I dolci segreti delle Ofelia

di Aphasia_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione-Con Ofelia non giocare.. ***
Capitolo 2: *** Peccati ***
Capitolo 3: *** Maleficium ***
Capitolo 4: *** 6 mesi di silenzio ***
Capitolo 5: *** Nasce un nome, Nasce un padre..nascono le difficoltà. ***
Capitolo 6: *** Doppiamente maledetto ***
Capitolo 7: *** 14 anni dopo ***
Capitolo 8: *** il resto era solo morte ***
Capitolo 9: *** accontentarsi anche nel dolore ***
Capitolo 10: *** Arrendersi ***
Capitolo 11: *** Bloccare il destino ***
Capitolo 12: *** una ferita che cura le ferite ***
Capitolo 13: *** Protezione..da cosa? ***
Capitolo 14: *** Amaramente in missione ***
Capitolo 15: *** Attimi ***
Capitolo 16: *** Lottare, lottare e ancora lottare ***
Capitolo 17: *** Inversione di ruolo ***
Capitolo 18: *** La dama bianca ***
Capitolo 19: *** Tutto ciò che resta ***



Capitolo 1
*** Prefazione-Con Ofelia non giocare.. ***


Questa è una delle prime fan fiction che ho scritto. So che è breve, forse lacunosa e banale. Ma ricordo che venne da dentro. Abbiate pietà XD Ofelia Con Ofelia non giocare se la morte vuoi ingannare
Guarda la luna, guarda quel viola amor mio,
è il colore del tuo destino.


La frase riluceva incisa nel medaglione dorato. Il collo della donna era morbido e caldo, e la testa dell'uomo vi riposava con assoluta tranquillità. Era tutto perfetto, l'abito della donna, lo smoking dell'uomo, il loro amore.. Nente poteva andare storto, nemmeno piccoli imprevisti come la timidezza di lei o la sfrontatezza di lui. Era tutto così magneticamente perfetto, come se le disgrazie fossero automaticamente respinte via dalla forza romantica di quella stessa serata.
Il vecchio dice che devo farlo, non posso! Non posso! pensò la donna mordendosi il labbro rosso bagnato di lacrime.
Lo sai cosa succede se non lo fai! E' il tuo destino, Fallo! Fallo! FALLO!
Le lacrime aumentarono di frequenza e volume, sempre di più, sempre più amare, sempre più calde, sempre più ruvide cancellavano la perfezione del trucco della donna. Perchè stavano rovinando un momento tanto perfetto? Ma in realtà era la nascita di quella precisa donna che stavano rovinando quella perfezione, era stata la luna a rovinare tutto. Una nascita dovrebbe rendere felici, una nascita non si dimentica, è qualcosa di..normale. Ma non c'era niente di normale nella luna, quella sera.
E non doveva essere normale, aveva un obiettivo: Ofelia.
La seta dei guanti era così morbida nel cingere il viso dell'uomo, il suo sguardo innamorato inebriava di dolcezza, sapeva di eternità e vero amore..
un sapore che la donna non avrebbe mai assaggiato, e nemmeno quell'uomo, mai più.
"Guardami amore mio.." sussurrò la donna dolce, si, dolce..Come mi ha insegnato lui...
L'uomo non urlò, chiuse gli occhi come se dovesse dormire accanto al suo amore, col sorriso beato di chi non vede l'ora di abbracciare la sua donna tra le coperte di seta rossa. Non sapeva di essere morto, aveva semplicemente chiuso gli occhi, come in un bel sogno. E in fondo era meglio così, era meglio sognare..credere di essere in un sogno eterno. Almeno li...le lune viola, non possono esistere.

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Capitolo 2
*** Peccati ***


Ma cosa è in fondo il peccato? Cosa ci può essere di così spiritualmente grave se non il peccato? Infrangere i comandamenti è roba da poco in confronto a tutto il mio passato, in confronto a tutta la mia stessa vita. Già, perchè alla fine di tutto, al confine di questa sconosciuta terra arida che fu la mia vita, ho capito che sono stato concepito come un Adamo. E' da questo inchiostro con il quale scrivo questa storia, questa lunga e triste storia, che capisco ormai che tutto ciò che mi è accaduto, che tutto ciò che go fatto persino in fondo fosse sempre stato deciso. Le Ofelia dovevano nascere, e anche se con la loro nascita la morte aveva assunto un aspetto abominevole non lo considererei un peccato. No, la gente sarebbe morta lo stesso, forse in numero estremamente minore, ma sarebbe morta. Eppure il peccato rimane, costantemente a ricordarmi che la vita che ho vissuto non l'ho vissuto invano, ma l'ho vissuto nel modo sbagliato, e non per la creazione ma piuttosto per l'orribile maleficio che aveva dato inizio a tutto, la fonte del mio peccato, una strada impervia che non avrei mai più potuto ripercorrere al contrario. E ora che faccio? Solo, vecchio, ubriaco, in fin di vita.. Scrivo! Non trovo altro modo per espiare tutte le mie colpe. Le parole sono asciutte e sconosciute da ormai anni, semplicemente un giorno..ho smesso di parlare.A un certo punto della tua vita scopri che parlare non ha più il minimo senso, che sforzare la gola fa solo male e che non vorresti che star da solo, completamente solo, senza voci e senza parole. Solo senza voce, ad ascoltare la tua vita che ti rimprovera. E tutto questo quando ormai scivolavo nell'oblio e quando ormai le Ofelia si erano estite (così credevo). Ma non si sarebbero mai estinte, Frankenstein non si liberò così facilmente del suo mostro, perchè il vero mostro era proprio lui, e con se stessi bisogna farci i conti per sempre, anche da morti. Non è così facile fare i conti con se stessi, sei l'unica persona al mondo che ti conosce davvero, e anche se tristemente, è anche l'unica di cui ti puoi veramente fidare. Amaro a dirsi tutto ciò, ma ormai la solitudine diventa addirittura piacevole, desiderata.. Cosa vuoi che sia soffrire ancora, dopo una vita di dolore? Il dolore diventa una bazzecola,e dopo umiliazioni e critiche, si impara a tacere, perchè le parole non sono un sedativo, non lo sono come il silenzio e il silezio sa ascoltare, e ascoltare e essere ascoltati è la migliore delle cure. Perciò restate pure in silenzio e ascoltate la mia triste storia. Piangete o urlate, ma sappiate che come già detto le parole non servono perchè ascoltando la mia storia riceverete le mie umiliazioni, le mie critiche, i miei dolori e li farete vostri in un certo senso. Dovete riceverli con coraggio, in silenzio, ascoltateli e capiteli...perchè almeno voi, avete una possibilità di espiazione. Io invece..ho solo una penna un foglio lungo una vita.. Visto che la verità deve uscire fuori ve la servirò con onore in una coppa dorata. Le Ofelia nacquero da un maleficio. Un maleficio nero, puro come il nero...e il bianco non poteva più esistere, e quel maleficio..lo avevo fatto io. Io, io Creatore. Non chiedetemi i meccanismi che lo fecero scaturire, lo feci e basta, lo feci perchè evidentemente doveva uscire, è nato dal mio cuore. Quel maleficio..è nato dal dolore. Ero un ventiquattrenne ingenuo, molto ingenuo ma allo stesso tempo se devo essere sincero molto ambizioso. Volevo che tutto fosse perfetto: volevo una moglie perfetta, una casa perfetta, un lavoro perfetto dove io ovviamente sarei stato il capo, dei bambini modello perfetti con le mie stesse aspirazioni. Ma, come mi sono costretto a pensare, niente dura, niente và come dovrebbe andare. Sulla donna però ci sono andato veramente vicino. Clara, era questo il suo nome, Clara Fellers ,la figlia del più grande banchiere di Chicago. Io non mi sono mai sentito degno di lei, e per la prima volta vidi che i miei progetti di perfezioni erano inquietanti. Lei era perfetta, e questo mi spaventava e eccitava allo stesso tempo. Come ripeto e ripeterò sempre ero molto ingenuo per la mia età, mi illusi che LEI, che una come lei potesse volermi quanto la volevo io. Credevo che quei sorrisi, quegli sguardi, quel toco così soavemente dolce...fosse solo mio, che fosse un segnale. Niente và come dovrebbe andare. Il padre mi denunciò per molestie, e in quegli anni, in quel malinconico 1877 nessuno era magnanimo con i molestatori. Persi tutto, persi tutto a causa di quell'illusione, lei, la strega (come usavo ormai chiamarla) mi aveva illuso,ipnotizzato con le sue arti incantatrici, e io ingenuo ragazzo, mi ero fatto adescare. Ma lei era stata crudele, sempre secondo la mia concezione del tempo, era stata crudele agitando la sua chioma nera con così tanta sensualità, era stata crudele quando mi sfiorava la guancia con i suoi guanti di seta costosi, era stata crudele quando..mi aveva respinto. Non lo superai, non ci riuscii, perchè il padre mi tolse tutto e lei non fece niente per fermarlo, lei ci godeva. Nessuno mi voleva come dipendente, come marito, chi dopotutto mi avrebbe voluto? Chi mai avrebbe assunto o sposato un molestatore? Ecco, infatti..nessuno. E tutto per quella strega! Sentivo il veleno nel palato, quello che LEi mi aveva somministrato come un serpente, attraverso un morso veloce e passionale. Era sempre stata lei la causa di tutto, la causa della mia rovina. Era evidente, non stavo più vivendo, si erano presi anche la mia vita, e non avrei accettato compromessi, o vivere con la vendetta o morire avendo vissuto invano. Perchè scelsi la vendetta? Perchè ero avvelenato ormai, e il suo veleno conteneva una piccola parte del liquore della vendetta, e fragile e malleabile come ero cedetti subito. Iniziai di nuovo a vivere quella notte, quella precisa notte della quale ricordo ogni singolo dettaglio, l'ora, l'odore dell'aria, la sensazione del rum che scende in gola, il bruciore del mio cuore, la luna piena che mi fissava piena di interrogativi. Sembrava dirmi "cosa vuoi fare?", ma se proprio avrei dovuto rispondere la luna stessa avrebbe pianto e avrebbe a sua volta detto "perchè vuoi farmi questo?" e io..io, non avrei risposto. La risposta non c'è mai stata, ma credo che ora, vecchio e morente, potrei anche darla: Perchè è così che deve essere.

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Capitolo 3
*** Maleficium ***



Quella sera, quella precisa sera, sotta quella precisa luna piena di interrogativi, la mia vita cambiò rispondendo a quelle domande. Lo facevo perchè soffrivo, lo facevo per ottenere le cose che mi avevano strappato via, lo facevo per colmare il vuoto che la sofferenza mi aveva scavato. L'unica domanda a cui non seppi rispondere era "Ma perchè farlo con tanta malvagità?". Non lo seppi mai dire, ma se dovessi ripensarci dire che ormai data la mia esperienza i cattivi si divertono decisamente di più e che essere se stessi è inutile.
Ciò che successe dopo questi brevi momenti di razionalità non so proprio come definirlo: Follia, irrazionalità, ipnosi, euforia, passione.. Non ci sono parole. Era un insieme di emozioni che il mio corpo aveva creato in standby, fuori dal mio controllo e da ogni mia concezione del buon senso, da ogni buon senso stardard. Mi sentivo come se stessi morendo e la mia anima stesse uscendo dal corpo per fare quello che le pare. Si, era proprio così. Mi vidi urlare all'improvviso. Urlai e sfogai tutto quello che c'era nel vuoto se è possibile definire così quella reazione che non conoscevo e che sicuramente non avrei mai potuto riprodurre una seconda volta, a meno che non cercassi la morte. Urlai, le vene quasi esplosero, i polmoni stranamente sopportarono, il cuore palpitava come se sfrorzo di un macchinario invisibile che lo faceva battere a velocità impressionante, urlari il mio vuoto. Un urlo di dolore, di dolore puro, il dolore della perdita..il dolore della delusione. E mentre urlavo seppi che la mia bocca si stava muovendo, perchè ne sentivo l'aria entrare e sentivo il respiro affannato che donava aria per la fonazione. Credo di aver detto qualcosa di orribile, qualcosa come "Voi avete il potere di uccidere! E così sarà!". Sono quasi sicuro ormai che con quelle parole, completai definitivamente il maleficio, completai..il mio destino
Se fossi sufficientemente esperto di questo genere di strani fenomeni paraumani forse potrei anche farvi una spiegazione, ma non so nemmeno cosa stavo facendo. Ricordo solo una luce fortissima che mi circondò, come se fosse un aura che esce dal mio corpo, e che esplose in una miriade di flutti energetici viola. Danzavano così aggraziati, su e giù, a destra e a sinistra. Mi sentivo come se mi avessero tolto un dente dolorante, e quei flutti viola ne erano la prova tangibile. Erano febbrili, come febbrile era la mia delusione, perciò fu palese il rapporto creatore-creatura. Un incantesimo così non l'avevo mai visto, nemmeno nei miei sogni più belli, quelli nei quali ti ritrovi a sorridere beato e a desiderare di non svegliarti, o di ricordare quel sogno. Non avevo mai visto energia materiale così da vicino, soprattutto se era mia. Fluttuavano sempre più in alto, sempre di più, finchè in vortice danzante..si depositarono sulla luna, coprendola, macchiandola, profanandola del suo candido argento. Avevo rovinato la luna, era orribile viola, era..inumana.
Solo dopo mi ripresi dall'ipnosi che quel maleficio aveva creato, il mio dolore per così dire, perchè era quello il vero maleficio..il dolore.
Alzando gli occhi vidi per la prima volta quella luna con gli occhi dell'uomo che ero, del ragazzo ingenuo e innamorato. Svenni e restai paralizzato per quasi un mese, fu difficile riprendermi e non avendo nemmeno la minima idea di quel che avevo fatto. Si, era stato un incubo, mi ero ubriacato per il dolore e avevo immaginato tutto quanto, succede ai ragazzi giovani sotto le pene d'amore. Per la prima volta nella mia vita avrei voluto che fosse così, che fosse tutto uno stupido incubo post alcool, ma persino i sogni deludono. Ma non era la delusione che un bambino poteva provare nel ricevere un regalo indesiderato, no era una delusione che portava conseguenze, e una delusione che porta conseguenze non è come un regalo che puoi farti cambiare al negozio, è un acquisto che non ha rimborsi, devi tenerti l'acquisto..devi accettare la perdita. E la perdita c'era stata, da quella sera..ero ufficialmente morto. Da quel 24 Luglio 1877 Eric Sean Sullivan non esisteva più, era morto in quel brutto incubo, era morto dopo aver saputo che un bambina era nata la sera di quell'incubo, una bambina molto particolare, bellissima..e con i dei strani occhi un pò viola.

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Capitolo 4
*** 6 mesi di silenzio ***


Lo avrei mai considerato come qualcosa di realmente accaduto? Poteva davvero essere successo? Affidarmi ai postumi della sbornia mi sembrava la cosa più sensata, una cosa da Eric.. Ma non potevo più ingorare il mal di gola, quello che viene quando di urla tantissimo. Non potevo ingorare i tremori, la debolezza, lo smarrimento, gli incubi notturni, gli STESSi ogni sera: la bambina mi fissava con quegli occhi orribili, nei quali si rifletteva la luna viola, mi fissava senza parlare e io sentivo solo il desiderio di ucciderla, e quando le mie mani si serravano sulla sua gola lei parlava, come se sapesse che era proprio quello il momento di parlare... diceva sempre "Grazie, padre". Mi svegliavo sempre fradicio di sudore, tremante, e non poteva più ingorarlo: Era successo. Cosa avrei fatto, dopo aver commesso una simile atrocità? E soprattutto...cosa avevo creato? Cosa significava quella bambina con gli occhi viola? C'era una connessione con la luna, questo non lo mettevo in dubbio. Ma la vera domanda era..cosa c'era di particolare in quel viola, quel viola prodotto dal mio dolore, quel viola così potente che si era applicato alla luna quella sera? Impossibile dare risposte anche minimamente scientifiche, perchè in quel caso nemmeno la scienza poteva spiegare le mie azioni e le sue conseguenze. Il sonno era diventato un optional ormai pur di non sognare la bambina, i dubbi mi assalivano insieme al senso di colpa, non stavo vivendo. La mia vita cambiò, ed è strano dirlo visto che era palesemente e radicalmente cambiata, quando il 25 Luglio 1877 lessi un notizia sul giornale, in prima pagina, e un pezzo di carta con inchiostro sopra sembrò segnare definitivamente ciò che avrei dovuto fare per il resto della mia vita, spazzando via tutti i dubbi:

Coniugi trovati morti nella propria abitazione. Neonata sopravvissuta miracolosamente!
Tragedia avvenuta la notte del 24 Luglio, si pensa ad un malore della coppia che non presenta segni di aggressione. Neonata sotto le cure dell'orfanotrofio.


