potevano continuare a combattere, non dopo tutto quello che era avvenuto.
L’aveva già deciso da sola ed anche con lui.
Come?
Come avrebbe fatto a dirlo a Ryan? In quel caso, non si
trattava nemmeno del future delle battaglie, o della loro missione.
Avrebbe perso la testa non appena avesse saputo cosa aveva
fatto negli ultimi pochi giorni. Non appena le parole “casa mia” e “Ghish”
avrebbero attraversato le sue labbra, sarebbe stata la fine. Strawberry non
aveva la più pallida idea di come cavarsela con Ryan.
Ryan, ed il resto delle Mew Mew…
Mina, Pam… le loro azioni potevano solo essere comparate a
quella di Ryan.
Dannazione.
Era troppo da sopportare, e comunque non era ancora
tutto.
C’era sempre Mark.
C’era sempre quella terribile decisione in attesa di essere
presa. Diavolo, tra la meraviglia di vedere Ghish in quella nuova luce e quel
nuovo ripensamento su cosa ciò significava per le Mew Mew, si era dimenticata
della sua scelta. Si era dimenticata che avrebbe dovuto prenderla, ed ora
sembrava che avrebbe dovuto farlo presto.
Mamma, avrebbe dato qualunque cosa per avere ancora alcune
settimane, mesi, anni, come quell’ultimo giorno di quasi spensierata
esistenza. Qualsiasi.
Ma non poteva averli. Era impossibile, e più se ne rendeva
conto, più questo fatto penetrava la sua mente, più il controllo sulle sue
lacrime si faceva debole. Per fortuna, Lory riuscì a richiamare la sua
attenzione dalla sua infelicità, prima che scoppiasse.
“Strawberry, penso che dovremmo dirglielo.”
“D-dirglielo?”
Lory annuì, continuando lentamente, accorgendosi subito di
quanto agitata stava diventando la ragazza gatto.
“Ghish. Penso… forse dovremmo discuterne con lui.”
Per un momento, Strawberry avrebbe voluto dire no.
Pensava le stesse cose che aveva pensato Lory quando era
entrata in casa e li aveva trovati in cucina: non voleva rovinare tutto. Non
voleva andare in quella stanza e dire a quel ragazzo, quella ragazzo che lei
aveva cominciato ad amare dopo che i suoi sentimenti le erano stati
completamente rivelati, non voleva che questo avesse fine, e lei non sapeva cosa
avrebbe portato il futuro, o addirittura se ce l’avevano un futuro.
Cosa avrebbe detto lui quando gli avrebbe raccontato che il
suo compagno si stava mettendo in mezzo alla loro storia? Come avrebbe reagito a questo? E se avessero litigato? Come avrebbe potuto continuare una
simile cosa tra loro?
E come avrebbe reagito lui se, alla fine, lei avesse scelto
Mark?
Aveva detto che l’avrebbe accettato, e forse l’avrebbe
fatto. Forse l’avrebbe fatto davvero.
Ciò non voleva dire che lei era ansiosa di vedere la
delusione che, sapeva, gli avrebbe attraversato il volto non appena la decisione
fosse stata presa.
E c’erano ancora così tanti dettagli da considerare…
Nonostante ciò, Strawberry annuì.
Anche con tutti quei terribili pensieri che la
tormentavano, sapeva che Lory aveva ragione. Il ragazzo doveva sapere. In quel momento dovevano lavorare tutti insieme, non
importava quale sarebbe stato l’esito.
Almeno, dovevano lavorare insieme per comunicare la notizia
a tutti gli altri.
Dopo quello… Strawberry non voleva soffermarcisi troppo in
quel momento.
“Sì… Lory. Hai ragione.” Si morse le guance per un istante,
cercando di raccogliere il coraggio prima di voltarsi e tornare in cucina, con
una Lory silenziosa e tetra che la seguiva da vicino.
Trovava difficile dirlo, raccontargli ciò che le aveva
appena detto Lory.
Non c’è via di fuga. Devi affrontare la cosa.
Devi vederlo e parlargli e...
“G-Ghish, noi—”
Si sarebbe sforzata di proseguire, con il corpo
insopportabilmente rigido, gli occhi nuovamente velati di lacrime di pura
frustrazione, le mani che tremavano debolmente ai suoi fianchi, se lui non le
avesse lanciato un’occhiata così pungente di chi la sa lunga. Il suo sguardo
privo di termini spense le sue parole, e lei cadde in un silenzio sorpreso
mentre l’alieno cominciava a parlare.
“Ho sentito, Strawberry.”
La ragazza, colta momentaneamente di sorpresa, aprì la
bocca ma non riuscì a parlare.
“Potrai gridarmi contro per questo più tardi,” continuo, un
debole sorriso si insinuò all’improvviso sui suoi lineamenti e scomparve
altrettanto rapidamente.
Strawberry non gridò. Nel suo stupor poteva a malapena
capire cosa le stava dicendo.
“Hai… hai sentito…?”
Un cenno d’assenso.
“Già.”
Per un momento, il silenzio regnò supremo. Nessuno dei tre
sembrava voler cominciare la difficile conversazione.
Alla fine, Ghish aprì la poca per parlare. Strawberry,
però, in un improvviso scatto di coraggio e di premura, mischiati con la sua
impulsività innata, lo interruppe prima che potesse pronunciare una sillaba.
“Non voglio che questo cambi qualcosa. Quello… quello di
cui abbiamo parlato prima…” qui, Lory guardò la sua amica con curiosità “non può
cambiare, non importa quello che dicono… Pai… o Ryan…”
O Mark.
Anche se io… anche se Mark… tutti… questo mondo… Non posso…
semplicemente…
Mentre si fermava, ansimando leggermente, il ragazzo la
fissò, con gli occhi un po’ spalancati per lo stupore alla sua uscita. Per
alcuni secondi, il respiro di Strawberry fu l’unico suono a riempire la
stanza.
Ghish sorrise.
Era un piccolo sorriso: uno largo sarebbe stato totalmente
inadeguato, anche per lui, in una simile situazione, ma anche se piccolo, riuscì
a portare un sospiro di sollievo alla ragazza.
“Certo Strawberry.”
Sentire il suo nome pronunciato in quel tono sincero e
dolce, fece sobbalzare il suo cuore nonostante l’argomento della
conversazione.
Lory non aveva idea di cosa stessero parlando,
ma riuscì ad indovinarlo rapidamente. I suoi pensieri si incentrarono su un’idea di base: aveva
deciso di non gettare via quella nuova amicizia (forse in effetti amore, se…
beh, me lo lascio per dopo, si ricordò Lory), senza curarsi del resto del mondo.
Desiderò potersi soffermare su quei pensieri un po’ più a lungo, concentrandosi
sul dolce calore che le portavano, ma sapeva che doveva spingersi avanti.
Interruppe perciò il silenzio.
Lo fece con il tono più gentile, più contrito che la voce
umana potesse ragionevolmente creare.
“Non so… non so… forse d-dovremmo…”
Ha ragione…
Strawberry alzò lo sguardo, un debole sorriso le illuminava
il volto quando incontrò quello di Ghish, questa volta senza quella dolorosa
passione emotiva. Lui ricambiò, ed un silenzioso accordo passò tra loro:
Andrà tutto bene.
Rompendo nuovamente il silenzio, Ghish riportò la sua
attenzione al dilemma in questione.
“Allora… voi avete qualche idea?”
Sia l’alieno che la ragazza gatto rimasero sorpresi quando
Lory cominciò.
Eppure, lei, sempre così preoccupata di riuscire a trovare
una tregua com’era, probabilmente aveva passato una buona parte del suo tempo
libero a riflettere su simili questioni. Nonostante ciò, entrambi sbatterono le
palpebre quando la ragazza parlò, mentre si torturava nervosamente le dita, ma
con una voce che aveva la stessa chiara sicurezza presente nella dichiarazione
di Strawberry.
“Penso che dovremmo dirlo agli altri. Non possiamo tenerl—”
qui esitò, guardando prima Strawberry e poi Ghish, come per ricordarsi l’esatta
importanza di
ciò che era stato nascosto. Deglutendo, mordendosi piano il labbro, terminò.
“Non possiamo più tenerlo segreto.”
All’inizio, Strawberry voleva liberarsi di tutta la rabbia,
la frustrazione, l’agghiacciante paura che aveva provato negli ultimi
giorni.
Per un secondo, ebbe voglia di lanciarsi in una delle sue
famose declamazioni, ebbe voglia di affermare che nessuno aveva mantenuto un
segreto, che non era colpa sua, che non c’era bisogno di fare qualcosa…
Ma era una cosa completamente stupida, ed anche se
desiderava che si potesse risolvere così semplicemente, sapeva come stavano le
cose.
Sì, anche l’occasionalmente svampita, impulsiva, avventata
Strawberry Momomiya, sapeva come stavano le cose.
Annuì cupamente.
“Al biondino non piacerà.”
La ragazza, entrambe le ragazze, piazzarono bruscamente il
loro sguardo su Ghish, che ricambiò con un’occhiata di divertimento misto alla
durezza sul suo volto pallido. Mentre la mente di Strawberry provava
freneticamente ad elaborare il concetto di Dobbiamo dirlo presto a
Ryan, Lory fece pressione con una voce bassa, quasi supplicante.
“S-sono sicura che, dandogli un po’ di tempo, lo accetterà.
Non è irragionevole, Ryan-”
“—odia me e la mia gente.”
“No... è solo che...”
All’improvviso, Strawberry ebbe un flashback di cosa Kyle
le aveva detto, non molto tempo prima, riguardo l’infanzia di Ryan, le sue
difficoltà, la sua missione interiore…
Si ricordava esattamente di cosa un Chimero gli aveva fatto…
“Non è colpa sua, Ghish.”
Il ragazzo alzò gli occhi su di lei, l’attenzione che
rapidamente distolta dalla ragazza-focena, che lanciò a Strawberry uno sguardo
stupito. L’alieno sbatté le palpebre, osservando il duro, eppure pietoso sprazzo
negli occhi di lei, prima che la sua espressione accigliata si addolcisse solo
un po’, ed annuì.
Lo fece a malincuore: Ryan, in qualità di fondatore del
progetto Mew, difficilmente poteva essere annoverato tra i soggetti preferiti da
Ghish, ma il ragazzo si ricordò di quella volta, una sola, dove, per un momento,
l’alieno e l’umano erano sembrati trovarsi piuttosto d’accordo…
Ghish borbottò piano per mostrare a Strawberry che aveva
capito. Poi, permise ad un mezzo sorrisetto cinico di storcergli le labbra.
“E qual è la tua scusa per Pai?”
Pai…
Lory si trovò a torturarsi le mani di nuovo al sentire il
nome dell’alieno più grande. Le riportò solo quella sensazione di disperazione,
quelle scoraggianti immagini di soltanto un’ora prima circa. Il suono duro della
sua voce mentre la salutava bruscamente risuonava nella sua mente, e ci mancò
poco che lei sobbalzasse quando Ghish sbuffò, in un’esasperata risposta allo
sguardo vacuo, quasi colpevole di Strawberry.
Non è nemmeno colpa sua… non è…
Tutto ciò che riusciva a ricordare era la luce supplicante
nei suoi occhi quando le aveva chiesto di portarlo da Ghish, la sollevata
gratitudine quando aveva dato alle ragazze la medicina di cui avevano bisogno,
il modo in cui aveva chinato la testa al suo indirizzo, così allenato a
nascondere la sua preoccupazione, eppure era ovvio che lo fosse…
Si ricordò di come si era trasformato da amico preoccupato
a guerriero rigido e determinato non appena gli era tornata in mente la sua
missione.
Gli era tornata in mente la sua gente…
Dio, è sempre la stessa cosa…
Scuotendo leggermente la testa, Lory rispose a Ghish con un
sorriso gentile per opporsi al suo pessimismo.
“La stessa cosa.”
Ghish si trovò a fissure la ragazza-focena con un
sorriso.
La stessa cosa.
Non è colpa sua.
Bella risposta…
Non poteva sapere che stava replicando i sentimenti
basilari che avvolgevano la conversazione che Strawberry e Ghish avevano appena
avuto. Il solo ripetere quei concetti gli portò nuova speranza.
Erano vere, quelle parole.
Vere.
Semplici.
Così semplici che… potevano non esserlo?
Accidenti. Non lo sapeva. Voleva saperlo.
Ora che aveva il supporto della sua preziosa Strawberry,
era possibile che ci fosse un modo per vincere quella difficoltà?
Tutto ciò che sapeva era che in quel momento, con lei, si
sentiva più vicino al sollievo.
Tanto più vicino, infinitamente
più vicino, di quanto si era sentito quando Profondo Blu aveva fatto le sue
promesse.
Quelle promesse aveva echeggiato con una sensazione di
vuoto che aveva messo in guardia Ghish l’attimo in cui era cominciata la
missione. La diffidenza gli era sempre rimasta, era stata messa da parte,
ignorata, mentre la missione, quei ricordi, quella grande responsabilità, gli
ricordavano i suoi doveri.
Era riemersa ed aveva continuato a riemergere, da quando
lui si era messo ad osservare quella ragazza.
E presto aveva scoperto che, mentre Profondo Blu rafforzava
la sua diffidenza, Strawberry lo calmava, lo soddisfaceva, in
qualche modo. L’unico problema era stato il rifiuto costante.
Ora, il rifiuto era sparito. Ora lei lo guardava senza la
rabbia negli occhi.
E ora, lui era assolutamente certo che la strada giusta da
seguire si trovava dietro quegli occhi luccicanti, giaceva con quella ragazza e
le sue care compagne.
“Non sarà facile.” Un sospiro, non di mestizia, ma di
decisa, garbata accettazione.
“No, ma…”
Quegli occhi…
“Quando cominciamo?”
“Non appena starai davvero meglio.”
“Sto davvero me—”
Sarebbe suonato molto più convincente se il caro Mr. Tosse
non avesse deciso proprio in quel momento di mandare i suoi saluti.
“Se vuoi andare fuori ora, uscirai indossando la giacca più
vaporosa che ho, solo per Ryan! Hai capito?”
Strawberry lo fissò con rinnovata severità.
Ghish mise il broncio.
Lory ridacchiò.
Beh, forse avevano ancora un po’ di tempo prima che i
genitori di Strawberry ritornassero.
Almeno quella tosse serviva a qualcosa.
Era… preoccupato.
Non spaventato, certo, perché non c’era ragione di esserlo
davvero.
Non ancora.
Era solo preoccupazione, perché le cose non andavano
rapidamente come pianificato. Ogni cosa aveva rallentato. Qualcosa…
mancava.
Aveva ignorato la prima agitazione: quell’alieno dai
capelli verdi e di natura ribelle lo aveva trattenuto, ed il conseguente
fallimento era stato una sfortuna. Eppure, liberarsi di quel ragazzo sarebbe
stata la soluzione al problema.
Perché, allora, i due che gli rimanevano fedeli non gli
portavano dei risultati?
All’inizio, aveva pensato che la causa fosse a livello
emotive: quei tre, dopotutto, erano diventati piuttosto vicini l’uno
all’altro.
Ma non avrebbe dovuto durare tanto. Quello con i capelli
verdi sarebbe dovuto morire, e gli altri due sarebbero dovuti andare avanti.
Almeno avrebbero dovuto dare al loro dovere verso la propria casa una priorità
maggiore rispetto al lutto.
Il fatto che non fosse stato fatto praticamente nulla, che
non fosse stato raggiunto alcun progresso…
Si era aspettato che almeno il più grande escogitasse
un’altra strategia, ma non c’era stato niente. Niente ma un pietoso attacco con
delle bestie di qualità inferiore.
Probabilmente era stato in quel momento che il sospetto
aveva cominciato a popolare la Sua mente.
Dopo pochi giorni di quei sospetti, era arrivato ad una
conclusione.
Per provarla, aveva bisogno del più grande. Certo, il più
grande veniva quando chiamato. Era un bravo ragazzo, un bravo burattino.
“Sì, Profondo Blu?”
Lo sentì solo perché lo stava ascoltando con tutto il Suo
potere.
Eccola: una piccolissima sfumatura di ansia, diffidenza,
incertezza, in quella voce dal timbro basso.
“Quali sono i vostri progressi attuali?”
Questa volta, ci fu un balbettare vago, quasi
impercettibile. Di nuovo, Lui lo udì solo perché lo aveva sospettato.
Il ragazzo non procedette molto con il suo rapporto. La
voce echeggiante lo fermò.
“So cosa sta accadendo.”
I suoi sospetti adesso furono confermati. Quel
traditore era vivo. Vivo e con il nemico. Con le umane.
Come ne era certo, neanche Lui poteva dirlo. Certo, si era
accorto che delle medicine erano state prese da quella dimensione il giorno
prima, ma non aveva fatto caso ad un dettagli così infimo. Solo quando i
sospetti si erano sollevati aveva fatto uso di quella conoscenza.
Tuttavia, era stata corretta. Adesso, poteva vedere la
risposta negli occhi viola del ragazzo.
“Hai dimenticato l’obiettivo di questa missione?”
“No, Profondo Blu! Io—”
Adesso lo doveva spaventare. Era l’unico modo.
Questo doveva rimanerGli leale. Il traditore se n’era andato, il più giovane era
discutibile, ma questo era ancora vulnerabile. Questo doveva rimanere.
Se non l’avesse fatto, il piano sarebbe stato rovinato. Non
avrebbe mai riavuto il Suo mondo, e Lui aveva bisogno del Suo mondo. Voleva ciò
che era Suo di diritto.
Perciò, cominciò a lavorare il suo mondo sul più
grande.
“Perdonerò ogni cosa, anche lui, se lo riporterai indietro.
Questo contatto con gli umani deve interrompersi immediatamente se vuoi salvare
la tua gente. Perdonerò te e lui, se risolvi questo problema immediatamente. E’
chiaro?”
C’erano un tremore molto più evidente nella voce del
ragazzo, forse per la menzione della sua gente.
“Sì.”
“Allora sei scusato.”
Il ragazzo scomparve. Prima che lo facesse, Lui notò quello
sguardo di ferma determinazione che aveva sostituito uno carico d’ansia.
Stupido ragazzo.
Così facile da manipolare per via di inutili
sentimenti.
Così facile.
Che fortuna.
Ora, tutto quello che doveva fare era aspettare. Presto,
tutto sarebbe tornado al suo posto.
Questo mondo sarà mio…
FINE DEL CAPITOLO
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Capitolo 21 *** Disavventure ***
Capitolo
19
Sarebbero
andati l’indomani.
Ghish
sospirò rigirandosi, la ferita che era ancora in via di guarigione gli strappò
una leggera smorfia di dolore mentre si muoveva, e si sdraiava sulla schiena,
una mano sotto la testa, l’altra che giocava distrattamente con un bottone della
maglia del pigiama. Mentre fissava il soffitto, non poté fare a meno di
soffermarsi su quel pensiero.
I
genitori di Strawberry sarebbero tornati la notte seguente. Questo voleva dire
che sarebbero dovuti andare al Caffè Mew Mew a qualche ora della mattinata, o
nel pomeriggio.
Da
parte sua, il ragazzo avrebbe preferito andarci il più tardi possibile nel
pomeriggio.
O,
meglio, non andare affatto. Sì, sembrava una cosa davvero perfetta in quel
momento.
Onestamente,
anche se detestava ammetterlo, Ghish era nervosa per
l’indomani.
Certo,
chi poteva biasimarlo?
D’accordo,
negli ultimo giorni aveva ottenuto una profonda relazione che non si sarebbe mai
sognato di ottenere con Strawberry.
D’accordo,
aveva ricevuto una gentile accoglienza da parte di Lory.
Quei
due fatti non avevano fatto niente per diminuire la durezza con cui sapeva Ryan Shirogane si sarebbe rivolto
alla situazione.
Il
ragazzo sapeva che ci sarebbero state imprecazioni, urla, grida, minacce ed
angoscia da entrambe le parti, e di
certo non era ansioso di arrivare a quel momento.
Diavolo
no.
Ed
anche se avessero superato quell’ostacolo minaccioso, ci sarebbe stato ancora
tanto da risolvere dopo, così tanto che semplicemente non voleva pensarci in
quel momento…
Ma
doveva farlo. Doveva ricordarsi della sua famiglia, dei suoi amici, della
ragione per cui si trovava lì. Tutto
quello non sarebbe scomparso solo perché lui desiderava potersi concentrare
sulla felicità che aveva provato stando con Strawberry piuttosto che occuparsi
dei suoi obblighi.
Eppure,
desiderava che ciò potesse accadere. Desiderava poter vivere per sempre nel
mondo in cui si era trovato negli ultimi due giorni.
A
ripensarci, gli scappò un sorrisetto nonostante la
preoccupazione.
