Il segreto della fotografia

di Aphasia_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione-In Onda ***
Capitolo 2: *** chi cerca trova ***
Capitolo 3: *** concentrato di fantasmi ***
Capitolo 4: *** vedere per credere ***
Capitolo 5: *** il permesso ***
Capitolo 6: *** Riabilitazione ***
Capitolo 7: *** la bambina senza voce ***
Capitolo 8: *** le colpe dei padri ***
Capitolo 9: *** il viale della speranza ***
Capitolo 10: *** gelido invito ***
Capitolo 11: *** cercare la fede ***
Capitolo 12: *** nessuno può sapere ***
Capitolo 13: *** spostamento ***
Capitolo 14: *** chi è Lucas Withmore? ***
Capitolo 15: *** fuori onda ***



Capitolo 1
*** Prefazione-In Onda ***


Non c'erano mai stati così tanti sospiri all'intero di quella piccola stanza illuminata. Perchè era una stanza, una stanza troppo affollata. Troppi occhi, troppi sguardi, insostenibili, curiosi, compassionevoli. Luci abbaglianti in una notte che vorresti goderti all'oscurità. Fastidiosi, presenti.
Ma se fosse stato necessario li avrei chiusi, avrei parlato a occhi chiusi, perchè era importante dire quello che avevo da dire, anche se avevo paura, anche se ero terrorizzata. Sentivo che dovevo farlo, e non per quella massa urlante e assuefatta di notizie fresche, tristi, storie da copertina, ma per me. Io che volevo e dovevo assolutamente dimenticare tutto quanto, e nel momento preciso in cui le parole mi sarebbero uscite di mente, attraverso la bocca, non sarebbero più tornate. Per quanta speranza riponessi in questo, sapevo che le immagini invece...quelle non sarebbero sparite mai più. Perchè gli occhi non possono cancellare cose simili, non possono permetterti di dimenticare, forse perchè deve andare così.
E in fondo andava bene, perchè anche con quelle orribili immagini, non avrei più avuto parole per descriverle, non avrei provato più tutto quel dolore..
E forse..forse sarei stata anche felice.
E non appena le luci si accesero seppi che non c'era via d'uscita. Sospirai. L'ultima volta. E poi il nulla.

IN ONDA

Applausi assordanti, applausi comandati, non sinceri, falsi, corrotti. Ma a me non importava assolutamente. Solo la storia, Solo lei..e poi il nulla..pensavo.
"Allora Adelaide..Perchè hai deciso di raccontarci la tua storia?" chiese l'uomo seduto accanto a me, nella comoda poltrona.
Sapeva di sigaro e lacca, e non era più tanto giovane. Aveva i capelli tinti e un abbronzatura artificiale, e questo mi fece rabbrividire, per come la natura poteva essere manipolata con così tanta facilità.
"Perchè mi sentirò meglio..dopo" risposi io seria. Timidezza, forza, spregiudicatezza. Poco importava quali fra queste doti avrei finto di avere per attirare il pubblico, sarebbe bastata la mia storia.
Prima che l'uomo potesse anche solo prendere fiato per chiedermi qualcos altro era giusto chiarire subito le cose, una volta per tutte. E una volta per tutte, dall'inizio alla fine della storia, la follia sarebbe stata per sempre scartata dal mio profilo psicologico.
Dovevo chiarire una sola cosa, e con quella, solo con quella, la mia storia sarebbe davvero iniziata.
"Prima di iniziare ci tengo a chiarire una cosa... Lei crede nei fantasmi?"
Solo una volta. Ancora una..e poi il nulla.

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Capitolo 2
*** chi cerca trova ***


Il sole era troppo forte per essere aprile, ma mi piaceva. Stare sdraiata al sole era l'unica che cosa che mi faceva sentire lontanamente libera, tranquilla, l'unica cosa che sembrava davvero calmarmi, inibire i miei sensi, cancellare le mie preoccupazione, arrostirmi la pelle fino ad indolenzirmi, sedarmi. Ma quella mattina non era lo stesso, le preoccupazioni non andavano più via, le immagini nelle mia testa erano un susseguirsi frenetico di diapositive, colori e suoni vividi, come se ci fossero degli attori proprio davanti a me. Avevo gli occhi chiusi, sembravo quasi in pace, così rilassata, ma nessuno poteva davvero capire, perchè per capirmi sarebbe dovuto entrarmi dentro, e dentro di me..urlavo.
Non c'era dolore in quell'urlo, nessun dolore fisico, era un dolore molto più profondo, il dolore provocato dalla paura. Credevo ancora che fosse paura? Shok? Si, lo credevo. E' normale reagire così, mi dicevo, come potrei diversamente? Una persona normale reagirebbe esattamente così, o peggio, diventerebbe pazzo, irrecuperabilmente folle. Ero totalmente sconvolta, ma perchè non ero pazza? Perchè riuscivo ancora a formulare pensieri logici nonostante...? Nonostante cosa? Nonostante ciò che avevo visto. Erano mesi ormai che aspettavo di impazzire, di sentire quella piccola scintilla di follia esplodere dentro di me, ma non successe niente. E il motivo poteva essere il fatto che da quel giorno non avevo più parlato. Con nessuno. Solo con me stessa, nella mia testa. Era stato forse questo a salvarmi dalla pazzia? Eppure non rientrava nella normalità il mio silenzio, per me, che avevo sempre parlato con tutti, anche troppo. Forse per gli altri era quella la pazzia, perdere la voce. Ma io avevo una voce, lo sentivo, la sentivo dentro di me, forte e chiara, normale, solo...troppo fragile.
Forse ero veramente diventata pazza, e non me ne ero resa conto. Forse la mia voce era l'unica forma di stabilità interna rimasta, mentre all'esterno mi ritrovavo a combattere contro i mulini, senza accorgermene nemmeno, come Don Chiscotte.
Ma chi lo può stabilire cosa sia sano o cosa sia insano? Solo noi possiamo, per quanto strano possa sembrare.
Perciò perchè non provare? pensavo. Perchè non provare a parlare? Ero terrirozzata all'idea, ma se proprio dovevo, lo avrei fatto solo per me, per scoprire cosa c'era dopo, cosa si sarebbe scatenato in me dopo. Era un pò come lanciare una moneta, in bilico tra normalità e pazzia. Ma c'era solo una modo per stabilire da quale parte sarebbe caduta: Avrei raccontato la mia storia.

Hai una storia da raccontare? Vuoi confidarti con noi? Chiamaci!

Annunci di questo tipo non mi avrebbero mai attirato prima d'ora, ma era l'occasione giusta per parlare, anche se ad un pubblico più vasto. Questa non era l'unica cosa nuova che avevo provato, c'era molto di più, e la prima di tutte è la principale fonte del mio shok, il motivo che mi porta a parlare in pubblico, a fare questo esperimento.
Ho sempre creduto ai fantasmi, esseri incorporei, trasparenti, maledetti, tristemente condannati ad un eternità intrappolata nei luoghi più terribili. Non ho mai saputo la ragione che mi aveva portato a crederci. Forse la forte speranza di avere una sorta di seconda possibilità, dopo la morte, di poter in qualche modo ricominciare, per riparare agli errori commessi, per guadagnare il tempo imprudentemente perso, sotto altre forme, corpi, vite. O forse era solo la curiosità verso qualcosa di diverso dall'umano, un pò come gli alieni, qualcosa di scioccante, innaturale, che mi avrebbe potuto sconvolgere i sensi. Stupidamente ne avevo sempre voluto vedere uno, ma senza la maturità scientifica o l'esigenza di un atea scettica, semplicemente con l'ingenua curiosità di una ragazzina in cerca di emozioni forti, in cerca di una storiella da raccontare agli amici per spaventarli e sentirsi onnipotente e coraggiosa.
Tornando indietro non avrei mai voluto avere certi desideri, perchè non erano sani, erano...incomprensibili.
Solo ora, cercando il numero di quell'annuncio mi rendo veramente conto di quanto certi pensieri, certe decisioni debbano essere prese con serietà, per quanto stupidi siano. Sta attento a ciò che desideri...Perchè potrebbe avverarsi. E' questa la lezione che in qualche modo, anzi, nel modo peggiore, ho imparato: vivendola.

"Vorrei raccontare la mia storia...di che si tratta?....Mi creda, non vorrebbe saperlo...non avrei voluto nemmeno io".

Ed eccomi qui, davanti a quell'uomo senza parole, con la mia domanda che ancora aleggia nell'aria e la appesantisce, rubando i fiati di milioni di spettatori. E' la stessa domanda che chiunque si sarebbe, in certe situazioni, per scherzo, o seriamente. E' la domanda che chiunque si fa anche solo ascoltando una storia simile, o interiormente.
"Beh, è una domanda interessante, Adelaide. Ma non credo che al pubblico interessi cosa.." si giustificò il presentatore, come avevo previsto. Il pubblico aveva ancora il fiato corto, ma io non mi arresi.
"E' molto importante. O la mia storia non può iniziare.. Lei crede nei fantasmi?" chiesi ancora io. Era essenziale che una risposta ci fosse, affermativa o negativa che fosse, perchè avrei capito come raccontare la mia storia, visto che ancora non ne avevo la minima idea.
"Mi dispiace Adelaide, io..no" rispose l'uomo sinceramente dispiaciuto. Perchè si dispiaceva? Era forse compassione per una giovane pazza?
"Allora lasci che cominci la mia storia..e alla fine, le farò la stessa identica domanda" dissi io, e ora mi sentivo davvero pronta a raccontare. Lo scetticiscmo mi avrebbe accompagnato, in quelle ore, e avrebbe reso tutto più difficile, ma la verità si sarebbe compresa, perchè avevo qualcosa che gli altri ciarlatani non avevano: le prove.
Avevo la fotografia.


"Ho sempre odiato le cene di famiglia. Chi non le odia? QUando si è costretti a riunirsi solo per le grandi occasioni, come compleanni e anniversari, e non per il sincero affetto che in genere dovrebbe unire la famiglia. Anche quella sera ero stata costretta ad andarci, ma stavolta non ero riuscita a trovare una scusa abbastanza convincente. Le portate andavano e venivano in un flusso che mi sembrava infinito. Ma cosa si dice sono rimasta incastrata, e dovevo sopportare fino alla fine della cena. Quella sera però, era strano, ma man mano che la serata andava avanti mi sentivo alleggerita dal peso di quella costrizione, per il cibo, o forse per la stanchezza, e quando alla fine della serata le chiacchere digestive avevano preso il sopravvento, si iniziò a scherzare, e dallo scherzo si passò alle cose serie, e dalle cose serie, alle cose terrificanti. Non ricorso come fossimo arrivati a parlare di fantasmi, ma fu proprio in quell'ambito che mi ero sentita più a mio agio. Non dovrebbe essere così, così insano che una ragazza si senta più a suo agio quando si parla di queste cose, ma per quel mio stupido desiderio ricorrente era del tutto normale, anzi, eccitante. Non vedevo l'ora di sentire la storia di fantasmi del giorno, succulenta e intrigante. Non avrei mai voluto sentirla, o non sarei qui. E qui pensereste...quanto terrificante poteva mai essere? Ed è qui che vi sbagliate...perchè non era solo terrificante..era reale....."

