Le cose che perdiamo trovano sempre il modo di tornare da noi, anche se non sempre come noi ce l’aspettiamo.

di Emily Kingston
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Note: sicuramente questa storia non è poi così originale. Il tema dell'amnesia è stato usato e riusato, però spero che a qualcuno possa fare piacere leggerla e seguirla perché penso di poter dire che potrebbe sorprendervi. 
Dico già da subito che i capitoli non saranno molto lunghi e che posterò una volta alla settimana (se ci riesco ogni lunedì). 
Ringrazio chiunque sarà abbastanza coraggioso da andare oltre questa nota e vi lascio in pace :)
A presto, 
Emily. 


 

Questa storia, seppur non molto fantasiosa
nè speciale, è dedicata alla mia migliore amica.
Anche se non le piacciono le cose sdolcinate
come una dedica, io le faccio comunque. 
Ti voglio bene. 

 




Pioveva quando Ron aprì gli occhi.
Le gocce picchiettavano contro i vetri ed era tutto grigio e triste. Anche il volto di sua madre, che gli rivolse un sorriso tirato ed uno sguardo apprensivo dalla sedia accanto al letto.
In un primo momento, Ron si chiese come mai qualcuno aveva ridipinto le pareti della sua cameretta con quella orribile tonalità di verde. Un verde chiaro e un po’ slavato, che puzzava di disinfettante e medicinali.
“Mamma, dove siamo?” domandò, voltandosi verso la madre.
Molly gli sorrise ancora una volta, allungando una mano verso di lui ed accarezzandogli la testa.
“Siamo in ospedale, Ron,” rispose, cercando di non lasciar trasparire la propria ansia. “Come ti senti?”
“Bene,” disse. “Mi sento benissimo.”
Stava quasi per chiederle come mai fossero in ospedale, quando la porta della stanza si aprì ed un uomo alto che indossava un lungo camice bianco, entrò nella stanza.
“Oh, ben svegliato Ron,” disse, guardando il ragazzo con un sorriso. “Ti senti bene?”
Ron sbuffò. Certo che si sentiva bene, perché sarebbe dovuto essere altrimenti?
“Sì, mi sento bene.”
Il Guaritore tirò fuori la bacchetta dalla tasca del camice e, continuando a sorridere, la puntò su Ron, pronunciando un incantesimo a mezza voce. Una pallida luce bianca si distese sul corpo del ragazzo, brillando lievemente.
“Sì,” disse l’uomo, rimettendo la bacchetta in tasca. “Non ha riportato gravi danni fisici, solo qualche bernoccolo in testa.”
Il Guaritore sorrise di nuovo, avvicinandosi al letto di Ron. Tutto quel suo sorridere stava iniziando a dargli seriamente sui nervi.
“Quindi, sta…bene?” domandò Molly.
“Sì, signora Weasley, suo figlio è sano come un pesce.”
Molly sorrise, perdendo un po’ del grigiore in cui l’aveva trovata Ron, e si lasciò sfuggire una lacrima silenziosa. Poi si alzò, strofinandosi il dorso della mano sul viso. “Vado ad avvertire gli altri, erano tutti così preoccupati.”
La porta sbatté appena quando Molly se la richiuse alle spalle, sparendo nel corridoio.
“Allora Ron, sai dirmi cosa ricordi del tuo incidente?”
Ron inarcò le sopracciglia, guardando il Guaritore con curiosità.
“Ho avuto un incidente?”
Gli occhi dell’uomo si oscurarono per un secondo.
“Non ricordi l’incidente?” Ron scosse il capo. “Be’, non è niente di grave. Potrebbe trattarsi di un piccolo shock post-traumatico, qualcosa che si risolverà in qualche ora.”
Ron annuì. “Va bene.”
“Facciamo così,” propose il Guaritore. “Cosa ricordi, Ron?”
“In che senso?”
“Parlami di tutto ciò che ricordi. Qualunque cosa.”
“Qualunque cosa.”
Chiuse gli occhi per un secondo prima di puntarli in quelli scuri del Guaritore.
Ricordava di essere stato a Diagon Alley con sua madre, il pomeriggio precedente. Avevano comprato alcuni libri per i suoi fratelli e poi lei gli aveva permesso di fare un giro da Mondomago. In realtà, aveva anche fatto una scappatella ad Articoli per il Quidditch per guardare la nuova Nimbus 2000, quando lei era in fila per pagare i libri. 
Poi erano tornati a casa e sua madre aveva fatto una torta di mirtilli. Una di quelle alte, con tanto yogurt e la frutta sopra a mo’ di decorazione.
Il resto del pomeriggio l’aveva passato a giocare con sua sorella Ginny, aveva anche provato ad insegnarle a giocare a scacchi, ma lei non sembrava averne molta voglia perciò era stato tutto inutile.
A cena suo padre aveva parlato un po’ di lavoro, Percy si era vantato come al solito di essere stato nominato Prefetto mentre i gemelli si erano divertiti a lanciare molliche di pane nel suo piatto, rendendo immangiabile il passato di zucca.
Il momento più bello della giornata, però, era stato quando suo padre si era intrufolato nella sua cameretta, gli aveva rimboccato le coperte e poi gli aveva sussurrato all’orecchio che, il giorno seguente, sua madre l’avrebbe accompagnato a Diagon Alley per prendere una divisa per Hogwarts. La sua divisa per Hogwarts.
“Capisce?!” esclamò, emozionato. “Tra poco andrò ad Hogwarts anch’io e quei rompiscatole di Fred e George smetteranno finalmente di prendermi in giro.”
Il Guaritore guardò Ron con le sopracciglia inarcate. Non sorrideva più.
“Non ricordi altro?”
Ron alzò gli occhi al cielo, arricciando il naso.
“Be’, sì,” disse. “Ricordo quando papà ci ha portato per la prima volta al laghetto tra le colline. O quando abbiamo fatto la nostra prima vacanza alla babbana. O anche il giorno del mio terzo compleanno, quando i miei genitori mi hanno regalato Teddy. Insomma, ricordo un sacco di cose. Ricordo tutta la mia vita.”
Il Medimago guardò Ron con aria apprensiva. La porta alle sue spalle si aprì e Molly fece irruzione nella stanza, insieme a suo padre e i suoi fratelli. Con loro c’erano anche altri due ragazzi che Ron non ricordava di avere mai visto. Uno di loro aveva dei disordinati capelli neri ed un paio di brillanti occhi verdi celati dalla montatura rotonda degli occhiali. Sembrava estremamente stanco ed affaticato ed aveva una strana cicatrice sulla fronte, semicelata dalla frangia.
L’altra, invece, aveva degli indisponenti capelli ricci, marroni come gli occhi. Il naso era piccolo e delicato ed anche lei sembrava estremamente stanca.
“Allora, dottore, Ron quando potrà tornare a casa?”
Il Guaritore si voltò, guardando Molly e i Weasley con aria grave.
“È successo qualcosa?” intervenne Arthur, allarmato dall’espressione del medico.
Il Guaritore sospirò, passandosi una mano dai capelli.
“Purtroppo vostro figlio ha riportato una lieve forma di amnesia, probabilmente causata dall’incidente.”
“A-amnesia?” Molly si portò una mano alle labbra.
“Non ricorda niente di ciò che è successo dopo i suoi undici anni.”
Alle spalle dei coniugi Weasley, i ragazzi sussultarono, guardando automaticamente verso Ron.
I due ragazzi sconosciuti lo fissavano con aria spaventata.
“Ehi, io sono Ron, ci conosciamo per caso?”



Ps. So che Molly avrebbe iniziato ad urlare di gioia al risveglio di Ron, ma ho immaginato che dopo aver perso Fred la sua esuberanza, in un primo periodo, sia stata sostituita dalla paura che potesse succedere qualcosa anche ai suoi altri figli. 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


 
La sua stanza non era cambiata di una virgola.
Stessi poster attaccati alle pareti, stessi giocatori che ammiccavano verso chiunque entrasse, stesso soffitto che s’inclinava nei pressi della finestra, stessa coperta arancio fatta da sua madre.
Le uniche cose diverse erano: la mancanza del letto di sua sorella e la presenza di alcune foto alle pareti che lui proprio non ricordava di avere scattato.
Erano foto che lo ritraevano insieme ai due ragazzi sconosciuti che erano venuti a trovarlo in ospedale. Harry Potter ed Hermione Granger.
Quando sua madre gli aveva spiegato di essere il migliore amico di Harry Potter, quasi gli era venuto un colpo. Avrebbe voluto sapere com’era successo, chiedere ad Harry perché aveva scelto proprio uno come lui, ma erano domande che non era ancora il momento di fare. Risposte che non era ancora arrivato il momento di dare.
In alcune foto era ritratta anche sua sorella, perlopiù abbracciata ad Harry o con le spalle avvolte dal braccio di Hermione.
Era bello sapere che aveva avuto degli amici così, che era stato davvero felice.
Peccato non ricordarlo, sarebbe stato ancora più bello.
Qualcuno bussò alla porta, ed il volto lentigginoso di Ginny fece capolino nella stanza.
“Posso?”
Ron annuì. “Entra pure.”
Ginny si richiuse la porta scricchiolante alle spalle e si sedette sul letto, vicino al fratello.
“Come stai?”
Ron sospirò, passandosi una mano tra i capelli.
“Proprio non sapete farmi altre domande?”
“Scusa, hai ragione.”
“Non importa.”
Rimasero in silenzio per un po’, ad ascoltare i bassi fischi del vento e lo scricchiolare delle assi del pavimento, prodotto dal continuo via-vai che animava la Tana.
“Credi che mi ricorderò mai di loro?” domandò Ron, all’improvviso. “Voglio dire, di ciò che abbiamo fatto insieme. Pensi che mi ricorderò di com’era?”
Ginny si morse un labbro, guardando fuori dalla finestra. Le foglie cadute dal grande ciliegio nel giardino, macchiettavano il prato verde con tante chiazze gialle e marroncine.
“Io credo di sì,” rispose, dopo un po’. “E se anche non ci riuscissi, puoi sempre ricominciare da capo.”
“Ricominciare da capo?”
Ginny annuì. “Sì. Fare finta che tutti questi anni non siano mai passati e conoscerli di nuovo. Rivivere la vostra amicizia e tutto il resto. “
Ron non rispose, si limitò a spostare lo sguardo su una delle foto appese alla parete che ritraeva lui, Harry ed Hermione sotto all’albero nel giardino della Tana. Erano tutti e tre profondamente addormentati. Harry era appoggiato alla spalla di Hermione, mentre lui teneva la testa sul grembo della ragazza, la quale aveva ancora una mano impigliata tra i suoi capelli.
Sulle gambe di Hermione giaceva un libro aperto, mentre accanto alle sue e a quelle di Harry c’erano due piccoli tomi chiusi.
Sì, forse avrebbe potuto ricominciare da capo.
 
Hermione richiuse l’album di fotografie e lo ripose nel cassetto del comò.
Ron si era dimenticato tutto. Si era dimenticato di lei.
Un lieve pop risuonò nell’appartamento, rimbalzando sulle pareti.
“Hermione? Sei in casa?”
Con un sospiro, la ragazza si alzò dal letto, dirigendosi verso l’ingresso, dove Harry stava appendendo il cappotto all’attaccapanni.
“Ciao.”
Harry spostò lo sguardo su Hermione, abbozzando un sorriso.
“Ciao. Come stai?”
“Tu come stai?”
Harry sospirò, spostandosi in salotto ed accomodandosi sul divano. Hermione si sistemò sulla poltrona, incrociando le gambe sul cuscino.
“Sei stata a trovare Ron?”
Hermione abbassò lo sguardo, scuotendo il capo.
Sapeva che era stato molto scorretto da parte sua. Più di una volta si era ritrovata di fronte all’ingresso della Tana, con una mano ferma a mezz’aria, indecisa se bussare o no, ma non aveva mai trovato il coraggio di toccare la porta e si era sempre Smaterializzata prima che chiunque la vedesse.
“Io neanche,” ammise Harry, giocherellando con l’orlo della propria maglietta. “Forse dovremmo andarci. Magari domani, che ne dici?”
“Domani devo studiare,” rispose secca Hermione. Non voleva vederlo. Non poteva vederlo. “E tra poco la McGranitt mi richiamerà a scuola, il permesso non durerà in eterno.”
Harry annuì, ricordando che Hermione frequentava ancora Hogwarts e che le era stato concesso un permesso per allontanarsi dalla scuola a causa dell’incidente di Ron.
“Tu però dovresti andare,” aggiunse. “Gli farà bene vederti, ne sono sicura.”
“Gli farebbe meglio vedere te.”
Hermione spostò lo sguardo fuori dalla finestra alle spalle di Harry. Il ragazzo sospirò e si alzò da divano, dirigendosi verso l’ingresso.
“Meglio che vada,” disse, anche se Hermione non gli prestava grande attenzione. “Tra poche settimane ho un esame e dovrei iniziare a prepararmi.”
Lo stesso pop che aveva annunciato il suo arrivo annunciò anche la sua partenza, ed Hermione rimase da sola nel silenzio del salotto, a contare le gocce di pioggia che avevano iniziato a cadere sui vetri della finestra. 


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Visto come sono stata brava? Dovevo postare Lunedì e invece posto oggi ;)
Okay, a parte tutto, volevo davvero ringraziare chi ha letto il primo capitolo e chi ha messo la storia tra le seguite, grazie davvero. Un grazie anche a sarainsb, Demetra e vale ronron per aver recensito il primo capitolo, spero che questo vi piaccia :3
Grazie di nuovo a tutti e a lunedì, 
Emily. 

