Le Tracce degli Angeli

di Lord_Trancy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Il ragazzo dai capelli rossi ***
Capitolo 3: *** L'inizio della notte ***
Capitolo 4: *** Decisione ***
Capitolo 5: *** Il ragazzo dagli occhi azzurri ***
Capitolo 6: *** Una pessima giornata ***
Capitolo 7: *** Campanelle tintinnanti lungo la strada ***
Capitolo 8: *** Solo adesso ***
Capitolo 9: *** Una Domenica senza far niente ***
Capitolo 10: *** Viaggiare ***
Capitolo 11: *** Le donne e le loro sorprese ***
Capitolo 12: *** William ***
Capitolo 13: *** Shopping ***
Capitolo 14: *** Amore ***
Capitolo 15: *** Verità di mezzanotte ***
Capitolo 16: *** Angelica speranza ***
Capitolo 17: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


“Un angelo non c’è sempre. Se no non è un angelo. La sua prerogativa è che qualche volta arriva e qualche volta ti abbandona. Non sapere mai se arriverà, ecco l’essenza, ecco la traccia dell’angelo.”
La Traccia dell’Angelo – Stefano Benni
 

 
 
Prologo
 
La neve scendeva leggera, come piume d’angelo, ma non accennava a fermarsi.
Mail Jeevas era uscito di casa senza neanche pensarci, solo con la voglia di sentire il freddo della notte.
Senza una meta precisa, camminava per le strade di New York, notando come le vie deserte fossero silenziose. Ogni singolo suono era attutito dal candore della neve.
Non seppe dire di preciso da quanto stesse camminando, conscio di aver preso vie dove non era mai passato.
Quasi come se si fosse svegliato dal sonno, il suo corpo reagì al freddo pungente di quella nera notte invernale. Senza pensarci troppo, entrò nel primo locale che gli si parò davanti.
Era un bel posto. Non molto grande. Accogliente, caldo.
Si sedette al bancone, guardandosi intorno.
Un ragazzo biondo, seduto in mezzo al piccolo palco del locale, aveva appena iniziato a cantare, accompagnato dalla chitarra che teneva tra le mani.
L’uomo dietro al bancone gli rivolse il suo sguardo.
- Una birra. Scura. –
Mail si voltò ancora, seduto sullo sgabello nero.
Data l’ora avanzata, la sala era completamente vuota, riempita dalla musica piacevole del ragazzo. 
Oltre che lui e il barista nella sala c’era una coppietta, intenta a scambiarsi effusioni in un angolo, e un uomo che beveva solo, guardando, di tanto in tanto, il ragazzo sul palco. Mail spostò la sua attenzione su questo, catturato dalla sua voce pulita che con sicurezza beava i pochi clienti.
Mail chiuse gli occhi, sorseggiando la sua birra.
Era una bella musica, era così assorto ad ascoltare quella voce che non seguiva nemmeno le parole.
Aprì gli occhi, lentamente, incontrando con sorpresa lo sguardo intenso del ragazzo. Mail rimase interdetto per un attimo, impreparato al contatto con quegli occhi azzurri. Aveva uno sguardo tagliente, i suoi occhi parevano ghiaccio illuminato dal sole, nonostante la frangia gli oscurasse leggermente il viso.
Mail gli sorrise.
Un sorriso bello, attraente.
Un sorriso, inaspettatamente, ricambiato.
 
Quel bizzarro gioco di sguardi durò ancora qualche minuto, stupendo infinitamente Mail, che era uscito di casa in piena notte senza motivo, e ora si ritrovava rapito da due occhi meravigliosi, che sembravano aspettare solo lui.
Quando il biondo smise di cantare, Mail lasciò i soldi della birra sul bancone e coprendosi bene uscì, tornando nel freddo della strada.
La neve aveva smesso di scendere e si gelava.
Accese una sigaretta, appoggiandosi al muro di fianco all’entrata del locale.
Lo stava facendo davvero? E soprattutto, cosa stava facendo esattamente?
Stava aspettando che quel ragazzo biondo, di cui non sapeva nulla, se non che aveva una voce stupenda, uscisse da quel locale. E poi?
Non poteva certo saperlo.
Mentre si apprestava ad accendere la seconda sigaretta, sentì dei passi vicino a sé.
Accolse il biondo con un sorriso, scoprendo i denti bianchi.
Si concesse di soffermarsi sul suo abbigliamento insolito. I capelli lisci si perdevano nella pelliccia del cappuccio di un giubbotto pesante. Indossava  degli anfibi neri, dalla suola spessa. Ma la cosa che suscitò l’attenzione di Mail furono i pantaloni di pelle, perfettamente aderenti alle gambe magre.
Interessante.
- Mail. –
- Mihael. –
Si perse ancora nei suoi occhi, mentre rifletteva su quel nome così particolare. Dannazione, non riusciva a pensare mentre l’altro continuava a fissarlo in quel modo così… intenso?
- Non ho la moto qui con me… -
- Abito qui vicino. –
Mihael sorrise appena, avvicinando il viso a quello di Mail.
- Bene, non ho voglia di aspettare. –
Mail arrossì di colpo, avvertendo con meno intensità il freddo della notte.
Decisamente interessante.
 

 
 
 
 
Qualche Nota:
Eccomi qui, con la mia prima AU e prima Long… Chissà perché ho deciso di iniziare proprio con questa storia, che era un mio filmino mentale nato di notte. Ma poi ho fatto l’errore di parlarne con la mia Beta, che mi ha letteralmente obbligata a scriverla. Spero che, nonostante questo sia solo il prologo, questa storia possa iniziare a piacere a qualcuno ^^. Per quanto riguarda gli aggiornamenti posterò sicuramente un capitolo ogni settimana e, se la scuola dovesse permettermelo, cercherò di aggiornare più in fretta.
Grazie a chi ha letto fin qui!
Lally
 

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Capitolo 2
*** Il ragazzo dai capelli rossi ***


Capitolo Primo
Il ragazzo dai capelli rossi
 
Mail Jeevas era nato il primo giorno di un febbraio freddissimo, secondogenito di una famiglia come tante nella Grande Mela.
All’apparenza era un ragazzo normale, con poco interesse per la scuola e troppo per i videogiochi, viveva con i genitori e la sorella maggiore. Non c’erano problemi economici o altre mancanze, una famiglia semplice, insomma, con i suoi problemi, come tutte.
Ma si sa che le apparenze spesso ingannano, e non raccontano come in quella casa aleggiasse un senso di vuoto e rabbia.
 
Suo padre se ne stava chiuso nella sua stanza e non si preoccupava che i suoi figli frequentassero o meno la scuola, che iniziassero a fumare troppo presto o che preferissero scappare piuttosto che vivere in quella casa accogliente e vuota. Non si preoccupava delle lacrime di sua moglie, o dei suoi enormi ritardi dal lavoro, la sera. Semplicemente la ignorava, sempre. Anche quando la donna tornava tardi dal lavoro, portando con sé regali e sorrisi luminosi.
Il ricordo che Mail aveva di suo padre era di un uomo dall’aria perennemente sfatta e il vizio del fumo che parlava con lui o con sua sorella solo con botte e rabbia.
Quando era ancora un bambino, Mail ne aveva quasi paura e l’unica persona che sembrava potesse consolarlo era sua sorella maggiore, una ragazzina con un paio d’anni più di lui e il sorriso sempre stampato in faccia. Sorriso contagioso, tanto che Mail imparò a non aver paura delle notti buie, ricordandosi che un angelo c’era, e ci sarebbe sempre stato, a vegliare su di lui.
Sua sorella Madison riusciva sempre a estraniarsi dalle sfuriate di suo padre o dai pianti raccolti della madre. Mail la vedeva andare via di notte, scappando dalla finestra della propria camera.
 
- Non dire niente. –
- Ok. –
- Promesso? –
- Promesso. –
 
Anche a Mail sarebbe piaciuto poter aprire la finestra e urlare, immergersi nella notte illuminata da mille insegne che la città offriva, dimenticandosi di tutto il resto.
Dimenticandosi delle botte. Dimenticandosi di sua madre, che gemeva nel letto della camera accanto alla sua, tra le braccia di uno sconosciuto.
Mail era disgustato da sua madre, da suo padre e quando iniziò a frequentare le superiori iniziò ad essere nauseato anche da sé stesso.
Mentre a sedici anni Madison si era portata a letto metà liceo, Mail si rendeva conto di non provare alcun interesse per le ragazze, anzi, spesso il ricordo amaro di sua madre si sovrapponeva a quello della ragazzina di turno, che ci provava con “il solitario ragazzo dai capelli rossi e gli occhi verdi”, sempre nascosti dalle lenti arancioni dei suoi googles.
E Mail iniziava a non capirci più niente, se l’interesse per le ragazze era pressoché inesistente, incominciava a sentire di provare qualcosa di strano per i ragazzi con cui era in contatto. Si sentiva diverso, capendo benissimo che l’unica cosa che poteva fare era cercare di reprimere qualsiasi pensiero che la sua dannata mente lo costringeva a formulare.
Non ci mise neanche troppo a capire di essere omosessuale, ma ammetterlo era tutta un’altra cosa.
Così anche il ragazzo dai capelli rossi, quello che era stato un bambino capace di sorridere nelle notti più buie, imparò a mentire.
Mentiva a sua madre – ultimamente diventata, a differenza di suo marito, fin troppo premurosa, come se si fosse resa conto di aver sbagliato tutto -, mentiva ai suoi amici e mentiva a Maddie. E soprattutto imparò, dolorosamente, a mentire a se stesso.
Un brutto periodo quello dell’adolescenza. Tra amicizie, primi amori, ormoni e bugie, la consapevolezza di voler andarsene al più presto iniziava a sussurrare prepotente alle orecchie di Mail.
La prima a venire a sapere della sua omosessualità fu Maddie, entrata nella camera del fratello trovandolo a eccitarsi davanti a riviste non propriamente riconducibili a un ragazzo etero.
Quelli furono momenti d’imbarazzo – per entrambi i fratelli Jeevas – e totale panico – per il rosso -.
 
- Non… non dire niente a… –
- Ok. –
- Sul serio, io… -
- Prometto. –
 
Finito il liceo Maddie se ne andò a vivere la sua vita lontano da casa. Anche se forse sarebbe più corretto dire che scappò con “l’amore della sua vita” e si faceva sentire solo per bisogno di soldi.
Beh, almeno a lei era concesso di ricevere denaro quando ne aveva bisogno, Mail invece, quando finalmente poté lasciare la casa dove era cresciuto trasferendosi praticamente dalla parte opposta di New York, doveva cavarsela da solo, tra tasse universitarie e l’affitto del suo penoso appartamento. Tutto questo perché i suoi non gli passavano più un soldo da quando lui se n’era uscito, poco dopo essersi trasferito, con questa storia di essere gay.
Cos’era la sua vita nel presente non lo sapeva nemmeno lui.
Studiava informatica e si manteneva con lavori part-time in alcuni negozi di elettronica, o riparando computer a basso prezzo. Fin troppo poco tempo libero per un ragazzo come lui, ma l’affitto lo aspettava sempre, i primi di ogni mese, e lui non poteva tardare i pagamenti.
Comunque sia non poteva lamentarsi. Ora che si era buttato alle spalle qualsiasi legame precedente era più facile affrontare qualsiasi tipo di nuovo problema. Quasi completamente in pace con se stesso, aveva addirittura finito per frequentare alcuni ragazzi, aveva fatto le sue esperienze e, per quanto non avesse mai avuto una sola storia seria, si sentiva bene.
Pensandoci adesso, che poteva dormire da solo nel suo appartamento, senza sospiri o presenze indesiderate, la vita, fino a quel momento, non era stata troppo giusta nei suoi confronti, eppure c’erano state cose che Mail piaceva ricordare. Come i sorrisi di sua sorella, lei che lo sapeva tirare su di morale era stata una presenza quasi sacra per lui.
Forse, indirettamente, il suo angelo custode gli mostrava la sua protezione tramite Madison e a lui bastava quella presenza fugace per sentirsi al sicuro. Ma sua sorella scappava. Anche se Mail provava a tenere tra le mani le delicate ali del suo angelo non ne rimanevano altro che piume piccole, che si perdevano tra i suoi palmi.
A volte disteso sul suo letto pensava che il suo angelo non era sempre con lui,  per lunghi periodi gli voltava, inspiegabilmente, le spalle.
 
Ma in quel momento, mentre le labbra sottili di Mihael si posavano leggere e impazienti sulle sue, provò una sensazione strana, decisa. Come se qualcuno lo avesse portato in alto con le proprie ali forti e ora lo lasciasse in balia delle correnti.
Stava bene, lassù, tra le braccia del cielo, sentendo che il suo angelo era tornato a osservarlo, e non sapeva, non voleva sapere, cosa sarebbe successo dopo.
Ora c’era un angelo, c’era la notte e c’era Mihael.
 

 
 
 
 
Qualche Nota:
Allora, aggiorno adesso perché questa settimana si preannuncia da suicidio, di quelle in cui ti devi studiare metà libro (per ogni materia) praticamente a memoria, quindi non avrò tempo nemmeno per respirare. Penso che andrò a comprarmi un pugnale tradizionale giapponese, così, dovesse mai venirmi voglia di fare harakiri =_=’’’
Non sono sicura di questo capitolo… ma penso ci sia bisogno di introdurre un po’ i personaggi (prima o poi dedicherò un cap anche a Mihael…). Senza spoiler, dal prossimo capitolo gli eventi andranno avanti da dove li avevamo lasciati ^^
Grazie a chi ha inserito la storia tra le seguite e soprattutto a chi ha recensito, scrivo grazie al vostro sostegno :)
Lally

 

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Capitolo 3
*** L'inizio della notte ***


Capitolo Secondo
L’inizio della notte
 
Le sue mani si strinsero tra i capelli rossi di Mail, tirandoli forse con troppa forza. Il rosso nemmeno ci fece caso, ormai completamente perso in quell’amplesso che gli impediva di ragionare.
 
Erano gemiti, che incontrollati strappavano la perfetta quiete notturna.
Erano baci, che fugaci o profondi lasciavano un segno nel corpo dell’altro.
Erano spinte, sempre più forti, che concedevano a due semplici uomini di assaporare momenti di paradiso.
Erano morsi ed erano graffi, che segnavano la carne in quel gioco, in quella lotta di piacere.
E c’erano carezze, fatte di lingue, di sessi, di mani e di cuori, che tacitamente portavano dolcezza e amore in quel vortice di sensazioni che stordiva entrambi, persi in quel letto che sbatteva contro il muro bianco, unico testimone di un incontro furioso e travolgente.
Mihael aprì gli occhi cristallini, poggiando il suo sguardo, reso liquido dal piacere, sul ragazzo sopra di sé, contemplando le gocce di sudore che gli imperlavano il viso, il petto, e sentendole perdersi con le proprie.
Mail aveva gli occhi socchiusi e dalle sue labbra sfuggivano gemiti rochi, quasi trattenuti, in netto contrasto con quelli di Mihael, che senza alcun freno riempiva la stanza con le sue urla, capaci di eccitare ancor più Mail, ormai allo stremo della sua resistenza.
Mail affondò il viso sul suo collo, mordendo piano la pelle liscia, sentendo sulle labbra le vibrazioni della sua gola.
Un altro affondo, più forte, e Mihael strinse con più vigore le gambe intorno alla vita di Mail, urlando il suo nome.
A ogni spinta le scariche che li pervadevano si facevano più intense, facendo girare loro la testa.
Poi il limite, ed entrambi videro bianco, lasciando che i propri corpi vivessero quei lunghi attimi di perfezione.
                                                                        ***
Mail, dopo essere riuscito a regolarizzare il respiro, si voltò verso Mihael.
Era semplicemente impossibile come potesse, nonostante le guance ancora arrossate e i capelli attaccati alle tempie a causa del sudore, sembrare una creatura innocente, complici forse l’espressione rilassata e soddisfatta del suo viso e gli occhi chiusi, come quelli di un bambino dormiente. Quasi senza accorgersene Mail avvertì l’impulso di abbracciarlo, stringerlo a sé fino a sentire sul proprio petto ogni battito del suo cuore.
Sorpreso dai suoi stessi pensieri, si voltò dall’altra parte, afferrando il pacchetto di sigarette dal comodino e facendo, grazie alla sua irrimediabile goffaggine, cadere quello dei preservativi, lasciando che il silenzio della stanza fosse nuovamente spezzato, questa volta da un rumore leggero.
Come ridestato dalla sua quiete, Mihael aprì gli occhi e senza voltarsi verso il suo amante appoggiò la schiena alla spalliera del letto, tirandosi su. Senza girare il viso fece scorrere gli occhi, così azzurri e affilati da parere, in un primo momento, quasi minacciosi, su Mail, placidamente disteso nel letto con una sigaretta spenta tra le labbra.
Fu come la nascita di una scintilla, repentina e luminosa, quando gli occhi azzurri di Mihael incontrarono quelli smeraldini di Mail.
Era strano, stranissimo, fissare senza imbarazzo alcuno il ragazzo con cui avevano appena condiviso una parte così intima di sé, senza niente che apparentemente li legasse, se non un sorriso, gli sguardi, o la notte fredda e nera.
Eppure non riuscivano a smettere.
Rimasero così, immobili, incapaci di pronunciare una parola o di compiere un movimento, bloccati ad ammirare l’intensità degli occhi l’uno dell’altro.
Poi in un solo istante, Mihael si voltò, facendo quasi sussultare il rosso. Incurante della temperatura, il biondo si alzò dal letto, senza premurarsi di mettersi qualcosa, qualsiasi cosa, addosso, avvicinandosi alla finestra.
Mail ne approfittò per accendere la sigaretta, senza smettere di fissare ogni centimetro della schiena pallida, solcata da muscoli sottili.
- Ehi, Mail? –
- Mh? –
- È stato bello. –
- Sì, lo è stato. –
Mihael si voltò verso di lui e Mail ebbe seriamente paura che si arrabbiasse, perché, beh, si rendeva conto che quella non fosse la miglior conversazione della sua vita.
Il biondo fece per dire qualcosa, ma poi si limitò ad abbozzare un sorriso, stendendo semplicemente le labbra, e tornò a rimirare la notte. Mentre il rosso non riusciva a smettere di fissare il suo corpo longilineo, il silenzio sembrava voler continuare a parlare, impedendo qualsiasi altra conversazione. E Mail avrebbe voluto dire così tante cose, nella sua testa troneggiava la più totale confusione. Lui non aveva mai avuto esperienze del genere, insomma, non conosceva assolutamente niente di Mihael. E avrebbe voluto chiedergli cosa era successo, perché davvero non ci arrivava da solo.
Non riuscì a fare niente di tutto questo, uscendo sene con un’affermazione quasi insensata.
- Non so nulla di te. –
Mihael si girò di nuovo, stavolta con un’espressione diversa sul volto, qualcosa tra lo stupito e il divertito.
- Mi piace la cioccolata. –
Rispose subito dopo, voltandosi ancora, e Mail avrebbe giurato di aver visto l’ombra di un sorriso sul suo viso.
“E a me piace il tuo sedere”
Non andava bene così.
Invece di comportarsi da persona matura e cercare di capire in che situazione era andato a cacciarsi finiva per pensare cose decisamente inappropriate e assolutamente fuori luogo.
Ma, Dio, il fondoschiena di Mihael era davvero una favola.
Mihael gli rivolse uno sguardo eloquente, avvicinandosi a lui.
- Dov’è il bagno? –
Mail indicò la porta scura, ancora sbigottito dalle sorprendenti parole di Mihael.
La faceva facile, lui. Ma sinceramente in era in caso di buttarla sul ridere.
Non aveva idea di quali fossero le abitudini del biondo, ma lui non era abituato a fare sesso con la prima persona che passa e non si capacitava di come fosse potuto succedere.
Forse un motivo c’era. Forse non era neanche un motivo razionale, ma ora come ora avrebbe potuto credere a tutto.
Si accomodò bene nel letto. Magari l’unica soluzione era dormirci su. In fondo chi gli diceva di non aver sognato tutto?
Dopo un tempo indefinito, Mail sentì la porta del bagno aprirsi rivelando, un Mihael intento ad asciugarsi i capelli i capelli alla meno peggio e successivamente raccogliere e indossare i vestiti andati perduti nella piacevole confusione di qualche ora prima.
I sensi di Mail, intorpiditi dal sonno e dalla stanchezza, registrarono a mala pena che la figura fasciata dagli indumenti scuri di Mihael che si avvicinava alla sua scrivania, per poi, dopo una veloce occhiata in giro, tornare ad avvicinarsi al letto.
Solo quando sentì qualcosa d’indistinto scorrergli sulla pancia si degnò di aprire – spalancare – gli occhi.
- Che diavolo…?! –
- Fermo… aspetta un attimo –
Mihael gli era praticamente addosso, mentre armeggiava, con quello che aveva tutta l’aria di essere un pennarello indelebile, sul suo ventre piatto.
Non ebbe nemmeno la forza di controllare cosa avesse combinato, ormai non sapeva più cosa aspettarsi.
Mentre Mihael si metteva il giubbotto, Mail guardò l’orologio.
Le quattro meno un quarto.
Aveva un disperato bisogno di andare a dormire e si ripromise che avrebbe rimandato le elucubrazioni su Mihael al giorno seguente. Ora non avrebbe retto nessun tipo di ragionamento.
Osservò stancamente il corpo meraviglioso di Mihael che si avvicinava sinuoso all’ingresso e lo sentì sussurrare:
- Buonanotte, Mail. –
Eppure, non appena Mihael chiuse la porta, sentì che sarebbe riuscito a correre fuori dall’appartamento solo per poter rispondere : “Buonanotte, Mihael”.
 

