The Death of a Dream

di Ila_Chia_Echelon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Sono fisicamente in bilico.
Il mondo non è mai dritto e in qualsiasi verso sia inclinato sembro sempre e comunque destinato a cadere.
Qualcosa di caldo mi attraversa la guancia e va a depositarsi nella piega del cuscino che ho formato mantenendo così a lungo la stessa laconica posizione.
Lo voglio?
Forse.
Il masochismo sembra in qualche modo appartenermi.
Una volta ho scritto che la malinconia è quasi confortante, perchè è una certezza.
Ma sono in bilico, non ci sono certezze in questo strano mondo rovesciato.



Chapter 1
La musica gli rimbombava nel petto, in gola, persino nella punta delle dita, fino a risalire alle orecchie, come un battito sordo. Era circondato da persone con ghirlande di fiori al collo, che si dimenavano come prese da una strana febbre, incuranti della sua presenza.
Non pensava a niente.
Il suo corpo e la sua mente erano completamente assorbiti dai suoni che lo circondavano, finchè non sentì una voce alle sue spalle: «Shannon..» era Antoine, che gli offriva un drink.
Shannon si girò verso l'amico, che aveva abbordato una biondina. «Come va, Shan?» «Bene» rispose lui. In realtà ne aveva abbastanza di quell'ammasso di persone sudaticce. Aveva bisogno di respirare.
Il ragazzo sul palco in fondo alla sala stava invitando una ragazza a salire, probabilmente perchè non sapeva più neppure lui cosa inventarsi. Era carina, piuttosto bassa, con un paio di ghirlande al collo. Shannon non ci fece molto caso, voleva solo uscire per un momento. «Vado a prendere una boccata d'aria» disse ad Antoine, tutto preso a parlare con la sua nuova amica.
In quel momento il presentatore sul palco chiese alla ragazza quale fosse il suo nome; lei sfoderò un sorriso dolcissimo e rispose: «Jacqueline Deimos».
Shannon si sentì gelare. La sua mente divenne improvvisamente vuota, fatta eccezione per una cosa. Risuonava forte e chiara, un ricordo che pensava di aver rinchiuso in un angolo della sua testa, per sempre. Quella voce..."No" si disse. Non poteva essere vero. Improvvisamente una paura cieca s'impadronì di lui. Non poteva restare lì, doveva andarsene immediatamente. Si fece largo tra la folla e uscì praticamente correndo. Salì in sella alla sua fantastica moto e andò dritto dritto al suo pub preferito. Aveva assolutamente bisogno di qualcosa di forte.
THE AGE OF MAN IS OVER



L'aveva visto. Shannon Leto.
Dall'alto del palcoscenico, tra la folla rivolta verso di lei, aveva visto LUI. Il batterista per il quale aveva deciso di iniziare a suonare, l'unico motivo per cui si trovava lì quella sera. Evidentemente lui non aveva più motivi per rimanere lì, invece: se ne stava andando facendosi largo a spintoni tra la gente, tra quelle persone che nemmeno si degnavano di guardarlo, mentre era l'unica cosa che lei vedesse.
Se ne stava andando, portando via con sè il sogno di Jacqueline: conoscere quell'uomo, dirgli quanto fosse importante per lei, chiedergli cosa provasse quando suonava la batteria con quell'energia, quella luce che gli illuminava gli occhi ogni volta che prendeva in mano le sue bacchette.
Sentì le lacrime affiorare tra le sue ciglia, quando una voce gracchiante interruppe i suoi pensieri: «Allora?! Cosa vuoi cantare?» Jacqueline sbattè violentemente le palpebre. «C-cosa?» «Ti ho chiesto cosa vuoi cantare..Ricordi? Il karaoke!» La ragazza finalmente si riprese, e la risposta alla domanda di quel presentatore incapace si materializzò in un attimo nella sua mente...«Savior» disse, con più sicurezza di quanta ne avesse mai avuta.
DON'T SAVE ME 'CAUSE I DON'T CARE





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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Chapter 2

Tomo se ne stava tranquillamente, molto tranquillamente, seduto sul divano a fissare il vuoto. Vicky era già andata a dormire e lui non sapeva che fare.
Sentì suonare il telefono e dopo un paio di squilli si costrinse ad alzarsi per rispondere.
«Pronto?»
«Tomo, sono Antoine»
«Antoine? Che c'è? Sai che ore sono?»
«Sì sì lo so. Ma non sapevo che fare. Non trovo più Shannon. Eravamo ad un party e lui se n'è andato improvvisamente. Al cellulare non risponde, pensavo che potesse essere da te o che sapessi che fine ha fatto insomma!»
«No, non l'ho visto. Provo a sentire Jared.»
«Ok, grazie»
Tomo riagganciò e compose il numero di Jared che, naturalmente, rispose subito.
«Hey Tomo»
«Ciao Jared. C'è un problema. Tuo fratello non si trova.»
«Che cosa?!»
«Era a una festa con Antoine ed è sparito improvvisamente. Non è da lui.»
«So io dove trovarlo. Ci vediamo da Jo tra 20 minuti.»
Tomo sospirò, si vestì in fretta e uscì. "Ma certo, da Jo!"
Arrivarono al pub insieme. Jared salutò ed entrò con passo deciso.
Lo vide subito. Era mezzo sdraiato sul banco, circondato da 5 bicchieri vuoti, e stava farfugliando qualcosa al barista.
«Shannon» lo chiamò Jared.
Lui si girò e con la classica parlata strascicante da ubriaco fradicio rispose: «Hey fratellino! Ma guarda, c'è anche Tomo. Venite a bere qualcosa con me!»
Jared gli si avvicinò. «Fratello, che stai combinando?»
«A te che sembra? Mi sto sbronzando no? Tutta colpa di quella dannata ragazza e della sua dannata voce» e scoppiò in una sonora risata.
Dopo pochi secondi Tomo vide passare negli occhi di Jared un lampo di consapevolezza, la mascella irrigidirsi. Con voce roca disse: «Andiamocene da qui».
Possibile che ci fosse qualcosa sotto quella frase buttata lì da Shannon?
Cosa avrebbe potuto significare? Tomo aggrottò la fronte perplesso. Non riusciva ad immaginarsi nessuna spiegazione plausibile. "Meglio non pensarci" probabilmente aveva frainteso.
Si avvicinò anche lui a Shannon e insieme a Jared lo aiutò ad alzarsi.
Shannon era talmente ubriaco da non riuscire nemmeno a muovere qualche passo senza essere sorretto. In quel momento Jo uscì dalla piccola cucina dietro al banco e rivolgendosi a Jared con il suo solito modo un po' brusco disse: «Hey rockstar, il conto!». Jared sorrise. «Hai ragione Jo, arrivo subito». Lasciò il fratello e andò a pagare.
Poco dopo erano fuori, nell'aria frizzante della loro amata LA. Si salutarono e si diressero verso le rispettive case.
A MILLION LITTLE PIECES WE'VE BROKEN INTO



Jared guardava distrattamente fuori dalla finestra del salotto di casa sua, osservando le luci di Los Angeles con i suoi splendidi occhi azzurri. Non si trovava in California. Quella frase pronunciata da Shannon, pur essendo stata detta inconsapevolmente, aveva riportato a galla un episodio a cui Jared non pensava da molto tempo, forse perchè non lo ricordava bene, forse perchè non voleva ricordarlo. La sua testa si trovava da tutt'altra parte...precisamente in Louisiana, in una città chiamata Bossier City. Lì erano nati lui e suo fratello.
A quella città erano legati molti ricordi della sua infanzia. Sorrise ripensando ai bei momenti passati con suo fratello, e a tutte le marachelle che combinavano quei due. Si divertivano sempre insieme ed erano davvero inseparabili.
Anche quel giorno erano insieme, e stavano organizzando uno dei loro soliti scherzi alla vecchietta di turno...Jared scosse violentemente la testa. Non doveva pensarci, non voleva pensarci. Emise un forte sospiro, come a liberarsi di quei pensieri, e si diede dello stupido: perchè non riusciva a tenere a freno i suoi sentimenti? Quella storia non c'entrava niente con la frase di Shannon, ma lui si era fatto comunque travolgere da quell'ondata di ricordi.
Si accorse che era ancora in piedi davanti alla finestra. Si voltò e per prima cosa vide la sua chitarra: gli sembrò un invito a suonare, così la prese, si sedette sul divano e cominciò a strimpellare qualche accordo. Era quello che gli ci voleva, ora la sua mente era libera da ogni pensiero negativo e lui poteva rilassarsi, sussurrando le parole di una nuova canzone.
I AM NOT HERE, I'M NOT LISTENING, I'M IN MY HEAD

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Chapter 3
Shannon si sentiva strano…sembrava che il suo corpo fosse scollegato dalla mente e che fluttuasse. Ma non era solo una sensazione; era davvero sospeso a mezz’aria. Poi di colpo il buio. E una voce…lontana, ma sempre più vicina, la voce di un bambino terrorizzato. Stava urlando qualcosa ma per quanto si sforzasse non riusciva a cogliere le parole. Poi qualcosa cambiò. Cominciò a cadere sempre più giù, con l’oscurità intervallata da lampi di luce blu, ma lo spazio sembrava infinito e completamente vuoto. Continuò a scendere ad una velocità vertiginosa per un tempo che non riuscì a percepire, ma d'altronde non riusciva nemmeno a gridare e, si accorse, neanche a muovere gambe e braccia. Era completamente immobilizzato. Era spaventato, ma soprattutto si sentiva completamente inutile. Dopo un tempo che parve infinito andò a sbattere contro qualcosa di freddo e duro. L’impatto gli tolse il respiro ma dopo qualche secondo il dolore lasciò spazio a qualcosa di più grande. All’incredulità. Si trovava a ridosso di un precipizio. Si costrinse ad alzare lo sguardo e vide che non c’era nessun altro oltre a lui. Poi la sentì ancora quella voce, sembrava provenire da un punto indistinto alla sua destra. Il bimbo ora sembrava anche più spaventato di prima. Shannon si alzò e cominciò a camminare, poi a correre. Ma nonostante tutto non riusciva a raggiungerlo. Si fermò. Non poteva fare niente, e ancora una volta si sentiva impotente. Il paesaggio cambiò di nuovo, questa volta in maniera così improvvisa da sembrare irreale. Si guardò intorno e fu allora che la vide. La ragazza era di spalle su un’altalena, morbide onde dorate le ricadevano sulle spalle, le gambe magre che si muovevano per andare più veloce. La riconobbe anche così, l’aveva vista per pochi secondi ma si era impressa indelebilmente nella sua memoria. Si girò e gli sorrise. Shannon si diede dello stupido. Come aveva potuto essere così terrorizzato da lei? Ma improvvisamente il viso giovane e bello della ragazza cominciò a trasformarsi.
Profonde rughe cominciarono a solcarle il volto, la pelle si raggrinzì, gli occhi persero la loro fresca vivacità e il loro splendido color smeraldo cominciò a smorzarsi, fino a diventare quasi trasparente. Ora sembravano quasi vuoti, vitrei. Shannon cominciò ad arretrare, ma andò a sbattere contro un muro. Prima non l’aveva notato, ma il piccolo parco era completamente circondato. Non c'erano vie di fuga, era intrappolato lì dentro. Il panico cominciò ad impossessarsi di lui. Non sarebbe più uscito di lì, quel giardino lo avrebbe visto morire. Poi si accorse che la creatura era scesa dall’altalena e stava venendo verso di lui. La paura lo immobilizzava. Era sempre più vicina e quando lo avrebbe raggiunto poteva solo immaginare cosa gli avrebbe fatto subire. 3 metri, 2, 1 e eccola lì, davanti a lui. Alzò un braccio per toccarlo con le sue mani rugose…
Shannon si svegliò di soprassalto, completamente sudato e atterrito. D’istinto sollevò entrambe le mani per proteggersi il viso, ma poi  si accorse con sollievo di essere nella sua camera, nella villetta che condivideva con Jared.
Quel dannato sogno era  sembrato così reale, così vero.. ma ora non voleva pensarci più. Si alzò e si diresse verso il bagno.
BETWEEN HEAVEN AND HELL



Jacqueline si trovava proprio lì, davanti a quel cancello. Poteva sembrare il comunissimo cancello di una villetta, ma non lo era.
Dietro di esso stava il suo sogno più grande, e dopo tutta la fatica che aveva fatto per trovare quella casa sperava davvero che fosse la volta buona per realizzarlo.
Aveva chiesto in giro per LA, sperando che qualcuno sapesse dove abitava Shannon Leto: le erano state date alcune indicazioni ed era giunta in quella zona. Era un bel posto: c'erano ampi giardini con piscine e gazebi e le case erano molto belle, non esageratamente grandi ma spaziose e con grandi vetrate. Peccato che ce ne fossero più di quante se ne aspettasse. E come avrebbe fatto a trovare quella giusta? L'unica cosa che aveva potuto fare era stata suonare i campanelli e sperare in un colpo di fortuna.
Dopo una decina di risposte negative e rispostacce aveva deciso di lasciar perdere. Era tornata alla sua auto, si era messa al volante e aveva fatto partire "The kill" a tutto volume.
Stava urlando a squarciagola "this is who I really am!" mentre guidava, quando una macchia di colore tra le ville bianche aveva attirato la sua attenzione. Aveva inchiodato, lasciando l'auto in mezzo alla strada, ed era scesa quasi correndo.
Si era fermata davanti a un cancello ed era rimasta imbambolata a fissare ciò che aveva attirato il suo sguardo: una moto. Era stupenda, ma soprattutto era la SUA moto. Doveva esserlo.
E così si era ritrovata lì, davanti a quel cancello che adesso stava sfiorando con la mano, come ad assicurarsi che fosse reale.
"Quella moto potrebbe essere di chiunque" pensò.
Ma anche no.
Forse era quella giusta.
Non le restava che suonare il campanello.
Incrociò le dita e premette il pulsante.
«Chi è?» Stava per avere un mancamento. Quella voce! L'avrebbe riconosciuta tra mille. Era la stessa voce che ancora risuonava dalla sua auto lasciata accesa.
Si aggrappò al cancello per sostenersi e rispose: «Sono Jacqueline Deimos. Sono..sono il tecnico della TV.»
"Stupida! Stupida! Stupida!" pensò. Perchè aveva detto così?!
Non l'avrebbe mai lasciata entrare.
Le sembrò di sentire una risatina. Ci fu un momento di silenzio e poi...«Entra pure».
Impossibile. Sentì il "click" del cancello che si apriva.
I'M JUST A STRANGER IN A STRANGE LAND


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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Chapter 4
Si sentiva sotto pressione. Jared continuava a fissarla con un che di divertito nello sguardo. No, non la fissava, la osservava. Sembrava che stesse cercando di capire a cosa pensasse.
Beh, neanche lei capiva a cosa stesse pensando: la sua mente era invasa da un turbinio di emozioni, immagini, pensieri, non sapeva cosa dire, come muoversi. Aveva paura di perdere l'equilibrio e di andare a sbattere contro Jared, perciò si tenne a debita distanza da lui.
Mentre lei era completamente spaesata, Jared sembrava davvero a suo agio, come se si conoscessero da una vita, e continuava a guardarsi intorno con un allegro sorrisetto che metteva Jacqueline ancora più in imbarazzo.
La condusse attraverso il corridoio d'entrata, fino a giungere in un luminoso salotto con ampie finestre, uno spazioso divano e un televisore a schermo piatto. Appena Jacqueline posò lo sguardo sul televisore, si sentì avvampare e si ricordò che si trovava lì per aggiustare un televisore che probabilmente funzionava benissimo. In quel momento la sua mente cominciò ad elaborare varie soluzioni: scappare, dire a Jared tutta la verità e poi scappare, cercare di controllare il televisore e scappare perchè probabilmente l'avrebbe rotto...ok, il suo cervello aveva un po' di problemi a connettere, in quel momento. Ma come avrebbe potuto concentrarsi con quelle due pietre azzurre e luminose che la fissavano?
Jacqueline avrebbe voluto voltarsi, fissare a sua volta Jared e dirgli che la sua voce era la più bella che avesse mai sentito...avrebbe voluto sentirla anche in quel momento, ma lui non apriva bocca.
«Ok non sono un tecnico va bene?! Riesco a malapena a cambiare le batterie di un telecomando quindi è meglio che non tocchi la tua TV. Ho incontrato Shannon al party ma lui se n'è andato e io volevo parlargli quindi sono venuta qui per incontrarlo ma a quanto pare ci sei solo tu che continui a fissarmi con quei tuoi occhi splendidi e io non capisco più niente e non so cosa dire nè cosa fare e per favore di' qualcosa perchè questo silenzio mi sta uccidendo!!!»
Jacqueline aprì la bocca per prendere aria, e poi si rese conto di quello che aveva appena detto. Diventò paonazza e iniziò a farfugliare qualche scusa a Jared, che ancora la fissava e che, fortunatamente, interruppe il suo balbettio con una fragorosa risata.
«Ragazza, sei troppo divertente! E non provare a toccare la mia TV!»
Jacqueline era esterrefatta. Jared era diventato improvvisamente logorroico e le stava proponendo un tour della casa per ingannare il tempo mentre aspettavano che Shannon rientrasse da chissà dove.
Lei accettò, quasi senza pensarci, e seguì Jared in giro per la villa.
La casa era davvero bella: oltrepassato l'accogliente salotto, Jared le mostrò la spaziosa cucina, che aveva un'isola al centro e molti "armadietti pieni di biscotti" disse lui. Al piano terra c'era un corridoio con altre stanze, che Jared oltrepassò per dirigersi alle scale che portavano al piano di sopra. Lì si trovavano le camere di Jared e Shannon, e anche una stanza per gli ospiti.
Giunsero davanti a una porta diversa dalle altre: era completamente ricoperta da strani disegni. Jared si fermò e si voltò verso Jacqueline. «Sono sicuro che questa stanza ti piacerà moltissimo! E' la mia preferita» disse facendole l'occhiolino.
Jacqueline non sapeva cosa aspettarsi. Jared aprì la porta lentamente, quasi volesse tenerla sulle spine.
Dietro la porta c'era una stanza bellissima. Avrebbe potuto viverci, lì dentro. Subito a sinistra della porta c'era un piccolo divano e sulla parete di destra si apriva una finestra che inondava il parquet di luce. Più o meno al centro della stanza c'erano un tavolo e alcune sedie.
Tutt'intorno erano sparsi chitarre, violini, tamburelli...strumenti d'ogni genere e spartiti che svolazzavano dappertutto, spinti dalla corrente provocata dalla porta aperta.
La parete sinistra era meravigliosa: era decorata da tantissimi disegni, firme, frasi e parti di canzoni.
Jacqueline rimase incantata per un po' osservando il muro. Poi Jared la condusse in fondo alla stanza: lì, appoggiate alla parete, si trovavano Artemis e Pythagoras, le chitarre di Jared. Jacqueline fu tentata di sfiorarle con la mano, ma si trattenne per paura di infastidirlo.
Jared, invece, afferrò Artemis e cominciò a suonare accordi a caso. «Guardati pure un po' in giro..non preoccuparti, non ci sono televisori» le disse sorridendo.
Jacqueline si girò e si diresse verso la batteria di Shannon, che si trovava lì a fianco, a qualche metro di distanza. Era enorme, bellissima. La ragazza cercò di immaginare Shannon mentre la suonava: lo vedeva chiaramente, mentre percuoteva i piatti con le sue braccia forti e si scatenava accompagnando Jared e Tomo.
Fece un giro completo della batteria, la osservò da ogni angolazione, cercando di imprimeresela nella memoria. La stessa cosa fece con Jared: non si accorse nemmeno che lo stava fissando, talmente era preso dalla sua chitarra. Probabilmente non l'avrebbe più rivisto. Non capiva neanche come mai l'avesse fatta entrare.
Jacqueline tornò verso il tavolo, al centro della stanza. Qualcosa attirò la sua attenzione. Era nascosta tra i fogli che cospargevano il ripiano. Una custodia, nera, che conteneva alcune bacchette.
Un'idea folle spuntò tra i mille pensieri che ancora girovagavano nella sua mente, nonostante si fosse calmata dal suo arrivo in quel luogo. Iniziò a sfiorare una bacchetta: era liscia e fredda. Si voltò verso Jared; suonava ad occhi chiusi, completamente assorbito dalla musica.
"Shannon non si arrabbierà no? Chissà quante ne ha di bacchette come queste." pensò. Dopodichè infilò due bacchette nella borsa che aveva portato con sè, mentre una vocina nella testa le sussurava di non prenderle.
IT TOOK A MOMENT BEFORE I LOST MYSELF IN HERE



Si sentiva la testa completamente svuotata. Eppure non era certo la prima volta che si ubriacava, e non sarebbe stata nemmeno l’ultima.
Ma era diverso, l’aveva fatto perché in quel momento dimenticare era davvero l’unica cosa che voleva.
Un brivido lo scosse mentre passeggiava per le vie affollate della città. Cominciava ad avere freddo, così di diresse verso casa.
Aveva anche una maledetta voglia di suonare. Era l’unica cosa che lo faceva sentire davvero bene, che lo estraniava completamente dal mondo esterno, e con esso morivano tutti i problemi, le paure, le difficoltà.
Entrò in casa. Jared non c’era. Salì le scale che lo portavano al piano superiore con rinnovata energia.
Passò davanti alla sua camera con passo deciso e si diresse verso quella che chiamavano stanza della musica. Era enorme, con le pareti ricoperte di disegni, opera principalmente di suo fratello. Era incredibile quanto fosse creativo, in ogni cosa. Stava per sedersi alla sua batteria quando gli vennero in mente le sue bacchette. Oggi avrebbe usato quelle a cui teneva di più, decise. Erano quelle che aveva usato al primo concerto in cui aveva suonato nella band, nei 30 seconds to mars, quelle con i glyphics incisi in fondo. Ci avrebbe messo un po' a cercarle però. Il tavolo in mezzo alla stanza era completamente ricoperto di spartiti e strumenti vari. Shannon solitamente adorava il loro disordine, ma quel giorno avrebbe preferito avere le sue bacchette a portata di mano. Si guardò in giro per un attimo sperando di adocchiarle, ma non le vide. Allora cominciò a sollevare ogni cosa dall'angolo sinistro del tavolo. Ma venti minuti dopo era arrivato all'estremo opposto senza trovarle. Shannon si costrinse a restare calmo e a pensare con lucidità. Probabilmente le avrai lasciate da qualche parte nella stanza, si disse. Si, doveva essere così. E ricominciò a cercare.
Era davvero furioso. Seduto sul letto della sua stanza Shannon era circondato da un silenzio ovattato che strideva non poco con il suo umore e sopratutto con l'aspetto della camera. Aveva passato tutto il pomeriggio a esaminare ogni angolo della casa, i cassetti, gli armadi, aveva persino guardato sotto i tappeti. Ma le bacchette sembravano essersi volatilizzate. Le SUE bacchette, quelle a cui teneva di più, quelle con cui non avrebbe mai permesso a nessuno di suonare. E qualcuno le aveva prese. Shannon non riusciva a capire come fosse potuto succere, ma le cose stavano così. L'unica cosa che gli rimaneva da fare era chiamare le uniche due persone che avrebbero potuto fornigli una spiegazione.
I'VE ABANDONED CONTROL

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Chapter 5

Jacqueline si sedette sul suo letto, stringendo le gambe al petto, e sospirò. Quel pomeriggio aveva chiacchierato a lungo con Jared: avevano parlato degli Echelon, dei concerti e delle sue canzoni preferite. Poi, stanchi di aspettare Shannon, si erano salutati e Jared le aveva promesso che avrebbe fatto sapere a Shan che era stata lì.
Jacqueline ripensò a quella casa, da cui non sarebbe più voluta uscire, e all'abbraccio che le aveva dato Jared per salutarla.
Chi era lei per meritare tutta quella fortuna? Certo, non aveva incontrato Shannon e Tomo, ma non capita tutti i giorni di fare un tour di "casa Leto" guidati da Jared in persona!
Le veniva quasi da piangere. Non le sarebbe mai più capitata una cosa del genere, e anche se Jared avesse davvero detto a Shannon della sua visita, lui cosa avrebbe fatto? Non sarebbe sicuramente andato a trovarla per scambiare due chiacchiere con una ragazza sconosciuta.
Jacqueline sfiorò il tatuaggio sulla sua caviglia: "In defense of our dreams".
Le capitava di toccarlo inconsapevolmente, soprattutto quando si sentiva nervosa. Era come se traesse forza da quella frase, l'energia per andare avanti e continuare a seguire i suoi sogni.
Iniziò a pensare a tutto ciò che l'aveva spinta a farsi quel tatuaggio, a "Kings and Queens", agli Echelon, alla gioia che provava ascoltando le canzoni dei Mars e ai loro spettacolari concerti, e un sorriso illuminò il suo volto.
Era felice. Capì che questo le bastava: la musica...e la sua "dysfunctional family".
Improvvisamente le venne in mente della bacchette abbandonate sul fondo della sua borsa. Non era molto sicura di aver fatto bene a rubarle.
Corse a prenderle e si risedette sul letto, soppesandole con una mano. Le rigirò e vide una cosa che inizialmente non aveva notato: in fondo alle bacchette erano incisi dei piccoli glyphics. Nonostante fossero davvero piccoli erano molto precisi; "Rendono queste bacchette ancora più speciali" pensò.
Decise di non rovinare quel momento con i sensi di colpa, quindi prese le bacchette e si diresse alla sua batteria. Aveva iniziato a suonare quando aveva conosciuto i Mars: il modo in cui Shannon suonava l'aveva tanto impressionata che voleva capire anche lei come ci si sentisse. Poi non aveva più smesso.
Cominciò a percuotere un piatto pensosa. Già quelle bacchette erano rubate. Aveva il diritto anche di usarle? Beh – pensò – la cosa peggiore che potessi fare l'ho già fatta, quindi perchè non potrei concedermi anche questo? Così iniziò a suonare lentamente, per poi aumentare velocità e scatenarsi al massimo.
"Per fortuna che non ho vicini di casa" pensò alla fine, con un sorriso idiota stampato in faccia.
IN DEFENSE OF OUR DREAMS



Vicky era stra carica di borse, borsette, pacchetti e pacchettini. Tomo la osservava divertito mentre tentava di entrare in casa mantenendo l'equilibrio e sopratutto senza rovinare niente. Dopo un paio di tentaivi inutili Tomo si alzò e andò ad aiutarla. Appena lo vide Vicky gli regalò uno dei suoi dolci e luminosi sorrisi, che mascheravano una grinta inimmaginabile. Tomo l'amava anche e sopratutto per questo. Era una donna forte ma dolcissima.
«Oh Tomo, grazie tesoro.»
«Di niente amore»
Le diede un bacio veloce e le tolse di mano il frutto di un intero pomeriggio di shopping.
«Meno male che non ci vai spesso, altrimenti mi faresti spendere un capitale» scherzò. In quel momento squillò il telefono e Vicky andò a rispondere.
«Ciao Shannon» la sentì dire e poi aggiungere con voce preoccupata: «E' tutto a posto?» una breve pausa. «Si si è qui. Te lo passo.»
Tomo prese il telefono: «Che c'è Shan?»
«Tomo, ascoltami bene, è molto importante. Ricordi di aver visto le mie bacchette, quelle con i glyphics incisi in fondo, l'ultima volta che sei venuto qui a casa a provare?» Tomo ora capiva perchè era così agitato. Ci teneva davvero molto a quelle bacchette. Ma per quanto si sforzasse non ricordava prorpio di averle viste.
«Mi dispiace Shan ma non le hai usate l'altro giorno...io proprio non le ho viste. Ma che succede?»
«Non le trovo, ho ribaltato tutta la casa, ma niente!»
«Ma è impossibile! Devono essere lì!»
«Ti dico di no! Ora scusa, provo a chiamare Jared.»
«Ok, fammi sapere.»
Chiuse la comunicazione, alzò lo sguardo e si accorse che Vicky lo stava guardando. Le sorrise e la abbracciò. Ci sarebbe stato tempo dopo per il problema di Shannon.
I BELIEVE IN NOTHING BUT THE BEATING OF OUR HEARTS



Jared osservò i granelli di sabbia che scorrevano freschi tra le sue dita e ricadevano sulla spiaggia. Si sentiva davvero bene. Chiuse gli occhi, soffermandosi sul tranquillo sciabordio delle onde di fronte a lui, poi li riaprì e spostò lo sguardo verso l'alto, verso il cielo pieno di stelle.
Si stava perdendo in quello spazio infinito, la mente lontana anni luce da tutti i problemi, impegnato soltanto nell'osservare quei puntini luminosi e irraggiungibili.
Un soffio di fresca brezza serale lo riscosse provocandogli un brivido e lo riportò improvvisamente alla realtà. Inconsapevolmente aveva continuato a raccogliere sabbia con la mano, riempiendosela di sottili granelli, che ora fissava pensieroso. Li gettò di nuovo a terra.
"Sono un po' come il tempo" pensò. Scorrevano rapidamente tra le sue dita, per poi ritornare tra miliardi di altri granelli simili. Il tempo era così: cominciava a passare, velocemente, senza che lui se ne accorgesse. Ma chissà dove lo avrebbe portato alla fine. Non voleva finire tra tanti altri indistinguibili granelli. Non voleva essere come gli altri. Forse era il momento di fare qualcosa, di dare una svolta alla sua vita. Sentiva di sprecare tempo prezioso standosene lì seduto ad ascoltare l'oceano.
Proprio in quel momento, il suo blackberry squillò, interrompendo le sue riflessioni. "Ho paura che la mia vita dovrà aspettare ancora un bel po' prima di cambiare" pensò. "Almeno finchè mio fratello non avrà imparato a evitare di chiamarmi per ogni stupidaggine" e un sorriso a metà tra l'amaro e il divertito spuntò sulle sue labbra.
«Shannon? Cos'hai combinato stavolta?» disse rispondendo al cellulare.
«Dove-sono-le mie-bacchette?!» si sentì rispondere da una voce che celava a stento la rabbia.
«E cosa vuoi che ne sappia io?! Aspetta! Di quali bacchette stai parlando? Perchè sei così arrabbiato?»
«QUELLE bacchette. LE MIE bacchette. Quelle del primo concerto. Sai quanto ci tengo. E non ridere!» sbottò Shannon, sentendo il fratello che ridacchiava sommessamente.
«Rido perchè, come sempre, saranno sepolte da qualche parte nel disordine di casa nostra e, come sempre, tu non hai voglia di cercarle e quindi hai bisogno di qualcuno che...»
«STAVOLTA E' UNA COSA SERIA!» Lo interruppe Shannon. «Ho cercato in ogni angolo della casa, dappertutto, ma sono sparite, scomparse, dissolte nel nulla, puff!»
«Be', mi spiace per te, ma io non ho la minima idea di dove possano essere finite. Non so come aiutarti, davvero. Devono essere per forza a casa, non le porti mai con te. Prova a pensare a quando le hai usate l'ultima volta...a dove le hai lasciate...più di così non posso aiutarti.»
«Sono assolutamente certo che non siano in casa, Jared. Come hai detto tu, non escono mai di qui,  infatti l'unica conclusione a cui sono giunto, aiutandomi con una bella tazza di caffè, è che qualcuno deve averle rubate. Non so perchè nè come ma dev'essere così.» Disse Shannon, imitando il tono beffardo che aveva appena utilizzato Jared con lui.
«Rubate!? Chi avrebbe potuto trovarle in quel casino?! E perchè le avrebbe prese, scusa? A parte il fatto che nessuno è entrato in casa nostra in questi gior...» Jared non concluse la frase, pensando che effettivamente qualcuno era entrato in casa loro in quel periodo, anzi quello stesso pomeriggio, ed era stato proprio lui stesso a condurre quel qualcuno all'interno della casa. "Che le abbia prese lei?" si disse. Forse voleva una sorta di "souvenir". In fondo era stata lì per incontrare Shannon, lo ammirava, ammirava i Mars...A volte i fans combinavano anche di peggio.
«Shannon, forse so dove sono finite le tue bacchette.»
«Cosa?...Grazie Jared, sapevo che mi avresti aiutato! Allora? Dove sono?» Rispose impaziente Shannon, improvvisamente addolcito dalle parole del fratello.
«Te lo dirò se smetterai di mangiare tutti i miei popcorn» disse Jared, e subito dopo chiuse la chiamata. Poi si avviò sul lungomare canticchiando, mentre calpestava la morbida sabbia con i piedi nudi.
YOU THINK ABOUT YOUR LIFE, DO YOU WANT TO BE DIFFERENT?