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


“Ron, ci sono visite!”
Ron si stropicciò gli occhi, muovendosi tra le coperte del letto.
I tenui raggi del sole illuminavano il pavimento della stanza e parte del letto, riflettendo sulle superfici lisce delle foto appese alle pareti.
Il silenzio fu rotto da una serie di passi che si muovevano sul pavimento, poi dal cigolio di una porta e poi da una voce, lontana ma a tratti familiare.
“Posso entrare?”
Ron spostò lo sguardo sull’uscio, dove Harry lo guardava con aria titubante.
Sedendosi sul materasso, la schiena premuta contro il cuscino, Ron annuì ed Harry avanzò all’interno della stanza, rimanendo in piedi tra il letto e la scrivania.
“Ehm, come ti senti?”
“Bene,” rispose Ron, pensando che ormai, anche se fosse stato male, le sue risposte sarebbero state comunque convincenti. “Non ricordo ancora un accidente, ma sto bene.”
“Oh, be’, sono contento,” balbettò Harry, imbarazzato. “Voglio dire, che stai bene.”
Ron annuì, liberandosi delle coperte ed alzandosi in piedi.
“Senti, non è che ti andrebbe di fare due passi?” propose, sfilandosi la maglietta del pigiama ed afferrando un maglione appoggiato allo schienale della sedia. “Potresti portarmi in qualche posto dove andavamo di solito.”
Harry annuì, osservandolo mentre finiva di vestirsi.
Dopo aver fatto un breve sosta in bagno, Harry e Ron scesero al piano terra.
“Mà, noi usciamo!” urlò Ron in direzione della cucina.
“Tornate per pranzo?” domandò di rimando la signora Weasley.
Ron fece per aprire bocca, ma Harry lo precedette. “Se non le dispiace, signora Weasley, mi piacerebbe portare Ron a pranzare al Paiolo Magico.”
“Oh, non preoccuparti Harry caro, anzi, la trovo un’idea meravigliosa!” trillò la donna dalla cucina. “Divertitevi cari e fate attenzione.”
Ron sbuffò, mimando le parole di sua madre con la bocca, cosa che fece ridacchiare silenziosamente Harry.
Quando finalmente Molly li lasciò liberi di uscire, Ron si voltò verso Harry. “Ma è sempre stata così rompiscatole?”
Harry sorrise. “Oh, no, ultimamente è migliorata.”
I due si guardarono per qualche secondo prima di scoppiare a ridere.
“Allora, ehm, ricordi come si fa a Smaterializzarsi?”
L’espressione sul voltò di Ron bastò ad Harry per capire che non aveva la più pallida idea di cosa stesse parlando.
“Va bene, afferrami il braccio,” Ron obbedì, avvolgendo una mano attorno al braccio di Harry. “Ti avverto, non sarà affatto piacevole.”
“Cosa non sarà affatto piace-”
Ma le parole di Ron si persero in un vortice di corpi e, in un battito di ciglia, i due si ritrovarono nel bel mezzo di una strada affollata, piena di gente che andava avanti e indietro trasportando buste piene di oggetti, gabbie e calderoni.
Quando si staccò dal braccio di Harry, Ron barcollò un po’, tenendosi la pancia con un braccio per reprimere il conato di vomito che gli aveva scombussolato lo stomaco.
“Ma, siamo a Diagon Alley,” osservò, riconoscendo la vetrina di Articoli per il Quidditch che esponeva l’ultimo modello di scopa da corsa. “Ehi, quello laggiù cos’è? Non ricordavo che ci fosse.”
Tendendo il braccio, Ron indicò un imponente negozio arancione che si trovava in fondo alla via, con uno strano omino che si toglieva e rimetteva il cappello, mostrando un semplice trucco di magia. I Tiri Vispi Weasley.
“Quello è il negozio di scherzi dei tuo fratelli. Adesso George lo gestisce insieme a Lee Jordan,” disse, ed il suo volto si ombrò appena. Anche Ron sembrò essersi oscurato a quell’informazione.
“La mamma me l’aveva accennato che Fred e George erano riusciti a fare qualcosa di grandioso.”
“Ti ha…ti ha detto di Fred?” domandò Harry, un fastidioso nodo che gli bloccava la gola.
“Sì,” esalò Ron, guardando con rammarico verso lo strano omino che si trovava sopra all’entrata del negozio. “Però sono contento che abbia realizzato il suo sogno.”
“Sai, anche tu, dopo la guerra, hai iniziato a lavorare con George,” disse Harry diversi minuti dopo, quando si sedettero ad uno dei tavolini della gelateria di Florian Fortebraccio.  “Prima che si mettesse in affari con Lee eri suo socio, poi hai iniziato ad andare lì solo quando aveva bisogno di due mani in più.”
“Se non lavoravo più con George al negozio, che cosa facevo?”
“Studiavi per diventare Auror,” disse Harry, con un sorriso. “Hai dato il primo esame giusto un paio di settimane fai.”
“Merlino, io un Auror.”
“Eh già.”
“E io e te? Facciamo il corso insieme?” chiese, curioso.
“No. Io ho già dato i primi quattro esami e tra poco inizierò il corso effettivo. Però non è escluso che tu venga messo nella mia stessa classe quando lo inizierai anche tu. Agli aspiranti particolarmente dotati, talvolta, viene concesso di saltare alcuni livelli,” spiegò Harry.
“E io ero bravo? Insomma, come me la cavo nei combattimenti?”
Harry sorrise, il vecchio Ron avrebbe fatto una domanda del genere.
“Sì, te la cavavi piuttosto bene. Non sei mai stato un genio con la bacchetta, ma quando c’era da combattere non ti sei mai tirato indietro.”
Ron rimase in silenzio per qualche secondo, soppesando quell’informazione.
“Senti, che ne dici se andiamo a pranzo? Ho un certo languorino.”
Harry rise, alzandosi dal tavolino ed avviandosi verso il Paiolo Magico.
“E a scuola? Scommetto che non ero un gran che.”
“Già, io e te non siamo mai stati dei grandi studiosi, meno male che c’era Hermione che ci metteva in riga.”
Ron sorrise, ripensando alla silenziosa ragazza dai capelli crespi che era entrata nella sua stanza all’ospedale, ai suoi occhi impauriti ed increduli quando il Guaritore aveva detto che aveva perso parte della memoria. In quel momento nei suoi occhi aveva letto sgomento, qualcosa che gli suggeriva che loro due avevano dovuto superare un sacco di ostacoli e che lei aveva paura di non riuscire ad essere abbastanza coraggiosa da superarne degli altri.
“Forza, entriamo.”
Harry gli indicò una piccola porta nera e lo precedé all’interno della locanda.
Forse Ginny aveva ragione e l’unica cosa da fare sarebbe stata ricominciare da capo, ma lui era stato qualcuno un tempo, aveva avuto una storia. Ed era certo che, a suo modo, anche quella storia valeva la pena di essere raccontata.
 
Ginny dovette bussare più di un paio di volte alla porta di Hermione, prima di Materializzarsi direttamente nell’appartamento, arrivando alla conclusione che la ragazza non sarebbe mai andata ad aprirgli.
“Hermione, sei in casa?”
Il suo richiamo rimbombò nel silenzio, senza ricevere alcuna risposta. Riprovò una seconda volta poi, spazientita, appoggiò una mano sul fianco ed iniziò a picchettare la punta del piede sul pavimento.
“Hermione ovunque tu sia, perché tanto so che ci sei, esci fuori immediatamente!”
La casa rimase silenziosa per pochi altri secondi ancora poi, accompagnata da un fruscio di coperte spostate, Hermione apparve nel corridoio. Indossava ancora il pigiama ed i capelli schizzavano da una parte all’altra, come dotati di vita propria.
“Come mai sei venuta?” domandò, andando verso la cucina.
“Perché tra due giorni dobbiamo tornare ad Hogwarts e tu ancora non sei passata alla Tana. Ma cosa ti passa per la testa si può sapere?!”
“Io non so se ce la faccio, Gin,” sussurrò, dandole le spalle. “Voglio dire, c’è voluto così tanto per far funzionare finalmente le cose e lui ora è…è…non si ricorda di me, capisci? Non si ricorda di noi.”
Ginny sospirò, appoggiandole una mano sulla spalla.
“Non lo so cosa si prova, Hermione, posso solo immaginarlo. Però so che non farti vedere da lui non migliorerà le cose. So che Ron ha bisogno di te, ha bisogno che tu lo aiuti a ricordare chi sei. Non permettergli di dimenticarti.”
Hermione si voltò, gli occhi lucidi e lo sguardo colpevole.
“Mi dispiace,” pigolò. “Lui si sarebbe fatto in quattro per me e io, invece, sto qui a piangermi addosso!”
Ginny sorrise, scorgendo un frammento della combattività di Hermione venire a galla.
“Mh, probabilmente lui avrebbe passato qualche mese a guardare una vostra foto con aria disperata e poi, dopo qualche calcio nel sedere da parte di Harry, sarebbe finalmente venuto da te.”
Hermione rise, ripulendosi gli occhi dalle lacrime con il dorso della mano.
“Già, probabilmente sarebbe andata così.”
“Su, adesso vestiti.”
“Perché, dove andiamo?”
Ginny sbuffò. “Alla Tana da Ron.”
“Oggi usciva con Harry.”
Ginny inarcò le sopracciglia, scrutando l’amica con aria indagatrice.
“Mh, per oggi ti è andata bene,” concesse. “Ma sappi che se domani non ti vedo sotto casa mia vengo a prenderti, e questa volta porto anche mia madre.”
Hermione sospirò, arrendevole.
“Va bene, va bene, vengo,” disse. “Allora, ci vediamo domani.”
Ginny sorrise, pronta a Smaterializzarsi. “A domani, Hermione.”

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Quando bussarono alla porta, Ron era in cucina che si spalmava un po’ di marmellata sopra ad una fetta di pane tostato.
Sua madre era uscita per fare delle commissioni in paese e i suoi fratelli si erano tutti volatilizzati per questa o quella ragione.
Infilandosi la colazione tra i denti, attraversò il corridoio ed aprì la porta, ritrovandosi davanti un’intimidita Hermione. La ragazza, infatti, teneva le mani giunte in grembo ed aveva un’espressione estremamente combattuta.
“Ciao,” disse, evitando di guardarlo.
Ron staccò un pezzo di pane e si tolse la colazione di bocca. “’Ao,” biascicò.
Rimasero in silenzio per diversi minuti, accompagnati dal masticare di Ron.
“Ehm, posso entrare?”
Ron annuì, facendosi da parte per permetterle di oltrepassare l’uscio. Ingoiando l’ultimo pezzo di pane, la precedette al piano di sopra, diretto verso la propria stanza.
“Tu sei Hermione, giusto?”
Hermione annuì, seguendolo all’interno della stanza. Come al solito la camera di Ron era un disastro: vestiti sparsi ovunque, riviste mezze aperte in giro, per non parlare della scrivania, occupata da pergamene srotolate e vecchie piume sfilacciate.
“Mi dispiace se non sono passata prima, è solo che…”
“Lo so,” la precedette, appoggiando la schiena contro la scrivania mentre lei si sedeva sul letto ancora sfatto. “Harry me ne ha parlato.”
“Oh,” Hermione abbassò lo sguardo, fissando la punta delle proprie scarpe.
“Perché non..” la ragazza rialzò lo sguardo, puntandolo su di lui. “Perché non mi racconti qualcosa...”
Hermione sospirò, sistemandosi i capelli dietro le orecchie.
“Cosa vuoi sapere?”
“Raccontami quello che vuoi.”
Hermione arricciò le labbra ed inarcò le sopracciglia, pensosa. In qualche modo, quell’espressione concentrata fece guizzare qualcosa nella mente di Ron, come una sensazione.
“Be’, quando ci siamo conosciuti, io e te non andavamo molto d’accordo. Anzi, non andavamo d’accordo per niente. Litigavamo tantissimo e tu mi facevi arrabbiare sempre.”
Ron sorrise, immaginando la bambina riccioluta delle sue foto gonfiare le guance a causa dei suoi comportamenti immaturi.
“E come ci siamo conosciuti?”
Hermione abbozzò un sorriso, perdendosi nel ricordo mentre ne parlava a Ron.
 
