Imprevisti di Il_Genio_del_Male (/viewuser.php?uid=81001)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Imprevisti ***
Capitolo 2: *** Lieto evento ***
Capitolo 3: *** Lavori in corso ***
Capitolo 4: *** Sorpresa! ***
Capitolo 5: *** Benvenuti! ***
Capitolo 6: *** Famiglia - parte 1 ***
Capitolo 7: *** Famiglia - parte 2 ***
Capitolo 8: *** Interferenze ***
Capitolo 9: *** Crisi ***
Capitolo 10: *** Proposta ***
Capitolo 1 *** Imprevisti ***
RATING: Giallo.
GENERE: Commedia,
Romantico (?).
PAIRING:
Sherlock/John.
AVVERTIMENTI:
Fluff (giusto un
pizzico), Slash, What if?, un accenno di Lime.
DISCLAIMER:
I personaggi non
mi
appartengono, né i diritti della serie (ahimè)
che vanno tutti alla BBC. Non
guadagno niente dalla mia attività di fangirlamento
compulsivo.
DEDICA:
A Moffat e
Gatiss, perché sono degli slashers in incognito e ci hanno
regalato un telefilm
meravigliosamente brillante e ambiguo; a Martin Freeman, che
è un John Watson
perfetto; a Benedict Cumberbatch, perché è un
attore straordinario -nonché figo
da paura.
NOTE: Ehm,
buonsalve a tutti! *si guarda attorno*
E’ con
timore reverenziale che mi accingo ad approdare nel meraviglioso
fandom di Sherlock…
Lo ammetto, sono nervosa. Molto nervosa. Di solito scrivo storie
deliranti e corbellerie
varie nella sezione Merlin e nelle
Originali, ma in preda all’entusiasmo derivante
dall’aver scoperto -con più di
un anno di ritardo- perché questo
telefilm riscuotesse così tanto successo e disperata
all’idea di dover
aspettare almeno altri dodici mesi perché trasmettano la
terza serie, ho deciso
di versare il mio modesto tributo di sangue (ehm) al fandom, sperando
di non
abbassare troppo la qualità media delle storie pubblicate
finora.
Buona lettura
(mi auguro)!
Erano ormai
due settimane che andava avanti.
Quasi ogni
mattina, al risveglio, un forte senso di nausea lo colpiva,
costringendolo ad
abbandonare il tepore del piumino per scapicollarsi in bagno,
abbracciare la
tazza del water e rimettere anche l’anima; il tutto nel giro
di quattro secondi
e nove decimi. Aveva subito pensato ad una forma di gastroenterite e di
conseguenza aveva fissato un appuntamento con uno specialista, ma il
medico, limitatosi
ad alleggerirgli il portafoglio di una discreta somma, non aveva
trovato nulla
di sospetto nel suo intestino.
Poi erano
cominciati gli svenimenti. In ambulatorio, al supermarket sotto casa
(con le
cui casse automatiche aveva ancora un conto in sospeso). Addirittura
per
strada, soccorso da alcuni passanti caritatevoli -mioddio
che vergogna!- e una volta mentre si trovava in casa da
solo e si accingeva a mettere sul fuoco il bollitore per il
tè. Quando aveva
ripreso i sensi si era ritrovato a distanza molto ravvicinata con una
preoccupatissima Mrs Hudson che gli sventolava sotto il naso un flacone
di sali.
A quel punto
si era misurato la pressione, ma era assolutamente nella norma. Sarah,
con cui
erano rimasti amici, aveva ipotizzato una mancanza di ferro nel sangue,
però lui
l’aveva subito rassicurata: non era anemico né
denutrito, anzi. Negli ultimi
tempi aveva messo su qualche chilo. I suoi addominali, che non erano
mai stati
particolarmente scolpiti nemmeno durante il servizio militare, erano
considerevolmente più rilassati del
solito. Aveva perennemente fame, ma non ci aveva prestato troppa
attenzione. Probabilmente
il suo organismo faticava ad abituarsi allo stile di vita frenetico,
per non
dire delirante, che aveva adottato da quando era andato a vivere al 221B di Baker Street.
Finché
una
sera, mentre erano piacevolmente impegnati, Sherlock non aveva espresso
la sua
opinione al riguardo. “Sottoponiti ad un’analisi
del sangue completa, John, e
smettila di farci stare in pensiero per te”.
L’aveva
detto con estrema nonchalance, tra un preliminare e l’altro,
con la testa
infilata tra le sue cosce e la lingua intenta a tormentargli in modo
assolutamente indecente il sesso. John aveva alzato la testa dal
cuscino, un
po’ ansimante, guardandolo malissimo; solo Sherlock poteva
uscirsene con
un’osservazione simile in un momento tanto intimo. Tuttavia,
qualcosa
nell’espressione dell’altro -nei suoi occhi di
ghiaccio fuso, nelle labbra
appena increspate, nella sottile ruga d’espressione che gli
solcava la fronte-
l’aveva spiazzato: mirabile visu,
l’imperturbabile Sherlock Holmes era preoccupato. Per lui.
“Uhm,
ok. Se
la cosa ti può tranquillizzare, lo
farò” aveva borbottato, arrossendo
lievemente.
Quando
l’altro aveva abbassato lo sguardo, pronto a riprendere da
dove si era
interrotto, il dottore glielo aveva impedito. “Lascia
perdere, vieni qui e
baciami”.
“Perché?”
“Perché
mi
va”.
“Ma il
tuo
amico qui sotto sembra gradire molto le mie
attenzioni…” aveva mormorato l’altro
con quel suo sorrisetto compiaciuto e allusivo.
“Sherlock.
Sta’ zitto e baciami”.
Ebbene,
aveva seguito il consiglio del suo uomo convivente
amante
coinqulino. Si era sottoposto ad un check-up approfondito: colesterolo,
diabete, conta dei globuli bianchi, anemia (meglio non rischiare),
emoglobina e
chi più ne ha, più ne metta. Qualche giorno dopo
l’avevano chiamato
dall’ospedale perché passasse a ritirare le
analisi.
Le cinque
del pomeriggio, l’ora del tè per antonomasia.
Sherlock, comodamente
acciambellato sulla poltrona, sorbisce la bevanda reggendo la tazza con
una
mano, mentre le dita dell’altra pizzicano distrattamente le
corde
dell’onnipresente violino. John, seduto sul divano e con la
busta -aperta-
contenente il referto medico posata accanto a sé, si
schiarisce la voce.
“Sherlock,
devo parlarti”.
“Era
ora che
ti decidessi a farlo, John. Sono almeno dieci minuti che mi fissi come se volessi
perforarmi con lo
sguardo” è l’immediata replica.
“Sì,
beh”
mormora lui.
“Hai
saputo
l’esito degli esami. Prima che tu me lo chieda,
l’ho dedotto da-”
“Non
mi interessa
saperlo” lo interrompe.
“Davvero?”
e
gli punta addosso quegli incredibili occhi da extraterrestre.
“Davvero”.
“Bene”.
“Bene”.
“…E
quindi?”
“E
quindi
cosa?”
“Cosa
devi
dirmi? Hai le spalle e la mascella contratte, sei teso: è
evidente che si
tratta di qualcosa di grave”. Posa il violino a terra e si
sporge verso di lui
con il busto in avanti, i gomiti che sostano sulle ginocchia e la testa
inclinata, in ascolto.
“Oh,
già.
Beh, è- E’ assolutamente pazzesco, si tratta
certamente di un errore”.
“John.
Gli
esiti. Cosa dicono?” incalza l’altro.
“Aspetto
un
bambino, Sherlock” confessa tutto d’un fiato,
avvampando, indeciso se mettersi
a piangere o scoppiare a ridere istericamente.
“Ma
certo. Perché
non ci ho pensato prima?” esclama il detective, balzando in
piedi in men che
non si dica. “Le voglie, l’aumento di peso, le
nausee, i mancamenti; Mrs Hudson
mi ha avvertito, nonostante tu le avessi chiesto di non
farlo… Tutto era
riconducibile ad una possibile gravidanza” medita a voce
alta, i neuroni che
lavorano come furie.
“Sherlock,
ma di che parli? E’ impossibile che io sia incinto, guardami!
Sono un uomo, non
sono biologicamente attrezzato per concepire, né tantomeno
mettere al mondo un
bambino” sbotta John, sull’orlo di una crisi di
nervi.
“Una
volta
eliminato l’impossibile, ciò che rimane -per
quanto improbabile- deve essere la
verità. Le analisi non mentono. Stiamo per diventare
genitori”.
John non sa
perché, ma il tono di voce pacato e ragionevole del suo
sociopatico ad alta
funzionalità preferito è un balsamo per il
proprio stato d’animo in tumulto. Si
calma.
“Quante
settimane?” chiede il compagno.
“Quindici”.
“Quasi
quattro mesi, quindi. Presto scopriremo il sesso del bambino”
osserva Sherlock
con quella che sembra genuina felicità. Si inginocchia di
fronte al dottore, le
loro teste sono alla stessa altezza.
“Sembri
felice” commenta l’altro dolcemente, ancora
incredulo.
“Lo
sono
eccome, John. Non potevi darmi notizia migliore! Tu cosa preferiresti,
che
fosse un maschio o una femmina?” e i suoi occhi brillano di
una luce mai vista
prima, mentre gli afferra le mani e le stringe forte.
“Non
saprei. Non fa differenza, credo” John si
lascia scappare un sorriso, rinunciando una volta per tutte a svelare
l’enigma
che è Sherlock Holmes, il suo coinquilino
amico collega amore.
Ok, sono
pronta a qualsiasi cosa: critiche spietate, linciaggio, lancio di
frutta e
verdura marcia. Non
abbiate pietà, mi
raccomando! E fatemi sapere se i Mitici Due sono troppo OOC. Spero di
farmi
presto viva con qualcosa di più decente.
Alla
prossima!
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Capitolo 2 *** Lieto evento ***
NOTE: Ecco la
seconda ed ultima parte!
Il seguito, lo
ammetto, non avevo affatto pensato di scriverlo; non
immaginavo che la storia avrebbe ricevuto una così calorosa
accoglienza (sento
di amare sempre di più questo fandom)… Figuratevi
la mia sorpresa, quindi,
quando Grinpow e Angelica
Barbanera hanno insistito
perché raccontassi il “dopo”, con i
Mitici Due alle prese col pupo. L’idea mi
stuzzicava, e ho ceduto volentieri alla loro richiesta (motivo per cui,
ragazze, il capitolo è dedicato anche a voi). Questo
è il risultato: spero di
non aver prodotto una completa schifezza.
Buona lettura!
221B di Baker
Street, alcuni mesi dopo.
Notte fonda.
Sherlock Holmes,
il grande detective, spalanca gli occhi di colpo. La
sua mano scivola lungo l’interno dell’avambraccio
sinistro, a sfiorare i soliti
tre cerotti alla nicotina. Batte le palpebre un paio di volte.
“John” chiama
l’uomo addormentato accanto a sé.
“….”
“John”.
“….”
“John,
svegliati” si gira sul fianco, puntellando il materasso con
il
gomito. Lo afferra per una spalla e lo scrolla senza troppa
delicatezza.
“Mmmhh”
mugugna l’altro, decidendosi finalmente a dare un segno di
vita. “Sherlock?”
“Affermativo,
dottore” si lascia sfuggire un sorriso inaspettatamente
dolce che John, a causa del buio, non nota.
“Perché
-yawn- mi hai svegliato?” domanda, stiracchiandosi.
“Hai avuto
un’altra delle tue geniali intuizioni notturne? Sei riuscito
a risolvere il
caso Morgan?”
“Tsk,
ho mandato un sms a Lestrade almeno sei ore fa dicendogli di
mettere sotto torchio il cognato della vittima. E’ un osso
duro ma confesserà,
non ho dubbi. No, ti ho svegliato perché sono le due di
venerdì mattina”.
