My name is Io

di Aphasia_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione- fuori controllo ***
Capitolo 2: *** automaticamente ***
Capitolo 3: *** frammenti ***
Capitolo 4: *** il sentiero della coincidenza ***
Capitolo 5: *** sprofondare ***
Capitolo 6: *** Come mai ***
Capitolo 7: *** elaborare ***
Capitolo 8: *** ciò che i morti sanno ***
Capitolo 9: *** ciò che i vivi subiscono ***
Capitolo 10: *** ciò che è giusto e ciò che è necessario ***
Capitolo 11: *** il biglietto ***
Capitolo 12: *** Il Ministero della Luce ***
Capitolo 13: *** angeli e demoni ***
Capitolo 14: *** piano B ***
Capitolo 15: *** luce e tenebra ***
Capitolo 16: *** Emily ***
Capitolo 17: *** E come End ***
Capitolo 18: *** tutto per... ***
Capitolo 19: *** padre e figlio ***
Capitolo 20: *** un tributo ***
Capitolo 21: *** la prescelta ***
Capitolo 22: *** rinascere ***



Capitolo 1
*** Prefazione- fuori controllo ***


E' successo. Ho perso il controllo. Ancora una volta, come sempre. Quante volte l'ho già detto? 10?100? A che serve ormai tenere il conto? Forse è anche peggio, perchè mi ricorda che giorno dopo giorno perdo un pezzo di me, che sto sparendo. Ma non sono preoccupata di sparire, il vuoto va bene, esiste, lo sento. Sparire è ok, perchè tutto finisce, tutto si ferma, non c'è più niente da perdere, nessun ostacolo, nessun sostegno. Niente. La cosa che mi preoccupa di più è che non so dove vanno a finire i miei pezzi. Qualcosa sta nascendo senza essere desiderata, è un aborto del mio dolore. Si, sento che ciò che perdo costruisce qualcosa di nuovo, qualcosa che non va bene. Fuori controllo, proprio come me, e sento che sopprimere questa cosa è inutile. Nascerà. Sarà. Chissà che cosa. E' così sbagliato volere il vuoto?
Questo nastro l'ha deciso il dottor John, io lo chiamo così. Lui dice che mi fa bene parlare e riascoltarmi. Dice che il mio problema è rarissimo, e che non sa come aiutarmi, del resto..chi lo sa? Solo una cosa si sa, e la sappiamo entrambi, e cioè che dentro di me sta nascendo un'altra personalità. Senza alcun motivo. E' un mistero. Che sia buona o cattiva non possiamo saperlo, ma sappiamo il suo nome. Il dottor John mi ha consigliato di farlo, di darle un nome, solo così avremo saputo contro chi combattere. Ed è da allora che mi chiamo Me. Lei, invece...si chiama Io.

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Capitolo 2
*** automaticamente ***


Mattino, mattino di un giorno come tanti, un giorno qualunque, lo stesso di una serie di tanti, una serie di quelli uguali in 18 anni. Il sole ormai non sembra nemmeno riscaldare più allo stesso modo, non riesce minimamente a scongelare il cuore della persona che sta dormendo, anche se dormire è automatico, dormire è ok per fuggire. Fuggire da cosa? Mattino, un altro mattino che attende una risposta. Me si alzò automaticamente così come si era addormentata, così come era automatico rispondere a quella domanda così banale eppure così dolorosa.. "Come ti chiami?"..."Me".. "che strano nome!". Strano è meglio di niente, pensò Me, lo pensava sempre. Forse non poteva godere di un nome, ma aveva una casa, un ragazzo, uno stipendio. Era troppo però chiedere un nome? Un identità vera... Me e il Dottor John ci stavano lavorando da anni ormai, per capire cosa diamine accadesse nella mente di Me, e soprattutto per quale strano motivo questa si sia divisa...senza motivo. Io c'era sempre stata, dentro di lei, urlava, aveva una propria voce, propri pensieri e Me poteva ascoltarla, temerla. Era perchè non aveva un nome che era successo tutto questo, ecco perchè era diventato automatico, l'ennesima cosa automatica della sua vita, crearsi un personalità inconscia. Un gravissimo errore. Jasper dormiva ancora quando Me uscì presto di casa, triste se Io era felice, felice se Io era triste, e stavolta dal Dottor John avrebbe fatto un passo avanti, se l'era promesso..doveva farlo per Jasper. La cura del giorno era del tutto nuova e forse persino illegale ma a Me non importava, Io non sarebbe più dovuta esistere. La sonda era un trattamento che in gergo psicologico corrispondeva alla ben più conosciuta ipnosi regressiva, ovvero l'entrata del paziente in uno stato di trance e incoscienza nel quale, secondo gli studi, i ricordi erano inequivocabilmente chiari, veri. Il terrore non avrebbe dovuto ostacolarla per nessun motivo, anche se la possedeva, ma era necessario. Per Me. "Chi sei? Tu chi sei?" chiese l'uomo che la trascinava nel vuoto. Il buio non era fisso, il buio era vero, ghiaccio che abbraccia i sensi, il vortice senza fine dei ricordi che Me non avrebbe mai immaginato di conoscere. Il buio non era poi così oscuro, il buio erano immagini, molte, troppe, troppo veloci. Il vortice si fermò su un immagine e forse la mente di Me, addormentata e in preda a chissà quali reazioni nella vita reale, in quello studio, in quel mattino, forse avrebbe finalmente capito. L'uomo che aveva parlato era vecchio, e la guardava inginocchiato. Sono piccola- pensò Me. Chi è quell'uomo? L'uomo continuò a fissarla per un istante infinito in quel vuoto senza tempo, attendeva una risposta. Non la so la risposta! urlò Me nella realtà. Sudava, ma non solo nella realtà. L'uomo continuava a fissarla, non sbatteva nemmeno le palpebre, voleva sapere, come se ne dipendesse della sua vita. "Sai chi sono io?" chiese ancora l'uomo. Troppe domande, e nessuna risposta. Come faccio a rispondere? Non lo so! Ho paura! Cosa mi fa se non rispondo?-Me continuava ad urlare nel suo lettino. Ma la paura svanì, perchè la bambina del vortice, la Me bambina aveva risposto, perchè lei, a differenza della Me adulta, sapeva la risposta. "Tu sei nonno" aveva risposto, e Me nel non riconoscere quella voce sudò ancora di più. Chi è quella bambina? Non la conosco! urlò ancora Me. I due dottori si scambiarono uno sguardo preoccupato e nel momento in cui il conto alla rovescia per il risveglio iniziò, il buio veniva risucchiato piano piano insieme al volto dell'uomo, particella dopo particella, così come quell'immagine, la sua mano schiva che mollava la presa della bambina... Un medaglione d'oro cadde nel prato di quell'immagine, che scoloriva sempre di più, ma il luccichio dell'oro rimase, proprio negli ultimi istanti.. 4...3...2...1... Il medaglione si poteva ancora vedere, solo per una volta, solo ora, è l'ultima possibilità.. guarda Me, osserva bene cosa c'è scritto.. A tutta Me. A S. "Svegliati Me...è tutto ok" disse il dottore. Ma aveva torto. "Bene, Me. Quindi cosa sappiamo?" chiese il dottore. "Che avevo un nonno. Ma questo non è ancora niente, ci sono ancora molte cose che voglio sapere.." rispose Me ancora sudata e terrorizzata. "Elencale" "Perchè nessuno mi ha mai dato un nome? Perchè non ricordo niente del mio passato? Che cosa significa quel medaglione? Voglio solo essere qualcuno..." elencò Me e stavolta voleva delle risposte, perchè essere nessuno non è tanto bello. "Mettiamoci a lavoro" Io sghignazzò dentro Me. Ce l'avrebbero mai fatta? Io non lo sapeva e forse nemmeno le interessava, i suoi piani erano altri.. Chissà come era il mondo esterno.

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Capitolo 3
*** frammenti ***


Me non vedeva l'ora di tornare alla seduta medica, e la fame di sapere più che inquietarla, ora la possedeva totalmente. Poteva porci rimedio, per ora, ma solo in uno dei suoi luoghi preferiti: la libreria. Leggere i tormenti altrui era uno dei tanti modi per non sentirsi così terribilmente sola, o almeno per essere capita anche se da personaggi che non esistono. Nemmeno Jasper, nonostante tutto, la capiva, e per quanto si sforzasse peggiorava anche le cose creando una crisi che si trascinava ormai da tempo. E tutto questo si era creato per delle paranoie femminili in parte-ovvero la paura che Jasper si stesse innamorando di Io- e per sofferenza dall'altra, generata dalla distanza tra loro due, lei una principessa senza nome e lui un principe con un passato ed un presente felici e spensierati. Non avrebbero mai potuto capirsi, nè tantomeno aiutarsi, o meglio lui aiutare lei, per quanto amore ci fosse, per quanta passione e sostegno, nessuno può capire come ci si sente a non essere nessuno. Forse il grande libro dei nomi che Me teneva tra le mani poteva essere una soluzione, forse leggere ogni nome finchè non si avrà la sensazione giusta, una sensazione di appartenenza, risolverà tutto, persino un amnesia totale come la sua.
Lettera A
Alice... Amanda...Amy? Niente. Era arrivata ormai alla P e della sensazione non c'era traccia, e sebbene fossero tutti nomi bellissimi, che avrebbe volentieri dato anche a sua figlia nessuno la faceva sentire bene, nessuno lo sentiva suo. Erano solo nomi, nomi di sconosciuti, nomi che poteva sentire per strada o di persone che conosceva, ma tutto qui. Ma poi che destino sarebbe toccato a sua figlia se ci fosse stata? Bellissimo e felice, perchè lei le avrebbe dato un nome, un nome bellissimo e che non avrebbe mai dimenticato, un nome che l'avrebbe fatta sentire qualcuno, amata, conosciuta, stimata. Era quindi questo che voleva dire non avere nome? Nessuno provava niente per te, eccetto Jasper probabilmente, stima, piacere, amore, odio... e non lo provava, perchè non esisti. Non puoi amare il nulla, non puoi odiare qualcosa che non esiste... eccetto Io- pensò Me- anche se lei esiste, dentro, in profondità da qualche parte, a ridere. Ed è proprio il fatto che poteva odiarla che Me pensava, e ne era convinta, che Io esistesse dentro lei, viva, presente, quasi come se fosse davvero incinta e Io aspettasse solo di uscire.
Ma io ci sono sentì Me, sentì questa frase distintamente. Proveniva dalla sua mente, forse non più così sua. Me ansimò fortissimo e corse allo specchio e si controllò- è un demone, mi ha cambiato la faccia!, pensò- ma non c'era niente. Solo sè stessa che si guardava. Poi, qualcosa cambiò, perchè la Me dello specchio in quell'istante....non era lei.
ci sono. Sono Io. disse l'immagine allo specchio. Io non era poi così in profondità.. parlava, stava parlando, nello stesso corpo di Me, era solo un immagine, ma totalmente esistente, una forza a sè stante capace addirittura di prendere la parola e il comando.
-"Cosa vuoi da me?" gridò Me in preda al panico. Cosa voleva? Cosa ci faceva li? Vederla nello specchio, avere la prova che esiste era persino peggio di sapere che si trovava dentro il suo corpo.
Fammi uscire rispose Io sorridendo. La Me reale non sorrideva, piangeva, urlava. Esisteva. Io esisteva davvero, era forte, voleva uscire, liberarsi, spezzare le catene.
-"Vattene!! Tu non esisti! Non puoi..esistere!" gridò Me e il primo contatto tra Io e Me avvenne, finalmente, violento, crudo, ma profondamente sincero.. Il pugno di Me colpì forte lo specchio, ma era la faccia di Io che Me voleva distruggere, anche se questo significava distruggere la sua, ma non le importava, era grazie ad Io che Me era stata male, era stata lei a nascere dal suo odio, dalla sua sofferenza per non aver mai avuto un nome, era stata lei a perseguitarla in tutti quegli anni, a ricordarle che non era nessuno. Uscendo l'avrebbe perseguitata ancora di più... E Me, insieme a quei frammenti in terra, tanti piccoli pezzi di Io che continuavano a ridere, non poteva sopportarlo. Le catene sarebbero dovute restare salde, doveva scoprire il suo nome. Al più presto.
Il freddo del lettino del dottore era ormai talmente familiare che Me non tremava nemmeno più, ogni gesto era prevedibile, ogni sensazione, nessuna paura. Il dottor John ascoltò tutto in silenzio, analizzando come solo lui sapeva fare e anche Jasper si stava sforzando di capire, seduto accanto a Me, tenendole la mano.
-"Papà, che significa?" chiese Jasper stufo di tutto quel silenzio. Non ci era arrivato, evidentemente non aveva le stesse capacità analitiche del padre.
-"Che Io è molto più forte di quello che credevo.. non ho mai visto niente del genere, un essere nascere dal nulla.." il dottore aveva le mani tra i capelli, non riusciva a capire come fosse possibile tutto quello, che il semplice rancore abbia fatto nascere..una persona.
-"Cosa devo fare? mi aiuti.." disse Me piangendo all'improvviso e in quell'istante tutte le sensazione che ormai era abituata a provare con indifferenza la colsero come se le stesse provando per la prima volta nella sua vita, paura, rabbia, terrore, disorientamento, ansia, agitazione. La gioia di essere madre non l'avrebbe mai provata probabilmente, perchè avere Io dentro non era la stessa cosa del portare in grembo un bambino, un bambino è puro, sacro, inviolato, Io invece..nessuno sapeva davvero cosa volesse, cosa fosse, come fosse.
-"Dobbiamo eliminarla, Me. Dobbiamo. Non possiamo lasciare che ti avveleni dentro,e farla uscire e troppo rischioso, non sappiamo che cosa voglia.. la combatteremo da dentro. Ma tu dovrai essere forte.." rispose il dottore serio. Ce l'avrebbe fatta ad essere forte, ancora una volta? Quante volte era stata forte? Nella sua vita, almeno quella ancora ricordava, escludendo quello che si poteva definire "il passato", era sempre stata forte tra virgolette, perchè la debolezza si impadroniva di lei in ogni momento, proprio quando magari era più indifesa, insicura, e nei momenti più belli..la debolezza rovinava sempre tutto, la debolezza la assaliva persino quando era felice, affiorando nelle sue labbra che baciavano Jasper o nei suoi occhi che si godevano un tramonto. La debolezza doveva essere eliminata, proprio come Io.

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Capitolo 4
*** il sentiero della coincidenza ***


Svegliarsi era la cosa più difficile. Ricordava a Me che doveva vivere ancora un altro giorno, purtroppo, e che la lotta doveva riprendere, ancora. Ma c'erano comunque delle eccezioni, perchè quando sognava persino il sonno diventava difficile, tra turbine di fumo e vapore si materializzava sempre quello specchio, lo stesso che aveva spaccato qualche giorno prima, inquietante, e i suoi frammenti si ricomponevano sempre ma stavolta non avevano riformato lo specchio, avevano plasmato una persona, stavolta il sogno era diverso. Il sogno che Me faceva era ricorrente (o per meglio dire incubo), vedeva sempre uno specchio materializzarsi, uno specchio che la rifletteva, vedeva se stessa, Me, la ragazza senza nome. Lo specchio però una sera, nello stesso sogno, si era rotto, esattamente la sera dopo l'ultima seduta dal dottore, forse a rimembranza del fatto che l'aveva rotto sul serio, ma i suoi frammenti non avevano ricomposto la forma dello specchio (come Me pensava che sarebbe successo, dato che il sogno era ricorrente), ma si erano alzati per aria a comporre qualcosa, una figura, una ragazza. La ragazza era Me, ma non era il suo riflesso, era una persona. La Me che si era materializzata la guardava muta senza dire una parola, ma sorrideva, era felice (era ovviamente un sogno), come se volesse dimostrarle che la felicità esiste. La ragazza aveva solo una cosa diversa dalla Me originale, perchè portava una collana. Era una chiave..appesa al suo collo.
Svegliarsi è difficile, e dopo quel sogno lo era stato ancora di più, e Me iniziò a pensare che la facilità non potesse esistere in quel cammino, così come la debolezza. Cosa poteva esistere allora? La paura, e il continuo senso di smarrimento. Me prese il taccuino sul comodino e iniziò a scrivere senza sosta, scrisse tutto il sogno nei minimi dettagli, era un pò come riviverlo, analizzarlo, capirlo. Sperava di capirlo, e forse ci sarebbe anche riuscita, anche grazie all'aspirina che aveva preso, visto che ormai anche il perenne mal di testa faceva parte della sua vita. Ci conviveva, era normale, era da lei. La strada per il dottor John era la cosa più vicina alla tranquillità che Me conosceva in tutto quel tempo, non c'era niente di comparabile al sentiero dell'orto, dietro il parco trafficato, che portava dritto a quel palazzo un pò triste, ma incredibilmente fonte di salvezza. C'era anche un piccolo quadratino di terreno lì vicino, e il cancelletto confermava che quel piccolo santuario non doveva essere molto moderno, ma era comunque carino, campestre, semplice, Me lo guardava sempre mentre passava per andare dal dottore, eppure non si era mai accorta che dando un'occhiata più attenta avrebbe provato più delle semplice tenerezza quotidiana per quel luogo. La scritta che vedeva ogni mattina, e che di solito era ricoperta di muschio o da foglie, quella mattina era stata scrostata e ora la scritta era perfettamente leggibile, tranne per alcuni dettagli. La scritta era quella di una delle lapidi di quel piccolo santuario campestre, ed era l'unica in uno stato decente, ma non era il fatto che fosse l'unica decente a colpire Me, ma proprio le parole..
"A tutta Me. A S..."
Erano esattamente le stesse parole che erano scritte sul medaglione nella visione dell'ipnosi, le stesse, ma scritte tristemente su una lapide. C'era ancora una foglia che però copriva la scritta, e stavolta Me avrebbe potuto scoprire cosa volesse dire la S, ammesso che fosse collegato a lei, e al contrario della visione dell'ipnosi, dove il tempo non le aveva concesso di leggere tutto il medaglione perchè riportata bruscamente alla realtà, ora poteva sapere. Anche se non era necessariamente qualcosa che le potesse servire, forse era solo una coincidenza, questa S la ossessionava. Me spostò piano la foglia gustando il momento dell'attesa, come quando si apre un busta importante per sapere l'esito..
"A tutta Me. A Seraphine"
Quel nome. Seraphine. Non era mai arrivata alla lettera S nel libro dei nomi, si era fermata alla P. Eccola, ecco la sensazione! pensò Me sorridendo. Seraphine! Seraphine! Il nome risuonava nella sua mente a ripetizione senza minimamente darle fastidio, le piaceva, lo adorava, sentiva di conoscerlo da sempre, sentiva che forse..c'era speranza. Sentiva che era il nome più bello del mondo, e che forse..forse poteva davvero essere il suo. Ma la speranza era crollata quasi subito e il sorriso le si spense, il nome Seraphine era citato in una lapide, Seraphine era morta, o magari..non era mai esistita. La speranza però stranamente continuava a fare eco, una cosa mai successa prima, gridava che forse quella non era una lapide visto che non c'erano nomi nè date di nascita e morte, forse era una lapide commemorativa, visto che quella è evidentemente una dedica. Una dedica a Seraphine. Me riprese il taccuino dove aveva scritto il sogno e fece un altro appunto
"Seraphine"
e scrivere quel nome la rese felice, almeno un pò, e sognante.. sarebbe stato davvero bello se fosse stato suo e avesse potuto scriverlo con sicurezza.
Ma a chi voleva prendere in giro, eh? Era tutto troppo semplice, non era possibile che quella lapide commemorativa citasse proprio il suo nome.. era solo un'assurda coincidenza. Non poteva essere lei Seraphine, e forse il medaglione della visione non era proprio il suo... Ma il nome nel taccuino sarebbe rimasto, almeno per il piacere di Me, per ricordare a sè stessa che anche se quello non era probabilmente il suo nome, almeno ne aveva scritto uno, ed era un buon inizio.. fino al giorno in cui avrebbe finalmente scritto il suo e non l'avrebbe più cancellato. La strada per il dottore era finita e il portone era vicino. Era ora di tornare nel passato, varcare quella nebbia densa, capire, sapere.