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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Chapter 6

Jared imboccò la strada che conduceva a casa sua quando venne fulminato da un'idea improvvisa."E' ora che mio fratello affronti le sue paure."
Cambiò rapidamente direzione, verso la biblioteca più vicina. La raggiunse in una decina di minuti ed entrò praticamente correndo, impaziente. Dei cinque computer disponibili soltanto uno era libero e lui ci si sedette subito, sperando che la sua idea funzionasse. Entrò nel suo profilo su facebook e digitò il nome della ragazza, che fortunatamente ricordava ancora. Jacqueline Deimos. "Un cognome incredibilmente marziano" pensò sorridendo appena. C'era un risultato solo e qualcuno probabilmente lo benedisse da lassù perchè c'era l'indirizzo. Non era lontano, constatò scorrendo la mappa della città. Si rimise in sella e pedalando a più non posso in meno di un quarto d'ora raggiunse una bella casettina gialla. Suonò, sperando che la fortuna continuasse ad assisterlo. Dopo
pochi istanti sentì una voce familiare: «Chi è?»
«Salve, sono il tecnico della tv!»
Sentì un "oddio", il cancello si aprì e meno di cinque secondi dopo anche la porta si spalancò. La ragazza restò ferma, fissandolo.
«Sei davvero tu!Sei proprio tu! è..è incredibile!»
Jared scoppiò in una sonora risata, ma dentro provava un'immensa felicità, forse perchè anche dopo anni non si era ancora abituato del tutto al fatto che la sua semplice presenza potesse creare così tanto sbigottimento.
«Si, direi che sono io» disse con un sorriso. Poi, però, facendosi improvvisamente serio, aggiunse: «Sei mi fai entrare dobbiamo parlare di una cosa piuttosto importante.»
«Ma certo che ti faccio entrare!» Disse lei con foga, abbassando lo sguardo un attimo dopo.
Jared entrò, ritrovandosi in un breve corridoio. Jacqueline lo guidò verso un accogliente soggiorno e lo fece accomodare su uno dei due divani color crema.
Lei si sedette di fronte.
«Jacqueline..» esordì Jared, «non credo ci sia bisogno di dirti perchè sono qui, giusto?»
La ragazza arrossì e cominciò a tormentarsi le mani. Dopo un attimo rispose: «Sì lo so e, davvero, me ne vergogno tantissimo. Non so perchè l'ho fatto, non sono quel genere di persona, ma è stato un impulso, quasi come se quelle maledette bacchette mi chiamassero!» Le sfuggì un singhiozzo e visto che Jared non diceva niente continuò: «Le ho di sopra, vado subito a prenderle.» Si alzò di scatto ma la voce di Jared la trattenne.
«Aspetta! Sono venuto qui per parlati delle bacchette ma non per riprenderle!» Taque, vide l'espressione sbalordita di Jacqueline e sorrise tra sè; non tutti erano abituati alle sue stranezze. Si sentì in dovere di tranquillizzarla, si vedeva che era mortificata per quello che aveva fatto.
«Siediti per favore.»
La ragazza ubbidì. Se le avesse detto che Shannon teneva particolarmente a quelle bacchette non avrebbe di certo migliorato la situazione, ma era necessario.
«Senti, non preoccuparti troppo per quello che hai fatto. O almeno non preoccuparti della mia reazione. Sono il primo che spesso agisce senza pensare di fronte a determinate situazioni. Ma queste decisioni prese d'impulso non rivelano ciò che veramente sei. Qualsiasi persona, pur conoscendoti poco come me, anche guardandoti, capirebbe immediatamente che sei una brava ragazza. Te lo si legge negli occhi!»
«Dici sul serio?» mormorò lei.
«Ma certo! Ora, però, tornando alle bacchette...bisogna dire che sei stata particolarmente sfortunata a prendere proprio quelle a cui Shannon tiene di più!»
Jacqueline alzò la testa di scatto. «Che cosa?! Oh mio dio, sarà davvero infuriato!»
«Sì, lo è.» commentò quasi tra sè Jared.
Jacqueline lo osservava con aria perplessa e dopo un paio di secondi si decise a dirgli: «Scusa ma io continuo a non capire perchè non vuoi riprenderti le bacchette.»
"E qui viene il bello" pensò Jared.
«Quello che sto per dirti potrebbe sembrarti senza senso, ma ti posso assicurare che è così che stanno le cose. Mio fratello non è esattamente un campione di coraggio e credo che tu possa aiutarmi a fargli vincere una delle sue stramaledette paure.»
«Credevo che tu dovessi chiarirmi le cose.» Osservò lei in tono leggermente sarcastico.
«In poche parole voglio che sia Shannon a riprendersi le sue bacchette» replicò Jared deciso.
Jacqueline rimase senza fiato. Incontrare Shannon...era il suo sogno, senza dubbio. Ma ora era tutto più complicato. «Jared, sai che vorrei più di ogni altra cosa al mondo conoscere tuo fratello..ma, se vogliamo metterla così, nemmeno io sono una campionessa di coraggio.»
«Benissimo!» rispose Jared tutto contento. «Due piccioni con una fava!» Detto questo si alzò e si diresse verso la porta. La aprì e un momento prima di uscire si girò verso la ragazza che lo guardava ancora sorpresa. «Ci vediamo»
La salutò con un gran sorriso e uscì.
HE CAN'T NEVER GET ENOUGH



Shannon percorreva a grandi passi la cucina, riflettendo su quella strana situazione. Era già alla quarta tazza di caffè e non riusciva più a ragionare lucidamente, tanto i suoi pensieri erano offuscati dalla rabbia. Perchè Jared si divertiva a prenderlo in giro in quel modo? Sapeva quanto quelle bacchette fossero importanti per lui, eppure gli nascondeva la verità.
"A patto che sappia sul serio dove sono" pensò Shannon. Strinse con forza la tazza che aveva in mano. Non ce la faceva più. Era divorato dall'ansia e dalla rabbia. "Ma quanto ci mettono quei due !?" Stava aspettando Jared e Tomo da ben..."Dieci minuti" si rese conto Shannon guardando l'orologio appeso al muro. Dopo aver chiesto loro delle bacchette aveva cercato di rilassarsi suonando e poi li aveva richiamati chiedendo che lo raggiungessero a casa per discutere della questione. Gli sembrava fosse passata un'eternità da quella chiamata, mentre erano trascorsi soltanto dieci minuti.
Sbuffando Shannon si diresse in salotto e afferrò la giacca che aveva abbandonato sul divano  quand'era rientrato da "Starbucks" portando con sè quattro invitanti tazze di caffè. Aveva bisogno di fare un giro in moto, e se neanche quello avesse funzionato sarebbe tornato da Starbucks.
Aprì la porta di casa con una certa furia e si ritrovò davanti i visi sorridenti di Jared e Tomo, che gli saltarono letteralmente addosso.
«Shaaaannoooon! Su col morale, ragazzo!!» Gridò Tomo, mentre stringeva la spalla dell'amico, sempre mantenendo il suo sorriso allegro.
«A tutto c'è una soluzione, e anche questa volta ritroveremo le tue bacchette, vedrai!» continuò, mentre si apprestava ad abbracciare anche Jared, che gli lanciò un'occhiataccia di finto rimprovero.
Quella scenetta riportò il sorriso sul viso di Shannon, che non potè fare a meno di ridere, contagiato dall'ottimismo dell'amico. «Be', Jared a quanto pare sa dove si trovano, giusto?» disse, voltandosi verso il fratello e tirandogli una pacca sulla spalla abbastanza forte da comunicare tutto quello che provava.
Jared rise e con una certa aria di superiorità disse: «Certo che lo so. Ma non pensare che basti un sorriso a farmi rivelare le mie informazioni top secret.» E si diresse verso la cucina, seguito a ruota dagli altri due.
«Basta, Jared. Dimmelo. Non è il momento di scherzare.» Ribattè Shannon, trattenendo a stento una risata. Perchè suo fratello doveva sempre fare lo scemo? Naturalmente Tomo non era da meno, visto che continuava a ridacchiare e stava accostando l'orecchio alla bocca di Jared per venire a conoscenza di quel misterioso segreto. Jared fece finta di bisbigliare qualcosa e Tomo, subito dopo, si coprì la bocca con una mano fingendo un'espressione scioccata. «Shannon! Non ti immagini neanche dove sono le tue bacchette! E' incredibile!» Gridò, per poi scoppiare a ridere. Stessa cosa fecero Jared e Shannon. Era impossibile non farsi contagiare dalla risata dell'amico. Tomo alternava momenti in cui sembrava ancora un bambino spensierato ad altri in cui si comportava in modo davvero serio e intelligente. Era una di quelle persone che potevano cambiare la tua giornata con un sorriso, scacciando i problemi e convincendoti che sarebbe andato tutto bene.
«Ok ragazzi! Ce l'avete fatta a tirarmi su di morale, contenti?» disse Shannon con un sorrisone stampato in faccia. «Non sono più arrabbiato quindi smettetela!» continuò sempre sorridendo.
«Finalmente ti sei calmato, Shannon.» Farfugliò Jared, che nel frattempo si era appoggiato al bancone della cucina, sgranocchiando dei pop corn.
«Ci dispiaceva vederti così giù di morale.» Proseguì Tomo. «E poi chissà quanti soldi avresti speso in caffè se non fossimo arrivati in tempo!» disse divertito, indicando le tazze rovesciate sul ripiano.
«Eh eh. Sai che quando si tratta di caffè non bado a spese.» disse Shannon. «Adesso che avete compiuto la vostra buona azione ditemi per favore dove sono finite quelle stramaledette bacchette!» sbottò all'improvviso. «Non possono essere scomparse così, nel nulla. Le ho cercate davvero in ogni angolo della casa!» disse. Poi diede un pugno a una delle tazze sul bancone e si mise a fissare il fratello, gli occhi ridotti a due fessure. Jared resistette per circa cinque secondi, durante i quali lanciò un pop corn in aria per poi prenderlo al volo con la bocca e mangiarselo, e poi scoppiò a ridere. «E va bene, se la smetti di guardarmi così te lo dico. Ma non ti piacerà.»
«Oggi pomeriggio è stata qui una ragazza. Era carina, ti cercava, e così l'ho fatta entrare. Credo che abbia preso lei le bacchette.» disse, con un'aria leggermente colpevole.
«Come hai fatto a non accorgerti che le ha rubate?! Hai fatto entrare una sconosciuta in casa nostra senza motivo e poi l'hai anche lasciata scorrazzare liberamente per casa! Sei incredibile Jared! Non eri quello che teneva alla sua vita privata? Da quando fai entrare chiunque in casa tua?!»
«Calmati Shannon! C'è un motivo per il quale l'ho fatta entrare. Lasciami parlare e fidati di me! Sono tuo fratello! Non hai pensato che forse se non te l'ho detto subito è stato per il tuo bene?!» rispose Jared, con un tono che non ammetteva repliche.
Tomo guardava i fratelli senza dire una parola, aspettando che si calmassero.
Shannon prese un respiro e cercò di calmarsi. Come al solito era giunto a conclusioni affrettate. Avrebbe dovuto fidarsi del fratello. Loro si volevano bene e Jared non gli aveva mai fatto niente di male. Semplicemente Shannon si era fatto prendere dalla collera e aveva frainteso le intenzioni di suo fratello.
«Scusa Jared, hai ragione. Io...ero arrabbiato...le mie bacchette..sai che ci sono affezionato. Sono quelle del primo concerto. Non sopporto l'idea che qualcuno possa averle rubate. Mi dispiace di averti trattato male. Ma chi è questa ragazza? Perchè mi cercava? Dimmi almeno come si chiama!» disse Shannon, che non riusciva proprio a capire perchè Jared avesse lasciato entrare la ragazza. "Non può averlo fatto solo perchè è carina. Ti prego, fa che non sia solo per questo!" pensò.
«Si chiama Jacqueline Deimos. È simpatica sai?» disse Jared sorridendo.
Jacqueline Deimos...dove aveva già sentito quel nome?
Improvvisamente Shannon si immobilizzò. Adesso ricordava a chi appartenesse.
Guardò Jared con gli occhi infiammati dall'ira che cresceva dentro di lui e lo colpiva a ondate, come una scossa elettrica, poi corse in salotto e uscì, sbattendo la porta.
THE SECRET IS OUT

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Chapter 7

Non ce la faceva più a stare in casa. Si sentiva in una prigione e questa era per lei una sensazione strana, di solito le piaceva la tranquillità della sua casetta. Aveva provato ad accendere la tv, ma i programmi quel giorno le sembravano tutti idioti. Allora era andata di sopra e aveva preso la sua copia più malridotta e familiare di "Orgoglio e pregiudizio" ma, e questo era davvero molto strano, non era riuscita a immergersi nel suo romanzo preferito. L'aveva letto talmente tante volte da scollarlo e da sapere quasi ogni battuta a memoria, ma quella sera semplicemente non riusciva a concentrarsi. Di suonare la batteria neanche a parlarne, avrebbe solamente aumentato la sua angoscia. Allora si decise ad uscire. Era tardi e per le vie del suo quartiere non si vedeva quasi nessuno. Si incamminò verso il lungo mare a testa bassa, continuando a ripensare ininterrottamente allo stravagante personaggio che poche ore prima si era seduto sul suo divano, ma più ci rifletteva e più la situazione le pareva assurda, se non irreale. Perchè Jared voleva che fosse Shannon a riprendere le sue bacchette? Che c'entrava lei con "l'affrontare le sue paure?". Shannon non poteva avere paura di lei, non sapeva nemmeno della sua esistenza! O meglio ora lo sapeva visto che era stata così stupida da rubargli le bacchette. Quello che le aveva detto Jared, però, l'aveva notevolmente rincuorata. Lui era convito che fosse una brava persona, nonostante tutto. Quel ragazzo era davvero incredibile,"Ma questo lo sapevo già" si disse sorridendo tra sè.
Alzò la testa e vide davanti a sè una ragazza magra con i capelli neri, tagliati corti. Un pensiero improvviso la colpì."Eleonore!" nel trambusto degli ultimi due giorni si era completamente dimenticata di lei! Come era potuto succedere? Lei era la sua migliore amica, lo era da sempre. Quando abitava ancora a Parigi erano inseparabili. Non la vedeva da mesi e le mancava da morire. Ed esattamente tra un'ora il suo aereo sarebbe atterrato a Los Angeles. Benedisse mentalmente quella sconosciuta che fino ad un attimo prima le camminava davanti, si girò e cominciò a correre verso casa, pregando di riuscire ad arrivare in tempo.
Salì in casa, prese le chiavi dell'auto e un secondo dopo già stava guidando. Fortunatamente era partito il cd dei mars, con la stupenda This is war, altrimenti niente sarebbe riuscita a consolarla del fatto che venti minuti dopo si trovava imbottigliata nel traffico. Ma dopo tutto era sempre così. Guardò l'orologio, per la quinta volta in cinque minuti. Poteva ancora farcela.
Mezz'ora dopo si stava fiondando dentro l'aeroporto, ma si accorse di non sapere dove andare. Una voce meccanica venne in suo aiuto: «Aereo in arrivo da Parigi, gate 2» Era proprio davanti a lei, quindi si sedette su una di quelle scomodissime sedie per aspettare Eleonore. Quasi non fece in tempo a farlo che vide arrivare i primi passeggeri. Si rialzò immediatamente  e qualche secondo più tardi la stava abbracciando così forte da togliere il fiato. Entrambe avevano le lacrime agli occhi.
«Jackie, sono così felice di rivederti!»
«Non dirlo a me! Forza, vieni, ho la macchina piuttosto lontana.» rispose guardandola nei grandi occhi azzurri che le invidiava tanto da bambina. La prese sotto braccio sentendosi invadere da una calda sensazione di conforto e insieme si avviarono verso l'uscita.
NO NO NO NO! I WILL NEVER FORGET!



Jared guardò sconsolato Tomo, che lo fissava a sua volta esterrefatto.
Shannon era praticamente appena scappato di casa, e Tomo era stato coinvolto involontariamente in quella discussione, di cui probabilmente non aveva capito una parola.
"Forse dovrei dargli qualche spiegazione" pensò Jared. "E' quasi un fratello per noi, e potrebbe aiutare Shannon più di me. Ma da dove cominciare?"
«Vai.» disse Tomo, con voce ferma e convinta.
Jared lo guardò intensamente negli occhi, come a fargli una domanda implicita, attraverso lo sguardo. E Tomo rispose.
«In questo momento la persona che ha più bisogno di te è tuo fratello. Va' da lui. Prima o poi mi spiegherai cos'è tutta questa storia, ma per ora posso aspettare.» disse con un gran sorriso.
Anche Jared gli sorrise, e lo abbracciò.
«Grazie». Fu tutto ciò che riuscì a dirgli, ma quell'unica parola esprimeva la gratitudine che provava nei suoi confronti, per tutte le volte in cui aveva aiutato lui o Shannon, anche semplicemente con una risata. Poi uscì, sperando di riuscire a trovare il fratello.
Quando Shannon doveva sfogarsi suonava la batteria o, se si trovava fuori casa, saliva sulla sua moto e si dirigeva "dove mi porta il vento" diceva lui scherzando. Perciò Jared non si aspettava certo una facile ricerca.
Inforcò, come sempre, la sua bicicletta, e comiciò a pedalare lungo la via che portava sulla costa. Era una notte limpida e piuttosto fredda, e la luce della luna rischiarava le strade e illuminava i profili delle abitazioni, avvolgendo ogni cosa. Il paesaggio era piuttosto spettrale, ma nonostante questo Jared stava bene, era tranquillo e completamente concentrato sul suo obiettivo, aiutato anche dall'aria fresca che gli sferzava il viso, impedendogli di distrarsi.
Di solito Shannon non si allontanava troppo da LA nei suoi "viaggi di mezzanotte"; Jared sperava che anche questa volta fosse così, anche perchè con la bicicletta non sarebbe andato troppo lontano.
Sulla costa il vento si fece più intenso, costringendo Jared a socchiudere gli occhi. Il cantante cercò comunque di mantenere l'attenzione su ciò che lo circondava, anche se a quell'ora le strade erano completamente vuote.
"Mi ricorda tanto The Ride" pensò. Era sempre in bicicletta, di notte, a Los Angeles. Peccato che la situazione in cui si trovava adesso fosse meno allegra rispetto a quella del video. Ed era solo. Fortunatamente le parole di Kings and Queens seguirono immediatamente quel pensiero, nella sua mente, portandogli un po' di compagnia. Percorse qualche kilometro, finchè non si ritrovò di fronte alla baia di Santa Monica.
Il paesaggio era incantevole e stava quasi per abbandonare la sua "missione" e recarsi alla spiaggia, quando, con la coda dell'occhio, vide un'ombra muoversi non lontano da lì. Percorse i pochi metri che lo separavano dalla figura e scorse, accanto ad essa, una moto.
"Perchè si è fermato qui?" si chiese Jared. Si aspettava che il fratello si fosse allonatanto molto di più da casa, e invece eccolo lì, appoggiato alla moto, con lo sguardo perso nel buio.
Indossava una maglietta leggera, sembrava che la brezza non gli desse nessun fastidio. Jared gli sfiorò una spalla, non sapendo che altro fare. Rimasero in silenzio per un bel momento, senza guardarsi in faccia. La poca luce non rendeva possibile a Jared scorgere l'espressione del fratello, ma si immaginava fosse ancora arrabbiato, visto che non gli rivolgeva parola.
Jared si fece coraggio: «Shannon, so che sei arrabbiato, ma devi ascoltarmi. So perchè quella ragazza ti spaventa tanto e, credimi, anch'io non capisco cosa sia questa storia e ne sono piuttosto spaventato. Ma non possiamo nasconderci e fare finta che non succeda niente. Probabilmente è solo  una nostra illusione, uno scherzo del destino, e noi dobbiamo affrontarlo insieme, come abbiamo sempre fatto. Jacqueline è una normalissima ragazza, anzi no, lei è speciale, perchè è un'Echelon. Nessun Echelon merita di essere trattato così, Shannon. Ho parlato con lei. Vuole conoscerti, ed è terribilmente preoccupata per come tu possa stare, visto che ti ha rubato le bacchette, e spera che tu vada a riprenderle. Voleva restituirmele, ma capisci perchè voglio che vada tu?» Jared si fermò, aspettando che il fratello dicesse qualcosa, ma sembrava che le sue parole non toccassero Shannon in alcun modo.
Allora continuò. «Tutto qui. Ho detto quello che dovevo dirti. Io ti conosco, Shannon. So che puoi andare da lei e prendere quelle bacchette, anche senza il mio aiuto. Continua pure ad essere arrabbiato con me, se vuoi, ma fai quello che devi fare.» Poi si diresse verso la bicicletta, per tornare a casa.
Mentre la sollevava da terra, sentì finalmente la voce del fratello. «Jared, c'è un piccolo problema.»
Lui si girò, lanciandogli un'occhiataccia.
Shannon sorrise e, un po' imbarazzato, disse: «Ho finito la benzina».
Jared scoppiò a ridere, scuotendo la testa, salì sulla bicicletta e partì a tutta velocità, mentre Shannon lo rincorreva imprecando. Le sue parole risuonarono all'infinito nella città vuota e silenziosa, che sembrava si fosse improvvisamente fermata per ascoltare i due fratelli che ridevano insieme.
THESE LESSONS THAT WE'VE LEARNED HERE HAVE ONLY JUST BEGUN

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Chapter 8

Jacqueline accese il portatile e aprì il suo profilo di Facebook. "Proprio come pensavo" disse tra sè e sè, osservando il suo indirizzo tra le informazioni a cui chiunque poteva accedere attraverso il profilo. Non si ricordava di averlo scritto, e si maledisse per essere così svampita, ma allo stesso tempo ringraziò di averlo fatto. Jared doveva averlo per forza trovato lì, altrimenti come avrebbe fatto a trovare casa sua?
Cancellò l'indirizzo. Quella volta l'aveva trovato Jared, ma poteva sempre capitare che lo vedesse qualche malintenzionato. Proprio in quel momento il campanello suonò. "Visto? Qualcun'altro ha già trovato il mio indirizzo!" pensò sbuffando. Si alzò di malavoglia e andò a rispondere al citofono.
«Chi è?» disse, in modo quasi aggressivo.
«Ehm, sei Jacqueline giusto?» rispose una voce profonda e un po' incerta.
«Uhm, sì, sono io. Scusi, chi è lei?»
«Sono Shannon. Shannon Leto.»
Jacqueline riattaccò immediatamente il ricevitore e si appoggiò di colpo alla porta, cercando di respirare normalmente. "Jared! Perchè riesci sempre a ottenere ciò che vuoi così in fretta?!".
La ragazza non si aspettava minimamente di ritrovare Shannon a casa sua, o almeno non così presto. Pensava che a Jared sarebbe voluto più tempo per convincere il fratello, perchè a quanto pare Shannon aveva paura di lei, per un qualche misterioso motivo. E sperava di essere avvertita, magari!
"Paura di me..che gli ho appena piantato il citofono in faccia per paura di parlargli." pensò Jacqueline. Come avrebbe fatto ad affrontarlo? Aveva rubato le sue bacchette, le bacchette a cui teneva di più! Non poteva ridargliele e mandarlo a casa come se niente fosse!
"Oh, al diavolo!" Jacqueline fece un respiro profondo, canticchiò alcune parole di "This Is War" per farsi forza e aprì la porta.
Shannon entrò, in silenzio, lo sguardo puntato a terra.
Quel rifiuto di guardarla e parlarle colpì Jacqueline come un proiettile. Sapeva di aver fatto una cosa sbagliata e brutta, ma questo era davvero troppo. Si sentiva già abbastanza in colpa senza che lui la trattasse come fosse invisibile.
Improvvisamente Shannon alzò lo sguardo, interrompendo i pensieri di Jacqueline, che lo guardava incantata, imbarazzata e anche un po' arrabbiata. Lei aprì la bocca per parlare, ma lui la precedette: «Scusa...io..non posso stare qui..ehm..ho un impegno. Ciao.» Detto questo, senza quasi mai guardarla negli occhi, si diresse verso la porta lentamente, e poi, appena messo piede fuori, si mise a correre.
Jacqueline rimase incredula di fronte alla porta, guardandolo mentre si allontanava, e una lacrima le sfuggì, rotolando giù per la guancia. La asciugò in fretta con il palmo della mano. Shannon aveva davvero paura di lei. Era incredibile.
La ragazza sobbalzò: qualcuno le aveva sfiorato un braccio.
«Jackie, non piangere!» era Eleonore. Evidentemente aveva visto tutta la scena dalla cucina.
«Non sto piangendo.» disse Jacqueline. Non voleva apparire così debole, neanche di fronte alla sua amica. Sapeva anche lei che non aveva senso piangere solo perchè "quello lì" era terrorizzato da lei. Era solo uno stupido batterista, che faceva parte di quella stupida band le cui canzoni riempivano le sue giornate, facendola ridere, piangere, ballare...era il batterista grazie al quale aveva scoperto quanto fosse bello e liberatorio suonare, quanto portasse in un altro mondo, lontano da tutti i problemi e le preoccupazioni...scoppiò a piangere.
Eleonore la strinse forte. «Jackie, smettila! Vedrai che tornerà! E' solo uno stupido se non si rende conto di quanto sei speciale!»
«No invece! Non tornerà perchè io non sono un bel niente! N-non conto niente per lui..non sa neanche chi sono! Probabilmente mi odia Eleonore! Ho rubato le sue bacchette! L-le sue preferite!» esclamò Jacqueline tra i singhiozzi.
«Oh, basta Jackie!» Eleonore la allontanò da sè, tenendo le mani sulle sue spalle e scuotendola leggermente. «Nessuno ti odia! Avrai anche rubato le sue bacchette ma sbaglio o stavi per restituirgliele? Se è una persona intelligente non può odiarti! Non hai detto che Jared pensa che tu sia una brava ragazza? Ecco! Allora Shannon non può pensare il contrario. E' suo fratello eccheccavolo!» urlò Eleonore, fuori di sè.
Jacqueline la abbracciò, in silenzio. L'amica aveva ragione. Doveva smetterla di piangersi addosso. Non sapeva cosa passasse per la mente di Shannon, e non le interessava. Non voleva riprendersi le sue bacchette? E va bene, meglio per lei.
Eleonore sciolse l'abbraccio e la condusse verso la cucina. Erano rimaste davanti alla porta aperta fino a quel momento. L'amica chiuse la porta, poi si voltò verso di lei sorridendo. « Vieni, ti preparo una bella cioccolata!» Jacqueline sorrise a sua volta. «Voglio una montagna di panna...per dimenticare le brutte esperienze». Eleonore le diede una spinta scherzosa, e entrarono ridendo in cucina.
PLEASURE TO MEET YOU BUT BETTER TO BLEED



Che cosa diavolo gli era preso? Era inutile che continuasse a chiederselo, lo sapeva fin troppo bene. Prima di trovarsela davanti aveva cercato di autoconvincersi che poteva farcela, ma quando aveva visto i suoi occhi puntati su di lui aveva capito che l'unica cosa che poteva fare in quel momento era andarsene. Aveva cominciato a correre, percependo soltanto il battito pressante del suo cuore, sovrapposto a quello dei pensieri, che gli martellavano furiosamente in testa. Aveva continuato per un tempo indefinito, fino a quando era inciampato ed era quindi dovuto ritornare forzatamente alla realtà.
Ora Shannon si stava guardando intorno, per capire dove si trovava. Ma non vedeva niente. Non riusciva a concentrarsi sugli oggetti che lo circondavano.
L'unica cosa apparentemente ragionevole che gli venne in mente di fare fu di girarsi e incamminarsi piano verso il punto da cui era arrivato. Camminò con gli occhi fissi a terra fino a quando una sagoma familiare non lo spinse ad alzare lo sguardo. La sua moto. Shannon si riprese un poco. Salì in sella e partì rombando. La sensazione di libertà che provava di solito gli arrivò attutita, come tutto il resto quella sera. Si sentiva quasi completamente estraniato dalla realtà, anche se l'aria che gli sbatteva contro sembrava insinuarsi nella grande distesa ingarbugliata delle sue sensazioni e dei suoi pensieri, portando un po' di chiarezza. Doveva andare da Jared. Doveva dirgli che non ce l'aveva fatta, che non ce l'avrebbe mai fatta. Sapeva che lui non avrebbe capito all'inizio, che avrebbe continuato a insistere per ancora un bel po' di tempo. Per lui era tutto più semplice, considerò amaramente Shannon. Ma questa volta non sarebbe riuscito a convincerlo, nè lui nè Tomo. Probabilmente Tomo non ne sapeva ancora niente, ma Jared lo avrebbe informato al più presto,sicuramente.
Guidò con questi pensieri fino a casa. Entrò sbattendo la porta. Due secondi dopo considerò che avrebbe fatto meglio a non farsi notare, visto che voleva stare solo e che, sopratutto, non aveva voglia di affrontare una discussione con suo fratello. Si erano appena riappacificati e non voleva litigare ancora.
Avevano un rapporto fantastico, Jared era uno dei suoi punti di riferimento, per lui ci sarebbe sempre stato e viceversa.
E forse fu anche per questo che davanti al suo sguardo inquisitore Shannon non si sentì per niente il fratello maggiore.
DO YOU REALLY WANT ME DEAD OR ALIVE TO TORTURE FOR MY SINS?