 
 
 
Qualche (frettolosa) Nota:
Questo capitolo non mi convince :D ormai è un’abitudine. Per questo mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate… perché io non riesco a pensare col cervello fuso che mi ritrovo stasera.
La lemon è rimasta nel rating arancione, anche se in futuro la cosa cambierà^^
Ringrazio velocemente (anche se potrei scriverci un libro con tutti i ringraziamenti che vi devo) chi ha aggiunto la storia alle seguite, alle preferite e ovviamente chi ha recensito!
Scappo,
Lally

 
 

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Capitolo 4
*** Decisione ***


Capitolo Terzo
Decisione
 
La petulante suoneria della sveglia risuonò fastidiosa, disturbando i sensi assopiti di Mail. Il rosso si girò dall’altra parte, coprendosi la testa con il cuscino. Emise un uggiolio disperato, ricordandosi che aveva lezione presto e prima sarebbe dovuto passare al negozio d’informatica (senza rammentarne esattamente il motivo).
- Cazzo. –
Con molta lentezza cercò di coordinare qualche movimento. Non chiedeva molto, gli sarebbe bastato l’aprire gli occhi. E magari muovere tre passi verso il bagno.
Si trascinò fuori dal letto coprendo i pochi metri che lo dividevano dal bagno come se si fosse trattato dell’epico viaggio di Odisseo.
Aprì la porta sbadigliando, trovandosi davanti al dilemma dell’accendere la luce, ferendo i suoi occhi stanchi, o di lasciarla spenta, facendo un’improbabile doccia al buio. Optò per la prima idea, pentendosene subito dopo, strizzando gli occhi, infastidito dalla luce troppo forte.
E non aveva nemmeno bevuto.
Doveva smetterla di fare le ore piccole davanti alla play, se non voleva sentirsi uno straccio tutte le mattine. Era almeno una settimana che non dormiva sei ore di fila.
Alzando lo sguardo si trovò davanti all’immagine di se stesso, riflessa nello specchio. Fissò tristemente le occhiaie scure che gli sciupavano il viso, segno inconfondibile della mancanza di sonno. Notò che aveva addosso anche altri segni inconfondibili, come le macchie rosse sul collo e sul petto.
Mihael.
Il suono leggero e melodioso di quel nome gli invase la mente, ancora prima dei ricordi della sua voce, della sua presenza, delle sue mani, dei suoi gemiti e  di ogni altro singolo particolare, qualsiasi sussurro che aveva reso quella notte così particolare e così tremendamente indimenticabile.
Si portò una mano a massaggiare gli occhi stanchi.
Si dette dell’idiota quando la sua mente, o forse qualche altra essenza, gli bisbigliò all’orecchio che in fondo sapeva tutto di lui.
Si dette dell’imbecille quando si rese conto di aver appena pensato che non servisse altro per conoscere una persona, che lui fosse riuscito a comprendere e farsi comprendere da Mihael come poche persone erano mai riuscite a fare.
Batté un pugno sul lavandino.
Come prima cosa era meglio iniziare a ragionare razionalmente, come tutti i poveri cristi che non hanno passato la notte praticamente insonne.
Cosa sapeva, veramente, di Mihael?
“Gli piace la cioccolata.”
Si guardò sconsolato allo specchio, con lo sguardo di chi compatisce un decerebrato, chiedendosi quando la sua testa avrebbe ricominciato a funzionare e a smettere di uscir sene con affermazioni senza un minimo di senso logico.
Sospirò afflitto, mentre apriva il rubinetto, notando qualcosa di strano.
Qualcosa di assolutamente strano.
Più precisamente, qualcosa di assolutamente strano sulla sua pancia.
Osservò con aria interrogativa i segni neri che gli percorrevano apparentemente senza continuità il ventre. Cercò di focalizzare bene l’attenzione sulle linee scure. Dopo qualche minuto arrivò alla conclusione che fossero numeri. Abbastanza da comporre un numero di telefono. Iniziò a scandire ad alta voce gli altri caratteri.
- Chi… a… chiamami. P.S. Bu… on… buon giorno. M. –
 
Mail Jeevas si ritrovò a fissare il proprio viso, alle sei e mezzo di mattina, con gli occhi sgranati e un sorriso ebete stampato in viso.
 
Dopo una doccia veloce, che aveva sbiadito ma non cancellato l’originale messaggio del biondo, Mail si vestì in fretta, deciso a non tardare a nessuno degli appuntamenti di quella mattina. Prima di prendere il cellulare dal comodino diede un’occhiata alla finestra, apprestandosi a fumare la prima sigaretta della giornata. Il cielo era azzurro intenso, solo qualche nuvola scomposta simpatizzava con il sole, ancora basso nella volta.
Dov’era Mihael adesso?
Sicuramente sotto quel cielo cobalto.
Avrebbe davvero voluto sapere cosa stessero guardando i suoi occhi glaciali, eppure così vivi, tanto da fargli battere il cuore un poco più forte, anche se era lontano, anche se aveva potuto conoscerlo per una sola notte.
Mail prese il cellulare, digitando in fretta i dieci caratteri del numero telefonico marchiato sotto la sua maglia.
- m… i… h…a… e…l… –
Sillabò mentre inseriva il suo nome nella rubrica.
Guardò ancora le figure grigie dei palazzi contrapposte al cielo mattutino.
Fu un attimo. Sentì come una morsa alla bocca dello stomaco, sentì di essersi sbagliato. Non c’era nessun angelo a sorvegliarlo. Forse non c’era mai stato.
E si sentì impotente e solo. E ne ebbe paura, come mai ne aveva avuta.
Ebbe paura di quel “Salva nuovo numero” che incombeva nella luce artificiale del cellulare. Quelle tre parole che premevano nella sua testa, che avrebbero reso seria quell’illusione.
E Mail non voleva vivere, non volev lasciarsi coinvolgere, da quella figura che, per come stavano le cose, era solo una reale, indispensabile, illusione. Perché si sarebbe dissolta, e avrebbe fatto male.
Avrebbe fatto male rendersi conto che un’illusione che si spezza è come un angelo che ti volta le spalle.
E Mail Jeevas, a ventidue anni, non voleva rimanere solo.
 
Strinse forte tra le labbra il mozzicone. Lo lasciò cadere con sgarbo nel posacenere sulla scrivania.
Guardò ancora fuori dalla finestra. Il cielo era sempre lì, irraggiungibile e sereno, ad avvolgere e ammaliare la città con i suoi colori mai uguali.
Senza rifletterci oltre premette il tasto rosso, lasciando che un istante si portasse via tutto quello che avrebbe potuto essere, e che mai sarà.
 

 
 
 
Qualche Nota:
A volte le cose sono più difficili di quello che sembrano. Lo so per esperienza.
Grazie, grazie a chi recensisce e legge questa storia, mi rende davvero troppo felice <3
Lally

 

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Capitolo 5
*** Il ragazzo dagli occhi azzurri ***


Capitolo  Quarto
Il ragazzo dagli occhi azzurri
 
 
Mihael Keehl aveva sempre creduto all’esistenza degli angeli, ne aveva addirittura conosciuto uno. Un angelo bellissimo, che si era sempre preso cura di lui.
Era la sua mamma. Era il ricordo di lei, del suo amore.
L’amore di una donna poco più che ragazza, che non aveva avuto niente dalla vita, usata come uno straccio anche dalla propria famiglia. Costretta a vendersi ma che nonostante questo era riuscita ad amare con ogni parte del suo cuore ferito quel figlio, frutto di una mera violenza su un corpo delicato e pallido.
Nonostante gli stenti, il dolore, Mihael conservava l’immagine della sua infanzia come un bel ricordo, il più bello di tutta la sua vita.
Lui era solo un bambino, ma le carezze, i rari ma bei sorrisi, con i quali sua madre si premurava di riempirgli la vita, erano ancora nitidi in lui, così come la figura esile, fragile, e giovane di quella di quella donna, ragazza, che dava tutto ciò che miseramente aveva all’unico tesoro della sua vita.
Ma l’amore non scalda dal freddo e non sazia dalla fame.
E Mihael, piccolo ma acuto, vedeva il suo angelo, creatura pura e stuprata, sbiadire sempre più dal suo pacato pallore alla bianchezza di chi è malato e non può guarire.
Non aveva paura, perché bastava che lei ci fosse, anche se distesa nel letto troppo spesso e troppo a lungo. Lena, amica di sua madre, che con lei condivideva la camera e il destino triste, di chi vive con le ali strappate e senza coraggio per scappare con le proprie gambe, si prendeva cura di lui, sempre più spesso.
- Mihael, lascia in pace la mamma, deve riposare. –
Poi una sera, una delle tante, quando Lena e sua madre dovevano uscire per portare a casa i soldi, il suo angelo biondo non tornò all’alba.
Semplicemente, Mihael non la vide mai più.
Non pianse, anche se lo sguardo rammaricato di Lena era triste.
Non ci riuscì quella volta, da bambino, così come non ci riuscì mai una volta nella sua vita.
Anche se era rimasto un bambino solo, senza un angelo a consolarlo per le sue sventure.
Lena stette con lui per qualche giorno, forse nemmeno una settimana, poi una mattina lo fece vestire con abiti nuovi e caldi e lo portò fuori, nella città sempre fredda, nel lungo inverno del nord.
Nonostante il dolore per la scomparsa della madre lo accecasse, Mihael ricordava ogni dettaglio di quel giorno.
Ogni sguardo che i passanti rivolgevano a lui e Lena e il modo in cui quest’ultima tenesse il volto alto, ostentando sicurezza erano indelebili nella sua mente. Ricordava a memoria anche ogni crepa nel muro grigio dell’edificio davanti al quale la donna si fermò, inginocchiandosi davanti a lui, per poter parlare guardandolo negli occhi.
- Guardami, Mihael. –
Il bambino biondo cercò un po’ di sicurezza negli occhi della prostituta, senza riuscire a trovarne.
- Ascoltami, piccolo. Studia, è importante, davvero. E poi vattene da qui. Pensa all’America, lì ci sono tante, tante opportunità che qui non avresti. Oh, sarebbe stato bello poterci andare tutti insieme, io, te e Marisha. Ma solo tu hai questa possibilità, sfruttala, ok? –
Mihael annuì senza capire.
- Qualsiasi cosa accada, Mihael, non piegare mai la testa, davanti a nessuno, capito? –
Mihael continuava ad annuire, sempre più confuso.
- Vieni qui, piccolo, fatti abbracciare. –
E Mihael si lasciò stringere in quell’abbraccio che non capiva a pieno. Non si spiegava il perché di quell’inusuale dimostrazione d’affetto da parte di Lena, ne tanto meno comprendeva il significato delle lacrime della donna.
- Lei ti voleva bene, tanto, troppo. Non farti una colpa per il suo male, è stato il Signore a decidere. Le ho promesso che sarei stata con te ma… non posso, lo capisci questo? Tieni Mihael, ricordati sempre di pregare, è l’unico per questo motivo che siamo stati messi al mondo. –
Mentre si asciugava le lacrime, si sfilò dal collo un rosario scuro, porgendolo al bambino di fronte a lei, ormai tremendamente confuso e spaventato.
Mihael strinse forte la collana dalle perline scure, nel disperato tentativo di aggrapparsi a qualcosa, per non sprofondare nella paura.
Lena si alzò in piedi, poggiandoli un bacio sulla chioma dorata e affidandolo ad un uomo anziano, che indossava abiti scuri.
Mihael si apprestò, titubante, a compiere per la prima volta i passi nei corridoi dove sarebbe cresciuto.
 
L’atmosfera che si viveva all’orfanotrofio non era brutta, aveva però delle venature di vuota tristezza. Nonostante i molti bambini che vi abitavano non c’era mai confusione. Ogni rumore era calcolato, nessun suono, nessuna risata fuori posto. Anche se, talvolta, di notte, Mihael sentiva timidi singhiozzi dei bambini più piccoli o di chi era appena arrivato e conservava ancora nella mente i ricordi di una famiglia.
Così conobbe la realtà, senza mezzi termini, direttamente sulla sua pelle. Negli anni che passò tra quelle mura, ascoltò storie orribili, ben peggiori della sua, e si ripromise che avrebbe fatto tutto per vivere al meglio, in futuro.
Imparò molte cose, spiacevoli eventi forgiarono il carattere forte e deciso, di chi non sa piangere nel dolore, che era la virtù di Mihael.
Quando fu abbastanza grande, comprese le raccomandazioni di Lena, seguendo le sue parole come unica luce.
Studiò, s’impegnò sempre, cercando di arrivare primo in qualunque cosa facesse e non appena poté lasciare l’edificio dove era vissuto, ma dove non aveva lasciato nessun legame, prese un diploma e con molti, forse troppi, sacrifici, trovò il modo di lasciare l’Europa, con la speranza di trovare fortuna negli Stati Uniti.
L’unica cosa che non riuscì a fare fu pregare. Non aveva mai mantenuto quell’impegno. Il rosario che teneva sempre al collo era solo un ricordo di della sua infanzia bruciata.
Non aveva nessuno da pregare, quella presenza che lo sorvegliava sen’era andata molto tempo prima.
Ora c’era solo New York, con le sue luci e la sua notte, da cui doveva ben guardarsi, consapevole che la vita non gli avrebbe subito sorriso.
Non fu facile.
Affatto.
Trovare un lavoro, un lavoro serio, era da escludere, così si era ritrovato a fare quello che passava il convento, condividendo un appartamento con persone sconosciute.
Lui era silenzioso e freddo, chiedeva solo di essere lasciato in pace. Non aveva bisogno di aiuto, non si sognava nemmeno di chiederlo.
Ma è difficile tirare avanti quando non si ha nulla, non un soldo, non un amico, ma solo la notte e l’amarezza.
Fu così che iniziarono quei ventitre lunghissimi giorni, nei quali si abbassò a prostituirsi, lungo l’autostrada buia, che riservava, troppo spesso, spiacevoli sorprese.
Aveva qualcosa di buffo pensare che fosse nelle stesse condizioni di sua madre e di Lena, nonostante i sacrifici fatti per avere una vita diversa.
I giorni, le notti, passavano lenti, scanditi solo dalle auto che gli si fermavano vicine, alle quali si avvicinava suadente, sicuro, dall’alto della sua invidiabile bellezza, contrattando la sua vita.
Inutile dire che conobbe alcune tra le persone peggiori della sua vita, ma semplicemente si piegava a loro, pensando soltanto al futuro, ignorando le mani che lo toccavano e le voci che lo chiamavano, come reali mostri di incubi irrivelabili.
Poi successe. L’ultimo giorno in cui dovette subire tutto quello. Il ventitreesimo giorno da quando aveva iniziato a battere, quell’uomo ci andò giù pesante. Un folle deciso a scaricare la sua rabbia insensata su un giocattolo di cui nessuno avrebbe sentito la mancanza. E Mihael credette  davvero di morire. Di lasciare così quel mondo triste, che non gli aveva lasciato nemmeno un regalo.
Andarsene senza essere riuscito a pregare, senza aver versato una sola lacrima, senza aver trovato qualcosa che lo spingesse davvero ad andare avanti, chiuso in un bagagliaio con il volto tumefatto, il corpo e l’anima massacrati di botte.
 
Quando si svegliò, in ospedale, non seppe se di tirare un sospiro di sollievo o iniziare a piangere e gridare.
Ma era un ragazzo forte, lo dimisero in fretta, non era ancora arrivato il momento di arrendersi. Ora sapeva cosa voleva dire toccare il fondo e, Dio, non ci sarebbe più ricaduto, avrebbe lottato fino all’ultimo per riuscire a tirare avanti.
Ancora una volta la situazione fu complicata. Adesso cantava nei pub, di sera, e non poteva chiedere di meglio, ma, di certo, non ci si vive.
Ma dopo poco la sua fortuna iniziò finalmente a ingranare, e conobbe un uomo, più vicino ai cinquanta che ai quaranta, affascinante, che sembrava davvero colpito dal biondo ragazzo che lo illuminava con la sua bella voce limpida e decisa.
Mihael si sentiva importante, amato. Will era premuroso nei suoi confronti e nonostante fosse un impegnato padre di famiglia, trovava tempo – e denaro - per lui.
Al biondo poco importava sapere di essere “il rovina famiglie” decantato sempre più spesso nella società.
La cosa funzionava.
William non era sempre presente, occupato dal lavoro e la famiglia, ma lo aiutava a tirare avanti con il suo affetto e lo aiutava con l’affitto, e Mihael non poteva che accettare.
 
E adesso si sentiva strano e vuoto, seduto per terra e la testa appoggiata al muro, mentre fissava lo schermo del proprio cellulare, in attesa, forse, di una semplice telefonata.
 

 
 
 
Qualche Nota:
Ecco qua. Non odiatemi se gliene ho fatte passare di tutti i colori, ma è più forte di me. Quando parlo del mio amato Mihael divento leggermente sadica (nella mia testolina bacata lo faccio per trovare una giustificazione per il suo carattere che, a mio parere, è stupendamente inscalfibile). Fatemi sapere se quello che ho scritto non è verosimile…
Ah, giusto, Lena e Marisha sono le abbreviazioni affettuose di Yelena e Marina. Anche se non ho specificato nulla, Mihael è nato in una città imprecisata dell’est Europa, così, perché m’ispirava ._.
Ora che anche il passato di Mihael è venuto fuori potrò focalizzarmi meglio anche sul suo punto di vista. E, scusatemi, ma non credo che il prossimo capitolo arriverà prima di questo fine settimana… sono una frana ad organizzare i tempi.
Ancora grazie a tutti quelli che seguono la storia, mi fa sempre piacere ricevere il vostro parere <3
Lally

 

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Capitolo 6
*** Una pessima giornata ***


Capitolo Quinto
Una pessima giornata
 
Quella mattina Mail non era riuscito ad evitarla. Era da un buon quarto d’ora che la sua capo classe continuava ad insistere.
-Andiamo, che ti costa? Ti prego Mail! –
Mail fissò Ashley con sguardo omicida. Come poteva chiedergli una cosa del genere? Soprattutto sapendo che non poteva rifiutare.
- E poi lo sai che mi devi un favore… -
Fece lei, con la sua aria insopportabile, e Mail si maledisse per averle chiesto di coprirlo, un paio di settimane prima. Anche se era la migliore del suo corso, era anche la persona più insopportabile di tutte le università newyorkesi.
- Allora? –
Ashley inclinò la testa, facendo tintinnare la campanella sulla punta del suo ridicolo cappello da Babbo Natale.
- Va bene, butterò via un pomeriggio e ti aiuterò a portare degli stupidi e inutili doni, vestito come un idiota, in un centro commerciale pieno di gente, così tutti mi ricorderanno come il povero sfigato vestito di rosso. –
Disse con tono solenne.
- Ti ricorderanno come un ragazzo che aiuta un’amica. –
Quella nanetta bionda aveva qualcosa che avrebbe svegliato un istinto omicida anche nei Puffi. E da quando si definiva sua amica?
- Ti aspetto lì alle due, ok? –
Mail acconsentì sbuffando, incamminandosi verso la sua aula.
Sarebbe stato un lungo pomeriggio.
Odiava l’insopportabile, presuntuosa, infantile, Ashley e il suo eccitarsi per qualsiasi cosa, emettendo versi degni di una bimba di cinque anni alle prese con la sua Barbie nuova di Zecca.
Aveva un dannato pomeriggio libero e si apprestava a spenderlo tra pacchi regalo, mocciosi fiduciosi di un vecchio barbuto e la sopracitata Ashley.
Chi diavolo era che gli pregava contro?
Sbuffò in silenzio, mentre osservava il cielo plumbeo dalla finestra dell’aula. Forse quel pomeriggio avrebbe ripreso a nevicare.
 
                                                                       
Continuava a ripetersi che sarebbe potuta andargli peggio.
Alla fine dei giochi se l’era cavata con un naso rosso di plastica e cerchietto con corna da renna.
Sì, ovviamente poteva sembrare un perfetto imbecille sotto molti punti di vista, ma almeno non ne era entusiasta.
Invece la sua “amica” Ashley saltellava con troppa energia, facendo svolazzare il suo abitino rosso rifinito di pelo sintetico bianco, sfoggiando il suo esagerato sorriso a trentadue denti.
- Dai, Rudolph, sorridi! –
Mail rispose con un grugnito minaccioso. Se l’avesse chiamato ancora una volta con quello stupido nomignolo avrebbe preso i pacchi regalo che si trovava tra le mani e glieli avrebbe fatti ingoiare uno per uno.
Facendo appello a tutto il suo autocontrollo, Mail cercò di non mandare a quel paese i bambini che gli chiedevano come mai una renna avesse i capelli rossi, riuscendoci soltanto pensando che appena avesse potuto lasciare quell’inferno sarebbe corso a casa, con PSP e lattina di birra alla mano.
Oh, quello sì che era un paradiso.
Non appena ne ebbe l’occasione, si appartò lontano dal centro del marasma, cercando di non farsi vedere da Ashley, dai bambini o da Babbo Natale in persona, per fumarsi una santissima sigaretta. Alzò lo sguardo al grande orologio digitale che svettava sulla sala.
Le cinque e quaranta.
Non poteva resistere altri venti minuti.
- Lo sai che se fumi poi muori? –
Si voltò, trovandosi davanti ad una bambina che non arrivava nemmeno all’altezza del suo bacino.
- Me lo dice sempre la mamma. –
Mail non provava antipatia verso i bambini. Gli erano indifferenti. Ma non era dell’umore giusto per niente, e non era quello il momento per una simile discussione.
- Ma che mamma premurosa! –
Rispose con un gran sorriso.
- E ti ha anche detto che Babbo Natale è solo una stronzata che la gente usa come espediente per fare un sacco di soldi? Con canzoni, addobbi, e altre centinaia di insulsi modi per spillare denaro alla gente onesta? Tanto poi chi passa il suo tempo dentro un centro commerciale pieno di mocciosi petulanti al servizio del loro uomo-sforna verdoni sono io. E manco mi rifilano un centesimo. –
La bambina lo fissò con gli immensi occhioni nocciola completamente sgranati e la bocca aperta. Mail giurò che si sarebbe messa a piangere da un momento all’altro.
- Quindi ora capisci che non me ne frega nulla se questa sigaretta mi porterà alla morte? L’inferno l’ho già assaggiato oggi. –
Concluse, con un gentile sorriso sulle labbra. La bambina corse via urlando.
Poco male. Prima o poi anche lei avrebbe scoperto quanto è dura la vita.
Peccato che la premurosa mammina della bimba non fosse del suo stesso parere.
Gli fu fatta una parte orribile. Dalle parole dei genitori shockati e dell’organizzatrice di quella farsa, Mail si convinse di essere un vero mostro.
Ma nonostante questo non riuscì a togliersi il sorriso dalle labbra, farsi cacciare era un ottimo modo per dileguarsi.
Aveva lasciato Ashley e la sua trovata talmente in fretta da dimenticarsi di togliersi le false corna in stoffa dalla testa.
Ora che era libero di cazzeggiare come meglio credeva, si concesse di osservare come l’atmosfera natalizia aveva modificato l’assetto del centro commerciale.
No, non nel senso che fossero tutti più buoni, ma notò come ogni vetrina fosse traboccante di merce in perfetto stile “venticinque dicembre”.
E come i molti clienti affollassero i negozi ricolmi di addobbi, camminando di fretta, troppo impegnati per riflettere sulla vera gioia che quella festività avrebbe dovuto comunicare.
Mail si fermò in mezzo all’ingesso dell’edificio.
Avrebbe voluto chiamare i suoi, augurare loro sinceramente di passare un buon anno nuovo. E magari rivedere Maddie. Erano quasi due mesi che non si faceva viva.
Si accese una sigaretta, consapevole del divieto di fumare all’interno dell’edificio.
Pensò che in fondo non ci teneva nemmeno più di tanto a rivederla. E forse non voleva nemmeno sentire i suoi. Forse era solo un bambino che si sente solo, che vuole trovare una sorpresa sotto l’albero, almeno a Natale.
Abbandonò completamente quei pensieri un po’ tristi, o forse solo troppo reali, quando il suo sguardo fu catturato da qualcosa, qualcuno, che non si sarebbe mai aspettato di vedere in quel posto, in quel momento.
 