“Ti prego, devi aiutarmi a trovarlo,” la implorava un bambino dai capelli castani.
Hermione sbuffò, alzandosi in piedi. “E va bene, come si chiama questo rospo?”
Neville Paciock, il bambino che aveva appena conosciuto sul treno, le sorrise.
“Oscar. È un bellissimo rospo verde, con delle sfumature verde scuro sul dorso. Non è molto grande, ho solo qualche mese.”
Hermione annuì, facendo ondeggiare la massa di capelli che le ricadeva sulle spalle.
Prendendo la bacchetta dalla giacca babbana che indossava quand’era salita sul treno, la infilò in una tasca della veste e seguì Neville fuori dallo scompartimento.
Perlustrarono il corridoio diverse volte e bussarono a più di un paio di scompartimenti, ma il piccolo Oscar sembrava essere sparito.
Stava quasi per tornare da Neville per dirgli di lasciar perdere, quando intravide due bambini soli in uno scompartimento che non aveva controllato.
“Scusate, avete visto mica un rospo? Un bambino di nome Neville l’ha perso,” disse, aprendo la porta e sporgendo il capo nello scompartimento.
I due si voltarono verso di lei e scossero il capo.
Dovevano essere entrambi al primo anno. Uno di loro aveva i capelli rossi e tante lentiggini in faccia e teneva un topo sulle gambe e la bacchetta in una mano. L’altro, invece, aveva un cesto di disordinati capelli neri ed un paio di occhiali dalla montatura circolare che proteggevano gli occhi verdi.
“Oh, ma state facendo magie,” disse, spostando lo sguardo sulla bacchetta che il bambino con i capelli rossi teneva in mano. “Vediamo.”
Il bambino si schiarì la voce e puntò la bacchetta sul topo. “Per il sole splendente, per il fior di corallo, stupido topo diventa giallo!”
Una piccola scintilla fece sobbalzare il topo che ritrasse il capo dalla scatola di Gelatine Tuttigusti+1. I due bambini si guardarono perplessi, alzando le spalle. Hermione invece, inarcò le sopracciglia.
“Sei sicuro che sia un vero incantesimo?” chiese. “Be’, non funziona, direi. Anche io ne ho fatti alcuni semplici e mi sono riusciti sempre!” disse, con aria fiera. “Ad esempio,” aggiunse, puntando la bacchetta sugli occhiali malandati dal bambino con i capelli neri. “Oculus reparo.”
Il bambino si sfilò gli occhiali, guardandoli con incredulità. Anche Hermione guardò lui con incredulità, scorgendo la piccola cicatrice a saetta sulla sua fronte.
“Per tutte le cavallette, ma tu sei Harry Potter!” Harry annuì, rimettendosi gli occhiali. “Io sono Hermione Granger e tu sei?” disse, girandosi verso il rosso.
Il bambino si voltò verso di lei, un pezzo di qualcosa che sembrava liquirizia metà in mano e metà in bocca. “Ron Weasley.”
Hermione lo guardò, un po’ disgustata. “Piacere.”
Rimasero a parlare per un po’, facendo congetture sulla casa nella quale sarebbero potuti finire una volta arrivati ad Hogwarts, poi Hermione si alzò, tornando verso la porta.
“Vi conviene mettervi le divise, credo che manchi poco all’arrivo.” Poi, prima di uscire, si voltò di nuovo verso Ron. “Hai dello sporco sul naso, lo sapevi? Proprio qui.”
 
Ron ridacchiò. “Sei stata davvero così odiosa?”
Hermione arricciò il naso, piccata.
“Be’, tu, se proprio vuoi saperlo, sei stato disgustoso. Eri tutto preso ad ingozzarti di dolci.”
“Ora capisco perché io e te litigavamo sempre.”
Hermione inarcò le sopracciglia, confusa. “Perché tu sei uno stupido?”
“No,” rispose, spostando lo sguardo fuori dalla finestra. “Perché sei proprio carina quando ti arrabbi, Hermione.”
Hermione arrossì, abbassando lo sguardo. Anche Ron arrossì, continuando a guardare fuori.
Continuarono a parlare per diverse ore, poi Ron, vinto dalla curiosità, le pose una domanda alla quale tutti si erano rifiutati di rispondere.
“Hermione, cosa è successo quando ho avuto l’incidente?”
Hermione si mordicchiò un labbro, indecisa se rispondergli o no. Poi sospirò.
“Non so come sono andate le cose di preciso,” disse, arricciando le labbra. “Avevi appena finito il turno al negozio e sei passato da Harry all’Accademia. Aveva da poco finito la lezione così avete fatto due passi insieme,” la voce della ragazza tremò un po’, come impaurita dal ricordo. “Eravate in una zona poco affollata e tu hai visto un uomo alle spalle di Harry che gli puntava la bacchetta alla schiena. L’hai colpito senza pensarci, ma un altro era alle tue spalle e lui ti ha…ti ha….” la voce di Hermione si perse nel silenzio, mentre la ragazza abbassava lo sguardo sulle proprie mani.
Ron la guardò, sbattendo le palpebre. “Mi ha attaccato? Sono stato colpito da un incantesimo?”
Hermione annuì. “Non è stato niente di che, in realtà. Harry ha detto che ti ha lanciato un semplice Stupeficium. Ma rimbalzando hai sbattuto la testa e sei stato addormentato per un sacco di tempo. Avevamo paura che non ti svegliassi più.” Alzò lo sguardo su Ron. “Io avevo paura che non ti svegliassi più.”
Rimasero in silenzio per un po’, a contare i loro respiri.
“Sarà meglio che vada adesso,” disse Hermione, alzandosi in piedi.
“Ci…ci rivediamo?”
Hermione sorrise, guardando Ron dalla soglia della sua stanza.
“Ma certo.”
“Hermione?”
“Si?”
“Mi dispiace.”
La ragazza inarcò le sopracciglia. “Per cosa?”
“Io vorrei ricordarmi di te. Lo vorrei davvero.”
Hermione abbozzò un sorriso, alzando le spalle.
“Lo vorrei anche io.”

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


 
Le luci si riflettevano sul viale principale di Hogsmeade, illuminando i volti dei passanti.
Ron sbuffò, osservando la condensa del suo respiro che si dissolveva nell’aria.
“Ehi!” Hermione lo salutò allegramente, sventolando la mano coperta da un guanto lilla. “È molto che aspetti?”
Ron scrollò le spalle, infilando le mani nelle tasche del cappotto. “La mamma mi ha trascinato per negozi fin’ora,” disse, con una smorfia.
Hermione ridacchiò. Ron non aveva mai notato le piccole fossette che le si formavano sulle guance quando rideva. A pensarci bene, la rendevano perfino più carina.
Arrossì a quel pensiero, e rifugiò il mento nella pesante sciarpa di lana cucitagli da sua madre proprio in occasione delle feste.
“Allora, come vanno le cose a scuola?” domandò, mentre passeggiavano per una High Street spruzzata di neve e costeggiata da numerose bancarelle.
“Oh, è stato Harry a dirti di parlare di scuola, eh?” Ron arrossì, abbassando lo sguardo. Hermione sorrise. “Comunque mi sta molto affaticando. Seguo molti corsi e i M.A.G.O sono sempre più vicini. E la McGranitt non fa altro che dirci quanto saranno difficili ed impegnativi. Ho anche preso una O all’ultimo compito di Trasfiguarazione!” gemette. “E tu? I tuoi ricordi?”
Ron sbuffò, alzando il mento in aria.
“Vanno e vengono,” disse. “Perlopiù mi sono ricordato un sacco di cose sulla mia famiglia e su Harry. Su di te ancora niente, mi dispiace.”
Hermione abbozzò un sorriso, anche se gli angoli incurvati delle sue labbra non riuscivano a nascondere una smorfia di amarezza.
“Sono certa che presto ricorderai tutto.”
“Ora che mi ci fai pensare, l’altra mattina, quando papà stava parlando di un collega che lavora al reparto di Regolazione e Controllo delle Creature Magiche, ho avuto un flash su un Troll in un bagno, è una cosa normale?”
Ad Hermione brillarono gli occhi.
“Oh sì!” esclamò. “Al primo anno tu ed Harry mi avete salvata da un Troll di montagna che si era intrufolato ad Hogwarts. È così che siamo diventati amici.”
Ron aggrottò le sopracciglia.
“Tu però non c’eri.” Hermione si oscurò. “Cioè, ho visto me ed Harry entrare in questo bagno e, proprio in mezzo alla stanza, c’era questo Troll enorme che si divertiva a distruggere tutto.”
Hermione abbassò lo sguardo, avvilita.
“Va tutto bene?”
La ragazza rialzò lo sguardo. “Sì, non preoccuparti.”
Ron abbozzò un sorriso ed Herrmione, scacciando via ogni brutto pensiero, gli afferrò una mano e lo trascinò verso le bancarelle, passandole in rassegna una ad una, soffermandosi a lungo su quelle che vendevano libri.
“Oh, guarda che bello!” esclamò all’improvviso, fermandosi davanti ad una bancarella che vendeva bigiotteria. I suoi occhi si erano posati su un piccolo anello d’argento. Era una semplice fedina di metallo, molto fine, con una piccola pietra incastonata al centro. Si trattava un minerale tra l’azzurro ed il blu e, se lo guardavi per qualche secondo, sembrava che pulsasse.
Quando Hermione si allontanò, attratta da un grande libro esposto nella bancarella seguente, Ron alzò lo sguardo sull’anziana signora al di là del tavolo.
“Quanto viene quello?” domandò, indicando l’anello.
La donnina sorrise. “Oh, sono trentacinque falci, figliolo.”
Non sapeva perché, ma qualcosa gli suggeriva che doveva assolutamente regalare quell’anello ad Hermione. Forse era il fatto che le fosse piaciuto, o forse era la piccola pallina di luce che sembrava pulsare all’interno della pietra.
Qualunque fosse la ragione, Ron si frugò nelle tasche e ne tirò fuori alcune monete, porgendole alla donna. Quella, sorridendo, infilò l’anello in una bustina di velluto viola e la dette al ragazzo.
“Dov’eri?” chiese Hermione, quando se lo vide sbucare alle spalle.
Ron arrossì. “Uhm, mi ero fermato qualche bancarella più indietro.”
“Trovato niente d’interessante?”
Il ragazzo scosse il capo e continuò a camminare con lei lungo High Street. Dopo qualche ora, i due si rifugiarono nella sala da tè di Madama Piediburro, affamati ed infreddoliti.
Appena entrati, Ron si strofinò le mani sulle braccia, rabbrividendo. Fece vagare lo sguardo all’interno del locale e si rese conto che la maggior parte dei clienti erano coppiette impegnate a scambiarsi effusioni davanti ad una tazza di tè fumante e qualche biscotto. Improvvisamente, arrossì.
Lui ed Hermione trovarono posto ad uno dei tavolini vicino alla scala che portava agli alloggi della proprietaria ed ordinarono un paio di tazze di tè.
“Ehm, verrai alla Tana per Natale?”
Hermione alzò gli occhi su Ron, buttando distrattamente una zolletta di zucchero nella sua tazza.
“Mi stai invitando, per caso?”
Ron arrossì, abbassando lo sguardo sul suo tè.
“Be’, Harry mi ha detto che hai sempre passato il Natale con noi, perciò, ecco, pensavo che anche quest’anno tu potessi…”
Hermione portò la tazza alle labbra, strizzando gli occhi.
“Ti ringrazio davvero per l’invito, ma devo studiare molto per gli esami finali ed è meglio che non mi assenti da Hogwarts.”
“Oh.”
Rimasero in silenzio per qualche minuto, intenti a sorseggiare il loro tè caldo. Poi, Ron alzò il capo ed iniziò a frugare nella tasca della giacca.
“Allora, visto che a Natale non ci vediamo, te lo do ora il mio regalo.”
Hermione lo guardò, stupita. “Mi hai preso un regalo?”
Ron annuì, appoggiando sul tavolo una bustina di velluto viola. Hermione la fissò con gli occhi spalancati.
“Su, aprila.”
Titubante, la ragazza afferrò la bustina e l’aprì, facendo scivolare il suo contenuto sul palmo della propria mano. Quando l’anello che aveva visto poco prima rimbalzò sulla sua pelle, a Hermione si mozzò il fiato in gola.
“Oh, Ron,” sospirò. “Non avresti dovuto.”
Ron arrossì, grattandosi la nuca, in imbarazzo.
“Be’, pensavo che, sì, che ti avrebbe fatto piacere. È che lo so che ti dispiace tanto per questa cosa che non mi ricordo di te e dispiace anche a me, dico davvero, ma io ce la sto mettendo tutta per ricordarmi chi sei, Hermione, perché, dannazione, io voglio ricordarlo! È solo che…”
Hermione sorrise, fermando il suo fiume di parole.
“Grazie Ron.”
Sporgendosi verso di lui, gli allacciò le braccia attorno al collo e gli stampò un lungo bacio sulla guancia ispida.
Rimasero immobili per un po’, ancora abbracciati, con il fiato dell’altro che s’infrangeva sulla pelle.
“Senti,” sussurrò Ron, dopo un po’. “Non per essere pignolo, ma non potremmo andare da qualche altra parte? Tutte queste coppiette mi inquietano.”
Hermione rise, allontanandosi ed alzandosi. Gli afferrò una mano e, intrecciando le dita con quelle di lui, lasciò la sala da tè di Madama Piediburro.
Quando, usciti dal locale, un fiocco di neve si adagiò sul naso di Hermione la ragazza rise ancora più forte. Ron, al suo fianco, la guardò con le sopracciglia inarcate e poi iniziò a ridere anche lui.
Era bello stare lì, sotto la neve, a Natale e vederla ridere. Era bello perché gli faceva provare una strana sensazione di déjà-vu. Come se tutto quello l’avesse già vissuto una prima volta. 