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Capitolo 3
*** concentrato di fantasmi ***


"Ho sempre adorato le storie di fantasmi, per vari motivi. Il principale era sempre stato quell'alone di irreparabilità, di vanità, di ogni storia, quella sensazione che i personaggi hanno quando scoprono che non avranno la minima possibilità di uscire dall'incubo che li imprigiona. O ancora la disperazione, la tristezza eterna che accompagna sempre gli spettri: donne col cuore spezzato, bambini senza futuro legati ad una lieve e sbiadita ninnananna, anime in cerca di risposte che non avranno mai se non sottoforma di urla agghiaccianti. Non era la prima volta che ascoltavo storie del genere, perchè a scuola c'era sempre chi, per apparire più coraggioso degli altri, ne raccontava qualcuna. Ma si può dire che erano tutte fondamentalmente uguali: bambole che si muovono, uomini lupo, spose cadavere. Io personalmente non ne avevo mai raccontata una, ma ne conoscevo tante, leggendole dai libri o sentendole da altre persone. E quando a tavola iniziarono a raccontare, tutto mi era sembrato così semplice, così naturale. Ascoltare, godersi quel brivido freddo così piacevole e allo stesso tempo penetrante... Ma devo ricordarvi che questa storia non è come quelle che ci si racconta tra amici, questa storia è reale, e tutta quella naturalezza svaniva, quella semplicità non funzionava più. C'era la paura come sostituta. E sapete anche perchè stavolta era diverso? Perchè c'erano le prove, perchè a testimoniare la veridicità della storia c'era una prova tangibile. C'era una fotografia.."
"Non ha mai pensato che questa fotografia potesse essere stata in qualche modo ritoccata? Che fosse tutto uno scherzo?" chiese l'uomo senza battere nemmeno le palbebre. Tutto taceva, persino l'uomo,i cameraman. Ogni persona e cosa erano letteralmente ipnotizzati, e la storia non era nemmeno ancora iniziata.
"E' esattamente quello che mi hanno detto, sa? Quando ho visto la foto e hanno raccontato la storia avevano detto a tutti i presenti che si trattava di uno scherzo, di una foto ritoccata e di una storia inventata per il solo gusto di prendersi gioco degli amici a cena. Ma non era così, e il solo fatto di avermi mentito...mi aveva deluso." risposi io e non mi ero nemmeno resa conto di come fosse la mia voce, da quando avevo iniziato a raccontare. Non era la mia, non mi apparteneva. Non sentivo nemmeno la bocca aprirsi, chiudersi, contorcersi, sentivo solo le parole provenirmi da dentro, da chissà quale angolo della mia mente, ma la voce... quella era il risultato della mia volotnà che lentamente sfuggiva al mio controllo, totalmente concentrata nei ricordi e slegata da qualsiasi impulso nervoso. Era surreale. L'uomo non disse niente, come per lasciarmi continuare, e anche se non aveva fatto la domanda direttamente, sapevo perfettamente cosa dire.
"Ma lasciate ora che inizi a raccontarvi la storia, quella che credevo fosse solo uno scherzo, o così mi hanno fatto credere, quella che ha generato la mia storia, la mia esperienza, il motivo per cui sono qui ora. E' una storia dentro la storia, e non so quale sia peggio. Forse sono alla pari, con la sola differenza che una delle due l'ho provata sulla pelle, ed è per questo che potrei definirla un pò peggio della prima. L'uomo che sedeva a capotavola, un amico dei miei, tra un argomento ed un altro, aveva iniziato a raccontare un aneddoto spaventoso, la storia che mi aveva cambiato per sempre la vita. La villetta in montagna nella quale era avvenuta la cena era stata ereditata dai suoi genitori, e ora era sua- iniziò a raccontare. Nel paese la chiamavano "l'innocente", perchè ci erano cresciuti tanti bambini, frutto di diversi matrimoni del padrone originario. Era una casa enorme, e lo posso dire visto che avevo avuto modo di visitarla, la sera di quella cena. Non aveva niente di speciale, mobilio austero, una grande veranda ariosa, porte enormi, odore di antico. L'unico particolare che mi aveva colpito era un enorme vetrata incorniciata dai rampicanti. Non so perchè mi avesse colpito, forse per quei rampicanti che formavano una cornice perfetta, forse per la sua antichità. L'atmosfera di tranquillità di quella casa però non era mai stata una costante, come disse il nostro narratore quella sera. Ci disse infatti che quando il padrone originario della casa cadde in bancarotta organizzò un matrimonio tra il figlio del suo banchiere e una delle sue figlie, Caterina. Era perfettamente naturale, all'epoca, che si combinassero i matrimoni, anche se la sposa aveva solo quattordici anni. Ed era perfettamente comprensibile perchè i soldi erano e saranno sempre qualcosa che offusca la mente, ci fa perdere la ragione. Caterina non aveva mai avuto il coraggio di ribellarsi al padre, troppo fragile, troppo insicura. Il giorno delle nozze arrivò, ma senza quella gioia che ci si aspetterebbe di trovare, senza quella felicità che toglie il respiro, quell'agitazione che ci fa quasi svenire. Era stato posto un enorme specchio nella veranda, dove le serve stavano preparando Caterina; l'aveva deciso suo padre, affinchè si vedesse, affinchè capisse fino in fondo che le nozze ci sarebbero state, e che lei...non aveva nessuna speranza. Caterina pianse, e le lacrime caddero sull'abito da sposa, ma nessuno se ne preoccupò. Le misero il velo, e attraverso i buchi del pizzo passarono altre lacrime, così come sui guanti sottoforma di gocce candide, e forse qualcuna persino nel pavimento. Ma a che potevano servire le lacrime? Non lasciavano macchia, non incantavano nessuno, e soprattutto non potevano cambiare le cose. Era troppo pure, come lei, e se c'era un modo per evitare tutto quello era proprio smettere di essere pure, tradire suo padre, suo marito, distruggere quel destino. Fuggire o morire. La fragilità prevalse, e condizionò quella scelta tanto irreversibile. Bastò solo un attimo, e la purezza svanì in un istante, macchiando finalmente quel candido abito bianco, interrompendo una giovane vita, rendendo "l'innocente" una casa segnata dalla tragedia."
"Quindi lei pensa che questa storia, la storia di Caterina, sia falsa? E' una storia molto triste, Adelaide...non pensa?" chiese il presentatore destandosi dalla sua espressione triste, preconfezionata per gli ascolti. Odiavo che fosse così finto, come se quella storia non significasse niente per lui, che veniva comunque pagato.
"Io so che questa storia è vera. Le ho già detto che ci sono le prove. C'è la foto, e anche se mi dissero che era uno scherzo, so che è tutto vero." risposi io duramente. Dovevo continuare a raccontare, e solo così si sarebbero zittiti finalmente tutti. Mi avrebbero creduto.
"e come ha fatto a capire che era tutto vero?.." chiese ancora il presentatore. E il silenzio ricalò, nell'attesa.
"Ora ci arrivo. Vede, dopo che quella storia, quell'aneddoto sulla casa, venne raccontata, ci venne mostrata una foto, quella che appunto considero tutt'ora una prova, visto che , come vi dirò, so che non era uno scherzo. Nella foto c'erano le stesse persone con cui avevo cenato quella sera, nella stessa veranda, lo stesso tavolo, e quella particolare vetrata che mi aveva tanto colpito. Ma c'era qualcosa che non andava, e purtroppo era quella che si notava di più. C'era una persona in più nella foto, che compariva in una posizione del tutto innaturale. Era dietro la vetrata, o forse solo riflessa. Era una ragazza vestita da sposa. Tutti, come voleva il nostro narratore, rimasero sconvolti dalla foto, alcuni non riuscirono nemmeno a parlare, me compresa. Con maestria venne riportata la calma, giustificando il tutto come un fotoritocco, la storia come un falso, un invenzione. Tutti allora risero, in preda ad un sollievo generale, ad un flusso di complimenti per il realismo della foto, che tuttavia ancora non capivo. Avevo fatto finta di bermi tutto, ma c'era qualcosa negli occhi della ragazza che mi fece capire che non c'era niente di falso in quella storia. "Caterina passa a trovarsi ogni notte a mezzanotte!" disse il narratore ridendo e scatenando una risata collettiva. Risi anche io, e ora me ne pento, perchè era come se avessimo tutti offeso la morte di quella povera ragazza, come se avessimo mancato di rispetto alla sua sofferenza, prendendocene gioco. Alla fine della serata pensavo ancora a Caterina, non riuscivo a credere che la sua storia fosse falsa, era come se l'avessi perfettamente capita, nel suo gesto, come se tra il suo secolo e il mio non ci fossero mai state barriere. Sentivo che era vera, ma non ne avevo le prove..almeno sinchè non vidi una scena che mi convinse del tutto. Prendendo la giacca notai una porta aperta, c'era qualcuno dentro. Ma quello che sentii non posso solo raccontarlo, posso solo riferire la conversazione letteralmente, perchè solo così capirete, solo così vi convincerò del tutto che non sto mentendo, e che Caterina è reale..
-Perchè l'hai raccontata? Odio quando lo fai...
-Era solo per scaldare l'atmosfera! E poi hai visto, no? non ci ha creduto nessuno..
-Non è questo il punto! Lei odia quando raccontiamo la sua storia, e sai come reagisce quando succede, sai cosa ci tocca passare..
-Non succederà niente, perchè nessuno ci ha creduto. Nessuno. Forse dovremmo bruciare la foto, almeno così non avremo più nemmeno il pensiero di questa storia. La cancelleremo.
-Sai che non possiamo solo cancellarla. Lei resterà qui, è casa sua, e sai che non può andarsene. Non ce la faccio più..
-Se continuerà così..allora andremo via noi. E' quello che vuole, e forse su una cosa avete ragione entrambe
-Cosa?
-Mai ridere delle tragedie altrui. "

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Capitolo 4
*** vedere per credere ***


"Ora mi credete?" dissi al pubblico, al mondo intero. Tutti mi fissarono con la stessa espressione, tutti avevano la stessa nel volto, come moltiplicata almeno un milione di volte. Meditavano se rispondere o no, glielo leggevo nei volti. Non si sarebbero mai aspettati una domanda così diretta, a loro che in genere non hanno niente a che fare con il programma.
"Io ti credo" disse una donna tra il pubblico. Non aveva alzato la mano e non aveva sussurrato, aveva solo detto quella frase. Però si era alzata in piedi e mi fissava intensamente, per farmi capire che era tutto vero. Dopo di lei si alzarono solo altre tre persone: un ragazzino, un anziana donna e un uomo spelacchiato. 4 era un buon numero per dei seguaci, ammesso che la mia rivelazione fosse una qualche premessa per un ordine tipo testimoni di eventi soprannaturali. Non chiesi nemmeno perchè mi credessero, perchè non ce ne fu bisogno. Si risedettero tutti e 4, sotto gli sguardi scioccati del restante pubblico e del presentatore. Volevano che continuassi. Lo volevano tutti, ma io lo volevo? Sapevano di Caterina, e sapevano che era tutto vero. Lo volevo, si..a quel punto, ormai, lo volevo.
"C-cosa successe dopo, Adelaide?" balbettò il presentatore, e quella sua domanda non esisteva più, perchè ero di nuovo dentro la mia storia.
"Non so perchè..ma ormai ci credevo. Credevo che Caterina esistesse, e credevo che sarebbe apparsa. Non so cosa me lo aveva fatto credere, se lo sguardo terrorizzato della donna o la sincerità nella voce dell'uomo durante quella conversazione segreta..non lo so. Sentivo che esisteva, sentivo che quella storia triste doveva essere esistita, e non per prendermene gioco, ma solo per compassione.. Tuttavia, nonostante questo coinvolgimento che avevo verso Caterina e la sua storia, ero terrorizzata da lei, e non volevo assolutamente vederla. Avevo cambiato idea su tutto ciò che pensavo sui fantasmi, sulle mie stupide fantasie soprannaturali. Ma purtroppo...non ebbi il tempo di pentirmi di niente, perchè si sa, il tempo non perdona e quando trova l'occasione di darti una lezione, non se la fa di certo sfuggire. Strade bloccate. Ecco come il destino trova sempre il tempo di farti capire le cose, ti farti passare le notti peggiori della tua vita pur di farti imparare la morale. Quanto avrei voluto che fosse solo un sogno, una favola! Ma era tutto vero, lo era sempre stato... Io ci credevo, e forse era stato proprio il crederci ad avermi portato ad un esperienza così forte. Ci credevo, e ora, secondo il destino, dovevo andare fino in fondo, che lo volessi o no. L'avrei vista, e non avevo scampo. Le strade erano bloccate e restammo li..per la notte. Era tutto pronto per me, fatto a posta...Ad ogni minuto il sangue mi si gelò nelle vene, tanto che fui tentata di chiamare un ambulanza. Le gambe smisero di funzionarmi, tutto smise di funzionare, eccetto la mente, che purtroppo ricordava ogni dettaglio, persino il più insignificante...E poi..quando credevo di dormire.." mi interruppi. Era questo il primo ostacolo, dire di quel momento, il più forte. Non riuscivo a parlare. Respirai a fondo ma non ci riuscii, allora provai solo ad espirare, ma nemmeno così ci riuscii. Stavo soffocando, mentre il ricordo di Caterina si divertiva dentro di me, trattenendomi il respiro con le mani, come un tiro alla fune tra lei e me, con il particolare che la corda stringeva i miei polmoni.
Sentii la terra mancarmi da sotto i piedi.. che stupido svenire in diretta, ma almeno, pensai, quel picco di audience avrebbe fatto comodo agli autori. Ed è altrettanto stupido pensare mentre si sviene, bisognerebbe solo abbandonarsi al nulla. Non era poi quello che volevo? Si, ma quella frase a metà mi dava sui nervi..come una sensazione di irrisolto, di incompletezza, come un forte senso del dovere, come se tutti dovessero sapere che Caterina io l'avevo vista davvero e che quel svenimento non era una strategia per dissimulare, quello svenimento era vero, perchè a causarlo era stato proprio il ricordo di quel momento, che mi aveva cambiato letteralmente la vita.
Il mio nome si sovrappose in mille voci indistinte, anche il presentatore, tra quel groviglio mi disse qualcosa, ma non la sentii. Caterina mi stava trascinando giù...a lei non piace che si parli di lei, lo ricordo bene. Ma ora lei non può impedirmi niente, lei non può, dopo tutto quello che ho fatto per lei...
Allora perchè fa così? C'è ancora qualcos'altro che devo fare o è solo la mia mente che gioca brutti scherzi?
Nel buio dell'incoscienza sentii quella voce che mi era fin troppo familiare, quella voce che nessuno crederebbe sia reale, ma che se la sentisse..non avrebbe dubbi. Così come non li ebbi io quella sera, la sera in cui per la prima volta vidi Caterina, la sera in cui mi parlò per la prima volta. E come posso dimenticarla quella voce? Non era nemmeno uscita dalla sua bocca, eppure era più presente di qualsiasi altra voce viva e umana. Era dentro la mia testa, come sempre, quando mi parlava. Era stata lei a spiegarmi il motivo della sua voce nella mia testa, ma un pò lo intuivo vista la nostra grande, immensa e abissale differenza: lei morta, io viva.
Eppure c'era sempre stato e sempre ci sarà qualcosa che ci lega...la sua voce, la mia voce. Tutto dentro la mia testa. Entrambe reali. E una delle due mi stava parlando proprio ora, mentre il mio corpo era svenuto, e la mia mente pronta ad ascoltare ciò che aveva da dirmi, ancora una volta e forse, speravo, l'ultima.