                                                                        ***
 
Mihael aspettava da quasi un’ora ormai.
In quel momento il suo più grande desiderio era di lasciare quel locale allegro, pieno di addobbi, che si trovava nel grande centro commerciale.
Non che fosse un posto spiacevole, anzi, ma odiava aspettare e ormai era chiaro che Will non si sarebbe fatto vedere.
Cosa gli era successo questa volta? Ufficio? Moglie? Figli? Non lo sapeva. Non gli importava nemmeno. L’unica cosa che lo preoccupava era il fatto che non ci fosse.
Si ripeté che doveva immaginarselo, ora che le feste erano alle porte William avrebbe dovuto passare più tempo con la famiglia. Si sarebbe accontentato di qualche lunga telefonata la sera tardi. Non era un problema per lui.
Allora perché era ancora lì?
Cosa aspettava esattamente? Di vedere la figura composta e affascinante di Will apparire all’improvviso, scusandosi per l’enorme ritardo? Che stupida fantasia.
E che giornata di merda.
Abbassò la testa, sperando che nessuno lo notasse, nascosto tra gli addobbi e l’arredamento del bar, nonostante fosse seduto di fianco alla vetrata che dava sul grande ingresso commerciale. Non se n’era ancora andato perché sarebbe equivalso all’andare via solo. Si odiava per questo, ma non riusciva a tollerarlo. Quella sera non doveva nemmeno esibirsi al pub.
Rialzò il capo a malincuore, lasciando che i sottili capelli biondi tornassero ordinati a incorniciargli il viso.
Quando lo vide, sgranò gli occhi come se gli fosse apparsa davanti la Madonna.
Mail era lì, seduto davanti a lui, con un sorriso rassicurante dipinto sul volto.
Mihael si chiese se quel ragazzo avesse un passato come ninja, perché non lo aveva nemmeno sentito arrivare.
- Ciao. –
Continuava a sorridere.
Mihael lo squadrò, senza dire una sola parola. I suoi occhi avevano un tono talmente inquietante che Mail rabbrividì, senza però incrinare il sorriso.
Il biondo non rispondeva al saluto, si limitava a osservarlo dritto negli occhi verdi, con un’espressione indecifrabile.
Poi passò a osservare le inappropriate corna da renna che spuntavano dalla chioma rossa di Mail.
Quando poggiò di nuovo lo sguardo sugli occhi del rosso e Mail riuscì a leggerci una sottile nota di preoccupazione – per la sua sanità mentale – mista a divertimento.
- Non mi hai richiamato. –
Serio, dritto al punto. Colpito e affondato.
Era inutile inventarsi scuse.
- No. –
Disse solo. Eppure lo sguardo ostile di Mihael si raddolcì un poco.
- Cosa vi porto, ragazzi? –
Una cameriera dalla corporatura massiccia apparve quasi inaspettata.
- Per me niente. –
Mihael fece per alzarsi.
- E per lui una cioccolata calda. –
Si fermò di colpo, guardando nuovamente Mail, che gli sorrideva eloquente.
Forse aveva sottovalutato quel rossino sorridente.
E poi aveva proprio bisogno di una cioccolata calda.
 

 
 
 
 
Qualche Nota:
Quanto sono difficili e noiosi da scrivere i capitoli di transizione? Troppo.
Grazie a tutti quelli che leggono, aggiungono la storia alle seguite e alle preferite, e, ovviamente a chi mi fa sapere cosa pensa di quello che scrivo ^w^
Lally
Ps. Quello che sto per dire non ha senso. Allora, il personaggio di Will è nato per caso. Dato che non volevo inserire un altro OC ho pensato di cercare qualche personaggio del manga che rispondesse ai requisiti: uomo sposato con figli. Quando ho realizzato che l’unico era Soichiro Yagami, la mia reazione è stata: No. Punto. XD
                                                      

 

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Capitolo 7
*** Campanelle tintinnanti lungo la strada ***


Capitolo Sesto
Campanelle tintinnanti lungo la strada
 
Così, senza troppi discorsi, erano finiti a girovagare nel marasma del centro commerciale, tra negozi di ogni tipo.
Due semplici ragazzi, persi tra la vivacità di colori e persone, distinguibili dalla folla solo a causa delle strane corna di Mail.
- … quindi studi? –
- Sì, informatica. E’ una vera passione, ma non so ancora cosa fare dopo. –
- Nemmeno io so cosa volere dalla vita. –
Mihael fermò una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
In realtà sapeva bene cosa voleva. Ma non aveva il coraggio di chiedere. E questo, forse, valeva anche per Mail.
- Stasera ti esibisci? –
- No, oggi no. Purtroppo non hanno sempre bisogno di me. –
Ironia. E una nota sorda di amarezza.
- È un piacere sentirti cantare. Davvero. –
- Grazie. –
Effettivamente anche cantare era un piacere. Quando aveva iniziato, non avrebbe mai pensato che la musica gli avrebbe lasciato quel senso di pace, di soddisfazione.
- Mihael, senti, io… -
Mail s’interruppe di colpo.
Un paio di occhi neri, sproporzionatamente enormi in quel visetto a cuore incorniciato di riccioli biondi, entrarono nel suo campo visivo. Era lei. Sicuramente. Il suo cappello rosso che spiccava tra la folla non mentiva.
Oh, cazzo.”
- … Andiamocene. –
Mihael si voltò verso di lui, alzando un sopracciglio.
Ma Mail non aveva tempo per spiegare. L’ultima cosa di cui aveva bisogno in quel momento era sentire la ramanzina di Ashley. Proprio non avrebbe sopportato la sua vocetta nemmeno per una frazione di secondo.
Afferrò Mihael per un braccio, trascinandolo in mezzo ad un fitto gruppo di persone.
Si girò, sperando di averla seminata, e scoprendo, deluso, che Ashley era riuscita a notarlo e ora cercava di raggiungerlo.
“Dannazione.”
- Dannazione, Mail! Che stai facendo?! –
Non era quello il momento di rallentare la fuga.
- Seguimi. Ti spiego dopo, ora quella non deve vedermi! –
Disse mentre continuava a trascinare il biondo nel senso contrario all’afflusso di gente, verso le uscite. Mihael lo lasciò fare, guardandosi alle spalle e scorgendo la buffa figura di una ragazza minuta che indossava un natalizio vestitino rosso e una maschera di pura collera sul viso, che cercava di farsi largo tra la folla, con scarsi risultati.
 
Fuori dall’edificio si congelava. La neve aveva ripreso placidamente la sua caduta, ormai da qualche ora.
Mail perse qualche secondo a rimirare i piccoli fiocchi che, giocosi, nascondevano a tratti i lineamenti simmetrici del viso di Mihael. Si costrinse a guardare le macchine bloccate in strada.
- Che gli hai fatto a quella? –
Mihael si sistemò il cappuccio sulla testa, cercando in qualche modo di alleviare il freddo pungente della sera ormai iniziata.
- Sembrava che volesse squartarti con lo sguardo. –
Mail trattenne una risata.
- In realtà non penso sia una possibilità da escludere completamente. –
Mihael lo guardò interrogativo.
- Aspetta, scommetto che ha a che vedere con quella roba che hai in testa. –
- Ci hai preso in pieno. Mi ha obbligato a un pomeriggio di buona volontà forzata. –
- Posso immaginare. –
Faceva freddo a rimanere immobili sotto la neve.
- Vai a casa adesso? –
Mail annuì.
- Ti accompagno. Sono… sono di strada. –
Incamminarsi sotto la neve, che sempre più rada colorava con il suo bianco il cielo nero delle sere invernali, era una bella sensazione, soprattutto avendo nel petto la consapevolezza di stare per arrivare a casa, in un luogo caldo, confortevole.
Incredibile come la semplice discesa di quella sostanza fredda, che ricordava  morbide piume, riuscisse a smussare i suoni della città, fino a inghiottire del tutto quelli più lievi delle vie meno frequentate. Erano soli, Mail e Mihael, infreddoliti e bloccati nel silenzio che si era fatto pesantemente imbarazzante. Un silenzio talmente profondo che quasi si poteva percepire il respiro di quell’essere celeste che li osservava, anch’egli silente, come la notte stessa.
Se c’era qualcosa che a Mail non andava a genio, era proprio quel tipo di silenzi.
Guardò Mihael, che teneva lo sguardo avanti a sé, sul viso un’espressione impassibile.
E Mail, senza capirne il motivo, si sentì quasi euforico. Gli venne quasi naturale iniziare a cantare quel motivetto, dopo averlo sentito a ripetizione per tutto il pomeriggio, e si disse che in fondo così poneva rimedio al silenzio.
- Dashing through the snow, in a one-horse open sleigh,
through the fields we go, laughing all the way. –
Il biondo si voltò verso di lui, seriamente preoccupato.
- Mail, ti senti bene? –
- Bells on bob-tail ring, making spirits bright,
what fun it is to ride and sing, a sleighing song tonight. –
- Bene. Ora piantala. –
- Su, Mihael, se c’è una cosa che ho imparato oggi, è che dobbiamo trasmettere a tutti il nostro spirito natalizio. –
- Non ho alcuno spirito natalizio, io. –
- Sì che ce l’hai. –
Detto questo si avvicinò a lui, togliendogli il cappuccio e mettendogli la propria passata con corna da renna.
- Ecco. -
Mihael fece per rispondergli a tono, o più plausibilmente mandarlo a quel paese, ma fu interrotto dal sorriso di Mail.
Gli trasmise una luce talmente intensa che pensò di avvertirne il calore.
Ma nonostante fosse rimasto ammutolito dallo splendore della gioia che il rosso riusciva trasmettergli, dovette trattenere una mezza imprecazione quando riprese a cantare.
- Basta. Se ti sente qualcuno… -
- Jingle bells, jingle bells, jingle all the way,
oh what fun it is to ride, in a one-horse open sleigh! –
Ora aveva anche alzato il tono. Ma cosa credeva? Che non ci fosse nessuno in giro?  
Si tolse lo stupido aggeggio che Mail gli aveva infilato tra i capelli e glielo tirò addosso.
- Ehi! –
- Chiudi la bocca, santo cielo! –
- Cosa c’è? Ti sei offeso perché volevi il travestimento da principessina del Natale? –
Mail, dopo aver sfoggiato un perfetto sorriso di provocazione, si voltò, precedendo Mihael di qualche passo.
Il biondo si fermò in mezzo al marciapiede deserto.
Chi era Mail per prendersi così tanta confidenza? E, soprattutto, nessuno dava a lui, Mihael Keehl, della principessa.
Mail aveva commesso un grosso errore a dargli le spalle.
 
 
 

 
 
Qualche Nota
Volevo pubblicare ieri sera ma sono tornata a casa tardissimo ç_ç
 E perdonatemi per questo capitolo senza un minimo di senso logico. Il prossimo sarà più… più… più.
Grazie a tutti quelli che leggono. E’ sempre bello ricevere i vostri commenti, nessuno esiti a dirmi quello che pensa C:
A quando avrò tempo di scrivere
Lally

 

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Capitolo 8
*** Solo adesso ***


*Mi dispiace moltissimo per avervi fatto aspettare. Aspettare gli aggiornamenti è una cosa davvero spiacevole, lo so bene, e non so come chiedervi scusa. E non voglio stare qui a farlo. È un brutto periodo, anche scrivere diventa complicato. La colpa è mia che ho deciso di iniziare una long in un momento sbagliato T^T. Comunque ci tengo a dire che la fic non verrà assolutamente interrotta. Forse procederà a rilento, ma procederà.
Mi scuso ancora con chiunque recensisca o abbia aggiunto questa storia alle preferite e alle seguite... spero di non avervi deluse ç_ç*
 



Capitolo Settimo
Solo adesso
 
Lo colpì con una precisione impressionante, dritto sulla nuca. La neve gelida colò sul suo collo, bagnando il colletto del giubbotto.
Mail si voltò con un’estrema lentezza, rivelando al biondo una faccia a metà tra lo sconvolto e l’incazzato.
Non poteva averlo fatto sul serio.
Non gli aveva appena lanciato addosso una palla di neve fredda e sporca di smog cittadino, vero?
- Cosa cazzo combini? –
- Non prenderti troppa confidenza con me, oppure… -
Mihael s’interruppe quando qualcosa lo colpì sul petto. Neve. Orribile neve di città gli impregnava la giacca.
Non poteva averlo fatto davvero.
Quella era un’esplicita dichiarazione di guerra.
Nonostante fosse sbigottito per la faccia tosta di Mail, Mihael riuscì facilmente ad evitare un secondo attacco del rosso. Purtroppo fu preso in pieno un attimo dopo.
- Ti sei già arreso? –
Oh no, Mihael non gliela avrebbe data vinta. Lui non perdeva, mai.
- Vieni qua, rosso! –
- Scordatelo! Prova a prendermi! –
Si mise a correre dietro a Mail, incurante della situazione. Non pensava che chi li avesse visti avrebbe sicuramente pensato di trovarsi davanti a due bambini e non a due ventenni.
Semplicemente gli importava solo di raggiungere quell’idiota dai capelli rossi e fargli rimangiare ogni sua parola o azione.
Era da talmente tanto tempo che poteva stare tranquillo e non pensare a niente che ci mise un poco per capire che la sensazione che il suo cuore metteva in circolo in quel momento fosse proprio felicità. E non riuscì a trattenere un sorriso.
Un sorriso semplice, nato in una situazione sciocca, che brillò tra la neve e il buio.
Mihael non poteva certo sapere che quel sorriso fosse la cosa più bella che la vita avesse riservato a Mail da molto, moltissimo tempo.
Mihael smise di correre all’improvviso, curioso di sapere perché Mail si fosse fermato. Subito dopo si accorse che erano arrivati davanti al portone del palazzo dove abitava Mail.
Era forse tristezza quella che percepì nel petto?
Stupida, fredda tristezza. Ma non durò molto. No, il viso di Mail che si stendeva in un sorriso, di quelli caldi che solo lui sapeva donare, spezzò qualsiasi cosa che non fosse felicità.
Poteva salutarlo e andarsene. Avrebbe detto addio al ragazzo con cui aveva intrapreso un’improbabile battaglia a palle di neve. Che aveva in contrato per caso. Coincidenza che si era ripetuto due volte. Che lo aveva fatto tremare di piacere. Che lo faceva sorridere, nonostante tutto.
Sentendo il cuore fermarsi, Mihael avvicinò il viso a quello di Mail.
Il contatto con le sue labbra fu talmente leggero da sembrare un’illusione. Quasi titubanti le divisero ancora, per poi unirle nuovamente in una carezza inaspettatamente dolce e desiderata. Lentamente Mihael dischiuse la bocca, assaporando il sapore di tabacco della lingua di Mail.
Caldissimi brividi di piacere si diramarono lungo la sua schiena quando, dopo aver assecondato la lingua del rosso, sentì le sue mani fra i capelli.
Sentì di avere bisogno di quel bacio.
Portò le braccia intorno al suo collo, desiderando invano di poter ricordare per sempre di ogni dettaglio di quei momenti. In pochi secondi la carezza delle loro bocche diventò più profonda, tanto che fece quasi male doversi scostare per riprendere fiato.
Quando si allontanarono un poco, fissandosi con intensità negli occhi, realizzarono entrambi di aver appena toccato il cielo con un dito. Fu bellissimo rendersi conto di avere un’intera vita per condividere ancora abbracci così belli.
- Sali. –
Non era una domanda.
- Sì. –
 
 
La situazione iniziò a farsi difficoltosa in ascensore. Non tanto per il breve tempo in cui furono costretti a starci, più che altro era lo spazio ristretto a causare qualche problema.
Anche perché Mihael non sembrava intenzionato a smettere di torturargli così piacevolmente il collo. O, più probabilmente, la cosa che più tendeva a polverizzare qualsiasi tipo di autocontrollo, erano le scariche di piacere che si diffondevano celermente lungo il corpo ogni volta che i loro bacini si toccavano.
Oggettivamente l’unica cosa che bloccava Mail dallo spogliare seduta stante il già fin troppo eccitante corpo di Mihael, era il sapere di poter incontrate praticamente mezzo condominio, una volta che le porte dell’ascensore si fossero aperte. Perché non era poi così tardi, non sarebbe stato strano che ci fosse ancora qualcuno in giro.
Non era poi così tardi. La sola idea di avere un’intera notte a loro disposizione era allo stesso tempo una tortura – maledicendo quel minuto scarso di ascensore che gli allontanava dal letto – e una benedizione.
Si sentì spingere contro la parete metallica, mentre le mani di Mihael si facevano strada sotto la stoffa della sua maglia. Gemette sommessamente, quando avvertì l’erezione dell’altro premere sulla propria.
Con il musicale “plin – plon” di ogni ascensore che si rispetti, le porte si aprirono, lasciando, dopo che ebbero passato quello che poteva essere un minuto come un secolo, finalmente la possibilità ai due di arrivare all’appartamento.
- Muoviti… -
Come se fosse facile.
Recuperare le chiavi di casa dalle tasche del giubbotto e arrivare addirittura ad aprirci la porta, in quel momento, sembrava pura blasfemia. Non con Mihael che gli toccava la schiena con la punta delle dita, intimandogli di fare presto. Con quella voce talmente bassa che sarebbe potuto venire soltanto ascoltandola.
 