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Ron infilò le mani nelle tasche del cappotto, appoggiando la schiena contro un basso muretto di pietra alle sue spalle.
Marzo era appena iniziato, ma il freddo di febbraio ancora non ne voleva sapere di andare via.
Con  uno sbuffo, il ragazzo voltò lo sguardo verso il tortuoso sentiero che da Hogsmeade conduceva al castello di Hogwarts.
Era passato qualche mese dal suo incidente, ma ancora non era riuscito a ricordare un gran che. Ogni mattina apriva gli occhi e fissava il soffitto, e aspettava. Aspettava ricordi che non arrivavano.
Probabilmente persi troppo lontano per essere ritrovati.
“Ehi.”
Sbattendo le palpebre, Ron mise a fuoco la figura di Hermione che gli sorrideva. “Ciao.”
Si avviarono lungo High Street, chiacchierando e gettando occhiate distratte alle altre coppie di studenti che camminavano per Hogsmeade.
“Ron! Hermione!” i due ragazzi si fermarono, voltandosi.
Alle loro spalle, un gruppetto composto da un paio di ragazze ed un ragazzo, sventolava le mani in aria, sorridendo.
“Ragazzi,” disse Hermione, quando i tre si avvicinavano.
Un ragazzo dai capelli color sabbia e due chiari occhi verdi, batté una pacca sulla spalla di Ron, sorridendogli.
“Ehi, amico!” esclamò. “Tua sorella ci ha detto dell’incidente, come stai?”
Ron scrollò le spalle, spostando lo sguardo sulle due ragazze che si erano messe a parlare con Hermione. Una delle due aveva lunghi e crespi capelli castani, un paio di occhi azzurri e delle graziose gote rosse. L’altra, invece, portava i lunghi capelli neri raccolti in una treccia ed aveva la carnagione scura, così come gli occhi.
Dopo aver scambiato quattro chiacchiere, i tre si allontanarono, lasciando Ron e Hermione di nuovo soli.
“Di loro ti sei ricordato?” domandò Hermione dopo un po’.
“Sulla ragazza castana ho qualche vago ricordo, chi era?”
Hermione abbassò lo sguardo, mordicchiandosi un labbro.
“Nessuno di…importante,” sospirò.
Ron spostò gli occhi su di lei, ma Hermione si affrettò a sorridere, fermandosi davanti all’entrata dei Tre Manici di Scopa.
“Ti va una burrobirra?”
Ron annuì, seguendola all’interno del locale. Non era la prima volta che gli capitava di entrare ai Tre Manici di Scopa, durante quei mesi in cui era andato a trovare Hermione ci erano stati spesso. Il locale era costituito da una grande stanza con il pavimento e le pareti di legno, un bancone sulla sinistra dell’entrata ed alcuni tavoli che occupavano il resto della sala.
Madama Rosmerta, la proprietaria, stava al di là del bancone, servendo bibite e sorridendo in direzione di chiunque.
Ron vide Hermione fare un cenno di saluto ad un grosso omone dalla folta barba castana seduto al banco che ricambiò, versando parte del contenuto del suo bicchiere sul mago seduto accanto a lui.
Trovato posto ad uno dei tavoli vicino alla grande vetrata che dava sulla strada, Ron e Hermione rimasero in silenzio per diversi minuti, ognuno intento a fissare un punto diverso del locale.
“Senti Ron io…io devo parlarti,” disse infine Hermione, dopo che Madama Rosmerta ebbe portato loro un paio di burrobirre calde.
Ron assaggiò la bevanda, annuendo. Quando riemerse dal calice, Hermione guardò i baffi di schiuma sopra al suo labbro superiore e scosse il capo, allungando una mano per toglierli via.
“Grazie,” sussurrò il ragazzo, imbarazzato.
“Prego,” soffiò la ragazza in risposta, arrossendo sulle gote.
Dopo qualche altro minuto di silenzio, occupato dal rumore dei calici che venivano sollevati ed appoggiati sul tavolo, Hermione si schiarì la voce, appoggiando definitivamente il suo bicchiere sul tavolino.
“Forse penserai che sono una persona orribile,” disse, tenendo lo sguardo basso. “Ma non posso continuare così, non ci riesco.”
Ron alzò lo sguardo su di lei, con una strana sensazione alla bocca dello stomaco.
“Non credo che tu sia orribile,” disse, puntando gli occhi in quelli di lei.
“Io…Ron mi dispiace davvero tanto,” sussurrò, fuggendo il suo sguardo. Era una fuga bella e buona la sua, ma l’idea di guardare dentro i suoi occhi e non trovare quella scintilla che li accendeva sempre quando incontravano i suoi, l’idea di guardare il suo viso e non trovare quel rossore che lo colorava ogni volta che Ron si accorgeva di essere osservato da lei, faceva male. L’idea che lui non ricordasse chi era e che avrebbe potuto non ricordarlo mai, la stava lentamente mangiando dentro.
“Non posso continuare a fingere che le cose andranno bene, addormentarmi la notte sperando che il mattino seguente, al mio risveglio, sarai di nuovo tu. Non posso continuare ad aspettare che tu ti ricordi di me.”
Ron abbassò lo sguardo.
“Potrebbe volerci ancora poco.”
“Sì, ma potrebbe anche volerci il resto dell’eternità. Potresti anche non ricordarlo mai,” ribatté, sospirando. “E per quanto io ti ami non…non posso farlo, capisci? Non ci riesco.”
Ron annuì. “Sì, ho capito.”
Hermione si alzò, tirando fuori dalla tasca del cappotto una bustina di velluto viola.
“Ti chiedo solo una cosa. Non dimenticare anche questo,” si sporse oltre il tavolo e, combattendo contro il rossore e l’imbarazzo, gli sfiorò le labbra.
Quando Ron riaprì gli occhi, Hermione era sparita. L’unica prova che lei era stata lì, che non si era immaginato tutto, era una piccola bustina di velluto viola appoggiata sul tavolino.
E appena spostò gli occhi fuori dalla vetrata, dove le orme dei passi di Hermione erano rimaste impresse sul fine strato di neve che ricopriva la strada, Ron ebbe la certezza che oltre alle speranze di ricordarsi di lei, Hermione si era portata via anche un pezzo del suo cuore.
 
Ron infilò il mento nella sciarpa che sua madre gli aveva regalato per il compleanno, avanzando lungo High Street, diretto verso il sentiero che conduceva ad Hogwarts.
“Ehi!” esclamò sua sorella, vedendolo arrivare.
“Com’è andata con Hermione?” domandò invece Harry, seduto sul muricciolo di pietra vicino al quale lui stesso, qualche ora prima, aveva aspettato Hermione.
Ron sospirò, infilando le mani in tasca e sentì il morbido velluto del sacchetto sulle dita.
“Ha detto che devo lasciarla andare.”
Ginny sbatté le palpebre ed Harry balzò giù dal muricciolo.
“E tu?”
Ron alzò gli occhi su quelli curiosi dei suoi interlocutori.
“L’ho lasciata andare.”


Note:
Non uccidetemi. Pietà! Lo so, ho fatto una cosa orribile e, sappiatelo, ha strappato il cuore pure a me, ma ho dovuto farlo! Questo orribile avvenimento era fondamentale ai fini della storia. 
Perciò, dato il mio grande pentimento, potreste limitarvi a tecniche di tortura wodoo senza usufruire di forconi e motoseghe? Ve ne sarei infinitamente grata :D
Bene, per quel che riguarda il capitolo, devo dire che so perfettamente che non è molto da Hermione arrendersi così, però ho provato anche a mettermi un po' nei suoi panni: sono passati mesi dall'incidente (e il caro Medimago aveva detto che l'amnesia di Ronnie sarebbe durata solo qualche ora -.- sese..) e Ron ancora non si ricorda di lei, senza contare che è l'unica di cui ormai non ricorda nulla, perché su Harry e la sua famiglia è ormai a buon punto per quel che riguarda la situazione 'ricordi'; ho pensato, quindi, che lei fosse molto spaventata all'idea di dover aspettare per sempre il ritorno del vero Ron, quello di cui si era innamorata - perché, a mio parere, il fatto di non ricordare una parte della sua vita, tra l'altro molto importante, rende Ron diverso da come era prima di perdere la memoria.
Inoltre, come ho già detto, l'abbandono di Hermione era fondamentale ai fini della storia. 
Be', tra un po' ho fatto un commento più lungo del capitolo stesso, sono un tormento asfissiante, lo so :3
Spero che questo capitolo, nonostante tutto, vi sia piaciuto. 
A presto :)
Emily. 

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


Three years later

 
 
Ron sbadigliò, rigirandosi tra le lenzuola.
Uno strano rumore proveniva dalla stanza accanto, ma era ancora troppo assonnato per alzarsi ed andare a controllare.
Per qualche minuto cercò di riaddormentarsi poi, disturbato dallo stesso rumore che l’aveva svegliato, sbuffò e, appoggiata la schiena sul materasso, si mise a fissare il soffitto.
Da quando si era trasferito nel vecchio appartamento in Grimmauld Place insieme ad Harry e aveva ripreso il corso per diventare Auror erano cambiate un sacco di cose.
Aveva ricordato quasi tutta la sua vita, per esempio. Anche se rimaneva sempre un vuoto legato ad una ragazzina dai capelli gonfi e crespi, con l’aria saccente ed una passione per i libri.
Sbuffando, Ron balzò in piedi e si diresse a passo di carica verso la stanza di Harry. Qualunque cosa il suo migliore amico stesse facendo in quella stanza, avrebbe dovuto farla più piano.
“Harry puoi spiegarmi cosa-“ ma le parole gli morirono in gola quando spalancò la porta della vecchia camera di Sirius Black.
Harry Potter, gli occhiali appoggiati malamente sul comodino ed i vestiti sparsi per la stanza – tra cui una scarpa che, Merlino sa come, era finita sopra all’armadio – stava ridacchiando sommessamente insieme a Ginny Weasley, avvolti in un intrigo di coperte e presumibilmente nudi.
“Miseriaccia!” imprecò Ron, chiudendo gli occhi di scatto e voltandosi. “Rimarrò segnato a vita!”
Ginny ed Harry si volarono verso di lui.
“Be’, almeno busserai la prossima volta,” osservò la sorella, pungente.
Ron borbottò. “Non ci sarà una prossima volta, posso assicurartelo,” rispose. “E poi le vostre risatine mi hanno svegliato, volevo solo dirvi di abbassare la voce.”
“Meno male che sono state le risate e svegliarti e non qualcos’altro,” ridacchiò Ginny.
“Ginny, per l’amor del cielo!” esclamò Ron, allontanandosi di qualche passo dalla stanza.
Harry, che intanto aveva inforcato gli occhiali, era arrossito ed aveva lanciato a Ginny un’occhiataccia.
“Non ho niente in contrario se fate, be’, quello che fate, ma i dettagli non li voglio sapere!” e detto questo sparì nel corridoio, andando a rifugiarsi nel bagno.
Ginny ridacchiò.
“Dovevi proprio?”
“Oh, piantala!” rise la ragazza, dandogli una botta sulla spalla. “Sai anche tu che è uno spasso prenderlo in giro.”
Harry si concesse un sorrisetto, avvicinandosi a lei. “Dove eravamo rimasti noi due?”
 
Ron si richiuse la porta del bagno alle spalle, sospirando e scuotendo la testa.
Dopo essersi spogliato, si gettò sotto la doccia, per concedersi qualche minuto di relax prima di andare a lavorare.
L’acqua gli scivolava lentamente sulla pelle, rinvigorendo i suoi muscoli intorpiditi. Si passò le dita sugli occhi, stropicciandogli, e fece uno sbadiglio.
Quella notte non era riuscito a dormire un gran che, forse a causa dello strano sogno che aveva fatto.
Si trovava in un aula piena di studenti che cercavano di far levitare delle piume ed una bambina con i capelli ricci senza volto lo rimproverava per la sua pronuncia.
“È Leviosa non Leviosà” continuava a ripetere, agitando la propria bacchetta.
Tutto il resto della notte l’aveva passato cercando di ricollegare quel sogno a qualcosa che gli era stato raccontato dai suoi genitori o da Harry, ma nonostante tutto non era riuscito a capire a cosa si riferisse. Ma doveva essere una specie di ricordo, di questo Ron ne era certo.
Con un sospiro, uscì dalla doccia, avvolgendosi un grande asciugamano bianco attorno alla vita e passandosene uno più piccolo tra i capelli.
Con una mano ripulì lo specchio appannato e si specchiò, osservando l’immagine di un giovane uomo dai capelli rossi e disordinati, i profondi occhi blu, un sacco di lentiggini ed una collanina stretta al collo, dalla quale pendeva una fedina d’argento con una strana pietra incastonata sopra.
Accarezzò distrattamente l’anello, puntando gli occhi nel proprio riflesso.
“Ron, hai finito?” Harry bussò alla porta del bagno, richiamandolo dall’esterno.
Ron si riscosse. “Sì, sì, ho finito.”
In un attimo aprì la porta e, raccattati i suoi vestiti, tornò in camera.
Dopo essersi vestito afferrò una delle fette di pane tostato che Ginny aveva preparato e bevve di sfuggita una tazza di caffè.
“Siete di fretta stamattina?” chiese la ragazza, osservando Harry e Ron che correvano da una parte all’altra della cucina con residui di colazione ancora in bocca e tazze in mano.
“Se arriviamo di nuovo in ritardo il Generale ci ammazza,” spiegò Harry, ingoiando l’ultimo pezzo del biscotto che aveva preso dalla credenza. “Ci vediamo a pranzo,” e, scoccato un bacio veloce sulle labbra di Ginny – accompagnato da una smorfia da parte di Ron – i due ragazzi si Smaterializzarono.
 
Come ogni mattina, il Ministero della Magia era gremito di gente. Persone che sbucavano nel bel mezzo dell’Atrium, che apparivano improvvisamente nei camini o che scendevano utilizzando l’entrata per i visitatori – una vecchia cabina telefonica.
Ron ed Harry furono trascinati dal via-vai di persone fino alla fontana, dove alcuni addetti della sicurezza controllavano chi entrava e usciva dal Ministero.
“Ehi, Jordan!”
Un uomo dai folti capelli biondi si voltò verso Harry e Ron, sorridendo.
“Buongiorno ragazzi,” i due mostrarono i distintivi e Jordand, sempre sorridendo, li lasciò passare.
Le file davanti agli ascensori erano più lunghe del solito, quella mattina, ed Harry e Ron si misero pazienti ad aspettare.
Quando finalmente riuscirono ad entrare nella cabina, si ritrovarono insieme ad un’altra decina di maghi e streghe. L’ascensore vibrò e, dopo che si furono chiuse le griglie dorate, iniziò a salire.
Ufficio per la Regolazione e Controllo delle Creature Magiche,” annunciò una voce metallica e l’ascensore si fermò. Alcuni maghi iniziarono a farsi strada per uscire, tenendo in mano strane gabbie che si agitavano.
Ron sbuffò e, pensando che gli sarebbe toccata un’altra ramanzina, gettò distrattamente un’occhiata sul lungo corridoio che si apriva davanti all’ascensore.
Poco lontano, accanto ad una delle scrivanie, una ragazza dai capelli ricci rideva, divertita dalle attenzioni di un ragazzo che le soffiava sul collo.
“Smettila, Chris, sono a lavoro!” si lamentava, ridacchiando.
Il ragazzo, che aveva corti capelli castani e occhi azzurri, rise, avvolgendole i fianchi con le braccia.
 