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Capitolo 5
*** sprofondare ***


"a che pensa, dottore?" chiese Me, sdraiata nel lettino fin troppo familiare. Era diventato persino più comodo del suo letto, visto che ci stava passando più tempo e più ore di sonno, se così si possono chiamare gli stati di sospensione tra una visione e l'altra. Anche questa era normalità, un lettino del medico e l'essere sospesi in continue ipnosi.
"Penso che Seraphine sia veramente un bellissimo nome, e che mi piacerebbe tanto che fosse il tuo.." rispose il dottore sorridendo, e questo a Me piaceva molto, le piaceva quando le persone non la trattavano come un caso umano, le piacevano le persone che ridevano e che attraverso il sorriso..fanno stare bene. Anche Jasper sorrideva, ma non quanto il dottore, perchè era sempre preoccupato, non voleva perderla, eppure questa ansia ogni tanto peggiorava tutto, perchè certe volte Me desiderava veramente di essere perduta..
"Grazie dottore" rispose Me con il sorriso. Da quanto tempo non sorrideva? Forse aveva sorriso nel suo passato confuso, ma almeno ora il suo presente aveva un sorriso registrato, un ricordo bello tra tanti terribili, e Me sperava che anche nel futuro ci sarebbero stati altri sorrisi, lo sperava con tutta se stessa.
"Il sogno invece...non c'è dubbio, Me. Lei esiste. Ora ne siamo sicuri" disse il dottore rompendo quel silenzio di imbarazzante affetto.
"ora che ne abbiamo la certezza non ci resta che.." iniziò a dire Me.
"Capire le sue intenzioni, capire se è un pericolo.." continuò il dottore.
"e se non fosse cattiva? e se fosse...innoqua? perchè sopprimerla subito senza sapere se è realmente un pericolo?" chiese Me, e non aveva mai pensato ad Io come una persona buona, forse per il modo in cui era nata, dall'odio, dal senso di vuoto. Ma poteva essere buona dopotutto? Rinchiusa in un corpo alimentata da odio e rancore..poteva volere qualcosa, vendetta? Era terribile.
"E' come lanciare una moneta, Me. Te la senti davvero di lanciarla? E' molto più importante salvare te, che liberare lei, anche se fosse buona... non lo sopporteresti" rispose il dottore, e non aveva tutti i torti. Come sarebbe stato affrontare un'altra Me? Buona o cattiva che fosse, non sarebbe stato facile, visto che Me non riusciva a gestire nemmeno se stessa, figuriamoci due.
"mi ipnotizzerete anche oggi?" chiese Me, una domanda che ormai era indifferente coma la sua risposta.
"chiudi gli occhi Me, e non pensare ad altro.." la voce dell'ipnotizzatore era penetrata nella sua testa come un ricordo lontano, si fondeva con i suoi pensieri, modificava persino i suoi sentimenti, da ansia a tranquillità, come una siringata di morfina, da tensione a morbidezza profonda, sempre più leggera, sempre più a fondo, Me si stava staccando piano piano dalla realtà, sprofondava in quella nebbia che conosceva bene, era il suo passato, ancora una volta la chiamava,ancora una volta voleva raccontarle qualcosa..


Stavolta il paesaggio era diverso, non c'era più quel vecchietto che sapeva chissà come essere suo nonno, nessun medaglione..
C'era un ruscello, c'era freddo, freddissimo..
Ma non era tutto solitario come Me sperava, e la persona di spalle non era suo nonno. Era una donna. Sembrava quasi fregarsene della presenza di Me, e Me di questo ne fu sollevata, almeno non avrebbe sofferto come sempre. La donna, sempre di spalle, stava saltellando scalza da un sasso all'altro nel ruscello, ed era incredibile che non sentisse freddo, ma essendo un ricordo Me non si stupì più di tanto. L'unico stupore fu vedere che la donna si era bloccata all'improvviso e lo scatto la fece scivolare nell'acqua gelida, senza grida, senza disperazione..
Me agì d'istinto e corse ad afferrarla per il braccio, appena in tempo, e il suo gesto coraggioso svelò un volto, quello che era stato così tanto a lungo celato, quello temuto, quello pieno di misteri..il volto di Io.
I capelli scurissimi e bagnati avvolgevano ancora il viso della donna, ma Me sapeva già che si trattava di Io, perchè quei capelli era troppo familiari, quel colore così comune , quella tonalità di castano scuro che a contatto con l'acqua diventava nera come il carbone sembrando quasi un'alga assassina.. erano i suoi stessi capelli. E quegli stessi capelli che Me stava ora scostando dal volto della salvata, tremando, era il suo. Lo stesso ovale del viso, gli stessi occhi scuri come i capelli, le stesse labbra a cuore.. Tutto ciò che aveva visto nei suoi peggiori incubi, nelle sue visioni, nei suoi pensieri, nelle sue ipotesi, era vero..Io era identica a lei. Me ed Io erano perfettamente identiche.
Me urlò e mollò di scatto il braccio di Io, che si accasciò a pancia in sù respirando piano, rideva, rideva tantissimo, strizzandosi il vestito.
"Cosa ci fai qui? Cosa vuoi da me'" gridò Me


"tenetela ferma! Dottore! dottore! Me sta collassando!" gridarono gli assistenti. Me gridava nel lettino come se avesse incontrato la morte in persona, come se la lama affilata della falce fosse puntata già nel suo petto. Tremava, gridava, brividi di freddo la percorrevano, si agitava disperata..
Me cosa ti succede?

"Shh..silenzio, Me. Non voglio farti del male." disse Io tornando seria.
"Cosa ci fai qui? Cosa ci fai nel mio passato?" continuò Me, gridando.
"Ci sono, perchè io ne faccio parte.."rispose Io, fredda.
"Non è vero! Non è vero! sei una bugiarda! Tu non sei reale!" rispose Me tremando violentemente.
"Certo che sono vera.." rispose Io, e lo dimostrò. Una linea di sangue di materializzò nel braccio di Me, rapida, precisa, bramosa di dolore..




"Basta! Svegliatela!...Me! Me! mi senti? Ora conterò fino a dieci e tu tornerai da noi..torna!" sussurrò l'ipnotizzatore all'orecchio di Me, che ancora si dimenava.
"Dottore! sta sanguinando! guardi il braccio.." disse un assistente.
"oh mio dio.." è l'unica cosa che riuscì a dire il dottore davanti a quella linea rossa.


"Cosa vuoi? dimmelo" gridò Me in preda al dolore al braccio.
"Voglio fare un patto, Me. E non accetto rifiuti.." rispose Io inespressiva nonostante il dolore del suo clone.


"10...9....8...."


"Voglio che tu mi faccia uscire..." disse Io convita, gli occhi accesi di desiderio. Erano fuoco, acceso e bramoso.
"Se lo farai... ti dirò chi sei.." concluse Io e attese la risposta, ancora più bramosa, fissando Me.




"7...6...5...."


"Come faccio a sapere che non menti?" chiese Me, stavolta anche lei seria. La parola chi sei l'aveva fatta ragionare...se davvero faceva parte del suo passato, allora lo conosceva bene..almeno lei.
"Se sono qui, se sono riuscita ad entrare qui, nel tuo passato, che è anche mio...allora non menti. So chi sei...conosco il tuo passato...Ti dirò chi sono, chi sei stata e ancora sei, ti dirò tutto.." rispose Io e non c'erano dubbi sulla sua sinceritùà. La sua presenza era una prova schiacciante. Poteva fidarsi? O Io era solo una buona attrice?
La mano di Io era tesa, attendeva l'accordo da siglare.
Me ci pensava, era la scelta che non avrebbe mai voluto fare, e il tempo stava per scadere...



"4...3...2..."

Me ripensò a quel nome, Seraphine e la sua mano in automatico si unì all'altra, identica, di Io. Il patto era stato siglato.
E me sperò con tutta se stessa che fosse tutto vero...e a questo punto Io poteva anche essere cattiva, o le sue intenzioni. Non importava più, Io conosceva il suo passato, sapeva il suo nome...
era questa la cosa più importante, il resto..era irrilevante.



"1..svegliati, Me"

"accetto" fu l'ultima cosa che disse Me ad Io, segnando per sempre le conseguenze di quel patto.

Forse era stata una scelta stupida, la più sbagliata e impulsiva del mondo, ma la voglia di conoscere la verità era troppa...
E anche se il male sarebbe arrivato nella realtà attraverso un breve viaggio, il prezzo era equo..
Non si può combattere qualcosa senza sapere chi combatte e contro chi si sta combattendo, ammesso che esista una guerra...
Per ora esiste una via, la via della verità, che non è mai stata così corta...

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Capitolo 6
*** Come mai ***


Leggerezza. Leggerezza di quella che appena la si stente non si vorrebbe smettere mai, di quella che vorresti fosse eternamente tua, persino nella morte. Leggerezza, quella delle nuvole vaporose e intoccabili, fragili, leggerezza del mattino, dell'incubo che passa e non tornerà più, leggerezza, quella di un segreto che dopo tanto tempo scopri, un mistero che risolve altri dilemmi della vita. Era così che Me si sentiva quella mattina, la mattina dopo quel patto, la mattina dopo quel terrore sospeso tra sogno e realtà. Di una sola cosa era certa: Io era reale, e soprattutto..era uscita. Me ancora non aveva idea quale strano meccanismo avesse fatto uscire Io, quale porta segreta del suo animo, ma Io era certo..non c'era più. E quella leggerezza ne era la prova assoluta, nessuna ansia, nessun rancore, nessun odio, solo una sensazione di totale sterilità, purezza, come di qualcosa che è stato completamente disinfettato e liberato dall'interno. Si poteva sentire persino il sapore del disinfettante sulle labbra, se Me ci faceva particolare attenzione, non era reale, ma la sensazione si. Era libera, chissà a quale prezzo. Avrebbe saputo finalmente tutto, tutto ciò che non ricordava e che voleva sapere, avrebbe potuto dire il suo nome, gridarlo, sussurrarlo, pensarlo. Sarebbe stato finalmente suo. Io si sarebbe fatta viva in quello stesso giorno seppur nascosta al mondo, nascosta a tutti, al dottore, a Jasper, che ancora credevano nel vecchio rimedio della cura interno, ma non potevano nemmeno immaginare che Io in quel momento era in giro nel mondo, era reale, materializzata dal nulla, una materia che si è composta nei fumi di un animo umano, un prodotto terribile, un ricordo mai cancellato sebbene la proprietaria, Me, non avesse mai saputo esattamente parlare di ricordi, visto la sua perenne amnesia. Ma ora sarebbe finita, ora avrebbe finalmente saputo, forse persino ricordato.. chissà. Come si sentiva Me, ora? Libera, leggera. E questa leggerezza totalmente sconosciuta era anche ingestibile, incontrollabile..erano emozioni troppo belle che Me non pensava nemmeno di meritare, e la felicitàdi questo improvviso merito era riuscita addirittura a farle perdere di vista un particolare di quel patto, una conseguenza...In quello spicchio di felicità dolcissima e improvvisa la voce del dottore si era fatta di nuovo reale nella sua mente..."E se Io fosse cattiva?". Se Io fosse..cattiva?
Me aveva già pensato a quella conseguenza, ma il pensiero di riavere il suo passato e il suo nome erano diventati una direttiva talmente invitante da annullare qualsiasi tentativo di razionalità, avevano creato l'impulsività di quel patto, che se fosse venuto allo scoperto avrebbe causato non pochi problemi..
Questa felicità, questi pensieri che solo ora si dispiegavano nella sua razionalità , solo ora Me aveva pensato seriamente al suo inquietante clone, non più come una ragazza salvata in un ruscelllo, ma come un potenziale pericolo, un fardello intrappolato da sempre del turbine di odio e disperazione. Eppure anche se l'impulsività e il pericolo di quel patto erano chiari, nemmeno ora Me riusciva a pentirsi e forse questo era dato dall'importanza che aveva per lei avere il nome e il passato, un importanza che probabilmente nessuno può capire, nessuno che abbia mai perso la memoria. Con un nome si è qualcuno, con una storia si è stati qualcuno, e si continua ad esserlo per sempre..
Il nome grida che ci sei. Esisti. Vivi. Ami.
Era necessario, a costo della vita, a costo della propria felicità e di quella degli altri, a costo di essere egoista, era il momento di essere qualcuno...

Io si era nascosta in un casolare abbandonato, aiutata da Me in tutto il necessario per sopravvivere. Dopo quell'incontro nessuna della due sarebbe stata una sconosciuta..
Io non era cambiata di una virgola dall'incubo, nonostante ora i capelli fosseri meno scuri perchè asciutti, così come il resto degli abiti rimediati. Era ancora una questione inconcepibile sotto molti punti di vista, il fatto che un essere rinchiuso nei ricordi, nel rancore di una persona, abbia potuto prendere forma, tornare al mondo...Forse Io avrebbe potuto spiegare quel viaggio impossibile, lei che dopotutto l'aveva intrapreso..

"Come hai fatto? Ad uscire..come..?" Me non trovava nemmeno le parole, non sapeva da dove iniziare, perchè ogni parte di quella storia era assurda e assolutamente invitante.
Io esitò un pò a quella domanda, quasi per voler trovare le parole giuste a descrivere un viaggio come il suo..troppo incredibile da spiegare con parole mortali.
"La prima cosa che devi sapere è che ero morta... uscire da te..mi ha riportato in vita Me, e ora ti ringrazio di questo" disse Io sospirando. Era sincera? Era veramente sincera? Ogni volta che Me incontrava Io era una sorpresa, un nuovo colpo di scena, si passata dalla perfidia, al mistero e ora al ringraziamento..alla devozione. Questa fu la prima cosa registrata da Me, la sorprendente e inaspettata gratitudine di Io.. La seconda informazione arrivò ancora più inaspettata, Io era esistita in tutto e per tutto, senza dubbi, non solo nella mente di Me in tutto quel tempo, ma nella realtà, era esisita chissà quando, ed era morta.. La terza informazione era nascosta...Come aveva fatto Me ad essere il tramite di questa resurrezione? E questa dopotutto era la domanda che si faceva da sempre, ovvero il motivo di questa presenza fissa. Ma c'era anche la curiosità nel verificare se la teoria del dottore fosse vera, ovvero che Io fosse effetivamente un prodotto del suo rancore..
"Non ti chiederò altro Io...Raccontami tutto. e non fermarti" disse Me sedendosi e sentì che il momento era finalmente giunto. La mente si svuotò, pronta ad accogliere le informazioni nuove, che sarebbero dovute essere già li, ma che ora sarebbero finalmente ritornate al loro posto.
"Io sono la tua sorella gemella. E un tempo sono stata viva, sono stata tua sorella, come lo sono ancora adesso, dopotutto, e grazie a te. I nostri genitori erano orgogliosi della loro prole, erano orgogliosi di essere genitori, li faceva sentire in qualche modo giusti al mondo, con un obiettivo preciso e dolce di educatori. La cosa brutta era che non erano orgogliosi di una delle due...non erano orgogliosi di me. Io ero quella cattiva, la bambina cattiva, la bambina che piangeva sempre e non rideva mai, io non facevo parte del loro mondo perfetto, felice, il loro mondo di favole. Tu eri adorabile, da sempre, la bambina dolce e adorabile che ogni coppietta avrebbe sempre voluto. Loro, la coppietta, la coppietta che appena scoprì che fuori dall'utero di lei erano uscire due creature e non una, erano rimasti in qualche modo delusi, perchè una delle due...era imperfetta. Mi odiavano, Me. Io ero ciò che non funzionava nel loro sistema perfetto, nella loro vita perfetta... Sono cresciuta nel rancore, nell'odio, l'odio che loro mi hanno insegnato a provare, l'odio che provavano per me ogni giorno..." raccontò Io fredda, come quei ricordi terribili.
"Mi hanno ucciso, Me. Sono stati molto discreti, pazienti oserei dire, nel tenermi fino all'età di otto anni con loro. Ma ero una bambina difficile, ero il tuo opposto, e questo loro..non potevano sopportarlo, non potevano sopportare che la loro immagine di famiglia perfetta fosse rovinata da me, non potevano tollerare ancora l'imbarazza davanti ai loro amici perfetti quando c'ero io in giro, erano perfetti, tanto da essere ossessionati. Stai tranquilla...non ho sentito niente, un cuscino in faccia, un incidente citato a malapena dai giornali.. Se solo avessi potuto parlare..se solo fossi sopravvissuta. Come vendicarmi? Il rancora paga, Me, l'odio ripaga tutti quanti. E io posso dirmi soddisfatta...avevano avuto quello che si meritavano.. Quando l'incendio colpì la loro perfetta casa, ero quasi riuscita a sentire la leggerezza, sebbene fossi morta. Posso assicurartelo. Una tragedia... morti. Senza via di scampo, morti nel dolore. Affogati nell'odio. Il mio. Persino tu, bambina innocente, fosti messa nella pagina dei necrologi, creduta morta. Creduta. Infatti non era stato così. In qualche strano modo ti eri salvata, forse avevi davvero una qualche forza, un altro pezzo di orgoglio per loro. Nessuno seppe mai che ti eri salvata... lo sapeva solo nonno. Si, nostro nonno, il vecchiaccio, come lo chiamavo io da bambina.." nel dire questo, a questo punto del racconto Io rise per la prima volta, e Me ne fu stranamente contenta, forse condizionata dall'aver appreso che era sua sorelle gemella, e quindi ritrovando quell'antica connessione affettiva.
"Nonno ti tenne con se...ma ti odiava. E' strano ma non ne fui mai contenta, anche se avrei dovuto odiarti da sempre, visto che facevi parte di quella perfezione che tanto odiavo.. Eppure per qualche strano motivo, non ci riuscivo. Nonno ti odiava perchè odiava i bambini, e perchè odiava il fatto che ti eri salvata tu, una bambina di otto anni, e non due adulti. Era cinico, nonno, e severo. Talmente severo da sfruttare la tua amnesia totale, che ti ha perseguitato finora, quella che ti ha assalito dopo l'incendio, dopo quello shok così grande... Forse era gelosia, ma io, io credo proprio che fosse cattiveria, la cattiveria nata da una vita di solitudine e insoddisfazione, e la prova non era solo il fatto che ti avesse fatto credere, con la tua amnesia, di non avere nome, nè storia, ma soprattutto il fatto di aver creato lui..il tuo rancore..è lui che ti ha addestrato a provarlo, proprio come lui, come me.. ha generato ciò che sei, ha imperfezionato quello che entrambi credevamo fosse troppo perfetto.. E' per questo che sono potuta tornare da dove stavo, un posto terribile, un posto da dove però sapevo tutto ed è in fondo grazie a lui che ti sto raccontando questa storia: perchè per tornare in vita, avevo bisogno di alimentarmi di ciò che ho provato in vita, provavo odio e sarei tornata con l'odio stesso. E il tuo odio, l'odio creato da quell'uomo, era veramente un offerta che non potevo rifiutare..." disse Io, e Me avrebbe voluto che continuasse all'infinito, che non avesse smesso mai di raccontare, perchè Io raccontava di posti incredibili, posti in cui gli umani non possono entrare e che non possono concepire, ed perciò che il racconto era incredibile, ed incredibilmente sincero. Era come rivivere tutto, sebbene non ce ne fosse ricordo... vivere qualcosa che non appartiene... quasi come sentire la propria voce registrata, senza riconoscerla.
Me non riusciva a parlare, ad elaborare, non si era mai sentita così, nemmeno nelle sedute di ipnosi, nemmeno nei sogni o negli incubi, nemmeno nel dolore...Solo Io poteva creare quello che stava provando, lo stupore, la sopresa...il totale shok.
cosa c'era dopotutto da dire? Era la sua storia! Finalmente sapeva la sua storia,la sua triste storia, anche se non quanto quella terribile di Io.. Eppure triste o no, era SUA. Aveva un passato, un presente...il futuro ora poteva giungere. Poteva esistere.
"Spero di averti aiutato...Seraphine" disse Io, e ancora una volta Me rimase senza parole, ma stavolta non era lo shok di aver finalmente realizzato la sua esistenza finora ignota. Aveva un nome. Stavolta lo shok era di felicità, e il cuore che perdeva qualche colpo era piacevole a causa di quel suono..il suono di quell'appartenenza, il suono...del suo nome.
Angelico, un coro di angeli, il suono della soddisfazione, il suono della completezza, come se ogni nervo del corpo avesse finalmente trovato la giusta connessione elettrica. Era tutto completo ora...forse non perfetto. Ma me non esisteva più, perchè era sbagliata...Non era quella la giusta combinazione della connessione alla completezza.. ci voleva di più, ci voleva un nome vero, quello che era una coincidenza ma che ora era vero, troppo bello per essere vero.
"S-sono...Io sono...M-mi chiamo... Mi chiamo Seraphine" Seraphine non riusciva nemmeno a pronunciare quella frase, troppo abituata a pronunciarla con meccanico dolore e non con gioia. Ma ora era diverso, le lacrime scolavano impastandosi nelle labbra che articolavano quella frase così dolce ma allo stesso tempo salata per le lacrime, creando un senso di felicità che non sarebbe mai dovuto essere privato, in nessuno...anche se imperfetto.
"E tu..come ti chiami?" chiese Seraphine, ancora in lacrime, ma con il sorriso.
"Phedre..." sussurrò sua sorella gemella, ma il suo sorriso era carico di amarezza, per il viaggio compiuto, per il dolore nel raccontare quella storia, nel riviverla.
Nome. Avere un nome rende perfetto chiunque, persino la persona più incompleta del mondo, rende bella persino una lapide commemorativa di una persona creduta morta, rende piacevole persino non avere identità anche se il nome è troppo generico, rende completa una persona, la rende...esistente. viva.
Phedre osservò la sorella come non l'aveva mai osservata prima. La sue lacrime e il suo sorriso erano l'unica cosa bella che avesse mai visto in tutto quel tempo.L'unica.
E sentirla gridare il suo nome, dirlo, sussurrarlo era un suono migliore di quello della morte, un suono terribile, un suono che non si può dimenticare..
ma il suo della felicità, il suono di un nome può riparare, può modificare quei ricordi tanto brutti, e Phedre si sarebbe goduta quel suono in quel momento, osservando la sorella, con un pizzico di felicità. Se lo sarebbe goduta, perchè quel momento sarebbe dovuto restare perfetto, almeno quello...almeno un pò, prima di attuare il suo piano.
Prima di trovare lei..la felicità. Quella che meritava, o che semplicemente...le era stata strappata.