Erano
stati due giorni meravigliosi.
Mentre
passavano, l’alieno e la ragazza si erano soltanto avvicinati e la parte più
divertente, eppure più significativa di tutto ciò era che nessuno dei due aveva
fatto molto per cambiare il proprio comportamento abituale. Ghish lanciava
ancora i suoi sfrontati sorrisetti compiaciuti e proponeva gioiosamente alla
ragazza di stringersi a lui mentre guardavano un film qualsiasi o di dargli un
bacio di ringraziamento per aver lavato i piatti, e Strawberry rispondeva ancora
con un colpo alla testa ben mirato o una forte, energica
minaccia.
L’unica
differenza era che adesso lo faceva con uno sprazzo di divertimento negli occhi,
un tacito riscontro privato dell’affetto mostratole dal
ragazzo.
E
poi, aveva dato la sua risposta alle proposte maligne di
lui.
Mentre
guardavano il film, si era (e Ghish sapeva che questo non era stato solo un
miraggio, perché aveva visto Lory nascondere un sorrisetto dietro la mano)
avvicinata e gli si era seduta più vicina nel buio.
Mentre
lavava i piatti e le tazze, aveva visto Strawberry cercare invano di nascondere
un sorriso prima di ricordargli di ammucchiare i piatti con
cautela.
Quei
ricordi e diversi altri servirono in quel momento a far allargare il sorriso di
Ghish, mentre questi si rilassava sul cuscino della stanza degli
ospiti.
Ah,
sì. Anche il ricordo di quella
piccolo discussione lo fece sorridere.
La
ragazza gatto aveva insistito con veemenza (e questo era avvenuto proprio dopo
che lei aveva provato a dormire nel suo sacco a pelo invece che, come lui aveva
innocentemente suggerito, stare teneramente e
felicemente abbracciata a lui nel suo letto) che, dal momento che si era
ripreso, era ora che si spostasse nella sua propria stanza. Dopo che la risposta
di lui (un lievemente lamentoso ‘ma stavamo così bene insieme’, accompagnato dai classici
occhioni da cucciolotto) gli aveva fatto ricevere una rapida cuscinata, era
stato deciso che Lory avrebbe dormito in camera di Strawberry su un materassino
ad aria, Strawberry sarebbe tornata nel suo letto, e Ghish avrebbe preso la
camera degli ospiti.
E,
ovviamente, quelle erano state le disposizioni per dormire utilizzate nelle
ultime due notti, eppure, anche
questo aveva il suo metaforico lato positivo, il suo indizio che provava la
differenza delle circostanze contemporanee.
Primo,
c’era il fatto che le guance di Strawberry erano rimaste rosse per tutta quella
dura prova.
Secondo,
entrava sempre prima che lui spegnesse la luce. Ora, la ragazza si assicurava,
senza fallo, di fare qualcosa mentre si trovava nella sua stanza, qualcosa di
futile, come recuperare un gingillo dal cassettone, o giocherellare con le
tende, borbottando qualcosa riguardo assicurarsi che i vicini non pensassero che
la famiglia Momomiya aveva improvvisamente deciso di dare rifugio a strani tizi
con le orecchie a punta dopo aver guardato fuori dalla finestra in un momento
inopportuno. In ogni caso, usciva sempre con le solite parole, pronunciate con
la stessa dolcezza, in un tono che lo faceva sorridere nell’oscurità dopo che
lei se n’era andata:
“Buonanotte
Ghish.”
Il
ragazzo chiuse gli occhi mentre i ricordi si ripetevano ancora e
ancora.
Dannazione,
ma
non se ne voleva andare…
Con
una breve risata derisoria, aprì nuovamente gli occhi.
Non
c’era scelta e basta.
Questo
deve finire…
Nessuna
scelta, ma almeno adesso aveva—
“Ehi,
Ghish!”
Heh.
Strawberry.
L’alieno
si sedette, la malinconia fuggì dalla sua espressione quando la vide, ed un
sorriso ne prese il posto.
“R—“
Stava
per fare un commento sulla sua puntualità (forse sarebbe arrossita di nuovo e
gli avrebbe dato un’altra ragione per ridacchiare), ma lei lo interruppe
rapidamente.
“Hai
lasciato questi in bagno.”
Gli
mostrò i suoi nastri per capelli che, ovviamente, erano convenientemente serviti
come ragione di quella sera per entrare. Il ragazzo sbatté le palpebre, poi
incline la testa di lato e le rispose con una punta di perplessità nella voce al
posto della solita nota canzonatoria. Si accorse che c’era qualcosa leggermente
fuori posto…
“Oh…
sì, grazie. Ma sai, dormo senza quelli, gattina.” Si spostò alcuni capelli
sciolti dietro un orecchio, accentuando inconsciamente quell’affermazione,
sempre guardando con attenzione la ragazza.
Strawberry
sembrò ignorare il fatto che stesse andando verso il comodino e che ci poggiasse
i nastri sulla sua superficie color crema.
Immediatamente,
il ragazzo si accorse che quel giorno lei non era entrata solo per la consueta
buonanotte data con finta nonchalance. C’era un disagio nei suoi occhi che lo
colpì con particolare durezza.
Probabilmente
perché si trattava della stessa sensazione con cui aveva appena
combattuto.
Difatti,
invece di gettarsi in gesti a caso ed in una conversazione di simile stampo, la
ragazza si sedette sul bordo del letto, con le mani abbandonate in grembo, gli
occhi concentrati tenacemente su di esse mentre la forzata nonchalance spariva
dalla sua espressione.
Non
era mai stata molto portata nel nascondere le emozioni, e quando Ghish si
avvicinò a lei, avvolgendo un braccio intorno alle sue proprie ginocchia, le
scrutò il volto.
“Strawberry?
Cosa…?”
Con
sua sorpresa, lei non perse assolutamente tempo nell’arrivare al dunque. Non ci
furono sorrisi, né tentativi di sviare il discorso da quell’argomento, né sforzi
per mascherare il tremolio della sua voce. Ciò gli disse una cosa: la ragazza
aveva paura e per
davvero.
“Stavo
pensando a domani.”
Ah.
Stava cominciando piano, sempre fissando le sue mani, con la voce bassa e
piccola. Lui sapeva che la ragazza doveva arrivarci, sapeva che il cosiddetto
‘effetto palla di neve’ avrebbe fatto presto breccia, perciò attese in silenzio,
un cortese silenzio di supporto che gli sembrava necessario per rimediare alla
sua angoscia.
“Ghish,
volevo solo… voglio dirti che non importa cosa accadrà, io… io volevo dire ciò
che ho detto, prima…” Ora, finalmente, alzò gli occhi.
“Non
importa cosa dirà Ryan…” ecco, solo a dire il nome del ragazzo, sembrò in
qualche modo immaginare, scorgere, le terribili possibilità del giorno seguente,
e le sue labbra cominciarono a tremare.
“E
so cosa dirà... non sarà... l-lui…”
Ghish
sapeva di essere stato preoccupato negli ultimo due giorni, sotto la sua
apparenza allegra e sapeva che anche Strawberry doveva essere stata preoccupata.
Quello che non sapeva era che lei era riuscita a farsi venire quella sorta di
delirio nervoso.
Beh,
c’era solo una cosa da fare al riguardo, ed era qualcosa che lui sarebbe stato
piuttosto felice di eseguire.
Avvicinandosi
ed inginocchiandosi accanto a lei, la abbracciò. La abbracciò come aveva fatto
l’ultima volta in cui si era persa d’animo, con la stessa rassicurazione, la
stessa accettazione, e la stessa stretta affettuosa che era riuscita a calmarla
prima.
Era
lo stesso gesto che aveva calmato lui quando era stato sofferente durante tutte
le notti passate.
“Pensavo
che fossimo d’accordo di preoccuparcene solo quando ci fossimo
arrivati.”
Lei
tirò su con il naso, ma si rilassò al suono della voce di lui. La sua dunque,
fuoriuscì un po’ più sicura.
“Ma
ci siamo quasi...” con sorpresa dell’alieno, lei ridacchiò, un po’, se fosse per
il sollievo o per una leggera isteria, lui non riusciva ad immaginarlo. Poi,
sospirò con malinconia. “Come puoi essere così calmo in questa
situazione?”
Questa
volta, fu il suo turno di ridacchiare mentre si avvicinava per passare le dita
tra i capelli di lei, accarezzandola piano prima di posare la fronte sopra la
sua testa, godendo dentro di sé per la liscia morbidezza dei suoi capelli. Un
attimo dopo, rispose.
“Se
ti può far stare meglio, nemmeno io sono particolarmente eccitato per questo.”
Le sue parole non rivelavano molto, ma lui si assicurò che il suo tono spiegasse
ciò che voleva dire: i suoi sentimenti facevano eco a quelli di
lei.
Questa
volta, la ragazza rise più forte.
“Sai
cosa? Funziona.”
Com’era
meravigliosamente ironico. Gli strappò un sorriso.
Stupida
piccola gattina…
“Beh,
sono contento che il mio disagio ti renda felice,
gattina.”
Questo,
accompagnato dal suo sorrisetto, sortì l’effetto
desiderato.
Strawberry
iniziò a ridere forte, mettendosi una mano sulla bocca nello sforzo di porsi un
freno mentre Ghish la lasciava andare, guardandola con un bagliore umoristico
negli occhi. Dopo alcuni secondi, si fermò, fissando il vuoto per un paio di
battiti di cuore, prima di voltarsi improvvisamente verso di lui, gli occhi che
brillavano di una nuova gioiosità. Si avvicinò e gli dette un rapido bacetto
sulla guancia.
L’azione
colse l’alieno piuttosto di sorpresa (il suo primo pensiero, infatti, fu proprio
ma questo non è il mio lavoro?), ma
questo fece solo allargare il sorrisetto di Strawberry.
La
sua motivazione era tremendamente semplice: era entrata in quella stanza
sentendosi scossa e spaventata, e quel ragazzo l’aveva fatta ridere senza
sforzo, alla faccia di tutto. Aveva preso quel terrore e l’aveva sconvolto così
rapidamente, così dolcemente da sorprenderla, solo un’altra sorpresa da
aggiungersi a tutti quei piacevoli shock che aveva avuto negli ultimo due
giorni, shock riguardanti quanto dolce e meraviglioso quell’alieno potesse
essere.
Era
solo un’altra sorpresa, ma era così rincuorante, che lei sentì la necessità di
dargli un altro bacetto.
E
le piacque particolarmente il modo in cui lui sbatté le palpebre confuse al suo
indirizzo, quando lei si alzò ed andò alla porta.
“Buonanotte,
Ghish.”
Un
secondo più tardi, se n’era andata e Ghish rimase a fissare la porta a bocca
aperta. I silenzio regnò per alcuni secondi prima che il ragazzo riuscisse ad
infrangere l’incantesimo accigliandosi e sospirando
debolmente.
“Huh,”
mormorò, guardando in basso verso il letto, con gli occhi che si posavano sul
posto accanto a lui, il punto dove poteva stare un altro
corpo.
“Avrei
dovuto chiederle di restare.”
Una
volta terminata la frase, stava ghignando, e scoppiò a ridere un momento più
tardi mentre si sdraiava. La risata era calata in un risolino leggero al momento
in cui spense la luce, e si placò quando si voltò su un fianco per
dormire.
Gli
rimase solo un pensiero mentre si assopiva:
Dannazione,
la amo.
Si
svegliò nell’oscurità.
Questo
gli disse che non era stata la sveglia ad interrompere il suo sonno: se l’avesse
fatto sarebbe stato giorno.
Il
colpevole fu scoperto piuttosto rapidamente.
Mentre
giaceva chiedendosi cosa fosse accaduto, sentì un leggero picchiettio sulla sua
spalla. Stringendosi lentamente nelle spalle, cercò di ignorarlo, solo per
sentirlo di nuovo, solo un po’ più forte questa volta.
Ancora,
si sforzò di tornare a dormire.
Allora,
il picchiettio si posò sul suo fianco, dove lui soffriva particolarmente il
solletico, strappandogli un rapido sobbalzo, insieme ad un leggero
‘nyugh’.
“Ghish?”
Quella
voce…
Prima
che ci potesse essere un altro picchiettio, si voltò, solo per
vedere—
“Gah!”
Si rotolò indietro più rapidamente che poté, e fu solo perché si ingarbugliò tra
le lenzuola e si immobilizzò che non rotolò abbastanza da cadere giù dal
letto.
Normalmente,
avrebbe provato a reagire con più grazia, ma trovarsi letteralmente faccia
faccia con un Tart dagli occhi sbarrati mentre era solo parzialmente sveglio era
chiedere un po’ troppo persino a Ghish. Dovette fissare l’alieno più giovane per
alcuni secondi prima di calmarsi abbastanza da accorgersi chi lo stava fissando
di rimando.
“Tart!”
Liberandosi rapidamente, si sedette, sbattendo le palpebre all’indirizzo del suo
compagno. “Che stai—”
In
quel preciso momento, Ghish comprese con quanta rapidità e con quanta forza Tart
fosse in grado di attaccarsi ad un’altra persona e di stritolarla. Il ragazzo
più grande si trovò improvvisamente incapace di respirare.
Il
suo primo pensiero cosciente che questo era estremamente strano. Dopo tutto,
Tart normalmente si mostrava riluttante di fronte ad ogni contatto che magari
suggeriva affetto o che accennasse al fatto che lui era ancora un ragazzino. Dio
non volesse che Ghish provasse a scompigliargli i capelli o a ridacchiare al suo
indirizzo mentre si comportava da immaturo e da
marmocchio.
Gli
abbracci ricadevano un po’ in quella categoria.
Quello
che non si era ritrovato a pensare era che l’alieno più giovane non lo vedeva da
diversi giorni, e l’ultima volta che aveva avuto a che fare con l’alieno dai
capelli verdi, questi si trovava nelle condizioni peggiori della sua
vita.
Quell’abbraccio
era l’unico modo di esprimete silenziosamente il suo incredibile sollievo. Il
suo amico era vivo. L’ultima volta
che l’aveva visto, era stato coperto di sangue, respirava a malapena, era
semi-lucido, tremava, delirava, incespicava e boccheggiava, ed ora era vivo, e sembrava in perfetta
salute.
Tutta
quella preoccupazione, quella paura che erano rimaste anche dopo che Pai aveva
insistito che Ghish stava bene, tutto quel nauseante terrore si era dissolto
quando il giovane alieno si era teletrasportato nella stanza ed aveva visto il
suo compagno tranquillamente addormentato.
Il
sollievo era travolgente.
Sfortunatamente,
Ghish non la pensava davvero allo stesso modo.
Tutto
quello che riusciva a pensare era che la spalla di Tart stava premendo proprio sulla sua ferita, che, anche se
abbastanza guarita, riusciva ancora a fargli abbastanza male se gli veniva
applicata della pressione.
E
Tart ci stava applicando un sacco di maledetta pressione.
“Ahio…
nanetto… levati!”
Fortunatamente,
questo sembrò far tornare Tart in sé.
Sempre
fortunatamente, quel finto insulto portò via ogni pensiero inquieto riguardo
quel gesto troppo affettuoso, ed ogni imbarazzo che sarebbe potuto risultare fu
rapidamente distrutto da Tart che mise il broncio nei confronti del suo
amico.
“Non sono un
nanetto!”
“Sì,
ok…” brontolò Ghish, massaggiandosi la spalla con cautela mentre lanciava uno
sguardo torvo a Tart. Presto, comunque, quello sguardo si addolcì quando il
ragazzo di accorse di essere effettivamente piuttosto contento di vedere il più
giovane.
“Allora,
cosa ci fai qui?”
Stranamente,
la domanda sembrò cogliere Tart di sorpresa, ma il ragazzo si riprese in fretta,
lanciando a Ghish un sorrisetto.
“Sono
venuto a vedere se la vecchiaccia ti stava trattando
bene!”
Questo
provocò un sbuffo da parte di Ghish, che non riuscì a non sentire un colpo di
divertimento anche se si accigliò al commento.
“Beh,
ovviamente Strawberry mi sta trattando bene, tu
pic—”
“Ehi,
voi due avete davvero dormito insieme? Perché non siete insieme
ora?”
Ovvio
che il piccolo marmocchio avesse “innocentemente” toccato l’argomento che
normalmente avrebbe reso Ghish piuttosto fiero ma, il fatto che l’avesse detto
in quel tono incredulo ed infinitamente curioso che solo un bambino sa tirare
fuori, in quel momento lo fece farfugliare.
Stupido
piccolo… e a giudicare dal suo sorrisino, probabilmente era da un po’ che
aspettava di stuzzicarlo su quell’argomento, e Ghish non sapeva nemmeno come il più piccolo fosse
riuscito ad avere quell’informazione.
Si
trattenne appena dal colpire il ragazzino sulla testa nel tentativo di
riprendere un contegno. Tart ridacchiò prima di accorgersi che doveva davvero
portare Avanti la conversazione. Questo portò inevitabilmente ad un tono più
leggero della voce dato che la sua attenzione si mosse su un argomento più
serio.
“Allora…uh…stai
bene veramente?”
L’irritazione
di Ghish scomparve immediatamente, e lui si concesse un piccolo sorriso
nell’oscurità.
“Sì”
Eh.
E’ solo per questo che è venuto, per vedere se stavo bene? Stupido
piccolo…
In
realtà però, era contento, persino toccato in qualche modo, se avesse potuto
ammetterlo, dal fatto che Tart fosse in effetti venuto per una visita. Non aveva
davvero pensato al piccolo alieno durante il tempo passato in casa di
Strawberry, ma ora che il ragazzo gli stava davanti, si accorse che gli era
mancato (anche se sembrava un infantile, piagnucoloso figlio del diavolo certe volte… specialmente quando
si trattava di stuzzicare Ghish riguardo la sua infatuazione per
l’umana).
Per
quanto potesse essere fastidioso, Tart era un buon compagno quando
voleva.
Come
adesso,
presuppose Ghish, sopprimendo una breve risata al pensiero. Poi, cercando di
interrompere in qualche modo lo strano silenzio imbarazzante che si stava
posando tra di loro, ed uno sguardo un po’ a disagio stava prendendo possesso
del piccolo volto di Tart (forse si sentiva un po’ nervoso per il fatto di
trovarsi nella casa della ragazza-gatto?), aprì la bocca per
proseguire.
Tart,
comunque, lo batté sul tempo, e ciò che uscì dalla sua bocca fece gelare
totalmente il sangue nelle vene di Ghish per un momento.
“Quando
torni a casa?”
Ok.
Quindi forse il ragazzo più giovane non era esattamente preoccupato per il fatto
di trovarsi nella casa della Mew Mew. Forse era più preoccupato riguardo a cosa
sarebbe accaduto quando avrebbe posto quella domanda.
E giustamente.
Ghish
si irrigidì, gli occhi che si stringevano inconsciamente mentre le parole gli
morivano in gola.
Era
strano, in effetti, il sentimento che stava sperimentando in quel momento. Si
era aspettato un po’ di rabbia verso il ragazzo per avergli chiesto quello,
forse un po’ di rabbia per Pai, che non era nemmeno lì, ma che poteva essere da
incolpare in qualche modo per buona parte di quella dura
prova.
Di
sicuro furia al pensiero di tornare
dove si trovava Profondo Blu, quella creatura che l’aveva condannato a morte, a
lasciare le uniche due persone che si sarebbero prese cura di lui e a vagare per
le strade fino a quando la morte non avesse deciso di
rivendicarlo.
Eppure...
tutto quello che si trovava a provare era un’eco della nauseante paura con cui
lui e Strawberry si erano trovati a fare i conti.
Borbottò
piano, e Tart attese, diventando teso, una qualche sorta di risposta
comprensibile.
Dopo
alcuni istanti, Ghish sospirò.
“Io—”
Sorprendentemente,
dovette sforzarsi solo fino a lì. Tart era un ragazzino sveglio. La sua reazione fu istantanea.
“Ma devi tornare! Pai—”
All’udire
quel nome, Ghish si rabbuiò, anche se solo un po’, ed il cambiamento improvviso
sottrasse la voce a Tart che si interruppe a quella vista.
“Pai cosa?”
Per
alcuni secondi, Tart tenne la bocca fermamente serrata, una paura improvvisa
alla reazione di Ghish, anche se era in qualche modo da aspettarsi, gli inondò
la mente. Mentre l’altro ragazzo manteneva il suo sguardo torvo, le difese
dell’alieno più giovane cominciarono ad infrangersi, e lui improvvisamente si
lasciò sfuggire tutto quello che l’aveva preoccupato negli ultimi due
giorni.
“Ha
detto… ha detto che puoi tornare! Ha detto che Profondo Blu te lo lascerà fare,
e che tutto andrà bene, che che ci perdonerà, e—,” prese un respire tremante,
“—e che noi possiamo tornare a vivere come prima! Non è
grandioso?”