Le porte della Sala Grande si spalancarono, e quattro coppie di ragazzi fecero il loro ingresso, sotto gli occhi attenti degli altri studenti.
“Ma quella è Hermione Granger!” esclamò Padma Patil, indicando la ragazza vestita con un bellissimo abito blu pervinca al braccio di Viktor Krum.
Ron scosse il capo, guardando Hermione.
“No, non può essere.”
Ma lei si voltò verso di lui e gli sorrise, emozionata.
 
L’ultimo mago scese dall’ascensore e prima che le griglie si richiudessero, Ron fu in grado di dire solo una cosa. “Hermione.”

 

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


“…e la prossima volta vi sospendo!” le urla del Generale Dickens risuonarono per tutto l’ufficio Auror.
“Sissignore!” dissero Harry e Ron all’unisono, tenendo lo sguardo basso.
“Ora potete andare,” i due non se lo fecero ripetere due volte e, ancora con gli occhi bassi, lasciarono l’ufficio del Generale. Appena la porta si chiuse alle loro spalle si abbandonarono ad un sospiro.
“Lo avete fatto incazzare di nuovo, eh?” Joy, una ragazza che faceva parte della stessa squadra di Ron, sorrise ai due.
“Questa volta ci è mancato davvero poco che tirasse fuori la bacchetta,” osservò Ron.
Joy rise, portandosi una ciocca scura dietro l’orecchio.
“Be’, sarà meglio che andiamo a lavorare, altrimenti la tirerà fuori davvero,” disse Harry, avviandosi verso l’ufficio che condivideva con Ron. L’altro annuì e, fatto un cenno di saluto a Joy, seguì Harry.
“’Giorno Andy,” biascicò Ron, incrociando lo sguardo di Andrew Camdem, un giovane Auror con cui Harry e Ron dividevano l’ufficio.
“Non si può dire lo stesso per voi,” rispose Andrew, mentre Ron si buttava sulla sedia dietro alla propria scrivania ed Harry sospirava. “Le urla di Dickens sono arrivate anche qui.”
“Pensa allora a come mi sono sentito io, che ero davanti a lui.”
Andrew represse una risatina, osservando Harry che si sedeva alla scrivania.
“Tenente Camdem,” un ragazzino sui diciannove anni si presentò alla porta, sbirciando titubante all’interno. “Il Comandante Hamilton mi ha detto di chiamarla.”
Andrew sbuffò, seguendo la giovane recluta fuori dall’ufficio.
Rimasti soli, Ron si voltò verso Harry, scrutandolo.
“Cosa c’è?”
Ron deglutì. “Prima ho visto Hermione.”
“Be’, cosa c’è di strano? Lavora qui,” rispose Harry, scrollando le spalle e riordinando alcuni documenti sparsi per la scrivania.
“No, no,” ribatté Ron. “L’ho vista e…e mi sono ricordato una cosa su di lei.”
Harry si fermò, alzando gli occhi su Ron.
“Noi, ecco, abbiamo mai partecipato ad un ballo con un tizio con la faccia incarognita?”
“Krum dici? Viktor Krum, lo studente di Durmstrang?”
Ron annuì, ricordando che era proprio quello il nome del ragazzo immusonito che stava accompagnando Hermione in Sala Grande.
“Cavolo, Ron, te lo ricordi davvero!” esclamò Harry, con un sorriso.
Anche Ron sorrise. “Già.”
Poi il suo sorriso si oscurò.
“Non mi sembri entusiasta,” osservò Harry. “Forza, Ron, sputa il rospo. Puoi aver perso la memoria quanto ti pare ma ti conosco da dieci anni e so cosa ti passa per la testa.”
“Be’, ecco, lei era…era con un ragazzo,” disse infine, sospirando.
Harry deglutì. “Christopher, è il suo ragazzo. L’ha presentato a me e Ginny qualche mese fa.”
Ron alzò di scatto gli occhi su di lui. “Ah.”
Harry sospirò, sistemandosi gli occhiali.
“Forse avrei dovuto dirtelo, ma non credevo pensassi ancora ad Hermione.”
“Solo perché ha deciso di ignorarmi ed uscire dalla mia vita non vuol dire che io abbia smesso di pensare a lei.”
Harry avrebbe voluto ribattere ma Andrew tornò borbottando improperi contro il Comandante Hamilton e la discussione fu considerata chiusa ed Harry e Ron tornarono a concentrarsi sui documenti rimasti sulle rispettive scrivanie.
All’ora di pranzo Harry ed Andrew si volatilizzarono e Ron decise che non aveva alcuna voglia di pranzare da solo in ufficio così, ignorando il panino che si era preparato di corsa quella mattina, uscì dal Ministero, rifugiandosi nel piccolo bar babbano poco lontano dall’entrata per i visitatori.
Era un locale non molto grande, con qualche tavolo ed alcuni alti sgabelli che si affacciavano sul bancone. Gli impiegati ci andavano spesso quando non avevano voglia di tornare a casa.
Si mise in fila insieme agli altri clienti ed attese il proprio turno alla cassa con pazienza, frugandosi nelle tasche alla ricerca di qualche spicciolo babbano.
“Sono tre pounds e trentacinque cents,” la ragazza davanti a lui tirò fuori con difficoltà le monete dal borsello, tenendo sottobraccio una bottiglietta d’acqua ed un paio di tramezzini confezionati.
“Grazie e arrivederci,” sorrise la cassiera. La ragazza salutò a sua volta e si voltò, cercando di aprire la bottiglia contemporaneamente. Forse per colpa dei tacchi alti o forse solo per caso, inciampò e parte del contenuto della bottiglietta finì sulla maglietta verde scuro di Ron.
“Dio, sono mortificata,” esclamò la ragazza, cercando di riacquistare equilibrio. “Mi dispiace tanto. Aspetti, se riesco a prendere un fazzoletto l’asciugo in un secondo.”
Ron la osservava trafficare nelle tasche della giacca, i capelli ricci e disordinati che le cadevano sulle spalle e la bottiglietta che ancora gocciolava acqua stretta in una mano.
“Non si preoccupi, è solo acqua.”
“Sì, però..” la ragazza alzò lo sguardo su Ron e rimase in silenzio per qualche secondo, contemplando i lineamenti del suo volto.
Anche Ron la riconobbe e si aprì in un sorriso.
“Hermione!” esclamò.
La ragazza, allora, inarcò le sopracciglia e lo scrutò meglio.
“Ron? Ron Weasley?” Ron annuì ed anche lei sorrise. “Oddio, è passato un sacco di tempo!”
“Già.”
“Lascia almeno che ti offra il pranzo,” disse la ragazza, sedendosi ad uno dei tavolini vuoti.
“In realtà, non ho molta fame.”
Hermione rise. “Ron Weasley che non ha fame? Mi dispiace, ma nonostante tutto ciò che è successo alla tua memoria, non ci credo che hai perso anche l’appetito. Insisto!”
Ron sospirò, arrendevole, ed annuì.
Hermione allora scartò i suoi tramezzini confezionati e gliene offrì uno.
“Allora, come vanno le cose? Lavori all’ufficio Auror adesso?”
Ron addentò un pezzo di panino ed annuì.
“Tu invece sei all’ufficio di Regolazione e Controllo delle Creature Magiche.”
“Già, te l’ha detto Harry?”
Ron scosse il capo, morsicando ancora il suo pranzo.
“Ti ho vista stamattina mentre salivo.”
Hermione arrossì all’improvviso. “Oh, avrai visto anche Chris immagino.”
Ron annuì, nascondendo una smorfia dietro al panino. Chris, che nome idiota.
“Harry mi ha detto che state insieme,” disse, con nonchalance.
Hermione arrossì di nuovo. “Mh,mh.”
“Non è un po’ vecchio per te?”
Improvvisamente Hermione si drizzò sulla sedia, il rossore che lasciava posto ad uno sguardo irritato. “Da quando ti interessi dei ragazzi che frequento? E poi ha solo due anni più di me.”
Ron scrollò le spalle, afferrando la bottiglietta di Hermione e bevendo un po’ dell’acqua rimasta.
“Ero solo curioso.”
Quella conversazione, però, gli ricordava stranamente qualcosa.
 
“Ti sta usando,” disse Ron, seguendola fuori dalla Sala Grande.
“Come osi? E poi so badare a me stessa!” esclamò Hermione, indignata.
“Ne dubito. È  troppo vecchio.”
Hermione si voltò verso di lui, più arrabbiata che mai. “Ah sì, è questo quello che pensi?”
“Sì,” affermò Ron, deciso. “È questo quello che penso.”
La ragazza si voltò di nuovo verso di lui, di scatto, i capelli prima ordinatamente raccolti in uno chignon ora le ricadevano sulle spalle, in disordine, ed aveva gli occhi pieni di lacrime.
“Allora sai qual è la soluzione, non è vero?”
“Sentiamo.”
“La prossima volta che c’è un ballo raccogli il coraggio e  invitami prima che lo faccia qualcun altro e non come ultima risorsa!” urlò, con quanto fiato aveva in gola.
Ron arrossì, abbassando lo sguardo. Colpito e affondato, Weasley.
 
“Be’, è meglio che vada,” disse Hermione. Ron la guardò alzarsi, sbattendo le palpebre. “È stato un piacere rivederti, Ron.”
Ron la guardò camminare verso l’uscita del locale.
Fermala, fermala, fermala.
“Hermione?!”
La ragazza si voltò e Ron, zigzagando tra i tavoli, le fu davanti in un batter d’occhio.
“Sì?”
“Che ne pensi di…uscire insieme a cena. Io, te, Harry e Ginny?”
Hermione ci pensò un po’ su, arricciando le labbra. Poi sorrise.
“Perché no.”
Il volto di Ron si aprì in un sorriso. “Ci risentiamo, allora.”
“Ci risentiamo.”
Hermione gli rivolse un ultimo sorriso e poi sparì tra la folla, diretta di nuovo verso il Ministero della Magia.
Ron guardò la sua figura che si confondeva tra i passanti e gli scappò un sorrisetto. C’era voluto tanto tempo, ma, alla fine, si era ricordato di lei. 

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Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


Ron si sistemò il colletto della camicia, guardandosi allo specchio con aria frustrata.
Il piccolo anello risaltava sul suo collo, brillando quando la luce ci rifletteva sopra.
“Stai ancora così?!”
Ron sobbalzò, voltandosi verso la porta. Ginny, vestita di tutto punto, lo osservava con le sopracciglia inarcate.
Il ragazzo abbassò lo sguardo sulla camicia ancora non del tutto abbottonata e sui boxer celesti.
Ginny sbuffò, entrando nella stanza. Afferrò un paio di jeans e li lanciò il fratello, incitandolo ad indossarli.
Ron, sospirando, infilò i pantaloni e finì di abbottonare la camicia, lasciando aperti i primi bottoni e arrotolando le maniche fino ai gomiti.
Ginny, intanto, si era accomodata sul letto ed osservava i movimenti del fratello.
“Sei nervoso?”
Ron si voltò verso di lei, scompigliandosi i capelli.
“Me la sto facendo sotto.”
Ginny ridacchiò, lisciandosi la gonna dell’elegante abito verde chiaro. Battendo una mano sul materasso lo invitò a sedersi al suo fianco.
Quando Ron si sistemò accanto a lei, Ginny gli accarezzò i capelli, cullandolo un po’ con le proprie carezze. Il ragazzo socchiuse gli occhi, tornando con la mente a quando erano bambini e Ginny, nel cuore della notte, abbandonava il proprio letto e s’intrufolava nel suo, stringendo forte le manine attorno alla maglietta del suo pigiama. E lui apriva gli occhi nel buio e si ritrovava la sua testolina rossa premuta contro il petto, e allora iniziava ad accarezzarle i capelli finché non si addormentava.
Rimasero in silenzio, immobili in quella posizione, per diversi minuti, finché la voce di Harry non li richiamò dal salotto, dicendo loro che stavano facendo tardi.
Ginny si alzò dal letto, sfilando le mani dai capelli di Ron e si avviò verso il corridoio.
“Ginny?”
La ragazza si voltò verso il fratello, ancora seduto sul letto.
“Ti voglio bene.”
Ginny sorrise e sparì.
 