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Capitolo 7
*** elaborare ***


In tutto quel lungo discorso, che in poche parole era la sua vita, in tutte quelle parole che avrebbero dovuto in qualche modo segnarla volta per volta, fiato per fiato, Seraphine ripensò solo a poche frasi indelebili.. "loro mi hanno ucciso.." "mi odiavano.." "sei sopravvissuta.." amnesia" "nonno" "ti ha fatto credere di non avere un nome..". Erano stralci di un discorso radiofonico interrotto da un interferenza, ma stavolta era un discorso importante e nonostante queste interferenze Seraphine aveva capito, focalizzando l'attenzione su quegli stralci incredibilmente essenziali. Nella sua mente non passava nient'altro che il ricordo già presente della voce di sua sorella, Phedre, sua sorella morta, che le raccontava tutto, senza pensieri, senza emozioni, senza abbellimenti. Quella storia non ne aveva bisogno, era successa, e nessun aggettivo poteva descriverla, perchè non esisteva, non uno adatto almeno. Nessun aggettivo, solo parole fredde e dirette, il cui unico scopo era quello di ripristinare i ricordi, determinati sentimenti. Paura. Dolore. Odio. Non c'era altro da dire, perchè erano fatti precisi, improvvisi, perduti nel tempo. Era per questo che Seraphine si sentiva così, ora? Delusa. Cosa si aspettava? Un passato glorioso e felice, e magari due genitori vivi e buoni, da rintracciare e riabbracciare, un incidente che non fosse mai accaduto, solo un errore rimediato. E invece era morto tutto ciò che c'era di buono, sua sorella, la sua infanzia, il suo nome solo ora ritrovato. Sotto questa delusione c'era qualcos'altro: un leggero sospetto. Sospetto verso Phedre,e la leggerezza di questo era dato solo dalla storia stessa di lei, dannata e tornata in vita con l'odio. Se il sospetto fosse svanito del tutto suo nonno sarebbe dovuto morire..ammesso che non fosse già morto. Ed era proprio perchè c'era una vita in ballo, una vendetta, che bisognava assolutamente avere certezze. Primo: Phedre era veramente sua sorella? Il fatto che fosse reale non era più in dubbio, ma forse se le avesse detto il loro cognome avrebbe potuto avere la prova definitiva della loro parentela. Secondo: Chi era veramente suo nonno? Era stato veramente così..malvagio? Contraddiceva ogni immagine classica del nonno. Terzo: Come avrebbe fatto a scoprire tutte queste cose senza destare sospetti? Era ovvio che nè il dottore nè direttamente Phedre sarebbero stati contenti di tanta incertezza o peggio impulsività nel caso di Phedre. Ma ora che aveva le risposte, servivano le certezze.
"Dimmi una cosa, Phedre... qual'è il nostro cognome?" chiese Seraphine, cercando di colmare almeno il primo dubbio.
"Hai dei dubbi, vero? perchè negarmelo? vuoi indagare, non devi nascondermelo..io lo capisco" rispose Phedre secca, e forse il fatto di aver abitato dentro la sorella era la prova di una tale intuizione.
Venire allo scoperto così non era stata esattamente una mossa azzeccata, così come quella di non tenere in considerazione la loro connessione mentale. Ma ormai era troppo tardi per sperare di farle cambiare idea sulle sue intenzioni, tanto valeva sfruttare di essere stata smascherata.
"Va bene, ti dirò quello che voglio sapere ancora e se mi farai trovare le conferme ti lascerò in pace.." disse Seraphine altrettando fredda per essere all'altezza di suo sorella, invano.
"e cosa ti fa pensare che io lascerò in pace te?" chiese Phedre, e questa domanda si conficcò come un chiodo freddo nel petto di Seraphine. Ora quei dubbi, quelle paure, quella paranoie sul ciò che poteva essere sua sorella, la vecchia Io, si rifecero vivi, addensando l'aria di una nuova ansia, fatta di dubbi e di speranza, speranza di Phedre ragionevole..
"Cosa vorresti dire?" Seraphine non voleva crederci. Cosa volevano dire quelle parole? Cosa avrebbe fatto? troppe domande, troppa ansia, proprio ora che i nodi erano venuti al pettine. Era l'ordine naturale delle cose, i guai arrivano sempre in blocco.
"Pensi che sia stata piacevole la mia vita? Sono morta, Seraphine, sono stata odiata e ho odiato a mia volta. Ho odiato anche te, anche se mi hai liberato..ma, dopo tutto quello che ho passato, cosa mi spetta?" chiese Phedre con lo sguardo basso, perso, ricordando il suo terribile viaggio. Erano quesiti straordinariamente umani per una come lei, domande che Seraphine non si aspettava di ascoltare e che le facevano capire che in fondo non conosceva sua sorella. Tutto ciò che voleva era una vita, una vita vera, per una volta senza odio.
"Cosa posso fare io per te? Tu puoi darmi le ultime informazioni, ma io cosa posso fare?" rispose Seraphine cercando di entrare ancora più un profondità nell'animo della sorella.
La lacrima solitaria di Phedre era ambigua nel suo viso freddo e distaccato e il suo volto diventato improvvisamente imbarazzato era difficile da credere, soprattutto dopo quel discorso fatto con inquietudine e ostentata sicurezza. Le sue labbra tremavano nel pronunciare la sua richiesta, e nonostante la conoscesse solo da poche ore, Seraphine sentiva comunque che fosse giusto aiutarla, crederle..era sbagliato?
"Voglio che tu mi aiuti a fare una cosa..." sussurrò Phedre.
"Cosa? Dimmi cosa?" chiese veloce Seraphine, stremata ormai da quella giornata infinita.
"Uccidere il dottor John" rispose Phedre e stavolta i suoi occhi scattarono verso quelli di Seraphine, ora senza lacrime ma solo con ferma determinazione e il fuoco della vendetta.
"Cosa?..Cosa stai dicendo? perchè dovresti uccidere il dottor John?" urlò Seraphine, per la prima volta in quella giornata, e la sua voce riuscì comunque a risuonare nonostante fosse stanca di tutti quei discorsi, stanca della tristezza del suo passato che quasi si pentiva di aver conosciuto, escludendo il suo nome, che adorava e che voleva godersi il più presto possibile da sola.
"Perchè è stato lui a causare tutto. Lui mi ha fatto odiare da mamma e papà..." rispose Phedre senza emozioni. Era vero? Il dottor John, il gentile e altruista dottore che l'aveva aiutata così tanto? Non poteva essere vero, era impossibile...perchè allora l'avrebbe aiutata in tutto quel tempo?
"So a che pensi. Lui non lo sa che sei la loro figlia...a lui non importa di niente e di nessuno..quando fa quel che deve fare.." continuò Phedre, come leggendo i suoi pensieri, e forse..era così.
In quella giornata lunghissima aveva scoperto troppe cose insieme, più di quante un essere umano dovrebbe apprenderne e il suo limite era stato oltrepassato da un pezzo. Il dottor John, qualunque cosa avesse fatto ai suoi genitori, che fosse vero o no, non conosceva la sua vera identità visto che in tutto il tempo delle sedute nemmeno Seraphine lo sapeva, e non sapeva nemmeno del suo passato, non sapeva che aveva una sorella morta per l'odio da lui provocato, e soprattutto non sapeva che la bambina sopravvissuta all'incidente, la bambina senza memoria privata dell'identità di un nonno crudele, quella bambina...è la sua Me, la sua paziente.
Ma ciò che ogni essere umano deve capire, e Seraphine l'aveva capito, era che non sempre le medicine possono guarire...

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Capitolo 8
*** ciò che i morti sanno ***


Quella giornata era stata la più lunga della vita di Seraphine, più terribile della visione in cui la ragazza salvata nel torrente si era rivelata Io, ora Phedre. Tutto nella sua vita veniva sempre in qualche modo superato, ma sempre in modo negativo, la giornata più lunga, più terribile, più difficile, più faticosa. Il desiderio insano di assenza di emozioni fremeva, tra una parola e l'altra, tra un verità e una più terribile, tra un suono e l'altro pronunciato da Phedre, tra un passo e l'altro in quel posto cupo. Sembrava quasi che la sua vita si stesse consumando tutta lì, in quel posto,in quel giorno che ancora non era finito, come se ogni informazione costasse un pezzo di carne, una goccia del suo sangue. Seraphine era distrutta, pallida, e forse quello era il segno che la verità fa davvero male e che forse aveva fatto malissimo non solo a fare uscire Io/Phedre, ma aveva fatto ancora peggio a farsi raccontare la sua storia. Perchè non aveva solo chiesto il suo nome? Era quella la cosa più importante dopotutto, perchè andare oltre? Era un pò come Ulisse, e la sua brama incontrollabile di sapere, come se ogni pagina vuota della sua vita dovesse avere colori, inchiostro, almeno scritto, come se tutto dovesse essere esistito o esistente, come se l'intera storia fosse già pronta, solo per lui, solo per lei. Il briciolo di forza che le restava, insieme alla razionalità che credeva ancora di possedere dopo quella incredibile conversazione dimostrava che c'era ancora qualcosa da sapere, e non si trattava delle informazioni che Phedre le avrebbe dato in cambio del suo aiuto. Doveva sapere perchè aiutarla, perchè uccidere il dottore, l'uomo che dopotutto l'aveva sempre aiutata? Queste domande avrebbero comportato un altro racconto, ma se doveva pagare l'ultima goccia di sangue, allora Seraphine, l'avrebbe fatto. Ormai era diventata quella persona, ora era diventata Ulisse, e avrebbe fatto la sua stessa fine, in un probabile inferno: una fiamma che brucia per sempre. Ma il calore non era mai stato così piacevole, il tepore nel pronunciare un nome che aveva scoperto essere suo, una storia assaporata sulla lingua nel sussurrarla, sebbene terribile. Quanto contava che il prezzo era stato liberare una morta? Come era possibile essere così in pace anche se peccatori? Seraphine non si era mai sentita in pace con se stesse come in quel giorno, e anche se era stanca e aveva indubbiamente commesso la scelta più sbagliata della sua vita, era felice in un modo che non poteva nemmeno immaginare legale. L'ultima informazione avrebbe fatto male, Seraphine se lo sentiva fin nei tessuti più profondi delle viscere, ma se doveva veramente aiutare Phedre- e ancora non aveva idea del perchè, o sulla verità delle sue parole-doveva sapere tutto.
"Cosa ha fatto il dottore?" chiese Seraphine a voce bassissima, sorprendendosi che Phedre fosse riuscita a sentirla.
"Ci sono cose che voi vivi non potete sapere, ci sono cose che solo i morti possono vedere, sentire. E quello che so io, quello che ho visto lo potevo vedere solo nel posto in cui ero. Quel posto è fatto per quello, Seraphine, non puoi sfuggire dalla verità, la verità ti insegue, e anche se non vuoi vedere le cose che fanno i vivi, sei costretto a vederle. E' per questo che so cosa ha fatto il dottore, nonostante l'abbia fatto prima e dopo la mia morte, perchè in quel posto non esistono presente, passato o futuro, ma solo lunghe pellicole di vite altrui che si ripetono, che ti ossessionano, che ti tormentano. E' questa la punizione, conoscere la verità e non poter aiutare nessuno...guardare e soffrire in silenzio. Guardarvi soffrire e tacere." disse Phedre con durezza. Seraphine non sapeva cosa fosse esattamente quel posto, se il paradiso o l'inferno, ma la descrizione di Phedre faceva ben capire quale dei due fosse, anche se non capiva in che misura fosse stata Phedre una peccatrice.
"E' stato il dottor John a farmi odiare da mamma e papà. E' stato il dottor John a farti odiare da nonno. Quelli come lui fanno queste cose, quelli del Partito fanno queste cose.." Phedre si interruppe un istante, quasi volesse trovare le parole giuste alla domanda che stavo per fare, che mi aveva come letto nel pensiero. Cos'è il Partito?
"Il Partito è un organizzazione segreta, Seraphine. Ma non come i Massoni, non come I Templari. Il Partito è nato molto prima. Il Partito è l'organizzazione più antica di controllo delle emozioni del mondo, e il dottore ne fa parte. Se il Partito assegna una missione, chi ne fa parte deve compierla, e solo chi ne fa parte sa cosa succede se non la compie. Manipolare i sentimenti è il compito del Partito, è così che agisce epr manipolare le persone, gli affari, il mondo intero. La nostra famiglia era la missione del dottore.." disse Phedre con parole precise, nette. Esisteva un organizzazione antichissima, nata chissà quando, ed era nata dall'ossessione di chissà quale erudito di controllare la mente umana, i sentimenti delle persone. Perchè la mente umana controlla il corpo, e si controlla la mente, si controllano i sentimenti, le azioni, le scelta. Era la cosa più terribile che Seraphine avesse mai appreso...
"I nostri genitori lo sai che lavoro facevano? Lavoravano al ministero del Tesoro, e chi controlla i soldi....è un bene prezioso. Per questo dovevano controllarli, controlla loro e controllerai i soldi, tanti soldi, troppi. Il dottore da bravo adetto compì la missione, installando nei nostri genitori un siero di manipolazione psicologica che li avrebbe indotti ad annullare la loro volontà e compiere tutto ciò che il manovrante, il dottore, avrebbe chiesto loro, compreso rubare il denaro. Ma qualcosa è andato storto in quel siero, che avevano somministrato a mamma, a papà e persino a nonno. Non aveva funzionato. Se il Partito lo avesse saputo, per il dottore sarebbe stata la fine, occorreva quindi un piano, un piano perfetto. Un aggancio trovò un altra famiglia che lavorava nel Tesoro da manipolare, e il dottore non si fece scappare l'occasione. Ma il pensiero di aver fallito lo torturava, doveva rimediare, vendicarsi di quella famiglia che aveva resistito al siero.. perciò ne creò uno nuovo, e lo infuse a mamma a papà e a nonno. Era il siero dell'odio. L'odio ci avrebbe distrutto, avrebbe rovinato la famiglia, perchè era un odio progettato benissimo dal dottore, era l'odio diretto verso i figli, e i nipoti. Il dottore ancora una volta fece male i contì però, perchè mamma e papà, che avevano resistito meglio al primo siero, reagirono diversamente rispetto a nonno, perchè provavano odio..ma solo verso me. Nonno lo aveva assimilato bene, ma io ero già morta, e non poteva odiarmi. A te invece..si.
Dopo un paio d'anni il dottore osservava ancora la nostra situazione, il nostro decadimento, ci godeva. Quando sono morta sorrise, sbuffando con la sigaretta, ancora una-pensava- e si riferiva a te. L'incidente fu l'apoteosi della sua felicità, perchè eri stata dichiarata morta. Nessuno poteva immaginare, nemmeno lui, che tu fossi sopravvissuta senza memoria, e cresciuta con l'odio di nonno. Per questo lui non sa di te, non ti ha riconosciuto. Ti crede ancora morta, Seraphine. Ecco perchè sei perfetta per aiutarmi.." concluse Phedre.
La goccia di sangue, l'ultima, il pegno, fu risucchiata, e la forza che restava ora a Seraphine e che tentava di farsi strada tra quelle parole terribile e assurde era un ago appeso ad un filo sottile. Mancava poco a svenire, ma le ultime immagini Seraphine vide prima di cadere nell'oblio della stanchezza, del peso della verità di quella giornata troppo pesante, riuscì a vederle bene, erano due, e se le sarebbe portate nell'oblio a tormentarla: La prima era Phedre che si avvicinava pronta a sorreggerla, la seconda fu una prova, la prima, sulla verità detta da Phedre.. un segno sul collo, in contrasto su quella pelle morta tornata alla vita, il segno di mani strette, mani che strangolano, mani che uccidono...