In
qualche modo, riuscì a sorridere all’indirizzo di Ghish che continuava a
guardarlo torvo. Con tutta quella disperazione, quella nausea che torci –
stomaco che gli scorreva nel corpo mentre si preparava a pregare un bel po’
l’altro ragazzo per riportare la vita alla normalità, riusciva ancora a
sorridere.
“Andiamo…
possiamo andare adesso! Posso aiutarti a teletrasportarti, se non ce la
fai-”
In
quel momento Ghish fece qualcosa che fece irrigidire Tart per lo shock
totale.
Non
gridò. Non lo colpì. Non ringhiò nemmeno.
Mise
semplicemente una mano sulla testa di Tart per fermarlo e si chinò per guardare
il ragazzo più giovane dritto negli occhi. Tart si azzittì
istantaneamente.
“Tart.
Non me ne vado.”
A
quelle parole, qualcosa nell’alieno più giovane sembrò scattare, e lui si liberò
con uno strattone dalla mano di Ghish.
“Allora
è così? Semplicemente ci abbandonerai e starai con quella vecchiaccia?
Tu—”
“Vuoi dire come Profondo Blu ha abbandonato me?” Non
voleva dirlo, per niente, ora che vedeva lo sguardo ferito attraversare in un
lampo il volto di Tart: gli era solo sfuggito, smorzato e semplicemente senza
pretese, la prima cosa che la sua mente aveva fatto apparire in risposta a
quelle parole particolari. Sentì una punta di vero rimorso quando il commento
fece sì che la voce di Tart tremasse ancora un pochino.
“Ma
sai che noi non l’abbiamo fatto… ed ora va bene! Se tornerai, andrà tutto…”
Non
era davvero da Tart perdere la calma così rapidamente, e mentre Ghish guardava
il ragazzino perdersi nel suo discorso, gli occhi luccicanti per quelle che,
Ghish si accorse, con un leggero shock, erano lacrime disperate
nell’oscurità.
Era
spaventato, Ghish pensò dentro di sé,
spaventato in un modo che Ghish non riteneva possibile.
Allora
Profondo Blu sapeva di come aveva vissuto, di come Strawberry si era presa cura
di lui.
Cosa
sarebbe successo, ora che sapeva quelle cose? Cosa diavolo aveva detto a Pai, e
cosa aveva detto Pai a Tart? Cosa potevano star pianificando l’alieno più
vecchio e quella creatura?
L’unica
cosa che Ghish poteva immaginare era che Profondo Blu aveva deciso che tutto
sarebbe stato dimenticato se lui fosse tornato, ma se non l’avesse
fatto…
Un’occhiata
a Tart lo confermò. In qualche modo, senza nemmeno una parola, senza una vera
risposta, Ghish seppe che Profondo Blu aveva insinuato che la missione, e la
probabilità di successo, la sopravvivenza
della loro gente, sarebbero crollate se lui non fosse
ritornato.
Questo,
certamente, spiegava la totale disperazione di Tart.
In
circostanze normali, forse persino se i due si fossero incontrati da qualche
parte fuori, l’angoscia di Tart avrebbe potuto spingere Ghish a tornare. Avrebbe
potuto.
Lì,
comunque, nella camera degli ospiti, Ghish poteva sentire il materasso soffice
sotto di lui, le lenzuola fresche contro la sua pelle, la federa che gli
sfiorava la mano, tutte sensazioni che gli riportarono i ricordi delle sue notti
lì, notti passate nella malattia,
ma notti passate in vera sicurezza che lui non avrebbe mai dimenticato.
Con
la coda dell’occhio, poteva vedere il suo proprio riflesso nello specchio, e
questo gli ricordò di quando aveva barato a quel gioco di società, dei molti
piccoli esempi di stupidi divertimenti che erano avvenuti in quella
casa.
Ed
accanto a lui, posate tranquillamente sul comodino, poteva vedere i suoi nastri
per capelli, e sapeva che poche ore prima, erano state tra le mani di
Strawberry, avevano sentito il tocco di Strawberry, proprio come lui l’aveva
sentito così tante volte, così tante tenere, eccitanti, fantastiche
volte…
Quell’ultimo
pensiero fissò la sua determinazione, davvero la rese definitiva, e lui interruppe il
silenzio con una voce leggera, ma decisa, una voce che risuonava di una calma
gentilezza che Tart non aveva mai visto prima in lui.
“Andremo
al caffè dpmani, per vedere quel tipo, Ryan.” Tart alzò lo sguardo su di lui,
con una sorpresa imperturbata. “E’ già stato deciso.”
“Ma…”
Tart sussurrò, trovando finalmente la sua voce, “…ma non puoi. Profondo Blu ha
detto…”
Questa
volta, Ghish non perse il controllo, né esitò. Se niente c’era, la sua voce
aveva il tono più calmo che Tart avesse mai udito.
“Dimentica
cosa ha detto. Tart, siamo arrivati da
qualche parte, davvero da qalche parte, ascoltandolo?
Abbiamo—”
“E’
solo perché—!”
Ghish
dovette ricatturare lo sguardo dell’altro ragazzo per zittirlo prima di
continuare. Mentre lo faceva, Tart si strozzò leggermente sulle sue parole,
accorgendosi all’improvviso di essere nel torto, che c’era qualcosa di sbagliato
in quello che stava dicendo…
“Non
possiamo continuare a fare questo, Tart.” La determinazione cominciò ad
insinuarsi nella sua voce, e Tart cominciò a sentire l’inflessione appassionata
del tono per il quale Ghish era così conosciuto. “E nemmeno per il fatto che non
sta funzionando, ma perché…”
All’improvviso sorrise.
Il
ricordo di Tart e Mew Paddy, che si rotolavano su un tetto, lottando l’uno
contro l’altro per una gemma senza valore, entrambi ringhiando e spingendo e
strattonando, ma nessuno dei due faceva molto per fare davvero del male
all’altro, nessuno dei due ingaggiava una vera lotta, si era bruscamente, per
nessuna vera ragione percepibile, balenò nella sua mente.
Ed
improvvisamente, Tart sembrò vedere la stessa immagine perché, non visto da
Ghish nel buio, arrossì leggermente, con lo sguardo che crollava a terra. Fu a
questo punto che Ghish si accorse di non doversi sforzare molto per convincerlo
subito.
Continuò.
“Strawberry
e Lory, quella ragazza pesce, parleranno con quel tipo domani, ed io andrò con
loro. Noi…” si fermò, prendendo un altro respiro, come se raccogliesse la forza
per dire infine le parole che riassumevano tutto, “noi pensiamo che ci debba
essere un modo migliore.”
Dopo quella frase, nessuno dei due ragazzi disse niente per
quello che parve un tempo lunghissimo, eppure, mentre il silenzio passava
lentamente, mentre Tart cominciava a pensare davvero a cosa Ghish gli aveva
appena detto…
Fu il primo a parlare.
“Bene. Fai… fai quello che vuoi.” La sua voce era così
bassa, che era quasi impossibile da udire. Le sue parole fecero esitare Ghish
leggermente, lo fece quasi alzare di nuovo la voce, cercando di giustificare di
più quanto aveva detto, ma Tart proseguì.
“Solo… Io non posso… Io... Pai…”
Dannato Pai, Ghish ringhiò
mentalmente, anche mentre lanciava a Tart quello che, sperava, fosse uno sguardo
comprensivo.
“Ascolta,” cominciò, allungandosi e toccando Tart sulla
spalla per catturare la sua attenzione, “non importa. Solo, non dire a Pai dove
andremo domain, e tieniti fuori da questo. Tienitene semplicemente fuori e starai
bene.”
A giudicare dallo sguardo afflitto negli occhi di Tart, non
era molto d’accordo.
“Ghish… penso… penso che potrebbero già saperlo. Penso che
Pai lo sappia…”
Bene, la prima parte della richiesta era stata scoperta,
allora. Ghish si accigliò alla possibilità, ma la accettò altrettanto
rapidamente. Niente poteva essere fatto al riguardo. Avrebbe dovuto ricordare
alle ragazze di stare ancora più attente il giorno dopo.
“Allora stanne semplicemente fuori. Capito? Fino
a quando sarà sicuro. Allora...”
Allora, avrebbero pensato a cosa fare.
Dopo che il disastro imminente del giorno dopo fosse stato
affrontato, avrebbero deciso cosa fare con Tart.
E Pai.
Pai…
Per il momento, Ghish poté solo dare una piccolo scossa a
Tart per far sì che alzasse lo sguardo su di lui.
“Capisci?”
Finalmente, un lento, silenzioso cenno d’assenso con il
capo: l’accenno di urgenza nella voce di Ghish sembrava aver fatto breccia nel
suo compagno.
Ghish rilasciò un respiro e si appoggiò indietro,
rilassandosi.
“Bene.”
Tart, anche se rimase in silenzio per alcuni
secondi, non aveva per niente finite. Anche se il suo tono era basso, le sue parole contenevano
una gravità pesante che lo fece ascoltare da Ghish, sul serio.
“B-beh, Ghish… solo… promettimi che starai bene. Tu… tu e Pai. V-va
bene?”
Il ragazzo dai capelli verdi sbatté le palpebre.
Davvero lui… eh. Stupido ragazzino.
Ma sorrise e si avvicinò per scompigliare i capelli di
Tart.
“Sì. Certo, nanetto.”
Eppure…Pai…
Poi, così com’era venuta, la tensione sparì. Con un rapido
scatto, Tart si allontanò dalla mano tesa di Ghish, guardandolo torvo.
Guardandolo torvo, ma con un’espressione addolcita,
rilassata.
C’era una luce più felice nei suoi occhi marroni.
“Ti ho detto di smettere di chiamarmi così!”
Ghish fece un sorrisetto.
“Ma “piccoletto” va bene, vero?”
Persino Tart si era permesso un lieve sorriso alla
sfrontatezza del suo amico. Dopotutto, gli era mancata, gli erano mancate le sue
canzonature, ogni fastidioso pezzettino. Peccato che se ne dovesse andare così
presto…
Ma ora che ci pensava un po’ di più, sarebbero stati
entrambi più al sicuro se lui se ne fosse andato. Non c’era bisogno di far
sapere a Pai che si trovava lì.
Il più grande aveva già messo abbastanza in chiaro che se ne
sarebbe occupato lui di far tornare Ghish. Eppure, Tart aveva sperato che la sua
visita avrebbe raggiunto il suo amico più rapidamente di ogni futuro tentativo
di Pai.
Strano, come si sentisse felice che non l’avesse fatto.
Nonostante il pericolo che, sapeva, sarebbe sorto presto,
quel pericolo che si stava silenziosamente preparando, sentiva che era
bizzarramente giusto,
lasciare Ghish con quelle Mew Mew, lasciarlo e confidare nel fatto che
facessero ciò che era necessario.
Sentiva che era giusto, perché Tart sapeva che Ghish aveva
ragione quando diceva che non stava funzionando.
Quello che avevano fatto fino a quel momento era sbagliato.
Se quelle ragazze si erano prese cura dell’alieno per quasi una settimana ormai,
lo avevano salvato quando i suoi stessi amici erano impotenti, allora doveva essere
sbagliato.
“Allora, il piccoletto ha intenzione di lasciarmi dormire un
po’?”
Tart abbandonò i suoi pensieri per riportare lo sguardo su
Ghish, che lo stava osservando con un mezzo sorriso furbetto, in attesa,
ovviamente, di una reazione.
Ma non solo di quella. Tart vide rapidamente che era serio
nonostante quella battuta, e questo era perfettamente logico. Prima il più
piccolo se ne andava meglio era.
“Ha! Come se volessi stare in casa della vecchiaccia!”
Prima che Ghish potesse ribattere (probabilmente con qualche
secca replica in difesa di Strawberry), Tart era sparito.
Il ragazzo sbuffò e si giro dall’altra parte, spegnendo
nuovamente le luci e tirando su le coperte.
Un sorriso, piccolo, leggermente incerto, eppure presente, giocava
sulle sua labbra quando lui si addormentò.
La mattina successiva, Strawberry e Lory lasciarono che
Ghish dormisse di più mentre facevano colazione in cucina.
Naturalmente, Lory aveva dovuto convincere gentilmente
l’altra ragazza a farlo: Strawberry non poteva capire perché quel pigro di un
alieno non potesse trascinarsi fuori dal letto ed avere la decenza di unirsi a
loro per colazione.
In effetti, nemmeno Lory lo sapeva davvero. Aveva solo una
sensazione: si ricordava di essersi svegliata ad un certo punto della notte e di
aver pensato di udire delle voci provenire dall’altra stanza.
Beh, poteva essersi trattato della sua immaginazione.
Probabilmente era così.
Ma sentiva ancora che Ghish poteva dormire un pochino di
più. Solo per questo.
Perciò, trattenne Strawberry dal salire le scale fino alle
11:30. Dopo quell’ora, la ragazza gatto non poté più essere trattenuta e quasi
saltò per le scale, brontolando qualcosa riguardo quanto quel pigro di Ghish
sarebbe andato d’accordo con quel meravigliosamente pigro di Ryan: entrambi le avrebbero
fatto pulire il caffè da sola.
Lory la guardò tornare di sopra con un sorriso
inevitabile.
Buffo, come considerasse quelle lagnanze un pensare in modo
effettivamente costruttivo.
Al piano di sopra, Strawberry bussò piano alla porta di
Ghish, aspettò un secondo scarso, poi batté piuttosto forte.
“Oi! Sei già sveglio?”
Beh, se non lo era prima, di certo doveva esserlo in quel momento.
Allora perché non otteneva risposta?
Borbottando, Strawberry decise che era il momento di fare
un’entrata coraggiosa senza invito nella stanza: non era che avessero del tempo
da perdere, comunque.
Prendendo un respiro per calmarsi, giro la maniglia ed aprì
la porta, pronta a dare un’altra bella sgridata all’alieno…
…solo per trovare il letto vuoto.
Vuoto e, in effetti, anche rifatto in modo preciso.
“Cosa?” mormorò, camminando lentamente nella stanza e
guardandosi intorno a bocca aperta.
Ovvia domanda: dove, oh dove si era cacciato il piccolo
alieno?
La sua confusione divenne presto irritazione, dal momento
che Ghish rimaneva nascosto.
“Mah…” brontolò, mentre le sue mani si stringevano
rapidamente in pugni “Se sei già in piedi, allora vieni fuori e scendi per
colazione! Non abbiamo tempo per i tuoi stupidi piccoli—”
Invece di terminare con la parola “giochetti”, la sua frase
fu interrotta da un forte, assordante strillo.
Mentre stava parlando, aveva sentito all’improvviso un
leggero, dolce respiro contro il suo collo. Quello era tollerabile di per sé, ma
l’intenzionalmente alto “ giorno, micetta!” accompagnato da un colpetto nel
fianco proprio
dove soffriva di più il solletico decisamente non lo era.
Ruotando, arrossendo furiosamente, si ritrovò faccia a
faccia con un Ghish ghignante.
“Tu… cosa… come hai...”
Sembrava incapace di comporre una frase per intero, e allora
Ghish lo fece per lei.
“Stavo solo facendo pratica con il teletrasporto,
Strawberry.” Il suo tono innocente non fece niente per alleviare l’irritazione
della ragazza. In effetti, non stava mentendo. Negli ultimo giorni, era stato ancora troppo debole per
teletrasportarsi: anche il solo levitare per un esteso lasso di tempo lo aveva
lasciato sfinito in modo inquietante.
“Voglio dire, non ne sono stato in grado per un po’,
quindi—” cercò di continuare, solo per essere interrotto dalla ragazza che
sbuffò.
“Idiota. Potrai fare pratica più tardi, quando non dovremo andare da
qualche parte.”
Un istante più tardi, uscirono dalla stanza, con Ghish che
seguiva una Strawberry ancora imbronciata.
Beh, dal di fuori, era imbronciata. Internamente, stava
disperatamente tentando di impedire a quel broncio di trasformarsi in una
risatina ed in un rapido colpetto di vendetta (aveva imparato, ad un certo punto
durante gli ultimo giorni, che lui aveva quasi i suoi stessi punti sensibili, e
lei era diventata piuttosto brava nel colpirli quando ne aveva bisogno, o
persino quando voleva). Il ricordo del rapido bacetto della notte precedente era
di scarso aiuto, anche se lei era piuttosto sollevata dal fatto che lui si fosse
apparentemente dimenticato di farne menzione.
Fu un bene che riuscissero a raggiungere velocemente la
cucina.
Strawberry non sapeva per quanto sarebbe riuscita a
resistere a tali impulsi.
Non appena lui si fu seduto per mangiare, lei riuscì a
riprendere il contegno, ormai rassegnata ad informarlo sul piano di quel
giorno.
Questo riuscì a farla calmare molto rapidamente.
Nell’arco di pochi minuti, gli disse che Lory sarebbe andata
per prima, agendo come una sorta di calmiere verso lo spesso-esplosivo biondo,
portandolo in una delle stanze sul retro, facendolo sedere e raccontandogli la
storia lei stessa.
Lory si era offerta volontaria, sebbene con un certo
nervosismo, per farlo. La sua logica era semplice: tra loro tre, sembrava essere
la più obiettiva e distante dalla situazione (se la dolce ragazza poteva davvero
mai apparire così), e probabilmente sarebbe stata la cosa migliore se gli avesse
comunicato la notizia nel modo più gentile possibile prima che lui si trovasse
l’evidenza davanti agli occhi.
Poi si sarebbero confrontati con lui, e poi... beh, solo il
destino aveva il resto del piano sotto controllo.
Dopo di quello, avrebbero fatto i conti con ciò che sarebbe
venuto.
La ragazza gli suggerì scherzosamente di comprarsi dei tappi
per le orecchie giganti. Lui arricciò il naso in finto sdegno.
Mentre portava la sua ciotola al lavandino, l’alieno infine
parlò.
“Quando ce ne andiamo esattamente?”
“Eh… in un’ora. Lory se n’è già andata per passare dai suoi genitori prima
di andare al caffè.”
Queste parole furono seguite da alcuni momenti di silenzio,
poi:
“Allora, cosa vuoi fare?”
Strawberry sbatté le palpebre, improvvisamente conscia del
fatto di essere da sola con l’alieno in casa sua, mentre lui stava bene, per la
prima volta.
Per un attimo, si sentì sobbalzare per il caldo imbarazzo,
un calore rivelatore balenò sulle sue guance quando lei si accorse rapidamente
di cosa questo significava.
Poi, così com’era arrivato, venne meno, lasciando solo un
rosa delicate a dipingere i suoi zigomi, mentre un senso di qualcosa di simile
al sollievo la avvolgeva.
Non le importava, davvero.
No, era piuttosto felice del fatto che, prima che accadesse
una qualsiasi catastrofe, avrebbe potuto passare un po’ di tempo da sola con il
ragazzo.
E lui, nonostante i suoi commentini maligni, anche quello di
solo pochi minuti prima, aveva la stessa calma nel suo sguardo.
“Voglio,” lei cominciò, con la vergogna che cominciava a
crescere in lei “andare a sedermi?”
“Per un’ora?”
Lei sentì il suo rossore farsi più forte, ma non vi
badò.
Ecco: gli ultimi momenti in quel mondo spensierato, con quel
ragazzo strano, eppure perfettamente normale.
Quelli erano gli ultimi momenti prima che lei affrontasse le
divisioni che le poneva davanti la vita, prima che lei dovesse affrontasse la
battaglia che incombeva su di loro.
Erano gli ultimi momenti che aveva prima di andare nel mondo
esterno dove, da qualche parte, Mark la aspettava, dove quella dura prova
aspettava pazientemente il suo turno.
E mentre ricambiava lo sguardo di Ghish, seppe che lui stava
pensando la stessa cosa. Lui vedeva quella semplice breve ora nel suo stesso
modo, con quella stessa preziosità, con quella stessa irrevocabilità. Quella
concezione, posseduta sia dalla ragazza che dal ragazzo, invitava una specie di
nostalgico affetto a cadere su di loro mentre si fissavano, entrambi con la
voglia di sorridere e di piangere e, semplicemente di tornare
indietro.
Tutto quello a cui Strawberry riusciva a pensare,
improvvisamente erano quelle tre semplici parole che le sembrava fossero state
pronunciate così tanto tempo fa in quel tenero tono mellifluo: “Io ti amo.”
Tutto quello a cui Ghish riusciva a pensare era che quella
era l’ultima ora in cui quelle parole potevano governare incontrastate.
Ed entrambi stavano pensando ciò a cui l’altro stave
pensando, ed entrambi sapevano la risposta che Strawberry stava per dare mentre
due dolci, tristi sorrisi si insinuavano sui loro volti:
“Già. Un’ora.”