Come era anche solo lontamente possibile che una neonata potesse sopravvivere? Poteva esserci stata una rapina in casa, un incendio, qualunque cosa..ma, perchè lei, così piccola e fragile era sopravvissuta? Solo dopo collegai una serie di elementi, molti inconsci, altri evidenti, elemente che componevano il puzzle del mio destino, costituendo pezzo dopo pezzo, il quadro della mia dannazione eterna. Lessi sul giornale i nomi della coppia. Primo pezzo: Erano i genitori della bambina che sapevo era nata quella sera, la chiamo così ormai non volendola rievocare. La gola mi bruciò ancora producendo una specie di scossa elettrica nel mio intuito. Si, avevo urlato, voleva ricordarmi questo la mia gola.. ma, cosa avevo urlato? Stavolta agì qualcosa di paraumano e di molto inconscio dentro di me, perchè mi trovai a sussurrare "Voi avete il potere di uccidere! E così sarà!". Secondo elemento... Uccidere, hanno il potere di uccidere, così sarà..così sarà con..quel viola. Non so se la gola mi fece male come il quell'istante, dopo l'urlo ben diverso da quello di quella sera, era un urlo di assoluta consapevolezza, consapevolezza di ciò che avevo creato, del mio abominio.. Mi operarono alla trachea e alle corde vocali, e questo fu un bene perchè rimasi completamente muto per 6 mesi. Mi fece bene stare in silenzio, a meditare, a capire. Dopo 6 mesi e svariati articoli sul giornale di misteriose morti in orfanotrofio seppi esattamente cosa dovevo fare, seppi che non potevo cancellare niente e la cosa più sensata che avrei potuto fare nel resto della mia vita, anzichè continuare a star male, a rompermi ancora la gola con le urla e a spezzare il mio cuore con il senso di colpa, era quella di riparare. Dopotutto un vaso rotto è rotto per sempre, ma i suoi pezzi li puoi ancora incollare, puoi cercare di porre rimedio anche se..i segni restano. Eppure è orribile tutto ciò, lo scopo della tua vita dovrebbe arrivare inaspettato e piacevolmente per caso, accolto come un miracolo, un idea geniale piovuta dal cielo.. Il mio era nato da 6 mesi di silenzio nella bocca e nel cuore, il mio era nato da tutto ciò che di male può essere fatto, pensato, detto. Avrei cercato quelle bambine, le avrei cresciute, le avrei addestrate, le avrei controllate e soprattutto avrei fatto in modo di..riparare, e, finalmente avrebbero potuto ringraziarmi, proprio con in quell'incubo ricorrente.
L'orfanotrofio puzzava di pegno marcio e cane bagnato, ma tutto sommato non doveva essere profumato un luogo dove oltre che ospitare, serviva anche a traumatizzare i bambini. Chiesi della bambina sopravvissuta, certo che non ci sarebbero stati dubbi sulla sua identià. La suora impallidì pur tenendo la sua posa composta da severa nutrice, non rispose subito perchè ovviamente, come tutte le suore, non si fidava di me, l'uomo vestito di nero con lo sguardo maledetto. Ma poi deve aver pensato che solo uno scellerato come me viene a chiedere di una bambina che ha senza dubbio creato già grossi problemi, e perciò mi rispose.
"Ha idea di ..cosa... sia quella bambina?" disse la suora con voce gelida.
"Non so di che stia parlando, voglio solo una bambina, sono vedovo. E voglio LEI. Voglio che non sia più solo una sopravvissuta" dissi sudando per la farsa che stavo mettendo in scena. La suora parve bersi tutto anche se la sua posa autoritaria rivelava tutti suoi sospetti.
"quella bambina è una strega, è posseduta..dal..Dem..Demonio!" disse la suora facendosi rossa in viso facendosi velocemente il segno della croce, come se ci fosse il pericolo che possedesse anche lei senza quel segno di fede.
"E se a me non interessasse?" dissi scattando e mordendomi la lingua per essere andato vicino al farmi scoprire.
La suora se ne accorse e si fece ancora più sospettosa, ma pur di liberarsi di una creatura del diavolo, come pensò, mi acconsentì di accedere alle carte dell'adozione.
"Io l'ho avvertita. Strane cose accadono quando LEI è sveglia, vigile.. La gente muore, e muore solo in sua compagnia.. Quella bambina è la giustiziera del demonio.." disse la suora in preda ad un paura sfrenata, mai vista nelle donne come lei.
"Io la voglio. Mi creda preferirei morire..ma ormai non ho scelta, ormai non la ho più.." dissi, e quella firma sui documenti sigillò per sempre il legame con il mio peccato.

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Capitolo 5
*** Nasce un nome, Nasce un padre..nascono le difficoltà. ***


Vi siete mai chiesti come effettivamente ho pensato al nome Ofelia? Questa è la domanda che mi fecero tutti, quando seppero della mia adozione. Scegliete voi: dovrò raccontarvi la storia del nome in modo banale e sbrigativo o devo forse ricrearvi la mie congetture? Penserete che sia un nome studiato ad arte da me per consacrare ciò che lei sarebbe diventata, come gli eroi delle favoli o i personaggi dei racconti dell'orrore. Ma credetemi se vi dico che l'odio che provavo per la bambina che avevo appena adottato era troppo persino per uno che doveva solo fingere di esserne il padre, e il fatto che avevo subito coperto gli occhi della bambina, (avevo infatti già intuito che usava lo sguardo visto le tracce del viola) non favoriva di certo a far credere che provassi almeno un pizzico di amore per lei. Ma per quanto mi sforzassi non ci riuscivo, era qualcosa di abominevole vederla crescere come una cieca, perchè sarebbe stata quella la sua vita, almeno finchè non fosse stata abbastanza grande da capire i miei ammonimenti, le mie istruzioni. SI, da grande le avrei insegnato come controllare i suoi poteri o almeno a usarli con giudizio, che stupido..ne ero veramente convinto. E il bello è che non avevo la minima idea di come farlo...ne sapevo quanto lei. Come avrei potuto crescerla se non sapevo nemmeno aiutarla? Che razza di padre sarei stato? Cosa avrei detto alla gente quando l'avrebbe vista? Avrei detto che è nata cieca, l'unica soluzione. Solo quando sarebbe stata brava abbastanza da non uccidere chiunque la guardasse allora avrei potuto parlare di una miracolos intervento presso un dottore immaginario. Avrei vissuto nella menzogna, insieme a lei, e ci avrei vissuto per molto tempo. Perciò darle addirittura un nome mi sembrava inutile, anzi blasfemo dal momento che significava battezzare ufficialemente una creatura che sarebbe sempre stata destinata ad uccidere più che a beatificare. Mi pentii ogni santo giorno della mia vita, ogni secondo, ad ogni respiro, perchè ogni respiro mi ricordava che per colpa del mio dolore e della mia debolezza nel non averlo mai superato creai qualcosa più grande di me e con cui avrei dovuto convivere per sempre, con cui avrei dovuto..combattere. Come si usa dire da un bel guaio bisogna saper uscire con dignitià e prendersi le proprie responsabilità, ma chi ha detto questo frase non aveva la vita delle persone come responsabilità, e anche se la avessi tenuta sempre cieca le avrei soppresso la vita, e vederlo su di lei non avrebbe che accentuato il fatto che io l'avevo soppressa a mia volta a me stesso. E proprio in quell'istante, mentre pensavo al peso delle mie responsabilità, mentre lei, visto che non aveva nome, dormiva, il libro diventò pensante così come le mie membra, il thè nella tazza troppo denso, persino l'aria che respiravo non mi saziava. Crollai ancora di più nella poltrona e il libro mi cadde nel soffice tappeto che per fortuna non svegliò la bambina. Il libro si aprì ad un pagina che, ormai, so che non si aprì a caso. Era Amleto, l'unico godimento che trovai quella sera per placarmi, l'unica delizia verso il genere femminile che avrei mai provato era per Ofelia, la triste Ofelia. E proprio mentre sorridevo mentre pensavo a quella triste e bellissima donna d'altri tempi mi voltai a guardare il libro e vidi che in quella pagina, in quel tratto.. era proprio Ofelia a parlare:
Sappiamo ciò che siamo, ma non sappiamo ciò che potremmo essere
Quella frase mi colpì al cuore, anche se la conoscevo benissimo, perchè..era la verità. Ofelia aveva proprio ragione.. Quella bambina non aveva la minima idea di chi fosse, non solo data l'età, ma non l'avrebbe avuta nemmeno da grande. Avrebbe pensato di essere cieca per tutta la sua vita senza mai sapere se era quella la verità, senza mai conoscere sè stessa o chi sarebbe potuta essere. Non avrebbe perciò nemmeno potuto fantasticare sulla sua personalità, sul suo aspetto, perchè se veramente l'avessi condannata alla cecità bendandola a vita non ci sarebbero stati specchi per lei, non ne avrebbe conosciuto nemmeno l'esistenza. Ofelia aveva ragione, Ofelia con quella frase mi fece capire che per quanto fosse orribile l'abominio di quella bambina, anche lei aveva il diritto di creare se stessa, che fosse reale o solo una maschera, aveva il diritto di essere una persona vera, di creare e sviluppare le sfacettature del suo carattare, entusiasmare con esse. Ofelia mi fece capire che sbagliavo ad odiare la bambina, che avrei dovuto darle una possibilità e crescerla come se fosse mia, perchè mia era, perchè io le avevo donato quella capacità, seppur orribile, perchè io potevo concederle l'occasione di crescere e di diventare una persona. Se così non avessi fatto sarebbe morta, al rogo, come si usava fare anche se non ovunque, come una strega, come una bambina qualunque, e io non volevo che fosse definita una bambina qualunque, lei era la mia bambina, stavolta con un nome,un futuro, una futura personalità, un nome che avebbe stregato tutti non solo se avesse abusato del suo potere, ma anche solo parlando, con i suoi modi di fare, perchè lo sapevo..sarebbe stata grande, e soprattutto perchè sarebbe stata grande grazie a me. Si, la mia bambina ora era ufficialmente nata, aveva nome e avrei fatto di tutto perchè non significasse morte ma purezza..avrebbe significato amore e sacrificio, tutto ciò che avrebbe dovuto affrontare: Ofelia.


Non avrei mai immaginato che essere padre fosse così difficile, forse perchè..non sono mai stato un padre normale. E non lo sono mai stato perchè mia figlia, come ormai mi dovevo abituare a chiamare, ero letteralmente fuori dal comune. Credevo che sarebbe stato facile insegnarle a controllarsi, o meglio a farle comprendere il valore della vita e il suo prezzo, ad addestrarla affinchè non la strappasse via con tanta facilità. Ma Ofelia, ormai era quello il suo nome, aveva un carattere completamente opposto al mio, era testarda, senza limiti, ribelle, vivace, figuriamoci le sue reazioni davanti alle mie regole. Ero un padre severo, ma era necessario quando sentivo che il panettiere o il giocattolaio erano morti..erano le sue vittime preferite, e quando ciò accadeva la bendavo per mesi, per anni se necessario. Quelle bende mi facevano soffire più di lei, e la cosa che davvero mi faceva sentire un pessimo padre era il fatto che lei, arrivata ai sei anni (di cui quasi 4 di omicidi )sapeva perfettamente cosa fosse e di cosa fosse capace, eppure uccideva ancora, senza nemmeno volerlo. Diceva sempre "Non l'ho fatto apposta papà" e io mi odiavo perchè ero stato io a causarle quell'involontaria capacità, e non capisco come poteva ancora chiamarmi papà, come poteva non odiarmi?. L'affetto è una cosa davvero misteriosa, come può esserci tra un dottore pazzo e la sua bestia? Frankenstein odiava il suo mostro, lo voleva ditruggere e io leggendo quel romanzo capivo ogni singolo passo del suo pensiero, mi immedesimavo nel suo ribrezzo. Ma lei, no..Ofelia mi adorava, non faceva che sussurrare il mio nome con quella dolce voce quasi fossi un dio più che un demone, e i bambini dopotutto vedono sempre il lato migliore delle persone, vi vedrebbero con le ali risplendere di luce divina quando in realtà sei coperto dal fuoco del peccato con i tuoi occhi di brace da demone. Nonostante la decisione che avevo preso avevo sempre momenti di debolezza, nei quali non desideravo altro che sopprimerla, cambiare nome o meglio..uccidermi, finirla. Ma Ofelia c'era sempre, sembrava captasse la mia tristezza, la catturasse con i suoi sorrisi e la dissipasse con la sua vocina da fata, e io non riuscivo a resisterle, non ci riuscivo quando diceva "Giuro papà, la prossima volta starò attenta"..mi sembrava un miracolo più che una maledizione!. E allora mi trovavo ad averla tra le braccia e a piangere con lei, pianto di gioia e dolore misto se possibile, perchè non avrei mai creduto che avrebbero mai potuto convivere insieme, ma con Ofelia, per Ofelia, avrebbero potuto, perchè da una parte c'era la gioia di avere una figlia, di avere un piccolo essere umano che vive per te e per cui vivere, ma dall'altra c'era dolore, dolore perchè non avresti mai potuto abbandonarla, tu eri l'unica persona che avrebbe potuto aiutarla, sostenerla, eravate fatti l'uno per l'altra, eravate legati da un assurdo destino che si sarebbe disseminato di omicidi, ma sareste dovuti stare insieme sempre, nella vita..e nella morte. Poteva esistere tutto questo, si..vita e morte, gioia e dolore, come se fossero la stessa faccia di quella luna, la stessa che brilla tranquillamente in cielo, beffarda, invidiosa della bellezza del mondo, indifferente davanti al dolore che si passa per il suo viola. Lei era sempre li, una faccia luminosa, bellissima, vanitosa, l'altra oscura, misteriosa, piena di segreti che non ti avrebbe mai rivelato. Ofelia l'avrei sempre considerata il sole, lei..che era nata così a causa della luna, si l'avrei considerata sempre il sole perchè non aveva parti oscure, lei non aveva nulla da nascondere perchè proprio come diceva Ofelia dell'Amleto, lei sapeva cosa era, e cosa voleva diventare, e non voleva diventare un assassina, voleva vivere non togliere la vita. Dire queste cose ora mi sembra un sogno, mi sembra ancora di sentire il suo corpo tra le mie braccia, il sapore delle mie e delle sue lacrime, ricordarlo mi sembra...reale, come se stesse accadendo anche ora, come se lei non fosse mai morta, come se tutto quello che successe dopo non fosse mai successo. Ma come purtroppo dico spesso, divenendo ormai un modo di dire, niente và come deve andare, e stavolta è ancora più amaro dirlo, perchè essere una padre ha dei lati negativi a volte, è vero, ma essere il padre di Ofelia, essere il creatore della luna viola aveva portato conseguenze peggiori della responsabilità di essere padre a 24 anni. Più avanti con il tempo non ero più solo il padre di Ofelia, il signor Sullivan con la figlia senza freni, ero diventato qualcosa di più, lo sarei diventato di sicuro. Il 24 Luglio era vicino..

Ormai la morte era un componente della nostra famiglia, ci convivevamo ormai da quando Ofelia era diventata mia figlia. Ormai avevo smesso di stupirmi se la gente attorno a lei moriva, avevo smesso anche di darle lezioni, non serviva più lo sapevo perchè a questo punto avrebbe dovuto trovare il controllo da sola. Eppure più il 24 Luglio si avvicinava, il giorno del suo 14° compleanno, più uccideva. E la stranezza in tutto ciò non sta nel gesto, puramente normale dal momento che ancora non si sapeva controllare, ma nel fatto che ne stava uccidendo più del solito e sempre più involontariamente... E perciò più quel giorno si avvicinava più la lista diventava lunga, come un macabro inventario, solo che si trattava di vittime..magari si fosse trattato d'altro!. Anche se ci facevo l'abitudine a vedere la morte abbinata alle sue lacrime disperate, un abbinamento triste ma normale in lei, quel botto improvviso di vittime mi faceva pensare che c'era qualcosa di brutto stava per accadere, come se quelle vittime in più fossero un presagio, un presagio..proprio alla vigilia dell'incubo. Non ci sarebbe stato niente da festeggiare, non per me almeno, e se avessi potuto cancellare un giorno dal calendario sarebbe stato proprio quello, si..avrei voluto 364 giorni. Ovviamente non avrei mai privato mia figlia del suo compleanno, anche se l'avrei privata delle sue amiche visto che l'ultima volta...non andò bene. Il mercato era il suo posto preferito, anche se preferiva portare le lenti scure, l'ultima moda e invenzione di quell'epoca per sicurezza. Le portava per fingere di essere una ragazza normale, solo un pò alla moda, una ragazza come tutte le altre, e questo mi commuoveva perchè faceva crescere in me la consapevolezza di averle donato un cuore e un anima oltre che un destino, seppur terribile. Era bellissima mentre volteggiava sorridente tra le bancarelle sotto lo sguardo meravigliato di tutti, per i suoi capelli rossi in contrasto con l'azzurro del cielo, come uno specchio d'acqua macchiato di sangue, per i suoi gesti così accuratamente delicati derivanti dal suo autocontrollo fisico assolutamente scrupoloso. Si, era mia figlia, eccetto per i tratti somatici e per la vivacità..si, dopotutto era mia figlia, per la sua forza, per il suo controllo (anche se ancora non perfetto), per la sua precisione e scrupolosità. Proprio mentre sorridevo della mia bambina mi ero accorto che una donna mi stava fissando attonita e pallidissima, come se sapesse tutto di me e di Ofelia, come se avesse avuto l'occasione di essere spettatrice delle nostre vite, delle nostre colpe. Mi sentivo a disagio da quello sguardo, scavava nel mio cuore e nella mia mente, cercando le risposte-o magari le aveva già trovate- e le domande che sicuramente mi stavo ponendo: Cosa vuoi da me?, CHi sei? Cosa sai?.
La donna si avvicinava sempre di più a me, sempre più pallida, con gli occhi sbarrati e lo sguardo perso, come se ci fosse un filmato interessante da vedere nel mio volto. Ad un certo punto si era fermata di scatto, decidendo che era quella la distanza giusta, era quello il momento, lei era bella ma di una bellezza che non saprei decifrare, sembrava un raffigurazione del Boticelli, una bellezza da quadro, degna delle tempere più pregiate e di essere ammirata da re e corti fastose.
"24 luglio.." aveva sussurrato con voce ferma e decisa, e con un tono che significava quasi che sapesse tutto. Sudavo tantissimo. Allora..sapeva.
"Sento che..sento che quel giorno succederà qualcosa di terribile, qualcosa..succederà..ancora" aveva continuato, ma stavolta a voce alta, mentre la sua voce prendeva vigore.
"Lei..Lei tornerà. Vedo..Vedo..viola." e fu l'ultima cosa che mi aveva detto.
Lei. Viola. Tornerà. 24 Luglio. Non ho la minima idea di come facesse a saperlo, ma avevo avuto veramente paura, almeno finchè il vecchio sarto mi aveva detto che quella donna aveva fama di essere una veggente. A quella notizia la paura che mi avesse spiato o che avesse intenzione di smascherarmi o di denunciarmi era svanita, dopotutto era solo poche immagini quelle che aveva visto, troppo pochi elementi. Una sola cosa significativa aveva visto: succederà qualcosa di terribile.. Aveva maledettamente ragione.