“Oh,
Sherlock. Apprezzo davvero molto che tu mi faccia da radiosveglia
personale, ma non ho bisogno anche del segnale orario. Ti ricordo che
ho un
ambulatorio da aprire tra poche ore e dei pazienti da ricevere,
io”.
“John
John John” Holmes scuote la testa con commiserazione.
“Possibile
che i tuoi neuroni non riescano a formare una sinapsi degna di questo
nome? E
sì che è semplice: sono le due e cinquanta
secondi di venerdì mattina e Boswell
si sveglierà tra un minuto e dieci secondi”.
“Puoi
ripetere, scusa?” aggrotta la fronte John. Allunga una mano
verso il comodino alla sua sinistra, cercando a tentoni
l’interruttore
dell’abat-jour. Persino alla fioca luce della lampadina gli
occhi di Sherlock
appaiono trasparenti come cristallo.
“Ho
detto che sono-”
“No,
non quello. Come fai ad essere sicuro che Boswell si
sveglierà
tra poco?”
“Che
domande: l’ho monitorato, è ovvio!”
“Cielo,
dimmi che stai scherzando” mormora poco convinto, prevedendo
la
risposta.
“Perché
dovrei, scusa? E’ vero” replica il detective,
genuinamente
perplesso. “Nostro figlio ha un bioritmo alquanto
interessante, sai. Nei giorni
dispari si sveglia alle due e due minuti in punto -tra meno di trenta
secondi,
quindi- mentre nei giorni pari posticipa il risveglio di
un’ora e diciotto
minuti. Affascinante, non trovi? E’ preciso come un orologio
a cucù.
Chiaramente ha preso da me” conclude il suo ragionamento,
visibilmente
orgoglioso.
“Il
Signore ce ne scampi e liberi” biascica John, esterrefatto.
Un pianto
sommesso ma ben udibile li distoglie dalle loro
considerazioni.
“Che
ti dicevo? Quel bambino è incredibilmente
metodico”.
“Non
dire assurdità e vallo a prendere, io penso a scaldare il
biberon” lo interrompe il dottore, soffocando uno sbadiglio e
infilandosi la
vestaglia, diretto in cucina.
Decidere il nome
da dare al bambino era stato un mezzo incubo. John, ancora
prima di venire a conoscenza del sesso, a scanso di equivoci aveva
dichiarato
che non avrebbe mai accettato di
chiamare la propria figlia Irene, come Sherlock aveva incautamente
suggerito.
Il detective, dal canto suo, dopo che l’ecografia aveva
rivelato che sarebbero
diventati genitori di un maschietto, aveva bocciato categoricamente
Hamish con
la scusa che “è decisamente obsoleto, John, e poi
è già il tuo secondo nome”.
Alla fine, non
si sa come, era saltato fuori Boswell (dall’omonimo
James, biografo di Samuel Johnson) ed era piaciuto ad entrambi. John,
però,
restava dell’idea che Hamish fosse un gran bel nome,
checché ne dicesse quel
nicotinomane del suo compagno.
“Ed
eccoci qui, Bos. Vuoi andare in braccio alla mamma?”
Sherlock fa
capolino dal salotto, un fagottino di tre mesi ancora
caldo di sonno stretto al petto e infilato in una deliziosa tutina blu
mare con
tanti piccoli bulldog stampati sopra.
“Ma
certo che vuole il papà.
Controlla che il latte sia sufficientemente caldo, piuttosto, e cerca
di non
ustionarti come al solito, per favore” ribatte John,
allontanandosi dal
fornello e avvolgendo suo figlio in un morbido abbraccio.
Il bambino -uno
Sherlock in miniatura, addirittura gli stessi identici
zigomi- lo guarda quasi con serietà, tutto intento a
succhiarsi il pollice e a
gorgogliare tra sé e sé. E’
così piccolo, così perfetto. E sono stati loro
due
a generarlo.
“Pappa
in arrivo!” lo avverte la voce bassa e modulata che John ha
imparato ad amare nel corso dei tre anni (di già?)
trascorsi a Baker Street.
“Grazie”
si volta verso il compagno, accettando il biberon. Lo porge a
Boswell, che attacca a poppare voracemente e con piena soddisfazione.
Passano
così diversi minuti, con il dottore che culla premurosamente
il frugoletto e Sherlock che li osserva rapito, come se non credesse ai
suoi
occhi. Uno dei suoi rari sorrisi esitanti gli curva
all’insù gli angoli della
bocca. “John, stavo pensando una cosa”.
“Dimmi”.
“Visto
e considerato che l’esperimento sembra riuscito, Boswell
cresce
bene e noi ce la stiamo cavando meglio di quanto mi
aspettassi… Perché non ci
riproviamo? Mi piacerebbe avere un mini John in giro per casa e Mrs
Hudon lo adorerebbe,
ne sono certo” propone, serissimo.
L’altro
sussulta un poco, preso alla sprovvista. Un
secondo figlio? Magari un altro maschio, da chiamare Hamish?
“Oh,
Sherlock…” bisbiglia intenerito.
“Significa
che accetti?”
“Certo
che sì” si blocca. Un’idea improvvisa lo
fa scoppiare a ridere.
“Però stavolta tocca a te!”
Ehm.
E’ una stupidata, come avete potuto constatare.
D’altronde, visto
il modo in cui era cominciata, c’era da aspettarselo. Un
premio speciale a chi
indovina tutti i riferimenti all’opera letteraria e ai due
film diretti da Guy Ritchie!
Questa, se vi
interessa, è la mia pagina autore su Facebook, per seguire
in diretta i miei scleri (http://www.facebook.com/pages/Il-Genio-del-Male-EFP/152349598213950).
Grazie a chi
è arrivato fin qui. Un bacio e a risentirci!
|
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Capitolo 3 *** Lavori in corso ***
NOTE:
Chi non muore
si rivede… Sì, ricordo di aver presentato il
precedente capitolo come secondo e
ultimo. Non avevo tenuto conto, però,
dell’entusiasmo manifestato da voi
lettori nei confronti di questo bizzarro esperimento, né mi
aspettavo che le
richieste di continuare la storia fossero così tante. Indi
per cui, grazie a Grinpow, Maia in
Wonderland,
Princess_Perona, griffoncina2009 e Taila, perché per merito vostro ho
deciso di
proseguirla, yay! (Prendetevela con loro se pensavate (invano) di
esservi
liberati di me).
Facezie
a parte, a questa seguirà una quarta parte che
provvederò a scrivere quanto prima. Vi avviso in anticipo,
però, che potrei
ritardare un pochino i tempi di aggiornamento: sono sotto esami e
inoltre il
mio pc è in manutenzione, sicché devo utilizzare
quello di mio papà. Spero che
il capitolo sia all’altezza delle vostre aspettative.
Buona
lettura e a risentirci a fine pagina!
Tutto
si poteva dire di Sherlock Holmes meno che non fosse
un uomo determinato. Estremamente determinato. Benché non
morisse dalla voglia
di sperimentare sulla propria pelle gli effetti psicofisicamente
devastanti
degli ormoni della gravidanza, si era messo in testa di dare un
fratellino od
una sorellina a Boswell, e niente e nessuno l’avrebbe
distolto dal suo
proposito.
Erano
così cominciate delle lunghe e abbastanza spossanti
-per John- sessioni di sesso a scopo riproduttivo, termine
espressamente
coniato dal detective. Che poi, a voler essere del tutto onesti, il
dottore si
sarebbe anche potuto abituare volentieri a quella novità.
Gli restavano ancora
tre mesi del congedo per maternità (paternità,
insisteva a chiamarla lui) e la
prospettiva di trascorrerli occupandosi di Boswell che,
bontà sua, era un
bambino tranquillissimo e in piena salute e, alternativamente,
scopandosi
Sherlock, era alquanto allettante.
Ma…
C’era un ma, ovviamente. Era una cosa da poco, forse, ma
a lungo andare aveva finito per esasperarlo.
“Mi
raccomando, John. Fa’ del tuo meglio” era la frase
che
gli rivolgeva il compagno ogni dannatissima volta che si accingevano a
fare
sesso, guardandolo serio con quei suoi occhi di ghiaccio bollente e il
respiro
mozzato per l’eccitazione.
Ora,
tutto si poteva dire di John Watson meno che non fosse
un uomo paziente. Estremamente paziente. Era stato in grado di gestire
un sociopatico
ad alta funzionalità da tre anni a questa parte e di dargli
pure un figlio
senza mai soffrire di crisi di nervi. La sua pazienza era granitica,
ammirevole, eroica.
Però.
Però.
Però
(respira, John).
Non
era colpa sua se i tentativi fatti fino a quel momento
erano andati a vuoto. Lui si impegnava, maledizione! Si sfiancava, a
dirla
tutta. Sherlock gli saltava addosso almeno tre volte al giorno (anche
quattro,
se non erano impegnati ad aiutare Lestrade a risolvere un caso) e lui
non si
tirava mai indietro. Mai.
“Che
c’è, John? Ti vedo distratto” aveva
osservato il compagno
mentre erano a letto.
“Stavo
pensando”, aveva risposto lui, spingendo più a
fondo,
“che fare l’attivo è abbastanza noioso.
Perché non mi dai il cambio, una volta
ogni tanto?”
“Non
dire assurdità! E se rimani incinto al posto mio?”
aveva ringhiato Sherlock, trattenendo un gemito.
“Correrò
il rischio, che vuoi che ti dica? Sii ragionevole:
tra cinque giorni riprendo a lavorare, non avremo più tempo
per starcene a
gambe all’aria con la stessa frequenza. Ci abbiamo provato,
non ha funzionato.
Prendiamone atto” l’aveva blandito, chinandosi sul
suo collo niveo per
depositarvi un bacio.
“Io,
arrendermi? Giammai. Ho preso un impegno ed intendo
rispettarlo. Ne va del mio orgoglio virile, John”.
Il
dottore aveva sospirato, sconfitto. Quando Sherlock si impuntava
non c’era verso di farlo ragionare.
Se
John, nella sua ingenuità, aveva sperato che il compagno
scendesse a più miti consigli, dovette ben presto ricredersi.
Erano
trascorse appena due settimane dal suo rientro al
lavoro quando, una sera, tornato a casa e bisognoso di un bagno caldo e
di una
bistecca ben cotta, assistette ad una scena che gli fece passare di
colpo
l’appetito.
Sherlock
aveva ingombrato nuovamente il tavolo della cucina
con le sue mille e una provetta, il microscopio, due becchi Bunsen e
svariati
campioni che aspettavano di essere analizzati. In quel momento era
assorto
nella contemplazione di un non meglio identificato liquido ambrato
contenuto in
una fiala che teneva sollevata all’altezza degli occhi:
ordinaria
amministrazione. Peccato, però, che non fosse solo. Infilato
in una specie di
zainetto porta neonati appeso alle sue spalle, infatti, stava Boswell.
Il
dottore vide rosso. “Sherlock, razza di
sociopatico!”
avanzò a grandi passi verso il detective.
“Bentornato
a casa, caro. Non vieni a darmi un bacio?” lo
salutò l’altro velatamente
ironico.
“Ringrazia
il Cielo che non ti ho ancora preso a calci in culo,
idiota!” sbraitò. “Come ti è
saltato in mente, incosciente che non sei altro,
di coinvolgere mio figlio in uno
dei tuoi
assurdi esperimenti?!”
“John,
per la miseria, calmati. Vuoi che Mrs. Hudson ti
senta dare di matto?”
“Me
ne frego di Mrs. Hudson! Voglio sapere in preda a quale
delirio di deficienza eri quando hai avuto la bella pensata di mettere
in pericolo
un bambino di sei mesi-”
“John,
smettila di strillare come una pescivendola e
ascoltami. Boswell sta benone -dorme, te ne sei accorto?- e non ha
inalato
alcuna sostanza velenosa, né tantomeno è venuto a
contatto con un acido. Sto solo
analizzando i residui del tè che abbiamo bevuto a colazione,
niente di tossico.