Alcuni istanti dopo, avevano preso posto sul divano del
salotto e Ghish aveva avvolto mollemente con le braccia la ragazza che, con
esitazione, e poi completamente, si era rilassata contro la sua spalla
buona.
Non ci furono battute questa volta, per nulla.
Ghish non suggerì nemmeno che lei si posizionasse sul suo
grembo in modo che le sue labbra avessero un miglior accesso al suo collo.
Per Strawberry, quell’ora fu l’ultima per permettere ai
capelli di Ghish di solleticarle la fronte, l’ultima per appoggiarsi a lui ed
ascoltarlo respirare a tempo con lei, per guardarlo negli occhi e vedere che in
essi c’era il suo amore per lei, l’amore che aveva causato un così grande
cambiamento…
Per lei, fu l’ultima ora prima di doversi sorbire
l’inevitabile sfuriata di Ryan, di affrontare la fredda realtà di cosa doveva
essere fatto sia per la razza umana che per quella aliena.
Fu l’ultima ora prima di dover uscire in quel mondo… quel
mondo dove…
Era difficile credere che dopo tutto questo… non avesse
ancora deciso riguardo a Mark.
Anche se pochi minuti prima, Ghish era stato impertinente e
giocoso, Strawberry esasperata ed imbronciata, entrambi abbracciarono quel
silenzioso affetto senza esitazioni.
Non volevano che qualcosa ne andasse sprecato.
Perciò Strawberry lasciò che l’imminente confronto
scivolasse via dolcemente dai suoi pensieri, confronto che fu rapidamente
seguito da quelli che rimanevano riguardo a Mark.
Rapidamente.
Se non fosse stata fermamente concentrata sul braccio di
Ghish che l’aveva stretta n pochino di più, sarebbe stata intrigata da quanto
rapidamente aveva messo da parte quei pensieri sul suo ex- ragazzo dei sogni.
E questo cosa voleva dire? Cosa voleva dire che l’idea di
godersi quel tempo con l’alieno trionfava così facilmente sulla sua
preoccupazione riguardo la scelta?
Sembrava totalmente ridicolo, che Mark potesse essere dimenticato con così
tanta facilità in quel momento, con così tanta sicurezza….
Eppure sarebbe sembrato altrettanto ridicolo se, dopo tutto
quello che era accaduto, dopo tutti i cambiamenti che aveva provato, dopo tutto
quello che aveva imparato, avesse passato quell’ultima ora preziosa da un’altra
parte invece che nell’abbraccio sicuro di Ghish.
Ma se entrambe le opzioni sembravano possibili, se entrambi
sembravano vere, allora quale…?
Non lo sapeva. Non lo sapeva e non ci stava nemmeno pensando, perché era
troppo occupata a seguire il dito magro di Ghish mentre tracciava una delicate
traiettoria lungo il suo braccio.
All’improvviso, mentre osservava quel gesto, ebbe quella che
le parve la più grande epifania di tutta la sua vita.
Non se lo sarebbe mai dimenticata.
Sembrava strano, perché l’aveva già detto a Ghish e a se
stessa. Aveva già insistito sul fatto che non se ne sarebbe mai dimenticata, ed
era sincera, e questo era stato una grande cosa per entrambi.
Eppure, quel pensiero la colpì così forte che, per un
attimo, si trovò a trattenere il respiro.
Da quella notte in cui si era trovata costretta ad aiutarlo,
fino a tutto quel tempo passato a confortarlo, dolcemente, teneramente, con amore, fino a
quei momenti di sorprendente realizzazione, di bruciante umiliazione, di
bellissima scoperta, e di paralizzante tristezza che avevano portato alla
confessione che, lei sapeva, sarebbe dovuta arrivare molto prima, Strawberry
sapeva che niente sarebbe stato dimenticato.
Non da lei, o da Ghish, o persino da Lory.
E… ed il suo amore, un amore la cui esistenza non poteva più
mettere in dubbio, perché lo sentiva così completamente in quel momento, non
avrebbe potuto essere dimenticato, o ignorato, o sepolto.
Era fatta.
Fatta, fatta, fatta, non sarebbe mai stata distrutta,
non importava quello che sarebbe accaduto.
“Ghish.”
Si spostò, sollevò la testa dalla spalla del ragazzo per
guardarlo, un improvviso bisogno di condividere quanto aveva capito, solo per
vederlo donarle uno dei suoi rari dolci sorrisi, uno totalmente privo di accenni
a canzonature o alla sua usuale stravaganza.
“Nemmeno io,” mormorò lui, perché sapeva cosa aveva
pensato lei, e tutti quei sentimenti che erano infuriati nella ragazza, avevano
colpito anche lui.
Ed ora Strawberry si sentiva come la notte precedente, prima
di dargli quel bacio leggero: completamente grata, senza nemmeno pensare ad
esitare, che quelle orbite dorate che la guardavano con una luce così diversa
dal suo solito sguardo malizioso, le facessero sapere che lui era più che
sincero, più che certo di quanto le voleva bene.
Lei sapeva che nemmeno lui avrebbe mai dimenticato, e questo
rese la consapevolezza che avevano circa cinque minuti per prepararsi molto più
facile da accettare.
“E’ ora di andare,” azzardò piano, sedendosi.
Quel sorriso si trasformò in uno di quelli ampi del ragazzo,
che rise appena, chinandosi in Avanti e dandole un bacetto sulle labbra,
ricambiando il favore della notte precedente, nella sua versione di una
spontanea manifestazione di gratitudine.
La ragazza arrossì profondamente, accorgendosi, dopo aver
colto la dolcezza che brillava nella giocosità dei suoi occhi, che quello voleva
dire che lei aveva appena fatto ciò che lui aveva fatto per lei la notte
prima.
“Fai strada,” le rispose il ragazzo, e lei lo fece.
Sempre leggermente rosa alla vista del sorriso del ragazzo,
che si stava inesorabilmente trasformando in un sorrisetto compiaciuto mentre
lasciavano (almeno per il momento) quella tenera atmosfera alle loro spalle,
Strawberry cominciò a raccogliere rapidamente i vari oggetti di cui avrebbero
avuto bisogno per la loro impresa fuori di casa: giacche, guanti, e scarpe e
simili e, nel giro di pochi minuti, si trovò impegnata a dare a Ghish la sua
prima lezione sull’abbigliamento adatto per l’inverno.
Nell’arco di quegli stessi minuti, il suo sorrisetto si era
dissolto in una serie di nervosi “oi” e di insoliti balbettii mentre la ragazza,
improvvisamente presa in un momento do abituale, sciocco entusiasmo, avvolgeva
con impegno diverse sciarpe intorno al suo collo, infilava le sue lunghe
orecchie in vari cappelli, e lanciava ogni giacca su di lui almeno una, se non
due volte. Questo andò avanti per un po’ prima che l’alieno potesse riprendere
il controllo.
“Oi, Strawberry… Pensavo che la parte difficile dovesse
arrivare più tardi!” Il suo tono scherzoso la fece
accigliare.
“Se pensi che usciremo (la ragazza non vide che il suo
sorriso si era allargato di più a quelle parole) senza che tu
indossi—”
Lui ridacchiò. “Non pensi che prima dovrei mettermi i miei
soliti
vestiti?”
Ah… lei sbatté le palpebre, accorgendosi solo in quell
momento che lui era ancora in pigiama.
Il ragazzo levitò su per le scale ridacchiando, con una
seccata ragazza – gatto che lo fissava con aria irata.
E non così irata. Dopo tutto, stava facendo molto per allentare la tensione, e
lei se n’era effettivamente accorta.
La fece sorridere, anche mentre batteva il piede con
un’impazienza infantile.
Cinque minuti dopo, il ragazzo ritornò, vestito di un
semplice maglione nero a collo alto ed in un paio di jeans, provenienti
ovviamente dal guardaroba di suo padre. Più tardi avrebbe dovuto trovare una
spiegazione al riguardo, per quello e per la giacca ed i guanti che gli lanciò.
Anche quelli erano di suo padre.
Dopo un po’, Ghish smise finalmente di giocherellare con i
guanti, che lui riteneva un po’ fastidiosi, e rimase fermo davanti alla
ragazza, la giacca appena più grossa, le mani leggermente nascoste dalle maniche
troppo lunghe, ma che sembrava abbastanza a suo agio come ci si sarebbe potuti
aspettare da qualcuno abituato ad andare in giro con il punto vita scoperto.
“Penso che vada bene…” mormorò Strawberry, guardando
attentamente il ragazzo con un’aria esaminatrice che, stranamente, fece sentire
Ghish un po’ a disagio. Improvvisamente, lei sorrise, mettendo a posto
l’ultimo pezzettino del completo.
Con una risatina non soffocata, fece un passo indietro per
ammirare il suo operato.
Ghish la guardò torvo, con un broncio fermo al suo posto, da
sotto il cappuccio della giacca.
“Che c’è? Ti copre le orecchie!”
Ed era vero.
“Mi fa sembrare un idiota…”
Beh… anche quello era vero.
“Allora suppongo che tu invece voglia il cappello?”
Strawberry sorrise radiosa, Con uno sgargiante cappello rosso tra le mani,
complete di pom-pom, che… diciamo semplicemente che Ghish non voleva che la sua
testa rappresentasse il Natale in quel giorno particolare.
Si sarebbe tenuto il cappuccio.
“Mi devi un bacio per questo, lo sai, vero?”
“Ti piacerebbe.”
Si sarebbe teletrasportato dietro di lei, l’avrebbe
abbracciata, avrebbe raccolto la sua piccolo sfida, ma sapeva che avrebbe dovuto
aspettare.
Avevano appena avuto il loro dolce momento di tranquillità:
avrebbero dovuto faticare per il prossimo.
Il pensiero lo calmò abbastanza da obbligarlo a risponderle
con un semplice sorrisetto, e Strawberry se ne accorse immediatamente. Finì come
un silenzioso promemoria del fatto che dovevano andare, e lei fece proprio così
senza sprecare altro tempo, senza dare alla paura un’altra possibilità di fare
breccia in loro.
“Andiamo” disse, con più allegrezza di quanta sentisse
veramente, un sorriso troppo largo le illuminava il volto. Detto questo, andò
alla porta, seguita dal ragazzo, afferrando la maniglia con la mano destra che
tremava leggermente, e…
… sentì qualcosa stringerle dolcemente la mano
sinistra.
Si voltò per incontrare gli occhi Dorati di Ghish e, un
nanosecondo dopo, le sue labbra.
Si premettere sulle sue, calde, morbide, non troppo rudi e
aggressive come quando l’aveva baciata per la prima volta, il giorno in cui si
erano incontrati, o persino quando, negli ultimi giorni, gli era capitato di
rubarle un bacio giocoso.
Ora erano dolci e teneri come quando lui aveva…
E come quando lei aveva…
Alla fine lui si scostò, quella passione che lei era ormai
arrivata ad aspettarsi dall’alieno brillava nei suoi occhi, le sue labbra erano
incurvante in quel sorriso un po’ malizioso, un po’ malinconico.
Il ragazzo non disse niente, perché sapeva che lei lo aveva
perfettamente capito:
Solo un’ultima volta, no?
Neanche Strawberry parlò.
Tutto quello che fece fu permettere alle sue labbra di
copiare il suo sorriso prima di rispondere alla sua stretta.
L’ultima volta?
Forse… forse no.
Fu tutto ciò di cui ebbero bisogno per trovare la forza per
uscire di casa ed incamminarsi verso il Caffè Mew Mew.
Verso l’incertezza.
Se ne andarono con una muta convinzione nei loro passi.
Erano a metà strada, secondo l’incerta, nevrotica attenzione
di Strawberry per i segnali stradali.
Avevano camminato per il quarto d’ora previsto, in silenzio
per un po’, permettendo alla preoccupazione ed all’ansia di fare lentamente
breccia in loro, cosa che aveva solo portato a minuti di una conversazione
dapprima nervosa e poi progressivamente più facile, mentre si sforzavano di
calmarsi l’un l’altro. Aveva funzionato abbastanza bene, e, a quel punto, si
trovavano nella parte di conversazione dove Strawberry stava cercando di
decidere se essere esasperata dall’evidente ignoranza del ragazzo riguardo gli
ornamenti per giardino a forma di fenicottero, o divertita dai suoi tentativi di
alleggerire la tensione, quando le risatine morirono nella gola di Ghish, ed il
sorrisetto gli scivolò via dal volto.
L’effetto era molto simile a quello di un coniglio che ha
improvvisamente fiutato un predatore e, all’inizio, Strawberry ebbe la bizzarra
idea che o Ryan o, e questo pensiero l’avrebbe messa molto più a disagio se
avesse avuto il tempo di concentrarcisi, Mark fossero in agguato dietro un
albero o un cespuglio. Quell’impressione la lasciò presto quando la logica si
sforzò di far udire la sua voce, e lei si rivolse al ragazzo.
“Ghish? Cosa--?”
“Shh.”
Per tutto il tempo in cui l’aveva conosciuto, era
suonato così autoritario, così insistente una volta: quando l’aveva minacciata
di morte se non l’avesse scelto come amore della sua vita. Era stato giusto prima del suo collasso, il collasso che
aveva dato inizio a tutta quella storia.
Era stata l’unica volta in cui la rabbia e la disperazione
ed il terrore si erano combinati e l’avevano spaventata, sia di lui che… che per lui, si era
accorto dopo.
Ora, la tensione nell’aria era un’eco di quel
momento. La ragazza si zittì ubbidientemente, con gli occhi sbarrati
per lo strisciante terrore, mentre Ghish guardava bruscamente verso il cielo.
Anche i suoi occhi si sbarrarono ed il ragazzo digrignò i denti e strinse i
pugni.
Stava succedendo, così come Tart aveva suggerito.
Lui era lì.
Lì.
In quel momento.
Ghish provò tre cose in quel momento: rabbia, una fitta
acuta di dolore, ed una quasi disperata premura di portar via la ragazza da quel
posto.
Era troppo tardi per fare qualsiasi cosa riguardo la terza
opzione. Poteva già vedere le increspature
nell’aria…
Con il tempo rimasto, non poteva nemmeno spingere la ragazza
tra alcuni cespugli.
Perciò, Ghish fece l’unica cosa che poteva fare.
“Resta qui, non parlare e tienti pronta a combattere o a
scappare.”
Lei assunse un’espressione confuse, con tanto di occhi
sbarrati.
“Ma, Ghish—”
Troppo tardi. Stava già levitando rapidamente verso l’alto, così
rapidamente che lei non poteva nemmeno allungarsi per afferrargli una mano nel
tentativo di fermarlo. Verso l’alto volava, verso…
Finalmente, gli occhi umani di Strawberry videro quello che
i suoi da alieno avevano percepito alcuni preziosi secondi prima. La ragazza
boccheggiò.
Non stava più volando verso quella che sembrava aria
vuota.
Si stava muovendo per andare incontro a Pai
No…
L’alieno più grande galleggiava tranquillo (ingannevole, pensò
Strawberry) sopra di loro, con i suoi occhi violetti duri come l’acciaio che
seguivano il progredire del suo compagno e Ghish si fermò quando si trovò
proprio di fronte a lui.
Nessuno aveva un’espressione davvero identificabile, anche
se Ghish sembrava star cercando di lanciare a Pai il suo tipico sorrisetto. Se
voleva farlo per dare all’altro alieno una qualche idea di normalità, o solo per
infastidirlo, Strawberry non poteva dirlo. Qualunque fosse, anche sotto lo
sguardo paralizzante di Pai, il ragazzo ci riuscì. I suoi denti brillarono nella
poca luce smorta del sole che riusciva a passare attraverso il cielo coperto di
nuvole prima che lui pronunciasse un saluto che sembrava abbastanza normale:
“Ehi, Pai.”
Usò il suo solito tono gioviale, permise alla familiare
scintilla di giocosità divertita di brillare nell’oro profondo dei suoi occhi
mentre aspettava che l’alieno dai capelli viola gli desse una qualche sorta di
risposta.
Qualunque cosa facesse, però, comunque si comportasse, aveva
già anticipato la reazione dell’altro ragazzo. Ghish poteva sentire il pericolo. Aveva passato abbastanza tempo con Pai per sapere quando era
semplicemente il suo solito serio se stesso e quando il suo comportamento era
effettivamente minaccioso ed arrabbiato sotto la sua serietà.
Questa volta includeva, purtroppo, la seconda opzione, e
mentre Ghish sosteneva lo sguardo dell’altro, un unico grande pensiero correva
nella sua mente.
L’alieno più grande stava per attaccare. Non sapeva come, in
qualche modo, avrebbe attaccato quel giorno. E Strawberry si trovava proprio lì,
proprio lì senza le altre Mew Mew a proteggerla…
A cose normali, sarebbe stato felicissimo di balzare in sua
difesa, ma a dire il vero, mentre guardava il ragazzo davanti a lui, si accorse
di un fatto assai importante, ovvero che Pai era al Massimo della sua condizione
fisica e sembrava davvero determinate a fare qualsiasi cosa avesse in mente.
Ora, Ghish aveva un ego di una certa dimensione,
ma non si sarebbe ingannato. Era stato molto malato ed anche se era generalmente sano e
certamente abbastanza in forma da potersene andare in giro, non era nelle
condizioni di intraprendere un’ardua battaglia con Pai.
Eppure… doveva proteggere la sua preziosa gattina, no?
Con quel pensiero che combatteva stoicamente contro la paura
istintiva, Ghish mantenne la sua posizione.
Allora, Pai fece qualcosa di piuttosto inaspettato.
Sorrise.
Non era un grande sorriso, e nemmeno uno particolarmente
caldo, ma spiazzò il ragazzo dai capelli color smeraldo, e la sua espressione
noncurante vacillò solo per un istante quando l’altro, sollevando leggermente il
mento e lanciando a Ghish una sorta di sguardo imperioso, rispose.
“Sembri migliorato.”
Trappola. Stava cercando di attirarlo in una trappola.
Doveva essere così, con quella scintilla indiscernibile nei suoi occhi, con
quello strano sorriso, quelle parole ingannevolmente tranquille. Ghish lo
sapeva.
Ma non mostrò di saperlo.
“Certo,” sorrise, “grazie alla mia gattina.”
Con la coda dell’occhio poté vedere Strawberry irrigidirsi
quando si sentì menzionata.
Davanti a lui, comunque, vide qualcosa che lo preoccupò di
più. Ovviamente, non appena aveva menzionato la ragazza gatto, i muscoli di Pai
si erano tesi. Una nuova espressione, una più crudele, si era insinuata nei suoi
occhi un po’ stretti mentre l’atmosfera cambiava improvvisamente in peggio.
Aspetta… aveva provato a fare qualcosa?
Ghish sbatté momentaneamente le palpebre, un po’ confuse.
Parlando normalmente, sorridendogli in quel modo strano, aveva cercato, forse,
di convincerlo pacificamente, aveva cercato di evitare quel confronto che il
ragazzo più giovane aveva atteso dall’attimo in cui aveva visto l’aria
incresparsi?
Forse…
Ma non importava. Anche se avesse voluto riprendere Ghish
pacificamente, il ragazzo non poteva, non sarebbe andato. La reazione di Pai alla parola
“gattina” gli disse rapidamente che i suoi sentimenti verso gli umani, anche
dopo ciò che Strawberry aveva fatto, ciò che Lory aveva fatto, anche proprio
davanti a lui, non erano cambiati.
Non importava quali fossero le intenzioni dell’alieno dai
capelli viola, Ghish sapeva di non poterle accettare.
Doveva restare con la sua Strawberry, non importava cosa
sarebbe accaduto tra loro più avanti. D’accordo, Ryan poteva imporre una qualche
catastrofe sopra di loro, oppure Mark… beh, non voleva nemmeno pensare a Mark,
ma se si fosse arreso in quel momento, se si fosse arreso la sera prima con
Tart, non ci sarebbe stato modo di vedere se il loro amore appena nato sarebbe
sopravvissuto ad una qualsiasi di quelle cose.
Era il momento di andare.
“Beh, se questo è tutto, allora penso che io e Strawberry
dovremmo andare. Mi dici sempre che la puntualità è importante…”
Ovviamente, non fu così fortunato.
Il ragazzo non provò nemmeno a voltarsi: sapeva che sarebbe
stato fermato.
“Togliti quelle cose ridicule di dosso e vieni con me”
Dannazione. Si era aspettato una cosa così brutale ed improvvisa,
comunque.
Un piano… aveva bisogno di un piano…
Perciò, si fermò.
“Oh… ma Pai, sono così caldi e—”
Dietro e sotto gli alieni, Strawberry stava cominciando a
tremare di paura.
E allora il tempo del ragazzo finì.
Pai tirò il primo pugno.