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Capitolo 9
*** ciò che i vivi subiscono ***



La luce accecante la frastornava, era troppo intensa, troppo simile ad un qualche paradiso per lei. Dov'era quel buio così rassicurante nel quale era piombata? Dov'era quell'oscurità così tanto voluta nella quale avrebbe finalmente potuto annullarsi? Almeno nel buio poteva dimenticare, non poteva senire niente, tapparsi le orecchie come una bambina che non vuole accettare il mostro sotto il suo letto. Sotto il letto di Seraphine c'era Phedre, nonostante non avesse ancora deciso se fosse buona o cattiva, ma c'era, era sempre stata li, a ricordarle che la verità prima o poi si viene a sapere e fa male. Ogni bip scandiva il suo battito e lo scorrere dei suoi pensieri mentre lentamente apriva gli occhi, mentre rielaborava il mondo, sofferente. Ospedale, fu la prima parola che pensò quandò aprì gli occhi e vide dove si trovava. Questo non è il paradiso, pensò poi, leggermente rassicurata e allo stesso tempo delusa. Non è ancora finita, Seraphine, pensò ancora. Ma piano piano i suoi sensi la avvertirono che quel pensiero non era affatto il suo... c'era qualcuno a fianco a lei, che la fissava.
Era Phedre. Quella lettura di pensiero e comunicazione non verbale era ancora una questione da decifrare per Seraphine, una cosa a cui non aveva mai creduto, o voluto crederci, sentendosi in qualche modo oltraggiata nella privacy alla sola idea. Ma con Phedre era in qualche modo diverso, naturale, automatico, da gemelle. E anche se la sua mente era indolenzita come il suo corpo ricoperto di cavi, provò a "parlare".
Volevo che fosse finita.. comunicò Seraphine a Phedre.
Phedre abbassò lo sguardo tristemente, aveva capito, la capiva.
Se finisse quando vogliamo noi...sarebbe tutto irrisolto rispose Phedre senza muovere la bocca. Non si era mai davvero accorta di quanto fossero uguali, nel suo aspetto infatti non aveva ancora trovato un particolare che le differenziasse, come se fossero state create artificialmente e non dall'amore di due persone.
Lo sai che quello che mi hai detto è terribile, vero? pensò Seraphine, ed era la prima volta che glielo diceva apertamente, che le diceva la verità. Tutto quello che le aveva raccontato era talmente incredibile e incredibilmente brutto che faticava a crederci, anche se nel suo profondo lo accettava, così come aveva accettato da sempre di possedere il morbo del male, sotto forma di amnesia.
Eppure è la verità, vuoi altre prove sorellina? lo sguardo di Phedre stavolta si era alzato ed era infuocato, forse per la mancanza di fiducia o forse per la brama di mostrarmi altre verità, altre prove..
Il dottore sta arrivando. Io me ne andrò ora, ma tu presta attenzione al palmo della sua mano destra. C'è un marchio a fuoco, il marchio del Partito.. questo ultimo pensiero di Phedre fu più lieve..era andata via.

La presenza disgustosa di quella persona si fece sentire subito, dall'odore della sua pelle, alla sua voce falsamente tenera. Il dottore era arrivato.
Gli occhi di Seraphine si serrarono di colpo, non voleva vederlo e questo avrebbe reso più semplice trovare quella prova, perchè uno sguardo e l'odio l'avrebbe pervasa senza scampo.
"Dorme.." disse il dottore con dolcezza. Come poteva esserci dolcezza nella sua voce se aveva davvero fatto quelle cose? Come poteva essersi trattenuto davanti a lei solo perchè non la riconosceva? E soprattutto...cosa sarebbe accaduto se l'avesse riconosciuta?
"Tesoro? Me? dormi cara, sono solo venuto a vederti..." continuò a dire il dottore, e la sua voce reagiva alle medicine, neutralizzandole, il dolore si sentiva di nuovo nel suo corpo, accompagnato dall'odio che era nato sentendo quelle parole.
Seraphine, ancora con gli occhi chiusi sentì il dottore esitare prima di andare via, come se qualcosa che prima gli era sfuggito ora lo avesse attirato. Gli occhi le facevano male a forza di stringerli e fingere compostezza e riposto, voleva solo che ne andasse, che non fosse mai esistito. La sua presenza aleggiava sottoforma di energia negativa, una sensazione che palpitava nelle sue fibre più profonde e che solo recentemente aveva provato, dopo quello che le aveva detto Phedre, dopo che aveva saputo, e la verità non aveva fatto altro che risvegliare centri di sensibilità nascosti nel suo corpo, e quello del rilevamento delle forze negative era uno di questi. Il dottore era una forza negativa, era come la sensazione di gelo e ansia nel passare davanti alle lapidi fredde e mute di un cimitero, attraversare gli sguardi gelidi di mille foto senz'anima. Non avrebbe mai creduto che potesse esistere una simile sensazione per una persona, tantomeno per il dottore, che in tutto quel tempo creava ben altre sensazioni, che si nascondevano nell'illusione, nell'ingenuità, la sua ingenuità, la sua ignoranza. Quella gentilezza, quella paternità non erano altro che il frutto di un illusione, di una grazia fatta nel tempo solo perchè non aveva idea di chi fosse lei... Lei era stata graziata. Sempre.
Il dottore sparì, insieme a quella terribile senzazione, e mentre andava via Seraphine lo guardo di sottecchi, l'ultimo minuto, nel momento esatto in cui si girava di spalle per uscire, proprio mentre la sua mano, lo strumento dei crimini del Partito, nel ravvivarsi i capelli mezzo grigi, rivelava un particolare...un inquietanto marchio a fuoco.. una P rossastra.





"Che succede?" chiese il ragazzo al fianco del dottore. Camminavano nella corsia d'ospedale come due ombre, perfettamente sincronizzati.
"Chiama la centrale, c'è una bella sorpresa.." disse il dottore sorridendo. Non era affatto deluso di ciò aveva visto, nè arrabbiato della sua gravissima mancanza in tutto quel tempo. Era semplicemente..divertito.
"Quale sorpresa?" chiese il ragazzo, stavolta rallentando e faticando a seguire il passo del dottore.
"Indovina chi è la smemorata?" rispose il dottore, e la sua risata fragorosa fece tremare gli altri pazienti, non era la solita e genuina risata.. Era un sorriso che celava un terribile piano. L'eccitazione di quella scoperta pulsò come non mai nel suo marchio, pulsò come non gli era successo mai nella sua carriera...solo una volta aveva pulsato così tanto, solo una volta l'ebrezza di una missione l'aveva inebriato così tanto..
"Seraphine" sussurrò il dottore con un sorriso.
Il Partito ne avrebbe gioito..

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Capitolo 10
*** ciò che è giusto e ciò che è necessario ***


"Non è possibile...non, non può essere" risposte il ragazzo fermandosi completamente nel corridoio dell'ospedale. La sua fermata fece fermare anche il dottore, il suo gesto aveva catturato la sua attenzione, finalmente.
"è la loro figlia, Jasper. Quella che, se il Partito lo venisse a sapere, mi rovinerebbe.." rispose il dottore a denti stretti. Nel dire quello il ricordo del fallimento si fece ancora più vivo, così come quando aveva notato quel particolare di Me che non aveva mai notato e che le aveva fatto capire chi realmente fosse, non la smemorata, una paziente, ma Seraphine, Seraphine Sanit. La loro figlia, quella che per un assurdo errore amavano.. non avrebbero mai dovuto, e per quel dannato errore l'affetto di quelle persone per quella creatura aveva rovinato tutto, l'odio avrebbe dovuti dostruggerli. Ci pensò l'incidente, apparentemente...se non fosse per quella sopravvissuta che nessuno conosceva.
Il fallimento era vivido, e forse era proprio quel dettaglio a risvegliare in lui quel sentimento di vendetta che gli era così tanto caro, così gustoso ..che lo rendeva sempre macabramente felice. Si, perchè nel Partito bisognava essere così, il Partito non accetta i sentimenti, i sentimenti li crea, li distrugge, li manipola.
No, stavolta non avrebbe sbagliato, stavolta avrebbe agito velocemente, e il Partito non avrebbe mai saputo del suo errore, non avrebbe nemmeno fatto in tempo. Era tutto calcolato, era tutto perfetto.
Niente errori. Seraphine deve morire. E' necessario. Per il Partito. Per Jasper.
"Lo sai che non è giusto...è innocua. Cosa potrebbe fare al Partito? Come potrebbe anche solo giovarci? Fino a ieri amavo una donna senza nome, e ora mi dici che è l'errore del tuo passato. Cosa dovrei fare ora?" disse Jasper intuendo nel viso del padre l'attenta analisi di un piano perfetto, e non gli sarebbe piaciuto.
"Dimmi, Jasper.. quanto ci tieni ad entrare nel Partito?" chiese il dottore ignorando del tutto la domanda del figlio.
"Ci tengo molto, papà"- era strano chiamarlo così, ora-"lo sai che ci tengo.." Jasper sapeva già dove voleva arrivare il padre, ma non voleva crederci. Avrebbe tanto voluto che il tempo si fermasse, per dargli il tempo di trovare una soluzione, perchè dopo la domanda che gli stava per fare, ne avrebbe davvero avuto bisogno.
"Penso di aver trovato la tua prova d'ammissione..." disse il dottore sorridendo. Ecco, ci siamo-pensò Jasper- so cosa vuole, anche se non me l'ha chiesto direttamente, tipico di lui.
Devi farlo tu, Jasper. pensò, ma senza nessuna emozione.
Ma come poteva? Certo, ora aver scoperto la vera identità di Me era ancora un punto su cui riflettere, visto che ora come ora non era esattamente la persona più adatta da amare, ma questa scelta, quella che avrebbe dovuto fare, non l'aveva mai fatta prima.
Accettare Seraphine, amarla così com'è, amare il nemico? Oppure dare il via alla sua carriera nel Partito? Amore o Carriera? In quanti nel mondo si facevano quella stessa domanda? Milioni? Miliardi? Lui non era il primo, nè sarebbe mai stato l'ultimo, ma era certo che tra quei migliardi di indecisi non c'era nessuna scelta come la sua. Doveva scegliere tra ciò che è necessario e ciò che è giusto, e la bilancia era esattamente equa.Nessuna risposta, per ora.
"Ci devo pensare. Lo sai che quello che mi chiedi è difficile.." disse Jasper cupo, e difficile non rendeva l'idea. Lasciare che si distrugga la donna che si ama....o non farlo? Forse Amleto aveva ragione, non è facile.
Jasper stava per andare, o meglio scappare, ma il padre fu più veloce, c'era ancora una cosa che dovevano dirsi..
"C'è ancora una cosa da sapere...il problema è doppio. L'energia che ho captato prima dalla sua stanza non era un errore. L'ha fatta uscire, Jasper. Ha fatto uscire Io.. e qualcosa mi dice che so di chi si tratta.. " disse il dottore ridendo. Doppio guaio, doppio divertimento. La cosa si faceva davvero interessante...
Era da un pò che non vedeva le gemelle.





Seraphine, uscita dall'ospedale, pensò molto a ciò che era successo, a cosa fare, a come agire. Non c'era ancora un senso a tutto quello che le era successo, che le era stato detto, e in quegli attimi l'assenza di Phedre era stranamente sollevante, anche se le dispiaceva, visto che doveva a lei la verità. Mettere le mani in tasca era una delle tante cose che adorava fare, quelle che aveva amato sempre, e che poteva essere felice di ricordare come sue. Riscoprirle dopo tanti disastri, l'uscita di Phedre, la scoperta della verità su tutto, sul dottore, era una medicina persino migliore di tutti gli intrugli che le avevano dato e che ancora le circolavano dentro. Il caldo confortante delle tasche morbide di lana era qualcosa di meravigliosamente famigliare, proprio. Di Seraphine.
Le dita incontrarono qualcosa di ruvido, un cartoncino.
Seraphine lo aprì. Era un semplice cartoncino bianco con una scritta perfettamente leggibile. Nerissima, stampata bene nella carta, come se fosse stata assicurata, per non volare mai via...

Il Ministero della Luce è al tuo fianco

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Capitolo 11
*** il biglietto ***


Il Ministero della Luce è al tuo fianco
Che cosa voleva dire? Cos'era il Ministero della Luce? E cosa voleva da Seraphine? Con "è al tuo fianco" voleva dire solo una cosa: qualunque cosa fosse, voleva proteggerla. Perchè?



"Spero che sia andato tutto bene" disse l'uomo che guardava la finestra che dava al giardino. Adorava il suo giardino, tutto quel verde, le sue piante, sentiva che la vita dopotutto esiste ancora, nonostante se ne vada via ogni giorno.
"Nessun problema, signore" rispose il ragazzo dietro di lui, tranquillo. Anche la traquillità faceva parte di quella armonia, l'armonia di quella stanza, quel giardino, e l'equilibrio era la cosa più importante li.
"Capisci quanto sia importante stavolta questo lavoro, Alec?" chiese ancora l'uomo, quasi volesse controllare che quell'equilibrio fosse in qualche modo mantenuto.
"Ma certo, signore..lo capiamo tutti. E' una grande occasione.." rispose il ragazzo chiamato Alec. Ed era vero, tutti in quel posto capivano che quella particolare missione non era come le altre, nessun altra missione di distruzione del Partito era come quella, che, anche se semplice, era vitale.
"Salvatela e forse così l'equilibrio sarà ristabilito..." sussurrò l'uomo, ma fu più a sè stesso che al ragazzo.
"possiamo farcela" intervenne la donna seduta sulla poltrona, vicino alla porta. Quella ragazza, la ragazza da salvare avrebbe fatto la differenza, perchè aveva portato qualcosa che nel Ministero della Luce, nonostante fosse una regola, mancava da molto tempo: La speranza.
"Ti salveremo Seraphine.." sussurrò infine Alec e il modo in cui lo disse non conteneva la semplice professionalità, c'era una nota di dolcezza che non aveva mai provato, che non aveva mai sentito nella sua voce, era qualcosa di sconosciuto, qualcosa che gli era nato dentro nel vederla, qualcosa di ancora profondo, ma presente, e che ancora cercava di negare, persino davanti al profumo della sua giacca, al suo sguardo perplesso mentre apriva il bigliettino. Per ora andava bene così...salvarla era la priorità.






"Tuo figlio promette bene, John" disse l'uomo che fumava un sigaro, e la voluta di fumo sapeva di sarcasmo.
"E' mio figlio..avevi dubbi?" rispose John in assoluta sicurezza nel dare del tu all'uomo.
"Ci servono nuovi volti, nuove menti. Mi mancano le urla fresche e sincere dei nuovi arrivati...a te no?" ansimò l'uomo tra una tirata e un'altra, il ricordo di quelle stanze, di quelle urla, che erano state anche le sue tanto tempo prima, lo fecero sorridere senza nemmeno farlo sentire in colpa. Che male c'era ad amare il male? Il bene porta sempre al male..tanto valeva arrivare la punto-pensava sempre.
"Vorrei evitarglielo...almeno questo" disse John stringendo i denti. Per quanto amasse il Partito, pensare che a Jasper dovesse toccare tutto quello che anche lui aveva dovuto subire da giovane lo fece rabbrividire dopo molto tempo. Jasper non era come lui, era così...debole. Non sarebbe sopravvissuto, e le sue doti sarebbero servite. Sarebbe stato un peccato.
"La legge è uguale per tutti, John. Il suo corpo, la sua anima. E' la regola. Quando sei nel Partito, ci sei fino in fondo..dovresti saperlo" disse l'uomo inespressivo, e sia lui che John questo lo sapevano fin troppo bene, lo sapeva la loro mente che aveva dovuto ricordare sempre quei momenti, e il loro corpo, che portava ancora i segni....
"Ce la farà.." disse infine John convinto. Ma se il suo viso era convinto e convincente, il suo corpo, la sua mente, non erano daccordo. Qualcosa bruciava in lui, un antico pezzo di paternità, l'unico rimasto e quasi inesistene, che ancora bruciava attraverso il corpo, attraverso quella P marchiata...



Il biglietto era stato affisso nella bacheca della sua stanza, quella in cui Seraphine amava mettere tutto ciò che le interessava, tutto ciò che ingenuamente sarebbe potuto passare per un ricordo, un passato. Tra ritagli di giornali e lettere che componevano ipotetici nomi, tra foto di paesaggi irraggiungibili e foglie autunnali rinsecchite il biglietto risaltava agli occhi, non per la forma, ma per quella scritta...quelle semplici parole.
Seraphine le fissò a lungo senza capirne il senso. Sarebbe dovuta essere felice di avere un protettore, ma questa mistero sulla sua identità la turbava a tal punto da non poterne nemmeno godere.
Io lo so che cos'è Phedre era appena entrata nella stanza, e per la prima volta Seraphine fu lieta della sua presenza. Lei aveva sempre le risposte, le soluzioni che a Seraphine mancavano sempre.
E dopo tutto quello che era successo c'è n'era ancora bisogno...nuove domande, nuove risposte, un cerchio costante che si sarebbe ripetuto, proprio come le loro vite, ormai legate, nella vita e nella morte.

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Capitolo 12
*** Il Ministero della Luce ***


Sono davvero in pochi al mondo a sapere cosa sia il Ministero della Luce e io sono una di quella fortunate. Lo so perchè è così, come ti ho già detto, che funziona per i morti. Siamo costretti a sapere.
Dove stavo prima era arrivata la conoscenza di questa istituzione..un luce abbagliante penetrò le nostre nuvole e in un attimo, tutti sapemmo. Fu incredibile.
Persino nella morte, nessuno di noi aveva mai visto una luce come quella, era la luce del bene, la luce della salvezza.
Perchè è questo che sono, loro salvano, Seraphine, è il loro compito, loro impiantano il bene nel mondo e fanno in modo che ci rimanga.

pensò Phedre immobile, e Seraphine immaginò che per quanto fosse incredibile, anche lei era stanca, persino di parlare.
Si, ma perchè io? pensò Seraphine in risposta.
Perchè ti sembra così difficile che qualcuno voglia aiutarti? Perchè non ti fidi di nessuno? In tutti questi anni non hai avuto problemi con il dottore... questo pensiero di Phedre fece calare il silenzio tra di loro. Ma non era il silenzio tra una ragazza offesa e una vittoriosa, era il silenzio della verità. Phedre aveva ragione, la vita di Seraphine era una prova e una dimostrazione, la dimostrazione che la persona che ti è più cara è quella che ti fa più soffrire. A questa frase, a cui corrispondeva anche un pensiero, un immagine, Seraphine vide nella sua mente Jasper, che le sorrideva, quando erano felici, quando lei era Me e lui Jasper, erano Jasper e Me, nient'altro.
Ti manca? chiese Phedre.
Non lo vedo da giorni, e non so dove sia.. forse è questo il lato negativo di un figlio di un dottore.. pensò Seraphine di rimando, e il sorriso che mostrò inizialmente mutò subito. C'era qualcosa che entrambe avevano capito proprio in quell'istante, un intuizione talmente semplice che però era sfuggita a tutte e due, persino a Phedre che conosceva tante cose di questo e quel mondo..
"Aspetta un attimo... Jasper è il figlio del dottore, giusto?" chiese Phedre, stavolta ad alta voce. Seraphine non riusciva a parlare, o meglio a crederci...la cosa che prima le era sembrata normalissima, ora portava tante domande, ora che aveva scoperto la vera identità del dottore. Anche Jasper quindi...le aveva mentito?
"Credi che lo sappia? Del Partito intendo..?" chiese Seraphine, schiarendosi la gola secca.
Non può essere così, non è possibile..Jasper...
"I membri del Parito si succedono di padre in figlio, Seraphine.." rispose Phedre triste, anche lei immaginava il dolore di Seraphine, forse perchè di storie d'amore basate sulle bugie ne aveva viste tante, da morta, e ora anche da viva.
"Non è possibile...mi ha mentito anche lui, quindi lui.."
"Entrerà nel Partito.." concluse Phedre.