Tutti sapranno, ora. Niente più segreti. Devono sapere la verità, ora possono tutti. Tu puoi. Tu devi..ora.

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Capitolo 5
*** il permesso ***


Non avevo mai amato così tanto la luce, non dopo tutto quello che avevo passato. Ma ora, ora che la vedevo, così pura, non riuscivo a credere che potesse esistere qualcosa di così perfetto, di così vitale. Era stato un pò come morire e resuscitare, e, si sa che ai morti la luce fa gola..Eppure io non ero morta! No, ero viva, se riuscivo non solo a vedere la luce, ma soprattutto a goderla. Era la luce del mattino, non di quelle artificiali, era la luce che ci era stata data da chissà quale dio, ammesso che davvero ne esistesse uno, un essere capace di creare qualcosa di così perfetto. Ma se ero qui, se mi ero addirittura svegliata dopo quello che rivordavo fosse stato uno svenimento in diretta televisiva, allora esisteva un qualche dio. Perchè dopo che avevo sentito quella voce ormai familiare, non avrei mai voluto risvegliarmi, e invece per la volontà di questo fantomatico essere la vita mi era stata infusa un'altra volta dentro, per mettermi alla prova? per farmi reagire? Forse. Ciò che sapevo era che ero viva, e che ricordavo purtroppo quelle parole, quella voce, che se avessi continuato a raccontare nessuno ci avrebbe creduto..era proprio quella di Caterina. Ma chi ci avrebbe creduto? Solo quelle poche persone che mi avevano fatto la grazia di alzarsi in piedi, quelle che mi avevano creduto.
Perchè arrendermi ora, dopo che mi sarei ormai dovuta abituare a quella voce? Perchè cedere? Forse non era stato tanto per la voce, quando per il messaggio. Mi stava dando...il permesso? Mi aveva detto qualcosa che avevo dato per scontato, visto che ormai non avrei più avuto niente a che fare con lei.. E invece rieccola lì, ospite indesiderata della mia testa, ancora una volta li, a darmi quel messaggio. Ero svenuta per lo spavento, perchè non mi aspettavo di ritrovarmela in testa, negli anfratti della mente, quelli dove si nascondono le paure e gli incubi, dove sta la porta tra vita e morte.
"Come sta, Adelaide?" mi chiese un uomo, entrando nella stanza di luce. Il dottore? Chi poteva dirlo con tutta quella nuova e bellissima luce. Riuscivo a vedere solo i contorni sfocati, eccetto il particolare di un paio di baffi da adulto serio. Era un dottore, non c'era dubbio. Piano piano vidi la targhette e lo stetoscopio luccicare, e insieme ad essi la bocca dell'uomo che ripeteva la domanda.
"bene" mormorai. Ma credetti di aver detto una frase più lunga, come "Sto bene, grazie". Evidentemente ero ancora abbacinata dalla luce per poter formulare qualcosa di più concreto, ma andava bene così.
"Ha una visita" disse il dottore, e mi lasciò finalmente, anche se per poco, sola. Entrò una donna, nella stanza. Non avevo idea di chi fosse, ma sapevo che aveva qualcosa da chiedermi, nonostante i suoi tratti mi fossero perfettamente sconosciuti, e visto anche che in ogni caso il volto umano spesso è così facilmente leggibile.
La donna esitò un istante e avanzò piano al mio fianco, sedendosi. Sembrava quasi che fosse venuta di nascosto, che quella visita le sembrasse qualcosa di immorale. Ma siccome parlò, non fu del tutto vero.
"Noi ti crediamo" disse spiccia, guardandosi intorno, attenta. Era per caso un tabù credere ad una storia di fantasmi al giorno d'oggi? Quanto avevo dormito? Un secolo? Non c'erano più quei ragazzini e quelle vecchiette suggestionabili? O i costumi erano così cambiati da portare razionalità e realismo? Dov'era l'avventura, il terrore? QUella donna per fortuna ne aveva ancora, lo si leggeva nei suoi occhi.
"Noi ti crediamo, perchè anche da noi c'è una persona che..." la donna non riuscì a terminare, perchè l'uomo che comparve sulla porta, che non era un dottore, le urlò contro di stare zitta. Entrò, la afferrò per un braccio, quasi staccandolo, ed uscì fuori di corsa.
"Questa conversazione non è mai avvenuta" disse stringendo i denti, e non tornò mai più. La donna, che era sempre stata una sconosciuta, tranne quei pochi minuti, rimase tale. Perchè non tornò mai più.

Pensare a lei mi fece addormentare, per qualche strano caso, per la stanchezza delle membra dopo quella scena, per le forze che ancora mi mancavano per rielaborarla. Dormii, e non potevo che esserne felice.
Quando la luce riapparì, stavolta non ero sola. C'era una ragazza bassa con gli occhiali che mi fissava. Non era un infermiera, e nemmeno un'altra persona venuta a confidarmi un segreto prima di essere trascinata via. Era vestita molto bene, in completo nero impeccabile, e con tanto di cartellina e penna in mano. Una giornalista.
Non ebbi nemmeno il tempo di gridare qualche insulto per mandarla via che parlò per prima, come fanno sempre quelli come lei.
"Cosa è successo quella notte, Adelaide? Ti va di parlarmene?" mi chiese, cliccando sulla penna, pronta a scrivere. Perchè essere così spudorati e non vergognarsene? perchè essere così subdoli davanti al dolore delle persone? Era perchè non credevano alla storia e la stavano trattando come la favoletta di turno, usa e getta?
"No" risposi io, stavolta con tutta la mia voce e volontà. Il permesso di Caterina era tornato in mente a comando, un interruttore che si accende quando necessario, ispirandomi, almeno per un pò, la forza necessaria a quella risposta.
"Tutti sapranno...ma non ora. La storia continuerà, ma non ora. Ora voglio solo...riposare" risposi, e senza curarmi della reazione della giornalista, feci quello che avevo detto, senza pensarci, senza rancore.. Perchè se davvero volevo arrivare fino in fondo...avevo bisogno di molta, molta forza.
Sognai la stessa cosa per tutto il mio sonno rigeneratore. Uno specchio contornato di edera profumata.. ma non era vuoto. C'era un immagine riflessa..
Non avevo idea di chi fosse, perchè non vedevo abbastanza bene, solo colori sfocati, senza contorni e troppo contorti..
C'era una massa bianca e una macchia rossa al centro di essa..
E anche se non c'era una faccia che distinguevo, purtroppo sapevo di che si trattava.
Era l'abito di Caterina...

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Capitolo 6
*** Riabilitazione ***


Guardami Adelaide... Credi in me. Credi in me...ti prego...credi in me! O non avrò più speranze...

Aprii gli occhi di scatto ancora una volta, come facevo da un paio di settimane in quell'edificio lugubre chiamato ospedale. Ancora una volta mi era sembrato di sentire quelle parole, le parole che sapevo perfettamente ormai a chi appartenevano... Perchè continuavo a sentirle? Non era ancora finita? O era forse l'ennesimo avvertimento a continuare la storia?
La stanza era vuota, tutti i pazienti erano scappati...da me. Nessuno voleva più starmi accanto, sapendo ciò che avevo visto. Alcuni mi credevano una pazza, una strega persino, ma altri...mi credevano addirittura una medium. Infatti avevo ricevuto diverse visite di famiglie intere disposte a tutto pur di sapere dei propri parenti defunti, disposte a pagare qualsiasi cifra. Ma io rifiutai sempre, perchè avevo ben altro da fare, dovevo assolutamente continuare la storia.
La sua storia, anzi...la nostra storia.


Le luci dei riflettori erano ormai familiari per me e rivedermele addosso non mi accecò più. Anche il presentatore era sempre lo stesso, così come il pubblico, quello stesso pubblico che non era ancora convinto se credermi o no, tranne alcune eccezioni.
"Come stai cara? So che ti ci è voluto un pò per riprenderti... ti senti in grado di continuare?" chiese l'uomo.
"Assolutamente si, io devo" risposi io e se non sbaglio sorrisi, senza nemmeno accorgermene.
"E prima che mi interrompa ancora, voglio andare al sodo. Io vidi Caterina quella notte, era lei, e di questo ne sono sicura.." continuai.
"Come fai ad esserne certa?" gridò un uomo dal pubblico.
"Per due motivi: Il suo abito, e la sua voce. E' stata lei a comparire, e...a presentarsi a me"
L'uomo si zittì e il silenzio calò, finchè il ricordo del nostro primo incontro mi pervase fin nelle mie cellule e si prese la mia stessa volontà. Solo allora, senza più sentire nemmeno le mie parole...lo raccontai, finalmente.