Ho tutto sotto controllo” lo zittì Sherlock,
gelido come un iceberg.
John
lanciò un’occhiata al piccolo che dormiva nella
grossa,
in effetti, ed era il ritratto della beatitudine. Un forte senso di
colpa lo
assalì.
“Oddio,
scusa. Scusami. Sono un idiota, so che non faresti
mai nulla che possa nuocere a Boswell. Scusami, Sherlock”
mormorò con
un’espressione da cane bastonato.
A
quel punto il detective compì un gesto inaspettato:
posò
la fialetta da qualche parte sul tavolo e, voltatosi verso di lui, gli
circondò
il volto con entrambe le mani, chinandosi fino a far congiungere le
loro
fronti.
“Scuse
accettate, dottore. Sei stressato, evidentemente è
stata una giornata pesante in ambulatorio” lo
cullò la sua voce vellutata.
“Adesso va’ a goderti il bagno che tanto agogni, io
nel frattempo ti preparo
una bistecca come piace a te. Ben cotta, ho indovinato?”
accennò un sorriso.
“Io…
Sì, insomma, grazie” balbettò lui.
“Come-?”
“Dovresti
averci fatto l’abitudine, ormai. Fila a lavarti, ho
una bella notizia per te”.
Un
quarto d’ora dopo, rinfrancato nel corpo e nello spirito,
John trovò ad aspettarlo un cenetta assolutamente deliziosa
(che consumò su un
vassoio seduto in poltrona, perché il tavolo era
off-limits): bistecca cotta a
puntino, patate arrosto e spinaci al burro, con un bicchiere di vino
rosso ad
accompagnare il tutto e addirittura del budino al cioccolato per
dessert.
“A
cosa devo questo banchetto?” domandò tagliando la
carne,
piacevolmente sorpreso.
“Te
lo sei meritato” scrollò le spalle
l’altro. “Come ti
sembra, è venuta bene?” si informò poi,
accomodandosi sul divano.
“Squisita”
assicurò dopo aver inghiottito il boccone. “Ma tu
non mangi nulla? Vuoi una patata, un po’ di
spinaci?” gli offrì, premuroso.
“No,
grazie. E’ tutto il giorno che vado avanti a tè non
zuccherato,
sono a posto così”.
“Cosa?
Sherlock, sei impazzito?” esclamò, rischiando di
strozzarsi col cibo.
“Certo
che no. Ha a che fare con la bella notizia di cui ti
dicevo prima, sai”.
“No,
non so. Se ti
spieghi meglio magari riuscirò a capire perché ti sei dato alla dieta
liquida. Come se ne
avessi bisogno, poi” borbottò, occhieggiando con
un po’ d’invidia l’ossatura
sottile del compagno.
“Sta’
tranquillo, non intendo restare ancora per molto a
dieta. Però credo di aver trovato un modo per rimanere
incinto” annunciò
enfaticamente.
“Dici
sul serio?”
“Precisamente.
Il segreto, molto semplicemente, sta nel non
assumere zuccheri di alcun tipo”.
“Scusa?”
infilzò una patata, scettico.
“Comprendo
la tua incredulità, John. Sembrava impossibile
persino a me, tuttavia ho scoperto che l’assunzione di
zuccheri -che siano
semplici o complessi- aumenta la produzione di testosterone.
Affascinante, non
trovi?”
“Continua”
masticò l’altro, assorbito dal racconto.
“Passando
in rassegna le tue abitudini alimentari, ho notato
che solitamente rifuggi qualsiasi cosa che contenga zucchero. Non lo
metti mai
nel tè, non mangi dolci; ti concedi un piatto di pasta quando
pranziamo da
Angelo, ma è l’unico strappo alla regola. Sicché
-conclusione logica- il tuo
livello di testosterone è sicuramente più basso
del mio. Mi segui?”
John
annuì, bevendo un sorso di vino.
“A
sostegno della mia tesi ho qui con me le tue analisi del
sangue risalenti all’anno scorso, quando hai scoperto di
essere incinto.
All’epoca non ci ho prestato sufficiente attenzione, ma
andandole a rileggere
ho trovato quel che cercavo. Guarda”, gli passò un
foglio, “i valori
evidenziati in giallo sono quelli di estrogeni e testosterone: i primi
sono
quasi il doppio dei secondi. Avevi un sacco di ormoni femminili in
corpo”
terminò il suo ragionamento.
“Vieni
al dunque, Sherlock” lo incitò il dottore, un
pochino
offeso nella sua mascolinità.
“Ebbene,
è da qualche giorno che mi nutro esclusivamente di
verdure bollite e tè amaro -che schifo,
a proposito- per abbassare il livello di glucosio nel sangue.
Preparati, perché
da stasera ti verrà richiesto il doppio
dell’impegno, campione” mormorò
allusivo.
“Eh?”
avvampò John. “Oh. Aspetta un momento: la cena
così
sostanziosa e proteica serve a-”
“A
fornirti il quantitativo d’energia necessario per
assolvere al tuo dovere, esatto. Mangia tutto, mi raccomando, avrai
modo di
smaltire” gli sorrise maliziosamente.
Diciotto
giorni dopo, Sherlock Holmes eseguì un test di
gravidanza che risultò essere positivo.
________________________________________________________________________________
Ooook,
mi auguro davvero di non beccarmi qualche pomodoro
volante in faccia.
Questa,
se vi interessa,
è la mia pagina autore su Facebook, per seguire in diretta i
miei scleri (http://www.facebook.com/pages/Il-Genio-del-Male-EFP/152349598213950).
A
tutti voi che
sopportate con pazienza i miei deliri ed anzi li incoraggiate, un
bacione <3.
Alla
prossima!
|
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Capitolo 4 *** Sorpresa! ***
NOTE:
Come si suol
dire, l’appetito vien mangiando… Ed io, a furia di
scrivere cazzate random, mi
sono affezionata a questa storia, motivo per cui avrei una mezza
intenzione di
farne una long fiction come si deve. Che ve ne pare? E’
un’idea sensata o è
meglio che mi fermi qui, limitandomi a concludere con al massimo una quinta e ultima parte? Fatemi
sapere, la vostra opinione è fondamentale.
Vi
avviso, questo capitolo è un po’ più
pazzerello del
solito. Partecipa al primo giorno della Sherlock
Week @ sherlockfest_it
(finalmente una botta di vita, yay!).
Buona
lettura!
Il
cellulare del dottor Watson prese a squillare quasi a
tradimento mentre era impegnato a godersi la sua meritata pausa pranzo,
piluccando un’insalata di pollo in compagnia di Sarah.
“Scusami
un attimo” si rivolse alla donna, lanciando
un’occhiata al display lampeggiante. Si alzò e si
allontanò dal tavolo; ci
teneva alla sua privacy.
“Pronto?”
rispose incerto, non avendo riconosciuto il
numero.
“John,
sono io”.
“Sherlock?
Tu non mi chiami mai al telefono. E’ successo
qualcosa?” si agitò, la voce venata
d’ansia.
“Niente
di rilevante, non preoccuparti. E’ stato Boswell a
chiedermi di telefonarti, in verità” lo
informò il detective.
“Come
no” scoppiò a ridere. “Perché
non ammetti
semplicemente che ti mancava il suono della mia voce, invece di tirare
in ballo
nostro figlio?”
“Se
fosse come dici tu non avrei problemi a darti ragione,
ma è stato davvero Boswell”
ribadì, risoluto.
“Mi ha guardato, poi ha indicato il cellulare e ha detto:
‘Telefono. Papà’,
portandosi una mano a mo’ di cornetta vicino
all’orecchio. Più chiaro di
così…”
“Sherlock”,
il dottore alzò gli occhi al cielo, “è
troppo
piccolo e decisamente troppo umano per
emulare E.T. Piantala, ok? Ti stai rendendo ridicolo”.
“Perché
mai dovrei mentirti, John?” si schermì lui,
suonando
quasi offeso.
“Sei
lo stesso uomo che una volta ha cercato di drogarmi con
dello zucchero nel caffè. Permetti che, almeno, non prenda
ogni tua parola per
oro colato” borbottò, un po’ stizzito.
“Oh
Cielo, ancora con questa storia” sospirò
rumorosamente
Holmes. “D’accordo, visto che non mi credi te lo
passo direttamente”.
“Cosa?
Sherlock, che diamine-”
“Telefono”
gli rispose una vocina pigolante ed
inconfondibile. Suo figlio.
“Boswell,
tesoro, sei tu?” domandò John, gli occhi sgranati.
“Papà!
Papà!” trillò il bambino tutto contento.
“Sì,
amore, sono papà” mormorò intenerito.
“Stai bene,
pulcino?”
“Tì
tì! Papà!”
“Bravo
cucciolo. Mi ripassi il babbo, adesso?”
“Vabbene.
Bacio, papà!” cinguettò Boswell
schioccando le
labbra.
“Bacio
anche a te, campione” lo salutò il padre, che non
si
stava sdilinquendo solo perché non era dignitoso, per un
uomo della sua età, mettersi
saltellare sul posto e squittire incoerentemente.
“Che
ti dicevo?” lo raggiunse il timbro basso e morbido del
compagno, visibilmente orgoglioso.
“Oddio,
Sherlock, nostro figlio è un genio! Ha solo dieci
mesi e già si esprime così bene, ha
un’ottima dizione! Ed è talmente dolce”
balbettò, gettando -giusto un pochino- la dignità
alle ortiche.
“Buon
sangue non mente: il mio cervello ed il tuo cuore” e
John lo sentì sorridere.
“Scusami
se non ti ho creduto subito” sussurrò, contrito.
“Fa
niente. Per una mente comune come la tua è difficile
abituarsi a tanta genialità, lo capisco” lo prese
in giro.
“Sì,
beh” ridacchiò. “A proposito, a chi
appartiene il cellulare
da cui mi stai chiamando? Sento un brusio in sottofondo”.
“Oh,
è di Anderson”.
“Anderson? Santa
pace, mica avrai portato Boswell a fare il sopralluogo di un luogo del
delitto-”
“No,
sono a Scotland Yard. Mi ha convocato Lestrade, si
tratta di un caso di furto a livello internazionale; nulla di rischioso
per la
salute mia e dei bambini” disse, sottolineando il plurale.
“Magnifico.
Tu, piuttosto, come ti senti? Nausea,
mancamenti, crampi?” chiese in tono professionale.
“Bene.
No, no e no”.
“Meglio
così. Adesso devo lasciarti, Sarah mi sta facendo
segno che è ora di tornare in ambulatorio”
annuì in direzione della collega,
tastandosi le tasche della giacca alla ricerca del portafogli.
“Ricordati
dell’appuntamento di questo pomeriggio e dai un bacio al
piccolo da parte mia.
Salutami Lestrade”.
“Sarò
fatto, dottore”.
“Ti
amo”.
“Anche
io” rispose immediatamente il compagno con
invidiabile nonchalance.
“Ci
vediamo dopo” chiuse la telefonata John, frastornato,
domandandosi
se si sarebbe mai abituato a sentire Sherlock esprimere i suoi
sentimenti così
liberamente.
“Molly
Hooper? Abbiamo sbagliato reparto, per caso?” si
stupì Sherlock, steso sul lettino in attesa di essere
visitato con John che gli
teneva la mano, quando vide la patologa varcare la soglia della stanza.
“E’
sempre un piacere vederti, Sherlock. John” li
salutò
timidamente lei. Un guizzo divertito le illuminò gli occhi
quando il suo
sguardo si posò sul pancione di quattro mesi abbondanti del
detective.
Come
biasimarla? Persino John trovava assolutamente
esilarante la visione di uno Sherlock incinto, con i piedi
inconsciamente a
papera e le lombari inarcate.
“Ciao
Molly” le sorrise. “Sei passata a
trovarci?”