"Perchè non l'hai mai detto a Me, voglio dire..Seraphine?" chiese Kayne, il suo compagno di ammissione al Partito.
"Non era il caso, nel suo stato.. Aveva già troppi problemi con l'amnesia e la perdita di identità, non mi sembrava il caso di dirle anche chi sono io e chi è mio padre.." rispose Jasper.
"E ora che sa chi è? Non hai paura che lo venga a sapere? Quello che tuo padre ha fatto alla sua famiglia intendo.." continuò Kayne girando in un corridoio secondario.
"Sappiamo che Io è uscita da lei, era una specie di alter-ego immaginario, ma papà dice che è una persona reale, e che è la sorella gemella.." rispose ancora Jasper.
"la sorella morta? Inquietante.." Kayne rabbrividì
"Spero solo che nessun altro scopra di questa cosa, o si verrà a sapere che papà aveva fallito...figurati se si viene a sapere anche della gemella morta" sussurrò Jasper a denti stretti.
"Su di me puoi contare, ma tu non puoi resistere ancora così..devi decidere su di lei, agire prima che sappia chi sei e cosa volete farle, se non sa non ne soffrirà.." propose Kayne.
"Probabilmente è troppo tardi, Kayne. La sorella è tornata dai morti, e lo sai che cosa sanno i morti.." disse Jasper.
"Vuoi dire che ormai sa già tutto? Di te? Di tuo padre?" chiese Kayne ed entrambi erano ormai arrivati alla meta, una porta d'accaio con una semplice targetta. Sergente V.
"Voglio dire che ormai è troppo tardi per tutto, Kayne. I destini sono stati segnati, e ora anche il mio. Ho fatto la mia scelta" Jasper busò deciso alla porta e Kayne capì subito che cosa aveva scelto. La porta d'acciaio si chiuse fredda e la ventata di gelo lo fece rabbrividire, insieme ai suoi pensieri.
Seraphine..ovunque tu sia, mi dispiace per te.. pensò Kayne, mentre l'amico andava incontro al suo destino.


"Hanno bussato" disse Seraphine mentre guardava fuori dalla finestra. Pioveva, e non solo là fuori, pioveva un pò anche dentro lei, e un pò fuori, attraverso due lacrime sul suo viso. Jasper le aveva mentito e probabilmente aveva già fatto la sua scelta, era andato in contro al suo destino decidendo di entrare nel Partito. Ma non erano tanto le bugie ad averla distrutta, era il fatto che la sua scelta fosse stata così facile, lei o il Partito. Lui aveva scelto, e quella scelta le fece capire quanto si fosse illusa in tutto quel tempo, si era illusa che la amava...ma invece non amava lei, Jasper si era innamorato di Me, la ragazza triste e smemorata, dolce e incompresa e non di Seraphine, la ragazza con un nome, la ragazza con un passato, la ragazza sbagliata, quella che non doveva sopravvivere, il nemico..esatto, quella che si era rivelata il nemico. E un nemico non si può amare, non se sei il figlio di un membro del Parito, non se entrarci è nel tuo destino.
In fondo una scelta non c'era proprio, ma nella mente di Seraphine, la mente innamorata, Jasper avrebbe potuto scegliere l'amore, e il sacrificio, e invece aveva scelto un destino di torture e crudeltà.
"Chi è?" sussurrò Seraphine ancora singhiozzante.
Non rispose nessuno, non subito, almeno e non attraverso la voce. Anche Phedre aveva sentito quel pensiero, e sia lei che Seraphine furono felici di non essere le sole ad avere quel dono.
Entrambe lo sentirono bene, quel pensiero, era forte e carico di speranza. Era la salvezza.

Siamo del Ministero della Luce. Siamo qui per voi.

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Capitolo 13
*** angeli e demoni ***


"possiamo parlare con voi?" chiese la ragazza entrando, stavolta parlando apertamente senza l'uso dei suoi poteri.
"E' importante"


Nessuno, al Ministero, aveva mai capito perchè Alec fosse entrato nel gruppo. Beffa? Scommessa? Non poteva essere buono, non poteva essere definito nemmeno lontanamente uno del Ministero della Luce. C'era qualcosa in lui, nel suo aspetto, che comunicava un perenne e inestirpabile dolore profondo, un dolore trattenuto. La sua espressione era infatti sempre perennemente sotto controllo, come se si stesse continuamente sforzando. Soffriva, e tutti lo avevano capito.
C'era qualcosa nei suoi lineamenti che celava questo dolore, c'era un animo selvaggio e spensierato sepolto in quegli occhi scuri e opachi, occhi slavati e divenuti spenti. Ci doveva essere stata una scintilla molto potente un tempo, in essi, una scintilla vitale che tutti invidiavano e che, per chissà quale motivo, si è spenta.
Nessuno credeva che facesse parte del Ministero, forse per questa sua aria di sofferenza trattenuta, ma anche per come si presentava, alto, imponente, quasi ingombrante e simile ad un tizio da scazzottate. E di questo se ne aveva la prova, vista la cicatrice nel suo braccio, che ormai avevano visto un pò tutti.
Ma nessuno aveva mai avuto il coraggio di chiedergli cosa gli fosse successo, e soprattutto cosa ci facesse al Ministero, nonostante la sincerità fosse una regola essenziale di quel gruppo.
Eppure nel profondo la gente al Ministero voleva non sapere, preferiva stare all'oscuro e accettarlo, come fanno con tutti, perchè ogni elemento è comunque importante, è un salvatore in più.
Ma la curiosità dopotutto restava, soprattutto dopo quella notte... la notte in qui Alec arrivò al Ministero per la prima volta.
Pioveva quella sera, e l'acqua gocciolata nell'atrio era diventata rossa..



"Posso parlare con Seraphine'" chiese Alec alla collega. Era importante che lui parlasse con lei, e non per quella piccola scintilla provata da lui (o forse si), ma era per una questione importante, perchè solo lui poteva capirla..
"Niente interessi personali..lo sai" rispose Julia.
"E' per il suo bene" aggiunse secco Alec.
Julia sospirò, in quanto ragazza. Perchè aveva capito.
"Lei ti piace , e io odio quando menti. Parlaci e basta" disse Julia altrettanto secca. Poi bussarono.
Non potevano parlare se non in presenza delle dirette interessate, era la prassi. Nessuno all'esterno avrebbe dovuto sentire il nome Ministero della Luce, era vitale.
Perciò usarono una delle tante facoltà imparate, o meglio necessarie, al Ministero. La Telepatia.

Siamo del Ministero della Luce. Siamo qui per voi.

Due battiti accelerarono. Erano loro. Avevano sentito, proprio come speravano. Sono gemelle, possono sentirci.
La ragazza che aprì la porta era proprio come Alec la ricordava, quella prima volta osservola nel parcheggio dell'ospedale. Era proprio come aveva fantasticato in quegli ultimi giorni, sembrava proprio lei...sembrava proprio la sua Emily. Quel nome venne subito cancellato, in rispetto al suo ferreo autocontrollo, e così doveva essere sempre.
Seraphine rimase davanti alla porta sorpresa, senza sapere che fare, quando un'altra ragazza, perfettamente identica, se non per il viso più pallido e gli occhi più scuri, si avvicinò decisa e iniziò a parlare:
"Certo che ci mettete molto a salvare le persone, non è vero angioletti?" disse spavalda. Seraphine la fissò come per rimproverarla e quella maternità era piacevole, tanto da raffreddare la situazione.
"Dobbiamo parlarvi. Tu, con me." disse Julia procedendo decisa e accostandosi a Phedre. Alec rimase fermo, voleva essere più cortese con Seraphine, e non seppe il perchè.
"ehi, perchè ci dobbiamo separare?" chiese Phedre fulminando Julia.
"è più sicuro...disperderemo le tracce e potremo parlare più tranquille.." rispose Julia con semplicità, visto che quella prassi era diventata ormai una delle cose automatiche della sua vita.
Phedre e Julia si allontanarono, e solo allora Alec potè parlare, per la prima volta, a Seraphine.
"Dobbiamo andare.." disse e rimase deluso di averle detto una cosa così banale come prima frase.
"D-dove?" chiese Seraphine timidamente.
"Facciamo due passi, dobbiamo parlare" ancora una volta usare il noi provocò in Alec una strana sensazione, e non sapeva se era per l'inevitabile rimembranza di Emily o per l'effettiva attrazione che provava verso la ragazza.




"Perchè volete aiutarci?" chiese Seraphine che, sebbene rassicurata, era ancora piena di dubbi.
"Il Ministero è nato per questo. La luce illumina il buio, la luce salva chi si trova in difficoltà, chi si trova nel buio.." Alec ripetè lo slogan del Ministero, quello che gli avevano insegnato e che era stato felice di imparare, felice come non lo era mai stato.
Seraphine comprese, e le sembrò un angelo, se non fosse per l'aspetto. Dall'aspetto anzi..sembrava proprio il contrario, un demone sotto mentite spoglie, perchè in quegli occhi scuri e in quell'aspetto ribelle c'era qualcosa di terribile e se Seraphine lo sentiva era perchè anche lei aveva passato momenti terribili.
"Agiremo così.. Infiltreremo qualcuno al Partito e tenteremo un sabotaggio. Nel frattempo, ci occuperemo di tenervi al sicuro" disse Alec interrompendo il silenzio tra di loro. Il silenzio era sintomo di riflessione, e non poteva permettere che lei lo studiasse più di tanto, che scoprisse cosa si celava nel suo animo ferito..
"ma come farete a trovare l'infiltrato giusto? Il Parito è.." Seraphine non riuscì a finire la frase, semplicemente perchè non le trovava...Come definire il Partito? ora che sa che cosa è, cosa le ha fatto, cosa ha fatto a Phedre.... Inferno non è poi una parola così grave a questo punto.
"Lo troveremo. Ma l'importante è che voi siate al sicuro" rispose Alec camminando nel parco lentamente in modo da adattarsi al passo della ragazza.
"Io so chi potreste infiltrare.." sussurrò debolmente Seraphine. Si fermò di scatto e lo guardò dritto negli occhi, come se volesse scavare nell'oscurità fitta di quegli occhi per cercare un pò di luce, riflettersi in essa e specchiarsi nel dire ciò che stava pensando già da un pò, da quando Phedre era arrivata..
"E' me che vogliono, e sono Io che entrerò..." disse Seraphine e nel dirlo le sue paure svanirono, la paura del dottore, la paura del Partito, la paura di Jasper persino, la paura del futuro...
Forse furono gli occhi di Alec, pozzanghere di catrame caldo e avvolgente, o forse fu la consapevolezza nella missione di salvezza del proprio destino, o forse ancora fu l'istinto di vendetta verso i suoi genitori e Phedre.. Seraphine non controllava quello che aveva detto, perchè quelle sensazioni che le fecero dire quella frase c'erano sempre state, e aspettavano di uscire fuori, e potevano farlo solo davanti ad un angelo.

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Capitolo 14
*** piano B ***



"No" Fu la risposta secca di Alec. Quelle due lettere risuonarono con una calma d'acciaio, che non ammetteva discussioni, ma che allo stesso tempo conteneva una nota di premura.
"Io devo. Devo, è la conclusione più giusta" ribattè Seraphine. Ed era assolutamente vero. Tutto sarebbe dovuto finire così, e se non fosse stato altrimenti..che parte avrebbe potuto avere allora in quella storia? No, non la dama salvata, non la gelida principessa che aspetta sulla sua torre d'avorio. Sacrificio. E non sempre deve finire male..non stavolta.
"Solo tu credi che sia giusta" Alec si fermò, robotico. Era chiaro ormai che aveva ricevuto qualche addestramento particolare. Tutto quel rigore...che cosa gli era successo?
"Non puoi impedirmi di concludere la mia storia. E' mia, non tua, anzi è mia e di Phedre" disse lei infine "Non puoi impedircelo. Non puoi fermarci" Ovunque fosse Phedre in quel momento, Seraphine aveva l'assoluta certezza che anche lei avrebbe voluto quel finale. Ora erano sorelle per davvero.



"Perchè vuoi farlo?"chiese Julia seduta sulla panchina.
"Non voglio che succeda anche a lei" sussurrò fredda lei. Erano ricordi sotto forma di chiaccio bollente.
"Pensavo che la odiassi..." la istigò Julia.
"Sarebbe una perdita di tempo. Io voglio il Partito..e lo voglio distrutto. E poi..lei mi ha fatto uscire..."Erano forse sentimenti quelli? Cosa sono? Phedre non li poteva provare, confinata in quel mondo dove non esistevano, perchè i morti non possono provare sentimenti, forse solo il dolore...Ma quel particolare sentimento che provava in quell'istante proprio non lo conosceva, come si chiamava?
"si chiama riconoscenza" le sussurrò Julia mettendole una mano sulla spalla. Riconoscenza. Il primo sentimento dopo la risurrezione.



"Possiamo farcela, Alec. Saremo in contatto fisso" era strano cercare di convincerlo, neanche fosse il suo ragazzo...ma perchè l'aveva pensato?
Se Jasper aveva avuto davvero a che fare con il Partito, allora il suo cuore non sarebbe potuto essere di nessuno, nemmeno suo.
"Allora ci andremo tutti...non possiamo lasciarvi sole" Non suonò ferreo come prima, come se Alec non ne fosse esattamente convinto, era perchè non credeva nella missione? O perchè la scusa della loro presenza era invece un occasione per stare con lei? Seraphine non sapeva perchè stava facendo quei pensieri su Alec..era ambigui per almeno due ragioni: la prima era che Jasper, nonostante la scelta che si supponeva avesse fatto, visto che era sparito, molto nel profondo era ancora il suo ragazzo; la seconda era che Alec non sembrava affatto un angelo, ma Seraphine sentiva qualcosa quando lo guardava, sentiva qualcosa che le apparteneva in qualche modo, come se si fossero già conosciuti qualche tempo fa..
"Come li attiriamo?" chiese Seraphine distogliendo quei pensieri "di certo non posso entrare così, come se niente fosse.." Non era mai stata coinvolta in niente del genere. E come Phedre, non conosceva quel sentimento sconosciuto, sebbene fosse stata sempre viva. però ne conosceva il nome...eccitazione.
"Semplice. Ti fingerai morta" rispose Alec.
"Cosa hai detto che farà mia sorella?" chiese Phedre arrivando con Julia dal lato opposto del giardino.
Il piano era deciso.





"Abbiamo localizzato da poco un delle entrate del Partito. Spargeremo la voce della tua consegna volontaria al Partito, solo così sapremo che ti stanno aspettando... Poi quando starai per entrare fingeremo di uccidervi. Andranno su tutte le furie, per non essere stati i primi, sono bramosi, e lo sapete. Queste cose non le tollerano, perciò vi porteranno dentro e vi nasconderanno, per cercare una soluzione. Cercheranno una scusa da dire al loro Sergente e mentre lo faranno, nel caos più totale voi piazzerete la nostra arma." spiegò Alec.
"Quale arma?" chiese Phedre eccitata sentendo la parola arma.
"La luce" rispose Julia sorridendo.
"la luce?" chiese Seraphine dubbiosa. Forse..erano davvero angeli.
"C'e solo una cosa che il Partito non può distruggere...è la luce. E' l'unica cosa chimica che non riesce a creare, sebbene sia semplice. Ma non possono, perchè solo un cuore puro può, pure come la luce.." rispose Julia con voce veneranta. Quelle parole ispiravano fiducia, perchè la luce ispirava fiducia. Non c'era niente di meglio ed entrambe lo sapevano bene, soprattutto Phedre, che ne era stata privata da troppo.
"come sapete che siamo abbastanza pure da poterla toccare?" chiese Phedre, che ormai non si sentiva più tanto pura.
"Lo siete..lo sappiamo" rispose Alec, ma il suo sguardo era diretto solo verso una persona, quella che per lui era la più pura di tutte, quella superava la luce stessa, quella che anche se non la conosceva, sentiva di averla sempre avuta dentro, come un ricordo piacevole:
Era Seraphine. Una persona vera, una persona pura.

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Capitolo 15
*** luce e tenebra ***


Era esattamente come morire. C'era il buio, c'era Phedre...il resto non aveva più senso. Quando il proiettile era arrivato, nonostante portasse un giubbotto antiproiettile e nonostante sapesse che faceva tutto parte di un piano, l'aveva sentito. Se quel proiettile non fosse stato bloccato, se il giubbotto non avesse funzionato, se avesse compiuto una minima deviazione...sarebbe stata la fine, e in quell'attimo di sollievo, dopo il colpo , non era uscito sangue. Seraphine respirava ancora, e poteva dire di aver provato la morte..da viva. Il piano aveva funzionato. Era esattamente come se fossero morte.
Il contatto con l'asfalto bagnato dalla pioggia era stato piacevole, come se il suo corpo si stesse riunendo alla madre terra. Aveva sempre desiderato la morte, e ora che l'aveva sfiorata e che poteva definirsi fortunata, il pentimento era duro da accettare.... Come aveva potuto credere che la morte le avrebbe giovato? Ora, distesa in terra, mentre si fingeva morta capì, che se Phedre non fosse tornata, se non avesse conosciuto il Ministero della Luce, se fosse stata ancora senza nome e senza passato, la situazione sarebbe stata uguale, con una sola differenza: sarebbe morta sul serio.
Il sollievo dell'avere quel giubbotto mischiò le sue lacrime di gioia a quella pioggia salata. Era viva, e avrebbe lottato per rimanerlo.




Il colpo era risuonato secco e irreversibile. Alec trasalì. Lei non era veramente morta, ma era stato uno spavento simile. Ancora una volta quell'emozione, un senso di perdita, un vuoto che si sarebbe potuto aprire con la sua morte. Perchè lo provava?
Pioveva come quella sera....la sera in cui arrivò al Ministero, completamente ricoperto di sangue. Ogni goccia di pioggia ora sembrava ricordarglielo, come se fosse importante che non dimenticasse nessun particolare, doveva soffrire. Ma ora la pioggia era limipida, come era giusto che fosse nei confronti di Seraphine, e non macchiata di sangue, come era invece accaduto con lei, il cosiddetto "criminale", perchè è così che lo avevano considerato i primi tempi al Ministero. Eppure non si era mai curato di smentire quelle voci, per indifferenza, o per dolore. Nessuno amava parlare del suo passato, specialmente lui, soprattutto lui...
Alec guardò Seraphine in terra, accanto a Phedre, e il passato si sovrappose al presente: Il corpo di Seraphine era quello di Emily, l'Emily della sua infazia e giovinezza, scomparsa, portata via, o forse morta. La loro somiglianza poteva rendere quella sovrapposizione fattibile, ed era difficile non piangere a quel ricordo. Ma stavolta non sarebbero state lacrime di dolore, erano lacrime di vendetta. Il Partito doveva pagare per quello che gli avevano fatto.
Un tempo, molto tempo fa, era stato un criminale. Non perchè gli piacesse, ma la povertà è a questo che porta, e a sua volta l'essere un criminale porta all'autodistruzione totale. Alec l'avea provata una sola volta nella sua vita, e arrivando al Ministero promise che sarebbe stata l'ultima.