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Capitolo 6
*** Doppiamente maledetto ***


Morte, morte e ancora morte. Si sarebbe mai placato tutto questo? Sarebbe durato per sempre, lo sapevo. E mi odio per raccontarvi tutto con tempi verbali così differenti, ma credetemi se vi dico che il tempo ha totalmente perso il suo senso, non lo concepisco più ormai e i ricordi così vividi con le Ofelia mi fanno credere un avvenimento passato più vicino di altri. E quando si vede solo morte sembra tutto uguale, tutto lo stesso e il tempo segue questa regola. Le persone perdono valore quando le vedi morire in successione,quando ne vedi morire così tante. Proprio ora mi raffiora un ricordo vividissimo: quando avevo visto per la prima volta effettivamente i suoi occhi. Era stato...meraviglioso, perchè vederli così bene , esaminare una cosa che io stesso avevo creato e che odiavo così tanto, mi aveva fatto capire che forse quello non era un dono poi così brutto, e lo dicevo perchè quando la morte è così frequentemente ospite della tua vita, diventa una convinzione ferrea. Ofelia si era controllata, e questo non aveva potuto che consolidare il mio ottimo lavoro di padre e il suo ottimo autocontrollo, non avrebbe mai ucciso suo padre.. "Visto papà...io posso controllarmi" mi aveva sussurrato la mia bambina, e sentirlo dire da lei lo fece diventare vero, aveva aperto la speranza di una vita che avremo potuto vivere senza che quel maleficio contaminasse le nostre vite. "Allora perchè continui a uccidere piccola mia?" avevo chiesto io inebriato dai progressi dalla mia creatura. Ofelia mi aveva guardato ancora, aveva poi abbassato lo sguardo e si era girata. Dalla borsetta aveva pescato qualcosa di verde, qualcosa di carta che non riconobbi subito. Mi aveva messo la cosa in mano, e quando avevo guardato mi ero reso conto che ciò che sapeva fare non era andato oltre a causa della sua mancanza di autocontrollo...era diventato un lavoro, nella mia mano circa 1500 dollari avevano iniziato a pesare, pesavano come il mio cuore. Non avevo avuto il coraggio di picchiarla come un padre avrebbe dovuto fare, ecco perchè non ero pratico, non ero mai stato pronto ad essere padre. E non era nemmeno la stessa cosa, non lo era mai stata, perchè un padre VERO,naturale avrebbe picchiato senza esitare la sua figlia ingrata che vendeva così le sue doti, ma io non sarei mai potuto essere un padre così, nè naturale, nè padre.. e non ero io il motivo, era la differenza sostanziale di un normale situazione famigliare e..quella che si viveva con Ofelia. Avrei dovuto picchiarla perchè faceva la killer a pagamento? E con quale scopo? Anche picchiandola non sarei mai riuscito ad arrestare i suoi poteri, perchè forse avrebbe potuto smettere di uccidere a pagamento,ma non avrebbe mai smesso di uccidere,l'autocontrollo poteva sempre peccare. Ecco, un ' altra volta ancora ero stato impotente, incapace di darle una lezione, e come avrei potuto? Picchiarla non avrebbe fatto altro che peggiorare le cose, le avrebbe rammentato che lei non era altro che un abominio e che i suoi poteri mi nauseavano e perciò la picchiavo per quello. E non avrei nemmeno potuto picchiarla per i soldi sporchi che mi stava portando in casa, di sporcizia c'e n'era già abbastanza, portata da me ovviamente e dal mio peccato, perciò altra spazzatura che differenza poteva fare? Inoltre ero sull'orlo della bancarotta, dal momento che avevo sperperato tutta l'eredità di mio padre, pur di renderla sempre felice. E l'avrei resa felice anche dopo quella confessione, perchè in ogni caso non mi sarei mai espiato del tutto, e anche perchè il mio peccato sarebbe stato per sempre impossibile da perdonare. Inoltre la nostra vita che era già di per sè un enorme segreto sarebbe ancora potuta procedere come tale a patto che Ofelia non rivelasse le sue "armi". Perciò eccovi servito un altro pilastro della mia storia..mia figlia era un assassina. Vi chiederete ora..ma come faceva a convivere con una figlia che uccideva la gente di mestiere? E io vi rispondo che Ofelia era sempre stata e sempre lo sarebbe stata un assassina di natura, perciò il fatto che lo facesse per soldi o naturalmente non aveva più la minima importanza, avevo percorso troppa strada per poter tornare indietro e cancellare tutto, e il mio percorso era tracciato con la penna ormai, non esistevano scope magiche che potevano spazzare via ciò che avevo già tracciato, tantomeno ciò che avrei tracciato per il resto della mia vita. La mia vita era un vicolo cieco, quella di Ofelia era un labirinto... La donna simile al quadro ci osservava sempre da un pò di tempo, specialmente in vicinanza del 24 Luglio. Non smetteva di guardarci preoccupata, rabbrividiva, impallidiva..e io con lei. Solo il 23 Luglio si era avvicinata da noi e aveva parlato a tutti e due ufficialmente. "Buongiorno..Io sono Eveline. E' un piacere conoscerti..Ofelia" aveva detto fissando Ofelia dritta negli occhi. Era la prima volta che qualcuno la fissava così coraggiosamente e Ofelia non poteva che sorprendersi..ciò aveva rafforzato il suo autocontrollo in modo evidente, la donna non era ancora morta.. "Come fa a sapere il mio nome?" aveva risposto Ofelia. Era sempre così sicura di sè e allo stesso tempo educata, sempre impeccabile. La perfetta assassina avevo pensato e quasi subito ero rabbrividito. "So tante cose su di te, non vergognartene del tuo dono..non tutti lo hanno. Vuol dire che sei speciale.." aveva detto Eveline sorridendo. Ofelia aveva contraccambiato il sorriso, rispecchiandosi evidentemente nella frase detta da quella donna, come se in un quell'istante avesse finalmente accettato ciò che era , come se..fosse bastato un secondo, anzichè un paio d'anni. Ero quasi geloso al pensiero, ma allo stesso tempo un pò frustrato al pensiero che quella strana e bella donna sapesse tutto di Ofelia. "Anche tu ne hai uno? Oh mi scusi, intendevo lei.." aveva detto Ofelia arrossendo e sentendosi già amica di quella donna che considerava palesemente come una collega. La donna aveva mostrato una risata dolce con un retrogusto di amarezza e accettazione, aveva un potere e lo si notava da quello..l'antico ricordo dell'accettazione. "Oh sapessi quanto è dura..ma dovresti vedermi! Il futuro non ha segreti per me..e sono persino affascinante quando ci do un occhiata" aveva risposto la donna maliziosamente in posa come ad una recita in costume veneziana. "Mi dica qualcosa su di me la prego! Come si chiamerà mio marito?" aveva chiesto subito Ofelia. Ecco un altro suo tratto: la curiosità. L'altro tratto era la speranza e l'innocenza mista a essa, che la portavano a fare domande così normali, come una qualunque giovane donna che pensa all'amore come se fosse la cosa più importante del mondo. Sorridevo di questa speranza e sperai che nel futuro di Ofelia non ci fosse nulla di così terribile..tranne la morte. La donna aguzzava la vista con per guardare una mosca che si era impigliata tra i capelli di Ofelia, aveva osservato un istante e si era poi pietrificata. Pensavo che avrebbe mentito per dissimulare come quando una cosa è troppo brutta e non si vuole far soffrire la persona interessata, ma invece lei aveva parlato chiaro, rivelando la sua sincerità che aveva aggiunto fascino nella sua misteriosa e allo stesso tempo inquietante figura. "Preparati Ofelia perchè non sarà mai facile. Usa la speranza e sarai salva. Sii saggia..perchè dovrai insegnare la tua saggezza..molto presto" aveva detto la donna e, confondendo ancora di più la sua personalità enigmatica..era corsa via, lasciando mille domande e nessuna risposta, lasciando Ofelia senza parole, lo sguardo perso per un volta..innocente. E poi quel giorno, quel 24 Luglio..era arrivato. Sarei dovuto come minimo saltare gioia per il quattordicesimo compleanno della mia bambina, eppure le parole di quella donna, Eveline, mi avevano scosso. In che senso avrebbe dovuto insegnare molto presto?. Ben presto lo avrei saputo e c'erano particolari che non avrei mai voluto notare quel giorno, avrei tanto voluto comprare ad Ofelia un vestito bellissimo, di pizzo color lavanda, che le si addiceva molto con i suoi bei capelli, e una torta enorme di cioccolato e fragola, avrei voluto una festa da regina degna anche solo minimamente di lei.. Ma i particolari distruggono tutto, anche se sembrano insignificanti, ma una luna viola non si può trascurare, non da me, non da Ofelia. La luna c'era, ed era viola, dopo 14 anni era diventata ancora viola, come se fosse un ammonimento, come se mi stesse rammentando che i miei incubi non erano ancora finiti e che per ciò che avevo fatto dovevo soffrire ancora e che non meritavo di provare affetto per Ofelia così come lei non meritava il mio. Avevo vomitato credo tutto il cibo e parte del sangue che avevo in corpo, visto che avevo la sensazione di volermi liberare di tutto ciò che faceva parte di me, anche se si trattava di peccati e non di sangue e residui digestivi. Ofelia mi aveva visto e si era messa a piangere disperata, aveva visto anche lei la luna, aveva capito tutto, era proprio mia. Sapevamo entrambi cosa significava quell'apparizione, ma non avevamo la più pallida idea di cosa ci facesse Eveline, che ci stava aspettando nel giardino..era bellissima, completamente vestita di bianco, esattamente come una sposa. Lo era. "Sposami " mi aveva detto spiazzandomi. La amavo?..Mi amavo? Difficile dirlo.. certo, la trovavo di una bellezza indecifrabile, ma così come non ero mai stato pronto a diventare padre, come lo sarei potuto essere a diventare marito?. L'esperienza con Clara mi aveva riaperto i punti che mi ero cucito nel cuore, lì dove lei aveva premuto il pugnale, e ciò mi fece ricordare che dovevo ricominciare ad aprirmi all'amore, se Ofelia ci stava riuscendo, lei che sicuramente provava molta più difficoltà di quanta ne potessi immaginare, perchè io non potevo riuscirci? Io di certo non soffrivo quanto lei, sebbene fossi stato il diretto donatore di un orribile regalo. Potevo? Potevo tentare? Avrei provato, e forse quella sarebbe stata una nuova possibilità che la vita mi dava, che l'amore mi dava.. Avrei dovuto coglierla, anche perchè non si può colpire due volte nella stessa ferita, e se proprio devo vivere nella morte, voglio viverci con Ofelia e con Eveline, si, voglio vivere nelle ferite e nella morte perchè il passato mi aveva insegnato che essere felici, dopotutto..è molto più doloroso.

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Capitolo 7
*** 14 anni dopo ***


Erano passati ormai 14 anni, era il 24 luglio 1901...erano cambiate molte cose, erano cambiate molte persone, ma io..ero sempre lo stesso. Accettare di sposare Eveline era stata la scelta migliore che avessi fatto nella mia vita, l'unica. E quando avevo detto quel si sull'orlo della commozione mi ero odiato per essermi perso una cosa simile, per aver perso tempo con Clara, quanto avrei potuto benissimo bearmi di quei capelli color castagna, quegli occhi così scuri, era perfetta ed era mia. Non la meritavo,Ofelia si ed era al settimo cielo di avere finalmente una madre che non solo la accudisse e la consolasse ma che sorreggesse finalmente il peso dei suoi poteri, lei, Eveline, che poteva comprenderla e equilibrare i suoi tormenti con quelli di Ofelia. Si sarebbe finalmente sentita completa, e non più costretta ad accettarmi come padre e madre, era..felice, e non uccideva più. Ecco cosa le serviva, non autocontrollo, non severissimi avvertimenti e punizione, le serviva..una madre, la felicità, la completezza. Stavolta però non mi ero odiato, perchè al quel miracolo avevo contribuito anche io sposando Eveline, accettando una donna che avevo visto due volte e per una volta l'essere impulsivi aveva portato a qualcosa di buono. Eveline era eccezzionale, educata, colta, di buona maniere, perspicace e gentile, e non potevo che esserne fiero, non potevo che essere felice per Ofelia , che la adorava e la prendeva come modello. Volevo che diventasse come lei, che dimenticasse la morte e si abbandonasse alla vita, volevo che fosse felice per sempre, con me, con Eveline, con il mondo. Ma il suo quattordicesimo compleanno e la luna che strana che brillava nel cielo quella sera non potevano essere lasciati in disparte, non si poteva dimenticare se quella luna ci fosse stata proprio davanti ai miei e ai suoi occhi. Dovevamo accettare entrambe le cose: la felicità e la maledizione. Avremmo mai potuto? Eveline diceva di no, e questo mi aveva rattristato..doveva esserci un modo. Ofelia aveva ricevuto un compleanno magnifico, esemplare, una grossa dose di felicità della quale ero scontento, ne volevo ancora di più per lei, l'avrei sempre voluta. La luna aveva brillato nel cielo quella sera, la sera in cui la mia vita aveva preso una svolta con Eveline, viola, luminosa, e la luce nella stanza di Ofelia era diventata spettrale, soprannaturale, era una luce che desideravo solo dissipare, estirpare dalla sua vita, e, a quel punto della mia vita, quando avevo imparato ad amarla..avrei dato anche la mia anima, che se la prenda pure, a me non sarebbe servita, mi serviva solo per amare e per odiare, come se fosse possibile farlo, ma in me si poteva eccome, perchè il resto non c'era, era tutto un immenso castello nero con due soli abitanti, due amanti in eterna lotta, nessuno dei due poteva morire se l'altro viveva.. Sarebbero morti insieme, e se avessi dato la mia anima, Ofelia ed Eveline sarebbero sparite per sempre. Lo volevo davvero? L'egoismo reggeva quell'amore, e le volevo con me per sempre.. Perciò avevo ingoiato ancora una volta un pò di veleno, accettando ancora una volta le conseguenze di quella luna, proprio come 14 anni prima... Perciò avrei dovuto riaffrontare tutto, ma non daccapo perchè stavolta sarebbe stato tutto diverso, con Ofelia, con Eveline sarei stato più forte, non avrei più avuto dubbi nè ripensamenti sulle mie azioni, avrei saputo cosa fare. Era ovvio che sarebbe nata un' altra bambina quella notte, una bambina della quale mi sarei senz'altro dovuto prendere cura dal momento che la morte dei suoi genitori era palesemente inevitabile. Ero addirittura pronto per tornare all'orfanotrofio, preparando anche i vestiti e le pratiche che avevo già compilato per Ofelia. Diventare padre la prima volta era stato sconvolgente ma allo stesso tempo, quando avevo imparato ad accettarlo, straordinariamente soddisfacente, ma ora invece non provavo niente, non provavo alcuna emozione nel diventarlo una seconda volta, perchè era qualcosa che a differenza di Ofelia era totalmente prevedibile e quasi programmabile, e anche perchè potevo sentire l'amarezza di non essere padre grazie alla mia Eveline. Solo quando ero andato all'orfanotrofio il mattino seguente,(dopo che era stato festeggiato il mio matrimonio e allo stesso tempo il compleanno di Ofelia) senza nemmeno leggere il giornale del quale conoscevo già l'articolo di prima pagina, ero rimasto veramente sorpreso: La bambina aveva già un nome.. i genitori l'avevano voluta così tanto da decidere subito il nome, deciderlo..prima di morire. Katherine. Mia figlia si sarebbe chiamata Katherine. Era molto diversa da Ofelia, che la accolse a braccia aperte pronta ed entusiasta di insegnare, non solo per i suoi capelli biondi e lucenti da sembrare argentati ma soprattutto per il suo carattere. Se Ofelia era sempre così vivace ed entusiasta, Katherine era sempre malinconica, come se fosse volesse liberarsi invano da ciò che è ma dovesse accontentarsene tristemente. Sembrava che soffrisse, era sempre avvolta da questa malinconia, dal mistero, e tutto ciò si rifletteva nel suo modo di uccidere, veloce, dolce, come se volesse liberare la sua vittima dal dolore della vita. Se Ofelia uccideva per giustizia, Katherine uccideva per curare, perchè uccideva solo chi soffriva. Vedendola crescere avevo capito sempre di più che era giusto dare un nome anche a lei, che era giusto dare un nome a tutte le figlie che sicuramente averi avuto, perchè volevo che si sentissero tutte uguali e unite dal loro dono e volevo che lo fossero attraverso quel preciso nome, quel nome che con una frase mi aveva fatto capire che potevo ancora amare, che potevo amare nella morte, e che l'amore in essa poteva esistere, in qualche strano modo. Era stato solo vedendo Katherine e la sua voglia incessante di curare il dolore dal quale lei non sarebbe mai guarita che avevo deciso che d'ora in poi potevo il padre solo di un determinato tipo di ragazze, ragazze speciale legate ad uno strano destino, ad un orribile dono che tuttavia le avrebbe unite per sempre, un dono della vita che la vita toglie.. il dono di essere Ofelia. Quel giorno avevo due figlie, Ofelia, che mi aveva insegnato che l'amore poteva nascere anche dove non c'è vita, e Katherina Ofelia che mi aveva insegnato che le ferite possono essere curate se c'è qualcun altro, e che alcune ferite non posso guarire, alcune ferite...possono sanguinare per sempre.