“Non
proprio. In realtà sono qui per visitare il futuro
mammo” e si morse le labbra per non scoppiare a ridere.
“Tsk,
al St Bartholomew devono proprio essere messi male per
chiedere ad una patologa, per quanto discretamente competente, di
effettuare
un’ecografia” ironizzò il mammo in
questione.
“Sherlock” lo
rimbrottò l’altro.
“C’è
scarsità di personale, ultimamente” si strinse
nelle
spalle lei. “Ma non preoccupatevi, so quel che faccio: sto
prendendo una
seconda laurea in ginecologia”.
“Patologa
e ginecologa, eh? Morboso” rifletté soprappensiero
Sherlock.
“Grandioso,
vorrai dire! Complimenti, Molly, è una
bellissima notizia” si congratulò John
sinceramente entusiasta.
“Grazie”
arrossì lievemente la dottoressa. “Beh, vogliamo
procedere?”
“Prego”
concesse Holmes, trasalendo appena quando il suo
ventre venne a contatto con il gel freddo. Strinse più forte
la mano del
biondo.
“Quasi
me ne dimenticavo” Molly mosse la sonda,
“dov’è Boswell?
E’ da un po’ che non lo vedo”.
“L’abbiamo
affidato a Mrs. Hudson. Sapessi come lo vizia,
neanche fosse un suo nipotino! E proprio oggi ha pronunciato le sue
prime
parole” disse John, gonfiando il petto.
“Di
già?” sorrise lei, lo sguardo fisso sul monitor.
“Sì,
è un portento di bambino-”
“Scusa
se ti interrompo, John, ma ho appena sentito il
battito dei cuori” intervenne la ragazza, emozionata.
Silenzio.
Sherlock
ed il compagno si scambiarono un’occhiata sgomenta.
“Molly Hooper, abbiamo sentito bene: i cuori?”
gracchiò il primo.
“Sì
sì, i cuori. Sono due, sentite?” alzò
il volume
dell’audio. “Ecco, guardate qui”,
indicò un punto sullo schermo, “quelle sono
le testoline”.
“Due?”
ripeté il detective.
“Senza
ombra di dubbio” affermò soddisfatta.
“Oh
cielo, credo di non sentirmi troppo bene”
smozzicò, a
fatica, il dottore.
“E
c’è di più”,
proseguì lei imperterrita, “sono un maschio
ed una femmina, pensate un po’!”
John
si sentì venire meno, e svenne con la stessa grazia di
un sacco di patate.
_______________________________________________________________________________
Well,
anche questo capitolo è terminato. Che ve ne è
parso?
E soprattutto, la long fiction s’ha da fare o no?
Questa,
se vi interessa,
è la mia pagina autore su Facebook, per seguire in diretta i
miei scleri (http://www.facebook.com/pages/Il-Genio-del-Male-EFP/152349598213950).
Statemi
bene, cari!
*si
eclissa*
|
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Capitolo 5 *** Benvenuti! ***
NOTE:
Credetemi, non
sembra possibile neppure a me: sono tornata, finalmente! A chi non lo
sapesse
e/o si stesse chiedendo che fine avessi fatto, chiedo per prima cosa
scusa per
non essere riuscita ad avvisarvi tutti personalmente. La sfiga si
è accanita
contro di me, costringendomi a separarmi dal portatile gentilmente
prestatomi
da mio papà. Temevo che avrei dovuto aspettare ancora a
lungo prima di vedere
una pagina World bianca con i miei occhi, ma -ringraziando Zeus- me la
son
cavata con ‘solo’ con una quindicina di giorni.
Comunque
sia, quel che conta è che sono tornata per
rimanere. Sorte avversa permettendo, gli aggiornamenti riprenderanno la
loro
cadenza settimanale. La long fiction si farà, yay!
Ciò detto, non mi resta che
lasciarvi al capitolo e a rimandare ringraziamenti e note finali nel
mio angulus.
Buona
lettura!
“John”,
aveva esordito Sherlock non appena erano usciti dal
St Bart’s, “sono a conoscenza del tuo malsano
desiderio di chiamare il maschio
Hamish. Ebbene, se acconsentirai ad avere una Irene in famiglia, da
parte mia
non mi opporrò al tuo volere. Queste sono le condizioni,
prendere o lasciare”.
“No.
No. Piuttosto la chiameremo come mia sorella, ma Irene
mai” si era subito ribellato il dottore, con le mani chiuse a
pugno.
“E’
la tua ultima parola? Allora sappi che ti impedirò di
affibbiare a nostro figlio il tuo imbarazzante e antiquato secondo
nome, caro”
era stata la replica noncurante dell’altro.
“Ah
sì? E come, sentiamo?”
“Devo
ricordarti che Mycroft è la colonna portante del governo
del Regno Unito? Basterebbero una telefonata all’anagrafe e
qualche bustarella
a chi di dovere” aveva ghignato tra sé e
sé.
“Non
oserai…!” aveva biascicato John, stizzito oltre
ogni
limite. “Si può sapere perché diamine
ci tieni così tanto che una povera bimba
innocente sia omonima di una prostituta d’alto bordo con
l’hobby dello
spionaggio?”
“Perché
è stato grazie a lei che ho capito che eri geloso del
nostro rapporto, e di conseguenza di avere qualche chance con te.
Elementare,
Watson” gli
aveva rivolto uno dei suoi rari sorrisi a trentadue denti
che gli conferivano una certa aria fanciullesca.
“Però-”
era arrossito John. Gli rodeva ammetterlo, ma
Sherlock stava dicendo la verità.
“Galeotta
fu Miss Adler” aveva proseguito sempre sorridendo.
“Io-”
“Vuoi
forse negarlo?”
“No”,
aveva infine sospirato lui, “no. Se la metti
così… d’accordo,
vada per Irene” si era visto costretto a cedere.
La
guerra per decidere i nomi era terminata ancor prima di
cominciare.
Erano
trascorsi altri quattro mesi. Il ventre di Sherlock
era lievitato fino a raggiungere le dimensioni di un gigantesco
cocomero, ma
lui non aveva messo su neanche un grammo di ciccia superflua. Gli
zigomi erano affilati
come sempre, le mani affusolate ed il collo lungo e sottile come lo
stelo di un
fiore.
Con
sommo scontento di John, aveva deciso di non sospendere
la sua attività di consulente investigativo. Tutti gli
agenti di Scotland Yard,
ormai, si erano abituati a vederlo comparire in Centrale un giorno
sì e l’altro
pure, l’usuale andatura spedita ed elegante appena rallentata
dal pancione. O meglio,
quasi tutti.
Donovan
e Anderson, ad esempio, si ammazzavano (purtroppo
mai letteralmente, pensava infastidito Sherlock) dalle risate ogni
volta che i
loro sguardi si posavano sulla figura del detective, specie se lo
vedevano
arrivare con Boswell infilato nello zaino port-enfant come un piccolo
koala
aggrappato al suo eucalipto.
“Ma
guarda un po’ chi abbiamo qui, Anderson! Lo Strambo con
la prole attuale e futura” aveva avuto il cattivo gusto di
berciare la brunetta
durante una delle frequenti improvvisate di Holmes, indicandolo al
collega e
andandogli incontro.
“Donovan,
fossi in te penserei a camuffare con uno spesso strato
di fondotinta il succhiotto che fa capolino dal colletto della tua
camicia”
l’aveva freddata l’uomo, fissandola con sprezzo
dall’alto del suo metro e
ottantacinque.
L’agente
era arrossita, non si sa se per l’irritazione o
l’imbarazzo, ed il suo amante non aveva tardato a vendicarne
l’onore.
“Sgradevole
come al solito, Holmes: cos’è, sei per caso in
crisi d’astinenza? Il tuo dottorino ti ha nascosto le
sigarette e non ti scopa
più per non compromettere la salute delle
creature?” l’aveva apostrofato il
poliziotto, rivolgendo un’occhiata a metà tra il
beffardo e il disgustato al
ventre del detective.
Prima
però che quest’ultimo avesse il tempo di passare
al
contrattacco, la voce squillante di Boswell l’aveva distratto
momentaneamente. “Babbo,
braccio!”
Non
l’aveva detto in tono lamentoso né prossimo alle
lacrime
ma, al contrario, così categorico che Sherlock non aveva
esitato nemmeno un
istante. Aveva posato lo zaino a terra e ne aveva sfilato il figlio per
prenderlo in braccio, avendo cura che le sue gambine non premessero sul
pancione.
Il bambino aveva annuito soddisfatto, poi si era voltato in direzione
di quei brutti
cattivi che avevano osato offendere
suo padre.
“Tu,
Scema”, aveva puntato l’indice contro Sally,
“e tu, Più
Scemo” aveva continuato, spostandolo su Anderson.
“Zitti. Babbo bravo, voi
cchifo. Fate cchifo, ffigati!” li aveva accusati con occhi
trasparenti ed
impietosi.
I
due erano rimasti annichiliti (venire rimproverati con
tanta asprezza da un frugoletto di quattordici mesi non era cosa di
tutti i
giorni) e il detective aveva approfittato del loro sgomento per
lasciarseli
alle spalle, diretto verso l’ufficio di Lestrade.
“Ben
detto, figlio mio. Non permettere mai che dei totali incapaci cerchino di sminuire la
tua superiorità o che
gettino fango addosso a te e ai tuoi cari. Rendi sempre pan per
focaccia,
ricordalo” aveva sussurrato all’orecchio del
bambino, con un bacio leggero sui
suoi riccioli scuri.
Boswell
aveva squittito dolcemente, posandogli una manina
paffuta sulla guancia in segno di tacita intesa.
“Sherlock?”
“John”.
“Sherlock!”
“John?”
“Piantala
di fare lo gnorri. Dove cavolo sei, si può sapere?
La pizza ormai è immangiabile, Boswell chiede di te ed io mi
sto rodendo il
fegato dall’ansia! Dove ti trovi?”
“Non
hai alcun motivo di preoccuparti, John. Sto assistendo
ad un sopralluogo a White Chapel, c’è stata una
sparatoria tra bande rivali e
Lestrade ha bisogno del mio aiuto”.
“Ma
santa pazienza, Sherlock! Lo vuoi capire che non puoi
disertare la cena con il tuo compagno e
tuo figlio per bazzicare quartieri malfamati, all’ottavo mese
di gravidanza e
con due gemelli in grembo, tra
l’altro?”
“A
questo proposito…”
“Cosa?”
“…”
“Sherlock,
che sta succedendo?”
“…”
“Sherlock Holmes,
hai tre secondi di tempo prima che cominci a sciorinarti gli insulti
più
sanguinosi del mio repertorio”.
“John,
da bravo, calmati e sfrutta i tuoi neuroni ancora in
ottimo stato. Dimmi, da quanto tempo non piove a Londra?”
“Cosa?”
“John,
per favore. E’ di vitale importanza che tu mi dia una
risposta precisa”.
“Beh.
Siamo ad agosto, direi almeno tre settimane.
Perché?”
“Le
opzioni sono due: o sono capitato sull’unica pozzanghera
della città resistente al caldo estivo oppure mi si sono
appena rotte le
acque”.
Tra
mezzanotte e mezza e mezzanotte e quaranta del ventidue
agosto il nucleo famigliare Holmes-Watson si arricchì di due
nuovi componenti:
Irene Harriet ed Hamish Mycroft.
________________________________________________________________________________
Uff,
siamo finalmente arrivati a fine capitolo. *si asciuga
il sudore dalla fronte* Non ho altro da dire, a parte ringraziare di
cuore Princess_Perona e Taila per i loro preziosissimi consigli.
Questa,
se
v’interessa, è la mia pagina autore su Facebook,
per seguire in diretta i miei
scleri (http://www.facebook.com/pages/Il-Genio-del-Male-EFP/152349598213950).
Sayonara,
miei
prodi!