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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Chapter 9

Eleonore era estremamente delusa. Perchè Shannon si era comportato in quel modo con Jacqueline? Lui era il suo mito, insieme a Jared e Tomo. Era una delle tante cose e delle tante passioni che condivideva con l'amica. Li avevano scoperti grazie a From Yesterday, e dopo aver ascoltato quella canzone stupenda si erano innamorate di quella band. Per tutti quegli anni l'avevano accompagnata sia nei momenti belli che in quelli brutti, ma non solo. Facevano semplicemente parte della sua quotidianità, della sua vita. Si passò una mano tra i corti capelli, sospirando. Era delusa, sì, ma non riusciva nemmeno a spiegarselo, quel comportamento.
«Ele?! Eleonore?!»
Si riscosse, non si era resa conto di essersi immersa completamente nei suoi pensieri. Le capitava di farlo a volte e per questo i suoi amici la accusavano scherzosamente di "andare per farfalle".
«C-che cosa c'è?»
«Ti ho chiesto cosa vuoi fare oggi!»
«E me lo domandi?» Si alzò, abbozzò una mezza giravolta e urlò: «Andiamo in giro per LA!!!»
Entrambe scoppiarono a ridere. Jacqueline guardò l'amica.
«Mi è mancata parecchio la tua pazzia!» le disse.
«Ma certo che ti sono mancata, io sono insostituibile!»
«Mmm...penso che Jared ti sostituisca molto bene»
«Ah si? Mi sono molto offesa per questa cosa sai?!»
Scoppiarono di nuovo a ridere e uscirono nella frenesia della città.
Jacqueline osservò l'amica che dopo aver chiacchierato ininterrottamente per tutto il giorno si era fatta improvisamente silenziosa. Era uno dei suoi momenti di estraneazione dalla realtà che la rendevano così incredibilmente vera. Non era una di quelle persone che diventavano improvvisamente delle sconosciute in presenza di altri. A lei non interessava di venire etichettata come strana, lei era lei punto. Eleonore si girò improvvisamente a guardarla. C'era la profondità dell'abisso in quegli occhi, resi ancora più incredibilmente magnetici dalla fioca luce dei lampioni. Frugò per un momento nella borsa e prese le chiavi del suo appartamento di Parigi.
«Queste chiavi mi ancorano alla realtà, Jacqueline, alla mia vita, mi ricordano costantemente che tra pochi giorni me ne andrò. Mi ricordano che per quanto possiamo reputarci persone libere non lo siamo mai veramente. La nostra stessa esistenza è condizionata da scelte continue, ma non si tratta solo delle nostre. A volte la mattina mi sveglio e vorrei venirti a suonare per chiederti di venire a fare colazione con me. Ma poi mi ricordo dell'oceano che ci separa. A volte mi capita di pensare a come sarebbe se in certi momenti ci fossi anche tu. Ma credo che, fino a quando non ti ho vista all'aereoporto, non mi fossi resa conto fino in fondo di quanto mi mancassi.»
Continuò a fissarla dritto negli occhi per alcuni istanti. Jacqueline si sentiva sull'orlo delle lacrime. Lei si era quasi dimenticata del suo arrivo. Il senso di colpa era opprimente, le gravava sul petto come un macigno. Stava per ribattere quando Eleonore fece una cosa inaspettata. Si girò e buttò le chiavi in mare. Jacqueline rimase a bocca aperta.
«Ma che hai fatto?»
«Mi trasferisco. Qui. A Los Angeles!»
«Davvero?!» No, non ci credeva. Era assolutamente troppo bello per essere vero.
«Ma certo che è vero! Almeno per quanto riguarda le mie di scelte IO VOGLIO ESSERE LIBERA!» Lo disse praticamente urlando e alcune persone si girarono a guardarle incuriosite.
Jacqueline cominciò a ridere, non riusciva più a fermarsi. Anche Eleonore si unì a lei.
«Ele, troppa gioia, per oggi basta! Se no mi costringi di nuovo a citarti una frase di orgoglio e pregiudizio!»
«Lo faresti sempre e in continuazione in qualunque caso! Sentiamo questa perla di saggezza comunque!»
Si asciugò le lacrime e con fare esageratamente teatrale disse: «Oh Lizzy, di felicità si può morire?»
Quel giorno era decisamente condannato a subirsi le loro risate.
LOST IN THE DAYDREAM


Jared giocherellava distrattamente con il suo ciondolo a forma di triad, aspettando l'arrivo del fratello. Era seduto in salotto da circa mezz'ora e si annoiava terribilmente.
Dopo aver giocato un po' con il suo blackberry, essersi gustato un cioccolatino e aver gironzolato per casa senza uno scopo preciso aveva deciso di provare a portare un po' di pazienza e si era sistemato sul divano, cercando di rimanere calmo.
Era impossibile. Stare lì fermo a fare niente non era decisamente il programma ideale della sua giornata, nè il suo carattere gli permetteva di comportarsi così.
Sentiva sempre il bisogno di muoversi, o comunque di impegnare la mente in qualcosa di utile. Ma cosa? Ultimamente, con la pausa dal tour, dalle interviste e da tutti i vari impegni legati ai 30 Seconds to Mars, le sue giornate erano diventate un po' più vuote, soprattutto quando non c'erano Shannon e Tomo.
Si passò una mano tra i capelli, sbuffando, e distese le gambe. Forse avrebbe potuto leggere un libro. Si sentiva completamente indolenzito, perciò in quel momento avrebbe preferito fare una corsetta o per lo meno uscire di casa, ma doveva rimanere lì per accogliere Shannon quando sarebbe tornato. Voleva conoscere ogni dettaglio. La lettura l'avrebbe aiutato ad ingannare il tempo.
Si alzò stiracchiandosi e si diresse verso le scale, per andare a prendere uno dei tanti libri sparsi in camera sua, comprati e poi mai letti per mancanza di tempo. Arrivato a metà scala sentì la porta aprirsi e poi richiudersi violentemente. Subito si voltò e scese i gradini quasi correndo. Finalmente qualcuno era arrivato ad interrompere la sua noia.
Imboccato il corridoio d'entrata si ritrovò davanti la persona che meno si aspettava di vedere in quel momento. Ragionò per un attimo e si rese conto che per entrare in casa sua senza suonare il campanello si dovevano per forza avere le chiavi e di conseguenza avrebbe dovuto capire subito che si trattava di Shannon. Però non si aspettava tutta questa velocità.
«Ciao Shannon. Com'è andata? Hai fatto in fretta.» disse con un sorriso.
Il fratello non rispose e diresse lo sguardo verso il pavimento.
Jared esitò per un momento, poi osservò il batterista con più attenzione. Lo guardò dall'alto in basso e, be'...delle bacchette non c'era traccia.
«Shannon?» pronunciò il nome quasi come se fosse una domanda, sbirciando lo sguardo del fratello, che invece sembrava ancora molto interessato alle sue stesse scarpe.
«Shannon!» ripetè, stavolta con un tono più perentorio.
Il fratello sembrò riscuotersi e cominciò a dondolare da un piede all'altro, come per chiamare a raccolta quel poco di coraggio che gli serviva per parlare.
Improvvisamente sollevò lo sguardo, poi lanciò sul divano il casco che teneva nella mano destra, il quale cadde fragorosamente a terra. Shannon lo guardò cadere, indifferente, e Jared capì che stava pensando a tutt'altro.
Andò a raccogliere il casco mentre Shannon continuava a guardarsi intorno con occhi vuoti e stanchi, poi lo pose sul divano e si sedette, facendo cenno al fratello di sedersi accanto a lui.
Shannon si accasciò sul divano, passandosi le mani sul viso. «Jared, mi dispiace. Sono uno stupido, lo so. Ma quella ragazza...quando mi fissa, con quei due occhi...mi si spegne il cervello ok? È come se mi scavasse dentro, come se riuscisse a capire quello che penso! Davanti a lei non riesco a pensare a niente a parte andarmene immediatamente. È più forte di me. Neanche il pensiero di riprendere le mie bacchette mi fa stare meglio. E mi dispiace! Perchè lei non ha fatto niente di male e probabilmente pensa che io sia pazzo o malato o chissà cos'altro! E so cosa dirai, dirai che non è da me, che è tutto semplicissimo e che di solito io affronto le situazioni in modo molto diverso, ed è tutto vero! È questo che più mi dà fastidio! Non capisco cosa mi stia succedendo, non capisco dove sia finito il vero Shannon, e soprattutto non capisco come tu faccia ad avere sempre maledettamente ragione! Non sono io il fratello maggiore? Probabilmente questa...cosa mi ha talmente rimbecillito che non mi ricordo neanche più chi sono!» detto questo si lasciò andare contro lo schienale del divano, abbandonando le braccia accanto a sè come se quel discorso gli avesse completamente risucchiato ogni energia.
Jared rimase in silenzio, guardando dritto davanti a sè, aspettando che il fratello si rilassasse e soppesando, nel frattempo, le parole da dire. Non era arrabbiato con Shannon e, al contrario di quello che pensava lui, capiva che per il fratello fosse difficile parlare con Jacqueline. Indubbiamente avevano caratteri molto diversi, ma questo non significava che non si comprendessero l'un l'altro.
Si voltò verso Shannon: «Sono sicuro che il vero Shannon sia ancora lì da qualche parte» disse puntando un dito contro il fratello. «Forse ha solo bisogno di un piccolo aiuto per venire fuori» proseguì ridendo.
Shannon lo guardò sconsolato. «E sarebbe?» mugugnò.
«Be'..» rispose Jared. «Qual è la cosa che sai fare meglio? Quella che rivela chi è il VERO Shannon? Quella che fa venir fuori il tuo io interiore? La tua anima? Il tuo spirito? I tuoi sentimenti più profondi? I tuoi...»
«Basta! Ho capito Jared, non c'è bisogno d'insistere con queste "frasi poetiche"!» sbottò Shannon, stavolta ridendo.
«La batteria, suonare la batteria è ciò che so fare meglio. Certo, ci sarebbero molte altre cose che io so fare benissimo...»
«Ma smettila! Ti ricordo che hai appena ammesso che qui la persona che ha SEMPRE ragione sono io. Sono io quello più intelligente e talentuoso in questa casa. E anche il più bello, naturalmente.» disse Jared, alzando il mento come per farsi guardare meglio da un pubblico inesistente.
Shannon si limitò a tirargli un pugno scherzoso. Poi abbracciò Jared in una stretta fraterna e si diresse nella stanza della musica. Anche in quel momento ciò di cui aveva bisogno era suonare.
THIS IS WHO I REALLY AM INSIDE



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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Chapter 10

«Ma cos'hanno tutti in questi giorni?! Non si può mai avere un po' di pace in questa casa!» Qualcuno aveva di nuovo suonato al campanello e dopo l'inaspettata visita del giorno prima Jacqueline non aveva voglia di vedere nessuno.
Voleva semplicemente stare insieme a Eleonore. La sua compagnia la distraeva dai pensieri tristi che ultimamente le affollavano la mente e pensare che sarebbe rimasta lì con lei a Los Angeles, per sempre, la faceva sentire ancora meglio.
Ancora non ci credeva. Adesso potevano realizzare tutto ciò che la distanza aveva sempre impedito di portare a termine, potevano fare shopping insieme, andare in spiaggia insieme...parlare. Questo le era mancato più di tutte le altre cose. Parlare con l'amica faccia a faccia. Lei era l'unica che la comprendeva davvero, non solo perchè si conoscevano fin dall'infanzia, ma anche perchè Eleonore era una di quelle persone sempre disposte ad ascoltare, che capivano al volo com'era fatta una persona e riuscivano sempre a dire la cosa giusta al momento giusto. E poi era un'incurabile sognatrice! La coinvolgeva sempre in grandi progetti ed era così determinata a raggiungere i suoi obiettivi, all'apparenza inarrivabili, che riusciva a rendere partecipe anche Jacqueline, che al contrario teneva i piedi completamente incollati a terra.
Eleonore pensava in grande, e ogni tanto riusciva a far spiccare un piccolo salto anche all'amica, che solitamente non si perdeva a fantasticare, ma si concentrava soltanto su ciò che era sicura di riuscire ad ottenere. Forse era proprio grazie ad Eleonore che Jacqueline aveva deciso, per una volta, di buttarsi e andare a cercare Shannon quel giorno. Aveva trovato Jared al posto suo, "ma va benissimo lo stesso!" pensò ridacchiando.
Si ricordò del campanello, che squillava insistenetmente da un bel pezzo. Interruppe malvolentieri l'ennesima lettura di "Orgoglio e pregiudizio" e andò direttamente ad aprire la porta.
Jared stava scavalcando il cancello di casa sua come se niente fosse.
«Facevi un pisolino?» chiese oltrepassando l'esterrefatta Jacqueline per entrare in casa.
«Mi dispiace averti disturbato, ma dovevo assolutamente chiederti una cosa e non potevo aspettare!» disse sorridente, mentre sollevava il libro abbandonato sulla poltrona su cui successivamente si sedette.
Jacqueline non riusciva a stargli dietro. Nel tempo in cui lui era entrato, aveva detto quelle cose e si era seduto lei era riuscita soltanto a togliersi l'espressione stranita che era comparsa sul suo viso nel momento in cui si era ritrovata di fronte a quella scena esilarante. "Ha davvero scavalcato il cancello" continuava a ripetersi. "L'ha fatto sul serio."
Il suo pensiero corse immediatamente a Eleonore. "Per fortuna che non è in casa" si disse Jacqueline con un mezzo sorriso. "O avrebbe preso a sberle Jared per la sua maleducazione o si sarebbe complimentata per il suo modo originale di entrare nelle case, probabilmente imitandolo per i prossimi 5 giorni!" Un'altra qualità dell'amica era senza dubbio l'imprevedibilità.
«Ehi, Jackie? Sicura di star bene?» La voce angelica di Jared interruppe il flusso dei suoi pensieri. Due secondi dopo Jacqueline si rese conto che l'aveva persino chiamata Jackie. Oddio.
«Ehm, sì Jared?...Fai come se fossi a casa tua, comunque!» disse la ragazza con una nota di sarcasmo nella voce.
A quanto pare Jared non colse il velato rimprovero, o forse non gli importava. Teneva ancora in mano la copia di "Orgoglio e pregiudizio" e ne sfogliava le pagine a casaccio. Sentendo il fruscio della carta Jacqueline si riprese un poco, chiuse la porta e andò a sedersi di fronte a Jared, tenendo d'occhio il suo libro.
«Ciao Jared, come stai? Vuoi qualcosa da bere?» Gli fece l'ultima domanda soltanto perchè sperava di sostituire un bicchiere al suo libro, che era già abbastanza consumato a causa sua, senza che Jared lo rovinasse ulteriormente.
Sfortunatamente il cantante sembrò non fare caso alla domanda. Continuava a guardare le pagine del libro, ma senza vederle veramente; sembrava perso nei suoi pensieri.
Jacqueline rimase in silenzio e aspettò.
Dopo alcuni minuti finalmente Jared si decise a parlare: «Sei libera venerdì sera?»
Era tremendamente serio.
Jacqueline non finiva mai di sorprendersi di fronte a lui. Aveva scavalcato il cancello solo per porle quella domanda?! Era stanca del suo atteggiamento. La confondeva e soprattutto non riusciva a capire se lo facesse apposta. Sembrava volesse prenderla in giro! A volte compariva dal nulla e si comportava in modo amichevole e gentile, adesso entrava in casa sua senza permesso e tutto quello diceva era:"Sei libera venerdì sera"?! Forse il suo cervello non era abbastanza sviluppato da riuscire a capire le stranezze di Jared. In quel momento avrebbe maledettamente voluto che Eleonore fosse con lei. Purtroppo avrebbe dovuto cavarsela da sola anche questa volta, ma non aveva la minima idea di come gestire Jared, nonostante l'avesse già incontrato più volte nei giorni precedenti.
«Perchè me lo chiedi? Ti informo che non ho nessuna intenzione di farmi umiliare una seconda volta da tuo fratello, quindi dimmi dove vuoi portarmi, altrimenti il mio venerdì sera sarà fitto di impegni, te lo posso assicurare.» disse Jacqueline, decisa.
Jared la guardava negli occhi e sembrava molto determinato a sua volta.
«Con questo vuoi dire che sei libera venerdì, giusto? Perfetto! Nessun problema allora! Grazie Jacqueline, scusa ancora per il disturbo, torna pure...»
La ragazza lo interruppe improvvisamente: «No Jared, con questo non voglio dire un bel niente a parte che devi ascoltarmi! Non puoi pretendere di trascinarmi ovunque tu voglia senza darmi alcuna spiegazione! Io ho la mia vita e nonostante tu sia il mio cantante preferito, non sono il genere di persona disposta a mollare tutto appena pronunci una parola!»
Jacqueline si rese conto che forse era stata un po' troppo dura, anche a causa del malumore che la perseguitava quel pomeriggio, e le dispiacque. In fondo Jared era fatto così, non poteva pretendere che cambiasse quell'aspetto del suo carattere. Cercò di rimediare alle parole scontrose che gli aveva appena rivolto: «Sei una bella persona, Jared. Hai cercato di confortarmi quand'ero preoccupata per  la storia delle bacchette e inoltre provi sempre ad aiutare tuo fratello in ogni modo. Io sono felice che tu mi abbia, in un certo senso, reso partecipe della tua vita, anche perchè non avrei mai immaginato che potesse accadermi una cosa del genere, e so che devo farmi perdonare per quello che ho fatto, ma devi capire che non sono sempre disponibile ad esaudire ogni tuo desiderio. Veramente farei volentieri quello che mi dici, ma non senza sapere in che guai mi sto andando a cacciare!» Jacqueline incrociò le braccia e si mise a fissare Jared, che nel frattempo si era alzato in piedi e non aveva smesso di fissarla un attimo. La guardò ancora per un istante, poi, all'improvviso, le si avvicinò e le cinse le braccia con le mani. Jacqueline rimase spiazzata da quel contatto inaspettato e non si mosse, continuando a guardare Jared negli occhi per capire quali fossero le sue intenzioni. Era piuttosto imbarazzata, ma non voleva distogliere lo sguardo, per nessun motivo.
Dopo un po' Jared interruppe il silenzio e parlò con calma, a voce bassa. «Senti Jacqueline, hai pienamente ragione. So di essere un po' ermetico a volte, ma in questa situazione è necessario che tu rimanga all'oscuro di tutto. Ti chiedo di fidarti, per favore. Capisco di essere praticamente uno sconosciuto, per te.» Come pronunciò l'ultima frase, i suoi occhi si velarono, forse di tristezza, e Jacqueline non poteva sopportare di vederlo così.
«No! No no no! Jared, io ti conosco benissimo! Insomma, non di persona, ma attraverso le tue canzoni sì! Se ciò che scrivi e canti è ciò che pensi e senti veramente, allora io so come sei! Le persone non si giudicano solo dall'aspetto o sentendole parlare, ma anche dai gesti che compiono. Io so per filo e per segno ogni tua canzone, perciò sento di conoscerti. Tutti gli Echelon ti conoscono. C'è la tua anima in quelle parole.» Jacqueline aveva le lacrime agli occhi, ma nonostante questo non smise di guardare le iridi azzurre di Jared, sperando che avesse capito. Lui sorrise e poi la abbracciò forte.
«Grazie, Jacqueline.» disse tra i suoi capelli. «E' bello sapere che quello che faccio colpisce così profondamente chi ascolta la musica dei 30 Seconds to Mars.»
La lasciò andare. «Spero che le mie parole non abbiano avuto questo effetto soltanto su di te!» disse, portandosi una mano dietro la testa, con fare un po' imbarazzato. Jacqueline non l'aveva mai visto così. Gli sorrise.
«Grazie a te» disse dolcemente.
«A venerdì, allora.» concluse Jared. Poi uscì, stavolta senza scavalcare il cancello, e solo quando se ne fu andato Jacqueline si rese conto che non le aveva ancora spiegato niente.
THERE IS A FIRE INSIDE OF THIS HEART


"This is a call to arms, gather soldiers, time to go to war..." Eleonore roteava nel mezzo del salotto, i calzini che frusciavano sul pavimento freddo. "This is a battle song..." seguiva le note diffuse dallo stereo, "brothers and sisters...", ogni tanto allargava le braccia e le sollevava in aria, per poi andare a sbattere le mani su qualsiasi cosa si trovasse alla sua portata, seguendo il ritmo della canzone. "Time to go to waaaaar!" gridò, balzando all'improvviso sul divano. Jacqueline entrò in casa proprio in quel momento. Osservò stranita l'amica che se ne stava in piedi sul divano, cantando con una pantofola in mano. «Che c'è?» chiese Eleonore, interrompendo per un attimo il suo canto. «E' il mio microfono, non vedi?» proseguì sorridendo, e riprese a cantare. "Did you ever deny? Where you ever a traitor?" Jacqueline scoppiò a ridere, lasciò cadere a terra la borsa della spesa che teneva in mano e, afferrato il telecomando della TV che era posato sul tavolino lì accanto, saltò sul divano insieme all'amica.
Con i loro particolari microfoni alla mano cantarono a squarciagola tutta la canzone, finchè non si lasciarono cadere sfinite sui cuscini, ridendo come non mai.
Dopo aver ripreso fiato, Eleonore si rivolse divertita all'amica: «Dovremmo farlo più spesso, non credi?» Jacqueline rise, mentre posava di nuovo il telecomando sul tavolino. «Direi che in due è molto più divertente.» disse poi, lanciando un'occhiata divertita a Eleonore.
«Allora non sono l'unica che quando ascolta i Mars impazzisce completamente!» urlò Eleonore, guardando l'amica. In effetti era da Jacqueline, com'era anche da Eleonore, scatenarsi in quel modo, ma, chissà perchè, Eleonore non aveva mai immaginato che l'amica potesse comportarsi così. Forse perchè all'apparenza era così calma e riflessiva. Forse perchè semplicemente era da tanto, davvero troppo tempo che non la vedeva. Aveva per un attimo scordato quella parte di lei. La abbracciò.
«Dove sei stata di bello?» chiese dopo aver sciolto l'abbraccio.
«Dove sei stata tu!» esplose l'amica. «Ti sei persa l'arrivo di Jared oggi pomeriggio...» annunciò sorridendo lievemente.
«Di nuovo?! Ma quante volte è già stato qui, 8?!» disse Eleonore, scherzando. Poi scoppiò in una risatina e si rivolse di nuovo all'amica: «Non è che devi dirmi qualcosa, vero?..»
Jacqueline le tirò un pugno: «Non essere stupida! Sempre a pensare male! Come ti viene in mente che ci possa essere qualcosa tra me e Jared? È soltanto stato qui per chiedermi se sono libera venerdì perchè vuole portarmi chissà dove e sinceramente l'ho anche trattato piuttosto male ma a quanto pare...»
«Vedi? Io non ho mai insinuato che possa esserci qualcosa tra te e Jared, hai fatto tutto da sola! E non c'è bisogno di imbarazzarsi, insomma, sono io!» la interruppe Eleonore, sempre più divertita.
«Io non sono in imbarazzo. Perchè mai dovrei imbarazzarmi? Tra me e Jared non c'è niente quindi non vedo dove sia il pro..» Jacqueline venne di nuovo interrotta.
«Ferma, ferma! Tu sei mooolto in imbarazzo, come testimonia il fatto che non la finisci più di parlare.» disse Eleonore, squadrando l'amica con l'aria di chi la sa lunga.
«Ops.» disse Jacqueline.
«Così va meglio.» proseguì Eleonore con una risata.
«Comunque tranquillizzati, stavo scherzando. E non mi hai ancora detto dove sei stata.» disse puntando un dito sul naso di Jacqueline.
«Sono andata a fare la spesa. A proposito, è meglio che metta a posto le cose.» disse Jacqueline indicando la borsa abbandonata sul pavimento.
Insieme si alzarono e si diressero in cucina per sistemare il cibo che la ragazza aveva comprato.
«Invece a te come è andata questo pomeriggio?» chiese Jacqueline mentre afferrava e metteva automaticamente al loro posto scatole e barattoli, com'era abituata a fare.
«Benissimo!» si limitò a rispondere Eleonore.
«Tutto qui? Non mi racconti nient'altro?» fece Jacqueline, con aria sospettosa. «Com'è che non inizi a descrivere per filo e per segno ogni posto in cui sei stata e a decantare le meraviglie di Los Angeles?» continuò sorridendo.
«Mmm...E' inutile! Non ce la faccio a resistere!...ti ho comprato un regalo!» rivelò Eleonore sorridendo a sua volta.
«Sapevo che mi nascondevi qualcosa!» disse Jacqueline, mentre apriva una scatola di cioccolatini.
«Però, se vuoi il tuo regalo, devi essere tu a raccontarmi per filo e per segno cosa ha detto Jared! E soprattutto promettimi che prima o poi me lo presenterai!» farfugliò l'amica, che già si era mangiata il suo dolcetto.
«E va bene. Ma Jared è completamente imprevedibile, non è che avverte prima di venire qui. Altrimenti te l'avrei già presentato da un pezzo.» replicò Jacqueline sbuffando leggermente, mentre si sedeva al tavolo della cucina poggiandovi i gomiti. Eleonore si sedette a sua volta.
Jacqueline le raccontò tutto ciò che era successo mentre lei era via, del fatto che Jared avesse scavalcato il cancello e le avesse chiesto se aveva impegni venerdì, e anche di quello che lei gli aveva detto.
Eleonore era curiosa di sapere tutti i dettagli e rimase molto colpita. Jared era davvero una persona particolare. Be', a lei piacevano le persone particolari. Erano molto più interessanti di quelle prevedibili e scontate, che si stampavano un sorriso sempre uguale sulla faccia, indipendentemente dalla persona con cui parlavano. Preferiva decisamente le persone dirette, che esprimevano le loro opinioni ed erano realmente loro stesse, anche rischiando di attirarsi le antipatie degli altri. E l'alone di mistero che c'era intorno a Jared la intrigava molto, doveva ammetterlo. Non solo per il modo in cui si comportava, ma anche per il fatto che comunque, probabilmente come ogni Echelon, avrebbe dato qualsiasi cosa per conoscerlo e adesso che ce l'aveva lì, a portata di mano, continuava a sfuggirle.
«Tutto sommato sei stata gentile con lui.» disse a Jacqueline. «Io sarei stata molto più cattiva, lo sai.» disse con un finto ghigno malefico stampato in faccia.
«Penso che sapremmo come ti saresti comportata solo se fossi stata realmente al mio posto. Jared è più strano di quanto possa essere trapelato dal mio racconto.» disse Jacqueline, ridacchiando per l'espressione dell'amica.
«Se lo dici tu.» la liquidò Eleonore, impaziente. «Adesso è ora di aprire il tuo regalo!» esclamò battendo le mani. Consegnò a Jacqueline una piccola scatola blu, avvolta da un semplice fiocco bianco.
Eleonore aspettava con ansia, cuoriosa di scoprire la reazione dell'amica.
Jacqueline slacciò il fiocco e aprì il coperchio delicatamente, poi prese tra due dita un sottile nastro rosso e lo sollevò dalla scatola, fino a che non vide la piccola chiave che vi era infilata.
«Ma...» sussurrò Jacqueline, con gli occhi luminosi puntati sul piccolo ciondolo.
Eleonore sorrise entusiasta.
«E' IDENTICA A QUELLA DI HURRICANE!» urlò all'improvviso Jacqueline. Di colpo saltò al collo dell'amica e la stritolò in un abbraccio soffocante.
«Dove l'hai trovata? È stupenda! Non so come ringraziarti, io...non ho parole Ele! Grazie! Grazie! Grazie!» continuò saltellando.
Eleonore condivideva la sua felicità. Sapeva che le sarebbe piaciuta.
«Non è proprio identica a quella del video ma è davvero molto simile! L'ho adocchiata per caso in un mercatino e quando l'ho vista non ho potuto fare a meno di comprarla. Consideralo un regalo di benvenuto. Veramente sono io ad arrivare qui e non tu, ma ne ho comprata una anche per me quindi fa lo stesso!» disse Eleonore, mentre sfilava dalla tasca dei jeans la sua collana.
«Fantastico!» gridò Jacqueline mentre si metteva la chiave al collo. «Adesso possiamo trovare insieme l'argus apocraphex!» concluse ridendo come una pazza, mentre abbracciava nuovamente l'amica. Eleonore rise, contagiata dall'allegria di Jacqueline. «Provehito in altum!» gridò.
«E questo cosa c'entra?» chiese Jacqueline.
«Non lo so ma ci stava bene!» rispose Eleonore, e cominciò a fare il solletico all'amica, che iniziò a correre per sfuggirle e, arrivata in corridoio, inciampò nel tappeto che ricopriva il pavimento e cadde rovinosamente, sempre continuando a ridere. Eleonore, dopo essersi ripresa dallo spavento causatole dalla caduta di Jacqueline, si sedette a terra accanto a lei e la strinse in un abbraccio. Era  prossima alle lacrime: un po' per le risate, un po' perchè erano anni che non si divertiva così con lei. Le voleva un mondo di bene.
«Mi mancavi.» le disse.
HERE WE ARE AT THE START, I CAN FEEL THE BEATING OF OUR HEARTS