Il ristorante in cui Hermione aveva insistito per andare, si trovava in una zona di Diagon Alley in cui Ron era stato poche volte. Un tempo era la periferia della Londra magica, ma dopo la fine della guerra vi erano sorti molti pub, locali e ristoranti.
L’insegna del Blue Ocean brillava sul muro di un edificio elegante, illuminando la parete con la sua luce bluastra.
“Ehi, ragazzi!” la voce di Hermione si fece largo tra la confusione ed i tre individuarono la ragazza che si sbracciava proprio davanti all’entrata del ristorante.
Facendosi strada tra la massa di persone che affollava quella zona di Diagon Alley, riuscirono a raggiungerla. Insieme a lei, vestito in un elegante completo grigio, c’era un ragazzo piuttosto alto, con i capelli castani e gli occhi azzurrissimi. Immediatamente, quando i ragazzi arrivarono, gli sorrise, mostrando una dentatura bianca e perfetta.
“Mi sono permessa di invitare anche Chris,” disse Hermione, arrossendo lievemente. “Chris, ti ricordi di Harry e Ginny?” il ragazzo si voltò verso i due che, occhieggiando di sbieco verso Ron, gli rivolsero un sorriso.
“Piacere di rivedervi,” disse Christopher, allungando la mano e stringendo quella degli amici di Hermione.
“E lui è Ron,” disse infine la ragazza, indicando il ragazzo coi capelli rossi. “Un vecchio compagno di scuola. È il fratello di Ginny.”
Christoper sorrise anche a lui e gli porse la mano. “Piacere di conoscerti Ron. Io sono Christopher.”
Ron grugnì, stringendogli la mano. “Piacere mio.”
Il Blue Ocean era un bar-ristorante con un grande bancone che occupava un angolo della sala ed un sacco di tavoli che occupavano lo spazio rimanente. La musica riempiva tutto il locale, accompagnando piacevolmente la cena dei clienti.
I cinque ragazzi, scortati da un cameriere, si accomodarono ad uno dei tavoli. Ron grugnì, quando si rese conto che gli sarebbe toccato l’unico posto a capotavola.
Iniziarono a chiacchierare del più e del meno e, tra una portata e l’altra, la serata si consumò nella tranquillità più assoluta.
“Pensa, che quando eravamo ad Hogwarts, siamo anche riusciti a farle infrangere un sacco di regole!” disse Harry, sorseggiando l’idromele nel suo bicchiere.
Christopher guardò Hermione, stupito.
“Lei? Infrangere le regole?” ribatté, guardando Hermione con divertimento.
Hermione sbuffò, spostando lo sguardo su Ginny in cerca di aiuto.
 
Ron guardò Harry con un sorrisetto vittorioso stampato sulle labbra.
“Allora, vuoi la rivincita?” ridacchiò, risistemando gli scacchi.
Harry sospirò. “No grazie, ho perso abbastanza per oggi.”
Hermione li raggiunse pochi minuti dopo, seguita dal proprio baule.
“Tu non dovresti essere a preparare la tua roba?” disse, guardando Ron con le sopracciglia inarcate.
“Cambio di programma, i miei passano il Natale da mio fratello Charlie, in Romania. Resto ad Hogwarts.”
“Oh,” esalò la ragazzina. “Be’, almeno potrai aiutare Harry a cercare in biblioteca.”
I due ragazzini la guardarono con gli occhi sgranati.
“Ma abbiamo già cercato centinaia di volte!” gemette Ron.
Gli occhi di Hermione brillarono. “Non nel Reparto Proibito. Buon Natale ragazzi!” e detto questo, dette loro le spalle e se ne andò via.
Ron ed Harry guardarono increduli la sua schiena mentre s’allontanava.
“Abbiamo avuto una pessima influenza su di lei.”
 
Ron, Harry, Neville, Luna e Ginny stavano seguendo Hermione lungo il ponte sospeso, guardandola con aria confusa.
“È piuttosto eccitante, no? Infrangere le regole,” disse, voltandosi verso di loro e sorridendo.
Ron la guardò,, inarcando le sopracciglia.
“Chi sei tu e cosa ne hai fatto di Hermione Granger?”
Hermione sorrise.
 
Ron sbatté le palpebre, spostando lo sguardo su Hermione che adesso stava ridendo per una cosa che aveva detto Christopher.
“Ehm, io vado a prendere qualcosa al bar,” disse e si allontanò dal tavolo, sotto lo sguardo rammaricato di sua sorella e del suo migliore amico.
Si appoggiò al bancone con i gomiti, sospirando, e guardò di sbieco la ragazza che serviva da bere.
“Posso fare qualcosa per te?” domandò lei, andando verso di lui.
Era una ragazza piuttosto carina, con un caschetto di capelli neri e mossi, un paio di brillanti occhi blu e le gote rosee, probabilmente arrossate dal caldo che c’era nel locale.
“Un bicchiere di Whisky Incendiario, grazie.”
La ragazza gli sorrise, versando la bevanda ambrata in un bicchiere ed appoggiandoglielo sotto al naso.
“È davvero così brutto quello che ti è successo?”
Ron scrollò le spalle, buttando giù un sorso di whisky che gli fece bruciare la gola.
Fece per rispondere, ma una voce alle sue spalle lo zittì.
“Una burrobirra.”
La ragazza al di là del bancone si affaccendò tra bottiglie e bicchieri e porse la bevanda ad Hermione che, intanto, si era seduta su uno degli alti sgabelli accanto a Ron.
“Perché non siamo più amici, Hermione?”
Hermione buttò giù un sorso di burrobirra ed abbassò lo sguardo.
“Ron, io…” sospirò, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Voglio dire, perché non potevamo rimanere amici e basta?”
“Perché io ero innamorata di te,” disse, arrossendo. “Non potevo essere tua amica e basta.”
Ron appoggiò il bicchiere sul piano del bancone e si voltò verso Hermione. La ragazza stava guardando la schiuma della burrobirra che, pian piano perdeva volume. Le afferrò un polso e la fece voltare verso di lui.
“E ora?” domandò. “Ora possiamo essere amici?”
Hermione si mordicchiò un labbro, osservando la grande mano di Ron avvolta attorno al suo polso.
“Hermione, per favore.”
La voce di Ron le penetrò fin sotto la pelle, facendola rabbrividire. Lo guardò negli occhi e, come accadeva quando erano solo dei ragazzini, si perse per un attimo, ritrovandosi ad annuire.
“Sì, adesso possiamo essere amici.”
Ron sorrise e la guardò mentre tornava verso il tavolo dagli altri.
 
I corridoi di Hogwarts erano deserti, riempiti solo del rumore dei passi di tre giovani studenti di Grifondoro.
“Sei stata davvero gentile a difenderci con la McGranitt, grazie,” disse Harry, guardando verso Hermione.
“Non dimentichiamoci che siamo stati noia salvarla, ce lo doveva,” ribatté Ron ed Harry lo guardò male, mentre il volto di Hermione si oscurava.
“Non dimentichiamoci che non avremmo dovuto salvarla se tu non l’avessi insultata,” ribatté Harry.
Ron allora sorrise, girandosi verso Hermione.
“E uno che amico è sennò!” *


*Questo flashback s'ispira ad una delle scene tagliate da Harry Potter e la Pietra Filosofale e si colloca immediatamente dopo lo scontro con il Troll nel bagno delle ragazze. 

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Capitolo 10
*** Capitolo X ***


Ron sospirò, appoggiandosi sulle gambe il panino che si era preparato quella mattina.
“Eccomi, eccomi!” una trafelata Hermione si dirigeva correndo verso di lui, una bottiglietta d’acqua in una mano e dei tramezzini confezionati nell’altra. “Scusami, dovevo finire di compilare delle pratiche urgenti.”
Ron scrollò le spalle, facendo posto ad Hermione sulla panchina.
La ragazza si sedé con un sorriso, massaggiandosi le caviglie doloranti a causa dei tacchi.
Ron la osservò mentre si rassettava i capelli scompigliati, imprecando contro i ciuffi arricciolati che non ne volevano sapere di stare dove diceva lei.
Quando finalmente si rilassò contro lo schienale di legno della panchina, iniziò a scartare il suo pranzo, spostando lo sguardo su Ron.
“Che c’è? Ho qualcosa di strano addosso?” disse, avendo sorpreso il ragazzo a guardarla. Ron si affrettò a scuotere il capo, srotolando il proprio panino dal fazzoletto nel quale l’aveva avvolto.
“Sei silenzioso oggi, è successo qualcosa?” domandò Hermione dopo diversi minuti di silenzio in cui Ron non aveva fatto altro se non divorare quasi con violenza il proprio panino.
“No, sono solo stanco, Harry e Ginny non mi fanno dormire molto la notte, sai…” rispose, arrossendo sulle orecchie.
Hermione scoppiò a ridere, appoggiando la confezione ormai vuota dei suoi tramezzini sulla panchina.
Ron la guardò inarcando un sopracciglio.
“Scusa,” ridacchiò la ragazza, portando una mano davanti alla bocca. “È solo che sei buffo.”
“Buffo?”
Hermione annuì, continuando a ridacchiare tra sé.
 “Sì, sai, quando arrossisci. Sei buffo.”
Ron cercò di seguire lo sguardo della ragazza che, automaticamente, era andato alle sue orecchie.
“Oh, dici per le orecchie?”
Hermione annuì, appoggiando una mano sulla pancia, dolorante a causa delle risate.
“Il rosso ti dona però,” aggiunse, con una risatina.
Ron alzò gli occhi sui ciuffi rossi che gli ricadevano sulla fronte e la guardò inarcando le sopracciglia.
“Meno male, pensa cosa sarebbe successo se fosse stato il contrario. Sarei stato carino quanto Malfoy con i capelli rosa.”
Hermione scoppiò a ridere, figurandosi un Malfoy arrabbiatissimo che, per qualche scherzo del destino, si era ritrovato la capigliatura tinta di un bel rosa acceso.
Le risate di Hermione riempirono il silenzio del parco per diversi minuti, nei quali Ron si concesse il lusso di osservarla di sottecchi, soffermandosi sulle fossette che le si formavano sulle guance o sugli zigomi arrossati.
 
Ron sbuffò, trascinando una pila di libri tra le braccia. La professoressa McGranitt gli aveva detto che se non avesse provveduto immediatamente ad alzare la sua media in Trasfigurazione non avrebbe mai passato gli esami finali e, tra la ramanzina della professoressa e le innumerevoli urla di Hermione, si era convinto – o meglio, si era ritrovato costretto – ad andare in biblioteca per studiare.
Un altro sbuffo sfuggì dalle labbra del ragazzo che, annoiato, camminava tra gli scaffali zeppi di libri.
Troppo distratto ad imprecare contro i quattro fondatori di Hogwarts, non notò una mattonella un po’ rialzata rispetto alle altre e inciampò, facendo cadere i libri a terra con un gran fracasso.
Per qualche minuto nell’aria risuonò solo il rumore fatto dai libri che cozzavano contro il pavimento, ma Ron non se ne curò più di tanto. Il suo sguardo era stato catturato da Hermione che, seduta ad uno dei tavolini, leggeva attentamente un alto tomo dalle pagine ingiallite.
La caduta dei libri non l’aveva distratta dalla sua lettura e lei, imperterrita, continuava a scorrere ogni riga con le sopracciglia inarcate; ogni tanto si portava i capelli dietro le orecchie, sbuffando.
Poi, dopo aver voltato qualche pagina, le scappò un sorriso, evidentemente soddisfatta per aver trovato ciò che cercava.
Era così carina in quel momento, con le labbra inarcate all’insù, le fossette sulle guance e la luce del sole che tramontava addosso, che Ron non si sognò minimamente di spostare gli occhi da lei per rialzarsi, raccattare i suoi libri e fare in modo che Madama Pince non si accorgesse che era stato lui a disturbare la quiete della biblioteca.
 
“Merlino,” ridacchiò Hermione, alzandosi. “Sarà meglio che vada, ho ancora un sacco di documenti da sistemare.”
Ron annuì, guardandola mentre si ricomponeva. “Ci vediamo domani?”
Hermione sorrise e annuì, allontanandosi dalla panchina.
Il ragazzo rimase a guardarla andare via e poi sospirò, passandosi una mano tra i capelli.
 
La porta sbatté alle spalle di Ron ed il rumore rimbalzò tra le pareti.
Harry era rimasto inchiodato a lavoro a causa di una riunione e Ginny doveva allenarsi quella sera.
Con un sospiro, si diresse a passo spedito in camera sua, buttandosi sul letto.
Si appoggiò le mani sugli occhi e sbuffò.
Ormai erano diversi mesi che lui ed Hermione avevano ricominciato a frequentarsi come amici e mano a mano che il tempo passava ricordava sempre più cose. In ogni parola, ogni gesto, ogni sorriso che Hermione faceva c’era un ricordo.
Tutti quei ricordi che negli anni aveva cercato o sperato di trovare, adesso si presentavano davanti ai suoi occhi così chiari da sembrare che fossero sempre stati lì.
In un certo senso, Ron aveva come la sensazione che si fossero presi gioco di lui.
Sospirò, allontanando le mani dal viso e chiudendo gli occhi.
 
“Non sarai da sola, Hermione. Ti aiuterò io!”
Hermione lo guardò con gli occhi velati di lacrime e, esalando un ‘Oh, Ron’, si gettò tra le sue braccia, strofinando il volto nell’incavo del suo collo.
 
“Hermione, sei la persona più straordinaria che io abbia mai conosciuto, e se sarò di nuovo sgarbato…”
Hermione si sedé sul divano, guardando Ron di sottecchi. “Saprò che sei tornato in te.”
 
L’infermeria era silenziosa quando la McGranitt li precedé all’interno della stanza. Scambiò un paio di parole con Madama Chips e poi permise loro di entrare.
Quando Ron ed Harry furono in grado di vedere il motivo per cui la partita di Quidditch era stata sospesa, nonché il motivo per cui si trovavano lì, il cuore di Ron mancò un battito.
“Hermione!” gemette, osservando il corpo pietrificato della ragazza steso su uno dei lettini.
 