I loro ricordi del percorso pianerottolo-ingresso ingresso-letto, in realtà, non erano né nitidi né rilevanti.
In tutta sincerità Mail riusciva a ricollegarci soltanto la rapida perdita degli indumenti, che sino a poco prima sembravano l’unico sistema efficiente per ripararsi dal freddo e adesso riuscivano solo a smorzare il calore dei loro corpi.
Per quanto avesse voluto contemplare nuovamente il corpo nudo del biondo, Mail dovette rinunciare, troppo impegnato a sentire ogni centimetro della sua pelle accaldata sulla propria. Mentre coinvolgeva le labbra di Mihael in un bacio irruento, Mail si lasciò spingere sul letto, mentre con mani tremanti per l’eccitazione gli toglieva i pantaloni di pelle – imprecando mentalmente contro la loro disarmante aderenza – e toccava voglioso le sue natiche sode.
Mihael gli morse una guancia arrossata, carezzando subito dopo con la lingua la parte lesa. Stava perdendo completamente il controllo delle sue azioni, curandosi soltanto di godersi ogni brivido che le mani di Mail gli stavano donando.
Mihael adorò il suo modo di toccarlo; era delicato ma forte allo stesso tempo. Scoprì di averne sentito la mancanza.
Si fermarono, solo per pochi attimi, da quella sconvolgente danza di pura passione che bruciava loro nel petto.
Mihael, chino su Mail, cercò di decifrare le miriadi di emozioni contenute nei suoi occhi di giada, rimanendo confuso dalla loro espressività. Rimase fermo così, mentre sentiva una calda goccia di sudore colargli lungo la spina dorsale, mentre Mail alzava un braccio verso il suo viso e gli portava una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio. Era un gesto così semplice che Mihael arrossì ancor più. E Mail sentì crescere nel cuore la voglia di baciare ancora e ancora le sue labbra sottili.
Il piacere tanto atteso arrivò di colpo, costringendo il rosso a riversare il capo all’indietro sul letto, quando Mihael abbassò il bacino sul suo sesso duro e bagnato.
Mihael rimase fermo, contraendo i muscoli per il fastidio, ignorando gli ansimi vogliosi di Mail. Si riscosse quando il rosso gli afferrò i fianchi, stringendolo a sé e, con un lodevole sforzo, nato da un impulso travolgente, si sollevò dal letto, sbattendo Mihael contro il muro. Sorpreso, Mihael si lasciò dominare, stringendo le gambe al bacino dell’altro, rabbrividendo nell’avvertire la statica freddezza della parete alle sue spalle. Gemette piano, tremando di piacere nel percepire il netto contrasto tra il gelo sulla propria schiena e il corpo caldo di Mail, che gli baciava con passione il collo.
Mail iniziò a muoversi con forza, perdendosi completamente nel piacere che Mihael riusciva a dargli, lasciando che la voce che mormorava il suo nome tra i respiri spezzati s’insinuasse nel profondo del suo corpo, lambendo con la sua eccitante melodia il suo cuore. Nemmeno la neve riesce ad attenuare i gemiti mal trattenuti di entrambi, si limita a osservarli, immutabile.
Mihael si lascia invadere dall’intensità delle spinte del rosso, graffiandogli le spalle e cercando ancora le sue labbra rosee.
Arrivati quasi al limite, ragionare diventa impossibile, nonostante Mail avverta già dolore alle ginocchia, causato da quella posizione decisamente scomoda e poco pratica, ma anche insensatamente provocante. Ben consapevole che, raggiunto l’orgasmo, non sarebbe più riuscito a sorreggere il peso di entrambi, il rosso continuò a spingere, trovando quel fascio di nervi che fece gridare forte Mihael.
- Ah, Mail… lì… -
Urlò, mordendogli una spalla. Uno spasmo più violento degli altri, e non riuscì più a trattenere l’orgasmo. Un’altra spinta e anche il rosso raggiunse l’apice, stimolato dalla contrazione dei muscoli dell’altro.
Mihael abbandonò la testa contro il muro, cercando in ogni modo di far lavorare i polmoni per riprendere fiato. Sentendo le gambe cedere, si lasciò lentamente scivolare verso il basso, portando con sé Mihael.
Il biondo non sciolse l’abbraccio nemmeno al contatto con il pavimento gelido. Nascose il volto nel collo di Mail, inspirando a pieni polmoni l’odore di sigaretta e sudore tra i capelli dell’altro. Ritrova anche il proprio profumo, lasciandosi scappare un sorriso lieve. Mail si appoggiò al biondo, sentendolo come unico sostegno.
L’unica cosa che gli impose di alzarsi fu la consapevolezza che rimanere nudi, seduti sul pavimento fosse un ottimo modo per ammalarsi.
Mihael accettò controvoglia che Mail si separasse da lui. Alzò lo di poco lo sguardo, cercando gli occhi di lui. Non fece neanche in tempo a rimirare le loro uniche sfumature che si sporse, portandogli le mani dietro la nuca, a baciare le sue labbra lucide. Fu solo un tocco leggero, quasi dolce, che durò molto più a lungo di quello che si sarebbero aspettati.
Rimase con gli occhi chiusi ancora qualche istante, fin quando, sentendosi cingere, fu costretto a riaprirli.
- Che stai…? –
Chiese, dubbio, mentre molto goffamente Mail lo sollevava dal pavimento gelido.
- Ti riporto a letto, Milady. -
Dannata la sua voce provocatoria, dannata la sua voce roca e il suo impensabile sforzo per prenderlo in braccio, solo per dare sfogo alla sua voglia di sparare cazzate. Per quanto avesse voluto prenderlo a morsi, Mihael si dovette limitare a mugugnare con un tono che sarebbe dovuto essere minaccioso, ma che risultò quasi tenero.
- …cille. –
- Mh? –
- Imbecille. –
- Che parole volgari, non si addicono a una… -
Il movimento brusco del biondo, sbilanciò il già precario equilibrio di Mail, finendo per far rovinare entrambi sul materasso morbido.
- Zitto, imbecille di un rosso. –
La sua voce era tutto meno che autorevole. Strano.
Mihael si voltò dall’altra parte, dandogli le spalle. La stanchezza lo spinse a lasciarsi andare al regno di Morfeo, diffondendosi lentamente in ogni suo nervo. Stava bene in quel letto, con il calore del petto di Mail sulla schiena, percependo il suo cuore che batte e il suo respiro tra i capelli. Intrecciò le dita con quelle del rosso, che gli avvolgeva la vita con le braccia forti.
- Ehi? –
- Mh? –
- Buonanotte, Mihael. –
 
Che importa se sai di sbagliare? Se tutto è così perfetto da sembrare ciò che desideri.
A volte commettere degli errori è talmente incantevole da diventare giusto.
Ed è così facile sbagliare se non c’è un angelo a controllare le tue azioni, i tuoi desideri.
 
 
 
 

 
Qualche Nota:
Allora, che non abbia avuto tempo per scrivere penso si sia capito… Poi boh, durante una lezione sul valore della castità nell’Italia di seicento mi sono messa a scrivere ._. Non sono solita scrivere scene del genere quindi qualsiasi cosa abbiate da dire, vi ascolto volentieri.
Nonostante il ritardo, spero che qualcuno abbia ancora voglia di seguire questa storia ç_ç
Grazie a tutti quelli che hanno letto fin qui. E prima che mi scordi (come faccio sempre) grazie alla Mari che sta a sentire sempre i miei scleri…
Lally

 

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Capitolo 9
*** Una Domenica senza far niente ***


 
Capitolo Ottavo
Una Domenica senza far niente
 
Mihael aprì piano gli occhi, sbattendo più volte le palpebre, prima di riuscire a mettere a fuoco. Scorse il lieve chiarore del sole al di fuori della finestra. I profili dei palazzi erano completamente agghindati di pizzo bianco, segno inequivocabile che la nevicata si fosse protratta a lungo nella notte.
Ancora assonnato, riabbassò il capo sulla spalla di Mail, che dormiva abbracciato a lui.
Nonostante il calore dei loro corpi vicini, sentiva freddo, ma non voleva alzarsi a recuperare qualche indumento abbandonato chissà dove.
Fece scorrere le braccia a cingere la schiena di Mail, in cerca di calore.
Avrebbe voluto sapere che ore erano, ricordandosi troppo tardi di non aver nessun impegno. Una Domenica senza far niente. Le odiava. Erano vuote di tutto, ricordandogli quanto nessuno aveva bisogno di lui.
Mail si mosse appena. Con un sonoro sbadiglio annunciò il suo risveglio.
- Sei… sei sveglio? –
Aveva la voce ancora impastata dal sonno. Era una di quelle persone che ci mette un po’ per connettere appena sveglio.
- Sì. –
Disse solo.
- Mmhn… che ore sono? –
- Non lo so. –
Mail lo strinse più forte, intrecciando le gambe con le sue.
- Mihael, che giorno è oggi? –
- Domenica. –
Possibile che fosse così disorientato?
- Ah, Domenica. –
Evidentemente sì.
Improvvisamente Mihael fu colto da una sensazione spiacevole. Non sapeva cosa sarebbe successo ora. Se Mail avesse avuto un impegno, qualsiasi cosa, si sarebbero salutati ancora. Il non sapere nulla dell’altro e la paura di essere lasciato – per l’ennesima volta – solo lo fecero sentire terribilmente fragile. Una sensazione che odiava, che ingoiava amaramente e non aveva mai lasciato trapelare.
Ma non poteva pretendere niente. Tante cose capitate per caso, sulla forza del momento, non gli davano alcun diritto.
- Potremmo mangiare qualcosa… –
Il biondo si scostò da Mail quel tanto che bastava per poterlo guardare negli occhi. Perché lo sorprendeva sempre, anche con semplici affermazioni.
Lo fissò, senza sapere cosa dire.
- Sempre se non hai altri… -
- No, vengo. –
Il tempo passò ancora, mentre loro non riuscivano a smettere di fissarsi.
Ma non c’era tempo che scorresse o mondo che girasse. Solo occhi azzurri come ruscello di montagna e occhi verdi come speranza.
 
 
- Che pace. Penso che niente possa rappresentare la quiete più dell’atmosfera che segue una lunga nevicata. –
Il buonumore di Mail avrebbe potuto propagarsi in ogni abitante di New York in un battito di ciglia.
- Io sono nato in un posto dove nevicava costantemente. Per me la neve porta solo freddo. –
Nel caso di Mihael lo spingeva a dire cose che nemmeno lui stesso avrebbe immaginato di poter dichiarare così alla leggera.
Mail si voltò verso il biondo, scrollando la cenere dalla sigaretta e fissando l’altro con uno sguardo indagatore.
- Ci sono molte cose che non so di te. –
Disse tranquillamente, mentre apriva la porta di vetro del bar.
- Non sai nulla di me. –
Affermò con tono sicuro Mihael, entrando a sua volta nel locale.
 
Lasciò che Mail ordinasse la colazione per entrambi, osservando le luci colorate che scaldavano l’atmosfera del locale. Non c’erano molti clienti, nonostante la sala fosse ampia.
Ripensò a Mail che si era messo a cantare in mezzo alla strada, sotto la neve sempre più fitta. Gli venne da ridere; si erano comportati come due bambini.
- Che c’è? –
Chiese Mail, curioso, stendendo a sua volta le labbra in un sorriso.
- Niente. –
Si volto verso il rosso, che rimase affascinato dalla particolarità del sorriso di Mihael; contenuto, che lasciava appena traspirare la bianchezza dei denti perfetti, ma i suoi occhi, accesi di un azzurro brillante, ridevano di una gioia ammaliatrice.
- Pensavo a quanto tu sia infantile. –
- Ha parlato mister non-so-stare-agli-scherzi. –
Mihael mise su il broncio, fingendosi offeso.
Era strano ma l’atmosfera natalizia suggerita dagli addobbi e dal sottofondo musicale che aleggiava nella stanza gli stava scaldando il petto. O forse era il semplice e dolce far niente?
Una cameriera dall’aria allegra portò le ordinazioni al tavolo e Mail si distrasse a contemplare il proprio cornetto caldo.
- Cosa fai a Natale? –
Mihael si morse la lingua un secondo dopo aver parlato. Ma che domande faceva? Cosa si aspettava, che Mail gli proponesse di passare le feste insieme?
Mentre guardava l’espressione sorpresa dell’altro, che si era bloccato con la bocca aperta e il cornetto per aria, immaginò la famiglia di Mail, con la quale avrebbe probabilmente passato il Natale.
E lui invece? Non aveva una famiglia, non aveva amici in quella grande città e non conosceva che gente poco raccomandabile. E pensare che William mollasse la famiglia per una scopata natalizia era molto più che un sogno.
- In realtà non ho nulla in programma. –
Il cuore di Mihael iniziò a trottargli forte nel petto.
- Non.. che so… vedi la tua famiglia… o gli amici? –
Mail parve pensarci un attimo. Poi scosse la testa.
- No, gli amici hanno tutti da fare, mia sorella starà con il suo ragazzo e i miei… no, non ho niente in programma. –
Ribadì.
- E tu? –
“La mia famiglia abita lontano”. La frase solita con la quale liquidava ogni domanda.
- I miei genitori sono morti. –
Buttò lì. Senza pensarci, senza specificare niente. Una sincerità complicata che sentiva di dovere a Mail.
- Uh… io… mi dispiace… non volevo essere indiscreto… -
- È acqua passata. –
Sorrise. Il viso di Mail si era tinto di un delicato colorito rosso.
 
 
- Dove andiamo? –
- Non lo so. -
Mihael si lasciò guidare da Mail, che lo prese per mano, sotto i diversi sguardi dei passanti.
Non seppe dire per quanto tempo passeggiò per le vie bianche della città. Si fermarono nei pressi del Theodore Roosvelt Park. A detta di Mail gli spazi verdi nel cuore della città erano la cosa migliore che New York offrisse.
- Qui è fantastico, potrei perdermi in questi giardini. Da bambino abitavo lontano dal centro, però mi sarebbe piaciuto poter passeggiarci più spesso. –
- Mh.-
A differenza di Mail Mihael non sembrava essere il massimo della loquacità. In fondo non lo era mai stato.
- Credo che sia perché ho origini irlandesi. –
Affermò con tono solenne il rosso e, prima che Mihael potesse fargli notare come quell’affermazione non avesse alcun senso, Mail esclamò:
- Guarda, hanno aperto la Polar Rink! –
Mihael voltò il capo verso la grande pista sul ghiaccio alla loro destra, colpito dalla grandezza della scultura di ghiaccio al suo centro.
- Su, andiamo. –
- Addio. –
Mihael voltò i tacchi. Non aveva mai provato a pattinare sul ghiaccio.
Il ricordo di una gelida giornata di gennaio nel cortile dell’orfanotrofio, quando aveva compiuto uno dei più grandi (non che uno dei pochi) capitomboli della sua vita, lo fece trasalire. Ma non era colpa sua, era stato Yuriy a spingerlo sulla lastra di ghiaccio!
- Dove scappi? Forza, chiunque ha voglia di farsi una bella pattinata sul ghiaccio in una domenica di sole come questa! –
Cosa stava farneticando? Chiunque odiasse non avere tutto sotto controllo e sapesse di non riuscire a stare in piedi per un minuto consecutivo su una pista da ghiaccio, ecco chi non ne ha voglia!
- Solo se paghi tu. –
Cercò di mantenersi calmo. Non voleva in nessun modo lasciar trasparire l’ansia che gli dava il dover rimanere in precario equilibrio.
 
 
Mail pagò per un’ora di affitto dei pattini, anche se poi rimasero sulla pista poco più di venti minuti.
Contrariamente a quanto temeva, Mihael scoprì che Mail fosse ancora più negato di lui. Mihael era aggraziato, Mail era goffo. Anzi, in qualche inesplicabile ragione il biondo pareva quasi elegante.
Sì chinò con un ghigno strafottente su Mail, per l’infinitesima volta a sedere per terra.
- Potevi dirmelo che eri così bravo. –
- Non ne avevo idea. –
Disse con falsissima modestia Mihael, porgendogli una mano per aiutarlo a tirarsi su.
Peccato che Mail decise di strattonare con troppa forza il braccio, facendolo cadere in avanti.
Scoppiò in una sonora risata, quando vide lo sguardo carico d’odio di Mihael, disteso accanto a sé.
- Me la paghi. Un giorno me le pagherai tutte, Mail Jeevas. –
Sussurrò, iniziando poi a ridere a sua volta.
 
Un gruppo si rumorosi ragazzini passò di fronte a Mail e Mihael, correndo a più non posso verso il verde del parco.
Tra una cosa e l’altra si erano fatte le sei.
Non che fosse stata una giornata impegnata. Semplicemente ne avevano combinate di tutti i colori, girovagando tra le mille opportunità della metropoli.
Mihael pensò di aver passato una Domenica senza combinare nulla di speciale. Come temeva.
E non immaginava quanto potesse essere bello trascorrere un’intera giornata senza far niente.
Chissà quali altre cose Mail avrebbe potuto insegnargli.
Fermò il primo taxi che vide.
- Mail, grazie per oggi. Mi sono divertito. –
- Anche io. –
- Ci risentiamo. –
Mancava poco più di una settimana a Natale.
- Certo, ti chiamo io. –
Salì sull’auto e osservò Mail, con il naso arrossato dal freddo, finché la sua figura non scomparve tra le luci della strada.
Poggiò il gomito sulla portiera della macchina, sorreggendosi il capo con la mano.
 
Poteva sperare di vivere altre giornate come quella? Aveva già deciso che New York non avesse più niente in serbo per lui.
E il frutto di quella decisione attendeva nel cassetto del comodino vicino al proprio letto.
Silenzioso, presente.

 
 
 
 
 
Qualche Nota:
Mi sa che questo capitolo è venuto fuori quasi fluff >_< Non l’ho fatto di proposito, anzi, doveva essere malinconico. L’ho scritto di notte, nel mio lettino, dopo aver visto il nuovo film di Woody Allen (lo consiglio a tutti, è davvero magnifico. Uno dei migliori film che io abbia mai visto negli ultimi tempi).
Comunque, come introducono le ultime righe di questo capitolo, il prossimo avrà tutta un’altra atmosfera. Oddio, ripensandoci non so cosa possiate pensare dopo le ultime righe… vedrò di non farmi attendere.
Ringrazio infinitamente chi recensisce ^w^ e approfitto per ripetere che apprezzo molto ricevere i pareri di chi legge, anche i commenti di un rigo mi aiutano e influenzo la storia, sul serio!
Bene, vi saluto ^^
A presto
Lally

 

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Capitolo 10
*** Viaggiare ***


Capitolo Nono
Viaggiare
 
Il cellulare iniziò a squillare proprio mentre apriva la porta di casa.
Con una mano prese le chiavi, e con l’altra portò il cellulare tra orecchio e spalla, dopo aver accettato la chiamata.
- Pronto, Mihael? –
- Will. –
Si sfilò gli anfibi neri, sistemandoli vicino alla porta. Tolse il giubbotto e prese il cellulare con la destra.
- Mi dispiace, lo sai com’è questo periodo. –
- Non preoccuparti. –
- Ehi, piccolo, mi farò perdonare, promesso. –
- Mh mh. –
- Mihael, c’è qualcosa che non va? –
- No. No, sto bene. Sono appena tornato a casa, mi sono preso un bel freddo. –
- Ah, non parliamo di freddo. Jessica è a letto con l’influenza. Se non si rimetterà in fretta sua madre darà di matto entro le prossime ventiquattrore. –
Jessica era la più piccola delle quattro figlie di Will. Aveva nove anni meno di Mihael e frequentava le superiori. Mihael l’aveva vista solo una volta, per caso. William tendeva a dividere completamente la relazione con Mihael con la sua vita “alla luce del sole”.
- Spero per lei che guarisca in fretta. –
Disse, atono. Non aveva la minima voglia di parlare con lui in quel momento.
Non sapeva nemmeno cosa volesse o cosa sentisse. Ma per stare bene era sicuro di voler stare da solo.
- Se lo è meritato. Andare in giro vestita da sgualdrina in pieno inverno… chi la capisce è bravo. Colpa di che l’ha cresciuta. –
- Tu? –
- No, sua madre. –
Mihael ridacchiò. Non era sicuro di conoscere il rapporto che c’era tra William e sua moglie, ma era più che certo che non fosse un buon matrimonio.
Sicuramente William non era un buon marito.
Chissà perché trovava tutta quella situazione vagamente divertente.
- Sempre a scaricare colpe su quella povera donna, con tutto quello che combini alle sue spalle… -
La voce del biondo si fece languida, invitante, ma l’espressione del volto rimase gelida, mentre afferrava un lapis dalla scrivania e ci si fermava i capelli dietro alla nuca, sedendosi sul letto.
Dopo quasi cinque mesi che andava a letto con lui, Mihael era arrivato quasi ad essere se stesso con Will.
Ma non sempre. E sicuramente non la sera al telefono.
- Non provocarmi, non sono in vena di scherzare. –
Aveva un tono stanco.
Mihael tornò a sogghignare, pensando che quell’uomo si stancava di più dopo una sola giornata con la sua famiglia che dopo una settimana di lavoro.
Probabilmente non avrebbe mai trovato pace. O forse la stava semplicemente tenendo insieme. La sua personale, particolare e precaria pace. Mihael era fiero di poter sentirsi parte di quel quadro.
- Ti racconterò tra… -
Ci fu qualche secondo di silenzio.
- Merda, il Natale. –
A differenza di Mail William non conosceva le parole spirito natalizio.
- Non fa niente se non riesci… -
Lo interruppe.
- No, senti. Magari ti raggiungo tra un paio di giorni. Mi manchi, sai? –
Sorrise tra sé. Avrebbe mai capito il significato di quelle dichiarazioni di affetto? La sincerità era una parole difficile da pretendere in quel caso.
- Lo so. –
- Devo andare, piccolo. –
- Ciao Will. –
Buttò con poca delicatezza il cellulare sulle coperte, distendendosi nel grande letto matrimoniale.
Non gli piaceva dormire in quel letto.
Era perfetto per fare sesso, quello non poteva negarlo.
Gli piaceva anche ascoltare gli sfoghi di Will, quando passava qualche ora disteso lì con lui, prima di rivestirsi e tornare a casa.
Mihael pensò che fosse spiacevole dormirci perché era un letto troppo grande per una persona sola.
Era un giaciglio terribilmente grande per una persona terribilmente sola.
Il letto di Mail era molto meglio. Era più piccolo, avevano addirittura finito per dormire abbracciati.
Chiuse gli occhi, in cerca di quella sensazione che premeva dietro il suo sterno ogni qualvolta che Mail sorrideva, o che poteva sfiorare la sua pelle.
Sbuffò, mettendosi seduto sul letto.
New York era così grande, non come dove aveva vissuto prima di attraversare l’oceano.
Lunghe le sue notti, reali i suoi mostri, infinite le sue luci.
Cechi i suoi angeli.
Inascoltati i suoi amori.
 
Si tirò su, nuovamente a sedere sul letto soffice, con la testa tra le mani.
Ci aveva già pensato, poco dopo aver iniziato a uscire con William.
Quella città non era più posto per lui. Erano successe troppe cose, inutile era provare a dimenticarle.
Le vie della città erano trafficate almeno quanto era vuota la sensazione che lo opprimeva, sempre. O quasi.
La giornata appena passata lo aveva alleggerito, inspiegabilmente.
Ma era raro che Mihael cambiasse idea, se prendeva una decisione, arrivava sino in fondo.
Aprì il cassetto accanto a sé.
Era completamente vuoto, come a voler ricordare che per lui non c’era niente.
Vuoto. Se non fosse stato per quel pezzo di carta. Tenuto lì da quasi tre mesi ormai.
Un biglietto di sola andata per Los Angeles.
Comprato d’impulso, con i soldi che si era guadagnato da solo. Ultima possibilità di lasciare quella città che gli aveva fatto piangere il cuore.
Se lo rigirò tra le mani, come fosse un tesoro prezioso.
Addio.
Una parola, così semplice.
Avrebbe detto addio a tutto. A William, a New York. E nessuno avrebbe sentito la sua mancanza.
Ricominciare era tutto quello che voleva. Voleva guadagnarsi un’altra possibilità. Perché finora tutto era stato sbagliato. Non era giusto che avesse visto morire sua madre. Non era giusto che non fosse stato bambino. Non era giusto che gli avessero imposto tutto quel dolore. Non era giusto che si sentisse solo tra la folla. Non era giusto che non avesse mai pianto. Non era giusto che nemmeno il suo angelo lo avesse mai protetto.
Come se si fosse scottato le dita, ripose il biglietto aereo nel cassetto, richiudendolo subito dopo. Riprese il respiro solo dopo aver sentito il “tlack” della chiusura.
Aveva bisogno di cioccolata.
Ne aveva lasciata una barretta nella tasca del giubbotto, quindi tornò in salotto, recuperando la giacca dal divano. Infilò la mano nella tasca, tirandovi fuori la bramata cioccolata.
Fissò con aria stupita – e vagamente contrariata – il pacchetto di sigarette che teneva in mano.
Mail.
Quello stupido di Mail. Non ne poteva più di sentire l’odore troppo forte delle sigarette che Mail aveva continuato a fumargli a due passi per tutta la giornata. Tanto che aveva finito per sequestrargli il pacchetto e infilarselo in tasca. Sorbendosi poi infinite lamentele.
Sorrise, Mail era una delle persone più infantili che conoscesse.
Si sedette pesantemente sul divano, tenendo gli occhi fissi sulla scritta “Lucky Strike” per un minuto buono. Aprì il pacchetto e prese una sigaretta, portandosela alle labbra.
Mail avrebbe mai sentito il suo addio?