A dirla tutta, Ghish non se l’era aspettato, non così rapido
e violento, e l’unico motivo per cui riuscì a schivarlo fu perché Strawberry
gridò il suo nome non appena i suoi occhi individuarono la leggera contrazione
dei muscoli del braccio di Pai.
Hmph. Forse gli occhi umani non erano così inutile, dopo
tutto.
Dannazione…
Non aveva più tempo per pensare. Ghish assunse rapidamente
la sua posizione di battaglia, digrignando i denti quando si accorse che la
giacca stava ostacolando i suoi movimenti. Aveva bisogno di tutta la velocità
possibile. Mentre Pai si preparava per un altro pugno, Ghish armeggiò
freneticamente con la sua cerniera.
Di nuovo, Pai lo avrebbe colpito facilmente, se il più
grande non fosse stato distratto dal grido acuto “Mew Berry Metamorfosi!”
La breve mancanza di attenzione fu lunga abbastanza per
permettere a Ghish di scuotersi di dosso la giacca pesante, la quale ricadde a
terra con un colpo secco, a poca distanza dall’appena trasformata Mew Berry.
“Strawberry!” gridò Ghish, con gli occhi concentrati
esclusivamente su Pai, “Vattene da qui! Corri al caffè, e—“
“Cosa? E lasciarti? Vuoi che ti riprenda?”
“Non lo farà! Starò bene, lo giuro, solo—”
“Sono sorpreso che tu sia così stupido da
sottovalutarmi.”
E in quel momento, Ghish fu costretto a bloccare una raffica
di pugni forti e rapidi quando Pai volò contro di lui, rilasciando la sua
energia in una attacco che, quando fu evitato con successo dall’altro alieno, lo
lasciò ansimante.
Pai sorrise.
A cosa normali, Ghish non si stancava così facilmente. Ma
ora… sarebbe stato un gioco da bambini.
O lo sarebbe stato, se una certa ragazza con le orecchie da
gatto non
avesse deciso di rivolgere il suo attacco contro di lui.
“Fiocco di luce!”
Dovette scartare rapidamente di lato per evitare il raggio
di luce.
La distrazione dette anche modo a Ghish di riprendere fiato
e di evocare i suoi tridenti. Dopodiché si menò fendenti a Pai con le sue spade,
colpendo il più crudelmente possibile mentre Pai si scansava a destra e a
sinistra, fuori dalla loro portata, digrignando i denti infastidito, non perché
fosse difficile (i colpi e gli affondi di Ghish erano più lenti, più deboli del
solito), ma perché sapeva che la ragazza era appena balzata alle sue spalle.
Poteva sentire una leggera brezza sulla schiena mentre lei cercava di colpirlo
con la sua arma, tagliandolo leggermente prima che lui si teletrasportasse via
da dove si trovava in mezzo a loro.
Bruciò solo un po’, se ne rese conto quando riapparve alcuni
metri più lontano. Gli disse anche una cosa:
Doveva innanzitutto distruggere la ragazza.
Perciò, Strawberry non ebbe il tempo di chiedere a Ghish se
stesse bene, o se avesse un piano, o come avrebbero dovuto coordinare i loro
attacchi. Pai la raggiunse rapidamente mentre lei apriva la
bocca.
Ghish ebbe appena il tempo di gridare che Pai lo superò in
volo ed agitò il suo ventaglio, lanciando colpi e ventate taglienti alla ragazza
che boccheggiò, cercando disperatamente di evitarli.
Doveva stancarla. Se l’avesse stancata abbastanza, avrebbe
potuto lanciarle uno dei suoi attacchi più potenti ed ucciderla con un colpo
solo. Poi, avrebbe tramortito Ghish e…
E poi…
Pai mise da parte quei pensieri e dette una forte gomitata a
Ghish che si era avvicinato in fretta con un grido furioso per cercare di
aiutare Strawberry a lottare contro il suo vecchio compagno, poi tornò a
colpirla senza pietà con dei pugni mentre l’altro alieno era stato spinto
indietro.
E poi...
Sbatté il ventaglio contro il petto della ragazza, con
forza, lanciandola in aria con un moto a spirale, su, su, con lei appena
cosciente, poteva dirlo, a causa del colpo pesante.
Perfetto. L’aveva praticamente resa inoffensive, l’aveva
immobilizzata.
“Strawberry!”
Sì. A giudicare dal puro terrore nella voce di Ghish. Dal
modo in cui cercava disperatamente di ferire Pai con le sue spade, solo per
essere nuovamente respinto con i muscoli troppo deboli per tenere testa al più
grande, aveva la ragazza in pugno.
Pai prese la mira…
“Fuu Rai—”
…e si ritrovò con il ventaglio strappato via dalla sua
mano.
Fissò il salvatore, senza parlare.
Anche Ghish lo fissò con un’espressione ugualmente
stupita.
Il Cavaliere Blu strinse le palpebre e brandì
minacciosamente la sua spada, prima di sferrare un colpo possente, colpendo Pai
al fianco e mandando l’alieno ancora stupito a sbattere contro il tronco di un
albero.
Per alcuni istanti, nessuno si mosse. Pai si rimise
lentamente in piedi, ancora confuso, elaborando ciò che era appena accaduto.
Il Cavaliere Blu spostò lentamente lo sguardo su di lui, poi
su Ghish.... fissò soprattutto Ghish, i suoi occhi avevano una luce strana, la
sua espressione era imperscrutabile.
Kisshu lo fissò di rimando con la stessa confusione, lo
stesso stupore.
Eppure, fu lui a rompere per primo la paralisi.
Quando lui ed il Cavaliere Blu alzarono lo sguardo e si
accorsero che Strawberry, inerme e di certo quasi priva di conoscenza, aveva
cominciato la sua discesa verso il basso, fu proprio lui il primo a balzare in
avanti, gridando nuovamente con voce strozzata il nome della ragazza, solo per
essere seguito da vicino dal Cavaliere Blu, mentre cercava di volare da lei.
Così, Strawberry aprì gli occhi e vide, ad una strana
angolatura che dapprima la confuse, perché stava cadendo, due forme, una
vagamente nera, l’altra di un blu brillante e deciso, che venivano verso di
lei.
Nyugh… cosa… dove…
E improvvisamente, riconobbe la sfocata figura blu con lo
stesso stupor che avevano provato gli alieni.
Il cavaliere Blu!
Poi però, altrettanto improvvisamente, con un’incredibile
ferocia, un altro pensiero invase la sua mente, e ci rimase.
Ghish! Dove… dov’è lui?
Si augurò, senza nemmeno preoccuparsi del fatto che stava
cadendo, di poter vedere meglio, solo per trovarlo, solo per vedere dov’era…
Ma quelle due forme sfocate si stavano avvicinando sempre di
più.
E per un istante, si preparò ad atterrare tra le braccia del
Cavaliere Blu, si preparò a sentire le sue braccia forti e sicure avvolgersi
intorno a lei, che avrebbe afferrato il suo collo, e poi l’avrebbe portata in
salvo.
Atterrò tra un paio di braccia, questo era certo, ed
abbracciò un collo, e sentì una presa forte stringerla, ma…
Non era il Cavaliere Blu...
Poteva nuovamente vedere bene, ed il Cavaliere Blu stava
ricadendo, stava ricadendo al suolo, e stranamente… cosa? Stava vedendo bene?
Aveva un’espressione stranamente pacifica, serena, quasi soddisfatta sul suo
volto, e quando lei lo guardò, chiedendosi cosa ciò significasse, poté giurare
di averlo visto dire qualcosa…
E mentre pensava di aver visto le sue labbra muoversi, sentì
che chiunque la stava tenendo si era irrigidito, e solo allora si accorse che si
stava strofinando contro il tessuto della maglia a collo alto di suo padre.
“Ghish…” Il suo sussurro era ancora flebile, debole mentre
lei cercava di ritrovare la voce, ma lui lo udì comunque.
“Resisti Strawberry, ti ho presa…” Ed anche se la sua voce
era strana, solo un briciolo troppo bassa (perché si era irrigidito, proprio in
quel momento, quando aveva pensato…), la teneva stretta e con sicurezza.
Fu allora che si accorse di una cosa, mentre accettava
l’idea che lui l’aveva afferrata quando, per qualche motivo, il Cavaliere Blu
aveva fallito.
La sua presa era diversa da quella del Cavaliere Blu. Era
più rude, più stretta. In qualche modo le rendeva difficile respirare a dovere,
le faceva persino un po’ male, dato che le sue braccia la stringevano forte al
petto, più vicina a lui, il più vicina possibile…
Eppure sapeva, nel suo stato semi-cosciente, che lui la
stava tenendo così stretta perché era stato pietrificato dall’idea di perderla.
Sapeva che la sua presa cruenta simboleggiava semplicemente quanto
appassionatamente la amasse, quanto pazzamente terrificato fosse stato quando
l’aveva vista cadere nell’aria come un’inerme bambola di pezza, quanto
disperatamente l’avesse volute proteggere da quello. Poteva sentire ognuna delle
sue dieci dita premere individualmente nel suo braccio, nella sua spalla e nella
sua gamba, ognuna provocava una forte pressione, ognuna forse abbastanza forte
da lasciare un segno, un livido.
Strawberry si accorse improvvisamente, all’istante che, se
si fosse svegliata l’indomani, trovando lividi simili a decorarle le gambe, non
le sarebbe importato. Non le sarebbe importato perché sapeva da dove venivano,
perché erano lì.
Sapeva che erano stati generati dalla forza del suo amore,
del suo bisogno di tenerla al sicuro, e…
…Ichigo si sentiva al sicuro.
E perciò avvolse le sue braccia intorno al collo di Ghish
con la stessa fiducia, la stessa sincera gratitudine con cui si era sempre
attaccata al Cavaliere Blu.
Fu così che i due atterrarono con delicatezza.
Il ragazzo la mise giù con attenzione, e lei lo lasciò
andare. Per alcuni secondi, entrambi si guardarono intorno per un qualsiasi
segno di Pai o del Cavaliere Blu, ma tutti e due erano scomparsi dallo
spazio.
Dopo questo, Strawberry fu la prima a parlare.
“G-Ghish, io—”
“Stai bene?” la ragazza annuì subito, perché la voce con cui
lui parlò era così seria, che lei si rese conto che lui domandava immediatamente
una risposta.
Non appena gliela ebbe data, il ragazzo sembrò rilassarsi, i
muscoli tremanti si rilassarono e la bocca lasciò che un sorriso sollevato gli
incurvasse le labbra, gli occhi perdevano il loro essere sbarrati e ritrovando
il loro scintillio.
“Bene. Allora possiamo andare.”
“Andare? Sei pazzo? Hai appena…Pai ti ha quasi…” il suo
scoppio fu interrotto dalla dura occhiata di lui.
“Esattamente. Lui sa. Se Pai sa, allora Profondo Blu sa, e
questo vuol dire che non possiamo esitare di più, Strawberry! Dobbiamo andare adesso.”
“Ma… ma Ghish…” ancora una volta, i suoi occhi dorati la
zittirono.
Oh, ma quanto disperatamente lei avrebbe voluto fermarsi per
un secondo, solo per un momento, ed assimilare il fatto che Pai aveva appena
attaccato Ghish, e che il Cavaliere Blu era venuto e non aveva attaccato Ghish,
e poi… poi Ghish l’aveva presa…
Perché l’aveva presa lui e non il Cavaliere Blu? Cosa era
successo? E il Cavaliere Blu…?
“No. Andiamo, dobbiamo—” lui le aveva afferrato il braccio
ed aveva cominciato a spingerla in avanti, ma lei riuscì a divincolarsi, non
seppe se grazie alla forza della sua stessa volontà o perché la presa del
ragazzo era debole dopo la lotta. Tuttavia, lui la fissò shockato.
Nonostante il fatto che potesse vedere che lui voleva davvero
andare, probabilmente scosso dal confronto con Pai, probabilmente perché pensava
a cosa ciò voleva dire riguardo a Profondo Blu e simili, lei si fermò sui suoi
passi.
“Straw—”
“Ghish, perché mi hai presa?”
Lui sbatté le palpebre, in ovvio stupore.
“Strawberry… cosa vuol dire, perché?” Lui parlò lentamente,
suonando quasi ferito. “Pensavi… pensavi che ti avrei lasciato cadere? Hai…”
Povero ragazzo. Era così stressato, che le sue parole gli
stavano facendo pensare che la ragazza stesse in qualche modo dubitando
dell’amore che era cresciuto nel corso dell’ultima settimana.
Strawberry cominciò a scuotere la testa. “No, no, Ghish, non
è questo. Voglio dire, perché il Cavaliere Blu non…” si interruppe, aspettando
che lui si ricomponesse, aspettando una risposta.
Il Cavaliere Blu…
La mente di Ghish si svuotò per un istante, poi…
Poi il ragazzo sentì una punta di sollievo, i suoi pensieri
irrazionali sul fatto che lei dubitasse dei suoi sentimenti di dissiparono, e
poi…
Si accigliò leggermente, mentre la confusione lo riempiva
nuovamente, al ricordo del Cavaliere Blu…
…e di cosa aveva detto…
“Ghish, ha detto qualcosa? Qualsiasi cosa? Ti prego?” Poteva vedere il disagio che gli
stava causando, e anche se poteva sopportarlo poco, aveva bisogno di quella
risposta, ne aveva bisogno per ragioni che non riusciva ad immaginare.
“Prendila.”
Strawberry prese un respiro, poi si fermò, le parole le
vennero a mancare, e la confusione che provava anche Ghish la riempì.
“C-cosa?”
Il ragazzo fece una pausa, prendendosi alcuni secondi per
guardare i suoi occhi brillanti.
“Ha detto, ‘Prendila. Proteggila.’ E così ho fatto.”
Senza parole.
Silenzio.
Stupore.
La ragazza si accorse che questo voleva vagamente dire
qualcosa. Quello che il Cavaliere Blu aveva detto, significava più di quanto lei
potesse comprendere in quel momento… voleva dire qualcosa per il futuro…
E anche Ghish lo sapeva. Doveva, perché lo aveva fatto
irrigidire, lo aveva fatto congelare momentaneamente, mentre la teneva. Forse
per lui…
Forse sapeva anche qualcosa di più…
Ma quello sarebbe stato per dopo. Molto dopo. In quel momento, stava annegando nel ricordo di quanto al sicuro si era
sentita in quelle braccia…
Il silenzio fu rotto quando Strawberry inspirò bruscamente,
così bruscamente che le fece male al petto, e gettò le sue braccia al collo di
Ghish, affondando il volto nel suo petto.
In quel momento, tutto ciò che importava era respirare il
profumo di Ghish, il suo fantasticamente strano profumo alieno, mentre lui, con
esitazione, sorpreso dalla sua repentinità, ricambiò l’abbraccio.
“Arigatou,” sussurrò lei, e sentì Ghish ridere, una risata
più profonda e gutturale rispetto alle sue solite risatine. Poteva sentirlo nel
suo petto.
“Te l’ho giurato, no, Strawberry?” Lei adorò il modo in cui
il suo nome suonò in quel momento, detto nei toni della sua voce, reso più bello
dalla sincerità.
Dopo alcuni respiri in più, lo guardò con un sorriso
commosso.
“Sì.”
Recuperarono la giacca ed i guanti e ripresero la loro
strada.
Note: a titolo informativo, anche se
ormai siamo al penultimo capitolo. Chi voglia contattare me, la traduttrice,
scriva all'account di Bebbe5. Avrete una risposta nel giro di un giorno. Spero
che il capitolo vi sia piaciuto.
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Capitolo 22 *** Epilogo - Tutto ciò che importa ***
Note
della traduttrice: e infine eccoci qua, l’ultimo capitolo. Quasi non mi sembra
vero. Colgo l’occasione per fare un po’ di ringraziamenti.
Grazie
ai 59 che hanno messo la storia tra i preferiti;
Grazie
ai 51che l’hanno messa tra le seguite;
Grazie
ai 7 che l’hanno messa tra le storie da ricordare.
Grazie
anche ai 3 che hanno messo l’autrice tra i preferiti.
Grazie
davvero a tutti, spero che quest’ultimo capitolo vi
piaccia.
Buona
lettura
CAPITOLO 20
Lory
stava tremando.
Lui
non aveva mai gridato contro di lei,
prima. Non aveva mai nemmeno sbottato
contro di lei, non si era mai lamentato di lei, non aveva mai fatto niente che mostrasse una qualche sorta
di dispiacere. D’accordo, aveva cominciato spesso delle litigate con Strawberry,
o aveva sgridato una delle altre ragazze (eccetto Pam: nessuno la contrariava
davvero), ma non aveva mai detto niente del genere a lei.
Perciò
in quel momento, mentre fissava il biondo con gli sbarrati con Kyle che lo
costringeva gentilmente a sedersi, mormorando frasi a caso con cui indubbiamente
sperava di calmare il suo amico, Lory tremava per il complete stupore al vedere
Ryan nel suo stato di massima ira.
Tutto
quello che c’era volute era stato un debole “G-Ghish è…”
In
qualche modo, probabilmente attraverso una combinazione della reazione della
ragazza alla sua telefonata alcuni giorni prima e del suo genio innato, e
probabilmente il nome pronunciato in un modo simile, quelle due parole,
balbettate e sussurrate, furono tutto ciò che servì, e, istantaneamente, il suo
atteggiamento cambiò da un po’ preoccupato e curioso ad uno freddo e stupito. Un
battito di cuore dopo, la ragazza si era ritrovata appena capace di respirare
mentre un’incredibile furia era entrata negli occhi e nella voce di
lui.
Non aveva mai visto quegli occhi azzurri
così offuscati da un crudele tormento…
…per
un attimo si chiese se, forse, quello era lo sguardo che aveva quando i suoi
genitori erano--
E
poi tutti quei pensieri erano spariti mentre la speranza, una qualcunque
speranza di negoziare pacificamente, era volata via, seguita all’istante da
quell’ira nascente.
“Lory.”
Sobbalzò
non per la rabbia rinnovata, ma per il tono dolce con cui era stato pronunciato
il suo nome.
Kyle.
La
ragazza alzò gli occhi per guardare il membro più anziano del Progetto Mew Mew
che cercava di essere gentile con lei, i suoi occhi erano dolci e
silenziosamente imploranti quando catturarono il suo sguardo, e al contempo di
essere risoluto con il suo compagno. Una rapida occhiata a lato e lei poté
vedere come la sua mano esile fosse posata sulla spalla del biondo, le dita tese
in un’ansiosa solidità…
La
fece sobbalzare così bruscamente, che tutto quello che riuscì a dire in risposta
fu un balbettante “S-sì?”
Strano,
inquietante, quanto la sua voce fosse calma: l’esatto opposto della filippica
stravolta di Ryan di un minute prima.
“Dove
sono adesso?”
In
qualche modo, il suo tono mise ordine nei suoi pensieri. Deglutì piano, prima di
raddrizzarsi con crescente risoluzione.
“Stanno
venendo qui. Dovrebbero…” riportò lo sguardo sulla mano di Kyle: i suoi muscoli
si erano flessi di poco in risposta all’appena visibile contrazione che Ryan
aveva avuto alle parole “venendo qui”. “Dovrebbero arrivare presto.” Lei deglutì
di nuovo, quasi nello stesso momento in cui il biondo fece come se stesse per
alzarsi, solo per essere spinto di nuovo giù, nuovamente zittito da quello
sguardo quasi disperato…
In
qualche modo, quella piccola serie di movimenti produsse una crescita di
coraggio nella ragazza, e, prima che se ne rendesse conto di cosa stava
accadendo, sentì la sua voce balzare dalla sua gola stretta mentre le sue mani,
appena tremanti lungo i suoi fianchi, si stringevano e si
aprivano.
“Ryan,
se solo—”
Gli
occhi blu del ragazzo si fissarono nei suoi.
Lei
si riprese dall’esitazione.
“Ti
prego, forse, se solo ascoltassi, solo per un momento,
potremmo—”
“Non
hanno mai voluto negoziare prima. Cosa ti fa pensare che possa funzionare
ora?”
Entrambi
gli uomini e Lory si voltarono verso la nuova voce, perché Pam aveva colto
l’opportunità di entrare, senza dubbio faceva le veci di una
pseudo-ambasciatrice per le alter due Mew Mew che ascoltavano non così nascoste
alla porta (quando Lory era arrivata, tutte le altre tre Mew Mew erano al caffè;
quando aveva chiesto, ognuna aveva detto di aver sentito il bisogno di essere lì
in quel preciso momento. Lory dedusse che il legame tra loro era diventato molto
forte). La ragazza osservò la scena con i suoi occhi sempre privi di
espressione, le braccia incrociate e la testa inclinata appena di lato,
apparendo curiosa quel tanto che il suo freddo contegno lasciava
vedere.