“Tranquillo, possiamo sistemarlo,” disse Hermione, prendendogli la pergamena dalle mani e tirando fuori la bacchetta.
Ron si rilassò contro lo schienale della poltrona. “Ti amo Hermione.”
 
Hermione lo guardava con rabbia, le braccia incrociate al petto e le sopracciglia inarcate.
“E cosa ho detto esattamente, posso saperlo?”
Ron deglutì, continuando a tenere una mano pressata contro il proprio petto e l’altra, che conteneva l’Horcrux distrutto, ciondoloni lungo il fianco.
“Il mio nome. Solo il mio nome. Come un bisbiglio.”
 
Hermione avanzò verso di lui in Sala Grande, guardandolo con le gote arrossate ed una strana luce negli occhi.
“Buona fortuna, Ron.”
Alzandosi sulle punte dei piedi gli scoccò un timido bacio sulla guancia e, imbarazzata, tornò a sedersi tra i Grifondoro.
Ron rimase immobile per qualche secondo nel bel mezzo della Sala Grande, gli occhi sbarrati ed una mano appoggiata sulla guancia appena baciatagli da Hermione, come per accertarsi che non era stato tutto un sogno.
 
“Dobbiamo farli fuggire, non possiamo chiedergli di combattere per noi. Non vogliamo altri Dobby, no?”
Il fracasso provocato dalle zanne di basilisco che caddero dalle braccia di Hermione, si mischiò ai rumori della guerra. Ma Ron non fece in tempo a capire cosa fosse successo esattamente, che si ritrovò Hermione addosso, incollata alle sue labbra.
Non ci mise molto a lanciare il manico di scopa e le zanne che teneva in mano per avvolgerle la vita e stringerla a sé, premendo le sue labbra più forte contro quelle della ragazza, approfondendo il bacio, assaporando finalmente quella bocca che aveva desiderato per fin troppo tempo.
“Vi sembra il momento?!” gemette Harry.
Se Ron avesse avuto la forza di separarsi dalle labbra di Hermione gli avrebbe detto che, sì, era proprio il momento.
 
Ron spalancò le palpebre, annaspando. Sentì la porta di casa sbattere ed i passi di Harry sul pavimento.
Con uno scatto di reni balzò giù dal letto, i ricordi che ancora gli vorticavano in testa, e si precipitò nell’ingresso, dove il suo migliore amico stava appendendo il cappotto all’attaccapanni.
“Ron,” disse, alzando gli occhi su di lui. “Che è successo? Sembri stravolto.”
Ron prese un respiro profondo e guardò Harry diritto negli occhi.
“Mi ricordo, Harry,” disse. “Mi ricordo tutto.”

-
Salve a tutti! :)
E' un po' che non mi faccio sentire, anche se ho continuato a postare i capitoli, non ho più lasciato commenti. Mi dispiace tanto :(
Comunque, ci tenevo a ringraziare le cinquantatré persone che seguono questa storia e tutte le altre che l'hanno recensita o solamente letta. Grazie davvero. 
Ormai mancano solo un paio di capitoli alla fine e spero che non vi deluda!
A presto, 
Emily. 

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Capitolo 11
*** Capitolo XI ***


Harry si sedé sul divano con una tazza di tè fumante tra le mani, gli occhi puntati su Ron che, ancora un po’ pallido, se ne stava seduto sulla poltrona.
“Okay, spiegami di nuovo cos’è successo esattamente.”
Ron sospirò, passandosi una mano tra i capelli, inumiditi dal sudore.
“Ho sognato,” disse, per l’ennesima volta. “Ho sognato Hermione. Ho sognato tutto quello che prima non mi ricordavo.”
Harry sbatté le palpebre.
“Quindi, ti ricordi di Hogwarts, della guerra, ti ricordi di-“
“Di tutto,” lo interruppe Ron.
“Va bene, proviamo,” esordì Harry, appoggiando la tazza sul basso tavolino davanti al divano. “Cos’è successo ad Hermione durante il nostro secondo anno?”
“Intendi quando è stata pietrificata o quando è diventata un gatto?”
Harry lo guardò sgranando gli occhi, incredulo.
“Merlino, te lo ricordi davvero!”
Ron sorrise, mettendo su un’espressione tronfia. Nessuno più di lui era sorpreso da quella situazione, ormai si era quasi rassegnato al fatto che tante cose non le avrebbe ricordate mai. Ed essere lì, in quel momento, con tutta la sua vita ben chiara nella mente era qualcosa che lo lasciava senza fiato.
Harry gli fece ancora qualche domanda finché, con un grande sorriso, si avvicinò a lui e gli batté una pacca sulla spalla.
“Bentornato, amico.”
Anche Ron gli sorrise. “Grazie.”
“Cosa pensi di fare adesso?” disse dopo un po’ Harry, tornando a sorseggiare il suo tè. Ron inarcò le sopraciglia. “Con Hermione.”
“Oh,” sospirò, passandosi una mano tra i capelli. Poi puntò lo sguardo in quello di Harry. “Sono stato un imbecille per sette anni-”
“Dieci,” lo corresse Harry, con un sorrisetto.
Ron ricambiò il sorriso. “Giusto, sono stato un imbecille per dieci anni, ma adesso…adesso vado a riprendermela.”
Harry sorrise. “È bello riaverti finalmente tra noi.”
 
Hermione era seduta con le gambe accavallate sulla solita panchina nel parco, una confezione di tramezzini ed una bottiglia d’acqua minerale appoggiati sulle gambe, e l’aria pensierosa.
“Ciao.”
La ragazza si riscosse, alzando gli occhi sul ragazzo dai capelli rossi che la guardava sorridendo.
“Ciao a te.”
Il sorriso di Ron si allargò e si sedette accanto a lei. C’era qualcosa di diverso in lui, nei suoi occhi, nel suo sorriso.
“Tutto bene?” domandò il ragazzo, notando lo sguardo assorto di Hermione. Lei annuì, scartando il suo pranzo come ogni giorno. “Senti,” iniziò Ron, arrossendo lievemente sulle orecchie, “io dovrei parlarti di una cosa.”
Hermione si voltò verso di lui, regalandogli un sorriso di quelli che ad Hogwarts gli facevano perdere la testa. Non che adesso fosse il contrario. “Dimmi.”
Ron sospirò, passandosi una mano tra i capelli. Quando si voltò verso di lei, Hermione notò per la prima volta dopo tanti mesi che portava al collo il vecchio anello che le aveva regalato ai tempi della scuola, poco dopo l’incidente.
“L’hai tenuto,” disse, allungando una mano e sfiorando il semplice articolo di bigiotteria appeso al collo di Ron.
Lui arrossì un po’ di più, annuendo. Con un sospiro, portò le mani dietro al collo e slegò la collana, porgendola ad Hermione.
“Decisi di regalartelo perché mi ricordava una certa pallina di luce,” disse, sorridendo, con lo sguardo rivolto all’orizzonte. “Be’, allora non sapevo perché mi attirasse tanto.”
Hermione lo guardò sbattendo le palpebre, incredula.
“Tu…tu te lo ricordi?” balbettò.
Ron annuì. “E mi ricordo anche dei tuoi schiaffi, se è per quello.”
Hermione ridacchiò. “Te li sei meritati.”
“Sì, me li sono proprio meritati.”
La ragazza si rigirò l’anello tra le dita, osservandolo con nostalgia.
“Io mi ricordo di te, Hermione,” disse Ron all’improvviso.
Hermione si fermò, mantenendo lo sguardo fisso sulla collana che teneva in mano.
“Davvero?” soffiò.
“Davvero.”
Avrebbe voluto sorridergli e abbracciarlo e dirgli che, come suo solito, ci aveva messo una vita, ma l’unica cosa che fece fu incurvare le labbra in un piccolo sorriso, senza alzare gli occhi su di lui.
“Sono felice per te.”
Ron si voltò di scatto verso di lei.
“Non hai altro da dire?” disse.
“Vorrei,” rispose Hermione, ancora con lo sguardo basso. A dire la verità ce l’avrebbe avuto altro da dire, ma non poteva dirlo. Non poteva dirlo perché aveva imparato a vivere senza di lui, si era rassegnata ad una vita senza Ron, e lui non poteva spuntare da un giorno all’altro e dirle che, dopo tre maledetti anni, si era finalmente ricordato di lei. Non poteva farlo e basta.
“Miseriaccia, Hermione, ti dico che mi ricordo di te e tu mi dici che sei felice per me!?” sbottò, alzandosi di scatto in piedi.
Hermione si lasciò scappare una risatina. “Sei tornato davvero, allora.”
Ron si piegò sulle ginocchia, acciuffando lo sguardo della ragazza.
“Certo che sono tornato,” rispose. “Sono tornato da te.”
La ragazza alzò finalmente lo sguardo su lui, rammaricata.
“Ron, io…” improvvisamente le sue guance si accesero di rosso ed i suoi occhi lo guardarono con rabbia. “Tu non puoi piombare qui dopo tre anni e dirmi che sei tornato per me! Io ho una vita adesso ed un ragazzo, chi ti credi di essere per poter sconvolgere tutto? Pensi che tutto questo basti per rimettere a posto le cose?”
Ron abbassò lo sguardo.
“Be’, non basta, Ron!” continuò Hermione. “Sono stata così male, io…” si alzò, afferrando il suo pranzo. “Io dovrei andare adesso.”
“Hermione, ti prego, lascia solo che-“
“Non farlo Ron,” disse, guardandolo con gli occhi velati. “Non rendere le cose più difficili.”
Il ragazzo abbassò lo sguardo, sospirando.
“Mi dispiace.”
“Anche a me.”
 
Hermione si chiuse la porta di casa alle spalle, appoggiandovisi contro con un sospiro.
Dopo l’incontro con Ron al parco era passata in ufficio per dire che non si sentiva molto bene e si era fiondata subito a casa.
Si sfilò le scarpe con i tacchi e le lasciò nel corridoio d’ingresso, dirigendosi a passo spedito verso la propria stanza da letto. Aprì il cassetto del comò e sollevò il doppio fondo, scrutando un vecchio libretto impolverato. Mordendosi un labbro l’afferrò, ritirandolo fuori dopo tanto tempo.
Iniziò a sfogliarne le pagine, ripercorrendo, foto dopo foto, il periodo trascorso ad Hogwarts, le estati alla Tana, il Natale passato a Grimmauld Place – quando ancora era il quartier generale dell’Ordine della Fenice. Le scappò una lacrima pensando che, finalmente, Ron aveva ricordato tutto. Finalmente aveva ricordato lei.
Sospirò, strofinando il dorso della mano sulle guance inumidite e riponendo l’album nel doppio fondo del cassetto.
Aveva appena chiuso il cassetto del comò quando, inaspettatamente, il campanello iniziò a trillare.

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Capitolo 12
*** Capitolo XII ***


Saalve! :) 
Dopo una settimana passata nella mia amata Londra (*-*) eccomi qua con l'ultimo capitolo!
In realtà questo sarebbe dovuto essere il penultimo però, dopo aver notato che era un capitolo davvero troppo corto (una pagina e mezzo scarsa... -.-) ho deciso di unirlo all'ultimo. Perciò: la storia è finita gente!
Ringrazio di cuore tutti coloro che hanno seguito questa storia, chi l'ha recensita e chi l'ha solo letta. Davvero mille, mille grazie! :)
Mi farebbe davvero molto piacere sapere cosa ne pensate di questo capitolo, dato che non mi convince al massimo. Di nuovo grazie a tutti, 
Emily. 





-
Quando Harry tornò in ufficio, trovò Ron seduto dietro alla propria scrivania, con gli occhi fissi su alcuni documenti.
“Allora?” disse, guardandolo.
Ron non rispose, continuando a guardare i documenti sparsi sulla scrivania con aria triste.
“Merlino, Ron, ti hanno mangiato la lingua?” ridacchiò Harry.
“Gliel’ho detto.”
Harry lo guardò, esortandolo a fornirgli i dettagli della cosa, ma Ron non accennava a voler parlare.
“Non può essere andata così male.”
Finalmente Ron alzò lo sguardo, guardandolo con le sopracciglia inarcate.
“O forse sì.”
Ron sbuffò, passandosi le mani tra i capelli.
“Ha iniziato a blaterare che ora sta con Christopher, che è meglio così e un sacco di altre cose stupide,” disse, frustrato. “Cosa devo fare, Harry?”
Harry sospirò, sistemandosi gli occhiali.
“Be’, il vecchio Ron non si sarebbe fatto scaricare. Piuttosto avrebbe preso a pugni il Viktor Krum di turno pur di riavere Hermione.”
Ron lo guardò senza capire.
“Ma io sono il vecchio Ron.”
Harry fece un sorrisetto. “Appunto.”
 