 
 
 
 
 
Qualche Nota:
Allora… non ho niente d’intelligente da dire. Insomma, oggi è stata una giornata di cacca e ho paura che anche il capitolo faccia schifo -_-
Vediamo, William ha iniziato a prendersi un po’ di spazio. Ma rimando una descrizione diretta quando farà la sua comparsa fisicamente.
Per chi si fosse affezionato alle atmosfere piacevoli degli scorsi capitoli comunico che mi dispiace che questo sia così malinconico. E non ho idea di cosa accadrà adesso ._.
Ecco l’ultima brutta notizia: temo che il prossimo aggiornamento arriverà un po’ in ritardo (da leggere tra le righe: devo studiare).
Grazie per tutte le belle parole che spendete per questa storia, ne vado fiera *^*Ringrazio anche chi ha inserito la storia tra le seguite e le preferite… cioè, siete sempre di più *^*
Alla prossima <3
Lally

 

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Capitolo 11
*** Le donne e le loro sorprese ***


Capitolo Decimo
Le donne e le loro sorprese
 
Si era salvato. Aveva dovuto quasi fare i salti mortali per i corridoi della sua Facoltà, ma i suoi sforzi erano stati ricompensati. L’aveva evitata per tutta la mattina e quando aveva finalmente terminato le lezioni di quel giorno, aveva potuto tirare un sorriso di sollievo.
Almeno per quella giornata Ashley non sarebbe stata un problema.
Così si era concesso una sigaretta nel giardino curato della Cornwell University1, aprendo un nuovo pacchetto. Alla fine non era riuscito a riprendersi quello che Mihael gli aveva brutalmente sequestrato il giorno prima.
Immerso nei suoi pensieri, seduto su una panchina esposta alla tiepida luce del sole non si accorse nemmeno della ragazza bionda che lo aveva raggiunto.
Solo quando la sua ombra gli si stagliò contro, interrompendo così il delicato abbraccio del sole, riuscì a sbarrare gli occhi, spalancando la bocca, senza che nessuna banale parole di scusa riuscisse a raggiungergli le labbra.
Il fatto che Ashley non sembrasse arrabbiata, anzi, un vistoso sorriso amorevole le illuminava il volto, gli fece gelare il sangue nelle vene.
- Jeevas. –
La sua voce era atona, non tradiva alcuna emozione.
- Ashley io… -
Non appena aprì bocca la ragazza cambiò espressione, mostrando una smorfia di rabbia poco adatta al suo visino di porcellana che, in un altro contesto, avrebbe fatto morire dal ridere Mail. Gli tirò un violento calcio su uno stinco.
- Cazzo! –
Da dove l’aveva tirata fuori tutta quella forza?
- Sei un imbecille! Mi sono dovuta assumere tutta la responsabilità! –
Sembrò voler continuare a urlare, ma si bloccò, mordendosi un labbro.
- Ah, non ci provo nemmeno a spiegarti il casino che hai combinato. Idiota! –
Girò i tacchi, facendo muovere con teatralità i boccoli biondi, come se non avessero già gli occhi di metà campus puntati addosso.
Mail si massaggiò la gamba, benedendo la sigaretta che già teneva in bocca. Odiava le donne. Non le capiva. Un secondo prima ti sorridono e quello dopo ti tirano un calcio sugli stinchi. Non era mai riuscito a relazionarsi con una ragazza, era più forte di lui, ma proprio non poteva sopportare il fatto che riuscissero a tenersi dentro ogni tipo di cattiveria.
Ne aveva viste un po’ di tutti i colori. Amiche inseparabili che diventavano serpi per i motivi più disparati.
Sospirò. Non le avrebbe mai capite, mai. Sarebbe rimasto per sempre impacciato, in completa soggezione di fronte ad una rappresentante del gentil sesso.  Con gli uomini era tutto più semplice. Solitamente se c’era un problema veniva fuori subito. Mail era un ragazzo diretto, preferiva di gran lunga uno scontro aperto alle battaglie di sguardi.
Certo, non poteva negare di aver fatto volentieri a meno di quel colpo sulla gamba.
 
                                                                                    ***
 
Mail decise che avrebbe passato altri dieci minuti ad ammazzare orde di mutanti e poi si sarebbe messo a dormire. Era stanco, in negozio non era stato un attimo in pace, dato che nel periodo delle feste anche i negozi di informatica tendevano a riempirsi di clienti.
Appoggiò il joystick accanto alla scatola di Resident Evil 5, riflettendo amaramente su come la nuova versione del videogioco non avesse alcuna caratteristica innovativa a confronto di quella precedente.
Si distese – si buttò – sul letto senza nemmeno togliersi i jeans. Incredibile come la sola vista dei cuscini gli avesse fatto venire sonno. Facendo ripiego alla sua forza di volontà s’impose di alzarsi quel tanto che bastava da prendere il cellulare sul comodino.
L’orologio digitale sullo schermo segnava la mezzanotte precisa. Decisamente un ora poco adatta per telefonare a Mihael.
Che idiota. Come gli veniva un’idea del genere, oltretutto in quel momento Mihael con ogni probabilità lavorava.
Mentre rimetteva il cellulare al suo posto, Mail fu colpito da un rumore che lo fece riscuotere.
Aspettò qualche secondo prima di realizzare che qualcuno aveva appena suonato alla sua porta. Chi diavolo poteva essere a quell’ora?
Titubante si avviò verso l’ingresso dell’appartamento, portandosi con lentezza il citofono all’orecchio.
- Chi è? –
- Matt, sono io. –
Mail si paralizzò. Non poteva crederci. Nonostante la voce fosse modificata dal citofono, l’aveva riconosciuta senza problemi. E poi c’era una sola persona in tutta Manhattan che lo chiamava quel vecchio soprannome.
Ah, le donne. Non le avrebbe mai capite, lo avrebbero sempre sorpreso.
Confuso, aprì il portone a sua sorella, che attendeva al freddo della strada.
 
 
Quando la vide varcare la porta dell’appartamento non poté fare a meno di pensare a quanto non fosse cambiata. Madison era sempre stata un po’ bambina, ancora scappava quando le cose si facevano difficoltose. L’ultima volta che l’aveva vista era stato un paio di mesi prima, al compleanno di lei. Erano stati insieme a Central Park.
- Matt. –
Sorrise, inclinando di lato la testa. I ricci rossi che le incorniciavano il viso si sparsero ribelli sulla sua fronte.
Aveva sempre tenuto i capelli corti, poco sotto le orecchie, risaltandole il viso a cuore e gli occhi nocciola. Sembrava un po’ affaticata, dagli stivaletti bagnati dalla neve si capiva che probabilmente era arrivata fin lì a piedi.
- Maddie, che ci fai qui? –
Si strinse nelle spalle, la sciarpa pesante le nascose in parte il viso. Era quasi buffa; i vestiti comodi le nascondevano i fianchi larghi e le curve morbide del corpo, facendola sembrare ancora più piccola di quanto non fosse già.
- La storia che avevo voglia di stare un po’ con il mio fratellino non regge più? –
Lui la guardò storto. Indicando poi l’ora dell’orologio appeso al muro.
Evidentemente era una storia poco credibile.
E Mail era preoccupato. L’ultima volta che l’aveva vista se la ricordava bene. Il suo volto dipinto dalle graziose lentiggini, sciupato da un orribile segno violaceo sotto l’occhi sinistro e il labbro gonfio. Aveva un’aria così triste, nonostante i colori dorati delle piante di Central Park la mettessero sempre di buon umore. Quello stronzo la picchiava.
Solo a pensarci gli tornava la rabbia in corpo. Sarebbe stato capace di andare fino a casa sua a prenderlo a pugni se solo gli avesse detto che l’aveva colpita ancora.
- Sul serio, Matt. Mi sentivo sola. E… ho pensato che tu ci sei sempre. –
Al diavolo l’ora tarda. Anche senza un minimo di preavviso la presenza di sua sorella gli faceva sempre piacere.
Finalmente ricambiò il sorriso e Madison parve rilassarsi, facendo qualche passo dentro la casa. Quando fu davanti a Mail non riuscì a trattenersi, buttandogli le braccia al collo e stringendolo forte.
- Non farmi stare così sulla porta, ho avuto davvero paura che non mi volessi più. –
- Come farei a non volerti più? –
Le scoccò un bacio sulla fronte, chinandosi alla sua altezza.
- Sei sempre più alto! –
- Sei tu che sei piccola. –
- Uffa. Portami rispetto. –
Mise su un finto broncio, togliendosi il giubbotto. Nonostante l’allegria innata di Maddie, Mail si era già rabbuiato.
- È successo qualcosa con… -
- No. No, va tutto bene. Da quando ha iniziato a la terapia non ci sono stati più problemi. –
Sorrise ancora. Un sorriso stanco,faticoso ma, Mail potava giurarlo, era sincero.
- Non devi preoccuparti, Matty. –
- Dio, la vuoi piantare con quel nome? Non ho più sei anni. –
- Io trovo che ti doni. –
Disse convinta, sedendosi goffamente sul divano e prendendo in mano i videogiochi sparsi sul pavimento. Osservò con aria di sufficienza i vari titoli dei giochi.
- Vedo che continui a sperperare i tuoi soldi in questa robaccia. –
- Maddie, è inutile, non attacca. Non te li presto, mi uccideresti la media dei punti. Sei… sei la persona più negata che io conosca. –
- Uffa… sarà perché a differenza tua non ci passo le giornate. –
- Bevi qualcosa? –
- Meglio di no, grazie. Ah, non sai che fatica arrivare qui… Sono arrivata con la metro fino alla Madion Avenue e poi dritta a piedi fin qui sulla ventitreesima strada. Mail, sono sfinita. –
- Non so che dirti Maddie, se non di comprarti una macchina. Ah, vuoi una sigaretta. –
- No, sai la novità, ho deciso di smettere. –
Disse fiera, mettendosi in ginocchio sul divano, mentre Mail le si mise a sedere di fianco.
- Non ci credo nemmeno se lo vedo. Tu non puoi smettere, sei… sei come me! –
- Fidati. –
- E come mai questa decisione improvvisa? –
Madison lo fissò, con la bocca socchiusa, come se fosse stata presa in contropiede.
Mail lo sapeva che c’era qualcosa che non gli aveva detto. Cercò in tutti i modi di scavare nelle iridi castane della sorella, sapendo già che non sarebbe riuscito a trovare una risposta. Poi le abbassò lo sguardo, senza dire niente.
- Maddie, perché sei venuta qui? –
Era una domanda innocua, Mail dovette sforzarsi di non far trasparire una vena di preoccupazione nella sua voce.
- Mail… -
- Cosa c’è, Madison? –
Si voltò ancora verso di lui, rialzando il capo.
- Sono incinta. –
Mail strinse la mascella. Maddie continuava a fissarlo negli occhi.
- Da quanto… -
- Cinque settimane. –
Mail deglutì a vuoto.
- Lui… lui lo sa? –
- … -
- Madison… -
Non riusciva più a nascondere una sorta di nervosismo.
- No. No, Mail, non lo sa. Non voglio che lo sappia perché… -
Si interruppe ancora. Semplicemente Mail non ne poteva più di quei silenzi a scatti, così innaturali per Madison.
- …Perché? –
Si accorse di aver alzato troppo la voce solo quando vide gli occhi di sua sorella farsi lucidi.
- Maddie, scusa. Vieni qui. –
Lei lo abbracciò forte, nascondendo il viso nell’incavo della sua spalla. Rimasero abbracciati per qualche minuto, Mail sentiva il rumore delle lancette dell’orologio sul muro rimbombare nella sua testa. Era un imprevisto continuo con Maddie. E sentiva che la faccenda le sarebbe scivolata presto di mano.
- Mail, te l’ho detto. Il fatto è che mi sento sola. Speravo che tu lo avresti capito. Ti chiedo… ti chiedo solo di non mandarmi via adesso. –
- No, non ti mando via. –
- Sto qui solo stanotte. Poi mi passa. –
- Sì, poi ti passa. Ora dormi però, è già abbastanza tardi per rimanere qui a non far niente. –
Si avviò verso camera sua, alla ricerca di lenzuola pulite. Sentì la voce di Maddie, che sembrava aver già ripreso un minimo di tono. Si girò verso di lei, appoggiata allo stipite della porta, dietro di lui.
- Mail, grazie. –
Poi sparì dentro il bagno.
 
 
 
 1- Questa università esiste davvero, ma dubito fortemente che ci sia la facoltà di che frequenta Mail ^^’’’
 
 
Nessuna Nota:
Non ho tempo, scusate. E’ un aggiornamento lampo, spero possa farvi piacere. Il prossimo arriverà giovedì o, al più tardi, nel finesettimana.
Grazie a tutti <3
Lally

 

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Capitolo 12
*** William ***


Capitolo undicesimo
William
 
 
Si sfilò silenziosamente il rosario dal collo. Quando lo ripose nel cassetto, insieme al biglietto per Los Angeles, i grani rossi contro il legno produssero un suono graffiante, spiacevole.
William non voleva che tenesse quella croce sul petto, quando si incontravano la sera. La prima volta che glielo aveva detto, Mihael era rimasto sorpreso. Non pensava che potesse fare caso a cose del genere ma, a differenza di quello che si era aspettato, William aveva dei particolari valori morali.
Dopo aver riposto la chitarra nella custodia, si rigirò tra le mani il pacchetto di sigarette di Mail, che, senza un proprietario, se n’era stato solo sul divano per una giornata intera. Lo prese e lo buttò nel cestino della cucina; William odiava il vizio del fumo, era meglio sbarazzarsi di possibili sospetti.
In realtà non era così semplice dimenticare l’odore di quelle sigarette.
Guardò sconsolato la tavola apparecchiata e diede un’occhiata all’orologio che teneva al polso.
Le undici meno dieci. Decisamente tardi per cenare. Sbuffò, sistemando con ben poca cura i piatti nel lavello. Tanto meglio se non era arrivato in tempo per la cena; le abilità culinarie di Mihael lasciavano parecchio a desiderare.
Lo scrosciare dell’acqua sui piatti aveva un suono continuo e impalpabile, quasi come un fruscio. Inconsapevolmente Mihael si abbandonò all’ascolto di quel rumore leggero. Ripensò a quando Will lo portava spesso a cena fuori. Frequentava luoghi lussuosi, nei quali Mihael non si sarebbe mai aspettato di mettere piede. Era incredibile come fosse riuscito a comportarsi adeguatamente anche in quegli ambienti, come fosse abituato a quello stile di vita.
Sapeva di essere come un giovane gioiello da sfoggiare, distante da occhi indiscreti e quindi ben lontano dai luoghi che William frequentava normalmente, con la famiglia magari. Non poteva comunque negare che tutte quelle attenzioni non fossero gradite; a suo modo William riusciva a farlo sentire importante.
Sapeva bene che aveva avuto molte altre donne, altre relazioni alle spalle della moglie. Non glielo aveva mai tenuto nascosto. Gli aveva detto di aver iniziato a tradire sua moglie diversi anni prima, sul lavoro. Poi era stato un susseguirsi di bugie e incontri clandestini.
Mihael apprezzava quella sorta di sincerità. Stava bene così.
Mihael non era esigente ed era bello; William non poteva chiedere di più.
Si riscosse da quei pensieri nel momento in cui l’acqua del rubinetto – quando aveva portato le mani sotto il getto bianco? – si fece troppo calda, scottandogli la pelle chiara.
Il suono del campanello squillò nell’appartamento, atteso, pochi secondi dopo.
Mihael, tranquillo, come se avesse previsto l’esatto istante in cui William sarebbe arrivato alla sua porta, andò ad aprirgli, preparando un sorriso di benvenuto.
Will apparve alla porta di casa poco dopo, un sorriso stanco, ma a suo modo solare, ad affinare la bellezza di quel viso curato.
Era un uomo affascinante, William. Indubbiamente dotato di un’attrattiva rara e incantevole, tanto che gli anni che avanzavano, anziché spegnerlo, colorivano la sua avvenenza. Dal canto suo William sapeva giocare su queste qualità, tenendo al suo aspetto senza però esagerare in alcun modo. Nonostante avesse superato i cinquanta, dimostrava un esagerato numero di anni in meno, tradito forse, solo da qualche ciocca grigia vicino alle tempie, o le pieghe intorno agli occhi che gli sottolineavano lo sguardo quando abbozzava un sorriso. Tutte caratteristiche che rimanevano armoniose sul suo volto. Sì, Will era bello anche agli occhi giovani di Mihael.
- Ce l’ho fatta, spero di non essere troppo in ritardo. –
- Eri a casa? – chiese Mihael, mentre gli sfilava il cappotto dalle spalle. Fu avvolto dal suo profumo, forte, costoso.
- Sì. –
Allentò il nodo della cravatta, rilassando i muscoli del volto. Era interessante il fatto che Mihael non lo avesse mai visto indossare abiti diversi da giacca e camicia. Come se fosse sempre appena uscito dal suo enorme studio nel centro della città. Sempre impeccabile, con i suoi costosi abiti di marca e i suoi modi tranquilli ma decisi.
- Durante le feste stare in quella casa è insostenibile. C’è un via vai di richieste e… -
- Non me ne frega niente. Non ho voglia di stare a parlare adesso. - disse ad un soffio dalle sue labbra, portandogli con scioltezza le braccia intorno al collo e allargando le labbra in un sorriso malizioso.
 
                                                                                                                                                          ***
 
- Ah… ah… ah… -
La stanza era riempita da sospiri che si perdevano in gemiti, rumori bassi e irregolari.
William dettava un ritmo preciso, profondo, tenendo le mani puntellate ai lati della testa di Mihael, tirando alcune ciocche di capelli dorati, sparsi in disordine sul cuscino candido.
Mihael teneva le palpebre serrate, concentrandosi solo sul piacere che voleva provare, attendendo quasi con ansia l’orgasmo liberatorio, bramando inconsciamente di dimenticare la collana nascosta in un cassetto, le caviglie strette sulle spalle di William e il sudore lungo la schiena, dimenticare qualsiasi cosa e riprendere fiato.
Senza un perché gli salì alla mente la figura di un ragazzo dalla chioma ramata. Sorrideva.
Finalmente sentì montare lungo la schiena quel brivido conosciuto, lasciandosi completamente andare a quel piacere atteso, ignorando i gemiti rochi di Will, anche lui ormai prossimo a venire.
Non fu il suo nome che Mihael trattenne tra i denti.                                                           
 
Si voltò verso il muro, colto da torpore che avrebbe voluto volentieri assecondare. Avvertì il fruscio delle coperte di fianco a sé. William era già seduto al bordo del letto, mentre iniziava a rivestirsi.
Mihael girò, con un’espressione contrariata sul viso, incontrando con lo sguardo la schiena di Will.
- Vai già via? – domandò con tono visibilmente scocciato.
- È l’una passata e oggi devo proprio tornare. –
- Sei il solito stronzo. – affermò, tornando a dargli le spalle.
- Dai Mihael, non fare il bambino… - disse chinandosi per baciargli una spalla.
Chi è che non doveva fare il bambino? Aveva mai provato a farsi un esame di coscienza?
- Nh. –
- Mihael… - scandì a un palmo dal suo viso – e ti dicessi di avere un regalo per te? –
In silenzio si mise a sedere, con la schiena poggiata alla testiera e una sfacciata indifferenza stampata sul viso.
- Mmh… Dipende di che si tratta, vecchio. –
Will li lanciò un’occhiata di disapprovazione. Alle volte Mihael aveva la faccia tosta di comportarsi come un monello viziato, osando addirittura apostrofarlo in modi decisamente fastidiosi. Ma tutto sommato era proprio la sua spavalderia che gli piaceva, nessuna smanceria inutile.
Senza dire una parola William recuperò dalle tasche dei propri pantaloni il suo portafogli di pelle costosa, estraendone poi una carta di credito.
- Tieni, prendila, facci tutto quello che ti pare. –
Mihael lo fissò per qualche istante con aria smarrita, per poi passare a osservare la carta prepagata che l’altro gli porgeva.
- Quanto…? –
- Oh, non importa, lo scoprirai nel primo negozio in cui… -
- Will, non posso. –
- Sì invece. – disse conciso, lasciando il piccolo biglietto di plastica appoggiato sul letto. Si alzò e finì di sistemarsi.
- Buon Natale, piccolo. –
Mihael lo guardò uscire dalla camera, senza aprire bocca.
Quando sentì i passi dell’uomo risuonare per la tromba delle scale, si allungò sul letto, prendendo il suo regalo tra le mani. Un oggetto di un valore esagerato.
Cosa mai avrebbe potuto farci?
In quel momento l’ultima cosa che avrebbe voluto fare era pensarci. Aprì il cassetto alla sua destra, prendendo il rosario dai grani rossi e mettendoci la carta di credito, provando a ignorare il biglietto per Los Angeles.
Valido per tutti i voli dal Newark International Airport al Los Angeles International Airport previsti per l’anno 2011.
Ormai quella dicitura stampata era una frase fissa nella sua testa, come una sveglia che segnava un’ora precisa.
Era rimasto poco tempo e Mihael aveva quasi finito di fare le valigie.
Il contatto con la croce metallica sulla sua pelle gli mise i brividi, costringendolo a nascondersi sotto le coperte calde.
 