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Capitolo 6 *** Famiglia - parte 1 ***
NOTE:
Aggiornamento
puntuale come un orologio: contenti?
Angolo
dell’auto-spam: questa (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=966237&i=1)
è la prima parte di una one-shot in due atti sempre su
Sherlock, ma decisamente
angst. Se vi andasse di farci un salto e darmi un vostro parere,
qualunque esso
sia, mi fareste un regalo.
Buona
lettura e a risentirci a fine capitolo!
“Dici
che è una buona idea presentarci a casa loro
così, senza
preavviso?” domandò dubbioso il più
giovane dei due, giocherellando
nervosamente con il fiocco di seta blu che chiudeva il pacchetto posato
sulle
sue ginocchia.
“Di
certo lui non
farà i salti di gioia vedendomi, ma confido nel fatto che
sarà troppo occupato
a tenere a bada due neonati per impedirmi di entrare”
meditò vagamente
machiavellico il secondo uomo. “In fondo sono lo zio e devo
ancora conoscere il
mio nipotino maggiore: è inaudito!”
esclamò indispettito, aggrottando le
sopracciglia.
“Sì,
ma non capisco cosa c’entri io”.
“Non
essere ridicolo, Greg. Sei il padrino di Boswell nonché
amico degli orgogliosi genitori, è tuo dovere passare a
congratularti e a
conoscere i gemelli” gli sorrise sornione Mycroft Holmes.
“Ok,
hai ragione tu” si arrese Lestrade.
“Però, se non
ricordo male, avevamo deciso di aspettare ancora un poco prima di farci
vedere
insieme in pubblico” si strinse nelle spalle.
“Aspetta
un attimo”, scoppiò a ridere l’altro,
“per te il
mio scostante fratellino, quel martire di John ed i loro tre pargoli
sono il
pubblico? Seriamente?”
“Sai
benissimo a cosa mi riferisco, Mycroft. Si tratta pur
sempre di un membro della tua famiglia; è chiaro che tieni
al parere di
Sherlock e che gli vuoi bene… Insomma, sei proprio sicuro di
voler presentare
me, un comunissimo ispettore, come tuo compagno? Potresti avere di
meglio. E poi
non è nemmeno detto che tra noi due possa durare, in fondo
ci frequentiamo solo
da sei mesi” si passò una mano nella folta chioma
precocemente grigia,
abbassando gli occhi.
“Capisco”,
gli rivolse uno sguardo pungente, “non mi ritieni
capace di impegnarmi in una relazione”.
“Cosa?”
alzò la testa di scatto. “Mycroft, che
diavolo-”
“Siamo
arrivati, Mr. Holmes: 221B, Baker Street” annunciò
la
voce stentorea dell’autista della berlina nera a bordo della
quale stavano
viaggiando.
“Grazie,
Alfred. Anthea”, si rivolse alla bella fanciulla
nerovestita seduta sul sedile del passeggero, “rimanete in
zona. Non dovremmo
impiegarci più di un paio d’ore, in caso contrario
ti manderò un messaggio”.
“Sissignore”
replicò lei, intenta come sempre a digitare
ininterrottamente sul palmare.
“Perfetto”
si slacciò la cintura di sicurezza e impugnò il
manico del fedele ombrello, materializzatosi come per incanto alla sua
sinistra.
“Mycroft”.
Con
una mano già sulla levetta per aprire la portiera, si
volse verso Lestrade che lo fissava con occhi imploranti.
“Non preoccuparti,
Greg. Non me la sono presa e non metterò il broncio per
farti dispetto” mormorò
rassicurante, allungandosi in avanti per posargli un bacio sulla bocca.
“Porti
tu la busta con i regali per i bambini?”
“Che
delizioso quadretto famigliare” commentò il
maggiore
dei fratelli Holmes subito dopo aver salito i diciassette gradini che
separavano la porta d’ingresso dal salotto.
Lo
scenario che si parò davanti agli occhi dei due
visitatori, però, non aveva niente di delizioso
né tantomeno idilliaco.
Sherlock e John tenevano tra le braccia un gemello urlante a testa
(avevano dei
polmoni niente male, considerando il loro scarso mese di vita) e
Boswell, serio
ed impettito come un soldatino, stava energicamente succhiandosi il
pollice
aggrappato al polpaccio del dottore. Non appena riconobbe Lestrade si
diresse
con aria determinata verso di lui e gli afferrò trionfante
la gamba dei
pantaloni, il tutto senza smettere di ciucciare.
“Su
su su, zio Ghegg” pretese, allungando le braccine verso
l’alto, e il poliziotto lanciò ai genitori
un’occhiata interrogativa.
“Ciao,
Greg. Prendilo pure in braccio, sembra felice di
vederti” lo invitò John, alzando la voce per
sovrastare il pianto dei neonati,
sorpreso da quella visita inaspettata ma ospitale come sempre.
Gregory
sollevò il bambino in modo un po’ maldestro e gli
diede il proprio mazzo di chiavi per giocare. Il piccolo si
illuminò come un
raggio di sole, rivolgendogli un gran sorriso e mettendo in mostra una
chiostra
quasi completa di denti simili a perline. L’uomo si accorse
di avere ricambiato
con un sorriso da orecchio a orecchio solo quando avvertì su
di sé lo sguardo
penetrante di Mycroft, che lo studiava con curiosità venata
di tenerezza.
Rimase spiazzato, ma prima che potesse reagire in qualche modo venne
distratto
da una musica sconosciuta.
Riportò
l’attenzione sui suoi amici e notò che adesso le
braccia del dottore erano entrambe occupate dai gemelli. Sherlock
invece stava
facendo scorrere l’archetto sullo Stradivari, producendo una
melodia
accattivante e dolcissima. I bambini, Boswell compreso, si quietarono
all’istante e nel giro di qualche minuto erano profondamente
addormentati.
“Incredibile”
sussurrò il poliziotto, muovendosi con cautela
per non svegliare il figlioccio.
“Un
Lieder di Mendelsshon, se non sbaglio. E’ sempre stato
il tuo preferito, Sherlock” osservò Mycroft
amabilmente.
“I
bambini lo trovano molto rilassante” interloquì
John,
vedendo che il detective sembrava intenzionato ad ignorare la presenza
del
fratello. “E’ l’unica ninna nanna che
abbia effetto su di loro” spiegò.
“Vogliate scusarmi, porto le belve a
dormire e sono subito da voi. Mettetevi comodi, fate come se foste a
casa
vostra” e si eclissò nel corridoio.
“Sherlock”
esordì Lestrade a mo’ di saluto. “Posso
restituirti Boswell? Ho paura di svegliarlo, goffo come sono”
confessò
timidamente.
“Ciao,
Gregory. Accomodati” lo invitò con un gesto della
mano il detective, ben contento di riprendere in braccio il figlio.
Prese posto
sulla sedia della scrivania e accavallò le gambe.
“Come
mai qui? Hai un caso da sottoporci?” chiese,
sistemando con le dita i soffici riccioli scuri del bimbo.
“Fratellino,
nostra madre non ci ha forse insegnato che è
indice di grave scortesia ignorare un ospite?” lo
rimproverò non senza sarcasmo
Mycroft, sedendosi sul divano accanto all’ispettore,
l’ombrello stretto tra le
ginocchia.
“Mycroft”
lo salutò con voce gelida. Non lo aveva ancora
perdonato per averlo obbligato a vestirsi decorosamente durante la loro
visita
a Buckingham, costringendolo a disfarsi del suo amato lenzuolo.
In
quel mentre ricomparve John, cui bastò una manciata di
secondi per analizzare la situazione. Sospirò rassegnato,
poi stirò le labbra
nel sorriso più gioviale e conciliante del suo repertorio.
“Beh, cosa mi sono
perso? Non stavate sparlando di me, spero”.
Fece
per raggiungere la poltrona, ma venne intercettato
lungo il cammino da una mano di Sherlock che gli ghermì il
polso, con il chiaro
invito a fermarsi al suo fianco; sbuffando impercettibilmente egli
obbedì,
appoggiandosi al ripiano della scrivania, ma non cercò di
liberarsi dalla presa
del compagno.
“Assolutamente
no, cognato. Per l’uomo che ha avuto il
coraggio -o l’incoscienza?- di convivere e figliare con mio
fratello non posso
che avere parole di ammirazione” lo prese bonariamente in
giro il governo
britannico fatto persona. Con sua sorpresa fu Sherlock, e non il
dottore, ad
arrossire.
“A
dire la verità siamo venuti qui per giocare un po’
agli
allegri zietti, ma dato che al momento i bimbi non sono disponibili
temo che
dovremo rimandare” continuò garrulo.
“C’è un annuncio, però, che
ci terremmo a
farvi” e così dicendo posò una mano
sulla gamba del compagno.
John
strabuzzò gli occhi, Sherlock dal canto suo
borbottò un
“Lo sapevo” senza palesare neanche un briciolo di
sorpresa.
“Mycroft,
forse non-” provò a fermarlo Lestrade.
“Greg
ed io ci sposiamo”.
_____________________________________________________________________
Doppio
colpo di scena: Gregory & Mycroft (non sembrano
anche a voi un duo di architetti d’interni o di stilisti?) in
avanscoperta e
l’annuncio delle loro imminenti nozze! Cos’altro
succederà? Il capitolo
successivo è in fase di stesura, spero di terminarlo il
più celermente
possibile.
Per
amor di precisione, vi linko il Lieder Mendelsshon sopraccitato
(http://www.youtube.com/watch?v=wR3t6vJOMe0).
Questa,
se vi interessa, è la mia pagina autore su Facebook, per
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Alla
prossima, miei sherlockiani! <3
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Capitolo 7 *** Famiglia - parte 2 ***
NOTE:
Aggiorno in
virtù di non si sa quale grazia divina, perché
è davvero un brutto periodo (tra
il computer totalmente da reimpostare e che per di più non
si connette a
internet e i miei vari casini) per cui, a scanso di equivoci, vi chiedo
di
portare pazienza. Non so davvero quando e come riuscirò a
postare il nuovo
capitolo, ma sappiate che non ho intenzione di mollare voi lettori,
né
tantomeno questa storia. Incrociate le dita per me e speriamo che tutto
si
sistemi.
Detto
questo, vi lascio ai nostri beniamini.
Buona
lettura!
“COSA?!”
esclamarono all’unisono John e Gregory.
“Sst,
non svegliate il bambino” li rimproverò
severamente
Sherlock, portandosi un dito davanti alla bocca.
“Hai
ragione, caro. Scusa” mormorò il dottore.
“Mycroft,
come sarebbe a dire che ci sposiamo?”
incalzò Lestrade con un tono di voce sufficientemente
basso.
“Non
porre domande di cui conosci già la risposta e che
offendono la mia intelligenza e la tua, Greg” rispose quegli,
inarcando un
sopracciglio.
“Io
pongo domande più che legittime!” si
imporporò l’altro,
ignorando per amor di pace la smorfia ironica dipintasi sul volto di
Sherlock.
“Ti è per caso sfuggito di mente che agli occhi
della legge risulto ancora
sposato con Melanie?”
“Se
è per quello, posso ottenere le carte del divorzio
già
firmate da lei e convalidate dal giudice in meno di mezzora”
spiegò serafico
l’uomo. “Non c’è cavillo
legale che un agente dei Servizi Segreti di Sua Maestà
non sappia aggirare”.
“Chiamalo
cavillo” rimuginò tra sé e
sé John.
“Va
bene, fingiamo per un attimo che il problema della mia
ex moglie non sussista più. Come la mettiamo con la
proposta?” l’ispettore
rivolse uno sguardo di biasimo al compagno.
“Proposta?”
sillabò Mycroft, tamburellando le dita sul
manico dell’ombrello.
“Sì,
Mycroft. La proposta di matrimonio, quella proposta.