"Singore! John!" le urla dell'apprendista risuonarono nella piccola stanza.
"Che c'è?" rispose John infastidito. Quell'apprendista aveva interrotto una conversazione tra John e un ragazzo di spalle.
"Fuori! Venga a vedere!" disse l'apprendista. E john intuì che si trattava di qualcosa di serio. Corse fuori nella piogga a dirotto e si bloccò immobile. C'erano due corpi distesi a terra. E purtroppo...li riconobbe.
"Stavo facendo la guardia e le ho viste arrivare, ma qualcuno ha sparato. Non so chi siano, signore..." disse l'apprendista disperato.
"Portatele dentro" rispose John stringendo i denti. Ora avrebbe agito molto meglio che in passato.




"Jasper..devi venire a vedere" disse John al figlio, mentre tornava nella stanza. Jasper si girò debolmente verso il padre con un aria sofferente. Non amava darsi vedere debole da lui, ma il dolore era insopportabile.
"Passerà...è il giusto prezzo" disse John intuendo il dolore del figlio, e anzi ne fu geloso, perchè ricordare il dolore che aveva provato lui alla sua età era vietato, non ne aveva il coraggio, e quando capitava uno stralcio di ricordo, ciò che si concedeva di sopportare erano le sue grida, quelle che erano durate settimane...
Jasper annuì massaggiandosi il palmo della mano. Una P di fuoco era difficile ormai da cancellare. Non poteva più tornare indietro.


Quando Jasper rivide la sua ragazza si bloccò all'improvviso.
L'aveva vista in tanti modi Me, ovvero Seraphine. Piangere, Ridere, sognare, sperare, amare. Ma morta non l'aveva mai vista. Pensava che ormai non le potesse fare più alcun effetto, visto che si era negato gran parte dei sentimenti, votandosi al Partito. Ma qualcosa era rimasta in lui, un pezzetto di pietà ancora si faceva largo nel suo cuore freddo, anche se non riusciva ad affermarsi. C'era troppo gelo lì dentro, ma ormai era troppo tardi, perchè lei era morta. L'aveva amata tanto, l'aveva amato un pò anche quando aveva capito chi era, chi era per suo padre, e ora invece...c'era solo buio e gelo. Era morta e i morti non si possono amare. Era finita, e non ci può essere amore nella fine.
La pietà poi sparì e tornò l'indifferenza. Era tornato tutto alla normalità. Me non esisteva più e Seraphine non sarebbe mai potuto esistere.
Jasper uscì calmo dalla stanza, mascherando quel velo di pietà che stava svanendo e John fece lo stesso, solo che lui non aveva provato niente. Forse solo un pò di rabbia, visto che non era stato l'artefice della sua vendetta. Ma una soluzione ancora c'era.
"Chiamate Emily" disse e la porta dell'obitorio fu chiusa. Ora c'era buio, ma nessuno poteva immaginare che la luce c'era....persino in quel posto dove non poteva esistere.




"Ti ho visto tremare" disse Julia ad Alec. Si stavano preparando con un'altra squadra del Ministero.
"Era il freddo" si giustificò Alec in fretta. Ma i suoi occhi scuri non erano mai stati in grado di coprire il suo cuore, nonostante usasse la freddezza come arma difensiva.
"Lei è viva, e vivrà ancora...stai tranquillo" rispose Julia dolcemente.
"Deve vivere. A qualunque costo." disse Alec, e pensò a quel corpo disteso sotto la pioggia e quella determinazione nel voler combattere per vivere. Aveva ragione. Era il giusto finale.

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Capitolo 16
*** Emily ***


Sono viva. Sono viva, ne sono sicura. Respiro. continuava a pensare Seraphine. Ma il buio stava durando troppo....forse...era morta per davvero, forse il proiettile l'aveva colpito, e la salvezza l'aveva solo immaginata. La paura si impadronì di lei nel momento stesso in cui aprì per la prima volta gli occhi dalla sua finta morte. C'era ancora buio, ma gli occhi erano aperti, ne era sicura.
Sono morta pensò, e da quel pensierò non riuscì a non ansimare. Provò ad alzare un braccio, ma la sua pelle sfiorò qualcosa che la avvolgeva, qualcosa di plastico.
Siamo in obitorio, Seraphine le dissè Phedre mentalmente. Era calma in un modo innaturale, e il motivo stava nel fatto che lei la morte l'aveva provata, insieme a quel senso di vuoto e di oppressione senza scampo.
Sono morta? le chiede Seraphine. Non importa se era rinchiusa in obitorio, perchè la certezza di essere viva l'avrebbe resa più forte, le avrebbe fatto credere che sarebbero venuti a prenderle, e che tutto sarebbe finito.
Siamo vive, sorellina. E presto saremo anche salve le rispose Phedre, e la parola sorellina le fece chiudere gli occhi, come se il calore di quella voce rassicurante avesse il potere di scatenare il sonno più tranquillo. Seraphine respirò più lentamente, e per una volta seppe di non essere sola, persino nella "morte".
Non ci resta che aspettare...arriveranno. E allora...finirà tutto disse infine Phedre ed entrambe, in quell'attimo, rinchiuse nell'obitorio, sperararono di tornare vive.




"Perchè mi avete cercato?" chiese la ragazza nel laboratorio. Il suo sguardo era quello di una bambina, quegli occhi ingenui nascosti da occhialetti da scienziata però nascondevano abilità impensabili, abilità che nessuno poteva avere, perchè solo i veri angeli possono perdere meglio la strada..
"Devi fare un lavoretto..." chiese il dottore osservandola. Gli strumenti del laboratorio, quelli che la ragazza stava usando, il dottore li ricordava fin troppo bene, ne portava ancora i segni addosso, dei giorni in cui non li aveva saputi maneggiare e ne aveva pagato il prezzo..
"Che genere di lavoretto?" chiese la ragazza sollevando lo sguardo eccitata, e le luci al neon fecero brillare ancora di più la sua pupilla scurissima.
"Devi fare due sieri..." disse il dottore, più a sè stesso che alla ragazza "Due sieri E"
Il silenzio calò nel laboratorio, la ragazza mantenne la stessa eccitazione, ma nel suo viso comparve anche la sorpresa, perchè chiunque al Partito, che fosse apprendista o iniziato, sapeva perfettamente cosa fosse un siero E. E sta per End. Era il siero della morte.
"Non è un problema per me, lo sai. Ma se posso saperlo...chi devi fare fuori?" chiese la ragazza ridendo e iniziando a preparare gli strumenti. Il tintinnio famigliare delle provette le fece venire i brividi, come se fossero la voce del suo amante segreto.
"Non è un semplice siero E. Devi programmarlo." insistette il dottore, con la voce d'acciaio. Era insopportabile che dovesse rivolgersi a quella ragazzina per quel lavoro, ma era necessario per almeno due ragioni: La prima era che era assolutamente vitale che la morte delle due ragazze fosse attribuita a lui, ne valeva della sua vita; la seconda era che quel riconoscimento avrebbe significato il totale controllo sul Sergente, sul suo favore, e magari anche sul tesoro..
"Su chi lo devo programmare?" chiese la ragazza annoiata. Essere brava era una maledizione, vista la mole di lavoro che le competeva, ma dopotutto era anche terribilmente gratificante. Essere l'unica a saper programmare un siero E.... solo una ragazzina.
"Su di me" disse il dottore infine, prima di uscire.
"Non così in fretta John. Sai cosa voglio in cambio..." cinguettò la ragazza " Una libbra" e i suoi occhi fremetterò.
John rabbrividì. Non si ricordava che ci fosse un pagamento, ma non gli importò... a qualunque prezzo.
Prese il coltello più vicino e si incise un braccio con la precisione di un macellaio. Se la ragazzina voleva una libbra della sua carne, allora l'avrebbe avuta. Avrebbe dato anche la sua anima per sbarazzarsi di quelle due, perciò un pezzo di carne non valeva quasi niente. Qualunque cosa...
Il sangue gocciolò in tutto il laboratorio, ed era il colore preferito della ragazza, che maneggio il macabro pezzo del dottore con una cura quasi morbosa.
"Ora c'è tutto" disse la ragazza. E iniziò il suo lavoro. Mentre maneggiava gli strumenti con cura materna la luce della lampada illuminò il camice immacolato tranne per qualche macchia di sangue, su di esso era appuntata una targhetta di metallo. C'era inciso solo un nome.Emily.
Era proprio brava.


Alec respirò piano entrando nel condotto, insieme a Julia e al resto della squadra. Per un attimo aveva perso la speranza, quando quel colpo aveva squarciato la quiete. Doveva andare tutto perfettamente, doveva. O lei non avrebbe vissuto..




Più indietro nella fila delle persone che stavano attraversando il condotto c'era Julia e Ben, che camminavano seguendo la squadra. Regnavano solo due cose: Il silenzio e la speranza.
"Siamo sicuri che sia la via giusta?" chiese Ben puntando meglio la pila nel condotto e illuminando i compagni che stavano davanti.
"Esiste solo questo, quindi è giusta" rispoe secca Julia, scocciata per essere accanto ad un nuovo arrivato e per dovergli spiegare tutto.
"Sarà ma io di quell'Alec non mi fido. Non sembra uno di noi...è così.." Ben non finì la frase perchè gli occhi di Julia lo inchiodarono.
"Alec è una persona buona. Forse la migliore del mondo, tu non sai quello che ha passato.." Julia si calmò lentamente, riprendendo fiato. Non voleva nè litigare con Ben, nè parlare troppo del passato di Alec, visto che nessuno ne sapeva tantissimo. Forse solo lei sapeva qualcosa in più, eppure non era ancora abbastanza a colmare la lacuna del mistero della sua vita. E non era solo la sua vita ad essere un mistero, ma il suo aspetto. Si diceva che fosse scappato da un carcere di massima sicurezza e che quell cicatrici gli erano state fatte sotto tortura in una base di spionaggio russa. Julia era sicura che fossero tutto menzogne, e soprattutto era assolutamente sicura che Alec era una persona buona, una persona buona cui erano capitate cose brutte. Non ne era solo sicura, ne aveva le prove, le aveva avute quel giorno....quando l'aveva visto piangere. Lui non se n'era mai accorto, eppure lei l'aveva visto, e da quel giorno non ebbe più dubbi su di lui e non volle più sapere del suo passato. Era giusto così. Forse un giorno ne avrebbero parlato, quando sarebbe finito tutto, ma in quel momento era importante pensare al presente e a mantenere la speranza. Per Seraphine, per Phedre.
"Andiamo" disse infine dolcemente Julia a Ben, e lo lasciò passare. Così lei fu l'lultima, e lo sarebbe stata ad entrare, così almeno avrebbe avuto almeno un secondo in più per pensare a quelle lacrime sincere, che le davano sempre la forza, che le dimostravano che la speranza è un diritto di tutti.

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Capitolo 17
*** E come End ***



"Vai a chiamare John" disse la ragazza targata Emily all'assistente.
"Cosa devi dirgli?" chiese l'inserviente preparando le ultime cose.
"Che i sieri sono pronti"



Ho paura, Phedre. pensò Seraphine nel buio della sua cella. C'era freddo, troppo freddo, più freddo del sopportabile. Come se fossi morta...continuò a pensare.
E' così che ci si sente... c'è solo freddo e buio rispose Phedre, anche se la sua non era una vera e propria risposta, ma una riflessione.
E' terribile le disse Seraphine, volendole comunicare almeno un pò di compassione, anche se non era necessaria, non più.
E' solo la fine, ma ora abbiamo un'altra chance fu l'ultimo pensiero di Phedre, l'ultimo perchè dopo quello non era calato il silenzio nell'obitorio, ma regnava solo un rumore in lontananza, un ticchettio secco di tanti passi insieme. Erano arrivati a prenderle.


Non era sicuro sfondare la parete, e l'alternativa non sarebbe stata piacevole per nessuno. Avrebbero dovuto passarci attraverso, e il processo era qualcosa di assurdamente doloroso, soprattutto per chi, come loro, doveva consumare un enorme quantitativo di luce energetica, ovvero quella che avevano dentro. Già, perchè chiunque al Ministero non ha esattamente poteri speciali innati, ma li acquisisce solo in seguito ad una fase essenziale, chiamata Consapevolezza. In questa fase le persone trovano la bontà nel loro cuore, la accettano....è questo che nasce la loro luce. La luce si impossessa dei loro cuori, la accolgono come la cosa più bella e incredibile del mondo e giurano che la ameranno per sempre. Per questo soffrono quando ne devono usare una parte nelle operazioni in cui servono particolari poteri, perchè privarsene è doloroso fisicamente quanto emotivamente. E' come perdere la persona che più si ama al mondo, e in quel gruppo di persone sofferenti, che piano piano oltrepassavano la parete fondendovi il loro corpo, in quei fasci di luce che andava disperdendosi per la fatica, solo una persona era allenata a quel dolore visto che aveva già provato la perdita di una persona amata e che forse l'avrebbe riprovato, per qualche strano motivo: Era Alec.
Sono qui. Siamo qui. comunicò Alec a Phedre e Seraphine.
Alec... sussurrò in risposta Seraphine, e quel sospiro Alec arrivò finalmente dall'altra parte.
Ce l'avevano fatta. Erano dentro.


John osservò Emily dietro i suoi occhiali impeccabili. Le boccette dei sieri lo osservavano con altrettanta profondità.
"Dammele" disse John tendendo il braccio sano. Emily gliele porse e John le esaminò più da vicino. Erano completamente vuote.
"Cosa significa?" sibilò il dottore tra i denti. Aveva sempre pensato che Emily fosse brava, la migliore,aveva sempre pensato che non era poi stato un così grande errore prenderla con loro, lasciarla viva. Ma quelle boccette...l'unica speranza di salvarsi e risolvere una volta per tutte quella faccenda....sembrava svanita.
"Questo è il siero E. Non ha materia" rispose Emily fredda davanti all'ignoranza del dottor John, ammesso che si potesse definire ancora dottore.
"E come lo somministro?" chiese ancora John, anche se la domanda era quasi retorica.
"Basta il contatto con qualunque tessuto, John." rispose Emily professionale come sempre.
"Ci sono conseguenze, Emily? Sai che non devono esserci.." sussurrò John pregustando l'istante in cui avrebbe appoggiato il contenuto, apparentemente inesistente, sulla candida pelle delle sorelle, donando loro il sonno eterno e la gloria per lui, risultato artefice di una vendetta leggendaria.
"Nessuna John. Sono morte, no? Il siero non farà altro che assicurartelo e ovviamente dartene il merito...ma ovviamente se così non..." rispose Emily eloquentemente, ma non riuscì nemmeno a finire la frase che John la interruppe. Aveva tutto il necessario, l'arma e le sue istruzioni. Non gli serviva altro, c'era solo lui e la fine di quella storia, la fine che lui stesso avrebbe decretato una volta per tutte, e dopo quel lavoretto le famose gemelle non sarebbero mai più tornate, sarebbe state cancellate per sempre dal mondo e dalla storia, se non nei discorsi di encomio dedicati a lui. Si, sarebbe stata la vendetta del secolo. Leggendaria. Sarebbe andata così, e il nome di quel siero sarebbe stata una pura verità. End. La fine.
Ma anche i dottori sbagliano, anche se le etichette sono sentenze irreversibili di morte, anche se si hanno tutte le certezze, anche se la gloria sembra ormai una strada spianata...Gli errori sono sempre intorno a noi.. Ed Emily ne era una prova. Se solo John l'avesse lasciata finire di parlare avrebbe saputo che se il siero fosse stato somministrato a persone vive.... Il somministrante sarebbe morto.
Ma gli errori non ci lasceranno mai, perchè la gloria acceca ogni razionalità, soprattutto se è sottoforma di scritta. E come End.





"Alec!" urlò Seraphine liberandosi dal telo nero e pensate dell'obitorio. Quando quel nero venne smascherato c'era la luce, c'era la salvezza, c'era Alec. Seraphine lo abbracciò forte, sebbene le sue braccia non riuscivano a circondarlo tutto quanto. Ma non le importava. Era salva, e lo doveva a lui.
Era un pò come se fosse tornata alla vita sul serio, e il passaggio dalle tenebre alla luce non era mai stato così bello. Alec, inizialmente irrigidito contraccambiò l'abbraccio e provò un sollievo sconosciuto. Lei era viva, potevano farcela...potevano vincere.
"Perchè piangi?" chiese Alec ancora attaccato a lei. Ne rielaborò tutti gli odori, quelli che aveva sentito quella prima volta in ospedale, dalla sua giaccia. Erano immutati, se non migliori, arricchiti dal profumo della salvezza e della nuova speranza.
"Perchè sono viva" rispose Seraphine singhiozzando e le sue lacrime lavarono tutta la divisa di Alec, come la pioggia che bagna il campo estivo, come il profumo che cade sull'erba e viene amplificato. Era tutto cento volte meglio, e quell'abbraccio sarebbe potuto durare anche per sempre, sarebbe potuto entrare anche tutto il Partito ad ucciderli entrambi, e non sarebbe importato nulla, perchè sarebbero morti nel loro abbraccio, e il calore dei loro cuori avrebbe sconfitto il gelo della morte.
"Seraphine...io ti.." Alec non riusciva a dirlo. Le parole erano perfette nella sua mente, disposte pronte per essere dette, con la pronuncia adatta, con la dolcezza adatta e provata tante volte ultimamente. Non aveva mai detto a nessuno quelle parole, soprattutto in così poco tempo. E nella sua mente la scena era così semplice, così pura, che non pensava che la realtà potesse essere invece così difficile. Ma cosa lo ostacolava? Tutto gli urlava di dirlo, il profumo dei suoi capelli, le sue braccia ancora fredde intorno a lui che gli provocavano piacevoli brividi, le sue labbra posate sul suo petto che ancora sospiravano. Non l'aveva mai detto nemmeno ad Emily.....non era mai stato necessario. Per questo ora non sapeva che fare.
C'era solo una cosa che lo convinse ad agire, era Julia che lo avvisava con lo sguardo che non erano più al sicuro, e che era tempo di agire. Perciò ecco, un altro attimo di suspense, un altro attimo di incertezza, quando ancora non si è del tutto certi di essere salvi. Ancora uno sforzo e sarà tutto finito, ancora una parola, quella parola, e tutto avrà un senso, tutto andrà per il meglio, perchè solo con quella frase tutti avrebbero avuto la forza necessaria ad andare avanti, soprattutto lei.
"Seraphine.. Io ti amo"

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Capitolo 18
*** tutto per... ***