"Ricordo che c'era un fortissimo odore di muffa, quando mi svegliai. Ma non era questa la cosa più ...come posso dire..terribile. La cosa più terribile era che non avevo nessuna intenzione di alzarmi dal letto, inchiodata dal terrore, ma il corpo agì come da solo, trascinato da qualcosa, o peggio da qualcuno. Era lei...che mi chiamava. L'odore di muffa aumentava ad ogni passo insieme al mio terrore, stavo per vomitare, in piena casa ospite, ma quella vergogna era tutto ciò che mi gratificava, la preferivo al terrore, alla stessa paura, tutto pur di non vedere cosa c'era alla fine di quel corridoio ammuffito. E io sapevo cosa c'era, e la curiosità che avevo sempre avuto era crollata in un attimo, lasciando spazio solo ad un fortissimo senso di inquietudine e di ripugnanza. Ma come potevo adorare quelle cose? Quelle orribili cose che si erano mescolate ora in quell'istante, e che mi stavano facendo sentire così male? Cosa ci poteva essere di bello in quell'odore, in quell'impulso che mi portava da lei? Tra le mille domande che si affollavano nella mia mente -come se fosse in qualche modo possibile ragionare in momenti simili!- c'era quella principale, che continuavo a pensare nella speranza che finalmente mi lasciasse in pace, che mi lasciasse tornare a dormire, ammesso che quello fosse solo un incubo e che in effetti io stessi ancora dormendo.. Cosa vuoi da me? pensai. Non avevo nemmeno la forza di lottare, di pensare ad un piano di fuga, visto che dubitavo fosse un sogno, perchè nei sogni niente è così reale come sembra, gli odori non sono così forti da nausearti, la paura non è così cieca da congelarti sin nelle membra.. era tutto assolutamente vero. La risposta a quella domanda incessante arrivò, ma non me l'ero data io, la voce della risposta non era la mia, nè tantomeno quella della mia coscienza. Era sua. Di Caterina conoscevo solo la sua storia, di cui ormai non avevo più dubbi, ma non la voce, non l'avevo mai sentita, vista la distanza di secoli che ci separava e che aveva impedito un nostro eventuale incontro. Ma allora perchè l'avevo sentita così chiaramente? Perchè l'avevo riconosciuta come sua? Era possibile che oltre a controllare il mio corpo avesse controllato persino la mie mente, instillandomi la conoscenza della sua voce e della sua esistenza? Era arrivato davvero a questo il paranormale? Da semplice constatazione di testimonianze a realtà... Aiutami, diceva la voce, la voce di Caterina. Continuava a ripeterlo, e non so quante volte lo disse, lo ripeteva continuamente, no..anzi, lo ripetè finchè non arrivai alla veranda della vetrata. Quando arrivai, la voce cessò. Non c'era nessuno. Il sollievo mi pervase, un pò come un bicchiere di ghiaccio versato nella schiena dopo una giornata di sole cocente. C'era solo il buio e le ombre inquietanti che nella nostra immaginazione diventano sempre qualcosa, animali, persone, oggetti... Proprio in quel buio io per esempio vedevo una sagoma, esattamente nello specchio della veranda. Ero sicurissima che si trattasse di un gioco ottico, il risultato di una qualche allucinazione visiva. Ma le allucinazioni non possono muoversi, tantomeno cambiare. La sagoma lo fece, si mosse, proprio davanti a me, nel buio. Era totalmente indistinguibile, come se facesse davvero parte di quel buio, carne ossa e sangue di buio. Era davvero difficile distinguerla, tanto che dovetti più volte chiudere e riaprire gli occhi e sgranarli, cimentandomi laddove i gatti riuscivano, o i pipistrelli eccellevano. Si muoveva, non sbagliavo. Un 'altra allucinazione? Un effetto in movimento forse? La voce che mi chiedeva aiuto parlò ancora, e il mio udito identificò la fonte, il corpo, la sorgente di quel suono.... era la sagoma. Spalancai la bocca, ma non uscì niente. Certa di stare urlando, non potevo credere che non fossi più capace di produrre alcun suono, ma la causa non ero io, capace di tirar fuori un buon timbro vocale quando avevo paura, era quella stessa forza che mi aveva trascinato nella veranda che mi aveva zittito, bloccando contemporaneamente il corpo. Ero immobile, faccia a faccia con l'incubo che avevo sempre amato. Ma la realtà è ben diversa, e in quell'istante mi sembrava tutto così...insensato. Senza che potessi formulare qualche altra domanda, la voce riparlò..
Aiutami, ti prego.
E come se non avessi altra scelta, quella forza mi permise di parlare, zittendomi ancora se avessi tentato di urlare. Voleva che parlassi, che rispondessi. Ma cosa avrei potuto dire? Non era la stessa risposta che si poteva dare ad una anziana che chiedeva una mano per portare la spesa in casa, non era la stessa richiesta d'aiuto, in primo luogo perchè l'essere umano che aveva avanzato la richiesta non era nemmeno presente fisicamente, oppure lo era, anche se non effettivamente vivo, e in secondo luogo, ogni circostanza di quella sera, mi suggeriva che in quella voce, metallica e roca, ma perfettamente limpida e reale, come un fuoricampo, c'era qualcosa di terribilmente triste. Era stato forse questo aspetto a farmi rispondere, la mia dannata pietà umana. Avrebbe funzionato con qualcosa di ovviamente non umano?
C-come? riuscii a dire.
La voce parlò ancora, e stavolta non aveva più importanza quale tipo di pietà dovesse entrare in gioco, perchè quello che la voce mi disse, quello che Caterina mi disse, avrebbe commosso chiunque, avrebbe convinto chiunque ad aiutarla, persino l'uomo più fifone del mondo, il più scettico, il più meschino, il più indifferente e freddo.
Con la verità...La mia storia, la mia vera storia"

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Capitolo 7
*** la bambina senza voce ***


"Non ricordo come fossi tornata a letto, perchè non ricordo proprio di averci camminato, di aver mosso i piedi. Che sia stata lei a portarmici? Non ne avevo idea, sapevo solo di dover dormire, annullarmi per un solo istante, rielaborare quello che sapevo che mi aveva detto la notte prima, perchè quelle, sebbene non fossero state pronunciate direttamente, erano parole a tutti gli effetti, parole d'aiuto.
Voleva che il mezzo fosse la verità..ma come usare la verità? Come fare a scoprire la sua vera storia? era proprio questo il problema.."

"E come fece a conoscere la storia di Caterina, la sua vera storia? Perchè a questo punto suppongo che quella che conosceva, fosse soltanto una bugia.." disse l'uomo seriamente, sinceramente e finalmente catturato dalla storia.

"Beh..fu proprio lei a dirmi tutto, le sera seguente, l'ultima sera, prima che io e i mei andassimo via dalla casa, liberata la strada. Fu una sera diversa..perchè non avevo più paura, volevo solo sapere, e se possibile..aiutarla" risposi " ma non so..il pensiero di vederla per l'ultima volta mi aveva addirittura rattristato, paradossalmente, e non so nemmeno il perchè, mi creda. All'inizio non vedevo l'ora di andarmene, di dimenticare tutto e buttare tutti i miei libri sui fantasmi, e invece...avevo cambiato idea. Vede, c'era qualcosa nella mia sua voce di così innocente, di così triste che...mi ha fatto cedere, in qualche modo. Sentivo in quelle parole, nella mia testa, anche se erano perfettamente sue, che aveva davvero bisogno d'aiuto e che, qualunque fosse la sua situazione, non era felice. Così avevo pensato che nessuno vorrebbe trovarsi in quella situazione, nessuno vorrebbe essere infelice per tutto quel tempo, nemmeno lei. Era così piccola...una ragazzina gettata in pasto ad un matrimonio senza amore, una ragazzina strappata alla vita.
E così ancora una volta mi trovai davanti alla vetrata, in attesa, e nel dire che fu diverso, dicevo il serio, perchè stavolta Caterina mi fu vicina in tutti i sensi, uscì dallo specchio, mi fissava a pochi centrimetri di distanza. Io non dissi nulla per tutto l'incontro, non volevo rovinarlo, ma solo ascoltare, e le parole, le mie, non erano necessarie, e lei me lo aveva fatto capire anche solo dallo sguardo sbiadito di secoli.
Mi prese la mano e trasalii... c'era una certa consistenza nel suo tocco, sebbene non fosse del tutto reale. Come poteva? Come poteva prendermi la mano con la delicatezza di una viva? Come poteva un tocco così delicato sembrarmi vivo? Perchè una cosa è certa, non sembrava morta, e l'unica cosa a tradire tutto ciò era la macchia di sangue sul suo vestito, immutata e rappresa. La pelle era ghiacciata, ma era consistente, solo un pò troppo fragile, e insieme a quella fragilità oltre la norma, c'era la sensazione di morbidezza.. Era come..toccare qualcosa di gassoso ma allo stesso tempo davvero denso. Non so spiegarlo, ma chi potrebbe dopotutto? C'è solo questo mio racconto, e nient'altro...sono solo parole, non è così?"

-Dopo una breve pausa, riiniziai il racconto-

"Ed ecco la vera storia di Caterina, senza filtri nè finzioni, o bugie, o stupide leggende o fotografie. Questa è una storia di tristezza e malignità, è una storia che va raccontata, perchè è giusto che lo si faccia.
Potrei iniziare con "c'era una volta..", sarebbe bello, ma questa non è una favola, perchè le favole non hanno un triste finale, le favole finiscono con un trionfo, che sia d'amore o d'amicizia, la realtà invece finisce e basta, spesso nel modo peggiore, altre invece-se si ha fortuna- nel modo migliore e inaspettato possibile. Bisogna che noi tutti ricordiamo che non è importante come una storia sia finita, ma piùttosto perchè sia finita, quanta colpa ciascuno di noi abbia, o quanta colpa sia invece da attribuire al fato. Stavolta il fato non ha alcuna colpa, è una storia di individui e delle loro azioni peccaminose, che minarono l'innocenza di una ragazzina.
Caterina mi raccontò tutto, e in maniera così chiara che quasi vissi i suoi ricordi e le sue emozioni, il suo dolore, la sua morte, il suo cuore che si fermava per sempre. Era stato come se fossi io, come se lei fosse me, come se mi avesse fatto entrare nel suo corpo, affinchè capissi, affinchè le credessi. Non sono mai riuscita a dirglielo ma non ce n'era bisogno, perchè dalla prima all'lultima parola io le credetti, anche solo per l'immensa tristezza che mi aveva trasmesso insieme alla voglia e la determinazione di aiutarla.
Caterina è nata muta, lo sapevate? E' per questo che ogni volta che l'ho vista non mi parlava mai, è per questo che mi parlava tramite pensieri.
Non l'avevo mai capita, e me ne pentii.
I suoi genitori si erano rassegnati con lei, non l'avevano capita davvero, per noia, per scarso interesse, o forse per crudeltà. Caterina non aveva mai avuto scelta, mai un tentativo di opporsi, esprimersi, era la bambina senza voce, sottomessa, sola.
Come avrebbe mai potuto esprimersi senza una voce?
Questa sua limitazione non la abbandonò mai, e proprio quando ebbe bisogno più che mai di una voce, questa sembrava davvero non volerva. Il matrimonio venne programmato, la sua vita poteva dirsi finita: un uomo che non amava, una voce che non aveva, una vita che avrebbe continuato a vivere nella solitudine e nella sopraffazione. Cosa c'era di diverso allora? La differenza è che sarebbe stato tutto più infelice, la sua piccola prigione infelice, come l'aveva chiamata. E anche se una voce l'avesse avuta, non avrebbe potuto niente, contro suo padre e contro quello del suo futuro marito, più soci in affari che futuri membri di una stessa famiglia. Sua madre pianse, quando lo seppe, ma anche se lei aveva una voce, al tempo era come se non esistesse, come se nessuno la potesse sentire, anche se non era muta,ma era una donna, e questo faceva di lei una persona totalmente invisibile.
L'essere una ragazza era già di per sè un pericolo, al tempo, perchè si sa che l'indole femminile tende ad essere mutevole, volubile. Ma Caterina era diversa dalle altre, e nessuno l'aveva mai capito, nemmeno sua madre, e la diffidenza verso di lei si fece sentire, non più solo per la sua mancanza di voce, ma per il timore che potesse scappare e non presentarsi all'altare. Minacce, avvertimenti, una feroce violenza la terrorizzarono, tanto che non ebbe più il coraggio nemmeno di guardare suo padre negli occhi. Era l'affare che due generazioni della sua famiglia attendeva e lei, lei..una semplice ragazzina, non avrebbe dovuto osare mandare a monte. Così suo padre, accecato dall'avarizia, fece di tutto per tenere saldo quel rapporto e quell'accordo, nascose al socio la natura di muta della figlia, giustificandola con la timidezza, nascose Caterina fino al giorno delle nozze. Doveva essere tutto perfetto... ma non fu così. Il giorno delle nozze, dopo essere stata preparata Caterina si specchiò nella vetrata di quella casa che casa non era mai stata, e pensò che la morte tristemente poteva essere più felice della vita...ma, dove trovare il coraggio di uccidersi dopo tutto ciò che le aveva fatto suo padre? Se avesse potuto l'avrebbe cercata fin all'inferno, e sarebbe stato come venir punita per sempre dal demonio stesso. Così sospirò, e decise di continuare a farlo finchè dalla bocca sarebbe uscito fiato, perchè prima o poi si muore..prima o poi la felicità arriva, deve arrivare, persino a lei.
La vita si sa che, se decide qualcosa, si prende tutto pur di compiere il suo obiettivo, e con i suoi mezzi guidò le azioni del giovane sposo, orchestrando magistralmente il più grande malinteso..
Quale sposo non reagirebbe male se la sua sposa non rispondesse alla domanda "mi ami"? Caterina avrebbe voluto gridare la risposta, ma non potè, e lo sposo, dopo vari tentativi, capì che quella ragazzina lo disprezzava, che la sua sua sfrontatezza nel non rispondergli doveva essere punita, perchè mai una ragazza aveva osato non rivolgergli la parola, soprattutto sapendo dei suoi soldi.
L'ira di un uomo può annebbiare la mente, fin quasi a fargli credere che il silenzio di una nonna sia il frutto di sfrontatezza, e non di un serio disturbo. La bambina senza voce nacque, crebbe..e morì sola, sottomessa, innocente, macchiata di una colpa non sua, la colpa della natura maligna che le aveva tolto la voce, rendendola inerme, indifesa, rendendo semplice alla morte il suo compito, rendendo semplice al sangue innocente macchiare di peccato la purezza di un cuore così giovane, e tutto...per un malinteso.
Caterina mi aveva detto che suo marito, come ama chiamarlo, corse a chiamare suo padre e gli disse che mi aveva trovato così. Pianse finte lacrime, lacrime fredde non sincere, il veleno del cuore della ragazza uccisa ingiustamente che scivola nel vuoto. Disse che probabilmente si era uccisa dal dispiacere, lo stesso di cui morì il padre e la madre, il dispiacere di una famiglia di miserabili, divenuti la storiella del paese... la storia della ragazza che si uccise pur di essere felice.
L'ultima cosa che Caterina mi disse fu che la morte sarebbe stata davvero più felice, ma non sarebbe stata giusta quanto la vita, che, anche se infelice, sarebbe stata necessaria, almeno come la speranza di qualcosa di buono. E l'unica cosa che voleva non era vendetta, o maledizione, ma solo..verità, giustizia. E' da quelle commuoventi parole che ho iniziato un viaggio che finisce qui, ora, davanti a questi riflettori, un viaggio alla ricerca della sola cosa che avrebbe potuto liberare Caterina da quella prigione che ha sempre dovuto patire... Sarei dovuta partire per cercare qualcuno, e rivelargli la verità, l'unica cosa che l'avrebbe lasciata andare alla pace eterna: i suoi parenti, quelli ancora vivi, quelli che dovevano sapere tutto..."