Forse
fu la freddezza, la profonda apatia, di quello scuro sguardo blu ardesia che
spronò una vibrante ondata di coraggio nella ragazza focena. Qualunque cosa lo
fece, Pam e gli uomini si trovarono a fissare Lory un po’ stupiti quando la sua
voce si innalzò più forte che poté, con gli occhi che brillavano di una passione
che immobilizzò tutti e tre per un istante.
In
effetti, Pam e Ryan erano i più shockati del trio: Kyle la stave guardando con
un misto di curiosità e... osava pensarlo?... orgoglio?
C’era,
senza dubbio, qualcosa della convinzione nello sguardo di Lory che ispirava un
deciso senso di soddisfazione nell’uomo, e che diminuì un pochino la sua
incredulità.
C’era
un qualche valore in ciò che stava dicendo? Poteva essere in
effetti…?
“Ma
non gliene abbiamo mai dato la possibilità!”
Le
bastò dire questo per ottenere un dolce “Lory…” appena mormorato dalle labbra
aperte di Kyle.
Pam
e Ryan, a loro volta, si irrigidirono.
Per
un istante, mentre Lory sosteneva il loro sguardo, pensò, solo per un brevissimo
istante, che qualcosa fosse scattato. Gli occhi blu di Ryan
tremolarono.
Poi,
Pam riprese il suo atteggiamento privo di espressione, e Ryan si irrigidì
preparandosi per una confutazione.
Lory
non sapeva cosa avrebbe detto il ragazzo o come lei avrebbe risposto. Ad essere
sincera, di certo non sapeva con cosa
avrebbe risposto, o come si sarebbe riaccesa quella
discussione.
Tutto
quello che sapeva era che avrebbe preferito che ciò
avvenisse.
Invece,
la voce successiva che udì apparteneva ad un incredula ed evidentemente
sconvolta Mina. Non c’erano dubbi su chi era appena entrato dalla
porta:
“Strawberry!”
E
non c’erano su chi doveva essere appena arrivato con lei. La voce insolitamente
tetra di Paddy (era stata stranamente sottomessa dopo che Ryan aveva cominciato
a gridare contro Lory: la scena, combinata con le notizie, sembravano averla
portata in un reame di pensieri profondi che aveva instillato una strana calma
nella ragazza-scimmia) se ne occupò:
“Ghish-…”
Prima
che Lory potesse anche solo registrare cosa stava davvero accadendo, si accorse
che la voce di Paddy si era stranamente interrotta, come se avesse volute
aggiungere qualcosa di più, ma non ne era stata sicura…
Quel
flusso di pensieri durò solo un secondo, comunque, perché quello successivo,
Ryan stava aprendo la porta, con una nuova rabbia a dipingergli il volto. Kyle
stava provando a stargli dietro, con la bocca aperta a gridare il nome del
biondino, la mano allungata, che mancava appena il retro della camicia del
ragazzo nel tentativo di fermarlo.
Pam
rimase lì, le braccia sempre incrociate, gli occhi sempre privi di
espressione.
Di
nuovo, quello sguardo… Lory si ritrovò a seguire Kyle, a sorpassarlo, and aprire
la bocca e:
“Ry—”
Non
era che non avesse la forza di volontà per andare avanti, forse persino di
afferrare la spalla del ragazzo e provare a calmarlo.
Era
solo che la rabbia di Ryan (e chi poteva davvero biasimarlo? Lory provò
visibilmente orrore al ricordare come il passato del ragazzo stesse ovviamente
influendo sulle sue azioni) era molto più forte.
La
voce di Lory fu interrotta dal grido infuriato “Razza di idiota!”
Provò
di nuovo, non ricevette risposta, e non si prese la briga di farlo una terza
volta. L’attenzione di Ryan era solo per l’alieno e la rossa che stavano davanti
a lui.
I
suddetti alieno e rossa guardarono…
L’espressione
di Strawberry rispecchiava quello che chiunque avrebbe potuto prevedere:
spaventata, ansiosa, eppure segnata da una scintilla di volontà che
preannunciava un scoppio se le cose fossero continuate in quel modo.
Ghish…
Lory poté vedere solo una cosa nei suoi occhi Dorati: la determinazione di
proteggere, di custodire. Certo, la ragazza non aveva dubbi sul soggetto a cui
era rivolta quella determinazione. A parte quel bagliore, rimaneva stranamente
inespressivo, fermo, e la ragazza focena di accorse che aveva intenzione di
restare così.
Almeno
finché la ragazza gatto non avesse fatto la prima mossa.
Sì,
entrambi i ragazzi stavano aspettando che Strawberry reagisse, Ryan puntava
specificamente contro di lei, Ghish la guardava cautamente e lasciava che ciò
accadesse… dipendeva tutto da lei.
E
sembrava che Strawberry volesse
parlare, discutere, litigare persino. Il fuoco era là, fremente sotto le sue
iridi rosa-marroni, ma qualcosa la stava trattenendo dal
farlo.
Paura?
Preoccupazione
per il ragazzo alieno che stava poco dietro di lei? Quasi terrore, perché era
appena uscito da una bizzarra battaglia contro il suo stesso camerata, e lei non
sapeva ancora quali conclusioni trarne?
Preoccupazione
per Lory, che sapeva che la sua espressione non avrebbe potuto essere
incoraggiante?
Ansia
per le reazioni delle altre Mew che, anche se al momento stavano zitte, erano
inevitabili?
Una
combinazione, probabilmente, ma comunque qualcosa che la tratteneva inchiodata
sul posto, con i pugni stretti quasi al punto di ferirsi, il coraggio in
procinto di essere messo in azione, ma intrappolato dietro una tensione
crescente, avvolgente, finché…
Strawberry
non fece niente per romperlo: più che altro ebbe solo la parte di una specie di
vittima per il grilletto: ovvero la mano di Ryan, che si allungò per colpire o
afferrare, nessuno lo sapeva, ma che ebbe come risultato di interrompere non la
paralisi di Strawberry, ma quella di Ghish.
L’alieno
si fece avanti, una mano pallida afferrò il polso di Ryan, le labbra assunsero
un ghigno mentre quella scintilla protettiva esplodeva in una fiamma minacciosa,
e la sua voce attraversò la tensione, con un tono ingannevolmente calmo di
fronte alla furiosa esclamazione del biondino.
“Ora,
sono abbastanza sicuro che tu non voglia farlo, vero? Penso che tu voglia
lasciare la mia gattina—“
La
mano dell’alieno era stretta saldamente intorno al polso di Ryan, e lo stava
lentamente torcendo, muovendolo gradualmente verso un regno in cui la sua presa
sarebbe stata meno difensiva e più offensiva, perché tutti sapevano che, non
importava quanto tranquillo fosse Ghish al suo arrivo, ogni tipo di minaccia
contro Strawberry lo faceva tornare violento, aggressivo.
Ed
ogni tipo di minaccia alla sua stessa persona ispirava quella stessa reazione in
Ryan. Digrignò i denti istantaneamente, con i muscoli che si tendevano mentre si
preparava a scagliare un pugno contro il ragazzo dai capelli verdi, che in quel
momento sembrava pronto per un’altra battaglia.
“Tu—!”
Il
ringhio del biondino ottenne come risultato una serie di grida: da Kyle, una
preghiera di smettere, un paio da Mina e da Paddy, entrambi strozzati e
shockati, e infine, uno da Lory:
“Strawberry!”
La
ragazza focena era l’unica a sapere con esattezza cosa dire, a chi appellarsi,
per avere una speranza di porre rimedio alla situazione. Fu l’unica che riuscì
ad attirare lo sguardo della rossa ed a lanciare la sua preghiera a lei
Funzionò.
Il
grido successivo fu “Fermati, Ghish!” e Ryan si fermò in preda al più puro
stupor quando le braccia di Strawberry si avvolsero intorno alla vita
dell’alieno, tirandolo indietro, terminando la lotta prima che cominciasse. Dal
suo canto, Ghish abbandonò il suo atteggiamento confuso per uno un po’ confuso,
anche se mantenne la sua capacità di parlare.
“Strawberry…”
Tutto ciò che riuscì a dire, tuttavia, fu il suo nome.
Non
aveva importanza. Fu tutto quello di cui la ragazza ebbe bisogno per rompere la
dica che tratteneva la forza che le era cresciuta dentro durante tutte le prove
degli ultimi giorni.
Fece
qualcosa che stupì Ryan a tal punto da farlo cadere in un silenzio
strozzato.
Sorrise.
Proprio
verso l’alieno che, con prudenza, cautamente, sorrise di rimando.
Beh,
non c’è bisogno di dire che Ryan era rimasto a bocca aperta. Altrettanto era
accaduto alle Mew Mew, ovviamente, eccetto una.
“Ghish,
penso che sarebbe meglio se tu—“
Lory
non ebbe bisogno di terminare la frase. In qualche modo tra gli occhi imploranti
di Strawberry e la voce dolce della ragazza focena, Ghish comprese rapidamente
il concetto di “allontanati, così che possiamo assicurarci che il nostro genio
biondo preferito non abbia la possibilità di decapitarti.” Perciò, si
teletrasportò istantaneamente accanto a Lory che, anche se momentaneamente
sorpresa dal rapido movimento, proseguì velocemente con il suo piano per
permettere a Strawberry di avere il complete dominio della situazione
cominciando a guidare l’alieno nella stanza sul retro.
“Sei
pazza? Se pensi che io—! I- i
computer sono di là e—!”
Ryan
si riprese subito dal suo shock e cominciò a gridare ogni frammento dei suoi
furiosi pensieri contro Lory, con la mente che correva freneticamente ad
avvertimenti sul nemico e su un mostro e… ed una volta, solo una, al fuoco….
Comunque,
quella fugace visione di fiamme color arancio fu tutto quello che gli occorse
per decidere di voltarsi e provare ad inseguire la
ragazza-focena.
Questa
volta, Strawberry non fece in tempo a raggiungerlo ed a
fermarlo.
La
strada del ragazzo fu bloccata da Kyle, ed il ragazzo perse quasi immediatamente
il suo impeto.
“Non
pensi che dovresti almeno ascoltarla Ryan?”
Il
biondo farfugliò qualcosa, con la volontà smorzata dal tono stranamente calmo
che Kyle aveva usato.
“Penso
di aver sentito abba—”
“Strawberry
è evidentemente incolume, e lo stesso vale per Lory. Non pensi che questo voglia
dire che loro—”
“Un
trucco! Non può essere altro che un trucco, e solo perché questa idiota è
abbastanza stupida da cascarci, non vuol dire che io—!”
L’uomo
più grande stava cercando di fare appello alla logica del biondo, ma la rabbia
di Ryan stava rendendo quel compito insopportabilmente
difficile.
Quello,
ed il fatto che Kyle sapeva che non avrebbe potuto essere così persuasive. La
verità era che credeva pochissimo in quello che stava dicendo, riusciva a
comprenderlo appena…
…ma
sapeva che non era sbagliato. Lo sapeva dal momento in cui gli occhi di Lory si
erano fissati in quelli di Ryan e lo avevano pregato di ascoltarla, dal momento
in cui Strawberry era arrivata con un Ghish che appariva così completamente differente, in abiti umani, niente meno,
che qualcosa di drammatico era
accaduto, ed il genio biondo era indubbiamente
nell’errore.
Quei
pensieri, anche se erano stati efficaci per convincere Kyle, non avevano quasi
avuto effetto su Ryan. Questi prese semplicemente un altro respiro, pronto a
ribattere al suggerimento di Kyle con più rabbia.
Non
riuscì nemmeno ad esalare.
Strawberry,
libera dalla preoccupazione che Ghish e Ryan potessero uccidersi a vicenda
immediatamente, aveva recuperato un bel po’ di coraggio, e la sua voce decisa
arrivò rapidamente in aiuto di Kyle. La recentissima battaglia contro Pai
l’aveva riempita di energia, anche se non ne aveva parlato. Le cose erano già
abbastanza complicate. Quello poteva attendere per un bel
po’.
“Non è un trucco. Non sai nemmeno cos’è successo, e stai
già—“
Strinse
i denti quando lui sbuffò.
“Lory
è stata così gentile da fornirmi i dettagli. E non posso farci niente se sei
così stupidamente idiota da non
capire quando il nemico ti sta usando.” Concluse con un tono così freddo, così
definitivo, che gli occhi di
Strawberry si riempirono di lacrime.
Stava
tremando in quel momento, e sapeva che avrebbe pianto, e piangere avrebbe
peggiorato le cose di molto.
Improvvisamente,
la ragazza desiderò che Lory non se ne fosse andata. Desiderò anche che le altre
Mew non fossero sparite su per le scale per ascoltare non viste; persino la loro
nervosa presenza avrebbe diminuito la tensione tra lei e Ryan in qualche
modo.
Le
lacrime si formarono nei suoi occhi, offuscandole la visuale, mentre la sua
mente si affrettava a trovare un modo per ribattere, per recuperare la sua
proverbiale posizione.
Alcune
immagini si formarono nella sua mente.
Lampi
di sentimento la colpirono.
Momenti
e sprazzi del suo tempo passato con l’alieno, ma un ricordo si fece avanti
contro le accuse del biondo.
Poté
improvvisamente sentire un fantasma toccarle il polso, il ricordo, che si faceva
sempre più forte, del momento in cui l’aveva pregata per avere un ultimo bacio
prima di morire, che riluceva brillante nei suoi pensieri
caotici..
La
sua morte.
Lui
aveva pensato che sarebbe morto.
Lei
aveva
pensato che sarebbe morto.
Morire…
Il
ragazzo…
Il
ragazzo era quasi… morto per
lei.
Per
lei.
Quei
giorni e quelle notti che aveva passato in agonia… un
trucco?
Quei
baci, bugie?
Quelle
parole, mere fiabe?
Quegli
occhi…
“Sei
tu lo stupido.”
Sia
Kyle che Ryan si gelarono per lo stupore.
La
sua voce aveva perso il suo tono stridulo e frenetico. Un tono con la più pura
tranquillità ne aveva preso il posto.
Per
un momento, Kyle si accorse che c’era una luce nei suoi occhi che aveva già
visto, in quelli di Lory.
Era
la luce della dolce saggezza.
E
in quel momento, Kyle seppe chi aveva vinto.
Strawberry
sorrise a Ryan, ed il biondo sentì che la sua voce era
sparita.
“E’
già cambiato e non c’è niente che tu possa fare.” Alzò lo sguardo su di lui,
guardò I suoi occhi spalancarsi appena.
“Gli
ho già fatto una promessa,” fece una pausa, e poi aggiunse in un flebile
sussurro, ornato con un dolce sorriso, “e lui ne ha fatta una a
me.”
E
in quel momento Ryan si rese conto di chi aveva vinto. Non
lottò.
Il
ragazzo sbatté le palpebre una volta, poi due, prima di produrre un rumore che
era un mezzo sbuffo ed un mezzo sospiro. In ogni caso, era un rumore di debole
accettazione, e in quel secondo, Strawberry sentì il suo cuore proteso verso di
lui. Sapeva cosa significava quella sconfitta per lui, cosa richiamava dentro di
lui.
Richiamava
quell’immagine di fiamme devastanti…
Ma
non ebbe la possibilità di dirlo a voce alta, perché prima che se ne rendesse
conto, lui si era voltato ed aveva cominciato a salire le scale, ignorando Kyle
che chiamava debolmente il suo nome, non prestando attenzione a Mina e a Paddy
che lo fissavano con curiosità, o a Pam che permise al suo sguardo di seguirlo
impercettibilmente prima che sparisse nella sua stanza.
E
questo, si rese conto Strawberry con un balenio un po’ divertito, un po’
sollevato, era tutto.
Beh,
forse non del tutto, ma era più o meno tutto quello che avrebbe visto al
riguardo. Più tardi, Kyle sarebbe probabilmente andato di sopra ed avrebbe
provato a calmare il ragazzo, le avrebbe provate tutte in modo che Ryan potesse
sentire un qualche parvenza di pace.
In
quel momento, comunque, sembrava che il bruno più grande avesse occhi solo per
la situazione attuale. Strawberry fu sorpresa dalla repentinità con cui il
ragazzo la spinse a continuare, non era rilevante quanto gentile e
tranquillizzante fosse il suo tono.
“Penso
che ci sia molto di cui discutere, Strawberry.”
Questo
riuscì a coglierla di sorpresa, ma la ragazza si ricompose velocemente.
“S-sì.”
“Forza
allora.”
Si
giro e cominciò ad andare verso la stanza sul retro. La ragazza lo seguì, lenta
dapprima, e poi prendendo improvvisamente velocità mentre un senso di strana
eccitazione si impadroniva di lei. Si rese conto di aver affrontato Ryan e di essere sopravvissuta. Ed ora avrebbe
potuto dire la buona notizia a Ghish, e forse sarebbe stato così felice,
l’avrebbe abbracciata e—
In
quel momento fu abbastanza ovvio di quanto lontano erano arrivati loro due in
quella relazione, perché quel pensiero era arrivato calmo, con naturalezza, ed
aveva avuto come risultato un forte rossore che le aveva illuminato le guance.
Fu grata del fatto che Kyle sembrasse più preso dallo sforzarsi di andare avanti
e completare il suo nuovo compito piuttosto che dallo
studiarla.
Poco
dopo questa osservazione, i due entrarono nella stanza, la vista di una Lory
nervosa, insieme a quella di un Ghish altrettanto nervoso che cercava di
alleviare la sua ansia giocherellando con una tazza di tè che la ragazza focena
doveva avergli dato, incontrò i loro occhi. Un momento più tardi, gli occhi
dorati di Ghish furono catturati dallo sguardo di Strawberry, e l’alieno sorrise
in automatico. Il fatto che quella paura nauseante fosse sparita dagli occhi
della ragazza fu abbastanza da dirgli chi era il vincitore, e si alzò dalla
sedia con un sorrisetto che gli tirava lentamente le labbra, pronto ovviamente
ad acconsentire immediatamente alla fugace piccola fantasia di
Strawberry.
Si
congelò di nuovo, comunque, alla voce di Lory. Si era alzata anche lei stava
rivolgendo a Kyle la sua totale, compassionevole
attenzione.
“Kyle…
Ryan è…?”
Strawberry
trasalì visibilmente a quel nome, e Ghish camminò a grandi passi per porsi con
fare protettivo accanto a lei, il sorrisetto a metà della sua formazione si
trasformò in uno sguardo di preoccupazione.
Kyle
se ne accorse. Vide quel gesto molto velocemente, ed anche se sapeva che avrebbe
dovuto rispondere cupamente, poiché il nome del suo compagno era un grilletto
sicuro per la tristezza, non poté evitare di sentire una scintilla di interesse
per il legame che sembrava essersi instaurato tra la leader delle Mew Mew ed il
suo (ex, suppongo…) nemico. Perciò,
invece di reagire in un modo che Lory si sarebbe aspettata, le rivolse un
sorriso rilassato, tranquillizzante.
“Starà
bene. Gli parlerò più tardi. Ora,” si voltò verso Strawberry ed un Ghish con un
volto incuriosito, “Credo che ci siano cose leggermente più importanti di cui
discutere.”
La
mezz’ora seguente sembrò volare ad una velocità che aveva del ridicolo, ed ogni
momento portò una nuova piccola sorpresa per Strawberry, la maggior parte delle
quali concerneva quanto civilmente Ghish stava riuscendo a comportarsi davanti
ad uno dei capi del progetto Mew Mew. Ascoltava, annuiva, si controllava
magnificamente, senza il minimo sorrisino o accenno ad un commento maligno.
Presto, sia Strawberry che Lory furono così ipnotizzate da questo che rimasero
fuori dalla discussione, restando invece a guardare mentre Kyle e Ghish
discutevano di varie questioni, affrontando dapprima un rapido riassunto degli
ultimi eventi (Kyle, sempre gentile, si prese qualche minuto per offrire
l’attrezzatura medica del laboratorio, proposta a cui Ghish rispose, con un
cenno negativo della testa, ugualmente gentile... ed un rapido, incantevolmente
grato sguardo rivolto alla ragazza-gatto), procedendo poi ad una piuttosto tesa,
ma fortunatamente breve menzione di Pai (e di Tart, ma Ghish ci passò sopra così
rapidamente che Kyle comprese di non doverlo pressare: ovviamente, l’alieno
stava ancora meditando sulla situazione del più giovane del trio), ed arrivando
infine al rischioso argomento di cosa sarebbe accaduto in
seguito.
“Se
non ho capito male, i genitori di Strawberry saranno di ritorno stasera. E’
corretto?”
Ghish
annuì, Strawberry fece altrettanto.
“Sì”
disse infine lei a voce alta, “ritorneranno verso le
otto.”
“Allora
suppongo che tu non possa rimanere a casa sua, Ghish.”