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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Chapter 11

«Shannon hai un problema!»
Shannon si voltò verso il fratello che aveva fatto irruzione nella sua stanza senza troppa delicatezza.
«E sarebbe?» chiese scettico. Conosceva fin troppo bene Jared e già sapeva che l'avrebbe stupito in ogni caso.
«O meglio hai un impegno venerdì sera!»
«E perchè io non ne so niente visto che l'impegno in teoria sarebbe mio?»
«Oh, ma non sarai coinvolto solo tu mio caro. Anche io e Tomo avremo il nostro bel da fare.»
«Tu, io e Tomo? Ma non siamo in pausa? Che ti sei inventato sta volta?»
«Hey non fare quella faccia dubbiosa! Sto solo cercando di rimediare ai tuoi disastri! Tu in cambio dovrai solo fare l'unica cosa che ti riesce bene.»
Replicò Jared con un sorrisetto.
«Mr. Simpatia, che devo suonare l'ho capito. Ma perchè?»
«Non pensi che dovresti farti perdonare da qualcuno?»
«Oh mio Dio, Jared, non so se ce la faccio.»
«Shan, davvero, dovresti stare un po' più tranquillo. Prima di tutto questa volta non potrai scappare perchè ci sarà qualcuno a fermarti e sopratutto non dimenticare che ci sarà la musica ad aiutarti. Lei ci ha sempre dato tutto quello di cui avevamo bisogno. Lo farà anche questa volta. Anche tu come me ti senti più completo mentre suoni, ne sono sicuro!»
Shannon sorrise debolmente. Non era giusto né necessario che qualcun altro stesse male per quella vecchia storia. Doveva riuscire a rinchiuderla nell' angolo più nascosto della sua mente, quello dove giustamente stavano i fantasmi.
«Allora mi spieghi meglio o dovrò continuare a vivere nel dubbio?»
Jared guardò in aria con atteggiamento pensieroso. Poi con uno sguardo ambiguo e un sorriso appena accennato rispose: «Credò che continuerai a essere divorato dal dubbio ancora per un po', è la giusta punizione.»
Si girò e uscì dalla stanza. Sentì Shannon che lo richiamava con tono spazientito, ma non si voltò. Continuò a camminare, con lo sguardo fisso. Dover di nuovo organizzare qualcosa era quasi esaltante. Era rientrato nella sua fase maniacale. In lui si alternavano momenti in cui sentiva una forza spingerlo da dentro che gli ordinava di fare tutto perfettamente e con il minor tempo possibile ed altri di rilassamento totale, in cui faceva le cose strettamente necessarie, praticamente trascinandosi. Il suo corpo non poteva essere costretto a ritmi che non erano quelli imposti da lui stesso.
Anche per questo si erano presi una pausa, tutti e tre erano stanchi.
A Jared mancavano gli Echelon. Come potevano non mancargli? Erano la sua "famiglia allargata". Ma era giusto così. Dopo ci sarebbe stato il tempo di pensare al prossimo album.
CRUSHCRUSH



Jacqueline guardava il soffitto. A volte si ritrovava a farlo, sopratutto con le controsoffittature a quadri. Anche questa era un'abitudine che aveva preso da Eleonore. L'amica un giorno le aveva fatto notare che secondo lei avevano qualcosa di particolarmente interessante. Al momento l'aveva presa in giro e si era messa a ridere, ma ora non poteva fare a meno di alzare gli occhi ogni volta che entrava in una stanza. Il suono del suo cellulare la distrasse. Si alzò, dapprima infastidita, ma questo le permise di vedere il tramonto fuori dalla finestra, che stava tinteggiando con pennellate sapienti il cielo di Los Angeles. Si perse in quel fuoco per quei pochi istanti necessari perchè chiunque l'avesse chiamata si stancasse di aspettare che rispondesse. Non che fosse dispiaciuta. Raggiunse comunque la mensola su cui era appoggiato e controllò di chi era la chiamata. Il numero era sconosciuto e le chiamate perse erano ben quattro. Fino a poco fa era sotto la doccia, per questo non aveva sentito. Non fece in tempo a riposare il telefono che squillò di nuovo, sempre lo stesso numero. "Purtroppo", pensò. Avrebbe voluto che fosse Eleonore a chiamarla. Era uscita quasi un'ora prima per un colloquio di lavoro in una vicina galleria d'arte e naturalmente non le aveva permesso di accompagnarla.
Rispose.
«Jacqueline?»
"ODDIO" fu tutto ciò che la sua mente riuscì ad articolare in quel momento.
«Ma come..» Si sentì dire.
«Hey non è colpa mia se tu annoti il tuo numero di cellulare in fondo ad un libro ed io per caso apro proprio quella pagina!»
«Jared, sembri quasi uno stalker!» Si mise a ridere e sentì che anche lui si univa alla risata.
«Allora veniamo alle cose importanti.» Replicò Jared facendosi improvvisamente serio. «Non ti assillo con continue chiamate solo per farmi dare dello stalker!»
«Ti sei finalmente deciso a dirmi cosa hai in mente per venerdì?»
«Se vogliamo metterla così. Devi assolutamente essere pronta e a casa per le otto ok?»
«E' un ordine?»
«Esattamente.»
«E va bene.» disse con tono rassegnato. «Ma solo per questa volta!» Poi si rese conto di quello che aveva detto e arrossì fino alla radice dei capelli. Jared avrebbe potuto fraintendere. Lei non voleva intromettersi nella sua vita e gli era grata per le attenzioni che le riservava.
Ma Jared continuò con tono allegro: «Bene, vedo che siamo d'accordo, comunque qualcuno verrà a prenderti e questa volta non posso dirti chi è semplicemente perchè non lo so nemmeno io.»
«Andiamo bene! Ma tu non sei il signor Leto super organizzato?»
«A me sembri tu la perfettina! Questi sono dettagli di poca importanza!»
«Ah grazie tante!»
«Oh via, via. Comunque ora ti saluto. Ci vediamo tra due giorni stellina!»
«Ciao Jared. E grazie.»
«Grazie a te, sopratutto a te!»
Dopo questa enigmatica considerazione riagganciò, lasciando una Jacqueline confusa. In un misto tra sgomento e felicità.
BURN, LET IT ALL BURN


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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Chapter 12

Eleonore poteva dirsi soddisfatta. Le sembrava di essersi mostrata sicura, ma non eccessivamente; disponibile e decisa. Ma poteva anche darsi che fosse il mal di testa ad ingannarla. Era una presenza constante da quando, quella mattina, le era suonata la sveglia alle sei e mezza, facendola sobbalzare. Non avrebbe dovuto suonare, chissà come aveva fatto ad inserirsi! Fra l'altro aveva anche lasciato il telefono vicino al cuscino perchè stava aspettando il messaggio di un amico e quindi aveva impiegato una vita a trovarlo, non vedendolo sul comodino, dove lo lasciava di solito.
Si incamminò verso casa dell'amica. Avrebbe anche dovuto trovare un appartamentino prima o poi, ma il lavoro era decisamente più importante. Aveva fatto un po' di colloqui di lavoro in quei giorni in varie gallerie d'arte e musei ed era piuttosto ottimista. Il suo lavoro le piaceva moltissimo, la pittura, la scultura, ogni rappresentazione artistica l'appassionava. A scuola aveva scoperto che anche la chimica le piaceva molto ed il restauro univa le due cose splendidamente.
Una sottile pioggerellina cominciò a scendere. Eleonore non affrettò il passo. Amava la pioggia. Ricordava una frase bellissima di Jim Morrison:"Chi vuole vedere l'arcobaleno deve imparare ad amare la pioggia."
Le piaceva questa citazione, le ricordava la sua vita. Ora era il momento di vedere l'arcobaleno dopo il temporale. Con il tempo aveva imparato ad affrontare le difficoltà che la vita le poneva davanti sempre ricordando che ci sarebbe stato qualcosa di meglio dopo. E anche se a volte non ce l'aveva fatta, sapeva accontentarsi.
Eleonore stava appunto pensando che la sua esistenza non era per niente quel disastro che si immaginava da ragazzina quando un'ombra passò sul suo volto e oscurò i suoi occhi di solito luminosi.
Ricordava ancora quella sera. Era a casa con i suoi genitori ed eccezionalmente erano seduti tutti e tre a casa davanti a una tazza di the.
"Troppo idilliaco", pensò. E infatti poco dopo sua madre aveva iniziato a lamentarsi. Era sempre scontenta di qualcosa quella donna, ma non faceva mai nulla per cambiare realmente la situazione . Come se brontolare in continuazione servisse a qualcosa. Per questo Eleonore si ribellava. Per questo litigavano costantemente. La differenza però era era che dopo un po' lei si chiudeva in se stessa, smetteva di risponderle, ma non poteva smettere di ascoltare, e sua madre era in grado di continuare anche per ore.
Per fortuna c'era suo padre, di solito.
Con lui aveva un bel rapporto, si capivano.
Ma quella sera...Inizialmente Eleonore, che non stava ascoltando, non colse appieno la discussione. Poi le parole la colpirono come uno schiaffo improvviso in piena guancia. E le avevano fatto male, molto. L'avevano fatta piangere.
I suoi genitori si stavano addossando una colpa. E la colpa era lei. O meglio il suo fallimento. In pratica la consideravano una ragazzina disubbidiente, maleducata, che nella vita non aveva combinato niente e che probabilmente non l'avrebbe mai fatto.
In quel momento, a 29 anni suonati, sapeva che anche loro, come tutti, avevano i loro problemi e che quella sera erano nervosi. Ma sopratutto sapeva che le volevano molto bene. Ma a quindici anni come avrebbe potuto esserne del tutto sicura? Per quanto una ragazza si possa atteggiare da ribelle, essere costretta a dubitare dell'affetto dei genitori provoca una ferita dolorosa, che scava profondamente nell'animo di una personalità non completamente formata. "Se i miei genitori pensano questo di me, cosa mai potranno pensare gli altri?" si era chiesta più volte.
Una lacrima spuntò sul suo viso, nonostante tutto, e si sentì più vicina che mai alla ragazzina che era stata un bel po' di anni prima.
Poi un tuono la riportò bruscamente alla realtà. La pioggia era aumentata sensibilmente mentre lei si era immersa nei suoi pensieri ed era bagnata da capo a piedi.
Eleonore si mise a correre e dieci minuti dopo raggiunse la casa di Jacqueline ansante. Entrò. Non fece in tempo a mettere un piede in casa che venne raggiunta dall'amica, visibilmente preoccupata.
«Ele, sei fradicia! Ma si può sapere perchè non mi hai chiamato? Sarei venuta a prenderti in macchina!»
«Non preoccuparti, è solo acqua! E poi quando sono uscita pioveva pochissimo!»
«Sei la solita! Dai muoviti, vai a cambiarti, così ti ammali!»
Per confermare le sue parole giunse uno starnuto fragoroso.
«Ecco, lo sapevo! Vai su immediatamente!»
«Va bene mamma!» Replicò scherzosamente Eleonore.
Jacqueline le rivolse uno sguardo severo, ma poi le sorrise.
Mezz'ora più tardi, dopo un bagno caldo ed essersi messa un mega pigiamone, Eleonore era stesa sul divano stordita e con 38 e mezzo di febbre.
Ripensandoci, amava un po' meno la pioggia.

TIME TO GO TO HELL, I'M NO HERO



«Accidenti!»
Jacqueline stava preparando un tè caldo per Eleonore, sperando che potesse darle un po' di conforto. L'amica se ne stava sul divano, a tratti dormicchiando (per quanto le permettevano il mal di testa e i vari dolori che accusava), a tratti parlando, per la maggior parte del tempo facendo discorsi che non finivano mai e, be', completamente deliranti.
Jacqueline aveva messo una tazza piena d'acqua nel microonde e, una volta pronta, aveva afferrato senza pensarci il recipiente, scottandosi la mano. Era troppo nervosa.
Non faceva altro che pensare alla serata che stava per affrontare. Era venerdì, e di lì a poco qualcuno sarebbe passato a prenderla per portarla...da qualche parte.
Non sopportava quella situazione. Il fatto di non sapere dove sarebbe andata e cosa avrebbe fatto, di non avere tutto sotto controllo, la irritava enormemente. Sentiva quella stretta allo stomaco causata dall'agitazione e soprattutto dal pensiero che i Mars, o per lo meno Jared, erano coivolti in quella storia.
Era completamente all'oscuro di tutto. Non sapeva come vestirsi, come truccarsi, se ci sarebbe stato caldo o freddo...era completamente in bilico. In bilico anche tra i suoi sentimenti: si sentiva, appunto, irritata e nervosa, ma allo stesso tempo anche un po' eccitata e molto, molto curiosa di scoprire la sua "sorpresa".
Jacqueline respirò profondamente, cercando di calmarsi. Mise la mano scottata sotto l'acqua fredda e intinse la bustina di tè nell'acqua. Poi sollevò la tazza, stavolta con più cautela, per portarla a Eleonore. Le tremava la mano.
"Calmati!" si disse. Eleonore riposava sul divano, avvolta nel suo pigiamone e in una coperta morbida che Jacqueline le aveva posato sulle spalle quando si era addormentata. Un piccolo sorriso spuntò sul viso della ragazza alla vista di quella scena, ma subito scomparve. Eleonore non stava per niente bene, la sua febbre era aumentata da quando era rientrata a casa. Non se la sentiva di lasciarla sola, ma d'altra parte non avrebbe neanche voluto deludere Jared. Lui sembrava così entusiasta! Così pieno di aspettative per quello che aveva organizzato!
Era sempre in bilico.
Posò la tazza sul tavolino. Nel momento in cui si sedette accanto a lei, Eleonore si riscosse dal suo torpore. «Hmm, Jackie?» farfugliò, completamente disorientata.
«Cosa c'è Ele? Stai meglio?» domanda stupida, pensò Jacqueline. Era evidente che l'amica non stava per niente bene, e questo non faceva che aumentare il suo senso di colpa.
«Hmm..» disse Eleonore in risposta, scrollando le spalle.
«Puoi...?» proseguì Eleonore, indicando lo stereo. Jacqueline si sentiva sempre peggio. L'amica si esprimeva quasi a monosillabi, come se anche solo parlare le costasse uno sforzo enorme.
Jacqueline capì. Si avvicinò allo stereo e chiese all'amica cosa volesse ascoltare. Poco dopo le note dolci di Alibi invasero la stanza.
Eleonore si mise seduta, abbandonando la testa sullo schienale del divano. Teneva gli occhi chiusi e     oscillava leggermente, a tempo con la musica. Jacqueline si risedette vicino a lei e si sentì un po' più leggera vedendo che l'amica, inconsapevolmente, sorrideva. Anche lei si abbandonò alla melodia, riuscendo finalmente a rilassarsi almeno un pochino. Cercò di concentrarsi sulla musica, solo e soltanto sulla musica e un sorriso apparve anche sul suo volto.
La canzone finì, e fu come la fine di un sogno. Jacqueline si accorse che Eleonore si era riaddormentata, ma sul suo viso c'era un'espressione un po' più sollevata, felice.
"E' incredibile l'effetto che una semplice canzone possa fare su una persona" pensò Jacqueline mentre riavvolgeva Eleonore nella coperta, facendo attenzione a non svegliarla.
Guardò l'orologio appeso in cucina: aveva giusto il tempo di farsi una doccia, la sua ultima speranza di rilassarsi completamente.
Il getto d'acqua non riuscì a cambiare il suo umore. Neanche le gocce che scorrevano sulla pelle portarono via l'agitazione e la fastidiosa stretta allo stomaco era sempre lì. Finita la doccia diede un rapido sguardo a Eleonore, che dormiva ancora tranquilla, e notò che il tè che le aveva preparato era rimasto sul tavolino, dimenticato da tutti. Lo riportò in cucina e si diresse in camera sua.
Si mise un paio di jeans abbinati a una camicetta candida e sopra un coprispalle. Non voleva vestirsi in modo esageratamente elegante nè troppo casual. Inizialmente, vedendo la sua maglietta con la foto dei Mars in bella vista, aveva pensato di mettersi quella, che ormai considerava una specie di portafortuna, ma poi aveva deciso che forse in quella situazione (quale situazione?! Non sapeva neanche dove sarebbe andata a finire!) non era il caso di indossarla. Si concesse, però, di mettere al collo la collana che Eleonore le aveva regalato. "Come portafortuna può andar bene" si disse.
Scese le scale ma stavolta non si sedette accanto a Eleonore, per paura di svegliarla. Decise di scriverle un biglietto, tentando di alleviare i sensi di colpa.
"Ciao Eleonore, sono da qualche parte per la "sorpresa" di Jared. Non ti preoccupare, poi ti racconto tutto! Per qualsiasi cosa chiamami.
Jackie"
Avrebbe voluto scrivere di più, ma in quel momento il campanello suonò. Jacqueline percepì un brivido lungo la schiena, si sentiva sempre più agitata. "Chissà chi è venuto a prendermi..." si chiese, infastidita dall'imprevedibilità della serata che la aspettava.
Diede un bacio leggero sulla fronte di Eleonore, forse per farsi perdonare, e si girò a cercare la sua borsa, che doveva essere da qualche parte sul tavolo.
Improvvisamente sentì una mano che le sfiorava la schiena. Si voltò di nuovo e vide che Eleonore le rivolgeva un sorriso dolce.
«Guarda che ho visto la tua faccia, Jackie.» si interruppe per starnutire e poi continuò: «Non ti devi preoccupare per me. Stai tranquilla e divertiti!» concluse. Le guance e il naso rossi a causa dell'influenza uniti al sorrisone apparso sulla sua faccia in quel momento le davano un'aria abbastanza ridicola, ma al contempo faceva tenerezza. Jacqueline non potè fare a meno di ridere e diede un altro bacio all'amica. «Grazie Ele. Riposati e non fare pazzie! Cercherò di tornare il più presto possibile.» disse Jacqueline, per rassicurare se stessa più che Eleonore. Il campanello suonò un'altra volta.
«Devo andare..» mormorò la ragazza, sforzandosi di sorridere.
Poi si diresse verso la porta, verso l'oscurità.

WHATEVER YOU DO, DON'T BE AFRAID OF THE DARK


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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Chapter 13

Jared era soddisfatto.
Si fermò in mezzo al piccolo palco, le mani sui fianchi, osservando l'ambiente circostante. Il giardino di casa Leto era un costante via vai di gente: tecnici del suono, delle luci, persone che sistemavano le attrezzature sul palco...era il SUO ambiente. Il suo "habitat naturale".
Tutto in quei momenti lo faceva sentire vivo. La confusione, che era allo stesso tempo organizzata secondo regole precise (dettate da lui), che si creava sul palco; il suono degli strumenti che ancora dovevano essere accordati, il sottile nervosismo, mescolato all'eccitazione, che sentiva premere sottopelle. Percepiva l'energia dentro di sè, l'adrenalina pronta ad esplodere attraverso la sua voce.
Ma quella sera sarebbe stato tutto diverso. Come non accadeva da tantissimo tempo. Non si ricordava neanche se fosse mai succeso, in realtà.
I 30 Seconds to Mars avrebbero avuto un solo spettatore.
Era un'idea che la sua mente non contemplava. Non riusciva a crederci sul serio. Provò a sussurrare, come se tradurre quel pensiero in parole avrebbe potuto renderlo reale.
«Un solo spettatore...I 30 Seconds to Mars...in concerto per una sola persona...» Be', suonava bene.
Gli piazzarono un microfono davanti, senza fare caso al fatto che Jared parlasse da solo. Gli chiesero se poteva provare il microfono.
Lui continuava a parlare. «Un solo spettatore..un solo spettatore...UN SOLO SPETTATORE!» gridò all'improvviso nel microfono.
Tutti si fermarono ad osservarlo, aspettando che proseguisse.
«Ragazzi, stasera avremo un solo spettatore. Voglio che sia tutto perfetto.» disse dopo una lunga pausa.
Ci fu un mormorio di assenso. Qualcuno da qualche parte esclamò: «Come sempre Jared! Agli ordini!» lui rise. «Adesso potete anche tornare al lavoro.»
L'affermazione provocò il divertimento della gente, che subito dopo, però, eseguì l'ordine. Jared era un pefetto direttore dei lavori, preciso e meticoloso, e tutti gli davano ascolto.
Il cantante si allontanò dal microfono, fece una giravolta su se stesso e con la coda dell'occhio vide suo fratello che, letteralmente, accarezzava la batteria. Non poteva non commentare quel suo gesto e subito si avviò verso di lui.
La smorfia comparsa sulla faccia di Shannon nel momento in cui vide il fratello, che sprizzava allegria da tutti i pori, non rivelava esattamente lo stesso entusiasmo che pervadeva Jared.
«Ti prepari psicologicamente alla serata?» disse questi colpendo un piatto con l'indice della mano destra, attirandosi un'occhiataccia di Shan.
«Non esattamente...diciamo che stavo salutando Christine.» rispose lui con un sorrisetto.
Jared sospirò. «Siete proprio una bella coppia, tu e Christine. Guarda che lo dico sul serio.» Fece l'occhiolino. «Voglio che stasera diate il meglio di voi. Dev'essere uno spettacolo in-di-men-ti-ca-bi-le. Capito!?»
«Sissignore!» fece Shannon, rafforzando l'esclamazione con il classico saluto militare.
«Jacqueline se lo merita. E si merita anche di conoscere il vero Shannon.» Jared fece una breve pausa, per riflettere su cos'era meglio dire in quel momento. «Ce la farai, ne sono sicuro. D'altronde chi ti può fermare, quando prendi in mano quelle bacchette?»
Shannon, come a confermare, fece roteare una delle bacchette che teneva in mano e si buttò in un assolo.
Jared non resistette alla tentazione e afferrò una chitarra, seguendo il ritmo del fratello. Dopo qualche secondo il suono di un'altra chitarra si diffuse nel giardino, e Tomo fece la sua comparsa da dietro le quinte, provocando il sorriso degli altri due. Jared si avvicinò a lui con un salto, sempre continuando a suonare, e insieme intonarono le note di Closer to the Edge. D'altra parte, un po' di prove non avevano mai fatto male a nessuno.

TIME TO GO DOWN IN FLAMES AND I'M TAKING YOU



Aprì la porta. Una macchina era ferma davanti al cancello. E accanto...«Vicky!» Jacqueline era talmente stupita che al posto di limitarsi a pensarlo pronunciò quel nome ad alta voce. La donna le sorrise. «E' toccato a me il compito di venirti a prendere mia cara.» Jacqueline, che per lei aveva sempre provato un'istintiva simpatia, sentì rinnovarsi quella sensazione dentro di sè. «Sono davvero contenta che sia venuta tu!» Disse, passando subito al tu visto che Vicky aveva fatto la stessa cosa.
«Sai, Jared non mi ha raccontato molto.» La ragazza la guardò con i suoi profondi occhi nocciola. Jacqueline l'aveva ormai raggiunta e stava armeggiando con le chiavi per aprire il cancello. Erano ormai a un passo l'una dall'altra.
«Jacqueline...mi dispiace ma nemmeno io posso assolutamente dirti niente. Jared mi ucciderebbe. Ci tiene molto all'effetto sorpresa.» Alzò gli occhi al cielo, ma la sua espressione era divertita. «A volte quel ragazzo è terribilmente teatrale!»
Jacqueline avvertì una punta di delusione. Non sapeva cosa si aspettasse di preciso, ma quello aveva l'aria di essere un rifiuto piuttosto netto. Si accorse che Vicky aveva ancora qualcosa da dirle.
«Un'altra cosa. Probabilmente non ti farà molto piacere, ma ti ho già detto quanto Jared ci tenga a queste cose. Mi ha chiesto di bendarti.»
«Bendarmi?!» Jacqueline non poteva crederci. «Altro che teatrale, molto peggio!» Nonostante le sue parole si era già mossa verso Vicky, che aveva preso dalla sua borsa a tracolla una benda nera, di un tessuto pesante. Gliela sistemò sul viso e poi la guidò verso l'auto, dove immaginò di sistemarsi sul sedile in parte al guidatore. Infatti un istante dopo sentì sbattere una porteria e Vicky che si lasciava cadere pesantemente al suo fianco. Avviò il motore e Jacqueline percepì che si stavano muovendo. Nel ristretto abitacolo si diffusero le note di una canzone lasciata a metà. Jacqueline impiegò soltanto un istante a capire a quale canzone appartenesse quella melodia. "Nothing else matters", Metallica. «Quindi non ascolti solo i Mars?» chiese scherzosamente. Vicky rise. Aveva una risata fantastica. Con il suo modo di fare si rendeva simpatica, ma quando rideva...quando rideva ti sentivi a casa.
«Ebbene sì, lo ammetto. Anche quando Tomo è in tour non ascolto di certo solo la loro musica nonostante mi manchi.»
Jacqueline si sentì invadere da una sensazione calda, di tenerezza. Si amavano così tanto lei e Tomo. Lei si sarebbe accontentata di un matrimonio felice la metà del loro.
Immersa in queste considerazioni aveva perso la concezione del tempo. Fatto sta che dopo un lasso di tempo che le parve enorme da un lato e piccolissimo dall'altro, Vicky si fermò.
Una parte di lei voleva mostrarsi matura e perfettamente padrona della situazione, l'altra avrebbe voluto strapparsi quella dannata benda e correre incontro a qualsiasi cosa l'aspettasse. La sua parte razionale prese come al solito il sopravvento. Ma non potè trattenersi dal chiedere a Vicky se ora poteva toglierle la benda.
«Abbi pazienza ancora per un po'.»
Le prese la mano. Dopo un breve tratto cominciarono a camminare su una superficie erbosa.
A un certo punto si fermarono. «Ora ti lascio la mano. Stai tranquilla, sono qui dietro di te.»
«Quando me la potrò togliere questa benda?!» Cominciava ad essere davvero molto agitata, e il fatto di non vedere niente non migliorava di certo la situazione.
«Quando sarà il momento lo saprai.»
"Ma perchè nessuno vuole dirmi niente?!" disse tra sè Jacqueline, accompagnando il pensiero con un gesto stizzito della mano.
Poi un suono. Così familiare da toglierle il fiato. Così improvviso da immobilizzarla completamente. Una batteria. LA BATTERIA. Un crescendo di emozioni.
A un certo punto non potè più trattenersi. Le sue sensazioni esplosero. «THIS IS WAR!» Lo urlò non solo con tutto il fiato che aveva nei polmoni. Lo urlò con tutta se stessa. Una lacrima le sfuggì e poi non ci fu più verso di fermarle. Era un fiume in piena.
«Puoi togliere la benda Jackie.» Le ordinò da qualche metro più in alto quell'angelo, con la sua voce che sembrava essersi solidificata in magici fili d'argento che avevano intessuto le sue lacrime.
Jacqueline tentò di sciogliere il nodo, ma le mani le tremavano e il suo corpo era scosso da singhiozzi continui. Vicky intervenne in suo aiuto.
Il suo campo visivo fu invaso da luci colorate che puntavano su un palco relativamente piccolo. Non le interessava minimamente dove si trovava, non riusciva a staccare gli occhi da quella che le sembrava una visione. Jared. Shannon. Tomo. Thirty Seconds to Mars. Quattro pensieri, non male, constatò Jacqueline.
«Grazie, grazie!» urlò.
«Jacqueline Deimos, goditela questa serata! E' tutta per te!» Le disse Jared in tutta risposta.
«Sali sul palco Jacqueline!» Questa non era la voce di Jared, però.
La ragazza rimase interdetta per un momento. «Shannon...» sussurrò. Si mosse lentamente verso il palco. Ogni singolo passo sembrava avere un sapore particolare, unico, ogni passo la portava verso di loro. Salì i pochi gradini e le sembrò di entrare in una dimensione completamente differente.
Le sembrava di non essere mai stata felice in vita sua. Sorrise, mentre ogni attimo si imprimeva a fuoco nella sua anima.