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Capitolo 8
*** il resto era solo morte ***


Il resto era solo morte, nient'altro che morte, nuda e cruda. Ci vivevamo dentro tutti insieme, e ogni 24 Luglio..ogni 14 anni la morte si ripresentava puntualmente alla nostra porta sottoforma di giornale, sottoforma di articolo di giornale..stessi genitori morti, un nuova Ofelia. Era terribile essere così indifferenti davanti a tutto questo, ma io ed Eveline non potevamo fare altrimenti se non accettare e prenderne atto.Lei sapeva tutta la storia, la mia storia, e non aveva battuto ciglio. Mi aveva detto "L'ho sempre saputo", e io tacevo e mi dicevo.."Allora era proprio questo il mio destino...". Si, alla fine era sempre stato questo il mio destino, creare un ordine di assassine perfette, se ordine si può chiamare.. Perchè dopotutto agli occhi dei clienti, dal momento che ormai morte e soldi erano andati di pari passo nella mia vita date le circostanze alle quali mi ero ormai arreso, le mie figlie non erano altro che una specie di "setta" di assassine perfette, dotati di capacità incredibili. Lo erano? Ovviamente. Ma la concezione di setta non mi era mai piaciuta davvero, eravamo una famiglia, come insistevo sempre a precisare, e lo saremo dovuti essere per sempre, costi quel che costi. Si, eravamo una famiglia, ma non era costruita solo sull'amore, perchè quello c'era e ce n'era tanto, ma era costruita anche sulla menzogna, visto che i clienti facevano troppe domande e il segreto delle mie figlie andava assolutamente mantenuto per preservare la loro vita. Innanzitutto eravamo costretti a mentire sui dettagli delle missioni: armi, tecnica, tempo impiegato, ostacoli. Per fortuna le mie figlie erano diventate ottime menzoniere, senza nemmeno l'ausilio di avvertimenti, sembravano davvero esser nate per questo..uccidere. E le menzogne funzionavano sempre, da anni ormai, sarebbe mai finito tutti questo? Ora mi vergogno a dirlo ma..ero felice. Ed era una felicità blasfema, che nessuno dovrebbe mai desiderare, eppure io ero felice nonostante la morte divenuta mia figlia, nonostante le bugie. Ero in una bolla di sapone, con Eveline e le mie figlie..nessuno poteva toccarci, ma loro..potevano.

Non credevo che si sarebbe mai arrestato, e, anzi, credevo che non sarebbe durato a lungo, lo sapevo, lo sentivo. Eveline mi aveva detto che la luna viola comunque sarebbe tornata un giorno, ma diceva di vederla molto lontana nel tempo, un tempo che era scuro talmente lontano. Potevo perciò stare tranquillo? Era..finito? L'incubo era finalmente finito?. Le mie figlie, dopo quell'ultima luna, che speravo sarebbe stata tale, erano diventate otto, così come otto volte era aumentato il mio patrimonio. Era inquietante..vedere come per loro non fosse un peso fare quel tipo di lavoro, o una maledizione, erano in qualche modo..grate di poter sfogare il loro potere in persone che sarebbero dovute morire per mano altre persone, visto che non erano le colpevoli dirette, ma solo emissari della morte. Ed era meraviglioso vedere come la nascita di una portasse una catena di aiuto incredibile, ognuna aiutava l'altra nella gestione del potere, nello studio, nell'apprensione delle regole (ovvero le menzogne), nello stile di comportamento. Ofelia ormai era lo splendido capo coordinatore delle sue sorelle, e lo erano nonostante non ci fossero effettivi legami di parentela, nonchè bellissima donna. Ero fiero di lei, ed era l'assassina perfetta. Sapeva usare l'arte della seduzione, della coercizione, della bugia in maniera così affinata da produrre una sorte di malinconia.. Certe volte sembrava quasi..infelice, e questo mi spezzava il cuore. Non potevo fare niente per renderla felice, e ne sarei morto di questa colpa un giorno..per quanto l'avrei torturata?. Avrebbero smesso quando ne avessero avuto voglia, questo l'avevo chiarito subito, ma la loro risposta, tranne quella di Ofelia, mi aveva lasciato senza respiro.. " E' quello che siamo papà..". Ofelia non aveva risposto, il suo sguardo si era svuotato e tristemente aveva detto "Non ho altro modo di essere..". Quella frase non l'avevo più dimenticata.


Quanti modi esistono di uccidere?. Ho sempre pensato che ne esistesse uno solo, unico e universale..la vita si sopprime, e non ci sono varianti, si strappa via l'anima insieme alla propria. Solo con le mie 8 figlie avevo capito, compreso, imparato che potevano esistere vari modi di uccidere, e ciascuna di loro ne era la prova tangibile, tanto che alla fine, ogni omicidio aveva una prescelta per la variante di morte. Si può provare così tanto orrore nello stesso istante? Oh, si..si può, e se alla morte ci si fa l'abitudine, al senso di nausea nel pensare a queste cose purtroppo no. Ognuna di loro era una categoria di morte, e ogni morte..ha una sua guardiana, come la chiamavo io. Ofelia uccideva per giustizia, fin da quando era piccola uccideva sempre le persone che riteneva cattive, eccetto quelle uccise senza volerlo ovviamente. Era stata lei stessa a definirsi così, "La giustiziera", adorava quella figura così autoritaria che dopotutto le sembrava l'unico modo per accettare pienamente ciò che faceva...lo faceva per giustizia. Katherine uccideva per curare, e i suoi erano le missioni più rare visto che accettava di uccidere solo che soffriva, solo per poter aiutare chi come lei aveva un peso del quale si voleva liberare, porre fine alle sue sofferenze, e anche se lei non avrebbe mai potuto, alleviare le pene altrui per lei.. era la migliore delle medicine. Elizabeth uccideva lentamente, quasi provasse piacere nel vedere soffrire le sue vittime mente lentamente abbandonavano la vita, e lo faceva per capire..capire a fondo la morte, diceva che aveva bisogno di un esistenza intera per capirla. E il suo era anche il potere meno pericoloso visto che agiva lento, ma anche il più sadico, come le dicevano sempre scherzando le sorelle..come se si potesse scherzare su questo. Eva uccideva in un modo..selvaggio, aveva qualcosa in quegli occhi neri di oscuro, qualcosa che non avevo mai capito, per quanto la amassi come figlia.. E quando uccideva era come se volesse rubare l'anima della sua vittima e aggiungerla alla sua collezione, tanto che le sorelle la chiamavo "la collezionista". Agata uccideva ad una velocità sovrumana, era praticamente l'opposto di Elizabeth, non si accorgeva nemmeno della sua vittima, poteva ucciderla anche solo andandole in contro, o peggio..guardandola da lontano. Le sorelle non le avevano mai dato un soprannome, per pigrizia o forse per mancanza di fantasia, ma io l'ho sempre affettuosamente chiamata "Scheggia". Porzia e Cristine erano gemelle, sia nella parentela che nella vita, uccidevano in coppia ed erano le più bizzarre in effetti, e non solo per la loro diversità schiacciante, la prima bionda e agressiva, la seconda mora e timidissima, ma soprattutto per come uccidevano.. Cristine inibiva la vittima, annullava i suoi sensi, Portia lo finiva spegnendo la sua vita.. Non avevamo di idea di come chiamarle, erano semplicemente "Le spegnitrici"..Uccidevano passo per passo. E poi c'era Sophie..lei, uccideva sotto contrappasso: Colei che è nata per uccidere, vedrà soffrire le sue vittime. E infatti era così che vedeva la sua vita, una pena da scontare con il contrappasso..perciò il suo operato non diventava altro che una continua e feroce vendetta verso la natura che aveva permesso il nascere di tutto questo: Me. Lei mi odiava, mia figlia..mi odiava. Ne ero felice? Ero finalmente felice, dopo anni che non desideravo altro che vedere una reazione del genere? No, non lo ero, e il suo odio non faceva altro che aumentare il mio disgusto, perchè dopo anni, anche se ormai avevo accettato tutto mi bastavo un suo sguardo carico d'odio per distruggere tutti i miei sforzi, ma ciò non mi faceva arrabbiare..mi stava convincendo sempre di più, a quel punto della mia vita, che accettare tutto e vivere così...era stato lo sbaglio più grosso della mia vita, e lo vedevo dai suoi occhi.. I suoi occhi urlavano, chiedevano morte, voleva morire piuttosto che veder morire. Mi aveva gelato il cuore e paralizzato l'anima, perchè aveva ragione. E così c'erano tanti tipi di morte o motivazioni, o modi uccidere così come c'erano tanti modi di morire, chi moriva perchè era giusto, chi moriva soffrendo, chi moriva per stare meglio..Non importava più quale fosse la motivazione..si moriva e basta, e quel contrasto in cui stavo vivendo, la mia famiglia felice ,che quotidianamente uccideva per denaro e tornava tranquillamente a casa col sorriso, non era qualcosa di sano, di normale e quello Sophie stava cercando di farmelo capire con i suoi occhi urlanti, mi supplicava di mettere fine a tutto, anche a lei stessa che faceva parte di quel tutto ora che le lune viola erano cessate..per ora.

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Capitolo 9
*** accontentarsi anche nel dolore ***



Ho sempre saputo che la mia non era esattamente la famiglia perfetta,quella in cui c'è il padre amorevole che porta i soldi per il mantenimento, in cui c'è la madre dolce e affettuosa che si occupa dei figli e che bacia teneramente il marito prima che vada a lavoro e poi ci sono i figli, vivaci e teneremante combinaguai senza i quali la tua esistenza non avrebbe senso. Nel mio caso era tutto così sbagliato e senza senso che ormai non ci facevo più caso, ormai potevo amare anche in tutto ciò che era oscuro, il fiore dell'amore era cresciuto anche nel terreno più arido che ci potesse essere, chissà come, chissà per quale motivo. Eppure non mi potevo lamentare di Eveline, nè delle ragazze, al primo aspetto erano un allegra combriccola di ragazze bellissime, tutte diverse e di una giovane madre enigmatica ma pur sempre affettuosa. Ma solo io sapevo cosa si nascondeva in quella facciata, una moglie addestratrice di perfette assassine e ragazze dalla bellezza devastante che uccidevano per soldi senza il minimo sforzo fisico. Era sempre stato meglio raccontare il lato esterno alla gente, che Eveline era sterile e che avevamo adottato tutte le ragazze (l'unica parte vera). Una pecca però c'era nella mia vita architettata nel male, una colpa, un sentimento che avevo promesso di non sentire più.. Mi sentivo in colpa perchè nonostante tutti gli sforzi e le evidenze non potevo più negare che per Ofelia provavo l'affetto più assoluto, più di tutte le sue sorelle. MI dilaniava il fatto che avrei privato di questo sentimento le altre figlie, ma come potevo negarlo a me stesso? Ofelia era stata la più ufficiale motivazione della mia voglia di andare avanti nonostante tutto, lei era stata...la benda della mia ferita, mi aveva fatto capire che potevo ancora riparare, che potevo vivere. E ora che la vedevo indaffarata mentre istruiva le sorelle con quel sorriso che un pò era anche opera mia non potevo trattenermi dalla commozione, lei era la vita nella morte, il miracolo della mia vita. Anche le sorelle la ammiravano, era straordinario come non ci fossero gelosie tra di loro, ma solo idolatria , e Ofelia era un modello da seguire, specialmente dopo quel leggendario giorno, quando aveva guardato dritto negli occhi suo padre senza ucciderlo, così giovane.. Le sorelle non potevano che bramare quel controllo così perfettamente architettato, quel modo di fare affinato e impeccabile, quella forza coercitiva magnetica, quella bellezza mozzafiato che purtroppo non era opera mia nè di Eveline. Ecco perchè potevo accontentarmi benissimo anche di quella assurda famiglia, per Ofelia.. perchè in un modo o nell'altro era lei che sosteneva il tutto, sosteneva me, sosteneva il nostro mondo senza mai spezzarsi per il suo peso. La invidiavo, perchè in tutti quegli anni mi ero spezzato talmente tante volte, avevo sofferto permettendo che quel giorno mi rovinasse una vita che potevo riparare, e lei invece era forte, e se anche avesse provato debolezza, sarebbe riuscita a dissiparla con il suo controllo. Ma io ero sempre stato debole, e lo sarei rimasto sempre, soprattutto senza Ofelia, perciò non avrei mai potuto sopportare un'altra rottura, un'altra ferita, visto come l'ultima, quella di Clara, mi aveva ridotto. L'amore può portarti all'Inferno senza che nemmeno te ne accorgi...


Era ovvio che tutto ciò non sarebbe mai durato, per la mia debolezza, per la fragilità delle altre ragazze, per l'ostilità di Sophie. Sophie non lo aveva mai accettato quello che era in grado di fare, e non faceva altro che ricordarmelo, mi chiamava..."Lo Stregone".
"Lo sai che non l'ho mai voluto, Sophie" le avevo detto una sera mentre eravamo soli. Lei non mi guardava nemmeno, non mi chiamava papà, non mi parlava, e il suo sguardo era di ghiaccio nonostante i suoi occhi verdi esprimessero sempre speranza e vitalità.
"A me non importa. Io sono così, e sei stato tu. Ci hai condannato.." aveva detto a denti stretti, e l'odore di lacrime in arrivo iniziava ad aleggiare nella stanza.
"Lo so, lo so, dannazione! Cosa vuoi che faccia, Sophie? Non ho sofferto abbastanza? Dimmi, devo soffrire ancora? Non hai idea di cosa ho passato! Avervi mi ha salvato, non maledetto!" avevo urlato senza nemmeno accorgermene, accendendo la miccia delle lacrime dense nei suoi occhi. Erano lacrime bollenti, quelle che arrivano dal cuore, e se erano così calde, allora il cuore doveva ardere sul serio.
"Ho ucciso il mio ragazzo, lo sapevi?" aveva detto Sophie gelandomi con lo sguardo, con quella confessione, con ogni parte del suo corpo capace di odiarmi.
"Lo sai che potevi evitarlo.." avevo risposto altrettanto freddo. L'odio era una delle cause della mancanza di autocontrollo, a che punto poteva quindi arrivare?
"Io lo amavo! E tu non lo capisci! Cosa ne sai tu dell'amore? Tu crei morte, tutto ciò che tocchi muore! " aveva urlato lei tra le lacrime amare, l'odio e il disgusto. Io non avevo sentito niente e ne avevo sofferto lo stesso, perchè se lo avesse detto Ofelia probabilmente ne sarei morto.
"Cosa posso fare? Ti ho dato la possibilità di vivere, di vivere normalmente, ti ho dato la possibilità di crearti un destino diverso. Questa non è morte, ho creato la speranza, per te. E' così che mi ringrazi? E' così che ringrazi tuo padre?" Le parole ormai mi uscivano fuori senza che le controllassi, e l'odio piano piano diveniva corrisposto, una possibilità che mi ero rifiutato di prendere in considerazione.
"Tu NON sei mio padre! E se lo fossi avresti preferito uccidermi piuttosto che farmi vivere così!" aveva tuonato Sophie, poi aveva preso la spazzola e l'aveva scagliata verso lo specchio con rabbia. Sul pavimento giacevano i mille frammenti di un me straziato, ancora una volta ferito, vicino al tracollo, di una Sophie infelice e di una Ofelia che aveva assistito a tutto senza dire una parola. Guardandoli lei avrebbe potuto ricostruire i frammenti, come se fossero del mio cuore così fragile, avrebbe potuto far sparire i segni delle rotture, crearmi anche un cuore nuovo...era così sbagliato vederla privare vite, perchè lei..me ne stava regalando una nuova.
"Lei ha ragione, papà" mi aveva detto sincera e nei suoi occhi stavolta svuotati dalle tracce di morte avevo letto la sofferenza. Non pensavo che i frammenti potessero spezzarsi in pezzi più piccoli, ma dopo quella frase avevo provato cosa volesse dire perdere il cuore, perchè se i frammenti continuano a spezzarsi, prima o poi...svaniscono.

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Capitolo 10
*** Arrendersi ***


Dopo che Ofelia aveva detto quella frase mi ero arreso per sempre, da quel momento, esattamente come era successo quella sera, Eric non esisteva più. Era stato solo grazie a lei che, dopo la prima volta, avevo potuto esistere ancora e ora si era ripresa la mia anima. Era stata come un anello, come quello che le avevo regalato quando aveva compiuto diciotto anni...tutto inizia, tutto finisce, un eterno cerchio che ritorna su se stesso. Ma se mai avrei avuto l'occasione di esistere ancora, nel momento in cui ci sarebbe stato un nuovo inizio di quel ciclo circolare, mi sarei arreso..non avrei più accettato la mia anima, sarebbe stato un regalo sgradito. Perchè me lo aveva fatto? Con quelle parole mi aveva ufficialmente cancellato, aveva dissipato ogni mio appiglio di speranza, ogni mio tentativo di credere, per quanto potevo, di essere un bravo padre, di non essere un mostro. Ma lei aveva detto quelle parole, le stesse di Sophie in un certo senso, per lei ero il mostro..dopo anni non ero più l'amabile padre che l'aveva accolta dandole l'occasione di vivere come una ragazza normale, dopo anni...ero solo un demone che l'aveva condannata ad una vita di morte. Ma come avevo potuto non dubitarne? Come avevo fatto a non prevederlo? Sarebbe successo, perchè nella morte non si può vivere, e se noi l'avevamo fatto in tutti quegli anni allora..non eravamo umani. Ma dopotutto come potevo anche solo fare ragionamenti di quel genere, io non esistevo più. Sarei diventato la bestia, il mostro? Si. Forse sarebbe stato tutto molto più semplice se mi avessero odiato, se avessero dato ascolto a Sophie...sarebbe stato tutto normale, proprio come sarebbe sempre dovuto accadere, senza me che credendo di portare normalità in quell'illusione di felicità non avevo fatto altro che farle sentire ancora più mostruose. Ma quello che non avevo calcolato era che Sophie non aveva la minima intenzione di convincere le sorelle, egoista come era, non aveva intenzione di creare un ammutinamento, voleva andare per la sua strada, non voleva più essere Sophie, non voleva più essere qualcosa o qualcuno legato a me e alle sorelle. Sarebbe stato così anche per Ofelia, ma non avevo pianto al pensiero di vederla andare via, perchè se così fosse stato, la mia anima sarebbe scappata con lei, insieme ai miei sentimenti e alla mia capacità di provare affetto. Ora che scrivo potrei piangere più dell'inchiostro della mia penna, e l'unica differenza tra noi è che la penna un giorno smetterà di scrivere, ma il dolore delle mie lacrime è un inchiostro capace di scrivere intere vite, interi secoli di esistenze, è un inchiostro eterno, indelebile. E ciò che sento ora, è un dolore senz'anima perchè l'anima non la avevo più, è un dolore vuoto, più atroce, perchè non trova supporto nella carne e nelle ossa, è un dolore fisso, proprio nelle membra...perchè purtroppo i ricordi restano per sempre.