Il
contegno calmo dell’alieno finalmente si dissolse in un tocco di comprensibile
delusione, ed un leggero broncio gli sfiorò il volto.
“Beh,
non direi—”
“Se
mio padre ti vedesse, ti ucciderebbe, poi gli verrebbe un infarto… poi
probabilmente ti ucciderebbe di nuovo…” Strawberry si interruppe in maniera
piuttosto comica, anche se Ghish comprese immediatamente il senso di quello che
aveva detto. Rimaneva comunque determinato.
“Oh…
andiamo, micetta. Non pensi che potrei convincerlo?” La guardò con un sorriso
speranzoso.
“…non
hai mai incontrato mio padre, vero?”
“Eh…no…”
“Allora
non hai—”
I
due si zittirono, un po’ imbarazzati, al suo di Kyle che si schiariva la
gola.
“Il
punto della situazione è che non penso che tu possa restare
qui.”
Quella
frase fece partire subito Strawberry.
“Ma
Kyle, se non può stare qui, allora…”
Non
aveva davvero bisogno di chiedere perché
non poteva restare. Sapere che il biondo era ancora al piano di sopra era,
ovviamente, la spiegazione. La ragazza non discusse: espresse solo il suo
crescente senso di disperazione. Ghish si accigliò, chiaramente a disagio per
essere improvvisamente un tale peso.
Lory,
decidendo di entrare bruscamente nella conversazione, offrì una proposta. “Forse
lui… lui potrebbe stare con una di noi?”
Kyle
scosse la testa. “Dubito che le altre ragazze siano abbastanza pronte per una
cosa del genere. D’accordo, la villa di Mina è abbastanza grande per
nasconderlo, e Paddy potrebbe riuscire a spiegare la sua presenza ai suoi
fratellini, ma nonostante ciò, non penso che sia giusto chiederglielo adesso. E
non credo che tu sia in grado di nasconderlo alla tua famiglia,
Lory.”
La
ragazza-focena chino la testa. “Io…” Si acquietò. Il ragazzo aveva ragione,
ovviamente.
A
quel punto, Ghish si stava stancando del fatto che si parlasse di lui e fece ciò
che faceva di solito in una situazione del genere: si sforzò di assumere un
sorriso malizioso sul viso ed offrì il suo parere
“esperto”.
“Sai,
micetta, non devo stare in una casa. Posso semplicemente dormire sull’albero
fuori dalla tua finestra. E’ facile nascondercisi, e la vista è
grandiosa.”
Strawberry
si giro bruscamente per lanciargli un’occhiataccia seria. All’inizio, il ragazzo
pensava che lo scopo di quel gesto fosse il solito: una fitta di fastidio al suo
tipico commentino allusivo. Non appena la ragazza aprì la bocca, però, si
accorse che la situazione era diversa.
“Se
tu,” e qui lo colpì con un dito,
facendogli sbattere le palpebre per la sorpresa, e poi cominciare a sorridere
con un po’ di imbarazzo, “pensi di dormire fuori al freddo dopo tutto questo, sei più
stupido di quello che pensassi!”
Kyle
trovò bizzarramente difficile trattenersi dal far apparire un sorriso sulle sue
labbra.
“Allora
suppongo che tu abbia un piano Strawberry, vero?”
Ancora
una volta, la voce di Kyle la fermò. Si grattò involontariamente il mento con un
dito delicato.
“Non
so…”
Gli
altri tre la stavano guardando in attesa. Gli occhi di Lory erano sbarrati
dietro i suoi spessi occhiali; Kyle sembrava aver totalmente focalizzato la sua
attenzione sulla ragazza; Ghish… in effetti, se gli altri fossero stati più
attenti a lui piuttosto che a Strawberry, avrebbero osservato uno dei suoi
affascinanti tratti alieni: le sue orecchie che si contraevano appena per la
profonda curiosità.
Ora,
Strawberry non era una pensatrice particolarmente discreta. Questa era una cosa
che tutti coloro che avevano un po’ di familiarità con la sua mente
semi-addormentata sapevano. Comunque, i suoi pensieri stavano procedendo con una
rapidità impressionante quel giorno, e lei si accorse di un dettaglio molto,
molto rapidamente.
Non
voleva che Ghish se ne andasse. La ragazza non era molto sicura che quello fosse
sorprendente o meno, ma rimaneva il fatto che non voleva che il ragazzo vivesse
da nessuna parte tranne la sua casa, specialmente in quel momento. Dopo tutto quello che
era successo, non riusciva ad immaginare di essere separata da lui così
drasticamente. C’era ancora troppo da fare…
Ma—
Dopo
quella realizzazione, la sua mente corse alla ricerca di un modo per conciliare
quei sentimenti.
Di
nuovo, accadde una cosa davvero incredibile
Trovò
una soluzione.
In
effetti, aveva visto fare quel trucchetto così tante volte nei libri o in alcuni
show televisivi, da essere sorpresa che quell’idea non le fosse venuta
prima.
Un
ampio sorriso le illuminò il volto mentre assumeva la classica espressione da
“Eureka!”.
“Potrei
dire ai miei genitori che è uno studente partecipante ad uno
scambio!”
Sia
Lory che Kyle assunsero un’espressione sconcertata. Ghish appariva semplicemente
confuso.
“Cos’è
uno studente partecipante ad uno scambio?”
Kyle,
riprendendosi, sospirò. “Vuole dire che tu dovresti far finta di essere uno
studente proveniente da un altro paese per stare a casa sua. Ma Strawberry, come
lo spiegherai ai tuoi genitori?”
“Cosa
vuol dire, spiegherai? Potrei semplicemente dir loro che mi sono offerta per far
parte del programma! Non è che potranno mandarlo via.” Il trionfo rimase sul suo
volto.
“E
cosa vorresti fare per…” Lo sguardo di Kyle si piazza chiaramente sulle orecchie
di Ghish, lunghe ed estremamente vistose…. che si contrassero di nuovo.
Evidentemente, era anche curioso di sentire quale sarebbe stata la soluzione per
quel piccolo problema.
A
questo punto, comunque, Strawberry perse il suo sorriso trionfante, esitando
nervosamente. “Ah… beh, potremmo…” Guardò Ghish impotente, e lui sbuffò di
rimando.
“Non
guardare me! Non è che posso ridurle o roba del genere.”
Strawberry
mise il broncio, una reazione normale per fastidi simili.
Fortunatamente,
prima che potesse scoppiare una discussione, Lory si schiarì la
voce.
“Forse
potresti dire ai tuoi genitori che è nato così.”
Ghish
sbatté le palpebre.
“Io
sono nato
così.”
“L-lo
so, voglio dire...”
“Vuole
dire farle passare come un’anormalità dalla nascita. Giusto
Lory?”
La
voce di Kyle le riportò la sicurezza, e la ragazza focena annuì. “N-non è una
grande idea, temo, ma…”
“Penso
che in questo caso andrà benissimo.” Kyle sorrise
incoraggiante.
“Già!
I miei genitori crederanno a qualsiasi cosa. Funzionerà alla grande,” aggiunse
Strawberry, con un sorriso che prendeva il posto che era suo di diritto. Aveva
ragione. Se i suoi genitori credevano al fatto che ogni tanto correva a studiare
a casa di un’amica alle nove di sera (ovviamente, una scusa regolare quando si
verificava un improvviso attacco di un Chimero), probabilmente avrebbero creduto
ad una bugia simile prima o poi.
E
sapeva che avrebbe funzionato.
Doveva. La ragazza si sentiva estremamente irremovibile riguardo il non lasciare
Ghish, ed era lieta del fatto che Lory avesse trovato una soluzione, anche se
rimaneva comunque una incerta. La ragazza aveva temuto di dover supplicare
(sentiva che, in qualche modo, sarebbe finita così), perciò è facile immaginare
il suo sollievo.
“Allora,
ci siamo?”
Kyle
annuì e fece per dire un flebile “penso di sì”, fece per cominciare ad andare
più nel dettaglio di cosa sarebbe accaduto poi, quando:
“Già,
ci siamo?”
Il
gruppo, tutti tranne Ghish che aveva già cominciato a farlo un momento prima di
loro, si voltò per vedere una Mina compita ed una Paddy stranamente silenziosa
che stavano sulla porta. Pam non c’era: forse era rimasta al piano di sopra, a
sorvegliare l’angosciato Ryan.
“Mina…”
Lory fu la prima a pronunciare il suo nome, ma Strawberry fu la prima a darle
davvero una risposta. Sfortunatamente, non lo fece con molta gentilezza. Al
vedere Mina per niente rilassata, Strawberry pensò immediatamente al peggio e
replicò con un tono teso, accusatorio. Lo fece così rapidamente che Kyle non
ebbe nemmeno il tempo di intervenire. Ghish rimase in
silenzio.
“Ti
crea qualche problema,
Mina?”
Si
aspettava che la ragazza scattasse contro di lei, o che cominciasse a discutere.
Invece, gli occhi di Mina si fecero smorti, e lei rispose con una voce che
tremava per l’emozione appena controllata.
“Ma
certo che mi crea qualche problema! Non puoi semplicemente entrare qui con lui (Ghish trasalì quando quegli occhi
accusatori ricaddero su di lui, ma sentì che alzare la voce per difendersi non
era l’idea migliore), ed aspettarti che lo accettiamo! Voglio dire… Strawberry
ti sei scordata di cosa hanno fatto?”
La
ragazza sbatté le palpebre, colta alla sprovvista.
“Mina…”
“Voglio
dire, ti sei scordata di cosa dovremmo fare noi? Abbiamo un mondo da
proteggere!, Perché noi vai a dire ai tuoi amici, ai tuoi genitori che hai
deciso che… che lui vale più di
loro!”
A
quel punto era ovvio che Mina aveva perso il suo auto-controllo. La ragazza
stava fissando Strawberry e Ghish a turno in malo modo, con gli occhi che si
riempivano lentamente di lacrime.
E
ciò che preoccupava di più Strawberry era che Paddy se ne rimaneva in silenzio
durante tutta quella discussione, ancora immersa profondamente in chissà quali
pensieri che la stavano turbando.
“Io…”
Non
osò guardare verso Lory o Kyle in cerca di aiuto, perché sapeva di cosa si
trattava. Negli ultimi giorni, aveva imparato a riconoscere quei momenti per ciò
che erano: il suo personale test di convincimento. Considerò anche questo come
tale.
Calma,
composta, rassicurante, calda e premurosa, la sua voce lotto contro l’angoscia
saliente di Mina.
“Ho
giurato, Mina. E l’ha fatto anche lui.” L’ultimo pezzo fu un sussurro. Poi, la
sua voce ritornò: “E… e dobbiamo cambiare tutto questo ora. Troveremo un modo.” Mentre parlava,
sorrise, e mentre sorrideva lanciò uno sguardo con la coda dell’occhio a Ghish,
che prima guardò lei, poi Mina, e si irrigidì. Si accorse, molto, molto
bruscamente, che era il suo turno di dimostrarsi degno di
fiducia.
Per
la prima volta, Ghish alzò lo sguardo per incontrare gli occhi di Mina senza
alcun desiderio di farle del male o di stuzzicarla. I suoi occhi non mostravano
alcuna cattiveria. Erano seri, pensierosi, persino… contriti. E poi rivolse lo
stesso sguardo a Paddy, e a Lory e, infine a Kyle.
La
ragazza-uccello si prese un momento per assorbire quello sguardo, quei chiari
occhi Dorati, prima di deglutire nervosamente ed irrigidirsi. Dapprima, mentre
lo faceva, Strawberry languì per la delusione, pensando ad una reazione
indubbiamente negativa.
Dopo
alcuni secondi, però, Mina rilasciò un respiro.
“Vado
a fare una passeggiata.”
Nessuno
ribatté quando si voltò per lasciare la stanza.
Dopodiché,
Strawberry si accorse che era il momento di lavorare con
Paddy.
“Paddy,”
cominciò lentamente, con dolcezza, ancora sotto lo sguardo attento degli altri
tre, “stai bene?"
Passatono
dei momenti fino a che la ragazzina sollevò la testa e non guardò Strawberry, ma
Ghish. A coronare il tutto, si
rivolse persino a lui, e non nel modo che Strawberry avrebbe ritenuto
convenzionale.
“Ghish?”
Tutti
rimasero sorpresi e ci volle un po’ a Ghish per riprendersi dal suo stupore e
risponderle.
“S-sì?”
“Questo
vuol dire che Tart può dormire a casa di Paddy?”
Il
gruppo decise in quel momento che era molto chiaro quale fosse il pensiero di
Paddy sull’intera questione.
Le
ragazze, e persino Kyle, cominciarono a ridacchiare e a ridere, non solo perché
l’espressione cupa di Paddy era sparita, e la bambina stava ora sorridendo
radiosamente all’indirizzo di Ghish, ma anche perché il suddetto alieno sembrava
combattuto tra l’essere totalmente confuso dalla sua richiesta e trovare dei
modi per canzonare Tart nel futuro su questa piccola
richiesta.
L’allegria
continuo quando la ragazzina cominciò a parlare tra sé e sé, facendo già una
lista delle cose che stava morendo dalla voglia di provare con il piccolo
alieno.
“…e
potremmo fare dei biscotti, e giocare alla casa, e guardare i film dell’orrore,
e—“
“Paddy.
Perché non vai avanti e ti scrivi tutto su un foglio?” Kyle, perennemente calmo,
provò a riportare un po’ di ordine così che la discussione potesse
continuare.
“Ma
Paddy ha una grande memoria! Sta’ a vedere, posso elencare tutto dall’inizio:
nascondino, ce l’hai, sal—“
“Tart
ha una memoria terribile. Puoi scriverle per lui.”
Paddy
si fermò, sbatté le palpebre, e sorrise di nuovo.
“Allora
Paddy andrà a cercare della carta, e una matita, e…” la bambina di interruppe,
si voltò e saltellò fuori dalla porta.
Non
c’è bisogno di dire che Kyle non fu il solo che fissò Ghish con incredulità.
Il ragazzo alieno si trovò con tre
paia di occhi puntati su di lui e si accigliò davanti allo sguardo sbalordito di
Strawberry.
“Che
c’è? Come se avessi voluto voglia di ascoltare una cosa del genere… e come Tart
dopo che ha mangiato un qualche centinaio di quegli affari di
zucchero…”
Quello
riaccese le risate.
La
successiva ora e mezzo di piani e decisioni passò molto più rapidamente di
quella precedente. Quando Ghish e Strawberry si rimisero i cappotti e si
avviarono alla porta, Paddy aveva ritrovato la sua allegria, Lory stava
sorridendo timidamente in approvazione come suo solito, e
Kyle…
C’era
del calore che brillava nei suoi occhi marroni che fece ingrandire ancora di più
il sorriso di Strawberry mentre la ragazza salutava rapidamente e si tirava
dietro un Ghish in qualche modo meditabondo fuori dalla
porta.
Ma
prima che riuscisse a trascinarlo fuori completamente, l’alieno lanciò un rapido
sguardo verso l’interno del caffè, ed i suoi occhi ebbero modo di scorgere
qualcosa che nessun altro vide: un breve sprazzo biondo in cima alle
scale.
Voltandosi
verso una Strawberry improvvisamente impaziente, copià il suo sorriso, ed i due
si incamminarono verso casa.
Avevano
camminato per circa dieci minuti in una sorta di gioioso e sollevato silenzio,
quando Strawberry decise che il suo momento di auto-controllo era
terminato.
Gridando
“Yatta!” e con un urlo di puro giubili femminile, Ghish si ritrovò disteso in un
mucchio di neve, con una Strawberry che ridacchiava bloccandolo al suolo e
premendo la guancia contro la sua in un vero, folle
abbraccio.
Non
c’è bisogno di dire che il ragazzo ricambiò il sorriso, l’abbraccio tronca ossa
con uno dei suoi, e decise felicemente che non gli dispiaceva molto della neve
fusa che gli stava lentamente entrando nella maglietta.
Non
gli dispiacevano nemmeno quei momenti di ansia strizza-stomaco al caffè, la
nausea che gli era venuta per gli sguardi di così tanti occhi accusatori.
Nor did he mind those moments of stomach-clenching anxiety in the
café, the nausea brought by the stares of so many accusing
eyes.
No,
decise.
La
dolce risata della ragazza che gli solleticava l’orecchio in sollievo totale, il
suo cuore che batteva così vicino al suo, il suo sorriso così genuino, così
diverso da com’era stato prima, compensò totalmente tutte quelle
cose.
Compensarono
così bene, che lui le baciò il collo nella sua propria espressione di euforia, e
questo fece solo sì che l’abbraccio si facesse più
stretto.
Non
si alzarono per altri cinque minuti. La felicità era davvero troppo
grande.
Dio,
se ne era valsa la pena.
“C-come…”
Lui
sorrise.
“C-cosa
hai…”
Il
suo sorriso si fece più ampio: una bianca zanna splendente brillò di riflesso
negli occhi spalancati della ragazza.
“…..”
Lui
ridacchiò.
Alla
fine, Strawberry pronunciò le uniche parole che erano davvero in grado di
rappresentare la situazione:
“E’
stato fantastico.”
Ora,
a cose normali, non si sarebbe complimentata con Ghish per la sua astuzia e la
sua scaltrezza: erano due caratteristiche che le facevano arricciare il suo
metaforico pelo, in particolar modo quando utilizzate come metodo per manipolare
lei.
Comunque,
quello che il ragazzo aveva appena fatto, quello che lo stava facendo sorridere
così tanto e con compiacenza mentre si sedeva sul letto della camera degli
ospiti, mentre si sfaceva i lacci tra i capelli preparandosi alla doccia che
avrebbe fatto, meritavano decisamente un elogio.
In
poche parole era accaduto questo:
1.
I genitori di Strawberry erano tornati a casa.
2.
Il padre di Strawberry aveva immediatamente scorto l’innegabilmente carino, bel
ragazzo alieno seduto innocentemente sul divano del suo
salotto.
3.
Il padre di Strawberry si era comportato nel suo modo abituale. Si era gonfiato
per la rabbia. Aveva preso fiato per un adorabile attacco verbale. In effetti
era sembrato a tutti, persino alla sua confusa moglie, un pesce
palla.
Ora,
è necessario prestare attenzione al piccolo sviluppo che era seguito, dato che
era precisamente ciò che aveva meravigliato così tanto la ragazza-gatto per un
po’ di tempo dopo l’evento:
Ghish
era sopravvissuto.
Aveva
fatto molto di più che sopravvivere, in effetti.
La
ragazza non aveva mai sentito un discorso così educato e sofisticato fluire dale
labbra intelligente dell’alieno.
In
qualche modo, utilizzando la sua sorprendente abilità di suonare miracolosamente
intelligente di fronte al padre sbalordito di lei, Ghish aveva eloquentemente
spiegato il suo status di studente partecipante ad uno scambio, aveva lodato la
generosità di Strawberry per avergli permesso di stare a casa sua (che,
aggiunse, conquistandosi rapidamente Sakura, era spaziosa e decorata con gusto),
era in qualche modo riuscito a convincere i genitori di Strawberry che le sue
orecchie erano parte di una qualche condizione di pelle esotica (la ragazza si
era paralizzata in questa parte: si era brevemente chiesta se non stesse
sognando), ed aveva concluso così splendidamente, con così tanti complimenti che
suonavano sinceri, che Strawberry si sentì decisamente stordita e che l’ira
patriarcale di Shintaro si dissolse gradatamente in accettazione.
Strawberry
si era ripresa appena in tempo per annuire alle parole di
Ghish.
Subito
dopo, Ghish aveva scusato entrambi per andare a farsi un bagno prima di andare a
letto, e Strawberry si era trovata a fissare, a bocca aperta, appena in grado di
evocare una frase, un alieno estremamente compiaciuto.
Alla
fine, Ghish interrupe il semi-torpore di Strawberry.
“Che
c’è, pensavi che dopo tutto quello che è accaduto sarei stato inseguito da tuo
padre?”
Strawberry
poté solo sbattere le palpebre.
“Ed
io che pensavo che tu sapessi già che ho il grande dono del
fascino.”
Eppure,
tutto quello che Strawberry riusciva a fare era fissarlo mentre un pensiero
assai interessante le correva attraverso la mente:
Come
diavolo aveva fatto Ghish a cavarsela
quando suo padre aveva minacciato di uccidere Mark, che poteva essere descritto solo
come la quintessenza della perfezione in un ragazzo?
Qualcuno
stava cercando dirle che…?
“Oi,
Strawberry? Straw—”
“Se
non ti dispiace… penso che faro la doccia per prima.”
Lo
disse con una voce così sussurrata, così distaccata, che il ragazzo rimase così
sbalordito da zittirsi mentre annuiva lentamente, stupefatto, essendosi davvero
aspettato un qualche commento sarcastico, oppure che sarebbero stati impegnati
in un qualche gioco che li avrebbe fatti divertire per almeno qualche minuto.