Quando Hermione aprì la porta, si ritrovò davanti un Ron trafelato con le guance arrossate a causa della corsa.
“Ron, ch-che ci fai qui?” balbettò.
Ron la sorpassò, avanzando all’interno dell’appartamento.
“Non me ne frega un accidente di Christopher, Hermione,” disse, guardandola negli occhi.
La ragazza lo guardò, alzando il mento e gonfiando il petto.
“Be’, a me importa,” ribatté, piccata.
E Ron sorrise, perché quella sua aria inviperita gli era mancata così tanto.
“Mi sei mancata da morire,”
Hermione arrossì, ma non demorse.
“Ron, io sto con Christopher.”
Ron si avvicinò di un passo ed Hermione arretrò.
“Non puoi comportarti così,” continuò la ragazza. “Non puoi farlo!”
Ron si avvicinò di un altro passo ancora ed Hermione si trovò con le spalle contro la porta d’ingresso ed il respiro affannato.
“Eppure sono qui, Hermione. Ed ho una paura del diavolo, ma sono qui comunque.” Deglutì, passandosi una mano tra i capelli. “Lo sai che non sono bravo con le parole, ma io-“
Hermione chiuse gli occhi, strizzando forte le palpebre.
“Ti prego, non farmi questo,” lo implorò. “Non sai quanto sia stata dura imparare a stare senza di te, rassegnarsi al fatto che non saresti stato mai più lo stesso, ma ci sono riuscita e tu…tu non puoi rovinare tutto!” urlò, riaprendo gli occhi. “Ho imparato a non amarti, Ron e tu non puoi mandare tutto all’aria con un paio di belle parole, non ne hai il diritto! Tu non-“
Ma Ron non seppe mai cos’altro non aveva il diritto di fare, perché quelle labbra gli erano mancate così tanto e per così tanto tempo che non era riuscito a resistere.
Sentì le mani di Hermione intrufolarsi tra i suoi capelli ed il corpo della ragazza avvicinarsi di più al suo, cozzando contro di lui. E in quel momento, con le labbra di Hermione tra le sue ed il corpo di lei così vicino ogni tassello tornò finalmente al suo posto e tutte quelle risposte che un tempo non gli erano state date gli vorticarono nella testa come se fossero state sempre lì. Tutte quelle sensazioni, che per anni aveva cercato nei soffitti delle stanze, adesso avevano un odore, un sapore, un odore, un perché.
Hermione si staccò lentamente dalla sua bocca, ansimando. “Cosa stiamo facendo?”
“Qualunque cosa sia, mi piace.”
“Non dovremmo, Ron, io…” Ron la baciò di nuovo, accarezzandole la schiena.
“Dammi un buon motivo per smettere,” le sussurrò all’orecchio. “Solo uno.”
Hermione si morse le labbra, sentendo la bocca di Ron scendere lungo il suo collo.
Ci sarebbero stati almeno dieci motivi per dirgli di smettere, almeno dieci motivi per spingerlo via e fare finta che non fosse successo niente.
Con un sospiro, Hermione afferrò il colletto della camicia di Ron e lo riportò alla propria altezza, stampandogli un lungo bacio sulle labbra mentre lui la trascinava lungo il corridoio.
Ci sarebbero stati almeno dieci motivi per dirgli di smettere, ma Hermione, in quel momento, non riuscì a trovarne neanche uno.
 
Don’t let go
I’ve  wanted this far too long
[…]
Please, show me what I’m looking for
(Show me what I'm looking for - Carolina Liar)

 
Hermione aprì gli occhi, infastidita dalla luce calda del tramonto.
Stordita, si rigirò tra le lenzuola per qualche minuto, cercando di ricostruire ciò che era successo nelle ultime ore. Solo quando le sue mani incontrarono il calore della parte sinistra del letto, Hermione fu in grado di ricordare ciò che era successo.
Avvampando, si strinse forte il lenzuolo contro il corpo, non osando guardare al proprio fianco dove, sicuramente, fino a pochi minuti prima c’era stato qualcuno.
“Finalmente ti sei svegliata.”
Hermione raggelò, sentendo la voce di Christopher raggiungerla dalla soglia della stanza.
Nella sua vita, Hermione Granger era sempre stata preparata ad un sacco di cose, ma non le era mai capitato di essere stata scorretta con qualcuno – e non riusciva proprio a credere che, come al solito, lui l’avesse portata sulla cattiva strada – quindi non aveva proprio idea di come comportarsi a riguardo.
“C-Chris,” balbettò, fissando il soffitto, “quando sei arrivato?”
Christopher abbozzò un sorriso, appoggiando la spalla allo stipite della porta.
Aveva incontrato Hermione una mattina di pioggia di due anni prima quando lei, inavvertitamente, gli aveva versato del caffè su una camicia appena comprata.
Si erano conosciuti in maniera un po’ banale, in effetti, ma dopo averlo inzuppato di caffeina, Hermione si era offerta di pagargli il pranzo ed avevano mangiato insieme a bar babbano vicino al Ministero, parlando di Hogwarts e dei loro interessi.
Hermione si era rivelata una piacevole conversatrice ed una ragazza davvero intelligente e carina e per Christopher era stato quasi naturale, se non ovvio, innamorarsi di lei.
Ma, nonostante tutto l’amore che Hermione gli avesse dato, lui sapeva che un giorno sarebbe arrivato il misterioso ragazzo dai capelli rossi che era ritratto in tutte le foto che Hermione nascondeva nel cassetto del comò e sapeva che, quando ciò fosse accaduto, inesorabilmente, Hermione sarebbe tornata da lui.
Lo sapeva e l’aveva accettato.
Per questo la guardava dalla soglia della stanza con un sorriso sulle labbra, senza rancore o disprezzo. La guardava con rassegnazione, la stessa che aveva rivolto a Ron quando lei glielo aveva presentato. Ecco, aveva pensato, quando il ragazzo dai capelli rossi era spuntato fuori dalla folla, ci siamo.
“Dopo che lui è andato via.”
Hermione si sentì avvampare e, timidamente, voltò lo sguardo verso Christopher.
“Chris, io…mi dispiace davvero tanto.”
Se fosse potuta scomparire, Hermione l’avrebbe fatto volentieri.
Non era da lei avere comportamenti così immaturi ed irrazionali e, soprattutto, non era da lei tradire la fiducia delle persone che le volevano bene; per questo non riusciva a guardare Christopher negli occhi, faceva troppo male.
“Non devi dispiacerti,” rispose il ragazzo, rimanendo sulla porta. “In fondo, sapevo che alla fine sarebbe successo.”
Hermione inarcò le sopracciglia, confusa.
“Cosa intendi dire?”
“Intendo dire che sei stata tentata di aprire il cassetto del tuo comodino per anni e io sapevo che, prima o poi, l’avresti aperto e allora sarebbe finito tutto.”
Gli occhi di Hermione s’inumidirono.
“Sapevi dell’album di fotografie?” non sembrava una domanda, ma Christopher annuì comunque.
“Ci ho anche dato una sbirciatina, se devo essere sincero,” ridacchiò, ripensando a quando aveva aperto di nascosto il comodino di Hermione e aveva finalmente sfogliato il misterioso oggetto dei suoi tormenti: un comunissimo album di fotografie piene di immagini in movimento che immortalavano i momenti della sua adolescenza.
“Io sto con te adesso, posso…posso…”
Christopher sorrise, scuotendo il capo.
“No,” disse. “Sapevo che lui sarebbe tornato e che tu saresti tornata da lui, ero preparato. Ti ho avuta per un po’ e questo mi basta. Tu però adesso ti vestirai e andrai da lui, io non ti parlerò per un paio di mesi perché ho una dignità da difendere ed un ego sgonfiato da rigonfiare e poi tutto tornerà alla normalità.”
Hermione sorrise, gli occhi lucidi e le guance arrossate.
Avrebbe voluto dirgli tante altre cose che, per una ragione o per l’altra, in quel momento non riusciva a dire.
“Grazie,” biascicò.
Forse Christopher aveva ragione, anche lei, nel profondo del suo cuore, aveva sempre saputo che prima o poi Ron sarebbe tornato e che, inevitabilmente, lei sarebbe tornata da lui.
“È meglio che vada, adesso,” disse il ragazzo. “Ci vediamo in giro,” le fece un cenno con la mano e poi le dette le spalle.
Percorse il corridoio a grandi passi e, dopo aver lasciato la sua copia delle chiavi dell’appartamento di Hermione sul tavolo della cucina, si chiuse la porta d’ingresso alle spalle.
Quando fu fuori rilasciò un sospiro e sentì qualcosa di fastidioso pungergli gli occhi. Li stropicciò in fretta e si avviò verso le scale.
Prima di scendere dette un ultimo sguardo al numero venti attaccato alla porta di Hermione.
Sospirò: era preparato, ma faceva male lo stesso.
 
Ron sbadigliò, buttandosi malamente a sedere sul divano.
Quando la serratura della porta scattò ed il volto occhialuto di Harry fece capolino nell’ingresso, sua sorella Ginny saettò fuori dalla cucina e, in un battito di ciglia, si buttò tra le braccia del ragazzo, baciandolo sulla bocca.
Ron, il quale aveva seguito tutta la scena dal divano, grugnì, borbottando tra sé che certe cose avrebbero dovuto tenersele per sé, perché lui non aveva proprio intenzione di assistere alla procreazione dei propri eventuali nipoti.
“Com’è andata con Hermione?” domandò Harry che, liberatosi dalla stretta di Ginny, lo stava raggiungendo in salotto.
Ron alzò le spalle.
“Non so se si possa definire una buona riuscita,” disse, ripensando al loro incontro.
Certo, erano stati a letto insieme, e se sul momento quella gli era sembrata davvero una grande riuscita, poi era stato costretto a pensare che quello non voleva necessariamente dire che Hermione era ancora innamorata di lui e che aveva deciso di lasciare quel suo fidanzato superperfetto.
Harry abbozzò un sorriso e gli batté una pacca sulla spalla.
“Vedrai, presto o tardi tutto tornerà al suo posto,” disse, allontanandosi verso il piano superiore per fare una doccia.
Ron rimase in silenzio qualche secondo poi, sporgendo la testa verso le scale, gli disse. “Dire queste frasi filosofiche non ti renderà fico come Silente.”
Harry sorrise, scuotendo il capo, e sparì al piano superiore.
Con un sospiro, Ron tornò ad appoggiare la testa sui cuscini del divano. Stava quasi per addormentarsi quando, inaspettatamente, qualcuno bussò alla porta.
“Ron! Puoi aprire tu?”
Ron grugnì, alzandosi di malavoglia dal divano e dirigendosi verso l’ingresso.
Quando spalancò la porta qualsiasi imprecazione contro chi aveva disturbato il nascere del suo pisolino serale gli morì in gola, o meglio, morì negli occhi scuri e umidi di Hermione.
“Hermione, cosa ci fai qui?”
La ragazza non rispose, si limitò a fare qualche passo avanti, sorpassando la soglia.
“È successo qualcosa? Stai bene?”
Hermione annuì. Rimase in silenzio per qualche minuto poi, come mossa da una furia improvvisa, iniziò a prendere a pugni ogni parte di Ron che le capitava a tiro.
“Sei un grandissimo idiota!” gli urlò, colpendolo. “Proprio il più stupido idiota che abbia mai conosciuto!”
Ron indietreggiò, cercando di schivare i colpi della ragazza.
“Questa l’ho già sentita,” borbottò, coprendosi il viso.
“Sei così enormemente stupido e insensibile e infantile e…e non so cos’altro dire per offenderti!” continuò ad urlare Hermione, colpendolo sempre più forte. “Piombi qui dopo tre anni e ti aspetti anche che io…che io…oh, vai al diavolo!”
Finalmente, dopo minuti di lotta – durante i quali Ginny si era varie volte affacciata dalla cucina con un sorrisetto – Ron riuscì ad afferrare i polsi della ragazza, mettendo fine alla sua scarica di colpi.
“Mi spieghi che cosa ho fatto questa volta?”
Hermione lo guardò in cagnesco.
“E me lo chiedi anche?!” esclamò. “Sei piombato a casa mia e hai…hai…”
Entrambi arrossirono e la frase di Hermione rimase sospesa nel silenzio, incompleta.
“Mi dispiace,” sussurrò Ron ed Hermione abbassò lo sguardo. “Mi dispiace davvero tantissimo.”
Le lasciò le braccia ed arretrò di qualche passo.
“Non sarei dovuto venire a casa tua e non avrei dovuto insistere, ma lo sai che sono impulsivo e faccio un sacco di stupidaggini, però ora me ne vado di sopra e me ne sto buono buono in camera mia, così tu puoi parlare con Ginny e-“
Gli occhi di Ron si abbassarono sulla mano di Hermione che, timidamente, aveva afferrato il suo braccio.
“Non andare,” disse, tenendo lo sguardo basso. “Non te ne andare mai più. Già una volta hai promesso che non l’avresti più fatto e invece è successo di nuovo. Ma ti giuro che se te ne vai ancora è la volta buona che ti ammazzo Ronald!”
Ron sbatté le palpebre, avvicinandosi a lei di qualche passo.
“Sarebbe a dire che mi perdoni?”
Hermione alzò lo sguardo su di lui.
“Può darsi…”
Ron sorrise, avvicinandosi al volto di Hermione.
“Sai, mi è appena tornata in mente una cosa che diceva sempre Luna.”
Hermione sospirò, allacciandogli le braccia attorno al collo.
“E sarebbe?”
“Diceva sempre che le cose a cui teniamo di più trovano sempre il modo di tornare da noi,” disse.
La ragazza sorrise, ad un passo dalle labbra di Ron.
“Per una volta, direi che Luna aveva proprio ragione.”
 
“Dici che dobbiamo avvertirli che è pronta la cena?” domandò Harry alla sua fidanzata, sbirciando Ron e Hermione che si baciavano in corridoio.
Ginny sospirò, appoggiando una ciotola piena di passato di zucca sul tavolo.
“No, non credo che gli interessi la cena, al momento. Forza, vieni a tavola.”
Harry non rispose, continuando a guardare i due di nascosto.
“Non credi che Ron si offenderà se finiamo tutto il passato senza dirgli niente?”
Ginny sbuffò.
“Lascia stare, vieni a tavola e basta.”
La ragazza mise la cena nei piatti, mentre Harry, pensieroso, osservava Ron e Hermione.
“Magari anche Hermione ha voglia di mangiare del passato di zucca...”
“Merlino Harry, ma sei ancora lì?!”

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