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Capitolo 8
*** le colpe dei padri ***


"così, in pratica, Caterina voleva che si sapesse la verità sulla sua morte? " chiese una donna dal pubblico. Era questo che era diventata quell'intervista, un intima conversazione tra estranei, che in genere non aveva niente di intimo, ma non stavolta. La storia di Caterina aveva creato tutto questo, un circolo di persone sconosciute legate dalle stesse sensazioni di tristezza, quella caritatevole pietà tipicamente cristiana, ma che poteva provare chiunque avesse almeno un cuore, se non la fede, anche se non in Dio. Questa era la magia della verità, quella cosa che spesso viene a mancare, in un susseguirsi di troppi funerali poco solenni, e che tutti vogliono ma che nessuno ha il coraggio di cercare, la verità è quella cosa che tutti hanno dentro ma che nessuna sa di avere, o se sa di averla la usa nei modi peggiori, contravvenendo a tutte quelle regole mute dettate dal semplice buon senso o da quella naturale coscenza in dotazione ad ogni essere umano.
"Si, perchè era l'unico modo di liberarsi da..quel posto. Sapete cosa si dice di chi muore di morte violenta? Che da quel luogo, quello della sua morte, non potrà più andare via...Potete immaginare una condanna simile? Vivere, morire, andare oltre la vita, nel luogo in cui la vita si è persa, in cui la vita ti è stata strappata a forza dal corpo, contro la volontà della povera anima che chiedeva un pò di pietà che gli fu negata con così tanta crudeltà. Come può un innocente subire tutto questo? Se esiste un Dio, se esiste uno spirito universale, perchè ha permesso tutto questo? La maggior parte di voi, suppongo, crede in Dio. Io non ne sono tanto sicura, ed è stata Caterina a suggerirmelo, con la sua storia. Dunque rispondetemi voi.." rispose Adelaide, in attesa.
Non pensava che qualcuno rispondesse a quella domanda semi-retorica, eppure qualcuno lo fece. Una voce, infatti, si levò dalla sala e disse le parole più pure che si potessero sentire, e che fossero vere o false, giuste o sbagliate, non aveva la minima importanza, perchè l'unico metro di giudizio, in quella folla illuminata in mondovisione era solo la bellezza delle parole , mitigate e filtrate da menti addolcite dalla pietà della storia che si stava raccontando.
"Dio c'è, cara. Ma uomo non è affatto.. Perchè se fosse un uomo, come potrebbe permetterlo? Esiste, ma è una forza al servizio della natura e del fato, una forza senza cuore che agisce senza remore, senza emozione, agisce solo perchè deve, perchè senza di essa il mondo e la vita non potrebbero esistere, ed è per questo che è necessaria, anche se a volte è crudele. Se fosse uomo...Cosa impareremmo? Cosa ricaveremmo se avessimo solo gioia? Il male esiste anche per guarire..il male deve esistere, o l'uomo non esisterebbe.." la donna che aveva parlato era anziana, poteva essere benissimo la nonna di Adelaide, e il viso incorniciato di ciuffi di capelli bianchi era la saggezza, così come le rughe, profonde e marcate, erano l'esperienza.
Adelaide la sorrise, e tutti tacquero, segno che poteva continuare.
"Fu così che presi una decisione che non era da me: cercai i parenti di Caterina. Sarebbe potuto capitare a me, all'epoca, sarebbe potuto capitare a qualunque ragazza, e il senso di giustizia di ieri, che quasi mancava, poteva ancora risorgere, dalle ceneri di oggi. Era proprio quel senso di giustizia che mi spinse a mentire a tutti, persino alla mia famiglia, portandomi a scappare dal campeggio estivo, dai miei stessi amici, dalle persone che meglio conoscevo, e tutto per aiutare una sconosciuta..morta. Ma chi non avrebbe agito così? Chi potrebbe restare impassibile davanti ad un esperienza simile? Chissà come ho resistito ad ogni avversità fisica, come svenimenti, urla.. sarà stata Caterina ad operare gli elementi al fine di tenermi lucida? Se fossi stata io nella sua condizione avrei fatto di tutto per fami aiutare, e poi lei scelse me, me! Credo che lo abbia fatto perchè sentiva un qualche legame perme, e non lo dico per non sentirmi in qualche modo più interessante di altri,ma credo seriamente che il fatto che quello scherzo della foto non mi abbia fatto ridere, ma che anzi mi abbia profondamente rattristato, portando con sè un'ondata di tristezza indelebile, abbia indotto Caterina a scegliermi, a trovare una persona che a lei ci tenesse davvero, che potesse capirla, aiutarla. Chissà quante persone sono scappate da lei, nel vano tentativo di farsi aiutare! Invece io sono rimasta, e non so se per magia occulta di una defunta o se per mia volontà, so solo che sento che devo aiutarla, perchè è giusto così, perchè non vorrei mai e poi mai che qualcuno mi tratti come Caterina venne trattata, perchè mi sentirei anche io in prigione se non avessi avuto una voce, perchè essere ucciso dal proprio futuro marito è un dolore troppo grande perchè qualcuno possa capirlo.. Inoltre tutti meritano la pace, tutti. Schiavi e padroni, animali, esseri inanimati, invidiosi e altri peccatori, assassini e bambini. Perchè Caterina non poteva averla? Doveva averla.. e con il mio viaggio, l'avrebbe ottenuta. Trovare i suoi parenti fu facile, soprattutto visto che la villa in cui era imprigionata aveva ancora atti di proprietà perfettamente conservati. Due generazioni erano ormai passate, e quella presente, l'unica rimasta, si trovava esattamente nella città accanto a quella della villa, ad un giorno di viaggio. Era incredibile che la generazione presente di quella famiglia fosse tutt'altro che ricca, se non di medio-bassa estrazione, ma immaginai che nel corso del tempo e delle guerre, i soldi non avevano di certo potuto molto..
Guardai ancora una volta il foglio con l'indirizzo e il nome. Ci siamo-pensai- questa persona è la chiave della prigione di Caterina.
Mi capirà? Funzionerà? Deve. In quell'unico foglietto di quaderno avevo riposto tutte le mie speranze e quelle di Caterina..

Lucas Withmore


Chiunque fosse, avrebbe dovuto capire a tutti i costi.
Il bus si era fermato all'ultima fermata, presi un sospiro e scesi. La casa era lì davanti, oltre il lungo vialetto.
Mi incamminai lentamente, sperando che ad ogni passo crecesse il coraggio e la determinazione oltre che la speranza, che già mi alimentava, con il fiato lontano e freddo di Caterina che mi seguiva, che mi ricordava che non c'era una vita in ballo, ma molto di più, un' eternità.

Le colpe dei padri...sussurrai... "

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Capitolo 9
*** il viale della speranza ***



"Ma chi è Lucas Withmore?" chiese una ragazzina dal pubblico. Era mossa dalla febbrile presenza di ormoni adolescenziali nell'udire il nome di una persona di sesso maschile che avrebbe potuto rappresentare un maschio della sua stessa età, nonchè ipotetico e nuovo boyfriend. Adelaide sorrise, e si ricordò di quando aveva quell'età, quella in cui sembra che nessuno di capisca e che tu sia l'unica normale nella tua famiglia, quella in cui divertirsi e innamorarsi era l'unica cosa che contava.. Cose superficiali, eppure normalissime. Adelaide era stata una strana adolescente, le piaceva chiamarsi "adolescente repressa", perchè in effetti non aveva mai avuto nessun sintomo compatibile con quell'età, come la ribellione, o qualche strano stile nel vestire. Era semplicemente normale, pochi litigi con i genitori o con gli amici, molte delusioni (anche troppe), molti tradimenti, molte falsità (più subite che inflitte purtroppo), e tantissimi libri. Era da considerarsi triste come crescita? Guardò ancora la ragazzina e continuò a sorridere.... Lei era sotto i riflettori a parlare di una storia un pò infelice, l'altra era nel pubblico quasi nell' ombra- se non per la voce- a chiedere di una persona che nemmeno conosceva. Quindi tristezza doveva essere riconsiderata come parola.
"Lucas Withmore è l'ultimo discendente della famiglia di Caterina, l'unico a cui avrei potuto raccontare la verità. Non avevo idea di cosa dire, nè di come dirlo. Come potevo dopotutto presentarmi alla sua porta pretendendo di raccontargli una storia vecchia di secoli, inclusa l'apparizione di un fantasma e la sua sventurata storia, e la sua brama di giustizia? Come potevo pretendere la sua compassione? O meglio..la sua comprensione? Non aveva senso. Chi era lui per me? Nessuno, ma allo stesso tempo tutto. Nessuno in quanto perfetto sconosciuto in terra sconosciuta, e tutto in quanto unica chiave di salvezza per Caterina, per la quale avevo scoperto di avere un qualche coinvolgimento emotivo, grazie alla sua straziante storia. Trovare le parole giuste- pensai- nel mio cuore. Parla con il cuore...
Il viale era molto lungo, eppure la casa di vedeva perfettamente. Era un pò come in quei sogni in cui corri verso qualcosa senza mai raggiungerla, il frustrante teatrino di una missione assurdamente impossibile ma nel profondo così..importante, almeno come se fosse mia, come se io fossi Caterina e lei fosse me, come se fossi io quella intrappolata nel mio incubo e lei quella viva che trema nel vedermi apparire e che con gli occhi spalancati dà il suo assenso ad aiutarmi, mossa solo dalla compassione umana. Già, però non è così. Lei non è umana, non lo è più, e sarei potuta essere io, io sarei potuta essere al suo posto. Rabbrividii e continua a camminare, sperando che ogni passo potesse sprigionare una scarica elettrica verde, una scarica di speranza, e quasi immaginai che dalle mie scarpe potessero veramente fuoriuscire quelle scintille, infondersi nel mio corpo, nella mia mente, nella mia determinazione, donando forza a quella che ormai consideravo la mia missione personale, una ribellione in ritardo che sarebbe dovuta accadere molto prima, in quella che i profani chiamano "adolescenza". Ma dovevo accontentarmi del presente, di sfruttare quella ribellione ora, anche solo per l'adrenalina di aiutare finalmente qualcuno, aiutarlo davvero, e l'età stavolta non contava davvero. Non si trattava di anziane con la spesa...Anima. Era la parola che mi venne in mente.
Suonai il campanello, o meglio tirai il lungo catenaccio a fianco il portone e semplicemente...attesi.