 
 
 
Qualche Nota:
… Per la serie chi non muore si rivede... eccomi qua… *coff coff*  non inizio nemmeno a scusarmi per il ritardo osceno, tanto non avrei abbastanza tempo per farlo a dovere. La verità è che non riuscivo a scrivere nulla. Ma proprio vuoto totale. Quindi sono doppiamente dispiaciuta; non solo per l’attesa ma anche per questo capitolo che proprio non soddisfa nessuno ç_ç non l’ho nemmeno riletto, dato che tanto mi sono convinta a scriverlo senza un minimo di ispirazione, solo per non far passare ancora altro tempo inutilmente ç_ç Vi prego di farmi sapere cosa ne pensare, se avete consigli o critiche o qualsiasi insulto che vi passi per la testa.
Ah, giusto. Buon Anno a tutti!!!
Lally

 

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Capitolo 13
*** Shopping ***


Capitolo Dodicesimo
Shopping
 
Appena mise piede all’esterno dell’edificio della Facoltà, Mail si concesse uno sguardo al cielo cupo e un abbondante tiro alla sigaretta.
Una mattinata di lezioni non troppo pesanti, le nuvole irraggiungibili, che minacciavano neve e vezzeggiavano il sole con le loro ombre grigie, una Lucky Strike tra le labbra; ecco, il quadro della sua vita. Il Natale, o qualsiasi altro evento, non sarebbe riuscito a renderla nuova, speciale.
Era grigia come le lunghe strade di NY.
Dopo pochi metri nel giardino che circondava l’università, si accorse che una piccola folla di persone andava via via formandosi vicino al cancello d’ingresso.
Mail non era mai stato tipo che adorava immergersi tra la gente, più semplicemente preferiva una vita sociale meno impegnata, motivo per cui tagliò a dritto senza neanche provare a capire cos’è che richiamasse l’attenzione quel gruppetto di studenti.
Fu solo il riflesso della smorta luce di quella mattinata sulla carrozzeria nera, tirata a lucido, che come il canto di una sirena, gli impose di fermarsi.
Non si era – se si escludono alcuni dei suoi vecchi giochi per PSP dei tempi delle medie – mai interessato alle moto. Ma, diamine, quella era una Ducati!
Nera, perfetta, ferma all’ingresso di un’università e circondata da una decina di studenti stupiti.
Mail si avvicinò, facendosi largo tra due ragazzi, anche solo per la soddisfazione di vedere i caratteri argentei della marca in mostra sul telaio.
Il mezzo sorriso che stava per increspargli le labbra si spense completamente, per tramutarsi in una bocca spalancata che tradiva spudoratamente tutto il suo stupore, quando, facendosi più vicino alla moto, notò il suo proprietario, comodamente appoggiato alla vettura. I vestiti neri, prevalentemente di pelle, i capelli finissimi mossi a dispetto dal vento gelato e un angolo della bocca leggermente alzato, a conferirgli un’aria vagamente strafottente, probabilmente causata dalla posizione non troppo elegante di Mail, sporto in avanti per osservare la moto e quasi inginocchiato a terra, erano indizi poco trascurabili su chi fosse il proprietario dell’inaspettato veicolo.
Rimase ancora qualche istante a fissarlo dal basso, colto alla sprovvista dalla sua presenza. Dio, se non era l’uomo più bello che avesse mai visto!
- Mihael? –
Disse, tirandosi su, cercando di nascondere la sorpresa – stupenda sorpresa – di vederlo lì.
- Ehi Mail, finalmente ti ho trovato. Ho davvero creduto che tu mi avessi mentito quando mi hai detto che frequentavi quest’università. –
Il tono era vagamente scherzoso, forse un tantino in soggezione dai pochi curiosi ancora attorno a loro.
Ti ho trovato. Allora non era lì per caso, era lì per lui. Mail, con una reazione degna di un’adolescente alle sue prime cotte, rischiò di arrossire.
- Che ci fai qui? –
- Sono venuto a cercarti, ho pensato che ti avrebbe fatto piacere rivedermi. – disse con una sicurezza fuori dal comune.
- No, cioè, sì, solo che io… beh, non me lo aspettavo. –
- Diciamo che mi piace sorprendere la gente. –
- Oh, ci sei riuscito. –
- Hai impegni oggi? –
Mail ripassò mentalmente la routine della sua giornata. Ora che il negozio dove lavorava era chiuso per ferie la sua routine funzionava più o meno come quella di un quindicenne. Scuola, videogiochi, videogiochi, videogiochi. Tra queste semplici tappe comparivano degli atti di sopravvivenza, come una telefonata al take away più vicino. E Maddie. Sì, adesso doveva aiutare sua sorella se ne avesse avuto bisogno.
- In realtà niente di speciale. –
- Allora monta, su. –
Il biondo porse il casco integrale che teneva in mano a Mail, che ci mise qualche secondo a collegare.
- Cioè, mi fai fare un giro su questa? –
Mihael gli rispose con un ghigno strafottente porgendogli il proprio casco a salendo sulla moto. Mail sorrise di rimando.
Di tutto si sarebbe aspettato meno che quel ragazzo meraviglioso lo venisse a prendere senza dire nulla, senza avvertire, presentandosi con un mezzo ghigno spaventosamente intrigate e una Ducati decisamente poco accessibile per un ventenne che si esibiva la sera nei locali.
- Dove mi porti? –
- Ancora non lo so. –
Senza farsi problemi Mail salì a bordo del veicolo, sedendosi dietro il biondo, curioso di sapere dove sarebbero finiti.

***

- Siamo qui per le spese dell’ultimo minuto? – domandò Mail, togliendosi il casco e guardando il centro commerciale dove si erano incontrati quasi una settimana prima.
- Non sono tipo da regali di Natale. – sbuffò Mihael.
Stava cercando di rimanere calmo. Perché era rrivato il momento anche per quello.Ora doveva sedersi di fronte a Mail e dirgli che se ne andava da New York. E che non sarebbe tornato. Era una cosa che detestava, quella. Perché wuello era l’unico vero addio che avrebbe detto. Per tutto il resto sarebbe scomparso senza rumore. Nessun lavoro fisso, nessun vero amico. La sua casa non aveva niente che la facesse essere davvero tale.William, William, avrebbe accetto di non vederlo più anche con una semplice telefonata. Gli sarebbe mancata senz’altro la sua bella moto – uno dei primi regali di Will – ma avrebbe imparato a fare a meno del rombo del suo motore come aveva imparato a rinunciare a tante altre cose.
 L’unica persona che si meritava davvero le sue parole era Mail. Non sapeva con precisione cosa provasse per lui. Era solo un bel rossino che si era portato a letto una sera perché era quello di cui aveva voglia. Poi tutto ilresto era accaduto senza che se ne accorgesse. Gli voleva bene, quello sì. Mail riusciva a infondergli una strana sicurezza, come se potesse lasciarsi andare ed essere solo se stesso con lui, senza dover temere di esserlo, e al contempo sapere che avrebbe sempre e comunque ricevuto un abbraccio.
 Lo guardo avvinarsi ad una vetrina di un negozio di... videogiochi? Sì, era proprio un negozio di giochetti per mocciosi. Mail era praticamente appiccicato al vetro e quando si voltò verso Mihael gli si leggeva in faccia una specie di “Mi ci porti”. Mihael non si sarebbe stupito se avesse messo su un muso cucciolo per cercare di convincerlo ad entrare.
 Ma prima che potesse aprire bocca Mihael già gli rispose.
 – No. – disse serio, con uno sguardo che non ammetteva repliche.
 - Oh, andiamo che ti costa? –
 - Non ho alcuna intenzione di entrare lì,dentro. – rispose indicando il negozio con stizza.
 - Avanti, non puoi disdegnare un tale paradiso. – proferì Mail con la faccia di uno chela sapeva lunga.
 - Oh santo cielo, sono andato a letto con un minorenne. – sospirò sconsolato Mihael – Ti ho già detto che non ci vengo perché voglio... voglio... – si guardò intorno – voglio entrare lì. – affermò dirigendosi verso il primo negozio che gli era passato di fronte agli occhi.
 - Qui? – chiese Mail, seguendolo scocciato in quel negozio di abiti di marca, assolutamente costosi.
 - Uhm... sì, qui. –
 Eludendo qualche commessa Mihael diede un’occhiata alla merce in vendita in quel negozio – di cui non aveva fatto nemmeno in tempo a leggere il nome -. Abiti decisamente troppo cari per le sue tasche. Ma non per quelle di William, in effetti. Era sicuro di aver preso la carta con sé.
 - Voglio quello. – disse infine, fermandosi di fronte ad una ragazza intenta a scegliere un giubbotto da uomo.
 Mail lo guardò storto.
 - Va bene. Prendilo. – disse con tutta l’ovvietà del mondo Mail e afferrando una delle giacche del modello che tanto sembrava piacere a Mihael.
 - No, no. Io voglio quella giacca. – disse indicando il capo in mano alla ragazza. Il suo sorriso non aveva proprio nulla di rassicurante.
 - Cosa? Ma che diavolo stai dicendo? –
 - Dico che non me ne vado da qui finché non avrò quel giubbotto. –
 Sembrava molto sicuro. Mail lo fissava a metà tra l’indispettito e metà con l’espressione di uno che aveva appena scoperto la vita su marte.
 - Va bene. Finiamola con questo teatrino. – concluse infine Mail, andando verso la ragazzina con il bramato giubbotto.
 Mihael sembrava perplesso. Lo stava facendo veramente!
 - Ehi, scusami. – La ragazzina si voltò su di lui.
 - Mi chiedevo se potresti darmi questa giacca. – Lo guardò confusa, mettendosi sulla difensiva.
 - No sai, c’è quel mio amico laggiù che ha deciso di interpretare la parte della bambina capricciosa e... – si interruppe a metà frase quando si accorse che di Mihael, dove lo aveva lasciato non ce n’era neanche più l’ombra.
 Fece appena in tempo a vederlo correre verso i camerini.
 
 
Lo seguì nel camerino dove era entrato di corsa, ancora un poco shockato per il suo comportamento. Appena scostata la tendina nera della cabina, trovò Mihael di spalle, rivolto verso lo specchio. Per un attimo Mail ebbe paura della sua reazione.
- Mihael? – chiese con voce un poco preoccupata.
Quello, senza dire una parola, si voltò verso di lui, guardandolo negli occhi e aprendo la bocca per dire qualcosa, facendo in tempo solo a permettere alle proprie labbra di chiudersi e stendersi in un sorriso infantile. Un secondo dopo Mail si perdeva nel fissare Mihael che si piegava su se stesso, lasciandosi prendere da una risata fragorosa, quasi ridicola e molto contagiosa. Eppure Mail, nonostante la sua indole, non riuscì ad unirsi all’altro. Lo fissava con occhi che non aveva mai avuto per nessuno, contemplando ogni piccolo sussulto del suo petto, i capelli sottili che venivano scossi da ogni sua risata. Poi alzò lo sguardo – aveva gli occhi lucidi – e Mail sentì il suo cuore il suo stomaco stringersi e soffocarlo. Per un attimo, solo per un attimo.
- Fallo ancora. –
Mihael lo guardò confuso, alzando un sopracciglio.
- Eh? Cosa? –
- Fallo ancora. – ripeté – Sorridi così di nuovo. –
Mihael continuava a non capire, fissando imbarazzato Mail, che lo guardava con occhi pieni di qualcosa che lui non conosceva. Si sentì troppo al centro dell’attenzione. Lui, lui che aveva tenuto la testa alta anche quando se ne stava mezzo nudo in una piazzola di sosta.
Ci provò, Mihael, ci provò a sostenere il suo sguardo, ma poi – per quella che doveva essere la prima volta – fu costretto a spostarlo sulla gruccia attaccata alla parete accanto a lui. Nel farlo, arrossì e sorrise per dissimulare l’imbarazzo.
- Ma che dici, Mail? Non fare il cretino. –
- Non sto scherzando. – Mail gli prese il volto tra le mani e Mihael quasi avrebbe voluto essere da tutta un’altra parte – Sei… sei bellissimo. –
Non era che non volesse sentire le labbra sulle sue in quel modo, quel contatto non gli dava assolutamente alcun fastidio, anzi avrebbe continuato a baciarlo in quel camerino fino all’orario di chiusura del negozio e molto oltre, effettivamente. Era la sensazione non meritare quelle braccia intorno al collo, di prendersi quelle emozioni senza poter lasciare niente in cambio. Perché non doveva assecondare quella lingua dolce, non doveva spingerlo contro la parete e cingergli i fianchi con tale possessività, no, doveva solo dirgli “Mail io me ne vado”. Cosa c’era di così complicato in un addio? Era l’ultimo, l’ultimo bagaglio da preparare. Eppure in così poco tempo era diventato il più pesante.
Un rumore sordo, provocato da qualcosa che sbatteva contro il legno della parete del camerino, spense quel moto di irrazionalità che aveva colto entrambi. Mihael si allontanò un poco dall’altro, recuperando la propria giacca da terra; quello non era il luogo adatto, meglio chiudere lì prima di imbattersi in situazioni poco gestibili.
 
 
- Non hai comprato niente alla fine. –
- No. Infondo era solo uno sfizio inutile. – affermò Mihael, passando di fianco al primo cesto della spazzatura dell’ingesso del centro commerciale, gettandovi il regalo, inutilizzato, di William.
- Ti riporto a casa. –
 

***

 
Mail si tolse il casco e lo porse al suo proprietario.
- Grazie, allora, per questa sorpresa. –
- Mi ha fatto piacere stare con te. – tagliò corto Mihael, mentre sentiva il proprio stomaco contorcersi in una sensazione disgustosa. Aveva voglia di vomitare.
- Ti richiamo io. – Propose Mail con un sorriso, voltandosi subito dopo verso il portone.
- Mail! Aspetta… -
- Che c’è? – Il rosso si voltò ancora, con un mezzo sorriso addosso e una vaga curiosità negli occhi. Quella visione ebbe la capacità di uccidere Mihael almeno mille volte.
- Niente. – disse, non riuscendo a impedirsi di poggiargli un bacio leggero sulla fronte.
 
Maledetto! Maledetto Mihael Keehl, maledetto cento volte. Adesso, oltre che fare male a se stesso avrebbe ferito anche Mail?
Diede gas, assordando ogni pensiero con il rombo del motore, filando sull’asfalto incurante di ogni limite stradale e del buon senso.
 

 
 
 
Qualche Nota:
E insomma, eccomi qua infine. Ho scritto molto in questo periodo. Questo fatto mi ha davvero aiutata a riprendere la voglia di proseguire questa fic (prima era diventato impossibile riuscirci decentemente...). Quindi sono lieta di poter comunicarvi che gli aggiornamenti torneranno regolari (almeno una volta a settimana insomma ^^). Mi dispiace solo di essere tornata con un capitolo così brutto e inutile... giuro che il prossimo sarà meglio.
Ringrazio infinitamente chiunque abbia letto questa storia, e ancor più chi si è preso la briga di recensirla... più rileggevo le vostre parole più venivo motivata a continuare *^* Spero che nonostante la lunga assenza possiate continuare a sostenermi, non mi vergogno di dire che conto moltissimo sui vostri commenti J
Ora devo andare, baci
BianconiglioLally

 
 
 

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Capitolo 14
*** Amore ***


Capitolo Tredicesimo
Amore
 
 
Si distese tranquillo sul letto, poggiando la PSP sul comodino.
Era la sera del ventitré dicembre ed era felice.
Il giorno prima era uscito con Mihael, rendendosi conto che gli piaceva davvero. Per la verità non sapeva molto di lui, il quale sembrava evitare troppe parole sul proprio conto. E Mail non era stupido, troppe cose gli avevano fatto pensare che avesse qualcosa da nascondere. Anche solo il fatto che non avesse accennato a niente riguardo al suo paese d’origine – non è che ci volesse tanto a capire che era arrivato in America da poco – e i motivi della sua emigrazione a New York, poteva apparire sospetto. Ma c’era tempo per tutto e non gli fregava assolutamente un cazzo di chi fosse Mihael Keehl; era quello che mostrava di essere e lui sapeva, lo aveva letto in quegli occhi così azzurri da far invidia al cielo, che non gli aveva mai mentito.
Mihael era solo un ragazzo che aveva bisogno di un abbraccio, questo lo aveva capito anche lui.
Guardò l’orologio della sveglia digitale: mezzanotte e venti.
Sbuffò. Era tardi, ma lui non aveva alcun programma per il giorno dopo. Una sigaretta e poi si sarebbe messo a dormire.
Chiuse gli occhi, godendosi quella pace amplificata dalla nicotina, stringendo il mozzicone tra indice e pollice, cercando di prendersi ogni molecola di quel fumo al quale ormai non poteva più rinunciare.
Il suono del campanello lo confuse a tal punto che per qualche attimo rimase fermo a domandarsi che diamine fosse stato.
Poi le semplici risposte arrivarono una dietro l’altra. Quel suono fastidioso e troppo forte per i suoi sensi assopiti era senz’altro il campanello di casa. Con altrettanta celerità arrivò la consapevolezza di doversi alzare dal letto per raggiungere il citofono. E prima che dalle sue labbra potesse uscire un’imprecazione contro lo sconsiderato imbecille che aveva avuto la grande idea di scassargli i coglioni a quell’ora, gli venne in mente Madison, tremante sotto la neve notturna di New York, in attesa di poter stare con lui.
Solo grazie a quell’immagine un po’ triste – e sì, anche patetica – riuscì ad arrivare fino al citofono, premendo il pulsante che faceva scattare la serratura del portone senza nemmeno chiederle di identificarsi.
Poi si avviò in cucina, mettendo su dell’acqua sul fuoco. Maddie amava prendere una camomilla prima di addormentarsi.
Quando tornò nell’ingresso, però, non trovò affatto sua sorella infreddolita. No, si trovò davanti Mihael, fasciato dai suoi abiti attillati, con il capo chino.
Mail perse un battito.
- Mihael? –
A sentire il suo nome quello alzò lo sguardo, rivelando degli occhi arrossati.
Aveva pianto. Sì. Per la prima volta Mihael aveva lasciato che le emozioni forti che corrodevano violente il suo petto si manifestassero tramite le lacrime.
Non era stato niente in particolare a scatenare in lui quella reazione. Forse non era stato vedere William vezzeggiare spigliato quel ragazzino con gli occhi grandi e neri, un moccioso così fintamente innocente. Era stato solo l’ennesimo schiaffo. Un’altra percossa a quel ragazzo che si sentiva un po’ inutile e ignorato, segregato dietro a quello che sapeva dimenticare.
Mihael sarebbe riuscito a dimenticare anche Mail? O è più facile ingoiare il dolore?
Era bello piangere, anche se le sue erano state solo poche lacrime, amare e calde. Aveva aspettato per tutto quel tempo di poter piangere di gioia e poi si lasciava andare così, a tutto ciò che di brutto aveva sopportato. Sì, perché la cosa buona di piangere era poter essere consolati.
- Cosa è successo? –
- Niente. –
Mail lo guardò e sorrise, abbracciandolo.
Timido, Mihael ricambiò l’affetto del rosso, portando le braccia intorno alle sue spalle.
- Mail… - provò a iniziare Mihael, senza nemmeno sapere cosa dire.
Mail rispose semplicemente stringendolo più forte.
Mihael stava soffrendo. Ed era venuto da lui.
Lo fece sentire fondamentale, e Mail non poteva chiedere altro. Sapere di contare tanto per lui gli scaldò il cuore. Lo guardò negli occhi, incerto.
Sarebbe mai riuscito a capire cos’era quella confusione che lo sovrastava quando era così vicino a Mihael?
Lo baciò, cercando di comunicarli quanta più rassicurazione e conforto potesse, cercando di fargli capire quanto ci tenesse. Mihael sfiorò le sue labbra e giocò con la sua lingua, soffocando quello che, sorprendendo entrambi, sembrava proprio essere un singhiozzo.
Era quello che desiderava. Anzi, a pensarci bene quello non era un desiderio, attesa vivida dell’aiuto di un angelo, così effimero e atteso. Adesso voleva ottenere ciò che aspettava con le proprie forze.
Si lasciò condurre verso la stanza da letto, senza interrompere quel gioco di bocche, incastri perfetti, che avevano intrapreso.
Via il giubbotto, gli stivali, il freddo, la delusione. Sfilò con urgenza i pantaloni di Mail, rendendosi conto solo in quel momento che l’altro stesse indossando il pigiama.
Perché lo aveva lasciato entrare in casa sua, senza porgli alcuna domanda?
Soluzioni introvabili a interrogativi sfocati, muti alle sorde orecchie dei due, troppo presi per poter fare attenzione a qualsiasi cosa che li obbligasse a allontanarsi anche solo di un respiro dall’altro.
Non appena Mihael si staccò per un secondo dalle labbra di Mail, giusto il tempo di riprendere fiato e poter ricominciare, il rosso gli prese il volto tra le mani, affondando le dita tra le ciocche bionde e sottili, per immergersi nei suoi occhi cerulei. Ancora una volta, come il primo accordo di una canzone, ci fu qualcosa che scattò, incomprensibile e perfetta, fino alla fine della musica.
Mail, arrendevole, si lasciò spingere sul letto, mentre rimuoveva indelicato la stoffa scura della maglia dell’altro.
Lentamente Mihael prese a baciargli il petto, suggendo la pelle chiara e facendo scivolare la lingua su un capezzolo già turgido, solo per il personale piacere di sentire Mail sospirare più forte. Scese verso il basso, fino a raggiungere l’ombelico, infilandovi la lingua in un esplicito gesto, che rese entrambi ancor più impazienti.
Rimosso anche l’intimo, senza alcun avviso, Mihael lo penetrò con due dita, strappando a Mail un gemito di sorpresa e fastidio. Anche lui aveva voglia di arrivare subito al dunque, ma erano comunque due mesi buoni che non stava sotto. Si concentrò sul rilassare i muscoli, mentre Mihael lo preparava con movimenti decisi e mai troppo irruenti. Mail però non mancò di vendicarsi per il fervore di prima, mordendogli le labbra appena il biondo si avvicinò al suo viso per poterlo baciare. Quasi divertito, Mihael lo baciò con passione, mentre Mail si adoperava per tenerlo più vicino che potesse, con le braccia, con le gambe.
Mugolando lascivamente, Mail gli lasciò intendere di non essere più intenzionato ad aspettare. Mihael, che non aspettava altro, sfilò le due dita dal corpo caldo di Mail, non senza un sospiro frustrato da parte di questi.
- Come lo vuoi? – chiese, deglutendo a vuoto, desideroso di soddisfare pienamente la voglia di passività del suo amante.
Per un attimo ancora Mail si godette ogni dettaglio, il sudore che imperlava le tempie di Mihael, dove i capelli sottili rimanevano attaccati, dispettosi, e il suo pomo d’Adamo che si abbassò nel tentativo di deglutire e tornava al suo posto. Era il ritratto del desiderio.
- Così. Subito. – asserì, sottolineando il senso delle proprie parole spingendo il bacino verso l’erezione dura e fremente di Mihael, fino a che la punta di questa non toccò la pelle delle sue natiche.
Senza attendere oltre, Mihael portò la mano destra tra i loro corpi, per aiutarsi nella penetrazione. Mail strinse gli occhi nell’avvertire distintamente il membro umido dell’altro dentro di sé, obbligandosi mentalmente di non fare più casino di quanto non stesse già facendo.
Con un paio di spinte lente e decise gli fu dentro del tutto, e il corpo del rosso reagì stillando un primo schizzo latteo sul ventre di Mihael.
Respirarono a fondo, cercando di non gemere a ogni minimo movimento dei loro corpi, fino a che Mihael non iniziò a muoversi con decisione, alzando e abbassando il bacino in un moto pienamente gradito a entrambi. Mihael pareva un dio di quell’impura danza.
- Aha… M… Mihael. –
Continuò a pronunciare quel nome per volte infinite quella notte, serrando le labbra per produrre il suono della emme, riaprendole poi per strepitare quell’acca aspirata seguita da un lungo e alto dittongo, incollando poi la lingua al palato per riprodurre il suono liquido della elle.
Era un lemma bello e complicato, il suo nome. Suscitava in Mail una sorta di emozione, bella quanto Mihael, nudo e eccitato, chinato tra le sue gambe, che gli sussurrava parole e frasi insensate – forse quello non era nemmeno inglese – all’orecchio, che suonavano dolci e suadenti al contempo.
Che la risposta a ogni domanda fosse una sola? Che fosse amore?
Lo amava?
- A… ancora… -
Si sentiva vicino al punto di non ritorno ma, allo stesso tempo, non ne aveva ancora abbastanza, nonostante le lenzuola avessero ormai lasciato il loro ordine e si piegassero disordinate seguendo l’entusiasmo del loro amplesso.
- Gridalo… più… gridalo più forte! –
Mail gemette, ormai incapace di qualsiasi frase, ma ancora in grado di portare le mani dietro alla nuca di Mihael, cominciando un altro bacio in cui tentò di trovare una risposta. Furono la foga, il calore e tutte le sensazioni che non riuscì a comprendere, ma che erano lì, nell’abbraccio delle labbra di entrambi.
Lo amava.
Mihael venne, soffocando un urlo roco sulla spalla di Mail, che raggiunse l’apice subito dopo, colto dal piacere non solo puramente fisico, ma anche di quella curiosa – pericolosa – scoperta.
Ancora ansante, Mihael si separò da Mail, distendendosi di fianco a lui, mentre si detergeva il sudore dalla fronte e cercava di ripulirsi dal seme dell’amante.
Inspirò a pieni polmoni l’aria che profumava di sesso e di quel qualcos’altro che ancora gli sfuggiva. Era come riprendere a respirare dopo una vita intera.
Poi, come l’impatto del cristallo con il terreno, che avviene sempre troppo presto, prima che ci si possa rendere conto, gli s’infranse nel cuore ben’altra sensazione.
Che ci faceva ancora in quel letto dove non sarebbe mai più potuto rimanere? Chiuse gli occhi, assaporando dolorosamente l’amarezza che tornava veloce come se n’era andata. La ragione gli urlò di lasciare quel letto subito, sparire prima che la notte schiarisse, andandosene nel buio, amico dell’oblio.
E lui, sordo, stupido, inconsapevolmente innamorato e stanco, rimase invece a rimirare il colore ramato dei capelli di Mail, affettuosamente rannicchiato contro il suo petto, e i suoi lineamenti regolari distesi dalla rilassante musica del sonno.
Poi Mihael si dimenticò il suo nome e le cose importanti. Poi Mihael si addormentò vicino a Mail, cingendogli le spalle come a proteggerlo, dimentico che chi lo avrebbe ferito era proprio il suo salvatore.
 