I DON'T REMEMBER THE MOMENT I TRIED TO FORGET


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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Chapter 14

«Bury me, bury me!» se c'era una cosa che Jacqueline in quel momento non desiderava, era essere seppellita. In un certo senso lo era già a causa delle emozioni che provava, troppe tutte insieme, ma era tutto così stupendamente surreale, magico. Cercava con tutte le sue forze di imprimersi quel momento nella memoria, ma era sfuggente, evanescente, inafferrabile. Soprattutto perchè la ragazza vi era talmente coinvolta da non rendersi quasi conto di quello che faceva. Era come essere in un'altra dimensione, in cui lo spazio e il tempo non esistevano, ma c'erano soltanto lei e la musica.
In quel mondo parallelo Jacqueline cantava a squarciagola insieme a Jared, ballava, saltava per il palco, correva, era senza freni. Non se ne vergognava, non pensava all'opinione che qualcuno avrebbe potuto avere di lei vedendola; si sentiva, forse per la prima volta in vita sua, completamente libera. Appena messo piede sul palco, l'imbarazzo e l'agitazione erano svaniti, lasciando spazio a quella strana energia che impregnava l'aria e ad un'assoluta felicità.
Le sembrava di volare.
La voce di Jared le riempiva la testa, mentre Tomo le volteggiava intorno e Shannon dava tutto se stesso nel suonare la batteria, ogni tanto lanciandole strani sguardi. Sul suo viso era dipinta un'espressione di sollievo, felice, di libertà e allo stesso tempo di completo assorbimento. Shannon sembrava quasi in simbiosi con la sua batteria e Jacqueline era totalmente ipnotizzata da quello spettacolo.
Quei tre erano nati per stare sul palco.
Ad un certo punto Jared, dopo la fine di "The Kill", appoggiò la chitarra sul suo supporto a lato del palco e, mentre con una mano teneva il microfono, con l'altra afferrò Jacqueline per la vita e cominciò a ballare con lei, intonando le prime frasi di "Buddha for Mary".
La ragazza sorrise, completamente estasiata. Dire che adorava quella canzone era poco. La melodia, il testo, erano quasi ultraterreni, ogni volta che la ascoltava veniva trasportata in un altro luogo, in questo caso direttamente su Marte. Il fatto che stesse volteggiando insieme a Jared, e che Tomo e Shannon fossero lì accanto a lei, non migliorava di certo la situazione. "Oh forse sì" pensò Jacqueline, sorridendo di nuovo.
S
i chiese che espressione avesse. Si sentiva quasi ubriaca. Quella voce, i sorrisi che i ragazzi le stavano rivolgendo in quel momento, la musica..la inebriavano.
Jared spezzò l'incantesimo allontanandosi da lei per riprendere la chitarra e concludere la canzone. Dopodichè tutto si fermò. Jacqueline si chiese se il concerto fosse già finito e a quel pensiero si sentì invadere da un'infinita tristezza.
Dopo un po' si accorse che Shannon la stava chiamando. Era talmente sopraffatta dalle emozioni da non aver sentito la sua voce. Per un attimo disorientata, si voltò, quasi rischiando di inciampare nei sui stessi piedi.
Shannon saltellava verso di lei con due bacchette in mano. Solo dopo qualche secondo passato a fissare incantata il batterista Jacqueline si rese conto che gliele stava porgendo.
«Ho saputo che suoni!» esclamò Shannon sorridendo dolcemente.
Jacqueline impiegò un attimo per realizzare ciò che implicavano quell'affermazione e la mano di Shannon con le bacchette protese verso di lei.
Era un'idea troppo lontana dalla sua mente, non riusciva proprio a concepirla, a credere che fosse reale. Le stava chiedendo di suonare.
«No! Cioè sì, ma...» Jacqueline si fermò. Aveva una paura tremenda di fare brutte figure, ma poi pensò che suonare quella batteria, con Shannon accanto a lei, sarebbe stata un'esperienza meravigliosa e irripetibile. Non poteva perdere quell'occasione.
«Coraggio, non essere timida!» proseguì lui, posandole una mano sulla schiena per portarla alla batteria. Jacqueline sorrise, incerta. Qualche giorno prima il batterista era fuggito da casa sua, facendo finta di non vederla, e adesso eccolo lì, che si sedeva accanto a lei per suonare insieme. Jacqueline decise che, qualunque fosse la causa di quel cambiamento, non le importava.
«Vai, scatenati.» disse lui ridendo. «Preferisci che io non suoni?» aggiunse gentilmente.
«No! Insomma...sei tu il vero batterista, qui. Io non sono molto brava...non posso accompagnarti? Non voglio usare la tua batteria! Non mi merita.» disse Jacqueline ridendo timidamente.
«Sei tu la protagonista di questa serata e decido io chi suona la mia batteria!» la rimproverò Shannon scherzosamente. Poi si sedette alla batteria più piccola, accanto a Christine. «Non pensare a niente, suona. So che muori dalla voglia di farlo, ce l'hai scritto sulla fronte, praticamente. Io ti seguo.» concluse, facendole l'occhiolino.
Jacqueline strinse le bacchette, sentendosi leggermente più sicura. Iniziò a suonare "Night of the Hunter", la prima canzone che le era venuta in mente. Shannon sorrise soddisfatto e impugnò le bacchette a sua volta.
Jacqueline non ricordava di essersi mai divertita tanto in vita sua. Ogni tanto si voltava verso di lui, come per avere la sua silenziosa approvazione, e quasi si scioglieva vedendosi rivolgere quei sorrisi luminosi e allegri.
Aveva dato tutta se stessa. Naturalmente Jared e Tomo avevano suonato insieme a loro, rendendo quel momento ancora più indimenticabile. Jacqueline quasi ringraziò per la fine della canzone, infatti non sapeva quanto ancora avrebbe potuto reggere l'emozione.
Si allontanò immediatamente dalla batteria, quasi per paura di rimanere per troppo tempo al posto del suo batterista preferito. Shannon si avvicinò a lei.
«Sei stata davvero brava!» Le disse. Jacqueline si chiese se lo pensava veramente. «Mi piacciono le ragazze che suonano la batteria.» proseguì, facendole di nuovo l'occhiolino.
La ragazza non ebbe neanche il tempo di arrossire per quell'affermazione. Jared e Tomo avevano infatti iniziato a suonare un'altra canzone. "Ma non si stancano mai?!" pensò la ragazza, già sfinita.
"Vox populi.." Jacqueline sorrise. «Vi fa niente se scendo dal palco?» chiese ai tre. «Mi sembra più...naturale diciamo. Sono abituata a sentire questa canzone da laggiù, con gli Echelon.»
«Tutto quello che vuoi, Jackie. Pensavo ti saresti sentita sola giù dal palco, per questo ti ho fatto salire.» Disse Jared sorridendo.
«Sì ma mi sento fin troppo fortunata oggi, penso che sia meglio scendere. Non voglio montarmi la testa!» scherzò lei. Scese i gradini lentamente, poi si sedette sull'erba morbida di fronte al palco.
Era stanchissima. Chiuse gli occhi, circondata dalla musica. Era strano cantare quella canzone da sola, non era la stessa cosa senza la sua famiglia accanto a lei.
Riaprì gli occhi e si accorse di Vicky, che si era seduta lì vicino. Le sorrise. Non era completamente sola, in fondo.
Le due iniziarono a cantare insieme. Tomo, vedendo la moglie, le mandò un bacio, mentre i fratelli si lanciavano sorrisi entusiasti, come a complimentarsi l'un l'altro per come stava procedendo la serata.
Jacqueline pensò, non senza un pizzico di tristezza, che dopo quella canzone sarebbe dovuta tornare a casa. Non si era dimenticata di Eleonore: le aveva promesso che sarebbe tornata presto e così avrebbe fatto. Le dispiaceva davvero andarsene, però. Non solo perchè quella serata si stava rivelando una delle più belle che avesse mai vissuto, ma soprattutto perchè Jared sembrava essere intenzionato ad andare avanti ancora per un bel po' e le dispiaceva mandare all'aria i suoi programmi.
Cantava meravigliosamente, guardando Jacqueline. Sembrava quasi che stesse controllando se la ragazza si divertiva. Per dimostrare la sua approvazione lei si alzò in piedi e cantò più forte, divertita dalle occhiate del cantante.
"Here we are at the start.." la canzone, purtroppo, era finita. Jacqueline applaudì con tutte le sue forze, cercando di non mettersi a piangere...di nuovo.
Era proprio come pensava. Le era sembrato che Jared avesse cantato quella frase in modo particolare, e la sua espressione comunicava precisamente quello che il cantante voleva trasmettere: "Siamo solo all'inizio..."
Jared, Tomo e Shannon si riunirono al centro del palco, per una piccola pausa.
Jacqueline rimase a guardarli. Sembravano l'incarnazione perfetta dei suoi sogni, mentre scherzavano insieme.
Spinta da un'incontenibile energia la ragazza corse sul palco, in lacrime. I tre la guardavano stupiti mentre lei rimaneva ferma davanti a loro continuando a piangere.
Improvvisamente Jacqueline si ridestò, sorrise e abbracciò i suoi sogni, ormai diventati realtà, come non aveva mai abbracciato nessun'altro. Il suo cuore era in fiamme e sentiva sopraggiungere l'ormai famigliare stretta allo stomaco causata dall'incredibile uragano di emozioni che la avvolsero in quell'attimo. I ragazzi ricambiarono l'abbraccio. Non l'avrebbe mai dimenticato.

ONE NIGHT TO REMEMBER


 


 

Eleonore sentiva la musica lenirle l'anima, penetrarle nel profondo, cullarla dolcemente riportandola a poco a poco nel mondo reale. Tenne gli occhi chiusi mentre riprendeva coscienza del suo corpo. Si rese conto che la musica c'era davvero, non se l'era immaginata. Aprì gli occhi e il suo sguardo andò a posarsi su quel qualcuno che poteva starle così vicino solo nei sogni. Si diede un pizzicotto. «Sono sveglia! Allora devo avere le allucinazioni.» concluse esterrefatta. Rimase a fissarlo per un lungo istante, temendo che se avesse anche solo sbattuto le ciglia quella magnifica visione sarebbe evaporata, e un po' anche perchè non avrebbe saputo cosa dire.
Ma poi lui le sorrise, probabilmente diverito dall'espressione sbigottita comparsa sul suo viso, posò la chitarra e le si avvicinò.
«Ciao.»
«Sto sognando?» chiese lei.
Jared scoppiò in una sonora risata. «Devo dedurne che visito piuttosto spesso i tuoi sogni?»
La ragazza arrossì, imbarazzata, cosa che divertì ancora di più il cantante. «Si, no, ehm io..»
«Scherzo.» ribattè lui bloccando i suoi balbettii.I
n quel momento lei si rese conto di essere in pigiama, mezza sdraiata sul divano, senza nemmeno un velo di trucco e con i capelli in disordine. Diventò ancora più rossa, se possibile, ma l'arrivo di Jacqueline la salvò dal dover dire qualcosa.
«Ele, ti sei svegliata! Come ti senti?» Le chiese subito, ignorando completamente Jared.
«Abbastanza bene..» Le rispose, incapace di formulare frasi coerenti, che non fossero esclamazioni di gioia e di sorpresa.
Jacqueline si accorse che l'amica era completamente concentrata sull'uomo alla sua destra. «Vedo che vi siete conosciuti. Ora sei soddisfatto?» chiese poi, rivolgendosi a Jared.
«Sì.» Le rispose lui, con un sorrisetto appena accennato che distese in maniera meravigliosa quelle bellissime labbra.
«Non mi sembrava giusto non conoscere la migliore amica della nostra Jacqueline.» aggiunse in favore di Eleonore, stringendosi nelle spalle.
Quando Jacqueline aveva annunciato con le lacrime agli occhi che doveva andarsene, tutti e tre erano rimasti sbalorditi, non riuscendo a capire perchè mai una Echelon avrebbe voluto far finire prima un concerto, fra l'altro organizzato apposta per lei. La ragazza aveva allora svelato l'esistenza della sua migliore amica, costretta a casa dalla febbre.
«C'è la tua migliore amica a casa malata?!» aveva esclamato Jared in tutta risposta. Sembrava davvero stupito.
«Sì...» Jacqueline non aveva saputo che altro dire, non si aspettava di certo quella reazione.
«Allora ti accompagno a casa io, devi farmela conoscere!»
«Tu vuoi conoscere Eleonore?»
«Certo!»
Avrebbe voluto chiedergli il perchè, ma decise di non farlo. Eleonore voleva incontrare i Mars più di ogni altra cosa al mondo e anche lei non vedeva l'ora che li conoscesse. Si sarebbe dovuta "accontentare" solo di Jared. No, accontentarsi e Jared non potevano decisamente stare nella stessa frase, si disse sorridendo tra sè.
Shannon aveva chiamato un taxi - dicendo scherzosamente di non fidarsi di Jared vista l'ora - che era arrivato dopo una decina di minuti.
Erano saliti e Jacqueline aveva comunicato l'indirizzo all'autista. Jared aveva cominciato a chiacchierare come suo solito e Jacqueline gli era andata dietro, perdendosi completamente. La sua vicinanza aveva l'effetto di farla stare bene, sembravano quasi amici di vecchia data.
Tutto a un tratto però il silenzio li aveva avvolti, inaspettatamente. Un attimo prima stavano parlando fitto fitto, l'attimo dopo nessuno dei due sembrava avere qualcosa da dire.
Alla ragazza era sembrato di percepire persino il lieve tremito dell'aria causato dai loro respiri.
Jared le si era avvicinato, ma quando lei se n'era accorta le labbra del cantante si erano già posate sulle sue in un lieve bacio rubato. Entrambi si erano staccati immediatamente, quasi come se da quel breve contatto fosse scaturita un'energia talmente calda da bruciarli.
Anche le guance di Jacqueline erano roventi, e persino Jared non sembrava del tutto calmo.
«Mi dispiace io..»
«Scusa non so cosa mi sia preso..»
Si erano messi a parlare insieme e questo li aveva fatti ridere, malgrado l'imbarazzo.
«Dimentichiamocelo ok?» Jacqueline era riuscita a vedere un'espressione dolce comparire negli occhi di Jared mentre pronunciava queste parole, o forse se l'era solo immaginata. Lui non era una persona dolce, si era detta, semplicemente non faceva parte di lui. Si era chiesta come faceva a pensare a queste cose in una circostanza come quella.
«Sì, credo che sia la cosa migliore.» Lo aveva detto con un sorriso e cercando di apparire il più sincera possibile, ma dentro di sè sapeva che era impossibile dimenticarsi una cosa del genere. Ma era convinta che fosse giusto. Jared era il suo cantante preferito, ma riusciva a vederlo soltanto come un amico. Avere la sua amicizia era l'onore più grande che le potesse fare, ma non ci sarebbe stato niente di più, mai.
Nel frattempo erano arrivati a casa, dove avevano trovato Eleonore addormentata sul divano. Aveva spento la televisione, togliendo il telecomando dalla mano dell'amica e le aveva posato un bacio leggero sulla fronte, scoprendo con sollievo che la febbre era diminuita.
Ora Jacqueline stava osservando i due che si erano messi a chiacchierare, Eleonore vincendo l'insolito imbarazzo iniziale e Jared con la solita disinvoltura.
Era felice che finalmente l'amica l'avesse conosciuto, finora in un modo o nell'altro non erano mai riusciti ad incontrarsi.
Tra di loro si era immediatamente creato il feeling che c'era normalmente tra due artisti. Jacqueline sorrise, accorgendosi di provare quella sensazione di tenerezza che solo l'incontro tra due persone per lei così importanti avrebbe potuto suscitare.

NO MATTER HOW MANY BREATHS YOU TOOK, YOU STILL COULDN'T BREATHE


 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Chapter 15

Shannon si diresse verso casa con un sorriso soddisfatto stampato in faccia. Aveva aiutato per un po' i ragazzi a smontare il palco aspettando di veder tornare suo fratello, ma dopo circa mezz'ora li aveva lasciati. Si sentiva stupido, ma gli parve di essere di nuovo un liceale al quale avevano appena consegnato il diploma, aveva la sensazione di essersi tolto dalle spalle un grosso peso. Si sedette sul bordo del divano, appoggiando i gomiti alle ginocchia. Si lasciò travolgere da tutte le sue sensazioni, i pensieri gli passarono accanto come spifferi di aria gelata, veloci quanto la luce.
Non era più in quella villa di LA, seduto sul divano di pelle bianca.
Era in mezzo ad un prato enorme, la vista si perdeva inseguendo le morbide pareti erbose delle collinette.
Si sentiva talmente rilassato che persino la leggera brezza riusciva a farlo barcollare impercettibilmente.
La sua versione circondata dai mobili dell'ampio salotto della villa sorrise.
Da tanto tempo la sua mente non era un luogo così tranquillo. Il pensiero di due scintillanti occhi verdi portò il sorriso ad allargarsi e il cielo a tingersi di un lieve colore rosato.
La spontanea vivacità della ragazza lo aveva completamente conquistato, spazzando definitivamente via tutti i suoi sciocchi ed irrazionali dubbi.
Quanto li odiava. Sentì il sapore ferroso del sangue in bocca e si riscosse. Si stava mordendo così forte l'interno della guancia da farla sanguinare.
In quel momento il campanello suonò. Shannon andò ad aprire e si ritrovò davanti Tomo. Gli rivolse un'occhiata stupita.
«Ero convinto che tu e Vicky ve ne foste andati da un bel po'!»
«Sì, infatti eravamo già arrivati a casa..ma Shannon, ero troppo contento per te fratello!»
Il batterista fu travolto da una sonora pacca sulla spalla e da un sorriso non meno espressivo. Rimase intontito per un paio di secondi, dopo di che scoppiò a ridere fino a farsi venire le lacrime agli occhi.
Tomo si unì a lui, risero come due bambini, appoggiandosi l'uno all'altro.
Quando smisero erano anche riusciti nell'impresa di sedersi sul divano.
«Siamo così fortunati Tomo...a volte mi sembra persino un po' ingiusto.»
«Già, a volte anche io ho questa impressione...ma poi quando suoniamo davanti a tutti i nostri fans vedo quanto sono contenti di stare lì ad ascoltarci, quante emozioni passano sui loro volti, e non posso fare a meno di essere fiero di quello che faccio.»
Shannon gli rivolse un piccolo sorriso emozionato, mentre il chitarrista continuava a parlare.
«Comunque, ritornando a stasera..ti sei proprio comportato bene piccolo Shannon!»
Il batterista gli rivolse un'occhiata torva, prima di scoppiare di nuovo a ridere travolto dall'allegria di Tomo.
Il chitarrista si alzò dal divano. «Sarà meglio che vada, Vicky mi aspetta a casa.» annunciò.
Se ne andò, lasciando Shannon di nuovo solo, immerso in quel mondo tanto volubile quanto bello in quel momento.

LET GO, LET ME GO


 


Il lupo si guardò intorno, fiutando l'aria.
Bianco.
I
l terreno, gli alberi; persino il cielo era di quel colore.
Una parola riaffiorò nella sua mente di cacciatore. Neve.
Mosse qualche passo nella fredda morbidezza che lo circondava, sperduto. Il vento soffiava impetuoso, scompigliando il folto manto dell'animale.
L'aria non aveva alcun odore o sapore. Il lupo scrutò attentamente ogni dettaglio visibile del paesaggio, ma non trovò nessun riferimento che gli indicasse dove si trovava.
Quella candida coltre lo soffocava. D'istinto aprì la bocca, aspettandosi, chissà come, di vederne scaturire un lieve sbuffo di vapore che, però, non apparve. Sembrava non ci fossero ossigeno, atmosfera,
Vita.
Ad un tratto credette lui stesso di essere morto.
Preso dal panico, iniziò a scavare freneticamente nella neve, non facendo altro che sollevare bianco, bianco e ancora bianco. Corse verso l'albero più vicino, si issò sulle zampe posteriori e graffiò con rabbia la corteccia, nella vana speranza di intravedere una scintilla di colore. Niente. Il tronco non era bianco per la neve che lo ricopriva: strato dopo strato, la corteccia si rivelava essere sempre immacolata.
Si allontanò dall'albero ringhiando irrazionalmente e si accasciò a terra, nel mezzo dell'infinita distesa di alberi e neve che lo attorniavano. Si sentiva oppresso, consumato, vuoto.
Non aveva fame, non aveva sete, non aveva più paura. Sembrava che il suo mondo interiore, come quello esterno, si stesse congelando. Abbassò le palpebre, sperando di sprofondare in un sonno letale, che lo liberasse da quell'universo di per sè già morto.
Scoprì di non essere in grado di dormire. Anche attraverso gli occhi chiusi continuava a vedere il bianco. Sarebbe impazzito.
Si rialzò. L'unica cosa che sentiva erano le folate di vento gelido che sferzavano costantemente la sua pelliccia, sempre uguali, talmente vuote, identiche le une alle altre, da sembrare immobili e confondersi perfettamente con l'insensibile ambiente circostante.
Cominciò a correre. Forse avrebbe trovato qualcosa spostandosi. Qualcosa che gli dicesse dov'era, cosa ci faceva in quel luogo. Che gli mostrasse la Vita.
Riflettendoci, non ricordava cosa fosse la Vita. Cercò un indizio intorno a sè, ma accanto gli scorrevano i soliti, opachi alberi. Si stava perdendo, ma decise di non demordere.
Percepiva il battito delle sue zampe sul terreno, attutito dalla neve, che riecheggiava nel vuoto. Aspettava di sentire la stanchezza dovuta alla lunga corsa, un'accelerazione nei battiti del suo cuore; ricordava il dolore pungente che avrebbe dovuto percorrergli le zampe dopo una tale corsa, ma esso rimase, per l'appunto, solo un lontanissimo e inafferrabile ricordo.
Si fermò, concentrandosi sulle sue sensazioni, ma niente modificò il suo stato d'animo. Nessun dolore. Nessun colore. Bianco.
All'improvviso sollevò il muso verso l'infinito cielo immobile. Un ululato straziante squarciò l'interminabile silenzio. Il lupo si rese conto che il suono era scaturito dalla sua gola. Sconcertato, smise di ululare e il silenzio si ricompose, identico a prima.
L'animale sbuffò scontento, scavando cerchi mentre camminava nella neve. Ricominciò a correre. Zampata dopo zampata, albero dopo albero, si sentiva sempre più sconfitto, frustrato.
Il paesaggio era sempre lo stesso, nonostante gli sembrasse di aver iniziato a correre un'eternità prima. Forse non si era mai mosso realmente.
Quando ormai pensava di fermarsi e lasciarsi seppellire dal silenzio e dal bianco, percepì un flebile cambiamento nel vento. Un invisibile, quasi inesistente mutamento nella composizione dell'aria.
Tentò di afferrare quel frammento di Vita con tutti i sensi che aveva a disposizione, acuendoli più che potè e cercando di allontanare tutto il resto, per focalizzare l'olfatto unicamente su quella scintilla d'aria.
Fece un passo verso destra, poi un altro. Si fermò, le orecchie tese, pronte a percepire un qualsiasi suono, ma niente modificò il silenzio.
Il vento continuava a soffiare, forse in modo leggermente più impetuoso, quasi lo spingesse ad affrettarsi. Il lupo seguì il consiglio e continuò a spostarsi a destra, seguendo quel qualcosa che, seppur flebile, era sempre presente nell'aria.
Il paesaggio finalmente subì un cambiamento e una nuova direzione si aprì davanti all'animale, indicata dall'immancabile filare di alberi candidi.
Nel momento in cui il lupo posò una zampa verso quell'incredibile e nuova scoperta, il vento prese improvvisamente a sbattere contro di lui, impedendogli di tenere gli occhi completamente aperti e rendendogli difficile persino camminare.
Ringhiando contro il vento che gli sferzava il muso, l'animale continuò a camminare verso la sua meta. Non si sarebbe arreso proprio adesso che aveva trovato qualcosa per cui combattere.
Tentò di aggrapparsi al terreno scivoloso affondando gli artigli nella neve, ma ormai intorno a lui si era creata una bufera. I fiocchi di neve si sollevavano da terra in un inarrestabile turbinio che gli offuscava la vista.
Senza sapere dove fosse diretto, il lupo si aggrappò con i denti ai rami più bassi delle piante bianche che, al contrario di lui, non venivano minimamente scosse dal vento, ma erano sempre immobili e senza macchia, indistinguibili dalla restante vegetazione. Sembrava che la volta bianca al di sopra di lui si stesse protendendo verso il basso, concentrando tutta la sua potenza sull'animale per distruggerlo.
A forza di morsi e graffi, il lupo riuscì pian piano ad avanzare attraverso la tempesta.
Stavolta sentiva il dolore. Tutti i suoi muscoli erano tesi nel tentativo di farsi strada nell'oscurità e il suo corpo era totalmente percorso da una scarica di tensione dovuta all'adrenalina, ma soprattutto al terrore di non sapere dove l'avrebbe portato la sua lotta con il cielo tempestoso.
Dopo un tempo che gli parve estendersi all'infinito, percepì un calo nella forza del vento, che diminuì fino a scomparire completamente.
Svuotato di ogni energia, l'animale si buttò letteralmente a terra, ansimando, cercando di recuperare l'ossigeno che sembrava essere stato interamente risucchiato dalla tormenta.
Chiuse gli occhi. Quando li riaprì, qualcosa era cambiato: di fronte a lui si apriva una radura, racchiusa dalle ormai famigliari chiome bianche, e al centro di essa si estendeva un'enorme pozza di acqua ghiacciata.
Sconvolto dalla visione di qualcosa di diverso in quel mondo, l'animale si rialzò per correre immediatamente verso la pozza. Una nuova energia scorreva dentro di lui.
Giunto al margine della superficie ghiacciata, vi si specchiò.
Nell'esatto istante in cui vide i due profondi occhi azzurro cielo - sì, ora sapeva che il cielo doveva essere di quel colore - incastonati nel muso ricoperto da una folta pelliccia grigio perla, sentì sotto le zampe una poderosa scossa e il vento ricominciò improvvisamente a soffiare, e al suo passaggio ogni cosa assunse un diverso colore, dando finalmente Vita a quel mondo estinto. La neve si dissolse, l'erba finalmente brillò verde sul terreno, le foglie degli alberi fluttuarono nell'aria, il cielo piano piano si colorò, il sole luminoso scaldò il manto dell'animale con i suoi raggi delicati...
E poi, la fine. Con un boato assordante una profonda crepa spezzò il ghiaccio, istantaneamente, dividendo la superficie in due parti. Il vento prese nuovamente a soffiare inarrestabile, stavolta sulla schiena del lupo, e lo spinse inesorabilmente dentro l'acqua gelata riemersa dal crepaccio.
Senza neanche accorgersene, il lupo si ritrovò soffocato. L'acqua scorreva ovunque, fuori e dentro di lui, e al suo passaggio l'animale sentiva ogni parte del suo corpo e della sua anima ricoprirsi di un sottile ma indistruttibile strato di ghiaccio.
Sprofondava sempre di più.
L'oscurità lo avvolgeva tra le sue calde braccia e il lupo decise di lasciarsi cullare, ma dopo qualche secondo un'immagine riaffiorò nella sua mente, spezzando il piacevole torpore della morte.
Davanti a lui apparve il volto di una ragazza che lo osservava con uno sguardo dolce negli occhi di smeraldo, le morbide onde dei capelli che le circondavano le guance. Subito la visione scomparve, rimpiazzata da un paio di penetranti occhi nocciola tremendamente famigliari, ma che allo stesso tempo non riusciva ad associare a un nome.
Una miriade di altre immagini seguirono le prime due: un uomo dai capelli lunghi e dalla risata contagiosa, una ragazza simpatica dai capelli neri corti e arruffati e poi tantissime altre persone che sentiva di conoscere ma non ricordava, luoghi importanti e strane melodie lontane.
Infine, comparve davanti a lui un uomo dagli occhi azzurri, identici a quelli che aveva visto specchiarsi nel ghiaccio, che lo fissava intensamente, come per comunicargli qualcosa.
Per quanto si sforzasse, il lupo non riusciva a capire cosa volessero dirgli quegli occhi magnetici, e per la prima volta si chiese perchè non fosse ancora affogato. In quello stesso istante percepì la morsa del ghiaccio, più forte che mai, l'acqua lo riavvolse nei suoi flutti e lo riportò nell'oscurità, stavolta per sempre.
"Jared" ebbe il tempo di pensare l'animale prima di scomparire nel buio.
Jared si svegliò all'improvviso, le mani strette sulla gola, la bocca aperta nel tentativo di assorbire ossigeno. Con un singhiozzo soffocato si rese conto che respirava perfettamente. Vedeva solo nero intorno a sè, ma non c'era acqua. Si sentiva la gola e i polmoni ghiacciati, la pelle gelida e insensibile.
Si avvolse tra le sue stesse braccia, cercando di scaldarsi, ma non ci riuscì. Si sentiva totalmente freddo e paralizzato, avvertiva il ghiaccio persino nell'anima.
Eppure era stato solo un sogno. Uno stupido sogno. Si guardò intorno e, una volta abituati gli occhi al buio, cominciò a scorgere i piacevoli e famigliari angoli della sua camera, e si accorse di essere avvolto da una morbida coperta, nel suo letto. Nonostante questo, il freddo non se ne andò.
Si distese sulla schiena, fissando il soffitto. Riusciva quasi a vedere le immagini del sogno proiettate su di esso. Erano tutte lì, impresse a fuoco nella sua memoria.
Non ne capiva il senso. Sentiva ancora il bianco soffocante di quel mondo onirico, e ricordava, invece, il sollievo, il calore che aveva provato vedendo il viso sorridente di quella ragazza, Jacqueline, e di tutte le altre persone, nonostante non ricordasse i loro nomi.
Il suo stesso nome era l'unico che, alla fine, era comparso nella sua mente di lupo.
Ricordò i suoi occhi riflessi nel ghiaccio. In quel momento avrebbe dovuto capire chi era. Il fatto di essersi riconosciuto solo dopo quell'interminabile sequenza di volti sorprendentemente lo confondeva e Jared sentì le sue convinzioni vacillare, come non gli capitava da moltissimo tempo, ormai.
Si girò sul fianco destro, cinque minuti dopo su quello sinistro. Poi di nuovo sulla schiena.
Si passò le mani sul viso, frustrato ma deciso a spegnere il cervello. Voleva dormire. Era stanco di quell'orribile sensazione di gelo sulla pelle.
Si rigirò ancora per qualche interminabile minuto, si cantò persino una ninna nanna, cercando di rilassarsi, ma i brividi lo scuotevano ancora. Si rassegnò. Una tempesta di pensieri, simile a quella del sogno, si agitava nella sua mente. Non sarebbe mai riuscito ad addormentarsi.

IT CALLS HIM BUT HE DOESN'T WANT TO READ THE MESSAGE


 





Angolo delle autrici
Siamo già al quindicesimo capitolo!:) Speriamo che la nostra fic vi stia piacendo e cogliamo l'occasione per ringraziare tutti quelli che l'hanno messa tra le seguite, le preferite, e quelli che ci hanno lasciato recensioni. Grazie, questo ci spinge a continuare a scrivere.
Alla prossima, Chia e Ila.

 






 


 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Chapter 16

La pioggia ticchettava sulla superficie trasparente della vetrina da più di un ora.
Le gocce scorrevano inesorabilmente, una dopo l'altra, scontrandosi e scindendosi, unendosi e scivolando insieme fino a terra.
Allo stesso modo Jacqueline sentiva il suo animo spezzarsi e ricomporsi, sprofondare sotto terra o librarsi leggero, sotto il controllo dei suoi continui e repentini cambiamenti d'umore.