Il portone si aprì dopo non so quanto tempo, visto che mi sembrava di trovarmi in un universo parallelo dove tempo e spazio non hanno più il minimo significato. Niente lo aveva al di fuori di quel posto e della casa di Caterina, perchè c'ero solo io, lei, il suo segreto, e forse, speravo, Lucas Withmore.
Mi aprì un ragazzo, forse il figlio di Lucas Withmore. Non sembrava un ragazzo normale, non ne avevo mai visto uno così. E con questo non intendo dire che fosse straordinariamente bello o che avesse un qualche particolare fisico che lo risaltasse. Era solo...diverso. Portava un maglione a V, con i rombi, tipico solo di nerd o ricconi. Era poco più alto di me e mi fissava con attesa, come a voler dire "beh..che vuoi?". Un pò scortese forse, ma nel profondo mascherava una certa ironia e divertimento.. Sospettai che era passato un bel pò di tempo dal suo ultimo incontro con il gentil sesso, e a testimoniarlo non era solo il suo sguardo ma soprattutto i suoi occhi. Vi lessi la tristezza, vi lessi la solitudine di chi è costretto a fare qualcosa che non vuole fare... Spazzai via quei pensieri e risposi, prima di passare per una mendicante muta.
-C-cerco il signor Lucas Withmore..è in casa?- chiesi
-Dipende da chi lo cerca.. rispose il ragazzo tornando improvvisamente serio
-é importante...quindi non ha importanza... ribadii.
-Bruttissima frase... ma può entrare lo stesso. Il ragazzo mi guardò con un aria di superiorità che mi fece innervosire, ma alla fine entrai, visto che era decisamente il momento di cedere per queste piccolezze.
Mi fece accomodare in un salotto che avevo visto probabilmente solo in qualche vecchio film. Poltrone in pelle, pesanti tende di broccato, tavoli di quercia, candelabri alti quanto bambini... Cristalliere colme di servizi costosissimi, quadri di dame e cavalieri. Ma dove ero capitata? Mi chiesi. Caterina..dove mi hai portato? sussurai.
-Scusa...hai detto qualcosa?- mi chiese il ragazzo.
-N-niente. Non so perchè ma ogni volta che gli rispondevo mi veniva da balbettare. E sottolineo, non era il fascino ad essere in gioco, visto che in lui non avevo trovato la minima traccia.
Il ragazzo si avvicinò al raggio di luce che filtrava tra le pesanti tende e mi osservò, serio e un pò cupo.
-Allora...posso sapere cosa vuole da Lucas Withmore? chiese serio, come ad un esame importante. Mi feci piccola nella poltrona enorme e non seppi nemmeno da dove iniziare...Questo Caterina non me lo aveva detto, ovvero come poter raccontare la sua storia senza essere derisa o chiamata pazza. Quindi..avevo deciso di parlare con il cuore? Allora..con il cuore dovevo parlare.
Pensai solo a Caterina, e all'immensa tristezza del suo stato, della sua vita e della sua morte.
-Si tratta di una sua antenata.. c'è qualcosa che il signor Withmore deve sapere riguardo alla sua morte, è molto importante. risposi io e stavolta non balbettai, sentendo Caterina vicina, in qualche modo.
-Il signor Withmore conosce tutti i suoi antenati... di chi si tratta? può dirmelo.. disse il ragazzo curioso, sedendosi nella poltona davanti a me.
-Si tratta di Caterina.. risposi io, e non mi ero mai accorta di non ricordare o peggio di non conoscere nemmeno..il suo cognome. Come potevo aiutare qualcuno del quale conoscevo solo il nome? Ma conosco la sua storia...pensai di rimando, e questo placò un poco quella mancanza.
Il ragazzo si irrigidì, poi si alzò di scatto. Il movimento era stato così rigido, così severo...Cosa avevano fatto a quel ragazzo?
-Esca subito da casa mia... disse freddamente, e talmente a denti stretti che quasi non si sentì la sua vera voce.
Rimasi scioccata. Nessuno mi aveva mai buttato fuori, nemmeno per scherzo. Mi sentivo così..in imbarazzo, mi sentivo una fallita, una delinquente che entra nelle case altrui per infondere dolore. Perchè era quello che si leggeva negli occhi del ragazzo. Solo dolore. La domanda di prima di ripetè allora nella mia mente...Cosa aveva fatto a quel ragazzo?
-Ma devo vedere il signor Withmore...mi scusi, ma io...devo.. non finii nemmeno la frase, perchè lo sguardo mi cadde in quel maglione che avevo così tanto criticato. Quei rombi, non erano così semplici come avevo semplicemente constatato prima. Formavano un intricato ricamo, all'altezza delle clavicole...Erano due iniziali. L.W..
Rimasi a fissarle senza parole, senza nemmeno curarmi del fatto che quel ragazzo mi stava gridando contro.
-Lei..Lei.. è... Non ci fu tempo per niente. Un attimo prima era seduta nella comoda poltrona di pelle, pronta a raccontare la storia, o almeno a prepararmi in attesa dell'arrivo di Lucas Withmore, e un attimo dopo ero di nuovo fuori, nel vialetto, davanti al portone che mi separava di poco da quel bizzarro ragazzo, o dovrei dire...dal bizzarro e triste...Lucas Withmore..."

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Capitolo 10
*** gelido invito ***


"Come? le ha veramente sbattuto la porta in faccia?" chiese un anziano tra il pubblico. Adelaide sorrise. Per gli anziani ogni mancanza di rispetto equivaleva ad una esecrabile e insufficiente educazione genitoriale impartita. Ma nel caso di Lucas Withmore, doveva esserci molto di più, e Adelaide lo aveva capito dal suo viso, dalla sua espressione nel sentire il nome Caterina. Che legame avrebbero mai potuto avere due persone così diverse, a distanza di secoli? Lucas era l'ultimo e probabilmente l'unico discendente vivente di Caterina, l'unica possibilità di liberarla. Era la speranza.
"Oh si. Assolutamente. Solo dopo seppi il motivo di quel gesto, e quando compresi...capii che in fondo lo avrei fatto anche io. Ma veniamo ora al modo in cui riuscii a farlo ragionare, al modo in cui convinsi Lucas Withmore, che..credetemi, non fu per niente facile. Quando la porta si chiuse all'inizio pensai che era finita, che era tutto finito, che avevo semplicemente fallito, come dopotutto immaginavo, e che Caterina mi aveva affidato un compito assurdo e impossibile. Ma poi pensai che non dovevo vergognarmi se volevo insistere, perchè nel profondo non lo facevo solo per lei, nel mio animo si nasconde anche tutt'ora una particella di egoismo che solo ogni tanto viene a galla. E quello era uno di quei momenti... Che male c'era dopotutto? pensai, ad essere così egoisti, ogni tanto? Non potevo forse farlo anche per orgoglio? Pensai che a Caterina non sarebbe dispiaciuto in fondo, se avessi agito anche per un pò per me. Perchè, vedete, Lucas Withmore era un ragazzo completamente fuori dal comune, e non lo dico solo per il modo in cui era vestito, lo dico perchè nessun ragazzo sarebbe mai stato così gentile. Nel suo caso, finchè non mi ebbe sbattuto fuori. Eppure c'era qualcosa nei suoi modi, nel suo garbo, nel modo con cui si è finto un altro, che mi aveva in un certo senso colpito. Colpito in senso buono, ovviamente, colpito nel senso..che lo invidiavo. Chi dopotutto sarebbe riuscito a comportarsi con una così tale scioltezza? Io, non ho mai saputo mentire, nè fingere, o non sarei qui, e questa è tra l'altro un'altra prova della mia non-pazzia. Ma Lucas Withmore...lui aveva qualcosa di diverso, era solo un ragazzo, ma si comportava come un vecchietto, come se fosse sempre stato costretto a sopportare cose che non gli sarebbero dovute competere, come se fosse dovuto crescere forzatamente e tutto ad un tratto, e nessuno dovrebbe crescere così. L'infanzia dovrebbe essere assaportata come i giorni di un moribondo e ogni cosa, persino la più banale, dalla bolla di sapone al boccone di spaghetti, diventa meravigliosa, forse perchè è l'ultima o forse perchè ne sentirai la mancanza, così umana, reale.
Perciò, per orgolio, ma soprattutto per Caterina, rimasi immobile davanti al portone. Muta. Cercavo ancora di decifrare quel che era accaduto, non potevo crederci, e pensai che tra pochi minuti mi sarei potuto svegliare nel mio letto, sospirando di sollievo per il sogno assurdo fatto. Caterina? Lucas Withmore? E chi sono? Non sarebbe meraviglioso? Ma era tutto vero, e i minuti passarono e io rimasi lì, tremendamente sveglia. Caterina era reale (per quanto strano) e Lucas Withmore, ancora di più, e il suo ricordo era ancora forte, seguito dall'ombra del rimbombo della porta che sbatte, una frustata inflitta alla mia già fiacca determinazione. Non doveva finire proprio ora, così presto e dopo tutto quello che avevo passato. Avevo dovuto reggere sempre, alla visione di Caterina, all'insopportabile sensazione di vederla ogni volta, cercando allo stesso tempo di mantenere la calma e la lucidità necessari a parlare, reggere a quell'incontro che la scienza non avrebbe mai dovuto permettere e che per punizione mi aveva fatto sopportare ma sotto effetti collaterali come incubi, insonnia e nausea. Avevo perciò sopportato tutto quello, per niente? Solo perchè quel vecchietto di Lucas Withmore non voleva ascoltarmi? Non mi aveva dato nemmeno una possibilità, e quindi..Caterina o orgoglio, io dovevo dirgli quello che avevo da dire, anche se non mi avrebbe ascoltato. Almeno..non avrei fallito del tutto..."

"Era notte fonda e c'era un venticello fresco. Ero seduta davanti al portone, lo fissavo. Ero convinta che se avessi concentrato tutta la mia volontà su Lucas Withmore e sul quel portone, forse quello si sarebbe aperto, così come la mente e il cuore di lui. Mi sentivo una strega, un' eretica che pratica malefici nella notte. Insomma..era tutto così assurdo! Seduta davanti ad un portone invocando chissà quali forze naturali in attesa che un ragazzo che precendentemente mi aveva sbattuto fuori ascoltasse la storia della sua antenata defunta in cerca di pace. Aveva perfettamente senso, nella mia mente, che sapeva già tutto. Si, ma in quella di Lucas, lo avrebbe avuto?
La porta, anche se non per causa mia, sia aprì. E Lucas Withmore, vestito esattamente come la prima volta che lo vidi, quella mattina, mi fissò, infuriato, come se sapesse che sarei rimasta e non mi sarei arresa. Quella collera non era fanciullesca, non era da ragazzo. Era la collera di un uomo cui non sia stato consegnato il giornale del mattino, quella di un padre che rimprovera il figlio, di un marito che non sopporta più la moglie. Cosa era successo a quel ragazzo? Rimase a guardarmi e il suo sguardo mi gelò più del venticello notturno, il suo sguardo mi mise a disagio, tanto che mi sarei voluta alzare da terra e scappare fino a sentirmi in colpa e persino un' intrusa e una barbona. Perchè quello sguardo poteva farlo, e chissà cos'altro poteva fare. Non avrei mai voluto scoprirlo. Ma io rimasi, ricambiando goffamente quella freddezza, senza riuscirsi, e lui di questo ovviamente..se ne accorse.
-Su, entri dentro- disse secco.
-Solo se mi dirà perchè mi ha sbattuto fuori, Signor Withmore- risposi io tristemente.
-Solo se lei mi promette di non pronunciare più quel nome in mia presenza- ribattè il gelido ragazzo;
-Ma quel nome dovrà esserci, signor Withmore. Fa parte della mia storia, e presto...anche della sua. E' necessario che lei sappia tutto, e non me ne andrò finchè non avrò detto quel che ho da dire- dissi;
-Caterina fa già parte della mia storia e non voglio che mi vengo ricordato..- rispose il ragazzo e distolse lo sguardo, come per nascondere delle lacrime nascenti;
-Allora la storia che conosce lei, mi dispiace dirlo, è completamente sbagliata. Lasci che le racconti la verità-lo incitai;
-Come può dirlo? Chi è lei?- chiese il ragazzo ancora più infastidito;
-Che importanza ha? Se mi farà entrare conoscerà solo la verità. Sulla sua storia e su quella di Caterina. Poi finirà tutto, glielo prometto- promisi sinceramente io;
-E se non fosse la verità? E se fosse sbagliata anche quella? Se la verità..non esistesse, affatto? Se non ci fosse bene e pace?-il ragazzo sfogò tutta la sua rabbia, combattendo contro le lacrime.
Lo guardai con infinita pietà e mi rivolsi a lui ancora una volta:
-Sono qui proprio per questo... per il bene di qualcuno. Potrebbe essere il suo, potrebbe essere di tante persone, vive e morte. Mi lasci tentare.
MI guardò confuso, dopodichè mi lasciò finalmente entrare, e quando la porta si chiuse dietro di me, sperai di riuscire in quello che finalmente era il mio obiettivo.
-Tentiamo e forse dopo tutto ciò, non odierò più mia nonna.
C'erano così tante cose da spiegare, e allo stesso tempo cose che bramavo di sapere. Cose di Caterina, ma nel profondo, anche se non volevo ammetterlo...cose di Lucas Withmore."