"Ci ha rubato la vita, Ofelia...non aveva il diritto" aveva detto Sophie, seduta davanti al camino, la sua posa preferita, quella severa, che usava quando doveva dire qualcosa di importante. Ofelia era muta dietro di lei, concordava ogni singola parola ma non ne trovava nessuna adatta a controbattere, le stava dosando..Ofelia era così, amava dire cose giuste.
"Lo so, Sophie. Ma è comunque nostro padre...Voglio chiarirmi con lui, ma voglio andarmene, non voglio più uccidere.." aveva risposto Ofelia dopo una riflessione, come solo lei sapeva fare.
"Come puoi chiamarlo padre? Ci ha raccolto tutte dopo che avevamo ucciso i nostri stessi genitori, non lo capisci? Ci usa come armi!" aveva tuonato Sophie, contrapponendosi alla calma di Ofelia.
"No questo non ti permetto di dirlo. Ci ha cresciuto, ci ha dato affetto. Ma la sua colpa tuttavia è incancellabile.." aveva risposto Ofelia, sempre calma, sempre taciturna, rifletteva...ne dipendeva la sua stessa esistenza.
"Fai come vuoi Ofelia, io non ho più intenzione di rimanere qui. E quell'uomo...la pagherà." aveva detto Sophie, lo ricordo benissimo mentre le ascoltavo dalla stanza vicina. Quel "pagherà" aveva qualcosa di metallico al suo interno, un retrogusto di sincerità arricchito da un pizzico di veleno. Era la vendetta, e il suo gusto mi era totalmente nuovo, perchè non l'avevo mai provato se non contro la natura che aveva permesso che io compissi un abominio simile.
"Cosa stai dicendo? Cosa vuoi fare?" aveva controbattuto Ofelia, spezzando la sua calma che si era trasformata in agitazione. Le sorelle si conoscono troppo bene, non importa il sangue, le differenze, le loro menti sono connesse dal dono dell'affetto di stesse persone.
"Ma non l'hai ancora capito? Svelerò il segreto" aveva risposto Sophie sorridendo, e stavola la vendetta assunse l'aspetto più morbosamente giocoso e maligno che possa esistere. Ofelia non aveva risposto, si era solo scagliata contro la sorella stringendole il collo con una sola mano, ma nemmeno quella stretta ferrea poteva cancellare quel piano, era un intenzione troppo forte e non si poteva battere una delle Ofelia con una Ofelia, perchè probabilmente..nessuno poteva batterle. Sophie tossiva per la presa, ma il suo sorriso era rimasto nel suo volto, il suo destino era programmato e l'inchiostro era indelebile, era quel tipo di inchiostro che potevi seguire impotente, era un inchiostro che segnava un cammino nel quale la parola passato era un tabù, non si poteva tornare indietro. La mano di Ofelia all'improvviso si era ammorbidita lasciando Sophie, ma non per la compassione di lei, piuttosto per il fatto che Sophie stava per usare i poteri, su sua sorella.. E Ofelia, semplicemente..si era arresa. Non voleva uccidere mai più, e dopo quel giorno...nemmeno rivedere le sue sorelle. La morte è davvero come una sorella, la puoi odiare, ma che ti piaccia o no..il tuo legame con lei è eterno

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Capitolo 11
*** Bloccare il destino ***


"Siete riuscite a bloccare Sophie?" aveva chiesto Eveline pallida e agitata. Lei aveva già visto, lei già sapeva ancor prima che le raccontassi ciò che avevo sentito.
"E' uscita di corsa dopo che ci siamo parlate, non ho potuto fermarla. Voleva usare i suoi poteri su di me" aveva risposto Ofelia con voce singhiozzante. La tensione nel salotto era palpabile, ma non era quella che si poteva sentire alla scomparsa di un familiare o alla morte di uno di essi, era elettricità, perchè se Sophie avesse svelato il segreto le conseguenze sarebbero state peggiori di un semplice funerale. Cosa mi avrebbero fatto? Ci avevo mai pensato? Giorno e notte da quando era scappata, e come nelle peggiori congetture la mia mente lavorava elaborando situazioni sempre peggiori: Eveline rinchiusa in manicomio a causa delle sue visioni, io con un pò di fortuna sarei stato impiccato, le mie figlie bruciate vive. C'era forse di peggio? Cosa poteva succedere ancora? Non c'era già abbastanza male nelle nostre vite?. Sophie l'avrebbe fatto senza ombra di dubbio, e non avevo mai pensato a cosa fare in questa evenienza nonostante mi aspettassi sempre una sorta di ribellione da parte di una delle mie figlie. Il ricordo di Ofelia contro di me mi faceva soffrire più di prima, non solo per il suo gesto, una pugnalata al cuore, ma anche perchè sarebbe certamente morta entro 24 ore se il segreto fosse stato svelato come Sophie aveva promesso, e sarebbe morta senza che avessi potuto scusarmi con lei, perchè alla fine era quello che volevo, ci avevo riflettuto. Non aveva più senso infatti crogiolarsi, colpevolizzarsi, soffrire, creare illusioni come avevo fatto, la soluzione dopotutto era più semplice: chiedere scusa. Forse è banale, anzi lo è, ma a volte quella piccola frase detta con sincerità può risolvere una vita distrutta..Può farlo? Speravo di si con tutto me stesso, perchè quella sarebbe stata l'ultima cosa che avrei fatto, che avrei detto, il mio ultimo contatto con mia figlia, perchè lo sapevo, ed Eveline lo aveva ormai visto...non saremo durati più di un giorno. Sophie aveva parlato.

Ed è questo il tipo di tensione che intendo, restare inermi nel salotto in attesa di essere catturati..non avevamo scelta, le mie figlie non l'avevano, perchè sarebbe arrivata troppa gente e non sarebbero state in grado di ucciderla tutta. Loro non sapevano niente, erano...felici, e io, Eveline e Ofelia non avevamo avuto il coraggio di dire loro che di li a poco sarebbero tutte morte, erano troppo piccole, e se dovevano vivere quegli ultimi istanti di felicità, glieli avrei regalati facendo per la prima volta in vita mia il bravo padre. Eveline aveva sempre gli occhi fissi nel vuoto scrutando il futuro nonostante piangesse per le immagini che vedeva, io le chiedevo spesso cosa vedeva, ma lei..non aveva mai voluto dirmelo. Ofelia non aveva più parlato con nessuno dopo quell'episodio di Sophie, probabilmente si era arresa anche lei, come me, ma sospettavo amaramente che ciò che desiderava non era una vita normale, ma piuttosto la via più semplice per non uccidere più: essere uccisa. Io la capivo benissimo, non voleva più la morte e non la voleva davvero più, e dicendo questo voleva dire che non voleva nemmeno la vita, perchè nella vita la morte, anche se non la si prova, la si vede, la si sente, e questo è terribile almeno quanto provocarla. L'avevo mai capita, mia figlia? Solo ora mentre piangeva mi sembrava di capirla davvero, di comprendere cosa volesse dire fare una vita come la sua, una vita che IO le avevo donato, anche se al caro prezzo di privarla agli altri. Che illuso ero stato nel credere di salvarla! Non avevo fatto altro che farla soffrire, e lei mi sorrideva semplicemente per rendermi felice... In tutta la mia vita mi era stata data troppa felicità che non meritavo quando persone come Ofelia non ne avevano nemmeno un pò. Non avrei mai potuto sopportare ancora a lungo una cosa simile e da quando avevo imparato ad amarla era la prima volta che la volevo morta, e lo volevo con affetto, era questa la sua salvezza, non la felicità, non una famiglia, non un padre e una madre, non sorelle, l'unica felicità che avrebbe potuto avere era la morte, perchè in fondo chi nasce dalla morte, alla morte dovrà tornare, e la mia piccola Ofelia, che era nata come cenere, cenere sarebbe tornata e le sue ceneri sarebbero state pure e non contaminate, perchè la vita eterna era un premio per lei, la vita dove la morte non esiste. Avevo sospirato e seduto nella poltrona avevo aspettato che quella porta si aprisse mettendo fine a tutto.


Quando ormai pensavo che il destino si fosse fatto beffe di me, lasciandomi soffrire lasciandomi vivere avevamo sentito bussare. Era il momento, ed ero pronto, chissà chi avrei trovato ad attendermi, un angelo nero della morte? Il vero padre delle mie figlie. Credetemi se vi dico che dietro il portone c'era la persona che mai avrei sospettato di trovare, la più inaspettata, ma allo stesso tempo non mi sorprendo, dopotutto era stata quella persona che aveva creato la miccia che si era poi accesa quella sera, quella persona...era stata la prima a distruggere la mia esistenza. Quando avevo aperto alla porta, inquietantemente tranquillo nonostante dall'altra parte mi attendesse il vuoto, il nulla, mi ero sentito strappare le viscere, ogni organo del corpo. All'inizio pensavo che fosse una coincidenza, un assurdo scherzo del destino, una burla del passato maligno che bussa sempre alla tua porta per farti star male, per farti ricordare quanto avevi sofferto, ma stavolta il passato era serio e coincideva terribilmente al presente, e forse..anche al futuro, perchè accanto alla persona..c'era Sophie che sorrideva maligna e senza nemmeno un briciolo di colpa, lei..che ormai non era mia figlia, ma purtroppo solo una morta che tornava in vita a vendicarsi del suo assassino..IO.
"C-Clara.." aveva sussurrato senza voce. Il passato è davvero un bambino cattivo.

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Capitolo 12
*** una ferita che cura le ferite ***


Clara. Clara amata, Clara che mi aveva fatto soffire, Clara che aveva generato tutto il mio essere catastrofico, che aveva tirato fuori quella parte di me che non era Eric Sullivan, ma solo il Creatore. Se prima la immaginavo coperta di rose rosse, tutta mia, ora invece non riuscivo a immaginarla davanti alla porta di casa mia e di mia moglie, bellissima.. Non riuscivo più nemmeno a concepirla come una donna dopo che svariate volte mi ero costretto a dimenticarla, a a strofinarla via dai miei ricordi, perchè i suoi ricordi erano legati al bellissimo e all'incubo in qualche strana maniera, e perchè quando ricordavo lei ricordavo inevitabilmente i precisi istanti in cui non ero stato più io. Clara era la sfera umana, Clara apparteneva a Eric Sullivan così come Eric Sullivan apparteneva a Clara, Clara era il normale, costituiva tutto ciò di bello e tranquillo che mi sarebbe potuto accadere se non mi avesse respinto, se non fosse successo tutto quello..
"Eric.." aveva detto sorpresa. Perchè era sorpresa? Era così strano che fossi collegato a Sophie? Perchè non potevo essere speciale per lei? Ero sempre stato banale,ecco perchè. E dopotutto..ero felice di essere considerato tale? In quell'istante si, soprattutto se la normalità ormai non aveva più fatto parte della mia vita da troppo tempo.
"Clara..Cosa..?" avevo chiesto altrettanto sorpreso, perchè era ovvio che Sophie aveva trovato Clara, che aveva parlato con lei e soprattutto...che Clara aveva capito. Cosa poteva sapere Clara che non la sorprendesse più di tanto, dopo che Sophie le aveva rivelato un tale segreto? Troppe domande, le risposte avrei preferito con saperle..avrei preferito che Clara non fosse altro che una normale donna, una passante a cui era stato accidentalmente rivelato per sbaglio qualcosa di incredibile e che stava solo riaccompagnando una ragazza a casa sua.
"Ti devo parlare." mi aveva detto seria ed eravamo entrati tutti in casa. Quando ci eravamo seduti in salotti, tutti tranne le altre ragazze che erano allo scuro di tutto, prima che Clara parlasse probabilmente Sophie pensava di avermi recato danno confessando tutto, ma quando Clara aveva parlatò aveva ricevuto un enorme delusione. Non poteva nemmeno immaginare che Clara, in realtà, voleva aiutarci.
"Io sapevo già tutto, Eric..Io sapevo delle lune viola da tanto tempo, e ciò che mi ha detto Sophie non mi ha sorpreso, l'unica cosa che davvero mi ha sconvolto è stata sapere che c'era un Creatore. Non posso crederci..che quel creatore..sei tu" aveva iniziato Clara. Sophie era diventata rossa di rabbia nel vedere che la donna che sarebbe potuta essere la nostra rovina non solo conosceva già il segreto, ma lo accettava con una tranquillità tale che di sicuro non era minimamente intenzionata a distruggerci.
"Ma non mi ha ascoltato allora! Quest'uomo mi ha rovinato la vita! Lui ha fatto un abominio! Deve morire!" aveva urlato Sophie incapace di trattenersi.
"Che senso ha ucciderlo? Molto probabilmente ci saranno altre lune in futuro..ci sarete sempre voi Ofelia..non risolveremo niente" aveva risposto Clara con calma. Sembrava che davvero sapesse tutto, sembrava che sapesse proprio tanto su quell'argomento.. Come poteva? C'era forse una Clara che non conoscevo? Sicuramente, perchè la Clara che io avevo amato era solo un illusione, non la conoscevo affato, e pensare che lei mi abbia portato alla follia, proprio lei, una sconosciuta...mi aveva fatto venire voglia di morire, di esaudire il desiderio di Sophie.
"Eric..io posso aiutarvi. Io e mio padre siamo dei ricercatori di attività paranormale da un pò di tempo e abbiamo visto le lune viola, le abbiamo studiate. Sapevamo che qualcosa sarebbe successa e quando abbiamo visto gli articoli sul giornale così periodici e le adozioni altrettanto frequenti abbiamo capito che stavano succedendo cose strane." aveva detto Clara. Non l'avevo mai immaginata così interessante, così..misteriosa, e non avevo mai immaginato di vederla aiutarmi, di vederla così seria e determinata nel voler curare le ferite che lei stessa aveva causato.
"Come hai saputo delle ragazze..di quello che sapevano fare?" avevo detto io, la prima vera frase dopo anni. Avrebbe potuto essere un "Ti amo", ma dopotutto quello che era successo era stata solo lei la causa di quel cambiamento di rotta così crudele.
"Abbiamo parlato con dei testimoni, e il fatto che parlassero tutti di domestici trovati morti davanti alle culle ci sembrava troppo strano persino per una stupida superstizione.. Poi quando abbiamo trovato un vecchio amico di mio padre,vostro cliente, e insieme la conferma da parte di Sophie..abbiamo capito tutto" stavolta la voce di Clara nel dire cliente era aspra, come se pensasse che ero io la causa del giro d'affari, come se credesse alla assurdità di Sophie, nelle quali ero un perfido cacciatore di dote che assoldava bellissime ragazze per i suoi sporchi affari.
"E' stata una loro scelta, Clara. Io ho solo cercato di non farle sentire diverse..Volevo solo.." la frase non ero riuscito a finirla, era un dejà vù troppo potente che mi aveva riportato a quegli istanti di sofferenza nei quali avevo oscillato tra l'odio e l'amore, istanti equilibrati dalla mia scelta, fatta grazie ad Ofelia.
"Riparare.." Mi aveva completato Clara. Era bello vedere che mi capiva, persino più di Eveline, dal momento che aveva ormai a che fare con le più incredibili cose nascoste. Non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso, un amore non si dimentica così facilmente, e se era anche un amore doloroso quello rimane impresso nelle membra, più forte dei ricordi stessi.
"Riparare. Volevo solo, volevo almeno credere..che niente fosse successo..dopo che tu.." ancora una volta non ero riuscito a finire perchè i suoi occhi neri mi fissavano così intensamente che non riuscivo a capire se colpevolizzarla sarebbe stato un punto in più sulla mia vendetta latente o solo un occasione per vederla affranta, il mio incubo peggiore da quando la amavo. Ma..la amavo? non c'era più corrispondenza tra passato e presente, non riuscivo nemmeno a coglierne la distanza, perchè fissando i suoi occhi, i suoi capelli, il suo modo di parlare e di muoversi, aveva disgraziatamente unito i confini tra follia e ragione, tra passato e presente, tra gioia e dolore, e senza confini non c'era scelta, e la risposta del mio cuore unito alla mente mi aveva accertato: Io la amavo ancora.
"Puoi dirlo Eric..io ti ho rifiutato. Io non ti ho voluto. Mio padre mi avevo costretto, Eric..speravo che lo avresti capito, ma a quanto pare le tue figlie sono la dimostrazione che sei stato stupido quanto fragile. Perchè non l'hai capito? Erano così nascosti i miei sentimenti?" aveva sussurrato Clara sull'orlo delle lacrime. Le sue parole non mi avevano ferito come avevo sempre immaginato nelle mie luride fantasie di vendetta, erano acciaio dolce..Non me le aspettavo, e proprio mentre diceva quelle parole, mentre Eveline usciva dalla stanza piangendo, mentre Ofelia mi fissava esterrefatta, il macigno della verità mi era crollato sulle spalle, sulla testa, sul cuore, e la verità che tanto volevo ora non era più così limpida come pensavo, era insostenibile, tanto che le ferite si erano riaperte dalla fragili cicatrici, e da esse non sgorgava sangue rosso, ma urla di disperazione della mia voce tremante e dalla voce nella mia testa che non faceva altro che gridarmi che la vera causa di tutto non era stata Clara, e non ero stato nemmeno io..era stata la mia fragilità, la mia debolezza, la mia insicurezza. La verità era che...non ero mai stato capace di amare ed essere amato.