Osservò con occhi spenti una goccia di pioggia che se ne stava immobile sulla vetrina della libreria in cui lavorava. "Perchè non cadi?" chiese silenziosamente alla goccia. Rimase a fissarla finchè non venne a contatto con un'altra goccia, rotolando piano fino al margine del vetro.
Così andavano le cose. Prima o poi tutto era destinato a finire, a distruggersi, come quelle piccole particelle d'acqua. Forse era giunto il momento di mettere la parola fine anche alla sua amicizia con Jared. Ciò che era successo venerdì l'aveva profondamente sconvolta, nonostante faticasse ad ammetterlo.
Non poteva dimenticarselo, anche se l'avrebbe voluto con tutte le sue forze.
Oltretutto in quel malinconico giorno di pioggia nessun cliente sembrava aver intenzione di farsi vedere in libreria, così da lasciare la ragazza totalmente sola con i suoi pensieri. Era terribilmente confusa.
Inizialmente era stata felice di tornare a lavorare. La libreria era rimasta chiusa per un po' a causa della ristrutturazione degli interni e a Jacqueline era mancato il confortevole ambiente, intriso del profumo di libri che tanto amava. Quel luogo era un po' la sua tana, il suo mondo. Ma ora che vi era finalmente ritornata, non si sentiva per niente a suo agio. Avrebbe tanto desiderato sentire l'usuale chiacchiericcio dei clienti, l'avrebbe distratta dai pensieri tristi.
Invece era costretta a fare i conti con la sua testa, che non le lasciava un attimo di pace. Insomma, cosa c'era di tanto strano? Era stato solo un piccolo, innocente bacio! E per di più non era stata lei a prendere l'iniziativa. Non capiva perchè si sentisse tanto inquieta. Probabilmente in quel momento Jared se ne stava tranquillo a casa sua a suonare o a dormire o qualunque cosa facesse la mattina, totalmente in pace con se stesso. Al contrario lei si sentiva come sotto tortura.
Si staccò dalla vetrina e iniziò a girare intorno agli scaffali colmi di libri. Aveva provato a distrarsi con la lettura e ascoltando un po' di musica, ma sembrava che la sua mente non volesse rischiare di seppellire quell'episodio nell'angolo delle "cose da dimenticare".
Jacqueline si lasciò andare in uno sbuffo d'irritazione. Si sedette a terra, la schiena appoggiata a uno scaffale, osservando il soffitto ridipinto da poco.
"Yeah I've been to Jupiter and I've fallen through the air.." sussurrò piano. Sentiva la voce di Jared che pronunciava quelle parole da quando si era svegliata. Come i suoi pensieri, era impossibile scacciare la canzone dalla testa. Non che lo volesse, era una delle sue preferite.
"I used to live out on the moon.."
"Perfetto, adesso mi immagino pure la voce di Shannon..." pensò la ragazza, sempre più irritata da se stessa. Poi sentì un rumore di passi e vide una testa, con tanto di occhiali da sole, spuntare dallo scaffale di fronte a lei.
«Perchè indossi gli occhiali da sole se piove?» chiese al batterista. Era strano come la presenza di uno qualsiasi dei componenti della sua band preferita le facesse sempre dire le cose più stupide, pensò poi.
Stava per scusarsi, quando Shannon, senza battere ciglio, le rispose. «Sono in incognito, baby! Scherzo, ma adoro questi occhiali, accessorio indispensabile per ogni uomo alla moda.» disse sorridente, mentre li sollevava sopra la testa svelando un'espressione ironica. Si sedette accanto a Jacqueline, contro lo scaffale.
Quell'uomo le faceva un effetto incredibile. Appena aperto bocca, le sue parole avevano spazzato via ogni traccia d'inquietudine dalla mente di Jacqueline, che ora si sentiva felice e spensierata come una bambina. Per qualche minuto i due rimasero in silenzio, ma non era un silenzio teso e imbarazzato, tutt'altro. La ragazza si sentiva leggera e rilassata, quasi come se la persona accanto a lei emanasse un'aura benefica.
Un forte tuono riportò i due alla realtà anche perchè Shannon, sentendone il rombo, aveva mosso bruscamente il gomito destro, urtando una pila di libri ammonticchiati in precario equilibrio accanto a lui e facendoli cadere rovinosamente, tra pagine spiegazzate e foglietti svolazzanti. Subito si prodigò per raccoglierli, preoccupato dall'espressione che Jacqueline aveva involontariamente assunto nel veder precipitare a terra i suoi libri adorati. La ragazza infatti sentiva quasi un legame d'amicizia con i libri, con qualsiasi libro. Non sopportava il rumore di pagine strappate e le persone che disprezzavano o maltrattavano quei fogli fitti di parole, perchè anche se il tema trattato da un libro non le piaceva o la storia non l'aveva coinvolta, sentiva comunque un tuffo al cuore nel vedere opere così preziose, frutto di tanti studi e fatica, buttate al vento senza alcun rimpianto.
Sapeva benissimo che Shannon non aveva fatto apposta, anche perchè il tuono aveva spaventato anche lei, ma non riuscì comunque a mantenere un'espressione calma.
«Shannon non preoccuparti! Aspetta ti aiuto..» gli disse, visto che sembrava quasi spaventato dalla sua reazione.
«Scusa, Jacqueline, mi dispiace...»
«No è tutto a posto tranquillo!» ribattè lei con un sorriso. Shannon aveva un'espressione infastidita, quasi di rabbia.
Il batterista fece un gesto stizzito con le mani e poi sbuffò.
«Scusa è che...insomma sono venuto qui per chiederti di perdonarmi e guarda invece cosa ho combinato! Sono senza speranza..» disse con un sorrisetto.
«Perdonarti...di cosa?» chiese Jacqueline stupita.
«Non dirmi che ti sei già scordata di come ti ho trattata la prima volta che ci siamo incontrati. Non dico che dovresti ricordartelo perchè sono io ma non mi sembra di essere stato molto gentile, ecco. Ok, l'ultima frase suonava molto ma molto male...non sono uno che si monta la testa eh! Ma tu sei un'Echelon no? Avrai una specie di ammirazione per me o qualcosa del genere...ok è meglio che chiuda questa boccaccia.» disse Shannon.
Jacqueline non riuscì a non ridere. Vedere il suo idolo così imbarazzato e impacciato era uno spettacolo incredibile. Sapeva di non doverlo prendere in giro ma era davvero troppo divertente. Era abituata allo Shannon batterista, sul palco, sicuro di sè e di quello che faceva, non a quella persona dolce e un po' imbranata che si trovava di fronte in quel momento. Il fatto che fosse divertente non voleva dire, però, che non le piacesse. Al contrario ora sentiva di avere di fronte a sè una persona normale, e soprattutto reale.
Sorprendendo persino se stessa, la riflessiva, calma e quasi mai impulsiva Jacqueline, la ragazza si ritrovò con le braccia al collo di Shannon, ad avvolgerlo in un abbraccio rassicurante. Ovviamente si allontanò immediatamente, ma sperò comunque di aver comunicato ciò che aveva da dire.
«Uhm...» fece Shannon, disorientato da quel gesto improvviso.
«Senti, io ti ho già perdonato. Non c'era neanche bisogno di perdonarti, in realtà! Sì, ammetto che all'inizio ero arrabbiata. Ma poi ho capito che...che non posso fare a meno di te.» disse la ragazza, abbassando d'istinto lo sguardo.
«No! Non in quel senso!» gridò poi, vedendo lo sguardo malizioso negli occhi di Shannon.
«E' difficile da spiegare...intendo che comunque, anche se io fossi arrabbiata con te, non riuscirei a non apprezzarti per la musica meravigliosa che componi e suoni..e come batterista tu sei un grande esempio per me. Capisci?»
Shannon le rispose con un grande sorriso. A Jacqueline parve che la stanza, scura a causa del temporale, si fosse improvvisamente illuminata.
Fortunatamente lo scrosciare della pioggia e un lampo fugace ricordarono alla ragazza dove si trovava, altrimenti sarebbe potuta rimanere per ore a fissare quel sorriso.
Era come uno scambio continuo di energia tra lei e Shannon. Il batterista era un flusso inesauribile di allegria e pensieri positivi. Qualunque cosa lui facesse, qualunque cosa lui dicesse, Jacqueline non riusciva ad allontanarsi, non riusciva a distogliere lo sguardo. Shannon era la sua fonte di luce in quella buia giornata.
Per questo motivo stettero ore a parlare, seduti in quell'angolo della libreria, senza mai stancarsi, senza mai cercare di interrompere quel silenzio che ogni tanto si creava tra loro, poichè era pieno di parole.
Verso mezzogiorno il campanello che avvertiva l'entrata di un cliente squillò, ricordando a Jacqueline che, teoricamente, quello era il luogo in cui lavorava. Si alzò di malavoglia, seguita da Shannon, e andò ad accogliere chiunque si fosse fatto strada attraverso la pioggia per venire fin lì.
«Eleonore!»
«La gentile donzella che mi ha indicato la strada per la libreria.» disse Shannon, in modo talmente ridicolo da far scoppiare immediatamente a ridere le due "donzelle".
«Stavo dicendo, prima che Shannon mi interrompesse, che tu non dovresti essere qui! Sei malata!» la rimproverò Jacqueline.
«Ma Jackie! Non ce la facevo più a stare imbacuccata sul divano a guardare le telenovele mattutine! Mi annoiavo a morte.» ribattè Eleonore, con un finto broncio stampato in faccia.
Shannon se la rideva sotto i baffi.
«Shannon! Tu dovresti darmi ragione.» disse Jacqueline ridendo. Quella situazione era davvero troppo ridicola. Sembravano tre bambini che litigavano per le caramelle.
«Mie dolci fanciulle, vi devo lasciare!» disse ad un tratto il batterista, dopo aver appreso l'ora dal quadrante appeso al muro. Diede un bacio sulla guancia ad Eleonore «Cerca di guarire presto!» e a Jacqueline «E tu non essere troppo cattiva con lei.» e poi uscì dalla libreria camminando sotto la pioggia, con la massima disinvoltura.
Jacqueline si voltò verso Eleonore, il cui sopracciglio destro era inarcato a comporre l'espressione più eloquente che la ragazza avesse mai visto.

IT'S TIME TO FORGET ABOUT THE PAST, TO WASH AWAY WHAT HAPPENED LAST


 


 

«Che c'è?»
«Beh, Shannon si è già scusato parecchie volte..»
«E' una persona molto sensibile.» Jacqueline le rispose con un tono che voleva risultare convinto e distaccato, ma l'accentuarsi del rossore sulle sue guancie la smentì.

Eleonore, che a questo punto stava gironzolando senza meta per la libreria, si girò a guardarla e scoppiò a ridere, non riuscendo più a trattenersi.
«Smettila!» Ora il colore di Jacqueline era quasi tendente al viola ed Eleonore si costrinse a soffocare le risate mettendosi una mano sulla bocca.
«Mi sto sforzando di rimanere seria soltando perchè non voglio vederti diventare una melanzana enorme!»
Jacqueline alzò gli occhi dal libro che stava tentando inutilmente di fingere di leggere con l'intenzione di guardare l'amica con aria di rimprovero, ma quando incrociò lo sguardo divertito di Eleonore il suo briciolo di orgoglio svanì e si mise a ridere anche lei.
«E comunque dovresti deciderti cara mia...certo non deve essere tanto semplice quando si tratta dei fratelli Leto...»
Eleonore lasciò volutamente la frase in sospeso, ma le dita di Jacqueline che andarono immediatamente a stringere quasi spasmodicamente il ciondolo a forma di chiave confermarono i suoi sospetti.
«Ehi Jackie. Che cosa non mi hai detto?» domandò dolcemente.
L'amica le rivolse un'occhiata imbarazzata, quasi colpevole.
«Ecco vedi..è un po' difficile..»
Eleonore si avvicinò alla ragazza che si stava tormentado le mani, le posò due dita sotto il mento e le sollevò il viso, costringendola affettuosamente a guardarla negli occhi.
«Jacqueline?»
«Mi ha baciata, Jared mi ha baciata.»
Quelle poche parole, sussurrate, ebbero il potere di far calare il gelo nella stanza.
Eleonore si stupì dell'effetto che ebbero su di lei. La immobilizzarono, non trovò niente di sensato da dire, non sapeva nemmeno se essere contenta o no.
Più che altro non riusciva a spiegarsi l'inquetudine dell'amica.
«Ma Jackie...non riesco a capire perchè fai così.»
La ragazza sospirò.
«Non riesco a capirlo nemmeno io. Insomma da un lato lui è Jared Leto! Il mio cantante preferito, bellissimo e tutto il resto, dall'altro è chiarissimo, almeno per me, che l'unica cosa che può legarci è l'amicizia. Ma anche lui sembra pensarla come me! Quindi il perchè del suo gesto è assolutamente incomprensibile!» Concluse frettolosamente, riprendendo fiato.
Eleonore la guardò e sorrise, scuotendo leggermente la testa.
«E adesso mi spieghi perchè sorridi?!» sbottò Jacqueline leggermente irritata.
«Perchè ti fai sempre troppi problemi Jackie! Insomma hai detto tu stessa che Jared ti considera un'amica. E poi cosa vuoi che sia un piccolo e innocente bacio, di cui tu non hai assolutamente "colpa"?», rispose, facendo sentire chiaramente le virgolette sulla parola colpa.
L'amica sembrò pensarci un attimo, poi annuì con espressione assorta.
«Hai ragione, ma non posso pensare che non sia successo niente! Sempre ammesso che lo rivedrò, sarà piuttosto imbarazzante non credi?»
«Non per forza. Se nessuno dei due ne parla finirete con non dico dimenticarlo, almeno per quanto riguarda te, ma la cosa non avrà più molta importanza.»
Le labbra di Jacqueline si incurvarono leggermente verso l'alto. Si alzò e abbracciò l'amica.
«Grazie.» Le sussurrò all'orecchio.
Eleonore stava per replicare, ma in quel momento sentirono il tintinnio che annunciava l'arrivo di un cliente. Entrambe si girarono verso un ragazzo alto e rossiccio che salutò un po' impacciato.
«Ciao Adam!», ricambiò il saluto allegramente Jacqueline, «Ele, questo è il mio vicino di casa, in questi giorni non vi siete mai visti perchè Adam era via per lavoro.»
I due si presentarono, poi il ragazzo si girò di nuovo verso Jacqueline, chiedendo un libro di cui Eleonore non capì il titolo.
Si sedette sulla sedia dove poco prima c'era Jacqueline e si mise a scarabocchiare con una matita sul primo pezzo di carta che le era capitato in mano, immersa nelle sue riflessioni. Inspiegabilmente non si sentiva per niente tranquilla, qualcosa la disturbava, anche se non riusciva proprio ad afferrare che cosa fosse.
Guardò quello che pensava fosse solo uno scarabocchio e si accorse che due occhi ben conosciuti lampeggiavano anche lì, su quel pezzo di carta in un'anonima libreria di Los Angeles, e come al solito sembrava che volessero scrutare nell'animo di chiunque si fossero trovati davanti, per carpirne i pensieri e i sentimenti più profondi.

THE SOUND OF A FIGHT

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Chapter 17

Quella città era un sogno.
Il lungomare di Los Angeles aveva un sapore particolare e tutto suo, molto diverso da quello delle passeggiate lungo i viali alberati di Parigi. Eleonore amava la sua città, ma non ne sentiva ancora la mancanza, soprattutto in momenti come quello, in cui tutto sembrava essere perfetto.
La giornata era tutto il contrario di quella precedente: il sole sembrava essersi improvvisamente risvegliato dal suo sonno e una lieve brezza, accenno di primavera in arrivo, increspava le onde spumeggianti dell'Oceano Pacifico.

Eleonore, auricolari nelle orecchie e nasino all'insù, respirava a pieni polmoni la fragranza di libertà che le sembrava pervadesse l'aria.
Le avevano da poco comunicato che il giorno dopo avrebbe finalmente iniziato il restauro di un'opera, probabilmente in un palazzo ottocentesco da qualche parte nel centro di LA, e questo, insieme al clima primaverile e alla sua ormai avvenuta guarigione, la rendeva estremamente allegra e spensierata.
Saltellava da una mattonella all'altra dell'ampio marciapiede come un bimbo che esce per la prima volta da casa alla scoperta del meraviglioso mondo fuori dalla finestra, canticchiando "Kings and Queens" e scansando le persone che la guardavano stranite.
Quel pomeriggio le strade non erano particolarmente affollate, nonostante il tempo favorevole, e Eleonore era felice di poter camminare senza dover prestare troppa attenzione alla gente.
Attraversò la strada e si mise ad osservare le colorate vetrine dei negozi, prima storcendo la bocca davanti a un vestito orribile, che per di più costava una fortuna -Ma da che parte si infilerà?!- pensò sconcertata, poi sorridendo spontaneamente alla vista di un abitino delizioso, che si adattava particolarmente a quella giornata fantastica. Aveva un che di spensierato e lieve, la delicata fantasia a fiori sembrava riflettere l'umore della ragazza e i colori vivaci, insieme alle graziose maniche a sbuffo, la attiravano inspiegabilmente alla vetrina. Senza neanche rendersene conto appoggiò una mano su di essa, sorridendo finchè un movimento riflesso sulla superficie non la riportò alla realtà, con suo grande disappunto.
Il collo flessuoso che si specchiava nella vetrina si inclinò leggermente di lato, mentre sul viso della persona alla quale apparteneva appariva un sorriso radioso. Il tutto sembrava chiedere: "Allora? Non ti volti nemmeno a salutarmi?"
«Tu.» disse Eleonore, parlando con il riflesso. Un'ombra era scesa sul suo viso.
Si voltò.
«Tu!» ripetè, avvicinandosi a Jared.
«Perchè fai soffrire le persone!?» continuò, puntando un dito al petto del cantante.
«Perchè non pensi prima di agire!? Forse sei troppo concentrato su te stesso per riflettere su ciò che gli altri provano?»
«Ciao Jared, come stai? Di solito è così che si saluta la gente.» ribattè lui continuando a sorridere.
«No, non sperare di cavartela con uno dei tuoi sorrisi spavaldi, mio caro.» disse Eleonore, ponendo particolare enfasi sul "caro".
«Jacqueline è una ragazza meravigliosa ed è quasi una sorella per me. Tu non ti puoi permettere di trattarla così. Oh! Hai forse capito di cosa sto parlando? Evidentemente ti comporti così con tutte le ragazze che incontri, giusto? Prima le baci e poi fai finta che non sia successo niente! Complimenti, molto profondo, davvero.» detto questo lasciò cadere le braccia lungo i fianchi. Non voleva farsi rovinare la giornata, ma d'un tratto aveva sentito una tristezza soffocante dentro di lei, forse provocata dal fatto che non avrebbe mai voluto conscere quella parte di Jared. Non si aspettava una persona del genere. Sperava di sbagliarsi.
«Mi dispiace.» sussurrò lui. Il sorriso era scomparso, la bocca era una linea sottile sul viso, la mascella irrigidita da un'evidente tensione.
Eleonore si rese conto con sorpresa di aver provato un barlume di soddisfazione nel vedere il cantante in difficoltà.
«No. Tu non devi dire che ti dispiace, e soprattutto non devi dirlo a me. Non sono io quella che si tormenta perchè ha paura di perderti. E non basta. Non basta un vuoto "mi dispiace". Tu devi andare da lei e dirle che le vuoi bene, perchè so che è così. E magari aggiungici anche che quello che hai fatto è stato tremendamente azzardato e...e stupido! Sì Jared, stupido, incredibilmente stupido! E non guardarmi così!» Eleonore aveva scorto negli occhi del cantante una scintilla di sorpresa. «Pensavo te ne saresti reso conto da solo! Insomma apri gli occhi! Ti sarai pure accorto dell'espressione di Jacqueline quando le hai detto di dimenticare tutto! Non è capace di mentire. Non sa nascondere le sue emozioni.» Per tutto il tempo la ragazza aveva tenuto lo sguardo puntato negli occhi di Jared, che adesso li aveva lentamente abbassati.
«Addio, Jared.» mormorò Eleonore. Si passò una mano tra i capelli, lanciando un'ultima occhiata al cantante che teneva lo sguardo fisso a terra, perso in chissà quali pensieri, e si incamminò verso casa.
Si rese conto di avere ancora le auricolari alle orecchie.
Ciò nonostante sentì la voce in lontananza. «Au revoir, Eleonore.»
La ragazza sorrise impercettibilmente.

IT'S JUST A NEW BEGINNING


 


 

Una fusione. Una fusione di due azzurri così simili, così puri, così limpidi.
«Jared» disse semplicemente.
Lui sorrise, osservando il camicione a quadri della ragazza, macchiato di pittura a olio.

«Mi dispiace di aver disturbato un'artista al lavoro!» esclamò, con un'espressione e un tono che sembravano tutto tranne che dispiaciuti.
«Comunque mi dispiace deluderti ma non sono qui per te. C'è Jacqueline?» domandò sporgendosi oltre la spalla di Eleonore per sbirciare dentro casa.
«Oh credimi non mi deludi affatto!» replicò lei allegramente.
«Però Jackie non c'è. Lavora in una libreria in centro e non è ancora rientrata.»
Il cantante si lasciò sfuggire una smorfia di disappunto, che però fu di breve durata. Il suo sguardo si posò sul pennello che Eleonore teneva in mano e, spinto dalla curiosità, chiese: «Che stai facendo?»
Eleonore si rese conto di averlo tenuto sulla porta fino ad allora e gli chiese se volesse entrare. Lui accettò volentieri, quella ragazza lo incuriosiva, anzi di più. Moriva letteralmente dalla voglia di vedere cosa stesse dipingendo. Cercò di capire il perchè, la cosa appariva assurda persino a lui.
«Non sto facendo niente di particolare.» rispose, anche se con un attimo di ritardo, Eleonore, strappandolo dalle sue riflessioni.
«Beh si da il caso che io sia davvero molto curioso.»
La ragazza si voltò verso di lui con un'espressione impertinente dipinta sul volto.
«Mmm...non so se voglio fartelo vedere...»
Jared sbuffò divertito.
«Tipico delle donne farsi desiderare! Eddai...»
Eleonore scoppiò a ridere davanti a quell'espressione buffa e si accorse che era impossibile essere arrabbiati con lui. Ma dopo tutto sapeva già di averlo perdonato da quel pomeriggio, quando si era accorta dell'effetto che le sue parole avevano avuto su di lui. Un'effetto che l'aveva piacevolmente stupita.
Ma d'altronde chi meglio di lei poteva sapere che dietro all'apparente spavalderia di molti si nascondeva spesso una persona riflessiva e sopratutto totalmente diversa?
«E va bene! Ma solo perchè ho quasi finito!»
Eleonore sorrise divertita e seguendo un impulso improvviso lo prese per mano, guidandolo su per le scale, fino ad arrivare in camera sua. Era totalmente immersa nel suo dipinto, tanto da non essere nemmeno consapevole di quel contatto, ma lo lasciò comunque quando aprì la porta.
La tela era posizionata in modo da essere leggermente rivolta verso la finestra, per una motivazione tutta sua particolare. In quel modo le sembrava di poter catturare e tenere sotto controllo quello che succedeva fuori dalla finestra, il mondo insomma, e quello che succedeva in casa, il suo mondo.
Jared precedette la ragazza, che si sedette sul bordo del letto, per poter studiare la sua reazione.
«Sei davvero molto brava!» esclamò. «Anche se non pensavo fosse questo il tuo genere...» aggiunse, indicando il quadro da cui aveva appena staccato gli occhi, per andare a posarli di nuovo su di lei.
Eleonore, con le ginocchia strette al petto, fece spallucce.
«Infatti non lo è.» disse sorridendo.
«E' un regalo, la mia cuginetta adora i cavalli.»
Il cantante le sorrise.
«Mi piacerebbe vedere qualcosa di tuo tuo, insomma hai capito.»
Eleonore sorrise, stupita e gratificata al tempo stesso dalla sua richiesta. In quel momento qualcuno urlò il suo nome dal piano di sotto.
«E' rientrata Jacqueline» disse, accompagnando le sue parole con uno sguardo carico di sottintesi.
Lui ora sembrava meno convinto di prima, ma nonostante questo si avvicinò alla porta, le fece vedere le dita incrociate e uscì dalla sua stanza.
Eleonore rimase a fissare la parete per qualche secondo, doveva scendere o no? Dopotutto Jared non gliel'aveva chiesto, ma lei voleva assolutamente sapere cosa sarebbe successo. C'erano due modi in cui la situazione si sarebbe potuta risolvere e non avrebbero potuto essere meno simili tra loro.
Assecondando la sua frustrazione si alzò di scatto dal letto e aprì la porta che poco prima Jared aveva richiuso dietro di sè, lasciandola in preda alla più viva curiosità.
Badando di fare il minor rumore possibile si diresse verso le scale, si accovacciò su uno dei primi gradini, attaccandosi a una delle sbarre, in un punto dove avrebbe potuto vedere e sopratutto sentire tutto abbastanza bene senza che loro vedessero lei, o almeno lo sperava.
Fortunatamente si erano seduti uno di fronte all'altro in modo che lei potesse scorgere il viso di entrambi. Jacqueline era comprensibilmente stupita, gli splendidi occhi verdi che lei non aveva mai apprezzato abbastanza erano leggermente più aperti del solito, mentre lui non sembrava del tutto a suo agio come accadeva di solito e si mordicchiava l'interno del labbro inferiore assorto, cercando probabilemente qualcosa di sensato da dire, entrambi inconsapevoli di essere sotto l'attento esame di Eleonore.
Jared alzò la testa lentamente e disse qualcosa, ma la ragazza non riuscì a cogliere niente, aveva usato un tono di voce troppo basso.
Jacqueline gli rispose, ma nemmeno di quello che disse lei sentì una sillaba.
«Perchè cavolo devono parlare così a bassa voce?!» pensò nervosamente Eleonore. Era ormai chiaro che non avrebbe capito niente del loro discorso, così si concentrò a studiare le loro espressioni, visto che non era assolutamente in grado di leggere le labbra.
Ora Jacqueline sembrava quasi incantata, tanto era presa dalla conversazione.
Jared invece pareva... quasi sollevato.
Ma cosa più importante nessuno dei due e soprattutto la sua migliore amica sembrava ferito, offeso o altro.
Eleonore si alzò. Era quello l'importante, si ripetè. Ritornò con passo felpato in camera sua, si sedette davanti alla sua tela da terminare.
Improvvisamente sentì l'impulso di muoversi, voleva sfogarsi.
Pensò ad un modo per uscire di casa senza disturbare i due amici che stavano parlando di sotto, ma l'unica via per raggiungere la porta era il salotto.
Sospirando indossò qualcosa di comodo e le sue scarpe da ginnastica.
Scese le scale e attraversò il salotto praticamente correndo.
«Ciao a tutti vado a fare un po' di jogging!» urlò, non lasciando loro il tempo di risponderle.
Una leggera brezza l'accolse, mentre svuotava la mente da tutti i pensieri che come al solito l'affollavano e si concentrava solo sulla sensazione di libertà che provò in quel momento.

BE A HERO, KILL YOUR EGO.



 

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***



Chapter 18

«Ogni tanto bisognerebbe fermarsi. E ascoltare.
Lo senti? Il tuo respiro. Il fruscio del vento. Chiudi gli occhi.
Senti il battito del tuo cuore?
Il sangue che ti scorre nelle vene?

Non ti sembra di non aver mai realmente vissuto prima d'ora?
Apri la mente. Lascia fuoriuscire la tua anima dal corpo, raccogli tutto ciò che riesci a percepire. Ogni cosa emette un suono. Il suono è vita, la musica è vita. Questo è ciò che sei, che siamo.
Credici.»
Eleonore ci credeva.
Terminata la corsa si era fermata sulla spiaggia, godendosi i caldi raggi del sole californiano, ma dopo quelli che le erano sembrati pochi minuti e invece erano probabilmente almeno un'ora era stata allontanata da quella sensazione idilliaca per ritrovarsi a sprofondare in due occhi altrettanto belli.
Jared le aveva detto che spesso si recava lì per riflettere e rimanere solo con i suoi pensieri. «Per fare ordine nella mia testolina!» Aveva esclamato picchiandole dolcemente un dito sul capo. Si era seduto accanto a lei ed erano rimasti per un po' ad osservare l'oceano in silenzio. Poi Jared aveva detto quelle parole. Eleonore aveva ascoltato attentamente, lasciandosi inebriare dalle emozioni che quelle frasi avevano provocato in lei.
In quel momento, mentre fissava l'uomo che le sedeva accanto, si stava chiedendo come facessero quei concetti, all'apparenza così elementari, ad essere catturati dalla mente di Jared quando alla maggior parte delle persone sfuggivano. La semplicità di quelle parole era sconvolgente, soprattutto perchè, si rese conto la ragazza, erano assolutamente vere. Riflettendoci attentamente, ciò che formava il carattere di una persona erano proprio i suoni, i ricordi, le cose più semplici. Ma molto spesso la gente non apprezzava le piccole cose, non si rendeva conto di quanto fossero importanti e preziose. Ed Eleonore non si era mai soffermata ad ascoltare il battito del suo cuore. Quel battito era lei stessa, le sue emozioni. Quel flebile suono era dato per scontato da tutti, ma era ciò che la teneva in vita.
Rivolse di nuovo il suo sguardo su Jared, che le sorrideva. Eleonore si disse che quel sorriso era una delle piccole cose che avrebbe dovuto apprezzare. Era bellissimo.
Si pentì immediatamente di quell'ultima considerazione. Stava perdendo il controllo di se stessa, ma quella lieve curva sulle labbra di Jared era così luminosa, gentile, attraente. Scomparve all'improvviso.
"Ti prego, sorridi di nuovo.." avrebbe voluto dire Eleonore, ma non ci riuscì.
«Tutto bene?» chiese Jared, ma non sembrava realmente preoccupato, piuttosto curioso.
«Eh? Ah, uhm, sì!»
Lui rise, e la ragazza sentì quella risata fluire dentro di lei come un fiume in piena. Rise a sua volta e una ciocca ribelle le ricadde sulla fronte. Jared la scostò lentamente, forse troppo lentamente, dal viso di Eleonore. La sua mano si fermò sulla guancia della ragazza.
Rimasero così, fermi, guardandosi negli occhi, mentre la luce rosata del tramonto li avvolgeva, quasi separandoli dal resto del mondo.
La mente di Eleonore era completamente vuota. Non sentiva più niente, solo il tocco della mano di Jared sul suo viso, che bruciava così intensamente da cancellare ogni cosa, e il battito assordante del suo stesso cuore.
Decise che era ora di mettere fine a quell'immobile tensione. Si avvicinò a lui, mancavano solo pochi centimetri a quelle labbra morbide e rosate. Chiuse gli occhi.
«No..» sussurrò, riaprendoli quasi immediatamente.
«No! Non posso farlo! No...Io, oddio, ehm...» Si allontanò da Jared frettolosamente, sollevando una grande quantità di sabbia. Lui non sembrava sorpreso.
«Oh, Jared, mi dispiace..Io..Ciao.» farfugliò, già dando le spalle al cantante.
Poi corse via. Era stata una stupida. Una stupida egoista. Si rese conto di non avergli neanche chiesto com'era andata con Jacqueline.
Con quel gesto aveva rovinato tutto. Era stata la prima a contraddire tutto ciò che aveva detto a Jared in precedenza, dimostrandosi ancora più incosciente. D'altronde era sempre stata così. Lei era sempre quella che combinava guai, che trascinava gli altri in situazioni scomode perchè non riusciva a controllarsi. Avrebbe desiderato ardentemente, almeno per una volta, riuscire a prendere quella maledetta decisione giusta che inevitabilmente le sfuggiva in ogni situazione.
Forse i suoi genitori avevano ragione. Non sarebbe mai diventata una persona responsabile, non sarebbe mai cresciuta. Una lacrima le scivolò lungo la guancia, illuminata dal tramonto che ora le sembrava terribilmente soffocante e sinistro.