L'aria era leggera, anche se erano tutti al chiuso. Si sentiva calore, si sentiva vita, amore. Eppure erano all'inferno...come era possibile?
Le parole spesso hanno il potere di cambiare le cose, e non sempre in peggio. Le parole possono migliorare ciò che và migliorato, le parole...possono guarire, dare un senso a tutto.
Il tempo si era fermato, forse per un istante, forse per sempre, e quella frase era sospesa in quell'aria leggera, come se fossero le nuvole cui cerchiamo sempre di dare forma per non sentirci poi così soli, per dimostrare che c'è vita, c'è armonia. E loro erano li, paffute e perfette, leggere e libere. Seraphine le osservava nella sua mente, riascoltava il loro suono, quello prodotto da Alec, netto e sincero.
Non sapeva cosa dire, e in quel tempo sospeso la sua mente era staccata dal corpo, vagava come mai le era successo, e la ragione aveva divorziato dal cuore per sempre, perchè il cuore stava per fare qualcosa che la ragione non avrebbe mai approvato... E in quel tempo sospeso successe qualcosa che nessuno, nemmeno le stelle del cielo, avrebbe mai potuto prevedere.
La distanza diminuì, passo dopo passo dopo passo, lento, inarrestabile. Non c'era forza fisica al mondo che avrebbe potuto arrestare quel momento, perchè doveva succedere. Doveva, o il mondo non sarebbe più stato lo stesso, il fato avrebbe cambiato la rotta di altre persone.
Il calore dei due corpi iniziava ad avvicinarsi, molecole che si scontravano con molecole, diverse eppure così chimicamente compatibili. L'aria li assecondava, facendo spazio a quel movimento, a quell'unione così imprevista e così delicatamente meravigliosa.
Stava succedendo davvero e Seraphine lo fece automaticamente, non seppe se l'aveva deciso, seppe solo che voleva farlo, doveva farlo...o quel bruciore al cuore non si sarebbe mai placato. Era incontenibile, troppo incontenibile...e la distanza diminuiva, sempre di più.
Infine...successe. L'esplosione atomica era silenziosa, ma tutti l'avevano percepita nella stanza, tutti li stavano guardando, a bocca aperta, perchè nessuno di loro aveva mai visto un bacio come quello. Non era come tutti gli altri, come gli altri baci della storia dell'amore. Questo aveva qualcosa che faceva invidia a tutti gli altri: era l'amore vero, l'amore raro di chi combatte e vuole vivere, era l'amore per la speranza.
Seraphine non sentiva più nessuna parte del corpo, nessuna traccia di coscenza, pensiero, volontà. Sentiva solo due calori distinti emanati dalle uniche parti attive: Il suo cuore...e le sue labbra.
Un attimo prima era tornata alla vita, e un attimo dopo ne aveva assaggiato il sapore sulle labbra di Alec. Poteva la vita avere un sapore così delizioso? L'amarezza se l'era sempre immaginata, ed era stata una stupida perchè non aveva mai veramente provato. Nemmeno Jasper le aveva concesso quel privilegio perchè il gusto dei loro baci era così ordinario che ormai non era più atti d'amore, ma gesti di meccanica quotidianità. Ed Alec...dove era stato tutto quel tempo? Dove si era nascosto quel vaso di Pandora della salvezza? Se solo l'avesse conosciuto prima...se solo si fossero amati prima.
"Io ti amo" rispose Seraphine quando il tempo ripartì, insieme alla realtà. Ora aveva recuperato la volontà, anche se non l'uso perfetto del corpo. Ma quello non era un problema, era viva e amava.. e niente poteva fermarla.
"Alec" sospirò terrorizzata Julia. Si teneva le mani in testa convulsamente.
Il pericolo non doveva essere dimenticato, e nonostante quell'attimo di felicità, l'obiettivo era ancora valido. Non era ancora finita.
"Stanno arrivando" disse Julia con gli occhi sbarrati.
"Piazzate la luce. Ora!" gridò Alec senza mollare la presa su Seraphine, facendole scudo. Seraphine diede l'arma alla squadra, che insieme a Phedre la piazzò nel punto più centrale dell'obitorio.
"Nascondetevi nei sacchi" continuò Alec, da vero leader. Seraphine lo guardò esasperata. Tornare alle tenebre sarebbe stato insopportabile.
"Puoi farcela Seraphine..quando uscirai io ci sarò...te lo prometto" disse Alec sfiorandole il viso.
Seraphine annuì e si risistemò con Phedre nel sacco mortale. Fecero appena in tempo, così come la squadra a nascondersi nel magazzin. La porta si aprì di scatto ed entrò John, insieme a Jasper..non ci sarebbero dovuti essere altri testimoni. Dovevano essere veloci, e tutto sarebbe una volta per tutte finito...
John guardò il figlio serio.
"E' questo che siamo, e ormai è troppo tardi per tornare indietro" questa era la risposta del padre al pensiero del figlio. Era tutto vero. Nessun rimpianto. Nessun ritorno.
Seraphine sentì la cerniera del sacco aprirsi, e sebbene dovette ancora fingersi morta..pianse. Qualunque cosa stava per succedere non sapeva se Alec ce l'avrebbe fatta. La luce non esplodeva. Le lacrime sgorgavano dai suoi occhi chiusi e Seraphine non poteva credere che sarebbe finita così...
Ma di una cosa era felice: Aveva provato l'amore.



"Non si attiva! Alec non si attiva!" disse Julia tra i denti per non farsi sentire. Il sudore sgorgava almeno quanto le lacrime di Seraphine. Era la fine, e Alec non riusciva a parlare. Che diavolo succedeva?
"Serve più energia...tutti insieme!" li incitò Alec. Usare altra luce come energia per alimentare l'arma era un rischio enorme per tutti quanti, e Alec lo sapeva bene. Ma aveva fatto una promessa a se stesso e a Seraphine, e alla sorella: Tutto per salvarle.
"Ma Alec, abbiamo già consumato.." provò a dire Ben
"Ho detto tutti! Al mio tre!" sibilò ancora più forte Alec. Tutto per...
Julia mandò un gridolino. Dalla fessura libera del magazzino aveva visto qualcosa che non avrebbe mai voluto vedere.
"Che succede?" chiese Alec "Ho detto che succede?"
Julia si accasciò a terra, la testa fra le mani.
"E' troppo tardi ALec...l'ha fatto" rispose Julia sull'orlo delle lacrime.
"Non è possibile..." sussurrò Alec "no..non è ...no...no!..no!!!" il sussurro divenne sibilo, e il sibilo urlo.
"Ci troveranno! Calmati Alec!" le dissero gli altri della squadra quasi in coro.
"Non mi interessa! Sono morte! Io avevo promesso...io..." Alec pianse.
Julia ne rimase sorpresa, perchè ora non sarebbe più stata l'unica ad averlo visto piangere, e così quel ragazzo visto male da tutti ora stava mostrando il suo lato più buono ed umano, stava dimostrando quanto fosse adatto al Ministero, alla luce, al bene.
"Ehi! guardate tutti!" disse il ragazzo più vicino alla fessura.
Tutti si avvicinarono a guardare e la scena che si presentò davanti a loro asciugò ogni lacrima, riaccese ogni speranza, e credò molti dubbi e paure, anche se in misura minore. I sacchi neri si muovevano ancora su e giù davanti agli occhi pietrificati di un ragazzo e quelli del padre, l'aguzzino, proprio lui...
l'uomo che era a terra in preda all'agonia.

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Capitolo 19
*** padre e figlio ***


Jasper vide suo padre a terra e il suo mondo non fu più lo stesso, perchè quando crolla la tua unica certezza crolla il tuo mondo, e se crolla il tuo mondo...crolli anche tu.
Il tempo si era fermato, ma non per rimanere così. Si era fermato per un motivo ben preciso, si era fermato solo per Jasper, solo per lui, e si era fermato per tornare indietro, per mostrare qualcosa..
Nella sua mente allora si fece largo un immagine, quella che il tempo voleva che lui vedesse. C'era un bambino biondo, e al suo fianco un uomo triste. L'uomo non era solo triste, l'uomo piangeva molto. Era sua padre, lo era...perchè dopo quel giorno papà si era trasformato in "John" o "il dottore". Suo padre era morto quel giorno, insieme a sua madre.
L'uomo che piangeva stringeva tra le braccia una donna che non respirava. Il sangue si era mischiato alle lacrime, imbrattando gli abiti dell'uomo, ma a lui non importava, perchè lui era vivo e lei no. Non sarebbe dovuta andare così, non doveva andare così.
L'uomo singhiozzò un ultima volta, si asciugò gli occhi e si voltò verso il bambino. Lo guardò fisso senza sbattere le palpebre, con qualche traccia di umidità, anche se la freddezza era ben visibile. L'uomo abbracciò il bambino, macchiandolo di sangue, e quello era il segno di una purezza compromessa per sempre.
L'uomo lo abbracciò forte e il bambino rimase immobile senza dire una parole, perchè le parole non era necessarie. Doveva ascoltare quello che aveva da dire l'uomo, e quello..non l'avrebbe mai dimenticato.
"Mai più.."
Il tempo aveva avuto uno scopo in quell'immagine. Doveva rispettare la promessa del padre. Mai più, gli aveva detto. Mai più morti, non poteva permetterlo. E ora che il padre iniziava a impallidire non aveva scelta, e la sua mente, bloccata a quel doloroso ricordo non aveva più spazio per la razionalità, o per il cuore, ma solo all'azione, tutto pur di non ripetere quell'esperienza, pur di mantenere quella promessa, quella che un padre e un figlio si erano dovuti fare tanti anni prima per non soffrire, per non dover più piangere, ma solo ridere, anche se questo comportava far soffrire gli altri.
Perciò non aveva scelta, suo padre era la sua certezza, il suo mondo, l'unico punto di riferimento, anche se non positivo. Ma era suo padre. L'aveva cresciuto, gli parlava, lo ascoltava.
La soluzione a tutto era nella sua tasca, carica con un solo proiettile.
Jasper estrasse la pistola in un solo colpo e la puntò verso Seraphine, che intanto si era liberata insieme a Phedre da quella trappola, non appena si accorse di essere viva.





Seraphine aprì gli occhi ancora una volta, e pianse. Aveva vissuto ancora, era stata risparmiata di nuovo. Come era possibile tanta fortuna? Meritava davvero di vivere? Anche Phedre? che era già morta una volta? Era per questo che aveva avuto queste chance? Credendo di essere sola nella stanza e con il braccio ancora indolenzito per il siero che fortunatamente e incredibilmente non aveva funzionato si liberò insieme alla sorella, ma quello che vide non le piacque. Non vide Alec che la accoglieva dolcemente, felice che fosse viva, non vedeva la sua squadra della salvezza che esultava per il fallimento del piano del dottore, che ormai era in agonia, non vide la salvezza. C'era Jasper davanti a lei, e le puntava addosso una pistola.
Come potevano quelle mani impugnare un arma contro di lei? Come potevano quelle stesse mani che un tempo erano state così dolci e delicate tentare di togliere una vita? Come poteva fare questo? L'amore in lui, quello che era esistito un tempo era sparito, l'amore l'aveva abbandonato per sempre.
Forse era per suo padre, che stava morendo, che faceva tutto quello. Jasper non l'aveva mai ammesso ma era chiaro che il dottore e lui fossero molto legati. Erano sempre stati freddi tra di loro, per un assurdo e tacito codice di silenzio ed onore, ma proprio ora, anche se uno dei due stava morendo, era chiaro che l'affetta tra un padre e un figlio esiste sempre, ed è in queste situazioni che si rileva.
"Noooo!" urlò Alec uscendo di corsa dal magazzino e ponendosi tra lei e Jasper.
Jasper aguzzò lo sguardo già gelido e si rivolse a Seraphine:
"Perciò è con lui che mi hai tradito. Tu mi fai schifo" quelle parole erano persino più dolorose della pallottola che attendeva nella canna della pistola. Non era più Jasper. Jasper era morto, stava morendo con il padre.
"Non lei" sussurrò Alec a dentri stretti allargando le braccia per proteggere meglio Seraphine.
"E' lei la causa. Lei...lei e la sorella.." sibilò Jasper fissando Seraphine e Phedre con rabbia. Aveva perso il controllo e il fuoco si stava accendendo nei suoi occhi, sebbene fossero del colore ghiaccio. Ma a volte il fuoco può nascere anche nei posti più incredibili...basta avere la scintilla.
"Sono del Ministero della Luce. Sono tuo nemico. Prenditela con me" rispose Alec freddo. Seraphine saltò un battito, Alec non sarebbe dovuto morire per lei. Nessuno doveva morire.
"Alec, no. Non è così che deve andare.." gli disse Seraphine, inquietantemente calma.
Alec non fece in tempo a rispondere, nessuno ne ebbe il tempo. Nessuno sapeva cosa dire. Solo Seraphine.
"Jasper.. Non è così che deve andare. Non vuoi questo..vero?" chiese Seraphine con dolcezza, avvicinandosi piano a lui. Alec la osservava con attenzione, attento ad ogni singola mossa di Jasper. Poteva farcela, forse un pezzo di Jasper, il Jasper razionale, era ancora tra loro.
"No..non può andare altrimenti. Ora non sono più nessuno..." rispose Jasper con gli occhi lucidi. Tirò su con il naso ed estrasse un secondo oggetto dalla tasca. Era una siringa.
"Jasper..tu puoi vivere. Tu vivi! Ho vissuto due volte, ho ricominciato due volte! puoi farlo anche tu.." gli disse Seraphine, ripensando alle sue vite. Una era senza passato, ma l'altra, quella che Phedre le aveva raccontato, poteva avere anche un futuro. E nonostante le scelte che Jasper aveva fatto, nonostante il male che le aveva fatto, non voleva che finisse così, non voleva che facesse il suo stesso errore: voler morire.
Jasper si avvicinò la siringa al collo, tranquillo. E ormai aveva preso la sua decisione.
"E' meglio così Me. E' meglio per tutti. Senza papà non sono nessuno...devo seguirlo" Lo stantuffo della siringa calò, ed insieme ad esso la vita di un figlio riconoscente, la vita di figlio che segue suo padre ovunque, anche nella morte, come omaggio, come ringraziamento.
"Addio" sussurrò infine Jasper e le sue ultime parole rimasero in quella stanza, tra gli occhi sconvolti della squadra, di ALec, di Phedre e di Seraphine, che pensava che proprio nella morte...Il Jasper di sempre era tornato, chiamandola come quando la amava... Me.

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Capitolo 20
*** un tributo ***


Era uno dei tanti momenti che nessuno dei presenti si sarebbe mai aspettato, uno di quei momenti che quando accadono senza spiegazione non resta che accettarli, perchè si sa...non si torna indietro.
Era stato come l'uscita di Phedre, come la scoperta del passato, e ora la morte di Jasper e del dottore... Nessuno di questi fatti aveva una spiegazione logica, nemmeno lontanamente scientifica, e Seraphine non aveva potuto far altro che accettarli, cosa avrebbe potuto fare altrimenti?
Forse avrebbe dovuto gioire di quelle due recenti morti, ma ancora non riusciva ad elaborare nessuna emozione, nemmeno lo sbigottimento. C'era solo il silenzio, il resto doveva ancora venire...
Nessuno disse niente, nessuno urlò. Tutti i respiri si erano fermati e gli sguardi, incollati ai corpi del padre e del figlio che finalmente si erano riuniti ancora una volta, ma nella morte, erano immobili.
Come avrebbero potuto reagire dopotutto?
Seraphine e Phedre avrebbero dovuto gioire della morte della persona che aveva rovinato le loro vite e ucciso la loro famiglia. Seraphine sarebbe dovuta gioire della morte del ragazzo che, seppur amava, l'aveva tradita con il suo stesso aguzzino. E Alec... Facevano parte del partito. Sarebbe dovuto gioire a priori, avrebbero dovuto tutti.
Ma nessuno lo fece. E non lo fecero perchè tutti avevano capito, soprattutto Phedre, che della morte non si gioisce, anche se equivale alla salvezza, alla fine di ogni dolore. La vita può finire, e di ciò non si deve gioire..
I loro cuori, i cuori dei presenti, stipularono un tacito accordo, come se fossero tutti in qualche modo sintonizzati sulla frequenza della compassione, e della giustizia. La morte merita rispetto, persino quella di chi la vita l'ha usata nel modo peggiore.
E ora Alec, accogliendo l'accordo dipinto sui volti di tutti non li toccò, ma prese la mano di Seraphine. La avvolse strettamente e con calore. Seraphine e Alec si guardarono seri e capirono. Seraphine strinse la mano a sua sorella, il primo loro contatto, favoloso e forte come una scossa elettrica. Phedre annuì alla stretta della sorella e strinse la mano a Julia, Julia a Ben e così via per tutta la squadra.
Era il loro accordo, e se si erano capiti con la forza di una sola occhiata, allora quel momento meritava di essere portato a termine, era necessario, era rispettoso. Era l'ultimo saluto a quella coppia che, sebbene avesse fatto le scelte sbagliate, non aveva mai rinunciato all'affetto, non si era mai arresa al dolore, decidendo di combattere, di imprimere la loro forza e determinazione in una promessa. E anche se da quella erano scaturite forze oscure, e la pratica della vendetta, c'era la forza, c'era la vita.
L'ultimo del cerchio piazzò qualcosa al centro, immezzo a quei corpi. Era qualcosa che avrebbe garantito la pace tanto sperata da quelle anime, la cessazione del dolore che aveva sempre provato per la loro perdita.
Era il loro regalo d'addio, ed era giusto che lo ricevessero.
Seraphine parlò per prima, dopo quel prolungato silenzio, dopo che il dono fu piazzato.
"Addio Jasper. Addio dottore" sussurrò.
Il cerchio di mani si strinse ancora di più e l'energia scorse potente e calda, come milioni di abbracci sinceri. La sentirono tutti, riscaldò tutti quanti, e Seraphine capì di che si trattava, quale fosse quel dono. Era la luce.
L'arma che diventa un dono, uno strumento di grazie e di pietà, l'arma che perde la sua concezione mortale e negativa, l'arma che stavolta è uno strumento di pace, di salvezza, di speranza.
Stavano attivando la luce.
Durò tutto un istante, e l'unica cosa che Seraphine ricordò era il bianco accecante di quella luce, il bianco che nel mondo ne era sicura, non esistenza. La luce circondò tutto, forse persino il mondo e l'universo, emanando raggi di pace, calore, benessere. Seraphine non si era mai sentita così, come se tutto fosse al suo posto, come se il male non potesse esistere, come se il suo cuore fosse talmente potente da poter sconfiggere qualunque cosa e contenere tutto l'amore del mondo possibile.
Quella era la luce,quella era la vita. Era il dono per quegli uomini che vi avevano rinunciato, ma che in fondo..l'hanno sempre cercata.
Chi non la vorrebbe? Chi non sceglierebbe la vita?
Seraphine si lasciò andare a quelle sensazioni, a quella luminosità che non aveva mai visto nè provato, e nel farlo sentì solo due cose, le più presenti e soprattutto quelle che rendevano la luce ancora più incredibile:
La mano di Alec, ben saldata alla sua che produceva nuovo calore vitale insieme alla frase che disse, alla fine..
Che la Luce sia con voi...



Quando Seraphine riaprì gli occhi era tutto indolenzita. Era in un letto, ma non era il suo.
"Si è svegliata!" esclamò qualcuno. Registrare le voci e rielaborare la realtà era la cosa più impegnativa che una persona potesse fare, soprattutto una che doveva ancora riprendersi dalla luce. Al Ministero tutti riuscivano a tollerarla e stare bene, ma chi, come Seraphine, non l'aveva mai vista, doveva sottoporsi ad un lungo riposo fisico e mentale.
Anche tu sveglia pensò qualcuno allegramente. Era Phedre, si era svegliata anche lei.
Sei viva, sei con me rispose Seraphine alleggerendosi dal torpore. Anche lei sorrise, e quando aprì gli occhi si girò e vide che nell'altro letto c'era Phedre, che ricambiava il sorriso.
Sei viva, sei con me la imitò Phedre, perchè in fondo era vero. Erano sveglie, erano vive. Erano insieme.
Rimaneva sapere dove si trovavano, ma qualcuno rispose alla loro muta domanda.
"Benvenute al Ministero della Luce" disse Julia squillante.
Era ufficialmente salve.
Seraphine pensò subito ad Alec, a tutte le cose che voleva dirgli o forse non solo dirgli. Semplicemente parlargli, aveva bisogno della sua voce, e di questo ne fu immensamente felice.
In che senso non solo dirmi? Che vorresti farmi? sentì Seraphine. Era Alec, e sorrideva.
Seraphine lo cercò con lo sguardo e lo trovò appoggiato alla porta, che rideva.
Seraphine arrossì e Julia rise. Era vero tutto quello? La gente rideva....era tutto vero? Era veramente salva? Dopo tanto inferno le porte del paradiso erano un posto sconosciuto.
Seraphine si alzò di scatto, nonostante il torpore ancora presente e si gettò alle braccia di Alec, barcollando un pò. Alec la strinse forte e poi la guardò dolcemente.
"Mantengo sempre le mie promesse" le disse. Ma non ci fu risposta. Non ci fu altro da dire, perchè le labbra non potevano più rispondere, non in quel momento perfetto.