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Capitolo 13
*** Protezione..da cosa? ***


Ero stato davvero così stupido? In tutto quel tempo non avevo ragionato con la testa,ma con il dolore, pensando che tutto ruotasse intorno ad esso quando invece intorno a me c'erano altre cose su cui contare: la verità, l'amore.. E io me le ero fatte sfuggire tutte, coprendomi gli occhi per non guardare ciò che mi faceva soffrire anche se alla fine erano solo le cose di cui avevo bisogno ma che non avevo il coraggio di possedere. Eveline era uscita dalla stanza singhiozzando, e io mi sentivo doppiamente stupido, un idiota così..mentre stavo nel divano, davanti alle mie due figlie che mi guardavano sorprese, davanti a Clara che dopo tutto quel tempo mi sembrava così sincera... Avrei dovuto crederci?

"Io posso proteggerti, Eric..Posso proteggere tutti voi.." aveva detto rompendo quell'atmosfera fredda.
"Proteggerci..da cosa?" aveva risposto trovando almeno un pò della mia voce, che ormai non era più la voce di Eric, ma di un uomo che non nemmeno cosa sia l'amore, che l'amore..l'ha solo visto, ma mai compreso.
Clara aveva sospirato abbassando lo sguardo mentre io cercavo con tutto me stesso di scrutare il minimo segno di imbroglio, dopotutto potevo aspettarmelo da lei.. Eppure una parte di me gridava "Si ti credo!" ignorando tutto, le ragazze, Eveline.. Ma l'altra parte di me aveva terribilmente paura di essere ingannato ancora, di soffrire e di rimanere deluso come già era successo dopo quel rifiuto che mi era costato quasi la vita.
"Esiste un organizzazione, Eric. Rapisce i ragazzi e i bambini nati sotto eventi particolari, allo scopo di addestrarli per usarli come armi al loro servizio.. L'organizzazione..le vuole, vuole le Ofelia.." e dopo che Clara aveva detto questo avevo realizzato che le parole a volte hanno un peso ben maggiore di qualunque sopportazione umana, e la mia consapevolezza che già mi gravava sul cuore in quell'attimo quasi esplose. Quel momento che così tanto temevo sarebbe arrivato era lì davanti a me, dietro quelle orribili parole.. quel momento che avevo solo sognato nei miei incubi, congetturato nelle mie ansie, scongiurato con tutto me stesso..era lì. Reale. Ci avrebbero trovato. Ma ora come facevo a credere a Clara? Come? E stavolta crederle o no mi sarebbe costato caro..c'era la vita delle mie figlie in palio.
"L'uomo che comanda questa organizzazione segreta si chiama Hugo Okheimer, è lui che recluta, è lui che..decide tutto" aveva spiegato Clara. Tra tutte le reazioni possibili al sentire del nome di quell'uomo sconosciuto, mai avrei pensato che oltre alla mia, di ribrezzo, ci potesse essere anche quella di Ofelia..
"Hugo..." aveva singhiozzato Ofelia. Cosa significava? Perchè lo conosceva? NO NO NO! Perchè doveva essere tutto così reale? Così vero? Così possibile? Avrei voluto che Ofelia e Hugo non si fossero mai incontrati, perchè il loro incontro non era stato altro che l'inizio di una maledizione irreparabile..
"Ofelia..perchè lo conosci?" avevo sussurrato in preda a quella agitazione interiore.
"E' mio marito.." aveva risposto Ofelia tra le lacrime ma con un dolce sorriso d'amore. Mi era mancata l'aria..Sposare colui che ti avrebbe imprigionato per sempre, poteva essere possibile? Nel mio mondo ormai tutto era possibile..e io non volevo che il contrario.
"Sapevi tutto di lui...e nonostante tutto..l'hai sposato?" avevo urlato all'improvviso. Ofelia aveva tremato tra le lacrime mentre il sorriso svaniva. Mi guardava con quegli occhi fradici..era dolore, e stavola mi sentivo geneticamente responsabile.
"Tu non capisci..lui..vuole aiutarmi..mi ha sempre aiutato" aveva riposto Ofelia voltandosi.
"E se non lo capisci..allora non mi meriti" quelle ultime parole le avevo sentite schioccare nel tonfo della porta chiusa così come nel mio cuore, un tonfo sordo, un eco sempre più lontano che riecheggiava nel mio passato, quando l'avevo amata come se fosse stata mia, nel presente in quella porta chiusa insieme al nostro legamo, nel mio futuro..che con lei non ci sarebbe mai stato. Quelle furono le sue ultime parole, le ultime parole da figlia a padre, le ultime parole da Ofelia.
La stanza si era ormai svuotata dopo aver ospitato un scena così fredda e orribile, ne sentivo ancora l'odore nell'aria: sorpresa, tristezza, dolore,abbattimento, confusione.. L'unico dettaglio che ancora non avevo registrato era un piccolo bigliettino poggiato sul tavolino a fianco al caminetto. Era di Eveline e leggendolo avevo visto come quella giornata era drasticamente fatta solo di adii..

"Mi dispiace...ho dovuto farlo"
Eveline

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Capitolo 14
*** Amaramente in missione ***


Questo dialogo non fa parte del diario di Eric Sullivan. E' un dialogo che lui non ha mai ascoltato..

"Presto saranno mie...finalmente" aveva detto L'uomo barbuto davanti alla donna.
"Cosa ne sarà di loro?" aveva detto lei.
"Ci sono tanti modi di morire..e a me servono tanti modi di uccidere. E' questo il loro destino, non possono evitarlo..non lo potranno evitare mai." aveva risposto l'uomo barbuto.
"E cosa ne sarà di Ofelia..la vostra Ofelia?" aveva chiesto la donna.
"Lei potrà solo amare..perciò ciò che possiede non lo merita.. Ma se volesse ancora uccidere, la lascerei libera.." aveva risposto l'uomo barbuto pensieroso. Si, la sua Ofelia, sua e di nessun altro. Lei era diversa, lei poteva amare, lei forse era l'unica che poteva vivere..senza uccidere.
"Ma quel dono che possiede è una maledizione.. Arriverà il giorno in cui quel peso sarà troppo insostenibile" aveva pronunciato la donna con aria seria..era sicura.
"Come fai a dirlo, Eveline?" aveva chiesto l'uomo barbuto in preda all'agitazione.
"Io l'ho visto... Vedo uno specchio e i suoi occhi.. Vedo la morte. Per la prima volta nella sua vita saprà che i suoi occhi non sono fatti per le cose belle, come ammirarsi come farebbe una bella donna.. i suoi occhi sono fatti per uccidere. Così è..e così sarà" la donna si era poi ritirata lasciando silenzio e vuoto. Ci poteva essere solo questo in quegli istanti, dopo che era stata fatta una premonizione, dopo che il futuro timido e misterioso si era fatta avanti in anticipo attraverso la bocca di quella donna.


Secondo dialogo mancante dal diario di Eric Sullivan

"Non dirmi che ti sei affezzionata? Era solo una missione.." aveva detto quell'uomo che non c'era.
"Le ho cresciute dopotutto...l'ho fatto per il loro bene..era il mio dovere. Tutto qui." aveva risposto la donna.
"E il creatore? Lo ami davvero?" aveva chiesto L'ombra, era quello l'uomo..l'uomo che non c'era.
"Lui ama un' altra, l'ha sempre amata. E nonostante quello che provo io è come se questo amore non ci fosse mai stato. L'amore non esiste se non è corrisposto... L'amore è un unione che si prova in due, perchè da soli non si può amare, perchè l'amore brucia troppo e da soli...si può solo morire tra le fiamme" aveva risposto la donna, Eveline, lei..che aveva sacrificato le figlie e che nonostante tutto di amore..non ne aveva mai ricevuto abbastanza, anche se era quello che le serviva per guarirla da quelle visioni, quelle assurde visioni dove tutti morivano, vivevano, erano felici, erano..normali o semplicemente..amati. Perchè lei non poteva averlo? Perchè la felicità poteva solo vederla nel futuro degli altri e non nel suo? Avrebbe voluto essere cieca per sempre, perchè in quel buio non avrebbe visto ciò che non avrebbe mai potuto avere.


....Si riprende dal diario di Eric Sullivan

Ero da solo. E quando dico solo non è la stessa solitudine di un uomo con il cuore spezzato, quella l'avevo già provata ed era stata devastante, era la solitudine di un uomo che ormai si era arreso e aveva smesso di lottare da tempo, di un uomo che avrebbe dovuto assistere impotente davanti al suo destino. Già, ma quale era il mio destino? L'avrei tanto voluto sapere visto che la scomparsa di Eveline e quel bigliettino avevano lasciato tantissimi interrogativi. Sapevo solo che aveva fatto qualcosa, qualcosa che credeva potesse salvare le ragazze, ma che ne ero certo, non l'avrebbe fatto. Eravamo rimasti solo io Clara e le altre bambine, Sophie e Ofelia se n'erano andate e Eveline lo stesso. Clara, nonostante gli avvertimenti, non poteva fare molto dopotutto per aiutarmi, perchè scontrarsi con l'organizzazione voleva dire solamente giocare con il sottile filo tra vita e morte. Inoltre, ad aggravare le cose suo padre aveva scoperto l'avvertimento che Clara mi aveva fatto e che io ero il Creatore. Questo non aveva affatto migliorato le cose creando uno spiacevole salto nel passato: la proibizione di non vedermi, la sottomissione di Clara che teneva più al suo lavoro che a me..ancora una volta. Perchè doveva dirmi tutto quello? Mi aveva fatto sentire uno stupido nel non aver capito in passato che mi amava come io la amavo, facendo forse scappare Eveline (anche se non ho mai saputo se il motivo era davvero quello..) e creando dopo tanto tempo un nuovo disgraziato vuoto dentro di me. Ora avevo perso entrambe: Eveline, mia moglie misteriosa era scappata facendo qualcosa che in qualche modo sarebbe diventata sbagliata (o forse per dolore? Non l'avrei mai saputo dire) e poi c'era Clara, il mio primo amore, nonchè recente illusione di amore..mi amava davvero ancora? Il suo allontanamente era stata la prova tangente. Non mi amava più, ma non ero arrabbiato anche perchè dopotutto quello che mi aveva detto era solo un rimprovero che avevo meritato e che mi aveva fatto capire che sarei dovuto essere meno inguenuo e che avrei dovuto comprenderla meglio in passato. Mi ero illuso così tanto! Ero certo di essermi illuso, non c'era motivo di una ricomparsa di Clara nel mio cuore..lei non ne aveva intenzione visto che..era sposata.


E così ero solo. I giorni non esistevano più si può dire, c'ero solo io e loro mentre attendevamo che arrivassero gli angeli della morte materialmente rappresentati dagli uomini dell'organizzazione. Come poteva fare l'organizzazione ad essere sulle nostre tracce? Era forse una mia folle paura..o era reale? Dopotutto Clara mi aveva parlato solo del loro interesse e non di una loro intenzionata caccia. Ma la caccia era diventata ovvia visto che potevano contare su ben 5 Ofelia, ammesso che Sophie e Ofelia fossero riuscite a scattare. Avevo pianto: le Ofelia erano 6..Ofelia sarebbe rimasta con il marito, con il suo padrone... Avrei preferito per lei qualcosa di molto meglio, ma a quanto pare dopo quelle sue parole i miei sforzi di padre sono stati del tutto inutili perchè in tutto quel tempo le avevo dato il meglio, ma evidentemente non era il meglio..che lei desiderava, ma solo quello che desideravo io. In un certo senso però andava bene così, che fosse sfruttata o no da quell'uomo la cosa più importante era che potesse amare ed essere a sua volta amata, perchè era questo il mio obiettivo da sempre: Darle l'amore in modo che dimenticasse la morte. Perchè amore significa Vita. I fatti che erano accaduti pochi giorni dopo non li avrei mai dimenticati perchè sono loro il fulcro della storia, della MIA storia, più della luna viola e delle mie figlie, perchè quei fatti avevano significato per me qualcosa che mai prima d'ora avevo mai provato: Salvezza.

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Capitolo 15
*** Attimi ***


Erano stati quei giorni successivi a racchiudere la mia intera vita, stranamente e amaramente era stato proprio così. Potevano pochi attimi dissipare un intera esistenza di dolore? Potevano se c'era Eveline. Lei in quegli attimi c'era ed era tutto ciò che mi serviva. Descriverli esattamente come accaddero sarebbe impossibile persino per un vecchio uomo vissuto come me, ma voglio provarci perchè sono attimi che un uomo vorrebbe provare ma allo stesso tempo dimenticare. Io sono quel tipo di uomo che li ricorda con gioia e dolore allo stesso tempo perchè in quegli attimi avevo perso qualcosa ma allo stesso tempo ne avevo trovata un' altra.. Prendere o lasciare, la vita è sempre stata così, non ottieni niente se prima non sacrifichi. Ma il sacrificio che avevo fatto io era stato troppo troppo insostenibile e ancora oggi non so se era stata una scelta equa. Mi giro e guardo mia moglie che dorme nel lettone e penso che se è ancora viva il merito non è mio, ma tutto suo, lei ha una forza incredibile, l'ha sempre avuta e io ho faticavo a starle dietro. Da questo punto di vista non posso che essere l'uomo più felice del mondo avendo accanto la donna che dopo tanti tentennamenti avevo scoperto di amare davvero in una maniera non del tutto umana, visto che nessuna coppia era mai stata tanto complice come noi e nonostante avesse fatto quello che aveva fatto non avrei mai potuto ringraziarla abbastanza, perchè con lei quel peso..diventava addirittura sopportabile.
In quei giorni, attimi per meglio dire visto che il tempo era del tutto fermo, lei era ricomparsa. Pensavo che volesse farmi soffrire ancora di più e vendicarsi per Clara, ma non importava della sua vendetta, volevo solo trovare il tempo di spiegarle tutto, di spiegarle che ero stato uno stupido e che Clara era stata solo un miraggio e che ero stato cieco a non vedere che l'amore vero lo avevo proprio accanto agli occhi sottoforma di una donna bellissima che tutto vedeva.. Era lei. E nessun altro. Mi avrebbe capito? Per la prima volta pregai.. Fai che mi ami ancora, Fai che mi ami ancora..pensavo. Avrebbe funzionato la preghiera di un mostro blasfemo come me? Amani Eveline, perchè io amo te.. Amami Eveline, qualunque cosa tu abbia fatto. L'amore è l'unica cosa di cui ho bisogno. Amami e sarai Amata.
Non mi aveva dato nemmeno il tempo di parlare, mi precedeva sempre quell'uragano di mia moglie. Sapeva già tutto, aveva visto. Ma il fatto che stesse piangendo mi irritava, lei non doveva piangere e se doveva farlo avrebbe dovuto accompagnare le lacrime a parole di disprezzo verso di me, come meritavo, come fa una moglie gelosa..sarebbe stata terribilmente sensuale, come sempre. Ma lei piangeva di colpa, di dolore. Cosa hai fatto amore? Puoi anche uccidermi, credimi che in questo istante non mi interessa, perchè quando capisci chi è il tuo vero amore puoi anche essere circondato dall'inferno e dalla morte..c'è solo lei che piange. Mi veniva da piangere perchè ero stato come sempre uno stupido...Che importa del tradimento? C'era solo lei e le sue lacrime, erano dolci lo sapevo, troppo calde di dispiacere ma dolci...sapevano di sacrificio. Lo sentivo nella sua labbra durante il nostro bacio adorante, che sembrava fosse il primo e in un certo senso lo era, perchè prima d'ora non l'avevo mai baciata così. Era un bacio che si da solo all'amore vero, e io l'avevo percepito in ogni minimo dettaglio, nel sapore delle sue lacrime che erano scese fino alle labbra, nella sensazione dei suoi capelli tra le mie dite. Era solo un attimo prima che parlasse, prima che mi dicesse come sarebbe stato il mio futuro, il futuro nel quale sarebbe mancato qualcosa...
Ed è qui che arriva la cosa che parzialmente mi impedisce di ricordare un così bel momento, nonchè la ragione del mio peso.. Eveline mi aveva detto tutto: della sua vera appartenenza, della missione, della sua vita, del suo destino. Piangeva tantissimo quando ne aveva parlato e io non potevo farne a meno, perchè sentendo quella storia in quelle lacrime, mie e sue, erano passati i fiumi delle nostre vite, i torrenti dei nostri dolori, così simili quanto insopportabili. E in quelle lacrime non riuscivo nemmeno a elaborare il dolore della perdita: Avevano preso le ragazze. Perchè non soffrivo? Era stata lei a venderle..avrei dovuto odiarla, ma allora..dove era l'odio? In quegli attimi riuscivo a elaborare solo le lacrime che risarcivano anni di repressione, lacrime che umanamente sarebbero dovuto scendere ma che avevo sempre così abominevolmente taciuto, così come i miei sentimenti per Eveline. E in quella fredda stanza non riuscivo nemmeno un pò ad odiarla anche se mi aveva privato delle mie figlie, era un dolore per la prima volta sordo, muto, cieco... era un dolore che avrei capito con il tempo senza però dare la colpa a Eveline. Per questo oggi ne soffro così tanto, era un dolore che si presenta come un demone quando meno te lo aspetti e ora..è il mio compagno di viaggio nella vita.
Avrebbero preso anche me di li a poco tempo ma non mi importava, in quegli attimi non mi importava, ero dentro una bolla di sapone e non avrei permesso a nessuno di distruggerla.