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Capitolo 11
*** cercare la fede ***



"Mi sembrava totalmente folle, quello che mi stava accadendo. Insomma, un attimo prima ero fuori a congelare, e quello dopo Lucas Withmore mi aveva accolto in casa sua. Come potevo trovare la forza di raccontare tutto, finalmente, dopo la delusione di essere stata respinta? So che l'orgoglio in una ragazza è quasi tutto, e devo ammetere che lo era anche nel mio caso. Infatti, sotto sotto mi sentivo ferita, se devo ammetterlo, non tanto perchè Lucas Withmore non mi voleva ascoltare, ma piuttosto per il fatto che avesse rifiutato me come persona. Un'altra cosa assurda, a questo punto era proprio credere che LUI potesse considerarmi come una ragazza, e non intendo ragazza nel senso di vincolo sentimentale, ma ragazza nel senso di sua simile del sesso opposto, e per questo, presupponevo, almeno un pò considerabile. Ma lui mi aveva comunque respinto. Ho sempre saputo cosa volesse dire, ho già provato questa sensazione e provarla ancora mi fece sentire come quella volta, quell'unica volta in cui mi fece male davvero, e...Oh, scusate, dove ero rimasta? Ah, si...Lucas Withmore mi aveva finalmente accolto, anche se non penso fosse per la mia tempra di stare al gelo, quanto per il fatto che stava perdendo la pazienza nell'avere un'intrusa nel suo giardino. Mi fece sedere con un gesto sbrigativo e restò in silenzio, assoluto silenzio.
-Io so che li non vuole ascoltarmi, e so che forse non mi crederà nemmeno. Ma io...io devo raccontarle tutta la storia, devo. Devo farlo per qualcuno.- dissi, e pensai che se avessi fissato Caterina nella mia mente il mio tono di voce e la mia determinazione ne avrebbero giovato. Lucas Withmore rimase impassibile, ma non mi interruppe.
-Racconti la sua storia,ma poi vada via da casa mia- replicò gelido, e anche se la mia sincerità non aveva funzionato come dovevo, presi un respiro e iniziai a raccontare. Tutto. Mentre parlavo, quasi senza respirare, senza punteggiature, senza enfasi ma solo trascinata dalla presenza lontana di Caterina e dalla sua speranza, notai per la prima volta Lucas Withmore. La mia prima impressione era stata giusta: Non dimostrava affatto la sua età. E questo non lo avevo capito solo dagli abiti, ma ora lo notavo anche dal suo viso, dal suo atteggiamento. I suoi occhi, all'inizio non li avevo notati.. e ora, guardandoli bene, me ne pentii. Se avessi potuto comprare uno dei due, avrei comprato quello destro, quello del colore del cielo. Si, perchè solo in quell'istante lo notai, da quella precisa angolazione, con quella precisa luce, e forse solo io l'avevo notato perchè non era un particolare così percettibile. Ma io me ne ero accorta...aveva due occhi di due colori diversi. Uno, il mio preferito, color cielo, e l'altro...l'altro era talmente blu da sembrare viola. Era come se nascendo due stesse tonalità di azzurro si fossero separate, la più chiara, quella pura e leggiadra, si era posata nell'occhio destro, quella più scura, audace, ipnotica, nell'occhio sinistro. Esattamente come due parti della stessa anima che si manifestano ai profani occhi di una semplice ragazza, una ragazza che ha saputo leggerla, contemplarla. Due parti di una stessa anima che sono in qualche modo confluite fino all'esterno, negli occhi, come affacciandosi, mostrandosi per quel che sono, diverse ma complementari. Forse, pensai, Lucas Withmore, era proprio come i suoi occhi: Aveva un lato chiaro, puro, come quell'azzurro chiaro cielo, un lato che non sbatteva fuori una ragazza, ma che, forse, l'avrebbe invitata a bere un thè in un eleganete servizion di porcellane di Sevres. Ma questa era solo un ipotesi, e io stavo solo raccontando la storia, e questi particolari sono raccontati dai miei occhi e rielaborati dalla mia bocca, visto che la mia mente si occupava solo di raccontare. Ma il particolare che più mi colpì, l'ultimo, ma il più rilevante, fu sul suo volto. Aveva una cicatrice sul volto, ma non una cicatrice qualunque. Partiva dall'angolo del sopracciglio e arrivata sotto la curva del mento. La prima cosa che pensai fu "Chi è stato?", e il pensiero fu automatico, ovvero quello di constatare subito che doveva avergliela fatta qualcun altro, chissa chi, piuttosto che lui stesso, il freddo e razionale Lucas Withmore. Quando smisi di raccontare, e non me ne accorsi nemmeno, lui non mi guardò nemmeno (al contrario di me, che fissavo la sua cicatrice), e restò in un altro dei suoi silenzi imbarazzanti.
-Non le credo- disse, e la semplicità che usò nel tono mi fece rabbrividire più di quanto avesse fatto se avesse usato un tono accusatorio.
-E perchè non mi crede, signor Withmore?- chiesi, senza nemmeno riuscire a chiamarlo per nome, quasi mi sentissi ad un colloquio, sebbene lui avesse più o meno la mia età.
-Io non ci credo, a queste cose- rispose, seccamente, senza ammettere repliche.
-E come posso fare per farle credere?-insistetti io, visto che il tutto era decisamente troppo importante.
-Non può, mi rifiuto di crederci, mi rifiuto di credere che... non finì la frase. Si alzò di scatto e mi diede le spalle, immobilizzandosi. Qualche ricordo era uscito fuori, gli si era dipinto in viso, e se lo avessi visto, sarebbe parso vulnerabile, il che era l'ultima cosa che Lucas Withmore voleva. Quella..freddezza, mi terrorizzava. Quella barriera che aveva ovviamente costruito intorno a quel qualcosa che lo facev soffrire a tal punto da renderlo così gelido, così schivo e scettico, era quel qualcosa..la causa della sua cicatrice. Quando si voltò mi si parò esattamente davanti al volto, talmente vicino che i suoi occhi diversi non potevano più sfuggirmi.
-Mi rifiuto di credere che ciò che mi è successo si poteva evitare! Che tutta la mia vita, tutto ciò che so e che mi è stato detto..non era altro che una bugia! Ho vissuto un incubo, per LEI. A causa sua. Ho vissuto un incubo , la mia famiglia l'ha vissuto.La famiglia dello sposo di Caterina non ci diede più tregua, dai miei antenati..fino a..me- e nel dire l'ultima parola indicò proprio la cicatrice. Poi chiuse gli occhi e prese un respiro profondo. Quando li riaprì.. ardevano.
-Lei sa cosa significhi la sofferenza?- mi chiese, e quei braceri era insopportabili, e il ghiaccio bollente dell'iride mi accecava. Strinsi i denti.
-Non ne ha idea, e se non vuole più soffrire.. c'è qualcosa che deve assolutamente vedere, solo così... lasciai la frase in sospeso, attirandolo nelle mie parole, scongelando almeno una parte di quel ragazzo, tentando con tutta me stessa di combattere quello sguardo sofferente, e di condurlo sulla via della verità.
-così cosa? -chiese continuando a fissarmi.
-Solo così...mi crederà. "

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Capitolo 12
*** nessuno può sapere ***


"La verità e che nessuno può sapere cosa si cela nella mente di uno scettico. Nessuno. E la verità è che scienza e fede non possono andare daccordo. Vedete io devo scegliere la fede, devo, o non avrei mai fatto ciò che ho fatto. Se non avessi avuto la fede, come avrei potuto credere a Caterina? Come avrei potuto aiutarla? Semplice, non avrei potuto. E come ben traspare, Lucas Withmore la fede...non la aveva. Lui era proprio quel che si poteva definire un uomo di scienza, un uomo di date e fatti, dati e risultati, leggi fisiche e razionalità incrollabili. Lui, soprattutto era una missione impossibile. Come fai a dire ad un bambino che babbo natale non esiste? Come fai a spiegare ad un malato di cancro che una cura non esite? La fede risponderebbe che non è giusto spiegarlo, e che non devi. Ma la scienza rispondere che invece è necessario farlo e che sapere è giusto, sapere non fa male, e avere le risposte è fondamentale anche se distrugge i sogni di un bambino e le speranze di un moribondo. E' necessario, è razionale. ma spesso la razionalità non basta, ed era questo che Lucas Withmore doveva capire. A me, infatti non era bastata, quando la puzza di muffa e la tristezza nel cuore mi avevano portata a Caterina, non mi era bastata per spiegare niente, perchè non serviva. La ragione può eclissarsi davanti tali fenomeni in modi che non possiamo immaginare, fenomeni che sono perfettamente razionali, ma solo nella sfera della fede, e non viceversa.
E la sfera della fede, quella più inviolabile, era proprio ciò che avevo, quella in cui speravo di far entrare Lucas Withmore. E per farlo c'era solo un modo...fargli vedere Caterina, portarlo nella sua casa, nella sua prigione..."


"-Ah, dovrei venire con lei quindi..ma come? Se il suo fantasma è così reale, allora perchè non viene qui da noi. O è forse troppo disturbo, per il quieto ed immobile regno dei morti?- disse Lucas Withmore sarcastico.
-E' l'unico modo per vedere...lei. E' imprigionata nella sua casa ed è solo per colpa d.. colpa di un uomo- risposi io, seccata.
-bene bene...mi è capitata una spiritista piuttosto femminista, direi- controbattè gelido.
-Non è questione di femminismo. E' assassinio, falsa testimonianza, è un reato, ed ha causato danni persino nell'aldilà- sospirai.
-Casi simili meritano giudici divini, non crede?- mi chiese.
-Casi simili meritano la fede e l'interesse di chi può fare qualcosa, anche se non è un giudice, divino o umano che sia- risposi, seria.
-Io non vengo, e se davvero vuole che io creda, che io veda, lo farò. Ma qui. Ora. davanti ai miei occhi.- disse infine.
-Se è ciò che vuole..così sarà- non avevo idea di ciò che avevo appena detto, ma sembrare forte davanti a lui era l'unica carta che mi restava. Non avevo idea di che fare, di come trovare un contatto tra Caterina e Lucas Withmore, soprattutto per il fatto che lei non poteva muoversi dalla sua prigione e Lucas non voleva muoversi da casa sua. Ma poi pensai a qualcosa che la scienza non mi avrebbe mai permesso di pensare e che solo la fede mi avrebbe concesso: Se Caterina non poteva muoversi...Lucas avrebbe potuto, persino senza il suo corpo. E forse....Forse sapevo come."



"-Cosa ha detto che faremo?-mi chiese Lucas Withmore sbigottito. Quasi non lo sentii, stavo preparando tutto. Non avevo nessuna esperienza in materia di viaggi astrali extracorporei, ma sentivo in qualche modo che se tutti ci fossimo concentrati, forse..avrebbe funzionato. Ero fermamente convinta che una forte immagine mentale di lei sarebbe servita, ma mancava un elemento fondamentale: la fede. Come farla nascere in Lucas Withmore?
-Mi abbracci- dissi sembrando seria, ma arrossendo.
-Scusi?-disse lui, in imbarazzo.
-Solo io l'ho vista e solo io posso immaginarla. Si regga a me, e se tutto andrà bene..se avrò la fede sufficiente per entrambi..riusciremo ad arrivare- risposi io, e la sicurezza che ebbi probabilmente non la avrò mai più, non così forte. Potevamo farcela.
-arrivare dove?- mi chiese ancora, e fu l'ultima domanda prima che le sue braccia si cingessero intorno a me, intorno alla mia fede che si espandeva, al nostro spirito che si illuminava, come fari di un auto pronta alla partenza. Eravamo pronti, la fede bastava, ma c'era una cosa che io possedevo e che lui sottosotto..coltivava: la speranza.
-arrivare da Caterina, nel posto in cui è imprigionata- dissi e il resto non contò più. Non eravamo più a casa di Lucas Withmore. "

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Capitolo 13
*** spostamento ***