 

 
 
 
Qualche Nota:
Sì! Sono riuscita a pubblicare per tempo! Tutto grazie a voi! Non avete idea di quanto piacere mi abbia fatto leggere tutte le vostre recensioni al capitolo precedente! E’ bellissimo sapere che questa storia continui a piacere e interessi a così tanta gente TwT Colgo l’occasione per ringraziare anche chi inserisce la storia tra le preferite e le seguite ^w^
Allora, ormai non manca molto alla fine della storia, spero di concluderla in un tempo ragionevole, anche perché da un tot di giorni a questa parte la mia testa ha voglia di scrivere una What If? Della trama originale del manga… si vedrà. Intanto dobbiamo ancora scoprire cosa ha in mente Mihael *A*
A presto
Lally

 

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Capitolo 15
*** Verità di mezzanotte ***


Capitolo Quattordicesimo
Verità di mezzanotte
 
 
Aveva avuto risvegli migliori, sinceramente. Mihael si era rivestito quasi con fretta, e Mail aveva avuto la subdola impressione che non lo stesse facendo per il freddo.
- Ho da fare stamattina. – aveva detto allacciandosi i pantaloni, impaziente di correre via da Mail, da quella casa, oramai consapevole del suo imperdonabile errore, del suo sbagliato egoismo.
Voleva ignorare la fitta al cuore che lo aggrediva al pensiero di lasciarlo senza parole d’addio, un ultimo diretto saluto. Sparire in silenzio, come la luce di un angelo non si affievolisce gradualmente ma ti lascia al buio di colpo.
- Stasera allora? –
Mihael si era voltato verso di lui per la prima volta quella mattina.
Invisibile agli occhi di chiunque, nascosto dal suo sguardo un po’ gelido e un po’ impassibile, Mihael ebbe quasi un sussulto. Lo sguardo speranzoso di Mail aveva fatto brillare il suo coraggio e la sua giustizia, che volevano dire a quel bel ragazzo seduto sul letto sfatto ogni virgola della verità.
- Non lo so, ti faccio sapere. Ok? –
Quello era il massimo che fosse riuscito a fare, incapace per egoismo e codardia ad un “no” secco, che avrebbe sancito indirettamente la fine di tutto. Era come se non fosse Mihael Keehl – di cui si può dire tutto tranne che fosse un vigliacco – a scegliere cosa dire, se dare ancora vana speranza o se comportarsi da stronzo quasi a fin di bene.
Era sospeso tra possibilità diverse, tutte ugualmente difficili e dolorose, indeciso, confuso, bloccato prima di compiere un passo in qualsiasi direzione, come ad aspettare ancora che qualcuno dall’alto, potesse prendere fermamente la decisione corretta.
Tante cose poi erano turbinate nelle menti di entrambi, in quel giorno speciale e ventoso, con la neve che vorticava tra le strade senza un verso apparente. Poi, a sera tarda, forse seguendo i capricci del vento più che il filo dei propri pensieri, Mail era giunto davanti al portone del palazzo dove aveva registrato vi abitasse il ragazzo che tormentava la sua mente, portando con sé due abbondanti confezioni da sei di buona e sana birra americana.
Suonò il campanello al nome “Keehl”, aspettando poi due minuti buoni prima di ricevere risposta.
- Sì? – chiese la voce metallica, ma pur sempre riconoscibile, dal citofono.
- Sono Mail. –
Mihael, al caldo nel proprio appartamento, strinse con forza il ricevitore, allontanandolo un poco dal proprio orecchio. Era arrabbiato, con se stesso prima di tutto.
- Sali. – disse a bassa voce, premendo il pulsante che apriva il portone.
Passò il minuto che Mail impiegò per salire le scale, a odiarsi senza fare nient’altro. Pensò seriamente di liquidarlo con una scusa banale, confidando sulla valigia già pronta in camera da letto e su quell’aereo che, aveva deciso, avrebbe preso due giorni dopo. Ma era Natale e gli occhi di Mail, indaffarato a scrollarsi di dosso i graziosi fiocchi bianchi, impigliati anche tra le ciocche della sua chioma rossa, gli impedirono qualsiasi rifiuto.
- So che non sei tipo da regali, ma in fondo queste non lo sono. – si giustificò alzando la busta che teneva in mano, mettendo in bella vista le bottiglie, dato che Mihael in piedi davanti alla porta, con le braccia incrociate sul petto, sembrava tutto tranne che felicemente sorpreso.
Fortunatamente si scansò dalla soglia della propria casa, accennando ad un sorriso sghembo, di cui Mail non poté cogliere l’amarezza.
 

***

 
Una, due, tre, otto bottiglie vuote sul tavolino di cristallo nel soggiorno di Mihael, una abbandonata tra il tappeto e il parquet, l’altra ancora tra le mani di Mail, intento a raccontare qualche avvenimento della sua vita senza nemmeno troppa importanza.
Era successo davvero, pensò distrattamente Mail, mentre posava la bottiglia di vetro semivuota sul mobile in cristallo; un’altra vigilia a sbronzarsi. Ma stavolta lo faceva in compagnia di Mihael, che a suo modo, sembrava gradire quella visita.
Mail aveva notato che in quell’appartamento sospettosamente lussuoso, ci fosse una aria quasi tesa che portava brutte sensazioni. Non seppe mai dire se fosse stato per la sua presenza in sé o per il dolce stordimento dell’alcol, ma Mihael si era come rilassato, in maniera che, doveva essere sincero, non gli aveva mai visto sfoggiare tanto a lungo.
- Ehi, Mihael, guarda l’orologio! – esclamò il rosso, fermandosi poi ad osservare con esagerata concentrazione le lancette del proprio orologio.
- …Due… uno… Buon Natale! – esclamò abbracciandolo con grande entusiasmo, finendo per far rovinare entrambi lunghi distesi sul divano di pelle.
- Oh, scusa. – cercò di dire Mail, un po’ imbarazzato per il poco contegno che era riuscito a dimostrare. Colpa delle birre, sicuramente.
Contrariamente alla sua intenzione iniziale, ovvero quella di rimettersi seduto comodamente e magari ricominciare a bere, fu catturato dalle labbra lucide di Mihael così vicine alle proprie, che diventarono in pochi secondi la sua priorità. Le leccò con lascivia, finché il biondo non le schiuse, ricambiando focosamente quel contatto caldo.
Finì per stringere le ciocche rosse dei suoi capelli e sospirare profondamente mentre Mail gli suggeva la pelle del collo, giocherellando con la cerniera dei suoi jeans scuri.
- Aspetta. – disse il biondo, stupendo se stesso per primo - Vado a Los Angeles. –
Mail alzò lo sguardo su quello di Mihael. Aveva i capelli lisci sparsi sul bracciolo del divano, e una strana luce negli occhi.
- Beato te, anche io ho bisogno di una vacanza. – disse, tornando a concentrare la sua ridotta capacità riflessiva sulla lampo dei pantaloni dell’altro. Dopo qualche secondo di vuoto, durante il quale Mihael fece davvero fatica a mettere insieme il significato delle parole del rosso, finalmente si impose di fermare l’altro, cercando di levarselo di dosso.
- No, sul serio, me ne vado via da qui. –
Le parole da lui stesso pronunciate li sembravano lontane, suonavano come un discorso di sottofondo, come quando lasci accesa la tv e ti sposti in un’altra stanza.
Mail si scansò, seduto inginocchio sul divano.
- Eh? –
Socchiuse gli occhi, come faceva sempre quando doveva sforzarsi di capire qualcosa di difficile.
E difatti non capiva. Guardava Mihael seduto sul bordo del divano, che teneva lo sguardo basso, lo guardava alzarsi e dargli le spalle e continuava a non capire. Se ne andava? A Los Angeles? Cosa… Perché?
- Eh? – chiese ancora, alzando involontariamente la voce.
- Scusa. – si voltò verso di lui e Mail, completamente fuori fase, dette più peso alle sue guance arrossate che ha quello che stava tentando di dirgli. Scosse un po’ il capo, obbligandosi a rimanere concentrato, nonostante il suo cervello invocasse a mandare a quel paese qualsiasi problema.
- Ma che stai dicendo? – domandò guardando Mihael come fosse un alieno.
- Vado a vivere a Los Angeles tra… due giorni, in realtà. –
Come faceva a sembrare così serio nonostante l’astrusità di quello che stava dicendo?
- Scherzi, vero? –
Nel silenzio che seguì a quella domanda si creò una specie di altra dimensione, composta da aspettativa e paura e, per un solo attimo, anche un briciolo di esitazione. Ma poi la sfera di vetro si ruppe, rivelando la fragilità di quel tutto a cui si erano abbandonati con troppa fiducia ed ottimismo.
- No, Mail. –
I fumi caldi dell’alcol non avevano certo intaccato la cruda freddezza che Mihael aveva dentro, come arma di difesa forse, ma riusciva a ferire come una spada d’argento. Mail avrebbe forse preferito qualche scusa patetica o inutili giustificazioni, così, anche solo per poter dire “basta, non voglio sentirti”. Mentre adesso si trovava mezzo morto dentro, anche se ancora non ne era completamente consapevole, e con una gran voglia di conoscerle, quelle scuse banali.
- Perché? –
- Perché io odio questo posto! – urlò, cambiando di colpo, come se avesse aspettato troppo a lungo di essere abbastanza ubriaco per dire quello che non aveva il coraggio di raccontare in altri momenti – Mi fa schifo! Mi faccio schifo… tu non sai che cazzo ci ho fatto su queste strade, quanta fatica faccio ad ingoiare ogni sconfitta che… -
- No, non lo so. – lo interruppe – E non m’interessa nemmeno. –
No, non gli importava sul serio. Lui voleva vivere con Mihael da quel momento, buttare via la carta piena di freghi e iniziare a scrivere su un foglio bianco. Lo voleva così tanto da non accorgersi che non ogni errore si cancella senza lasciare un segno.
- E allora non guardarmi così. Non me lo merito. –
Sì che se lo meritava quello sguardo triste dritto al cuore. Non aveva fatto niente per evitarlo.
- Da quando hai deciso? –
Quella domanda lo spiazzò. Nonostante fosse ovvio anche alla sua mente offuscata che quello fosse il momento delle confessioni, non aveva comunque alcuna voglia di dichiarare ogni sua colpa. Ma era anche vero che non aveva senso fingere adesso, che era vero che era iniziato tutto con una scopata, che poi forse le cose erano cambiate e che comunque non si era mai fatto alcuna illusione perché non era un bambino e perché non credeva che la fortuna avrebbe iniziato a sorridergli. E che soprattutto ormai era finita.
- Da prima di conoscerti. –
- Non me l’hai mai detto. –
Non ne aveva avuto il coraggio, non per paura, ma perché voleva essere un po’ egoista e prendersi il meglio di ciò che poteva avere. Smettere di rinunciare, solo per una volta.
Mihael rimase in silenzio, guardando da un’altra parte. Fuori dalle finestre scendeva qualche fiocco, non abbastanza denso per poter sopravvivere all’asfalto.
Mail accettò in silenzio quegli occhi cielo che non lo guardavano e capì che era arrivato il momento di non dire nulla. Magari andarsene. Fingere di non essersi innamorato di un sogno e archiviare Mihael come un’ennesima sbandata.
Ma parlò, incapace di non farlo, a causa dei freni inibitori allentati e da quella voce interna che non aveva smesso di sperare che si potesse rimediare.
- Io… io pensavo che tra di noi… io… - non riuscì dare un significato alla frase, rendendosi conto solo in quel momento quanto fosse stupido l’amore per Mihael e quanto fosse triste il fatto che quel sentimento fosse ancora lì. Caldo e vivo come mai prima. Non era arrabbiato con Mihael per quello che gli stava facendo, in quel momento riusciva solo a percepire il contorno della propria colpa. Era stato lui lo stupido alla fine dei giochi.
- Tu pensavi che… -
Mihael lo fissò interdetto per un attimo. Aveva ben capito cosa Mail stesse cercando di dirgli e provò una gran rabbia. Perché, per quale dannatissimo motivo era successo tutto proprio in quel momento? Se non fosse stato così deciso, se avesse conosciuto Mail solo un po’ prima forse sarebbe stato in grado di ricambiarlo e non avrebbe potuto chiedere altro. In quel momento invece sarebbe stato meglio essere solo.
Rise, rise dell’ironia della sorte, incapace di non trovare la pateticità di quella situazione.
E Mail lo vide ridere, ridere del suo amore sprecato. Bastò quello, quel rumore quasi cristallino e troppo forte a portare la tutta la rabbia e la delusione verso un unico colpevole. Come poteva prendersi gioco di lui in quella maniera tanto esplicita?
Senza pensarci due volta, seguì il proprio impulso, quasi come uno spettatore assistette all’impatto del proprio pugno sul viso di Mihael. Per un secondo provò un’infinita soddisfazione in quel piccolo gesto.
Anche quando, con il palmo premuto sullo zigomo colpito, quello si voltò, rivelando uno sguardo adirato che gli mise i brividi. Prima di riuscire a pensare qualsiasi cosa, Mail si ritrovò Mihael addosso, senza nemmeno pretendere di conoscere come avesse compiuto uno scatto così repentino, nonostante tutto. Cercò di difendersi come poté, ma era forte e, come lui, aveva dentro una gran rabbia che non vedeva l’ora di uscire, aiutata da tante cose quella sera. Riuscì a divincolarsi dal suo peso solo dopo aver subito diversi colpi dolorosi.
Guardò Mihael ancora per terra, con i capelli scompigliati il preludio di un livido colorargli con una rossa mezzaluna lo zigomo sinistro. Mail si tastò il labbro dolorante, non troppo stupito del sangue caldo con cui si macchiò le dita. Era pazzo! Mihael Keehl era completamente fuori di testa!
- Vattene. –
- Sì, sì me ne vado, stronzo. –
Si sbatté la porta alle spalle e scese le scale quasi di corsa.
Quando si trovò in strada con il nevischio che bagnava l’asfalto e la sensazione di non sapere di preciso dove si trovasse, provò una strana sensazione di déjà-vu. Non si mise nemmeno il giubbotto, percorrendo a passi veloci il tragitto verso casa sua, godendosi il freddo pungente che la notte buia riusciva a regalargli.
 

***

 
Si distese sul letto con i vestiti bagnati, senza curarsi di medicare in alcun modo il labbro che pareva avesse smesso di sanguinare, ma non di provocargli dolore. Dopotutto si sa che spesso le ferite continuano a fare male anche quando sembrano cicatrizzate. Ora come ora sentiva un gran bisogno di mandare a insultare un po’ tutti, se stesso per primo.
Ebbe la forza solo di accendersi una sigaretta, salvo poi gettarla nel posacenere senza aver fatto più di un tiro, e di assecondare le lacrime, soffocando i singhiozzi nel cuscino, desiderando di svegliarsi, l’indomani, ed essere già guarito.
 