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Capitolo 16
*** Lottare, lottare e ancora lottare ***


Poteva forse esserci qualcosa che avrebbe potuto rovinare una tale perfezione? Una bolla così delicata e profumata nemmeno lontanamente comparabile a ciò che era Eveline, a ciò che ancora è... Non era però fragile come una bolla, era sempre stata solida come la realtà, un muro su cui appoggiarsi consolante almeno quanto una calda e morbida spalla. C'era ancora qualcosa che poteva rovinare tutto? Su una cosa avevo ragione, e avevo sperato che non fosse così grave da farlo: Mi stavano cercando. Si, mi stavano cercando e questo era normale per uno che aveva commesso un crimine come il mio, per uno come me.. Eveline però mi aveva assicurato, da quando ci eravamo ritrovati, che avrebbe fatto di tutto per evitare di perdermi di nuovo e io mi ero sentito un pò strano quando lo aveva detto..sarebbe dovuto essere il contrario, la mia vita era sempre stata al contrario, perchè Eveline era stato il muro e io..il piagnone appoggiatovi. Ma mi sarei affidato comunque ciecamente visto che poteva spiare per me, poteva proteggermi davvero, più di quanto avesse mai fatto Clara.. avrebbe potuto monitorare le intenzioni dell'organizzazione nei miei confronti, e nel preciso istante di emergenza saremo scappati..era questo il nostro piano, doveva essere quello, perchè se volevamo veramente pensare alle nostre figlie che ormai erano perdute, dovevamo impegnarci con tutti noi stessi a restare entrambi vivi, vivi per loro... perchè se fossero riuscite a scappare o no avrebbero avuto almeno la consapevolezza di avere delle persone che le amano al di fuori di quelle prigioni, avrebbero avuto la speranza.
Era stato triste pensare che quella speranza non eravamo stati noi a darla ma Eveline aveva detto che non avremo potuto fare altro e che farle catturare era stata la scelta migliore, perchè almeno..sarebbero state unite. Se le avessimo tenute, se Eveline avesse tradito l'organizzazione saremo morti tutti quanti, persino Ofelia.. Ed era paradossale pensare che delle ragazze con quel dono dovessero preferire la vita, ma anche in questo Eveline mi aveva sorpreso.. aveva detto che era meglio così, perchè nella morte non sarebbero più state insieme, sarebbero state sole.. Ma come potevo però pensare che fossero al sicuro se erano armi? Eveline le controllava più che poteva quando andava a monitorare la situazione all'organizzazione. Diceva che erano felici, dopotutto e che non sarebbero finite come Sophie, come Ofelia..Eveline aveva detto che loro 5 facevano qualcosa che le altre due sorelle non avevano fatto e che noi due avremo dovuto imparare a fare: Lottare. Una vita di lotta sarebbe stata pensante per loro, questo era chiaro..eppure la loro forza, le loro singole forze unite, sembravano imbattibili.. per tutta la vita mi sono chiesto perchè fossero così ostinate a vivere anche se erano costrette ad uccidere.. Una volta Cristine mi aveva lasciato senza parole quando avevo fatto quella domanda per la prima volta, quando eravamo felici..
"Perchè è la nostra ragione d'essere e senza..non potremo esistere.."

Non lo avevo mai pensato così seriamente come loro lo intendevano, era un concetto per me incomprensibile, perchè solo chi era come loro poteva capire, nemmeno Eveline poteva, lei che poteva ritenersi fortunata limitandosi a vedere cose che nessuno può vedere. Ma se erano felici anche se uccidevano..io cosa avrei potuto fare? Se ami qualcuno lascialo libero, lascialo libero..anche se vuol dire gettarlo nella vita fatta di morte. Ero impotente, ancora una volta, ma stavolta sapevo che ciò che avevo fatto non era stata colpa mia, perchè in un certo senso era stata una loro decisione: proseguire il loro destino, lottare. Anche Ofelia aveva preso la sua decisione dopotutto, sposando il suo padrone, aveva scelto anche lei il suo destino, ma al contrario delle sorelle si era solo arresa e aveva scelto la via più facile.. lei non aveva lottato, si era abbandonata al fato..immobile. Sophie non aveva più voluto sentirne dei suoi poteri, era semplicemente scomparsa...Era la vita che voleva e la vita aveva trovato. Ne ero stato felice.
Quando si è troppo felici nessuno si aspetterebbe mai che qualcosa vada storto.. è come un mondo ideale, un rifiugio senza dolore nè malignità. Il tuo rigiufio. Ma il male non bussa mai alla porta del tuo rifugio, entra sfondandola e prende quello che vuole, divora i tuoi sogni, le tue speranze, distrugge il tuo futuro.. Era perfetto definire così l'organizzazione, ma quella porta non era mai stata sfondata: Eveline sapeva già tutto, eravamo pronti. Era proprio come il giorno in cui aspettavamo che prendessero le ragazze, c'era solo silenzio e piccoli rumori quotidiani che ci sarebbero mancati per sempre, così banali nella loro perfezioni, così calorosi che gridavano CASA ogni volta che tendevi l'orecchio. Ma stavolta era come se tutto si fosse spento, come se la bolla si fosse riattivata in automatico a proteggerci, volevamo salvarci..DOVEVAMO salvarci. Per noi. Per loro.
"Sai cosa vogliamo.." aveva detto l'uomo in nero.
"E tu sai che non puoi averlo..." aveva risposto Eveline.
"Lui non vuole discussioni: O lui..O te" aveva detto l'altro uomo in nero sorridendo maligno.
"Lui deve finire di prendere quello che vuole. Ha le ragazze e questo può bastare" aveva esclamato Eveline feroce come non lo era mai stata.
"Immagino che tu sappia cosa vuol dire questo.." aveva ghignato il primo uomo in nero.
Eveline non aveva mai abbassato lo sguardo neppure una volta, mantenendo il suo orgoglio infrangibile..come le era stato insengnato. Inganna gli Ingannatori..era questo il motto dell'organizzazione, ed Eveline lo utilizzava al meglio.
Gli uomini in nero sparirono nel nulla lasciando dietro un alone di mistero ed elettricità. Sembrava quasi che i loro corpi coperti dai lunghi mantelli di cuoio non emettessero alcun suono, quasi nessun movimento talmente erano veloci e precisi..Assassini sempre e per sempre pensai tristemente, perchè Eveline lo era stata probabilmente in tutto quel tempo, ma quello ero il passato perchè nella frase "O lui.. O te" lei non aveva accettato nessun compromesso. Lei era il muro, e io mi ci sarei aggrappato sempre, lei mi avrebbe protetto..
Solo Noi...non accetto altro. Era questo che diceva sempre e i compromessi non potevano esserci, eravamo insieme e lo saremo rimasti, aldilà dell'organizzazione e del tradimento, aldilà del tempo e della morte stessa. Eramo noi. Siamo Noi. E anche se quelle masse informi di nero notturno che erano appena sparite da casa nostre canticchiavano Oscuri presagi a Eveline, anche se la parola "traditrice" suonava nelle parole di quei motivetti, lei non si scomponeva mai, perchè lei non era una traditrice, lei era il mio muro e io il suo ospite, e l'uno non sopravvive..senza l'altro.

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Capitolo 17
*** Inversione di ruolo ***


Essere felici anche in quei giorni di tensioni era stranamente la cosa più eccitante che avessi mai provato in tutta la mia vita, insieme al rischio, al pericolo che non provavo solo io, ma anche Eveline insieme a me, lei che era ricercata quanto me, lei..la traditrice. Per una volta eravamo davvero alla pari, nessuna differenza, nessun pregiudizio. Completamente identici. Era come guardarsi nello specchio dei peccati: esso riflette ciò che hai fatto di male nella vita, e in quello specchio le immagini riflesse erano identiche. Tradimento. Due persone con un coltello in mano: Lei, la bellissima donna, una dama che poteva svelare il futuro e che aveva tradito coloro che l'avevano aiutata, Lei, un uomo dal passato abominevole, il Creatore, aveva tradito le sue stesse figlie.. Passarono giorni e settimane, nessuna notizia dall'organizzazione. Si erano dimenticati di noi? Non era possibile dimenticarci, perchè per quanto fossimo comuni mortali (non nel vero senso della parola), o comunque persone che almeno fingevano di essere normali, le nostre capacità, le nostre vite, i nostri peccati non potevano assolutamente essere dimenticati, non con tutta quella facilità. Anche Eveline si era insospettita, perchè l'organizzazione sa sempre tutto, l'organizzazione non dimentica mai. Per questo aveva deciso di indagare da sola, senza volere il mio aiuto: L'ennesimo tentativo di proteggermi, l'ennesimo capovolgimento di ruoli. Ma mentre Eveline lavorava in incognito, sensuale come nessuna, suscitandomi persino imbarazzo nel vederla così determinata, io avevo deciso di fare a modo mio, chiamando una persona che non avevo chiamato da tempo e che soprattutto..odiavo. Non avrei mai pensato di chiamare il padre di Clara, dopo che mi aveva inoculato tanto di quel veleno tanto tempo fa, eppure chiamarlo era diventato una questione di vita o di morte dal momento che svelare il mistero del silenzio improvviso dell'organizzazione avrebbe dipeso la mia salvezza o la mia morte insieme a quella di Eveline. Dopo che avevo appreso il suo legame col paranormale e soprattutto i suoi rapporti con l'organizzazione, diversi da quelli della figlia visto che lei aveva voluto proteggerci, mi ero deciso che anche se era un rischio svelarmi a lui scatenando così il pericolo di essere consegnato avevo in me la strana consapevolezza che dopo tutti quegli anni...non mi avrebbe toccato. Eveline ovviamente lo aveva visto ed era tornata subito indietro urlandomi contro, mi aveva detto che ero stato uno stupido e che ci avrebbe di sicuro consegnato, ma a me non importava, io dovevo sapere e inoltre le mie ricerche erano state di certo più efficaci delle sue, visto che ormai era costretta a indagare di nascosto. Il rischio sarebbe servito seppur brusco, a sapere cosa davvero ci aspettava, perchè il pericolo può essere eccitante ma se la paura preme diventa una sinfonia angosciosa. Quando il padre di Clara aveva bussato alla nostra porta era stato incredibile almeno quanto la volta in cui l'aveva fatto Clara, forse in misura maggiore visto che lui aveva inciso in maniera decisamente più negativa nella mia vita, più del rifiuto di Clara. Non era cambiato di una virgola in tutti quegli anni, come se quelle sue conoscenze di paranormale gli avessero fatto apprendere un modo per trovare una sorta di elisir di lunga vita, e in quell'attimo rabbrividii nel pensarlo immortale, immaginandolo mentre mi perseguitava per sempre. "Sullivan..quanto tempo" aveva detto con la sua solita freddezza. Era come se il calore non potesse far parte del suo essere, era un corpo adatto solo alla freddezza, ad escludere tutto ciò di bello che potesse capitare, e io lo ero stato.. "Buonasera..entri, prego." ero immobilizzato nel rivederlo, un fantasma del passato, proprio li..davanti a casa mia. Sembrava tanto uno dei miei vecchi incubi, nei quali lui mi trovava sempre per urlarmi la stessa frase che mi faceva sempre rabbrividire.."Stai lontano da lei". "Non hai nemmeno il coraggio di dire il mio nome..codardo" aveva sorriso lui in una maniera terrificante. Doveva aver avuto a che fare con parecchi spettri visto che si comportava esattamente come loro, e il fatto che fosse umano, anche se avevo qualche dubbio, lo rendeva ancore più terrificante, perchè ciò che diceva era reale, feriva per davvero. Avevo deglutito tutta la saliva della mia bocca, che era ormai secca. Sarei mai riuscito a sconfiggere l'ultimo, potente demone del mio passato? Avevo sconfitto Clara e la creazione delle lune viola, anche se non del tutto, potevo farlo anche con lui, perchè avevo un arma che lui non si aspettava che io potessi mai ottenere: L'amore. "Ebbene..cosa vuole da me?" aveva chiesto il nemico con indifferenza, indifferenza vera. Il mondo per lui non esisteva, esistevano solo due cose: Clara e il suo lavoro. "Perchè hanno smesso di cercarci?" avevo risposto io con la forza infusa dalla mano di Eveline intrecciata alla mia. "Come prego?" Il suo volto si era scalfito per la prima volta da quando lo conoscevo, e quei tratti accigliati erano talmente nuovi per me che quasi pareva uno sconosciuto, un mendicante e non il mio ex-quasi-suocero. "Conosciamo i vostri rapporti con l'organizzazione, erano così palesi. Perchè non ci stanno più cercando?" aveva detto Eveline a sorpresa senza mollare un attimo la mia mano, e stavolta lo avevo sentito..ero stato io a inforderle la mia forza. Era così che funzionava tra di noi. Il nemico ancora accigliato ci aveva squadrato entrambi sentendosi alla strette, voleva scappare..proprio lui, che mi aveva chiamato codardo. "Risponda se ci tiene al suo segreto.." aveva aggiunto Eveline divertita. Era ancora più bella in quella veste malefica, in stridente contrapposizione alla sua bellezza da quadro del diciottesimo secolo. "Io non ho segreti. L'organizzazione mi protegge.." aveva risposto il nemico sghignazzando, era patetico, perchè l'avevo temuto da così tanto tempo? In quello sghignazzo mi ero reso conto che avevo a che fare con un vecchio bacucco codardo e arrivista. Avevo riso con Eveline, mi sentivo imbattibile con lei. "Ma davvero? Quindi non le darà fastidio se rivelassi all'organizzazione i suoi esperimenti segreti sugli adepti giovani.." Eveline era stata incredibile in quella rivelazione, l'aveva solo detta ma suonava come un colpo d'arma da fuoco se avesse posseduto una pistola con cui accompagnarla. Il nemico era sbiancato in un colpo solo, come quello sferzato da Eveline con le sue parole. Dunque era questo il punto debole che tanto agoniavo di trovare da sempre, la crepa nella sua corazza di ghiaccio: Un segreto. "Va bene..p-parlerò...lo farò per proteggere Clara." aveva risposto lui e sentendo il nome della figlia ero rimasto stranamente indifferente, perchè quello che credeva di mostrare non era affetto ma una morbosa ossessione, non gli importava niente della figlia..perchè aveva maledettamente paura della solitudine. E questo l'avevo capito un istante dopo quelle parole. "Oh certo, la sua piccola vipera starà benissimo Ora parli...perchè hanno smesso di cercarci?" Era deliziosa quando era gelosa, figuramioci in quell'istante che la ricordava in quegli istanti di cui mi vergogno, quando ero caduto nella trappola del passato. Ma Eveline non accettava compromessi e la salvezza era alla distanza di una risposta. "C'è un altro creatore..." aveva risposto l'uomo per poi scappare per sempre dalla mia vita, tornando dal mio passato ed eliminandosi definitivamente dal mio futuro. Voleva dire salvezza tutto questo? Non riuscivo a ragionare dopo quella risposta che così tanto volevamo, perchè l'amaro nella mia bocca non andava via. Mi ero sentito sempre così solo, così incompreso ed ora...non lo ero più. C'era qualcuno che poteva capirmi, forse l'unico, forse più di Eveline, ed era là fuori.. e aveva preso il mio posto, ora era lui la preda..

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Capitolo 18
*** La dama bianca ***


Non avevo mai pensato seriamente che ci potesse essere un altro al mondo come me, o per meglio dire che qualcun altro avesse potuto compiere un secondo abominio come il mio, visto che il primo era stato atroce. Le domande mi sorgevano così naturali per quell'uomo, se mai l'avessi incontrato, perchè una cosa era certa: dovevo incontrarlo. E lo volevo perchè parlare con lui sarebbe stato come guardarsi allo specchio, nel quale avrei potuto una volta per tutte capirmi, senza illusioni, senza bugie. Perchè diciamocelo, in tutti quegli anni non avevo fatto altro che coprire i miei problemi o semplicemente mentire a me stesso creando illusioni che mi facessero dimenticare il bisogno che avevo di aiuto. Forse, dopotutto, non ero così debole come credevo di essere se in tutto quel tempo avevo sofferto quasi in silenzio. E dico in silenzio perchè avevo sicuramente avuto i miei sfoghi, in maniere più o meno contenute, ma in fondo il mio dolore non aveva mai danneggiato davvero qualcuno, perchè i fatti conseguenti erano stati tutti scelte altrui o semplicemente..del destino. Con quell'uomo avrei finalmente capito se era effettivamente giusto sentirmi come mi ero sentito in tutto quel tempo, un mostro, o se magari c'era una strana via alternativa, a me sconosciuta, nel quale avrei potuto elaborare una nuova concezione di me stesso, quella di un uomo, un padre, una marito. Conoscevo già le conseguenze di quell'incontro, perchè io e Eveline ne avevamo parlato a lungo considerando i pro e i contro visto che ormai non eravamo più in pericolo e non volevamo rovinarci ancora la nostra felicità. Ma nonostante tutto mi sentivo pronto a quella conversazione, non so il perchè, ma era come se quell'uomo che ancora non avevo avuto modo di conoscere, avesse un legame con me da sempre, probabilmente per il fatto che condividevamo una creazione comune, o forse per aver avuto il cuore spezzato che aveva causato tutto. Ero curioso e lo ero anche perchè avrei conosciuto le sue creazioni, quelle che erano state per lui come per me le sue figlie, anche se non naturali, ma comunque figlie nel vero senso della parola, e non creature come le avrebbero chiamate le male voci. Non c'era solo curiosità in quell'incontro che bramavo così tanto, c'era soprattutto..sollievo, si, perchè, anche se egoisticamente, avrei avuto la certezza di non aver mai avuto quel peso che mi sentivo sempre addosso: ora lo potevo condividere.
Io ed Eveline avevamo fatto di tutto per rintracciare il secondo creatore e al dire il vero non era stato così difficile, visto che ci era bastato continuare a ricattare il padre di Clara. Forse era stato un gesto troppo meschino, ma a noi non importava perchè il padre di Clara poteva sopportare ancora un pò di tortura visto che a me, ma anche ai ragazzi dell'organizzazione, aveva fatto passare momenti di gran lunga peggiori. Lo ricordo ancora quel giorno, era inverno, nevicava, ricordo ancora l'esatta posizione dei mobili del nostro salotto e come era vestita Eveline, impeccabile come sempre, ricordo persino gli odori, le loro voci.. quella roca ma anche gentile del mio compagno di creazione e una seconda voce, quella dolce e gradevole di una ragazza, la sua creazione.
Ancora oggi rabbrividisco dall'emozione al ricordarmi di quell'incontro, era stato il più incredibile della mia vita, perchè in quegli istanti di gradevole conversazione avevo compreso una volta per tutte cosa significasse davvero la parola opposto. Avevo capito che c'era anche la luce oltre quel viola.