Sai, solitamente quando una
coppia si sposa è perché uno dei due si
è inginocchiato di fronte all’altra
persona offrendole un solitario e chiedendole di trascorrere insieme il
resto
dei loro giorni” puntualizzò Gregory con delizioso
sarcasmo.
“Non
capisco. Vuoi che mi metta in ginocchio e ti regali un
anello di fidanzamento?” domandò seriamente
perplesso.
“Mio
Dio, no! No. Sarebbe fin troppo grottesco, alla nostra
età e tra uomini” balbettò rosso in
faccia, mentre John veniva colto da un
improvviso attacco di tosse e il detective sbuffava alzando gli occhi
al cielo.
“Cos’è
che vuoi, allora?”
“Mi
sembra ovvio: che tu mi chieda di sposarti, che non
prenda questa decisione senza consultarmi” replicò
a muso duro.
“Davanti
a mio fratello e a John? Devo proprio?”
“Devi”.
“E
sia” sospirò Mycroft dopo un breve attimo di
silenzio.
“Gregory Lestrade, vuoi fare di me un uomo onesto e convolare
a giuste nozze?”
domandò arrossendo giusto un pochino.
“Fammi
avere la sentenza di divorzio e potrai impalmarmi già
questo pomeriggio” fu la subitanea e appassionata risposta
dell’ispettore.
“Ti
prendo in parola” sorrise soddisfatto Mycroft.
“Sherlock, John, siete prenotati come testimoni”
annunciò agli altri due.
“Assurdo”
mugugnò il minore dei fratelli Holmes, spingendo
avanti e indietro la carrozzina gemellare per conciliare il sonno ai
bebè.
Mycroft
non aveva lasciato loro possibilità di replica o di
rifiuto (era davvero tirannico quando si metteva d’impegno),
motivo per cui
adesso si trovavano ad assistere all’insolito matrimonio,
officiato niente meno
che dal sindaco Johnson in persona nell’abbazia di
Westminster. John,
frastornato, portava Boswell infilato nello zaino port-enfant. Un
manipolo di
agenti dei SI piantonava tutti gli ingressi della chiesa.
“Uhm”
assentì il dottore, sedutogli a fianco su una panca in
prima fila. Erano gli unici invitati, del resto. “Devi ancora
spiegarmi come
facevi a sapere che stessero insieme, io credevo che si conoscessero a
malapena”.
“E’
stato durante il nostro soggiorno a Baskerville, quando
abbiamo incontrato Lestrade nella hall della locanda. Ad un certo punto
si è
lasciato sfuggire una frase del tipo: ‘Eseguo sempre gli
ordini di Mycroft’ -non
mi ricordo le parole esatte, l’ho rimossa dal database- ed
è arrossito. Alquanto
sospetto, non trovi? La sua reazione unita al fatto che avesse chiamato
mio
fratello con un tono così confidenziale e che dalla sua
camicia mi arrivassero
zaffate di L’Eau Par Kenzo -guarda caso il profumo preferito
di Mycroft- mi
hanno suggerito la risposta. Elementare, Watson”
snocciolò tutto d’un fiato.
“Sai,
Sherlock, il giorno in cui la pianterai di
rinfacciarmi le mie scarse facoltà analitiche mi
metterò a ballare la lambada
vestito solo di un boa di piume nel bel mezzo di Piccadilly
Circus” sorrise
amaramente l’altro.
“Non
capisco il perché di tutta
quest’acrimonia” lo guardò
con tanto d’occhi. “Di solito ti piace ascoltare le
mie deduzioni”.
“Non
quando infili ‘Elementare, Watson’ nel discorso.
E’
umiliante”.
“John,
è un intercalare come un altro”.
“Tu
dici?” ribatté tagliente. “Allora non ti
dà fastidio se,
per esempio, comincio a darti dello psicopatico ad ogni pie’
sospinto -così,
come intercalare?”
“Non
è affatto la stessa cosa. Non mi passa nemmeno per la
mente di insultarti, o attribuirti un difetto che non ti
appartiene” mormorò
Sherlock, raggrumando confuso le labbra.
“Per
me lo è, Sherlock. E’ la stessa cosa.
Sei un uomo brillante ed è uno spettacolo
sentirti esporre i tuoi ragionamenti ma, detto fuori dai denti, quando
fai
pesare agli altri la tua genialità sei solamente irritante,
un galletto tronfio
con il petto in fuori e la cresta alta” soffiò
rabbiosamente.
“John,
ascoltami. Capisco dove vuoi andare a parare, ma è
ora che tu la smetta di sentirti
tanto inferiore a me, perché non lo sei affatto”
parlò con voce morbida e
sommessa, chinandosi per sussurrare direttamente
nell’orecchio del compagno.
“Il fatto che tu possieda un’intelligenza normale
-bada bene: normale, non
inferiore- non è un deficit. Ti ho mai accusato di essere un
idiota decerebrato
come Anderson e la Donovan, per caso?”
“No,
ma ti diverti lo stesso a punzecchiarmi”.
“Perché
ho un pessimo carattere. Manco di tatto e
gentilezza, metto a disagio le persone, sono molesto. Credi davvero che
non invidi
la tua capacità di dire sempre la cosa giusta al momento
giusto, o la tua
umanità? Tu sei il cuore ed io il cervello, è per
questo che formiamo una
coppia formidabile; l’uno non può andare lontano
senza l’altro. E comunque, lo ripeto:
non ho mai pensato che tu fossi stupido. Se ti ho involontariamente
dato questa
impressione me ne scuso”.
John
si voltò a guardare lo spilungone al suo fianco. Negli occhi
cristallini, nella piega ansiosa della bocca, nella pressione
esercitata dalle
dita che stringevano il manico della carrozzina lesse tanta di
quell’insicurezza, tenera goffaggine e sincerità
che non poté che sciogliersi.
“Non
so come tu ci riesca, ma ogni volta riesci ad
intortarmi” disse tendendo una mano verso il volto del
detective.
“E’
anche per questo che mi ami” sorrise Sherlock,
appoggiando la guancia contro la mano che gli veniva offerta.
“Adesso
assolviamo ai nostri doveri di testimoni e poi torniamo a casa,
l’odore
dell’incenso mi dà la nausea”.
“E’
stata una bella cerimonia, in fin dei conti. Molto
intima” osservò il dottore, salendo le scale con
la testolina di Boswell che
faceva capolino da dietro la sua schiena.
Sherlock
lasciò la carrozzina nell’ingresso, sotto
l’attaccapanni, e si caricò in braccio prima Irene
e per secondo Hamish. “Dobbiamo
pensare alla cena” fece notare, insolitamente prosaico e
affamato. “Dovrebbe
esserci una lattina di Campbell in dispensa, dietro alla mia scorta di
bulbi
oculari. Ci sono da preparare i biberon per i piccoli e la minestrina
per
Boswell”.
Nessuna
risposta. “John? Mi hai sentito?” percorse gli
ultimi gradini.
John
era in piedi, immobile come una statua di sale in mezzo
al salotto, gli occhi sgranati e fissi su una donna bionda sulla
quarantina
seduta in poltrona che sorseggiava tranquillamente una tazza di tè.
“Harry?”
mormorò il dottore.
______________________________________________________________________________
Di
precisazioni inutili da fare ne avrei a bizzeffe, peccato
(o per fortuna?) che mi manchi totalmente la voglia e che abbia
dita-polsi-avambracci
totalmente anchilosati… sicché niente, ecco.
Spero
che il
capitolo vi sia piaciuto. Fatevelo bastare per almeno
un’altra settimana, ché sono
un po’ presa con le bombe.
Questa,
se vi interessa,
è la mia pagina autore su Facebook, per seguire in diretta i
miei scleri (http://www.facebook.com/pages/Il-Genio-del-Male-EFP/152349598213950).
Un
bacio a tutti
voi, miei adorabili e fedelissimi lettori! <3
|
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Capitolo 8 *** Interferenze ***
NOTE:
Aggiorno in virtù di non si sa quale grazia divina,
perché è davvero un brutto
periodo (tra il computer totalmente da reimpostare e che per di
più non si
connette a internet e i miei vari casini) per cui, a scanso di
equivoci, vi
chiedo di portare pazienza. Farò sempre il possibile per non
lasciarvi a bocca
asciutta per più di
dieci-quindici
giorni, ma più di questo non posso assicurarvi. Speriamo che
la sfiga si decida
a darmi un po’ di tregua.
Buona
lettura e a risentirci a fine
capitolo!
“Ciao,
Johnny. Come te la passi?”
salutò cordialmente la donna.
Sherlock
la passò ai raggi X. Ne rilevò
il taglio di capelli alla moda, le méches dello stesso
biondo grano di John, il
rossetto steso impeccabilmente, qualche sottile ruga attorno agli
occhi; smalto
rosso Chanel, tailleur pantalone di lino, elegante ed informale al
tempo
stesso, e decolleté di morbida pelle. Tutto, nel suo aspetto
perfettamente
curato, suggeriva un’idea totalmente diversa da quella che si
era fatto di lei
durante la sua primissima indagine con John.
“Harry”
biascicò il dottore, ancora
immobile.
L’interpellata
sorrise al fratello,
rivolgendosi poi a Sherlock. “Visto che John sembra aver
dimenticato le buone
maniere, mi presento. Harriet Watson, sorella del suo compagno; ho
motivo di
credere che lei sia già in possesso di un sufficiente numero
di informazioni
sul mio conto, Mr. Holmes” fece per alzarsi, la mano tesa in
direzione del
detective.
“Harry”
la interruppe John bruscamente,
gelandola sul posto, con i pugni chiusi e la mascella contratta.
“Che diavolo
ci fai qui?”
“Come
siamo scortesi, Johnny. Ti sembra
questo il modo di accogliere tua sorella dopo quasi tre anni di
lontananza?” si
adombrò lei, ritirando la mano e irrigidendo la schiena in
posizione di difesa.
“Non
me ne può fregare di meno delle
regole del galateo. Sono stanco e ho una fame da lupi, voglio mettere a
letto i
miei figli e credimi, una tua visita è l’ultima
cosa al mondo che mi sarei
aspettato. Quindi, o mi spieghi che cavolo ci fai nel mio salotto a
quest’ora o
ti metto alla porta prima che tu
abbia il tempo di replicare alcunché”
sbottò lui.
“Se
poco fa non mi avessi interrotto, fratellino,
sapresti che non è stata una mia idea”
spiegò, calma. “Qualche giorno fa mi ha
telefonato Mycroft Holmes e mi ha chiesto di trasferirmi per un
po’ di tempo a
Baker Street perché, cito, ‘quei due non ce la
faranno mai a stare appresso a
tre bambini senza impazzire’ e perché anche io
dovevo esercitare i miei diritti
di zia. Credo che mi abbia praticamente arruolata come babysitter a
tempo indeterminato”
concluse, un filo di incredulità finale nella voce.
“No.
No. No” scosse la testa John, con
un borbottio molto simile ad un ringhio.
“John,
ti prego” gli si rivolse
Harriet, turbata da quel netto rifiuto.
“Dottore,
sii ragionevole” intervenne
Sherlock, senza tuttavia poter fare altro
poiché aveva le braccia occupate dai gemelli.
“No.
Non lo permetto” scattò lui,
imbufalito, facendo sobbalzare Boswell. “Non ho la minima
intenzione di essere
ragionevole. Ho accettato di buon grado tutte le ingerenze di Mycroft
nelle
nostre vite, ma questo”, puntò l’indice
contro la sorella, “è troppo.
Non lascerò i miei figli in balia
di un’alcolista che non ha saputo fare
altro che rovinare il suo matrimonio, farsi licenziare e mandare tutto
a
puttane!”