 
 
 
 
Qualche Nota:
Invece di una settimana ce ne ho messe due =_= Questo capitolo proprio non mi riusciva… e infatti si vede. Va be’, lasciamo perdere -_-‘’’
Dato che non riuscivo minimamente a scrivere quello che volevo è venuta fuori sta roba che ha cambiato la mia idea iniziale ._. non decido io quello che succede, quindi non prendetevela con me >_<
Oh, beh’, ho poco tempo. Questo capitolo lo commento con un banale “l’amore fa male” e poi vi ringrazio tutti. Caspita, ce l’avete fatta, mi avete sopportata fin qui o_o
Baci <3
Lally
Ps. Il prossimo sarà l’ultimo capitolo prima dell’epilogo. OMG

 

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Capitolo 16
*** Angelica speranza ***


Capitolo Quindicesimo
Angelica speranza
 
Avrebbe volentieri rimirato il suo bel sorriso in uno specchio, se non le avesse fatto troppa fatica scendere dal letto.
Sembrava passato un secolo da quando Maddie Jeevas non si era sentita così bene. Non che niente di particolare l’avesse sollevata dai suoi problemi, ma forse l’aria allegra e densa di speranze delle feste era riuscita a penetrare in lei.
Si distese di nuovo sul letto, facendo affondare la testa nel cuscino morbido, colorandolo con suoi scompigliati riccioli rossi. Il fatto che Jared fosse qualche metro più in là, ben deciso a prepararle una soddisfacente colazione, non poteva che renderla felice, ripensando alle miriadi di difficoltà che la loro relazione aveva incontrato. In cuor suo sperò di poter ricordare sempre il modo buffo con il quale, quella mattina, aveva esclamato “Buon Natale!” e poi l’aveva baciata sulle labbra. Non gli aveva detto del bambino. No, ormai non ce n’era più nemmeno bisogno. “Può succedere. Per una ragazza giovane come lei un aborto spontaneo è del tutto normale nei primi mesi di gravidanza.” le aveva detto l’infermiera due giorni prima, mostrandole un volto serio e rassicurante. Madison non aveva provato nulla, si era sentita solo svuotata, in qualche modo. Aveva come riacquisito molta più libertà, non si sentiva più minacciata e così poteva rendere più libero Mail che, se n’era accorta, si stava preoccupando anche troppo per lei. Gli avrebbe detto di quell’aborto, nemmeno troppo inaspettato, il prima possibile. Quella situazione un poco strana e particolare le portò comunque un disteso senso di rilassatezza.
I suoi pensieri complicatamente sereni vennero interrotti quando Jared si affacciò all’uscio della camera.
- C’è tuo fratello alla porta. –
- Eh?! – esclamò sgranando gli occhi e facendo ulteriormente aggrovigliare le coperte nel mezzo balzo che fece per la sorpresa. Non veniva mai e trovarla quando mai lo avesse fatto avrebbe sicuramente avvisato.
- Fallo entrare, che aspetti? –
Pochi secondo dopo Mail entrò in camera. Lui e Jared, nel passarsi accanto, si guardarono come due cani rabbiosi, facendo sbuffare Maddie con disappunto, consapevole che le divergenze tra quei due non si sarebbero mai appianate.
Mail rimase in piedi di fronte al letto matrimoniale, finché Jared non chiuse la porta, tornandosene in cucina scuotendo impercettibilmente la testa. Madison aprì poi la bocca in una smorfia di compassione, curiosa e dispiaciuta per quegli inconfondibili segni sul volto del fratello.
- È quasi mezzogiorno e sei ancora in pigiama. Che donna irresponsabile. – disse con un filo di voce, prima di inginocchiarsi sul letto. Attese fino a che Madison non allargò e braccia, accogliente, e chiese – Che hai fatto? –
- Niente di serio. –
Maddie lo abbracciò forte, percependo distintamente tanto dolore e delusione, non solo attraverso gli occhi rossi, le occhiaie scure e il labbro spaccato in due punti, gonfio.
- È stato un ragazzo? –
Non rispose, stringendole più forte la vita e poggiando il viso sul seno morbido di lei. La ragazza sorrise amaramente. Non era il momento di ricordargli quello che era successo la sera prima. Non ci voleva molto a dedurlo, in realtà.
Rimasero così per alcuni minuti, abbracciati l’uno all’altra, senza dire una parola. Lei non era mai stata in gamba ad ascoltare la gente, men che meno a consolarla. Le bastò vedere la faccia afflitta di Mail per pentirsi di non essere stata con lui più spesso. Lui l’aveva aiutata tante di quelle volte.
Mail si distesi di fianco a lei, fissando prepotentemente il soffitto, chiedendosi cosa lo avesse spinto ad andare da Maddie.
- Era bello? – chiese sorridendo, dopo essersi tirata un po’ su e guardandolo dall’alto.
Mail chiuse gli occhi, tornando a chissà quali pensieri, che richiamarono in lui un sorriso tirato – Altroché. –
Sorridere gli faceva male, le ferite sul labbro inferiore minacciavano di ricominciare a sanguinare se avesse insistito troppo.
- Dimmi Mail, quando l’hai conosciuto? –
- Poco, veramente poco tempo fa. –
- E già ti piaceva così tanto? – chiese con un tono di voce un filo più alto, stupendo se stessa per non essere stata capace di trattenersi. Avrebbe voluto scusarsi, ma Mail la precedette – Strano, non trovi? – si sentì quasi sollevata che non se la fosse affatto presa – Eppure… prima che me ne rendessi conto era diventato così importante. –
- Mail… -
Era rammaricata ma non sapeva veramente cosa dire, non aveva idea di come tirargli su il morale. L’unica cosa che poteva fare era cercare di saperne quanto più possibile.
- Ma si può sapere che ti ha fatto? Aveva un altro? O… non avrai mica iniziato a vederti con dei quarantenni?! –
Dannata lei che non riusciva a chiudere la bocca.
- No. No, Maddie. Aveva un solo anno più di me – disse con tono neutro – e… e si chiama Mihael. –
Strinse le labbra. Non sapeva che altro dire, come andare avanti. Per quanto si fossero visti o avessero avuto contatti intimi, poteva tranquillamente affermare di sapere di lui poco più della prima notte in cui lo aveva conosciuto. In fondo la sua unica altra certezza era l’amore odioso che provava per lui.
- Lo ami. –
- Cosa? –
Che quella donna potesse leggerli nel pensiero?
- Da come hai pronunciato il suo nome. Non può che essere così, non è vero? –
Lui distolse lo sguardo. Era imbarazzante quella situazione, per quanto fosse stato lui stesso ad averla cercata.
- Sì, lo amo. Ciò non toglie che stia prendendo ora ora un volo per Los Angeles. –
- Los Angeles!? – scandì bene le parole – E cosa… perché? –
- Perché è un fottuto stronzo. E io peggio ad essergli andato dietro. –
Senza farlo apposta Maddie iniziava a sentire ciò che voleva.
- Non mi ha detto niente. Ha semplicemente deciso di fare con me quel che gli pareva e poi dirmi come se niente fosse che se ne andava. Ieri sera eravamo un po’ sbronzi e siamo arrivati alle mani. – per quanto cercasse di parlare come se la cosa non lo riguardasse, tante cose lo tradivano, facendo ben trasparire quanto quella storiella quasi banale fosse tutto per lui.
- Gli hai chiesto di restare? –
Madison riuscì di nuovo a sorprenderlo con l’ingenuità delle proprie parole.
Mail si girò verso di lei, con gli occhi sgranati e pregni di disappunto.
- Cosa? Ma come potrei… se vuole andarsene che vada, non cambierebbe nulla se… -
- Gli hai chiesto di restare? – ripeté interrompendolo.
- No che non l’ho fatto. Che cazzo di senso avrebbe… - sbuffò irritato.
- Che aspetti a farlo? –
La guardò intensamente, decisamente confuso.
- Insomma, non saprai mai se sarebbe stato disposto a restare e… Mail, insomma! Non saprai mai proprio un bel niente se non ci parli subito! – disse tutto di un fiato, gesticolando e mangiandosi le parole, amabilmente infervorata da tutta quella situazione.
Lui rimase fermo a fissarla, mentre sentiva che il suo cuore cominciò a battere aiutato, guidato, da quella piacevole sensazione, di chi è sul filo del rasoio, sull’orlo del baratro, ma non è rassegnato. Quella speranza dirompente che non era mai morta e che aspettava di essere rimessa in circolo.
- Io… tu credi che… -
- Io credo che tu debba farlo se non vuoi avere rimpianti. –
La fissò ancora nei suoi occhi nocciola dallo stesso taglio dei propri. Poi senza badare all’ora, senza badare a niente si alzò dal letto, recuperò il cappotto e si precipitò in strada, senza salutare o ringraziare, solo con un nome in testa.
 

***

 
Un passo dopo l’altro, tra la neve e i molti della città che non si erano fermati in quel giorno speciale.
Parlarci. Con calma, fargli arrivare quell’ansia e quel batticuore di ogni volta che lo pensava, sapere se per loro veramente non ci fosse alcuna possibilità. Trovarlo. Era l’unica cosa che gli avrebbe permesso tutto questo.
E quindi ancora un altro passo, mentre si sistemava la giacca, accorgendosi solo allora del freddo di quella mattina. Doveva riuscire a trovarlo prima che partisse per l’aeroporto, dove, a differenza del finale di tanti film, sicuramente non lo avrebbe più rintracciato.
Sì fermò per un secondo sulla diciassettesima, per fare un attimo di mente locale e capire da che parte dovesse proseguire. Si concesse un momento ancora per chiudere gli occhi, assaporare quell’effimera speranza.
Voleva rischiare tutto, e la paura di un rifiuto era solo un accompagnamento della propria confusione.
Delicato, un fiocco bianco sostò la scesa verso il suolo sul naso di Mail, come terrena allegoria di quella voce che desiderava da tempo.
Ecco l’essenza, ecco la traccia dell’angelo.
 

***

 
Aspettava quel maledetto taxi sbuffando in continuazione. Ma le sfavorevoli condizioni del tempo e quel dannato Natale  sembravano voler far aspettare ancora Mihael. Si strinse tra le spalle, mentre i ciuffi di capelli chiarissimi si mescolavano al pelo nero del cappuccio in una particolare e semplice composizione.
Guardò ancora una volta l’orologio e diede un occhio alla sacca nera piena di ogni da portare con sé. Così pochi. Nemmeno la chitarra si sarebbe salvata al suo abbandono perché lui non avrebbe mai più cantato.
Nel guardare di nuovo verso la strada, tra la neve sempre più fitta, non poté non individuare la sagoma di un uomo in piedi di fronte a lui. Ci volle un attimo, assottigliare lo sguardo per focalizzare una qualsiasi figura in quella pioggia di neve che colorava ogni cosa di quel pallido colore biancazzurro.
Tra quelle fredde lacrime di cielo mirò con sorpresa – tanta che forse emise un flebile sussulto, troppo debole per non essere inghiottito nel silenzio imponente che la neve comandava, regina della scena – il bianco di quel sorriso.
Sì, gli parve quasi che sorridesse, e lui ne ebbe quasi paura.
Non aveva più niente da dirgli. Non sapeva cosa potesse volere e non sapeva come rispondere a una qualsiasi richiesta. Se fosse stato solo un poco più bambino avrebbe finto di non vederlo, registrandolo solo come un prematuro fantasma del passato.
Guardò ancora in strada e solo dopo si decise a voltarsi verso Mail, disposto ad ascoltarlo.
- Mihael… -
- Non dire nulla. – lo interruppe subito, dimostrando a se stesso quanto fosse bravo a contraddirsi.
- No, non ci sto zitto. – disse afferrandolo per un braccio, obbligandolo a guardarlo negli occhi.
Gli occhi sgranati di Mihael indugiarono un qualche istante sul livido sotto l’occhio, faticando a mettere a fuoco i suoi lineamenti, a causa si quella neve sempre più densa e vorticante.
- Mihael, ti amo. –
Troppo, troppo sincero lo colpì al cuore, impedendogli ancora il sentimento per Mail, che era diventato inesorabilmente doloroso. Dannata neve che mangiava ogni altro suono, non poteva distrarsi da quella voce roca e dal cuore che batteva esagerato.
- Non andare. Resta con me. –
Non c’era tempo per i giri di parole. Con il taxi giallo finalmente accostato al marciapiede conveniva essere più diretti che mai.
E Mihael si sarebbe seduto per terra e avrebbe pianto e urlato, perché avrebbe fatto tutto per evitare quella domanda rivoltagli da quelle labbra, ora gonfie e spezzate. Perché avrebbe risposto “sì, voglio vivere con te” anche se non ne conosceva un motivo logico.
Ma quella città lo uccideva. Non sarebbe riuscito ad amare Mail e a vivere. Non a New York, non tra quella neve bollente e quei palazzi grandi che raccontavano tante vite.
- Non posso. – disse. E lo guardò negli occhi.

 
 
 
 

Qualche Nota:
Non linciatemi. Lasciatemi almeno scrivere l’epilogo che, data la mia incapacità di scrivere finali, farà schifo. A quel punto potete lasciarmi morire lentamente.
Questo capitolo era pronto da lunedì scorso, ma poi sono andata in gita con la scuola e quando sono tornata i miei mi hanno levato il pc (ecco perché la lettura – e le recensioni – alle fic che seguo è rimandata =_=). Sì, insomma, oggi ho preso il mio cellulare e ho riscritto la storia e mi appresto a pubblicarla sempre tramite cellulare. Se beccate i peggio errori di battitura e simili do la colpa a questo aggeggio tecnologico e minuscolo =_=
Temo che l’epilogo arriverà dopo il weekend perché in queste settimane prima di Pasqua devo mettermi a sgobbare per compicciare qualcosa di buona a scuola… vedrò di fare quello che posso… (riavere il pc potrebbe aiutarmi, effettivamente >_>)
Per fortuna mi consolano le vostre recensioni. Vi amo sul serio <3
Grazie a tutti coloro che hanno seguito la storia fin quaggiù.
Lally

 

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Capitolo 17
*** Epilogo ***


Epilogo
 
 
Los Angeles era una bella città.
Era grande. Gli era parsa enorme addirittura, complice lo smarrimento del trasferirsi in un nuovo paese così lontano. C’era così tanto da viverci che se qualcuno glielo avesse chiesto non avrebbe esitato ad affermare che era esageratamente più grande di New York.
Ma non aveva fatto fatica ad ambientarsi, per diversi motivi. Era addirittura riuscito a convivere con il caldo, che non aveva mai conosciuto, né a New York né nel paesino nella campagna bielorussa dove era nato.
Soprattutto in quel periodo, in cui l’estate scalpitava la propria presenza attraverso quei giorni di giugno inoltrato, faceva un po’ di fatica a non cedere al desiderio di prendere la statale che portava dritta alla spiaggia e godersi la frescura del mare.
- Ehi, Mihael, io e Kev pensavamo di andare a Santa Monica questo weekend. Che dici, porto una tavola in più? –
- Per questa volta passo. Grazie Alex. – rifiutò, sorridendo.
Gli veniva così naturale adesso.
Distendere i muscoli facciali, dimostrando al mondo quanto tutto andasse bene. Bastava un sorriso come conferma che niente era sbagliato, adesso.
C’era una persona dalla quale aveva imparato a sorridere con una tale gioia.
Un ragazzino dai capelli rossi e la faccia lentigginosa, infantile e dotato di un’acuta ironia.
Amava Mail Jeevas, e lo pensava continuamente. Era il suo unico e primo pensiero; quando di giorno dava lezioni di musica ai bambini, lui che aveva imparato trovandosi uno strumento vecchio tra le mani e improvvisando il resto, e poi quando la sera faceva tardi al pub dove lavorava.
Ora, con la bella stagione e le orde di giovani che continuavano imperterriti ad entrare in quel bel localino attraente anche fino alle ore più assurde, lavorare lì dentro era più che sfiancante.
Fortunatamente poteva contare di arrivare a casa, distrutto ma sano e salvo, e, nel comodo appartamento al confine tra la downtown e le eleganti villette della periferia.
Tornava a casa e tornava finalmente da lui.
Mail era sempre lì, che lo trovasse sveglio davanti allo schermo del suo laptop o che lo sorprendesse assopito nelle maniere più scomposte da qualche parte della casa.
Ogni volta che apriva, proprio come in quel momento, la porta di casa, della loro casa, tirava un sospiro di sollievo. Aveva ventitré anni e poteva finalmente (o già, a seconda dell’ottica con cui si pensa) dirsi felice della propria vita. Non ne avrebbe più cambiato una virgola, non ce n’era più motivo.
Mail dormiva a pancia in su sul divano, con l’aderente canotta giallo shock – riusciva ad essere così gay alle volte –  che gli lasciava scoperto parte del ventre piatto, e il joystick della console inspiegabilmente arrotolato ad una gamba. Il ragazzo era un maestro nel fare casino durante il sonno, Mihael ne aveva preso, inevitabilmente, atto.
Si chinò su di lui, inginocchiandosi accanto al divano. Gli lasciò un bacio leggero sulla punta del naso ma, se non fosse stato per il timore di svegliarlo troppo bruscamente, gli avrebbe volentieri preso la testa fra le mani e lo avrebbe baciato sulle labbra con tanto più calore di quella stessa estate.
Lo vide fare un sorriso un po’ storto, una smorfia nel sonno che già annunciava quanto fosse felice che fosse tornato.
- Vieni di là a letto, dai che è tardi. – sussurrò amorevole.
Mail in risposta, continuando a tenere gli occhi chiusi, si sistemò più comodamente sul divano, arricciando le labbra in un sorriso birichino.
- Prima voglio un bacio. – intimò, perseverando nella sua espressione furba.
Mihael accolse ben volentieri la sua giocosa sfida, avvicinandosi a quel suo viso scherzoso e impertinente.
- Non dovresti essere così monello, samurai. – lo prese in giro, alludendo al videogioco pieno di misteriosi combattenti giapponesi ancora in pausa sullo schermo della tv, preoccupandosi poi di accontentarlo, baciandogli le labbra schiuse, in attesa.
Mail ricambiò, vittorioso, portando una mano dietro la nuca di Mihael, tenendolo più vicino a sé.
Non si sarebbe mai pentito della scelta fatta. Non si sarebbe mai pentito di averlo seguito fin laggiù.
Non avrebbe mai immaginato di potersi separare dalla sua città, lui che non aveva mai lasciato la Grande Mela se non una volta, per una gita scolastica a Washington.
Eppure adesso si trovava lì, da sei mesi ormai.
 
- Non posso. – gli aveva detto guardandolo negli occhi.
In quel momento, in quel preciso momento, dopo quelle due secche parole, Mail non aveva provato alcun tipo di dolore o di delusione. Aveva semplicemente aspettato che quella avvilente, ma anche indispensabile, per poter smettere di aver bisogno di qualcosa che, oggettivamente, faceva male, sensazione lo avvolgesse. Aveva atteso che la rassegnazione lo salvasse, ora che non aveva più rimpianti, ora che aveva fatto tutto quello che poteva per cercare di ottenere quello che voleva.
Ma non fu così. Guardò la figura snella di Mihael salire nell’auto gialla, sparire tra la neve fitta senza più voltarsi indietro, e provò un bisogno fisico di salire su quel taxi, salire su un aereo e basta. In quel momento la rinuncia era quanto di più lontano alla sua comprensione.
Quella volta aveva scosso la testa, aveva ingoiato il boccone amaro e si era avviato verso casa, ripensando a quando Maddie, appena finite le superiori aveva deciso di fuggire con il suo vecchio ragazzo dall’altra parte della città, infischiandosene un po’ di tutto, buon senso compreso.
Magari l’idea nacque proprio mentre se ne tornava a casa quel venticinque dicembre, o magari aveva deciso giorni prima – forse quando Mihael lo aveva baciato, o aveva sussurrato il suo nome, forse quando aveva riso senza pensieri.
Il fatto che poi Madison gli disse di aver avuto un aborto, cosa che indubbiamente lo sollevò da una responsabilità che si era autoimposto, e lo scoprire di poter continuare gli studi in un’università a LA senza troppi complicati passaggi burocratici, erano stati come due richiami impossibili da ignorare. Come se il suo angelo custode gli stesse insistentemente dicendo di prendere quel volo last minute e chiamare Mihael prima che cambiasse numero. Non potevano stare separati semplicemente perché condividevano lo stesso angelo, la stessa sorte, e senza un custode sarebbero finiti sempre nei guai.
Dopo che Mihael era partito, i giorni che trascorse a New York rappresentarono solo un senso di vuoto, un ultimo veloce saluto prima di una partenza.
 
Mihael aveva ascoltato tre volte il messaggio sulla segreteria telefonica prima di capirne il significato.
“Sono io. Sono qui e… non provare a rimandarmi a casa. Chiamami e dimmi dove sei… questo posto è così… e… dai chiamami, che voglio vederti.”
 
Poi come un sogno le cose si erano sistemate, ognuna al proprio posto, nonostante fosse difficile trovare la giusta combinazione, e le loro vite avevano i contorni più frammentati di quelli di un puzzle da diecimila pezzi.
Ma il quadro, superate le prime comuni incertezze, era stato composto, rivelandosi in tutto il suo intricato splendore.
 
 
- Buonanotte. – gli augurò Mail, coprendo entrambi con il lenzuolo leggerissimo, indispensabile per combattere le temperature abbastanza alte che perseveravano anche di notte.
Mihael non rispose subito, abbandonandosi a osservare i lineamenti di Mail, sfocati dalla penombra della stanza. Avrebbe imparato a memoria la tonalità di ogni efelide sul suo viso, così come lo avrebbe fatto con le curve delle sue labbra e i suoi lineamenti regolari. E, cosa più difficile ancora, avrebbe imparato a comprendere ogni sfumatura dei suoi occhi verdi, che tanto lo avevano confuso, fino a farlo impazzire. Fino a farlo innamorare di un sogno che, grazie soprattutto all’ostinazione di Mail, erano riusciti a costruirsi.
- Ti amo. – disse, ma Mail già dormiva.
Non se ne curò.
Il tempo, la vita e la sorte erano loro complici lì, nella città degli angeli.

 
 
 
 
Qualche Nota:
… Ce l’ho fatta. Ho riavuto il pc e ho scritto il capitolo, e mi ci sono pure divertita. Che dire? Preferisco non commentare perché sono consapevole di non essere un genio a scrivere finali e temo che questo sia al limite dei finali scontati… aspetto commenti e critiche o qualsiasi altra cosa vi passi per la testa.
Sono piuttosto calma, perché ancora non mi rendo conto di aver concluso la mia prima long… chissà quando riuscirò a capacitarmene X°D
Spendendo due parole sulla storia in generale posso ovviamente dirmi soddisfatta, in quanto la storia è, con mia sorpresa devo ammetterlo, piaciuta a tante più persone rispetto a quelle che mi sarei mai potuta immaginare. Penso sia più che noto che questa fic non si basasse sull’azione e i colpi di scena, anzi, essendo il mio primo lavoro ho puntato a una trama semplice e lineare. Alla fine la storia si è retta tutta sulle seghe mentali riflessioni, che tanto mi piace scrivere. Credo che non scriverò mai più una storia del genere, ecco XD
Direi di iniziare  con i ringraziamenti, (molto sentiti, ragazze, sul serio) perché altrimenti queste note diventeranno più lunghe del capitolo stesso (o forse lo sono già?? o_O)
Grazie ad Agni, Angel666, animefan95, Atisuto _ chan, Ciel 98, D a g g e r, DaysyWay, EleIvanov, Eris_, HunterKeehl, Ignitia, Iri, KiaraAma, kibo, KiddvsVale, Kiichan_, LetalTearGas, MihaelMailNate, Niji Arashi, Nikoniko Shimasu, orihime02, Rebl_fleur, sbrixi, yackya e Yami no Koshaku fijin per aver inserito la fic tra le seguite (:
Grazie a cocol, Elis Strange e Niji Arashi per aver inserito la fic tra le ricordate (:
E ringrazio anche AllAloneInSpaceAndTime, Blackdoll16, Choco_Mella, Ciel 98, HunterKeehl, Mello Keehl, orihme02, RainbowPanda e Sarah95 per aver inserito la fic tra le preferite…
Mi avete fatto tutte davvero un grande piacere, non sapete quanto mi piacerebbe avere un vostro parere sulla storia…
E poi, ultime ma non ultime, ringrazio tutte le santissime persone che si sono fermate a recensire la storia… siete state le coproduttrici di tutti i capitoli perché senza il vostro sostegno avrei abbandonato capitoli e capitoli orsono. Ovviamente provvederò a ringraziarvi più opportunamente nelle risposte alle recensioni, che parlare faccia a faccia mi torna sempre più semplice.
Penso di aver finito. O meglio, mi dispiace per voi, ma tornerò. Ci sono one-shot e ci sono long che mi frullano per la testa e non vedono l’ora di appestare il fandom. Ma non ho voglia di fare spam quindi… vi abbraccio, cari lettori <3
Lally
 

 

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