IS THIS WHO YOU ARE? SOME SWEET VIOLENT URGE


 


 

Jacqueline era felice. Felice.
Si passò la lingua sulle labbra per assaporare meglio quella parola meravigliosa, ma sentì soltanto il calore delle gocce d'acqua che le scivolavano sul viso. Nemmeno sotto la doccia riusciva a stare ferma.
C'era tanta, troppa felicità nell'aria. O forse era solo lei a sentirsi come a qualche centimetro da terra?
Cercava di concentrarsi sulla saponetta che teneva in mano, si aggrappava saldamente ad essa per rimanere ancorata alla realtà, ma dopo qualche minuto si ritrovava a fissare la vetrata della doccia come se la vedesse per la prima volta, riemergendo dall'oblio delle sue fantasie. Perse per un attimo l'equilibrio e si appoggiò al muro per non cadere.

"Quanta acqua avrò già sprecato?" si chiese, ma sorrideva. Conosceva la causa di quel sorriso.
Cercò di concentrarsi sullo shampoo, l'ultima fatica che avrebbe dovuto affrontare, e qualche minuto dopo spense finalmente il getto d'acqua. Si avvolse in un asciugamano rabbrividendo, e, letteralmente, corse ad asciugarsi i capelli.
Le sembrò di sentire un rumore attraverso il flusso d'aria del phon. Lo spense e riconobbe la suoneria familiare del suo cellulare. Con i capelli ancora gocciolanti saltellò fino in cucina e prese il cellulare abbandonato sul tavolo.
«Pronto?»
«Jacqueline! Hai sentito?!» disse una voce insolitamente stridula.
«Sentito cosa?»
«Ma dove vivi?! Il terremoto!» gridò Eleonore. «Io stavo lavorando a quell'affresco di cui ti ho parlato...ho rischiato di fare un bel volo...non ti dico come hanno tremato le impalcature!»
«Stai bene? Ma come ho fatto a non accorgermi di niente?!» esclamò Jacqueline. Da quello che diceva l'amica doveva essere stata una scossa abbastanza forte...
«Quand'è stato? Poco fa ero sotto la doccia, forse è per quello che non l'ho sentito!»
«Sarà stato...un quarto d'ora fa.» rispose Eleonore, adesso più tranquilla.
Jacqueline ci riflettè su. "Sono proprio nel mondo dei sogni oggi.." il terremoto era avvenuto mentre era sotto la doccia, ma era davvero strano che non avesse sentito tremare il terreno.
«Ah! Ad un certo punto, mentre ero sotto l'acqua, ho perso l'equilibrio! Pensavo fosse dovuto al fatto che..be'..oggi mi sento un po' strana.» disse ridendo.
«Oh, Jackie, sei la solita. E io che mi preoccupo per te!» scherzò Eleonore. «Comunque sono contenta che stai bene. Si torna al lavoro!»
«Di già?» chiese Jacqueline.
«Sì, non dovrebbero esserci altre scosse. E sai quanto mi piacciono gli affreschi!»
«Ah, certo. Buon lavoro piccola restauratrice!» le disse la ragazza.
«Piccola? Io sono una grandissima restauratrice! E tu cerca di scendere dalle nuvole..» ribattè Eleonore, poi riattaccò.
Jacqueline si diresse in camera, si vestì, senza badare ai capelli umidi, e tornò in salotto.
Accese la tv e apprese che, in effetti, un terremoto c'era stato. Era durato poco ma era stato abbastanza intenso.
Le venne da sorridere. Era persa, la notizia della scossa non aveva minimamente incrinato la felicità che provava. "Sei proprio una stupida." si disse sempre sorridendo. Non aveva voglia di seguire il notiziario, quindi spense la tv. Il fatto sarebbe stato raccontato per tutta la giornata, dunque si sarebbe potuta informare più tardi.
Tornò in cucina e notò di aver ricevuto un messaggio. Era arrivato prima della chiamata di Eleonore, ma si era dimenticata di leggerlo.
"Non è proprio giornata.." disse tra sè e sè.
Non conosceva il numero, lesse il messaggio. Era di Shannon. La ragazza si posò il cellulare sulle labbra, trattendendo a stento un sorriso. "Shannon..Shannon, Shannon!" sentiva una vocina entusiasta nella sua testa. Si ricordò di avere 28 anni, prese un respiro e proseguì la lettura.
Il batterista le chiedeva se le andava di passare il pomeriggio con lui, magari per un caffè. Sarebbe passato a prenderla alle quattro.
Jacqueline ora non poteva fare a meno di sorridere. Iniziò a saltellare, assecondando la ragazzina che era in lei. Sentiva le farfalle nello stomaco. Era una cosa stupida, terribilmente stupida, ma non sapeva come sfogare l'agitazione che solo leggere quel nome le aveva provocato.
Ripensò a come si erano conosciuti. La vita era davvero imprevedibile.
Erano successe tante cose, era passata attraverso momenti difficili e momenti di assoluta felicità, e ora le sembrava che ogni cosa stesse finalmente trovando il suo posto per comporre il puzzle della sua vita, finalmente completo dei tantissimi ricordi che l'avevano arricchito e reso meraviglioso. Sapeva che la perfezione è destinata a morire in poco tempo, che prima o poi avrebbe dovuto scalare una nuova e alta montagna, tuttavia decise che voleva godersi quel momento apparentemente senza difetti.
Guardò l'ora. Non avrebbe mai pensato che la sua felicità sarebbe stata interrotta così bruscamente.

THIS NEVER ENDING STORY


 

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Chapter 19

Jared fissava un punto distinto del muro. Una macchia, piccola, rotonda, sarebbe passata inosservata alla maggioranza delle persone. Ma se quella macchia fosse stata l'unica cosa giusta? Se fosse stato il resto del muro ad essere sporco lasciando come unica testimonianza del colore originale quel minuscolo puntino?
A volte desiderava tornare bambino. Quel candore, quella purezza, l'ingenuità. Tutto inghiottito e frantumato dagli anni, talmente crudeli da rubarti anche i ricordi, o per lo meno la maggioranza, lasciandoti poche, minuscole cose a testimonianza del fatto che quel periodo l'hai vissuto davvero, che non è stato solo un sogno particolarmente vivido.
Ma non era sempre così, non per tutti. Alcune persone riuscivano a trascinare con sè nel cammino della vita quelle qualità.
Forse era quella la spiegazione, forse era quello che aveva visto in Jacqueline.
E aveva voluto spezzare l'incantesimo, egoisticamente, senza uno scopo preciso.
Si era chinato a baciare la sua innocenza, mentre un sentimento di tenerezza gli invadeva il petto.
Ma nemmeno lo sconfinato stupore nato in quei grandi occhi verdi gli aveva fatto capire la fragilità che aveva spezzato. Non aveva mai saputo riconoscere a colpo d'occhio i confini da non superare, andare oltre era la sua specialità.
Era ferito dalla sua stessa insensibilità.
Eleonore gliel'aveva sbattuta in faccia senza troppa delicatezza, esattamente quello che gli serviva.
Quella ragazza, il suo carattere impulsivo, lo affascinavano.
Ma era rimasto turbato da quello che era accaduto il giorno prima. Non per il suo gesto, piuttosto per la sofferenza che aveva intravisto nei suoi occhi, che aveva percepito attraverso i suoi rapidi gesti.
A volte aveva quasi la sensazione che fosse assalita da alcuni fantasmi sbucati direttamente dal suo passato, la sua espressione gli ricordava quella di Shannon in quei momenti.
Ma di lei non sapeva niente, non poteva aiutarla in nessun modo e solo Dio sapeva quanto potesse essere intricato il carattere delle persone impulsive.
Nemmeno loro sapevano cosa si nascondeva dietro i loro gesti, mai del tutto irrazionali.
La pazzia non era del tutto irrazionale, ma chi mai si sofferma sulle storie e sul passato delle persone?, si chiese lasciandosi sfuggire un sorriso amaro.
Il più delle volte era una fuga dalla realtà, un dolce perdersi in quei sogni ad occhi aperti, la sensazione dell'infinito soltanto chiudendo gli occhi.
Voleva amare, voleva capire quella ragazza, e non gliene importava niente di quanto poco la conoscesse.
Sentì delle scariche elettriche percorrergli le dita, salirgli fino alle spalle.
Chiuse gli occhi, li riaprì velocemente, cominciando a muoversi, camminando per la stanza, fissando alternativamente il pavimento e il soffitto.
"E va bene, hai vinto." disse a sè stesso.
Sarebbe andato da lei.

I'M LOSING CONTROL NOW AND WITHOUT YOU I CAN FINALLY SEE


 


 

Erano le quattro e mezza. Di Shannon non c'era traccia.
Jacqueline strinse il cellulare tra le mani fino a farsi sbiancare le nocche, mentre continuava a fissare quelle maledette cifre che le avevano rovinato la giornata. Cominciò inconsapevolmente a tremare.
Forse Shannon aveva avuto un semplice contrattempo, non era il caso di farsi prendere dal panico. Ma allora perchè cavolo non l'aveva avvertita!?
Una nausea improvvisa assalì la ragazza, che si appoggiò con la schiena al muro più vicino, scivolando lentamente verso terra. Posò il capo sulle ginocchia e iniziò a dondolarsi lievemente avanti e indietro. Non riusciva a frenare i suoi pensieri. Nel momento in cui aveva constatato il ritardo di Shannon aveva iniziato a riflettere sulle ipotesi più assurde e catastrofiche che riusciva a immaginare.
"Stai calma..Stai calma.." continuava a ripetersi, senza successo.
Perchè doveva accadere in quel momento? Si sentiva così bene, prottetta nella sua bolla d'intoccabile felicità. Eppure quella bolla, nonostante fosse spaziosa e flessibile, era oltremodo fragile. Un soffio, e aveva ceduto. Un soffio ed era scoppiata, portando con sè le canzoni che Jacqueline aveva cantato quella mattina, i progetti che aveva fatto, i sorrisi, le parole, le sue fantasie.
E Jacqueline non capiva come tutto ciò fosse potuto accadere. Forse non soltanto la felicità era qualcosa d'irraggiungibile e terribilmente fragile, un sogno di cristallo che, appena immaginato o addirittura toccato, veniva rubato e frantumato, lasciando le persone sole con le schegge affilate tra le dita. Forse erano le persone stesse ad essere fragili. Forse era Jacqueline stessa che, in quel momento, si stava procurando ferite profonde al pari di quelle provocate dai frammenti di cristallo.
Ma non avrebbe dovuto. Non avrebbe voluto.
Come la fenice dalle sue ceneri, Jacqueline decise di alzarsi, svegliarsi, rinascere. Non era mai stata il tipo di persona che si nasconde, cerca di scappare e non affronta le situazioni. Era una persona determinata, decisa, ma che spesso perdeva troppo tempo riflettendo e rimuginando sulle proprie azioni.
Stavolta era necessario agire, immediatamente. Avrebbe desiderato rinchiudersi in una stanzetta buia e dormire finchè qualcuno non l'avesse svegliata, dicendole che era tutto a posto, ma se voleva liberarsi del peso che le gravava sullo stomaco doveva muoversi, accertarsi che il panico fosse dovuto soltanto a uno stupido e infondato brutto presentimento.
Ricacciò indietro le lacrime, prese le chiavi e entrò nella sua auto, gettando il cellulare sul sedile del passeggero. Shannon doveva aver almeno iniziato a dirigersi verso casa sua, dunque la ragazza decise di percorrere la strada che portava da lì fino a casa Leto.
Oltrepassò con il rosso un numero indefinito di semafori. Guardava continuamente fuori dal finestrino, aspettandosi da un momento all'altro di scorgere...qualsiasi cosa. Non sapeva se essere sollevata o preoccupata dal fatto che era già a metà strada e non aveva ottenuto nessun risultato.
Aveva quasi raggiunto la fine del suo percorso quando il cellulare squillò, spezzando quel silenzio teso e spaventando la ragazza.
«Pronto.» disse Jacqueline, con un tono monocorde che rivelava il fatto che fosse ancora concentrata nel cogliere ogni movimento intorno a sè.
«Jacqueline! Immagino che ormai tu ti sia accorta di quanto sono in ritardo. Mi dispiace! Scusa se non ti ho avvertito...ho fatto una piccola deviazione sul percorso e, grazie alla mia solita fortuna, sono rimasto bloccato in una galleria a causa di un crollo..sai..il terremoto..hanno liberato la strada solo adesso! Scusami! Sono davvero, davvero dispiaciuto. Oh, è inutile che mi scusi, sono imperdonabile. Ne farò mai una giusta con te?» Shannon aveva parlato tutto d'un fiato, mentre Jacqueline, sgomenta, cercava di mantenere il controllo dell'auto. Quasi non aveva sentito una parola. Era stata talmente sollevata nel sentire quella voce meravigliosa che insieme alla stretta che le attanagliava lo stomaco sembrava esserse scomparsa ogni sua capacità di ragionare o parlare.
«Shannon...Shannon stai bene!» sussurrò con un filo di voce. Lacrime di sollievo le scivolarono lungo le guance.
«Ma, Jacqueline...cos'hai? Tu stai bene? Perchè sei così preoccupata?»
«No, non sono preoccupata! Non più! Oh, Shannon, stai bene! Stai bene!» disse lei ridendo e piangendo allo stesso tempo.
«Certo che sto bene! Calmati Jacqueline...adesso vengo a prenderti. Dove sei? Stai guidando? Mi sembra di sentire un rumore..»
«Sì! Sì, sto guidando, sono...sono quasi a casa tua...» mormorò la ragazza, guardandosi intorno.
Si accorse che non aveva mai rallentato, talmente era concentrata sulla voce di Shannon, la sua salvezza. Improvvisamente le parve di cogliere un movimento con la coda dell'occhio, un qualcosa che si avvicinava a lei molto velocemente, alla sua sinistra. Non ebbe il tempo di riflettere, fare un respiro, frenare. Ormai aveva imboccato l'incrocio.
Riuscì soltanto ad urlare.

FROM YESTERDAY, THE FEAR


 

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Mi scuso infinitamente per il ritardo della pubblicazione, causa vacanze! Mi dispiace davvero tanto avervi fatto aspettare, ma al mare niente wi-fi purtroppo. Comunque, ecco qui il vostro capitolo, buona lettura.
Chiara

Chapter 20

«Mon Dieu!»
Una nuvola di polvere si levò dall'angolo dell'affresco su cui aveva lavorato tutto il giorno, e a cui si sarebbe dovuta dedicare ancora per parecchio tempo.
Lo adorava.
Tossicchiò, tornando a chinarsi verso il dipinto, aveva di nuovo tutta la sua attenzione.

Quello che le giunse all'orecchio fu un lieve sussurro, che quasi non colse, ma che, quando registrò a chi appartenesse quella voce, sconvolse il suo piccolo mondo immaginario e le fece battere il cuore in un modo talmente violento da vincere facilmente il confronto con la scossa di qualche ora prima.
«Sembra che io debba sempre interromperti.»
Le guance della ragazza presero fuoco.
C'era una nota divertita nel tono di voce del cantante, ma non poteva desiderarla tanto da essersela immaginata, tutta quella dolcezza.
Gli rivolse un debole sorriso, tutto quello che riuscì a fare nello stato quasi semi-cosciente in cui si trovava.
Lui accorse in suo aiuto, non lasciandola lì a cercare qualcosa da dire.
«Tra quanto finisci?»
Eleonore si accorse di aver perso completamente la cognizione del tempo.
«Che ore sono?»
«Manca poco alle cinque.»
Eleonore sgranò gli occhi.
«Tra poco allora», disse.
Cominciò a riordinare, mentre un silenzio che non avrebbe saputo decifrare cadde tra loro.
Non le piaceva, non le piaceva per niente.
«Parla ti prego, di' qualcosa! La prima cosa che ti passa per la testa, qualsiasi cosa.»
Lui rimase zitto, guardandola con un'espressione interrogativa.
«Sono una echelon, completamente dipendente dalla tua voce.» sospirò, piegando appena le labbra in un altro debole sorriso.
Jared rise, sprofondando in un'espressione assorta soltanto un secondo dopo.
«Jung diceva che l'amore è quanto di più vicino alla psicosi ci possa essere. Una cosa totalmente irrazionale, dicevano i romantici.»
Lo disse quasi sopra pensiero, parlando probabilmente solo a se stesso.
Lasciò cadere la frase, mentre cominciò a guardarsi intorno.
«Che bello qui. Ti piace il nuovo lavoro?»
Eleonore lo guardò, esterrefatta sia per la sua considerazione di prima che per il fatto di avere ancora il cuore al verso giusto, vista la capriola che aveva fatto al solo sentire la parola amore pronunciata da quelle labbra.
«Sì, mi piace molto.» Riuscì a mormorare alla fine.
Si sentiva fragile come una bambina di fronte ad un adulto, non aveva nemmeno il coraggio di dare un'occhiata veloce a quegli splendidi occhi.
Lui le si avvicinò, prendendola sotto braccio.
«Non hai impegni vero?»
«N-no»
«Bene! Allora sai che altro diceva Jung?», continuò senza aspettare una sua risposta. «La mia vita è la storia di un'autorealizzazione dell'inconscio.»
Prese fiato, corrugò impercettibilmente la fronte e riprese.
«Non so se sia possibile una cosa del genere, non so se abbia ragione, dopotutto è pur sempre Freud ad essere considerato il padre della psicanalisi. Ma sono convinto che le nostre reazioni impulsive e non ragionate debbano essere per forza frutto delle nostre passate esperienze di vita.»
Eleonore ora lo guardava attenta, aveva capito dove voleva arrivare, ma chiese comunque: «Perchè mi dici queste cose?»
Jared fece un gesto con la mano ad intendere che stava per arrivarci.
«Il punto è: qual è il significato delle tue azioni? A volte sei..sfuggente. E' come se in un primo momento fossi sicura di te stessa e decisa, mentre un attimo dopo venissi travolta da miriadi di insicurezze.»
Eleonore si fermò, costringendo anche lui a fare lo stesso, e lo guardò dritto negli occhi.
«Come fai a leggere dentro alle persone, Jared?»
Lui scrollò le spalle.
«Non si tratta di questo. Ognuno si porta dietro un fardello più o meno pesante e a volte basterebbe soltanto guardare le persone negli occhi.»
Lei si mordicchiò il labbro inferiore, tornando a guardare davanti a sè e riprendendo a camminare.
«Vuoi sapere il perchè di quello che è successo ieri?»
«No. Quello è successo anche perchè non sapevi cosa ho detto a Jacqueline vero?»
La ragazza annuì.
«Le ho detto che ho sbagliato. Che per me era un'amica preziosa e che non volevo perderla per questo mio stupido sbaglio.»
Eleonore trattenne a stento un sorriso.
«Allora..allora forse non ho capito il punto.»
«Te l'ho detto. A volte basta guardare le persone negli occhi e nei tuoi ho visto qualcosa che non riesco a decifrare.» Si interruppe per cercare il suo sguardo e quando lo ebbe catturato continuò.
«Vorresti aiutarmi a capire? Non sei obbligata naturalmente, mi rendo conto di essere soltanto poco più che un estraneo per te.» precisò.
Eleonore si ritrasse da quello sguardo magnetico. Come poteva negarglielo? Non ci sarebbe mai riuscita.
In quel momento il cellulare di Jared vibrò. Lui considerò la possibilità di non rispondere, ma poi lo fece, seguendo uno strano presentimento.
La voce terrorizzata del fratello gli giunse ben chiara all'orecchio, cancellando ogni altra cosa.
«Jared, Jared! Ma si può sapere dove cavolo sei!?»
Era talmente preso dalla conversazione da non aver neppure sentito la vibrazione del blackberry.
«Scusami, non avevo sentito. Ma si può sapere che succede!?»
Il suo tono fece allarmare Eleonore, che riemerse dalle sue riflessioni per rivolgere l'attenzione a lui.
«Un disastro, una tragedia!» Shannon sembrava sull'orlo del pianto.
«Jacqueline..lei ha avuto un incidente! Ed è tutta colpa mia!»
«Shannon calmati! Dove siete? Come sta?»
«Siamo in ospedale, all'UCLA Medical Center. Non mi vogliono dire niente, fottuti medici!»
«Arriviamo subito.»
Chiuse la comunicazione, senza aspettare risposta e si voltò verso la ragazza che lo guardava preoccupata.
La prese per mano, praticamente correndo verso la sua auto.
«Ma Jared che succede?»
Come avrebbe potuto dirle una cosa del genere?

A PHOTOGRAPH OF YOU AND I


 


 

Ogni giorno, nel mondo, accade qualcosa di spiacevole.
Ogni giorno, il dolore e la morte cambiano la vita di una o più persone, sconvolgendo per sempre la loro esistenza. E non è possibile cancellare tutto, non è possibile dimenticare.
Nonostante il mondo continui a girare, nonostante le persone ti passino accanto con indifferenza, dentro di te ogni cosa è ferma, congelata dal dolore.
E forse, inizialmente, riesci a scorgere negli sguardi di chi conosce la tua situazione uno sprazzo di preoccupazione, un poco di dispiacere, che ti viene manifestato con una freddo abbraccio e poi...più niente.

Perchè solo tu puoi capire, solo tu riesci a sentire qualcosa spezzarsi dentro di te e poi fuoriuscire come un grido, un pugno, lacrime.
"Il dolore fa parte della vita." Ci si sente dire spesso. "Ma voi non capite." Pensò Shannon. "Voi, che dite queste cose, non sapete cosa sia il vero dolore. Altrimenti non ne parlereste così facilmente, non ve ne andreste in giro sputando sentenze così, alla leggera." Lui non lo voleva. Non voleva sentire il dolore. Avrebbe voluto soltanto urlare, prendere a calci il muro ogni volta che un'infermiera gli passava davanti lanciando un'occhiata pietosa a quell'uomo seduto, in lacrime.
Forse non avrebbe dovuto biasimare quelle persone. D'altronde neanche lui capiva l'origine del suo pianto. Lui non piangeva. Per tutta la vita si era ripetuto che piangere era inutile: le lacrime non scorrono via insieme ai problemi. Ma in quel momento non poteva fare a meno di lasciarle scendere, non riusciva a fermarle.
Era come se il mondo gli fosse crollato addosso, come se tutto si fosse spezzato improvvisamente e fosse precipitato sulle sue spalle nel momento esatto in cui aveva sentito l'urlo terrorizzato di Jacqueline. E nulla aveva avuto più importanza. Si era sentito, e si sentiva tuttora, completamente svuotato, svogliato, incapace di fare qualunque cosa. Ma percepiva ancora chiaramente quel grido, che sembrava rimbalzare come un'eco nella sua mente vuota.
Quanto avrebbe desiderato suonare. Forse solo grazie alla sua batteria sarebbe riuscito ad alzarsi, ad andare avanti, a smettere di piangere inutilmente. E un aiutino da parte dei medici, che almeno per il momento non sembravano volerlo rendere partecipe della situazione, sarebbe stato sicuramente apprezzato.
Sollevò la testa dalle mani, dove l'aveva tenuta fino a quel momento, e si guardò in torno. Nei corridoi affollati non c'era traccia del fratello. Sperava arrivasse in fretta, sentiva il bisogno di uno dei suoi consigli; il senso di colpa lo attanagliava e inoltre non aveva la minima idea di come ingannare la frustrante attesa.
Odiava quell'odore pungente di disinfettante. Odiava le espressioni sofferenti sul viso delle persone. Odiava gli ospedali. Gli ricordavano un episodio che non voleva riportare a galla, nonostante avesse ormai imparato a gestire le emozioni contrastanti che provocava dentro di lui.
«Scusi..Scusi!»
Shannon sentì una mano sulla sua spalla, il cui tocco lo riportò al presente.
«Lei è qui per quella ragazza?» disse l'infermiera, indicando con un cenno della testa il lato destro del corridoio.
«Eh..Sì, sì..Jacqueline...» rispose Shannon, trepidante. Finalmente qualcuno si era deciso a informarlo. Voleva sapere qualcosa, qualsiasi cosa. Tutto sarebbe stato meglio di quel silenzio teso.
«Ah. Jacqueline. Che bel nome. Allora, Jacqueline sembrerebbe stabile...»
"Sembrerebbe? Sembrerebbe?!" Shannon sentiva montare la rabbia dentro di sè. Tutto quel tempo passato in bilico soltanto per un "sembrerebbe stabile"?! Lui voleva che Jacqueline stesse bene. Voleva che gli dicessero che si sarebbe ripresa, che non ci sarebbero state conseguenze e che avrebbe potuto tornare a vedere il suo sorriso, luminoso e felice come lo era stato quel giorno in libreria.
«Ha perso molto sangue, ma fortunatamente siamo riusciti a fermare l'emorragia e abbiamo già effettuato la trasfusione.» Proseguì l'infermiera, cercando di sorridere.
Forse notando l'espressione fredda e distante di Shannon, aggiunse: «Se vuole parlare con i medici che l'hanno operata...Loro potrebbero chiarirle meglio la situazione...»
Shannon, apatico, non aprì bocca e si lasciò guidare dall'infermiera. Non gli interessavano le spiegazioni. Voleva vedere Jacqueline, e basta. La donna lo portò di fronte a due uomini in camice bianco che immediatamente cominciarono a sciorinare paroloni incomprensibili, cercando nel frattempo di rassicurarlo, ma che non facevano altro che aumentare la sua confusione e la sua rabbia.
Ad un tratto, Shannon esplose. Le parole dei medici gli scivolavano come aria fredda sulla pelle, erano soltanto irritanti e certamente non lo fecero sentire meglio. Il senso di colpa continuava a sovrastarlo e decise che per alleviarlo c'era soltanto una cosa da fare, cioè accertarsi di persona che Jacqueline stesse bene.
Lasciando i medici, ancora impegnati nel loro monologo, completamente di stucco, Shannon si ridestò improvvisamente dall'immobilità che aveva mantenuto fino a quel momento e li spinse violentemente di lato, poichè sbarravano l'entrata della stanza di Jacqueline.
Ancora pochi metri e avrebbe potuto vederla. Una mano gli afferrò saldamente il braccio destro e un viso conosciuto gli si piazzò davanti proprio in quel momento. "Eleonore" si disse Shannon, sorpreso dall'inaspettata presenza della ragazza. Si accorse che piangeva, e per questo smise di opporre resistenza alla stretta delle mani che, ora l'aveva capito, appartenevano a Jared.
Sentì le voci concitate dei medici e dell'infermiera dietro di lui, che percepiva solo come un brusio lontano. Il suo sguardo era fisso in quello di Eleonore, che sembrava altrettanto disperato.
Così si rese conto di non essere completamente solo.
Senza neanche sapere come, ricominciò a piangere. Si sentiva terribilmente stupido, ma Eleonore lo abbracciò, seguita da Jared, che fino a qual momento non aveva osato interferire nella comunicazione silenziosa tra i due.
"Forse è così che ci si sente, forse è questo essere a casa." Pensò Shannon, mentre ascoltava il suo cuore che batteva all'unisono con quelli di Jared e Eleonore. Ma sapeva che in quella casa mancava il battito più importante.

ONE DAY IT'LL ALL JUST END

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


 

Chapter 21

Sottili lame di luce filtravano attraverso le persiane tese davanti alla grande finestra alla sua destra.
Il silenzio non era quello solito del primo mattino, dolce e carezzevole, era un silenzio carico di sofferenze.
Leggermente spaesata si accorse di essere in una stanza d'ospedale, per questo doveva aver pensato quella cosa sul silenzio, inconsciamente.
Ricominciò a guardarsi attorno, e il suo sguardo cadde su una poltrona su cui una ragazza sonnecchiava, accucciata.
Profonde occhiaie le solcavano il viso, rivelando un suo precedente pianto.
La sua bellezza candida sembrava ravvivare un poco quella stanza immersa nel torpore.
Cercò di sollevarsi, ma una lancinante fitta al fianco sinistro non glielo permise, facendola ricadere senza fiato sul morbido materasso.
Richiuse gli occhi, tentando di afferrare i ricordi, ma ad invaderle la mente fu soltanto la voce di un uomo che ripeteva in continuazione il suo nome, in un climax crescente di sorpresa, preoccupazione, terrore.
Girò la testa verso sinistra, dove si aspettava di trovare il comodino. Aveva sete.
Ma fu immediatamente distratta dalla sua riceca di una bottiglietta d'acqua.
Sul bordo era stata posata una busta, su cui lampeggiava un "Per Jacqueline".
Allungò imediatamente la mano, come al solito spinta dalla più viva curiosità.
La lettera era composta da un solo foglio.
Cominciò a leggere con avidità, bevendosi le parole una ad una.
"Cara Jacqueline,
ho lasciato questa lettera nella speranza che tu domani mattina ti sia svegliata.
è una gesto quasi scaramantico e io di solito non lo sono per niente, ma voglio tentare comunque.
Mio fratello mi ha convinto a ritornare a casa, nonostante le mie proteste, ed è rimasta lì con te solo Eleonore.
Non ci so proprio fare con le parole ragazza mia, sono già bloccato! Ma d'altronde lo sappiamo tutti che il poeta maledetto della famiglia è Jared.
Ci hai fatto prendere un bello spavento, e ti assicuro che non mi sentirò mai abbastanza in colpa per quello che è successo. E pensare che eri tu a preoccuparti per me. Lo vedi che succede a essere troppo buoni?
I medici ci hanno assicurato che starai bene, hai corso un bel rischio e non te lo nasconderemo, ma è andato tutto bene alla fine.
E' andato tutto bene.
Non mi sembra nemmeno vero di poterlo dire.
Ma sentimi! Sono qui a lamentarmi, quando sei stata tu a subire tutto.
Basta, la finirò qui, odio cadere nelle frasi fatte.
Anche fossero le tre di notte, ti prego chiamami quando avrai finito di leggere questa "lettera"! Sono terribilmente in ansia, di dormire quindi non se ne parla nemmeno.
Ti voglio un bene tremendo stellina!
E ti rivoglio qui, fuori da tutto quel maledetto bianco, che fra le altre cose ha un terribile odore di disinfettante.