A
quel punto Irene Harriet, forse in
sintonia con la donna di cui portava il nome o forse spaventata dalle
urla del
padre, scoppiò a piangere. Grossi lacrimoni le rotolarono
lungo le guance
paffute, gli occhi blu colmi di una tristezza fin troppo consapevole
per una
bambina di neanche due mesi. Per spirito di emulazione anche il piccolo
Hamish
proruppe in singhiozzi, tendendo inconsciamente le manine verso la
gemella. Boswell,
che voleva bene ai fratellini e detestava sentirli piangere, si
unì alla loro
manifestazione di sofferenza –tanto più che, data
la sua precoce intelligenza, aveva
capito che papà si era pentito all’istante delle
cose che aveva detto alla
bella signora bionda e che il babbo si
sentiva a disagio perché odiava i litigi e al tempo stesso
non sapeva come
consolare il compagno.
John,
istintivamente, si preoccupò di calmare
il figlio maggiore. Presolo in braccio, dopo averlo sfilato dallo
zaino, lo
dondolò su e giù, accarezzandogli la schiena.
Sherlock, dal canto suo, strinse
Hamish al petto, facendogli appoggiare la testolina sulla spalla e
reggendogli
la nuca pelata con una mano. Irene era stata affidata alla zia, che la
cullava
con sorprendente destrezza.
John
impietrì. “Sherlock, cosa
diamine-” sibilò minaccioso.
“So
quello che faccio” lo rassicurò
l’altro, parlando sommessamente. “Tua sorella non
tocca un goccio d’alcol da un
anno e mezzo, all’incirca”.
“Sedici
mesi, tre settimane e un
giorno” precisò Harriet, distogliendo gli occhi
dalla bimba per rivolgerli,
sgranati, al cognato.
“Approssimazione
soddisfacente” si
congratulò con se stesso, lo sguardo assorto e perso nel
vuoto. “Le sue mani
sono ferme, non tremano più. I capelli ed il trucco sono
troppo ricercati per
essere quelli di una bevitrice che si trascura. La sclera dei suoi
occhi è
candida e ha perso la sfumatura giallastra e venata di capillari rotti
tipica
di chi fa abuso di superalcolici. Inoltre, a giudicare
dall’eleganza del suo
abbigliamento, deduco che abbia trovato un nuovo impiego; un incarico
prestigioso, senza dubbio”.
“Da
poco meno di un anno lavoro come
responsabile del settore Ricerca e Sviluppo di una nota azienda
cosmetica”
confermò lei, la voce ridotta ad un sussurro.
John
si sentì, per la seconda volta nel
giro di poche ore, incredibilmente in colpa. Aveva fallito come medico,
non
riconoscendo (non volendo riconoscere?) il visibile miglioramento delle
condizioni fisiche di Harriet. Aveva fallito come padre, spaventando
immotivatamente i figli e facendoli piangere. Aveva fallito come
fratello; e
questo, forse, era ciò che lo feriva maggiormente.
Aveva
disprezzato la sorella per essere
caduta vittima del demone del bere, imputandole una serie di debolezze
e meschinità
di cui lei, a ben vedere, non aveva colpa. L’alcolismo era
una malattia a tutti
gli effetti. Non le aveva perdonato di aver lasciato una donna
splendida come
Clara, non le era rimasto accanto nel momento del bisogno, aveva
ignorato i
suoi messaggi in segreteria. L’aveva giudicata, condannata,
punita troppo
duramente per i suoi errori.
Osservandola
alle prese con Irene Harriet
(era stato Sherlock ad insistere perché le venisse dato come
secondo nome
quello della zia), che le aveva afferrato un dito mettendosi poi a
ciucciarlo
allegramente, John si rese conto che il pianto dei bambini si era
chetato improvvisamente
come era cominciato.
“Scusami”
mormorò. “Sono stato uno
stronzo ingrato. Ti ho abbandonata dopo tutto quello che avevi fatto
per me, quando
mamma e papà sono morti. Non te lo meritavi, Harry. Sei mia
sorella, avrei
dovuto aiutarti. Perdonami” deglutì con un groppo
in gola.
“E’
passato, John. E a tuo modo mi hai
aiutata; se ho deciso di cambiare, di provare a diventare una persona
migliore,
è stato perché volevo riconquistare la tua
stima” qualcosa, nella voce di lei,
si incrinò. “Desideravo solo che tornassi a
volermi bene” piegò in avanti la
testa e una lacrima atterrò sulla tutina bluette di Irene.
Il
dottore raggiunse la poltrona in due
falcate. Con il braccio sinistro -l’altro era occupato a
reggere Boswell- si
chinò ad abbracciare la sorella. “Non ho mai
smesso, Harry. Non ho mai smesso. E’
proprio per questo che non riuscivo a perdonarti, perché ti
ho sempre voluto
bene” smozzicò.
Mycroft,
vecchio volpone,
pensò sollevato Sherlock. Scommetto
che
questa è stata la sua intenzione sin dall’inizio.
Immagino
cosa vi starete chiedendo: ma
non doveva trattarsi di una storia comico-demenziale? Perché
l’autrice ci ha
rifilato un capitolo così simil angst? Che le è
preso?
Don’t
worry, non ho improvvisamente
deciso di darmi al drammatico (non in questa long, per lo meno).
Semplicemente,
per quanto sopra le righe e OOC siano i personaggi, anche loro hanno
diritto di
farsi venire i cinque minuti di scazzo, no? Senza contare che,
basandomi
sull’opera di Conan Doyle e sul telefilm, i rapporti tra John
e Harry appaiono
davvero molto tesi; sarebbe stato alquanto irreale far reagire il
dottore
entusiasticamente all’entrata in scena della sorella. Ecco
spiegato, quindi,
l’andazzo sostanzialmente cupo di questo capitolo. Comunque
sia, non
deprimetevi troppo e mettete da parte i fazzoletti, ché
dalla prossima volta si
ritornerà a cazzeggiare a ridere.
Questa,
se
v’interessa, è la mia pagina autore su Facebook,
per seguire in diretta i miei
scleri (http://www.facebook.com/pages/Il-Genio-del-Male-EFP/152349598213950).
Grazie
di cuore a
tutti coloro che recensiscono, seguono/preferiscono/ricordano questa
storia e
anche a chi si limita a leggere silenziosamente. Tanto
ammmòòòre a voi! <3
|
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Capitolo 9 *** Crisi ***
NOTE:
Buongiorno e
ben trovati, miei cari! Perdonate il lieve ritardo, ma purtroppo la
sfiga
sembra essersi affezionata a me (è un tantino appiccicosa
per i miei gusti),
sicché sono ancora senza computer e costretta ad
elemosinarlo da mio padre.
Ho
due notizie per voi. La buona è che il nuovo capitolo
è
già pronto e aspetta solo di venire trascritto -il quando,
però, rimane
un’incognita- e la cattiva (forse)
è
che ci avviciniamo sempre di più alla fine di questa long:
il prossimo aggiornamento
sarà anche l’ultimo. Però, se vi
interessasse continuare a leggere le
vicissitudini della famiglia Watson-Holmes, potrei prendere in
considerazione
l’idea di cimentarmi in un sequel. Sta a voi decidere se la
storia s’ha da
proseguire o meno. Fatemi sapere, mi raccomando.
Buona
lettura!
Alcuni
giorni dopo.
Boswell,
cambiato e allattato, esaminava con grande
attenzione e cinguettii soddisfatti il contenuto, sparso sul tappeto
del
salotto, della valigetta del Piccolo Chimico regalatagli da
“tia Ary”.
A
vegliare sulla sua incolumità stavano la zia in questione
e babbo Sherlock, l’una a gambe incrociate accanto al piccolo
e l’altro
stravaccato in poltrona. Irene ed Hamish riposavano nella loro
carrozzina
doppia, stazionata accanto al divano.
“Sherlock,
sicuro che sia una buona
idea maneggiare un revolver in presenza dei bambini?” si
azzardò a chiedere
Harriet, un po’ esitante.
“Tu
e tuo fratello siete così simili. Le stesse noiose,
ansiogene domande” parlò con voce strascicata il
detective, proseguendo
imperterrito a giocherellare con l’arma.
“Mi
preoccupo per i vostri figli” ribatté lei
pacatamente.
“Lo
so e lo apprezzo
molto, credimi, ma puoi star tranquilla: ho inserito la sicura. Non mi
trastullerei
mai con una pistola mettendo in pericolo la vita dei bambini”
spiegò Sherlock,
più gentilmente.
“Oh”
batté le palpebre Harriet. “Ma certo. Avrei dovuto
aspettarmi una risposta simile da un uomo accorto e previdente come
te”.
L’altro
fece un gesto noncurante con la mano, come a dire
che la perdonava per la scarsa fiducia riposta nei suoi confronti.
“Ho
notato che hai la tendenza ad apostrofare
sarcasticamente le persone, salvo poi correggere il tiro non appena ti
accorgi
che l’interlocutore c’è rimasto male.
Posso chiederti come mai, se non sono
indiscreta?”
“E’
un’abitudine che ho acquisito frequentando John. E’
stato il primo a farmi sentire a disagio per i miei modi bruschi,
così ho
imparato a moderare i termini. Secondo lui la mia incapacità
a rapportarmi
normalmente con gli altri è dovuta ad una forma lieve di
sindrome di Asperger,
e francamente non mi sento in diritto di contestare la diagnosi di un
esperto”
si strinse nelle spalle.
“In
un modo o nell’altro finisci sempre per parlare di mio
fratello, ci hai fatto caso?” domandò Harry,
intrigata dalla piega che stava
prendendo la conversazione.
“E’
vero” ammise Sherlock. “John è la mia
vita, di lui amo
anche ciò che nelle altre persone detesto. Ha creduto in me
quando tutti mi
trattavano alla stregua di uno psicopatico. Sopporta il mio mutismo, il
violino
suonato alle ore più improbabili e i cerotti alla nicotina,
non fa una piega se
gli capita di imbattersi in un contenitore per alimenti pieno di
falangi umane
nel primo cassetto del freezer. E’ un prezioso collaboratore,
nonché migliore
di tutti i medici legali cui si affida Lestrade -potrei fare
un’eccezione
giusto per Molly Hooper- ed è l’uomo
più conciliante del mondo. E’ il padre dei
miei figli. E’ normale che il mio pensiero sia sempre rivolto
a lui, non
trovi?” concluse il monologo, puntando su Harriet i suoi
incredibili occhi
color cielo d’Irlanda.
“Cielo”
sorrise la donna, a metà tra il divertito e
l’attonito. “Sei disgustosamente
innamorato
del mio fratellino”.
“E’
quello che ho detto” annuì brevemente Sherlock,
l’attenzione focalizzata su altro. Un millesimo di secondo
dopo si alzò di
scatto dalla poltrona, neanche avesse le molle ai piedi, e prese a
camminare
avanti e indietro, i lembi della vestaglia che fluttuavano morbidamente
intorno
al suo corpo.
“Qualche
problema?” s’informò premurosamente
Harriet.
“Mi
manca John” rispose senza arrestarsi. “E
ciò non va
bene, niente affatto”.
“Perché?”
“Perché
senza di lui finisco sempre per annoiarmi, e a
pagarne le conseguenze è la tappezzeria di Mrs.
Hudson”.
Harriet
lanciò un’occhiata al volto sorridente dipinto
sulla
parete alle sue spalle, scorgendo dei fori di proiettile sotto la
vernice
gialla. “Ah, quindi è a questo che ti serve la
pistola?” fece due più due,
cercando di non lasciar trapelare il suo sgomento.
La
risposta non si fece attendere; il detective puntò
l’arma
contro la carta da parati e sparò una raffica di colpi.
“Sherlock,
no! Spaventerai i piccoli!” urlò lei, sobbalzando
e coprendo poi le orecchie di Boswell con le mani, nel vano tentativo
di attutire
il frastuono del rinculo.
Holmes
ne ignorò bellamente le proteste, placandosi solo
dopo aver terminato la sua opera. Adesso la parola BORING in
stampatello
maiuscolo faceva compagnia allo smile color canarino. A sconvolgere
seriamente
la donna, però, furono le risatine gorgoglianti provenienti
dalla carrozzina.