"Benvenuto. Entrate, vi prego" aveva detto Eveline.
Lui era seduto nel mio divano, eravamo l'uno davanti all'altro, esattamente come l'immagine classica dell'opposizione. Si chiamava Roger Hope, e non era solo il suo cognome a suggerirmo che di lui potevo fidarmi e che era una persona buona ma anche il suo aspetto.. che male poteva fare un signore con gli occhiali? Era sempre questa l'impressione che avevo, sin da piccolo, perchè le lenti erano come scudi contro la malvagità, questo pensavo. Stavolta era vero. Lei, la ragazza, mi metteva tristezza. Non per il suo aspetto, bella come era, fresca e giovane, con lineamenti addolciti da boccoli castani e dai suoi occhi verdi candidi come la foreste d'estate, ma perchè mi ricordava Ofelia. Eccetto l'aspetto si potevano dire uguali, nel destino almeno, la sola differenza, e questo era il particolare che più mi rattristava, era che lei mi aveva lasciato... mentre Roger Hope poteva ancora contare sulla compagnia della sua piccola.
"Sa, Signor Sullivan, Mi fa piacere il suo invito" aveva detto il mio ospite sincero. Lo scudo dei suoi occhiali tondi e splendenti era attivo, lo sentivo, perchè la casa era piena di bontà e questo non poteva non sentirsi, persino Eveline la percepiva, sorridente.
"E a me che sia venuto. Io..io..mi sono sentito così solo.." avevo balbettato. Diamine ero così felice della sua presenza che quasi piangevo sulla mano di Eveline! Lei mi era seduta accanto , con la mano sui miei capelli.
"Va tutto bene, signor Sullivan. Ora non è più solo. Io sono Roger Hope e lei è mia figlia, se sa cosa intendo. Lei è Elise" mi aveva detto con la sua gentilezza sprizzata in soccorso alle mie lacrime che quasi spuntavano fuori dagli occhi. Le lacrime però presto erano cresciute sempre più e non importa che me le avesse provocate quello sconosciuto, era la gioia di aver trovato la luce dopo tutto quel tempo, dopo tutto quel tempo..ero salvo. Ero uscito fuori da quel tunnel buio nel quale avevo potuto godere di Eveline, la mia torcia nell'oscurità, e ora invece...ero fuori, nella luce, nel giorno, e tutto grazie a Roger Hope. Non potevo nemmeno immaginarmelo cattivo, tanto che mi sembrava strano che avesse creato anche lui la luna viola. Non poteva essere.
"su, su..non pianga. Come si chiamano le sue figlie?" mi aveva chiesto ridendo la dolce voce di Elise. Mi stavano consolando..una cosa che raramente ricevevo, se non da Eveline.
"Le mie figlie sono andate tutte via, purtroppo. Erano 8." avevo risposto singhiozzando come un bambino. Da quanto non piangevo? Non ricordavo più..e questo era un bene, stavo finalmente dimenticando il dolore, con la forza di un solo pianto.
"Ofelia, Katherine, Sophie, Eva, Cristine, Elizabeth, Agata e Portia..Le nostre figlie" aveva detto Eveline fiera. I nostri diamanti, diamanti rubati che risplendevano di ricordi ormai sbiaditi, ma sempre presenti.
"Che nomi sublimi! li avete scelti tutti voi?" aveva chiesto Elise curiosa.
"La maggior parte li ha scelti Eric..io solo alcuni. Hanno tutte un secondo nome, tranne Ofelia." aveva risposto Eveline sorridendo. Era così bello che parlasse così, tra donne, era..naturale.
"Quindi in un certo senso si chiamano tutte Ofelia...originale!" aveva esclamato Elise, battendo le mani guantate.
"E' stato Eric a scegliere quel nome.." aveva detto Eveline associandosi alla reazione di Elise, anche se più compostamente e ricordando con un sorriso quando eravamo una famiglia.
"Come mai proprio Ofelia? Intende L'Amleto non è vero?" aveva chiesto Roger Hope, anche lui trascinato dalla curiosità verso di me e le mie figlie così come io era incuriosito da lui.
"Perchè volevo che potessero scegliere il loro destino e che, a differenza di Ofelia, non fossero spinte a vedere la morte" avevo risposto io quasi in automatico, perchè era stata una scelta talmente naturale che l'avevo presa senza nemmeno pensarci. Quella famosa frase aveva deciso tutto.
"E' stato bravo, Sullivan. Le lune viola non sono esattamente un facile affare da sopportare.." aveva constatato Roger Hope. Perchè mi capiva? Ero così grato! Quelle parole fino a poco tempo prima me le potevo immaginare solamente ripetute da me stesso, nell'atto di consolarmi e in quell'istante invece..c'era qualcun altro, la bontà.
"Mi è costato tanto.." avevo detto tra le lacrime. Era giusto piangere, in effetti, stava venendo tutto fuori e dal sapore che mi entrava in bocca mentre gocciolava dagli occhi per poi attraversare le guance e diretto poi sulle labbra e nella lingua, sentivo che quel dolore poteva finire. Era il mio ultimo sfogo. Ufficialmente. E sentirlo nel sapore delle proprie lacrime aveva un senso, soprattutto se tutte le altre versate erano solo calde, erano dolore sordo, ma insopprimibile. Ora invece potevano smettere ed era incredibile che potesse essere possibile con quella conversazione. Ancora oggi mi chiedo cosa ci fosse in quelle parole, ma non capisco niente di magia, perchè ho conosciuto solo l'orrore di essa, ammesso che lo fosse, ancora non lo so spiegare.
"Lo immagino, Sullivan. Io non ho creato le lune viola e di certo non so cosa si prova. In compenso però ho creato qualcosa di buono nella mia vita, e sa una cosa? Ho lasciato tutti a bocca aperta, mi credevano un fallito. E invece eccoci qui, abbiamo creato qualcosa nella nostra vita, e bella o brutta che sia, quella c'è e ci sarà per sempre a ricordarci che noi, Roger e Eric, qualcosa l'abbiamo fatta in questo pazzo mondo: insaporirlo!" aveva detto Roger Hope scoppiando in una sonora risata. Perchè non avevo saputo farlo anche io? Perchè non avevo saputo riderne? Era una soluzione così semplice (anche se bizzarra) che mi avrebbe risparmiato tanto dolore. Certo non c'è molto da ridere nella morte, ma un sorriso apre gli spiragli nel cuore, ti apre le porte alla speranza, e attraverso quell'angolazione delle tue labbra così bella e inaspettata ti fa capire che a tutto c'è un rimedio, a qualunque errore, anche se è terribile.
"La luce esiste, Signor Sullivan. E mio padre me l'ha dimostrato creando me: La dama bianca. E' così che mi chiama" aveva detto Elise ridendo di gusto con il padre, come due strumenti che suonano, uno basso e roco, l'altro alto e acuto.
"Dama bianca?" aveva chiesto Eveline incredula.
"La luna ha anche un altra faccia, signora Sullivan. Non la mostra mai, ma c'è. Ed è lì che è nata la Luna argentata..è per essa che è nata Elise." aveva risposto Roger Hope con semplicità, come se la domanda fosse banale e retorica.
"Ma Elise..cosa..?" non riuscivo nemmeno a dire "Cosa sa fare?". Mi sembrava inopportuno, non volevo farla sentire come avevo fatto sentire le mie figlie, così sbagliate e dannate.
"Io signor Sullivan? Io do la vita..." aveva risposto lei degna di quel dono.
Era ovvio. Eravamo davvero opposti. Vita e Morte: L'una viene data e l'altra arriva se la prima viene tolta. Viola e Argento, Luna visibile, Luna non visibile. Ma nonostante fossimo opposti, quel giorno avevo pianto tantissimo, perchè Roger Hope e la sua figlia mi avevano mostrato un cammino del quale non conoscevo nemmeno la mappa, o la direzione, un cammino che avevo sempre ignorato nonostante ci fossi così vicino e che non mi era mai passato nella testa, intento come ero a pensare alla morte e al dolore: La vita.

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Capitolo 19
*** Tutto ciò che resta ***


quindi ora sapete la mia triste storia. Possiamo definirla tale? Decidetelo voi questo, perchè io sarei di parte, lo sapete, e non impiegherei poi molto a gettare altro dolore sulle ceneri. Cosa dovrebbe fare un uomo con questa storia ora? Fare, che so, un resoconto? Odio doverlo fare, ma credo di averne bisogno dopotutto, perchè sento che questa è l'unica cosa ordinata della mia vita, ho proprio bisogno di un pò d'ordine, non credete? Perciò dopo aver incontrato Roger Hope, il velo del dolore, o per meglio dire il macigno costantemente presente nella mia vita si era come ridotto considerevolmente. Come era possibile? Era stato possibile perchè Roger mi capiva, era stato possibile grazie ai sorrisi di Elise e alla sua speranza, alla sua voglia di vivere nonostante tutto. Perchè io non avevo saputo trovare quella forza? Ma dopotutto non sono stato poi così male, perchè quella forza io l'ho avuta, in un certo senso, perchè la mia forza giaceva nella tenebra, nel dolore, ma giaceva, esisteva. Ancora una volta mi ero dovuto accontentare di quella forza oscura ma presente e sapete che vi dico? Che non mi lamento, perchè almeno ho vissuto. Ho vissuto tanti dolori, tante delusioni, sofferenze, cuori infranti, tra i quali il mio e non una volta sola, ma almeno ho potuto dire ogni giorno della vita.."Io ci sono". E se puoi dire questa frase puoi ritenerti fortunato caro mio, perchè è sempre meglio esserci, il resto lo combina il destino, che sia bene o male. Forse la mia non è da considerarsi fortuna, nel fatto che il destino abbia scelto per me il male, ma questo non va considerato come un dispetto, è come un enorme vaso pieno di biglietti. Noi siamo i biglietti, e il destino è la mano che li estrae, perciò ecco, cari lettori: Non siamo altro che giocatori. Giocatori che sperano di essere estratti e di vincere ottenendo il bene, altri invece sono giocatori che falliscono e ottengono il male, ma almeno hanno giocato onestamente, hanno vissuto, sono stati regolarmente estratti, hanno avuto la loro occasione. Io sono un giocatore che ha fallito, posso aver fallito come padre, o come marito, ma in una cosa non credo di aver fallito: vivere. Ho vissuto nel rimpianto, nella pena e nella commiserazione, ho vissuto nell'odio e nella rabbia, ma HO VISSUTO, sono ancora così sfortunato?. E nemmeno quando ogni anno dopo quell'incontro Roger Hope tornava a darmi notizie sulle mie figlie mi scoraggiavo. Anche loro erano state giocatrici che avevano fallito, e lo avevano fatto per mano mia, ma questo non mi importava perchè anche loro avevano vissuto, ed erano state fortunate, perchè IO le avevo fatte vivere, io avevo creato quell'illusione che credevo assurda, ma almeno funzionante. Si può vivere persino nell'illusione, a patto che si viva. E questo mi bastava. Elise lavorava per l'organizzazione occasionalmente, e solo su sua decisione , e per questo che l'adoravo, lei era la padrona del suo destino, aveva deciso che nessun altra mano avrebbe estratto a sorte la sua vita. Era Elise, infatti che mi portava, insieme a Roger, le informazioni sullo stato delle mie figlie, quando sbrigava qualche faccenda come riportare in vita membri uccisi ingiustamente, come mogli, mariti e figlie per i quali non si poteva sopportare la perdita. Le ragazze stavano tutte bene, uccidevano ancora, sebbene non più frequentemente (e di questo ne ero felicissimo), e vivevano..insomma, erano felici dopotutto. Di Sophie sapevo pochissimo, ma Elise era riuscita a scoprire che era andata a vivere in Francia, con suo marito. Anche lei era felice, e anche se mi aveva gettato acqua fredda più di una volta, le ero grato con tutto me stesso. Era felice, e aveva l'amore, so cosa si prova e per questo mi chiedo..cosa c'è di meglio? La sorte di Ofelia invece è l'unico velo nero che ancora non riesco a smaltire nonostante ormai col passare del tempo si debba superare il dolore. Mi sembra ancora impossibile che lei non c'è più, e il vuoto lo sento talmente bene che potrei quasi colmarlo mettendo un pugno dentro il cuore tastando il buco che vi è dentro. Era stato Hugo, suo marito, a darmi la notizia, il capo dell'organizzazione, proprio a casa nostra. Erano state delle parole fredde, veloci, dolorose, e ogni parola aveva una piccola vanga personale che scavava quel buco ancora presente in me. Era stata un frase sola, ma aveva fatto male quanto un intero discordo...
"Ofelia si è uccisa. Con uno specchio"
Hugo non aveva saputo dirmi altro, perchè parlare ancora avrebbe allargato il buco che supponevo avesse anche lui dentro. E' strano parlarne ancora, dopo tanto tempo, con la stessa identica freddezza e tristezza di allora, perchè si dovrebbe supporre di averlo superato. Ma non credo che ci riuscirò, forse lo posso fare per le mie figlie, per ciò che avevo commesso con la luna, ma con Ofelia...non sono sicuro di farcela. Prima o poi il dolore si ridurà, ma se dovesse succedere sarà lentissimo, tanto che nel momento stesso in cui l'umida terra della mia patria toccherà il legno della mia cassa, quella freddezza mista a quella della mia morte, ci sarà ancora, presente nel corpo anche se non riuscirò a percepirla, e presente nell'anima, insieme a me..in qualunque posto io debba andare. E ci andrò ve lo assicuro, ci andrà Eveline purtroppo, la mia Eveline, anche se spero più tardi, e ci andranno le mie figlie prima o poi, e Ofelia..c'è già. Non so ancora se sarà paradiso o inferno, e se fosse per me spero proprio che sia il purgatorio, dove almeno per una volta le colpe non fanno così dannatamente male. C'e una cosa comunque che mi risolleva lo spirito, forse l'unica, ma c'è, la sento. Hugo mi ha fatto una promessa, l'ha fatta ad Ofelia prima di morire: ha promesso di proteggere le Ofelia. E sebbene io non mi fidi di lui, allora ci penserò io a proteggerle, le proteggerò tutte quante, nel futuro, dal mio comodo posto in purgatorio, perchè come ho già detto, il purgatorio è un posto perfetto per chi vuola la pace nonostante abbia vissuto nel dolore. E ogni persona ha bisogno di pace anche se ha le colpe, colpa di esser nata, colpa di uccidere, colpa di amare troppo. E non importa quale sarà la tua sorte, quale sarà il fortunato vincitore dell'estrazione, perchè caro lettore la cosa più importante è che tu viva, e chiunque abbia questa fortuna, credimi, non merita di soffrire così dannatamente tanto.



Le mie dita si erano fermate perfettamente in tempo, precisamente in sincrono con la storia, con le parole, con le mie idee. Era magnifico. Avere la mente collegata ad una semplice macchina da scrivere era qualcosa che non riuscivo nemmeno a concepire lontamente finchè le mie dita non hanno toccato il freddo dei piccoli tasti. E le lettere poi! quei piccoli segni in rilievo sui tasti mi facevano sentire in paradiso, come se..mi accarezzassero. Si poteva provare così tanto amore? La storia era appena finita e io ero al settimo cielo, in estasi come non mai. Poteva esserci qualcosa di storto in quel momento così perfetto? Cosa poteva rovinare la perfezione di quei fogli ordinati, quei tasti perfettamente lucidi, quella storia scritta e terminata sotto i miei occhi?. Sarebbe piaciuta? I gusti delle persone sono sempre l'ostacolo maggiore per uno scrittore, ma dopotutto pensavo che la storia di Eric Sullivan sarebbe stata alla portata di tutto, proprio perchè tutti soffrono. Sarebbe diventato un eroe, un mito, un esempio. Chi lo sa? Non riuscivo a continuare nemmeno il filo dei miei pensieri, perchè mentre ammiravo la perfezione del mio creato, in opposizione al personaggio da me creato, qualcosa nella mia stanza mi aveva distratto. Pensavo fosse un riflesso, un illusione, un gioco della mia immaginazione febbricitante e ancora attiva dopo aver finito il mio romanzo. Era...Vero. E quello che avevo visto nella mia stanza nemmeno le lucide lettere della macchina da scrivere potevano esprimerlo. Forse..nemmeno le parole.
C'era qualcosa che filtrava attraverso la finestra della mia stanza, qualcosa che proveniva da fuori, dalla fresca notte estiva. Era una luce, la luce della luna. Ma conoscendo bene quella luce, talmente l'avevo amata da piccolo, posso dirvi, ora che cerco invano di descrivere quel particolare raccapricciante, che non era quella che avevo sempre conosciuto, quella che chiunque aveva conosciuto. La tazza del caffè si precipitò nel pavimento a causa della mia mano diventata insensibile. Non avevo sentito nemmeno il rumore della ceramica in mille pezzi. Vedevo solo quel particolare...

La luna...era viola.

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