"Descrivere il modo in cui effettivamente riuscimmo a spostarci spiritualmente dalla casa dei Withmore è impossibile, e lo è per due motivi. Il primo è che ovviamente non sono una scienziata e nemmeno Lucas Withmore, e quindi nessuno di noi due avrebbe potuto fornire una spiegazione plausibile nè veritiera. Il secondo è che non avevo idea di quel che stavo facendo, lo stavo facendo e basta...spinta da un'energia incredibile, l'energia della speranza, di chi vuole dimostrare qualcosa a tutti i costi perchè sa che è vera. Perciò non avendo idea di cosa stessi facendo, semplicemente mi aggrappai a Lucas, visto che la sua freddezza non aveva permesso il contrario, e poi..accadde. Il salotto non c'era più, non c'ero più io, lui, eravamo particelle prive di corpo, forse persino di volontà, ma dopotutto dotate di sola vista , perchè in fondo era l'unico senso che ci serviva ad entrambi. Che senso aveva avere l'olfatto o il tatto? La verità era forse profumata e liscia come la seta? No, la verità sapeva di muffa e putrefazione, ed era terra ruvida al tatto, la verità era un campo arido e sterile, marcio e dimenticato da dio. Dimenticato, ignorato. Speravo che anche Lucas la pensasse così, ma non potevo saperlo, non potevo nemmeno concepire l'idea di Lucas perchè ero priva di qualunque lume di ragione e di pensiero, c'ero solo io e i miei occhi, da qualche parte nello spazio, in una regione a me sconosciuta. Ero..terrorizzata, e la cosa più brutta in assoluto del terrore è il non poterlo sentire. Avevo paura, in qualche angolo del mio essere rimasto in casa Withmore, ma non sentivo assolutamente nulla,solo il vuoto di quel terrore che mancava, ma che c'era..eccome. Sapevo bene che sapore avesse il terrore, sapeva di sudore freddo, ma non avevo bocca per assaggiarlo; sapevo anche che profumo avesse, ed era quel marcio che mi ricordava sempre quanto Caterina fosse presente, sia il suo spirito nella casa che il suo corpo putrefatto da qualche parte in quei campi vicini, ma non avevo naso per fiutarlo; e sapevo anche se rumore avesse il terrore, perchè era il rumore dell'abito di Caterina che fluttuava, la sua stoffa delicata che sfusciava anche se non esisteva materialmente, mentre rivestiva la figura incorporea della triste ragazza, eppure non avevo orecchie per sentirlo. Avevo solo i miei occhi, e avrei voluto non averli, perchè purtroppo sapevo anche che aspetto avesse il terrore, perchè nonostante la volessi aiutare, nonostante la sua storia mi avesse colpito, il terrore..era Caterina. Lei e il suo aspetto. Mi terrorizzavano ogni volta, quel misto di innocenza e determinazione d'alrti tempi, tanto che spesso temevo di aver perso la ragione. Era lei, il volto del terrore, era lei il volto che vidi quando, una volta immobile, aprii i miei unici occhi. La casa era esattamente come l'avevo lasciata, lo scrigno dei miei ricordi più brutti e allo stesso tempo importanti. Caterina mi guardò seria e così restò. Non fece assolutamente nulla. Forse non mi ha visto..pensai. Ma non stava fissando il vuoto, stava fissando qualcosa, qualcuno..che non ero io. Cercai di ruotare gli occhi, e intorno a me c'erano solo parti di casa. Solo dopo un pò notai che quella zona di casa non era del tutto vuota e immobile. Era carica di energia, tanto che fluttuava leggermente, come se vi fossero presente piccole onde di calore. C'era qualcuno lì, anche se non riuscivo a vederlo. Lucas. "


"-Così ora mi vedi, anche se non puoi parlare- disse Caterina, senza degnarmi di uno sguardo e riferendosi a Lucas.
Cercai di pensare qualcosa, ma non ci riuscii...e mi sentii terribilmente..morta. Forse è così che Caterina si è sempre sentita, pensai. Avrei voluto non morire mai, dopo quell'esperienza, perchè in effetti è proprio quel che si prova, a parer mio.
Era tutto così..intangibile, lontano, ero sola.. e la vista non mi bastava.
-Così ora sai, signor Withmore che ciò che ti è stato detto..è tutto vero. Vero fino in fondo. Ora sai..che cosa ho subito, che cosa la nostra famiglia ha subito. Cosa IO ho subito- continuò Caterina, come se fosse sola, anche se lo era.
-hai la possibilità di vanificare tutto ciò che ti è successo, forse persino cancellare quella cicatrice..perchè io so come te la sai fatta. hai la possibilità di espiare tutte le colpe. Dovrai solo liberarmi. E per farlo..Dovrai solo crederci"- e fu l'ultima cosa che disse Caterina, dopodichè..fui di nuovo corpo, di nuovo mente, mente corpo e anima insieme. Fui Io."



"-Ora mi crede?- chiesi riprendendo fiato. Eravamo ancora abbracciati, sempre più stretti, congelati dal terrore.
Lucas Withmore non rispose più. Tremava. E sempre tremando, senza dare alcuna spiegazione, aprì la porta..e se ne andò.
Ma non uscì semplicemente in giardino. Lucas Withmore era sparito. E così rimase per un anno intero.
Una sera mi arrivò una lettera, in casa, quando finalmente tornai e mi assunsi le responsabilità della mia bugia tra le lacrime (più di aver in qualche modo fallito piuttosto che di aver mentito), che mi lasciò senza parole:

Lucas Withmore non esiste più "

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Capitolo 14
*** chi è Lucas Withmore? ***


"Quelle parole...non riuscivo a togliermele di dosso. Luca Withmore non esiste più. Era tutto finito. Luca Withmore non esiste più. Caterina non sarebbe mai stata libera. Luca Withmore non esiste più. Persino io non sarei più stata libera. Luca Withmore non esiste più. Lucas era scomparso e nessuno sapeva dove potesse essere, e forse nemmeno io esistevo più, forse ero andata via con lui... Luca Withmore non esiste più
Era la fine."

"Perciò è così che la storia finisce? Tutto qui? Tutta quella fatica, quella paura..per niente?" mi chiese l'uomo senza fiato.
"Mi piacerebbe poter dire che è andata diversamente, che c'è stato un qualche lieto fine, ma purtroppo Lucas Withmore non tornò più, non materialmente almeno." rispose Adelaide.
"In che senso?" le chiesero.
"Dopo alcuni mesi mi arrivò un altro biglietto, l'ultimo. Era di Lucas. Vedete quel biglietto non era esattamente ciò che volevo, perchè anche se non lo volevo ammettere volevo che Lucas tornasse, ma era ciò che speravo. Erano esattamente le parole che speravo di sentire, o almeno leggere, erano le parole che servivano, nessuna in più e nessuna in meno. Erano le parole giuste.

Io ci credo

Ed è così che Caterina divenne libera. Semplicemente con quelle parole di Lucas, le sincere parole di una persona che scappando aveva trovato la fede , e soprattutto il coraggio di credere a qualcosa di incredibile."
"Come fa a sapere che Caterina era stata liberata?" si domandò il pubblico.
"Perchè la sua casa era vuota, e così rimase, senza muffa, senza quell'insopportrabile velo di tristezza e angoscia. Era solo una casa, ora, solo un mucchio di mattoni vivibili. I resti di qualcosa che è stato e non è più. Non c'era più traccia di lei, nè delle sue catene..era libera, e di questo non ci sono dubbi" rispose l'intervistata.
"E riguardo Lucas Withmore? Che mi dice? E' stato mai ritrovato?" chiesero ancora, come sotto ipnosi.
"La risposta a questa domanda sta in un fatto essenziale. Ci sono persone che scappano perchè sono semplicemente arrabbiate, è una fuga sbagliata, è solo un capriccio..è la vergogna nel dover ammettere i propri errori. Ma Lucas non aveva sbagliato assolutamente niente. Perchè Lucas ha fatto esattamente ciò che tutti si aspettavano da lui, tutti quelli che lo conoscevano. E conoscendolo sapevano bene quanto fosse razionale e scettico e perchè il fatto che non mi abbia creduto subito non è affatto un errore. Nemmeno la sua fuga è stato un errore, perchè dovrebbe? Lucas non seguiva il suo cuore, ma la sua testa e quella gli ha detto di fuggire, di trovare se stesso, di credere, di credere alla vita e di fuggire da ciò che era stato per diventare ciò che è. Lucas non è mai tornato, perchè se non sei nessuno, dove mai potresti tornare? Non puoi farlo finchè non hai l'assoluta certezza della tua identità. E lui non ce l'ha, allora non è il suo momento."
Adelaide prese un lungo respiro, sapendo che le luci presto si sarebbero spente. L'ultimo sforzo...

"Io mi fido di Lucas. Io mi fido di voi. Che seguiate il cuore o la mente, avrete sempre la mia fiducia. Avete il mio segreto e insieme..avete la mia anima."

Luci spente.

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Capitolo 15
*** fuori onda ***


Da quando le luci si erano spente, si erano spente per sempre. Era decisamente il modo migliore di concludere tutto, di porre fine a quell'incredibile capitolo della sua vita, a quell'esperienza che chiunque avrebbe classificato sotto "traumatizzante" o " indelebile", ma Adelaide sentiva che quella prima di tutto non era stata un 'esperienza, perchè un 'esperienza insegna sempre qualcosa, rimedia ad un errore, e lei non aveva imparato proprio niente, visto che dei morti sapeva ancora meno di prima e probabilmente non voleva saperne niente almeno finchè lei stessa non fosse morta; secondariamente non era stata affatto traumatizzante (se non per certi tratti), quanto piuttosto paralizzante, estenuante, incredibile. Perciò come definire qualcosa che non è nè un' esperienza nè un trauma? Un pezzo di vita completamente fuori dal normale, un'occasione nella quale il corpo umano può sperimentare chimicamente qualunque tipo di terrore a livello molecolare, in cui l'adrenalina non è nulla a confronto della fredda zaffata di terrore che invade il corpo nel momento stesso in cui quell'ondata di muffa ti arriva diretta al naso, in cui percepisci quell'alone, quella presenza che anche se non c'è ti osserva, quel senso di impotenza, il corpo che si pietrifica, la voglia di urlare con la voce bloccata in gola come se fossi nelle montagne russe, pronta ad esplodere, e se esplodi..è la fine. Se esplodi allora la paura finirà di impossessarsi di te, del tuo corpo, della tua mente e tu non sarai più Adelaide, ma sarai solo un fantaccio, il fantoccio di chiunque ti abbia fatto così tanta paura. Certe volte ci chiediamo "Come posso avere paura di qualcosa che non esiste più?" Ma è proprio perchè non esiste più che ne abbiamo paura, perchè ciò che esiste, ciò che è tangibile, lo conosciamo bene, i nostri sensigli obbediscono. Ciò che invece non esiste sfugge completamente al nostro controllo, come non potrebbe?
Era questo che pensava Adelaide dopo che le telecamere si erano spente, portandosi dietro mille domande e interviste. Non aveva risposto a nessuna. Aveva finito. Aveva detto tutto e non c'era altro da dire, e il resto, il tempo che le restava da vivere, chissà quanto...doveva restare in una luce meno intensa dei riflettori, la luce della normalità.



Adelaide fissava il cielo senza nessun pensiero. C'era solo il cielo e l'analisi personale cromatica di quel colore bellissimo. Spesso non riusciva nemmeno a fissarlo, le veniva da chiudere gli occhi, come accecati da una luce intensissima, e il che era piacevole.. era luce, era vita, dopotutto. Si stava in qualche modo reidratando attraverso la luce dopo quel periodo di oscurità che l'aveva disidratata, quel periodo che per fortuna, dopo la confessione (o espiazione) non avrebbe piùricordato. Non le mancava nulla, aveva tutto, luce, vita, serenità, pace, pace personale, pace di Caterina che trasudava da chissà quale mondo parallelo. Che poteva chiedere di più? Cosa può volere di più un traumatizzato? Solo la pace.
"Avevi ragione" disse il ragazzo.
Adelaide si girò e pensò che aveva fissato troppo la luce del sole, visto che la voce maschile era abbinata ad una sola ombra indistinguibile. Si spaventò, ma non c'era niente che le aveva fatto presagire la presenza di un ' altra entità. L'ombra si avvicinò piano...capelli, occhi, e una cicatrice. Lucas.
"Io credo.." sussurrò, e stavolta nell'ombra comparve anche un sorriso.
"Dove sei..stato?" chiese Adelaide sconvolta.
"A verificare" rispose lui.
"Verificare cosa?" Adelaide restò col fiato in sospeso.
"Ciò che abbiamo visto" rispose ancora lui.
Adelaide urlò, e se si dovessero classificare le urla in base ad una scala di urla.....ci vorrebbero mesi di lavoro.
C'era un motivo ben preciso se Adelaide aveva urlato. La sua luce, la tanto conquistata luce e pace si erano spente di nuovo, così come di nuovo sentì quell'odore, quella reazione chimica che la disgustava, quella sensazione di impotenza, la pietrificazione, il pensiero che se urli la paura si impadronisce di te.... ed era troppo tardi.
Lucas si era impadronito di lei, ma non nel modo che ogni ragazza spererebbe. Non si trattava di amore, ma di una scioccante, indelebile, traumatizzante rivelazione.
"Sono morto"
Che sia accesa o no..la luce ci sarà sempre, che si nasconda nell'odore di muffa di chi non c'è più e vuole tornare, che si nasconda dietro la disperazione di un urlo, lei ci sarà.
"Sono morto"
hai ancora voglia di cercarla?

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