Abbassò lo sguardo sul nipotino maggiore e vedendolo
rivolgerle un sorriso
smagliante il suo stupore accrebbe ulteriormente.
“Che
diavolo-”
smozzicò, gli occhi sgranati.
“Errore
mio, avrei dovuto avvisarti. I bambini adorano
sentirmi sparare, a quanto sembra il sibilo dei proiettili li diverte
immensamente” chiarì Sherlock, serafico.
“Non per niente hanno ereditato metà
del mio patrimonio genetico”.
“Non
per niente, già” assentì lei, ancora un
po’ scossa.
In
quel mentre comparve sulla soglia John. “Sherlock, la
povera Mrs. Hudson mi ha aperto la porta letteralmente terrorizzata.
Dimmi che
non hai di nuovo giocato al pistolero, ti prego” lo
supplicò il dottore a mo’
di saluto.
“Jawn,
finalmente sei tornato! E’ tutto così noioso in
tua
assenza” gli andò incontro, il sorriso
più innocente del suo repertorio dipinto
in volto, avvolgendolo con le sue lunghe braccia.
“Immagino,
immagino” biascicò, allungando qualche timida
pacca sulla schiena dell’altro. “Ciao, Harry.
Sopravvissuta alla tua prima
giornata di babysitting?” si rivolse poi alla sorella.
“Credo
di sì. Non posso dire lo stesso della vostra carta da
parati, ahimè”.
“Mrs.
Hudson se ne è fatta una ragione. Dai, Sherlock,
lasciami andare” cercò di liberarsi dalla morsa
del detective. “Non fare il
koala, molla l’osso” insistette, ridendo.
“Zitto,
sto annusando il bavero del tuo cappotto”.
“Cosa,
perché?” si divincolò John, inquietato
dall’improvvisa gravità della voce
dell’altro.
Sherlock
allentò la presa, irrigidendosi. Si staccò dal
dottore –le braccia tese lungo i fianchi, le mani strette a
pugno, gli occhi
gelidi.
“John”,
disse con voce sepolcrale, “c’è una
traccia di
profumo femminile sui tuoi vestiti. Da quando hai iniziato a tradirmi?”
Capitolo
non molto lungo, ma denso di avvenimenti (ah sì?
Davvero?). L’angst è in agguato, la
crisi sta per scoppiare… Non temete, il
finale sarà una delle cose più demenziali che
abbia mai scritto.
Questa,
se vi interessa,
è la mia pagina autore su Facebook, per seguire in diretta i
miei scleri (http://www.facebook.com/pages/Il-Genio-del-Male-EFP/152349598213950).
A
risentirci
presto, miei prodi. Buon weekend a tutti!
|
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Capitolo 10 *** Proposta ***
NOTE:
Sono in
spaventoso ritardo (ma tanto so che farete finta di non averlo notato)
e piena
di scadenze da rispettare e concorsi da organizzare. Questo capitolo,
ad
esempio, partecipa al contest di Pasqua indetto dalla sottoscritta su
Facebook,
Let’s
ship Again, con il prompt del Sabato Contenzioso.
Siamo
arrivati alla (preannunciata) fine di Imprevisti:
il merito è tutto vostro,
lettori silenziosi e partecipi, che avete insistito perché
la one-shot
originaria continuasse. Io non ci avrei scommesso cinquanta centesimi,
ma voi
mi avete dato fiducia e supportata. E’ quindi con tanto
ammmòòòre che vi
ringrazio e vi auguro…
Buona
lettura!
Era
tutto un equivoco. Un enorme, gigantesco e colossale
equivoco. John tentò di spiegarlo a Sherlock, ma
l’altro fece orecchie da mercante
e si intestardì su quell’assurda accusa di
infedeltà.
Pazzesco.
Inaudito. Inconcepibile. Quattro anni di
convivenza, due e mezzo di relazione (erano finiti a letto insieme poco
dopo l’affaire Irene
Adler) e tre figli non
contavano nulla, dunque? Come osava anche solo pensare, quel
sociopatico da
strapazzo, che John potesse ancora nutrire un qualsivoglia interesse
per il
genere femminile o, in generale, per una persona che non fosse Sherlock?
“John,
tu hai un’altra” ribadì Holmes
rivolgendogli uno
sguardo inquisitorio.
“Oh,
picchio pacchio” alzò gli occhi al cielo.
“Probabilmente
è una storia iniziata da poco, se non
addirittura oggi stesso; il che spiegherebbe la toccata e fuga in
ambulatorio,
nonostante tu sia in congedo di paternità. E’ una
tua paziente, non è così?”
incalzò, dando prova delle sue mirabolanti
abilità deduttive.
“Ok,
Mr. Detective dell’Anno, stoppati un attimo. Harry, per
cortesia, porteresti di là i bambini? Non vorrei che
assistessero alla scena di
me che prendo selvaggiamente a schiaffi il loro
papà” il dottore si voltò verso
sua sorella, gli occhi animati da una luce battagliera.
“Stavo
per proporlo io” sospirò sollevata lei.
Prese
in braccio Boswell e con la mano libera spinse la
carrozzina in direzione del corridoio che portava alle camere da letto.
“Non
ammazzatevi, però. Avete tre pargoli a carico,
ricordatelo” aggiunse, per poi eclissarsi.
“Tu”
ringhiò John, l’indice puntato contro il moro.
“Idiot savant che non sei
altro. Se tieni
all’incolumità del tuo bel faccino mi farai il
favore di tacere e di ascoltare
quello che ho da dirti, prima di saltare a conclusioni affrettate e
totalmente irrealistiche”.
Sherlock
trasalì, portando istintivamente una mano agli
zigomi scolpiti –erano uno dei suoi pochi vanti, che diamine.
Annuì, cedendo la
parola al dottore.
“Benone”
sbuffò quegli dal naso, come un torello
soddisfatto. Incrociò le braccia sul petto e
divaricò un poco le gambe,
assumendo una posa da boss.
Si
guardarono per lunghi istanti di silenzio.
Lunghi.
Istanti.
Di.
Silenzio.
Sherlock
si schiarì la gola. “Uhm, John?”
“Sì?”
“Non
dovevi darmi la tua versione dei fatti?”
“Uh-oh”
batté le palpebre lui. “Hai ragione, scusa. Mi
sono
distratto” borbottò, arrossendo.
“Figurati,
può capitare” il detective soffocò sul
nascere un
sorrisetto ironico.
“Dicevo”,
riprese John dandosi un contegno, “che hai
travisato tutto, mio caro. Hai preso una cantonata coi fiocchi.
Perché vedi, io
non ho nessuna
relazione extraconiugale” affermò fissando
l’altro dritto
negli occhi.
“Basandomi
sull’analisi del linguaggio del corpo sarei
propenso a crederti” ammise Sherlock quasi mugugnando.
“Sguardo fermo e
diretto, spalle rilassate, piedi ben piantati al suolo, nessun tremito.
Sembri
sincero. C’è un particolare che non mi convince,
però: il profumo”.
“Oh,
quello” sospirò l’altro. “Una
paziente ci ha provato
con me. Mi ha fatto precipitare in ambulatorio con la scusa di uno
scompenso
cardiaco e dei dolori intercostali inspiegabili e appena l’ho
ricevuta nel mio
studio ha cercato di baciarmi, ma io l’ho respinta. Ecco
tutto”.
“Non
ci credo” replicò il compagno, lapidario.
“Non
ci credi?” ripeté, incredulo.
“Non
credo affatto che la tua paziente abbia preso bene il
rifiuto. Sei sicuro di non aver omesso nulla, John?”
“Sono
sicuro, Sherlock.
Sono troppo giovane per soffrire di memoria a breve termine”.
“Non
ne sono del tutto persuaso. Voglio che mi riporti il
vostro scambio di battute, parola per parola”.
“Ah,
vuoi? Tu vuoi? E
va bene, ti accontento” sbottò con voce
pericolosamente stridula. “Allora
sappi, genio dei miei stivali, che ho chiarito a Miss Morstan che non
potevo
ricambiarla perché sono omosessuale”
strepitò. “Sono più gay di Rupert
Everett,
Boy George ed Elton John messi insieme. Sono talmente frocio che la sola idea di tornare a scoparmi
una donna mi fa venire i brufoli e la cellulite, nonché una
gran voglia di
lanciarmi in una sessione di shopping selvaggio!”
“John,
tesoro”.
“Cosa?”
“Stai
scheccando di brutto”.
“Lo
so, ed è tutta colpa tua, Sherlock! Un’altra
donna? Un
altro uomo? Tutte cazzate, per me esisti solo tu”.
“John”
esclamò il detective con voce appassionata.
“Sherlock”
rispose il dottore altrettanto impetuosamente.
Si
avvinghiarono l’uno all’altro come polpi dai mille
e uno
tentacoli, scambiandosi un bacio hollywoodiano per durata ed enfasi (ma
con
molta più lingua e saliva e gemiti inarticolati).
“Sarei
perduto senza il mio blogger” mormorò Holmes non
appena si staccarono per riprendere fiato.
“E’
la frase più romantica che tu mi abbia mai
dedicato”,
osservò John ansimante, “nonché
l’unica”.
“Sposami”.
“C-Cosa?”
“Sposami.
Voglio legarti per sempre a me, portare una fede
pacchiana e ingombrante al dito, crescere i nostri figli e invecchiare
insieme
a te. Voglio diventare tuo marito, John. Sposami”.
The blog of Dr. John H. Watson
London, 10/10/2012
Oggi
Sherlock mi ha chiesto di sposarlo.
Che
il Cielo mi aiuti, gli ho risposto di sì.
Tutta
colpa di quegli zigomi, il bavero del cappotto alzato
(ok, quando mi ha fatto la proposta era in vestaglia, ma il succo non
cambia),
gli occhi così azzurri e penetranti.
Lo
amo.
P.S.
Harry è praticamente più elettrizzata di me
–sempre che
sia possibile.
P.P.S.
Mycroft si è autonominato wedding planner ufficiale.
Devo preoccuparmi?
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Non
si può dire addio ad una storia senza ringraziare per
bene le persone che ti hanno sostenuto. Un bacio grandissimo alle 23
persone
che hanno recensito (LudusVenenum,
Meramadia94, Naco, TAKeRu_ECHY, NomenOmen, Princess_Perona, Taila,
Grinpow,
Campanellino86, Sevvina, Rory_Argentine, kiba91, Angelica Barbanera,
Tanyah,
Cloud Ribbon, Maia in Wonderland, crazy_k, griffoncina2009,
chibisaru81,
Wren07, Selenina, Emrys___, Ehrien) e alle 14 che hanno
inserito
‘Imprevisti’ tra le Preferite (almosthero,
Angelica Barbanera, Campanellino86, Echelon90, EileenSH, ermete,
isteria,
latore, Lola_Teme91, Maia in Wonderland, Sabry93, SweetBlackDream98,
Taila,
Tanyah). Un abbraccio stritolante alle 7 che hanno voluto
Ricordarla (Court, khika liz, Nerween,
NomenOmen, Sam
Holmes, Vietnam Glam, White Mask) ed infine ai miei 36
lettori (BlackCobra, Campanellino86, Ciulla,
crofty,
Didolatan, dodo, draco potter, elsa, fliflai, Grace98, HexRose 110,
irelin,
katia cullen, kscrewy, latore, Lrig_w, Miku Mercury, Naco, NemesiS_,
NomenOmen,
PepperP, Prez_Silverrope, Princess_Perona, rora17, Rory_Argentine,
Rumy,
Sabry93, Selvy, senny, Sevvina, Sherlocked, Shinku Rozen Maiden,
Stella_Oscura,
Susannatuttapanna, TAKeRu_ECHY, teno).
Grazie
di cuore a tutti. Ci rivedremo, forse, con il
seguito.
Bye
bye! <3
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