Invece non riuscì nemmeno a provarci di nuovo che Strawberry, improvvisamente
cupa e silenziosa, lasciò la stanza ed andò verso il
bagno.
Si
accorse bruscamente, mentre giocherellava con uno dei suoi lacci per capelli,
con i lineamenti che si accigliavano lievemente, che quel piccolo incidente con
il padre della ragazza, anche se era finite decisamente bene, l’aveva portata a
pensare a molte cose.
Fu
per questo che, non importava quando desiderasse saltare in piedi ed andare
dalla ragazza per rassicurarla, per lasciare che le sue braccia la cullassero
mentre lei lottava con la sua battaglia interiore, rimase seduto sul suo letto a
disagio.
Strawberry
doveva farlo da sola.
Ghish,
che giocherellava con ansia sempre crescente con i suoi lacci per capelli, e con
il volto che si piegava sempre di più in un mezzo ringhio frustrato, Strawberry,
che si era chiusa in bagno ed aveva cominciato a spogliarsi, con il labbro
inferiore catturato tra i denti un po’ stretti, entrambi sapevano che la prova
doveva essere affrontata solamente da Strawberry, perché era giunto il
momento.
Era
stato provocato da quello stupido piccolo commento riguardante Shintaro, e non
poteva essere ulteriormente rimandato, non da uno di loro.
Ghish,
con un sospiro tremolante nel tentativo di allontanare il disagio crescente, si
stese e decise di rinunciare alla sua doccia fino al mattino.
Strawberry
entrò sotto il getto fisso della doccia e lasciò che la accecasse e la rendesse
sorda al resto del mondo.
Eppure,
anche se cercavano di far finta di non essersene accorti, mentre Strawberry
scivolava nel calmo piacere di una doccia calda, mentre Ghish lasciava che il
torpore lo sopraffacesse, entrambi pensarono lo stesso pensiero, ed entrambi
seppero, dentro di loro, che l’altro stava provando la stessa identica ansia,
perché il giorno seguente…
Il
giorno seguente, Strawberry avrebbe incontrato Mark.
Si
svegliò presto. Le sei del mattino, per essere precisi.
Si
vestì in silenzio, facendo attenzione come mai prima di allora a non sfiorare
nemmeno il suo tavolo o la sua sedia. I suoi passi erano ovattati come quelli di
un felino; le assi del pavimento, che di solito scricchiolavano sotto il suo
peso, non mossero alcuna protesta, mentre finiva di legarsi i capelli ed
attraversava la stanza, aprendo la porta con la massima delicatezza, e si
avviava per il corridoio.
Un
minuto più tardi, era scesa dalle scale ed era uscita dalla porta, dopo aver
frettolosamente scritto un biglietto per dire ai suoi genitori che era uscita
per una rapida corsetta mattutina.
Non
si preoccupò di scrivere qualcosa per Ghish.
La
maggior parte della sua preoccupazione, in effetti, era stata rivolta
all’evitare che si svegliasse e la incontrasse prima che lei
uscisse.
La
ragazza non voleva distrazioni. Non voleva altre difficoltà.
La
prospettiva di rivedere il suo volto, quegli occhi dorati così profondi, così
spontaneamente imploranti mentre guardavano nei suoi prima che lei se ne
andasse, era troppo, perciò pronunciò una silenziosa preghiera di gratitudine
mentre andava al cancello d’ingresso, grata di non averlo dovuto
vedere.
Ovviamente,
ciò che mancò di notare fu che, solo perché non l’aveva incontrato, ciò non
voleva dire che lui non fosse lì.
Mentre
la ragazza andava verso il parco dove sapeva che Mark faceva le sue corsette
mattutine, non si accorse dell’ombra, tenue nella crescente luce dell’alba, che
guizzava dentro e fuori tra le ombre degli alberi al fianco della
strada.
Ghish
si assicurò di rimanere in silenzio come aveva fatto Strawberry mentre la
seguiva nel parco e lungo il campo per la corsa, e non appena vide la ragazza
irrigidirsi, non appena vide una testa di capelli color nero notte ben marcata
nella nebbia e nella neve, si posò su un albero vicino e lasciò che Strawberry
procedesse.
In
quel momento, tutto quello che poteva fare era guardare.
E
aspettare.
E…
sperare.
Strawberry
non sapeva molto bene come procedere. Mentre stava sul bordo del campo, con lo
sguardo, impotente, catturato dalla sagoma di Mark che correva, si chiese
debolmente cosa fare. Doveva andargli incontro?
Dire un ‘salve’? Un saluto? Uno stupido, falso
sorriso?
Avrebbe
dovuto aspettare finché non l’avesse notata? Sarebbe stato troppo imbarazzante?
Diavolo,
non importava come sarebbe stato l’approccio, sarebbe stato
imbarazzante.
Imbarazzante,
e nauseante, e terrificante, e... e imprevedibile. Imprevedibile,
perché stava ferma lì senza un’idea chiara di come sarebbe
finita…
Questo
però non la fece fuggire. Sapeva che
la situazione doveva essere sistemata in quel momento, che quando avrebbe
lasciato il parco, che fossero passati cinque minuti o un’ora, avrebbe saputo
qualche dei due lei—
La
ragazza si morse il labbro, interrompendo quel pensiero. Era ancora troppo poter
pensare con consapevolezza al riguardo, anche quando ci si trovava direttamente
davanti, in attesa di un confronto, pronto per devastare le sue fragili
emozioni.
Ma
doveva essere fatto, e la pura prova
di questo fu Mark che si voltò verso di lei nel mezzo della corsa, alterò la sua
strada e si avvicinò rapidamente a lei.
Non
appena vide quegli occhi color cioccolato posarsi su di lei, Strawberry sentì le
sue ginocchia indebolirsi, il suo stomaco contorcersi, i suoi occhi inumidirsi
per l’ansia paralizzante.
E
non c’era modo di tornare indietro. Fu deciso quando il ragazzo, alla fine, la
raggiunse e non perse tempo ad interrompere il silenzio:
“Salve,
Strawberry.”
Miracoloso,
come potesse suonare così calmo, così naturale, così tranquillo, quando la sola
vaga idea dell’argomento di cui avrebbe discusso faceva sentire Strawberry
pericolosamente stordita. Ebbe come risultato l’opposto rispetto al suo
probabile intento, facendo sentire la ragazza anche più nervosa mentre si
sforzava di rispondere.
Nascosto
al sicuro nel suo albero, Ghish digrignò inconsciamente i denti all’udire il
tremito nella voce di lei.
“S-salve, Mark…”
Come fare? Sarebbe
dovuta andare subito al sodo? Avrebbe dovuto fare un piccolo discorso, girare
intorno al punto focale, cercare di metterlo a suo agio?
O,
piuttosto, provare a mettersi a suo
agio?
In
nome del cielo, perché la stava guardando senza la minima traccia di
preoccupazione nei suoi occhi? Perché poteva stare lì a respirare normalmente,
in piedi alto e saldo e sicuro di sé, quando lei stava facendo del suo meglio,
ed era vicinissima al fallire, per trattenersi dallo strozzarsi con la stessa
aria che respirava, per trattenersi dal tremare senza controllo sotto lo sguardo
in attesa di Mark.
Cosa
fare… come cominciare… cosa dire… dove andare…
“Ti stavo aspettando.”
Solo
l’evidente casualità di quell’affermazione riuscì a sconvolgerla tanto da farla
uscire dal suo disagio paralizzante, e lei batté le palpebre nella direzione del
ragazzo con imperturbata curiosità.
“Co…
cosa?”
“Dalle
cinque di stamani” La ragazza dovette trattenersi dal boccheggiare mentre lui le
sorrideva, le sorrideva davvero con
una gioia da toglierle il
fiato…
“Ci-cinque…?”
“Mm.” Lui cominciò a camminare, lentamente, aspettando che lei lo
seguisse. Lei
cominciò subito a camminare, accorgendosi che lui stava cercando di liberarla
dalla sua paralisi, di calmarla, di riportare sensibilità alle sue gambe. In
effetti cominciò a funzionare: il respiro di Strawberry cominciò a calmarsi,
fino a che lui le fece una domanda che lei non si sarebbe mai aspettata, una a cui non avrebbe mai
potuto prepararsi nelle ore che aveva passato ad allenarsi inutilmente per
questo la notte precedente.
“Lui sta meglio?”
In
quel momento Strawberry boccheggiò visibilmente, strozzandosi un po’, mentre
smetteva bruscamente di camminare, voltandosi, sbattendo le palpebre al suo
indirizzo, stupita.
Non
c’è bisogno di dire che, appollaiato sul suo albero, con gli occhi che non
lasciavano mai la coppia, Ghish provò un identico stupor.
Incapace
di distogliere i suoi occhi da quelli di Mark, la ragazza annuì in una sorta di
stordita confusione, troppo sorpresa per non rispondere.
“Sì…
sta… sta molto meglio.” Cacciò indietro le lacrime che stavano minacciando di
uscire.
Che
diavolo stava facendo
Mark….?
Perché
chiedere… cosa… come… perché…
“Ne
sono felice.”
La
diga si ruppe.
Le
lacrime cominciarono la loro familiare discesa lungo le sue guance rosse; prese
il respiro successivo con un sonoro singhiozzo. Il dolore sorse in lei,
crescendo ancora di più quando sentì le braccia del ragazzo avvolgerla,
stringendola al petto di lui. Un momento più tardi, leu digrignò i denti al
sentire la lieve pressione del mento di lui contro la sua
testa.
“Mark,”
singhiozzò nel suo petto, stringendo i pugni, con forza, e facendo sanguinare i
palmi con le sue stesse unghie nella sua angoscia. “Io-Io…
Io…”
Non
importava con quanta violenza era esplosa, la voce di lui rimase calma e
gentile.
“So
perché sei qui, Strawberry.” Al sentire il suo nome, combinato con la ferma
risoluzione nella sua voce, la ragazza si zittì. Lui sorrise guardandola mentre
lei ricambiava il suo sguardo.
“Voglio
che tu sappia che ti amerò per sempre. Strawberry,” le diede una leggera
strizzata, “non dimenticherò mai i momenti che abbiamo passato
insieme.”
La
ragazza riuscì semplicemente a fissarlo.
Cosa…
cosa era appena successo?
Come
accidenti era arrivato da “sta meglio?” a quella dolce dichiarazione,
quell’amorevole affermazione che, in qualche modo, suonava così definitiva.
Definitiva.
Dio… no…
Fece
disperatamente marcia indietro da quella conclusione a cui lui si stava
evidentemente avvicinando.
“Ti
amo ancora! Mark, ti amo… ti prego! Non voglio che tu—”
Incredibile,
le stava ancora sorridendo.
“Non
potevo crederci, quando ti ho vista con lui. Devo ammetterlo. All’inizio non
riuscivo a capire, ma—”
“No!
Io non… Io dovrei stare cone te! Per
sempre. Mark, siamo noi…”
Lui
continuò come se lei non l’avesse mai interrotto.
“Ora
capisco…” Strawberry si irrigidì nel suo abbraccio, perché non c’era
fraintendimento al proposito del ragazzo, “…quanto lo
ami.”
La ragazza provò a scuotere la testa, provò a negare le sue parole,
ma non ci riuscì. Non
riuscì a negare quella che era stata la verità per quello che pareva un tempo
così lungo…
“Mark…”
“E
lui ama te.”
“Ma…
Io-Io ti amo ancora.” Anche mentre lo diceva, però, il suo respiro si stava
rilassando. In qualche modo, qualcosa sembrava essere diventato più facile dopo
le parole del ragazzo, il suo intento, fissato nella mente di lei. Ancora
disperata per il passato, lottò contro questo. “Io ti
amo—”
“Ti
proteggerà, Strawberry. E ti amerà tanto quanto me. Lo
so.”
Quanto
lui… di più…
Ma
come poteva lasciarla andare così facilmente? Come poteva averlo accettato con
tanta prontezza, quando a lei ci erano volute giorni di agonia per capire quanto
quell’alieno la amava? Perché era così pronto a lasciarla tra le braccia di un
altro?
Per
sopire il suo stupore, la ragazza si ritrovò ad annuire quasi
impercettibilmente, rendendosi conto di due cose:
La
prima, che Mark era più saggio di lei.
La
seconda, che aveva fatto la sua scelta.
Non
appena Mark ebbe terminato la sua frase, Strawberry si trovò persa nei ricordi
di tutto quello che era accaduto, tutti quei teneri baci, quei caldi abbracci,
quelle dolci carezze, quei momenti che non aveva mai pensato possibili, eppure
di cui aveva goduto ogni istante…
Ed
ecco tutto. Era fatta.
“Mi
dispiace… Mark…” Ovviamente, il resto non era semplice. Almeno, non per
lei.
Il
ragazzo accolse questo con il suo persistente sorriso.
“Finché
la tua felicità è al sicuro, Strawberry, non hai niente di cui scusarti.” Non
stava rendendo le cose più semplici, con la sua dolcezza, e lei sentì il labbro
tremarle. Di nuovo, il ragazzo continuò.
“E
so che questo assicurerà la tua felicità.”
Poi
fece qualcos’altro che la sorprese totalmente:
Guardò
in alto, dietro di lei, tra gli alberi che circondavano il campo, e
chiamò.
“Posso
fidarmi di te, vero?”
“Certo.”
Strawberry
non ebbe bisogno di voltarsi per sapere che Ghish si trovava poco distante da
lei, con un’espressione immensurabilmente seria, lo sguardo nei suoi occhi era
pi che abbastanza per rispondere alla domanda di Mark.
In
qualche modo, non riuscì nemmeno a dubitare del fatto che fosse lì, o del fatto che Mark lo stesse
guardando, gli stesse parlando, con un livello di fiducia senza precedenti.
Sembrava così… così atteso.
Così
giusto..
Il
ragazzo tornò a guardare lei, con gli occhi dolci, gentili, come quelli di un
cervo.
“Allora
questo è un addio, Strawberry.”
Il
suono del suo nome(*), accompagnato da un dolce bacio sulla fronte, l’ultimo, chiuse la
cosa.
In
pochi istanti, mentre lei se ne stava lì, ancora prigioniera dello stupore,
anche se la sua mente aveva inconsciamente accettato la decisione, lui l’aveva
liberate dalle sue braccia, si era voltato, sempre con grazia, sempre sicuro di
sé in quei movimenti, ed aveva cominciato ad andarsene.
Strawberry
non lo richiamò. Non lo inseguì.
Non
poteva.
Non
gli apparteneva più.
Era
fatta, fatta per sempre e in eterno, e lui non era più
suo.
La
mente della ragazza processò questa situazione, cercò di acclimatarvisi, cercò
di rassicurarsi, che andava tutto bene, che le cose andavano bene, che quella
era la decisione e che i problemi erano finiti, ma era davvero
impossibile.
Con
un nuovo singhiozzo, Strawberry Cadde sulle ginocchia…
…e
subito sentì un altro paio di braccia intorno a lei.
Improvvisamente,
non richieste, il ricordo delle parole del Cavaliere Blu la assalì: Prendila,
proteggila.
Si
voltò, gettandosi letteralmente sul petto di Ghish, le braccia si avvolsero
intorno a lui dimentiche della sua ferita che stava ancora guarendo, la sua
stretta forte come la sua angoscia.
All’alieno
non sembrò importare. Non sussultò nemmeno.
Lasciò
che la ragazza si posasse contro di lui, cullandola lentamente aventi e indietro
mentre lei singhiozzava, boccheggiava, piangeva nella sua giacca. Un momento più
tardi lei lo sentì posare una guancia sulla sua testa mentre anche la sua presa
si stringeva, diventando caldamente accogliente, in un modo che la fece smettere
di singhiozzare abbastanza a lungo da sentire quelle parole terribilmente
familiari:
“Nen nen kororiyo okororiyo, boyawa yoikoda
nenneshina.”
Quel
primo verso fermò le sue lacrime, e lei si appoggiò al suo petto caldo,
silenziosamente ipnotizzata dal suono della sua voce.
“Boyano komoriwa dokoe it ta, anoyama koete satoe it
ta.”
Con
l’orecchio premuto contro la sua giacca, poteva sentire la parole vibrare nel
suo petto, seguendo il ritmo del cuore, del suo stesso cuore, profondo e melodioso,
tenero e miracolosamente forte. Poteva sentire la canzone nella sua gola, nel
suo petto, nelle sue braccia, nelle sue mani aggraziate, nel suo intero essere, scorrere lentamente dentro di
lei, calmandola completamente.
Bellissimo.
Era
davvero così bello, il modo in cui l’aveva calmata, in cui aveva magicamente
asciugato le lacrime, aveva fermato il suo tremore, l’aveva
confortata…
Dio…
proprio come avevano confortato lui pochi giorni prima...
“Sato
no miyage ni nani morata, denden taikoni sho no fue. Sho no fue.”
Quando
le ultime parole raggiunsero l’aria nebbiosa, Strawberry era così profondamente
concentrate sui dolci toni della sua voce, sulla sensazione di ognuna delle sue
dita che premevano contro di lei con un conforto così intenso, sulla pressione,
rassicurante e totalmente gentile, del suo mento posato sulla sua testa, che
l’aveva calmata fino a farla totalmente acquietare.
Quanto
fosse durato quel silenzio, nessuno dei due lo poté davvero dire. Erano troppo
assorti nella percezione dell’altro per contare i secondi prima che Strawberry,
ancora immobile, ancora intenta a sentire quel bel calore,
parlasse.
“Ti
amo.”
Ghish
non ripeté l’affermazione.
Lei
non sentì niente da parte sua, nessuna parola, nessuna ripetizione
dell’affermazione.
Invece,
sentì le sue braccia stringersi intorno a lei, così velocemente, così
intensamente, che non riusciva a respirare, e sapeva che nei giorni a venire,
avrebbe visto dei lividi sulle sue braccia.
Sentì
la pressione sulla testa aumentare con una forza impressionante, e in qualche
modo sapeva che la stava abbracciando, violento e appassionato, vero e sincere e
così pieno d’amore che faceva male,
un dolore buono, benedetto, così che si trovò incapace di cominciare di
nuovo a piangere. She felt the pressure against the top of her head increase with
startling force, and somehow she knew that he was embracing her, fierce and
impassioned, true and sincere and so full of love that it hurt, a good,
blessed sort of hurt, so that she found herself unable to start crying
again.
La
realizzazione che lui fosse così emotivo, così tanto innamorato che gli
mancavano le parole, che riusciva ad esprimersi soltanto stringendola così forte
da farle male, da portare via il
rimpianto, l’orribile tristezza a velocità incredibile e
definitivamente.
Di
nuovo, il tempo scomparve.
E
per il momento non importava.
Non
importava che si stesse facendo giorno e che dovessero ritornare a
casa.
Non
importava che Strawberry, un giorno, avrebbe dovuto spiegarlo ai suoi
genitori.
E
non importava che presto avrebbero dovuto affrontare di nuovo Ryan, insieme a
Mina e Pam.
Non
importava che, in qualche modo, avrebbero dovuto affrontare Pai e
Tart.
Dio,
non importava nemmeno, nemmeno un po’,
che un giorno, presto, avrebbero dovuto affrontare Profondo Blu in
persona.
Non
importava niente, mentre le ultime note della ninna nanna permanevano nell’aria
carica di nebbia, finché quell’abbraccio, quelle sensazioni, quei ricordi
restavano con loro.
Sia
la ragazza umana che il ragazzo l’alieno sapevano che l’avrebbero fatto.
L’avrebbero fatto.
Per
sempre.
E
loro sarebbero stati uniti dalla prospettiva un futuro brillante, sconosciuto,
meraviglioso che si spianava di
fronte a loro.
Un
future che cominciò nell’istante in cui Ghish si risvegliò dalla loro trance, si
risvegliò e prese teneramente il mento delicate di Ghish con la sua mano
gentile, girò il suo volto così
lentamente, con una gentilezza così insopportabile mentre guardava i suoi occhi
chiudersi, lasciando che i suoi facessero lo stesso e, con attenzione, con
amore, premette le sue calde labbra contro le sue.
Con
quel bacio, il future cominciò davvero.
E
con quel bacio, seppero che non importava cosa avrebbero affrontato, sarebbero
sopravvissuti, avrebbero vissuto, avrebbero prosperato, perché da quel momento,
da quella fine e quell’inizio, da quell’immortale simbolo di affetto, l’uno
aveva l’altro.
Per
sempre.
Ed
era tutto ciò che importava.
FINE
(*)
nell’originale venivano utilizzati i cognomi dei personaggi. Nella traduzione,
io ho sempre utilizzato i nomi, quindi concedetemi questa libertà che mi sono
presa.
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