Shannon."

Shannon, semplicemente Shannon.
Jacqueline rimase a fissare il vuoto, completamente persa in sogni che non riusciva nemmeno ad afferrare.
Perchè quelle poche righe avevano mandato il suo cuore a perdersi in lunghi e tortuosi sentieri da cui sarebbe stato assolutamente incapace di ritornare?
Perchè si sentiva così...leggera?
Si riscosse, impedendosi di indugiare oltre in quei pensieri.
Guardò l'ora.
6.42
Shannon aveva detto di chiamare ma..non sarebbe stata in grado di reggere quella conversazione, non adesso, non senza aver prima parlato con la sua migliore amica.
Il loro legame era così rassicurante, familiare, costantemente presente nella sua vita, tanto da non riuscire ad immaginarsela senza la presenza di Eleonore. Erano state lontane, questo sì, ma con la consapevolezza di esserci l'una per l'altra, in qualsiasi momento.
Quasi evocata dai suoi pensieri, Eleonore aprì gli occhi in quello stesso istante.
Il suo sguardo andò subito a cercare l'amica, quasi non si fosse mai addormentata.
Appena la vide sveglia scattò in piedi, trattenendosi a stento dall'urlare il suo nome e dall'abbracciarla.
Si catapultò vicino a lei, inginocchiandosi accanto al letto.
«Jackie, sei sveglia..sei sveglia!» ripetè con voce quasi incredula.
Jacqueline vide i suoi occhi lucidi, sentendo anche i suoi riempirsi di lacrime, e non potè fare a meno di pensare che quello era meglio, molto meglio, diqualsiasi legame fraterno avesse potuto avere.

BROTHERS AND SISTERS, TIME TO GO TO WAR!


 


 

Shannon osservó i lineamenti delicati di Jacqueline, la linea delle sopracciglia arcuate, le lunghe ciglia scure sulle palpebre chiuse, le labbra sottili e pallide. Il rosso del taglio che le percorreva la guancia contrastava fortemente con la bianca purezza del viso e allo stesso tempo le dava un'aria più viva, come a testimoniare che del sangue scorreva ancora dentro di lei. Shannon non avrebbe voluto compiacersene, ma quel taglio era l'unica cosa che riuscisse a tenere lontane le sue paure più profonde, poiché il respiro della ragazza addormentata era quasi impercettibile. Allo stesso tempo la ferita risvegliava il suo senso di colpa per un attimo assopito, ma quello era niente in confronto alla gioia che gli dava vedere la ragazza lì, viva, che dormiva serena.
Eleonore gli aveva comunicato che Jacqueline si era finalmente svegliata e lui non aveva potuto fare a meno di recarsi in ospedale il prima possibile. Voleva rivedere i suoi occhi, il suo sorriso. E voleva chiederle scusa.
Un sussurro assonnato lo distraette dai suoi pensieri.
«Ciao, Jacqueline.» Rispose alla ragazza, sorridendo nel vederla stiracchiarsi come una bambina. Stava pensando a cosa dirle ma lei lo precedette: «Ho letto la tua lettera.» disse tutto d'un fiato, e finalmente le sue guance presero un po' di colore. «Mi dispiace non averti chiamato ma..sai..ero molto stanca.» Proseguì, distogliendo lo sguardo.

Shannon riuscì a leggere un certo imbarazzo nei suoi occhi ed era chiaro come il sole che la ragazza stava mentendo. Probabilmente non l'aveva chiamato per non riportare a galla i dolorosi ricordi dell'incidente; non avrebbe neanche dovuto chiederglielo.
«Era stupida, lo so. La lettera intendo.» Disse Shannon sorridendo amaramente, mentre si sedeva sulla sedia accanto al letto. «Non era stupida. Era bella. È stato bello svegliarsi e leggere che qualcuno si preoccupa per me, oltre ad Eleonore. È stato come averti vicino..anche se non c'eri.» Mormoró Jacqueline arrossendo sempre di più. Shannon si avvicinó a lei e le carezzó una guancia, senza neanche rendersene conto. Lei rise e il cuore del batterista sembró fermarsi per un attimo a contemplare la stupenda melodia insieme alla sua anima, il suo corpo, tutto se stesso. E poi il sorriso scomparve, tutto crolló di nuovo, non ebbe più alcuna certezza e avrebbe voluto abbracciarla, proteggerla sempre e dirle che niente avrebbe più potuto ferirla, ma non lo fece. Perché qualcosa lo frenó giusto in tempo, perché sapeva che così avrebbe potuto sconvolgerla più di quanto non fosse già, perché sarebbe scappata, e l'avrebbe seguita, dovunque. Ma questo lei non lo sapeva. E non l'avrebbe saputo in quel momento.

Jacqueline poggió la sua mano su quella di Shannon e rialzó gli occhi, il cui sguardo si era allontanato insieme al suo sorriso. Shannon rimase così, la mano che sfiorava la morbida guancia di Jacqueline, attento a mantenere le distanze dal taglio per non farle male.
«Jacqueline, tesoro! Come stai?!» Urló vicky oltrepassando la soglia della stanza, seguita da Jared, Tomo ed Eleonore, la quale teneva in mano un caffè fumante.
Shannon si affrettó ad allontanarsi da Jacqueline, non senza notare la scintilla di malizia comparsa negli occhi del fratello. Gli altri sembrarono non fare caso a lui, tutti gli occhi puntati sulla ragazza nel letto. Lei sorrideva, un po' disorientata dalla confusione che si era creata all'arrivo degli amici.
Shannon si guardó intorno, confuso allo stesso modo. Dopo che Vicky si era calmata e aveva finito di seppellire Jacqueline con le sue domande preoccupate era stato il turno di Jared e Tomo, che ora le stavano raccontando un qualche aneddoto divertente sulle paranoie di Vicky, la quale li prendeva in giro a sua volta. Eleonore se ne stava silenziosa ad osservarli, lo sguardo perso nel vapore del caffè che beveva a piccoli sorsi.

Jacqueline rideva alle battute dei ragazzi ma sembrava distratta. Shannon si avvicinó alla porta. Aveva avuto modo di parlare con la ragazza e ora era giusto lasciare spazio anche agli altri. In fondo se avesse voluto dirle qualcosa non ne avrebbe avuto modo, vista l'allegra confusione che era appena entrata nella stanza.
Era ormai fuori dalla porta ma si voltó per un secondo, appoggiando una spalla allo stipite. Lo sguardo di Jacqueline era puntato su di lui. Shannon sentiva le chiacchiere indistinte di Jared e Tomo, ma ogni cosa sembrava essersi attutita, soffocata dalla luce magnetica degli occhi verdi. Le labbra di Jacqueline si incurvarono in un piccolissimo sorriso. Non stava più ascoltando. La profondità di quegli occhi nocciola le impediva di distogliere lo sguardo.
Shannon si staccó dalla porta e si diresse verso il letto, scostó le persone che vi stavano accanto e posó le sue labbra su quelle di Jacqueline. Poi se ne andó, seguito da una profonda calma, per lui tutt'altro che silenziosa.

A SILENT SONG THAT'S IN YOUR WORDS


 

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


 

Chapter 22

Lo sbigottimento di tutti era palese sui loro volti ma nessuno, nessuno, avrebbe dovuto essere più stupito di lei, che, invece, sembrava la più tranquilla.
Sì certo, il cuore le batteva a mille, ma sembrava che le volesse scoppiare più per l'impossibilità di contenere emozioni contranstanti, che per la meraviglia. In qualche modo tutto era stato anticipato dai suoi occhi. La scena per lei si era svolta al rallentatore, con una lucidità improbabile.
Aveva voglia di ringraziarlo e di dargli uno schiaffo allo stesso tempo. Ora se ne era andato, lasciando a lei delle spiegazioni che non poteva assolutamente dare, vista la loro inesistenza.
I suoi occhi si posarono su Eleonore, che ora la guardava con un sorriso, chiaramente la meno sconvolta di tutti.
Le inviò con lo sguardo una muta preghiera, che l'amica colse immediatamente.
Si alzò e stava per dire qualcosa quando Jared la precedette.
«Vi dispiace se faccio due chiacchiere con Jacqueline?»
«No no; tranquillo. Andiamo al bar a prenderci un caffè?» Tomo era stato provvidenziale, come al solito pronto a cogliere anche le parole non dette.
Uscirono tutti e tre dalla stanza, salutando affettuosamente la ragazza, che ricambiò stranita.
Il cantante si sedette sul bordo del letto, sorridendole. Jacqueline non provò nemmeno ad avviare il discorso, aspettando che fosse lui a parlare per primo.
Jared guardò per un attimo fuori dalla finestra, poi tornò a soffermarsi su di lei.
«Sei innamorata vero?» chiese con tono candido, troppo innocente per non essere studiato, vista la domanda.
Jacqueline lo fissò, cercando di capire dove volesse arrivare e anche di trovare una risposta.
Alla fine sospirò, rassegnata al fatto che con la sua risposta non avrebbe soddisfatto nemmeno sè stessa.
«Non lo so. Non sono brava a dare un nome ai sentimenti. So che con lui sto bene, mi rende felice.»
Sentiva le guance bruciarle, consapevole che non potevano essere restate rosee dopo un discorso del genere.
Lui rimase per un attimo silenzioso. Jacqueline avrebbe voluto poter decrifrare i pensieri che attraversavano quegli occhi chiari, mentre sentiva l'ansia aumentare di grado man mano che prendeva consapevolezza di quello che era successo poco prima.
«Credo che ora tu debba solo ammetterlo a te stessa.»
Non si aspettava che Jared dicesse una cosa del genere. Gli rivolse uno sguardo stupito, che lo fece ridere, in quel suo modo particolare, inclinando leggermente la testa all'indietro e aprendo la bocca in un'espressione magnifica.

Restarono così, scherzando, fingendo di sapere meno di quello che in realtà era ormai chiaro a entrambi, perchè a volte le cose non hanno bisogno di raggiungere lo stadio di parole per essere comprese e perchè altre volte splendide sensazioni sarebbero sciupate dall'incapacità di essere spiegate con esse.

TRY TO LET GO OF THE TRUTH


 


 

Eleonore si era fermata a metà del corridoio, lasciando che Tomo e gli altri si dirigessero verso il bar, inconsapevoli della sua assenza. Era inspiegabilmente tornata indietro e aveva posato la schiena sul muro accanto alla porta aperta della stanza di Jacqueline.
Non era da lei origliare e in ogni caso sapeva che l'amica le avrebbe raccontato i dettagli della chiacchierata, più tardi. Si sentiva come un automa, che agiva inconsciamente, mosso da meccanismi sconosciuti. Il suo cervello era assopito, aveva visto le sue gambe iniziare a camminare, distanti da lei, fuori controllo. Si sentiva lontana dal suo corpo, da Eleonore. Non sapeva dove fosse in quel momento. Ma l'Eleonore poggiata al muro con espressione assente era perfettamente consapevole di ció che Jared aveva appena chiesto a Jacqueline. E la risposta dell'amica portó un pó di vita sul suo viso. Fu come un'esplosione dentro di lei, una strana pressione che da qualche giorno aspettava di trovare sfogo ed ora era scoppiata improvvisamente, travolgendo Eleonore con tutta la sua forza schiacciante. La ragazza posó la fronte sul muro freddo e ruvido, cercando un po' di conforto, e invece le lacrime iniziarono a scorrerle sulle guance. Era agitata, tranquilla, serena e triste allo stesso tempo, in preda a una muta e confusa battaglia che era rimasta a lungo intrappolata tra mille catene e lucchetti, di cui ora Elonore aveva perso le chiavi.

Continuava a piangere. Il problema era che nemmeno lei era in grado di dare nomi ai suoi sentimenti, soprattutto perchè erano talmente tanti da immobilizzarla e renderla incapace di qualunque cosa. Certe volte si chiedeva il perchè della complessità del suo carattere e pensava che, visto che non era in grado di capire se stessa, sarebbe stato meno doloroso essere una di quelle persone un po' superficiali che non danno peso alle sensazioni più profonde e vivono la loro vita senza riflettere sui loro sentimenti e su quelli degli altri. Sarebbe stato tutto più semplice. Ma era così, e le persone non cambiano. Doveva fare i conti ogni giorno con il suo stupido cuore. Piano piano riprese a respirare normalmente e riuscì a staccare la testa dalla parete. Posó furtivamente la guancia destra a uno stipite e sbirció nella stanza per accertarsi che nessuno si fosse accorto di lei. Il sorriso splendido di Jared le fece ancora più male. Ma almeno capì qual era l'origine dei suoi tormenti.
Perché non riusciva a mettere ordine nella sua testa? Perché non riusciva a zittire quei pensieri terribilmente rumorosi da assordarla e non lasciarsi comprendere? L'unica cosa che le era finalmente chiara era che il centro di quell'uragano era Jared. Tutto ció che le aveva detto prima che giungessero in ospedale, tutti i suoi sguardi silenziosi e impenetrabili, i suoi sorrisi. Non avevano fatto altro che accrescere quella fastidiosa pressione che non riusciva a chiamare per nome. In quel momento si rese conto che non era affatto una persona libera, come tanto avrebbe desiderato essere. Era schiava dei suoi sentimenti e non era in grado di governarli, di lasciarsi andare ad essi e finalmente capire cosa provocava quell'inguaribile stretta allo stomaco.
Guardó di nuovo all'interno della stanza, ora silenziosa. Jared guardava un punto indefinito fuori dalla finestra, Jacqueline teneva gli occhi chiusi, ma non sembrava dormisse, semplicemente pareva felice e serena.
Cogliendola completamente di sorpresa Jared si voltó e la vide. Lei rimase immobile. Era stata colta in flagrante mentre li spiava e ora avrebbe dovuto vergognarsi da morire, ma i sentimenti che la colpirono attraverso quello sguardo celeste, attutendo leggermente la sua confusione, furono completamente diversi. Stava di nuovo piangendo, ma allo stesso tempo inizió a ridere. Mi sto rendendo ridicola, si disse, ma non smise di sorridere e non cercó di fermare le lacrime. Perchè finalmente, anche se non poteva dire di averne la certezza, era libera.

CAN YOU IMAGINE A TIME WHEN THE TRUTH RAN FREE?




 




Nda. Cari lettori, vi informo che il prossimo è l'ultimo capitolo, poi ci sarà un epilogo e..fine. *si asciuga le lacrime* Quindi..be', un bel po' di recensioni mi farebbero tanto tanto piacere T.T
Spero che finora la fanfic sia stata di vostro gradimento :)
Alla prossima, Chiara! *continua a piangere*

 

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


 

CHAPTER 23

«Perchè Shannon?»
«Perchè...perchè c'era il fuoco, tanti falò sparsi, disposti a formare un disegno a me incomprensibile. La sera era calata poco a poco, trascinando nel baratro anche me, oltre che alla luce del giorno, risucchiato. Perchè avevano dei mantelli. Mantelli scuri, che ricadevano flessuosi fino ai piedi, quasi una carezza alla terra, costretta ad ospitare quei corpi. Contenitori di tanta malata cattiveria. Perchè avevo dodici anni, il mondo era mio fino a pochi, eterni attimi prima. Avevo paura, terrore pure, potevo sentirne persino l'odore. Per me il terrore ha l'odore del legno bruciato. In bocca il sapore del cioccolato era nauseante. Quel posto era tutto, ma...ma non dolce. Lo sentivo premere in gola per uscire, così lo assecondai. Mi chinai e vomitai. Qualcuno se ne accorse e mi rifilò un calcio nello stinco, mentre un'esclamazione soffocata di fastidio raggiunse il mio orecchio destro. Avevo sete e lo dissi ad alta voce. Sentivo il bisogno di purificarmi, era terrificante, sì, ma..anche solenne. Percepivo il legno del tronco dietro la schiena, tutte le scanalature, le imperfezioni rese note solo al tatto. Ero legato, la corda mi aveva sfregiato leggermente il polso, provocandomi un dolore pulsante. Nessuno mi ascoltò, ma la cosa non mi stupì affatto. Che cosa? Che cosa mi avrebbero fatto? Perchè mi aveva portato lì? Non ho la minima idea del tempo che passò, forse un'ora, forse due, forse soltanto qualche minuto. Ad un tratto mi accorsi che qualcuno mi stava bendando, poi mi aprirono la bocca a forza e mi costrinsero a bere un liquido quasi insapore, se non per una punta amara e acre, ma sopportabile. Percepii un gran fermento intorno a me. Improvvisamente...quella voce. La riconobbi all'istante. Mi figurai la persona a cui apparteneva, avvolta in uno di quei lunghi mantelli. Quando l'avevo vista, prima che mi trascinasse lì, mi era parsa una signora ingenua, a cui tirare uno dei nostri soliti scherzi. Capii solo poche parole, ero sempre più stordito, mi avevano drogato. Da lì in poi non ricordo più niente, fino a quando non mi risvegliai in camera mia il pomeriggio seguente, con il viso di mio fratello a pochi centimetri dal mio, che mi osservava preoccupato e speranzoso. Mi avevano trovato in un boschetto poco distante, seduto vicino ad un albero, con la testa ciondolante e i polsi feriti. Ma quella voce..mi ha perseguitato per così tanto tempo. Si inseriva in tutto, repentinamente. Nei momenti di solitudine, persino in quelli in cui ero circondato di persone. Mi stordiva, mi prosciugava le forze. Ed era..era assolutamente identica alla tua. Quando ti ho sentita..è stato come se tutti gli anni vissuti da quel giorno fossero scomparsi, catapultato in quella sera di quasi trent'anni prima.»
Il volto di Jacqueline non tradì la minima emozione. Seduti ad un tavolino di un anonimo bar appena fuori Los Angeles, rimase assolutamente immobile, lo sguardo fisso sulle mani del batterista, che si torturavano vicendevolmente, posate sul tavolo. Lui aveva tenuto gli occhi chiusi per tutta la durata del racconto. Ringraziò il fatto che non potesse leggerle dentro in quel momento, tutto quello che lui le aveva detto l'aveva toccata più di quanto avrebbe voluto. Si impose un ferreo autocontrollo, osservando il viso sconvolto di Shannon, costretto a rivangare quell'evento traumatico. Non le aveva detto tutto, non ancora. Ma non voleva assolutamente forzarlo. Erano passati due mesi e mezzo dall'incidente e piano piano i pezzi delle loro vite avevano cominciato a
combaciare sempre di più. Ma mancava un pezzo, quello che aleggiava non detto tra loro sin dal primo momento in cui le loro vite si erano scontrate per caso.
Tra miliardi di vite proprio le loro, unite da quel flebile filo. No, a dispetto di tutto quello che poteva dire la gente quello non era destino. Semplice casualità. Sentiva il bisogno di dire qualcosa, ma i secondi passavano senza che nessuna parola adatta spuntasse nel suo cervello ad aiutarla. Prese le mani del batterista tra le sue, che finalmente alzò lo sguardo verso di lei.
«Ti amo Shannon.» sussurrò, stupendo sè stessa per prima.
Quelle tre parole che da tanto ristagnavano nella sua testa...non aveva programmato che sarebbero uscite proprio in quel momento. Vide un lampo di sorpresa attraversare anche gli occhi di lui, ma poi sorrise. Sentì che avrebbe potuto morire per quel sorriso, per quel contatto, trasmetteva così tanto.
La sua anima era evidente in ogni gesto, in ogni parte del suo corpo. Era così..limpido, vero. Si sporse verso di lei, fino a portare le sue labbra vicino all'orecchio di Jacqueline.
«E io, tesoro mio, ti amo molto di più.»
Si ritrasse di qualche centimetro, abbastanza per permetterle di vedere la sua espressione leggermente divertita. Poi..poi la baciò. Lentamente, delicatamente, con amore. Jacqueline si aggrappò a quell'amore con tutte le sue forze, ricambiandolo con tale intensità che temette quasi di consumarsi il cuore. Poi l'incantesimo finì, si spezzò. Lui si staccò da lei, non smettendo però di sorridere. No, non sarebbe finito mai. In quel momento promise a sè stessa che non lo avrebbe permesso mai, mai, fino a consumarsi davvero, a sciogliersi, a vivere in funzione di quell'amore, di quell'uomo che con i suoi occhi nocciola rappresentava ormai per lei il mondo intero, tutte le ragioni che le servivano per continuare a respirare ogni giorno.

EVER IN LOVE WITH YOUR BLOOD, LUST AND NEED?


 


 

Preoccupazione. Tristezza. Incomprensione. Oppressione. Oscurità. Nei caldi tratti della matita sul foglio Elonore percepiva tutto ció andarsene. Era totalmente assuefatta alle linee sciolte e ombrose che piano piano sembravano fuoriuscire dalla morbida mina, dando vita alle sue emozioni più nascoste. Persino il flebile suono che scaturiva dal contatto della punta con la pagina le dava conforto.
Si accorse che stava sorridendo senza volerlo.
Osservó il contrasto tra il grigio e il bianco candido dello sfondo e all'improvviso l'immagine le sembró terribilmente cupa; non era giunta fin lì spontaneamente, come sempre la sua mano l'aveva guidata a quel risultato senza che lei se ne rendesse conto. Ma era soddisfatta. Quel disegno aveva un che di vero, realistico, e interessante. Le ombre marcate sembravano delineare alla perfezione i suoi sentimenti, le sue domande, l'essenza stessa del viso che ritraevano. Quei lineamenti esercitavano un certo magnetismo su Eleonore, che vi scorgeva qualcosa di assolutamente inspiegabile e indescrivibile, qualcosa come fantasia, fascino, perdizione, mistero, fuoco, bellezza, dolcezza, ispirazione...e un sacco di altre parole che aleggiavano indistintamente nella sua testa. Oh, amore forse? Non ne era certa. Quella parola le sembrava ancora troppo grande, troppo importante per essere pronunciata. Ma era felice. Non lo era mai stata tanto. Anche solo avvicinarsi a qualcosa che somigliasse a quella parola, che per lei era sempre stata tanto distante, la riempiva di un'immensa e straripante sensazione di completezza.
«Artista al lavoro? Fa vedere..» Ad un tratto il soggetto del ritratto di Eleonore si era materializzato alle sue spalle, abbracciandola e posando il mento sulla sua spalla per sbriciare sul foglio. La ragazza si affrettó ad abbassare il blocco da disegno per nasconderlo alla vista di Jared.
«Scordatelo! Non è ancora finito..»
«Oh sì invece. Conosco quell'espressione. Osservi i disegni in quel modo solo quando sono completi e soprattutto quando ti piacciono. Il che non fa che aumentare la mia curiosità..» ribattè lui, cercando di rubarle il blocco. Eleonore si liberó repentinamente dalla stretta del cantante. «Ho detto di no!»
«Sai quanto mi piacciono i tuoi disegni..per favore..non posso neanche dare una sbirciatina?» disse lui assumendo l'espressione da cane bastonato meno credibile che Eleonore avesse mai visto. La ragazza scoppió a ridere. «No!» ripetè, ma non riusciva a smettere di sorridere.
«L'ho capito, sai? Ti piace vedermi soffrire. E va bene. Rimarró qui a farmi divorare dalla curiosità. La tua malvagità non ha davvero limiti. Mi chiedo quando finalmente riuscirò a vedere subito uno dei tuoi disegni...»
«Oh, non iniziare, tanto non mi commuovi.» Disse lei. In realtà le sarebbe piaciuto farglielo vedere, ma le sembrava che quel disegno fosse una cosa personale, intima, che racchiudeva Eleonore stessa, e perció preferiva, almeno per il momento, non condividerlo con nessuno.
Si sedette sulla sabbia (ormai la spiaggia era divenuta il suo luogo preferito per disegnare) e Jared si sistemó accanto a lei. Sembrava essersi arreso. Eleonore si ritrovó ad osservarlo. I suoi occhi rispecchiavano il magnifico azzurro dell'oceano primaverile e come nell'acqua alla ragazza pareva di naufragare, ma non aveva paura, anzi. Si sentiva cullata dalle dolci onde di quelle iridi luminose e si perdeva in ogni sfumatura, ogni splendida pagliuzza blu di quello sguardo le cui infinite espressioni ancora la sorprendevano.
Era incredibile il modo in cui la vita era cambiata improvvisamente, sconvolgendo l'equilibrio delle sue convinzioni con l'arrivo di una persona inaspettata e così..diversa. Nessuno aveva mai cercato di comprenderla, di andare oltre la maschera di quella ragazza apparentemente spavalda e in realtà pericolosamente fragile. Ma Jared aveva desiderato capire ogni sfaccettatura della sua anima, e ci era riuscito. Aveva la rara e straordinaria capacità di saper ascoltare ed era una delle cose che Eleonore amava di più in lui. Semplicemente la guardava e i suoi occhi la spingevano a confidarsi, a liberarsi di tutto ció che la opprimeva sapendo di non essere giudicata nè etichettata in alcun modo.
Jared le prese il viso tra le mani e la baciò. La ragazza non era ancora in grado di capacitarsi dell'intensità di quei baci; c'era troppa dolcezza, troppo calore, e i suoi sentimenti la lasciavano leggermente stordita ogni volta.
«Mi dai un foglio?»
«Cosa?» Jared aveva la fronte appoggiata alla sua e con una mano le carezzava il viso; quel contatto inibiva ogni sua capacità di concentrazione.
«Dammi un foglio. Voglio farti un ritratto.» disse lui, allontanandosi un poco.
«Oh..Ok.» Eleonore si affrettó a passargli il blocco da disegno, avendo cura di nascondere la sua opera. Si sentiva leggermente imbarazzata: solitamente era lei a catturare immagini con la sua matita, ad avere il controllo della situazione. Le pareva di essere dalla parte sbagliata del foglio, cosa che la disorientava non poco.
«Cosa devo fare?» chiese timidamente. Improvvisamente la goffaggine sembrava essersi impadronita di lei.
Jared sorrise. «Niente.»
«Ma..»
«Eleonore. Tu sei perfetta per me. Quel tuo sorriso...voglio ricordarlo. Il tuo viso, le tue parole, i tuoi gesti; voglio immortalare persino quella flebile scintilla di tristezza che ogni tanto compare nel tuo sguardo. Perchè è quello che sei..è quello che amo di te. E non devi rimpiangere nessuna di queste cose. Mai. Per questo non devi fare niente. Mi basti tu.»

Stavolta fu Eleonore a baciarlo.

LOOK INTO THE NEW FUTURE'S FACE


 


 

EPILOGO

Il cielo di un azzurro acceso, l'erba profumata di primavera, l'aria accarezza delicatamente le loro pelli, le loro mani intrecciate. I loro occhi, che a prima vista possono parere simili, si cercano, rincorrendosi timidamente, sfuggendo un confronto diretto, quasi timorosi di non trovare quella
scintilla, di non trovare Amore. Il vento prende a soffiare, prima soltanto un sussuro, crescendo a mano a mano di intensità, spandendo essenze fiorite.
La sua pelle non è esattamente come la vorrebbe, così morbida le pare di tenere per mano un angelo bambino, troppo uniforme, non rispecchia le infinite sfaccettature della sua anima. E' quella che vorrebbe prendere per mano, trascinarsi insieme a ella nei sentieri dei sogni. Vorrebbe quasi mettersi a dormire, lì, insieme a lui, i loro cuori vicini, vorrebbe poter condividere con lui i suoi sogni, mostrargli quante possibili variabili del loro amore è in grado di concepire la sua testa. Un amore travolgente, ma pur sempre inafferrabile, sfuggente. Per quanto ancora? Per quanto li avrebbe legati ancora?
Per quanto avrebbe alloggiato nelle loro anime ancora, prima di lasciare soltanto un ricordo indelebile, o forse una cicatrice? Un segno biancastro. E' strano. Si pensa sempre al nero o al viola come colori della morte. E invece le cicatrici sono bianche, così come gli scheletri. E' il bianco il colore della morte. E' il bianco il colore del suo sorriso, la morte di ogni ragionamento logico. L'amore. Che sentimento strano. Spunta dal nulla, prende vita in spazi prima inesistenti, cresce, cresce. Alimentato da tutto, ogni senso è impegnato a tal fine. All'improvviso, il culmine. E poi? Si sarebbe stancato di loro?
Avrebbe intrapreso il cammino inverso con calma, o sarebbe ritornato di botto al punto di partenza? oppure no?
Vive di dubbi perchè ama le splendide illusioni, ma qualcosa dentro di lei non è disposto a crederci, a desistere dal ricordarle che la realtà può essere, o forse è, diversa.
Perchè la morte di un sogno non è per forza la sua realizzazione.
«Siamo l'eccezione, amore mio?».







Nda.
Fine! T.T *prende fazzolettino e si asciuga le lacrime* Okayyy...Spero che il finale vi sia piaciuto (è particolare, lo so, ma a noi piace così ù.ù) e ringrazio nuovamente e un fantastilione di altre volte tutti quelli che hanno messo la storia nelle ricordate, preferite e seguite, e soprattutto le gentilissime persone che hanno sacrificato 5 minuti della loro vita per recensirci!
Grazie, grazie e ancora grazie!

Chiara (ma ovviamente parlo anche per Ila ;))

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