Quando si furono ristabilite, Seraphine e Phedre ricevettero una notizia inaspettata.
Dalla stanza da letto entrò Alec con un espressione seria, e questo spaventò Seraphine. Così era tutto svanito..la felicità, la pace. Non poteva durare...pensò Seraphine tristemente. Che illusa era stata a pensare che quei momenti così perfetti sarebbero potuti durare..
"Alec che succede?" chiese Seraphine arrendendosi a quei pensieri.
Alec abbozzò un sorriso, come se fosse in qualche modo imbarazzato.
Non ti piacerà pensò Alec avvertendola Pensi di sopportare anche questo? continuò.
La risposta venne naturale, e ormai affrontare la verità, insieme alle sue tristi conseguenze era diventata una cosa automatica, inquietante e purtroppo vissuta.
Aveva accettato tutte le cose terribili accadute, e proprio ora che per un attimo stava svanendo ancora tutto, lo stava accettando lo stesso. Ce l'avrebbe fatta ancora, perchè era viva e non c'era cattiva notizia al mondo che potesse cambiare quella verità.
Sono pronta pensò Seraphine in risposta. Non seppe perchè quella conversazione fu mentale, forse per l'apprensione di Alec, che era diventata ormai automatica, sebbene la loro relazione non fosse ancora del tutto ufficiale, o forse perchè voleva avvertirla sempre dei pericoli, in modo che non ricapitasse tutto quanto. Ma non importava, bastava sapere, preparasi, accettare, difendersi.
Seraphine pensò che la risposta sarebbe stata mentale, in quella conversazione privata e segreta tra le loro menti connesse, invece Alec rispose a voce, e lo fece perchè anche con la voce avrebbe potuto segnalare l'entità della notizie.
"Hanno catturato un sopravvissuto, dopo che la luce ha distrutto il Partito. So chi è...ma spero solo che sia un brutto sogno, Seraphine..." sussurrò Alec preoccupato.
Il silenzio calò nella stanza, perchè a quel nome si dovevano preparare entrambi, anche se Alec già lo conosceva.
"E' Emily"

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Capitolo 21
*** la prescelta ***


Gli elettroni della stanza aveva iniziato a vorticare velocissimi, perchè avevano un obiettivo, sconvolgere le decisioni che si stavano per prendere, cambiare le vite dei presenti. Ci stavano riuscendo.
Stavano moltiplicando l'elettricità nell'aria, rendendola tesa, irrespirabile, ma era per uno scopo. Emily era nell'altra stanza, e Seraphine capiva, aveva capito perfettamente cosa doveva fare, perchè quell'elettricità, condensata fino al suo midollo, era insopportabile, era così insopportabile che c'era solo un modo per farla cessare..
"Voglio parlare con lei" aveva detto, e sperò che tutto sarebbe finito...una volta per tutte.




Poteva una prigioniera avere una storia? Una traditrice avere un passato? Un'assassina come lei...aver provato sentimenti?
Poteva Emily, l'alchimista del Partito....essere stata umana, un tempo?
Nessuno capiva, nessuno poteva immaginare che c'era stato un passato in cui tutto aveva un senso, un colore particolare, dove la vita era così perchè così doveva essere, difficile...ma felice, in qualche modo. Emily era stata tante cose nella sua vita: era stata figlia felice, era stata la fidanzata cotta di Alec, era stata la vittima del Partito, creduta morta, pianta da tutti, e ora..ora cos'era? C'era una risposta, ma ancora Emily non vi dava un significato, anche se le parole del colonnello erano state chiarissime. Prescelta.
Prescelta significava perchè l'avevano risparmiata. Prescelta significava che non avrebbe avuto altro destino all'infuori del Partito, non avrebbe avuto una vita, un amore...perchè Prescelta significava soprattutto che tutti i legami con il mondo si sarebbero dovuti spezzare, sigillando la sua appartenenza a quelle persone, un affetto rovente sugellato nella sua mano, che ancora bruciava. Era loro.
Ma quelli che le avevano impresso quel marchio non sapevano la sua storia, non gli importava nemmeno. Ma a lei si, anche ad Alec, sebbene non avesse ancora spiegato la sua presenza. Emily era viva, ed era con il Partito..era normale metterci un pò per capirlo.
E per capire, per capire la storia di Emily, e insieme quella di Alec, bisognava tener conto di una cosa molto importante: Che al destino non si sfugge, perchè chi è prescelto non ha nessuna scelta.


Mamma dice che sono speciale. Papà annuisce, ma in realtà è solo indifferente. I miei fratelli sono gelosi di me. Perchè lo sono? Non voglio che lo siano, perchè io sono normale, devo esserlo, voglio esserlo. Ma tutti insistono...cosa c'è che non va in me? Cosa c'è di così grandioso in quello che faccio? Alec dice che ciò che faccio a volte salva vite, e chi salva le vite è sempre speciale. Lo dice solo perchè mi vuole bene e io sono ancora convinta che ciò che faccio non sia niente di che. Raccolto erbe, e non so come...dalle mie mani nascono cose buono, cose sane...utili. E' come se la mia mente lavorasse al posto mio, manovrasse il mio corpo. Dovrei pensare quindi come gli altri? che sono speciale? Non ci riesco... Perchè le persone speciali non hanno mai un lieto fine.

Emily




Seraphine entrò nella stanza e la sue mente, spenta nel tragitto, si era riaccesa, pronta al confronto. Cosa si sarebbe dovuta aspettare? Emily era pericolosa? Seraphine non credeva che lo fosse, almeno finchè non la vide.
Erano praticamente uguali, se non fosse per alcuni particolari.
Avevano lo stesso colore di capelli e più o meno la stessa altezza, e anche l'ovale del viso era molto simile. L'unico particolare che la inchiodò nella porta fu la diversità, l'unica, dei loro occhi. Erano opposti.
Lo scuro tenebroso di Seraphine si contrapponeva al ghiaccio di Emily. Erano come estate e inverno, la terra calda di novembre, umida e rugiadosa e il ghiaccio di gennaio, irremovibile, paralizzante.
Seraphine rimase a fissare quegli occhi a lungo, e Emily non ne fu turbata, perchè anche lei stava fissando quelli di Seraphine, colpita da quell'unico particolare. Era come trovarsi davanti ad uno specchio, da una parte Emily, dall'altra Seraphine, che in comune avevano l'amore per Alec, per una passato...per l'altra presente, e forse futuro.
Seraphine finalmente si sedette. Non sapeva cosa dirle, e tutta la sua sicurezza svanì, lasciando il posto all'imbarazzo e al disagio.
Ma per fortuna Emily prese la parola prima di lei, e Seraphine gliene fu grata.
"Sono contenta che tu sia viva" disse Emily, e la sua voce era sincronizzata all'effetto dei suoi occhi, ferma e decisa. glaciale. Ma perchè aveva detto una cosa simile? Lei era il nemico, l'alchimista del Partito, e probabilmente quella che aveva preparato il siero che avrebbe dovuto uccidere Seraphine.
"Perchè mi dici questo?" aveva risposto Seraphine dopo averlo pensato.
"Perchè è vero. Non sono solo un nemico. Avevo una vita.." rispose Emily, ma menzionare il passato non le aveva fatto abbassare lo sguardo. Chi glielo aveva fatto cancellare aveva purtroppo fatto un ottimo lavoro.. Quanto doveva essere stato terribile rinunciarvi, quanto doveva essere stato difficile, doloroso?
"Perchè sei con loro, Emily? Ti hanno costretto? Io so che amavi Alec, e che amavi lui.. Io lo amo, e voglio solo la verità. Voglio solo...capire" disse Seraphine dopo un breve silenzio.
"Oh..l'amore. Non me lo ricordo più..." sorrise Emily fantasticando, e poi cominciò "dovrebbe essere facile raccontare una storia, non è vero? Inizio, svolgimento e fine... Perdonami, Seraphine, ma la mia storia non ha una fine. O forse è questa conversazione la fine. Lo vedremo. L'inizio è semplice. Una ragazzina dolce e spensierata cresce in un villaggio, felice. Si innamora di un ragazzo incredibile che la protegge sempre, e sono felici...si conoscono da sempre. E' l'apoteosi della felicità, della perfezione delle vite. Ma come ben sai, questo non dura, non può durare.. non esistono storie così perfette, è la natura delle nostre vite. La ragazza aveva delle abilità, era speciale.. Tutti la adoravano, perchè dalle sue mani nascevano grandi cose, medicine, rimedi, salvezza. Una fine sarebbe potuta essere il loro matrimonio, della coppia, e la loro vita felice, ma ti ripeto...è la natura delle nostre vite, è la grande calamite del male che ci attira e porta le nostre storie ad esiti tristi. Per questo quella sera il Partito mi trovò...e fu la fine. Alec rimase ferito tentando di salvarmi, e io venni presa. Dissero che ero morta. Non esistevo più...era tutto svanito, il mio mondo, la mia felicità. La calamita del male aveva preso tutto e non l'avrebbe più lasciato... Io sono la prescelta, Seraphine. Sono immune ai loro sieri perchè sono speciale. Non posso avere una fine. Non posso"
Seraphine rimase in silenzio.
Non c'era altro da dire, o da aggiungere. Non aveva nemmeno una speranza da dare a quella ragazza, perchè nemmeno lei ne aveva. Aveva abbandonato qualunque tipo di luce nella sua vita, ma non perchè non volesse, perchè non poteva, perchè la sua aura era uno scudo per le positività, perchè il destino aveva voluto così.
prescelta significa questo. Nessuna scelta. Nessuna speranza. Nessun futuro.

...Forse quando morirò smetterò di essere speciale... perchè dopotutto in paradiso saremo tutti uguali. Tutti puri. Ci sarà la felicità, ci sarà tutto, e stavolta avrò il mio lieto fine...

Emily

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Capitolo 22
*** rinascere ***


La conclusione della storia è ormai giunta, la storia di Seraphine, la ragazza senza nome e senza passato, la storia del suo doloroso tragitto per la verità, la storia di una persona che lotta per il suo destino. Come potrebbe concludersi una storia simile? Fatta di Ministeri, di Partiti, di luci che sconfiggono il male, di morti che tornano in vita per aiutare i vivi, per avere la loro rivincita sulla morte. Ogni finale sarebbe scontato in questa storia, perchè niente è come sembra, perchè i morti che tornano tornano per aiutare i vivi, e i vivi combattono per la propria identità, per la propria storia, i vivi non si arrendono mai. E quelle persone che sembrano buone, persino nell'aspetto, come Jasper, celano tremendi segreti, promesse che li vincolano a destini non sempre felici. E le persone invece come Alec, che incutono spesso timore, sono quelle che non riescono ad arrendersi mai e che la speranza la cercano sempre.
Questa storia è la storia di una vita, e di come il destino si possa presentare ad essa. Ma non c'è nulla di casuale in essa, perchè ogni persona aveva un destino, ogni infelicità era una prova, ogni prova celava un premio.
Quale sarebbe stato il premio di Seraphine? La salvezza? O L'amore? Quello di Phedre era stato la vita, il ritorno nel mondo delle luci e degli affetti. E per Emily? Il triste premio era stato la sopravvivenza, ma non ce ne sarebbero stati altri per la prescelta... e forse aveva davvero ragione lei, nel suo diario di ragazzina.. Forse in paradiso...
Prima di finire questa storia sappiate che non esiste un finale giusto o un finale sbagliato, ma solo decisioni. E chi decide per se stesso, decide del proprio finale. Cosa deciderà Seraphine?



Emily non aveva voluto dire altro. Eppure, anche se aveva detto poco, Seraphine aveva capito tutto quanto. Erano le parole esatte e necessarie, nessuna in più nessuna in meno. Erano quelle, ed erano arrivate tutte quante.
Nessuno ne era certo, ma in qualche modo Emily aveva dato a Seraphine la risposta che cercava, che aveva sempre cercato. E ora che aveva la salvezza tra le mani, ora che poteva dirsi tutto finito, Seraphine non aveva più domande, erano tutte finite con Emily, erano iniziate con Phedre, e ora il cerchio si poteva finalmente chiudere. Mancava solo una cosa da fare, mancava la chiave che poteva chiudere lo scrigno delle orribili atrocità e dolori del passato.
Non ci fu domanda, ma solo la risposta, e Seraphine per la prima volta non ebbe bisogno di dire "forse", perchè sapeva perfettamente quale fosse la chiave.
Nonostante le sue azioni, Emily le aveva fatto capire che le risposte c'erano sempre state, ma non le aveva sapute trovare. Emily le aveva dimostrato che arrendersi al destino era come affogare nell'oceano, morire tra le braccia di un dio, senza attese, come lanciarsi senza paracadute. Emily si era arresa alla sua predestinazione e aveva perso tutto, l'amore, la famiglia, il futuro, la felicità. Non poteva finire così, perchè c'era una scelta, Seraphine ne aveva una, e non poteva sprecarla. Le parole di Emily le avevano spalancato le porte della consapevolezza, le avevano permesso di ascoltare finalmente il profondo pozzo del suo essere, non più buio e doloroso, quello di Me, ma in penombra, rischiarato da una tenue luce, quella di Seraphine, una persona che sa chi è. E quella luce, quella che scopriva tutto, quello che rassenerava le tenebre, che identificava, che portava speranza...era la risposta, era la scelta. Aveva scelto la Luce.
Non ci sarebbe più stata sofferenza nel non-essere, non ci sarebbe stato più dolore nel vuoto se nel vuoto ci fosse stata la luce... Perchè se c'è la luce c'è calore, se c'è calore...c'è vita. Sceglieva la Vita.
L'avrebbe fatto per chi si era arreso, per chi era legato ad una persona cara anche nella morte, per chi aveva avuto una seconda possibilità, per chi dal dolore ha imparato a rinascere, per chi ha detto si alla luce e lo dirà sempre, per chi non rinuncia alla vita, a lottare, a cercare sempre la speranza. L'avrebbe fatto per il futuro, per non essere mai più sola, per non essere più una sconosciuta, per non essere più triste.
Seraphine tornò nella stanza, e sotto lo sguardo interrogativo di tutti sorriso sinceramente e disse a voce alta...

"Ho scelto la Luce"



Il giardino era luminoso, e la luce era sua compagna, perchè sapeva che le aveva fatto l'onore di sceglierla. Per sempre.
"Accetti la Luce, Accetti la Vita. Accetti di proteggere il prossimo, per la Luce, per la Vita. Accetti di vivere per la Luce, per la giustizia, per la speranza, per la pace. Accetti la Luce per la salvezza e per non dire mai mi arrendo. Accetti la Luce non ha mai potuto accettarla. Accettala e sarà tua, Accettala e sarai accettata. Vivi e Ama, Illumina e Proteggi. Spera e Lotta." disse il Ministro solennemente, e la sua mano infondeva un potere sulla testa di Seraphine che lei non riusciva a comprendere, era la gioia di ogni elemento terrestre, la perfezione e la completezza di ogni cosa sulla terra. Era come se il male non fosse mai esistito, estirpato da quel contatto di rara potenza.
"Accetti tu la Luce?" chiese il Ministro sollevando il viso di Seraphine. Non aveva mai visto davvero il suo volto, e si vide riflessa in quegli occhi incredibilmente puri e limpidi. Non era vecchio, ma nemmeno giovane. Eppure quegli occhi sembravano non possedere età, eterni. Lo sguardo serio tradiva l'espressione degli occhi, sereni, pacifici e assolutamente allegri. Niente forse, Niente ma. Solo certezza. Vivi e Ama, Illumina e Proteggi. Spera e Lotta ... Scelgo di vivere! Scelgo di rinascere! pensò Seraphine, e la risposta fu la più semplice e naturale mai data prima.
"Si" rispose Seraphine sorridendo. Da quel momento...era rinata.




La brezza marina aveva un odore che solo pochi sapevano aprezzare. La luce del tramonto era la cosa più bella che ci potesse essere, e per chi era rinato ogni cosa sulla terra aveva un aura diversa e potentissima, e non bastavano due occhi per vedere, per contemplare...
Due braccia si materializzarono sulla nuova nata, portando nuovo calore a quel quadro già perfetto, a quel nuovo mondo troppo immenso e immensamente bello.
"Benvenuta" sussurrò Alec. Anche il sospiro era bello, era elettrico e la nuova nata registrò l'informazione, affamata di un'altro, più bello e più potente.
La nuova nata sospirò beata e sorrise, ricambiando l'abbraccio.
"Com'è vivere?" chiese Alec baciandole i capelli. Le risposte erano infinite, e nessuna era adeguata a descrivere la gamma di sensazioni di quel nuovo mondo, di quella nuova vita. Esisteva un modo di comunicarle tutte insieme?
Il modo c'era, e risiedeva nelle labbra, senza nemmeno il bisogno di aprirle per parlare.
Bastò il contatto tra due labbra, dolce e soffice, perchè sincero e non ci fu bisogno di dire altro. Ecco com'era vivere.. era baciare la persona amata assaporandola insieme all'aria del mare e sentirsi liberi, era guardare l'orizzonte e credere che fosse infinito e sempre migliore, era riscaldarsi con la luce e filtrare quel calore rassicurante. Quello era vivere.
Alec si staccò piano dalla nuova nata e sorrise...
"Come sta la bambina salvata dal Ministro?" chiese la nuova nata.
"Sta bene...ma non sappiamo il suo nome" rispose Alec.
Seraphine rise piano, perchè sapeva cosa voleva dire, e l'ondata di dolore del ricordo non arrivò...allora era davvero rinata.
"Glielo daremo noi, perchè ha diritto ad averlo..." disse la nuova nata seria. Ed era vero, ora che aveva accettato la Luce non avrebbe mai più permesso che fosse negato il diritto ad avere un identità. Mai più.
"E tu...come la chiameresti?" chiese Alec stringendola più forte.
"Non ho dubbi...Emily" rispose la nuova nata. Emily era il nome più adatto, perchè avrebbe ricordato a tutti per cosa bisogna lottare, e perchè non bisogna mai arrendersi.
"Emily è nome bellissimo...e il tuo quale è? L'ho scordato..." disse Alec ridendo, le labbra curvate in un sorriso sulla pelle della nuova nata. La nuova nata si girò verso Alec, gli prese il viso tra le mani e lo osservò. Avvicinò le labbra alle sue, e quel sospiro che tanto aveva aprezzato le servì per accompagnare la più breve delle risposte, eppure la più importante, che finalmente potè dire senza paura, senza dubbi. Perchè era vera, era reale. Ed era bellissima.
"Mi chiamo Seraphine"

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